Paolo Bonacchi
Radici:
la legge di natura nell'ordine sociale.
Proprietà letteraria riservata
© 2015 Bonacchi Paolo.
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Questo libro è APERTO a tutti coloro che desiderano migliorarlo correggendo
errori o indicando suggerimenti e modifiche sulla base delle conoscenze di cui
dispone per metterle al servizio del bene comune.
L'autore sarà grato a tutti coloro che si impegneranno in questo lavoro.
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edizione.
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1
Indice
Presentazione di Giancarlo Pagliarini -
pag.
5
Prologo -
8
Note -
10
Capitolo I – La natura e i popoli antichi
13
1. I Neter, gli spiriti divini che per gli antichi popoli abitano la natura 2. L'animale uomo 3. La vita che crea spontaneamente le società animali Capitolo II – La visione della realtà: sostenibilità e limiti
1.
2.
3.
4.
5.
La terza cultura La foresta dei Bantù e l'imprinting dello stato sovrano moderno In cerca di una nuova logica dell'ordine sociale Le risposte della natura alla violazione delle sue leggi Condizioni di allarme rosso? -
Capitolo III - L'idea di un Dio onnipotente e sovrano
1.
2.
3.
4.
30
Il gioco cosmico della natura e l'illusione dell'onnipotenza umana Vivete sottomessi Un uomo dopo l'uomo Il tempo che forse non abbiamo più -
Capitolo IV - L'informazione ed i sistemi
1.
2.
3.
4.
5.
20
41
Che cosa è e da dove viene l'informazione? Un tentativo di riposta alla domanda su Chi siamo? Da dove veniamo: l'origine della vita Dove andiamo?
Il Superorganismo umano come prossima tappa evolutiva? -
Capitolo V - Il miracolo della vita e l'ordine sociale
1. Il gene: la radice biologica della vita e del comportamento individuale
e sociale 2. Da Aristotele a Darwin 3. La scienza che nega la verità biblica 4. I batteri come precursori dell'evoluzione sociale della vita 5. Eravamo scimmie e ancor molto prima … piccolissimi batteri 6. La rivoluzione della genetica: da Gregorio Mendel alla scoperta
dell'Elica immortale 7. Darwinismo sociale e sociologia 2
52
Capitolo VI – I sistemi complessi
76
1. Ilya Prigogine e la Teoria della complessità dei sistemi 2. Friedrick Von Hayek 3. Diventare consapevoli che l'universo è un insieme ordinato di sistemi che si autoorganizzano e si auto-regolano spontaneamente 4 . Sistemi chiusi e sistemi aperti 5. Il fenomeno dell'emergenza nei sistemi complessi 6. Il nesso di reciprocità nei sistemi del vivente 7. Problemi di ordine complicato e di ordine complesso 8. La retroazione (feedback) nei sistemi Capitolo VII - L'ordine nei sistemi politici
1.
2.
3.
4.
82
Riconoscimento a P. J. Proudhon Il culto dei morti e la nascita del mito Ci nutriamo ancora di miti religiosi e politici creati nell'antichità Le costruzioni politiche artificiali -
Capitolo VIII - La socialità
95
1. Il mistero dell'origine della vita sociale nei batteri 2. La sorgente del comportamento sociale. L'egoismo e l'altruismo 3. Il meccanismo biologico della socialità 4. La questione dell'istinto, l'imperativo territoriale e la convenzione 5. Imperativo territoriale e comunità Capitolo IX - L'Archè del contratto nell'ordine sociale e i
fratelli-nemici
110
1. La ruota infuocata di Issione delle rivoluzioni sociali 2.
3.
4.
5.
6.
7.
Come il potere dello status quo impedisce la spontaneità della legge I migliori che per autoreferenza vogliono dominare il mondo Lo stato moderno sinonimo di spoliazione degli individui e dei popoli La convenzione e la legge morale della natura La difficoltà di introdurre nuove idee Giusnaturalismo e positivismo: i Fratelli nemici e la legge -
Capitolo X - La lunga marcia della vita sociale nella storia
1. Gli elementi dell'ordine sociale prima di Darwin 2. La famiglia, la comunità e la società 3. Come la cultura dell'artificiale e della continuità storica ha invaso gli
ordinamenti sociali 4. Abbiamo bisogno di risposte -
3
129
Capitolo XI - Il Moloc dello STATO e i diritti naturali violati
1.
2.
3.
4.
5.
La finzione dell'idea di stato e quella di “persona giuridica” La sovranità come diritto naturale dei cittadini e il caso Italia I diritti naturali nell'ordine sociale Democrazia: il dio che ha fallito Lo stato sovrano e la Volontà generale in Bodin, Hobbes e Rousseau -
Capitolo XII - Il Contratto politico o di federazione
1.
2.
3.
4.
5.
141
160
Degenerazione dell'idea di stato La spontaneità della legge, ovvero l'Autogoverno dei cittadini Aleatorietà e certezza nelle due forme antitetiche di contratto sociale Una scelta necessaria per il futuro L'era delle federazioni -
Capitolo XIII - Un confronto fra stato accentrato e governo federale
175
1. Stato accentrato italiano e governo federale svizzero e californiano; sistemi
sociali a confronto 2. Il modello federale della Svizzera e il modello accentrato semi-fascista
e semi-comunista italiano Conclusioni -
190
4
Dedico questo libro a Daria, intelligente e paziente compagna nel breve
percorso della vita.
Ringrazio gli amici sinceri che nei momenti di delusione e di stanchezza mi
hanno incitato a continuare a scrivere questo libro e mi hanno fornito
indicazioni utili a evitare errori e a migliorare il testo:
Marco Bassani
Giuseppe Brambani
Andrea Carbonaro
Marco Borracchini
Fabio Castellucci
Giacomo Consalez
Franco Dell'Alba
Paola Fortunati
Giacomo Gori
Edi Mattioli
Pietro Muni
Lino Parise
Massimo Paudice
Fiorenzo Peloso
Francesca Claudia Rocchetti
Giovanni Robusti
Paola Schiavone
Luciano Sanna
Gloria Scorcelletti
Antonio Taccone
Enzo Trentin
Vincenzo Zamboni
_____________________________________________________________
Presentazione
di Giancarlo Pagliarini
Con questo libro Paolo Bonacchi continua a fare quello che ha sempre fatto
come attento osservatore dell'ordine sociale naturale nei sistemi del vivente e
seminatore di saggezza. Tutta colpa di Gianfranco Miglio.
Lo conosco da una vita: Paolo crede profondamente in quello che dice e scrive.
Ci crede fino alla commozione e allo sconforto, al punto di concludere:
“Giunto alla fine di questo libro ho avuto un attimo di perplessità: mi sono
reso conto che probabilmente il tempo presente non è pronto per le idee che ho
cercato di esporre e la loro diffusione sarà lenta e difficile.“ Altro che lenta e
difficile: saggezza, ragionevolezza, buon senso, civiltà e conoscenza dell’abc
delle leggi della natura e dei comportamenti degli animali (e quindi degli
uomini) non sono nel DNA di molti, di troppi italiani.
5
Tre considerazioni: 1) foto del paese, 2) cosa c’è sotto a questa foto 3) quelli
che vogliono prolungare l’agonia.
1 foto: Il nostro paese è in bancarotta. In bancarotta fraudolenta. Tenete
presente:
- che il debito pubblico “ufficiale” della Repubblica italiana è di circa 2.166
miliardi di lire, ma questa cifra non include il “valore attuale” del debito
pensionistico che stiamo cinicamente trasferendo sulle spalle delle generazioni
future. Un signore che ha versato i contributi sociali per tutta la vita e che oggi
va in pensione, finché camperà incasserà la pensione e non verserà niente.
Dunque lui ha un credito. Ma se lui ha un credito, qualcuno deve avere il
debito. Questo debito non è contabilizzato da nessuna parte nei bilanci dello
Stato e delle PA italiane, ed il suo valore (scontato, attualizzato) è di circa 3.700
miliardi di Euro. Quindi il debito di ogni italiano non è di circa 32.000 Euro,
ma ormai abbiamo superato i 95.000. Il giovane che comincia a lavorare
domani mattina alla fine del mese verserà dei contributi sociali, e crederà di
versarli per la sua pensione, ma non è vero: con quei soldi si paga un debito. Si
pagano le pensioni di quelli che sono in pensione. E lui, dopo aver lavorato e
versato contributi tutta la vita, dovrà sperare che ci sia qualcuno che lavori e
che gli paghi la pensione. Lo chiamano “sistema a ripartizione”: io e Paolo
Bonacchi lo chiamiamo “sistema del cero alla Madonna”. Nel senso che con
questo sistema quelli che vanno in pensione devono accendere un cero alla
Madonna e pregare che qualcuno gli paghi la pensione. I soldi dei contributi
sociali che hanno versato non ci sono più: sono stati usati per pagare il “debito
pensionistico”, ignorato dalla contabilità pubblica e dai parametri di
Maastricht.
- Che nel nostro paese la pressione fiscale ufficiale del 2014 è di circa il 41%.
Questo significa che su 100 di PIL le tasse e i contributi sociali incassati dalle
Pubbliche Amministrazione sono 41. Ma c’è un particolare: in quel 100 di PIL
sono compresi 18 di economia nera. Ma i signori che fanno il nero non pagano
né tasse né contributi sociali. Quindi la percentuale non è di 41 su 100, ma di
41 su 82. Con questa pressione fiscale il nostro paese sarà sempre meno
competitivo, i debiti (dentro e fuori bilancio) continueranno ad aumentare, la
qualità delle nostre vite continuerà a peggiorare ed ai nostri figli trasferiremo
un paese molto peggiore di quello che ci hanno lasciato i nostri genitori.
2 foto: Cosa c’è sotto a questa foto? Sotto a questa foto c’è l’organizzazione
“contro natura” centralista e la cultura ancora medioevale del nostro paese.
Proprio le cose che Paolo Bonacchi cerca di cambiare con i suoi libri.
Già, l’organizzazione. Immaginate una società che produce un bellissimo ed
inimitabile prodotto. Gli costa 100 e lo vende a 300. Tutti lo vogliono
comprare. C’è la coda. Ma fare aumenti di capitale per coprire le perdite non
serve a niente se non si cambia la forma di governo che consente di cambiare le
procedure. Cambiare i manager non serve a niente se non si cambia la forma di
6
governo e di conseguenza le procedure.
E adesso guardiamo uno Stato organizzato male. Aumentare le tasse in modo
che il Governo possa gestire più soldi non serve a niente se non si cambia la
forma di governo da accentrata a federale che consentirebbe di cambiare le
procedure. Fare le elezioni e cambiare i membri del Parlamento non serve a
niente se non si cambia la forma di governo che consente di cambiare le
procedure. Ebbene, la forma di governo nasce dalla sua Costituzione. Ecco il
punto: la foto dell’Italia sarà sempre quella se non cambieremo le radici della
sua organizzazione e quindi la sua Costituzione adottando i principi del vero
Federalismo. E questo è esattamente quello che raccomanda Paolo Bonacchi.
3 foto: Quelli che vogliono prolungare l’agonia.
Se con la bacchetta magica domani mattina finissero sulla Gazzetta Ufficiale
tutte le cose che propongono i capi dei partiti di regime come Renzi, Alfano,
Berlusconi, Tosi, Passera oppure chi volete voi, la foto del paese sarebbe
sempre quella. Al massimo, se va bene, si prolungherebbe l’agonia. Perché
continueremmo ad essere una Stato centralista e la politica continuerebbe ad
essere caratterizzata da comportamenti illogici e contro natura, come l’assurda
prassi della “lotta politica”.
Chiudo augurando buona lettura e citando pagina 31 dell’opuscolo La
Confederazione svizzera in breve. 2015. Paragrafo Un Parlamento a tempo
parziale:
“Il Parlamento svizzero è un cosiddetto «parlamento di milizia»:
pur dedicando molto tempo al mandato parlamentare, la maggior
parte dei deputati è anche attiva professionalmente”.
Ecco, grazie a uomini come Paolo ed ai suoi libri forse i miei figli un giorno
riusciranno a vivere in un paese dove non esiste il “mestiere di politici alla
perenne caccia di voti” e dove gente con idee diverse lavorerà assieme per i
cittadini invece di essere in lotta spietata e perenne per gestire il potere.
Giancarlo Pagliarini
7
Prologo
La scienza potrà un giorno renderci fratelli, non l'arroganza della nostra
mente primitiva. La prima, infatti, cerca la verità nella natura che non può
mentire; la seconda nei dogmi, negli assoluti, nelle illusioni, nelle fantasie di
dominio, di potere e di onnipotenza che la mente si è creata nel corso dei
secoli, scambiandoli per verità. Rousseau conforta questa osservazione:
O uomo, di qualunque paese tu sia, qualunque siano le tue opinioni,
ascolta: ecco la tua storia, quale ho creduto di leggere non nei libri dei
tuoi simili, che sono menzogneri, ma nella natura, che non mente mai.
Ciò che verrà da essa sarà vero; non ci sarà di falso che quello che,
senza volerlo, ci avrò messo di mio.1
Gli antichi potevano dire che per mezzo del destino o dell'onnipotenza di un
Dio che carica l'orologio degli eventi a sua discrezione, come hanno affermato
con insistenza la filosofia e la religione nei secoli passati, si poteva spiegare
tutto ciò che accade: i fenomeni della natura, la sorte degli individui, le guerre e
le rivoluzioni sociali.
Ducunt volentem fata, nolentem trahunt2
Se il destino costituisce ancor oggi il principio e la fine di tutte le cose o se
nella fede in un Dio onnipotente che carica a piacere l'orologio degli eventi e
dei miracoli si confina la spiegazione del mistero che li determina, agli effetti
dell'ordine sociale della specie umana la ragione continuerà a confermare
l'impotenza di concepirli in connessione e coerenza con le leggi conosciute
della natura e niente, per l'uomo, cambierà rispetto al passato.
Il crollo degli imperi e il fallimento degli stati, la guerra e la pace, l'autorità e la
libertà, l'egoismo e l'altruismo, il potere, il dispotismo, lo sfruttamento, la
cooperazione e la concorrenza violenta, la mutualità e la predazione,
l'ingiustizia e la giustizia, la disuguaglianza e l'uguaglianza delle fortune: tutto
appare ancor oggi ai più essere l'opera del destino o dell'orologio di un Dio
immaginario, mentre pochi sono quelli che osano opporsi ai loro
incomprensibili decreti cercando la verità nella natura che non mente mai.
Così il genio dell'uomo ha attraversato i secoli assegnando ad ogni essere la
propria sorte e alle associazioni di animali (e di uomini) chiamate “società”, il
proprio ordine, che nella nostra specie è politico, economico e religioso.
J. J. Rousseau (1712-1778), Origine della disuguaglianza, Feltrinelli, Milano, p. 37.
L. A. Seneca ( 4 a. C – 65 d. C.) Epistole a Lucillo, (107,11, 5), trad.: Il destino guida chi
vuole lasciarsi guidare e trascina chi non vuole.
1
2
8
Giunto quasi alla fine della stesura di questo Prologo ho appreso due notizie
che hanno dell'incredibile: la prima è che per la Teoria delle stringhe
esisterebbero miliardi di Universi simili al nostro; la seconda è che ciò che oggi
possiamo osservare: il sistema solare, le stelle ed i miliardi e miliardi di
galassie che compongono l'Universo di cui la Terra abitata dalla nostra specie è
parte infinitesimale, è appena il 6% di ciò che per la scienza esiste. Il rimanente
94% pare sia composto da materia ed energia oscure la cui natura, per il
momento, ci è quasi completamente sconosciuta.
Se a questi dati aggiungiamo che quella che riteniamo realtà è solo una
rappresentazione della realtà creata dal cervello3, che scopo può avere scrivere
questo libro e perché, mi sono chiesto, altre persone dovrebbero leggerlo?
L'unica risposta, in apparenza sensata, che ho saputo dare è che probabilmente
tutto ciò che esiste, compresi i miliardi di universi, la materia e l'energia oscure,
è il divenire di un Qualcosa (che nel corso del libro chiamerò Quid o Grande
sconosciuto), che impone a ognuno di indagare e di conoscere ciò che può
osservare, per metterlo a disposizione dei suoi simili in vista della crescita
progressiva della coscienza individuale e collettiva e con essa della civiltà e del
benessere materiale e spirituale. Non so se questa conclusione possa o meno
essere soddisfacente. Ma so con certezza che è l'unica che sono in grado di
offrire a chi può essere interessato a cercare di comprendere il senso della realtà
naturale e sociale.
Ho così concluso che l'Umanità è piena di uomini di buona volontà che cercano
con autentica passione civile la conoscenza che più si avvicina alla verità. Essi
seguono strade difficili e pericolose alla ricerca di una pepita di verità e di
conoscenza e una volta trovata si impegnano per diffonderla, sperando che
possa contribuire a far crescere in altri esseri umani la consapevolezza di ciò
che siamo, di dove veniamo e di dove andiamo.
Se la diffusione della cultura umanistica e scientifica è la meta più alta che
potrebbe permetterci di realizzare un ordine sociale che favorisca in ogni essere
umano la crescita della coscienza e con essa il benessere materiale, spirituale e
l'esperienza autentica della felicità, siamo costretti a prendere atto che per
ottenerla dobbiamo innanzitutto emanciparci dalle leggende, dai miti, dai
dogmi, dagli assoluti e delle illusioni che ci siamo creati nei secoli dell'infanzia
dell'umanità ricercandone le radici in ciò che possiamo conoscere della natura.
In questo percorso probabilmente alcuni condivideranno l'idea che ciò che nei
secoli abbiamo chiamato DIO, è il divenire di un QUID inaccessibile alla mente
che si manifesta a noi come realtà osservabile che si evolve nel tempo verso
una meta sconosciuta, ma certa. Credo che così potremo intraprendere con
minori sacrifici la strada che la natura ci indica da miliardi di anni con gli
straordinari fenomeni dell'evoluzione dell'energia in materia e vita e con la
3 A. Newberg, neuroscienziato, E. D'Aquili, professore di psichiatria presso l'Università della
Pennsylvania, Dio nel cervello, Mondadori, Milano, 2002, p. 43.
9
complessità dei sistemi che crea. Esiste veramente questa strada? Possiamo
intraprendere il viaggio verso la meta misteriosa che ci attende sul percorso
dell'evoluzione animale? È conveniente per l'individuo e per la società umana
percorrerla? Possiamo desumere dal remoto passato della vita su questo
pianeta, le regole di comportamento che agevolano il percorso verso la
prossima tappa evolutiva della nostra specie? Io credo che portando ognuno il
proprio granellino di sabbia all'edifico comune della società, dove anche per me
abita lo Spirito che muove i mondi e determina la loro forma e il
comportamento delle creature che li abitano, ognuno avrà assolto il compito a
lui affidato col dono straordinario e irripetibile della vita. Questo lo
compenserà della fatica e del sacrificio dell'esistenza e, lasciandolo finalmente
indifferente ai decreti incomprensibili del destino e ai miracoli di un dio
immaginario, gli darà tutta la serenità e gli attimi di felicità compatibili con la
sua condizione di uomo.
È per queste ragioni che mi azzardo, fra mille timori e incertezze, a scrivere
questo libro.
_______________________________________________________________
Note
Scopo dell'introduzione a un libro è, talvolta, quello di anticipare il suo
contenuto. Questo lavoro è il seguito di Dalla società delle api alle città-stato
del futuro. Natura e ordine sociale, Edizioni Nexus, Padova, 2010, in cui ho
cercato nella natura le radici dell'ordine sociale umano.
Devo l'idea di questa ricerca a Gianfranco Miglio 4, grande scienziato della
politica che nel 1979, in una intervista rilasciata al settimanale L'Espresso 5,
sostenne che: “... studi recenti permettono ormai di scorgere le radici naturali
delle fondamentali regolarità a cui obbedisce il comportamento politico
dell'uomo”. Ebbene, il comportamento politico dell'uomo è strettamente legato
al modo col quale la natura provvede a creare ordine dal disordine in tutti i
“sistemi” che formano l'Universo, compresi quelli delle specie eusociali 6 di cui
anche la nostra fa parte.
Se potessimo illuminare il comportamento umano in questo modo, si
renderebbe immediatamente disponibile un nuovo e compiuto genere di
4 G. Miglio (1918-2001), costituzionalista e scienziato della politica.
5 N°. 49, del 9 dicembre 1979.
6 L'eusocialità è il livello più alto di organizzazione sociale che si realizza in certi animali come
ad esempio le api, le formiche e le termiti.
10
comprensione. Verrebbe infatti rivelata la matrice profonda di tendenze
fino ad ora misteriose; e capiremo forse che aspetti del nostro
comportamento che in precedenza consideravamo questioni di libera scelta
sono in realtà il prodotto di forze radicate e geneticamente controllate. Tali
idee si diffusero dopo il 1950 e vennero polarizzate durante il decennio
seguente grazie a una serie di successi editoriali. Tutti, da La scimmia
nuda di Desmond Morris a Men in groups di Lionel Tiger a L'imperativo
territoriale di Robert Ardrey, avanzavano la stessa allettante tesi: il
comportamento sociale umano, essendo un prodotto dell'evoluzione, può
essere spiegato nello stesso modo dell'analogo comportamento di altri
animali che hanno seguito il medesimo percorso evolutivo.7
Prima del 1950 molti autori criticarono, a volte duramente, affermazioni simili,
fino a che Konrad Lorenz8 in L'aggressività (1966) ed E. O. Wilson in
Sociobiologia: la nuova sintesi (1975) aprirono la strada a una nuova scienza:
la Sociobiologia che avrebbe avviato “lo studio sistematico delle basi
biologiche di tutto il comportamento umano”.9
Percorrendo questa nuova strada ho condiviso l'idea che il comportamento
umano e l'ordine sociale abbiano le loro profonde radici nelle leggi fisiche e
biologiche della natura e che non possano essere considerati unicamente sulla
base delle esperienze secolarizzate della teologia-politica o dei miti e degli
assoluti delle ideologie sociali prodotte nel corso della breve storia della nostra
giovane specie, tramandate in modo assai discutibile lungo i secoli.
Da ciò scaturisce la seguente osservazione: il modo col quale viene studiato
l'ordine sociale umano dovrà subire nel futuro, volenti o nolenti, un drastico
cambio di dimensione e di direzione rispetto al passato a partire dal dal 1859,
anno in cui fu stampato Sull'origine delle specie di Darwin e ancor più dal
1955, anno in cui fu scoperta l'elica immortale, abbracciando il periodo in cui si
è formata la vita su questo pianeta o in qualche parte dell'universo.
Per queste ragioni nei primi capitoli del libro, prima di affrontare il tema degli
elementi, dei processi e del funzionamento dei sistemi naturali, indicherò
brevemente lo stato attuale delle condizioni del Pianeta terra e affronterò
sommariamente il tema del comportamento sociale dell'uomo in relazione alle
nuove conoscenze. Il senso generale di tutto quello che scriverò, pertanto, è che
la natura è un bene, un patrimonio comune essendo la nostra specie parte e non
padrona e dominatrice della stessa. Questo bene ci è stato affidato da tutte le
creature che in miliardi di anni hanno contribuito a formarlo perché sul pianeta
azzurro apparisse la nostra strana specie, capace di altruismo e di egoismo, di
spontaneità e di imposizione arbitraria, di autorità e di libertà, di
disuguaglianza e di uguaglianza, di verità e di menzogna, di cooperazione e di
7
8
9
J. Rachels (1941-2003), Creati dagli animali, Edizioni di comunità, Milano 1996 p. 89.
Konrad Lorenz (1903-1989), zoologo ed etologo austriaco).
Vedi E. O Wilson, Sociobiology.
11
inaudita quanto inutile prepotenza e violenza ... e di una strana e potentissima
qualità emergente nella mente che per dimensione e comportamento ci
differenzia da tutte le altre specie conosciute: la coscienza.
Pertanto invito chi legge a tenere presente che niente di quanto qui riportato
dovrà essere considerato come un assoluto, una verità, un dogma, ma
semplicemente come un tentativo di ricerca degli elementi, delle componenti e
dei processi dei sistemi naturali che possono offrire maggiori probabilità di
costruire uno schema mentale significativo di comportamento sociale, che sia il
più possibile coerente con ciò che conosciamo della natura e con il successo
della vita umana. Purtroppo siamo ancor oggi illusi di essere una specie superintelligente, unica, il pinnacolo dell'evoluzione su questo pianeta il cui destino
è determinato da un Essere ancor più super-intelligente che a sua discrezione
compie miracoli e carica l'orologio degli eventi, mentre in realtà siamo appena
fanciulli scapestrati che giocano con una bomba a orologeria i cui ingredienti
esplosivi sono le esagerazioni dell'egoismo, della violenza, delle menzogne, del
potere e della proprietà senza limiti: tutti elementi che offendono la dignità
degli individui concorrendo a violare i loro diritti naturali e limitando la loro
libertà di scelta morale, politica, economica e religiosa.
Anche se oggi molti hanno l'arrogante pretesa di sapere tutto, in realtà, almeno
come massa, sappiamo ben poco sulle leggi della natura.
Le leggi intese nel loro significato più ampio sono i rapporti necessari
che derivano dalla natura delle cose. In questo senso tutti gli esseri
umani hanno le loro leggi: la Divinità ha le sue leggi, il mondo materiale
ha le sue leggi, le intelligenze superiori dell'uomo hanno le loro leggi, le
bestie hanno le loro leggi l'uomo ha le sue leggi.10
Se tutto ciò che rappresenta la realtà ha le sue leggi, il vero dilemma da
risolvere, a mio avviso, consiste nel cercare di conoscere almeno da dove
veniamo e dove andiamo perché nessuno, per secoli, sarà in grado di provare
con certezza chi veramente siamo.
Penso che solo la scienza, in un lontano futuro, potrà sollevare il velo del
mistero che circonda la ragione della nostra esistenza individuale e sociale,
estendendo la nostra conoscenza oltre l'origine dell'energia, della materia e
della vita. Questo, forse, ci permetterà di trovare la bussola in grado di
orientarci nella ricerca della meta più facile e vantaggiosa che attraverso le
leggi l'umanità, volente o nolente, dovrà raggiungere pena la sua scomparsa.
Abbiate soltanto la pazienza di leggermi amici lettori e potrete dirmi in seguito
le impressioni ricevute nell'apprendere alcune cose delle quali non avevate mai
sentito parlare, ma che vi sembrerà di aver conosciuto da sempre.
10
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, vol I, Libro primo, Delle leggi in generale, B.U.R,
Milano, 1989, p.147.
12
Capitolo I
La natura e i popoli antichi
1. I Neter, gli spiriti segreti divini che per gli antichi popoli abitano la natura.
Qui è appena il caso di ricordare che per molte persone appena pochissimi
secoli fa l'Universo era talmente limitato che la Terra era il suo centro e che
oltre il Sole non ci poteva essere niente altro che le stelle: puntini luminosi
misteriosamente appesi alla cupola del cielo, di cui ignoravamo quasi tutto.
Oggi, per merito della scienza, l'orizzonte del nostro universo si è dilatato
enormemente mentre l'energia, la materia e la vita hanno svelato molti dei loro
profondi segreti. Tuttavia, e questo è incredibile, i concetti di riferimento del
comportamento individuale e dell'ordine sociale, sono restati, per moltissime
persone, pressappoco gli stessi del passato remoto della nostra specie.
Le idee di un Dio onnipotente che premia i giusti e punisce i malvagi e della
salvezza eterna dalla morte sono state per secoli le motivazioni primarie delle
norme che giustificano e regolano l'ordine sociale. Per questa ragione, forse,
l'Antico e il Nuovo Testamento sono stati usati sia in funzione religiosa sia
politica. Infatti più si risale indietro nel tempo più risulta difficile distinguere
fra istituzioni religiose e politiche. Solo a partire dal XVIII° secolo le società
segrete che sostenevano l'illuminismo cominciarono a contrapporre alla
teologia-politica la teologia naturale.
Il termine teologia (θεολογία, theología) compare per la prima volta nel IV°
secolo a. C. nell'opera di Platone 11; ma fu lo studioso Marco Terenzio Varrone 12
che trasmise alla cultura occidentale il concetto di teologia-politica in relazione
ai mutevoli rapporti fra comunità politica e comunità religiosa, ovvero fra
potere e salvezza.
Molti secoli più tardi con L'esprit de Monsieur Benoit de Spinoza13 un trattato
dell'inizio del XVIII° secolo, Mosè, Gesù e Maometto che indicavano l'ordine
della società come proiezione della religione vennero pubblicamente accusati
dal filosofo di aver ingannato l'Umanità, spacciando norme religiose e politiche
come rivelazioni di una Divinità immaginaria, onnipotente e senza tempo, con
la quale solo alcuni avevano il privilegio di poter dialogare.
Nel presente, tuttavia, è finito il tempo in cui con la religione si poteva spiegare
l'origine del potere nell'ordine sociale. L'oppio dei popoli è passato di moda e
quasi nessuno lo ricorda più.
Platone, (428/427 a. C. – 348/347 a. C.), La Repubblica (II, 379 A).
M. T. Varrone, (116–27 a. C.).
Il trattato dei tre impostori. La vita e lo spirito del Signor Benedetto Spinoza, a cura di S.
Berti, Einaudi, Torino, 1994.
11
12
13
13
Oggi la religione si presenta piuttosto come dinamite dei popoli.14
Si pensi per un attimo alla situazione di violenza fra Israele e alcuni paesi
Arabi, fra Cristiani e Indù, fra Musulmani e Cattolici e fra le infinite religioni e
sette esistenti nel terzo millennio.
Già migliaia di anni fa l'idea di natura quale orizzonte di riferimento del
comportamento individuale e dell'ordine sociale, dunque politico, economico e
religioso, era profondamente avvertita a livello popolare.
Cielo, terra, acqua, fuoco, aria, piante, animali e uomini, costituivano
l'orizzonte dell'esistenza dei popoli antichi ed erano definiti come Neter: gli
spiriti segreti divini che abitano il vivente.
Per secoli i Neter hanno rappresentato un concetto chiave attraverso il quale i
sacerdoti sumeri ed egizi e i filosofi greci cercavano la verità per penetrare il
mistero della vita, della creazione e per ordinare la società. Già per gli antichi
egizi, ad esempio, intermediaria dei Neter con gli esseri umani era Maat, la
coscienza fonte suprema di giustizia e di verità alla quale doveva essere
informato il comportamento individuale e sociale di ogni individuo.
Oggi sappiamo che per le lingue greca e copta l'ambito dei Neter, in cui la
Divinità si manifestava agli uomini come energia e vita, è la radice letterale
della parola Natura. Era dunque nella natura che l'antichità remota cercava i
fondamenti dell'esistenza individuale per organizzare l'ordine sociale?
2. L'animale uomo
In pochi secoli siamo stati capaci di distruggere, da un punto di vista
dell'ordine sociale, il meraviglioso concetto dei Neter recidendo con le
divisioni prodotte dalle religioni, dal potere e dalMolti secoli più tardi con
L'esprit de Monsieur Benoit de Spinoza15 un trattato dell'inizio del XVIII°
secolo, Mosè, Gesù e Maometto che indicavano l'ordine della società come
proiezione della religione vennero pubblicamente accusati dal filosofo di aver
ingannato l'Umanità, spacciando norme religiose e politiche come rivelazioni di
una Divinità immaginaria, onnipotente e senza tempo, con la quale solo alcuni
avevano il privilegio di poter dialogare.
Nel presente, tuttavia, è finito il tempo in cui con la religione si poteva spiegare
l'origine del potere nell'ordine sociale. L'oppio dei popoli è passato di moda e
quasi nessuno lo ricorda più.
Jan Assmann, egittologo e archeologo tedesco, Non avrai altro Dio, Il mulino, Bologna,
2007, p. 7.
15 Il trattato dei tre impostori. La vita e lo spirito del Signor Benedetto Spinoza, a cura di S.
Berti, Einaudi, Torino, 1994.
14
14
Oggi la religione si presenta piuttosto come dinamite dei popoli. 16l'egoismo, i legami
sacri che uniscono fra loro gli esseri umani e questi agli elementi e alle creature
che popolano il cielo la Terra.
L’uomo è un animale parlante e sociale, zòon logikon kaì politikon, ha
detto Aristotele. Questa definizione vale più di tutte quelle che sono state
date in seguito. ... l’uomo è un’intelligenza servita da organi, definizione
che ha il duplice difetto di spiegare il noto con l’ignoto, vale a dire
l’essere vivente con l’intelligenza, e di tacere sulla qualità essenziale
dell’uomo, l’animalità. L’uomo è dunque un animale che vive in società.
Chi dice società dice insieme di rapporti, in una parola “sistema”. Ora,
ogni sistema non sussiste che a certe condizioni: quali sono, dunque, le
condizioni, quali sono le leggi della società umana?17
Per cercare di dare una risposta alla domanda a “Quali sono le leggi della
società umana?” ho pensato che fosse giunto il momento di scegliere fra due
idee contrapposte: se l'individuo debba continuare ad essere un mero strumento
del potere del governo della comunità in cui trascorre la propria esistenza (lo
“stato”) comunque immaginato e costruito a priori da chi ne può trarre
maggiore vantaggio in termini di potere, di ricchezza e di affermazione
personale, oppure se ogni individuo debba essere l'artefice sovrano che
partecipa al governo della Comunità in cui vive, come la natura vuole.
Quando io dico che la natura vuole che questa o quella cosa avvenga,
non voglio dire che essa imponga a noi un dovere di attuarla (il che può
fare solo la ragione pratica libera da ogni coazione), ma significa che
essa la fa di per sé, sia che lo vogliamo, sia che non lo vogliamo.18
Scrive il fisico veronese Vincenzo Zamboni su Internet nel 2015:
Il cervello umano è un bioelaboratore che pesa più o meno 1450 grammi e
dispone di circa 90 mld di neuroni). I 1450 grammi, circa, del bioelaboratore
di cui ognuno di noi è gratuitamente fornito fin dalla nascita, il cervello
umano, dispone di circa 90 mld di neuroni disponibili alla continua formazione
e modifica di sinapsi connettive per la costruzione di circuiti logici, simbolici,
simulativi, comparativi, e così via. Il numero di differenti configurazioni
binarie di un simile sistema è sbalorditivamente alto: 8.000 miliardi di
Jan Assmann, egittologo e archeologo tedesco, Non avrai altro Dio, Il mulino, Bologna,
2007, p. 7.
17 P. J. Proudhon, (1809- 1865), Che cosa è la proprietà?, cap. V°, parte prima, § 1. Del senso
morale nell’uomo e negli animali, Laterza, Bari, 1978.
18 I. Kant (1724-1804), Per la pace perpetua, prefazione di N. Bobbio, a cura di N. Mwerker,
Editori Riuniti, Roma, 1996, p. 28.
16
15
miliardi. Se consideriamo la dinamica di un processo di elaborazione, formato
da cambiamenti di configurazioni, vediamo che con k cambiamenti di stato
sono possibili (90 mld)^2k differenti processi logici. Ma non basta: sul pianeta
si trovano interconnessi, quali membri di un sistema di mutue interazioni, ben
7 miliardi di cervelli attivi, il che significa che il supercomputer a blocchi
interconnessi "specie umana" dispone di 630.000.000.000.000.000.000
neuroni, capaci di 396.900. 000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.
000.000 configurazioni differenti in un istante solo, tutte variabili
temporalmente a formare processi logici alternativi in quantità sterminata.
Seguono spontanei alcuni commenti.
1) L'idea di sostituire ai processi decisionali umani quelli computerizzati si
rivela per ciò che è, una illusione puerile senza senso, paragonabile al
sostituire un treno merci con un triciclo in miniatura dichiarando di voler
risolvere i problemi dei trasporti.
2) Di fronte a tanta disponibile biopotenza di elaborazione umana appare
completamente inaccettabile che le vicende del pianeta siano dirette da poche
menti malate, che a suon di missili nucleari e guerre militari per la contesa
delle risorse e dei mercati, devastano l'ecosistema comune.
3) Forse aveva davvero ragione Einstein, quando sosteneva che siamo abituati
ad impiegare meno del 10% delle potenzialità della mente, aggiungendovi che
forse gli uomini di governo si limitano al 10% dell'impiego medio,
corrispondente all' 1% del potenziale singolare effettivo.
4) Anche oggi è un giorno nuovo, con la possibilità di sperimentare pensieri e
elaborazioni diverse da quelle abituali e già viste: utilizzare la creatività
disponibile potrebbe essere un buon modo per cambiare positivamente il flusso
degli eventi in corso. I metodi di ieri li abbiamo già visti in azione e sappiamo
già come funzionano. Non sprechiamo l'opportunità di elaborare qualcosa di
nuovo.
5) Aveva ragione Isaac Asimov, nel considerare che l'intelligenza crea pure
problemi, ma non sarà certo l'ignoranza a risolverli.
Se vogliamo essere più precisi, il problema non si riduce alla semplice
ignoranza, bensì anche alla uniformità di pensiero allineato univocamente.
100.000 persone che pensano la stessa identica cosa non svolgono una attività
intellettuale più utile di uno solo che pensa quella cosa. Ora sapete che cosa
penso in via generale dei partiti politici.
6) La "società" è: ciò che facciamo.
7) L'idea di "obbedienza all'autorità" è abbastanza stupida e limitante. Se una
persona ha risolto un problema di mio interesse prima di me, e valuto giusta la
soluzione, sarò pronto ad adottarla. Se non lo ha risolto, o la sua soluzione
appare sbagliata, la cosa migliore da fare sarà scartare la sua proposta e
passare ad altro.
8) Il punto (7) fa riferimento ad ogni eventuale caso di rappresentante da
16
sedicente autorità civile o religiosa. Gli esseri umani hanno bisogno di verità,
non di autorità. Siamo dotati di una mente per pensare e dirigere le nostre
azioni tanto quanto siamo dotati di gambe per camminare, occhi per guardare,
orecchie per ascoltare, ed altri organi destinati a svolgere qualche funzione
per il nostro benessere."
Tutto ciò considerato credo che in definitiva attraverso sforzi comuni ai quali
ognuno può contribuire, si tratta di stabilire se agli effetti della stabilità, del
miglioramento individuale e dei sistemi sociali, del loro ordine, della capacità
di sostentamento della specie umana da parte della Terra, del rispetto dei diritti
naturali dell'individuo, dell'ambiente, della pace, dell'uguaglianza, della libertà,
della giustizia, del benessere, della crescita della coscienza e della civiltà, ogni
persona debba continuare ad essere educata, diretta, controllata, sfruttata, usata
come strumento del potere di uno o di pochi o per la guerra, come è stato fino a
oggi, oppure se debba essere l'artefice della propria esistenza concorrendo con
gli altri a stabilire le leggi della comunità in cui vive, traendo profitto dagli
insegnamenti di ciò che può conoscere dell'esperienza storica, ma sopratutto
dalla conoscenza della natura che non può mentire. Si tratta cioè di
comprendere se dobbiamo continuare a seguire la logica teologico-politica
secolarizzata che ha prodotto gli attuali problemi di ordine economico, politico
e religioso oppure se, agli effetti dell'ordine sociale migliore e più vantaggioso
per tutti, ogni persona debba poter esercitare la sovranità di cui è proprietaria
per diritto naturale assoluto, inalienabile, imprescrittibile e inviolabile, per
concorrere e apportare con il proprio comportamento il suo contributo di
conoscenza e di esperienza all'ordinato e pacifico progresso della comunità in
cui vive.
Fra le due proposizioni, a mio parere, non può esistere alcuna possibilità di
conciliazione e una è errata; dunque destinata a portare al fallimento (collasso)
i sistemi sociali altamente complessi e conflittuali che la adottano.
Purtroppo dobbiamo prendere atto che la maggior parte dei filosofi sociali, dei
giuristi, dei politici e dei sacerdoti moderni accetta ancora come naturali gli
esempi di predazione, di lotta violenta e di sopraffazione tra le specie animali
considerate inferiori, quasi a voler giustificare il diritto naturale dell’uomo allo
sfruttamento dell'ambiente e alla predazione dei propri simili per mezzo
dell'imposizione e della forza, della menzogna, o con l'astuzia.
Pochissimi sono coloro che comprendono che in natura la violenza e la
predazione sono proprie della leggi primarie e fondamentali del vivente: la
sopravvivenza e la riproduzione necessarie all'evoluzione. Gli animali uccidono
esclusivamente per sopravvivere e per riprodursi; noi anche, e forse soprattutto,
per il potere di dominare, per narcisismo o per la ricchezza.
Di conseguenza gli elementi, le componenti ed i processi che la natura adotta
per organizzare i sistemi sociali del vivente che hanno consentito
17
l'affermazione della vita sul pianeta Terra sono posti, dagli studi sociologici,
filosofici e giuridici, ai margini delle analisi e sono quasi del tutto sconosciuti a
livello di massa.
La competizione, in cui il forte vince, ha avuto molti più commenti da
parte della stampa, che non la della cooperazione. Ma certi organismi
apparentemente deboli sono sopravvissuti sulla lunga durata in quanto
membri di coalizioni, mentre i cosiddetti forti, non essendo mai ricorsi
all'espediente della cooperazione, sono stati scartati sul mucchio di rifiuti
dell'estinzione. … L'essenza stessa della vita sociale sta nella
comunicazione reciproca e cooperativa. Lo studio dei meccanismi
comunicativi è alla base della ricerca sulle interazioni sociali, a
prescindere dal fatto che la comunicazione abbia luogo tra gli organuli di
una cellula, tra le cellule ed i tessuti di un organismo, tra gli organismi
all'interno di una società o tra specie diverse nel contesto di simbiosi
mutualistiche. 19
A mio avviso l'aver trascurato il legame di interrelazione e di coerenza fra
comportamento e legge di natura nell'organizzazione del sistema dell'ordine
sociale umano ha permesso realizzare sistemi sociali in cui la lotta e la
concorrenza violenta fra individui e fra popoli, e non la cooperazione
mutualistica, è stato un errore di incalcolabile portata destinato a ricevere, nel
prossimo futuro, risposte drammatiche dalla natura che risponde sempre e in
modo spesso terribile, improvviso e definitivo alla violazione delle sue leggi
eterne e inviolabili.
3. La vita che crea spontaneamente le società animali.
Ormai sappiamo che le forze di relazione che determinano i legami fisici e
chimici dei sistemi atomici, dei sistemi organici e biologici sono il prodotto
dell'informazione insita nell'energia, nella materia e nella vita fin dall'origine
del tempo e dello spazio ed è per questa ragione che cercherò di rivolgere la
mia attenzione soprattutto al modo in cui è trasmessa nel vivente.
Appena nel corso degli anni cinquanta del secolo passato la scienza ha scoperto
l'elica immortale20del DNA, che contiene le informazioni genetiche relative alla
forma, alla funzione e al comportamento del vivente in relazione alla maggiore
probabilità di ottenere vantaggio dall'ambiente interno ed esterno, dal risparmio
di energia e crescita di efficienza dall'unione di più individui, in termini di
sopravvivenza e di riproduzione.
L. Margulis (1938-2011) D. Sagan, Microcosmo, Mondadori, Milano, 1989, p. 128.
Per elica immortale si intende il lungo filamento di acido deossiribonucleico contenuto nei
cromosomi delle cellule e responsabile della trasmissione e dell'espressione dei caratteri ereditari.
La scoperta si deve a F. Crick e J. Watson (1953), premi Nobel per la medicina nel 1962.
19
20
18
Prima degli anni cinquanta molti scienziati credevano che la vita fosse
cominciata sulla Terra poco prima di 570 milioni di anni or sono. Da pochi
decenni abbiamo accertato che le muffe, i coralli, le piante, i batteri, gli insetti
come le api e le formiche, gli animali ed i vertebrati superiori fra i quali l'uomo,
hanno sequenze genetiche così simili che interi paragrafi sono identici, parola
per parola21. La scimmia ha il 96 % dei geni identici a quelli dell'uomo, il cane
il 75%, una banana il 50%, un fiore il 32%, ecc.. Questa condivisione di
sequenze genetiche è un’eredità comune a tutte le specie animali e vegetali.
La memetica, dovuta al biologo e zoologo inglese Richard Dawkins che nel
1976 ha pubblicato l’opera The selfish gene (Il Gene egoista), è il nome di un
nuovo campo di ricerca che studia i modelli evolutivi sulla base del
trasferimento biologico delle informazioni, della conoscenza, delle preferenze
culturali e del comportamento all’interno dei sistemi sociali.
Dawkins ha chiamato memi le unità della trasmissione informatica a livello
cerebrale e le ha indicate come entità, strutture culturali il cui comportamento è
simile a quello dei geni negli organismi biologici. Esempi di memi sono le idee,
le mode, le canzoni, i modelli di comportamento e qualunque unità culturale
che viene replicata con un certo grado di fedeltà. Purtroppo ancor oggi le idee,
le mode e i sistemi artificiali penetrano profondamente il comportamento
individuale e sociale, mentre la vita di interi popoli è condizionata dal sistema
delle informazioni saldamente in mano a élite di potenti predatori egoisti,
arroganti, falsi e senza scrupoli, il cui scopo è di predisporre l'individuo a
credere che quanto viene diffuso dai media che controllano astutamente sia
vero, necessario, utile e desiderabile per tutti.
Nel tempo della televisione e del computer - ha scritto il politologo Giovanni
Sartori - all'Homo sapiens, che un giorno capiva senza vedere si è sostituito
l’Homo-videns, che vede senza capire22. Far vedere senza permettere di capire è
l’arma micidiale di cui dispone oggi sia il potere del mercato, sia quello della
politica e della religione per mantenere inalterato lo Status quo artificiale,
costruito a priori, non spontaneo e di conseguenza imposto a tutti con la forza,
con l'astuzia, con la menzogna o con la violenza, violando i diritti naturali delle
persone. Ebbene: la difficoltà che s’incontra a disingannare la maggioranza
delle persone da un'idea diffusa con insistenza nel tempo dagli strumenti di
comunicazione di massa, anche se appare palesemente errata o falsa, è impresa
che né i libri, né i discorsi possono compiere in breve tempo.
Forse trascorreranno secoli prima che ci renderemo conto che la Terra sarà
conquistata dalla miglior forma di società organizzata politicamente ed
economicamente sulla base della spontaneità e della cooperazione mutualistica,
in vista del benessere comune; esattamente come è per le società animali che la
natura ha creato nel corso di miliardi di anni.
21 R. Dawkins, biologo, Il racconto dell’antenato, Mondadori, Milano, 2004, p. 22.
22 Ripreso da un articolo di Giovanni Sartori pubblicato sul giornale Il Corriere della sera.
19
Capitolo II
La visione della realtà: sostenibilità e limiti
1. La Terza cultura
Nel 1959 uno scrittore inglese, sir Charles Percy Snow, scrisse un saggio dal
titolo Le due culture e la rivoluzione scientifica in cui osservava come
dall'Ottocento in poi lo scienziato e l'umanista fossero divenute professioni
distinte. Nella seconda edizione, pubblicata nel 1963, Snow auspicava la
nascita di una Terza cultura in grado di comporre la frattura fra l'umanesimo e
la scienza. Nelle università – sostenne Snow - le discipline letterario-umaniste
vengono tenute rigorosamente separate da quelle scientifico-tecnologiche,
mentre la scarsità di comunicazione fra mondo della scienza e mondo
umanistico è uno dei mali che impediscono la soluzione dei gradi problemi nel
mondo. Il libro agitò fortemente le acque dello stagno accademico.
La classe degli umanisti, legata soprattutto ai concetti secolarizzati della
teologia-politica incarnati nelle ideologie e nelle religioni cova ancor oggi, a
distanza di oltre cinquanta anni dal libro di Snow, un pregiudizio antiscientifico
molto radicato anche se notevoli passi sono stati fatti, soprattutto per merito
degli scienziati, nel senso dell'integrazione delle due culture.
Snow suggerì come risolvere questa frattura:
Le occasioni ora ci sono. Ma sono, per così dire, sospese nel vuoto, per
il fatto che i membri delle due culture non riescono a parlarsi. È strano
che sia stato assimilato dall'arte del ventesimo secolo così poco della
scienza del ventesimo secolo. Di quando in quando si trovavano poeti
che usavano coscienziosamente espressioni scientifiche attribuendovi un
significato sbagliato. Vi fu un tempo (...) in cui gli scrittori parlavano di
"luce polarizzata" con la pia illusione che si trattasse di un tipo di luce
particolarmente mirabile. Questa frattura culturale non è solo un
fenomeno inglese: si estende a tutto il mondo occidentale. C'è una sola
via per uscire da questa situazione: e naturalmente passa attraverso un
ripensamento del nostro sistema educativo. 23
L’intenzione di Snow era di trovare una soluzione per superare la difficile
situazione culturale senza però nulla togliere né al campo umanista né a quello
scientifico. Ebbene: la Terza cultura è figlia di di questo tentativo. Infatti dopo
pochi decenni dal libro di Snow, John Brockman noto agente letterario
23 C. P. Snow, (1905-1980) Le due culture, Feltrinelli, Milano, 1964, pp. 5-7.
20
americano di molti illustri scienziati (tra cui diversi premi Nobel) affronta lo
stesso problema, ma la sua soluzione circa la frattura fra le due culture prende
un'altra direzione.
Con il libro La terza cultura24 Brockman fa una proposta - oggi sostenuta da
molti scienziati - che sembra in grado di esercitare sia sulla cultura umanista sia
su quella scientifica un’influenza unificante sempre più marcata. Il libro mira a
mettere in luce le profonde implicazioni della scienza sul piano filosofico e
culturale; implicazioni che si riflettono sul piano sociale, economico, politico e
- perché no? - anche religioso. Dopo aver osservato che “Nei secoli, la vita
intellettuale è stata caratterizzata dal fatto che solo una cerchia ristretta di
persone ha avuto il privilegio di pensare per tutti gli altri”, Brockman riporta
che attualmente stiamo assistendo “al passaggio epocale delle consegne da un
gruppo di pensatori e cosiddetti letterati, ad un nuovo gruppo: gli artefici delle
“terza cultura”25 che definisce con queste parole:
Le idee che presento in questo libro (...) rappresentano le conoscenze di
frontiera nei campi della biologia evoluzionistica, della genetica,
dell'informatica, della neurofisiologia, della psicologia e della fisica.
Queste discipline cercano di rispondere a domande basilari del tipo: Da
dove viene l'universo? Quale è l'origine della vita? Come nasce la
mente? La terza cultura si configura come l’abbozzo di una nuova
filosofia naturale, incardinata sui concetti di complessità ed evoluzione.
Sistemi altamente complessi – come gli organismi, il cervello, la biosfera
o l’universo – non rispondono al piano di una mente superiore; sono
piuttosto il frutto di una lunga evoluzione.26
Secondo Brockman la Terza cultura è un progetto avviato da alcuni grandi
scienziati, biologi evoluzionisti, chimici, fisici, genetisti, neuroscienziati,
scienziati cognitivi, etologi, ecc., che hanno imparato a parlare al pubblico e a
divulgare le loro scoperte con linguaggio semplice e comprensibile a tutti.
Io credo, forse diversamente da molti, che le persone siano interessate al tema
delle origini del mondo e della nostra specie molto più profondamente di
quanto si possa pensare. Avere notizie su come potrebbe essersi formato
realmente l'universo, da dove abbia avuto origine la vita in generale, a quando
risalga la nascita della coscienza e in cosa consista il rapporto fra cervello,
mente, coscienza e comportamento sociale, potrebbe offrire una logica sociale
più appropriata rispetto al passato.
Sarà dunque sulla base della Terza cultura che cercherò, in seguito, di trarre gli
elementi di coerenza dell'ordine sociale con le leggi conosciute della vita e con
il modo in cui si auto-organizzano e si auto-regolano i sistemi nel vivente.
24 J. Brockman, La terza cultura, trad. L. Carra, Garzanti, Milano, 1995.
25 Ivi, p. 9, 10.
26 Idem, p. 11.
21
2. La foresta dei Bantù e l'imprinting dello stato sovrano moderno.
Un giorno di molti anni fa lessi su una rivista scientifica il resoconto
dell'esperienza di un antropologo che per ragioni di studio si era recato in
Congo presso una tribù di pigmei Bantù che si trovava al centro di una
vastissima e fittissima foresta. Vivendo a lungo insieme ai Bantù lo studioso si
rese conto di un fatto: nessun individuo della tribù era mai uscito dalla foresta e
questo influenzava in modo decisivo la loro percezione della realtà. A causa
della densità della vegetazione - notava infatti l'antropologo - la loro percezione
visiva era estremamente limitata nello spazio e questo condizionava sia il loro
modo di pensare, sia il loro comportamento, sia il concetto di ”diverso”.
Prima di lasciare la tribù lo scienziato decise di compiere un viaggio di
esplorazione fuori della foresta e si portò dietro un giovane Bantù per aiutarlo.
Giunti su un altipiano i due si fermarono a osservare la pianura sottostante dove
pascolava una mandria di bisonti. Avendoli notati il giovane pigmeo esclamò
con stupore rivolgendosi allo studioso: Cosa sono quegli insetti? Meravigliato
per la domanda l'antropologo gli spiegò per diverse volte, inutilmente, che non
si trattava di insetti, ma di grandi animali. Solo molto più tardi - riportò
l'antropologo - il pigmeo riuscì ad afferrare il significato delle sue spiegazioni.
Ho citato questo breve racconto per fare un'analogia. Similmente ai pigmei
Bantù l'uomo antico e anche quello moderno - sebbene in misura minore e
diversa a causa della smisurata crescita del numero dei rapporti e delle
informazioni disponibili - ha una percezione assai limitata della realtà sociale.
Come il giovane Bantù è incapace di distinguere i bisonti dagli insetti, così
l'uomo qualunque del terzo millennio limita involontariamente la sua visione
della realtà all'esperienza altamente specializzata del suo lavoro o dei suoi
interessi immediati, ai ricordi dell'apprendimento scolastico su aspetti parziali e
ristretti del mondo antico e moderno e alle informazioni che riceve
quotidianamente dai media.
Ovviamente tutto ciò ha un pesante impatto agli effetti dell'ordine sociale.
Nel suo insieme l'orizzonte delle informazioni elaborate dal cervello sulla base
delle informazioni costituisce per l'uomo moderno una vera e propria foresta
intricata fitta di contraddizioni, di tecnologia specializzata, di esperienze
limitate, di miti, di leggende, di misteri, di dogmi e di nuove sensazionali
scoperte scientifiche che si mescolano a informazioni ambigue finalizzate alla
crescita del mercato o del consenso politico, molto spesso utilizzate per indurre
in lui desideri e bisogni artificiali.
Oggi, infatti, un numero sempre maggiore di persone vive in grandi città dove
l'individuo si sente impotente e ha un'idea vaga e approssimativa di cosa siano
effettivamente l'ordine sociale, i diritti naturali, la politica, la democrazia, il
potere, l'egoismo, l'altruismo, la comunità, lo stato, la forma di governo, la
religione, la legge e soprattutto il funzionamento dei sistemi dinamici
22
complessi: tutte cose che in fondo lo riguardano direttamente ma alle quali
presta scarsissima se non alcuna attenzione.
Non sorprende quindi scoprire che secondo dati ISTAT 2014, più del 9,8% per
cento delle famiglie italiane non ha neanche un libro in casa e che durante il
2014 i lettori di almeno un libro all’anno a partire dall'età scolare, quindi
compresi tutti gli studenti, sono stati appena il 41,4% dell'intera popolazione.
Non è ipotizzabile che oggi le condizioni siano migliorate.
Di conseguenza, essendo incerta e molto limitata negli individui la visione
della realtà in generale e dell'ordine sociale in particolare, ogni associato è
condannato ad accettare passivamente fin dall'infanzia l'imprinting27 dello stato
o del governo accentrato della comunità in cui è nato o vive, come pregiudizio
di continuità storica, condizione di necessità, assoluto morale e materiale di cui
non può fare a meno, pena l'angoscia per l'insicurezza dell'esistenza,
l'instabilità, il disordine sociale, cui fa seguito lo scatenamento della violenza
nei rapporti sociali.
La Comunità è così la foresta dei Bantù, fitta di segreti e di misteri che
determinano nelle persone mancanza di una corretta visione della realtà e
dell'esperienza sociale. In queste condizioni le idee sull'ordine sociale diffuse
con gli attuali strumenti di comunicazione di massa possono diventare armi
micidiali al servizio del potere precostituito per estorcere il consenso politico,
per imporre guerre sanguinose, come per spogliare gli individui ed i popoli
della parte maggiore della ricchezza prodotta con il lavoro quotidiano o per
avvantaggiare uno o pochi a spese di molti.
A dispetto di ciò tuttavia - grazie soprattutto alla televisione e a internet - oggi
la massa comincia ad allargare gli orizzonti culturali in cui è stata confinata
dalla secolare limitatezza di conoscenza della natura e delle sue leggi.
In questa nuova condizione il processo di crescita culturale in atto potrebbe
agire nel tempo come un enzima con un alto grado di scatenamento di una
reazione informatica le cui conseguenze, soprattutto in rapporto alle teorie e
alle ipotesi relative alla forma, alla struttura, alla dimensione numerica e
territoriale della comunità e della società e ai limiti della politica, sono
imprevedibili.
3. In cerca di una nuova logica dell'ordine sociale.
Credo che in qualsiasi società ci siano persone rare che hanno a cuore il
futuro delle nuove generazioni e il bene comune. Queste persone sono anche
consapevoli che il cambiamento comporta una rivoluzione culturale di grande
L'imprinting è una forma di apprendimento che si verifica in un periodo della vita detto
periodo critico quando si è predisposti biologicamente a quel tipo di apprendimento. I primi studi
sull'imprinting vennero fatti da Konrad Lorenz sulle oche che subito dopo la nascita identificano
la propria madre nel primo oggetto o persona in movimento che vedono.
27
23
portata storica.
Al pari delle altre grandi rivoluzioni, anche l'imminente rivoluzione della
sostenibilità cambierà la faccia della Terra e le fondamenta delle
identità, delle istituzioni e delle culture umane. (…) Ovviamente nessuno
sa che cosa bisogna fare per compiere una rivoluzione siffatta. Non vi è
una ricetta: Per attuare un mutamento globale di paradigma, seguire
attentamente queste regole. Come tutte le rivoluzioni che l'hanno
preceduta, neanche questa può essere pianificata o imposta da
chicchessia. Non obbedirà ai decreti di questo o quel governo, né ai
proclami di chi costruisce modelli al calcolatore. La rivoluzione della
sostenibilità sarà organica: scaturirà dall'immaginazione, dagli
esperimenti e dalle azioni di miliardi di individui. L'onere di tradurla in
realtà non ricade sulle spalle di una singola persona o di un gruppo
particolare. Nessuno ne avrà il merito, ma a tutti è dato contribuire. 28
Non credo che le attuali condizioni dell'ordine sociale planetario siano
favorevoli ad un rapido miglioramento dello stato della coscienza individuale e
collettiva, perché le informazioni disponibili su questo tema sono tutto meno
che, nella maggior parte dei casi, veritiere.
A parere di molti scienziati che si occupano dell'ambiente in cui si svolge la
vita umana, infatti, il modo in cui attualmente è governato il mondo porterà a
un futuro insostenibile e, in tempi relativamente brevi da un punto di vista
evolutivo, al collasso di molti sistemi politici e delle relative economie senza
che si sia provveduto a concepire un nuovo percorso in grado di offrire a tutti
migliori garanzie di sicurezza, di stabilità e di pace nel cambiamento.
L'insieme dei problemi irrisolti posti dal vecchio modo di ragionare sostengono gli scienziati del terzo millennio - sfiorerà appena le presenti
generazioni, ma colpirà violentemente quelle future, portando molti stati in
prossimità del margine del caos o addirittura al fallimento dei sistemi politici,
economici e anche religiosi.
Se appena nel 1972 eravamo convinti di avere tutto il tempo disponibile per
considerare opzioni a lungo termine per impedire che lo sviluppo tecnologico
potesse essere controllato in modo da stare ben al di sotto dei limiti di carico
del pianeta, nel 2015 la crescita della complessità, le prospettive di crescita
della popolazione, l'inquinamento, il cambiamento del clima e la riduzione
della superficie di terra coltivabile indicano chiaramente che l'impronta
ecologica29 che stanno lasciando la politica, l'economia e la finanza sul pianeta
ha oltrepassato i limiti dello sviluppo sostenibile e ha imboccato a folle velocità
la via del collasso dei sistemi sociali a causa della loro eccessiva complessità e
D. e D. Meadows, J. Randers, I nuovi limiti dello sviluppo, Trad. M. Riccucci, Mondadori,
Milano, 2006, p. 317.
29 L'impronta ecologica è l'impatto complessivo delle attività umane sulla natura.
28
24
instabilità. Sarà possibile e avremo il tempo per diffondere la consapevolezza
globale della necessità di orientare il comportamento, le abitudini di vita, la
politica, la finanza e l'economia in modo da invertire le attuali tendenze
distruttrici, per rientrare nella capacità di carico a lungo termine del pianeta?
Oppure l'umanità continuerà, senza reagire, a permettere a pochi individui
potentissimi e astuti di continuare a perseguire fino in fondo scopi egoisti e
predatori volti ad accrescere una tecnologia e una produzione non necessarie al
progresso della coscienza e del benessere, come sono i consumi e i bisogni
artificiali, l'espansione della moneta virtuale gestita dal grande capitale
parassitario, l'inquinamento dell'aria, dell'acqua, della terra, o a costruire
armamenti sempre più micidiali, finché sarà troppo tardi per tornare indietro?
4. Le risposte della natura alla violazione delle sue leggi
Nelle attuali condizioni è ormai certo che al superamento dei limiti dello
sviluppo sostenibile dal pianeta seguirà con sempre maggiore accelerazione, la
divaricazione della forbice fra ricchi e poveri. Metà della ricchezza mondiale è
in mano agli 85 uomini più ricchi del pianeta. Lo rivela una ricerca della Ong
inglese Oxfam alla vigilia al World Economic Forum nella città di Davos in
occasione della riunione dei leader mondiali della finanza e della politica.
In Italia il 50% della ricchezza appartiene a meno del 10 % della popolazione,
mentre il restante 50 % appartiene al rimanente 90%.
In queste condizioni è probabile che nei prossimi decenni avverrà ciò che la
storia ha dimostrato di doversi attendere quando una società non dispone di un
sistema sociale in grado di auto-organizzarsi e di auto-regolarsi rapidamente:
una serie di rivoluzioni violente contro il potere che pochi vogliono continuare
a esercitare su molti.
Da parte mia credo che contro questo probabile disastro abbiamo una sola
medicina: diventare collettivamente consapevoli che le leggi della natura non
possono essere impunemente violate o ignorate, perché pongono severi limiti
sia a chi e al modo in cui viene stabilita la legge, sia alle dimensioni territoriali
e numeriche delle comunità umane, sia alle eccessive disuguaglianze che nei
secoli hanno permesso la nascita e l'affermazione del potere nei sistemi sociali
determinandone l'instabilità.
Dobbiamo diventare consapevoli che la natura non ha fretta di dare le sue
risposte a ciò che facciamo; ma quando le dà, purtroppo, sono sempre
improvvise, terribili e definitive: fa collassare ed elimina i sistemi che non sono
coerenti con le sue leggi eterne e inviolabili per produrne di nuovi e soprattutto
di diversi. Nel presente guerre sanguinose investono da decenni vaste aree del
pianeta; continua il disinteresse del potere egoista per la povertà, per la miseria,
per le malattie facilmente curabili, per l'ignoranza e per il sottosviluppo di
25
vastissime aree e di intere popolazioni, mentre l'informazione è sempre più in
mano ai predatori della Terra (i banchieri) e ai loro lacchè politici che
governano dispoticamente gli stati e le comunità locali con prepotente
arroganza usando la menzogna e legittimazione della violenza da parte dello
stato. Riporta Noam Chomsky30 che ... Le nostre società stanno andando verso
la plutocrazia. La democrazia è scomparsa. Secondo uno studio della Oxfam,
l’Ong umanitaria britannica, 85 persone nel mondo hanno la ricchezza
posseduta da 3,5 miliardi di individui”. Nonostante ciò, nel solo 2008
(rapporto SIPRI, Istituto internazionale di Stoccolma per la ricerca sugli
armamenti, pubblicato nel 2009) i governi hanno speso in armamenti 1.464
miliardi di dollari, pari circa al 2,4 per cento del PIL globale e a 217 dollari a
persona. Nel 2010 la spesa militare è aumentata dell'1,3% in termini reali,
raggiungendo i 1.630 miliardi di dollari. Secondo il rapporto, l’Italia è
responsabile del 2,8 per cento delle spese mondiali per gli armamenti.
Di questi dati i giornali non parlano mai e la gente non ne sa niente o quasi. Nel
2011, infatti, in piena crisi economica, la spesa per le armi in Italia è stata
valutata dal SIPRI pari a 37 miliardi dollari corrispondenti a 689 dollari pro
capite e ha superato quella tedesca (46,8 miliardi di dollari, ma 568 dollari procapite) e giapponese (46,3 miliardi, con 361 dollari pro-capite).
