Paolo Bonacchi Radici: la legge di natura nell'ordine sociale. Proprietà letteraria riservata © 2015 Bonacchi Paolo. E- Mail dell'autore: <[email protected]> I diritti di riproduzione sono riservati. Questo libro è APERTO a tutti coloro che desiderano migliorarlo correggendo errori o indicando suggerimenti e modifiche sulla base delle conoscenze di cui dispone per metterle al servizio del bene comune. L'autore sarà grato a tutti coloro che si impegneranno in questo lavoro. I nomi dei partecipanti e le modifiche scelte saranno riportati nella successiva edizione. Il libro in cartaceo può essere richiesto al seguente indirizzo: <[email protected]> tel. 349 6989500 1 Indice Presentazione di Giancarlo Pagliarini - pag. 5 Prologo - 8 Note - 10 Capitolo I – La natura e i popoli antichi 13 1. I Neter, gli spiriti divini che per gli antichi popoli abitano la natura 2. L'animale uomo 3. La vita che crea spontaneamente le società animali Capitolo II – La visione della realtà: sostenibilità e limiti 1. 2. 3. 4. 5. La terza cultura La foresta dei Bantù e l'imprinting dello stato sovrano moderno In cerca di una nuova logica dell'ordine sociale Le risposte della natura alla violazione delle sue leggi Condizioni di allarme rosso? - Capitolo III - L'idea di un Dio onnipotente e sovrano 1. 2. 3. 4. 30 Il gioco cosmico della natura e l'illusione dell'onnipotenza umana Vivete sottomessi Un uomo dopo l'uomo Il tempo che forse non abbiamo più - Capitolo IV - L'informazione ed i sistemi 1. 2. 3. 4. 5. 20 41 Che cosa è e da dove viene l'informazione? Un tentativo di riposta alla domanda su Chi siamo? Da dove veniamo: l'origine della vita Dove andiamo? Il Superorganismo umano come prossima tappa evolutiva? - Capitolo V - Il miracolo della vita e l'ordine sociale 1. Il gene: la radice biologica della vita e del comportamento individuale e sociale 2. Da Aristotele a Darwin 3. La scienza che nega la verità biblica 4. I batteri come precursori dell'evoluzione sociale della vita 5. Eravamo scimmie e ancor molto prima … piccolissimi batteri 6. La rivoluzione della genetica: da Gregorio Mendel alla scoperta dell'Elica immortale 7. Darwinismo sociale e sociologia 2 52 Capitolo VI – I sistemi complessi 76 1. Ilya Prigogine e la Teoria della complessità dei sistemi 2. Friedrick Von Hayek 3. Diventare consapevoli che l'universo è un insieme ordinato di sistemi che si autoorganizzano e si auto-regolano spontaneamente 4 . Sistemi chiusi e sistemi aperti 5. Il fenomeno dell'emergenza nei sistemi complessi 6. Il nesso di reciprocità nei sistemi del vivente 7. Problemi di ordine complicato e di ordine complesso 8. La retroazione (feedback) nei sistemi Capitolo VII - L'ordine nei sistemi politici 1. 2. 3. 4. 82 Riconoscimento a P. J. Proudhon Il culto dei morti e la nascita del mito Ci nutriamo ancora di miti religiosi e politici creati nell'antichità Le costruzioni politiche artificiali - Capitolo VIII - La socialità 95 1. Il mistero dell'origine della vita sociale nei batteri 2. La sorgente del comportamento sociale. L'egoismo e l'altruismo 3. Il meccanismo biologico della socialità 4. La questione dell'istinto, l'imperativo territoriale e la convenzione 5. Imperativo territoriale e comunità Capitolo IX - L'Archè del contratto nell'ordine sociale e i fratelli-nemici 110 1. La ruota infuocata di Issione delle rivoluzioni sociali 2. 3. 4. 5. 6. 7. Come il potere dello status quo impedisce la spontaneità della legge I migliori che per autoreferenza vogliono dominare il mondo Lo stato moderno sinonimo di spoliazione degli individui e dei popoli La convenzione e la legge morale della natura La difficoltà di introdurre nuove idee Giusnaturalismo e positivismo: i Fratelli nemici e la legge - Capitolo X - La lunga marcia della vita sociale nella storia 1. Gli elementi dell'ordine sociale prima di Darwin 2. La famiglia, la comunità e la società 3. Come la cultura dell'artificiale e della continuità storica ha invaso gli ordinamenti sociali 4. Abbiamo bisogno di risposte - 3 129 Capitolo XI - Il Moloc dello STATO e i diritti naturali violati 1. 2. 3. 4. 5. La finzione dell'idea di stato e quella di “persona giuridica” La sovranità come diritto naturale dei cittadini e il caso Italia I diritti naturali nell'ordine sociale Democrazia: il dio che ha fallito Lo stato sovrano e la Volontà generale in Bodin, Hobbes e Rousseau - Capitolo XII - Il Contratto politico o di federazione 1. 2. 3. 4. 5. 141 160 Degenerazione dell'idea di stato La spontaneità della legge, ovvero l'Autogoverno dei cittadini Aleatorietà e certezza nelle due forme antitetiche di contratto sociale Una scelta necessaria per il futuro L'era delle federazioni - Capitolo XIII - Un confronto fra stato accentrato e governo federale 175 1. Stato accentrato italiano e governo federale svizzero e californiano; sistemi sociali a confronto 2. Il modello federale della Svizzera e il modello accentrato semi-fascista e semi-comunista italiano Conclusioni - 190 4 Dedico questo libro a Daria, intelligente e paziente compagna nel breve percorso della vita. Ringrazio gli amici sinceri che nei momenti di delusione e di stanchezza mi hanno incitato a continuare a scrivere questo libro e mi hanno fornito indicazioni utili a evitare errori e a migliorare il testo: Marco Bassani Giuseppe Brambani Andrea Carbonaro Marco Borracchini Fabio Castellucci Giacomo Consalez Franco Dell'Alba Paola Fortunati Giacomo Gori Edi Mattioli Pietro Muni Lino Parise Massimo Paudice Fiorenzo Peloso Francesca Claudia Rocchetti Giovanni Robusti Paola Schiavone Luciano Sanna Gloria Scorcelletti Antonio Taccone Enzo Trentin Vincenzo Zamboni _____________________________________________________________ Presentazione di Giancarlo Pagliarini Con questo libro Paolo Bonacchi continua a fare quello che ha sempre fatto come attento osservatore dell'ordine sociale naturale nei sistemi del vivente e seminatore di saggezza. Tutta colpa di Gianfranco Miglio. Lo conosco da una vita: Paolo crede profondamente in quello che dice e scrive. Ci crede fino alla commozione e allo sconforto, al punto di concludere: “Giunto alla fine di questo libro ho avuto un attimo di perplessità: mi sono reso conto che probabilmente il tempo presente non è pronto per le idee che ho cercato di esporre e la loro diffusione sarà lenta e difficile.“ Altro che lenta e difficile: saggezza, ragionevolezza, buon senso, civiltà e conoscenza dell’abc delle leggi della natura e dei comportamenti degli animali (e quindi degli uomini) non sono nel DNA di molti, di troppi italiani. 5 Tre considerazioni: 1) foto del paese, 2) cosa c’è sotto a questa foto 3) quelli che vogliono prolungare l’agonia. 