In sei Paesi europei della Nato sono ancora dislocate 480 bombe nucleari in
otto basi aeree: 150 in Germania, 110 in Gran Bretagna, 90 in Italia, 90 in
Turchia, 20 in Belgio e 20 in Olanda. Oggi ci sono circa 3000 bombe nucleari
strategiche negli Stati Uniti, circa 4000 in Russia. La vendita di armi da parte
delle maggiori aziende produttrici armamenti militari del mondo è tuttavia
aumentata del 29% in termini reali dal 2003.
È questa l'eredità violenta che ci hanno lasciato i concetti sociali secolarizzati
ispirati alla teologia-politica? Oppure quello che ho riportato sopra è fantasia e
non, come io credo, il pinnacolo sempre più visibile dell'iceberg del male?
5. Condizioni di allarme rosso?
Oltre alle spese per gli armamenti, purtroppo, c'è ben altro! Il sito del
National Oceanic and Atmospheric Administration (NOOA) offre un'analisi
globale del clima. Vedi: <http://www.noaa.gov/wx.html>
Il documento descrive i suoi effetti sul pianeta Terra nel tempo. Gli autori dello
studio sono 300 specialisti appartenenti a 160 gruppi di ricerca di ogni
continente. I dati confermano che il 2010 è stato più caldo del 2009 e il
decennio 2000/2010 il più caldo mai registrato. L'autunno del 2014 è stato il
più caldo degli ultimi sessanta anni. L'anidride carbonica ( CO2) è aumentata
nell'atmosfera di 1,5 ppm (parti per milione) rispetto al 2008, con una media
30 N. Chomsky, Il linguaggio e la mente, Bollati Boringhieri, 2010.
26
atmosferica di 386,29 ppm. Nel 2013 la CO2 in atmosfera ha superato la soglia
psicologica di 400 ppm di concentrazione, superandola di nuovo nel 2014 e nel
marzo del 2015: valori che non erano stati raggiunti negli ultimi tre milioni di
anni. Le conseguenze del superamento della soglia di 400 ppm non si faranno
attendere. Infatti superando in permanenza i 350 ppm, per alcuni scienziati non
si avrebbe un pianeta simile a quello che ha reso possibile l'adattamento della
vita sulla Terra. Questo dato del NOOA, sebbene agghiacciante, passa fra
l'indifferenza totale dei media e dei governi.
Il 2015 è stato il ventunesimo anno consecutivo in cui si è registrato il ritiro dei
ghiacciai. Nel recente passato su circa mille e quattrocento grandi ghiacciai
esistenti sul pianeta solo otto sono cresciuti, mentre molti sono diminuiti
fortemente o sono scomparsi. L'India ha avuto gli anni più caldi della sua
storia; l'Australia è al secondo posto. La Cina ha sofferto la peggiore siccità
degli ultimi 50 anni. La temperatura degli oceani continua a salire
trasformandoli nel brodo primordiale nel quale probabilmente è nata la vita. È
evidente che la Terra si sta adattando a nuove condizioni. Con quale risultato
nel futuro è impossibile prevedere.
Ebbene: la nostra specie esiste sul pianeta da circa centomila anni: un periodo
irrilevante da un punto di vista dell'evoluzione. Appena dodicimila anni fa gli
uomini impararono a coltivare la terra e fondarono le prime comunità. Negli
ultimi trecento anni abbiamo avuto una crescita rapidissima, addirittura
esponenziale quanto a popolazione, sviluppo economico, industriale,
tecnologico e delle informazioni. Solo negli ultimi decenni la fortissima
espansione dell'industria per effetto della tecnologia prodotta dalle scoperte
scientifiche ha determinato in quasi tutte le comunità umane il desiderio e
l'aspettativa di una crescita economica illimitata.
L'idea che i limiti naturali debbano imporre limiti alla crescita economica
appare a molti assurda e inconcepibile al punto che è oggi impensabile parlare
di porre limiti allo sviluppo.
Una visione antropocentrica pone un limite fisico all'evoluzione della
materia, e considera l’essere umano come l'ultimo stadio logico
dell'evoluzione, il suo traguardo finale. In realtà la nostra specie è una
tappa transitoria dell'evoluzione della natura, la sua "fase" biologica, di
cui ne è l'apice invalicabile, il suo "non plus ultra". Ciò non deve
sorprendere, visto che ogni livello sistemico ha dei limiti fisici
invalicabili. Il confine, infatti, è raggiunto quando una struttura perde
energia nell'ambiente esterno più di quanta possa recuperarne, mettendo
così a repentaglio la sua stabilità.31
Al volgere del millennio è stato oltrepassato del 20 per cento il limite globale
della terra coltivabile disponibile sul pianeta, mentre il cambiamento del clima
31
Pietro Nigra, http://www.homolaicus.com/politica/dialogo Dialogo sui massimi sistemi.
27
ne diminuisce annualmente la disponibilità. Nel 2015 per soddisfare le esigenze
di nutrimento della popolazione mondiale sarebbe necessario un pianeta e
mezzo. Ogni giorno muoiono, per cause direttamente legate alla fame o a
malattie facilmente curabili oltre 20.000 persone delle quali la maggioranza
sono bambini.
Dal 1929 l'industria chimica ha prodotto circa due milioni di tonnellate di PCB
(bifenil policlorurato), usato per diversi scopi. I PCB sono utilizzati come fluidi
dielettrici (per limitare il flusso di corrente; per esempio nei trasformatori) e
come additivi per antiparassitari, ritardanti di fiamma, isolanti, vernici e altro.
A causa della loro tossicità e della loro tendenza a bio-accumularsi, sono
attualmente banditi in buona degli stati. I PCB sono solubili nei grassi, ma poco
solubili in acqua, hanno tempi lunghissimi di permanenza nell'ambiente e si
muovono velocemente finché non sono assorbiti da qualche forma di vita. I PCB
si sono dimostrati altamente stabili e la loro diffusione nell'ambiente è rilevata
oggi dai ricercatori che li trovano in quasi tutti i sistemi viventi. Le
concentrazioni più elevate di PCB si trovano nei pesci, negli uccelli, nei
mammiferi, nei tessuti grassi dell'uomo e nel latte materno umano. I suoi effetti
sono gravissimi; possono causare la morte o alterare il sistema nervoso,
l'intelligenza o la funzione sessuale nella specie umana. Sono considerati dagli
scienziati una bomba a orologeria a livello globale.
Aggiunti ai pesticidi usati in agricoltura, all'inquinamento prodotto dalle auto,
al CFC (Cloro-Fluoro-Carburo) ancora disponibile sul mercato nero, alla
quantità di rifiuti tossici prodotti dall'industria e al modo in cui vengono trattati
i rifiuti, il quadro dà l'idea di ciò a cui stiamo andando incontro.
A queste notizie se ne possono aggiungere molte altre, gravi, ben documentate
e dettagliate, come quelle sul rapporto fra giovani e droga, fra giovani e alcool,
sulla disgregazione delle famiglie, sulla corruzione politica, sull'artificialità dei
sistemi finanziari e via dicendo.
Chiunque lo desideri può approfondire l'argomento della sostenibilità dello
sviluppo su diverse pubblicazioni scientifiche o libri, come State of the World
del Worldwatch Institute, Edizioni Ambiente, Milano che esce ogni anno,
NOOA, oppure I nuovi limiti dello sviluppo32, Feltrinelli, Milano, un libro che
esce ogni venti anni, che misura il polso della sostenibilità fra ciò che la Terra
può produrre e mettere a disposizione dell'uomo e l'impronta ecologica che
l'uomo lascia con le sue attività.
E' evidente che la fede nella scienza e le conseguenti possibilità di crescita
tecnologica, continuano a produrre, oltre la conoscenza, anche una cultura
dell'artificiale che tende a negare ogni possibilità di limite. Sembra che mentre
la natura oppone suoi limiti inviolabili a ogni fenomeno fisico, chimico e
biologico, l'egoismo sfrenato e l'ossessione del POTERE legati alla fantasia,
giustificati dalla disuguaglianza, incoraggiati dall'egoismo, dal narcisismo e
32 D. e D. Meadows, J. Randers, I nuovi limiti dello sviluppo, cit. p. 317
28
dall'idea di onnipotenza, non ammettano limiti.
Nell'indifferenza dei media e dei governi, un numero sempre crescente di
ricercatori indica che seguendo gli attuali indirizzi finanziari, industriali,
economici e politici, nel prossimo futuro si produrranno scenari che si
concluderanno con un collasso dei sistemi sociali a livello planetario.
Per queste ragioni credo che ognuno dovrebbe chiedersi: cosa posso fare io?
Cosa possiamo fare collettivamente?
La mia risposta è tanto semplice quanto probabilmente lontana da ogni
aspettativa: dobbiamo individuare e diffondere la conoscenza dei meccanismi
fisici, chimici e biologici ai quali riferire la coerenza politica, filosofica,
giuridica e scientifica dell'ordine sociale, perché ciò che pensiamo e facciamo
dipende unicamente dalle teorie che usiamo per interpretare ciò che
osserviamo.
29
Capitolo III
L'idea di un Dio onnipotente e sovrano
1. Il gioco cosmico della natura e l'illusione dell'onnipotenza umana.
Purtroppo neppure l'infinita solitudine ed oscurità dello spazio che oggi
siamo in grado di osservare ci rende umili partecipi del gioco cosmico di un
Quid misterioso e inaccessibile alla mente che si manifesta nella realtà
dell'Universo e nella vita come Natura.
Questo Spirito è forse quello delle centomila religioni che nel corso dei secoli
si sono affermate sulla Terra? Non so rispondere. È l'élan vital del filosofo
Henri Bergson33? Ancora non so. È l'Archè, la forza misteriosa, il Principio
superiore che determina il divenire della realtà la cui complessità crescente
verso una meta sconosciuta ci sfugge? Forse.
È lo Spirito misterioso che permea i corpi del vivente e manifesta nella specie
umana la sua potenza nascosta per miliardi di anni nei processi evolutivi
dell'energia, della materia e della vita, come coscienza di sé? Credo di sì.
Il cervello non è ancora attrezzato per permetterci di percepire interamente la
complessità del reale. Con grande difficoltà riusciamo a diventare consapevoli
che quanto pensiamo è solo un frammento della realtà che possiamo osservare.
Immaginiamo per un momento di poter vedere le particelle, gli atomi, le
molecole, gli amminoacidi e le cellule degli organismi che compongono tutto
l'esistente. Immaginiamo ancora di poter vedere i colori che i nostri occhi non
sono in grado di percepire, i suoni che il nostro udito non è in grado di
avvertire e gli odori che non abbiamo mai conosciuto.
Disponendo di organi che permettono di percepire la realtà ultima delle cose
sarebbe possibile attribuire lo stesso significato a tutti i fenomeni che si
producono in natura? Certamente no. Eppure è sulla base delle nostre attuali
limitate capacità che osserviamo la realtà e costruiamo le teorie dell'ordine
sociale, basandoci su ipotesi di continuità col passato e su illusioni di
onnipotenza creatrice. Dobbiamo, siamo costretti a prendere atto che la scienza
comincia a offrirci la visione di una nuova straordinaria dimensione della realtà
e questo ci dà nuove possibilità di prospettive sociali verso le quali saremo
costretti ad orientarci.
La scienza moderna è come una gigantesca lente di ingrandimento che
possiamo usare per osservare i fenomeni naturali molto più distintamente
H. Bergson (1859-1941) filosofo francese evoluzionista, Nobel nel 1927. Nel 1907
pubblicò L'evoluzione creatrice. Riteneva che la teoria di Darwin non fosse in grado di
spiegare il processo evolutivo.
33
30
rispetto al passato. La dimensione dell'universo e delle particelle elementari
della materia, la conoscenza dei meccanismi biologici del nostro corpo, lo
studio del comportamento animale e umano: tutto ci trasporta su un piano di
conoscenza molto diverso dal passato.
In un brevissimo periodo di tempo (da un punto di vista evolutivo) le illusioni
di onnipotenza umana a misura di un Dio creatore posto fuori della natura,
formate nel corso dei secoli da molte religioni cominciano a indebolirsi.
Si avvia un percorso che nel futuro produrrà nuovi modi di osservare la realtà e
il comportamento sociale della nostra specie. Sarà nel corso di questo percorso
che Scienza e Umanesimo troveranno la loro coerenza con le leggi conosciute
della natura? Se sì molti capiranno il senso di queste splendide parole e si
riconosceranno in ciò che veramente siamo:
Quando Milton raffigura la prima donna in atto di specchiarsi in una
fonte e tendere amorosamente le braccia verso la propria immagine,
come per abbracciarla, egli dipinge nel modo più preciso il genere
umano. - Questo Dio che tu adori, o uomo! questo Dio che facesti buono,
onnipossente, giusto, sapientissimo, immortale, santo, sei tu stesso:
cotesto ideale di perfezione è la tua immagine, purificata nello specchio
ardente della tua coscienza. Dio, la natura e l’Uomo sono il triplice
aspetto dell’Ente uno e identico: l’uomo è Dio stesso giunto, traverso
mille evoluzioni, alla coscienza di sé; ... Non v’è altro Dio fuori di colui
che dalle origini ha detto: IO; non c’è altro Dio che TE. Tali sono le
ultime conclusioni della filosofia che muore svelando il mistero della
religione e il proprio. 34
Da parte mia credo che sia necessario armarsi di coraggio e cominciare a
diffondere questo modo nuovo di considerare anche l'ordine sociale, perché
come vedremo questa idea di essere il DIVENIRE di un Quid misterioso che nei
secoli abbiamo chiamato Dio, Natura, Essere è già presente nei meccanismi che
presiedono al funzionamento dei sistemi fisici, chimici e biologici che ci
riguardano direttamente e prima o poi si manifesterà, probabilmente attraverso
una lunga e profonda rivoluzione culturale, in un nuovo modo di concepire
anche l'ordine sociale; ordine che tanta parte ha agli effetti del comportamento
umano, del benessere, del progresso della civiltà e della coscienza.
2. Vivete sottomessi
Tenuto conto che il sapere scientifico raddoppia circa ogni dieci anni, credo
che l'interconnessione e la coerenza fra Scienza e Umanesimo resa oggi
34 P. J. Proudhon, vedi: Prologo al Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della
miseria.
31
necessaria dalla crescita della complessità, sarà la chiave di accesso a un nuovo
modo di pensare, di osservare e di interpretare la realtà. Tuttavia non mi
nascondo che il percorso sarà lungo e pieno di difficoltà. Il cervello dell'uomo
moderno sembra essere stato parassitizzato dai memi della cultura della
teologia-politica e giuridica che ha attraversato i secoli bui dell'Umanità.
Nonostante ciò resto convinto che sebbene la culla della vita sia stata nient'altro
che un brodino sciapito e maleodorante di ammoniaca che dopo un viaggio di
oltre tre miliardi e mezzo di anni ha prodotto la nostra specie, in un lontano
futuro riusciremo a cogliere il significato ultimo della nostra esistenza.
La chiave dell'origine della condizione umana non si trova
esclusivamente nella nostra specie, perché la storia non è iniziata e non
finirà con il genere umano. La chiave si trova nell'evoluzione della vita
sociale degli animali nel suo complesso.35
Questo concetto è fondamentale per la comprensione di quanto seguirà, perché
siamo stati creati dagli animali e il nostro comportamento, modellato
dall'evoluzione, permetterà di conseguire più facilmente l'obbiettivo del
benessere materiale e spirituale cooperando mutualisticamente in piccole
comunità pacifiche, invece che in grandi società violente e altamente
conflittuali.
A scuola, per ben che sia andata, abbiamo studiato la storia della vita sulla
Terra come una sorta di premessa per l'avvento dell'uomo e ci siamo abituati a
considerare tutte le altre forme di vita, sia quelle presenti sia quelle che ci
hanno preceduto, come inferiori, prive di intelligenza e di coscienza,
inducendoci a ritenere tutti gli esseri umani come qualcosa di speciale e di
unico, separati e contrapposti alla natura che possiamo dominare, soprattutto in
ossequio al dogma biblico.
Tuttavia oggi perfino il libero arbitrio dell'uomo, ipotesi tanto cara ai filosofi
come indice di superiorità della nostra specie nei confronti delle altre specie
animali, sta cedendo sotto la mannaia inesorabile della scienza.
Il libero arbitrio, infatti ...
... è un prodotto del centro decisionale subconscio del cervello che dà
alla corteccia cerebrale l'illusione di un'azione indipendente. Man mano
che i processi fisici della coscienza sono stati definiti dalla ricerca
scientifica, meno è rimasto di un fenomeno qualsiasi che intuitivamente
possa essere etichettato come libero arbitrio. Come esseri indipendenti
siamo liberi, ma le nostre decisioni dipendono da tutti i processi organici
che hanno creato i nostri cervelli e le nostre menti. Perciò, in ultima
E. O. Wilson, La conquista sociale della Terra, a cura di Telmo Pievani, Raffaello Cortina
Editore, Milano, 2013, p. 127.
35
32
istanza, il libero arbitrio sembra essere di natura biologica. 36
Una rivoluzione silenziosa muove i primi passi verso la consapevolezza che
aspetti del nostro comportamento individuale e sociale, che in precedenza
abbiamo considerato come questioni di libera scelta, in realtà sono il prodotto
di forze fisiche, chimiche e biologiche geneticamente prestabilite e controllate.
Purtroppo nei secoli abbiamo adottato comportamenti che rispondono al potere,
al dominio, al possesso, alla predazione, alla conflittualità, alla violenza,
all'autorità e alla gerarchia, come in apparenza indicava la natura e come
veniva confermato dal libro dei libri la Bibbia, il testo sacro per i popoli
dell'occidente.
Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra
somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul
bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano
sulla terra.37
Come potevamo sapere, migliaia di anni fa, che dall'idea di dominio della
natura da parte dell'uomo sarebbero discese quelle di onnipotenza umana e
della disuguaglianza senza limiti? Dovevano passare secoli e secoli prima che
la scienza cominciasse a dipanare il gomitolo aggrovigliato della conoscenza,
osservando i fenomeni della natura con un metodo di indagine adatto a dedurne
e a verificarne le prime leggi, fino a giungere alle moderne scoperte e alla
Teoria dei sistemi complessi dinamici e adattativi a cui dedico parte di questo
lavoro.
Tuttavia desta in me profonda meraviglia che ancor oggi, nonostante gli
straordinari progressi in tutti i campi del sapere, la stragrande maggioranza
delle persone non accetti l'idea che alla natura si comanda solo ubbidendole38.
Come se ciò non bastasse abbiamo creduto e continuiamo a credere che sia
possibile che alcuni nostri simili possano avere il privilegio di rappresentare in
Terra la potenza ordinatrice e creatrice del Dio della Bibbia come verità
assoluta, eterna, rivelata da un Dio immaginato a nostra somiglianza e per
nostro uso, consumo e profitto: E Dio creò l'uomo a sua immagine; a
immagine di Dio lo creò. (Genesi 1, 26).
È stata forse questa illusione di onnipotenza creatrice e ordinatrice dell'uomo
che ponendo Dio, il Grande Sconosciuto, fuori della natura, ha permesso che si
rafforzasse per secoli nell'intera umanità l'idea che la vita dell'uomo e l'ordine
della sua società debbano essere incatenati alla logica biblica?
Non è forse questo atteggiamento che ha permesso di continuare a usare il
comportamento violento e predatorio tenuto oggi dalle nazioni più forti nei
36 Ivi, p. 320
37 Genesi, 1, 26.
38 F. Bacon (1561–1626), Noumeno organum novum, ii, aforisma 3.
33
confronti di quelle più deboli o tecnologicamente meno avanzate?
Non è questa la ragione per la quale la pace planetaria fra le grandi potenze si
regge ancor oggi su terribili armi di distruzione di massa?
L'illusione che un Essere onnipotente possa intervenire nel corso della storia
umana caricando in continuazione l'orologio degli eventi e distribuendo a suo
piacimento e compiacimento miracoli, potere, ricchezza, autorità, diritto di vita
e di morte su altri esseri umani e salvezza eterna dopo la morte, non ha forse
contribuito e giustificato per secoli e in modo determinante a scatenare il
comportamento egoista e predatorio dell'uomo, proprio della sua natura
animale?
Vivete sottomessi ad ogni umana autorità per amore del Signore: sia al re
come al sovrano, sia ai governatori come inviati da lui per punire i
malfattori e premiare quelli che fanno il bene.39
È forse sulla base della sottomissione al potere teologico-politico secolarizzato
scaturito da leggende popolari e confinato nei miti e nei dogmi religiosi che
sarà possibile perseguire anche nei secoli futuri il progresso della vita e della
coscienza nella specie umana?
Da parte mia credo che se l'informazione, in quanto conoscenza, è potere40
come molti oggi sostengono, non potremo far altro che affidarci alla necessità
della sua sacralità e al modo in cui viene diffusa a tutti i livelli della società.
Credo che i modi di pensare ed i comportamenti derivati dal passato si
frantumeranno davanti alle scoperte della scienza e non è escluso che una
nuova religione possa apparire negli anni a venire: la Religione della
conoscenza e della vita, alla quale anche l'ordine sociale e il comportamento
umano dovranno essere rigorosamente riferiti e connessi
3. L'uomo dopo l'uomo
Dai sacerdoti dell'antico Egitto ai filosofi della Grecia a quelli moderni, si
leva un ancor debole coro, ma di straordinaria armonia, sull'idea di Dio in
quanto natura; idea che trova il suo massimo interprete in un filosofo ebreo,
ribelle nei confronti degli assoluti della tradizione ebraica: Benedetto Spinoza,
con il suo Deus sive natura cognita et incognita.
Tutti ormai dovrebbero essere consapevoli che faraoni, sovrani, imperatori,
papi, vescovi, profeti, tiranni, capi e despoti sono stati gli strumenti, a volte
inconsapevoli, della tragedia umana della guerra e della violenza lungo i secoli
39 S. Paolo, Lettera ai Romani, cap. 13.
40 F. Bacon: Novum Organum, Tantum possumus quantum scimus, in Novum organum, cit. 1,
129.
34
in nome dell'onnipotenza di una supposta divinità: un'idea che ha fortemente
influenzato il modo in cui vengono formati i governi e le leggi della comunità.
La violenza che nell'Antico Testamento si presenta come intervento divino
nella storia o come intervento umano nel compimento della volontà di
Dio fissata dalla legge, e in quanto tale come violenza “religiosa”,
rimane sempre legata all'idea di legge.41
Fa meraviglia che all'alba del terzo millennio la stragrande maggioranza delle
persone non abbia ancora compreso il nesso di relazione che lega l'idea della
legge alla violenza che lo "stato" può usare nei confronti della vita degli
individui.
È dall'età dell'Illuminismo che si rimprovera alla Bibbia e in particolare
all'Antico Testamento il linguaggio della violenza. ... Il mondo in cui
viviamo è funestato da una violenza di dimensioni finora sconosciute e del
tutto impreviste, che si richiama esplicitamente a Dio e alle Sacre
Scritture.42
Siamo ancora convinti che la teoria dell'evoluzione debba cedere il passo
all'idea della creazione del mondo da parte di un'entità extraterrestre
superintelligente, dotata di infinita potenza, ma fondamentalmente simile
all'uomo: una sorta di primus inter pares, di cui però non sappiamo quasi nulla.
Quanto diversa ci apparirebbe la realtà se anche la scienza che si occupa delle
dottrine politiche riferisse i concetti dell'ordine sociale alla complessità dei
sistemi e soprattutto ai limiti che la natura impone a ognuno di essi!
Quanti sanno, ad esempio, che l'Universo è una immensa federazione di
sistemi? Quanti hanno idea che ogni sistema ha un limite oltre il quale non può
auto-organizzarsi, auto-regolarsi o espandersi pena il suo successivo crollo e
dissolvimento? Da decenni, ormai, la scienza indica questi nuovi concetti.
Eppure, anche se sembra incredibile, moltissime persone continuano a credere
che la Terra sia stata creata alle 9.00 del mattino del giorno 22 del mese di
ottobre del 4004 a. C., come aveva stabilito in un poderoso volume pubblicato
nel 1650, dopo decenni di meticolose ricerche bibliche, l'arcivescovo della
Chiesa d'Irlanda James Ussher.
Tuttavia in un periodo di tempo estremamente breve da un punto di vista
evolutivo, il campo di indagine dei fenomeni naturali si è enormemente dilatato
e all'idea di onnipotenza ha cominciato progressivamente a sostituirsi quella
che ogni elemento e creatura sia parte del Tutto; Tutto di cui al momento, in
definitiva, non conosciamo né il significato né altro scopo che non sia quello di
un misterioso DIVENIRE verso Qualcosa di inimmaginabile.
41 J. Assmann, Non avrai altro Dio, cit., p. 85.
42 Ivi, pp. 27-28.
35
Un numero sempre crescente di persone si ritrovano così ad essere umili
individui, partecipi dell'universo cosmico e spirituale dal quale ricevono
continui influssi modificatori del comportamento e delle scelte di vita: atomi
viventi, amanti, pensanti, che si rendono progressivamente conto che c'è un
forte legame di connessione e di relazione fra tutto ciò che esiste e che questo
deve avere una spiegazione razionalmente deducibile anche in termini sociali.
Mancherei perciò di logica coerente con le precedenti osservazioni se non
cercassi nella Natura, attraverso la quale quello Spirito sconosciuto si manifesta
nella realtà, la coerenza con le sue leggi eterne e inviolabili.
Bisognerebbe fare in modo che le religioni monoteiste, nate dallo spirito
della politica e della legislazione, fossero radicalmente depoliticizzate,
così che all'ordine del politico, inconcepibile senza la violenza, si possa
contrapporre un altro ordine, il cui potere si fondi sulla non violenza. Solo
allora si realizzerà l'impulso iniziale del monoteismo: quello di liberare
l'uomo dall'onnipotenza del cosmo, dello stato, della società o di qualsiasi
altro sistema avanzasse su di noi pretese totalizzanti.43
La natura ci indica - e la scienza oggi conferma - che le componenti ed i
processi per mezzo dei quali i sistemi naturali hanno permesso alla vita di
affermarsi e di organizzarsi spontaneamente sulla Terra rispettano tre regole:
tutta la vita ha un'insopprimibile tendenza a riprodursi;
tutta la vita ha un'insopprimibile tendenza a conservarsi;
tutta la vita ha un'insopprimibile tendenza a evolversi e auto-organizzarsi in
vista di uno scopo inconoscibile, ma certo.
Questo modo di osservare la realtà che si rivolge in primo luogo alla necessità
di comprendere le leggi della complessità dinamica e dei limiti dei sistemi
naturali che formano l'universo, a mio avviso giustifica e rende necessario
affrontare il tema dell'ordine sociale nello spirito dell'evoluzione, senza tenere
in considerazione i miti e le leggende sulla divinità sorte lungo la storia incerta
e confusa del genere umano che ci è pervenuta.
Questo, a mio parere, potrebbe consentirci di muovere i primi passi verso un
orizzonte culturale che lascerà alle spalle le illusioni, le rivelazioni, gli assoluti,
le ipotesi e le fantasie del passato, consentendoci di trovare le radici naturali e
morali del comportamento umano e dell'ordine sociale.
La visione dell'evoluzione come competizione cruenta cronica tra
individui singoli e specie, distorsione della teoria darwiniana della
"sopravvivenza del più idoneo", si dissolve dinanzi alla visione nuova di
una cooperazione continua, di un'interazione forte e di una dipendenza
reciproca tra forme di vita. La vita non prese il sopravvento sul globo
con la lotta, ma istituendo inter-relazioni. Le forme di vita si
43
J. Assmann, idem, pp. 133-134.
36
moltiplicarono e divennero sempre più complesse attraverso una
cooptazione di altre, non soltanto attraverso la loro estinzione. 44
Credo che questa consapevolezza contribuirebbe a realizzare Un Uomo dopo
l'uomo veramente partecipe dell'Universo cosmico e spirituale; un uomo nuovo
che dalla sua esistenza riceverebbe tutta la felicità ed il benessere compatibili
con la sua animalità, i suoi limiti naturali e la sua neonata coscienza.
Sarà questo l'Uomo sognato nei secoli passati da migliaia di alchimisti
dell'ordine sociale, politico e religioso, che per ottenerlo non hanno esitato a
usare la guerra, la violenza, la tortura, l'omicidio, la predazione, lo
sfruttamento, la menzogna, l'alienazione e il dominio dell'uomo sull'uomo, in
nome di un Dio artificiale o di uno Stato altrettanto immaginario?
4. Il tempo che forse non abbiamo più.
Il tempo ha una funzione essenziale in relazione al verificarsi dei fenomeni.
In apparenza la natura e l'uomo provengono dal tempo che nella nostra realtà
appare agli scienziati come illusione in quanto “sembra non far parte della
fisica”45 che si occupa dei fenomeni ripetibili sperimentalmente, mentre il
tempo non è o non appare essere tale. La prima cosa che mi viene in mente
riguardo al tempo è ripetere quanto ebbe a dire Sant'Agostino e cioè che è
veramente difficile rispondere alla domanda su cosa esso è.
Che cosa dunque è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so; se voglio
spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so.46
Per questo comincerò col dire che non intendo aggiungere alcunché alle infinite
definizioni del tempo date dai sacerdoti, dai filosofi e dagli scienziati, ognuna
delle quali è certamente valida per l'esperienza personale di chi l'ha data, ma
difficilmente lo è per tutti.
È strano che sappiamo così poco sul tempo. Ci viviamo immersi attimo per
attimo e non conosciamo quasi niente di ciò che esso è. Le teorie sull'inizio e
sulla fine del tempo hanno prodotto una miriade di credenze e goduto di grandi
fortune. I calendari che stabiliscono la durata degli anni, le divisioni dei mesi,
delle ore, dei minuti e dei secondi, sono stati soggetti a continui studi e riforme.
Parlando del tempo non dobbiamo mai dimenticare che se c'è stato davvero il
Big-Bang, come la democrazia della scienza 47 lascia supporre, ci troviamo di
L. Margulis e D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 4.
Questo sostengono A. Einstein fisico, H. Bergson filosofo e scienziato, M. Heidegger
filosofo, I. Prigogine fisico e molti altri.
46 S. Agostino, (334- 430) Le Confessioni, libro XI. Il concetto di tempo, 14-17.
47 Per scienza democratica qui si intende la condivisione di un'ipotesi scientifica da parte della
44
45
37
fronte a un elemento trascendentale la cui natura e spiegazione al momento
sfugge all'osservazione scientifica.
Andrà a finire che la democrazia della scienza scoprirà ciò che l'umanità sa già
da migliaia e migliaia di anni e cioè che il tempo è una condizione, un aspetto
fisico eterno e misterioso del divenire di un Quid che ha trasformato la sua
energia manifestandosi come informazione, materia e vita, ovvero come
Natura. Per questo, forse, le religioni, molto prima della scienza si sono
occupate del tempo. Quella induista soprattutto.
Secondo l'antichissima religione indù il mondo ha avuto un inizio e avrà una
fine. I suoi testi sacri riportano che tutto ciò che è stato originato con la
creazione sarà riassorbito, e che il periodo all'interno di tale processo ha una
durata misurabile in milioni di milioni di anni.
Diversamente dalle credenze ebraico-cristiane che del tempo hanno una
concezione lineare con un inizio e una fine di poche migliaia di anni,
l'induismo ha del tempo una concezione ciclica e ripetitiva molto più ampia,
aperta, non lineare. Per gli Indù l'universo, l'uomo, la natura e tutto ciò che
possiamo percepire come realtà, è manifestazione di un principio unico,
superiore a tutto, increato, eterno che appare all'uomo attraverso l'immagine
multiforme di molti Dei. Il tempo, essi dicono, è un aspetto dell'Essere
supremo, una frammentazione della Sua unità ed eternità. La realtà che l'uomo
osserva e in cui vive, rappresenta qualcosa di parziale e incompleto perché
l'Atman48 non può essere osservato, né percepito; è oltre le cose ed è per questa
ragione che l'uomo, non potendo conoscerlo, ne ha una visione parziale e
frammentaria. Nonostante la morte, sostiene questa antica religione, l'uomo è
eterno perché anche in lui abita quello stesso spirito che vive eternamente.
Con la fine del presente ciclo cosmico (tempo parziale) - raccontano i testi sacri
Indù - l'universo tornerà allo stato di non manifestazione e tutto ciò che esisterà
sarà riassorbito nel Principio unico49 da cui è sorto e tornerà a essere eterno.
Dopo di che tutto ricomincerà da capo e una nuova manifestazione – creazione,
darà origine a un nuovo universo.
L'uomo moderno ha dimenticato la sua origine divina, non è più capace di
riconoscere il senso della vita, della morte e del tempo; vive in un mondo fatto
di sola materia, di quantità, non di qualità; di menzogna, raramente di verità e
così facendo si aggrappa alle cose terrene e soffre nel timore di perderle con la
morte. Dimenticando la bellezza, l'armonia e la coerenza che lo lega alla natura
e all'Universo, la nostra specie si avvia sempre più velocemente verso ciò che i
testi sacri Indù indicano come Kali yuga: l'età della fine del tempo.
È ciò che i Greci e gli Ebrei chiamavano Apocalisse, ovvero la Rimozione della
manifestazione. Per gli indù, il Kali yuga è l'avvio del tempo finale: la lunga
maggioranza degli scienziati.
48 L'Atman, per l'induismo, è lo Spirito universale che abita tutte le cose.
49 Bràhman.
38
fase del materialismo, del nichilismo, della quantità, della ricchezza oltre il
bisogno, della sete di dominio, della violenza e del narcisismo: tutte cose che
portano l'uomo al suo crepuscolo e alla notte buia dell'anima senza Dio.
Secondo quest'antichissima concezione religiosa quando il mondo corre
pazzamente verso il materialismo, l'egoismo, la violenza, la guerra, il
relativismo e l'oscuramento dell'immagine di Dio è come se il tempo subisse
un'accelerazione e tutto si proiettasse con maggiore rapidità verso l'oscurità e la
morte. Tale appare essere il tempo presente, con le sue attività frenetiche,
caotiche e drammaticamente pericolose per la sorte del pianeta azzurro e del
genere umano. In queste condizioni avremo la volontà, la capacità e il coraggio,
di adottare le misure drastiche necessarie a cambiare con rapidità ed efficienza i
modelli sociali secolarizzati e incancreniti creati nel passato, dove si è formato
il comportamento individuale e sociale dell'uomo moderno?
Non sono sicuro che si possa. Il tempo della riforma potrebbe essere
scaduto. ... Non penso che eviteremo il disastro, in una forma o
nell'altra. È troppo tardi. Ci siamo spinti troppo oltre e la riforma
richiederebbe troppo tempo.50
Tuttavia non si può fare a meno di sperare; bisogna sperare e tentare. Gli
elementi per avviare il cambiamento positivo e razionale dell'umanità oggi ci
sono tutti. Ma per dare voce alla speranza sarebbe necessario stabilire le
condizioni per una nuova e più forte garanzia di rispetto dei bisogni e della
dignità di ogni essere umano; garanzia che può essere stabilita soprattutto
rispettando nei codici delle leggi i diritti naturali di individui umanamente,
socialmente, politicamente e giuridicamente uguali.
Lo stato naturale è governato da una legge di natura che è per tutti
vincolante; e la ragione, che è poi quella legge stessa, insegna a
chiunque soltanto voglia interpellarla che, essendo tutti gli uomini
eguali e indipendenti, nessuno deve ledere gli altri nella vita, nella
salute, nella libertà o negli averi.51
Anche se le idee nuove hanno bisogno di tempi lunghi e talvolta lunghissimi
per manifestare i loro effetti, è accaduto talvolta che concetti rivoluzionari
apparentemente sepolti, riemergano dopo secoli nella società con rinnovato e
straordinario vigore essendo i tempi pronti a riceverli.
Il riferimento alla natura come creatrice e ordinatrice dei sistemi sociali è
probabilmente uno di questi concetti. Il modo spontaneo con il quale
dovrebbero nascere le regole di comportamento sociale (le leggi) che ordinano
50 P. Russel, fisico teorico e psicologo in: La rivoluzione della coscienza, di E. Lazlo, S. Grof e
P. Russel, Nuova Era, Città della Pieve, (Perugia), 2003, pp. 116-117.
51 J. Locke (1632-1704), Trattato sul governo, Editori Riuniti, Roma, 1997, p. 6.
39
la vita degli individui, dei gruppi, delle comunità e delle società, un altro. La
scelta della spontaneità e della cooperazione mutualistica come strategie di
comportamento da inserire nell'ordine sociale attraverso l'informazione e
l'educazione un altro ancora. Nel terzo millennio esistono condizioni
particolari, mai esistite nei secoli passati, per le quali tutto si può verificare a
una tale velocità da lasciare aperta la via alla speranza.
Se non saremo capaci di intraprendere questa nuova strada temo che la
possibilità di cambiamento sarà legata a una serie di rivoluzioni violente che
seguendo l'attuale modo di concepire e organizzare l'ordine sociale
inevitabilmente si verificherà; oppure al verificarsi di un evento distruttivo
planetario estremo come potrebbero essere la caduta di un meteorite o il
cambiamento climatico che farà diminuire le risorse agricole disponibili.
In effetti la percezione collettiva di un pericolo estremo o di un evento
planetario distruttivo potrebbe essere la scintilla in grado di avviare la reazione
a catena necessaria per svegliare la massa dal torpore e dall'inettitudine.
Per quanto tempo ci ostineremo a ignorare che il modo attuale di concepire e di
organizzare l'ordine sociale è una strada chiusa, dove sono destinati a cessare i
sogni, le illusioni e le fantasie di un'umanità ancora fanciulla e immatura?
40
Capitolo IV
L'informazione e i sistemi
1. Che cosa è e da dove viene l'Informazione?
Nello scenario politico economico e religioso del terzo millennio pochissimi
si chiedono che cosa sia e da dove venga l'informazione (Informare = prendere
forma e funzione). Credo che l'argomento meriti una brevissima disamina.
Etimologicamente il termine informazione, deriva dal latino in-formare, che
significa dare o prendere forma, anche se oggi il significato più comune è dare
notizie. L'informazione nasce dalla conoscenza, dall'elaborazione e dalla
raccolta di dati disponibili per la comunicazione in forma tale da influenzare la
percezione del ricevente che la trasforma in consapevolezza e/o azione. Il
concetto di informazione in quanto dare o ricevere notizie è vasto e
differenziato e deve essere misurato e analizzato come le altre entità fisiche.
L’ampliamento del significato di questo termine, ma anche l’analisi dei suoi
limiti e delle sue possibilità, ha conosciuto un grande sviluppo attraverso autori
e scienziati operanti soprattutto nei campi della Teoria dell’informazione
(Claude E. Shannon), della Teoria generale dei sistemi (Ludwig von
Bertalanffy) e della Teoria della meccanica quantistica (Fritjof Capra nel
campo della fisica), il fisico Paul Davies nel campo della gravità, da Richard
Dawkins nel campo della biologia, ecc., che hanno sottolineato come
l’informazione sia il risultato di un processo di combinazione di tre fattori (Informa-azione), che, analizzati, ci forniscono ulteriori chiavi di lettura per una
sua più profonda e definita interpretazione.
L'informazione, infatti, riguarda in primo luogo l'energia (forse le frequenze
delle onde sonore che originano la forma, come oggi indica la cimatica52), le
particelle di materia, gli atomi, le molecole e così via fino agli esseri viventi e
al loro comportamento.
Nei cromosomi che abitano le cellule di tutto il vivente, ad esempio, risiedono i
geni costituiti da molecole di DNA, che sono una sorta di sistema di
informazioni biologiche straordinariamente complesso ed efficiente, basato
sugli stessi meccanismi e su gli stessi elementi fisici e chimici in ogni specie
vivente.
… tutti gli organismi si nutrono della differenza di entropia creata dalla
forza gravitazionale. La fonte originaria dell'informazione e dell'ordine
che osserviamo nel mondo vivente è la gravitazione.53
52 La cimatica è una nuova scienza che studia l'effetto morfogenetico delle onde sonore.
53 Paul Davies, Da dove viene la vita, cit., p. 6.
41
Nei sistemi complessi del vivente il meccanismo del passaggio dal caos
all'ordine è dovuta all'informazione che è sempre correlata con le forze 54 che
interagiscono all'interno dei sistemi.
Friedrich Von Hayek, economista austriaco vincitore del Premio Nobel nel
1974, ha affermato che l'ordine spontaneo dei sistemi è l'unico compatibile con
le scienze esatte perché converge con le più recenti teorie della fisica, della
chimica e della biologia.
In realtà l'idea di ordine spontaneo dei sistemi complessi che si auto-organizza
tramite l'informazione è stata formalizzata da due premi Nobel per la chimica,
Lars Onsager55 ed Ilya Prigogine56, che dedicarono la loro attenzione al
passaggio dal disordine all'ordine auto-organizzato nell'evoluzione storica
dell'universo. Prigogine definì come “strutture dissipative gli oggetti ed i
processi che si organizzano e modificano spontaneamente la loro forma. Con
l'apporto di energia le strutture dissipative possono diventare più ordinate
invece che meno. Con questo aveva trovato la chiave per comprendere il
passaggio dalla non vita alla vita; di più: dall'energia alla materia e da questa
alla vita.
Da parte sua Hayek57 sosteneva che per quanto riguarda la società umana anche
la complessità del linguaggio, dei mercati e dell'ordine sociale sono emersi
tramite processi e strategie evolutive spontanee di informazione e di autoorganizzazione. Se consideriamo che nella natura, nella società, nella politica e
nell'economia di mercato l'ordine nasce dal caos, l'assestamento spontaneo di
milioni e milioni di decisioni e di dati attraverso i quali si forma l'ordine sociale
- riporta Hayek - conduce a un ordine superiore rispetto ai sistemi il cui ordine
è costituito mediante piani fatti a priori, artificiali, pre-programmati, comunque
prodotti da “pianificazione, controllo centralizzato, deliberazioni non
spontanee, ecc..”.
Secondo molti scienziati la pianificazione a priori sta cadendo in sempre
maggior discredito non solo nella politica e nell'economia, ma anche nella
ricerca scientifica in generale.
… anche per la gravitazione si può dire lo stesso. (…) L'ordine compare
spontaneamente. In termini di informazione sembra che tutto vada al
rovescio.58
Davies, Prigogine e Hayek introducono così uno stretto legame di relazione fra
informazione, spontaneità e ordine dal disordine nell'organizzazione dei
Interazione elettromagnetica, interazione forte, interazione debole
gravitazionale.
55 L. Onsager (1903-1976), chimico norvegese naturalizzato statunitens e.
56 I. Prigogine ( 1917-2003) chimico e fisico russo.
57 F. Von Hayek (1899-1992), economista e filosofo austriaco.
58 P. Davies, Da dove viene la vita, cit, p. 62.
54
42
e
interazione
sistemi.
In realtà non conosciamo ancora perfettamente la ragione per la quale
l'informazione influenza il passaggio spontaneo dal disordine all'ordine
attraverso l'apporto di energia, ma siamo consapevoli che una ragione deve
esistere perché questo processo interessa tutto l'Universo.
È dunque evidente che in primo luogo ognuno dovrebbe essere consapevole
che tutto l'universo è governato dalle stesse leggi fisiche e chimiche e che nel
vivente la natura organizza spontaneamente la complessità e l'ordine dei sistemi
che crea attraverso l'informazione.
È la circolarità dell'informazione, infatti, che permette agli elementi e agli
individui di costituire legami di relazione basati su nessi di reciprocità in grado
di produrre sistemi auto-organizzati, auto-regolati ed auto-sufficienti che
producono cambiamento e maggiore stabilità e sicurezza, raggiungendo nel
tempo livelli evolutivi (anche di ordine sociale) superiori rispetto ai precedenti.
Chi avrebbe potuto sospettare - un tempo - che le api (e non solo loro!)
pensano, ricordano, prevedono, collaborano, apprendono, questuano, si
scambiano cognizioni (concetti) e non solo emozioni (segnali di paura e di
pericolo come in genere fanno gli altri animali), usano dialetti, sono capaci di
calcolare e di indicare, con la danza, la distanza e la direzione delle fonti di
approvvigionamento o la sede della nuova dimora quando sciamano,
riconoscono perfettamente i colori e gli odori, costituiscono squadre di pronto
intervento, hanno inventato il condizionatore, il telefono, adottano strategie
vantaggiose di salvaguardia dell'ordine sociale, effettuano scelte con il
procedimento della democrazia diretta e regolano i loro rapporti prevalentemente su basi di spontaneità e di cooperazione mutualistica, invece che sulla
gerarchia, sull'egoismo, sulla conflittualità e sullo sfruttamento indiscriminato
delle risorse condivisibili, come avviene per la specie umana?
Tutto ciò appare fantascientifico, lo ammetto. Ma per chi conosce bene la
materia è semplicemente un insieme di osservazioni scientificamente certe.
La democrazia della scienza dice oggi che ciò che ha caratterizzato l'Universo
fin dalla singolarità del primo istante del Big-Bang è un processo di
aggregazione mediante strutturazione spontanea di legami fisico-chimici e di
associazione per permettere ai sistemi di raggiungere equilibrio dinamico degli
elementi che li formano.
Tutto l'Universo è governato dalle stesse leggi fisiche alle quali
sottostanno sia le entità più semplici sia quelle più complesse. La natura
deve però "faticare" per organizzarsi e mantenersi in strutture stabili di
complessità crescente, lottando contro una sua stessa legge fisica, che
vuole che dall’ordine si passi al caos e non viceversa, se non con
l’impiego massiccio di energia.59
59 P. Nigra: Dialogo sui massimi sistemi, cit.
43
In natura l'ordine di un sistema deve, quindi, essere ricercato nella capacità di
auto-organizzare gli elementi, le componenti ed i processi in modo tale da
produrre la massima funzionalità, stabilità e sicurezza col minimo dispendio di
energia necessaria all'adattamento vantaggioso all'ambiente interno ed esterno
acquisendo nuova informazione.
In questa ottica il passaggio dal disordine all'ordine consisterebbe in un
processo spontaneo che riguarda anche le informazioni relative all'organizzazione dell'ordine sociale umano.
Per queste ragioni, nel tentativo di trovare le radici naturali dell'ordine sociale,
userò ciò che mi è dato conoscere dei sistemi cercando innanzitutto di
rispondere alle domande su Chi siamo?, Da dove veniamo? e Dove andiamo?
2. Un tentativo di riposta alla domanda su Chi siamo?
Per la scienza moderna il segreto dell'esistente è racchiuso in un punto
infinitamente più piccolo di un atomo (10 elevato alla -16 a potenza). Da quel
momento in poi una misteriosa forma di energia ha prodotto il tempo, lo spazio,
la materia e l'informazione, senza la quale niente potrebbe esistere.
Sebbene si sappia ancora troppo poco su questo straordinario evento alcuni
scienziati lo ipotizzano come una singolarità60, mentre altri affermano che
questa ipotesi non sarebbe necessaria. I fisici, prendendo per buona la prima e
più accreditata fra le due ipotesi ritengono che il nostro universo sia nato circa
13 miliardi e 700 milioni di anni fa.
Ebbene: tutte le particelle che compongono gli atomi delle stelle, delle galassie
e tutto ciò che possiamo osservare, compresi gli atomi che formano il nostro
corpo, è nato in prossimità dell'immensa esplosione alla quale la scienza ha
dato il nome di Big-Bang. Da quel momento in poi semplici particelle di
materia si raggrupparono in atomi disordinati che unendosi, autoorganizzandosi e auto-regolandosi hanno prodotto elementi, processi e sistemi
sempre più complessi passando dalla semplicità dell'energia e della materia
primordiale alla straordinaria complessità della vita e dell'ambiente in cui si è
manifestata in miliardi di anni.
Al processo di cambiamento continuo della realtà un filosofo sociale inglese,
Herbert Spencer61, contemporaneo di Darwin, ha dato il nome di evoluzione
cosmica. Credo che possiamo cominciare da qui a sperare di poter dipanare la
matassa ingarbugliata della conoscenza necessaria a dare una risposta
esauriente agli enigmi che l'Umanità si è posta fin dalla sua origine: Chi siamo?
L'Umanità è come un sognatore in cammino, preso fra la fantasia del
60 La fisica indica come singolarità un fenomeno privo di orizzonte degli eventi.
61 H. Spencer (1820-1903), filosofo sociale, proposto per il Nobel nel 1902.
44
sogno e il caos del mondo reale. La mente cerca ma non trova il posto
preciso e l'ora. Abbiamo creato la civiltà delle guerre stellari, con le
emozioni dell'età della pietra, con istituzioni medievali e con la tecnologia
del divino. Ci agitiamo. Siamo terribilmente confusi dai fatti della nostra
esistenza e il pericolo per il nostro futuro. La religione non risolverà mai
questo enigma.62
Posta in questi termini la questione del Chi siamo? si perviene alla conclusione
di comprendere che tutto l'esistente è manifestazione del divenire nel tempo di
un Quid, il Grande Sconosciuto, Dio, senza sapere cosa sia in realtà.
Credo che senza l'aiuto di tre filosofi del passato, Baruch Spinoza 63, Pierre
Joseph Proudhon e Giordano Bruno, difficilmente sarei pervenuto a cercare di
dare questa risposta alla domanda.
Il primo in Ethica more geometrico demonstrata identifica la sostanza
dell'Universo con Dio (Deus sive natura cognita et incognita), ovvero la
natura conosciuta e sconosciuta; il secondo in Del Principio federativo indica
nel divenire della realtà materiale e spirituale dell'uomo e della società l'essenza
della Sua manifestazione con queste parole:
(a) Il divenire non è, qualunque cosa abbiano detto certi filosofi più
mistici che profondi, una posizione di mezzo fra l'essere ed il non essere;
il divenire è il movimento dell'Essere nella sua vita e nelle sue
manifestazioni. 64
Il terzo anticipa nel tempo entrambe queste straordinarie intuizioni, scrivendo:
Talmente dunque quel dio, come assoluto, non ha che far con noi; ma
per quanto si comunica alli effetti della natura, ed è più intimo a quelli
che la natura istessa; di maniera che se lui non è la natura istessa, certo
è la natura della natura; ed è l'anima de l'anima del mondo, se non è
l'anima istessa. ... Così a partire da Dio c'è discesa all'essere vivente,
attraverso il mondo, e dall'essere vivente ascesa attraverso il mondo fino
a Dio. …65
Giordano Bruno dice anche che “non essendoci nell'universo parte più
importante dell'altra,” non è concesso all'uomo il primato biblico che lo
impone come “possessore e dominatore del mondo” e vede l'essere umano
come semplice “cooperatore dell'operante natura” (operanti naturae homines
E. O. Wilson, La conquista sociale della terra, Liverlight Publishing corporation, New York
- London, 2012, p. 8.
63 B. Spinoza (1632-1677), filosofo olandese.
64 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cap. Asefi, Milano 2000, III, Forme di governo,
Nota.
65 G. Bruno (1548-1600), Spaccio de la bestia trionfante, in Dialoghi morali, Sansoni, Firenze,
1958, p. 783.
62
45
cooperatores esse possint).
Per tutti e tre gli studiosi l'uomo, con tutta la realtà, è dunque una tappa del
divenire (evoluzione) attraverso le forme, di ciò che chiamiamo Dio? È forse
una vibrazione66 di natura ancora sconosciuta che le produce spontaneamente?
Tutto ciò probabilmente scandalizzerà i credenti. Tuttavia potrebbe offrire alla
mente di molti dubbiosi l'appiglio per cambiare radicalmente il modo di
ragionare, di osservare i fenomeni naturali, di comportarsi di pensare e di agire
nella consapevolezza della creazione spontanea dell'ordine sociale più
favorevole allo sviluppo delle facoltà materiali e spirituali in vista di una meta
sconosciuta.
Per questa ragione considero l'ordine sociale il campo di allenamento
dell'intelligenza e della coscienza la cui accresciuta potenza permetterà un
giorno molto lontano di riconoscerci collettivamente in ciò che veramente
siamo. Ovviamente la mia osservazione su Chi siamo è solo una fra le tante
interpretazioni possibili; non ha alcuna pretesa di essere un dogma, non è un
assoluto, tanto meno una nuova religione anche se auspico che nel futuro,
attraverso la diffusione e la sacralità dell'informazione possa nascere una
Religione civile della vita per il rispetto sacrale che ad essa dobbiamo in quanto
manifestazione del divenire dello Spirito segreto che la abita.
3. Da dove veniamo; l'origine della vita.
Vista la complessità del problema, se conversando con un ipotetico amico
dovessi cercare di rispondere alla domanda: Da dove viene la vita? penso che
per fare il primo passo dovrei trasformarmi in Mago Merlino o se preferite
nella Fata Turchina e toccandolo con la bacchetta magica illuminerei la sua
mente con il contenuto di un libro poco conosciuto: Microcosmo, pubblicato in
Italia nel 1986 da Mondadori. Il libro è di una ricercatrice americana, membro
della National Academy of Sciences, Lynn Margulis67 e di sua figlia Dorion
Sagan, divulgatrice scientifica.
Elaborato con grande semplicità e competenza Microcosmo offre una base
temporale e scientificamente abbastanza certa dalla quale partire per
comprendere la parte dell'evoluzione che ha prodotto la vita dalla materia e il
comportamento individuale e sociale del vivente, noi compresi.
La ragione del mio interesse per il contenuto di questa opera è che chiarisce
come i batteri, indicati come nostri antichissimi antenati, in un arco temporale
di oltre tre miliardi e mezzo di anni hanno selezionato e stabilito nei geni che
abitano le cellule dei corpi di tutto il vivente (comprese quelle del nostro corpo)
66 Vedi la Teoria della cimatica descritta dallo Svizzero Hans Jenny. La cimatica che si occupa
di come le forme della materia derivano dalle vibrazioni.
67 Lynn Margulis (1938-2011), Biologa, ricercatrice americana nel campo dei batteri.
46
la maggior parte delle informazioni che presiedono alla costituzione della
forma, del funzionamento degli organi, del comportamento e infine della
“socialità”, fenomeno biologico strettamente connesso con l'ordine sociale
naturale dei sistemi viventi.
L'origine della vita – sostiene la scienziata – è dovuta a semplici composti
inorganici che la produssero attraverso reazioni chimiche di sintesi che
cominciarono a verificarsi spontaneamente sul nostro pianeta circa 4 miliardi di
anni fa oppure - il che non cambia proprio niente - in epoca diversa in qualche
parte dell'universo per essere successivamente trasportati sulla Terra da
meteoriti.
Negli anni venti del secolo scorso il biochimico russo Aleksandr Ivanovich
Oparin68 e il genetista inglese John Haldane 69, furono i primi a proporre l'ipotesi
che le condizioni ambientali della Terra primordiale fossero tali da consentire la
formazione di una grande quantità di molecole organiche da composti
inorganici. Nel tempo lontanissimo in cui questo processo si produsse
spontaneamente, infatti, il Pianeta disponeva di un alto contenuto energetico,
un ambiente con grandi vulcani sottomarini, abbondanza di fulmini e di
radiazione ultraviolette e un'atmosfera primitiva caratterizzata dall'assenza di
ossigeno ma ricca di idrogeno, metano, ammoniaca, zolfo e soprattutto di
acqua. Per i due scienziati questo poteva essere stato l'ambiente ideale per la
nascita della vita. Sembra che queste condizioni abbiano favorito la formazione
di un'enorme quantità di composti organici differenti e che il loro progressivo
accumulo nei mari primitivi del Pianeta abbia indotto nuove reazioni chimiche
che dettero origine a molecole organiche fondamentali per la futura esplosione
della vita: gli amminoacidi, ovvero i mattoni con i quali sono costruite le
proteine70.
Nello stesso lunghissimo periodo di tempo, si formarono gli acidi nucleici71 e le
membrane72, che successivamente permisero alle cellule di preservare la loro
integrità strutturale rispetto all'ambiente, di favorire il passaggio delle sostanze
nutritive e l'uscita degli scarti, di regolare i rapporti tra cellule, di riconoscere e
respingere i corpi estranei e di elaborare e memorizzare i segnali fisici e
chimici che provenivano sia dall'ambiente interno sia dall'ambiente esterno.
Successivamente le proteine si associarono in sistemi macro-molecolari in
grado di esprimere le fondamentali funzionalità nei sistemi del vivente: l'autoriproduzione e l'auto-conservazione. A questo punto il sistema-vita cominciò ad
A.I. Oparin (1894-1960), biochimico e biologo russo.
John Haldane (1892,1964), biologo e genetista inglese.
Le proteine sono catene di amminoacidi; sostanze organiche composte da carbonio,
idrogeno, ossigeno e azoto che le nostre cellule utilizzano per crescere e per riprodursi.
71 Gli acidi nucleici sono macromolecole che provvedono alla conservazione e al trasporto
dell'informazione genetica delle entità biologiche e delle cellule.
72 La membrana della cellula costituisce un “limite” fra interno ed esterno della stessa
rendendola qualcosa di distinto dall'ambiente circostante.
68
69
70
47
auto-organizzarsi e ad auto-regolarsi per affrontare la sua lunghissima e
pericolosa marcia verso un ignoto destino, cercando di approfittare e di tradurre
in informazioni genetiche contenute nel RNA/DNA73 le migliori opportunità e
comportamenti per conservarsi e per riprodursi nelle generazioni future.
All'ipotesi della nascita spontanea della vita formulata quasi un secolo fa dai
due scienziati si deve il merito del superamento dell'ostacolo concettuale
fondamentale che fino allora aveva impedito un corretto approccio scientifico
al problema della sua origine. Prima di questa ipotesi la scienza occidentale
aveva cercato di spiegarne l'origine o attraverso la creazione o a opera della
combinazione fra generazione spontanea e vitalismo.
L'idea della generazione spontanea era che la vita fosse emersa dall'aria e dalla
decomposizione della materia le quali possedevano la forza vitale che
permetteva la sua rigenerazione.
Il vitalismo, invece, considerava che le forme viventi fossero generate
spontaneamente dalla separazione dei composti inorganici da quelli organici.
In realtà furono Darwin e Pasteur74 a descrivere, per primi, l'origine della vita
come un evento unico e a ipotizzare che fosse emersa dalla materia inanimata.
Ma mentre Darwin sosteneva che la vita fosse nata in una piccola pozza calda,
come scrisse in una lettera a un amico nel 1871, Pasteur la confinò nell'idea
secolarizzata che fosse opera di un Dio creatore.
Ebbene: credo che da un punto di vista dello studio e della conoscenza
dell'ordine sociale umano siamo rimasti pressappoco al periodo che
corrisponde alle idee della generazione spontanea e del vitalismo. Infatti la
lentissima diffusione delle informazioni è restata ancorata a un pensiero
teologico-politico secolarizzato permeato da errori e distorsioni ereditate da un
lontanissimo passato in mancanza di adeguata conoscenza scientifica o storica.
4. Dove andiamo?
Come ho già riportato nel ventesimo e ancor più nel ventunesimo siamo
pervenuti a conoscenze straordinarie in tutti i campi del sapere. Quando
Vladimir I. Vernadskij, scienziato mineralogista e geochimico russo scriveva
nel 1926 in La biosfera75 che le fasi successive dello sviluppo della Terra sono:
… “il passaggio della geosfera (materia inanimata) alla biosfera (materia
vivente) e dalla biosfera alla noosfera (dalla parola greca Nous, mente, n.d.a.))
e che la diffusione e la condivisione della conoscenza trasformerà
Il DNA è una lunga catena di nucleotidi che formano l'elica immortale. È il principale
archivio delle istruzioni ereditarie contenute nelle cellule di tutto il vivente. Anche l'RNA è
formato da acidi nucleici.
74 L. Pasteur (1822-1895), Biologo, chimico e microbiologo francese .
75 V. I. Vernadskij (1863-1945), La biosfera e la noosfera, Sellerio, Palermo, 1999.
73
48
radicalmente la biosfera”, la Teoria del caos, quella dei Sistemi dinamici
complessi e adattativi, la Teoria del Tutto, come le scoperte più recenti delle
materie delle quali si occupano gli scienziati della Terza cultura, non erano
ancora disponibili.
Anche Teilhard de Chardin76 della Compagnia di Gesù, filosofo e paleontologo,
riteneva che la noosfera fosse la nuova tappa evolutiva della coscienza
collettiva in cui il pensiero umano, pur continuando ad essere il prodotto di
ogni singolo individuo avrebbe subito un processo di globalizzazione planetaria
… “dove ognuno penserà per tutti e tutti penseranno in ognuno): un
“superorganismo sociale” attraverso il quale nei secoli si manifesterà Dio.
Per padre Teilhard l'Universo, se è attratto da un punto supremo di complessità
e di coscienza, non può che muoversi nella direzione della crescita di entrambi.
Per questa ragione il religioso postula il concetto di Punto Omega come
supremo traguardo che non costituisce solo il punto di arrivo del processo
evolutivo essendo la causa per la quale l'universo intero si muove nella sua
direzione.
Vernadskij e Teilhard de Chardin, pur nei limiti delle conoscenze del loro
tempo indicano un concetto di straordinaria rilevanza per gli esseri umani: la
terza fase dello sviluppo della Terra avverrà con l'interazione fra le menti di
tutti gli uomini e, forse, anche degli uomini con tutto l'esistente. Sarà il Punto
Omega dell'intelligenza e della coscienza che aprirà la fase critica della
prossima tappa dell'evoluzione umana?
Sarà questo passaggio obbligato, ancora denso di misteri, di sacrifici e di
straordinarie opportunità, che ci costringerà ad adeguare il nostro
comportamento al rispetto dell'ambiente e all'eliminazione delle idee di
predazione, di egoismo, di violenza e di dominio e che ci metterà nella
condizione di superare l'istinto animale, residuo di miliardi di anni di
evoluzione della vita; istinto che, come vedremo, possiamo superare con la
cultura.
5. Il Superoganismo come prossima tappa evolutiva?
Fu un entomologo americano, William Morton Wheele 77 a coniare per primo,
nei suoi lavori sulle formiche (1911), il termine superorganismo per indicare
colonie di insetti come le formiche, le api e le termiti. La parola fu
estremamente popolare al principio del secolo passato e Wheeler vi ritornò più
volte nei suoi scritti. Nel celebre saggio, La colonia di formiche come
organismo, ad esempio, Wheeler asserì che le colonie di questi insetti, come
quelle delle api e delle termiti sono in effetti, “… dei superorganismi, non
76
77
P. Teilhard de Chardin (1881-1955), Il fenomeno umano, Queriniana, Brescia, 1995, p. 240.
W. M. Wheeler (1865-1937), entomologo americano.
49
qualcosa di analogo a un organismo: una cosa del tutto nuova e diversa”.
Oggi quella “cosa del tutto nuova e diversa” viene definita dai ricercatori della
Terza cultura come comportamento emergente dalla proprietà non lineare dei
sistemi complessi: un fenomeno universale applicabile sia all'energia, sia alle
particelle elementari di materia, sia alla vita.
L'esempio più significativo di proprietà non lineare e di comportamento
emergente è dato proprio dalla comparsa della vita dalla materia, ma lo stesso si
può dire per la comparsa degli atomi dalle particelle, delle molecole dagli
atomi, dell'acqua da due atomi di idrogeno che si uniscono con uno di ossigeno,
dai processi fisici del cervello-mente che producono la coscienza e via dicendo.
Caratteristica comune dei sistemi complessi (come ad esempio la vita), è che
quando raggiungono un certo grado di complessità e di equilibrio dinamico
delle proprie componenti e lo mantengono a lungo, emergono spontaneamente
dal sistema considerato cambiamenti non immaginabili a priori.
Infatti: la scienza della complessità sostiene che ciò che può emergere dai
sistemi in queste condizioni non è spiegabile sulla base delle leggi che
governavano le singole componenti che interagiscono al loro interno, e pertanto
questo fenomeno non è prevedibile a priori.
Tutta la realtà che possiamo osservare intorno a noi, compresa la vita, non è
che il prodotto finale di un immenso e lunghissimo processo di emergenza
proprio dei sistemi aperti che investe tutto l'universo.
Giunto a questo punto chi legge si chiederà sconcertato: A quale risultato
pratico possono condurre queste osservazioni, che possono apparire alquanto
fantascientifiche rispetto al tema concreto dell'ordine sociale?
La risposta è celata nel futuro della nostra specie ma opera già nel DNA
contenuto nell'elica immortale, presente in tutte le cellule del vivente. Infatti
anche se la fantasia e l'illusione ci suggeriscono di essere diversi e superiori
rispetto alle creature che popolano la Terra, è ormai scientificamente accertato
che i meccanismi biologici genetici fondamentali che contengono le
informazioni e producono la forma ed il comportamento del vivente sono
identici, anche se numericamente i loro rapporti all'interno di sistemi diversi
sono potenzialmente differenti.
Diversamente dal passato oggi sappiamo che il processo naturale che ha
preceduto la comparsa del sistema nervoso nelle forme viventi è durato circa
due miliardi e mezzo di anni. Tuttavia solo verso 700 milioni di anni fa, anche
in seguito ai cambiamenti dell'ambiente, si produssero le prime strutture
neuronali complesse che cominciarono a interagire ed a integrarsi originando
un cervello-mente come oggi lo conosciamo.