1 foto: Il nostro paese è in bancarotta. In bancarotta fraudolenta. Tenete presente: - che il debito pubblico “ufficiale” della Repubblica italiana è di circa 2.166 miliardi di lire, ma questa cifra non include il “valore attuale” del debito pensionistico che stiamo cinicamente trasferendo sulle spalle delle generazioni future. Un signore che ha versato i contributi sociali per tutta la vita e che oggi va in pensione, finché camperà incasserà la pensione e non verserà niente. Dunque lui ha un credito. Ma se lui ha un credito, qualcuno deve avere il debito. Questo debito non è contabilizzato da nessuna parte nei bilanci dello Stato e delle PA italiane, ed il suo valore (scontato, attualizzato) è di circa 3.700 miliardi di Euro. Quindi il debito di ogni italiano non è di circa 32.000 Euro, ma ormai abbiamo superato i 95.000. Il giovane che comincia a lavorare domani mattina alla fine del mese verserà dei contributi sociali, e crederà di versarli per la sua pensione, ma non è vero: con quei soldi si paga un debito. Si pagano le pensioni di quelli che sono in pensione. E lui, dopo aver lavorato e versato contributi tutta la vita, dovrà sperare che ci sia qualcuno che lavori e che gli paghi la pensione. Lo chiamano “sistema a ripartizione”: io e Paolo Bonacchi lo chiamiamo “sistema del cero alla Madonna”. Nel senso che con questo sistema quelli che vanno in pensione devono accendere un cero alla Madonna e pregare che qualcuno gli paghi la pensione. I soldi dei contributi sociali che hanno versato non ci sono più: sono stati usati per pagare il “debito pensionistico”, ignorato dalla contabilità pubblica e dai parametri di Maastricht. - Che nel nostro paese la pressione fiscale ufficiale del 2014 è di circa il 41%. Questo significa che su 100 di PIL le tasse e i contributi sociali incassati dalle Pubbliche Amministrazione sono 41. Ma c’è un particolare: in quel 100 di PIL sono compresi 18 di economia nera. Ma i signori che fanno il nero non pagano né tasse né contributi sociali. Quindi la percentuale non è di 41 su 100, ma di 41 su 82. Con questa pressione fiscale il nostro paese sarà sempre meno competitivo, i debiti (dentro e fuori bilancio) continueranno ad aumentare, la qualità delle nostre vite continuerà a peggiorare ed ai nostri figli trasferiremo un paese molto peggiore di quello che ci hanno lasciato i nostri genitori. 2 foto: Cosa c’è sotto a questa foto? Sotto a questa foto c’è l’organizzazione “contro natura” centralista e la cultura ancora medioevale del nostro paese. Proprio le cose che Paolo Bonacchi cerca di cambiare con i suoi libri. Già, l’organizzazione. Immaginate una società che produce un bellissimo ed inimitabile prodotto. Gli costa 100 e lo vende a 300. Tutti lo vogliono comprare. C’è la coda. Ma fare aumenti di capitale per coprire le perdite non serve a niente se non si cambia la forma di governo che consente di cambiare le procedure. Cambiare i manager non serve a niente se non si cambia la forma di 6 governo e di conseguenza le procedure. E adesso guardiamo uno Stato organizzato male. Aumentare le tasse in modo che il Governo possa gestire più soldi non serve a niente se non si cambia la forma di governo da accentrata a federale che consentirebbe di cambiare le procedure. Fare le elezioni e cambiare i membri del Parlamento non serve a niente se non si cambia la forma di governo che consente di cambiare le procedure. Ebbene, la forma di governo nasce dalla sua Costituzione. Ecco il punto: la foto dell’Italia sarà sempre quella se non cambieremo le radici della sua organizzazione e quindi la sua Costituzione adottando i principi del vero Federalismo. E questo è esattamente quello che raccomanda Paolo Bonacchi. 3 foto: Quelli che vogliono prolungare l’agonia. Se con la bacchetta magica domani mattina finissero sulla Gazzetta Ufficiale tutte le cose che propongono i capi dei partiti di regime come Renzi, Alfano, Berlusconi, Tosi, Passera oppure chi volete voi, la foto del paese sarebbe sempre quella. Al massimo, se va bene, si prolungherebbe l’agonia. Perché continueremmo ad essere una Stato centralista e la politica continuerebbe ad essere caratterizzata da comportamenti illogici e contro natura, come l’assurda prassi della “lotta politica”. Chiudo augurando buona lettura e citando pagina 31 dell’opuscolo La Confederazione svizzera in breve. 2015. Paragrafo Un Parlamento a tempo parziale: “Il Parlamento svizzero è un cosiddetto «parlamento di milizia»: pur dedicando molto tempo al mandato parlamentare, la maggior parte dei deputati è anche attiva professionalmente”. Ecco, grazie a uomini come Paolo ed ai suoi libri forse i miei figli un giorno riusciranno a vivere in un paese dove non esiste il “mestiere di politici alla perenne caccia di voti” e dove gente con idee diverse lavorerà assieme per i cittadini invece di essere in lotta spietata e perenne per gestire il potere. Giancarlo Pagliarini 7 Prologo La scienza potrà un giorno renderci fratelli, non l'arroganza della nostra mente primitiva. La prima, infatti, cerca la verità nella natura che non può mentire; la seconda nei dogmi, negli assoluti, nelle illusioni, nelle fantasie di dominio, di potere e di onnipotenza che la mente si è creata nel corso dei secoli, scambiandoli per verità. Rousseau conforta questa osservazione: O uomo, di qualunque paese tu sia, qualunque siano le tue opinioni, ascolta: ecco la tua storia, quale ho creduto di leggere non nei libri dei tuoi simili, che sono menzogneri, ma nella natura, che non mente mai. Ciò che verrà da essa sarà vero; non ci sarà di falso che quello che, senza volerlo, ci avrò messo di mio.1 Gli antichi potevano dire che per mezzo del destino o dell'onnipotenza di un Dio che carica l'orologio degli eventi a sua discrezione, come hanno affermato con insistenza la filosofia e la religione nei secoli passati, si poteva spiegare tutto ciò che accade: i fenomeni della natura, la sorte degli individui, le guerre e le rivoluzioni sociali. Ducunt volentem fata, nolentem trahunt2 Se il destino costituisce ancor oggi il principio e la fine di tutte le cose o se nella fede in un Dio onnipotente che carica a piacere l'orologio degli eventi e dei miracoli si confina la spiegazione del mistero che li determina, agli effetti dell'ordine sociale della specie umana la ragione continuerà a confermare l'impotenza di concepirli in connessione e coerenza con le leggi conosciute della natura e niente, per l'uomo, cambierà rispetto al passato. Il crollo degli imperi e il fallimento degli stati, la guerra e la pace, l'autorità e la libertà, l'egoismo e l'altruismo, il potere, il dispotismo, lo sfruttamento, la cooperazione e la concorrenza violenta, la mutualità e la predazione, l'ingiustizia e la giustizia, la disuguaglianza e l'uguaglianza delle fortune: tutto appare ancor oggi ai più essere l'opera del destino o dell'orologio di un Dio immaginario, mentre pochi sono quelli che osano opporsi ai loro incomprensibili decreti cercando la verità nella natura che non mente mai. Così il genio dell'uomo ha attraversato i secoli assegnando ad ogni essere la propria sorte e alle associazioni di animali (e di uomini) chiamate “società”, il proprio ordine, che nella nostra specie è politico, economico e religioso. J. J. Rousseau (1712-1778), Origine della disuguaglianza, Feltrinelli, Milano, p. 37. L. A. Seneca ( 4 a. C – 65 d. C.) Epistole a Lucillo, (107,11, 5), trad.: Il destino guida chi vuole lasciarsi guidare e trascina chi non vuole. 1 2 8 Giunto quasi alla fine della stesura di questo Prologo ho appreso due notizie che hanno dell'incredibile: la prima è che per la Teoria delle stringhe esisterebbero miliardi di Universi simili al nostro; la seconda è che ciò che oggi possiamo osservare: il sistema solare, le stelle ed i miliardi e miliardi di galassie che compongono l'Universo di cui la Terra abitata dalla nostra specie è parte infinitesimale, è appena il 6% di ciò che per la scienza esiste. Il rimanente 94% pare sia composto da materia ed energia oscure la cui natura, per il momento, ci è quasi completamente sconosciuta. Se a questi dati aggiungiamo che quella che riteniamo realtà è solo una rappresentazione della realtà creata dal cervello3, che scopo può avere scrivere questo libro e perché, mi sono chiesto, altre persone dovrebbero leggerlo? L'unica risposta, in apparenza sensata, che ho saputo dare è che probabilmente tutto ciò che esiste, compresi i miliardi di universi, la materia e l'energia oscure, è il divenire di un Qualcosa (che nel corso del libro chiamerò Quid o Grande sconosciuto), che impone a ognuno di indagare e di conoscere ciò che può osservare, per metterlo a disposizione dei suoi simili in vista della crescita progressiva della coscienza individuale e collettiva e con essa della civiltà e del benessere materiale e spirituale. Non so se questa conclusione possa o meno essere soddisfacente. Ma so con certezza che è l'unica che sono in grado di offrire a chi può essere interessato a cercare di comprendere il senso della realtà naturale e sociale. Ho così concluso che l'Umanità è piena di uomini di buona volontà che cercano con autentica passione civile la conoscenza che più si avvicina alla verità. Essi seguono strade difficili e pericolose alla ricerca di una pepita di verità e di conoscenza e una volta trovata si impegnano per diffonderla, sperando che possa contribuire a far crescere in altri esseri umani la consapevolezza di ciò che siamo, di dove veniamo e di dove andiamo. Se la diffusione della cultura umanistica e scientifica è la meta più alta che potrebbe permetterci di realizzare un ordine sociale che favorisca in ogni essere umano la crescita della coscienza e con essa il benessere materiale, spirituale e l'esperienza autentica della felicità, siamo costretti a prendere atto che per ottenerla dobbiamo innanzitutto emanciparci dalle leggende, dai miti, dai dogmi, dagli assoluti e delle illusioni che ci siamo creati nei secoli dell'infanzia dell'umanità ricercandone le radici in ciò che possiamo conoscere della natura. In questo percorso probabilmente alcuni condivideranno l'idea che ciò che nei secoli abbiamo chiamato DIO, è il divenire di un QUID inaccessibile alla mente che si manifesta a noi come realtà osservabile che si evolve nel tempo verso una meta sconosciuta, ma certa. Credo che così potremo intraprendere con minori sacrifici la strada che la natura ci indica da miliardi di anni con gli straordinari fenomeni dell'evoluzione dell'energia in materia e vita e con la 3 A. Newberg, neuroscienziato, E. D'Aquili, professore di psichiatria presso l'Università della Pennsylvania, Dio nel cervello, Mondadori, Milano, 2002, p. 43. 9 complessità dei sistemi che crea. Esiste veramente questa strada? Possiamo intraprendere il viaggio verso la meta misteriosa che ci attende sul percorso dell'evoluzione animale? È conveniente per l'individuo e per la società umana percorrerla? Possiamo desumere dal remoto passato della vita su questo pianeta, le regole di comportamento che agevolano il percorso verso la prossima tappa evolutiva della nostra specie? Io credo che portando ognuno il proprio granellino di sabbia all'edifico comune della società, dove anche per me abita lo Spirito che muove i mondi e determina la loro forma e il comportamento delle creature che li abitano, ognuno avrà assolto il compito a lui affidato col dono straordinario e irripetibile della vita. Questo lo compenserà della fatica e del sacrificio dell'esistenza e, lasciandolo finalmente indifferente ai decreti incomprensibili del destino e ai miracoli di un dio immaginario, gli darà tutta la serenità e gli attimi di felicità compatibili con la sua condizione di uomo. È per queste ragioni che mi azzardo, fra mille timori e incertezze, a scrivere questo libro. _______________________________________________________________ Note Scopo dell'introduzione a un libro è, talvolta, quello di anticipare il suo contenuto. Questo lavoro è il seguito di Dalla società delle api alle città-stato del futuro. Natura e ordine sociale, Edizioni Nexus, Padova, 2010, in cui ho cercato nella natura le radici dell'ordine sociale umano. Devo l'idea di questa ricerca a Gianfranco Miglio 4, grande scienziato della politica che nel 1979, in una intervista rilasciata al settimanale L'Espresso 5, sostenne che: “... studi recenti permettono ormai di scorgere le radici naturali delle fondamentali regolarità a cui obbedisce il comportamento politico dell'uomo”. Ebbene, il comportamento politico dell'uomo è strettamente legato al modo col quale la natura provvede a creare ordine dal disordine in tutti i “sistemi” che formano l'Universo, compresi quelli delle specie eusociali 6 di cui anche la nostra fa parte. Se potessimo illuminare il comportamento umano in questo modo, si renderebbe immediatamente disponibile un nuovo e compiuto genere di 4 G. Miglio (1918-2001), costituzionalista e scienziato della politica. 5 N°. 49, del 9 dicembre 1979. 6 L'eusocialità è il livello più alto di organizzazione sociale che si realizza in certi animali come ad esempio le api, le formiche e le termiti. 