Nella specie umana questo processo avviò una larga modificabilità del
comportamento e migliorò la capacità di adattamento all'ambiente sia
dell'individuo, sia dei gruppi sociali.
Se oggi è relativamente facile indicare cosa è emerso attraverso il processo
50
dell'evoluzione del vivente, altrettanto non si può dire per ciò che è emerso
nella realtà con la comparsa del Sapiens, l'uomo moderno, noi.
Niente e nessuno che fosse vissuto prima di pochi milioni di anni fa, infatti,
avrebbe potuto prevedere che da un salto evolutivo nella vita animale sarebbero
emerse nella specie del sapiens con grande potenza e vigore rispetto alle altre
specie animali, l'intelligenza e la coscienza.
Ebbene, è molto probabile che a questa tappa evolutiva ne seguirà un'altra in
cui dalla dimensione e dal funzionamento che assumeranno entrambe le qualità
emergerà qualcosa di completamente nuovo, come è sempre accaduto nel
percorso storico dei sistemi; qualcosa che solo alla nostra specie è dato
immaginare, il superorganismo sociale umano.
Come minuscole parti di un'enorme biosfera, la cui essenza è
fondamentalmente batterica, noi, con altre forme di vita, dobbiamo
giungere fino a una specie di cervello simbiotico, che è oltre la nostra
capacità di capire o di rappresentare in modo giusto.78
Se riusciremo a offrire una solida spiegazione al perché del processo simbiotico
del cervello con l'intera realtà che siamo in grado di percepire e di indagare, si
apriranno per la nostra specie nuovi orizzonti culturali che permetteranno alle
generazioni future di immaginare e di organizzare una corretta struttura
dell'ordine sociale che sia ad un tempo stabile, sicura, dinamica e adattativa.
In poche parole è questo che ci attende sulla via della nostra evoluzione
animale: la necessità di produrre il superorganismo sociale umano ordinato
sulla base delle informazioni disponibili che il nostro cervello simbiotico
rapporterà spontaneamente con la realtà sociale sempre più complessa,
offrendoci una dimensione dell'esistenza individuale e sociale connessa e
partecipe con tutto l'osservabile.
In questa ottica cominceremo a riconoscersi in ciò che veramente siamo: non il
frutto di una casualità universale, né la fuga dal nulla della morte riparandosi
nel rifugio della premiazione eterna da parte di una divinità creatrice, ma la
semplice consapevolezza di essere manifestazione del divenire di uno Spirito
inconoscibile che lungo i secoli abbiamo chiamato DIO.
78 L. Margulis, Dorion Sagan, Microcosmo, cit., pp. 160-161.
51
Capitolo V
Il miracolo della vita e l'ordine sociale
1. Il gene: la radice biologica della vita e del comportamento individuale e
sociale.
Ho riportato che in natura i sistemi complessi del vivente si auto-organizzano
e si auto-regolano per ottenere stabilità e cambiamento in vista di risparmiare
energia, per stabilire un più efficiente rapporto interno e nei confronti
dell'ambiente esterno, e la crescita delle informazioni disponibili nel sistema.
Sembra assurdo: stabilità e cambiamento insieme!
Per comprendere questa apparente contraddizione dobbiamo risalire a circa
quattro miliardi di anni fa quando le condizioni fisiche e chimiche della Terra,
prima dell'avvento della vita, hanno cominciato a produrre alcune sostanze
organiche chiamate purine e pirimidine, i mattoni che compongono le molecole
genetiche che permettono la riproduzione delle informazioni per mezzo di due
acidi: uno chiamato RNA e l'altro DNA.79
Probabilmente la concentrazione di queste sostanze nel brodo primordiale di
alcune pozze calde che si formarono nei mari del pianeta (come riporta
Darwin), sotto l'azione dell'energia prodotta dalla luce ultravioletta del sole,
permise loro di combinarsi e di produrre molecole organiche sempre più grandi
e complesse. A un certo punto una di queste molecole (o l'aggregazione di un
gruppo) ha prodotto, per il fenomeno dell'emersione, qualcosa di inesistente
fino a quel momento: il replicone, una molecola specifica in grado di replicare
se stessa. Ebbene: il replicone doveva contenere un certo numero di geni che
per potersi riprodurre dovevano contenere specifiche informazioni. In queste
condizioni crebbe il numero dei repliconi presenti nell'ambiente cellulare.
Dalla loro unione in qualche milione di anni emerse ancora un nuovo sistema
più complesso: quello dei batteri eucarioti80 che ha dato origine a tutto il
vivente che possiamo osservare.
La risoluzione dei problemi ebbe inizio quattro miliardi di anni or sono
per mezzo della mutazione e ricombinazione di catene di DNA
procariotico. La selezione naturale, conservando i batteri ed i loro
discendenti che rispondono in modo più efficiente all'ambiente,
immagazzinò soluzioni ai problemi del riscaldamento, della siccità, delle
79 Il DNA è un acido nucleico che contiene le informazioni genetiche necessarie alla sintesi del
RNA e proteine, molecole indispensabili per lo sviluppo e per il funzionamento degli organi.
80 Procarioti, batteri senza nucleo; Eucarioti, batteri con nucleo.
52
radiazioni, ultraviolette. L'immagazzinamento avveniva in forma di
sequenze informazionali di acidi nucleici e di capacità di questi acidi
nucleici, RNA e DNA, di interagire con le proteine nelle loro immediate
vicinanze. Mediante il trasferimento di repliconi81 … il crescere della
quantità di informazioni immagazzinata nelle sequenze degli
amminoacidi e delle coppie di basi di queste molecole biochimiche a
catena lunga potrebbe essere seguito essenzialmente fin dalle origini
della vita.82
Oggi tutto lascia pensare che la condizione più probabile per la riproduzione,
per l'affermazione e per l'evoluzione della vita sulla Terra sia stata una
comunità di cellule microscopiche ognuna delle quali era delimitata da una
membrana plasmatica con pompe, trasportatori e canali, che conteneva circa
5.000 proteine, disponeva di almeno 600 geni nel RNA/DNA e possedeva
ribosomi83.
Questa sarebbe l'ipotesi scientifica più accreditata della nascita della vita sul
pianeta e costituirebbe l'avvio del processo della sua evoluzione, durata oltre tre
miliardi e mezzo di anni.
Herbert Spencer (1820-1903), filosofo inglese che ancora non disponeva di
questa conoscenza, definì il processo nell'ottica della sopravvivenza del più
adatto come condizione di evoluzione a cui Charles Darwin aggiunse per
selezione naturale.
La conservazione delle differenze e variazioni individuali favorevoli e la
distruzione di quelle nocive sono state da me chiamate "selezione
naturale" o "sopravvivenza del più adatto".84
Io chiamo “selezione naturale” il principio per il quale ogni lieve
variazione, se utile, si mantiene. Ma l’espressione “sopravvivenza del più
adatto”, spesso usata da Herbert Spencer, è più idonea, e talvolta
ugualmente conveniente.85
Doveva passare ancora un secolo dal tempo di Spencer e di Darwin prima che
fossero scoperti i segreti del materiale genetico ereditario e i meccanismi
attraverso i quali si trasmettono alle generazioni future le informazioni
contenute nei geni dell'elica immortale. Infatti la definitiva strutturazione
I replilconi sono molecole autonome di DNA che vengono replicate dall'apparato metabolico
della cellula che li ospita, ma non fanno parte del genoma.
82 L. Margulis e D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 246, 247.
83 I ribosomi sono organelli che si trovano nell'ambiente cellulare. Sono responsabili della
sintesi proteica. Hanno la funzione di leggere le informazioni contenute in una catena di RNA
messaggero.
84 C. Darwin (1809-1882), Sulla origine delle specie, Edizioni A. Barion, Sesto San Giovanni,
Milano, 1926, p. 147.
85 Ivi, cap. 3, Lotta per l'esistenza.
81
53
genetica negli organismi multicellulari fu chiarita solo alla fine degli anni '70
del ventesimo secolo, quando divennero disponibili le sequenze codificate di
DNA/RNA che contengono parte delle informazioni relative alla costruzione
degli organi, delle proteine, delle funzioni e del loro comportamento.
“Il gene - scrive Richard Dawkins – è la parte immortale di ogni essere vivente
che … tocca ogni aspetto della vita sociale, l'amore e l'odio, la lotta e la
cooperazione, il donare e il rubare, la bramosia e la generosità.”86
Ebbene: noi siamo, nel bene e nel male, ciò che produce l'informazione
contenuta nel complesso dei geni che abitano le cellule del nostro corpo e il
nostro comportamento individuale e sociale dipende in gran parte da essi,
anche se è influenzato dall'ambiente esterno e dalla cultura.
Da tutto ciò mi sembra di poter dedurre che senza la conoscenza del
funzionamento basilare del sistema genetico, in quanto contenitore di
informazioni biologiche che influenzano il comportamento, ben difficilmente si
potrà giungere a considerazioni razionali relative all'organizzazione dell'ordine
sociale più vantaggioso per la crescita della coscienza e del benessere nella
nostra specie. Vediamo ora molto sinteticamente come la scienza sia pervenuta,
in tempo evolutivo estremamente breve a queste osservazioni.
2. Da Aristotele a Darwin.
Philosophie zoologique di Lamarck, On the origin of species di Darwin e
Synthetic Philosophy di Spencer, costituiscono indubbiamente i principali punti
di rottura con le implicazioni della teologia-politica biblica nel corso dei secoli
recenti.
Alla diffusione delle opere di questi e di altri grandi ricercatori si deve l'avvio
del passaggio dalla teologia-politica biblica a quella che nel futuro, almeno lo
spero, sarà indicata come la teologia della natura.
Infatti tutto ciò che prima di del 1859 veniva interpretato e studiato nell'ottica
del contesto biblico con l'intenzione di verificare l'adesione dei risultati della
nascente scienza alla parola di Dio o alla fiducia attribuita alle rivelazioni dei
Profeti, con l'idea di evoluzione viene riferito all'origine della vita e al
progressivo divenire di forme biologiche e di comportamenti differenziati,
sperimentati biologicamente nel corso di miliardi di anni.
Fino alla fine del diciannovesimo secolo, del resto, era poco conveniente o
addirittura pericoloso per chiunque riportare risultati di ricerche che
contraddicessero in qualche modo la dottrina della Chiesa cattolica, oppure i
contenuti della Bibbia ritenuta sacra in quanto posta in stretto rapporto con la
volontà e l'onnipotenza della divinità.
Tuttavia, mentre la maggior parte dei naturalisti europei si sforzava di mettere
86
R. Dawkins, Il gene egoista, cit. p. 4.
54
in evidenza il collegamento di certi fossili con il periodo del Diluvio
universale, pochi altri cominciarono a maturare l'idea di spingersi oltre il
dogma biblico.
Del resto già Aristotele aveva affermato che lo sviluppo ed il comportamento
del vivente sono guidati e controllati da un piano globale, che permette agli
esseri di dirigersi verso un fine prestabilito, ma ignoto.
Dopo gli incidenti di Giordano Bruno, di Giulio Cesare Vanini, di Galileo
Galilei e di altri eretici che sulla base di nuove osservazioni filosofiche e
scientifiche cominciavano a contestare le teorie fondate sulla verità biblica,
apparvero i lavori di Georges Louis Leclerc de Buffon87, dell'inglese Erasmus
Darwin88, nonno del più famoso Charles e di Jean Baptiste de Lamarck 89, oggi
considerato il vero padre e pioniere dell'evoluzione, che anticipò di oltre
cinquanta anni le teorie di C. Darwin e di H. Spencer.
Nel 1809 Lamarck presentò per primo una teoria che indicava come gli
organismi viventi si modificherebbero gradualmente nel tempo. L'uso o il non
uso degli organi - sosteneva – avrebbe portato ad un loro potenziamento o a
un'atrofia anche negli eredi. L'ipotesi implica l'idea di fondo di Lamarck:
l'ereditabilità dei caratteri acquisiti nel corso dell'esistenza.
Non fu difficile, in seguito, smontare questa teoria con semplici esempi
facilmente verificabili. Per esempio: un culturista non avrà necessariamente
figli muscolosi; la muscolosità del culturista è, infatti, una manifestazione di
ciò che riguarda la forma che deriva dall'interazione con l'ambiente (il sollevare
ripetutamente pesi), che non entra a far parte del suo patrimonio genetico.
Tuttavia nel XXI secolo la nuova scienza dell'epigenetica 90 sostiene che possono
esistere altre interpretazioni dei fenomeni biologici legati al fenotipo (che
riguarda la forma) e al genotipo (che riguarda la funzione). Ebbene, queste
nuove interpretazioni favorirebbero la teoria di Lamarck per la quale alcuni
aspetti del comportamento potrebbero essere trasmessi geneticamente già nella
generazione successiva rispetto a quella durante la quale si sono manifestati.
Lascio al lettore immaginare la potenzialità della verifica scientifica di questo
assunto.
3. La scienza che nega la verità biblica.
A partire dal diciannovesimo secolo, comunque, furono sempre più numerosi
i ricercatori che consideravano i reperti fossili secondo un'ottica diversa rispetto
a quella della Bibbia. Essi furono duramente attaccati dalla Chiesa cattolica che
G. L. Leclerc de Buffon (1707-1788), matematico, cosmologo e naturalista francese.
E. Darwin (1731-1802) filosofo e medico inglese.
J. B. De Lamarck (1744-1829) zoologo, chimico e botanico francese.
L'epigenetica è una branca della genetica che descrive le modificazioni che variano
l’espressione genica ereditaria, pur non alterando la sequenza del DNA.
87
88
89
90
55
considerava le teorie evoluzioniste come vere e proprie eresie degne di
scomunica o peggio di morte; esattamente come oggi fa l'Islam nei confronti
degli scienziati islamici evoluzionisti.
Ebbene, nonostante queste considerazioni, a distanza di circa quattrocento anni
dalla morte del più grande eretico della storia (Giordano Bruno), il 18 febbraio
2000 il papa della Chiesa cattolica con una lettera inviata tramite il suo
segretario di stato Sodano a un convegno su G. Bruno a Napoli esprime
profondo rammarico per la sua morte atroce 91, ma la considera “un triste
episodio della storia cristiana moderna” che tuttavia “non consente la sua
riabilitazione perché il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte
intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi,
incompatibili con la dottrina cristiana”.
Agli inizi del terzo millennio la Chiesa cattolica non vuole ancora rendersi
conto del cambiamento in atto, perché sa che la sua fase finale potrebbe iniziare
proprio da C. Darwin che aveva scritto di non avere “il minimo dubbio sulla
rigorosa e letterale verità della Bibbia”, ma si poneva più tardi l'angoscioso
interrogativo di un “Dio spietato” citando il modo col quale gli Icneumonidi92
fanno a pezzi le loro prede.
… non possiamo meravigliarci se tutte le combinazioni della natura non
sono perfette, almeno per quanto può desumerci dal nostro giudizio, e se
alcune di queste disposizioni naturali ripugnano alle nostre idee
sull'adattamento delle forme. Né ci sorprenderà che l'aculeo dell'ape
cagioni la morte dell'ape stessa; che i fuchi siano prodotti in sì gran
numero per un solo atto; e che una gran parte di essi sia uccisa dalle
sterili operaie; ... che l'ape regina abbia un odio istintivo per le proprie
figlie feconde; che l'icneumone si nutra del corpo vivente dei bruchi. 93
Da problemi angosciosi come quello che si poneva C. Darwin, tuttavia, nuove
idee cominciarono a scaturire dalle successive scoperte scientifiche; scoperte
che portarono a reinterpretare la storia dei fossili, non più considerati in
riferimento ad una prima creazione universale o al dettato biblico.
Per quanto io ne sappia il libro che maggiormente influenzò il pensiero e
l'opera di Charles Darwin fu Principi di geologia, scritto dal geologo scozzese
Charles Lyell, di una decina di anni più anziano di lui. Con le sue ricerche in
Principi di geologia pubblicato nel 1830 Lyell aveva cercato di approfondire le
Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, con la lingua serrata da una morsa
perché non potesse parlare o gridare, Bruno venne condotto al patibolo denudato, legato a un
palo e arso vivo. Le sue ceneri furono gettate nel Tevere.
92 Gli Icneumonidi sono imenotteri solitari che per la maggior parte svolgono il loro ciclo di
sviluppo come parassiti a spese di altri insetti. In pratica i bruchi vengono mangiati dalle larve
che li mantengono in vita cibandosi prima delle parti non vitali e poi di tutto il loro corpo.
91
93
C. Darwin, Sull'origine delle specie, cit., p. 502.
56
tesi di James Hutton94, oggi considerato uno dei padri fondatori della geologia
moderna, le cui concezioni sull'evoluzione della crosta terrestre erano
rivoluzionarie per i tempi in cui le concepì.
Lyell, inoltre, si contrapponeva al catastrofismo geologico di Georges Cuvier95,
biologo francese universalmente conosciuto come il padre dell'anatomia
comparata. Per approfondire le sue ricerche Cuvier si mise alla ricerca di fossili
studiando in profondità le rocce. Ben presto si rese conto che usando questa
tecnica apparivano tracce di stratificazioni regolari di giacimenti in cui si
trovavano reperti ossei che potevano essere riportati ad ambienti e tempi
differenti per i caratteri fisici e morfologici che mostravano. Tuttavia nel libro
“Ricerche sulle ossa fossili” Cuvier interpretava i risultati delle sue
osservazioni in senso decisamente antievoluzionistico. Infatti, accertato che in
epoche passate erano vissute specie diverse ormai scomparse, riteneva che tutti
i mutamenti fossero dovuti a catastrofi naturali e pensava che le specie viventi,
in tempi remoti, si fossero estinte regione per regione e che in seguito le stesse
regioni venissero ripopolate dal Creatore con nuove specie.
Lyell, che considerava con disprezzo il catastrofismo di Cuvier indicandolo
come geologia mosaica, si rese conto che i reperti fossili mostravano numerose
e discontinue particolarità speciali anche dopo eventi catastrofici e non
considerò mai i risultati delle ricerche nell'ottica biblica. Non riteneva le
modificazioni discontinue dei reperti fossili come miracoli isolati e le osservò
come se accadessero “attraverso l'intervento di cause intermedie” come “un
processo naturale in contrapposizione a un processo miracoloso.”96
Sosteneva inoltre che la somma dei lenti e costanti effetti delle forze naturali
aveva prodotto cambiamenti dell’ambiente e che questo avesse effettivamente
operato, in tempi molto lunghi, anche sugli organismi viventi modificandoli.
Tale osservazione fu alla base di ciò di cui Darwin aveva bisogno per
sviluppare la sua teoria sull'origine delle specie.
4. I batteri come precursori dell'evoluzione sociale della vita.
Non so a quanti politici possa oggi interessare conoscere a cosa sia dovuta
l'affermazione e l'evoluzione della vita sulla Terra. La religione ha dato la sua
sentenza inappellabile: la creazione da parte di Dio è argomento indiscutibile.
Solo negli ultimissimi secoli abbiamo cominciato a disporre delle informazioni
scientifiche necessarie per affrontare il tema della creazione in modo diverso da
quello della Bibbia. Ad esempio L. Margulis scrive in proposito in
J. Hutton (1726-1797), geologo scozzese considerato il padre della geologia moderna .
G. Cuvier (1769-1832), biologo francese.
In Osservazioni sul pensiero di Lyell, di E. Mayr (1904-2005), biologo e genetista tedesco
naturalizzato americano.
94
95
96
57
Microcosmo:
Corporazioni viventi, alcune cellule hanno avuto inizio dal sopravvento
di un organismo ostile su un altro. ... I mitocondri sono stati i primi
componenti delle corporazioni cellulari che hanno fornito indizi sulle
loro origini. … Questi ed altri indizi mirano a dare la seguente
spiegazione per i mitocondri: essi devono essere stati un tempo dei
batteri, rintanatisi come simbionti all'interno delle cellule batteriche più
grosse di loro.97
La base scientifica della citazione è costituita dal DNA mitocondriale: un
organello contenuto anche nelle cellule del nostro corpo che funziona come
fabbrica chimica per fornire agli organi l'energia di cui hanno bisogno.
Per questa grande scienziata i mitocondri erano in origine piccoli batteri,
predatori spietati, che per la prima volta erano riusciti a produrre l'energia
necessaria per i loro processi biologici respirando l'ossigeno, gas tossico per
tutti gli altri batteri che per produrre energia usavano altri gas presenti
nell'atmosfera primordiale. Ebbene, questi piccoli batteri, dotati di maggiore
energia derivante dalla respirazione dell'ossigeno aggredivano prede più grandi
di loro finché, in tempi molto lunghi, cominciarono a trovare vantaggioso
insediarsi stabilmente nel corpo dell'ospite dei cui scarti potevano nutrirsi.
Predatore e ospite, evidentemente, traevano vantaggio reciproco dalla loro
unione simbiotica in quanto il primo riusciva ad utilizzare vantaggiosamente i
prodotti di scarto del secondo, mentre questo si avvantaggiava dal meccanismo
della respirazione dell'ossigeno del predatore che gli forniva una maggiore
quantità di energia disponibile.
Così facendo i due batteri realizzavano un “nesso spontaneo di reciprocità“
biologicamente permanente trasformando stabilmente un comportamento che
fino allora era stato predatorio, conflittuale e violento, in uno cooperativo e
mutualistico che comportava maggiore stabilità, maggiore efficienza, minor
consumo di energia e vantaggi reciproci.
Ebbene, la spontaneità del legame di reciprocità basato sulla cooperazione e
sul vantaggio reciproco (mutualistico) è stata anche all'origine del successo
evolutivo dei gruppi e delle società animali, comprese quelle della nostra specie
e hanno consentito la sopravvivenza delle specie socialmente evolute oggi
esistenti sul pianeta, rispetto al 99% di quelle che si sono estinte.
In sostanza la nostra esistenza come specie è dovuta a un processo spontaneo
cooperativo e mutualistico che si è manifestato originariamente come
“simbiosi” fra due diverse specie di batteri (un piccolo predatore e una grande
preda), che l'adottarono miliardi di anni fa per migliorare la loro capacità di
adattamento all'ambiente esterno attraverso una maggiore quantità di energia
97 L. Margulis e D. Sagan, Microcosmo, cit., p. 133.
58
disponibile, giungendo a trasmetterlo ai propri eredi, fino a noi.
Cerchiamo di immaginare l'antenato dei nostri mitocondri: un
aggressore spietato, capace di utilizzare l'ossigeno per la respirazione,
quando questo gas è presente nell'ambiente, oppure di farne a meno
quando è necessario. Gli antenati dei mitocondri hanno invaso altri
nostri antenati batterici e si sono riprodotti al loro interno. All'inizio, gli
ospiti con i loro occupanti riuscirono, anche se miseramente, a
sopravvivere. Ma quando morirono trascinarono con sé i loro assalitori.
Alla fine rimasero solo quelle aggregazioni i cui membri erano
impegnati in una cooperazione reciproca.98
È evidente che se questo processo biologico spontaneo di cooperazione
reciproca non si fosse dimostrato vantaggioso rispetto alle sfide offerte
dall'ambiente interno o esterno, o se non avesse determinato un miglioramento
delle capacità di riproduzione, di conservazione, di risparmio di energia e di
miglioramento dell'efficienza dei sistemi sociali del vivente, le comunità di
cellule e di individui che hanno popolato e popolano la Terra o sarebbero
completamente diverse, o non esisterebbero affatto.
Oggi, sulla base delle conoscenze raggiunte in diversi campi di indagine,
possiamo addirittura andare oltre ai batteri come precursori dell'ordine sociale.
Molti scienziati accettano oggi l'idea che gli animali, compreso l'uomo,
siano colonie gigantesche di geni simbiotici, che nel corso di miliardi di
anni hanno imparato a trasferire nelle informazioni del codice genetico,
i vantaggi reciproci ottenuti dall'unione e dalla cooperazione spontanea.
Dobbiamo andare al di là della teoria darwiniana, che enfatizza
l'importanza degli individui, e mettere in primo piano l'importanza della
comunità. … l'evoluzione dipende molto più dall'interazione fra le
diverse specie che da quella fra individui della stessa specie.
L'evoluzione diventa una questione di sopravvivenza dei gruppi più
adatti, invece che degli individui, più adatti.99
Sulla base di queste osservazioni confermate di recente dal padre della
sociobiologia E. O. Wilson in La conquista sociale della Terra (2013), credo di
poter sostenere che la società umana è un processo di aggregazione biologica
non solo fra individui, ma anche fra specie diverse in vista dei benefici comuni
che può comportare la loro unione cooperativa e mutualistica.
Credo che tutti dobbiamo riflettere per cercare di comprendere se l'evoluzione
individuale e sociale sia una questione di sopravvivenza degli individui più
adatti, oppure dei gruppi, delle comunità e delle società più adatte.
98, L. Margulis e D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 136.
99 Bruce Lipton, biologo cellulare americano, La biologia delle credenze, Macroedizioni,
Scienza e conoscenza, trad. G. Fiorentini, Cesena, 2005, p. 50.
59
Dalla soluzione di questo problema a mio avviso dipende anche il modo di
organizzare l'ordine sociale e politico dell'Umanità futura, in vista della crescita
della coscienza, della stabilità, della sicurezza, del benessere e della pace.
Tutto ciò, naturalmente, ammesso che vogliamo davvero cambiare il modo di
organizzare la società in vista della nuova tappa che ci attende lungo il percorso
della nostra inevitabile evoluzione animale.
5. Eravamo scimmie e ancor molto prima … piccolissimi batteri.
Giunto a questo punto devo fare un'amara considerazione: se molti ritengono
ancor oggi spregevole l'idea che indica una specie di scimmie come
progenitrice della specie umana, mi immagino cosa possano pensare dell'idea
che l'uomo - come riporta Lynn Margulis in Microcosmo - ha come progenitori
antichissimi i batteri dai quali deriva molte delle sue qualità, funzioni e
comportamenti.
In effetti i batteri e la loro evoluzione sono così ricchi di significato, che
la divisione fondamentale fra le forme di vita sulla Terra non è tra piante
e animali, come si suppone comunemente, ma fra procarioti, organismi
composti di cellule prive di nucleo cioè i batteri, ed eucarioti, cioè tutte le
altre forme di vita. ... Questi organismi “fusi insieme” si evolvettero poi
in forme di vita più complesse che respiravano ossigeno. Vi fu, dunque, in
questo caso, un meccanismo evolutivo più brusco della mutazione: una
alleanza simbiotica che divenne permanente.100
Oggi pochissimi sanno che il corpo di ogni essere umano è anche un immenso
aggregato di cellule batteriche e che circa il 10 % del suo peso secco è
costituito da batteri che coesistono con noi e sono assolutamente necessari alla
nostra sopravvivenza.
Ebbene, le cellule batteriche, che nei geni contenevano le informazioni sulla
cooperazione e sul reciproco vantaggio che avrebbero portato alla costituzione
spontanea delle società animali, si sono formate ai primordi della vita.
Forse per questo gran parte dei paleontologi del ventesimo secolo si sono
limitati a prendere in considerazione il momento in cui, circa 585 milioni di
anni fa (periodo Cambriano), i reperti fossili potevano rappresentare l'inizio
dell'era della vita sul pianeta e a ritenere che fosse apparsa solo allora.
Tuttavia fu così che la data della creazione, più o meno 6.000 indicata nel 1650
dall'arcivescovo della Chiesa d'Irlanda James Ussher, come già riportato,
cominciò a essere spostata indietro di oltre mezzo miliardo di anni.
Da parte sua Darwin così conclude On the origin of species:
100
L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit. pp. 5, 7.
60
Vi ha certamente del grandioso in queste considerazioni sulla vita e
sulle varie facoltà di essa, che furono impresse dal Creatore in poche
forme o anche in una sola; e nel pensare che, mentre il nostro pianeta si
aggirò nella sua orbita, obbedendo alla legge immutabile della gravità,
si svilupparono da un principio tanto semplice, e si sviluppano ancora
infinite forme, vieppiù belle e meravigliose.101
Le parole: “in poche forme o anche in una sola”, fanno pensare che Darwin
avesse in mente un'idea inconfessabile al tempo in cui visse: che tutta
l'evoluzione della vita fossa dipesa da una sola forma. Del resto ...
... Nulla prova che gli esseri umani siano i sommi amministratori della
vita su questo pianeta, né la discendenza svilita di un'entità
extraterrestre super-intelligente. C'è la prova, invece che siamo il frutto
della ricombinazione di potenti comunità batteriche, con una storia di
molti miliardi di anni. Facciamo parte di un intreccio aggrovigliato che
deriva dall'originaria conquista della Terra da parte dei batteri. Le
capacità di intelligenza e tecnologia non ci appartengono in modo
specifico, ma sono di tutti i viventi.102
Ebbene, il carattere unitario e di coerenza evolutiva del piano di autoorganizzazione, che dalla materia conduce alla vita, è oggi messo in evidenza
dalla scienza della biologia cellulare, della sociobiologia e dell'etologia che lo
riconducono all'origine dei batteri e alla strutturazione spontanea della catena di
sequenze genetiche contenute nell'elica immortale.
6. La rivoluzione della genetica: da Gregorio Mendel alla scoperta dell'Elica
immortale.
A partire dalla costruzione dei microscopi e dei telescopi si è avviata la
grande rivoluzione della conoscenza della natura e dell'Universo.
“La vita - scrive Lynn Margulis in Microcosmo - ha una storia così
interessante che non ci si può permettere di perdere l'inizio. Gli storici
cominciano forse lo studio della civiltà con la fondazione di Los Angeles? Così
sarebbe lo studio della storia naturale se si ignorasse il microcosmo”.
Da 700 milioni di anni in poi la spinta evolutiva della vita ha fatto un enorme
salto qualitativo e l'evoluzione dei primi sistemi nervosi in cervelli ha permesso
di elaborare in modo sempre più efficiente una quantità di informazioni
disponibili mai esistita nel corso dei miliardi di anni precedenti. Da questo
processo è dipesa la comparsa della nostra specie che è capace di utilizzare solo
l'8/10% delle potenzialità del cervello formate in un tempo così lungo.
101
102
C. Darwin, Sulla origine delle specie, cit., p. 519.
L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit., p.11.
61
Da circa ottomila a tremila anni or sono, dall'Egitto e poco dopo da un piccolo
promontorio che dall'Asia minore si protende nel Mediterraneo, la Grecia, in un
lampo di genio l'uomo creò la scienza. Con i tentativi di formulazione delle
prime leggi naturali la scienza diventa anche un metodo di indagine sociale che
esplora sistematicamente i fenomeni osservabili della natura, ricercandone
incessantemente le cause che li producono e verificando sperimentalmente i
risultati. Agendo sulla base rigorosa dei dati acquisiti e della loro diffusione, la
scienza è diventata una sorta di impresa collettiva la cui attività complessiva è
di gran lunga superiore a quella che può svolgere un singolo cervello.
Ebbene, per spiegare i suoi risultati sulla trasmissione dei caratteri ereditari
nelle piante, Gregorio Mendel103, un abate nato una decina di anni dopo
Darwin, indicò quelli che successivamente furono chiamati geni104 come un
insieme di fattori.
La parola “gene” era all'inizio usata per indicare qualunque “fattore
ereditario” che segue le leggi mendeliane, ma, dopo che fu chiarita la
struttura chimica del patrimonio ereditario, fu riservata a un intero
segmento di DNA capace di produrre un'unità biochimica fondamentale
nel funzionamento di una cellula: la proteina.105
Il gene è una sequenza di DNA che controlla un carattere ereditario. Viene
trascritta come unità e contiene informazioni biologiche per una sola proteina o
per più proteine tra loro correlate. Oggi sembra che gli errori del nostro DNA
siano sepolti nelle porzioni di DNA non codificante, quasi potessero costituire
una riserva in caso di necessità in ambienti diversi dall'attuale allo scopo di
offrire maggiori possibilità di sopravvivenza.
L'insieme dei cromosomi che contengono i geni di una cellula è chiamato
genoma e include sia i geni dell'elica immortale sia il DNA non codificante106 (o
DNA spazzatura), che è circa il 98 % di quello complessivo.
La scoperta della struttura del DNA è senz'altro la più importante finora
compiuta dalla biologia, perché spiega che cosa è la vita, e ha posto le
basi per capire tutto il resto. 107
Nel corpo umano vi sono circa diecimila trilioni di cellule ognuna delle quali
G. Mendel, (1822-1884) biologo e matematico Ceco e frate agostiniano; è il precursore
della moderna genetica per le sue osservazioni sui caratteri ereditari.
104 La parola gene fu coniata dal botanico danese Wilhelm Johannsen (1857-1927).
105 L. L. Cavalli Sforza, La specie prepotente, Ed. S. Raffaele, Milano, 2010, p. 51.
106 Allo stato attuale delle conoscenze non è ancora ben nota la funzione del DNA non
codificante. I ricercatori ritengono che potrebbe essere una sorta di riserva di sequenze di DNA in
grado di influire su geni specifici dell'elica immortale favorendone l'attivazione o impedendo il
funzionamento.
107 L. L. Cavalli Sforza, ivi, cit. p. 67.
103
62
contiene un lungo filamento di DNA (circa due metri) che è l'insieme di
istruzioni in grado di costruire un corpo. Le istruzioni sono scritte nell'alfabeto
dei nucleotidi (A, C, G, T). 108. L'ordine con il quale i nucleotidi sono collegati fra
di loro, determina il carattere ereditario. È sufficiente il cambiamento di
posizione anche di un solo nucleotide per produrre effetti importanti su tutto
l'organismo o sul comportamento.
Oggi sappiamo che tutti gli animali, le piante, i batteri e i virus, sono macchine
di sopravvivenza molto diverse fra loro, che hanno in comune alcune
informazioni genetiche specifiche. Un moscerino, la drosofila, ad esempio, ha
il 60% dei geni identici a quelli umani, un topo ne ha il 90%. In una banana il
50% di funzioni chimiche avvengono nello stesso modo di quelle di un
organismo umano. Nonostante le grandi differenze fra i geni di una balena, di
un topo, di una quercia e di una banana, la loro chimica fondamentale è molto
simile e il funzionamento dei loro replicatori è sostanzialmente uguale, come in
tutto il vivente.
La grande scoperta di Mendel è stata dimostrare che le unità genetiche
ereditarie possono essere studiate come particelle indivisibili e indipendenti. La
struttura dei geni non invecchia si conserva e si riproduce, passando di corpo in
corpo nel corso delle generazioni e ha la stessa probabilità di scomparire nel
corso della generazione nella quale il gene si è formato, come dopo cento o
mille milioni di anni. Per questo in biologia i geni vengono indicati come
immortali.
Appena pochi decenni fa queste informazioni non erano conosciute e l'esistente
era unicamente il prodotto della creazione di una divinità immaginaria e
onnipotente in grado di creare dal nulla l'esistente.
7. Darwinismo sociale e sociologia
Nonostante l'abbondanza di materiale scientifico oggi disponibile che
riguarda anche l'uomo e la sua società, pochissimi studiosi dell'ordine sociale
hanno preso in considerazione le nuove conoscenze relative al funzionamento
dei sistemi biologici complessi e super-complessi dinamici e adattativi.
Solo di recente alcuni scienziati e filosofi hanno cominciato ad ammettere che
la morale sociale della natura, nonostante le apparenze indichino il contrario, è
superiore a quella dell'uomo.
Tuttavia, anche nel presente creazionismo ed evoluzionismo sembrano essere
termini difficilmente conciliabili. Ad esempio: in alcuni stati americani forti
gruppi di opinione che contestano la teoria di Darwin in nome del creazionismo
biblico hanno chiesto, tramite azioni legali, uguale (o addirittura superiore)
108 A - adenina, C - citosina, G - guanina, T - timina. I nucleotidi sono esteri fosforici costituiti
da una base azotata, da uno zucchero e da un gruppo fosfato.
63
legittimità per la tesi creazionista durante le lezioni di Scienze nelle scuole
pubbliche, e che la teoria dell'evoluzione della vita sulla Terra non sia ammessa
nei programmi di studio.
Altro esempio: nel 2006 le guide turistiche del Grand Canyon, Colorado, hanno
ricevuto la direttiva di non rispondere a chi avesse domandato l'età del canyon
(5-6 milioni di anni secondo i geologi) per non offendere la sensibilità dei
fondamentalisti religiosi per i quali il mondo fu creato circa 6.000 anni a. C. .
L'Islam, purtroppo, non è da meno. Secondo quanto riferisce l'Indipendent on
Sunday, un importante Imam che insegna fisica all’università del Middlesex,
Usama Hasan socio della Royal Astronomical Society, è stato minacciato di
morte e addirittura costretto a rinnegare l’opinione da lui espressa in una
conferenza tenuta a gennaio in una moschea di Londra, che la teoria darwiniana
dell’evoluzione sia compatibile con l’Islam; opinione peraltro condivisa da altri
studiosi islamici con formazione scientifica109.
La Teoria dell'evoluzione è presa a pretesto dai musulmani integralisti per
screditare quegli Imam che a parer loro sono troppo progressisti. Infatti per la
religione islamica “Darwin è bestemmia” e i fedeli fanatici minacciano di
apostasia110 chi condivide le idee evoluzioniste giustificando così l'uccisione del
musulmano/a che si dichiarasse a suo favore.
Anche la maggior parte dei filosofi sociali occidentali si è dimostrata
abbastanza indifferente davanti alla scoperta di Darwin, servendosene talvolta
per giustificare ipotesi filosofiche o per proteggere meschini interessi di
bottega. Tuttavia la maggior parte delle opposizioni al darwinismo restano di
natura religiosa o di natura ideologica; mentre i teorici marxisti estremi non la
ritengono in linea con il materialismo dialettico. Questo non toglie che Karl
Marx abbia utilizzato le idee esposte in “Origine delle specie, ... per fondare
sulla selezione naturale la lotta di classe nella storia”111.
Successivamente a L'origine delle specie, nasce l'idea del Darwinismo sociale
di cui Herbert Spencer è il fondatore universalmente riconosciuto.
I grandi capitalisti utilizzarono subito l'idea della sopravvivenza del più adatto
unitamente all'idea di disuguaglianza come legge di natura, per giustificare i
sistemi economici altamente concorrenziali e conflittuali e le stratosferiche
differenze di ricchezza posseduta, dimenticando che tali sistemi possedevano
alcune delle caratteristiche più brutali dell'animalità, fra le quali l'uso della
violenza, il dominio, la predazione, la sopraffazione, lo sfruttamento dei più
deboli e indifesi e la guerra contro popoli tecnologicamente arretrati che
vivevano su territori con grandi risorse naturali.
Purtroppo ancor oggi questa mentalità continua a dominare gli schemi mentali
109 Agorax vox Italia, marzo 2011, articolo di Ermanno Morgari.
110 L'Apostasia è l'abbandono di una fede religiosa.
111 Vedi: C. Zirkle, Evolution, Marxian Biology and Social Scene, University of Pennsylvania
Press, p. 86.
64
della maggioranza delle persone che hanno grandi interessi economici, politici
o religiosi da difendere. È evidente che in questa ottica il cambiamento del
modo di concepire l'organizzazione sociale in coerenza con la legge di natura
diventa una chimera. Scrive Lynn Margulis in Microcosmo:
La sopravvivenza del più idoneo, un motto coniato dal filosofo Herbert
Spencer, venne utilizzato dagli imprenditori alla fine dell'Ottocento per
giustificare le miserabili pratiche come l'impiego di manodopera
infantile, il commercio degli schiavi, e il ricorso a condizioni di lavoro
disumane. Distorto al punto che solo il più spietato vince la “lotta per
l'esistenza”, il concetto implicava che anche lo sfruttamento, essendo
una cosa naturale, era moralmente accettabile.
Andrew Carnegie112, grande industriale americano nativo in Inghilerra ricordato
per aver costruito una delle più potenti corporazioni della storia e reso celebre
negli ultimi anni della sua vita per l'attività filantropica e per aver fondato
università, biblioteche e musei, scrisse nel 1900 che: “... dobbiamo accettare e
accogliere le grandi inuguaglianze, la concentrazione degli affari, sia
industriali sia commerciali, nelle mani di pochi e la legge della competizione
fra questi ultimi, non solo come benefiche, ma come essenziali al futuro
progresso del genere umano”.
Dopo Carnegie, il nazista Himmler sostenne, infatti, che il darwinismo forniva
un supporto all'idea della necessità di liberare l'Europa dagli Ebrei, da lui
considerati inadatti ai fini del progresso sociale.
Credo che non dovremo mai dimenticare che la natura risponde sempre alla
violazione delle sue leggi e che il tempo non costituisce un ostacolo alla sua
risposta che è quasi sempre improvvisa e terribile, in grado di colpire i singoli,
come i gruppi, le comunità come i grandi stati. L'eccessiva disuguaglianza
economica e politica fra gli individui è una di queste violazioni.
112
A. Carnegie (1835-1919)
65
Capitolo VI
I sistemi complessi
1. Ilya Prigogine e la Teoria della complessità dei sistemi
Ilya Prigogine113 è stato uno dei grandi protagonisti della cultura filosofica e
scientifica del XX secolo. Nel 1977 gli fu conferito il premio Nobel per i suoi
studi sulla chimica e per le scoperte nell'ambito della termodinamica. A partire
dal 1947 insegna fisica e chimica all'Università di Bruxelles e venti anni dopo
assume l'incarico di dirigere il prestigioso Center for Statistical Mechanics and
Thermodynamics dell'Università del Texas.
In uno studio dato alle stampe nel 1967 intitolato Structure, Dissipation and
Life, Prigogine introduce il concetto di struttura dissipativa con la quale
intende un sistema termodinamico aperto più o meno lontano dall'equilibrio,
che scambia energia e materia con l'ambiente producendo ordine dal disordine
e nuova informazione. Dal non-equilibrio - afferma Prigogine - sorge continuamente ordine ed è così che la natura crea i sistemi dissipativi, quali sono gli
esseri viventi. La caratteristica del vivente è di influire sullo stato di equilibrio
dell'energia assorbendola e restituendola all'ambiente sotto forma di calore.
Lo scienziato sviluppa poi in senso filosofico il concetto di complessità dei
sistemi facendone il cardine di una nuova logica in grado di integrare punti di
vista fino allora inconciliabili: la cultura umanistica (il mondo delle arti e delle
humanae litterae quali sono la grammatica, la retorica, la storia, la poesia e la
filosofia, ecc.), con la cultura scientifica (il complesso delle scienze esatte quali
sono la fisica, la matematica, la chimica e la biologia, ecc.).
Nasce così una Nuova alleanza tra due culture tenute artificialmente separate
per secoli: l'Umanesimo e le Scienze della natura.
Con l'idea di struttura dissipativa Prigogine giunge al concetto di autoorganizzazione dei sistemi dinamici complessi adattativi e ponendoli fuori del
terreno esclusivo della fisica e della chimica, invade la biologia, i sistemi
sociali e il modo in cui essi si sono organizzati nel corso della storia umana.
Da queste riflessioni nasce, nel 1979, La nuova alleanza114 il suo libro più
importante, più bello e più controverso, scritto a quattro mani con la sua
collaboratrice Isabelle Stengers.
Per la scienza della complessità l'irreversibilità dei sistemi gioca un ruolo
essenziale in natura e lungi dall'essere un'illusione è all'origine dei processi
113 I. Prigogine (1917–2003).
114 La Nuova alleanza, edito in Italia da Einaudi nel 1981.
66
biologici e della loro auto-organizzazione individuale e sociale.
Con La nuova alleanza Prigogine e Stengers rispondono a Il caso e la
necessità, un saggio scritto dal biochimico francese Jacques Monod 115.
Se il lucido pessimismo esistenziale di Monod proclama che la scienza ha
infranto l'antica alleanza tra la natura e l'uomo, Prigogine e Stengers cercano di
ricomporre il dissidio sostenendo che la vita (e quindi l'uomo) non è frutto del
caso, bensì delle fluttuazioni irreversibili di sistemi dinamici complessi e
adattativi capaci di auto-organizzarsi.
Se Darwin ci ha insegnato che l'uomo è un prodotto dell'evoluzione biologica e
se Einstein ci ha insegnato che siamo immersi in un Universo in continua
evoluzione, Prigogine e Stengers ci insegnano che l'intero universo è un
insieme di sistemi dinamici adattativi e che gli esseri viventi e la storia
dell'uomo sono un processo naturale, spontaneo indirizzato verso l'autoorganizzazione e l'auto-regolazione. Ebbene questo processo, dal punto di vista
politico, è sinonimo di autogoverno degli individui come delle comunità.
Con la prospettiva di osservare la storia dell'evoluzione dell'energia, della
materia e della vita nel suo percorso storico di circa tre miliardi di anni, si
presenta l’occasione di instaurare La nuova alleanza tra l’uomo e la natura.
Sulla base di questa nuova logica l'organizzazione sociale umana dovrebbe
essere concepita filosoficamente, giuridicamente, biologicamente e socialmente
come un fenomeno legato alla recenti scoperte della scienza e non alle
interpretazioni dedotte da dogmi teologico-politici di un oscuro passato.
2. Friedrick A. Von Hayek
Nel 1974 il premio nobel F. Von Hayek e altri due premi nobel L. Onsager e
Ilya Prigogine dedicarono la loro attenzione al passaggio dal disordine
all'ordine auto-organizzato e spontaneo nell'evoluzione storica dell'universo.
In un primo tempo Hayek aveva separato decisamente le scienze sociali dalle
scienze naturali accusando di scientismo tutti coloro che cercavano di trasferire
i metodi di indagine dal campo delle scienze naturali a quello delle scienze
sociali, di cui l'economia è una componente fondamentale.
Successivamente, soprattutto in seguito al contributo di Karl Popper 116, Hayek
riduce progressivamente questa separazione, giungendo a distinguere i
fenomeni semplici dai fenomeni complessi e ponendo fra questi ultimi la
società umana. Con questo passaggio abbandona l'idea che fra scienze sociali e
le scienze conosciute della natura debba esserci un confine netto e invalicabile.
In sintonia con Popper, Hayek sostiene che il problema primario delle scienze
115 J. Monod, biologo e filosofo francese, premio Nobel per la biologia. Il caso e la necessità è
stato pubblicato in Italia da Mondadori nel 1971.
116 K. Popper (1902-1994) filosofo politico austriaco naturalizzato britannico.
67
sociali è la conoscenza degli effetti non intenzionali del comportamento umano
molti dei quali risultano essere imprevedibili. A questa osservazione aggiunge
che per quanto riguarda la società umana anche la complessità del linguaggio,
dei mercati e dell'ordine sociale sono emersi tramite processi e strategie
evolutive spontanee di auto-organizzazione, come avviene in tutti i sistemi
complessi naturali. Giunge così a concludere che esistono due tipi di ordine
sociale: quelli costruiti a priori o a tavolino, e quelli spontanei.
Un ordine è costruito a priori - riporta Hayek - quando dipende dalla volontà di
qualcuno di creare esattamente un certo tipo di ordine: come ad esempio
avviene quando si pone in essere una qualsiasi ipotesi ideologica politica che
deve essere imposta mediante la realizzazione di piani o di strategie
preconfezionate. In quanto tale, l'ordine costruito sulla base della storia, della
fede in un'ideologia o di una filosofia di vita, è sempre e completamente
imposto dall'alto ed ha le caratteristiche dell'accentramento, della gerarchia e
della staticità, cioè cambia con molta difficoltà e generalmente degenera nella
violenza. Lo scopo di un ordine artificiale costruito a priori viene congegnato
in modo da servire sempre gli interessi e le aspettative di chi lo ha messo in
essere ed è generalmente prodotto da conoscenza limitata e orientato verso un
fine prestabilito da chi lo ha voluto creare.
L'esempio più chiaro di ordine costituito artificialmente a priori è lo STATO,
sinonimo di accentramento, di dominio, di gerarchia, di segreti e di instabilità.
Nelle società animali, diversamente, l'ordine sociale si forma inintenzionalmente grazie alla cooperazione spontanea, altruista e cooperativa di tutti i
membri della società. Questo tipo di ordine genera stabilità. Ne sono un
esempio le società degli animali eusociali come le api e le formiche e le termiti
la cui organizzazione sociale risale a più di cinquanta milioni di anni. Se
consideriamo che anche nella società umana e nell'economia di mercato
l'ordine nasce dal caos, l'assestamento spontaneo di milioni e milioni di
decisioni e di dati attraverso i quali si forma l'ordine sociale - scrive Hayek porta a un ordine superiore rispetto ai sistemi il cui ordine è costruito mediante
piani stabiliti a priori, ideologici, comunque prodotti da pianificazione,
controllo centralizzato e gerarchico che generalmente sfocia nel parassitismo
sociale, nella violenza fra gli individui e nella guerra fra popoli.
Sulla base di queste osservazioni Hayek concepisce l'economia di mercato
come il luogo in cui ognuno è libero di offrire beni e servizi ad altre persone
che, altrettanto liberamente, possono scegliere di accettarli o rifiutarli in regime
di competizione non violenta finalizzata all'interesse e al vantaggio comune.
Vale qui la pena ricordare che i termini competizione e concorrenza derivano
rispettivamente dal verbo latino cum-petere, che significa cercare insieme e
concorrere, ovvero correre-con.
Questo comportamento di libera scelta degli individui che formano il gruppo, la
comunità e la società, si dimostra coerente con il modo in cui si formano le
68
regole (le leggi) che la natura adotta per organizzare le società animali che crea.
La libertà è essenziale per far posto all'imprevedibile e all'impredicibile;
ne abbiamo bisogno perché, come abbiamo imparato, da essa nascono le
occasioni per raggiungere molti dei nostri obiettivi"117.
È ormai palese, infatti, che quando gli individui possono usare le opportunità
offerte da una situazione creata artificialmente (ad esempio da una Costituzione
o da leggi non condivise dalla maggioranza delle persone che formano la
società), adottano comportamenti e forniscono informazioni solo in apparenza
altruiste e cooperative per trarne vantaggio per sé o per il limitato gruppo di
appartenenza, sempre a spese di altri.
In tutti i tipi di associazione, dagli stati, alle chiese, alle corporazioni, ai partiti,
ai sindacati, alle lobbies, ecc., infatti, i comportamenti degli associati sono in
genere mossi da élites culturali, politiche, economiche e religiose come pedine
della dama in modo da promuovere e favorire gli interessi di quelli che
controllano il governo o che possono partecipare alla spartizione dei vantaggi
che ne possono derivare. La storia dà ampia, documentata e secolare
testimonianza di questa tendenza parassitaria attraverso il modo in cui si è
formato l'ordine sociale della nostra specie nei secoli passati. Per questa
ragione in un sistema sociale umano ordinato artificialmente a tavolino (le
ideologie e le scelte politiche dei soli rappresentanti), la concentrazione del
potere politico ed economico in poche mani cresce fino a diventare un
mostruosa macchina di spoliazione e di sfruttamento parassitario della
ricchezza prodotta dai lavoratori e dagli imprenditori.
L’elemento centrale dell’economia è fino a tal punto in loro pugno (a
pochi potenti o rappresentanti, n.d.a.), che nessuno osa respirare contro
il loro volere.118
Davanti a queste osservazioni credo che abbiamo veramente bisogno di una
nuova cultura dell'ordine sociale che ci permetta di orientarci nell'immenso
mare dell'impredicibile e dell'imprevedibile, affidandoci alle leggi conosciute
della natura.
3. Diventare consapevoli che l'universo è un insieme ordinato di sistemi che si
auto-organizzano e si auto-regolano spontaneamente.
Se finora le analisi e gli studi relativi all'ordine sociale sono stati riferiti a
117 F. Von Hayek, La società libera, traduzione di M. Bianchi di Lavagna Malagodi, Vallecchi,
Firenze, 1969.
118 Enciclica Quadragesimo anno, 1931, par. 106.
69
posteriori alla limitata storia dell'uomo, credo sia venuto il momento di
rivolgere l'attenzione a ciò che di nuovo indica la Terza cultura e in particolare
alla Teoria generale dei sistemi fondata da Ludwig von Bertalanffy.119
Questa Teoria nacque come risposta alle nuove conoscenze che la biologia
cominciava a sviluppare agli inizi del XX secolo. Le scoperte scientifiche in
ogni campo, infatti, fecero nascere la scuola di pensiero organicistica, che si
opponeva a quella meccanicistica caratteristica del secolo precedente.
Negli anni venti del secolo ventesimo il filosofo inglese Charlie Dumbar 120
Broad, a proposito dei sistemi coniò il termine Proprietà emergente,
contraddicendo il paradigma cartesiano per il quale il comportamento del tutto
può essere compreso studiando le proprietà delle sue parti.
Un esempio di proprietà emergente è rappresentato dalle proprietà della mente
come esito finale delle proprietà fisiche dei sistemi neuronali che, evolvendosi,
hanno prodotto il cervello. La consapevolezza e la coscienza nella specie
umana, infatti, sono qualità della mente che emergono e si manifestano come
qualcosa di diverso rispetto alle componenti neurofisiologiche che le hanno
originariamente generate negli animali, che non sarebbe stato possibile
prevedere a priori.
Partendo dagli studi dei sistemi complessi e delle loro proprietà emergenti, il
concetto di sistema si è rapidamente diffuso fino al 1984, anno in cui Murray
Gell-Mann121 fondò nel Nuovo Messico il Santa Fe Institute, che presto divenne
il punto di riferimento di tutti gli scienziati che si occupano di complessità dei
sistemi. Questi scienziati fanno ampio uso dei concetti di auto-organizzazione e
di emergenza dei sistemi in generale, compresi quelli che si riferiscono
all'ordine sociale della nostra specie.
Sinceramente non mi nascondo la difficoltà di rapportare l'ordine sociale
umano agli studi della complessità e dell'emergenza perché, per quanto io ne
sappia, si tratta di materia del tutto nuova rispetto ai modelli teologico-politici
secolarizzati attualmente adottati nel campo delle dottrine dell'ordine sociale.
Del resto è osservazione comune che l'umanità sta oggi affrontando problemi di
enorme portata derivanti dalla crescita esponenziale della complessità, destinati
ad accrescersi diminuendo la probabilità di trovare soluzioni efficaci a risolvere
i nuovi problemi che producono.
Questo allontanerà la possibilità di far emergere attraverso un nuovo ordine
sociale l'uomo nuovo atteso lungo i secoli da molti sognatori; un uomo dopo
l'uomo che nel caos intellettuale e morale nel quale stiamo sprofondando,
potrebbe permettere agli individui di buona volontà di trovare finalmente una
Terra consacrata sulla quale possano unirsi in nome della scienza, della morale
e della verità e parlare finalmente un linguaggio comune per costruire insieme
119 L. V. Bertalanffy, biologo austriaco, (1901- 1972).
120 C. Dunbar Broad (1887–1971), filosofo inglese.
121 M. Gell-Mann, fisico americano, premio Nobel per la fisica nel 1969.
70
un futuro dignitoso e giusto per le nuove generazioni.
Sarebbe la fine definitiva delle ideologie dalle quali sono nate le categorie
socio politiche, economiche e religiose che nei secoli recenti hanno diviso il
mondo, creando enormi differenze fra povertà estrema e ricchezza estrema.
Nelle attuali condizioni, infatti, la nostra civiltà più che a un sistema assomiglia
a una grossa infezione batterica che si espande sulla superficie del pianeta.
Continuando su questa strada le società moderne finiranno per esaurire le
risorse della Terra e per soffocare sotto il peso dei loro rifiuti materiali o delle
allucinazioni spirituali artificiali.
Sarà partendo da osservazioni simili a questa che potremo produrre un nuovo
modo di concepire la società per per una maggiore uguaglianza nella libertà?
Da parte mia per lunghi anni ho cercato di trovare una logica che fosse in grado
di dare significato al concetto di ordine sociale ricercandone le radici naturali.
Solo di recente mi sono reso conto che le teorie associate ai sistemi complessi
sono proprie della Terza cultura: una nuova corrente di pensiero che non si
riconosce interamente nella cultura umanistica secolarizzata o in quella
aridamente tecnologica. Ebbene, la Terza cultura sta producendo una nuova
filosofia naturale fortemente interdisciplinare 122 che cerca di integrare diverse
aree di ricerca nel tentativo sia di superare le barriere esistenti, sia di elaborare
un linguaggio comune semplice e accessibile a tutti che permetta di risolvere i
problemi creati nel passato.
Nella terza cultura troviamo sia i pionieri della Teoria della complessità, sia
filosofi, sia eminenti scienziati come Manfred Eigen biofisico e chimico
premio Nobel per la chimica, Isabelle Stengers chimica e filosofa, Ilya
Prigogine chimico e fisico Nobel per la chimica, Edgar Morin filosofo e
sociologo, Murray Gell-Mann Nobel per la Fisica, ecc..
Lo studio dei sistemi complessi dinamici e adattativi, che è l'oggetto della
Teoria della complessità, affronta sistematicamente questi e altri numerosi
problemi, cercando di offrire risposte e soluzioni utili allo sviluppo della civiltà
umana del futuro.
4. Sistemi chiusi e sistemi aperti.
I sistemi del vivente sono costituiti da reti di elementi e componenti che
interagiscono tra loro in modo locale e non lineare. Possono essere
strutturalmente chiusi (quando non hanno scambi di energia o di informazioni,
ad esempio una pietra), oppure funzionalmente aperti in quanto hanno continui
scambi di energia, di materia e di informazioni (il vivente, l'uomo, la società,
l'economia, la politica, ecc.).
I sistemi aperti sono formati da un grandissimo numero e da una enorme
122 Vedi: T. Tinti, http://www.tulliotinti.net/psicofilosofia/corsocomplex.htm
71
varietà di componenti, elementi, processi e soprattutto da legami di relazione.
In una singola cellula o nel corpo umano, ad esempio, tutto è in continua
interazione attraverso scambi di informazioni, di materiali e di energia.
Provate a immaginare la lunghezza di tutto il DNA contenuto in tutte le cellule
di un solo essere umano123: venti milioni di chilometri di possibili combinazioni
di quattro lettere che garantiscono al corpo l'unicità, la dinamicità, la stabilità e
la forma come singolo individuo.
In apparenza tutto l'esistente è come se fosse opera di un misterioso
progettista. Tuttavia per comprendere l'importanza dell'emergenza nei sistemi
credo sia anche necessario distinguere i sistemi lineari dai non lineari cercando
di illustrarne il significato con semplici esempi.
Un sistema è definito lineare se si può ridurre in tanti sotto-sistemi
indipendenti che però non interagiscono tra loro; mentre è indicato come non
lineare se gli elementi, le componenti e i processi che lo formano
interagiscono fra loro mediante scambio di energia, di materia o di
informazione.
Ebbene, ogni sistema complesso dinamico e adattativo del vivente si struttura
in vista di auto-organizzare e di auto-regolare il funzionamento e il
comportamento dei suoi elementi e processi equilibrandoli in modo altamente
efficiente, tale da permetterne la continua evoluzione accrescendo la quantità
delle informazioni disponibili, risparmiando energia, migliorando l'efficienza
del sistema; in poche parole creando ordine dal disordine.
Proviamo adesso a immaginare di applicare questo concetto a tutta la realtà che
compone l'universo e avremo un'idea di cosa si propongono di studiare gli
scienziati che si occupano della Teoria della complessità.
Ebbene, le osservazioni che ho riportato sopra valgono per tutto il vivente: per
una singola cellula come per un batterio, per il singolo corpo umano come per
una società, per un animale come per l'uomo, per un grande stato come per una
piccola comunità, per la politica come per l'economia o per la religione, per
l’ecologia come per un'impresa, per un ospedale come per un'azienda, per la
salute come per un sistema bancario, come per qualsiasi tipo di organizzazione
vivente o messa in essere dalla nostra specie.
Se, per esempio, consideriamo un ospedale come un sistema complesso non
lineare, scopriamo che esso è costituito da più reparti con funzioni specializzate
che hanno tra di loro legami di relazione basati su continui flussi di energia, di
materiali, di persone e di informazioni, in continua interazione.
Questi scambi consentono sia di raggiungere l'optimum dell'efficienza, sia di
creare le condizioni di spreco di energia passando dalla staticità al disordine.
Ebbene: per raggiungere efficienza e risparmio di energia le componenti del
sistema ospedale devono essere strettamente connesse e interdipendenti e avere
fra loro forti legami di reciprocità e di cooperazione.
123 Il DNA contenuto in ogni cellula del corpo umano è lungo circa 2 metri.
72
Dai legami di relazione dei vari reparti dell’ospedale così stabiliti, infatti,
emerge come un tutto organico: qualche cosa di più e di diverso rispetto alla
somma dei singoli reparti che lo compongono. In queste condizioni l'ospedale
nel suo complesso acquisisce proprietà, caratteristiche, qualità proprie e
specifiche che nessuna delle sue singole componenti possiede.
Ebbene: l'ordine di un sistema concepito su queste basi è paragonabile a quello
di una singola cellula, di un singolo batterio, di un singolo organismo o al
governo di una piccola comunità come di una grande società.
5. Il fenomeno dell'emergenza nei sistemi complessi.
Il fenomeno straordinario dell'emergenza nei sistemi aperti complessi
dinamici e adattativi del vivente che nel tempo hanno formato la realtà
osservabile è uno dei misteri più affascinanti della scienza moderna.
Per comprendere di cosa si tratta è necessario in primo luogo sgombrare la
mente dal significato che è comunemente attribuito alla parola “emergenza” di
cui mi occuperò qui molto succintamente. Infatti questa parola non si riferisce a
una situazione potenzialmente pericolosa alla quale è necessario far fronte con
urgenza, come comunemente si intende. Si tratta di cosa molto diversa.
Nel mondo fisico-chimico, biologico e sociale il fenomeno dell'emergenza è
sinonimo di auto-organizzazione. Quando un sistema esibisce nuove proprietà
inspiegabili sulla base delle leggi che regolano il comportamento delle sue
singole componenti, si ha il fenomeno di emergenza che scaturisce spontaneamente dalle interazioni non lineari fra i suoi elementi, componenti e processi.
Essendo comune a tutti i sistemi dell'Universo questo fenomeno naturale
potrebbe essere indicato come una misteriosa “emergenza del divenire”.
E' forse questo il meccanismo spontaneo che produce l'evoluzione a partire da
una forma di energia sconosciuta dalla quale si è manifestata nel tempo la realtà
che possiamo osservare e che investe tutta la natura, compresa l'organizzazione
dell'ordine sociale, le diverse forme di governo, il modo di fare le leggi, i
mercati, la moneta, la finanza, la politica, l'economia, la religione, il tempo
meteorologico, le fabbriche, gli ospedali, la scuola, la borsa, ecc..?
Ebbene: i sistemi non lineari, in certe condizioni di stabilità dinamica,
producono spontaneamente nel tempo comportamenti, proprietà, forme e
funzioni emergenti; quelli lineari no.
Dobbiamo tenere presente che ...
Il comportamento emergente di un sistema è dovuto alla non-linearità.
Le proprietà di un sistema lineare sono infatti additive: l’effetto di un
insieme di elementi è la somma degli effetti considerati separatamente, e
nell’insieme non appaiono nuove proprietà che non siano già presenti
nei singoli elementi. Ma se vi sono termini/elementi combinati, che
73
dipendono gli uni dagli altri, allora il complesso è diverso dalla somma
delle parti e compaiono effetti nuovi.124
Per esempio: l'acqua è emersa nella realtà del cosmo da una proprietà non
lineare di due diversi atomi: l'idrogeno e l'ossigeno. Immagino che tutti
sappiano che la molecola di acqua è un sistema composto da questi due
elementi sebbene in proporzioni diverse. Il primo, l'idrogeno, è l'elemento
chimico più abbondante nell'universo: un gas inodore, incolore, insapore,
infiammabile, più leggero di ogni altro; il secondo, l'ossigeno, è un gas inodore,
incolore, ma tossico per le prime forme di vita organica.
Ebbene, oggi sappiamo che quando questi atomi si uniscono nel rapporto H2O,
per le forze fisiche e chimiche che determinano la loro aggregazione si produce
un elemento nuovo (una molecola di acqua) che ha un comportamento e mostra
forme e proprietà completamente diverse rispetto agli atomi separati che la
formano.
Dunque si può dire che il sistema molecola di acqua emerge dall'unione di
atomi diversi le cui leggi, comportamento e aspetto fisico sono differenti
rispetto a quelle che la costituiscono. Senza acqua, infatti, non ci potrebbe
essere la vita come la conosciamo.
Un processo analogo a quello dell'acqua si può osservare nell'atomo di
carbonio. Anche il carbonio è un elemento senza il quale la vita come noi la
conosciamo non sarebbe apparsa sulla Terra. I composti chimici di cui è
costituita tutta la materia vivente, noi compresi, sono formati da carbonio
ridotto. Durante la fotosintesi, infatti, il carbonio viene ridotto chimicamente e
quindi reso disponibile come nutrimento per funghi, batteri, ecc., che rilasciano
biossido di carbonio come prodotto della loro respirazione.