10 comprensione. Verrebbe infatti rivelata la matrice profonda di tendenze fino ad ora misteriose; e capiremo forse che aspetti del nostro comportamento che in precedenza consideravamo questioni di libera scelta sono in realtà il prodotto di forze radicate e geneticamente controllate. Tali idee si diffusero dopo il 1950 e vennero polarizzate durante il decennio seguente grazie a una serie di successi editoriali. Tutti, da La scimmia nuda di Desmond Morris a Men in groups di Lionel Tiger a L'imperativo territoriale di Robert Ardrey, avanzavano la stessa allettante tesi: il comportamento sociale umano, essendo un prodotto dell'evoluzione, può essere spiegato nello stesso modo dell'analogo comportamento di altri animali che hanno seguito il medesimo percorso evolutivo.7 Prima del 1950 molti autori criticarono, a volte duramente, affermazioni simili, fino a che Konrad Lorenz8 in L'aggressività (1966) ed E. O. Wilson in Sociobiologia: la nuova sintesi (1975) aprirono la strada a una nuova scienza: la Sociobiologia che avrebbe avviato “lo studio sistematico delle basi biologiche di tutto il comportamento umano”.9 Percorrendo questa nuova strada ho condiviso l'idea che il comportamento umano e l'ordine sociale abbiano le loro profonde radici nelle leggi fisiche e biologiche della natura e che non possano essere considerati unicamente sulla base delle esperienze secolarizzate della teologia-politica o dei miti e degli assoluti delle ideologie sociali prodotte nel corso della breve storia della nostra giovane specie, tramandate in modo assai discutibile lungo i secoli. Da ciò scaturisce la seguente osservazione: il modo col quale viene studiato l'ordine sociale umano dovrà subire nel futuro, volenti o nolenti, un drastico cambio di dimensione e di direzione rispetto al passato a partire dal dal 1859, anno in cui fu stampato Sull'origine delle specie di Darwin e ancor più dal 1955, anno in cui fu scoperta l'elica immortale, abbracciando il periodo in cui si è formata la vita su questo pianeta o in qualche parte dell'universo. Per queste ragioni nei primi capitoli del libro, prima di affrontare il tema degli elementi, dei processi e del funzionamento dei sistemi naturali, indicherò brevemente lo stato attuale delle condizioni del Pianeta terra e affronterò sommariamente il tema del comportamento sociale dell'uomo in relazione alle nuove conoscenze. Il senso generale di tutto quello che scriverò, pertanto, è che la natura è un bene, un patrimonio comune essendo la nostra specie parte e non padrona e dominatrice della stessa. Questo bene ci è stato affidato da tutte le creature che in miliardi di anni hanno contribuito a formarlo perché sul pianeta azzurro apparisse la nostra strana specie, capace di altruismo e di egoismo, di spontaneità e di imposizione arbitraria, di autorità e di libertà, di disuguaglianza e di uguaglianza, di verità e di menzogna, di cooperazione e di 7 8 9 J. Rachels (1941-2003), Creati dagli animali, Edizioni di comunità, Milano 1996 p. 89. Konrad Lorenz (1903-1989), zoologo ed etologo austriaco). Vedi E. O Wilson, Sociobiology. 11 inaudita quanto inutile prepotenza e violenza ... e di una strana e potentissima qualità emergente nella mente che per dimensione e comportamento ci differenzia da tutte le altre specie conosciute: la coscienza. Pertanto invito chi legge a tenere presente che niente di quanto qui riportato dovrà essere considerato come un assoluto, una verità, un dogma, ma semplicemente come un tentativo di ricerca degli elementi, delle componenti e dei processi dei sistemi naturali che possono offrire maggiori probabilità di costruire uno schema mentale significativo di comportamento sociale, che sia il più possibile coerente con ciò che conosciamo della natura e con il successo della vita umana. Purtroppo siamo ancor oggi illusi di essere una specie superintelligente, unica, il pinnacolo dell'evoluzione su questo pianeta il cui destino è determinato da un Essere ancor più super-intelligente che a sua discrezione compie miracoli e carica l'orologio degli eventi, mentre in realtà siamo appena fanciulli scapestrati che giocano con una bomba a orologeria i cui ingredienti esplosivi sono le esagerazioni dell'egoismo, della violenza, delle menzogne, del potere e della proprietà senza limiti: tutti elementi che offendono la dignità degli individui concorrendo a violare i loro diritti naturali e limitando la loro libertà di scelta morale, politica, economica e religiosa. Anche se oggi molti hanno l'arrogante pretesa di sapere tutto, in realtà, almeno come massa, sappiamo ben poco sulle leggi della natura. Le leggi intese nel loro significato più ampio sono i rapporti necessari che derivano dalla natura delle cose. In questo senso tutti gli esseri umani hanno le loro leggi: la Divinità ha le sue leggi, il mondo materiale ha le sue leggi, le intelligenze superiori dell'uomo hanno le loro leggi, le bestie hanno le loro leggi l'uomo ha le sue leggi.10 Se tutto ciò che rappresenta la realtà ha le sue leggi, il vero dilemma da risolvere, a mio avviso, consiste nel cercare di conoscere almeno da dove veniamo e dove andiamo perché nessuno, per secoli, sarà in grado di provare con certezza chi veramente siamo. Penso che solo la scienza, in un lontano futuro, potrà sollevare il velo del mistero che circonda la ragione della nostra esistenza individuale e sociale, estendendo la nostra conoscenza oltre l'origine dell'energia, della materia e della vita. Questo, forse, ci permetterà di trovare la bussola in grado di orientarci nella ricerca della meta più facile e vantaggiosa che attraverso le leggi l'umanità, volente o nolente, dovrà raggiungere pena la sua scomparsa. Abbiate soltanto la pazienza di leggermi amici lettori e potrete dirmi in seguito le impressioni ricevute nell'apprendere alcune cose delle quali non avevate mai sentito parlare, ma che vi sembrerà di aver conosciuto da sempre. 10 Montesquieu, Lo spirito delle leggi, vol I, Libro primo, Delle leggi in generale, B.U.R, Milano, 1989, p.147. 12 Capitolo I La natura e i popoli antichi 1. I Neter, gli spiriti segreti divini che per gli antichi popoli abitano la natura. Qui è appena il caso di ricordare che per molte persone appena pochissimi secoli fa l'Universo era talmente limitato che la Terra era il suo centro e che oltre il Sole non ci poteva essere niente altro che le stelle: puntini luminosi misteriosamente appesi alla cupola del cielo, di cui ignoravamo quasi tutto. Oggi, per merito della scienza, l'orizzonte del nostro universo si è dilatato enormemente mentre l'energia, la materia e la vita hanno svelato molti dei loro profondi segreti. Tuttavia, e questo è incredibile, i concetti di riferimento del comportamento individuale e dell'ordine sociale, sono restati, per moltissime persone, pressappoco gli stessi del passato remoto della nostra specie. Le idee di un Dio onnipotente che premia i giusti e punisce i malvagi e della salvezza eterna dalla morte sono state per secoli le motivazioni primarie delle norme che giustificano e regolano l'ordine sociale. Per questa ragione, forse, l'Antico e il Nuovo Testamento sono stati usati sia in funzione religiosa sia politica. Infatti più si risale indietro nel tempo più risulta difficile distinguere fra istituzioni religiose e politiche. Solo a partire dal XVIII° secolo le società segrete che sostenevano l'illuminismo cominciarono a contrapporre alla teologia-politica la teologia naturale. Il termine teologia (θεολογία, theología) compare per la prima volta nel IV° secolo a. C. nell'opera di Platone 11; ma fu lo studioso Marco Terenzio Varrone 12 che trasmise alla cultura occidentale il concetto di teologia-politica in relazione ai mutevoli rapporti fra comunità politica e comunità religiosa, ovvero fra potere e salvezza. Molti secoli più tardi con L'esprit de Monsieur Benoit de Spinoza13 un trattato dell'inizio del XVIII° secolo, Mosè, Gesù e Maometto che indicavano l'ordine della società come proiezione della religione vennero pubblicamente accusati dal filosofo di aver ingannato l'Umanità, spacciando norme religiose e politiche come rivelazioni di una Divinità immaginaria, onnipotente e senza tempo, con la quale solo alcuni avevano il privilegio di poter dialogare. Nel presente, tuttavia, è finito il tempo in cui con la religione si poteva spiegare l'origine del potere nell'ordine sociale. L'oppio dei popoli è passato di moda e quasi nessuno lo ricorda più. Platone, (428/427 a. C. – 348/347 a. C.), La Repubblica (II, 379 A). M. T. Varrone, (116–27 a. C.). Il trattato dei tre impostori. La vita e lo spirito del Signor Benedetto Spinoza, a cura di S. Berti, Einaudi, Torino, 1994. 