La versatilità del carbonio è uno dei segreti della vita sulla terra. Gli
atomi di carbonio, nello stato di agitazione in cui vennero a trovarsi
nelle condizioni di calore, umidità e fusione che predominavano
nell'Archeano125, poterono combinarsi rapidamente con l'idrogeno,
l'azoto, l'ossigeno, il fosforo e lo zolfo, dando così origine a una vasta
gamma di sostanze diverse. Questo insieme di molecole contenenti
carbonio continua a esistere, a interagire e a evolversi. I sei elementi che
sono stati appena menzionati sono oggi il denominatore chimico comune
di tutti gli esseri viventi e rappresentano il 99% in peso secco di ogni
organismo. 126
Dalla combinazione dei sei elementi chimici sopra indicati sono emersi i
124 P. Bridgman (1882-1961), fisico e filosofo della scienza americano, in The Logic of Modern
Physics, The Mac Millan Company, New York 1927, citato in P. Magrassi Difendersi dalla
complessità, F. Angeli, 2009, p. 51.
125 L'Archeano, dal greco “inizio”, “origine”, è il più antico periodo della Terra.
126 L. Margulis e D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 42.
74
sistemi complessi degli amminoacidi, delle proteine e l'elica immortale del
DNA/RNA, che in seguito hanno prodotto la vita come noi la conosciamo.
La vita, dunque, è emersa dalla materia, proprio come la materia è emersa
dall'energia. A chi legge sembrerà impossibile che quanto sopra riportato
possa essere messo in relazione alla formazione dell'ordine sociale ma
vedremo che non è così perché nei sistemi complessi l'emergenza non è
prevedibile a priori con certezza. Chi avrebbe potuto prevedere che ...
Procarioti indipendenti entrarono in altri procarioti. All'interno, essi
cominciarono a digerire i rifiuti cellulari e i loro propri rifiuti vennero
utilizzati a loro volta, come alimento. Da una condivisione così intima
risultarono rapporti permanenti, in cui le cellule producevano cellule
discendenti, ben adattate a vivere all'interno di altre cellule. Con il
passare del tempo, queste popolazioni di batteri coevolutisi, divennero
comunità di microbi. Caratterizzate da un'interdipendenza dei loro
membri così marcata da essere, da un punto di vista pratico, i
protisti127 La vita aveva compiuto così un altro passo, superando tutto
quell'intrecciarsi di trasferimenti genetici liberi, per giungere al
sinergismo della simbiosi. Organismi separati si amalgamarono
creando nuovi insiemi, che erano qualcosa di più della somma delle
singole parti.128
Individui o elementi isolati, infatti, non produrrebbero quel Qualcosa in più che
permette la dinamicità dei sistemi nella stabilità e nel cambiamento.
È ormai evidente che i comportamenti emergenti dei sistemi ultra-complessi
sociali umani si verifichino in presenza di tre fatti: a) il funzionamento ottimale
e spontaneo delle componenti e dei processi dei sottosistemi col minor
dispendio di energia; b) una sempre maggiore quantità di informazione
disponibile e diversificata; c) la capacità di auto-organizzarsi e di riorganizzarsi in presenza di perturbazioni dell'ordine che modifichino la
funzionalità e l'equilibrio degli elementi e dei processi che formano il sistema.
Ebbene, credo che la combinazione dal basso invece che dall'alto di queste tre
condizioni potrebbe indicarci come stabilire, nel futuro, l'ordine senza violenza
nelle società umane.
La natura ci dimostra che i grandi cambiamenti non sono mai venuti dal
"vertice", ma dal basso. Infatti per la costituzione di un sistema di livello
superiore concorrono elementi che non necessariamente si evidenziano
per le loro dimensioni o per il loro grado di dominanza, ma per la
facilità con la quale collaborano con i propri simili e per il tipo
d'informazione di cui sono in possesso. ... La ricostituzione dei gruppi
sociali non avverrà perciò per iniziativa di qualche governo nazionale o
127 I protisti sono organismi viventi microscopici formati da una sola cellula di tipo eucariotico.
128 L. Margulis e D. Sagan, ivi, p. 123.
75
di qualche ente pubblico. Non avverrà neanche per la semplice
addizione d'individualità culturalmente diverse spinta dal desiderio
d'ipotetici vantaggi economici, ma da persone libere dalle influenze
culturali dell'economia di mercato e desiderose di poter esprimere
pienamente quella che è la reale natura umana: la socialità. Queste
entità sorgeranno perché gli individui che le costituiranno rifiuteranno
la cultura dominante della competizione e fonderanno invece la loro
ragione di vita sulla collaborazione. 129
Il problema del cambiamento di paradigma rispetto al passato sta nella
scelta culturale che dobbiamo compiere: se sia conveniente continuare a
comportarci sulla base della logica dei concetti, dei miti e degli assoluti
accumulati lungo i secoli passati che riposano sull'artificialità,
sull'autorità, sul centralismo e sul monopolio della forza da parte di uno
o di pochi, oppure se è preferibile ragionare sulla base di ciò che la
scienza è oggi in grado di indicare come possibilità di governo di tutti da
parte di ognuno (autogoverno) cooperando mutualisticamente per il bene
comune.
6. Il nesso di reciprocità nei sistemi del vivente.
Dallo studio dei sistemi complessi dinamici e adattativi non lineari emerge un
dato assai significativo avuto riguardo al modo in cui si formano le regole
dell'ordine sociale. Il successo di un sistema sociale, infatti, dipende dalla
possibilità di accogliere, connettere, rendere stabili, dinamiche e
reciprocamente vantaggiosi i comportamenti e le richieste della maggioranza
degli individui che formano una comunità o una società in vista del bene
comune. Infatti un nesso di reciprocità e di cooperazione reciproca è
necessario per il funzionamento del sistema. Se non esiste, è scarso o spezzato,
il sistema non giungerà mai a una condizione di stabilità dinamica.
Se pensiamo che nessuno ha stabilito a priori il tenore di ossigeno nell'aria, la
temperatura del globo, la composizione degli oceani, l'emergenza di una pianta
da un seme, il meccanismo della riproduzione animale, la democrazia come
procedimento convenzionale di scelta di comportamento vantaggioso per
l'individuo e per il gruppo, ecc., ci rendiamo conto che tutto nasce
spontaneamente, ma entro certi limiti e a condizioni ben determinate.
Il finalismo, infatti, non esiste nei sistemi naturali, a meno che ci poniamo in
una prospettiva di finalismo innato, o supposto creato; prospettiva da cui
Jacques Monod ci invita ad uscire nell’ottica di una visione darwiniana e laica
della scienza chiedendosi semplicemente se “La giraffa ha il collo lungo per
129 P. Nigra: Dialogo sui massimi sistemi, cit..
76
mangiare le foglie più alte o mangia le foglie più alte perché ha il collo
lungo”130. È evidente che per il darwinismo il collo della giraffa si è allungato
per poter disporre vantaggiosamente di cibo più disponibile che gli altri animali
non potevano raggiungere, migliorando la sua possibilità di sopravvivenza; ma
la giraffa non sapeva che il suo il desiderio di disporre delle foglie più alte si
sarebbe trasformato in geni biologici specifici che avrebbero prodotto
l'allungamento del collo e che questo avrebbe favorito la sopravvivenza anche
negli eredi. È evidente che la giraffa ha tratto beneficio dal suo collo più lungo
adattandone la struttura al desiderio determinato dal vantaggio sperato di
raggiungere le foglie più alte, ovvero dalla sua volontà.
Ebbene: questo desiderio connesso alla volontà di scelta, valgono per la società
delle giraffe come per il comportamento della specie umana.
Da qui nasce la domanda che ci riguarda direttamente: come può, l'uomo,
adattare il sistema dell'ordine sociale al suo benessere materiale e spirituale se
gli viene impedito di manifestare il suo desiderio mediante la sottrazione
artificiale e non spontanea della proprietà della sua volontà, che giuridicamente è sovranità? Non è forse questo che accade nei sistemi sociali
centralizzati organizzati sulla base della rappresentanza integrale che confina la
volontà di scelta politica degli individui nell'idea secolarizzata di stato sovrano
accentrato derivato dalla teologia-politica, quando la volontà di scelta è limitata
al solo giorno della cerimonia delle elezioni dei rappresentanti?
7. Problemi di ordine complesso e di ordine complicato
Una classificazione elementare dei problemi che un sistema produce nel
corso del suo funzionamento potrebbe aiutarci a comprendere come è possibile
ripristinare l'equilibrio interno, quando è compromesso.
I problemi che un sistema può generare sono di tre tipi: semplici, complessi e
complicati.
I problemi semplici sono determinati da regole elementari di causa ed effetto
che li caratterizzano e sono facili da illustrare, da comprendere e da risolvere.
Esempio: se hai fame, mangia, dove per eliminare il problema (la fame) la
soluzione è mangiare; per eliminare un debito, la soluzione è onorarlo, per
evitare la pioggia è necessario ripararsi, ecc..
I problemi complicati, diversamente, sono determinati da un numero molto
elevato di regole di causa ed effetto che, se rispettate, portano sempre alla
soluzione. Per esempio, il funzionamento di un computer. Il computer funziona
fino al momento in cui una componente si guasta e interrompe il legame di
relazione con le altre parti impedendone il funzionamento. Ebbene: noi
sappiamo che i problemi prodotti dai sistemi complicati (in questo caso il
130
J. Monod (1910-1976), Il caso e la necessità.
77
guasto del computer) possono essere ridotti (da cui il riduzionismo131) a
problemi semplici di cui si conosce il procedimento per arrivare alla soluzione
generale. La conoscenza del computer, infatti, permette di individuare e di
sostituire il meccanismo guasto, di sostituirlo e di ripristinare il funzionamento.
Diciamo allora che in presenza della necessaria conoscenza e sulla base della
riduzione del sistema da complicato a semplice, il comportamento del
computer diventa prevedibile a priori.
I problemi complessi, diversamente da quelli semplici e complicati, sono quelli
in cui non è prevedibile a priori con sicurezza la relazione fra causa ed effetto.
Esempi ne sono i rapporti fra persone, gli investimenti in borsa, la politica,
l'economia, la religione, la finanza, il comportamento della folla, il tempo
meteorologico, ecc.).
Un problema, dunque, è complesso quando non si conosce il procedimento per
arrivare con certezza e rapidamente alla soluzione generale prevedendo il
comportamento del sistema nel suo insieme nel futuro. In questo caso si spera
che attraverso un artificio di riduzione si possa renderlo complicato per poterlo
poi ancora ridurre per prevederne gli esiti e intervenire sulle singole
componenti per ripristinare il corretto il funzionamento, senza che la
previsione sia garantita.
Come tutti possono capire, infatti, prevedere, correggere e garantire con
certezza, ad esempio, il percorso di un potente tornado, un terremoto, uno
tsunami, il comportamento di una folla inferocita, la roulette, il corso dei
mercati, l'economia o la borsa (sistemi complessi), è pressoché impossibile e il
risultato sarà sempre legato alla probabilità, alla sorte, all'alea, non alla
certezza. Ebbene, queste due parole, alea e certezza, come vedremo,
assumeranno un'importanza fondamentale agli effetti delle soluzioni relative
all'organizzazione del sistema dell'ordine sociale.
Dobbiamo prendere atto che tutti i tentativi e le ipotesi di prevedere un ordine
sociale perfetto effettuati nel corso di molti secoli da chi se n'è occupato per
cercare di indicare quale sia il migliore per la specie umana sono falliti e che di
rivoluzione in rivoluzione o di guerra in guerra, siamo giunti allo stato attuale
di pericolosa instabilità politica ed economica a livello globale.
Basta pensare ai morti di tutte le guerre e rivoluzioni nel corso dei secoli per
appropriarsi del potere e della ricchezza, alle decine di migliaia di persone che
quotidianamente muoiono di fame o per malattie facilmente curabili, alle gravi
ingiustizie di chi è costretto a vivere in condizioni di miseria, a chi è oppresso
da governi che non consentono la libertà di scelta, ai lavoratori depredati di ¾
della ricchezza che producono dalle fameliche consorterie e caste parassitarie
di interessi politici, economici e anche religiose organizzate , che risultano
131 Per riduzionismo si intende la ricerca delle proprietà di qualunque sistema fisico in quanto
riconducibili a quelle dei suoi componenti elementari e si basa sull’ipotesi che tutta la realtà
possa essere ‘ridotta’ (o spiegata) in termini di particelle materiali e dei loro moviment i.
78
chiare le dimensioni dei problemi che le nuove generazioni saranno costrette ad
affrontare e risolvere nel prossimo futuro.
8. La “retroazione” (feedback) nei sistemi.
Prima di entrare nel discorso specifico dell'ordine nei sistemi sociali, devo
introdurre molto brevemente un concetto la cui conoscenza mi appare
indispensabile agli effetti della comprensione del funzionamento dei sistemi
complessi aperti: il feedback (o retroazione). In un sistema complesso si ha
retroazione quando una componente agisce su una seconda componente che a
sua volta retro-agisce sulla prima regolandone il funzionamento in modo da
stabilire un nuovo equilibrio stabile. L'interazione fra elementi diversi di un
sistema aperto è caratterizzata da una retroazione regolatrice o distruttrice che
può essere negativa o di inibizione, oppure positiva o di eccitazione.
Il feedback negativo (di inibizione) è un processo che permette ai sistemi aperti
di interagire con l'ambiente esterno scambiando sia energia (lavoro e calore) sia
materia, per raggiungere una condizione di stabilità dinamica oscillando
intorno al punto di equilibrio. I meccanismi di auto-organizzazione e di autoregolazione si basano perciò su processi di feedback negativo.
Il termostato che accende e spegne la caldaia di casa tenendo quasi costante la
temperatura è il più conosciuto di tutti i meccanismi di feedback negativo. Un
altro esempio è costituito dagli ormoni che a concentrazioni alte inibiscono, per
retroazione negativa, la loro stessa produzione da parte dell'organismo tenendo
così in equilibrio la funzione degli organi o dei processi; un altro ancora è la
coesistenza delle specie fra prede e predatori su un certo territorio la cui
sopravvivenza e determinata dall'equilibrio fra le specie in rapporto alle
possibilità offerte dall'ambiente. In pratica la retroazione negativa smorza
automaticamente l'effetto dello scambio di energia per stabilizzare (equilibrare)
in modo permanente il rapporto fra gli elementi del sistema ristabilendo ordine
dal disordine. Il feedback negativo favorisce l'emergenza di nuove proprietà e
comportamenti nei sistemi complessi dinamici e adattativi.
Il feedback positivo in un sistema aperto, diversamente, è un processo
estremamente potente di eccitazione che può far esplodere il sistema.
Nella retroazione positiva una componente eccita direttamente o indirettamente
una seconda, che a sua volta eccita la prima e così via di seguito. Una volta
innescato questo meccanismo di amplificazione è difficile arrestarlo e in genere
avvia un processo di allontanamento dall'equilibrio dinamico aumentando la
richiesta di energia e indirizzando il sistema verso la crescita del disordine o il
margine del caos.
Nei sistemi complessi il feedback positivo accresce sia l'instabilità (effetto
valanga, causalità circolare, circolo vizioso-virtuoso, prevalenza di un elemento
79
su tutti gli altri, ecc.), sia la richiesta di energia e rallenta o impedisce il
cambiamento positivo e impedisce l'emergenza.
Esempi di retroazione positiva possono essere le idee, le mode, le tendenze, la
moneta, la spirale dell'usura, ma anche le faide tra famiglie, l'equilibrio del
terrore fra grandi paesi (USA e URSS nella guerra fredda), l'accentramento in
poche mani del potere di governo, lo scioglimento dei ghiacciai, lo scontro fra
religioni diverse, l'acustica per la quale un suono amplificato in uscita da un
altoparlante ritorna al microfono che lo ha generato producendo un fortissimo
suono, ecc.. La retroazione positiva può investire anche numerosi aspetti nel
sistema dell'ordine sociale, quali le ideologie, la psicologia sociale, le religioni,
l'inflazione, l'economia, la guerra, i sistemi bancari, la proliferazione dei partiti,
la mafia e le organizzazioni criminali, i sindacati, l'inquinamento, ecc..; tutte
cose che sono in grado di avviare il sistema verso l'instabilità e il disordine.
Nei sistemi aperti altamente complessi la potenza esplosiva dei fenomeni di
feedback positivo che tende all'instabilità e alla mancanza di equilibrio, si
intreccia costantemente con la ricerca di stabilità e di equilibrio prodotta dai
feedback negativi.
Infatti i due tipi di retroazione coesistono nei sistemi aperti in una sorta di
polarizzazione il cui perno di equilibrio è dato dalla capacità di autoorganizzarsi e di auto-regolarsi. Non sussistendo per un certo tempo l'equilibrio
dinamico che assicura il cambiamento nella stabilità (giorni, anni o secoli non
ha importanza), il sistema è condannato a fare la fine del 99,% dei sistemi
scomparsi in natura: vengono messi nel deposito degli scarti dell'evoluzione.
Tuttavia proprio quando una perturbazione riesce ad allontanare il sistema
dall’equilibrio dinamico si verificano due opposte possibilità:
a) il sistema ha sufficiente energia e quantità di informazioni disponibili che gli
permettono di trovare un nuovo e più vantaggioso equilibrio;
b) il sistema precipita nel caos per mancanza di possibilità di auto-regolazione.
Questo meccanismo riguarda tutti i sistemi aperti complessi, compreso quello
dell'ordine sociale umano.
Abbiamo visto che dalla possibilità di auto-organizzazione e di autoregolazione del sistema per mantenerlo in equilibrio dinamico possono
emergere effetti straordinari che si traducono in nuove proprietà, forme e
funzioni che gli scienziati chiamano comportamenti emergenti. Ebbene, oggi
sappiamo che l'attitudine a manifestare comportamenti emergenti è presente nei
sistemi delle particelle, degli atomi, delle molecole, delle cellule, dei batteri ...
fino all'uomo e alla sua società in un contesto fisico, biologico ed etologico,
oppure nelle macchine o nelle imprese in un contesto socio-economico, nelle
credenze, nelle ideologie, nei miti e nella fede in un contesto teologico-politico,
e che non sono prevedibili a priori.
Pertanto anche agli effetti dell'ordine sociale umano la possibilità di autoorganizzazione e di auto-regolazione (autogoverno) dal basso è funzione
80
primaria del sistema, perché costituisce il punto di appoggio per la creazione di
ordine dal disordine e di stabilità dall'instabilità ponendo le condizioni per
l'emergenza di qualcosa di radicalmente nuovo e diverso rispetto al vecchio
sistema.
Io credo che sia necessario riflettere se sia più o meno conveniente cercare di
risolvere gli attuali problemi planetari partendo dal basso pacificamente
attraverso una crescita generalizzata della conoscenza e della coscienza
individuale e collettiva in grado di rendere coerenti le leggi prodotte dalla
ragione con quelle conosciute della natura, oppure per mezzo di regole imposte
a priori dall'alto con la forza o con la violenza come quasi dovunque avviene
anche agli inizi del terzo millennio.
Conoscere come si producono in natura le regole dell'ordine sociale e chi le
stabilisce, dovrebbe pertanto essere preoccupazione primaria di chiunque si
occupi di politica, ovvero del modo di organizzare e governare una comunità.
Ovviamente nessun politico darà credito a questo modo di ragionare, perché lo
costringerebbe a intendere la politica in un modo radicalmente diverso da
quello che gli procura privilegi e potere.
81
Capitolo VII
L' ordine nei sistemi politici
1. Riconoscimento a P. J. Proudhon
Mancherei di rispetto a me stesso se giunto a questo punto mancassi di
onorare un grande uomo dimenticato del passato che molti anni fa, nella mia
introduzione alla traduzione di Del principio federativo, ho indicato come
Profeta dell'ordine sociale dell'Umanità futura: Pierre Joseph Proudhon,
sociologo e filosofo autodidatta francese vissuto nel diciannovesimo secolo.
Per questa ragione pubblico la definizione di ORDINE con la quale lo studioso
apre il suo De la création de l'ordre dans l'Humanité ou principes
d'organization politique, pubblicato nel 1843. Valuti il lettore, pur considerando
la differente cultura umanistica e scientifica del suo tempo rispetto al presente,
le numerose analogie del suo pensiero con le recenti acquisizioni della Teoria
della complessità.
1. Chiamo ORDINE ogni disposizione seriale 132 o simmetrica. L'ordine suppone
necessariamente divisione, distinzione, differenza. Ogni cosa indivisa, indistinta,
non differenziata, non può essere concepita come ordinata: queste nozioni si
escludono reciprocamente.
2. Le idee di intelligenza e di causa finale sono estranee alla concezione
dell'ordine. Infatti, l'ordine può apparirci come risultato non previsto di proprietà
inerenti alle diverse parti di un tutto: l'intelligenza non può, in questo caso, essere
assegnata come principio d'ordine. - D’altronde, può esistere nel disordine una
tendenza o fine segreto: la finalità non potrebbe tuttavia essere presa come
carattere essenziale dell'ordine. ...
3. L'ordine è la condizione suprema di ogni persistenza, di ogni sviluppo, di ogni
perfezione.
4. L'ordine, nelle sue diverse manifestazioni, essendo serie, simmetria, rapporto, è
sottoposto a delle condizioni alle quali può essere scomposto e che ne sono come il
principio immediato, la forma, la rag serie ione, il metro. Queste condizioni sono
quelle che chiamiamo leggi. - Così, assumendo il cerchio come un tutto ordinato,
l'uguaglianza fissa del raggio generatore sarà la legge. Nella serie aritmetica 3, 5,
7, 9, 11 … , la legge o ragione è 2.
5. L’espressione di una legge, o la sua descrizione, è una formula.
6. Ogni legge vera è assoluta non eccettua nulla: l'ignoranza o l'inerzia dei
grammatici, moralisti, giureconsulti ed altri filosofi, ha immaginato soltanto il
proverbio “Nessuna regola è senza eccezione”. La mania di imporre delle regole
132
Una serie è qui considerata come la somma degli elementi di un sistema.
82
serie alla natura, invece di studiarle, ha confermato più tardi quest'aforisma
dell'ignoranza. - Nelle scienze matematiche e naturali è ammesso che ogni legge
che non comprenda l'universalità dei fatti è una legge falsa, una legge nulla; la
stessa cosa vale per tutte le altre scien serie ze.
7. L'ordine non è affatto qualcosa di reale, ma soltanto di formale; è l'idea
inscritta nella sostanza, il pensiero espresso in ogni collezione, serie, organismo,
genere e specie, come la parola nella scrittura.
8. L'ordine è tutto ciò che l'uomo può sapere dell'universo.
Considerando la creazione secondo le tre categorie di sostanza, causa, relazione,
troviamo che gli esseri, percettibili soltanto per noi attraverso i rapporti che
sosteniamo con essi, ci restano impenetrabili nella loro sostanza; che le cause,
inafferrabili nel loro principio e la loro origine, non ci lasciano intravedere che la
successione dei loro effetti. I rapporti delle cose, l'ordine ed il disordine, il bello e
il brutto, il bene e il male, ecco tutto ciò che cade sotto l'osservazione dell'uomo,
tutto ciò che è oggetto della sua scienza. Delle tre facce dell'universo, una soltanto
ci è dunque intelligibile: le altre due sono, da parte nostra, oggetto di una fede
cieca, fatale.
9. Degli esseri non conosciamo che i loro rapporti: tuttavia, poiché è necessario,
per i bisogni della scienza, distinguere sotto ognuna delle sue facce questo grande
tutto che chiamiamo UNIVERSO, si sono dati dei nomi speciali alle cose note e alle
ignote, alle visibili e alle invisibili, a quelle che si conoscono e a quelle che si
credono. ...
10. Intendiamo con “causa” la forza primitiva che determina un cambiamento di
stato, una produzione d'ordine o di disordine, in una parola un movimento. ...
11. “Proprietà, qualità, modo e fenomeno” sono altrettante espressioni correlative
di sostanza e di causa e servono a designare in cosa l'una e l'altra siano
percettibili e cioè l'ordine ed il disordine che esse pretendono.
12. Secondo queste nozioni, l'ordine, o ciò che vi è di puramente formale nella
natura, essendo la sola cosa accessibile alla ragione, l'unico oggetto della scienza
diventa con ciò stesso la sola REALTÀ per la ragione.
C'è un ordine, o sistema133naturale dei corpi celesti, dimostrato da Newton;
Un sistema delle piante, riconosciuto da Jussieu;
Un sistema di zoologia, di cui Cuvier è il principale inventore;
Un sistema di chimica, che Lavoisier ha più o meno completamente formulato;
Un sistema di numerazione, ammesso sin dalla più remota antichità;
Dei sistemi di composizione molecolare, di riproduzione organica, di cosmogonia,
di grammatica, di arte e di letteratura, ancora poco conosciuti, ma che tendono a
emergere dai veli che li ricoprono ed a costituirsi in modo assoluto. Allo stesso
modo esiste un sistema naturale di economia sociale, intravisto o presentito dai
legislatori, che si sono sforzati di conformarvi le loro leggi: sistema che ogni
giorno l'umanità “realizza” e che mi propongo di riconoscere.
133 Il grassetto è mio per far notare come Proudhon abbia anticipato, qui come in diverse altre
occasioni, l'importanza della conoscenza dei SISTEMI agli effetti della ricerca della definizione
del modo di stabilire la legge nell'ordine sociale.
83
13. Negli esseri inorganici o privi di ragione l'ordine si produce in virtù di forze
inconsce, cieche, infallibili, e secondo delle leggi sconosciute ad essi; negli esseri
dotati di ragione in virtù di forze che si sentono attraverso questa ragione che esse
sono soggette a deviare, e secondo le leggi che questi esseri sono chiamati a
conoscere. In altri termini, gli esseri rozzi obbediscono alle loro leggi senza averne
l'intelligenza: l'Umanità non si organizza che attraverso la conoscenza riflessa, e,
se posso dirlo in tal modo, attraverso l'elaborazione che essa fa da sé delle proprie
leggi. Ora, questa intelligenza delle nostre leggi, non l'otteniamo in modo
istantaneo e attraverso una percezione macchinale, ma attraverso un lungo sforzo
di contemplazione, di ricerca e di metodo. Da qui tre grandi epoche nella
formazione della conoscenza umana, la Religione, la Filosofia, la Scienza.
14. Chiamo RELIGIONE l'espressione istintiva, simbolica e sommaria attraverso la
quale una società nascente manifesta la sua opinione sull'ordine universale. In
altri termini, la Religione è l'insieme dei rapporti che l'uomo, nella culla della
civiltà, immagina esistere tra lui, l'Universo e DIO, l'Ordinatore supremo. ...
15. Intendo con FILOSOFIA questa aspirazione a conoscere, questo movimento
dello spirito verso la scienza che succede alla spontaneità religiosa e si pone come
antitesi della fede: aspirazione e movimento che non sono ancora né scienza né
metodo, ma indagine dell'una e dell'altro. ...
16. La religione e la filosofia hanno in comune il fatto che abbracciano l'universo
nelle loro contemplazioni e nelle loro ricerche, il che toglie loro ogni specialità e
con ciò stesso ogni realtà scientifica; che nelle loro elucubrazioni o fantasie esse
procedono “a priori”, senza posa discendendo, con un certo artificio retorico,
dalle cause agli effetti, o risalendo dagli effetti alle cause, e fondandosi
costantemente, l'una sull'idea ipotetica e indeterminata di Dio, dei suoi attributi,
dei suoi disegni; l'altra su delle generalità ontologiche, sprovviste di consistenza e
di fecondità. ...
17. Chiamo SCIENZA la comprensione, chiara, completa, certa e ragionata
dell'ordine. Il carattere proprio della Scienza è, al contrario della religione e della
filosofia, di essere speciale, e, secondo questa specialità, di aver un metodo
d'invenzione e di dimostrazione che esclude il dubbio e non lascia nulla all'ipotesi
... Ovunque la Scienza non ha piantato le sue prime pietre miliari, vi è religione o
filosofia, e cioè ignoranza o delusione
18. Chiamerò METAFISICA la teoria universale e suprema dell'ordine, teoria i cui
metodi peculiari delle diverse scienze sono altrettante applicazioni speciali. Così
la geometria e l'aritmetica sono due dipendenze della metafisica, che dà ad
ognuna di esse la certezza e le abbraccia nella sua generalità. L'oggetto della
metafisica è: 1° di fornire dei metodi ai rami di studi che ne sono mancanti, e di
conseguenza di creare la scienza là dove la religione e la filosofia la chiamano; 2°
Di dimostrare il criterio assoluto della verità; 3° Di fornire delle conclusioni sullo
scopo comune delle scienze, e cioè sull'enigma di questo mondo, e l'ulteriore
destino del genere umano.
19. Intendo con PROGRESSO la marcia ascensionale dello spirito verso la Scienza,
attraverso le tre epoche consecutive di Religione, Filosofia, e Metafisica o metodo.
84
Di conseguenza, il Progresso non si occupa dell'accumulazione delle scoperte che
il tempo porta in ogni specialità, ma della costituzione e della determinazione
stessa delle scienze.
Comprendo la meraviglia e la perplessità del lettore davanti a quanto ho sopra
riportato. Tuttavia lo invito a considerare che De la création de l'ordre dans
l'Humanité è stato pubblicato nel 1843 e che Darwin pubblicò L'origine delle
specie nel 1859. Dovevano passare sedici anni prima che Proudhon potesse
disporre degli elementi fondamentali della Teoria dell'evoluzione delle specie.
Nonostante ciò intuì che il perno regolatore dell'ordine in tutti i sistemi sociali è
la legge. È la legge, infatti, che permette alla maggioranza degli associati di
auto-regolare i rapporti sociali producendo ordine dal disordine in vista del
risparmio di energia, della stabilità e dell'efficienza delle istituzioni e della
pace: tutti elementi che concorrono a realizzare il bene comune.
La creazione di ordine dal disordine per mezzo della legge è quanto di più
importante gli esseri umani possano conoscere sull'ordine sociale, perché dal
modo in cui si forma e da chi è deliberata e fatta osservare, dipende il successo
o l'insuccesso materiale e spirituale del gruppo, della comunità o della società.
A distanza di venti anni da De la création de l'ordre dans l'Humanité infatti, in
Del principio federativo (cap. VI), Proudhon pone la legge quale perno di
equilibrio dell'Autorità con la Libertà: due elementi che considera essenziali
agli effetti del successo, in termini di stabilità e di benessere, del sistema
dell'ordine sociale.
Questo doppio moto, l'uno di recessione l'altro di progresso, che si
risolve in un unico fenomeno, risulta ugualmente dalla definizione dei
principi, dalla loro collocazione relativa e dai loro ruoli; anche qui
nessun equivoco è possibile, né vi è il più piccolo spazio per l'arbitrario.
Il fatto è di un'evidenza oggettiva e di una certezza matematica; è ciò
che noi chiameremo una legge.
Definire la legge condivisa dalla maggioranza degli individui che formano la
comunità per mezzo di una convenzione (tale è la Democrazia) in grado di
equilibrare l'Autorità con la Libertà, è certamente fondamentale per la
creazione dell'ordine sociale, perché è coerente con la spontaneità mediante la
quale la natura organizza l'ordine delle società animali che crea.
Quasi cento anni prima di Proudhon un emigrante toscano in America nello
stato della Virginia, Filippo Mazzei, 134 discute nell'aprile del 1776 con Jefferson
di cui era amico i problemi legati alla Costituzione del nuovo Stato che si era
dichiarato indipendente dall'Inghilterra. Ma quando il toscano gli chiede di
contribuirvi con sue proposte, Jefferson si rifiuta di leggerle durante la
Convenzione. Il 4 luglio 1776, a Filadelfia, si incontrano i rappresentanti delle
134 F. Mazzei (1730-1816)
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tredici colonie in Congresso Generale ed adottano la Dichiarazione di
indipendenza. Ebbene le parole: "Noi teniamo per certe queste Verità. Che tutti
gli Uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi
diritti inalienabili ..." attribuite a Thomas Jefferson, dopo oltre due secoli
risulteranno essere state scritte da Mazzei, vicino di casa di Jefferson, che le
aveva copiate da lui. Fu così che il pensiero di un immigrante toscano fu
incarnato nel documento della fondazione degli Stati Uniti d'America. Questo
contributo è ammesso, fra gli altri, anche da John F. Kennedy nel suo libro
“Una Nazione di Immigranti” in cui afferma che … "La grande dottrina “Tutti
gli uomini sono creati uguali … ” attribuito nella Dichiarazione di
Indipendenza a Thomas Jefferson, sono ripresi dagli scritti di Philip Mazzei,
un patriota scrittore nativo dell'Italia, che era intimo amico di Jefferson."135
Deluso dalla risposta negativa di Jefferson il 6 maggio 1776 Mazzei pubblica le
“Istruzioni dei possidenti della Contea di Albemarle ai loro delegati alla
Convenzione,” che costituisce un documento di eccezionale valore storico per
dimostrare quanto grandi fossero state le sue intuizioni politiche. Fra l'altro
scrive:
“Sappiamo che dobbiamo essere rappresentati in quelle cose per cui non
possiamo esser presenti, ma ogniqualvolta possiamo esserci non delegheremo
il nostro potere ad altri. Ci rappresenteremo da noi.”
“C'è qualcosa di veramente magico in quel vocabolo “rappresentanza”. Ha
servito finora ammirabilmente ad accecare la maggior parte del popolo per
tenerlo nella più perfetta ignoranza dei propri diritti e fargli credere di essere
libero mentre la sola meschina porzione di libertà da esso goduta è stata
quella di scegliersi i padroni.”
“Siccome la nostra libertà vien ridotta in proporzione al potere che
conferiam loro (ai rappresentanti, n.d.a.), sarebbe pazzia il conferirne più che
non sia veramente necessario. Nella loro forma di governo essi si arrogano un
potere illimitato senza menomamente badare ai loro elettori, che essi limitano
ad obbedire passivamente alle leggi, lasciando loro la sola meschina scelta di
cambiar padroni ad ogni anno. Il potere di approvare o disapprovare le leggi
fatte dai nostri rappresentanti è uno di quei diritti di cui non possiamo privare
o spossessare i nostri posteri. (…) E' veramente inconcepibile che un piccolo
numero di uomini, chiamati dal popolo a servire i suoi affari (solo perché i
membri della comunità non possono riunirsi in un luogo), possano pretendere
di non essere soggetti al sindacato di chi li ha assunti, anzi di arrogarsi anche
autorità illimitata su coloro che li hanno assunti e caso mai questi non fossero
contenti dell'arbitrarietà della loro gestione, non avrebbero il potere di
licenziarli prima del termine di un anno, quando sarebbe permesso loro di
135 J. F. Kennedy, Una Nazione di immigranti, Harper & Row, New York, pp. 15-16.
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scegliere nuovi agenti, ma con la stessa arbitrarietà di potere illimitato. Se
questa è libertà, ci piacerebbe sapere cos'è la schiavitù. E' mera illusione
pretendere che un paese sia libero se tutto il potere dei suoi abitanti risiede in
pochi uomini, sebbene siano scelti da essi e possano cambiarsi annualmente,
E' vero che il timore di essere scartati alle prossime elezioni possa esercitare
una specie di freno su di essi per qualche tempo, ma ciò sarebbe un cattivo
custode delle nostre libertà. Quanto più prosperasse il nostro Paese, tanto
maggiore diverrebbe il loro potere e prestigio. Dopo aver tenuto per lungo
tempo una carica, acquisterebbero un tale ascendente sui loro elettori, che
questi non penserebbero nemmeno a scartarli. Il popolo sente una specie
d'orgoglio nel votar sempre per le stesse persone ed è spesso abbagliato dallo
splendore e dall'opulenza e sempre prevenuto a favor di famiglie cospicue e dei
figli degli uomini di valore, che somiglino o no ai genitori. Sicché se non
stiamo in guardia contro le conseguenze di tali pregiudizj mediante salutari
leggi costituzionali, vedremo perpetuare alcune cospicue famiglie, e i loro
congiunti clienti, e ridurre il governo sostanzialmente a un'aristocrazia e
magari oligarchia insolentemente esercitata all'ombra della libertà. Per
evitare quindi un tal gran male, per rendere ognuno conscio della propria
importanza come membro della comunità uguale a chiunque altro nei suoi
diritti naturali, per renderci più competenti in materia di leggi e più felici sotto
di esse, deliberiamo: Che le leggi fatte dai nostri rappresentanti non possono
essere dette né devono essere, leggi del paese fintanto che non saranno
approvate dalla maggior parte del popolo.
Sebbene Mazzei fosse consapevole dei limiti della Democrazia Diretta, cioè
dell'Autogoverno, afferma:
"Il nostro dovere è sottometterci alle leggi fatte dai nostri rappresentanti, ma
anche allora abbiamo diritto di fare tutto quanto è in nostro potere per farle
revocare se dovessero apparirci contraddittorie con l'onore e l'interesse della
comunità."
Richiamandosi al saggio di Joseph Priestley “On the first principle of
government”, scrive che:
"E' una verità incontestabile che un paese non è libero, se tutti i suoi abitanti
non partecipano egualmente al diritto di governare" e continua affermando che
"Il potere di approvare o respingere le leggi promulgate dai nostri
rappresentanti è uno di quei diritti di cui non possiamo privare o spogliare i
nostri posteri."
A distanza di due secoli e mezzo circa, sembra che le parole di Filippo Mazzei
siano state scritte appena ieri. Niente è sostanzialmente cambiato nel frattempo
avuto riguardo a CHI e al MODO di fare e legittimare la legge che ognuno deve
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rispettare e al ruolo che il governo deve avere nei confronti degli individui: i
rappresentanti continuano ad essere collegialmente i despoti del terzo millennio
e i cittadini sono ridotti al rango di loro sudditi paganti come lo erano al tempo
di Mazzei. Sia lui, sia Proudhon non conoscevano le leggi di natura come le
conosciamo oggi e le loro analisi socio-politiche erano limitate all'esperienza e
alla cultura del tempo.
Ad esempio: quando Proudhon scrive che gli animali “… sono al di sotto della
condizione dell'uomo; essi non percepiscono i rapporti delle cose, non sanno
nulla di ciò che accade in loro, ciò che scambiamo per intelligenza, non è che
un istinto perfezionato dall'abitudine, una specie di sogno provocato
dall'ambiente circostante, e che non suppone né mediazione né scienza. Come
per il sonnambulo, il pensiero degli animali non è conosciuto; è organico e
spontaneo, ma non cosciente o riflesso”, e Mazzei si esprimeva secondo la
cultura e le conoscenze della sua epoca, non erano note leggi della natura come
oggi le conosciamo. Ad esempio allora anche gli scienziati pensavano che gli
animali non possono soffrire o volere; figurarsi se poteva pensare che gli
animali potessero comunicare, come oggi sappiamo con certezza scientifica.
Nel 1947 Von Frisch136 pubblicò i risultati delle sue ricerche sul
linguaggio delle api. Subito il mondo accademico mostrò grande
scetticismo nei confronti delle sue scoperte. La ragione dello scetticismo
degli scienziati nell'accettare che le api comunichino mediante un vero e
proprio linguaggio gestuale è dovuto al fatto noto che gli animali, con i
loro vocalizzi e le loro posture, si scambiano delle “emozioni”
soprattutto per mezzo di segnali di paura, di allarme e di pericolo, ma
mai dei “concetti” come sono la direzione e la distanza delle fonti di
approvvigionamento. Lo scetticismo dei ricercatori nei confronti di Von
Frisch cessò solo dopo che un etologo inglese, W. Thorpe 137, verificò di
persona, in campo aperto presso l'abitazione dello scienziato austriaco le
sue osservazioni e pubblicò sulla rivista Science che erano esatte.138
Del resto se qualche scienziato vissuto all'epoca di Mazzei o di Proudhon
avesse avuto dei problemi sui rapporti fra l'uomo e la natura, le dottrine
tradizionali dei grandi pensatori del passato, come ad esempio Tommaso
D'Aquino, erano pronte a offrir loro ampie rassicurazioni che gli animali, in
genere definiti bruti dalla religione, esistono solo per essere usati dall'uomo.
Questa, infatti, era anche la posizione della Chiesa cattolica nata per affermare
la pratica della legge dell'amore, come S. Francesco aveva giustamente
interpretato, mentre per secoli ha usato la legge del terrore per imporla in nome
136 Karl Von Frisch (1886-1982), biologo ed etologo austriaco, premio Nobel.
137 W. H. Thorpe, zoologo ed etologo inglese (1902- 1986).
138 Dalla società delle api alle città-stato del futuro. Natura e ordine sociale, Nexus, Padova,
2010, p. 26.
88
dell'onnipotenza della divinità creatrice, come dimostra la storia del
cattolicesimo nei secoli che seguirono il Concilio di Nicea (325 d. C.).
È forse per questa ragione storica per la quale la violenza nei confronti degli
animali nostri fratelli continua ancor oggi fra l'indifferenza generale?
Del resto tutti pensatori pre-darwinisti trovavano assai conveniente negare
qualsiasi rapporto di somiglianza fra gli animali e gli uomini, perché questo
poteva costituire per loro un problema di natura psicologica, politica e giuridica
molto serio. Un Dio onnipotente e giusto, infatti, non avrebbe potuto creare
degli esseri che soffrissero senza uno scopo, mentre la sofferenza umana era
giustificata dalla Chiesa in rapporto al peccato originale e alla salvezza eterna.
Così Nicolas de la Fontaine, segretario di Calvino descrive nelle sue memorie,
pubblicate nel 1738, la visita a uno dei luoghi in cui veniva praticata la
vivisezione agli animali:
Somministravano percosse ai cani con perfetta indifferenza, e deridevano
chi compativa queste creature come se provassero dolore. Dicevano che
gli animali erano orologi; che le grida che emettevano quando venivano
percossi erano soltanto il rumore di una piccola molla che era stata
toccata, e che il corpo nel complesso era privo di sensibilità.
Inchiodavano i poveri animali a delle tavole per le quattro zampe, per
vivisezionarli e osservare la circolazione del sangue che era grande
argomento di conversazione.139
Diversamente dal passato oggi la scienza offre senza posa nuove conoscenze
che si diffondono con grande rapidità, ma vengono acquisite lentamente dalla
massa attratta più dalle mode, dal divertimento e dal potere che dalla
conoscenza della natura e delle sue leggi eterne e inviolabili che, piaccia o non
piaccia, riguardano anche l'ordine sociale umano.
2. Il culto dei morti e la nascita del mito.
Dalle risposte che gli uomini primitivi cominciarono a dare alle domande sui
misteriosi fenomeni della natura e sulla vita in generale, nacquero le storie, le
leggende e i primi racconti (miti) che si trasmisero di generazione in
generazione. Tutto ciò che li circondava, la natura, l'Universo e i fenomeni
straordinari che non sapevano spiegare deve essere apparso ai loro occhi come
un turbinio di immagini disordinate, di pensieri, di osservazioni, di misteri, di
contraddizioni che generavano in loro stupore, meraviglia, angoscia e paura.
Davanti ai fenomeni della natura i primitivi rischiavano di perdersi, di cadere
continuamente nello smarrimento, nello sconforto, nell'angoscia del dolore
generato dalla morte.
139 N. de la Fontain, Memories, citato in Peter Singer, Animal Liberation, p. 22.
89
In Dio nel cervello, A. Newberg ed E. d'Aquili140 illustrano con un esempio
illuminante come gli ominidi potrebbero essere pervenuti alla genesi del mito
religioso. I due scienziati immaginano che ...
… un clan preistorico molto unito, un uomo della tribù è morto e il suo
cadavere è stato deposto su una pelle d'orso. Alcuni membri del clan si
avvicinano, lo toccano delicatamente e capiscono che il loro amico un
tempo vivo adesso non esiste più. Quella che fino a ieri era una persona
calda e vitale è divenuta un corpo freddo e inerte. Il capotribù, un uomo
riflessivo si siede accanto al fuoco del bivacco e medita sulla forma
senza vita che un tempo parlava e rideva con lui. Che cosa è venuto a
mancare? si chiede. Come si è perso e dove è andato questo qualcosa?
Mentre guarda il fuoco scoppiettante sente lo stomaco tendersi per
l'ansia e la tristezza. Ha urgenza di trovare una ragione e pensa che non
avrà pace finché non l'avrà trovata; ma più riflette sul tormentoso
mistero della vita e della morte, più sprofonda nell'angoscia esistenziale.
Ora - continua il racconto - mentre il capo tribù continua a macerarsi nel dolore
e nella tristezza per la scomparsa dell'amico, la risposta eccitatoria del cervello
s'intensifica, il polso accelera, il respiro si fa rapido e poco profondo e la fronte
si imperla di sudore.
Meditando sui suoi problemi il capotribù fissa con aria vacua il fuoco,
che presto brucia fino alle braci. Quando le fiamme si spengono tra gli
ultimi crepitii, ha un'intuizione: il fuoco era un tempo vivo e luminoso,
ma adesso è spento e presto resteranno solo grigie ceneri inerti. Quando
le ultime volute di fumo salgono al cielo, il capo si volta verso il corpo
dell'amico morto e pensa che la sua vita e il suo spirito siano scomparsi
come sono scomparse le fiamme. Prima di esprimere consciamente quel
pensiero è colpito da un'immagine: l'intima essenza dell'amico sale come
il fumo in alto, come lo spirito del fuoco ascende al cielo.
Per i due scienziati la convinzione che produce il mito nasce come un'idea
qualsiasi: una delle tante ipotesi che emergono continuamente nell'emisfero
sinistro del cervello attraverso le quali l'uomo antico, come quello moderno,
cerca di dare risposte plausibili e ordinate ai problemi e ai fenomeni complessi
dell'esistenza che non è in grado di risolvere e di comprendere. Il racconto dei
due scienziati, infatti, così prosegue:
Quando il concetto astratto dell'ascesa dello spirito al cielo affiora alla
coscienza del capotribù, esso si “accoppia” con una delle soluzioni
emozionali dell'emisfero destro. Di colpo l'accordo di entrambi gli
emisferi induce una risonanza neuronale che invia scariche positive in
140 A. Newberg, E. D'Aquili, Dio nel cervello, cit. p. 76.
90
tutto il sistema limbico per stimolare i centri del piacere nell'ipotalamo.
Poiché l'ipotalamo regola il sistema nervoso autonomo, i forti impulsi di
piacere provocano una risposta del parasimpatico, con la conseguenza
che il capotribù si sente invaso da un gran senso di sicurezza e di pace.
… L'intuizione è così fulminante da parergli una rivelazione;
l'esperienza gli sembra reale in maniera vivida e tangibile. In quel
momento gli opposti ”vita e “morte” hanno cessato di essere in
irreparabile conflitto e sono stati risolti a livello mitico. Ora il capo vede
chiaramente la verità assoluta delle cose: gli spiriti continuano a vivere.
Egli pensa di aver scoperto una verità fondamentale, di aver avuto ben
più di una semplice idea: la sente infatti come una convinzione arrivata
dal di dentro, dai recessi più intimi della mente.141
In tutte le civiltà e in tutte le epoche i miti si ripresentano sugli stessi temi:
diluvi di purificazione, uomini cacciati da un immaginario paradiso terrestre,
parti di donne vergini, figli di Dio, eroi risorti o che rubano agli dei il fuoco o la
conoscenza appannaggio esclusivo della divinità, l'onnipotenza di un creatore
immaginario in grado di ordinare la vita degli individui e la comunità a suo
piacimento caricando l'orologio degli eventi, ecc..
Le idee di potere, di autorità e di onnipotenza, infatti, sono presenti in tutti i
miti dell'ordine sociale. Raramente ciò che in apparenza la natura mostrava
come comportamento sociale animale veniva trasportato sul piano del governo.
Ad esempio: per decine di secoli la regina delle api è stata indicata come un Re,
essendo per gli antichi impossibile l'esistenza di una femmina in grado di
governare un popolo. Solo nel 1609 il reverendo Charles Butler pubblicò un
famoso libro, The feminine monarchie, in cui annunciava che il Re delle api è
in realtà una Regina che provvede alla riproduzione delle le api operaie e dei
fuchi che assicurano la continuità della vita dell'alveare. Lo stesso vale per le
formiche, per le termiti e per altri insetti sociali.
È il mito religioso che ha prodotto i concetti di gerarchia 142, di dominio, di
potere e di legge? È il concetto di onnipotenza della Divinità generato dai miti
della teologia-politica che ha permeato nei secoli le dottrine artificiali del
governo del gruppo, della comunità e della più vasta società?
3. Ci nutriamo ancora di miti religiosi e politici creati nell'antichità
Credo che chiunque sia interessato a trovare le radici culturali e biologiche
dell'esperienza umana da un punto di vista sociale, economico o religioso
dovrebbe considerare i miti come tendenza propria della specie umana a
A. Newberg, E. d'Aquili, ivi, pp. 76-77.
La parola Gerarchia deriva dal greco antico Ierarchìa da Ieròs sacro e Archìa, presiedere,
essere a capo, governare. Originariamente significava governo dei sacerdoti.
141
142
91
raccontare e tramandare in forma simbolica o poetica, fatti collegati con eventi
realmente accaduti, raccontati di generazione in generazione nel corso dei
secoli. I miti, del resto, hanno sempre affollato la nostra storia e vivono ancor
oggi nei grandi temi che stanno alla base della cultura moderna.
Non fa eccezione il contenuto del libro più conosciuto e venduto nel mondo, la
Bibbia, che altro non è se non un immenso resoconto di miti teologico-politici
costruiti nel tempo, riferiti a singoli eventi alcuni dei quali possono avere solide
basi storiche, mentre altri sono racconti distorti o mai accaduti.
Generalmente oggi si concorda sul fatto che il Libro dell'Alleanza riflette
la pratica legale di Israele del periodo più antico della sua storia come
popolo, in un tempo nel quale non si conoscono i contatti con la
Mesopotamia. L'assunto più ragionevole è che essa sia stata trasportata
in Palestina da gruppi che erano emigrati nel corso del II millennio da
regioni dove le tradizioni giurisprudenziali mesopotamiche erano ben
conosciute. Lo stesso può dirsi dei racconti della creazione e del diluvio
(Genesi 2; 6-9) 143
Premesso che la Bibbia, scritta dagli scribi ebraici nel corso del ritorno in
Israele dalla prigionia lungo la Terra dei due fiumi 144, non è un testo unitario,
ma un intricatissimo compendio di tradizione orale, di leggende popolari, di
fonti storiche diverse, di canti, di proverbi, di leggi e regole di differente
provenienza culturale, risulta che cominciò a essere codificata solo a partire
dall'ottavo secolo a. C. e da allora, non si sa perché, non ha cessato di essere
considerata come il LIBRO sacro che contiene La legge data da Dio agli uomini.
Ebbene, i testi biblici originari a disposizione degli studiosi, eccetto brevi tratti
in aramaico, sono scritti in ebraico antico su rotoli di pelle o di pergamena.
Osservando uno di questi testi il lettore resterebbe sorpreso nell'osservare che si
tratta di un'interminabile sequenza di consonanti senza punteggiatura. 145
Per fare un esempio pratico consideriamo una frase di senso comune scritta
nella nostra lingua e come risulterebbe scritta nella Bibbia, ricordando che gli
Ebrei non scrivevano le vocali.
Ilgranlibroapparepraticamentescrittoconquesteparole.
Diverrebbe nella Bibbia:
Lgrnlbrpprprtcmntscttcnqstprl.
Nella scrittura ebraica, infatti, non sono indicate le parole vere e proprie: deve
trovarle il lettore separando gruppi di lettere esattamente al punto giusto.
143 J. Bright, Storia dell'antico Israele, cit. pp. 105-106.
144 La Mesopotamia.
145 Salvo piccole spaziature che indicano pause emotive che non hanno nulla a che vedere con
le singole parole.
92
Ebbene, immagini ognuno di moltiplicare questo immenso rebus per circa due
milioni e mezzo di lettere consecutive che formano la Bibbia e si renderà conto
di come è stata fatta.
É evidente che il primo problema che si presenta nella traduzione è quello
relativo alla sua "interpretazione" e che solo dopo si potranno affrontare gli
altri problemi relativi alla lettura allegorica, simbolica, esoterica o cabalistica
del testo. Per legge statistica è inevitabile che in migliaia e migliaia di casi
alcune lettere possano essere attribuite alla parola precedente o a quella
successiva fornendo, attraverso le necessarie modifiche, un testo di significato
compiuto, ma spesso non equivalente a quello voluto dallo scriba o dal
racconto che lo stesso aveva trascritto.
Se per esempio scriviamo un testo con le consonanti di tmtnt e non
indoviniamo esattamente le vocali da interporre, si può avere indifferentemente: ti amo tanto, tu mi tenti e temo i tonti.
Nei secoli i rabbini ebraici sono riusciti con discussioni a non finire e pazienza
infinita a concordare un significato per ogni frase della Bibbia e hanno anche
pensato di separare le parole e di aggiungere le vocali.
Il testo definitivo della Bibbia di cui oggi disponiamo 146 è stato realizzato sulla
base di questi accordi.
Come facciamo noi a sapere che la versione ufficiale diffusa in tutto il mondo
risponda esattamente al pensiero contenuto negli antichissimi testi originali, è
un mistero che può essere giustificato o accettato solo sulla base della fede.
Un altro esempio di come la distorsione interpretativa anche di una sola parola
potrebbe aver determinato il comportamento errato dell'uomo è costituito dalle
prime parole della Bibbia: Dio creò il cielo e la Terra.
Tempo fa ho chiesto ad un mio amico professore universitario di storia
dell'ebraismo, Furio Biagini, quale fosse il vero significato della parola Barà,
Creò, e se la parola potesse essere interpretata anche come “Dio si manifestò
come cielo e terra”. Questa la risposta di Furio: Ho chiesto al mio Rabbino per
sicurezza ma come già ti avevo detto il verbo Barà vuol dire creare, formare,
ritagliare, dare una forma, talvolta trasformare, ma mai manifestarsi.
Ho accettato la parola trasformare indicata dal rabbino. Da parte mia credo che
il rabbino abbia marginalizzato (talvolta trasformare) il fatto che il termine
Barà potrebbe essere interpretato anche come trasformare consapevole forse
che una simile traduzione avrebbe potuto sovvertire la gravità nel mondo della
religione e della fede.
Tuttavia riferendomi a questa interpretazione ho così cambiato le prime parole
della Bibbia, da Dio creò il cielo e la Terra, in Dio si trasformò in Cielo e in
La cosiddetta Bibbia Masoretica contrariamente a quanto si pensa è abbastanza recente; il
manoscritto ebraico completo più antico della Bibbia di cui disponiamo, infatti, non è
sicuramente anteriore al X° sec. d. Cristo. Vedi: I Manoscritti di Qumran, L. Moraldi, Utet,
Torino, 1986, p. 84.
146
93
Terra, ovvero in tutto ciò che esiste. amico
Immagino che ognuno possa comprendere quanto diversa sarebbe stata la storia
del genere umano se l'intera realtà, l'Universo e la vita fossero stati posti come
trasformazione o - come a me piace - manifestazione dello Spirito misterioso e
inconoscibile che chiamiamo DIO.
La consapevolezza intima di ogni essere umano di essere il risultato ultimo e
provvisorio della trasformazione di uno Spirito sconosciuto che anima l'intero
Universo, se osservato nel suo aspetto del divenire, avrebbe modificato il
percorso storico-culturale della religione e il comportamento individuale e
sociale degli individui e avrebbe prodotto un mondo completamente diverso
rispetto all'attuale.
Per queste ragioni la Bibbia mi appare soprattutto come un libro di contenuto
mitologico costellato di racconti in gran parte frutto della fantasia.
Nella prospettiva aperta del presente, tuttavia, si ha l’impressione che i miti
siano una manifestazione propria dell'infanzia favolosa dell'umanità, per mezzo
dei quali è stato possibile pervenire lungo i secoli ai moderni concetti della
teologia-politica, ma anche a molte riflessioni scientifiche sull'ordine sociale.
Il fatto che gli uomini abbiano trovato alcune proposizioni generali che,
una volta comprese, non possono essere sottoposte a dubbio, fu, io
ritengo, una breve via per concludere che erano “innate”. Una volta
accettata, tale conclusione liberò i pigri dalle fatiche della ricerca e
impedì a chi aveva dubbi concernenti tutto ciò che una volta per tutte
era stato considerato come innato, di condurre avanti la propria ricerca.
Ed era un vantaggio non piccolo per quelli che si presentavano come
maestri e insegnanti, considerare questo come il pr amico incipio di
tutti i “principi”: i principi non devono essere messi in discussione.
Infatti una volta stabilita la tesi che esistono principi innati, poneva i
suoi seguaci nella necessità di accogliere alcune dottrine appunto come
innate: il che voleva dire privarli dell'uso della propria ragione e del
proprio giudizio e porli nella condizione di credere ed accettare quelle
dottrine sulla base della fiducia senza ulteriori esami. Messi in questa
condizione di cieca credulità, potevano essere più facilmente governati e
diventavano più utili per una certa specie di uomini, che avevano
l'abilità ed il compito di dettar loro principi e di guidarli.147
E' forse questa la ragione per la quale il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti della
Chiesa cattolica si autodefiniscono come Pastori, ognuno con il proprio
“gregge”? Trasportati sul piano della fede nell'onnipotenza creatrice della
divinità i concetti teologico-politici secolarizzati hanno permeato la filosofia, il
diritto, la politica e il comportamento degli individui, organizzando su
artificiali gli attuali sistemi sociali.
147
J. Locke, Saggio sull'intelligenza umana, Epistola al lettore, 1, 3, Laterza, Bari, 1999
94
E' quindi di primaria importanza definire cosa si intende per ordine naturale e
per ordine artificiale e come, senza conoscere e confrontare il modo di
determinare la legge nei sistemi sociali animali con il modo in cui si forma la
legge nell'ordine sociale umano, si possa pervenire a negarne la spontaneità.
4. Le costruzioni politiche artificiali
Come abbiamo visto H. Spencer, a differenza di C. Darwin 148, sostiene
esplicitamente che sulla Terra non è esistita soltanto un'evoluzione biologica,
perché questa è stata preceduta da una evoluzione cosmica e inorganica.
A questi due tipi di evoluzione, riporta il filosofo sociale inglese, ne seguirà
una terza che definisce superorganica, alla quale sarà soggetto l'uomo con la
sua cultura, realizzazioni tecnologiche, società, politica, religione ed economia.
Con questa rappresentazione Spencer introduce per la prima volta un concetto
di grande rilevanza filosofica e scientifica: l'evoluzione non può essere limitata
alla vita, ma deve essere estesa all'intero universo; un'ipotesi che Darwin non
tentava neppure di affrontare ritenendo impossibile pensare all'origine della
vita dalla materia. Darwin stesso, infatti, in una lettera ad un amico riporta:
Le forme apparvero a causa di un processo del tutto sconosciuto. Al
momento attuale è assolutamente idiota pensare all'origine della vita;
tanto varrebbe pensare all'origine della materia149.
Quando Darwin scrisse queste parole, le ipotesi del Big Bang, dell'origine della
vita dall'energia e dalla materia e la conoscenza della funzione biologica dei
geni nell'elica immortale erano di là da venire. Tuttavia oggi sappiamo che
sulla base delle osservazioni di Darwin e di Spencer l'idea di una evoluzione
estesa a tutti gli aspetti della realtà fisica, chimica e biologica per mezzo
dell'informazione disponibile, investe direttamente il modo con il quale la
natura auto-organizza SPONTANEAMENTE tutti i sistemi del vivente.
Oggi sappiamo che al processo evolutivo di connessione-coerenza e di
incessante trasformazione (evoluzione) sono soggetti tutti i sistemi delle
galassie, delle stelle, il sole, la terra, i mari, l’atmosfera, le particelle, gli atomi,
i geni, i batteri, le piante, gli insetti e l'uomo, con tutto ciò che lo riguarda
direttamente o indirettamente nei rapporti con l'ambiente esterno ed interno.
Da parte mia credo che questo debba valer anche per l'ordine sociale umano e
che si possa riassumere nel modo in cui devono essere concepite, deliberate,
abolite e modificate le regole (le leggi) che ordinano i sistemi sociali. Infatti se
148 Spencer e Darwin si conoscevano e si confrontavano, ma non andavano molto d'accordo.
Darwin ha riconosciuto a Spencer di aver usato per primo il termine “evoluzione” per indicare i
cambiamenti delle specie.
149 R. Dawkins, Il racconto dell'antenato, Mondadori, Milano, 2004, p. 510.
95
guardiamo sia a CHI, sia al MODO col quale è stato organizzato l'ordine di quasi
tutti i sistemi sociali lungo i secoli passati, ci rendiamo conto di due cose:
la prima è che si tratta di ordini costruiti a priori, imposti dall'alto, accentrati,
gerarchici e non spontanei, dunque artificiali;
la seconda è che la legge, quando è deliberata da uno o da pochi e non è
prodotta da scelte di comportamento libere e volontarie della maggioranza
degli individui che formano la società, permette di mantenere un
comportamento individuale e collettivo egoista, predatorio e altamente
conflittuale che si concretizza anche nella violenza dei rapporti interpersonali,
siano essi economici, politici o religiosi e nella GUERRA.
In sostanza la nostra specie ha creato e continua a creare istituzioni sociali
artificiali che ... non hanno alcuna realtà perché ...
... Sono gli uomini che rendono reali i fatti e le strutture sociali. La
realtà dei fatti naturali, delle montagne e delle molecole, esiste
indipendentemente dalle nostre rappresentazioni, mentre il denaro o il
matrimonio acquistano "realtà" solo in riferimento ad un accordo
"convenzionale" che gli uomini decidono di stabilire. ... Il potere dei
governi e delle corti costituzionali è un potere palpabile, concreto ed
effettivo, ma, a differenza del potere dei venti e delle maree, esiste solo
perché noi ne riconosciamo l'esistenza.150
Accettare l'ordine sociale dello STATO costruito artificialmente a priori “solo
perché noi ne riconosciamo l'esistenza”, basandolo su convenzioni accettate
sulla base di informazioni storicamente distorte o scientificamente errate ci ha
portato a disinteressarci del modo con il quale vengono organizzate e ordinate
la comunità e la più vasta società in cui viviamo la nostra esistenza.
Questo comportamento, infatti, ha permesso la nascita di sistemi accentrati e
gerarchici di governo in cui un solo individuo (capo, re, imperatore, duce
leader, ecc. ) o pochi rappresentanti (gli eletti nei parlamenti e nei consigli)
possono deliberare le leggi (soprattutto quelle fiscali e monetarie), alle quali le
presenti e le future generazioni saranno sottomesse per continuare a essere
sfruttate nei secoli.
150 J. Searle: La costruzione della realtà sociale, 1955, Trad. A. Bosco, Einaudi, Torino, 2006.
96
Capitolo VIII
La socialità
1. Il mistero dell'origine della vita e la socialità nei batteri.
Scrive P. J. Proudhon nel Prologo al Sistema delle contraddizioni
economiche o filosofia della miseria:
Dirò dunque come, studiando nel silenzio del mio cuore, e lontano da
tutte le umane considerazioni, il mistero delle rivoluzioni sociali, Dio, il
grande Sconosciuto, è divenuto per me un’ipotesi, voglio dire un
necessario strumento dialettico. … Se io seguo, attraverso le sue
trasformazioni successive l’idea di Dio, trovo che cotesta idea è innanzi
tutto sociale; intendo dire che essa è piuttosto un atto di fede del
pensiero collettivo, che un concetto individuale. Ora, come e in quale
occasione un tale atto di fede si produce? Importa determinarlo.151
Ebbene, credo che per cominciare a determinare in cosa consiste l'idea sociale
sia necessario rispondere brevemente alle seguenti domande: cosa è la
socialità in quanto “atto di fede nel pensiero collettivo”? Quando e dove è nata
questa funzione biologica? Con quali strumenti possiamo determinarne
l'origine e la giustificazione? Dobbiamo considerare che è propria della sola
specie umana in quanto idea, ipotesi necessaria posta artificialmente a priori,
oppure è caratteristica biologica del vivente?
Per rispondere in modo appropriato non vedo altra strada che quella di riferirmi
al periodo in cui si formarono i primi elementi del RNA/DNA cellulare dai quali
prese origine la vita come oggi la conosciamo.
Capisco che a prima vista tutto ciò potrà sembrare del tutto fuori luogo per chi
ha mentalmente schematizzato i concetti dell'ordine sociale sulla base degli
imprinting teologico-politici secolarizzati e sulla necessità di continuità storica
limitata alla brevissima permanenza della specie umana sulla Terra.
Alla luce delle recenti scoperte scientifiche, infatti, non è possibile stabilire con
certezza assoluta se il fenomeno che si concluse con la comparsa della vita sul
Pianeta azzurro fosse legato a una sola cellula, oppure ad un gruppo di cellule
che avevano caratteristiche simili e vivevano riunite in gruppi nello stesso
ambiente. Tuttavia appare evidente che esse possedevano già la tendenza a
creare relazioni stabili e cooperative per i vantaggi che potevano ottenere
151 P. J. Proudhon, Prologo al Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della
miseria, cap. I. Ed, Garniere Frère, 1850. Testo tradotto dal francese .