11 12 13 13 Oggi la religione si presenta piuttosto come dinamite dei popoli.14 Si pensi per un attimo alla situazione di violenza fra Israele e alcuni paesi Arabi, fra Cristiani e Indù, fra Musulmani e Cattolici e fra le infinite religioni e sette esistenti nel terzo millennio. Già migliaia di anni fa l'idea di natura quale orizzonte di riferimento del comportamento individuale e dell'ordine sociale, dunque politico, economico e religioso, era profondamente avvertita a livello popolare. Cielo, terra, acqua, fuoco, aria, piante, animali e uomini, costituivano l'orizzonte dell'esistenza dei popoli antichi ed erano definiti come Neter: gli spiriti segreti divini che abitano il vivente. Per secoli i Neter hanno rappresentato un concetto chiave attraverso il quale i sacerdoti sumeri ed egizi e i filosofi greci cercavano la verità per penetrare il mistero della vita, della creazione e per ordinare la società. Già per gli antichi egizi, ad esempio, intermediaria dei Neter con gli esseri umani era Maat, la coscienza fonte suprema di giustizia e di verità alla quale doveva essere informato il comportamento individuale e sociale di ogni individuo. Oggi sappiamo che per le lingue greca e copta l'ambito dei Neter, in cui la Divinità si manifestava agli uomini come energia e vita, è la radice letterale della parola Natura. Era dunque nella natura che l'antichità remota cercava i fondamenti dell'esistenza individuale per organizzare l'ordine sociale? 2. L'animale uomo In pochi secoli siamo stati capaci di distruggere, da un punto di vista dell'ordine sociale, il meraviglioso concetto dei Neter recidendo con le divisioni prodotte dalle religioni, dal potere e dalMolti secoli più tardi con L'esprit de Monsieur Benoit de Spinoza15 un trattato dell'inizio del XVIII° secolo, Mosè, Gesù e Maometto che indicavano l'ordine della società come proiezione della religione vennero pubblicamente accusati dal filosofo di aver ingannato l'Umanità, spacciando norme religiose e politiche come rivelazioni di una Divinità immaginaria, onnipotente e senza tempo, con la quale solo alcuni avevano il privilegio di poter dialogare. Nel presente, tuttavia, è finito il tempo in cui con la religione si poteva spiegare l'origine del potere nell'ordine sociale. L'oppio dei popoli è passato di moda e quasi nessuno lo ricorda più. Jan Assmann, egittologo e archeologo tedesco, Non avrai altro Dio, Il mulino, Bologna, 2007, p. 7. 15 Il trattato dei tre impostori. La vita e lo spirito del Signor Benedetto Spinoza, a cura di S. Berti, Einaudi, Torino, 1994. 14 14 Oggi la religione si presenta piuttosto come dinamite dei popoli. 16l'egoismo, i legami sacri che uniscono fra loro gli esseri umani e questi agli elementi e alle creature che popolano il cielo la Terra. L’uomo è un animale parlante e sociale, zòon logikon kaì politikon, ha detto Aristotele. Questa definizione vale più di tutte quelle che sono state date in seguito. ... l’uomo è un’intelligenza servita da organi, definizione che ha il duplice difetto di spiegare il noto con l’ignoto, vale a dire l’essere vivente con l’intelligenza, e di tacere sulla qualità essenziale dell’uomo, l’animalità. L’uomo è dunque un animale che vive in società. Chi dice società dice insieme di rapporti, in una parola “sistema”. Ora, ogni sistema non sussiste che a certe condizioni: quali sono, dunque, le condizioni, quali sono le leggi della società umana?17 Per cercare di dare una risposta alla domanda a “Quali sono le leggi della società umana?” ho pensato che fosse giunto il momento di scegliere fra due idee contrapposte: se l'individuo debba continuare ad essere un mero strumento del potere del governo della comunità in cui trascorre la propria esistenza (lo “stato”) comunque immaginato e costruito a priori da chi ne può trarre maggiore vantaggio in termini di potere, di ricchezza e di affermazione personale, oppure se ogni individuo debba essere l'artefice sovrano che partecipa al governo della Comunità in cui vive, come la natura vuole. Quando io dico che la natura vuole che questa o quella cosa avvenga, non voglio dire che essa imponga a noi un dovere di attuarla (il che può fare solo la ragione pratica libera da ogni coazione), ma significa che essa la fa di per sé, sia che lo vogliamo, sia che non lo vogliamo.18 Scrive il fisico veronese Vincenzo Zamboni su Internet nel 2015: Il cervello umano è un bioelaboratore che pesa più o meno 1450 grammi e dispone di circa 90 mld di neuroni). I 1450 grammi, circa, del bioelaboratore di cui ognuno di noi è gratuitamente fornito fin dalla nascita, il cervello umano, dispone di circa 90 mld di neuroni disponibili alla continua formazione e modifica di sinapsi connettive per la costruzione di circuiti logici, simbolici, simulativi, comparativi, e così via. Il numero di differenti configurazioni binarie di un simile sistema è sbalorditivamente alto: 8.000 miliardi di Jan Assmann, egittologo e archeologo tedesco, Non avrai altro Dio, Il mulino, Bologna, 2007, p. 7. 17 P. J. Proudhon, (1809- 1865), Che cosa è la proprietà?, cap. V°, parte prima, § 1. Del senso morale nell’uomo e negli animali, Laterza, Bari, 1978. 18 I. Kant (1724-1804), Per la pace perpetua, prefazione di N. Bobbio, a cura di N. Mwerker, Editori Riuniti, Roma, 1996, p. 28. 16 15 miliardi. Se consideriamo la dinamica di un processo di elaborazione, formato da cambiamenti di configurazioni, vediamo che con k cambiamenti di stato sono possibili (90 mld)^2k differenti processi logici. Ma non basta: sul pianeta si trovano interconnessi, quali membri di un sistema di mutue interazioni, ben 7 miliardi di cervelli attivi, il che significa che il supercomputer a blocchi interconnessi "specie umana" dispone di 630.000.000.000.000.000.000 neuroni, capaci di 396.900. 000.000.000.000.000.000.000.000.000.000. 000.000 configurazioni differenti in un istante solo, tutte variabili temporalmente a formare processi logici alternativi in quantità sterminata. Seguono spontanei alcuni commenti. 1) L'idea di sostituire ai processi decisionali umani quelli computerizzati si rivela per ciò che è, una illusione puerile senza senso, paragonabile al sostituire un treno merci con un triciclo in miniatura dichiarando di voler risolvere i problemi dei trasporti. 2) Di fronte a tanta disponibile biopotenza di elaborazione umana appare completamente inaccettabile che le vicende del pianeta siano dirette da poche menti malate, che a suon di missili nucleari e guerre militari per la contesa delle risorse e dei mercati, devastano l'ecosistema comune. 3) Forse aveva davvero ragione Einstein, quando sosteneva che siamo abituati ad impiegare meno del 10% delle potenzialità della mente, aggiungendovi che forse gli uomini di governo si limitano al 10% dell'impiego medio, corrispondente all' 1% del potenziale singolare effettivo. 4) Anche oggi è un giorno nuovo, con la possibilità di sperimentare pensieri e elaborazioni diverse da quelle abituali e già viste: utilizzare la creatività disponibile potrebbe essere un buon modo per cambiare positivamente il flusso degli eventi in corso. I metodi di ieri li abbiamo già visti in azione e sappiamo già come funzionano. Non sprechiamo l'opportunità di elaborare qualcosa di nuovo. 5) Aveva ragione Isaac Asimov, nel considerare che l'intelligenza crea pure problemi, ma non sarà certo l'ignoranza a risolverli. Se vogliamo essere più precisi, il problema non si riduce alla semplice ignoranza, bensì anche alla uniformità di pensiero allineato univocamente. 100.000 persone che pensano la stessa identica cosa non svolgono una attività intellettuale più utile di uno solo che pensa quella cosa. Ora sapete che cosa penso in via generale dei partiti politici. 6) La "società" è: ciò che facciamo. 7) L'idea di "obbedienza all'autorità" è abbastanza stupida e limitante. Se una persona ha risolto un problema di mio interesse prima di me, e valuto giusta la soluzione, sarò pronto ad adottarla. Se non lo ha risolto, o la sua soluzione appare sbagliata, la cosa migliore da fare sarà scartare la sua proposta e passare ad altro. 8) Il punto (7) fa riferimento ad ogni eventuale caso di rappresentante da 16 sedicente autorità civile o religiosa. Gli esseri umani hanno bisogno di verità, non di autorità. Siamo dotati di una mente per pensare e dirigere le nostre azioni tanto quanto siamo dotati di gambe per camminare, occhi per guardare, orecchie per ascoltare, ed altri organi destinati a svolgere qualche funzione per il nostro benessere." Tutto ciò considerato credo che in definitiva attraverso sforzi comuni ai quali ognuno può contribuire, si tratta di stabilire se agli effetti della stabilità, del miglioramento individuale e dei sistemi sociali, del loro ordine, della capacità di sostentamento della specie umana da parte della Terra, del rispetto dei diritti naturali dell'individuo, dell'ambiente, della pace, dell'uguaglianza, della libertà, della giustizia, del benessere, della crescita della coscienza e della civiltà, ogni persona debba continuare ad essere educata, diretta, controllata, sfruttata, usata come strumento del potere di uno o di pochi o per la guerra, come è stato fino a oggi, oppure se debba essere l'artefice della propria esistenza concorrendo con gli altri a stabilire le leggi della comunità in cui vive, traendo profitto dagli insegnamenti di ciò che può conoscere dell'esperienza storica, ma sopratutto dalla conoscenza della natura che non può mentire. Si tratta cioè di comprendere se dobbiamo continuare a seguire la logica teologico-politica secolarizzata che ha prodotto gli attuali problemi di ordine economico, politico e religioso oppure se, agli effetti dell'ordine sociale migliore e più vantaggioso per tutti, ogni persona debba poter esercitare la sovranità di cui è proprietaria per diritto naturale assoluto, inalienabile, imprescrittibile e inviolabile, per concorrere e apportare con il proprio comportamento il suo contributo di conoscenza e di esperienza all'ordinato e pacifico progresso della comunità in cui vive. Fra le due proposizioni, a mio parere, non può esistere alcuna possibilità di conciliazione e una è errata; dunque destinata a portare al fallimento (collasso) i sistemi sociali altamente complessi e conflittuali che la adottano. Purtroppo dobbiamo prendere atto che la maggior parte dei filosofi sociali, dei giuristi, dei politici e dei sacerdoti moderni accetta ancora come naturali gli esempi di predazione, di lotta violenta e di sopraffazione tra le specie animali considerate inferiori, quasi a voler giustificare il diritto naturale dell’uomo allo sfruttamento dell'ambiente e alla predazione dei propri simili per mezzo dell'imposizione e della forza, della menzogna, o con l'astuzia. Pochissimi sono coloro che comprendono che in natura la violenza e la predazione sono proprie della leggi primarie e fondamentali del vivente: la sopravvivenza e la riproduzione necessarie all'evoluzione. Gli animali uccidono esclusivamente per sopravvivere e per riprodursi; noi anche, e forse soprattutto, per il potere di dominare, per narcisismo o per la ricchezza. Di conseguenza gli elementi, le componenti ed i processi che la natura adotta per organizzare i sistemi sociali del vivente che hanno consentito 17 l'affermazione della vita sul pianeta Terra sono posti, dagli studi sociologici, filosofici e giuridici, ai margini delle analisi e sono quasi del tutto sconosciuti a livello di massa. La competizione, in cui il forte vince, ha avuto molti più commenti da parte della stampa, che non la della cooperazione. Ma certi organismi apparentemente deboli sono sopravvissuti sulla lunga durata in quanto membri di coalizioni, mentre i cosiddetti forti, non essendo mai ricorsi all'espediente della cooperazione, sono stati scartati sul mucchio di rifiuti dell'estinzione. … L'essenza stessa della vita sociale sta nella comunicazione reciproca e cooperativa. Lo studio dei meccanismi comunicativi è alla base della ricerca sulle interazioni sociali, a prescindere dal fatto che la comunicazione abbia luogo tra gli organuli di una cellula, tra le cellule ed i tessuti di un organismo, tra gli organismi all'interno di una società o tra specie diverse nel contesto di simbiosi mutualistiche. 19 A mio avviso l'aver trascurato il legame di interrelazione e di coerenza fra comportamento e legge di natura nell'organizzazione del sistema dell'ordine sociale umano ha permesso realizzare sistemi sociali in cui la lotta e la concorrenza violenta fra individui e fra popoli, e non la cooperazione mutualistica, è stato un errore di incalcolabile portata destinato a ricevere, nel prossimo futuro, risposte drammatiche dalla natura che risponde sempre e in modo spesso terribile, improvviso e definitivo alla violazione delle sue leggi eterne e inviolabili. 