97
rispetto all'ambiente interno ed esterno.
Sulla base di questa osservazione mi sono chiesto se la socialità possa trovare
la sua origine nella formazione degli spezzoni primordiali di RNA/DNA che fra i
quattro e tre miliardi e mezzo di anni fa cominciarono a produrre i geni
dell'elica immortale determinandone il comportamento e la specificità di
funzioni e di trasmissione di informazioni genetiche alle generazioni
successive.
Questo, infatti, farebbe pensare che le prime cellule viventi avessero già una
tendenza alla socialità; assolutamente elementare, d'accordo, ma tale da
affrontare con successo la lotta per l'affermazione della vita sulla Terra,
cooperando spontaneamente nel reciproco interesse (synallagma o nesso di
reciprocità) allo scopo di trarne vantaggio individuale e collettivo.
Penso che questa osservazione sia valida anche agli effetti dell'ordine sociale
umano e più precisamente per i contratti di scambio nel sistema dell'ordine
economico e per i contratti di scambio nel sistema dell'ordine politico.
A mio parere questo costituisce il fondamento della socialità.
A sostegno di questa tesi la logica e la scienza indicano oggi che il nesso di
reciprocità era presente nelle componenti biologiche che hanno preceduto la
formazione delle prime cellule viventi e nell'organizzazione sociale dei primi
batteri che hanno abitato la Terra o, se si vuole, che vi sono stati trasportati da
qualche meteorite vagante nell'Universo; il che non cambia proprio nulla.
Capisco che alla luce dell'apparenza e dell'esperienza storica legate al
brevissimo periodo evolutivo in cui la specie umana è vissuta sulla Terra
(centomila anni), sia difficile ammettere la validità dell'osservazione che
attribuisce una forma primordiale di socialità alle prime cellule apparse sul
Pianeta. Tuttavia dobbiamo prendere atto che noi esistiamo grazie alla leggera
prevalenza in tutto il vivente di comportamenti spontanei altruisti e
mutualmente cooperativi che nell'ordine sociale umano producono pubbliche
virtù, rispetto a quelli artificiali egoisti e violenti generati dal narcisismo,
dall'egoismo, dall'arbitrio, dall'abuso e dalla eccessiva disuguaglianza, che
indeboliscono o spezzano ii nessi di reciprocità fra gli individui e fra le società.
In questa ottica la socialità è una funzione biologica propria di tutta la vita,
tendente a favorire l'aggregazione spontanea, cooperativa e mutualistica nei
rapporti sociali mediante nessi di reciprocità che consentono di evitare o di
ridurre i danni conseguenti le possibili scelte errate delle leggi che incidono
profondamente sul comportamento individuale e sociale.
2.
La sorgente del comportamento sociale. L'egoismo e l'altruismo.
Per secoli e secoli l'Umanità ha cercato il sacro Graal della conoscenza che
permettesse di costituire un ordine sociale adatto a perseguire la felicità del
98
genere umano. Tuttavia solo oggi sappiamo dalla scienza ciò che un tempo non
sarebbe stato neppure possibile immaginare, ovvero che le proprietà degli
elementi, delle componenti e dei processi che presiedono alla socialità sono
dovuti principalmente all'interazione biologica di geni specifici, che per la
maggior parte si sono formati nel genoma primordiale dei batteri miliardi di
anni fa. Di conseguenza ...
… La socialità, (è) l’insieme dei processi e delle proprietà utili alla vita
sociale.152
Questo vale per le società dei batteri come per quelle della nostra specie.
La scienza dice oggi che piccoli frammenti di RNA presenti in tutte le cellule
del vivente mostrano spesso capacità di catalisi, agiscono cioè da enzimi (i
ribozimi153) preposti ad accelerare i processi chimici di aggregazione; ovvero
cooperano per permettere alla cellula di trarre vantaggio dalla reazione.
Attraverso una serie di reazioni complementari e circolari, infatti, da un lato i
ribozimi agiscono sulla molecola di cui sono parte, dall'altro aiutano a montare
e a replicare altre molecole di RNA mediante retroazioni di copiatura genetica
positive e negative più o meno perfette ed equilibrate.
L'alto numero degli errori di copiatura che si verificò all'inizio del lunghissimo
processo biologico di trasmissione ereditaria fra i quattro ed i tre miliardi di
anni fa, portò all'eliminazione di tutte le molecole di RNA che non rispondevano
sia al minor numero di errori nella copiatura, sia al più efficiente uso
dell'energia per i loro processi chimici rispetto all'ambiente esterno ed interno.
È stato così che sono sopravvissute le molecole e le cellule che cooperavano
traendo vantaggio dalla costruzione del RNA/DNA primordiale, ottenendo
condizioni di stabilità vantaggiose all'interno dei sistemi cellulari e infine
sociali in tutto il vivente.
Ad esempio, oggi sappiamo che i geni presenti nell'elica immortale accendono
o spengono i loro semafori rosso e verde per permettere, impedire o stimolare il
funzionamento di altri geni che presiedono alla struttura della forma e del
comportamento. Il funzionamento complessivo e il funzionamento degli organi
è determinato da nessi biologici di relazione, di integrazione e di cooperazione
mutualistica fra i geni dell'elica immortale.
Ebbene, per quanto riguarda la nostra specie all'interno di questo meccanismo
si sono prodotte le condizioni del comportamento sociale umano.
Se è vero, come riporta Rousseau in Il contratto sociale, che L'uomo è nato
libero, e dovunque è in catene 154, dovrebbe essere anche vero che da un punto
152 E. O. Wilson, Sulla natura umana, Zanichelli, Bologna, p. 148.
153 Un ribozima (termine composto da ribonucleico ed enzima), è una molecola di RNA in
grado di catalizzare (accelerare o diminuire) una reazione chimica.
154 J.J. Rousseau (1712-1778), Il contratto sociale, trad. Maria Garin, introduzione e cura T.
Magri, Editori Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 5.
99
di vista biologico ed etologico le catene sociali alle quali si riferisce sono
favorite sia dal corredo genetico che determina il comportamento individuale,
sia dal modo in cui è stato organizzato l'ambiente sociale in cui gli esseri umani
vivono. Penso che questa osservazione meriti la dovuta attenzione in relazione
al modo in cui si è manifestata la “disuguaglianza” che tanta importanza
assume dal punto di vista dell'ordine sociale.
Concepisco nella specie umana due generi di disuguaglianza: l'una, che
chiamo naturale o fisica, perché è stabilita dalla natura, e che consiste
nella differenza di età, di salute, di forze corporee e qualità d'intelligenza
e dell'anima; l'altra che si può chiamare disuguaglianza morale e
politica, perché dipende da una specie di “convenzione” che è stabilita o
almeno autorizzata dal consenso degli uomini. Quest'ultima consiste nei
diversi privilegi di cui alcuni godono a danno degli altri - come essere
più ricchi, più onorati, più potenti di loro, o anche di farsi obbedire.155
Uno dei grandi errori del passato è stato considerare la disuguaglianza come
“Legge di natura”. Diversamente dalle credenze antiche in La giustizia nella
rivoluzione e nella chiesa, P. J. Proudhon scrive profeticamente:
Con un sentimento unanime, pagani, cristiani, monarchici e democratici,
s'accordarono nel considerare l'inuguaglianza come una legge della
natura o della provvidenza, contro la quale nessuno aveva il diritto di
protestare, e che, imponendosi alla ragion pratica e divenendo così
ragion di Stato, e trovando la sua espressione e consacrazione nel patto
sociale, conduceva sistematicamente lo stato di naufragio in naufragio.
Una volta ammessa la validità dell'ipotesi della disuguaglianza come legge di
natura e della società, è stato facile trovare e condividere la metafisica
dell'ordine sociale fondato sul potere fondata sull'idea di “limite”,
estremizzando le condizioni favorevoli allo status quo potere costituito
costituito a priori. Decine di milioni di morti nel tentativo di affermare una
maggiore uguaglianza nella libertà e nella diversità, sono lì a confermarlo
Davvero rari sono stati gli studiosi che hanno compreso che l'inuguaglianza e
l'uguaglianza, come l'autorità e la libertà sono costrette a convivere nell'ordine
sociale e che hanno bisogno di un nesso di reciprocità che le tenga in equilibrio
determinandone i limiti.
Davanti alla crisi planetaria che oggi mette in pericolo l'ecosistema, l'economia,
la pace e la vita di miliardi di persone, credo sia necessario prendere atto che si
sta verificando un eccessivo accumulo di complessità dei sistemi sociali;
complessità che non siamo più in grado di controllare e di regolare con gli
strumenti culturali obsoleti e secolarizzati del potere, della politica, della
religione e dell'economia come li abbiamo intesi nel corso della storia umana.
155 J.J. Rousseau, Origine della disuguaglianza, cit. p. 35.
100
Se Thomas Hobbes in La natura umana 156 riporta che …
... Per farsi un'idea chiara degli elementi della legge di natura e della
legge Politica è importante conoscere la natura dell'uomo.
... E. O. Wilson, fondatore della sociobiologia moderna così definisce la natura
sociale dell'uomo:
Ci accostiamo a questo argomento con un senso di esitazione e persino
di timore. Perché, se il cervello è una macchina di 100 miliardi di cellule
nervose e il funzionamento della mente può essere spiegato come la
somma di attività di un numero finito di reazioni chimiche ed elettriche,
esistono confini che limitano le possibilità umane, cioè siamo entità
biologiche e il nostro spirito non può spaziare liberamente. Se il genere
umano si è evoluto per mezzo della selezione naturale darwiniana, sono
il caso genetico e la necessità ambientale, e non Dio, che hanno creato
le specie. Si può ancora cercare la divinità nell’origine dell’unità
fondamentale della materia, nei quark e negli strati elettronici (Hans
Kung aveva ragione di chiedere agli atei perché, invece del nulla,
qualcosa esista), ma non nell’origine della specie. Per quanto si cerchi
di abbellire tale cruda conclusione con metafore ed immagini, essa
rimane l’eredità filosofica dell’ultimo secolo di ricerca scientifica. Non
sembra possibile evitare questa conclusione, di certo poco attraente.
Essa è la prima ipotesi essenziale per qualsiasi seria considerazione
della condizione umana. Senza di essa le discipline umanistiche e le
scienze sociali si riducono alla descrizione dell’aspetto superficiale dei
fenomeni, come sarebbe per l’astronomia senza la fisica, la biologia
senza la chimica, la matematica senza l’algebra. Tenendo invece conto
di essa si può scoprire la natura umana come oggetto di una completa
ricerca sperimentale, la biologia può essere posta al servizio di una
educazione liberale e la concezione di noi stessi può essere enormemente
e veramente arricchita.157
A mio parere, sull'egoismo c'è poco da dire. Qualunque cosa si sia evoluta nel
vivente per selezione naturale, è apparsa nei secoli avere un comportamento
prevalentemente egoista, predatorio e conflittuale; più raramente altruista e
cooperativo.
Per comprendere l'enigma dell'altruismo e dell'egoismo nella nostra specie
credo che sia necessario, fra l’altro, distinguere due forme basilari di
comportamento altruista: quello spinto e quello blando158 che convivono nella
natura umana e nell'ordine sociale senza potersi vicendevolmente escludere.
156 T. Hobbes (1588-1679), La natura umana, Il Minotauro, Milano, 1995, p. 5.
157 E. O. Wilson, fondatore della moderna sociobiologia, in Sulla natura umana.
158 E.O. Wilson, Sulla natura umana, cap. I°, p. 5
101
Quando l’individuo si rende conto che può trarre vantaggio dalle sue azioni
altruiste a favore di un gruppo numeroso i cui membri non hanno strette
relazioni di parentela, non esita ad usare gli strumenti psicologici della
menzogna, della finzione, dell’ipocrisia, della pretesa o dell’inganno, per
mostrare pubblicamente il suo altruismo e il suo spirito di cooperazione.
Questo comportamento sociale finisce col tradursi in egoismo. L'uomo politico,
infatti, cosciente dei continui compromessi ai quali deve il suo successo, il suo
potere ed i suoi privilegi, è molto abile nel campo dell'ipocrisia e della
menzogna. Se osservata nell'ottica dei sistemi dinamici complessi la mancanza
di equilibrio fra comportamento altruista ed egoista tende a spezzare i nessi di
reciprocità nei rapporti interpersonali e accresce la dinamica eccitatoria dei
feedback positivi in numerose componenti sociali.
Come abbiamo visto, i processi di feedback positivo possono disintegrare i
rapporti affettivi e di relazione fra gli individui favorendo comportamenti
contraddittori, artificiali, scorretti, irrazionali, conflittuali, violenti e predatori
sia fra le singole persone sia fra i popoli.
In presenza di società costituite sulla base di eccessive differenze economiche
fra le persone, di grandi numeri, di vasti territori, di non partecipazione di ogni
individuo alla formazione delle leggi, si attenuano o vengono meno i legami di
relazione affettiva, di amicizia, di tradizioni, di valori, di reciprocità e di
conoscenza condivisa e si moltiplicano le associazioni di interessi, caste, lobby,
chiese, ecc. che hanno interesse ad unirsi per indebolire e successivamente
spezzare i nesso di reciprocità nei rapporti sociali ed economici per riceverne
vantaggio privato in termini di potere o di ricchezza. Il divide et impera è il
migliore espediente di una tirannide per controllare e governare un popolo
provocando divisioni e rivalità fra i cittadini.
3. Il meccanismo biologico della socialità.
Scrive E. O. Wilson in Sulla natura umana:
Se gli animali vivono insieme in gruppi vuol dire che i loro geni
ottengono dalla vita associativa più di quello che danno. 159
La codifica in regole biologiche di informazione e di comportamento di quelle
ritenute più vantaggiose ai fini del miglioramento della qualità e del benessere
dell'individuo e dell'efficienza del sistema sociale in cui vive, può essere
indicata come una convenzione biologica, ovvero come un contratto che nella
nostra specie è sociale, ma soprattutto politico.
Se ci avviciniamo alla realtà della natura, infatti, possiamo renderci conto che
159 E. O. Wilson, Sulla natura umana, cit., p. 105.
102
quando in un gruppo di individui la maggioranza adotta una strategia di
comportamento stabile che si dimostra vantaggiosa per l'individuo o per il
gruppo è come se scegliesse convenzionalmente di condividere con gli altri
una regola di comportamento, ovvero che si stipulasse un contratto di
reciprocità il cui contenuto, se condiviso dalla maggioranza, viene introdotto
come informazione biologica nell'elica immortale, per trasmetterlo alle
generazioni future.
Nel tentativo di massimizzare il proprio successo vitale ed evolutivo nel mondo
animale, il concetto di ESS (Strategia Evolutivamente Stabile)160 dimostra che la
migliore strategia di comportamento dipende da ciò che fa la maggioranza della
popolazione che è adottata da tutti gli individui per ottenerne un vantaggio
evolutivo comune.
Una strategia evolutivamente stabile o ESS (Evolutionary Stable
Strategy) è definita come una strategia che, se la maggior parte dei
membri di una popolazione l'adotta, non può essere migliorata da una
strategia alternativa. ... L'unica strategia che durerà sarà quella che,
una volta evoluta, non potrà essere più migliorata da nessun individuo
deviante.161
Anche l'ordine sociale umano è il prodotto finale di questo processo.
Ebbene, da pochissimi decenni fra alcuni sociobiologi ed etologi si è fatta
lentamente strada l’idea che l'evoluzione non sia fondata solo sulla strategia del
comportamento egoista, violento, conflittuale o predatorio, come si pensava nel
passato, ma in prevalenza sulla strategia dell'altruismo spontaneo e sulla
cooperazione mutualistica all'interno della famiglia, del gruppo e della società.
Essendo necessario alla conservazione, alla prosperità e allo sviluppo di
ciascuna specie, il mutuo appoggio è diventato ciò che Darwin ebbe a
definire un istinto permanente costantemente in azione presso tutti gli
animali sociali, ivi compreso, naturalmente, l'uomo.162
In presenza di ordine sociale organizzato spontaneamente il mutuo appoggio e
la cooperazione mutualistica sono sinonimi di altruismo163: feedback negativi
necessari a mantenere l'equilibrio e la stabilità del sistema nel corso del suo
cambiamento dinamico volto al bene comune.
Filosofi, giuristi e sociologi hanno cercato per secoli di trovare un principio
160 Il concetto di ESS è stato introdotto dal biologo e genetista John Maynard Smith nel 1973
utilizzando metodi di analisi della Teoria dei giochi. È considerato un'estensione al campo
evolutivo dell'equilibrio di Nash.
161 R. Dawkins, Il gene egoista, cit., pp 74- 75.
162 P. Kropotkin( 1842-1921) , Scienza e anarchia,cit., p.124.
163 La parola altruismo fu coniata nel 1853 dal filosofo A. Comte, 1798-1857), filosofo e
sociologo francese.
103
ordinatore superiore che ponesse fine all'instabilità sociale. Purtroppo non
disponevano del complesso di conoscenze che oggi abbiamo e di secolo in
secolo hanno potuto solo ipotizzare forme artificiali di società create sulla base
delle esperienze dirette o della teologia-politica secolarizzata.
Solo col ventesimo secolo la fisica, la chimica, la biologia, la sociobiologia,
l'etologia, la teoria dei sistemi complessi, la teoria dei giochi, la teoria
dell'equilibrio di Nash, ecc., hanno iniziato a spiegare perché l'ordine sociale
creato a priori dagli esseri umani si differenzia da quello degli altri mammiferi.
Un gioco può essere descritto in termini di strategie, che i giocatori
devono seguire nelle loro mosse: l'equilibrio c'è, quando nessuno
riesce a migliorare in maniera unilaterale il proprio comportamento.
Per cambiare, occorre agire insieme.164
Diversamente dal recente passato, sulla base dei dati scientifici di cui oggi
possiamo disporre, siamo in grado di verificare se le informazioni genetiche
relative all'altruismo e alla cooperazione mutualistica nell'ordine sociale non
solo appartengono a tutto il vivente, ma convivono nell'elica immortale con i
geni dell'egoismo e della predazione. Forse per questo L. Margulis, scrive:
La vita non prese il sopravvento sul globo con la lotta, ma istituendo
interrelazioni. Le forme di vita si moltiplicarono e divennero sempre più
complesse attraverso una cooptazione di altre, non soltanto attraverso la
loro estinzione.165
Quindi non furono la lotta, la violenza e la predazione a permettere
l'affermazione e l'evoluzione della vita sociale sulla Terra, ma la cooperazione
spontanea e reciprocamente vantaggiosa.
La simbiosi fra specie diverse ne è un chiaro esempio; la straordinaria
cooperazione mutualistica nelle società degli animali eusociali un altro.
Ebbene, io credo che questa sorta di convenzione biologica che ha prodotto il
successo o l'insuccesso evolutivo delle specie animali e vegetali sia l'Archè, il
Principio superiore attraverso il quale si forma la legge e che la convenzione,
posta alla base del nesso di reciprocità nei rapporti interpersonali politici ed
economici, costituisca il campo di allenamento necessario alla crescita della
coscienza e del benessere individuale e collettivo nella pace e che possa
produrre condizioni di sempre maggiore uguaglianza nella libertà e nella
diversità nell'ordine sociale della nostra specie.
164 John Nash, intervista di Piergiorgio Odifreddi, 11 marzo 2008.
165 L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 4.
104
4. La questione dell'istinto, l'imperativo territoriale e la convenzione
biologica,
Ogni volta che con gli amici mi permetto di sostenere la necessità di
impostare le leggi dell'ordine sociale sulla conoscenza del funzionamento dei
sistemi biologici, viene inevitabilmente fuori il discorso dell'istinto.
Inutilmente io sostengo che la socialità è un istinto biologico. A parere di tutti
gli interlocutori, infatti, l'istinto sarebbe proprio degli animali, ma non
dell'uomo che possiede la ragione e la cultura. Pertanto, a loro dire, l'ordine
sociale non può essere che un prodotto della ragione in rapporto alla continuità
storica dell'esperienza umana e che non è possibile realizzarlo sulla base delle
nuove conoscenze delle leggi biologiche, fisiche, chimiche, etologiche e
sociobiologiche che nelle specie animali hanno creato, in tempi lunghissimi, il
comportamento sociale istintivo.
E. O. Wilson in La conquista sociale della Terra sostiene che…
... nessuna idea della scienza moderna ha suscitato più polemiche di
quella secondo cui l'istinto umano è il prodotto della mutazione della
selezione naturale.166
Come abbiamo visto l'etologia è la scienza che studia il comportamento
animale e umano. Ebbene:
L'etologia tratta ... sia il comportamento animale sia quello umano come
funzioni di un sistema che deve la sua esistenza e la sua forma specifica
a un processo storico svoltosi nel corso della filogenesi167, dello sviluppo
dell'individuo e, nel caso dell'uomo, dell'evoluzione culturale. In quanto
al problema causale vero e proprio, e cioè al problema del “perché” un
determinato sistema sia dotato di quelle e soltanto di quelle
caratteristiche, esso può trovare una risposta legittima soltanto nella
spiegazione di tale processo in termini di scienza naturale. 168
Vediamo dunque cosa si dovrebbe intendere per istinto. Un'ape appena
nata si orienta immediatamente verso un celletta che contiene miele e ne
assume in abbondanza per avviare al meglio i suoi processi vitali; una
balena neonata sa nuotare; uno gnu sa stare in piedi, correre e trottare
pochi minuti dopo la nascita, ecc.. Questi comportamenti, ovviamente, si
sviluppano in base a istruzioni biologiche già presenti nel patrimonio
166 E. O. Wilson, Sulla natura umana, cit. p. 182.
167 R. L. Montalcini ((1909-1912), in “La Galassia Mente, Baldini & Castoldi, Milano, 2001,
definisce la filogenesi come “un processo evolutivo degli organismi vegetali e animali dalla loro
comparsa sulla terra a oggi”.
168 G. A. D'Ambrosio, Introduzione a L'imperativo territoriale di R. Ardrey, Giuffré Editore,
1984, Milano, p. 3.
105
genetico dell'elica immortale.
Penso perciò che possiamo essere d'accordo nel definire l'istinto come una
capacità innata che negli individui di tutte le specie determina un
comportamento immediato in risposta a precisi stimoli interni o esterni.
Nell'enorme periodo di tempo che ha segnato la vita dei batteri - dice la scienza
del ventunesimo secolo - si sono prodotti spontaneamente nel vivente i geni
dell'elica immortale e le strutture neuronali che permettono anche di prevedere,
apprendere, simulare, immaginare, ricordare, trasmettere e ricevere
informazioni che determinano il comportamento individuale.
Ebbene, per controllare il comportamento dell'organismo in relazione
all'ambiente interno e esterno, i geni e il restante RNA/DNA presente nelle cellule
del corpo, perfetti ingegneri programmatori, nel corso della loro formazione ...
... dovevano regolare il computer in anticipo, fornendogli una lista
equilibrata di istruzioni specifiche e di suggerimenti su strategie e
tecniche da usare. ... dopo di che la macchina da sopravvivenza lavora
da sola ed i geni possono solo restare passivi al loro interno.169
Fin dalla loro comparsa i batteri sapevano forse che per rispondere in modo
efficace ai pericoli improvvisi che derivavano dall'ambiente esterno dovevano
disporre di meccanismi di comportamento molto rapidi ed efficienti?
Apparentemente no! Questo non toglie che in circa tre miliardi di anni sono
sopravvissuti quelli che erano in grado di dare risposte immediate di
comportamento nei confronti dei pericoli per assicurare in modo più efficiente
la sopravvivenza e la riproduzione.
Questo si può spiegare col fatto mentre nei batteri e negli animali la rapidità
della risposta istintiva a stimoli ambientali è rapidissima e automatica, nella
specie umana la risposta può essere soggetta anche a scelte volontarie di
comportamento soggette a particolari raffinatissimi meccanismi di valutazione
sensoriale, culturale o di pensiero astratto che rallentano o impediscono il
funzionamento del meccanismo.
Ad esempio: tutti gli esseri umani nascono con la capacità istintiva di stare
immersi nell'acqua senza respirare. Un riflesso ancestrale comune ai
mammiferi, infatti, porta anche i neonati della nostra specie a chiudere
istintivamente la glottide per impedire di inalare l’acqua durante l’immersione
evitando così di restare soffocati. Questo riflesso istintivo viene perso dal
bambino dopo i primi 7-8 mesi di vita, dopo di che deve apprendere il nuoto
per imitazione.
Con l'apprendimento per imitazione il bambino compie un passo fondamentale
della sua esistenza: è in grado di scavalcare l’istinto geneticamente
programmato e di superare la paura indotta dalla legge della conservazione
169 R. Dawkins, Il gene egoista, cit. p. 57.
106
della vita per mezzo della capacità di apprendere, di imitare, di ricordare e di
prevedere le conseguenze della sua scelta di comportamento che adesso è
volontaria e non più istintiva.
Nei Sapiens la possibilità di scelta di comportamento consapevole legata alla
cultura complessiva acquisita, diventa forse lo strumento per superare l’istinto?
La risposta che oggi i neuroscienziati danno è che la mente inconscia, che ha
avuto un periodo evolutivo di formazione lunghissimo, legge i segnali
ambientali interni ed esterni e nell'uomo processa circa 20 milioni di stimoli al
secondo. L'istinto, in parole povere, fa scattare le risposte senza la minima
partecipazione o supervisione della mente conscia con una rapidità eccezionale.
L'intervento della mente conscia, diversamente, permette di rispondere solo a
circa 40 stimoli al secondo.
Nell'uomo le due menti formano una coppia dinamica ed interconnessa in
grado di cooperare in ogni istante, come quando guidiamo una macchina e
parliamo con una persona, oppure guidiamo e seguiamo la trasmissione della
radio. Questa sorta di cooperazione spontanea fra geni produce comportamenti
molto complessi, come nel caso di uno che impara a manovrare un complicato
meccanismo ed esegue movimenti impacciati e lenti inizialmente ma decisi e
rapidi una volta acquisiti nei programmi della mente inconscia e resi
automatici.
Come nel vivente l'istinto è una conseguenza della selezione biologica naturale
nelle specie animali, così anche il comportamento territoriale è stato
geneticamente acquisito come reazione istintiva necessaria alla sopravvivenza e
alla sicurezza della famiglia, del gruppo e della società in condizioni di
pericolo.
Per questo, forse, il comportamento territoriale istintivo degli animali ha
attratto la curiosità di centinaia di specialisti e di biologi, i quali sono convinti
che l'uomo sia una specie legata al territorio in cui è nato, proprio come lo sono
moltissime specie animali.
Ignorando queste osservazioni, la globalizzazione (mercato) e il mondialismo
(politica) hanno la pretesa di poter violare impunemente le regole di
comportamento biologico che la natura ha sperimentato in miliardi di anni,
senza rendersi conto di doverne subire, presto o tardi, le conseguenze.
5. Imperativo territoriale e comunità
La più importante fatica scientifica di un grande etologo e zoologo
americano, Robert Ardrey, si titola: L'imperativo territoriale.170
R. Ardrey (1908-1980), zoologo, antropologo e drammaturgo americano, L'imperativo
territoriale, Giuffrè Editore, Milano, Collana di scienza della politica diretta da Gianfranco
Miglio, 1984.
170
107
Partendo dall'assunto che il comportamento sociale umano, essendo un
prodotto dell'evoluzione, può essere spiegato biologicamente nello stesso modo
del comportamento di altri animali, Ardrey lo osserva in rapporto al territorio e
lo definisce come “un istinto aperto in cui il comportamento finale è regolato
da un modello geneticamente determinato, completato da tradizioni sociali e
da esperienze individuali”. Ne consegue che gli animali, esattamente come
l'uomo, costruiscono nazioni biologiche le cui componenti “obbediscono
all'imperativo territoriale” e sostiene la tesi che che “Una effettiva
organizzazione sociale ... sarà raggiunta o attraverso il territorio o attraverso
la tirannia”.
La capacità di un popolo, di formare tradizioni culturali che diventano
una rilevante forza selettiva in un particolare ambiente, ha
probabilmente contribuito al rapido sviluppo dell'evoluzione umana.
Sottovalutare le conseguenze a lungo termine di una tradizione culturale
è altrettanto pericoloso che sopravvalutare le conclusioni a breve
termine del determinismo culturale.171
Un'ampia varietà di osservazioni interdisciplinari sul comportamento
territoriale degli animali fa pensare che la lotta per il territorio abbia
caratteristiche innate e che sia fortemente dipendente dalla genetica.
Nel corso della sua evoluzione sociale l'uomo, grazie all'istinto di
sopravvivenza ha adottato strategie di comportamento necessarie a eliminare i
pericoli legati all'ambiente familiare, sociale e territoriale. L'imperativo
territoriale di nazione biologica deve essersi formato in milioni e milioni di
anni nel mondo animale come istinto, reazione davanti a pericoli o situazioni in
cui è in gioco la sicurezza, la sopravvivenza, la stabilità e il benessere
dell'individuo, del gruppo o della comunità, insediata su un limitato territorio
dove l'individuo ha sviluppato la conoscenza dell'ambiente e creato rapporti di
amicizia, usi, costumi e tradizioni condivise.
La difesa del territorio di ogni comunità o società animale sarebbe dunque un
istinto territoriale individuale, sociale e biologico ancestrale legato sia
all'identità e alla sopravvivenza dell'individuo, sia alla comunità in cui vive.
In realtà fino ai secoli recenti l'uomo ha sempre vissuto in comunità di
dimensioni assai limitate: le Poleis greche e le Civitates romane. È a partire
dalla diffusione dell'idea di Stato e dalla rivoluzione industriale che ...
… Si considera del tutto scontato che le dimensioni sempre crescenti delle
entità politiche, fino ad arrivare ad un unico governo mondiale,
garantiscano un allargamento dei mercati e conseguentemente una
accresciuta prosperità. ... La globalizzazione dei mercati, in realtà,
nasconde il proposito di accentrare in un unico organismo mondiale la
171
R. Ardrey, Ivi, p. 53.
108
regolamentazione del commercio e della finanza virtuale planetaria per
favorire i gruppi di potere egoista incarnati nei clan, soprattutto
bancario, finanziario e industriale, che attraverso lacchè politici ai loro
ordini governano gli stati. 172
Solo oggi cominciamo a renderci conto che la prospettiva statalista voluta dai
globalizzatori dei mercati, da attuarsi mediante il mondialismo della politica
(un governo unico per tutta la terra), rende necessario l'accentramento di potere
di governo a livello mondiale ed offre la possibilità di uniformare i
comportamenti individuali e sociali favorevoli al mercato, distruggendo gli usi,
la cultura, le diversità e le tradizioni delle piccole e medie comunità.
Nei secoli recenti, sotto la spinta del formidabile sviluppo della tecnologia e
della dimensione territoriale dello stato, il capitalismo ha subito una profonda
trasformazione: si è affermato come paladino del mondialismo e della
globalizzazione dei mercati ed è degenerato in turbocapitalismo.
In questa ottica è possibile prevedere uno STATO MONDIALE in mano a pochi gigacapitalisti e super-burocrati centralizzatori, nominati direttamente dai capi dei
partiti o dalle burocrazie degli stati, che risponderanno del loro operato e delle
leggi dagli stessi volute, non alle regole oggi conosciute della vita umana, ma
unicamente alle lobbies di banchieri a livello mondiale. Il modo mediante il
quale è stata organizzata l'Europa ne è un evidente e squallido esempio.
La Teoria delle dimensioni sociali, formulata nel 1955 da Leopold Kohr173 in Il
crollo delle Nazioni, si fonda sul presupposto che la causa di tutte le guerre e
della miseria sociale sia da ricercarsi nella “grande dimensione territoriale e
numerica dei grandi stati-nazione”.
... se la natura pone a misterioso fondamento del benessere il principio
della piccolezza degli elementi del creato, indicando nel principio
opposto la causa del loro malessere, il sistema di cura non può essere
rappresentato che dal metodo della divisione, intesa come scissione in
più parti degli elementi prima esistenti, in modo da trasformare un
equilibrio statico controllato, in una forma di equilibrio dinamico dotato
di un autonomo potere di regolazione. ... mentre la fusione, che a tanti
sembra un fenomeno evolutivo, rappresenta invece non soltanto una
causa di malessere, ma anche un indice di primitivismo. ... Le lastre di
pietra, che non hanno alcuna utilità quando sono troppo grosse, possono
essere utilizzate in delicati mosaici o in imponenti cattedrali, dopo essere
state tagliate in parti più piccole.174
Se nel presente molti odiano la parola “secessione”, prima di manifestare il
proprio pensiero in relazione al suo significato dovrebbero rendersi conto che
172 H-Hermann Hoppe, Abbasso la democrazia, Leonardo Facco Editore, Bergamo, 2000, p. 36.
173 Leolold Kohr (1909-1994), economista, giurista e politologo statunitense.
174 L. Kohr, Il crollo delle nazioni, Edizioni di comunità, Milano, 1960, p. 180.
109
la secessione altro non è che una esatta interpretazione biologica del contenuto
di questa citazione.
Il prossimo fallimento della moderna Europa dove l'alta finanza, con la
complicità della politica e della burocrazia stataliste sta tentando la fusione dei
sistemi legislativi e finanziari del potere di governo di numerosi stati sottraendo
agli stessi sovranità su quasi ogni aspetto della vita in comune, ne è un esempio
evidente. Infatti i popoli stanno avviando un processo irreversibile di
autodeterminazione politica a livello locale, che si opporrà sempre più
pesantemente al processo di accentramento politico europeo voluto dalle grandi
lobbie politico-affaristiche, ma non dalla maggioranza dei cittadini.
Nel 1943, poco prima di morire, Simone Weil ha scritto:
Il bisogno di avere radici è forse il più importante e il meno conosciuto
dell’anima umana. Difficile definirlo. L’essere umano ha le sue radici
nella concreta partecipazione, attiva e naturale all’esistenza di una
comunità che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti
dell’avvenire.175
Il quadro sociale che deriverà da queste osservazioni potrebbe essere
caratterizzato da rivolte popolari violente, volte a ripristinare un ordine sociale
coerente con i limiti numerici e territoriali che la natura impone a ogni sistema
sociale che crea; compreso quello umano.
Nel 1990, un gruppo di docenti e studiosi nel campo dell’etica, della filosofia e
delle scienze sociali, si ritrovarono nella capitale degli Stati Uniti su invito di
Amitai Etzioni,176 docente di sociologia presso la locale George Washington
University e del suo collega William Galston per un dibattito sui problemi
cronici di tutte le moderne società occidentali. Furono affrontati i temi della
disgregazione sociale, del declino della famiglia, dell'egoismo, dell'individualismo, del venir meno del concetto di responsabilità sociale, dei pericoli della
democrazia elettronica, della scomparsa di una qualsiasi nozione di bene
comune capace di bilanciare gli interessi particolari, della violenza, della
guerra, dell'accentramento del potere, ecc..
Il gruppo di studio dopo aver preso atto che dopo quasi cinquant’anni in cui era
stato progressivamente estromesso dal dibattito delle idee qualsiasi riferimento
al tema delle identità collettive, decisero di darsi il nome Communitarians per
enfatizzare il fatto che era giunto il momento di tenere fede alle responsabilità
nei confronti dei principi e delle persone con cui tutti tutti gli individui hanno
175 Simone Weil (1909-1948), La prima radice, trad. F. Fortini, Edizioni di comunità, Milano,
p. 198.
Amitai Etzioni, sociologo, teorico del Movimento comunitario, animato da un forte
impegno civile di rinnovamento a favore della comunità, volto a promuovere il senso di
responsabilità sociale, il valore del rispetto reciproco, la necessità di bilanciare le esigenze
individuali con le responsabilità sociali.
176
110
qualcosa a che spartire: la Comunità. Quello che il gruppo di intellettuali
riteneva essere il pericolo maggiore per il genere umano è la progressiva
scomparsa dell'idea di comunità dalla vita sociale.
Forse è per tale ragione che sono portato a credere che il nesso di reciprocità
nei rapporti interpersonali, economici e politici, l'istinto biologico individuale
legato all'imperativo territoriale della comunità e la contrattualità politica della
LEGGE collegata all'idea di autogoverno, potrebbero essere le risposte adeguate
per risolvere i problemi creati nel passato dalla nostra specie.
Purtroppo attualmente proprio quella borghesia che aveva trovato nel
capitalismo delle origini lo strumento del progresso, del benessere, della libertà
e della civiltà, creatrici dello straordinario periodo del Rinascimento, ha
accettato passivamente un sistema sociale politico ed economico distruttivo in
cui gli individui non consumano per esistere, ma esistono solo per consumare.
Saranno le piccole e medie comunità autogovernate, indipendenti, federate con
altre dello stesso tipo e stabilmente insediate su territori limitati, le scogliere
sulle quali si infrangerà l'assurdo disegno politico mondialista portato avanti
senza scrupoli morali dai grandi stati moderni accentrati in mano alle lobby di
potere finanziare, burocratiche e massoniche che voglio dominare il mondo?
Io credo che passeranno secoli e che una serie di rivoluzioni sociali debba
verificarsi prima che possano apparire le condizioni di coerenza del
comportamento umano con la legge di natura.
Sarà questo passaggio a offrirci la possibilità di modificare i comportamenti
politici che si dimostrano contrari al progresso, al benessere di tutti e alla
crescita della coscienza individuale e collettiva e della civiltà?
111
Capitolo IX
L'archè del Contratto nell'ordine sociale
1. La ruota infuocata di Issione delle rivoluzioni sociali.
In Del principio federativo Proudhon scrive:
Si tratta di sapere se la società può arrivare a qualcosa di regolare, di
giusto e di stabile, che soddisfi la ragione e la coscienza, oppure se
siamo condannati per l'eternità a questa ruota di Issione.
Nella mitologia greca Issione, figlio di Flegias, re dei Lapiti, invitato alla
mensa degli Dei aveva oltraggiato la Dea Era e per questo fu condannato da
Giove a girare per l'eternità legato a una ruota infuocata.
Penso che molti di quelli che con un po' di fatica sono giunti fin qui,
concorderanno che ciò che ci aspetta in mancanza di possibilità di
cambiamento di logica per affrontare il tema dell'ordine sociale sia la
persistenza di un sistema statale chiuso caratterizzato da un susseguirsi di brevi
periodi di pace con periodi di rivoluzioni, di sfruttamento indiscriminato, di
atroci violenze e di guerre. Tuttavia una possibilità di cambiamento esiste, è
reale e può essere facilmente compresa da tutte le persone di buona volontà:
Io cerco di dimostrare che questo tipo di costituzione unica (la
Costituzione federale, n.d.a.) che alla fine sarà riconosciuta come la più
grande conquista della ragione dei popoli, non è altro che il sistema
federativo. Ogni forma di governo che si allontana da essa, deve essere
considerata come una creazione empirica, un abbozzo provvisorio, più
o meno comodo, sotto la quale la società trova riparo un istante e che,
come la tenda dell'Arabo, si leva la mattina dopo averla montata la
sera.177
L'esperienza della teologia-politica secolarizzata e le centinaia di rivoluzioni e
di guerre che ha prodotto dovrebbe ormai averci insegnato che nel corso di
ogni rivoluzione sociale la politica e l'economia si riducono a scontro
irrazionale e violentissimo di passioni, di ipotesi, di ideologie, di miti, di fedi e
di interessi. Infatti una volta terminata la rivoluzione o la guerra che nascono
sempre dall'alternarsi di regimi di autorità con regimi di libertà o dalla grande
disuguaglianza delle fortune, si perviene inevitabilmente a nuove costruzioni
177 P. J. Proudhon, Del Principio federativo, cap. 1, Dualismo politico, Autorità e libertà.
112
artificiali dell'ordine sociale decise a tavolino ancor prima che la rivoluzione
cominciasse. Così la ruota di Issione dello Stato accentrato continuerà a
produrre per l'Umanità secoli l'inferno di rivoluzioni sociali e di guerre.
Chi dispone di grandi ricchezze sa che storicamente l'ordine sociale si dissolve
nelle forme degenerate dell'anarchia 178, della democrazia, del socialismo, del
liberalismo, del comunismo, della dittatura e della monarchia.
I grandi proprietari delle banche sanno anche che tutto ciò può essere
favorevole alla preservazione e all'accrescimento dei loro interessi potendo
manipolare i governi con la corruzione e con la compravendita dei voti.
La maggiore preoccupazione dei filosofi e dei giuristi onesti dei secoli che ci
hanno preceduto era quella di ricercare l'origine del potere, il Principio
superiore dal quale tutto ciò che riguarda l'ordinato evolversi della vita sociale
dovrebbe derivare per arrestare la violenza nei rapporti interpersonali e sociali.
La Grecia antica lo trovò nella Democrazia come forma di governo popolare;
Machiavelli lo trovò nel Principe riferendo il potere di dominio e di imperio al
quale i suoi sudditi sarebbero stati sottomessi con la forza per assicurare loro la
stabilità di governo e la sicurezza; Hobbes e Rousseau lo trovarono nell'idea di
contratto sociale e di volontà generale; Proudhon lo trovò nell'idea di contratto
politico commutativo che accomunando il principio repubblicano con la
democrazia permette di equilibrare nell'ordine sociale l'autorità con la libertà
per mezzo della legge. Tuttavia nella realtà sociale …
Esistono dicotomie ed antinomie. Le dicotomie sono coppie di estremi
opposti ed autoescludentisi. Archè ed Anarchè, cioè il principio
generativo e, insieme, conservativo che viene contrapposto alla
mancanza di origine e organizzazione, cioè il “territorializzato” contro
il “nomade”, è un chiaro esempio di dicotomia.
Si definisce antinomia, invece, la compresenza di due affermazioni
contraddittorie, egualmente dimostrabili, in uno stesso procedimento
logico o definizione. Un caso chiarissimo di questa compresenza la
troviamo nella “proprietà privata”, come esemplificato dalle due opere
maggiori di P. J. Proudhon sull’argomento. In Che cos’è la proprietà? il
tipografo francese afferma che essa “è un furto”; nella Quarta memoria
sulla proprietà179, diversamente, sostiene che questa “è la libertà”. In
realtà, sono ben poche le dicotomie che non siano poi riducibili a delle
antinomie di base. Certo è che, accolta una errata dicotomia, si ottiene
Ho indicato l'anarchia come degenerata perché la parola anarchia, sotto la spinta dello
status quo secolarizzato, ha assunto nel tempo un significato negativo e dispregiativo che
originariamente non gli apparteneva.
179 P. J. Proudhon, Teoria della Proprietà, o Quarta Memori stampato nel 1866, un anno dopo
la sua morte. Nell’arco di tutta la sua produzione Proudhon, in contrapposizione con Marx, ha
evidenziato lucidamente che la principale fonte dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo,
nonché il più grande pericolo per la libertà individuale, sociale e per il bene comune non è da
rintracciarsi tanto nell’espropriazione capitalista, quanto “nel modo di produrre la Legge”.
178
113
ciò che in teoria cognitiva, ma non solo, si chiama bias, cioè la
ricaduta a cascata di un iniziale distorsione su tutti i passaggi logici
successivi, un errore sistematico.180
Ci vuol poco a capire che il bias181 è lo strumento che alcuni usano per
appropriarsi del potere di governare distorcendo il significato delle parole per
creare condizioni favorevoli ai loro interessi e aspettative personali o di gruppo.
Per questo credo sia necessario restituire alle parole il loro significato
originario, escludendo dalla politica la possibilità di interpretazioni personali.
Archè è un termine che nell'antica Grecia significava principio unico, comando
e indicava il potere generativo a cui tutte le cose devono ubbidire ed entro il
quale ogni cosa vive nella sua limitata dimensione. L'Archè è anche l'identità
del diverso, principio eterno e incorruttibile di cui ogni cosa, elemento o
processo è costituito.
L'archè dunque non solo è ciò che vi e di identico nelle cose diverse, e
non solo è la dimensione da cui esse provengono e in cui esse ritornano,
ma è anche la forza che determina il divenire (il mutare) del mondo, ossia
è il "principio" che, governando il mondo, lo produce e lo fa tornare a
sé.182
L'opposto di Archè in quanto principio generativo, è Anarchè: mancanza di
origine, di potere e di organizzazione. Anarchia è ordine senza potere. Riferito
alla società umana il termine è sinonimo di consapevolezza, coscienza allo
stato puro, autogoverno degli individui e delle loro comunità; esattamente il
contrario di ciò che il potere e le chiese hanno fatto credere agli individui ed a
popoli indicando la parola come sinonimo di DISORDINE e di violenza .
Quale riflesso pratico possono avere queste osservazioni agli effetti dell'ordine
sociale? A mio parere è ciò che importa esaminare.
2. Come il potere dello status quo impedisce la spontaneità delle leggi
nell'ordine sociale umano
Credo che cercare di definire la natura del potere e di indicare i modi
attraverso i quali rendere più equa la diffusione del benessere, sia molto
importante agli effetti della comprensione dell'ordine sociale, perché coinvolge
sia l'idea di uguaglianza nella diversità sia la necessità di equilibrio dell'autorità
Luigi Corvaglia, conversazione sul tema: Proprietà e mercato fra Archè e Anarchè.
Il Bias è indicato come un errore sistematico che consiste nel ricercare, selezionare e
interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore
credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni, ipotesi o interessi e, viceversa,
ignorare o sminuire le informazioni che le contraddicono.
182 E. Severino, La filosofia antica, BUR, collana Saggi, Rizzoli.
180
181
114
con la libertà i cui figli degeneri sono per entrambi l'arbitrio, l'abuso, le
esagerazioni dell'egoismo connessi con la politica e col mercato.
Un adeguato chiarimento sul tema del “potere” è dato da un grande giurista
tedesco, Carl Schmitt in Dialogo sul potere183 con un giovane:
G. (giovane) - Parliamo dunque del potere che uomini esercitano su altri
uomini. Da dove deriva quel potere smisurato che, per esempio uomini come
Stalin o Roosvelt o chiunque altro lei voglia, hanno esercitato su milioni di
uomini?
C. S. - (Carl Schmitt) Nei tempi antichi si sarebbe risposto così: il potere
deriva dalla natura o da dio.
G. - Temo che ai nostri giorni il potere non ci appaia più come qualcosa di
naturale.
C. S. - Lo temo anch'io. Rispetto alla natura ci sentiamo oggi molto superiori.
Non la temiamo più e anche se ci aggredisce con malattie e catastrofi,
nutriamo la speranza di sconfiggerla in breve tempo. L'uomo, un essere vivente
reso debole dalla natura, si è prepotentemente distaccato dal proprio ambiente
con l'aiuto della tecnica. Si è fatto signore della natura e di tutti gli esseri che
vivono sulla terra. Le barriere tangibili che nel passato la natura gli aveva
opposto, come il freddo e il caldo, la fame e la carestia, gli animali selvatici e i
pericoli di ogni sorta, queste barriere naturali hanno perso molto della loro
forza.
G. - È vero. Non abbiamo più motivo di temere gli animali selvatici.
C. S. - Oggi le gesta di Ercole ci sembrano imprese molto modeste; e quando
un leone o un lupo piomba in una grande città, al massimo, crea ostacoli al
traffico o intimidisce i bambini. Di fronte alla natura l'uomo si sente così
superiore da permettersi il lusso di istituire parchi naturali.
G. - E che ne è di dio?
C. S. - Per ciò che riguarda dio, l'uomo moderno – e mi riferisco a chi abita
nelle grandi città – ha l'impressione che dio sia indietreggiato o che persino lo
abbia allontanato. Quando sente il nome di dio, l'uomo di media cultura cita
automaticamente la sentenza di Nietzsche: dio è morto. Altri, non meglio
informati, citano un motto del socialista francese Proudhon, che ha precorso
Nietzsche di circa quaranta anni affermando: chi parla di dio, bara.
G. - Se il potere non deriva né dalla natura, né da dio, allora da dove
proviene?
C. S. - Non ci resta che una soluzione: il potere, che viene esercitato da un
uomo su un altro uomo, deriva dall'uomo stesso.
G. - Questa è buona. Ma tutti siamo uomini. Lo erano anche Stalin e Roosevelt
o chiunque altro si voglia citare in proposito.
183 C. Schmitt (1888-1985), giurista e filosofo politico tedesco, Dialogo sul potere, Ed. il
melangolo, Genova, 1990, pp. 11-14.
115
C. S. - Una soluzione tranquillizzante. Se il potere, che un uomo esercita su un
altro, deriva dalla natura, allora o è il potere del genitore sulla sua prole,
oppure è solo la superiorità dei denti, delle zampe, degli artigli, delle
ghiandole velenose, e di altre armi naturali. Lasciamo pure cadere il discorso
sul potere dei genitori. Resta il potere del lupo sull'agnello. Un uomo che ha
potere, di fronte ad un uomo che non ne ha, si sente un lupo. Chi non ne ha si
sente un agnello, finché non riesce a raggiungere il potere e ad assumere il
ruolo del lupo. Ricorda il detto latino: Homo homini lupus.
G. - Spaventoso! E quando il potere deriva da dio?
C. S. - Allora, colui che lo esercita deve possedere una qualità divina,
interpreta il proprio potere come qualcosa di divino e pretende che si veneri se
non la sua persona, quantomeno il potere divino che si manifesta in lui.
Ricorda il detto latino: Homo homini deus.
G. - Questo supera ogni limite!
C. S. - Ma se il potere non deriva né della natura né da dio, allora tutto ciò che
riguarda il potere e la sua prassi si svolge tra uomini. I detentori del potere di
fronte a coloro che non lo hanno, i potenti di fronte agli impotenti sono più
semplicemente uomini di fronte a uomini.
G. - È proprio così: l'uomo è per l'uomo un uomo.
C. S. - Ancora una volta le ricordo un detto latino: Homo hominis Homo.
In ultima analisi l'idea di Schmitt, considerando che anche per gli antichi ”il
potere deriva dalla natura o da dio”, conferma l'idea dell'inuguaglianza come
legge di natura che produce POTERE e AUTORITA' come dominanti della politica
e riduce la questione del governo a un fatto fra uomini.
Da qui l'idea che potere e autorità debbano appartenere al più forte come in
apparenza indica la natura. Stabilito il governo sull'inuguaglianza come legge
di natura e non sul suo necessario equilibrio con l'uguaglianza per mezzo della
coscienza, ogni società è prossima alla tirannia e al suicidio, perché …
… il potere, guardiano della giustizia, è impotente ad adempiere al suo
mandato: è un organo di iniquità. Costretto fatalmente, per sostenere
l'ordine di cose la cui immoralità non tarda a colpire le anime, ad
usare verso i cittadini la violenza, da questo momento è perduto. In
luogo della Giustizia, regna la ragion di stato, la cui ultima parola, il
termine funebre è tirannia.184
La saldatura storica fra l'idea di divinità onnipotente e creatrice di ordine dal
disordine (che in nome dell'obbedienza oltre a salvare dalla morte sceglie a sua
discrezione anche i benedetti dalla sorte in termini di ricchezza) e il POTERE che
per mezzo dell'autorità e della forza induce all'obbedienza mediante la
184 P. J. Proudhon, La giustizia nella rivoluzione e nella chiesa, trad. di Mario Albertini (1919-
1997), UTET , Torino, 1968, p. 467.
116
sottomissione, ha permesso che in nome dell'inuguaglianza si formasse la
grande proprietà che si incarna nel dispotismo, nell'egoismo, nella violenza di
stato, nello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e nelle guerre di oppressione o di
conquista. Qui non sussiste più l'uomo che “è per l'uomo un uomo”, ma il
potere dell'uomo “contro” l'uomo.
Eccolo il Bias dello Stato sovrano: l'errore sistematico attraverso il quale sono
state selezionate e diffuse nei secoli le informazioni che permettono a pochi di
esercitare il loro potere personale attraverso l'autorità e la violenza legittimata
dalla legge, riparandosi dietro l'invenzione di un dio onnipotente o dello stato.
Da qui alla violazione dei diritti naturali degli individui il passo è breve,
brevissimo. Si pensi al diritto naturale di preservare la vita violato con l'obbligo
di partecipare alla guerra o all'imposizione fiscale oltre certi limiti, al diritto
naturale alla non tassabilità della prima casa (entro certi limiti di superfice),
all'esercizio diretto della volontà di scelta politica personale che è sinonimo di
“sovranità”, ai segreti di stato, alle violazioni della costituzione, ecc., ecc. .
Se si può giustificare che tutto ciò che nei secoli è stato prodotto a causa
dell'ignoranza e dalla mancanza di conoscenza delle leggi della natura e dei
relativi diritti, oggi la servitù nei confronti del potere comunque stabilito a
priori dall'uomo sull'uomo non è più accettabile.
Nessuno, che io sappia, ha considerato che disuguaglianza e uguaglianza sono
elementi del sistema dell'ordine sociale soggetti alla legge universale
dell'equilibrio degli elementi che lo formano.
Per questa ragione credo che presto dovremo - o meglio: “saremo costretti” a
prendere atto che il potere e l'autorità dello stato, non esistono in natura e che
sono destinati a scomparire come sistemi di organizzazione sociale primitivi,
artificiali e arbitrari imposti dall'alto con la forza o con la menzogna.
L'ordine sociale umano, in poche parole, non ha più ragione di essere fondato
sulla continuità storica o sul potere e l'autorità dello STATO come concepito nei
secoli passati e come oggi viene insegnato nelle scuole e nelle università, ma su
un corretto rapporto fra le leggi prodotte dalla ragione con quelle conosciute
della natura conosciute e nel rispetto assoluto dei diritti naturali che non
possono essere oggetto di legge.
In questo caso il potere e l'autorità esistono; eccome se esistono! Sono quelli
che derivano da ogni individuo uguale e libero di concorrere con la propria
VOLONTÀ e la propria COSCIENZA, nella libertà e nella diversità, alla
formazione della LEGGE mediante strumenti giuridici appropriati in cui la
Democrazia diretta sia prevalente rispetto alla Democrazia rappresentativa.
Pertanto, a mio parere, l'Archè del governo così sommariamente concepito
dovrebbe essere considerato come la bussola per orientare l'ordine sociale delle
Comunità future verso il progresso, il benessere e una nuova forma di civiltà.
Se io seguo, attraverso le sue trasformazioni successive, l’idea di Dio,
117
trovo che cotesta idea è innanzi tutto sociale; intendo dire che essa è
piuttosto un atto di fede del pensiero collettivo, che un concetto
individuale. Ora, come e in quale occasione un tale atto di fede si
produce? Importa determinarlo.185
Ebbene, a mio parere un tale atto di fede nel pensiero collettivo si produrrà
attraverso la capacità degli individui e dei popoli di auto-organizzarsi
politicamente ed economicamente riappropriandosi del diritto naturale di
deliberare direttamente le leggi che li riguardano, senza delegarlo
completamente a dei rappresentanti.
Tale è l'autogoverno come legge di natura inalienabile, inviolabile e
imprescrittibile. La legge così prodotta renderà possibile stabilire regole di
comportamento sociale condivise della vita in comune, per …
… non permettere un potere collocato al di sopra della società, ma
anche una concentrazione territoriale e una concentrazione di
molte funzioni della vita sociale nelle mani di pochi.186
Se questo non sarà possibile, dovremo continuare a soggiacere all'idea
secolarizzata che un mostro sociale, un Leviatano chiamato STATO sovrano,
possa continuare a predare, dominare, legittimare la violenza istituzionale e
sfruttare la vita e il lavoro di molti per salvaguardare gli interessi, i privilegi ed
il potere di pochi derivati dalla sua esistenza e dal suo uso contro natura.
3. I migliori per autoreferenza che vogliono dominare il mondo.
Agli albori del terzo millennio stiamo percependo segnali allarmanti che
indicano la prossima fine delle illusioni che una economia politicamente
globalizzata e mondializzata, realizzata sulla base di concezioni teologicopolitiche secolarizzate inappropriate e arbitrarie, possa sradicare dal Pianeta la
povertà, la grande disuguaglianza, l'ignoranza e le guerre.
Lo Jus Publicum Europaeum cinque-seicentesco, nato dopo la pace di
Westfalia (1648), che concludeva la Guerra dei trent'anni, ha caratterizzato i
regimi dei maggiori stati del pianeta fino ad oggi.
In queste condizioni non è certamente semplice azzardare idee nuove per dare
voce e potere al popolo, ovvero a tutti i cittadini, nella formazione delle leggi
ed è comprensibile che ciò possa ancora apparire velleitario o utopistico nelle
attuali condizioni politiche, economiche e religiose.
Tuttavia dobbiamo prendere atto che il potere planetario della grande finanza
185 P. J. Proudhon Prologo al Sistema delle contraddizioni economiche a filosofia della miseria,
cap. I, cit. .
186 P. Kropotkin, Scienza e anarchia, cit., p. 36.
118
bancaria predatrice e parassitaria ha mantenuto la dote di malvagità, di
criminalità sociale e di oppressione del passato e che non accetterà facilmente
una concezione dell'ordine sociale che nasce dal basso, dagli individui come
avviene in natura, perché sarebbe in grado di subordinarla agli interessi e alle
aspettative della maggioranza responsabile delle scelte di governo.
I migliori (...) vogliono poter essere malvagi, quando a loro piaccia,
senza cessare di essere i padroni. Un predicatore politico avrà un bel
dire loro che, essendo la forza del popolo la loro forza, il loro più grande
interesse è che il Popolo sia fiorente, numeroso e temibile. Sanno
benissimo che non è vero. Il loro interesse personale è soprattutto che il
popolo sia debole, miserabile e che non possa mai resister loro.187
Di fronte alla grande crisi determinata dalle ideologie sociali che non riescono
più a trasmettere una visione del futuro coerente con gli ideali morali ed
economici che si sono affermati nei corso dei secoli, si rende necessaria una
nuova consapevolezza, una nuova logica per affrontare il futuro in vista di
risolvere i colossali problemi connessi con la crescita straordinaria della
complessità dinamica dei sistemi dell'ordine sociale.
Chiaramente la civiltà occidentale da tempo è sulla strada dell'autodistruzione. Può questo percorso essere fermato e, se sì, come? Vorrei
poter essere ottimista, ma non so se vi siano sufficienti ragioni per
l'ottimismo. Intendiamoci: il corso della storia è determinato in ultima
analisi dalla idee, e le idee possono, in linea teorica, cambiare nello
spazio di un secondo. Ma affinché le idee cambino non basta che la gente
veda che qualcosa è sbagliato. Cioè, si devono comprendere i principi
basilari sui quali poggia la società: la cooperazione umana.188
In queste condizioni, infatti, ogni potere artificiale, arbitrario o abusivo in
grado di imporre agli individui e ai popoli un numero esorbitante di regole
molto spesso incomprensibili, spesso vessatorie, di incerta interpretazione e
dunque ispirate al parassitismo sociale, alla lunga è destinato a soccombere per
permettere a ogni persona e popolo di essere unita alle altre nella libertà e nella
diversità lasciando ognuno padrone a casa propria.
4. Lo stato moderno sinonimo di spoliazione degli individui e dei popoli.
In Del principio federativo (Cap. I) Proudhon pone nella legge il principio
generativo, l'Archè dell'ordine sociale, come elemento unico del governo e
precisa subito che tale principio è il perno di equilibrio di un'antinomia fra
187
188
J.J Rousseau, Il Contratto sociale, cit. p. 105.
H-H. Hoppe, Democrazia: il dio che ha fallito, liberilibri, Milano, p. 262-263.
119
l'Autorità che precede e la Libertà che segue.
L'ordine politico riposa fondamentalmente su due principi contrari,
l'AUTORITA', e la Libertà: il primo iniziatore, il secondo determinatore;
avente questo per corollario la ragione libera, quello la fede che induce
all'obbedienza. L'Autorità e la Libertà sono tanto antiche nel mondo
quanto la razza umana: esse nascono con noi, e si perpetuano in ciascuno
di noi. Osserviamo solamente una cosa, alla quale pochi lettori
presterebbero essi stessi attenzione: questi due principi formano, per così
dire una coppia di cui i due termini, indissolubilmente legati l'uno
all'altro, sono nondimeno irriducibili l'uno contro l'altro e restano,
qualunque cosa noi facciamo, in lotta perpetua. L'Autorità suppone
inconfutabilmente una libertà che la riconosca o che la neghi; la Libertà a
sua volta, nel senso politico della parola, suppone un'autorità che tratti
con essa, frenandola o tollerandola. Sopprimetene l'una, l'altra non avrà
più senso: l'autorità senza una libertà che discuta, resista o si sottometta è
una parola vana; la libertà senza un'autorità che gli faccia da
contrappeso è un non-senso. … Ne consegue che in ogni società, anche la
più autoritaria, una parte è necessariamente riservata alla libertà;
parimenti in ogni società, anche la più liberale, una parte è destinata
all'autorità. Questa condizione è assoluta; nessun sistema politico può
sottrarsi ad essa. A dispetto della ragione il cui sforzo tende
incessantemente a risolvere la diversità nell'unità, i due principi
rimangono a confronto e sempre in opposizione. Dalla loro tendenza
contraria ed inevitabile e dalle loro reciproche reazioni, risulta la
dinamica della politica.
Con queste parole Proudhon anticipa e applica al sistema dell'ordine sociale
umano un fenomeno fisico che oggi sappiamo essere caratteristico di tutti i
sistemi altamente complessi del vivente: la ricerca incessante di equilibrio
degli elementi e dei processi che ne consentono il perfetto funzionamento,
rendendoli stabili e dinamici, migliorandone l'efficienza e risparmiando
energia in vista della stabilità e del cambiamento.
Molti grandi sociologi ed economisti del passato dell’Otto-Novecento di
scuola francese e italiana hanno messo al centro delle loro riflessioni
sociologiche il concetto di spoliazione dei cittadini da parte dello stato.
Lo stato, che dovrebbe essere organizzato per i bene di tutti è molto spesso
un'organizzazione formata da pochi per “spogliare” i cittadini dei loro beni.
Jean-Baptiste Say, Pierre Joseph Proudhon, Frédéric Bastiat, Vilfredo Pareto,
Maffeo Pantaleoni e altri, hanno osservato che in ogni società gli individui
hanno a disposizione solo due modi per soddisfare i propri bisogni e garantire i
propri interessi: la produzione e lo scambio volontario.
Dopo l'autorità e la libertà, ancora due elementi del sistema dell'ordine sociale
che dovrebbero trovare nella legge il loro equilibrio. Entrambi i termini
120
(produzione e scambio volontario di beni), infatti, esigono un nesso di
reciprocità contrattualmente garantito che si concretizza nella partecipazione
diretta dei soggetti interessati alla formazione della legge che regola i rapporti
di produzione e di scambio.
Tuttavia, mentre la partecipazione individuale e volontaria costituisce l'essenza
del contratto economico di scambio in vista del reciproco interesse, nell'ordine
politico la partecipazione individuale e volontaria dei cittadini alla formazione
del contratto politico (la legge che regola lo scambio) è arbitrariamente esteso
al consenso e alla rappresentanza: due condizioni artificiali, ipotetiche che
offrono una doppia e inconciliabile possibilità di interpretazione e producono
due forme antitetiche di governo:
a) come rappresentanza politica di tutti da parte di pochi ai quali viene
delegato col voto tutto il potere di l'iniziativa delle leggi e la funzione
legislativa. Questo si verifica creando a priori indivisione e accentramento del
potere di governo in poche mani; è il “contratto sociale”.
Il procedimento che ne deriva produce la forma di Stato sovrano accentrato che
“nega” sia la sovranità popolare, sia la partecipazione diretta dei cittadini
all'iniziativa e alla delibera delle leggi che li riguardano, spezzando il nesso di
reciprocità che garantisce il bene comune. E' il caso dell'Italia;
b) come rappresentanza politica limitata dalla partecipazione volontaria di tutti
alla deliberazione o alla legittimazione delle leggi che riguardano ognuno.
Questo si può ottenere quando i cittadini conferiscono con procedimento
democratico agli eletti nelle istituzioni la “parte minore” della loro sovranità di
scelta politica sui FATTI limitati e conosciuti che li riguardano, riservandone
sempre agli aventi diritto al voto la “parte maggiore”. In questo caso il potere
di iniziativa delle leggi e la funzione legislativa appartengono anche ai cittadini
e i rappresentanti sono sottomessi al loro potere superiore.
Da questo secondo tipo di contratto (politico o di federazione) deriva
l'Autogoverno, ovvero la divisione del potere di governo fra tutti gli individui
associati che deliberano, modificano e abrogano le leggi della comunità locale
e nazionale, non “contro” ma “in concorrenza” con i loro rappresentanti.
Questa forma di governo è indicata come Federale. E' il caso della Svizzera e
della California e di altri States americani meno conosciuti.
La soluzione a) spezza il nesso di reciprocità fra governanti e governati e
produce sistemi accentrati, eccezionalmente burocratizzati e dispotici in mano
ai grandi proprietari e alle banche;
la soluzione b) garantisce il nesso di reciprocità fra cittadini e fra questi e le
istituzioni di governo nella deliberazione e legittimazione della legge e
produce sistemi effettivamente repubblicani, democratici: dunque Federali.