3. La vita che crea spontaneamente le società animali. Ormai sappiamo che le forze di relazione che determinano i legami fisici e chimici dei sistemi atomici, dei sistemi organici e biologici sono il prodotto dell'informazione insita nell'energia, nella materia e nella vita fin dall'origine del tempo e dello spazio ed è per questa ragione che cercherò di rivolgere la mia attenzione soprattutto al modo in cui è trasmessa nel vivente. Appena nel corso degli anni cinquanta del secolo passato la scienza ha scoperto l'elica immortale20del DNA, che contiene le informazioni genetiche relative alla forma, alla funzione e al comportamento del vivente in relazione alla maggiore probabilità di ottenere vantaggio dall'ambiente interno ed esterno, dal risparmio di energia e crescita di efficienza dall'unione di più individui, in termini di sopravvivenza e di riproduzione. L. Margulis (1938-2011) D. Sagan, Microcosmo, Mondadori, Milano, 1989, p. 128. Per elica immortale si intende il lungo filamento di acido deossiribonucleico contenuto nei cromosomi delle cellule e responsabile della trasmissione e dell'espressione dei caratteri ereditari. La scoperta si deve a F. Crick e J. Watson (1953), premi Nobel per la medicina nel 1962. 19 20 18 Prima degli anni cinquanta molti scienziati credevano che la vita fosse cominciata sulla Terra poco prima di 570 milioni di anni or sono. Da pochi decenni abbiamo accertato che le muffe, i coralli, le piante, i batteri, gli insetti come le api e le formiche, gli animali ed i vertebrati superiori fra i quali l'uomo, hanno sequenze genetiche così simili che interi paragrafi sono identici, parola per parola21. La scimmia ha il 96 % dei geni identici a quelli dell'uomo, il cane il 75%, una banana il 50%, un fiore il 32%, ecc.. Questa condivisione di sequenze genetiche è un’eredità comune a tutte le specie animali e vegetali. La memetica, dovuta al biologo e zoologo inglese Richard Dawkins che nel 1976 ha pubblicato l’opera The selfish gene (Il Gene egoista), è il nome di un nuovo campo di ricerca che studia i modelli evolutivi sulla base del trasferimento biologico delle informazioni, della conoscenza, delle preferenze culturali e del comportamento all’interno dei sistemi sociali. Dawkins ha chiamato memi le unità della trasmissione informatica a livello cerebrale e le ha indicate come entità, strutture culturali il cui comportamento è simile a quello dei geni negli organismi biologici. Esempi di memi sono le idee, le mode, le canzoni, i modelli di comportamento e qualunque unità culturale che viene replicata con un certo grado di fedeltà. Purtroppo ancor oggi le idee, le mode e i sistemi artificiali penetrano profondamente il comportamento individuale e sociale, mentre la vita di interi popoli è condizionata dal sistema delle informazioni saldamente in mano a élite di potenti predatori egoisti, arroganti, falsi e senza scrupoli, il cui scopo è di predisporre l'individuo a credere che quanto viene diffuso dai media che controllano astutamente sia vero, necessario, utile e desiderabile per tutti. Nel tempo della televisione e del computer - ha scritto il politologo Giovanni Sartori - all'Homo sapiens, che un giorno capiva senza vedere si è sostituito l’Homo-videns, che vede senza capire22. Far vedere senza permettere di capire è l’arma micidiale di cui dispone oggi sia il potere del mercato, sia quello della politica e della religione per mantenere inalterato lo Status quo artificiale, costruito a priori, non spontaneo e di conseguenza imposto a tutti con la forza, con l'astuzia, con la menzogna o con la violenza, violando i diritti naturali delle persone. Ebbene: la difficoltà che s’incontra a disingannare la maggioranza delle persone da un'idea diffusa con insistenza nel tempo dagli strumenti di comunicazione di massa, anche se appare palesemente errata o falsa, è impresa che né i libri, né i discorsi possono compiere in breve tempo. Forse trascorreranno secoli prima che ci renderemo conto che la Terra sarà conquistata dalla miglior forma di società organizzata politicamente ed economicamente sulla base della spontaneità e della cooperazione mutualistica, in vista del benessere comune; esattamente come è per le società animali che la natura ha creato nel corso di miliardi di anni. 21 R. Dawkins, biologo, Il racconto dell’antenato, Mondadori, Milano, 2004, p. 22. 22 Ripreso da un articolo di Giovanni Sartori pubblicato sul giornale Il Corriere della sera. 19 Capitolo II La visione della realtà: sostenibilità e limiti 1. La Terza cultura Nel 1959 uno scrittore inglese, sir Charles Percy Snow, scrisse un saggio dal titolo Le due culture e la rivoluzione scientifica in cui osservava come dall'Ottocento in poi lo scienziato e l'umanista fossero divenute professioni distinte. Nella seconda edizione, pubblicata nel 1963, Snow auspicava la nascita di una Terza cultura in grado di comporre la frattura fra l'umanesimo e la scienza. Nelle università – sostenne Snow - le discipline letterario-umaniste vengono tenute rigorosamente separate da quelle scientifico-tecnologiche, mentre la scarsità di comunicazione fra mondo della scienza e mondo umanistico è uno dei mali che impediscono la soluzione dei gradi problemi nel mondo. Il libro agitò fortemente le acque dello stagno accademico. La classe degli umanisti, legata soprattutto ai concetti secolarizzati della teologia-politica incarnati nelle ideologie e nelle religioni cova ancor oggi, a distanza di oltre cinquanta anni dal libro di Snow, un pregiudizio antiscientifico molto radicato anche se notevoli passi sono stati fatti, soprattutto per merito degli scienziati, nel senso dell'integrazione delle due culture. Snow suggerì come risolvere questa frattura: Le occasioni ora ci sono. Ma sono, per così dire, sospese nel vuoto, per il fatto che i membri delle due culture non riescono a parlarsi. È strano che sia stato assimilato dall'arte del ventesimo secolo così poco della scienza del ventesimo secolo. Di quando in quando si trovavano poeti che usavano coscienziosamente espressioni scientifiche attribuendovi un significato sbagliato. Vi fu un tempo (...) in cui gli scrittori parlavano di "luce polarizzata" con la pia illusione che si trattasse di un tipo di luce particolarmente mirabile. Questa frattura culturale non è solo un fenomeno inglese: si estende a tutto il mondo occidentale. C'è una sola via per uscire da questa situazione: e naturalmente passa attraverso un ripensamento del nostro sistema educativo. 23 L’intenzione di Snow era di trovare una soluzione per superare la difficile situazione culturale senza però nulla togliere né al campo umanista né a quello scientifico. Ebbene: la Terza cultura è figlia di di questo tentativo. Infatti dopo pochi decenni dal libro di Snow, John Brockman noto agente letterario 23 C. P. Snow, (1905-1980) Le due culture, Feltrinelli, Milano, 1964, pp. 5-7. 