L'esperienza ha ormai storicamente dimostrato che con la finzione dello STATO
i rappresentanti, essendo gli unici ad avere il potere dell'iniziativa delle leggi
(art. 71 Cost. italiana), possono legittimare sia la violenza giuridica dello stato,
121
sia la spoliazione dei cittadini da parte dello stesso come in effetti sta
avvenendo visto che il secondo comma dello stesso articolo 71 (leggi di
iniziativa popolare) viene puntualmente ignorato da Parlamento, esattamente
come vengono ignorati dallo stesso i risultati di numerosi referendum.
Altro esempio storico di come si perviene alla condizione di legittimazione
della violenza e della spoliazione dei cittadini da parte dello stato sovrano è di
nuovo l'Italia la cui Costituzione, approvata dall'Assemblea generale il 22
dicembre 1947 e entrata in vigore il 1 gennaio 1948, non è mai stata sottoposta
all'approvazione o al rifiuto del popolo come era stato promesso dai partiti della
Resistenza riuniti a Bari nel 1944.
Così la possibilità di negare la Sovranità popolare salvo l'unico giorno della
cerimonia delle elezioni attraverso un potere autoreferenziale del parlamento
tipico dello stato monarchico e fascista che aveva voluto e perso la guerra,
veniva subdolamente reintrodotta nella Costituzione Repubblicana e
democratica voluta dai partiti antifascisti.
Ebbene, da un punto di vista morale e pratico i risultati della spoliazione da
parte dello stato sovrano dei diritti naturali dei cittadini lavoratori, della
violenza giuridica della legge e della spoliazione mediante tasse e imposte
assurde sono abbastanza simili: per il fascismo l'entrata in guerra con milioni di
morti; per la democrazia parlamentare le catene di decine di milioni di
cittadini-lavoratori legati allo sfruttamento sistematico da parte del sistema
predatorio delle banche private e del grande capitale parassitario locale,
nazionale, europeo o mondialista che sia.
5. La convenzione e la legge morale propria della natura.
La parola convenzione (contratto) connessa con il nesso di reciprocità, ho
riportato, ha suscitato di recente l'interesse in alcuni sociobiologi ed etologi per
il fatto che la selezione naturale crea spontaneamente i geni che regolano il
funzionamento degli organi e condizionano il comportamento individuale e
sociale, iscrivendo nell'elica immortale le informazioni genetiche legate al
comportamento.
Selezionando e premiando le associazioni dei geni che si dimostrano più
favorevoli alla migliore strategia di sopravvivenza, di riproduzione, di
sicurezza o di ordinato sviluppo del sistema sociale, la natura assicura alle
generazioni future gli elementi che costituiscono un vantaggio evolutivo per
l'individuo, per il gruppo e per la specie che si identifica nel buon governo e
nella civiltà.
Questa sorta di Radice della coscienza morale propria della natura tesa a fornire
alle generazioni future le informazioni necessarie al miglioramento del
funzionamento del sistema dell'ordine sociale, si sta lentamente spegnendo
122
nella nostra specie a causa dell'egoismo esagerato delle presenti generazioni,
che per soddisfare i propri interessi immediati accrescono a dismisura la
complessità dei sistemi sociali e caricano le generazioni future di gravami, di
debiti e di problemi che la crescita esponenziale della complessità non
consentirà di risolvere efficacemente.
Così Darwin aveva pienamente ragione quando affermava che l'istinto
della mutua attrazione si manifesta presso gli animali sociali in modo
più costante dell'istinto egoista alla conservazione personale. Egli vi
vedeva, come sappiamo, il rudimento di una coscienza morale: fatto che,
malauguratamente, i darwinisti hanno troppo spesso dimenticato.189
Molti anni fa, quando ancora non avevo idea che l'ordine sociale potesse avere
le sue radici nella natura, sono stato colpito dalla parola convenzione con la
quale avevo scarsissima confidenza. Non potevo neppure immaginare, allora,
che parole come democrazia, repubblica, autogoverno, sovranità popolare,
sovranità monetaria e modo di deliberare le leggi, dovessero essere informate a
convenzioni di reciprocità contrattuale fras gli appartenenti alla comunità.
Ebbene, leggendo la definizione di questa parola in Del principio federativo di
P. J. Proudhon, che la intendeva come sinonimo di contratto politico
commutativo per giungere alla definizione della sua idea di legge come perno
di equilibrio della giusta Autorità con giusta Libertà, nel mio cervello si è
accesa come una lampadina e ho dato importanza a cose che fino allora avevo
considerato con grande superficialità o addirittura ignorato.
Dopo alcuni anni da questa presa di coscienza ho dato ancora maggiore
importanza alla convenzione, avendo trovato citato in Il Gene egoista di R.
Dawkins il titolo di un libro scritto da Robert Ardrey 190, uno zoologo ed etologo
americano e per venti anni anche affermato drammaturgo. Il titolo del libro di
R. Ardrey, The Social Contract (Il contratto sociale) era identico al titolo del
più famoso Du contract social di J. J. Rousseau, pubblicato nel 1772.
Appena letto il titolo mi sono subito chiesto la ragione per la quale un noto
scienziato del ventesimo secolo avesse scritto un libro dedicandolo “Alla
memoria di Rousseau”, vissuto circa due secoli prima di lui e avesse usato lo
stesso titolo della sua opera più famosa.
Sicuramente, ho pensato, deve avere avuto qualche ragione forte per farlo. Mi
sono messo subito alla ricerca di The Social Contract di Ardrey e dopo diverse
ed inutili richieste a varie biblioteche, grazie a Internet sono riuscito a trovarne
uno usato che ho acquistato, che mi è stato spedito dall'isola di White.
Ho così scoperto la ragione dello stesso titolo dei libri di Rousseau e di Ardrey:
entrambi cercavano il legame di relazione che unisce l’uomo e la sua società
189 P. Kropotkin, Scienza e anarchia, cit. p. 124.
190 R. Ardrey ( 1908-1980)
123
alla natura e tutti e due, a tanta distanza di tempo e in condizioni di conoscenza
tanto diverse lo avevano trovato nella convenzione, cioè nel contratto che
entrambi, dopo Hobbes, avevano indicato come “sociale”.
È stato così che, soprattutto grazie a William Morton Wheeler, Robert Ardrey,
Edward O. Wilson e a Richard Dawkins, ho scoperto che i rapporti sociali nelle
società animali superiori sono regolati da convenzioni, ovvero da contratti di
reciprocità di natura biologica.
La perfezione del contratto sociale ha spezzato gli antichi vincoli, tipici
dei vertebrati, imposti dalla rigida selezione di parentela, mediante la
convenzione.191
Detto ciò, tuttavia, credo che sia necessario definire in termini appropriati gli
elementi, le componenti ed i principi del contratto definito come sociale, o di
sottomissione da Hobbes e da Rousseau e successivamente politico e
commutativo o di Federazione da Pierre Joseph Proudhon.
Ebbene, seguendo questo percorso mi sono convinto che questa distinzione
consentirà nel futuro di restringere al minimo l'ambito delle interpretazioni che
hanno consentito di distorcere i concetti fondamentali che riguardano il modo
di organizzare l'ordine sociale umano o di indebolirli favorendone il
travisamento nella pubblica opinione per salvaguardare interessi o punti di vista
personali, come è avvenuto per le idee di democrazia, di repubblica, di moneta,
di socialismo, di liberalismo, di comunismo, di fascismo, di nazismo, ecc..
A mio parere, ciò permetterebbe di mettere in evidenza come la coscienza
morale propria della natura e la conoscenza delle sue leggi fisiche, chimiche e
biologiche, possa aprire nuovi orizzonti dottrinari, economici, giuridici e anche
religiosi per cercare di ordinare in un nuovo modo la società umana, in vista
della crescita della coscienza, del benessere delle generazioni presenti e future
e del progresso della civiltà.
6. La difficoltà di introdurre nuove idee.
Le correnti filosofiche e giuridiche che nei secoli si sono occupate delle
dottrine dell'ordine sociale, sono talmente numerose e diversificate da sottili
differenze e tanti sono gli autori ed i testi di riferimento che, anche volendo,
tutto ciò che è stato oggetto di pubblicazione e di ripensamento su questi temi
nel tempo difficilmente si potrebbe leggere commentare nel corso di una vita.
Ci vorrebbe una vita intera per ripensare alcune delle maggiori teorie
politiche in termini politologici, cioè non in chiave storico- filosofico191 E. O. Wilson, Sulla natura umana, cit., p. 110.
124
letteraria, e ideologica, come sono scritte tutte le dottrine politiche. 192
Oggi nessuno, al di fuori di ristretti e chiusi ambiti universitari, si azzarda a
verificare la secolarizzazione dei concetti obsoleti di riferimento che stanno alla
base dell'ordine sociale in rapporto alle nuove conoscenze sulla natura .
So bene che questo modo di pensare rischia di rovesciare il pensiero
secolarizzato della teologia-politica, investe il mondo dell'economia e della
religione e corre il rischio di essere volutamente ignorato o deriso dei media.
Tuttavia non vedo altra strada per risolvere i problemi di straordinaria
complessità che continuamente si producono e ancor più si produrranno
nell'ordine politico ed economico delle società del ventunesimo secolo.
La crescita esponenziale della complessità sociale, infatti, non lascia alcun
dubbio sulla necessità di intraprendere una strada nuova e diversa rispetto al
passato.
Sono ben consapevole che cercare di introdurre nuove idee negli ordinamenti
politici è sempre stato terribilmente difficile. Già Machiavelli, nel tentativo di
giustificare politicamente il potere del Principe per instaurare lo stato,
rendendosi conto delle difficoltà obbiettive che si incontrano a introdurre idee
nuove nell'ordine sociale scrisse:
... debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più
dubia a riuscire, né più periculosa a maneggiare, che farsi capo a
introdurre nuovi ordini, perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli
che degli ordini vecchi fanno bene, e ha tepidi defensori tutti quelli che
degli ordini nuovi farebbero bene.193
A queste parole Machiavelli aggiunge che un nuovo sistema ha per nemici la
paura e l'incredulità degli uomini che non si fidano di cose nuove, se non hanno
esempi concreti ai quali riferirle.
Non è facile dipanare la matassa aggrovigliata degli eventi storici per stabilire
un punto di avvio obbiettivo relativo alla nascita dei problemi politici
economici e spirituali \attuali.
Da parte mia scelgo il periodo che va dal XV al XVII secolo, quando si
formarono i primi concetti giuridici moderni del diritto positivo
(giuspositivismo) contrapposti a quelli di diritto naturale (giusnaturalismo).
Questa antinomia (contrapposizione) è ancor oggi evidente nelle dottrine e
nelle filosofie sociali che si sono formate nel corso del tempo.
L'imprinting della funzione dirigista dello stato ha radicato saldamente
l'illusione, data dal processo di archiviazione della memoria storica non
biologica, che il cervello nel 1920 sia il medesimo cervello nel 2015 e che
192 G. Miglio, in Lezioni di politica, a cura di G. Bianchi, Il Mulino, Bologna p. 28.
193 N. Machiavelli(1469-1527) , Il Principe, p. 36.
125
quello che ha prodotto i sistemi sociali del passato, anche remoto, possa
continuare a essere considerato valido oggi.
Sostituire nelle giovani generazioni l'idea di conciliare le esigenze del
positivismo con quelle del giusnaturalismo mediante la nascita di comunità
locali autogovernate e federate è un'impresa rivoluzionaria che le future
generazioni, a mio avviso, saranno comunque chiamate a fare e noi abbiamo,
individualmente e collettivamente, il dovere di indirizzarle verso questa ricerca.
7. Giusnaturalismo e positivismo; i fratelli nemici e la Legge.
Già Aristotele194 in Politica, aveva definito l'uomo come animale politico
perché è in grado di organizzare la società. La definizione in realtà, indicava
l'antitesi fra ciò che è giusto per la città e ciò che è giusto per la natura.
La legge della città - sosteneva il grande scienziato e filosofo greco - rispecchia
il costume e la convenzione sociale, mentre la natura fa emergere
spontaneamente nell'ordine sociale ciò che nella vita associata è veramente
utile, originario e proprio dell'animale e dell'uomo.
Anche i tentativi dei primi grandi giusnaturalisti (Althusius, Grozio, Pufendorf,
Locke, ecc.) di dare una sistemazione giuridica al diritto di natura (Il
giusnaturalismo che fonda la legge sul rispetto del diritto naturale), si
rivelarono presto presso l'opinione pubblica del tempo come astrazioni
concettuali, architetture ideali della ragione, logiche senza reale fondamento
del governo della comunità: tutte cose che favorirono i sostenitori del diritto
positivo (dal latino ius positivum che significa "posto" o "imposto"
all'osservanza di ognuno dall'autorità dello stato comunque costituito) .
Norberto Bobbio ha reso bene l'idea della differenza fra positivismo e
giusnaturalismo chiamandoli i fratelli nemici.
Da buon positivista Bobbio ha precisato che il giusnaturalismo non può essere
considerato un vero e proprio diritto, perché è un diritto disarmato che a
differenza del positivismo non ha carattere di autorità e di coercibilità. Per lui,
probabilmente, la forza dello stato di diritto deve precedere ed essere maggiore
rispetto alla legge di natura e ai diritti naturali degli individui e dei popoli.
A giustificazione del pensiero di Bobbio si può soltanto dire che il
giusnaturalismo è disarmato nei confronti del positivismo per effetto della
mancanza delle conoscenze scientifiche, da parte dei giuristi e dei filosofi
politici, posteriori al 1859 e ancor più al 1955.
In Dalla società delle api alle città stato del futuro. Natura e ordine sociale, ho
riportato sinteticamente i risultati di un esperimento che fa luce sulla diversa
considerazione che dovremmo avere nei confronti della legge di natura agli
effetti dell'ordine sociale. Penso valga la pena citarlo.
194 Aristotele (384 a. C. - 322).
126
Nel 1958 Jay Boyd Best ed Irvin Rubinstein, due ricercatori della divisione
neuropsichiatrica di un istituto di ricerca a Washington D. C., portarono avanti
esperimenti sull’apprendimento strumentale animale usando il verme
plathelmintha planaria. I due ricercatori si proponevano di dimostrare che
nell’inseguimento di una meta desiderabile e vantaggiosa che implica una
scelta fra diverse risposte possibili, anche un verme impara a scegliere la più
vantaggiosa e a rifiutare quella svantaggiosa.
… non ci misero molto per dimostrare che il verme non solo può
imparare a scegliere, ma può farlo con attitudine sorprendente.195
La conclusione degli esperimenti sul verme planaria permise a Best di
chiedersi: “Se qualcuno trova che il comportamento della planaria assomiglia
a ciò che negli animali più evoluti è chiamata noia, interesse, conflitto,
decisione,
frustrazione,
ribellione,
preoccupazione,
coscienza
dell’apprendimento della conoscenza, ci è permesso di dire che anche i
planaria mostrano questi attributi”?
La risposta che lo stesso dette alla domanda che precede fu la seguente:
Si assuma che l’apparente somiglianza fra il modello protopsicologico
dei planaria e quello dei topi e degli uomini, si rivela qualcosa di più che
irrilevante; questo indicherebbe che le caratteristiche psicologiche sono
precedenti e più diffuse delle strutture neurofisiologiche le quali, al
contrario, sono credute quelle d’origine. ... Due possibilità si affacciano:
che tali modelli nascano da qualche proprietà primordiale della materia
vivente, nascendo a livello cellulare o subcellulare di organizzazione, più
che a quello del sistema nervoso … una possibilità alternativa è che i
programmi di comportamento possono essere sorti, indipendentemente in
varie specie, da un tipo di evoluzione convergente. In altre parole la
psicologia degli animali può evolversi in risposta a considerazioni
obbligatorie di una condizione migliore.
Ebbene, da un punto di vista sociale la stragrande maggioranza degli individui
del terzo millennio non non ha ancora imparato a scegliere un comportamento
politico socialmente vantaggioso e a rifiutare quello svantaggioso come fanno
spontaneamente i vermi planaria!
Questo avviene perché la maggioranza dei cittadini non è pienamente
consapevole di essere proprietaria di alcuni Diritti naturali che appartengono a
tutti per nascita e che questi diritti sono inviolabili, inalienabili, imprescrittibili
e soprattutto NON POSSONO ESSERE OGGETTO DI LEGGE.
Agli effetti della produzione del diritto nell'ordine sociale è determinante
195 Robert Ardrey, L’imperativo territoriale, cit., p. 386.
127
stabilire con precisione il RUOLO che il governo deve assumere nei confronti di
ogni cittadino. Ebbene questo può avvenire in due modi diversi: affidando a
pochi il compito di governare tutti, oppure partecipando tutti al governo di
ognuno. Da una parte l'imposizione, dall'altra la partecipazione. La scelta,
inevitabile ma certa, è la stessa del verme planaria relativa al comportamento
più conveniente trasportato nel campo dell'ordine sociale.
E' infatti attraverso la partecipazione diretta della formazione della legge che il
popolo (tutti i cittadini) sovrano per diritto naturale, esercita il diritto di
concorrere a stabilire democraticamente il ruolo che che il governo deve avere
nei confronti di ognuno, in modo da imparare a scegliere la legge più
vantaggiosa e a rifiutare quella svantaggiosa come fanno i vermi Planaria.
Murray. N. Rothbard, in Etica della libertà riporta in proposito:
In effetti i principi giuridici di ogni società possono essere stabiliti in tre
modi: (a) seguendo le consuetudini tradizionali della tribù o della
comunità; (b) obbedendo caso per caso alla volontà arbitraria di chi
governa l'apparato dello Stato o, (c) usando la ragione per scoprire il
diritto naturale – in sintesi con la servile conformità alla consuetudine,
con il capriccio arbitrario o con la ragione umana. Essenzialmente,
questi sono i soli modi possibili per stabilire il diritto positivo. ... Nel
nostro secolo la diffusa ignoranza della stessa esistenza del diritto
naturale e la derisione di cui esso è stato fatto oggetto hanno fatto sì che
le genti, per realizzare delle strutture giuridiche, facessero ricorso o al
metodo (a) o al (b), o a una mescolanza dei due. Questo è vero anche per
chi ha cercato di perseguire una politica di difesa della libertà
individuale.196
Per l'insieme di queste ragioni credo che l'idea far partecipare i cittadini alla
deliberazione delle leggi sia una dottrina giuridica rivoluzionaria di ogni
comunità e società che aspira all'equilibrio della giusta libertà con la giusta
autorità, dell'inuguaglianza con l'uguaglianza e dei vantaggi e svantaggi che
possono derivare dalla proprie scelte di comportamento politiche ed
economiche ...
... in quanto sottopone alla luce impietosa e inflessibile della ragione lo
status quo esistente che potrebbe violare grossolanamente il diritto
naturale stesso. Nel regno della politica, ovvero dell’azione dello Stato,
il diritto naturale fornisce all’uomo un insieme di norme che possono
essere radicalmente critiche nei confronti del diritto positivo esistente,
imposto dallo Stato.197
196 M. N. Rothbard (1926-1989), grande teorico giusnaturalista, economista, filosofo e politico,
in L'etica della libertà, liberilibri, Macerata, 1996, p. 36. .
197 Ivi, p. 31.
128
Ciò considerato, credo di poter aggiungere che alla luce della ricerca scientifica
del terzo millennio il giusnaturalismo ha valore etico e sociale in quanto trova
il suo spazio fra le leggi fisiche, chimiche, biologiche, sociobiologiche ed
etologiche del ventunesimo secolo. A queste il giusnaturalismo riconosce sia un
nesso di reciprocità nei rapporti sociali e politici fra gli individui e fra questi e
le loro istituzioni di governo, sia una coscienza morale superiore rispetto alla
morale della violenza giuridica dello status quo generata dalla concezione
positivista della legge, che la riconduce ad astrazione teologico-politica,
filosofica e religiosa obsoleta imposta mediante la paternalistica truffa dello
stato sovrano accentrato in poche mani.
Di conseguenza possiamo osservare che ...
… tutte le costituzioni politiche, tutti i sistemi di governo, compresa la
federazione, possono ricondursi a questa formula, l'Equilibrio
dell'Autorità per mezzo della Libertà e viceversa; è in conseguenza di
questo che le categorie adottate dopo Aristotele dalla moltitudine degli
autori e grazie ai quali i tipi di governo si classificano, gli Stati si
differenziano, le nazioni si distinguono, monarchia, aristocrazia,
democrazia, ecc., eccetto la federazione, si riducono a delle costruzioni
ipotetiche, empiriche, dalle quali la ragione e la giustizia non ottengono
che una soddisfazione imperfetta; è che tutti questi sistemi, fondati sugli
stessi dati incompleti, diversi solo per gli interessi, i pregiudizi, le
consuetudini, in fondo si assomigliano e si equivalgono; che quindi, se
non fosse per il disagio causato dall'applicazione di questi falsi sistemi, e
per le passioni esasperate, gli interessi disconosciuti, le aspettative
deluse, che spingono ad accusarsi gli uni con gli altri, saremmo, alla fine
molto vicini a comprenderci; perché infine tutte queste divisioni di partiti
fra i quali la nostra immaginazione scava degli abissi, tutte quelle
diversità di opinioni che ci sembrano inconciliabili, tutti questi
antagonismi fortuiti che ci appaiono senza rimedio, troveranno
finalmente il loro equilibrio definitivo nella teoria del governo federale. 198
Ebbene, il governo federale di una comunità locale o nazionale è proprio della
teoria del contratto politico commutativo o di reciprocità (Federalismo), perché
risponde sia a CHI sia al MODO di deliberare e legittimare la legge con la
partecipazione diretta di ogni avente diritto al voto.
La legge trova così la sua legittimazione nella volontà dei cittadini, sovrani per
diritto naturale e non per concessione divina, artificiale, o del potere di
qualcuno posto arbitrariamente a priori sopra di loro con la forza o con
l'inganno. Giunto a questo punto sono purtroppo consapevole dei tempi lunghi
necessari a far digerire alla massa questi concetti, ma bisogna sempre ricordare
che una lunga marcia comincia sempre con un primo passo.
198 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit. p. 57-58.
129
Capitolo X
La lunga marcia della vita sociale nella storia
1. Gli elementi dell'ordine sociale prima di Darwin.
G. G. Simpson199, grande paleontologo americano, cercando di rispondere alla
domanda fondamentale anche agli effetti dell'ordine sociale: Perché esistiamo?
si è così espresso:
La mia opinione è che tutti i tentativi di rispondere a questa domanda
compiuti prima del 1859 sono totalmente privi di valore e che faremo
meglio a ignorarli completamente.200
Se non siamo in grado di rispondere alla domanda “Perché esistiamo?” o se
confiniamo la risposta nell'idea della creazione da parte di un Essere
onnipotente o se non ce la poniamo affatto, continueremo a fidarci delle ipotesi
e degli artifici teologico-politici secolarizzati formulati nei secoli passati e non
riusciremo mai a trovare le Radici dell'ordine sociale umano.
Il biologo inglese R. Dawkins, per rispondere alla domanda di Simpson di cui
sopra, in Il gene egoista a pag. 3 riporta:
Organismi viventi sono esistiti sulla Terra, senza mai sapere il perché,
per più di tre miliardi di anni, prima che uno di essi cominciasse a
intravedere la verità. Il suo nome era Charles Darwin. A dire il vero, altri
avevano intuito qualcosa, ma fu Darwin che, per primo, mise insieme una
teoria coerente e difendibile che spiegava perché noi esistiamo. Darwin
ci ha reso possibile dare una risposta plausibile al bambino curioso, la
cui domanda dà il titolo a questo capitolo.
Ebbene, anche R. Dawkins conclude che prima del 1859, data della
pubblicazione di L'origine delle specie di C. Darwin, le risposte date alla
domanda Perché esistiamo sono sbagliate. Il problema molto grave, a mio
avviso, è che non ci siamo accorti di sbagliare e abbiamo continuato - e
continuiamo - in nome della limitata storia dell'uomo, a perseverare negli errori
del passato determinati dalla mancanza di conoscenza.
La ragione di ciò è probabilmente da ricercarsi nella brevità della nostra
esistenza che non ci permette di diventare pienamente consapevoli della
199 G. G. Simposon (1982-1984), paleontologo.
200 Cit. in: R. Dawkins, Il gene egoista, cit. p. 3.
130
dimensione temporale del periodo enorme dell'evoluzione della vita su questo
pianeta e dei limiti che la natura pone a ogni fenomeno fisico e biologico.
Mi chiedo quanto tempo occorrerà, ad esempio, per diffondere i risultati della
recente scoperta di Nilesh Vaidya201 e dei colleghi della Portland State
University, che hanno accertato con metodo scientifico che oltre tre miliardi e
mezzo di anni fa molecole di RNA/RNA non solo “si dividevano il lavoro”, ma
addirittura “cooperavano reciprocamente e spontaneamente per assemblarsi a
vicenda” con meccanismi che potrebbero aver rappresentato alcuni dei
passaggi chiave del primo abbozzo della vita sociale nel vivente.
Come non vedere in questo passaggio, che risale a prima delle origini delle
cellule, la forma primordiale di cooperazione spontanea e mutualistica grazie
alla quale è stato possibile introdurre nei geni dell'elica immortale le
informazioni biologiche necessarie ad assicurare l'affermazione della vita sul
Pianeta?
Credo che per avere una visione completa della realtà sociale necessaria a
risolvere i problemi con una nuova logica, dobbiamo prendere atto che ...
Molto prima che noi uomini cominciassimo ad evolverci, i batteri
avevano inventato la fermentazione, la forma di motore rotatorio a
protoni, la respirazione basata sullo zolfo, la fotosintesi, e la fissazione
dell'azoto. Essi non sono soltanto esseri con un marcato comportamento
sociale, ma si comportano come una forma di democrazia a livello
mondiale, decentralizzata202. Le loro cellule rimangono fondamentalmente separate, ma possono connettersi e scambiare geni con organismi
appartenenti anche estremamente diversi. Il rendersi conto che anche i
singoli individui umani rimangono fondamentalmente separati, pur
potendo contattare altri individui molto diversi e scambiare con loro
informazioni, può voler dire fare un passo verso l'antica saggezza del
microcosmo.203
Soltanto alle soglie del terzo millennio abbiamo cominciato a disporre degli
strumenti e delle conoscenze che ci permettono di avvicinarci agli antichissimi
sistemi complessi dei batteri - nostri progenitori - che hanno prodotto una rete
di informazioni tradotte nella memoria biologica delle cellule, molto avanzata
anche rispetto a quella dei moderni computer.
In definitiva credo che la recente comprensione dei meccanismi di autoorganizzazione e di auto-regolazione dei sistemi aperti, complessi e dinamici e
adattativi del vivente, dovrebbe ricevere una particolare attenzione da un punto
201 In Nature, 17 ottobre 2012, Spontaneous network formation among cooperative RNA
replicators.
202 Il grassetto è mio per mettere in evidenza due parole estremamente importanti agli effetti
dell'ordine sociale: la democrazia e la decentralizzazione che, come vedremo in seguito, sono
state completamente svuotate del loro significato originario.
203 L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit. pp. 95-96.
131
di vista filosofico, giuridico, sociobiologico ed etologico da parte di chi si
occupa delle ricerche sul comportamento umano, delle dottrine dell'ordine
sociale o di politica.
In tutta sincerità penso che quanto ho cercato di esporre non sia non facilmente
comprensibile a tutti senza approfondimenti. Tuttavia è logico che se io non
troverò la chiave d'accesso alla facilità e alla completezza di esposizione altri lo
faranno dopo di me e li svilupperanno in modo migliore.
A me resta la gioia di averci provato, fra mille sacrifici e nel quasi completo
isolamento sociale e culturale in cui vivo riguardo alla materia di cui tratto.
2. La famiglia, la comunità e la società
In natura l'individuo isolato - come la particella di materia, l'atomo, la
molecola, la cellula, presi ognuno per sé - non ha prospettive evolutive.
Per averle deve unirsi, riprodursi, conservarsi, comunicare e stabilire dei
rapporti con altri della sua stessa specie o con altre (simbiosi) nel reciproco
interesse.
L'istituzione attraverso la quale la vita umana si riproduce e si perpetua, sia sul
piano biologico sia su quello culturale e spirituale è la famiglia. Per quanto mi
riguarda la famiglia naturale è costituita da almeno tre persone in cui una ha in
comune gli stessi genitori di sesso diverso. Nella specie umana, come nelle
altre specie, il sesso è l'organo della riproduzione, ma anche il più potente
strumento di trasmissione delle informazioni genetiche ereditate.
In realtà il sesso … si snoda per tutta la storia della vita sulla Terra e
offre una chiave per capire come si sia sviluppata la vita stessa.204
Senza che la famiglia sia osservata sotto questo aspetto non ci può essere
giustificazione né per l'individuo, né per il gruppo, né per la comunità, perché
in un modo o in un altro sarebbe violata almeno una delle leggi fondamentali
del vivente: la conservazione, la riproduzione o l'evoluzione.
E' dunque nella famiglia che devono essere ricercate le radici dei meccanismi
biologici, sociobiologici, etologici, psicologici e politici dell'ordine sociale
umano?
Essendo la tendenza propria dello spirito umano di ricondurre le idee a un
unico principio e per conseguenza a eliminare quelle che sembrano
inconciliabili con esso, credo che anche l'ordine sociale umano debba autoorganizzarsi spontaneamente sulla base delle stesse regole che presiedono la
vita in generale; niente di più, niente di meno.
204 L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 87
132
Questa osservazione elementare e razionalmente deducibile dalla natura stessa
è, per me, matematica. Di conseguenza finché l'ordine sociale di una comunità
umana sarà considerato come il risultato di una costruzione astratta, riferita al
solo principio del monopolio della forza di imposizione legittimata dallo stato
che nega la volontà delle persone agli effetti della formazione della legge, la
stessa non potrà essere il prodotto spontaneo del comportamento sociale degli
individui per accordarsi ed essere coerente con la legge di natura.
Nei secoli la negazione della sovranità degli individui associati in comunità
locali e nazionali, è stata la causa di infinite rivoluzioni violente e di altrettanto
infinite guerre.
... è con l'aiuto di … giochetti metafisici (che) si sono stabiliti fin
dall'inizio del mondo tutti i governi della terra, ed è con questi che
giungeremo a chiarire l'enigma politico, per poco che noi vogliamo
darcene pena205
Nuovi cieli, nuove terre e vasti orizzonti attendono la nostra specie sul percorso
evolutivo della vita individuale e sociale. Potremo comprenderne i meccanismi
ed i misteri estendendo i nostri orizzonti culturali oltre le mistificazioni, le
illusioni, i miti e gli egoismi personali o di gruppo ai quali ci siamo
volontariamente incatenati nel corso dei secoli.
Dopo la famiglia, viene la “comunità”.
Non è facile dare un'interpretazione condivisibile da tutti del temine comunità.
Un antropologo, un biologo, un etologo, un filosofo, un sociologo, uno storico,
un economista e un giurista, ne daranno interpretazioni e significati abbastanza
diversi. La parola deriva dal latino communis ed è propria di molte discipline.
Dirò subito che alcuni autori non si sono limitati a evitare l'uso della parola
comunità e con argomentazioni specifiche hanno sostenuto addirittura la
necessità di bandirla dal vocabolario delle scienze sociali (T. Geiger, 1931).
Altri vorrebbero studiare la comunità come combinazione di modelli ipotetici
generali di società umana da identificare sulla base di istituzioni giuridiche che
incarnano e concentrano nella Costituzione valori di riferimento e principi
guida: associazione, democrazia, libertà, autorità, mercato, Stato, ecc. (W.
Streeck e P. Schmitter). Per altri ancora, come T. Parsons, la comunità è
costituita da un insieme di parti interconnesse e correlate, capace di autoregolazione, in cui ogni componente svolge una funzione necessaria
all'organizzazione dell’intero sistema dell'ordine sociale.
Anche l'antropologia, l'etologia e la sociobiologia accettano il riferimento alla
comunità come una associazione locale di individui e di gruppi che vivono su
un territorio di dimensioni assai limitate, costituita su una cultura tradizionale e
condivisa.
205 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit., cap. III, Forme di governo.
133
Nelle scienze sociali l'uso del concetto di comunità in forma ben definita credo
che possa essere attribuita al sociologo tedesco Ferdinand Tönnies 206 che nel
secolo introdusse la tipologia comunità-società (Gemeinschaft-Gesellschaft),
come strumento fondamentale per comprendere il cambiamento sociale in atto
già al suo tempo.
Tönnies è stato uno dei fondatori e primo presidente della Società tedesca di
sociologia nel 1909. “Le relazioni tra volontà umane - afferma Tönnies in
comunità e società danno luogo ad associazioni che possono essere concepite
o come vita reale e organica - e questa è l'essenza della comunità - o come
formazione ideale e meccanica - e questo è il concetto della società”.
È evidente che per lui la comunità intesa “come un organismo vivente” sia un
effetto spontaneo della natura, mentre la società, vista come un “aggregato e
prodotto meccanico”, sia un prodotto artificiale, costruito a priori e imposto da
pochi a molti.
Per Tönnies organica207 è la comunità (Gemeinschaft) le cui forme embrionali
emergono in seno alla famiglia nei rapporti tra madre e figlio, tra moglie e
marito, tra fratelli, per estendersi poi ai rapporti di vicinato e di amicizia. Tali
rapporti sono improntati a intimità, riconoscenza, condivisione di linguaggi,
significati, abitudini, spazi, ricordi ed esperienze comuni. I vincoli di sangue
(famiglia e parentela), di luogo (vicinato) e di spirito (amicizia) costituiscono
delle totalità organiche – le comunità appunto – in cui gli uomini si sentono
uniti in modo permanente da fattori che li rendono simili gli uni agli altri e al
cui interno le disuguaglianze possono svilupparsi solo entro certi limiti, oltre i
quali i rapporti diventano così rari e insignificanti da far scomparire gli
elementi di comunanza e di condivisione.
Il tratto sociale caratteristico della comunità è la comprensione condivisa del
fatto che la stessa è un modo di sentire comune e reciproco, associativo, che
costituisce la volontà propria di una comunità di realizzare il bene comune e
indica una volontà di cooperazione mutualistica in vista di questo scopo.
Ebbene, in base a queste osservazioni l'ordine sociale della comunità e della più
grande società può essere definito mediante la scelta fra il naturale e l'
artificiale.
La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un
aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla
comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono
pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità essi
restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella
società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li
206 F. Tönnies (1855-1936).
207 E' definita organica ogni dottrina filosofica, politica o sociologica che interpreti il mondo, la
natura o la società in analogia ad un organismo vivente.
134
uniscono.208
Tönnies, professore presso l'Università di Kiel, fu destituito nel 1934 per la sua
opposizione al nazionalsocialismo. L'impostazione dottrinaria di Tönnies ha
influito sul lavoro di altri studiosi, in particolare Max Weber che usa
ampiamente il concetto di comunità, collocandolo al livello delle relazioni
dell'agire sociale. Dal concetto di comunità opposto a quello di associazione,
Weber deriva l'idea di cambiamento sociale come processo di organizzazione di
strutture e fenomeni, come ad esempio la burocrazia o il capitalismo moderno.
In Italia Adriano Olivetti209, rifacendosi al pensiero di Tönnies, parte dal
concetto innovativo della “piccola comunità come spazio naturale dell'uomo”.
Con questo Olivetti supera l'idea della contrapposizione fra comunità e società
e pone la prima come la nuova misura dell’ordine politico, punto di
convergenza fra persona e stato e fra necessità della dimensione limitata della
comunità in rapporto alla grande Babele della società moderna e delle sue
metropoli. Anche per Olivetti i termini comunità e società indicano due modi
diversi di concepire le associazioni di individui e generano due differenti tipi di
rapporti sociali: umani e artificiali. Questo assunto gli serve per dimostrare che
non ci può essere democrazia senza una base di esp Kohr erienza umana ed
affettiva dei rapporti interpersonali che è possibile alimentare e conservare solo
a livello di comunità naturale, organica, di dimensioni assai limitate che indica
in 50.000-70.000 individui.
Leopold Kohr, noto per la sua opposizione al "culto della grandezza" nel
campo dell'organizzazione sociale, è tra gli ispiratori del movimento del
“Piccolo è Bello”. In Il crollo delle nazioni così si esprime:
La causa di tutte le forme di miseria sociale è una sola: la grandezza …
La grandezza, ovvero sia il raggiungimento di dimensioni eccessive, non
rappresenta uno dei tanti problemi sociali, ma costituisce il solo ed unico
problema dell'universo … Se le stelle del cielo o gli atomi di uranio si
disintegrano in una esplosione spontanea, ciò avviene non perché la
sostanza di questi corpi abbia perduto il suo equilibrio, ma perché essa ha
cercato di espandersi eccessivamente, superando quegli invalicabili limiti
che circoscrivono ogni incremento di materia. Se il corpo umano si
ammala ciò è dovuto, come nel caso del cancro, al fatto che una cellula, o
un gruppo di cellule, ha incominciato a svilupparsi eccessivamente, oltre
gli stretti limiti fissati dalla natura. E se un organismo sociale si lascia
prendere dalla febbre dell'aggressione, della brutalità, del collettivismo o
della stupidità collettiva, ciò avviene non perché esso sia caduto sotto un
cattivo governo o sia colpito da aberrazione mentale, ma perché gli
208 F. Tönnies, Comunità e società, trad. G. Giordano, Laterza, Bari, 2011, p. 62.
209 A. Olivetti (1901-1960), federalista, fondatore del Movimento comunità, autore di L'Ordine
politico delle comunità, Nuove edizioni, Ivrea, 1945, propone comunità federate di dimensioni
assai limitate.
135
individui – che sono di solito così amabili se presi uno ad uno o in piccoli
gruppi – si sono fusi in unità sociali eccessivamente vaste, come le masse
proletarie, i grandi sindacati, i cartelli, o le grandi potenze,
incominciando quindi a scivolare irreparabilmente verso un'inevitabile
catastrofe.210
Da parte mia credo che nella nostra specie la capacità di un popolo inteso come
associazione spontanea di individui uniti in comunità di piccole dimensioni, sia
fondamentale agli effetti del giusto numero degli individui e di un equilibrato
progresso del benessere, della crescita della coscienza e della civiltà.
Si può stabilire come regola la considerazione che il governo (…) è tanto
più benevolo, morale, giusto e sopportabile e pertanto durevole tralascio in questo momento le relazioni esterne - quanto più le sue
dimensioni sono modeste e si avvicinano maggiormente a quelle di una
famiglia; e viceversa, lo stesso governo sarà tanto più insufficiente,
oppressivo, odioso ai suoi sudditi e conseguentemente instabile, quanto
più lo stato sarà diventato vasto. La storia ha conservato il ricordo e i
nostri tempi ci forniscono gli esempi di questi spaventosi mostri informi,
veri mastodonti politici, che una civiltà migliore dovrà progressivamente
far scomparire. In tutti questi Stati l'assolutismo è in ragione diretta
della massa dei sudditi e si regge in virtù del proprio prestigio; in un
piccolo stato al contrario, la tirannia non si può sostenere che per mezzo
delle truppe mercenarie; altrimenti, visto da vicino si dissolve. 211
Partendo dalle considerazioni sulla dimensione territoriale e numerica della
comunità credo che si potrebbe concordare che è molto difficile assimilare le
leggi di una comunità naturale limitata con quelle della vasta società artificiale.
La prima, infatti, permette l'auto-organizzazione spontanea dell'ordine sociale
per mezzo della partecipazione attiva dei cittadini alla deliberazione della
legge; la grande società, diversamente, a causa della complessità crescente e
della vastità del territorio tende a negare la partecipazione dei cittadini alla
deliberazione della legge per favorire l'accentramento del Il collo delle nazioni,
Edizioni di comunità, Milano, 1960 potere di governo in una o poche mani.
Questo processo inevitabile pone a suo fondamento l'affermazione e la crescita
dello stato, dell'autorità, della burocrazia, dell'economia, dell'accentramento del
potere di governo e della grande finanza parassitaria.
Da parte mia credo che l'approccio dell'ordine sociale all Il collo delle nazioni,
Edizioni di comunità, Milano, 1960 a moderna Teoria dei sistemi complessi dinamici
e adattativi, offra la possibilità di concepire l'organizzazione della comunità e
della società umane su nuovi parametri di dimensione territoriale e numerica,
210 L. Kohr (1909-1994), economista, giurista e politologo, Il collo delle nazioni, Edizioni di
comunità, Milano, 1960, p. 9.
211 P. J. Proudhon, Del Principio federativo, cit. p. 83.
136
favorendo la spontaneità del governo e la deliberazione delle leggi dal basso ,
invece che dall'alto come oggi avviene.
La vecchia programmazione fondata sulle regole procedeva dall’alto
verso il basso: era al sistema nel suo insieme che venivano prescritte
regole di comportamento. La nuova programmazione invece procede dal
basso verso l’alto: il programma definisce il comportamento dei singoli
agenti al livello strutturale più basso, ma il comportamento del sistema
nel suo insieme non viene definito ed emerge invece come risultato di
centinaia di piccole interazioni che si verificano a un livello inferiore 212.
La definizione riflette ottimamente lo spirito del Principio di sussidiarietà dove
le “piccole interazioni” sono sinonimo di nessi di reciprocità nei rapporti
interpersonali e sociali intesi a perseguire il reciproco interesse.
Questa impostazione, rendendo coerenti i concetti di emergenza e di riduzione
della complessità in vista della stabilità, del risparmio di energia e
dell'efficienza del sistema, capovolge letteralmente la forza di gravità del
potere nel sistema dell'ordine sociale.
Lo sviluppo scientifico sbocca ... in una vera e propria scelta metafisica,
tragica e astratta; “l'uomo” deve scegliere fra la tentazione, rassicurante
ma irrazionale, di cercare nella natura la garanzia dei valori umani, la
manifestazione di un'appartenenza essenziale, e la fedeltà a una
razionalità che lo lascia solo in un mondo muto e stupido. 213
Da parte mia credo che la consapevolezza dei differenti modi di organizzare la
comunità e la società e di formare la legge, permetterà nel tempo di introdurre
nell'ordine sociale gli elementi semplici e fecondi che la natura ha sperimentato
per miliardi di anni per organizzare le società animali che ha creato, compresa
la nostra. I vantaggi e gli svantaggi che trarremo da questa scelta dipendono
dalla crescita della coscienza-conoscenza e dal senso di responsabilità che ne
deriva.
3. Come la cultura dell'artificiale e della continuità storica hanno invaso gli
ordinamenti sociali.
Una domanda nasce potere spontanea pensando all'attuale stato caotico del
mondo: cosa posso fare io, cosa possiamo fare noi per migliorare la qualità
della vita unendoci su un piano di uguaglianza nella libertà e nell'accettazione
della diversità? Da parte mia credo che in primo luogo dobbiamo diventare
212 M. Crichton, Preda, Garzanti, Milano, 2003.
213 I. Prigogine, I. Stengers, La Nuova Alleanza, cit. p. 30.
137
consapevoli che ...
... La scienza inizia a essere in grado di descrivere la creatività della
natura, e il tempo, oggi, è anche il tempo che non parla più di solitudine,
ma dell'alleanza dell'uomo con la natura che egli descrive.214
Di conseguenza penso, ma sia chiaro che è solo una mia opinione, che dovremo
affrontare culturalmente, scientificamente e in modo drastico il tema della
contrapposizione fra la realtà dell'ordine sociale naturale e le ipotesi dell'ordine
sociale artificiale che sono apparse nei secoli in cui è vissuta la nostra specie.
In questa ottica, infatti, risulta più evidente che i concetti secolarizzati e
obsoleti della teologia-politica connessi all'uso del potere di governo, hanno
accresciuto nell'ordine sociale la potenza esplosiva dei processi eccitatori dei
feedback positivi che destabilizzano i sistemi.
Credo che non potremo sottrarci a lungo alla verifica scientifica del processo di
instabilità dei sistemi dell'ordine sociale alla luce della seguente osservazione.
Io cerco di dimostrare che questo tipo di costituzione unica, che alla fine
sarà riconosciuta come la più grande conquista della ragione dei popoli,
non è altro che il sistema federativo. Ogni forma di governo che si
allontana da essa, deve essere considerata come una creazione empirica,
un abbozzo provvisorio, più o meno comodo, sotto la quale la società
trova riparo un istante e che, come la tenda dell'Arabo, si leva la mattina
dopo averla montata la sera. È dunque qui indispensabile un'analisi
severa, e la prima verità importante che il lettore deve conquistare da
questa lettura, è la convinzione che la politica, variabile all'infinito come
arte di applicazione, è, quanto ai principi che la reggono, una scienza
dimostrativa esatta né più né meno che la geometria e l'algebra.215
L'analisi severa a cui si riferisce Proudhon è rivolta all'esame e alla ricerca dei
principi empirici costruiti a priori che impediscono di organizzare l'ordine
sociale in funzione della contrattualità politica dei rapporti fra gli individui, fra
questi e i loro i governi e fra i governi di comunità diverse.
Per comprendere come nel tempo la cultura dell'artificiale si è affermata in
politica, devo ricorrere a una simpatica storiella che si racconta negli Stati
Uniti citata da Noam Chomsky in Le dieci strategie della manipolazione
attraverso i mass media.
Nella storiella si racconta che se un rana viene messa nell'acqua calda per
essere bollita, salta via e si salva. Ma se viene messa dentro l'acqua appena
tiepida e si scalda progressivamente, vi resta senza reagire fino a morire bollita.
“La morale della storia è che ciò che non si può accettare immediatamente si
214 I. Prigogine, Le leggi del Caos, Editori Laterza, Bari, 2003, p. 85.
215 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit. cap. 1.
138
potrà accettare a poco a poco, in mancanza di consapevolezza del risultato
finale” scrive Antonella Randazzo sul suo sito216.
Nel corso del XVII secolo l'istituzione delle grandi corporation di grandi
imprenditori e le banche americane fu avversata tenacemente dal popolo. Questi
autentici mostri sociali esercitarono pressioni sul governo per fare in modo che le
loro corporation venissero considerate "persone giuridiche” con gli stessi diritti
delle persone fisiche ma senza avere alcun dovere né alcuna responsabilità.
Dopo ripetuti tentativi non passò molto tempo che la legge relativa alle
corporation venne approvata. Quasi subito diverse corporation furono
trascinate in tribunale per aver commesso una serie di frodi e di azioni illegali.
La conclusione che si può trarre dalla storiella della rana bollita è che gli
esempi, anche i più terribili che la storia ci ha offerto, quando c'è di mezzo la
fedeltà al gruppo, l'onnipotenza di un individuo, di un popolo o di una fede
religiosa le leggi servono soprattutto a mascherare la verità per privilegiare
pochi a spese di tutti allontanando le persone dalla ricerca di soluzioni utili e
vantaggiose per ognuno. Basta pensare al “segreto si stato”.
4. Abbiamo bisogno di risposte.
Se fin qui ho ho cercato di illustrare le ragioni per le quali abbiamo
collettivamente il dovere di diffondere la conoscenza della Teoria dei sistemi
complessi dinamici e adattativi per applicarla all'ordine sociale, penso che si
possa fare un ulteriore passo in avanti perché ognuno si renda conto che
sebbene l'uomo sia diverso da tutte le altre specie ...
... la spiegazione dell'origine del mondo e dell'uomo che ci proviene
dalla Bibbia non è compatibile con quello che ci dicono le osservazioni
di tutte le scienze della natura”.217
Si tratta dunque di indicare, attraverso nuovi modelli di informazione e di
educazione rispetto al passato, COME si possa pervenire a una nuova e più vasta
coscienza di ciò che realmente siamo.
Penso che per fare ciò abbiamo bisogno di rispondere alle seguenti domande:
come formare “una intelligenza collettiva e universale”218,
come indirizzarci “verso una nuova religione razionale“219,
come concepire “un nuovo tipo di contratto sociale”220,
216 Vedi: http://antonellarandazzo.blogspot.it/.
217 L. L. Cavalli-Sforza, La specie prepotente, cit., p. 175.
218 J. Attali, Breve storia del futuro, Fazi Editore, Roma, 2007, p. 217.
219 H. Kohut (1913-1981), Potere coraggio e narcisismo, , Astrolabio, Roma, p. 9.
220 R. Dahrendorf, Quadrare il Cerchio - Benessere economico, coesione sociale e libertà
politica, trad. R. Rini, Laterza, Bari, 1995, p. 87.
139
come indicare “una nuova condizione numerica e territoriale degli Stati” in
modo da favorire l'auto-organizzazione delle comunità locali 221,
come creare “una struttura economica e sociale radicalmente differente”222,
come educare alla “generosità e all'altruismo, perché siamo nati egoisti”223,
come produrre “una forma di governo fondata sul diritto naturale dei cittadini
di essere sovrani” delle scelte politiche ed economiche che li riguardano.
Le risposte saranno tanto più efficaci e costruttive quanto più cercheranno di
essere coerenti con la radice unica e la causa prima dell'esistente: la conoscenza
della natura come realtà, manifestazione di un misterioso divenire dei sistemi anche quelli sociali - alfa ed omega della nostra esistenza e fonte suprema di
verità. Anche se queste osservazioni appaiono in gran parte estranee al pensiero
sociale moderno credo che dalla loro condivisione e diffusione dipenderanno i
primi piccoli passi verso un nuova dimensione della società e della civiltà.
Come ciò potrebbe avvenire lo illustra con la consueta chiarezza P. J. Proudhon
in Del principio federativo (cap. VI) con queste parole:
“Se il lettore ha seguito con diligenza l'esposizione precedente, la società umana deve
apparirgli una creazione fantastica, piena di cose di cui stupirsi e di misteri.
Ricordiamo brevemente i vari termini:
a) L'ordine politico riposa su due principi connessi opposti ed irriducibili: l'Autorità
e la Libertà.
b) Da questi due principi derivano parallelamente due regimi contrari: il regime
assolutista o autoritario ed il regime liberale.
c) Le forme di questi due governi sono tanto diverse fra loro, incompatibili ed
inconciliabili, come le loro nature; noi le abbiamo definite in due termini: Indivisione
e Separazione.
d) La ragione vuole che ogni teoria debba realizzarsi seguendo il suo principio,
tutto l'esistente prodursi secondo la sua legge: la logica è la condizione della vita,
come del pensiero. Ma è proprio il contrario che si manifesta in politica: né l'Autorità
né la Libertà possono costituirsi separatamente, dando luogo a un sistema che sia
esclusivamente proprio di ciascuna; lungi da ciò, esse sono condannate, nelle loro
rispettive istituzioni, a farsi continue reciproche concessioni.
e) La conseguenza è che la fedeltà ai principi, in politica, non esiste che in teoria,
essendo in pratica costretta ad accettare compromessi di ogni genere; il governo in
ultima analisi si riduce, malgrado la migliore volontà e tutta la virtù immaginabile, ad
una creazione ibrida, equivoca ad una promiscuità di regimi che la logica severa
ripudia, e davanti alla quale arretra la buona fede. Nessun governo sfugge a questa
contraddizione.
f) Conclusione: l'arbitrario entra fatalmente nella politica, la corruzione diventa
presto l'anima del potere e la società è trascinata senza riposo né misericordia, sulla
china senza fine delle rivoluzioni. …"
Questo doppio moto, l'uno di recessione l'altro di progresso, che si risolve in un unico
221 E. F. Schumacher ( 1911-1975) Piccolo è bello, Mondadori, Milano, 1998, p.
222 F. Capra, Il Tao della fisica, Adelphi, Milano, 1989, p. 356. Capra è fisico delle alte energie.
223 R. Dawkins, Il gene egoista, cit., p. 5.
140
fenomeno, risulta ugualmente dalla definizione dei principi, dalla loro collocazione
relativa e dai loro ruoli; anche qui nessun equivoco è possibile, né vi è il più piccolo
spazio per l'arbitrario. Il fatto è di un'evidenza oggettiva e di una certezza
matematica; è ciò che noi chiameremo una legge”.
È dunque la legge l'elemento, la componente del sistema dell'ordine sociale in
grado di garantire contrattualmente al meglio l'equilibrio dell'autorità con la
libertà, l'unione nella diversità, la disuguaglianza con l'uguaglianza, l'egoismo
con l'altruismo, la cooperazione con la concorrenza e la stabilità con il
cambiamento? Perché? Perché - è la risposta – dallo SCOPO, dal MODO e da CHI
viene deliberata e legittimata la legge, dipendono due sistemi politici opposti:
quello dell'indivisione e quello della divisione del potere di governo.
Indivisione o divisione fra chi? A mio parere: o secondo una logica artificiale
posta a priori del potere e dell'autorità dello stato comunque costituito; oppure
secondo la logica che la natura adotta per organizzare le società che crea: la
spontaneità che è il modo di procedere dell'evoluzione della vita.
Se questo è il senso del cambiamento necessario per passare da un sistema
artificiale a uno naturale, come possiamo ricostruire la società sulle nuove basi?
P. J. Proudhon, nel rispondere alla domanda dell'amico Gauthier sul modo di
ricostruire la società afferma:
Tu mi chiedi di spiegare il modo di ricostruire la società. … Non si tratta
ora di immaginare, di combinare nel nostro cervello un sistema che in
seguito presenteremo: il mondo non si riforma così. La società non può
correggersi che da se stessa.224
Correggersi da se stessa a mio parere significa che oltre ad auto-organizzarsi e
auto-regolarsi il sistema dell'ordine sociale umano deve possedere anche la
capacità di auto-limitarsi secondo la volontà degli associati che giuridicamente
è esercizio diretto della SOVRANITA'.
Credo che questo concetto costituisca il fondamento dell'idea federativa della
vita in comune e che in tempi evolutivamente brevi investirà il futuro della
società umana, pena la scomparsa della nostra specie.
Sainte Beuve (1804-1869), Proudhon, sa vie et sa correspondance, 18381848, A. Costes, Paris, 1947, p. 154.
224
141
Cap. XI
Il Moloc dello stato e i diritti violati
1. La finzione dell'idea di stato e quella di “persona giuridica”.
Frédéric Bastiat (1801-1850), economista e scrittore francese che si era posto
l'interrogativo comune a molti studiosi del suo tempo “Che cos’è lo stato?”,
giudicava talmente importante la risposta che chiese di istituire un grosso
premio per colui che ne avesse data una definizione semplice, intelligente e
comprensibile per tutti.
Io vorrei che si istituisse un premio, non di cinquecento franchi, ma
di un milione di franchi, con attribuzione di corone d’alloro, croci
al merito e nastrini, per premiare colui che offrirà una definizione
buona, semplice e intelligente di questo termine: lo Stato. Quale
immenso servizio non sarebbe reso alla società!
Riferendosi allo stesso stesso articolo sul Journal des Débats lo studioso rispose
successivamente così alla sua domanda:
Essendo certo che lo Stato non può procurare il godimento agli uni senza
accrescere il lavoro degli altri, in attesa di un’altra definizione dello
Stato, mi ritengo autorizzato a fornire qui la mia risposta. Chissà che essa
non ottenga il primo premio? Eccola: Lo Stato è la grande finzione
attraverso la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti gli altri.
Infatti, oggi come ieri, chi più chi meno, ognuno vorrebbe certamente
trarre vantaggio dal lavoro degli altri. Questa inclinazione non si ha il
coraggio di mostrarla apertamente, la si nasconde anche a sé stessi, e
allora che cosa si fa? Ci si immagina un intermediario, ci si rivolge allo
Stato, e ogni ceto, uno dopo l’altro, vorrebbe dirgli: “Voi che avete la
facoltà di espropriare legalmente, onestamente, prendete dal pubblico, e
noi ripartiremo il tutto.
Possiamo anche illuderci che con la definizione data oltre 160 anni fa Bastiat
volesse caratterizzare lo stato come era al suo tempo, ma devo osservare che le
forme asfissianti ed i modi arbitrari e dispotici con i quali l’idea di stato invade
anche nel presente la vita degli individui, delle comunità e delle società, sono
esattamente quelle che egli aveva indicato, aggravate dall’arroganza,
dall’ipocrisia, dalla corruzione, dall'autoreferenza, dalla spoliazione,
dall’insolenza, dalla predazione, dal privilegio e dallo sfruttamento.
Ebbene: l’idea di stato come padrone assoluto del potere di legiferare e
142
depositario dell'autorità, della forza di coazione, della moralità, dell'efficienza,
della solidarietà e della virtù e della vita dei cittadini, viene ancor oggi
presentata dai media e da molti accademici giuristi e filosofi sociali (ma non da
tutti) come dottrina ottimale di governo della società.
Ad esempio Marco Bassani, già collaboratore di Gianfranco Miglio e storico
delle dottrine politiche all'Università di Milano, così si esprime a proposito
dello statalismo italiano:
Un tempo lo Stato si nutriva di ideologie parallele e complementari:
nazionalismo, comunismo, fascismo. Da almeno trent'anni si alimenta alla
greppia di un diritto che è morto e si abbevera alla fonte di una declinante
idea di sé. Ormai solo lo statalismo sostiene lo Stato: il parassitismo è la
sua unica ragion d'essere. Ma basta e avanza per renderci più poveri
dello Zambia.
Pochi o addirittura nessuno considera che alla finzione sempre più evidente
dello stato volta a giustificare un potere abusivo e arbitrario posto sopra i
cittadini, si aggiunge di pari passo la finzione della sua personalità giuridica:
un tema dei più densi di implicazioni storiche, filosofiche e politiche che il
diritto conosca.
La parola persona, infatti, è un attributo storicamente riconosciuto soltanto
all’uomo e non al diritto. Se si indagasse sul significato originario di persona si
scoprirebbe presto che ha origini millenarie e che risale alla cultura greca dove
indicava la maschera di legno usata dagli attori di teatro, mentre gli antichi
Romani la indicavano come il suono della voce dell’attore che passava
attraverso la maschera che indossava.
Utilizzare la parola persona come radice di personalità giuridica che indica lo
stato come soggetto di diritto, è solo un comodo espediente per evitare
l'interpretazione di concetti giuridici lunghi e complicati volti a mascherare
interessi di parte.
Fu Ugo Grozio (1583-1645), filosofo e giurista olandese ad affiancare la
persona naturalis alla persona moralis. Questo permise ai filosofi giuridici e ai
legislatori del suo tempo di affermarla come finzione necessaria a giustificare e
collegare il potere e l'autorità nella nascente idea di stato con la moralità della
chiesa. La metafora cominciò presto a diventare mito, racconto che indicava e
giustificava lo stato come persona giuridica. In definitiva il positivismo
trasferiva interamente con una finzione la SOVRANITÀ dell'individuo allo stato.
Nascono così la rappresentanza politica, la delega del potere di fare le leggi, la
violazione dei diritti naturali dei cittadini ridotti al rango di sudditi perenni, il
consenso, la ragion di stato, il segreto di stato, la tassazione senza limiti,
l'obbligo di partecipare alle guerre di conquista, la negazione del diritto
naturale di secessione in nome dello stato sovrano, ecc.: tutte cose che
sarebbero state nel futuro il terreno ideale per permettere l'affermazione di un
143
potere artificiale creato a priori posto sopra i cittadini, che venivano bolliti dal
potere dello status quo con l'astuzia e l'inganno come la rana di Chomsky.
La “più bella costituzione del mondo” in vigore attualmente in Italia è il
prodotto poco conosciuto di questa gigantesca mistificazione storica.
Tornando al tempo di Bastiat è necessario notare che al suo tempo lo stato non
aveva ancora provocato le guerre del ventesimo e ventunesimo secolo, non
aveva ancora permesso che si progettassero e mettessero in opera i gulag e i
campi di sterminio, non c'erano ancora le bombe nucleari e quelle chimiche e
batteriologiche, mentre il mondialismo, la moneta virtuale e lo sfruttamento
bancario planetario erano ancora di là da venire.
Eppure lo stato aveva già tutte le caratteristiche di assolutismo, di autoritarismo
e di violenza legalizzata del moderno stato sovrano unitario e accentrato, in
grado di violare la sovranità popolare espressa mediante i referendum, ecc. .
All'autoritas romana, fondata sulla supremazia dello Jus come dignitas da
garantire all'individuo su un piano di uguaglianza, lo stato sovrano accentrato
moderno ha sostituito la potestas, il potere indiviso che non nasce dalla volontà
concreta e reale delle scelte politiche degli individui, ma da una serie di
finzioni giuridiche secolarizzate necessarie a giustificare e mantenere in vita lo
statu quo del potere costituito a priori.
2. La sovranità come diritto naturale dei cittadini e il caso Italia.
Prima di affrontare il tema specifico del governo organizzato sulla base della
teoria del contratto politico commutativo o di federazione, credo di dover
prendere brevemente in considerazione il tema della sovranità, perché alla
grande finzione dello stato sovrano moderno, della sua personalità giuridica,
della democrazia solo rappresentativa, ecc., si aggiunge la negazione della
sovranità che apre la porta al dispotismo e agli eccessi della disuguaglianza.
La sovranità conferita a un principe (a un consiglio o a un parlamento non
fa differenza, n.d.a.) con certi obblighi e a certe condizioni non è
propriamente sovranità né potere assoluto, a meno che tali condizioni non
siano le leggi di Dio e della natura. . .. Quanto però alle leggi naturali e
divine, tutti i principi della terra vi sono soggetti, né è in loro potere
trasgredirle, se non vogliono rendersi colpevoli di lesa maestà divina,
mettendosi in guerra contro quel Dio alla cui maestà tutti i principi della
terra devono sottostare chinando la testa con assoluto timore e piena
reverenza. Insomma, il potere assoluto dei principi e delle signorie
sovrane non si estende in alcun modo alle leggi di Dio e della natura.225
225
J. Bodin (1529-1596) filosofo e giurista francese, I sei libri dello Stato, UTET, Torino,
1997.
144
Dio e natura vengono qui indicati come sinonimi di onnipotenza al cui potere
superiore, formalizzato in leggi, tutti devono sottomettersi rinunciando a
“tutta” la proprietà della volontà di scelta politica personale che giuridicamente
è sovranità.
Per sovranità - scrive infatti anche Jean Bodin padre dell'assolutismo
monarchico - “si intende quel potere assoluto e perpetuo che è proprio dello
Stato”.
Le idee di Stato e di Persona giuridica non erano ancora state istituzionalizzate
e l'idea di Dio e quella di Natura erano le uniche fonti di riferimento del diritto
che nei secoli successivi avrebbero informato le idee dell'ordine sociale.
Se ciò può essere comprensibile ai tempi di Machiavelli e di Bodin, che
interesse abbiano oggi i comuni cittadini a sottomettersi al potere di qualcuno
(un papa, un monarca, un principe, un capo, un partito, o un parlamento,) che
ha la pretesa di rappresentare al meglio la volontà e gli interessi di tutti, non è
facilmente comprensibile da parte di individui liberi dotati di ragione.
Una breve analisi dell'art. 1° comma 2° della Costituzione Italiana consente di
chiarire come in Italia siamo pervenuti di nuovo, dopo l'esperienza del
fascismo, alla sottomissione volontaria dei cittadini al potere dello stato, anche
se pomposamente e comicamente indicato come Repubblica democratica.
“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione”, recita l'art. 1 comma 2 della Costituzione. Dagli atti del
dibattito all'Assemblea costituente risulta che i “limiti” erano riferiti alla forma
Repubblicana e democratica dello stato e non alla sovranità popolare.
L'interpretazione giuridica che successivamente ne è stata data dalla Corte
costituzionale si risolve nell'ennesima finzione che distingue l'appartenenza
della sovranità dal suo esercizio e la limita al giorno della cerimonia della
democrazia (le elezioni) per eleggere i rappresentanti dei partiti.
Tenendo presente che i Principi fondamentali della Costituzione italiana furono
formulati quasi contemporaneamente alla prima e alla seconda parte della
stessa e che ad essi avrebbero dovuto essere essere riferiti, è almeno lecito
chiedersi come sia stato possibile che l'esercizio della sovranità da parte di tutti
i cittadini (il popolo) sia stato confinato nell'angustia degli articoli: 70 (La
funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere); nell'art. 71
(iniziativa popolare delle leggi) mediante “proposte” che nessuno prende in
considerazione; e (art. 75) e nel referendum abrogativo il cui risultato, come
ampiamente dimostrato dall'esperienza, può essere violato a piacere dal
parlamento in mano ai partiti dei quali la Corte costituzionale è espressione
lautamente e indegnamente ricompensata.
Un precedente poco o per niente conosciuto del comportamento politico
antisociale dello stato, che nella pratica politica NEGA la sovranità popolare, è
dato da quanto avvenne il 4 e 5 dicembre del 1947 quando l'Assemblea
costituente esaminò la bozza dell'art. 50 del testo del Progetto di Costituzione,
145
approvata all'unanimità dalla Commissione dei settantacinque e presentato
all'Assemblea per la definitiva approvazione. Cosa diceva mai di tanto
importante l'art. 50 della bozza?
Quando i poteri pubblici, violino le libertà fondamentali ed i diritti
garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e
dovere del cittadino.
Cosa accadde quando l'Assemblea costituente, formata dai nascenti partiti del
nuovo regime, esaminò l'articolo di legge è oggi facile immaginare alla luce
dell'esperienza: l'articolo fu bocciato!
Consapevoli i più, che le affermazioni di principio di Repubblica e Democrazia
sarebbero state solo buone intenzioni; illuso il popolo di contare qualcosa con il
referendum abrogativo (art. 75 Cost.) e con la crocetta da mettere ogni quattro
o cinque anni su una scheda preparata dopo infinite lotte al coltello dalle
segreterie dei partiti; ingannati i cittadini sulla concretezza della loro
partecipazione alla vita politica mediante l'iniziativa delle leggi (art. 71 Cost.);
sul rispetto dei risultati dei referendum; sul controllo sulla legittimità
dell'azione di governo da parte della Corte costituzionale nominata quasi per
intero dagli stessi partiti, promesse una miriade di cose belle, sante, buone e
giuste, solo in apparenza contrarie al passato regime, ai nascenti partiti non
rimaneva che impedire la giustificazione costituzionale di una possibile e
legittima resistenza-rivolta popolare contro la violazione, da parte dello stato,
dei Diritti naturali e dei principi e valori che la stessa Costituzione avrebbe
dovuto garantire nel tempo.
Nei decenni successivi all'entrata in vigore della legge 25 maggio 1970 n° 352,
destinata a regolare l’esercizio del referendum e prevista dall’ultimo comma
dell’art. 75 della Costituzione infatti, la sovranità politica degli individui è stata
violata numerose volte avendo il parlamento apertamente disatteso il risultato
di numerosi referendum, come ad esempio il finanziamento pubblico ai partiti,
la responsabilità civile dei giudici, l'abolizione del ministero dell'agricoltura e
foreste, le trattenute sindacali, ecc. ecc. .
Con la sopracitata legge infatti, il parlamento ormai saldamente in mano alle
segreterie dei partiti ridotte a consorterie di affari, vere e proprie cosche di
potere politico ed economico, ha costantemente distorto il significato originario
del comma 2° dell'art. 1° della Costituzione relativo alla sovranità popolare.
Questa arbitraria interpretazione ha eretto una barriera insormontabile fra i
principi autentici della democrazia (la sovranità popolare come sorgente unica
dell'iniziativa della legge) e lo stato depositario assoluto della sovranità, del
potere, degli interessi … e degli innumerevoli privilegi di pochi parassiti
politici e burocratici pagati da molti. I principi costituzionali di dignità sociale,
di uguaglianza davanti alla legge, di garanzia di inviolabilità dei diritti
146
dell'uomo (art. 2 Cost. - che immagino essere i Diritti naturali), la rimozione
degli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto impediscono la libertà
e l'uguaglianza dei cittadini, (art. 3 Cost.), ecc., sono stati disattesi a favore del
potere politico, economico, bancario, industriale, religioso, delle consorterie
dei partiti e della burocrazia che hanno occupato stabilmente le istituzioni di
governo nascondendosi dietro il paravento dello stato indicato alla massa dei
cittadini ignari come repubblicano e democratico.
Inutilmente Luigi Einaudi, già presidente della repubblica aveva avvertito
che ...
Non è dalla lettera di una Costituzione che occorre ricavare gli elementi
più fecondi: la lettera è stata scritta in altri tempi, quando i bisogni erano
diversi: più interessante è vedere quale uso si è fatto di quel sistema
creato tanti anni fa.226
L'uso che i partiti hanno fatto della Costituzione è oggi sotto gli occhi di tutti.
Affermare, come fecero i costituenti, che La sovranità appartiene al popolo,
per poi negare nei fatti con con legge ordinaria che il popolo stesso possa
esercitarla su ogni aspetto della vita politica, non significa forse negare i
concetti stessi di Repubblica e di Democrazia solennemente affermati nell'art. 1
e violare il Diritto naturale dei cittadini a stabilire il ruolo che il governo deve
avere nei confronti della vita di tutti?
Cosa c'è di diverso in questo comportamento politico rispetto a quanto affermò
Mussolini il 17 maggio 1928, in occasione della relazione al governo relativa al
sistema di rappresentanza? “La dottrina fascista NEGA il dogma della sovranità
popolare e proclama in sua vece la sovranità dello stato”, sostenne il duce.
Il fascismo dettò apertamente le sue regole; non si nascose dietro la maschera
della democrazia e della repubblica. Tuttavia proprio in nome di quelle regole
pochi individui trascinarono l'Italia in una guerra sciagurata e criminale.
Ebbene, a distanza di molti anni dal discorso di Mussolini sul finire della
guerra in cui morirono centinaia di migliaia di giovani italiani, un filosofo di
regime raccolse l'idea del Duce con queste parole:
C'è lo stato; e c'è la sua volontà; la sua legge. Nella quale il cittadino,
dalla nascita alla morte, trova i suoi limiti, presupposto della sua
esistenza, condizione della sua libertà.227
Negli anni successivi alla guerra, sempre in nome della continuità storica, il
popolo italiano è stato nuovamente sottoposto all'imprinting dell'assoluto dello
226 L. Einaudi (1874-1961) economista e secondo presidente della Repubblica italiana, Il
Buongoverno, a cura di E. Rossi, Editori Laterza, Bari, 1955.
227 G. Gentile (1875-1944), filosofo, Genesi e struttura della società, Ed. Le lettere, Firenze,
1987, p. 58.
147
stato sovrano, paternalista, assistenziale, fonte di sicurezza e stabilità
dell'ordine sociale. Oggi continuiamo a pagare le conseguenze di queste scelte.
Sulla base dell'esperienza di quanto avvenuto nei decenni successivi alla grande
guerra, come non giustificare le parole di Don Sturzo che al ritorno dall'esilio
volontario in America, assediato dai giornalisti che gli chiedevano cosa ne
pensasse della nuova Costituzione rispose lapidario: “È il fascismo meno
Mussolini”. E così è stato perché nei fatti l'attuale Costituzione NEGA il diritto
naturale dei cittadini a controllare direttamente il ruolo e l'azione di governo.
Mi sono chiesto spesso come sia stato possibile che secoli di lotte e di sangue
per la vera democrazia siano stati inutili.
Per quanto riguarda l'Italia la risposta è stata sempre la stessa: la Costituzione
italiana, costruita a priori a tavolino dalle nascenti forze del nuovo regime non
è mai stata sottoposta all'approvazione o al rifiuto del popolo sovrano!
Qualunque cosa ne dicano i partiti, la magistratura e i quindici spaccacapelli
super-privilegiati della Corte costituzionale il regime instaurato dopo la caduta
del fascismo è giuridicamente illegittimo e si sta dimostrando moralmente e
socialmente inadatto a tutelare ciò che di buono esiste ancora nella
Costituzione scritta tanti anni fa, arbitrariamente violata e disattesa per tutelare
gli interessi personali di pochi.
Insomma, proprio mentre ci si vantava di rifondare la democrazia si
proclamava la stupidità congenita del popolo. E si approdava così al
risultato finale di una gigantesca contraddizione. Perché mai il popolo
sarebbe un povero incapace quando qualcuno cerca di fargli esprimere
direttamente il suo giudizio su un problema di rilievo, e diventerebbe
invece fonte di saggezza quando viene costretto a scegliere e a legittimare
chi dovrà governarlo? Se non si tiene ben fermo il principio della
sovranità (volontà) popolare, perché mai io cittadino dovrei riconoscere
e accettare l’autorità e le decisioni dei membri eletti del Parlamento? Il
loro potere si fonda forse sul caso, o sulla forza?228
Come è possibile che in una Repubblica Democratica, definita tale in base a
una Costituzione che ognuno ha interpretato e applicato a modo suo e secondo
il proprio tornaconto, i rappresentanti dei partiti si siano auto-conferiti il diritto
supremo di imporre tasse e imposte a piacimento e di autodeterminare il
proprio stipendio e privilegi, escludendo il popolo pagante dalla possibilità di
cambiare le leggi che li riguardano?
Il collasso dello stato che ne seguirà - come spesso ricordava il compianto G.
Miglio - grande federalista e studioso delle istituzioni - sarà pagato sotto forma
di lacrime, di miseria e di sangue dalla parte più povera e indifesa della
popolazione trascinata in una tragedia in cui colpevoli e innocenti, parassiti,
privilegiati e complici del regime, subiranno lo stesso dolorosissimo destino.
228
G. Miglio, Il referendum tradito, Il Sole 24 ore n° 144, 27 maggio 1987.
148
3. I diritti naturali nell'ordine sociale
Per quanto ne so io il diritto naturale è un concetto che si è sviluppato in
modo particolare in Olanda nel ‘600 come complesso di principi universali che
preesistono allo stato e che trovano il loro fondamento nella natura e nella
coscienza dell'uomo. In quanto tali la garanzia costituzionale di inviolabilità, di
imprescrittibilità, di inalienabilità e di non tassabilità, dovrebbe essere sempre
posta a fondamento della legge.
La più antica classificazione del diritto è quella che da sempre vede
contrapposti il diritto naturale al diritto positivo. Per diritto naturale si
intende quell’insieme di precetti, di norme, che, per usare un’espressione
particolare, “sta scritto nel cuore degli uomini”. Storicamente il diritto
alla vita, alla libertà ed alla proprietà rappresentano il nucleo minimo
del diritto naturale, unitamente al diritto al nome, all’identità personale
e alla famiglia. Di contro, il diritto positivo consiste nell’insieme delle
norme “vigenti”, di quei precetti, cioè, che in un dato momento storico
rappresentano l’ordinamento giuridico di uno Stato.229
Da parte mia sono convinto che senza partire da queste fondamentali
osservazioni ogni analisi dei problemi dell'ordine sociale in generale e della
violazione dei Diritti naturali in particolare, sarà alla lunga nient'altro che
un'angusta e inutile esercitazione di falsità, di inganni e di ipocrisie intese a
giustificare l'esistente. In effetti è questo che sta avvenendo anche nel secondo
decennio del terzo millennio in Italia fra il disinteresse e la paura generale di un
futuro incerto e pericoloso, soprattutto per le nuove generazioni.
Alle grandi finzioni dello stato sovrano moderno accentrato e indivisibile
tuttavia, manca un altro importante tassello: la negazione del vincolo di
mandato imperativo (art. 67 Cost.) che recita: “Ogni membro del parlamento
rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Questo significa che l'eletto non ha alcuna responsabilità politica e giuridica
per la durata del suo mandato di rappresentanza nei confronti di chi lo ha eletto.
La negazione del vincolo di mandato deriva dalla Costituzione Francese del
1791 in cui viene definito il discrimine fra Ancien Regime e Modernità. Questa
negazione avrebbe dovuto separare la rappresentanza degli interessi dalla
rappresentanza politica. Ebbene, oggi è incorporata in quasi tutti i sistemi
costituzionali degli stati sovrani moderni. In Italia è stato ripresa dallo Statuto
Albertino che recitava: I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non
le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi
dagli Elettori (art. 41).
Appunti dalle lezioni di Diritto pubblico comparato del prof. Giuseppe Barone anno
accademico 2004-2005. G. Barone è ordinario di storia contemporanea e preside della facoltà di
Scienza politiche di Catania.
229
149
La delega del potere necessario a deliberare le leggi, che si concretizza col voto
senza vincolo di mandato, è un vero e proprio atto di investitura di potere
superiore a quello del popolo e contraddice apertamente la teoria rousseauiana
che fu alla base della Grande rivoluzione, per la quale:
La sovranità non può venire rappresentata, per la stessa ragione per cui
non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà
generale e la volontà non si rappresenta: o è essa stessa o è un’altra;
una via di mezzo non esiste. I deputati del popolo non sono dunque e non
possono essere i suoi rappresentanti, sono solo i suoi commissari. Non
possono concludere niente in modo definitivo.230
In effetti la negazione del vincolo di mandato è la ...
... ricostruzione giacobina della sovranità fintamente popolare, che
trasmigra dal corpo fisico del sovrano a quello mistico della nazione. È
la cifra ultima della schiavitù e della tirannia concettuale dello stato
moderno. Il vincolo deve esserci eccome: se no il rappresentante non
rappresenta nulla di concreto.231
In questa lucida osservazione è purtroppo celato il cancro del sistema politico
italiano: i partiti, organizzazioni politiche che non sono né carne né pesce, si
sono trasformati in gruppi di potere volti a tutelare interessi privati che esistono
in funzione dei voti e non per il bene di tutto il popolo.
Pertanto si può dire che il mandato imperativo è proprio della vera democrazia,
mentre la sua negazione è sinonimo di asservimento dei cittadini allo stato
sovrano tramite i partiti che in Italia son “organismi pubblicamente,
ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della
verità e della giustizia.”232
4. Democrazia: il dio che ha fallito.
Il titolo di questo sottocapitolo è tratto da un famoso libro di Hans-Herman
Hoppe successore di M.N. Rothbard nella cattedra di economia presso
l'Università del Nevada nel 1995 e direttore del Journal of Libertarian Studies.
In esso Hoppe riporta:
È avendo in mente un ordine naturale che vengono rilevati gli errori
230 J. J. Rousseau, Il contratto sociale, Laterza, 1997, p. 137.
231 Da una mia conversazione 2015 su internet con Luigi Marco Bassani, brillante storico delle
dottrine politiche all'Università di Milano.
232 Simone Weil (1909-1943), filosofa e scrittice francese,Manifesto per la soppressione dei
partiti politici, Castelvecchi, Roma, 2008, p. 36.
150
economici ed etici della monarchia. È sempre in relazione all'ordine
naturale che vengono rilevati gli errori economici ed etici della
monarchia. Ed è sempre in relazione all'ordine naturale che gli errori
ancora più grandi della democrazia vengono messi in luce e la
trasformazione storica da monarchia a democrazia si rivela come un
declino della civiltà. Ed è a causa della struttura logica dell'ordine
naturale - di come proteggere la libertà, la proprietà, e il conseguimento
della felicità - che le pagine seguenti racchiudono anche approfondite
analisi di questioni strategiche, cioè dei requisiti per il cambiamento
sociale e in particolare per la trasformazione radicale della democrazia
in ordine naturale.233
Anche se sembra impossibile, da un punto di vista socio-biologico l'idea di
Democrazia è nata con la vita. Lynn Margulis, una scienziata più volte citata in
questo libro per le sue straordinarie intuizioni, sostiene che nelle loro società
gli archeobatteri, circa tre miliardi e mezzo di anni fa adottarono per primi la
Democrazia decentralizzata.
Pochi, tuttavia, sanno che per quanto riguarda la nostra specie il primo esempio
storico di democrazia di cui abbiamo notizia certa, anche se a quel tempo non
esisteva ancora questa parola, è datato oltre 3000 anni a. C. e si riferisce a un
evento accaduto nella regione di Sumer in Mesopotamia, la terra fra i due
fiumi. Ce lo rivela la scoperta archeologica di undici tavolette di argilla e vari
frammenti il cui contenuto è il "verbale" di un'assemblea politica risalente al
tempo di Gilgamesh, re di Uruk e signore di Kullab.234
I primi re sumeri non erano tiranni assoluti. Raccontano le tavolette 235 che gli
abitanti delle antichissime città-stato sumeriche riuniti in assemblea, erano
interpellati dal re per decidere sui problemi importanti che riguardavano tutta la
comunità. Il parlamento della città di Uruk, proprio come i parlamenti moderni,
era formato da due camere: una era l'assemblea degli anziani; l'altra era
l'assemblea dei cittadini abili alle armi. Entrambe erano presiedute dal re. Le
camere erano state convocate separatamente da Gilgamesh per decidere sulla
pace a qualunque prezzo o sulla guerra per l'indipendenza che il popolo
avrebbe dovuto affrontare contro re Agga un re invasore che voleva
sottomettere la città.236
L'idea di far partecipare il popolo alle decisioni importanti che riguardavano
H-Herman Hoppe, Democrazia: il dio che ha fallito, liberilibri, Macerata p. 20.
S. N. Kramer, I Sumeri, alle radici della storia. Il primo parlamento, Newton & Compton
Editori, Roma, 1979, pp. 45 e seg.. Kramer è professore emerito di assiriologia e conservatore
del museo dell'Università di Pennsylvania.
235 La traduzione delle tavolette di argilla è dovuta a Thorkild Jacobsen (1904-1993),
sumerologo, in La democrazia primitiva nell'antica Mesopotamia, University of Chicago Press,
1943.
236 Agga, 2685 a.C. al 2652 a. C., sovrano della città-Stato di Kish, ultimo sovrano della sua
dinastia contemporaneo a Gilgamesh sovrano di Uruk nella terra di Sumer ed.
233
234
151
tutta la comunità, sicuramente antecedente al periodo di Gilgamesh,
probabilmente non scomparve mai definitivamente dalla storia. A partire
dall'VIII secolo a. C., infatti, la Democrazia cominciò a prendere forma in
Grecia dove trovò le condizioni favorevoli per la sua affermazione come
sistema di governo popolare opposto al governo dei nobili e dei ricchi.
Letteralmente la parola deriva da demos (popolo) kratos (potere): dunque la
Democrazia è il potere del popolo di stabilire il ruolo che il governo della
comunità deve avere nei confronti di ognuno, affermando convenzionalmente il
diritto della maggioranza dei cittadini237 uguali e liberi di deliberare le leggi.
La formazione del governo democratico in Atene è strettamente legata alle
riforme di due grandi legislatori (Solone, e Clistene) 238. La sua diffusione è
dovuta alla guerra contro i Persiani in seguito alla quale la città assunse il ruolo
di città-guida della Grecia. Nel corso del V secolo a. C. la vita politica ateniese
era organizzata attorno a due partiti: quello democratico, che sosteneva gli
interessi del popolo, e quello oligarchico che sosteneva gli interessi e le
prerogative dei nobili e dei ricchi.
Un processo politico analogo si verificò poco più tardi a Roma e fu chiamato
Repubblica, da res, (cosa) e publicus (di tutti). La Repubblica è la cosa che
appartiene a tutti, il bene collettivo in cui il potere politico di legittimare le
leggi emana dal popolo. Sebbene inizialmente a Roma il publicus fosse
circoscritto alla sola aristocrazia e solo le famiglie aristocratiche avessero
diritto a partecipare al governo, dopo una lunga lotta anche i plebei delle tribù
lo conquistarono239 stabilendo il potere dei tribuni (nominati dal popolo) di
impedire l'entrata in vigore delle leggi decise dal senato quando erano giudicate
contrarie agli interessi del popolo stesso.
Repubblica e Democrazia sono, dunque, sinonimi di governo popolare.
Con il declino di Atene e di Roma la Democrazia e la Repubblica scompaiono
dalla storia per riapparire molti secoli dopo e giungere fino a noi come simboli
di governo perfetto della società basati sul principio di uguaglianza nella libertà
e nella diversità. Tuttavia alla fine del secolo scorso R. A. Dahl, professore
emerito di scienze politiche alla Yale University, in Sulla democrazia dopo aver
considerato il valore assunto da questa idea nei secoli recenti, partendo da due
studi basati su criteri abbastanza diversi ed eliminando le sovrapposizioni dei
dati storici ha scritto:
Il XX secolo è stato un'epoca di costanti fallimenti per la democrazia. In
più di settanta casi essa è caduta sotto un regime autoritario. Tuttavia, è
stato anche un periodo di straordinari successi: il secolo che volge al
termine è quello del trionfo democratico.240
237 Il titolo di cittadino era allora conferito solo ai militari che difendevano la patria.
238 Solone, 584 a. C.; Clistene, 507 a. C.
239 Repubblica aristocratica e Repubblica democratica.
240 R. A. Dahl, Sulla democrazia, cit, p. 153.
152
Ma - si chiede Dahl - questo dato offre la sicurezza che il mondo sia divenuto
un posto sicuro per la democrazia? “Purtroppo - conclude - non è così”.
Infatti è bastata la recente crisi finanziaria legata alle grandi banche perché in
molti stati la democrazia non fosse più in grado di offrire la sicurezza, la
stabilità e il benessere con la quale in precedenza era considerata con
ottimismo.
Io credo che le cause primarie della debolezza e del declino della democrazia
sia da ricercare nella mancata definizione o nella distorsione fraudolenta del
concetto di sovranità degli individui riferita al loro diritto di fare, modificare e
abrogare le leggi e nella violazione dei loro diritti naturali.
Infatti il punto nodale del declino della forma di governo democratico, a detta
di molti autori, sarebbe dovuto proprio alle diverse interpretazioni che possono
essere date alla parola popolo sovrano e alla confusione fra diritti umani, diritti
civili e diritti naturali.
Giovanni Sartori nel suo splendido libro Democrazia cosa è, riporta:
Per democrazia letterale o etimologica intendo la democrazia spiegata
dalla parola. Democrazia vuol dire potere popolare. Se così - e questo è
l'argomento - le democrazie debbono essere quel che la parola dice:
sistemi e regimi politici nei quali è il popolo che comanda.241
Di seguito lo studioso riporta ben 6 diverse interpretazioni di popolo:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
popolo come letteralmente tutti,
popolo come pluralità approssimativa: un maggior numero, i più,
popolo come “populace”, classi inferiori, proletariato,
popolo come totalità organica e indivisibile,
popolo come principio maggioritario assoluto,
popolo come principio maggioritario temperato.
Per la verità, considerata la mia propensione ad osservare le leggi dell'ordine
sociale nell'ottica della natura, preferisco la semplicità della parte finale della
definizione precedente: la democrazia è tipica dei “sistemi e regimi politici nel
quale è il popolo che comanda”.
Ebbene: come abbiamo visto la democrazia dopo essersi affermata in Grecia
come governo della Polis, a Roma come Civitas e successivamente come
Regnum, venne chiamata Stato dal fiorentino Niccolò Machiavelli che proprio
all'inizio di Il Principe242 (1513), riporta:
Tutti gli stati, tutti e dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli
uomini, sono stati o republiche o principati.”243
241 G. Sartori, Democrazia cosa è, Rizzoli, Milano, 1994, p. 20-21.
242 N. Machiavelli, Il Principe, a cura di G. Inglese, Einaudi, Torino, IV p. 4.
243 Ivi, p. 7.
153
Machiavelli mette subito in relazione la parola “stato” con le parole dominio ed
imperio sopra gli uomini e le assimila con repubbliche o principati. Come lo
stesso autore riporta Il Principe si occupa di come possa essere mantenuto il
principato ereditario, ovvero il potere assoluto di cui, secondo la teologiapolitica dell'epoca, era indispensabile disporre per esercitare un'efficace azione
di governo con la necessaria autorità.
Con Machiavelli si apre l'era dello stato sovrano e accentrato fondato
sull'indivisibilità del potere di governo e sull'autorità del principe, del monarca,
del despota di turno e successivamente sulla democrazia cosiddetta
“parlamentare” dello stato sovrano accentrato.
È questa l'era dei grandi stati costruiti artificialmente su vasti territori e grandi
numeri di abitanti. L'idea di stato così concepita avrebbe permesso in seguito la
fioritura delle ideologie politiche foriere di guerre atroci e di violenze inaudite
nei popoli per la conquista del potere di organizzare lo stato.
Questo assunto dell'esperienza storica non interessando a chi si spartisce il
denaro dello stato ottenuto col monopolio della legge resta ancor oggi un
problema irrisolto. Infatti Robert Dahl, dicendo che anche nel XX secolo la
democrazia è fallita in oltre settanta stati conferma la validità di questa
osservazione. Le esigenze della crescita del benessere materiale e spirituale
degli individui e dei popoli nell'uguaglianza e nella libertà, se confinate
nell'idea di stato, di democrazia parlamentare o centralismo democratico che
dir si voglia, tengono ...
... ben poco conto delle libertà individuali e del rispetto delle leggi,
poiché (la democrazia, n.d.a) è incapace di governare a condizioni
diverse da quelle dell'unità, che non è altro che il dispotismo. (...) La
democrazia è innanzitutto centralizzatrice ed unitaria, ha orrore del
Federalismo (...) essa considera l'indivisione del potere come la grande
molla, l'ancora di salvezza del governo. 244.
Per tali ragioni, piaccia o no, quello che ci aspetta continuando a seguire il
vecchio modo di ragionare è il collasso del sistema dell'ordine sociale; collasso
che si verifica puntualmente per mezzo di una guerra o di una atroce e inutile
rivoluzione civile, come storicamente documentato negli ultimi secoli.
5. Lo stato sovrano e la Volontà generale in Bodin, Hobbes e in Rousseau.
Sebbene molti oggi confondano l'idea di stato con l'idea di governo, l'umanità
è vissuta per secoli senza conoscere cosa fosse lo stato.
Alcuni decenni dopo Machiavelli il giurista e filosofo francese Jean Bodin con
244 P. J. Proudhon, articolo Garibaldi et l'unité italienne, pubblicato il 7 settembre 1862 sul
giornale Office de pubblicité a Bruxelles.
154
il suo De la republique pubblicato nel 1576, caratterizza l'idea di stato
mediante la sua sovranità, riconoscendola come attributo medievale connesso
con l'idea di Divinità. Vedendo in Dio la massima espressione del potere
supremo della creazione, dell'autorità, della moralità e del bene comune, Bodin
non esitò ad attribuire la sovranità allo stato. La sovranità, per Bodin, può
discendere solo da “Colui che è superiore a tutti gli altri” e questo non può
essere altro che Dio, “superiore all'intera società politica, che non riconosce
alcun potere superiore a sé”245.
Bodin non poteva immaginare che accostare il governo della società alle
qualità di un Dio creatore onnipotente avrebbe contribuito a far nascere il mito
dello stato sovrano definendone la sovranità come assoluta, perpetua,
indivisibile, inalienabile e imprescrittibile a misura della divinità.
Tuttavia credo che i misteri della natura fossero sempre lì a indicargli che era
possibile un'altra strada, una diversa concezione della moralità e del potere di
governo e forse per questo scrisse che, “... una legge si dirà giusta se è in
accordo con la legge naturale o con i precetti divini”.
Thomas Hobbes (1588–1679), filosofo inglese, famoso per il suo libro più
conosciuto, Il Leviatano246, è indicato da diversi autori come un gigante del
pensiero politico moderno. In Il nerbo e le briglie del potere Gianfranco Miglio
scrive di lui:
La critica hobbesiana alle idee e ai comportamenti politici del suo tempo
è attuale perché le difficoltà di allora sono ancora le stesse contro le
quali urta il sistema istituzionale di oggi. Anzi: si può affermare che i
problemi del moderno Stato parlamentare sono nati nel secolo di
Hobbes, e purtroppo continuano a rimanere irrisolti, perché la lezione di
questo grande logico (e fondatore della psicologia politica) non è mai
stata onestamente accettata e sviluppata.247
Gli uomini - sostiene Hobbes - non sono socievoli per natura e si comportano
come i lupi nei loro rapporti sociali. Per passare dalla condizione di natura allo
stato civile o politico, essi hanno bisogno di stabilire un patto che egli indica
per primo come Contratto sociale.
... Hobbes non si limita a una mera presa d'atto dello stato di natura.
Nella speculazione che porterà da Human Nature al Leviathan, Hobbes
riconnette il meccanismo che conduce dalla sfera umana a quella
politica. Il fin troppo commestibile Homo homini lupus si tempera alla
luce della ragione con una rinunzia, a giudizio di Hobbes, ineludibile: la
rinunzia al diritto di natura in favore della legge di natura. È
l'anticamera di un “contratto. Un contratto fondato sull'antitesi
245 J. Bodin, De la République, libro I, c. 8.
246 Il Leviatano è un mostro marino.
247 Ivi, Edizione del Sole 24 ore, Milano 1988, p. 335.
155
speculare dell'egoismo: la rinunzia del quale porta alla perdita del
diritto naturale in favore del sovrano, punto neutro, zero assoluto,
vertice della piramide del patto civile e politico che si configura fra la
moltitudine e fra la moltitudine e il suo sommo rappresentante, il
sovrano, lui solo, svincolato da ogni obbligo contrattuale. Una delega,
questa, che si è voluta - senza torto - interpretare come il sigillo più
luminoso dell'assolutismo.248
Infatti Hobbes scrive nel Leviatano che:
… la moltitudine così unita in una persona (il sovrano, n.d.a.), viene
chiamata uno Stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel
grande Leviatano o piuttosto (per parlare con maggiore riverenza) di
quel dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la
nostra pace e la nostra difesa.249
Come Machiavelli e Bodin, Hobbes non poteva sapere, ai suoi tempi, che ogni
sistema sociale naturale possiede qualità specifiche di auto-organizzazione e di
auto-regolazione innate. Del resto nel suo secolo, secondo i calcoli
dell'arcivescovo della Chiesa d'Irlanda J. Ussher (1581-1656) - come già
riportato - l'età del mondo non andava oltre quattromila anni a. C..
Tuttavia Hobbes aveva ben presente la necessità di elaborare un concetto della
libertà e dell'autorità che non contraddicesse la natura, che indicava come
soggetto dell'azione volontaria dell'uomo in quanto essere naturale. Nel
Leviatano infatti riporta cosa intendesse per persona naturale:
Quando sono considerate come sue proprie (le parole e le azioni – n.d.a),
allora egli è detto persona naturale, quando invece sono considerate
come rappresentanti le parole e le azioni di un altro, allora è una
persona artificiale o fittizia.250
In questa ottica i contraenti del patto sociale sono da un lato le persone
naturali, dall'altro la persona artificiale dello stato incarnato nella figura del
sovrano o di un parlamento. Purtroppo anche la regola aurea della difesa da
parte dello stato del diritto alla vita era già, al tempo di Hobbes, in
contraddizione con la guerra che i sovrani facevano usando la pelle di molti per
accrescere il potere proprio e di pochi. Considerato il pensiero dominante del
suo tempo Hobbes non poteva tenere conto della violenza religiosa insita nella
Bibbia ritenuta sacra.T. Hobbes Leviatano, Editori Riuniti, Roma, 2005, p. 106.
248 P. Tiry d'Holbach, La fabbrica dell'egoismo, versione di Thomas Hobbes, La natura umana,
Il Minotauro, Milano, 1995, VII.
249 T. Hobbes Leviatano, Editori Riuniti, Roma, 2005, p. 106.
250 Ivi, p. 97.
156
Il passo rivoluzionario compiuto dal monoteismo biblico, consiste, …
nell'aver incluso nel concetto di “violenza bruta” - che deve essere
domata tramite la legge – anche la violenza dispotica o tirannica usata
dal sovrano per far valere, non il diritto e la giustizia, bensì i propri
scopi e interessi personali. ... Gli interessi personali si possono
perseguire esclusivamente con “mezzi legali”. La violenza senza diritto
viene criminalizzata ma, affinché ciò accada, il diritto deve allearsi con
la violenza. Il diritto senza violenza sarebbe inefficace dal momento che
le leggi devono entrare in “vigore”, un vigore o forza che si basa sulla
minaccia credibile di sanzioni. Il vantaggio della violenza giuridica è la
sua virtualizzazione.251
Il riferimento della citazione di Assmann al pensiero di Hobbes è evidente se si
pensa che la violenza giuridica che nella realtà della politica moderna diventa
violenza dello stato come Ente assoluto, è in grado di violare i diritti naturali
degli individui che intenderebbe proteggere.
Hobbes arriva al punto centrale della politica affermando che: “Il mutuo
trasferimento dei diritti si chiama 'contratto'” giustificandolo con queste
parole:
Ogni volta che un uomo trasferisce un suo diritto, o vi rinuncia, lo fa
sempre in considerazione di un diritto che gli è reciprocamente
trasferito, o a motivo di un altro bene che spera di trarre da quell'atto:
infatti si tratta di un'azione volontaria; e l'oggetto delle azioni volontarie
degli uomini è sempre qualche bene per loro stessi.252
Che il potere sia nelle mani di una persona o di un'assemblea eletta per Hobbes
non è rilevante; ciò che conta per lui è che il potere e l'autorità di governo siano
assoluti, non vincolati da nessuno, indivisibili e irrevocabili .
Scrive infatti che gli uomini hanno un comune interesse alla pace, alla stabilità e
alla sicurezza e per questo cercano di formare delle società stipulando patti
(Pactum Unionis), che precedono i Contratti di Società (Pactum Societatis) e
stabiliscono leggi alle quali accettano di sottomettersi (Pactum Subiectionis). È
così che Hobbes perviene all'idea di Contratto sociale.
Quando il trasferimento di diritti non è mutuo, ma una delle parti lo
compie con la speranza di guadagnarsi l’amicizia o i servigi di un altro
uomo o dei suoi amici o la reputazione di carità o di magnanimità; o con
la speranza di liberare la mente dalla compassione, o di esserne
ricompensato in cielo, non si tratta di un contratto, ma di un regalo o
grazia, parole che significano la stessa cosa. 253
251 J. Assmann. Non avrai altro Dio, cit., p. 16 e p. 85.
252 T. Hobbes, Leviatano, pp. 77-78.
253 Ivi, p. 78.
157
Con lungimiranza Hobbes indica il maggior difetto della democrazia nella
cessione (un regalo o grazia) della propria volontà a dei rappresentanti,
sottomettendosi volontariamente alle leggi da loro deliberate.
L'idea di Contratto nei rapporti fra gli individui verrà ripresa circa un secolo
più tardi da Jean Jacques Rousseau con il Contratto sociale e dopo ancora un
secolo da Pierre Joseph Proudhon che cambiandone l'interpretazione data dai
primi due la definisce, in Del Principio federativo, come dottrina del Contratto
politico commutativo o di federazione, giustificandola con queste parole:
Nella teoria di J.J. Rousseau, che è quella di Robespierre e dei
Giacobini, il Contratto sociale è una finzione di legista, immaginata per
rendere conto, senza ricorrere al diritto divino, all'autorità paterna o
alla necessità sociale, della formazione dello stato e dei rapporti fra il
governo e gli individui. Questa teoria, mutuata dai Calvinisti, costituiva
nel 1764 un progresso, poiché aveva per scopo di ricondurre ad una
legge razionale ciò che fino allora era stato considerato come un
appannaggio della legge di natura e della religione. Nel sistema
federativo il contratto sociale è più che una finzione; è un patto positivo,
effettivo, che è stato realmente proposto, discusso, votato, adottato, e che
si modifica regolarmente secondo la volontà dei contraenti. Fra il
contratto federativo e quello di Rousseau e del '93, c'è tutta la distanza
che passa fra la realtà e l'ipotesi.254
Qui il potere giuridico del sovrano, del capo o del parlamento si dissolve e il
Contratto politico è stabilito fra i veri sovrani che sono i cittadini (indicati da
Proudhon come “i contraenti”), proprietari unici della loro volontà di scelta
politica (sovranità) relativa agli interessi e alle proprie aspettative di vita.
Molti altri filosofi sociali e giuristi del passato hanno riconosciuto nel contratto
di sottomissione al sovrano, a un capo o a un parlamento eletto, lo strumento
giuridico per ordinare la vita politica della società e per questa ragione lo hanno
chiamato sociale. Lo stato moderno sovrano è il risultato di questa scelta.
Giovanni Gentile, il maggior filosofo dell'ideologia fascista, così interpreta la
funzione dello stato in Genesi e struttura della società:
Il volere, come volere comune e universale è stato. ... La volontà dello
stato, con cui egli deve fare i conti, è volontà non in atto ma già posta,
già voluta, già manifestata in maniera chiara, esplicita, certa. E questa
manifestazione della volontà statale deve precedere i casi che essa
regola.255
254 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit. cap. VII, nota a).
255 G. Gentile, Genesi e struttura della società, Casa editrice le lettere, Firenze, 1987, p. 58.
158
Volontà statale posta da CHI? Con quale SCOPO? Definita come?
L'esperienza del dopo guerra ha dimostrato che proclamare la sovranità dello
stato confinandola nei partiti significa che i cittadini sono costretti a cedere
TUTTA la sovranità delle scelte politiche e anche economiche per la propria vita
a un ente immaginario, ancor oggi indicato arbitrariamente dai filosofi e dai
giuristi come unico, divino, assoluto, eterno che riassume in sé il meglio dello
spirito umano. Tuttavia in Origine della disuguaglianza Rousseau sostiene
argutamente che:
La maggior parte dei nostri mali viene dall’opera nostra e che potevamo
evitarli conservando il modo di vivere semplice prescritto dalla natura.
A distanza di due secoli e mezzo da Rousseau abbiamo sperimentato sulla
nostra pelle cosa accade nelle istituzioni di governo quando la deliberazione
delle regole (le leggi) è affidata a un capo o a un parlamento o a un consiglio
in mano ai partiti: gli individui ed i popoli subiscono un rilevante processo di
sottomissione allo stato e di degrado civile e morale.
Non per niente Rousseau apre Il Contratto Sociale con queste parole:
“L'uomo è nato libero ma dovunque è in catene”256.
ma subito dopo il ginevrino aggiunge:
Se considerassi solo la forza e l'effetto che ne deriva direi: Quando un
popolo, costretto ad obbedire, obbedisce, fa bene; e se può liberarsi dal
giogo, fa ancor meglio. Infatti, riconquistando la sua libertà con lo
stesso diritto con cui gli era stata tolta, o egli è autorizzato a riprenderla
o non lo era neppure chi gliel'ha tolta.257
In un governo libero un certa uguaglianza viene giustamente posta alla base di
tutti gli altri diritti perché, come sostiene Rousseau, “… l'uguaglianza non
viene dalla natura, ma dalle convenzioni”. È infatti alla convenzione che
Rousseau riferirà la santità del suo Contratto sociale per il quale l'individuo
cede tutta la sua volontà al sovrano, ripetendo così la contraddizione di
Hobbes. La sua idea di “volontà generale” in definitiva sposa integralmente la
tesi dell'assolutismo e del potere indivisibile dello stato sovrano di Hobbes.
Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere
sotto la suprema direzione della volontà generale; e noi, come corpo,
riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto.258
256 J.J. Rousseau, Il contratto sociale, Libro primo, Mursia, Milano, 1965, p. 21
257 Ivi, I. p. 21
258 Ivi, I, VI. p. 31.
159
La convenzione basata sul concetto di volontà generale ceduta al sovrano, al
principe o a un parlamento, conferma e legittima la suprema direzione dello
stato e dei sui organi imposti a priori con la forza o con l'inganno sopra gli
individui. Non è forse questo che accade nelle democrazie parlamentari
moderne in cui la sovranità è confinata nell'idea di stato sovrano e nella
democrazia rappresentativa parlamentare del centralismo democratico?
Scriveva Montesquieu sulla democrazia diretta e rappresentativa:
Poiché in uno Stato libero qualunque individuo che si presume abbia lo
spirito libero deve governarsi da se medesimo, bisognerebbe che il corpo
del popolo avesse il potere legislativo. Ma siccome ciò è impossibile nei
grandi Stati, e soggetto a molti inconvenienti nei piccoli, bisogna che il
popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto quello che non può
fare da sé. 259
La storia dei secoli recenti ha dimostrato che la logica democratica confinata
nella rappresentanza politica porta all'instabilità dei sistemi e di rivoluzione in
rivoluzione alla tirannia dello stato. L'Italia attuale ne è un chiaro esempio!
Il governo rappresentativo non è nato come pratica democratica ma come
strumento attraverso il quale i governi non democratici - soprattutto le
monarchie - potevano mettere le mani su preziose entrate fiscali e altre
risorse di cui avevano bisogno essenzialmente per scopi bellici.260
Dopo Hobbes e Rousseau il sociologo francese P. J. Proudhon in Del Principio
federativo perviene alla definizione di Contratto politico commutativo, o di
federazione come teoria innovativa della forma di governo e torna alla
concretezza del reale attraverso la divisione del potere di governo fra tutti gli
associati. In queste condizioni - sostiene Proudhon - i contraenti, ovvero i
singoli individui aventi diritto al voto fanno propria la deliberazione o la
legittimazione della legge. E' il passaggio dal contratto indicato vagamente e
artificialmente come sociale al contratto politico “... realmente proposto,
discusso, votato, adottato, e che si modifica regolarmente secondo la volontà
dei contraenti.”261 Così la democrazia, nata non solo per la libertà come molti
credono, ma per l'uguaglianza degli individui, diventa procedimento spontaneo
convenzionalmente condiviso per fare, legittimare o delegittimare la legge che
ognuno deve rispettare.
Montesquieu (1689-1755) filosofo, giurista, storico e pensatore politico francese, Lo spirito
delle leggi, BUR, Milano, vol. 1, Libro undicesimo. cap. sesto, p. 312.
260 R. H. Dahl, Sulla democrazia, p. 110.
259
261 P. J. Proudhon, Del principio federativo, Cap. VII, nota a).
160
Capitolo XII
Il Contratto politico o di Federazione
1. Degenerazione dell'idea di stato.
Oggi anche solo cercare di parlare di governo della comunità locale e
nazionale nell'ottica della natura in quanto idea più aderente alla realtà rispetto
a quella artificiale di stato sovrano “è come sventolare un drappo rosso davanti
a un toro” (M. N. Rothbard, in Etica della libertà). Tuttavia non si può negare
che anche nel passato ...
... Tutti i filosofi che hanno studiato le basi della società hanno sentito il
bisogno di risalire fino allo stato di natura – ma nessuno ci è arrivato. 262
Credo che nessuno ci sia arrivato perché i filosofi sociali e i giuristi hanno
continuato a fantasticare con i vecchi alambicchi della teologia-politica e del
diritto positivo senza tener conto che la scienza stava producendo un tale
incremento di conoscenza della natura che oggi ...
Il sapere scientifico e la tecnologia si raddoppiano ogni dieci-venti anni
a seconda della disciplina dove si misurano le informazioni. Questa
crescita esponenziale fa sì che sia impossibile prevedere il futuro oltre un
decennio, figuriamoci secoli o millenni.263
Sebbene il merito di aver introdotto per primi negli ordinamenti elementi molto
importanti dell'idea federale spetti agli Stati uniti d'America con la Costituzione
del 1776 e soprattutto del 1786, è stata la Confederazione Svizzera che dal
1848 al 1891 ha cominciato a adottare alcuni principi di democrazia diretta
prevalente sulla democrazia rappresentativa che costituiscono la base di un
sistema politico autenticamente Federale, come risulta dalla sua Costituzione
del 1848 emanata dopo la guerra del Sonderbund 264 fra cattolici (conservatori) e
protestanti (progressisti).
Questa scelta ha consentito nel tempo a popoli diversi per lingua e tradizioni di
unirsi in FEDERAZIONE di cittadini, di Comuni e di Cantoni dando esempio al
mondo intero di pace, di efficienza, di saggezza, di stabilità e di buon governo.
Il federalismo ha dimostrato al mondo come la democrazia diretta prevalente
262 J. J. Rousseau, Origine della disuguaglianza, cit., p. 36.
263 E. O. Wilson, La conquista sociale della Terra, cit., p. 319.
264 La guerra civile del Sunderbund in Svizzera (1847) si concluse con 91 morti.
161
rispetto alla democrazia rappresentativa possa efficacemente LIMITARE
l'intervento dell'accentramento dei poteri di governo in poche mani, su un
territorio formato da popoli diversi per costumi, lingua e tradizioni come ad
esempio è l'Italia.
Del principio federativo è comunemente considerato il testamento politico di P.
J. Proudhon. L'origine del libro si deve ad un articolo pubblicato il 7 settembre
1862 sul giornale Office de pubblicitè a Bruxelles, dal titolo Garibaldi et l'unité
italienne, che seguiva di poco un altro articolo su Mazzini (Mazzini et l'unité
italienne, 13 luglio 1862). Entrambi gli articoli ebbero vasta risonanza sia sulla
stampa sia nell'opinione pubblica del tempo. L'interesse di Proudhon verso
l'Italia era dovuto al fatto che da noi gli spiriti democratici propugnavano una
repubblica unitaria e indivisibile in nome di un'ancora inesistente nazionalità,
che per gli illuminati del tempo doveva essere ottenuta con ogni mezzo e a ogni
costo.
Proudhon aveva affermato a più riprese la sua idea della democrazia che si
spaccia continuamente per liberale, repubblicana, socialista, mentre il suo vero
scopo è solo "l'unità". "La democrazia tiene ben poco conto delle libertà
individuali e del rispetto delle leggi poiché è incapace di governare a
condizioni diverse da quelle dell'unità che non è altro che il dispotismo. (...) La
democrazia è innanzitutto centralizzatrice ed unitaria, ha orrore del
federalismo (...) essa considera l'indivisione del potere come la grande molla,
l'ancora di salvezza del governo.
A differenza di Mazzini che sosteneva l'indipendenza solo nell'unità, Proudhon
chiedeva l'indipendenza nella libertà e nella diversità attraverso la Federazione
degli Stati che allora componevano l'Italia. Era naturale che la stampa unitaria
ed i fanatici del principio romantico delle nazionalità lo attaccassero
violentemente per le sue ferme e decise prese di posizione federaliste e perciò
naturalmente contrarie all'accentramento, all'unità imposta, alla gerarchia e
all'indivisibilità dello Stato. Deciso a chiarire gli equivoci determinati dal
contenuto dei suoi articoli su Mazzini e su Garibaldi il 1 ottobre 1862 in una
nota all'articolo da lui scritto col titolo La stampa belga e l'unità italiana,
Proudhon scrive: "Ho sostenuto nel modo più chiaro possibile sia nel mio
articolo su Mazzini sia in quello su Garibaldi, che il principio di unità è per
sua natura illiberale e sfavorevole al progresso, alla sovranità delle nazioni,
ed anche al principio della separazione dei poteri; di conseguenza, non lo
vorrei per nessuno.
Le critiche feroci e le reazioni popolari violente contro i suoi articoli lo
costrinsero a un rapido rientro in Francia dall'esilio volontario in Belgio.
In patria dovette ugualmente difendersi dagli attacchi della stampa unitaria;
decise perciò di chiarire il suo pensiero sviluppando in Del principio federativo
la sua idea di forma di governo. Oggi questo studioso di umilissime origini è
unanimemente considerato il caposcuola del federalismo integrale o della
162
persona: una nuova forma di governo più aderente alle leggi conosciute della
natura, ieri come oggi completamente e ingiustamente ignorata dai media.
A distanza di tanti anni dal tempo in visse Proudhon, tuttavia, cominciamo a
disporre di conoscenze scientifiche che permettono di intravedere la
straordinaria crescita dei fenomeni complessi connessi con il sistema
dell'ordine sociale.
Dalla nuova prospettiva offerta dalla scienza è oggi possibile acquisire la
consapevolezza che da quello che oggi facciamo dipenderà il mondo del 2050 e
da come oggi ci comportiamo politicamente dipenderà il fatto che i nostri figli
e i nostri nipoti possano vivere in un mondo migliore e più semplice, oppure
che ci odieranno a causa della nostra indifferenza, dei nostri errori volontari e
del nostro egoismo. Da parte mia sono convinto che la grande battaglia politica
del futuro sarà fra due concezioni antitetiche dell'ordine sociale:
quella della continuità storica dell'accentramento del potere di governo in
poche mani che deriva dalle ipotesi del positivismo giuridico e dall'astrattezza
del Contratto sociale; e quella che deriva dalla realtà del giusnaturalismo dal
quale è nata l'idea di Contratto politico o Di federazione che rendendo i
cittadini ed i popoli sovrani e indipendenti si dimostra assai più coerente con le
leggi della natura. Lo scontro fra le due forme di governo (accentrato e
federale), a mio avviso è destinato a risolversi nel tempo con la condivisione
planetaria dell'idea che le leggi debbano essere il contenitore di un contratto
politico commutativo fra individui sovrani e fra comunità locali e nazionali
autogovernate con il procedimento della democrazia diretta prevalente su
quella indiretta o rappresentativa.
L'enciclopedia Treccani indica il “Contrattualismo” come “Una concezione
filosofico-politica secondo la quale lo Stato nasce da un contratto tra i singoli
individui. Il c. moderno si afferma nel 17° e 18° sec. per opera della scuola del
diritto naturale. Attraverso il contratto gli individui convengono di uscire dallo
stato di natura - dove sono eguali e liberi, ma privi di garanzie - e di formare
una società civile sottomettendosi volontariamente a un potere sovrano”.
Purtroppo senza precisare a chi debba appartenere il potere sovrano e chi lo
debba esercitare per diritto naturale, si cade continuamente nelle contraddizioni
generate dalla crescita esponenziale della complessità dei sistemi dell'ordine
sociale e nel dispotismo.
2. La spontaneità della legge, ovvero l' Autogoverno dei cittadini.
Come abbiamo visto fra le nozioni di contratto sociale e di contratto politico
c'è la differenza fra l'ipotesi del primo e la realtà del secondo. In pratica questa
differenziazione si basa sulla spontaneità della legge quale sinonimo di
Autogoverno e di cooperazione mutualistica.
163
L'autogoverno è un concetto molto importante (…) In origine esso
voleva semplicemente affermare che il popolo ha il diritto di governare
se stesso, perché composto di cittadini, non di sudditi. Perciò nessuna
oligarchia - non l'aristocrazia tradizionale, non una moderna
nomenklatura - può rivendicare alcuna legittimità. Esiste una sovranità
fondamentale del popolo, e questa è la base della democrazia.265
Per ottenere l'Autogoverno è necessario che il popolo possa esercitare
direttamente le sue scelte politiche, sia scegliendo la forma di governo più
condivisa, sia stabilendo, attraverso la partecipazione alla deliberazione o alla
legittimazione delle leggi il ruolo che il governo deve avere nei confronti di
tutti. In una società di individui liberi ...
… Il processo di formazione del diritto dovrebbe essere riformato in
modo tale da diventare un processo principalmente, se non
esclusivamente, spontaneo, come il commercio, il parlare o l’intrattenere
altre relazioni compatibili o complementari da parte di individui con altri
individui. Si può obiettare che una simile riforma sarebbe equivalente ad
un mondo utopico. Ma tale mondo fu, tutto sommato certamente non
utopico in diversi paesi e in diverse epoche storiche, alcune delle quali
non sono del tutto svanite dalla memoria delle generazioni viventi.
D’altra parte, è senz’altro molto più utopistico continuare a levare
appelli a un mondo ove i vecchi ideali stanno morendo e rimangono solo
vecchie parole, come gusci vuoti, che ognuno può riempire col significato
preferito, a prescindere dall’esito finale.266
Anche Proudhon dopo aver affermato che è necessario distinguere gli
stati sulla base della forma di governo, la identifica come “la
costituzione esterna della potenza sociale e sovranità” e prosegue ...
… A causa di questa costituzione esterna della sua potenza e sovranità, il
popolo non si governa da sé: c’è sempre qualcuno, a volte un solo
individuo a volte molti, a titolo elettivo o ereditario, incaricato di
governarlo, amministrare i suoi affari, trattare e fare compromessi in suo
nome, fungere insomma da capofamiglia, tutore, gerente o mandatario,
munito di procura generale, assoluta ed irrevocabile. (…) Ora è
precisamente questa nozione astratta dell’essere collettivo, della sua vita,
della sua azione, della sua unità, della sua individualità, della sua
personalità – perché, capite, la società è una persona, come è una
persona l’umanità intera; è questa la nozione di essere umano collettivo
come ente di ragione, che noi neghiamo oggi; e perciò neghiamo anche
lo stato, neghiamo il governo, neghiamo (...) qualsiasi costituzione della
265 Ralf Dahrendorf, Dopo la democrazia, Laterza, Bari, 2001, p. 28.
266 B. Leoni (1913-1967), filosofo e giurista italiano, La libertà e la legge, liberilibri, Macerata,
1994, pp. 147-148.
164
potenza popolare che si ponga al di sopra e al di fuori della massa,
assuma essa sembianze di monarchia ereditaria, istituzione feudale o
delegazione democratica. Affermiamo, invece, che il popolo, la società, la
massa, può e deve autogovernarsi, pensare, agire, alzarsi ed arrestarsi
come un uomo, manifestarsi insomma nella sua individualità fisica,
intellettuale e morale senza l’aiuto di quella specie di sostituti che in
passato furono i despoti, adesso sono gli aristocratici, qualche volta sono
stati i pretesi delegati, devoti servitori della folla, e che noi chiamiamo
puramente e semplicemente agitatori del popolo, demagoghi. In due
parole: neghiamo il governo e lo stato perché affermiamo - e questo i
fondatori di Stati non l’hanno mai creduto - la personalità e l’autonomia
delle masse. Inoltre affermiamo ... che le varie forme di stato, dalla
monarchia assoluta fino alla democrazia rappresentativa, sono tutti mezzi
termini, posizioni illogiche ed instabili, che hanno di volta in volta una
funzione transitoria o di tappe verso la libertà, nel senso che formano i
gradi della scala politica attraverso cui le società si elevano di coscienza
e al possesso di se stesse.267
È dunque la diversa scelta della forma di stato o di governo che in definitiva
offre o nega alle masse la possibilità di scegliere il modo attraverso il quale i
governo delibera le leggi e stabilisce le garanzie politiche necessarie ad
assicurare l'unione nella libertà nella diversità e l'equilibrio dell'uguaglianza
con la disuguaglianza necessarie a creare il bene comune?
Ho già accennato ai due principi fondamentali ed antitetici di ogni governo:
Autorità, Libertà. Essendo la società composta da individui, si può concepire il
rapporto dell'individuo col gruppo, dal punto di vista politico, in quattro modi
differenti e ne risultano quattro diverse forme di governo, due per ogni regime:
I.
Regime di Autorità.
A) Governo di tutti da parte di uno: MONARCHIA O PATRIARCATO
a) Governo di tutti da parte di tutti: Comunismo o Panarchia.
Carattere essenziale di questo regime nelle sue due specie è l'INDIVISIONE del potere.
II. Regime di Libertà.
B) Governo di tutti da parte di ognuno: DEMOCRAZIA;
b) Governo di ognuno da parte di ognuno: Anarchia o Autogoverno.
Carattere essenziale di questo regime, nelle due specie, è la DIVISIONE DEL POTERE.
niente di più, niente di meno. Questa classificazione data a priori dalla natura delle
cose e razionalmente deducibile, è matematica.268
L'alternativa federale che Proudhon propone in Del principio federativo alla
scelta fra le quattro forme di stato sopra indicate appare essere radicalmente
nuova. Infatti la presenta come Contratto politico commutativo o di
federazione giustificato dall'idea che il governo della società debba essere
267 P. J. Proudhon, La Voix du Peuple del 3 dicembre 1849.
268 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit. cap. II.
165
caratterizzato dall'equilibrio dell'Autorità con la Libertà mediante un contratto
politico (non solo sociale) votato dai contraenti con procedimento democratico.
Per chiarire l'argomento dell'ordine sociale “contrattuale e commutativo”
riporto di seguito quanto Proudho ha scritto al capitolo VII di Del principio
federativo.
Il contratto, dice l'art. 1101 del Codice civile, è una convenzione per cui
una o più persone si obbligano verso una o più, a fare o a non fare
qualcosa. Art.1102. Esso è sinallagmatico269 o bilaterale quando i
contraenti si obbligano reciprocamente gli uni verso gli altri.
Art. 1103. È unilaterale quando una o più persone sono obbligate verso
una o molte altre senza che da parte di queste ultime ci sia alcun obbligo.
Art. 1104. È commutativo quando ognuna delle parti s'impegna a dare o a
fare una cosa che è considerata come l'equivalente a lui dovuto o di ciò
che si fa per essa. Quando l'equivalente consiste nella possibilità di
guadagno o di perdita per ognuna delle parti in conseguenza di un
avvenimento incerto, il contratto è aleatorio. A queste distinzioni e
definizioni del Codice, relative alle forme ed alle condizioni dei contratti,
ne aggiungerò un'ultima, che riguarda il loro oggetto. Secondo la natura
delle cose di cui si tratta, dello scopo che ci si propone, i contratti sono
domestici, civili, commerciali o politici. È di quest'ultima specie di
contratto, il contratto politico, di cui ci occuperemo ora.
Per facilitare la comprensione dell'idea commutativa del “contratto politico o di
federazione”, confronterò adesso gli elementi principali che concorrono a
formare un contratto commerciale con quelli necessari a formare un contratto
politico commutativo o di federazione.
Fra i molti contratti commerciali che potrei citare, sceglierò il più semplice: la
compravendita di una mela. Ci sono i contraenti (il compratore e il venditore);
le informazioni (la valutazione della mela, ovvero la quantità di denaro o di
altro accettata dalle parti per permettere lo scambio); la volontà ovvero il
desiderio di effettuare il contratto di scambio; la spontaneità (la libera scelta di
acquistare e di vendere); il nesso di reciprocità stabilito sulla base del
vantaggio, dell'utilità e della sicurezza che ognuno dei contraenti intende
ricevere dallo scambio.
Ebbene, agli effetti di ciò che ci interessa sapere l'acquisto di una mela
comporta una netta distinzione degli elementi che lo costituiscono che così
riassumo: il contratto di compravendita è frutto di una convenzione (contratto)
bilaterale (ovvero commutativo), non è aleatoria né può essere imposta a
priori e riserva sempre ai contraenti la parte maggiore della libertà di scelta,
fino al momento in cui il contratto è definito, accettato e lo scambio è
Sinallagmatico è il contratto stipulato sulla base di un “nesso di reciprocità” fra i
contraenti a salvaguardia dei loro interessi e delle loro aspettative di vita.
269
166
avvenuto.
In sostanza gli elementi fondamentali (spontaneità e cooperazione
mutualistica) del contratto di compravendita di un bene (scambio) e quello
politico di federazione si dimostrano coerenti con il nesso di reciprocità che la
natura adotta per organizzare i sistemi delle società animali che crea fin
dall'origine della vita.
3. Aleatorietà e certezza nelle due forme antitetiche di contratto sociale.
Come abbiamo visto in precedenza a proposito dei contratti il nesso di
reciprocità fra gli individui, elemento indispensabile per fare un contratto, può
essere: aleatorio oppure commutativo.
Il primo tipo di contratto prende il nome da alea, rischio e si stipula quando in
conseguenza di un avvenimento incerto il vantaggio sperato o promesso per
ognuna delle parti non è garantito.
L'esempio meno conosciuto di contratto aleatorio in politica è quello della
rappresentanza (delega) fondata sui programmi NON soggetti a vincolo di
mandato.
... Sempre la bandiera della libertà è servita a mascherare il dispotismo;
sempre le classi privilegiate, per proteggere i loro privilegi, si sono
circondate di istituzioni liberali ed egualitarie; sempre i partiti hanno
mentito sui loro programmi e sempre l'indifferenza è succeduta alla
fiducia, la corruzione allo spirito civico, gli Stati si sono disgregati per
lo sviluppo dei concetti e dei programmi sui quali si erano fondati.270
Alla lunga il sistema dell'ordine sociale organizzato sulla base di programmi
aleatori dimostra le caratteristiche di sistema chiuso che non offre ai contraenti
(i cittadini), alcuna garanzia di certezza e possibilità di controllo che le
promesse fatte dai partiti o dai rappresentanti prescelti e votati siano rispettate,
o che la fiducia richiesta se concessa, venga sempre onorata.
Tuttavia, anche concordando con queste conclusioni un attento osservatore
potrebbe sostenere che alle successive elezioni il contratto sociale (consenso o
voto dato per promesse) potrebbe essere fatto con un diverso venditore (un
politico o un partito) che offra maggiori garanzie nel programma.
Ma, mi chiedo, qualunque siano le garanzie offerte non sarebbe più
conveniente per gli individui poter sempre concorrere a determinare
personalmente il modo in cui vengono deliberate le leggi che riguardano tutti,
cedendo ai rappresentanti, in occasione della cerimonia del voto, una quantità
di sovranità e di potere inferiori a quelli che ognuno riserva per sé, in modo da
P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit., cap. VI, Posizione del problema
Principio di soluzione.
270
167
politico.
poterli sempre controllare, o governarsi da sé quando ritenuto necessario?
Ovviamente anche in questo caso sono possibili errori di governo; ma avendo a
disposizione gli strumenti giuridici della democrazia diretta che sono in grado
di equilibrare il potere della democrazia indiretta o rappresentativa (in pratica i
Referendum di iniziativa popolare con carattere deliberativo-legislativo senza
quorum) che prevedono la prevalenza della prima forma di democrazia sulla
seconda, gli errori compiuti dai rappresentanti o dal popolo stesso sarebbero
rapidamente individuati ed eliminati e gli interessi e le aspettative popolari
soddisfatte. La crescita della civiltà e del benessere del popolo è legato
indissolubilmente alla crescita della cultura e all'esercizio della sovranità
popolare. In assenza dello strumento giuridico referendario deliberativolegislativo è infatti dimostrato che chi detiene il potere politico risponde
sempre alla legge del Direttore: un principio ben conosciuto nelle scienze
politiche per il quale la ricchezza di una qualsiasi società è sempre distribuita,
in primo luogo a beneficio delle caste politiche e finanziarie che controllano il
governo.
Si potrebbe anche dire che il compito essenziale di ogni classe politica
sia quello di costruire interessi particolari con interessi generali, di far
digerire interessi generali come interessi particolari.271
Il secondo tipo di Contratto che i cittadini possono scegliere di adottare è
quello politico o di federazione, ovvero un sistema di governo aperto fondato
sul nesso di reciprocità dei rapporti politici (commutatività) che garantisce il
continuo riequilibrio degli elementi che formano il sistema dell'ordine sociale
favorendo la stabilità, la sicurezza, l'efficienza, il risparmio di energia e il
cambiamento nel mutuo interesse.
La stipula di questo contratto dipende sempre dal verificarsi di eventi certi, con
il minimo rischio per i contraenti che gli impegni non vengano onorati e la
massima certezza che lo siano.
Ricordo qui che agli effetti del modo in cui si comportano i sistemi, è
sufficiente che uno soltanto degli elementi o componenti che li formano vada
fuori equilibrio per un tempo più o meno lungo, che il disordine viene esteso
alle altre parti e avvia un processo che porta il sistema al margine del caos o al
collasso. Si pensi per un attimo all'esagerazione della tassazione o
dell'imposizione fiscale (spoliazione), o alla continua crescita della forbice fra
ricchezza e povertà estreme, oppure al potere conferito dallo stato a banche
private di emettere moneta scegliere addebitandone il valore al popolo col
sistema del debito pubblico, alla riserva frazionaria che consente alle banche di
concedere a prestito denaro che non possiedono, oppure al potere assoluto del
parlamento su tutti gli aspetti della vita dei cittadini.
271 G. Miglio, L’interesse generale non esiste, in Elites, n° 4, 2004.
168
Come può l'ordine sociale essere un sistema chiuso alla possibilità di rapido
cambiamento in funzione delle esigenze moderne? Si può forse dire che uno
stato sovrano in cui le leggi sono decise unicamente da centri di potere posti
sopra i cittadini (il parlamento, i consigli degli enti locali, le banche, i
sindacati, la burocrazia, i grandi industriali ecc. ), il contratto politico che lega
il cittadino allo Stato sia “uguale e reciproco” e sia “contenuto entro giusti
limiti” come pretende il federalismo?
A mio parere certamente no! E allora - è la domanda - cosa è necessario fare
per ristabilire il nesso di reciprocità negato dallo stato e produrre il cambiamento della forma di governo preferita dalla maggioranza dei cittadini sovrani?
Ebbene, la Teoria del contratto politico o di federazione prevedendo che
possano essere i cittadini i titolari dell'esercizio della sovranità che permette
agli stessi di deliberare, legittimare e delegittimare le leggi in ultima istanza
secondo la loro convenienza reciproca, può determinare il riequilibrio del
sistema dell'ordine politico impedendo gli abusi e gli arbitri che si generano col
sistema della delega in bianco data dagli elettori ai rappresentanti dei partiti.
4. Una scelta necessaria per il futuro.
Credo che non sia possibile immaginare quando si arresterà la crescita
esponenziale della complessità legata allo sviluppo della scienza e della
tecnologia che fanno passi da gigante in tempi brevissimi. Come si porranno
nel futuro gli individui e le comunità davanti a questo immenso problema?
I cittadini sono consapevoli delle diverse forme di governo? È tollerabile che in
nome dell'assoluto dell'unità nazionale si rischi uno scontro violento fra i
popoli che rivendicano la propria indipendenza politica nei confronti dello stato
centralista, senza avere la possibilità di tentare la via della federazione che
unisce gli individui ed i popoli garantendo a ognuno la libertà nella diversità,
ma lasciando ognuno padrone a casa propria per tutto ciò che non è
politicamente, mutualmente e contrattualmente condiviso?
Da parte mia posso solo sperare che i media italiani pongano maggiore
attenzione alle brevi considerazioni qui esposte, magari contribuendo a
migliorarle o almeno ad aprire un dibattito sulla loro sostenibilità e vantaggio o
insostenibilità e svantaggio in rapporto all'esistente e al bene comune.
E' mai possibile continuare a parlare di politica e di economia senza avere la
minima idea su quanto ha osservato un grande studioso delle istituzioni federali
a livello mondiale, Daniel Elazar, per il quale:
La sovranità nelle repubbliche federali viene invariabilmente attribuita
al popolo, che delega i propri poteri ai diversi governi o che si accorda
per esercitare direttamente quei poteri come se fosse esso stesso il
governo (come accade nei cantoni svizzeri tradizionali). Il popolo
169
sovrano può delegare e dividere i poteri come meglio crede ma la
sovranità rimane una sua proprietà inalienabile . … Nessun governo (o,
per estensione, nessuna carica) può ritenersi sovrano e quindi credere di
avere poteri illimitati, residuali o ultimi. 272
La parola stato non è indicata nella citazione; Elazar parla di “governo” e di
“sovranità del popolo”. Infatti cosa è il federalismo se non governo del popolo
senza stato e la sovranità il diritto naturale di ogni cittadino a partecipare alla
formazione della legge che riguarda tutti?
L'idea che le preferenze dei governati possano manifestarsi normalmente
soltanto per il tramite dei rappresentanti, e che la volontà dei primi
debba prendere necessariamente la forma di un'adesione (consenso) alle
"verità" proposte dai candidati al potere, questa idea sta per uscire dalla
storia. Perché si spezza il legame fra legittimazione del governante e
ricognizione delle opinioni dei governati.273La richiesta così frequente in
questi anni di maggiore democrazia si esprime nella richiesta che la
democrazia rappresentativa venga affiancata o addirittura sostituita
dalla democrazia diretta. … gli istituti di democrazia diretta nel senso
proprio della parola sono due: l'assemblea dei cittadini deliberanti senza
intermediari ed il referendum.274
I concetti delle due citazioni precedenti riassumono magnificamente il
significato profondo della vera democrazia possibile col federalismo.
Riporto di seguito alcune citazioni di autori purtroppo poco conosciuti, o
pochissimo ricordati dai media in Italia, sul tema del contratto nell'ordine
sociale in generale e del contratto politico in particolare.
… Il requisito della reciprocità è il fulcro delle teorie etiche fondate sul
contratto. Per il contrattualismo le norme morali sono le norme cui
individui razionali ed egoisti converrebbero di ubbidire a condizione che
anche gli altri si impegnassero a farlo. 275
La microstruttura dell’organizzazione sociale umana si basa su
perfezionate mutue valutazioni che conducono alla stipulazione di
contratti.276
Il contratto - in quanto presume mutuo beneficio - è il solo terreno sicuro
272 D. Elazar (1934-1999), professore universitario e presidente del Jerusalem Center for Public
Affairs, Idee e forme del federalismo, trad. M. Bassani, Edizioni di Comunità, Milano, 1995, p.
90.
273 G. Miglio, Il nerbo e le briglie del potere, Ed. Il Sole 24 Ore, Milano, p. 286
274 N. Bobbio ( 1909-2004) filosofo politico, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984, p. 33.
275 J. Rachels, Creati dagli animali, cit, p. 223.
276 E. O. Wilson, Sociobiologia: la nuova sintesi, cit., p. 280.
170
sul quale gli uomini possono rischiare le loro vite ... .277
… dato che in altri termini il regime liberale, o contrattuale, prevale di
giorno in giorno sul regime autoritario, è all'idea di contratto che noi
dobbiamo legarci come all'idea dominante della politica.278
L'azione di due o più persone che si trasferiscono reciprocamente i loro
diritti si chiama contratto.279
Ciò che costituisce l'essenza ed il carattere del contratto politico … , è
che in questo sistema i contraenti, i capi di famiglia, comuni, cantoni,
province o Stati, non solo si obbligano bilateralmente e commutativamente gli uni verso gli altri, ma si riservano individualmente, nel dar
vita al patto, più diritti, libertà e proprietà, di quanta ne cedano.280
La perfezione del contratto sociale ha spezzato gli antichi vincoli, tipici
dei vertebrati, imposti dalla rigida selezione di parentela, mediante la
convenzione del contraccambio, unitamente al linguaggio flessibile
infinitamente produttivo, e un’attitudine alla classificazione verbale, gli
esseri umani stipulano accordi duraturi, sui quali possono essere
costruite le culture e le civiltà.281
Ciò che dobbiamo osservare è che l'individuo ha degli obblighi verso il
gruppo, come il gruppo ha degli obblighi nei confronti dell'individuo:
questo è un equo contratto. Potremmo procedere ad esplorare questi
obblighi nella loro interezza, ma prima dobbiamo riconoscere un
paradosso. Al cuore del vero contratto c'è l'individuo che, per esistere,
ha bisogno dell'ordine del gruppo.282
La storia e la logica, la teoria e la pratica, ci hanno condotti, attraverso
i travagli della libertà e del potere, all'idea di un contratto politico.
Applicando subito questa idea e cercando di rendercene conto, abbiamo
riconosciuto che il contratto sociale per eccellenza è il contratto di
federazione, che abbiamo definito in questi termini: un contratto
sinallagmatico e commutativo, stipulato per uno o più oggetti
determinati, ma la cui condizione essenziale è che i contraenti si
riservino sempre una parte di sovranità e di azione superiore a quella a
cui rinunciano.283 De cive
Se chi è arrivato fin qui è convinto dei vantaggi che si possano ricevere
Roger D. Masters, La natura della politica, Yale University Press, New Haven and London,
1989, p. 175.
278 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cap. VII, Sviluppo dell'idea di federazione, p. 101.
279 T. Hobbes, De cive, Editori Riuniti, Roma, 2001, p. 93.
280 P. J. Proudhon, Del principio federativo. p. 104
281 E. O. Wilson, Sulla natura umana, cit., p. 110.
282 R. Ardrey, (1908-1980) Zoologo e antropologo americano, The social contract, p. 101. Il
libro è stato pubblicato da Fontana/Collins, Suffolk (G.B), 1977.
283 P. J. Proudhon, Del Principio federativo, cap. VIII, Costituzione progressiva.
277
171
adottando la forma di governo federale ed è interessato a far conoscere le
ragioni che hanno portato l'Umanità all'attuale grado di complessità, di
contraddizioni, di ingiustizia, di disuguaglianza, di violazione dei diritti naturali
degli individui e dei popoli e di inutile violenza e guerra, dovrebbe cercare di
diffondere ciò che di meglio crede di dover condividere di quanto ho riportato
sul contratto politico commutativo o di federazione.
5. L'era delle federazioni
Nell'attuale situazione della politica a livello mondiale, dovrebbe essere
abbastanza facile renderci conto che il modello di contrattualità politica
commutativa dell'ordine sociale si contrappone frontalmente allo ius publicum
aeuropaeum dell’Europa statalista e centralista in mano ai grandi gruppi di
potere finanziario (banche), politico (partiti), economico (grandi gruppi
industriali) e burocratico.
Ecco la radice del neofederalismo: La sua vittoria è la vittoria del
contratto sul patto politico, sullo ius publicum aeuropaeum dell’Europa
statalista.284
Posta la discussione del cambiamento della forma di governo in questi termini,
lo stato diventa una questione accidentale, temporanea dell'ordine sociale,
destinato a dissolversi per permettere l'avvento del governo federale come base
delle future società politiche. Sarà forse così che si aprirà l'era delle
federazioni auspicata con queste parole da P. J Proudhon in del Principio
federativo?
... l'era attica, disonorata per l'orgia imperiale, è caduta nell'oblio; essa
è stata completamente cancellata dall'era cristiana, che servì a segnare,
in un modo altrettanto grandioso, morale e popolare, lo stesso
rinnovamento. Non sarà diversamente per l'era detta costituzionale: essa
sparirà a sua volta davanti all'era federativa e sociale, la cui idea
profonda e popolare deve abrogare l'idea borghese e moderatrice del
1814.
A mio parere, infatti, la ricerca di un nuovo modello di organizzazione
dell'ordine sociale rispetto al passato che sia più coerente con le leggi
conosciute della natura, indica l'inevitabilità dell'Era delle federazioni su scala
planetaria. Credo che la ragione di ciò sia dovuta alla seguente osservazione di
Proudhon in Del Principio federativo al cui pensiero ho cercato costantemente
di riferirmi scrivendo questo libro:
284
G. Miglio, intervista rilasciata alla rivista Limes, settembre 1993.
172
Prima di dire cosa s'intende per federazione conviene ricordare, …
l'origine e la filiazione dell'idea. La teoria del sistema federativo è del
tutto nuova: credo di poter dire che non è ancora stata formulata da
nessuno.285
Non è stata formulata da nessuno - oso dire - perché al suo tempo nessuno
possedeva sia l'attuale esperienza delle immense tragedie prodotte dagli stati
sovrani accentrati con gli orrori delle guerre del ventesimo e ventunesimo
secolo sia le attuali conoscenze fisiche, chimiche, tecnologiche, etologiche,
biologiche e neurobiologiche che ci consentono oggi di osservare l'intero
Universo come una vera e propria rete di sistemi naturali connessi e federati
sulla base delle leggi che gli stessi producono spontaneamente.
Da parte mia credo che per essere diffusa in modo semplice e comprensibile a
tutti questa idea dovrebbe essere ridotta ad un unico concetto in modo che
ognuno possa facilmente comprenderne la potenza ideale, scientifica e la forza
di rinnovamento politico e della sua utilizzazione pratica.
A volte, infatti, un concetto ridotto alla sua estrema semplicità permette alle
intelligenze comuni di cogliere la verità di una breve formula, in apparenza
astratta, in modo più chiaro e concreto rispetto alla pesantezza di un volume di
dissertazioni e di narrazioni di fatti. So bene che non è semplice superare le
diversità, conciliare le differenze, garantire la libertà, assicurare agli individui e
ai popoli la pace interna ed esterna e il benessere.
Tuttavia proprio in questo, per me, risiede la morale della natura che tende
all'espansione della vita e al divenire dell'intelligenza, della coscienza e della
civiltà per mezzo dell'unione degli individui e dei popoli nella diversità e nella
libertà, verso una meta sconosciuta e imprevedibile, ma certa.
Credo fortemente che la creazione di un ambiente sociale e politico coerente
con questo spirito potrebbe permetterci di organizzare nel tempo strutture di
governo MINIME predisposte all'autogoverno e alla federazione per garantire il
rispetto dei diritti naturali, la pace, la libertà e una certa eguaglianza.
Non so quanto tempo occorrerà perché i mezzi di comunicazione di massa si
occupino del federalismo in modo serio, smettendola di farlo conoscere
attraverso l'ipocrisia del federalismo fiscale che mette il carro (il fisco) avanti ai
buoi (la forma di governo federale) o del decentramento confuso con la
decentralizzazione e altre amenità infantili e grottesche, come il federalismo
calato dall'alto oppure quello regionale.
Di sicuro è una grande illusione pensare che il federalismo come forma di
governo si possa affermare su tutta la Terra in tempi brevi.
Tuttavia non dovrebbe interessare se questo avverrà fra dieci, cento o mille
anni, perché la natura non offre alternative possibili alla scelta fra progresso dei
sistemi sociali naturali da un lato e loro degenerazione e fallimento dall'altro.
285
P.J. Proudhon, Del principio federativo, cit. cap. 1, p. 57.
173
È probabile che nel futuro molti si riconosceranno nelle parole di Daniel J.
Elazar considerato tra i massimi esperti mondiali della materia, che ha scritto:
Dato che il federalismo si basa sul concetto di patto, la sua importanza è
affine da un lato al concetto di “legge di natura” nella definizione della
giustizia e dall'altro quella di “diritto naturale” come fondamento delle
origini e della giusta considerazione della società politica .286
Per questa ragione molto probabilmente non dovremo aspettare migliaia di anni
per veder realizzato il sistema federale planetario a partire dalle prime unità
federate, anche se non saranno immediatamente omogenee. Di certo c'è solo
che io non vedrò neppure l'avvio di questo straordinario processo.
Tuttavia credo che per avviare l'era delle federazioni basterebbe la volontà e la
determinazione di alcune migliaia di individui capaci di ignorare la civiltà
costruita sulla base delle idee artificiali di potere, di dominio, di spoliazione e
di onnipotenza, disposti ad affidarsi all'innata socialità e alla cooperazione
spontanea e mutualistica alle quali il federalismo si richiama.
... tutto annuncia che i tempi sono cambiati e che, dopo la rivoluzione
delle idee, deve arrivare, come conseguenza legittima, la rivoluzione
degli interessi. Il ventesimo secolo aprirà l'era delle federazioni, oppure
l'umanità ricomincerà un purgatorio di mille anni. Il vero problema da
risolvere, in realtà, non è il problema politico, è il problema
economico. ... Dico semplicemente che il governo federale, dopo aver
riformato l'ordine politico, deve affrontare per complemento necessario
una serie di riforme che agiscano nell'ordine economico. 287Per questa
ragione molto probabilmente non dovremo aspettare migliaia di
anni per vedere realizzato il sistema federale planetario a partire
dalle prime unità federate, anche se non saranno immediatamente
omogenee.
A questo punto sarebbe necessario trovare gli enzimi culturali ed i mezzi
finanziari in grado di costituire, organizzare e moltiplicare la nascita e la
diffusione di piccole Comunità autogovernate per aprire l'Era delle federazioni
immaginata da Proudhon e avviare la conquista sociale della Terra da parte di
uomini liberi e responsabili davanti alla vita delle future generazioni. Questo
forse permetterebbe di riconoscersi in ognuno e in ogni cosa nell'uguaglianza e
nella diversità, che sono aspetti del divenire del GRANDE SCONOSCIUTO di cui
tutto è manifestazione.
286 D. J. Elazar, Idee e forme del federalismo, cit., p. 3.
287 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cap. XI. cit.
174
Capitolo XIII
Un confronto fra stato accentrato e governo federale
1. Stato accentrato italiano e governo federale svizzero e californiano; sistemi a
confronto.
In Il principe Niccolò Machiavelli, a proposito dell'introduzione di nuovi
ordini (un nuovo sistema di governo) riporta che …
Lo introduttore (di nuovi ordini. n.d.a.) ha per nimici tutti quelli che
degli ordini vecchi fa ben (traggono vantaggio, n.d.a.) e ha per defensori
tutti quelli che degli ordini nuovi farebbero bene. La quale timidezza
nasce, parte per paura degli avversari che hanno le leggi dal canto loro,
parte dall'incredulità degli uomini, i quali non credano in verità le cose
nuove, se non ne veggano nata una ferma esperienza".288
Ovvero: un nuovo sistema politico ha per nemici la paura e l'incredulità degli
uomini che non si fidano di cose nuove, se non hanno esempi concreti ai quali
riferirle. Questa osservazione mi ha indotto a citare due articoli di stampa
degni di considerazione nel panorama culturale italiano. I due articoli
permetteranno a chi lo desidera di conoscere alcune delle principali
caratteristiche e differenze pratiche fra il sistema dello stato sovrano accentrato
(l'Italia) e il sistema di governo federale (la Svizzera) e quello della California.
Di seguito gli articoli di Guglielmo Piombini, giovane studioso toscano
giornalista del Movimento libertario e del giornalista Alberto Pasolini Zanelli
pubblicato su Il Sole 24 Ore.
___________________________
Guglielmo Piombini
Tasse, lavoro, sanità, pensioni: tra Svizzera e Italia c’è l’abisso
Pubblicato su: Libreria del Ponte, Bologna, 11 Marzo 2014.
Se è vero, come sostiene la vulgata prevalente, che la crisi attuale è stata
provocata dalla finanza senza regole e dagli eccessi del capitalismo, allora i
paesi europei economicamente più liberi dovrebbero trovarsi nelle condizioni
peggiori. Possiamo verificare questa tesi confrontando la situazione economica
288 N. Machiavelli, Il Principe, cit., p. 36.
175
di due paesi confinanti abitati da popolazioni parzialmente simili, l’Italia e la
Svizzera. Quest’ultima, grazie alla sua forma federale, ha sempre avuto un
settore pubblico più leggero di quello dell’Italia, ma negli ultimi anni le
differenze tra i due paesi si sono enormemente allargate.
Nella classifica mondiale della libertà economica 2014, curata annualmente
dall’Heritage Foundation e dal Wall Street Journal, il sistema economico
svizzero risulta il quarto più libero del mondo (dopo Hong Kong, Singapore e
l’Australia), mentre quello italiano si trova all’86esimo posto. Ancora meglio fa
la Svizzera nell’indice mondiale della competitività, piazzandosi al primo posto
su 148 economie mondiali, mentre l’Italia si trova al 49esimo posto.
La Svizzera è particolarmente competitiva proprio in quel settore finanziario
demonizzato dagli avversari del libero mercato. Non esiste infatti un paese in
cui il settore finanziario rappresenti una quota così importante del PIL come la
Svizzera (il 13 % contro il 4 % della Francia o della Germania). Nonostante
questa maggiore esposizione ai rischi, la piazza finanziaria elvetica si è
dimostrata solida, e durante la crisi ha beneficiato di aiuti statali in misura
nettamente minore rispetto a quanto avvenuto in altri Paesi.
La recessione che ha colpito l’Europa sembra infatti aver risparmiato la
Svizzera, che pur trovandosi incastonata nel cuore del vecchio continente, ha
continuato a creare business ad un ritmo costante. Secondo uno studio della
rete globale di revisione RSM, tra il 2007 e il 2011 il numero di aziende in
Svizzera è aumentato da 499.000 a 648.000, uno dei tassi più alti nell’area
Ocse: +149.000 unità, pari ad un tasso di crescita medio annuo del 6,8%. Nel
2013 il pil della Svizzera è aumentato del 2%, mentre l’Italia ha chiuso il 2013
con un calo del pil dell’1,9 % e un calo della produzione industriale del 3,8%.
Per quanto riguarda gli altri indicatori, secondo in Svizzera nel 2013 il reddito
pro-capite a parità di potere d’acquisto è stato di 46.475 dollari contro i 30.094
dollari dell’Italia; l’inflazione su base annua è stata dello 0,2 % contro l’l,3 %
dell’Italia; l’incidenza della spesa pubblica sul pil è circa il 33 % contro il 50 %
dell’Italia; il debito pubblico è in Svizzera il 36,4 % del Pil contro il 132,6 %
dell’Italia; il tasso di disoccupazione in Svizzera nel 2013 è stato del 3,3 %,
mentre in Italia nel gennaio 2014 ha fatto un nuovo balzo al 12,9 %;
particolarmente eclatante è il dato sulla disoccupazione dei giovani tra i 15 e i
24 anni, che in Svizzera è solo del 3,6 % contro il 40 % dell’Italia! (Il Mondo
9/9/2013. Come ha fatto la Svizzera a realizzare queste straordinarie
performance economiche? La verità è che la Confederazione Elvetica
rappresenta un vero e proprio paradiso liberale, se paragonata all’Italia.
La tassazione
Benvenuti nel Paese con le tasse più basse d’Europa, titolava un recente
articolo uscito su Il Sole 24 Ore. La leggerezza del fisco elvetico è favorita
176
dalla concorrenza fiscale che si fanno i 26 cantoni per attrarre imprese e
investimenti. Il fisco svizzero agisce infatti su tre livelli: federale, cantonale e
comunale. L’imposta federale incide sul 7,83 % degli utili, quella cantonale
varia dal 4,4 al 19 %, quella comunale dal 4 al 16 %. In media quindi sulle
aziende l’erario esercita una pressione che varia tra il 16 e il 25 %, sulle
persone fisiche dal 5 al 20 %.
L’IVA è la più bassa d’Europa, all’8 % (contro il 22 % dell’Italia!), ma sui beni
di consumo è al 2,5 %, mentre l’istruzione e le cure mediche sono esenti. Non
ci sono imposte sulle successioni per i discendenti diretti. Alcuni Cantoni
garantiscono delle esenzioni fiscali per certi periodi o per certe attività, ed è
possibile stringere accordi con l’erario sulle tasse da pagare per gli anni
successivi.
Una notevole differenza con l’Italia riguarda il famigerato cuneo fiscale. Il
datore di lavoro italiano farà un salto sulla sedia quando scoprirà quanto
pagano in tasse i colleghi della Svizzera sugli stipendi dei dipendenti. «Per
1000 euro di salario il datore di lavoro in Italia deve spenderne altri 1300, qui
appena 200», spiega GianLa sanitàluca Marano, quarantenne di Milano che nel
2008 ha aperto a Chiasso una società di consulenza per gli imprenditori e i
privati che vogliono aprire un’attività oltre il confine. Nel complesso il carico
fiscale complessivo delle aziende (total tax rate) in Svizzera raggiunge al
massimo il 28,7% del reddito d’impresa, contro l’incredibile 67,7 % dell’Italia,
secondo i dati della Banca Mondiale.
Non c’è quindi da meravigliarsi se negli ultimi anni centinaia di imprese
italiane si sono trasferite nel Canton Ticino. All’ingresso di Chiasso c’è un
cartello che dice Benvenuta impresa nella città di Chiasso. Uno dei tanti
imprenditori italiani in trasferta ha commentato: «Quando arriva un
imprenditore in Svizzera lo accolgono le autorità. In Italia gli mandano la
guardia di finanza». Nel complesso sono 558.000 gli italiani che risiedono in
Svizzera, su una popolazione di 8 milioni di abitanti, ai quali si devono
aggiungere i quasi 60.000 frontalieri che passano quotidianamente il confine
per lavoro, aumentati del 75 % dal 2002 a oggi.
Di recente l’Ufficio Federale di Statistica ha svolto un’approfondita indagine
sugli stipendi svizzeri. I risultati confermano che in Svizzera si guadagna
mediamente il doppio o il triplo rispetto ai paesi confinanti: nel biennio 20072008 il salario medio era infatti equivalente a circa 3000 euro mensili al netto
delle imposte. È vero che il costo della vita è mediamente più alto che negli
altri paesi europei. Il costo della vita è mediamente più alto che negli altri paese
europei, tuttavia, rileva l’indagine, «in nessun caso è doppio o triplo. Per fare
un raffronto affidabile con gli altri paesi basti pensare che i costi tra
assicurazioni e imposte varie rappresentano in media circa il 30%-35% del
budget totale di una persona, il resto serve per vivere».
177
Le pensioni
Probabilmente non esiste al mondo un sistema pensionistico più ingiusto,
rovinoso e finanziariamente insostenibile di quello italiano. L’Inps si fonda su
un meccanismo diabolico che taglieggia i lavoratori privati per concedere
spropositati privilegi pensionistici alle categorie statali privilegiate. La moria
delle aziende è spesso dovuta all’impossibilità di far fronte a un carico
previdenziale completamente slegato dagli utili prodotti, e la maggior parte
delle cartelle esattoriali sono costituite da contributi previdenziali non pagati.
In Italia l’esosa contribuzione previdenziale obbligatoria a carico degli artigiani
e dei commercianti, per non parlare di quella degli iscritti alla gestione separata
(prevista al 33% per il 2014), è la principale causa di dissuasione dall’iniziare
una nuova attività economica.
Il problema è che i lavoratori privati perdono la proprietà dei risparmi che
versano all’Inps, mentre la classe politico-burocratica riesce facilmente a
dirottarli verso le proprie tasche per mezzo di leggi, leggine e sentenze
amministrative. In sostanza, coloro che pagano i contributi e sostengono
l’intero sistema, i lavoratori autonomi e dipendenti del settore privato, ricevono
una pensione che rappresenta una frazione minuscola di quanto hanno
effettivamente versato; d’altro canto, alcune categorie statali che non hanno
mai versato contributi o che li versano solo in maniera figurativa, come i
politici, i magistrati, i militari e i dipendenti pubblici in genere, si sono garantiti
elevati trattamenti previdenziali, vitalizi, pensioni d’oro, doppie, triple e baby.
Questi sperperi e queste palesi ingiustizie non possono esistere nel sistema
pensionistico svizzero, che si fonda su tre pilastri. Il primo è quello della
pensione pubblica, che richiede contributi obbligatori piuttosto limitati (il 4,2
% del reddito per il datore di lavoro e per il dipendente) e garantisce solo il
minimo fabbisogno vitale al momento della pensione. La pensione pubblica è
infatti quasi uguale per tutti: la minima è di 1105 franchi al mese (poco più di
900 euro al cambio attuale), la massima è il doppio (2210 franchi, cioè 1813
euro). Sul piano dell’equità non ci sono quindi paragoni con la distanza siderale
che in Italia separa il trattamento pensionistico di un pensionato sociale (500
euro al mese) da quello di un membro della casta politico-burocratica (fino a
90.000 euro al mese, talvolta a partire dalla mezza età). Il secondo pilastro
pensionistico svizzero è quello della previdenza professionale, che a differenza
della pensione pubblica non è a ripartizione ma a capitalizzazione (si riceve
cioè l’investimento accumulato). I contributi per la previdenza professionale
sono in pratica obbligatori solo per i lavoratori dipendenti che percepiscono un
salario superiore a 20.000 franchi e inferiore a 82.000. Per tutte le altre
categorie, come quelle dei lavoratori autonomi, questo tipo di assicurazione
pensionistica è solo facoltativo. Infine, il terzo pilastro pensionistico svizzero è
quello della pensione integrativa privata, che serve a colmare eventuali lacune;
178
è facoltativa ma viene favorita con delle agevolazioni fiscali. Nel 2014 il
sistema pensionistico svizzero è stato giudicato dal Global Retirement Index,
un indice che valuta 150 sistemi pensionistici internazionali, il migliore del
mondo quanto a capacità di garantire la sicurezza finanziaria agli ex lavoratori.
Fare ulteriori confronti con il sistema pensionistico pubblico italiano, ricolmo
di disparità e privilegi, e destinato alla bancarotta a causa dei suoi colossali
deficit, sarebbe blasfemo.
La sanità
Se il sistema sanitario italiano è ben conosciuto per i suoi enormi sperperi, la
corruzione, gli ospedali fatiscenti e le liste d’attesa interminabili, niente di tutto
questo si verifica nel sistema sanitario svizzero, che è interamente privato e
gestito dalle assicurazioni. Il paziente paga mensilmente un’assicurazione
obbligatoria di circa 300 euro al mese, cifra nient’affatto elevata se si tiene
conto che in Svizzera gli stipendi sono mediamente molto più alti che in Italia e
le tasse molto più basse. Nessuno resta fuori perché una società di
“compensazione sociale” provvede a coprire le spese di chi non può sostenerle.
Il sistema svizzero è attentissimo ad evitare gli sprechi e per questa ragione è
molto raro, ad esempio, che un medico prescriva antibiotici.
L’assicurazione sanitaria privata comunque garantisce tutto, compreso il
ricovero in ospedale in stanza singola o con al massimo tre persone. Anche se
si stenta a crederlo, quando un paziente entra in ospedale per operarsi viene
accolto da un infermiere che, catalogo alla mano, gli chiede di scegliere quale
stampa preferisce avere sul muro (Picasso, Van Gogh, ecc.). Poi viene
organizzato una specie di seminario personale dove i medici spiegano al
paziente tutti i dettagli dell’intervento. Il paziente può scegliere di essere
operato dal primario oppure dall’assistente. Nel primo caso paga un surplus,
ma se quel giorno non c’è e opera un assistente (comunque sempre un medico
d’eccellenza) il supplemento viene immediatamente restituito con tante scuse.
Infine, l’assicurazione sanitaria spesso riduce il premio da pagare a coloro che
svolgono attività salutari, come frequentare la palestra, la piscina o la sauna.
Chi è più in forma, quindi, paga meno per la sanità!
Il mercato del lavoro
In Svizzera il mercato del lavoro, anche sotto il profilo dei licenziamenti, è
molto liberale. Solo in caso di malattia, incidente o gravidanza i lavoratori
godono di una protezione contro il licenziamento temporalmente limitata. Di
regola i lavoratori e i datori di lavoro sono liberi di licenziarsi o licenziare nei
termini concordati nel contratto di lavoro, o in mancanza semplicemente
rispettando i termini di disdetta previsti dal codice delle obbligazioni. Questa
179
grande flessibilità in entrata, ricorda Paolo Malberti sul Corriere della Sera, fa
sì che «ogni giorno come apri il giornale sei subissato di annunci. Se non ti
trovi più bene dove stai, fai qualche colloquio e cambi ditta. E con l’occasione
puoi anche toglierti la soddisfazione di mandare il capetto che te li ha rotti a
quel paese».
In ogni caso per chi rimane senza lavoro non ci sono sussidi pubblici o casse
integrazioni come in Italia, che favoriscono senza ragione i dipendenti delle
grandi aziende rispetto a tutti gli altri. C’è invece un’assicurazione privata che
copre il rischio di rimanere disoccupati, usufruibile da chi ha lavorato come
dipendente in Svizzera per più di 12 mesi negli ultimi due anni. Questa
assicurazione contro la disoccupazione viene pagata con dei contributi pari al 2
% dello stipendio, per metà a carico del datore di lavoro e per metà a carico del
lavoratore. Il bello del mercato del lavoro svizzero è che le regole del settore
privato non sono molto diverse da quelle che valgono per il settore pubblico,
comprese quelle sui licenziamenti: ecco forse spiegata la ragione principale
della sorprendente efficienza della burocrazia svizzera. Tanto per fare un paio
di esempi, ci vogliono solo due settimane per la registrazione al Registro del
Commercio e un solo giorno per immatricolare un veicolo. In Svizzera, infatti,
non esiste come in Italia il posto fisso a vita per il dipendente pubblico che, in
spregio a ogni sbandierato principio costituzionale di uguaglianza, crea una
società divisa in due caste: i cittadini di serie A (gli statali ipertutelati
qualunque cosa accada) e i cittadini di serie B (i lavoratori privati assoggettati
alle incertezze dell’economia).
Negli ultimi decenni si è imposta infatti nella maggioranza dei cantoni e dei
comuni svizzeri la tendenza ad equiparare le condizioni di impiego degli
impiegati pubblici a quelle vigenti nell’economia privata. La Confederazione
ha seguito questa evoluzione con la nuova legge sul personale federale del
2002 che ha abolito lo statuto di funzionario autorizzando così i licenziamenti.
Dal 1° luglio 2013 è entrata in vigore un’ulteriore revisione legislativa che ha
reso ancor più flessibile il rapporto di pubblico impiego. In Svizzera comunque
i dipendenti statali sono molto meno numerosi che in Italia: solo 1 su 47
abitanti, mentre in Italia sono 1 su 18 (1 su 23 in Lombardia). In particolare i
dipendenti federali in Svizzera sono circa 35.000, cioè uno ogni 200 abitanti:
un rapporto che esprime senza bisogno di troppe spiegazioni la leggerezza del
governo centrale nella confederazione elvetica. In sostanza la probabilità di
imbattersi in un dipendente pubblico svizzero è del 60 % inferiore rispetto alla
probabilità di imbattersi in un dipendente pubblico italiano.
Quando le strade hanno cominciato a divergere?
Perché l’Italia è uno Stato fallito sull’orlo del crack, mentre la Svizzera è un
successo planetario? Se guardiamo alla storia, ci accorgiamo che le strade prese
180
dai due paesi hanno cominciato a divergere proprio negli anni dell’unità
d’Italia. In Svizzera le ultime turbolenze si ebbero nel 1848, nella “guerra
civile” del Sonderbund tra cantoni cattolici e cantoni protestanti. Si trattò in
realtà di uno scontro incruento, nel quale morirono meno di cento persone e che
durò solo 26 giorni. Alla fine venne adottata una nuova costituzione, dopodiché
la Svizzera imboccò definitivamente la via della saggezza, della neutralità, del
federalismo e della riduzione ai minimi termini del governo centrale. Anche gli
italiani avrebbero potuto seguire la sorte felice degli svizzeri, se ai tempi del
Risorgimento fossero prevalse le idee di Carlo Cattaneo e di coloro che
proponevano un assetto confederale per l’Italia. Gli avvenimenti presero
purtroppo una piega opposta.
Un’interminabile serie di sciagure si sono infatti abbattute sugli italiani da
quando la penisola è stata forzosamente unificata per via militare dai Savoia.
Fin da subito le popolazioni del sud dell’Italia non accettarono la conquista dei
piemontesi, che avevano inasprito fortemente la tassazione e introdotto la
coscrizione obbligatoria, e si rivoltarono in massa. Questa guerra civile durò
una decina d’anni e, malgrado venga minimizzata ancora oggi nei libri di testo
come “lotta al brigantaggio”, fu in verità il conflitto più cruento che si ebbe in
Europa nel periodo compreso tra le guerre napoleoniche e la prima guerra
mondiale. L’esercito piemontese represse la rivolta con lo stato d’assedio, i
campi di concentramento e la tattica della terra bruciata. Quante furono di
preciso le vittime tra la popolazione meridionale non si saprà mai, ma le stime
degli storici vanno dalle centomila (secondo Giordano Bruno Guerri) al milione
(secondo La Civiltà cattolica). Il 1874 può essere considerato l’anno simbolo
della distanza ormai abissale che separava la Svizzera dall’Italia unita. Una
modifica della costituzione elvetica attribuì infatti ai cittadini quel potere
referendario di confermare, abrogare o proporre nuove leggi, che ancora oggi
rende la Svizzera famosa nel mondo. In quegli stessi anni in Italia si era
conclusa da poco la feroce repressione al sud, e il Regno d’Italia era diventato
uno degli stati più centralisti e fiscalisti d’Europa. Come ricorda Gilberto
Oneto, tra il 1860 e il 1880 la porzione di reddito nazionale assorbita dalla
tassazione praticamente raddoppiò. Fra il 1865 e il 1871 si ebbe un aumento del
63 % delle imposte sul reddito e del 107% delle imposte sui consumi che
gravavano soprattutto sulle classi popolari, come l’odiata tassa sul macinato
che trasformava i mugnai in esattori, inaugurando la prassi italiana di mettere
cittadini contro altri cittadini. All’inizio degli anni Settanta il ministro delle
finanze Quintino Sella ammise che l’Italia era il paese più tassato al mondo.
Nel 1892 la pressione fiscale raggiunse il 18 % del pil contro il 7 %
dell’Inghilterra e il 10 % della Germania. La tassazione eccessiva provocò la
rovina dell’economia italiana, e con essa un fenomeno sconosciuto prima
dell’unità: l’emigrazione di massa all’estero degli italiani. Tra il 1876 e il 1914
emigrarono 14 milioni di italiani, su una popolazione che nel 1881 era di poco
181
superiore a 29 milioni. All’inizio gli emigranti partirono soprattutto dalle
regioni del nord, in particolare dal Veneto. Il grande esodo meridionale
cominciò con l’adozione delle tariffe protezionistiche del 1887, che colpirono
soprattutto l’agricoltura del sud, gettando nella disperazione milioni di persone
già oberate dalle tasse italiane e dalla pesante novità del servizio di leva, che
distraeva per anni dai lavori nei campi le braccia migliori (G. Oneto, La
questione settentrionale, 2008, p. 152, 154).
Il Regno d’Italia era anche uno Stato militarista e guerrafondaio: sentendosi
grande e forte, si lanciò in una serie continua di guerre che mai i piccoli Stati
preunitari si sarebbero sognati di intraprendere. ... Per gli abitanti della
penisola, comunque, le disgrazie non erano finite. Nel 1915 il governo italiano
non seguì il saggio esempio di neutralità della Svizzera, e si gettò a cuor
leggero nella fornace della prima guerra mondiale. Milioni di coscritti, quasi
tutti poveri contadini, vennero spediti a morire nelle trincee. Quelli che
cercavano di salvarsi la vita disertando o rifiutandosi di avanzare sotto il fuoco
nemico venivano fucilati dai carabinieri che sparavano a vista sui “codardi”, o
dai plotoni d’esecuzione che per punizione decimavano interi reparti. In questa
“inutile strage” il Regno d’Italia sacrificò la vita di quasi settecentomila
italiani, mentre un numero più che doppio di giovani rimasero feriti o mutilati.
Seguirono i vent’anni del fascismo, che dichiarava di voler portare a
compimento la rivoluzione nazionale del Risorgimento, e la catastrofe immane
della seconda guerra mondiale, che lasciò l’Italia completamente distrutta. Nel
1948 l’Italia evitò per un soffio di diventare una dittatura comunista di tipo
staliniano, ma nei vent’anni successivi l’adozione di politiche economiche più
liberali generò il cosiddetto “miracolo economico”. Forse è stato questo l’unico
periodo positivo della storia dell’Italia unita. Nel 1968 si aprì infatti la stagione
degli anni di piombo, del terrorismo e della crisi economica. Chiuso questo
tragico periodo, negli anni Ottanta ebbe inizio l’epoca dell’esplosione della
spesa statale, del debito pubblico, della tassazione e della corruzione, che ci ha
portato alla crisi dei giorni nostri.
Il verdetto della storia sembra chiaro. In 150 anni di vita lo Stato nazionale ha
dato agli italiani soprattutto due cose, morte e tasse. È venuto il momento di
ripudiare questo esperimento fallimentare, questa parentesi sbagliata della
nostra storia, e di rivendicare quella vocazione pluralistica e quelle libertà che
hanno reso grande non solo la Svizzera, ma anche la civiltà italiana nei secoli
passati."
Guglielmo Piombini.
____________________________
182
Alberto Pasolini Zanelli, giornalista de Il Sole 24 Ore:
CALIFORNIA PATRIA DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA. Una lezione da meditare: il
Paese dove i cittadini decidono tutto
Il Parlamento più antico del mondo, è l’Althing di cui restano solo banchi di
pietra nel verde dell'Islanda. Quello che da più tempo funziona risiede, come è
altrettanto noto, a Londra, in un palazzo che originariamente ospitava il potere
rivale, quello regale. Ma quale sia il Parlamento più grande del pianeta è una
scoperta meno divulgata: sta in California e non ha una sede, se non delle
cabine di voto che ogni due anni vengono allestite in decine di migliaia di spazi
qualsiasi. Non è proprio un Parlamento nel senso etimologico del termine,
perché non vi si parla, però vi si compie il gesto decisivo della volontà
popolare in una democrazia: si vota.
Ogni due anni il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre, dai 10 ai 15
mi1ioni di cittadini della California possono diventare deputati o senatori.
Fungono da eletti e non da elettori, sottraggono alle assemblee i poteri
tradizionali. In una parola votano nei referendum, con poteri e latitudine
pressoché senza limiti. Passano leggi, emendano la Costituzione, esprimono
senza intermediari la volontà politica della collettività, mettono in atto quella
alternativa, sempre presente nella storia delle libere istituzioni ma quasi sempre
solo come ipotesi, che è la “democrazia diretta", al posto di quella
rappresentativa. Gli Stati Uniti non sono il solo Paese a conoscerla. I
referendum sono fra gli strumenti della democrazia in molti Paesi del mondo,
ma in genere con molte limitazioni. In Italia, lo sappiamo, possono essere solo
abrogativi, possono disfare leggi ma non farne e soprattutto possono venire
aggirati, inoltre molti argomenti sono tabù per le pratiche referendarie, a
cominciare da quello per cui i parlamentari nacquero, prima ancora della
democrazia moderna, e cioè il controllo delle finanze, delle spese, delle tasse.
Solo la Svizzera si avvicina, in Europa, al modello californiano. Che del resto
non è unico neppure in America: altri 17 Stati dell'Unione possono cambiare la
Costituzione approvando emendamenti per via referendaria e altri 21 (più il
Distretto di Colombia) concedono ai loro cittadini il diritto di iniziativa per fare
leggi e non soltanto per cancellarle. Ma 15 Stati danno agli elettori ambedue
questi poteri: quello legislativo e quello costituente e fra questi la California
non è soltanto di gran lunga il più popoloso ma anche il più attivo, i suoi
abitanti i più entusiasticamente portati a servirsi di questa loro facoltà. Se si
calcola che la California non è solo il principale Stato dell'Unione ma anche,
per popolazione o ricchezza, uno dei più importanti Paesi del mondo, si vede
quanto il suo esempio sia importante e quanto, inoltre, passibile di imitazione,
in California nascono le mode, politiche e no. E la California, neppure questo
va dimenticato, produce le tecnologie d'avanguardia che fra breve potranno
183
cambiare ancora più radicalmente il sistema delle consultazioni popolari,
realizzando il "villaggio globale" e sostituendo quelle cabine con un pulsante
elettronico. Sono prospettive che spaventano i legislatori, i politologi, i filosofi
politici di ogni parte del mondo, inclusa l'America, ma la California non fa
niente per ostacolarle, Le procedure si sono, anzi, semplificate al punto da
risultare incoraggianti. Per portare una proposta di legge davanti a questo
"Parlamento" basta che i promotori raccolgano le firme del 5 per cento degli
aventi diritto al voto. Quest'anno il numero esatto è 433.969. Per un
emendamento alla Costituzione la cifra sale appena un poco: l'8 per cento,
ovvero 539.230.
Non c'è da stupirsi che attraverso queste maglie larghe passino proposte
numerose: in un anno recente si è toccato il record con 29 "iniziative
legislative" stampate l'una dopo l'altra su una sola scheda lunga come un
lenzuolo: né i legislatori di professione hanno il potere di depennare proposte o
impedire alla gente di pronunciarsi in merito. Non ci sono, ripeto, tabù.
I californiani possono andare a votare per diminuirsi le tasse: lo fecero con
un'iniziativa allora rivoluzionaria, nel 1978, quando tagliarono a metà le
imposte sulla proprietà fondiaria, avviando con due anni d'anticipo la
"rivoluzione" reaganiana, che doveva drasticamente diminuire il carico fiscale
su tutti gli americani e lanciare così il boom economico liberista. Nel 1996 fu
approvata, in un altro caso controverso, la proposta di tagliare la spesa pubblica
a favore dei residenti stranieri illegali, e tre anni fa per mettere fuori legge il
sistema delle "quote" con cui il governo dava preferenze alle "minoranze" che
avevano subito discriminazioni, reali o immaginarie.
Non tutte le volte è questa linea a prevalere. Nell'autunno del 1996, per
esempio, furono gli elettori, contro il parere della Camera, a decidere di elevare
il salario minimo per i lavoratori, a proibire agli automobilisti privi di
assicurazione (che negli Stati Uniti non è obbligatoria) di fare cause per danni
in caso di incidenti e per legalizzare, di nuovo contro le direttive di
Washington, l'uso medicinale della marijuana. Sempre con dei referendum, i
californiani hanno scelto di reintrodurre la pena di morte, di stabilire
l'obbligatorietà dell'ergastolo per chi è alla terza condanna penale, di "requisire"
ottanta chilometri di spiaggia del Pacifico per adibirla a uso pubblico, di
"proteggere" gli stanziamenti per le scuole e perfino di decidere in che giorno
cominciare e finire l'ora legale.
Non tutte le decisioni sono indiscutibilmente sagge, si è detto: ma quello che
conta è il metodo. In quel "Parlamento" si portano avanti, inoltre, cause degne,
anche se non vengono fatte leggi al primo tentativo. Il pungolo per le riforme è
rapido e in genere efficace. Per esempio, la spinta dei "referendari" ha indotto il
Congresso di Washington a modificare una regola abnorme, che consentiva in
taluni casi a un magistrato di dichiarare "incostituzionale" una proposta
referendaria. D'ora in poi è necessario il parere concorde di tre giudici. Invece
184
di essere "neutralizzato", dunque, il sistema si consolida. La grande
maggioranza dei cittadini della California è convinta che esso sia "buono e
giusto". La pensano così anche quelli che, spesso, alle proposte referendarie
votano "no"."289
Alberto Paolini Zanelli
_____________________
2) Il modello federale della Svizzera e il modello accentrato semi-fascista e
semi-comunista italiano.
La Svizzera è una Repubblica federale dal 1848. Nel periodo di tempo che va
da questa data al 1891 si avvia all'interno dei Cantoni un processo di pratica
della democrazia diretta che porta alla effettiva produzione legislativa anche
mediante l'iniziativa popolare delle leggi e alla nomina, da parte del popolo, di
tutte le cariche pubbliche, politiche e amministrative.
Accanto al sistema rappresentativo viene così inserito il diritto naturale degli
individui all'esercizio della sovranità politica come fonte di produzione della
legge. Mediante lo strumento giuridico del referendum di iniziativa popolare
senza quorum per la validità del risultato, infatti, il popolo ha il diritto e il
potere costituzionalmente garantito di deliberare, legittimare, abrogare e
modificare le leggi e la stessa Costituzione.
Sulla base di questa scelta è facoltà dei cittadini svizzeri di impedire lo
sviluppo di una casta di burocrati in grado di usare il proprio potere per
influenzare le scelte politiche del popolo sovrano definendo la funzione dei
partiti (I partiti partecipano alla formazione dell’opinione e della volontà
popolari, art. 137, Cost. federale svizzera) per fare in modo che gli aventi
diritto al voto scelgano consapevolmente e responsabilmente a maggioranza le
leggi che ognuno condivide o rifiuta.
Lo stesso principio di democrazia diretta è applicato all'esercito che non è
permanente e formato da militari di professione, ma da cittadini comuni (la
cosiddetta Nazione armata). Oltre a permettere un considerevole risparmio in
termini economici (come per la burocrazia che è di nomina popolare), questo
consente al popolo di impedire che partiti, burocrazia ed esercito diventino
alleati delle classi dirigenti per soffocare le istanze provenienti dai cittadini. 290
Articolo commentato e riportato integralmente dal giornalista Enzo Trentin su L'uomo
Qualunque, settimanale diretto da Lucio Lami, dove ho collaborato a partire dal 1997 e nel 1998
sui temi della democrazia diretta, dell'autogoverno e del federalismo.
290 In proposito vedi: Alberto Castelli, Un modello di repubblica, Giuseppe Rensi, la
politica e la Svizzera, Bruno Mondadori, Milano, 2004, p. 68 e seguenti.
289
185
Diversamente in Italia il parlamento ha adottato …
... la logica del muro contro muro e invece in Svizzera è tutta un’altra
cosa. Lì sì che si lavora insieme, lì sì che il federalismo trova la sua
realizzazione. Già, ce l’abbiamo qui a due passi, la Svizzera con il suo
federalismo più virtuoso, e non sappiamo nemmeno copiarla. Legga qui
come funziona in Svizzera: i quattro partiti che prendono più voti e che
sono diversissimi tra loro si mettono a lavorare insieme per il bene della
collettività. E così che funziona e ha sempre funzionato in Svizzera. È
così che si crea la cultura del rispetto. La Costituzione svizzera non
comincia con l’articolo 1 ma comincia con cinque premesse e la
premessa più interessante e significativa è: noi siamo diversi e vogliamo
lavorare tutti insieme per un obbiettivo comune che è il benessere della
collettività. Invece qui, nella Repubblica sovietica italiana la
Costituzione ci viene a dire che siamo tutti uguali. Non è vero che siamo
tutti uguali. È diverso un cittadino di Milano da uno di Siracusa, è
diverso uno che è di destra da uno di sinistra. Ma la logica vorrebbe che
si lavorasse insieme, che si collaborasse. Le sembra che stia dicendo
un’eresia?291
Il parlamento italiano, diversamente da quanto avviene in Svizzera pur
conoscendo la bontà del sistema federale, con discutibili argomentazioni e
alleanze a partire dall'Assemblea costituente, ha prodotto una Costituzione in
cui norme poco chiare e incomprensibili alla gente comune, lascia spazio a
numerose contraddizioni fra i Principi fondamentali e la Prima e Seconda
parte. In seguito all'entrata in vigore della Carta, infatti, l’attenzione dei politici
e dei partiti venne concentrata sulla contesa elettorale e sull'acquisizione del
consenso. Su questo scoglio erano destinate a naufragare tutte le speranze di un
effettivo distacco dal sistema fascista, da quello comunista e dalla Chiesa, per
far nascere una Repubblica democratica fondata effettivamente sulla sovranità
popolare come recita l'art.1 comma 2 della Costituzione.
Infatti, le forme con le quali (sempre secondo la Costituzione) il popolo
manifesta la propria volontà sono:
a) l’esercizio diretto della sovranità popolare attraverso il referendum
abrogativo (art. 75);
b) l’esercizio quasi diretto costituito dal referendum condizionato sulle leggi di
revisione della Costituzione (art. 138);
c) l’esercizio indiretto della sovranità popolare mediante l’elezione dei membri
del parlamento (art. 56 e seguenti) e in tutti gli altri casi in cui si prescrive
l’elezione di rappresentanti e la nomina degli alti gradi della burocrazia,
dell'esercito e della magistratura da parte degli eletti nelle istituzioni.
Trascurando il fatto che in democrazia l’esercizio diretto di una funzione deve
291
Giancarlo Pagliarini, Il Giornale, intervista di Gabriele Villa, 23 marzo 2015.
186
prevalere sempre su quello indiretto (nel senso che in caso di concorrenza il
primo ha la precedenza sul secondo), deliberando la legge 25 maggio 1970 n°
352 destinata a regolare l’esercizio del referendum e prevista dall’ultimo
comma dell’art. 75 della Costituzione, il parlamento, ormai completamente in
mano ai partiti ha attuato deliberatamente un vero e proprio tradimento della
sovranità popolare: concetto giuridico che sta alla base della democrazia e
della repubblica quali pilastri del federalismo.
Ignorando il fatto che per la Costituzione la sovranità appartiene al popolo
nelle forme e nei limiti ...292, i parlamentari, i magistrati e i giudici della Corte
costituzionale nel silenzio quasi totale della stampa e della televisione, hanno
violato decisamente la gerarchia delle forme della manifestazione,
dell'esercizio e dell'attuazione della volontà popolare (salvo il giorno
dell'elezione dei rappresentanti dei partiti) e hanno subordinato sbrigativamente
il risultato dei referendum (esercizio diretto della sovranità popolare), alle
esigenze di acquisizione del consenso ai partiti e a una legislazione creata ad
hoc per assicurare la continuità storica dell'accentramento dello stato sovrano.
Con il tradimento del referendum da parte della Corte costituzionale la
Costituzione del 1948 ha accomunato il regime fascista e quello comunista
mediante il “centralismo democratico” chiamato “parlamentarismo”
rispettando anche in politica il detto che il lupo cambia il pelo, ma non il vizio.
In seguito a ciò il sistema politico italiano è diventato nel tempo un regime
ideologizzato semi-fascista e semi-comunista aggravato da un capitalismo
selvaggio e da un sistema di banche private complici della politica, che in nome
dell'assoluto dello stato sovrano nega il diritto naturale dei cittadini e dei popoli
che formano l'Italia all'autogoverno.
Inutili sono stati diversi tentativi di alcuni gruppi spontanei di cittadini,
specialmente in Toscana e in Veneto, di far venire allo scoperto i partiti di
regime mediante Petizioni rivolte ai sindaci ed ai consigli comunali sul tema
della sovranità popolare. Il rifiuto dei consigli e dei sindaci di rispondere alle
petizioni popolari (obbligo previsto dall'art. 8 comma 3 della legge 267 del
2000) volte a introdurre la democrazia diretta negli Statuti comunali è un segno
evidente che i partiti non vogliono discutere su un tema che li accomuna al
dispotismo dell'azione di governo sui cittadini ignari dei loro diritti
costituzionali e sulla negazione della democrazia diretta prevalente rispetto a
quella quella rappresentativa, per non essere inchiodati alle gravi responsabilità
attraverso le quali negano di fatto il diritto naturale dei cittadini
all'Autogoverno.
Un confronto obbiettivo fra i modelli di stato sovrano accentrato (Italia) e di
governo federale (Svizzera), indica - a mio parere senza ombra di dubbio - gli
Dai verbali dell'Assemblea costituente risulta che "le forme e i limiti" (art. 1 Cost.) erano
riferiti alla forma di stato Repubblicana e democratica dello stato, e non alla sovranità popolare.
292
187
enormi vantaggi in termini di stabilità, di sicurezza, di rispetto dei diritti
naturali, di efficienza, di libertà di iniziativa economica, di bassa tassazione, di
bassa disoccupazione, di educazione, di civiltà, di pace, ecc., del modello
federale in cui i partiti … “ -partecipano- alla formazione dell’opinione e della
volontà popolari” impedendo con questo che la politica si trasformi in
strumento di latrocinio, di corruzione e di malgoverno come avviene in Italia.
Diversamente dalla Svizzera, nel Bel Paese per l'art 49 della “Costituzione più
bella del mondo”, i cittadini ... “hanno diritto di associarsi liberamente in
partiti per -concorrere- a determinare la politica nazionale”.
E quando mai i cittadini hanno potuto concorrere alla formazione della politica
nazionale se i capi bastone dei partiti, con la complicità della burocrazia e della
magistratura, certi del desiderio di fanatica e irresponsabile sottomissione
politica dei loro elettori, possono invitarli a godersi il mare ed i monti se il
referendum è contrario ai loro interessi, oppure violare impunemente il risultato
delle consultazioni referendarie come è avvenuto in numerose occasioni?
Di fronte alla grande crisi determinata dal fallimento dei dogmi e delle
ideologie sociali in cui i partiti e le grandi concentrazione finanziarie delle
banche e del grande capitale parassitario non riescono più a trasmettere una
visione del futuro coerente con i reali bisogni degli individui e con il successo
della vita umana, le idee di ordine sociale spontaneo, di rispetto dei diritti
naturali, di Autogoverno di comunità limitate e di contrattualità politica
commutativa, potrebbero gettare una nuova luce sulla possibilità di evoluzione
culturale ed economica della società più giusta e vantaggiosa rispetto al
passato. Raggiungeremo questo scopo se nel corso dei prossimi decenni o
secoli sapremo agire coerentemente con il bisogno di crescita della cultura e
della civiltà adottando criteri politici ed economici rispettosi delle leggi
conosciute della natura e se, come umanità ne avremo il tempo, la capacità e il
coraggio. Potremo fare questo se saremo capaci di rispondere intimamente a tre
precise domande:
Perché è necessario cambiare;
cosa è necessario cambiare;
come possiamo cambiare.
Questo libro è un tentativo in questa direzione anche se so bene che nel caos
intellettuale e morale nel quale siamo sprofondati non spetta a me, in quest'ora
in cui i partiti in Italia si distinguono solo per il colore dei loro manifesti e della
frequenza delle comparse televisive, indicare come gli uomini di buona volontà
possano trovare finalmente una terra consacrata sulla quale possano almeno
tendersi una mano leale e parlare un linguaggio comune di verità e di giustizia.
Questa terra, infatti, è quella del diritto naturale, della morale, della libertà,
della maggior uguaglianza e del rispetto per l'umanità in tutte le sue
manifestazioni: individuo, famiglia e società.
Tale è la terra che alla fine unirà i rari e veri federalisti e dove potranno
188
cooperare senza distinzione di partiti, di culture e di speranze tutte le anime
oneste e generose.
I modelli americano (soprattutto riferito alla California) e quello svizzero
hanno contribuito ad affermare il concetto che il federalismo deve essere
riferito soprattutto all'autogoverno e alla sovranità popolare, alla contrattualità
politica dei rapporti personali, ai rapporti fra Stati indipendenti e al modo in cui
è suddiviso il potere di governo ai diversi livelli istituzionali, sia all'interno dei
singoli Stati, sia per quanto riguarda il ruolo che la federazione deve avere nei
confronti della vita dei cittadini sovrani.
Per effetto di questi presupposti la maggioranza dei popoli che hanno adottato
il federalismo hanno certamente conosciuto uno straordinario benessere ed una
grande libertà, ma spesso si sono guardati bene dal valutare a spese di chi il
benessere è stato ottenuto.
In effetti sembra che i costituenti italiani si siano dimenticati che, come
ricordava Montesquieu: “L'amore della repubblica, in una democrazia, è
quello della democrazia; l'amore della democrazia è quello
dell'uguaglianza”293. … “Nelle monarchie e negli Stati dispotici (lo stato
sovrano è sinonimo di dispotismo, n.d.a.) nessuno aspira all'eguaglianza, non
se ne ha nemmeno l'idea, ciascuno vi tende alla superiorità”. 294
L'esperienza storica ci ha mostrato quanto grandi fossero queste intuizioni e
quale pesante eredità abbiano lasciato.
Il più grande servizio che oggi posso rendere alla società in cui vivo sarà di
aver dimostrato che lo stato è una finzione utile soprattutto a realizzare le
ambizioni ed e le alchimie sociali di chi punta egoisticamente all'asservimento
dei cittadini e alle logiche predatorie e criminali dei partiti e delle associazioni
di interessi che si nascondono dietro di loro.
Continuare ad accettare senza reagire questa condizione di sudditanza è il
peggior modo mediante il quale i cittadini possono ottenere un giusto ordine
sociale, che sia a un tempo coerente con le leggi che la natura adotta
spontaneamente per organizzare le società che crea e per produrre una nuova
forma di governo fra gli individui e fra popoli diversi che la formano.
293 Montesquieu, Lo spirito delle leggi, libro V, cap. III.
294 Ivi, cap. IV.
189
Conclusioni
Giunto alla fine di questo libro ho avuto un attimo di perplessità: mi sono
reso conto che probabilmente il tempo presente non è pronto per le idee che ho
cercato di esporre e la loro diffusione sarà lenta e difficile. Per alcuni non e
facile concordare sul fatto che gli esseri umani sono stati creati dagli animali
come ha lasciato scritto Charles Darwin, altri non si rendono conto che non si
possono risolvere i problemi usando lo stesso modo di ragionare che li ha
prodotti come ha detto Einstein. Altri ancora non sanno che ciò che pensiamo
dipende dalle teorie che usiamo per interpretare ciò che osserviamo e si
affidano a dei rappresentanti, spesso senza cultura, per evitare l'impegno e lo
sforzo che la responsabilità politica della tutela dei loro diritti e interessi
richiede. Tutto considerato ...
… L'uomo, nella sua arroganza si considera una grande opera, degna
dell'intervento della divinità. Più umile e, io credo, più verosimile,
ritenerlo creato dagli animali.295
Da quando Darwin fece questa osservazione (nel 1838, ventun anni prima della
pubblicazione di L'origine delle specie nel 1869), cominciarono ad accumularsi
prove schiaccianti a favore dell'evoluzione della vita. Questo ha
progressivamente determinato e sta ancora determinando un profondo
cambiamento della nostra visione della realtà e della funzione dell'uomo
all'interno della società.
Nel ventunesimo secolo, soprattutto a causa delle religioni, miliardi di persone
non si sono ancora rese conto che l'uomo non occupa un posto speciale e
privilegiato nella creazione e che è soltanto un prodotto delle forze evolutive
che a partire da un Quid sconosciuto e inaccessibile alla mente hanno
modellato e organizzato le forme dell'energia, della materia, della vita e del
comportamento sociale del vivente. Occorreranno secoli perché questa
mentalità possa cambiare, ma non credo che esistano alternative.
Chi potrebbe essere interessato oggi - mi sono chiesto - alla socialità, al nesso
di relazione fra le leggi conosciute della natura e quelle prodotte dalla ragione,
al rispetto dei diritti naturali e della dignità delle persone, alla spontaneità e allo
spirito di cooperazione mutualistica dell'organizzazione dell'ordine sociale che
dovrebbe sempre permeare i rapporti politici, economici e religiosi?
Con amarezza ho concluso che sarebbero stati ben pochi essendo l'attuale modo
di concepire la società, la politica, l'economia e la religione ancora radicato su
concetti e ipotesi formulati e affermati nei secoli antecedenti al 1869.
295 Darwin scrisse queste parole nel 1838, 21 anni prima della pubblicazione di L'origine delle
specie, in Notebook, p. 30.
190
L'esplosione demografica è oggi un segnale allarmante che la complessità dei
problemi che riguardano l'uomo moderno sta aumentando a una velocità che
non ha precedenti nella storia umana. La curva relativa alla crescita della
popolazione, secondo Heinz von Foerster, raggiungerà il giorno del giudizio
nel 2026. Mentre Arthur Kestler nel capitolo finale del libro Il fantasma dentro
la macchina, fa notare che la stessa esplosione incontrollata della crescita vale
anche per la potenza e la precisione delle armi, per la velocità dei missili, per la
diffusione scientifica e per la tecnologia dell'informazione.
Tuttavia - ho pensato - accade talvolta che qualcuno fra i tanti semi del pensiero
e della conoscenza che si rinnova senza posa per permettere alla vita umana di
crescere e di affermarsi, anche se gettati casualmente nel roveto dell'esistenza
quotidiana anche da persone semplici, “alcuni cadano nel buon terreno e
pongano salde radici e innalzano buon frutto verso il cielo”296.
Perciò posso solo augurarmi che non tutti giudicheranno questo lavoro con
superficialità e che qualcuna delle osservazioni che ho presentato possano
essere essere interpretate e migliorate da altri nell'ottica delle nuove conoscenze
della natura in un sistema sociale aperto a tutti i contributi di progresso umano.
Ormai sappiamo dalla scienza che il nostro comportamento sociale è
determinato da numerosi e complicatissimi fattori biologici, etologici, culturali,
etici e ambientali attraverso i quali il cervello determina le connessioni con la
realtà così come ci appare e costruisce i propri schemi significativi destinati a
durare nel tempo. Ma sappiamo anche che ciò che percepiamo è solo
un'immagine assai limitata della realtà, creata dal nostro cervello.
Sappiamo che l'eccessiva complessità dei sistemi sociali dipende sia dalla
quantità e dalla qualità delle informazioni disponibili, sia dalla crescita
esponenziale dei rapporti che ormai oltrepassano i limiti che la natura assegna
ai fenomeni in rapporto alla necessità di funzionamento ottimale dei sistemi.
Sappiamo anche che la tecnologia del sistema Internet è in grado di analizzare
ogni giorno le opinioni e le intenzioni di oltre due miliardi e mezzo di persone
per sfruttare matematicamente, da parte di chi ne ha interesse, sia la saggezza
della folla sia le sue debolezze ed i lati peggiori del suo egoismo.
Sappiamo che moltissimi avvertono ogni giorno l'iniquità delle catene che il
potere egoista mette a miliardi di persone innocenti che non sanno che la
cultura e la crescita della conoscenza e della coscienza sono gli strumenti più
efficaci per spezzarle per sempre.
Sappiamo che la sovranità è il potere del popolo per esercitare il suo diritto
naturale nei confronti dei propri rappresentanti e sulla scelta della forma di
governo e che in questa scelta risiede l'originarietà ed esclusività del diritto di
ogni essere umano rispetto a altro potere preesistente.
Sappiamo che che gli esseri umani possono essere bolliti come le rane dal
296 M. Pincherle (1919-2012), Scrittore e archeologo, Tommaso apostolo, Il quinto vangelo,
Filelfo, 1983, 9, p. 21.
191
sistema delle informazioni in mano a caste dispotiche di potere politico,
economico e anche religioso; ma sappiamo anche che l'intelligenza, la volontà
e la coscienza che albergano in ognuno, se orientate verso il rispetto della legge
di natura possono salvarci dagli intrighi, dalle menzogne, dagli arbitrii e dagli
abusi del potere e del grande capitale parassitario incarnato nelle banche, nei
grandi gruppi monopolisti e nello stato sovrano.
Sappiamo che il dominio dei grandi stati in mano a caste usurai e di predatori
spietati è - e sarà ancora per molto tempo - sinonimo di sterilità intellettuale,
culturale e morale e che in queste condizioni la coscienza individuale e il
benessere sociale non solo non potranno progredire, ma regrediranno.
Tuttavia nulla è definitivo nel mondo e a ogni secondo e ora di ogni giorno si
può cambiare rotta verso una via pacifica di fuga possibile e percorribile.
Dobbiamo riflettere sul fatto che se abbiamo grande fiducia nella scienza
dobbiamo chiederci a cosa servono le grandi scoperte se non sono utilizzate per
il bene comune. Dopo il 1859 e ancor più dopo gli anni '50 del secolo passato,
per la prima volta nel corso della storia umana pur nelle nebbie e nell'oscurità
del presente possiamo intravedere il destino della nostra specie sapendo che
una nuova tappa ci attende sul percorso della nostra evoluzione animale: un
cambiamento radicale di comportamento dovuto alla conoscenza dopo il quale
poco o niente resterà come prima. Per raggiungere questo lontano traguardo
dobbiamo diventare consapevoli che tutta la felicità e il benessere che
possiamo ottenere dalla nostra condizione di esseri umani dipendono dalla
nostra volontà, dalla nostra cultura e dalle nostre scelte di comportamento
individuale, sociale, economico, politico e religioso; in pratica dalle regole di
comportamento (le leggi) che sapremo darci cooperando mutualmente e
spontaneamente su ogni aspetto della vita in comune.
Questo ci permetterà di costituire una rete di piccole Comunità umane
autogovernate e federate che ci libereranno per sempre dalle catene del passato
e dagli schemi artificiali e irrazionali che la nostra mente ha costruito nei secoli
in mancanza di conoscenza scientifica del vivente. Solo la passione civile, la
spontaneità della legge, la cooperazione mutualistica e grandi sacrifici di
uomini liberi e saggi potranno un giorno aprire le porte all'Era delle
federazioni attraverso le quali potremo connettere e rendere coerente l'ordine
sociale umano con le leggi della natura.
Così potremo organizzare un futuro migliore per le future generazioni di tutta
l'Umanità perché l'egoismo, la predazione, l'usura monetaria, la sovranità degli
stati, il parassitismo, l'asservimento degli individui, lo sfruttamento dell'uomo
sull'uomo, la grande disuguaglianza economica, l'indifferenza, la violenza e la
guerra incarnate nell'idea di STATO, sono i cimiteri della speranza di una vita
migliore e della crescita della coscienza in vista della nuova tappa che ci
attende lungo il percorso della nostra evoluzione animale e spirituale.
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Radici 13 settembre 2015