20 americano di molti illustri scienziati (tra cui diversi premi Nobel) affronta lo stesso problema, ma la sua soluzione circa la frattura fra le due culture prende un'altra direzione. Con il libro La terza cultura24 Brockman fa una proposta - oggi sostenuta da molti scienziati - che sembra in grado di esercitare sia sulla cultura umanista sia su quella scientifica un’influenza unificante sempre più marcata. Il libro mira a mettere in luce le profonde implicazioni della scienza sul piano filosofico e culturale; implicazioni che si riflettono sul piano sociale, economico, politico e - perché no? - anche religioso. Dopo aver osservato che “Nei secoli, la vita intellettuale è stata caratterizzata dal fatto che solo una cerchia ristretta di persone ha avuto il privilegio di pensare per tutti gli altri”, Brockman riporta che attualmente stiamo assistendo “al passaggio epocale delle consegne da un gruppo di pensatori e cosiddetti letterati, ad un nuovo gruppo: gli artefici delle “terza cultura”25 che definisce con queste parole: Le idee che presento in questo libro (...) rappresentano le conoscenze di frontiera nei campi della biologia evoluzionistica, della genetica, dell'informatica, della neurofisiologia, della psicologia e della fisica. Queste discipline cercano di rispondere a domande basilari del tipo: Da dove viene l'universo? Quale è l'origine della vita? Come nasce la mente? La terza cultura si configura come l’abbozzo di una nuova filosofia naturale, incardinata sui concetti di complessità ed evoluzione. Sistemi altamente complessi – come gli organismi, il cervello, la biosfera o l’universo – non rispondono al piano di una mente superiore; sono piuttosto il frutto di una lunga evoluzione.26 Secondo Brockman la Terza cultura è un progetto avviato da alcuni grandi scienziati, biologi evoluzionisti, chimici, fisici, genetisti, neuroscienziati, scienziati cognitivi, etologi, ecc., che hanno imparato a parlare al pubblico e a divulgare le loro scoperte con linguaggio semplice e comprensibile a tutti. Io credo, forse diversamente da molti, che le persone siano interessate al tema delle origini del mondo e della nostra specie molto più profondamente di quanto si possa pensare. Avere notizie su come potrebbe essersi formato realmente l'universo, da dove abbia avuto origine la vita in generale, a quando risalga la nascita della coscienza e in cosa consista il rapporto fra cervello, mente, coscienza e comportamento sociale, potrebbe offrire una logica sociale più appropriata rispetto al passato. Sarà dunque sulla base della Terza cultura che cercherò, in seguito, di trarre gli elementi di coerenza dell'ordine sociale con le leggi conosciute della vita e con il modo in cui si auto-organizzano e si auto-regolano i sistemi nel vivente. 24 J. Brockman, La terza cultura, trad. L. Carra, Garzanti, Milano, 1995. 25 Ivi, p. 9, 10. 26 Idem, p. 11. 21 2. La foresta dei Bantù e l'imprinting dello stato sovrano moderno. Un giorno di molti anni fa lessi su una rivista scientifica il resoconto dell'esperienza di un antropologo che per ragioni di studio si era recato in Congo presso una tribù di pigmei Bantù che si trovava al centro di una vastissima e fittissima foresta. Vivendo a lungo insieme ai Bantù lo studioso si rese conto di un fatto: nessun individuo della tribù era mai uscito dalla foresta e questo influenzava in modo decisivo la loro percezione della realtà. A causa della densità della vegetazione - notava infatti l'antropologo - la loro percezione visiva era estremamente limitata nello spazio e questo condizionava sia il loro modo di pensare, sia il loro comportamento, sia il concetto di ”diverso”. Prima di lasciare la tribù lo scienziato decise di compiere un viaggio di esplorazione fuori della foresta e si portò dietro un giovane Bantù per aiutarlo. Giunti su un altipiano i due si fermarono a osservare la pianura sottostante dove pascolava una mandria di bisonti. Avendoli notati il giovane pigmeo esclamò con stupore rivolgendosi allo studioso: Cosa sono quegli insetti? Meravigliato per la domanda l'antropologo gli spiegò per diverse volte, inutilmente, che non si trattava di insetti, ma di grandi animali. Solo molto più tardi - riportò l'antropologo - il pigmeo riuscì ad afferrare il significato delle sue spiegazioni. Ho citato questo breve racconto per fare un'analogia. Similmente ai pigmei Bantù l'uomo antico e anche quello moderno - sebbene in misura minore e diversa a causa della smisurata crescita del numero dei rapporti e delle informazioni disponibili - ha una percezione assai limitata della realtà sociale. Come il giovane Bantù è incapace di distinguere i bisonti dagli insetti, così l'uomo qualunque del terzo millennio limita involontariamente la sua visione della realtà all'esperienza altamente specializzata del suo lavoro o dei suoi interessi immediati, ai ricordi dell'apprendimento scolastico su aspetti parziali e ristretti del mondo antico e moderno e alle informazioni che riceve quotidianamente dai media. Ovviamente tutto ciò ha un pesante impatto agli effetti dell'ordine sociale. Nel suo insieme l'orizzonte delle informazioni elaborate dal cervello sulla base delle informazioni costituisce per l'uomo moderno una vera e propria foresta intricata fitta di contraddizioni, di tecnologia specializzata, di esperienze limitate, di miti, di leggende, di misteri, di dogmi e di nuove sensazionali scoperte scientifiche che si mescolano a informazioni ambigue finalizzate alla crescita del mercato o del consenso politico, molto spesso utilizzate per indurre in lui desideri e bisogni artificiali. Oggi, infatti, un numero sempre maggiore di persone vive in grandi città dove l'individuo si sente impotente e ha un'idea vaga e approssimativa di cosa siano effettivamente l'ordine sociale, i diritti naturali, la politica, la democrazia, il potere, l'egoismo, l'altruismo, la comunità, lo stato, la forma di governo, la religione, la legge e soprattutto il funzionamento dei sistemi dinamici 22 complessi: tutte cose che in fondo lo riguardano direttamente ma alle quali presta scarsissima se non alcuna attenzione. Non sorprende quindi scoprire che secondo dati ISTAT 2014, più del 9,8% per cento delle famiglie italiane non ha neanche un libro in casa e che durante il 2014 i lettori di almeno un libro all’anno a partire dall'età scolare, quindi compresi tutti gli studenti, sono stati appena il 41,4% dell'intera popolazione. Non è ipotizzabile che oggi le condizioni siano migliorate. Di conseguenza, essendo incerta e molto limitata negli individui la visione della realtà in generale e dell'ordine sociale in particolare, ogni associato è condannato ad accettare passivamente fin dall'infanzia l'imprinting27 dello stato o del governo accentrato della comunità in cui è nato o vive, come pregiudizio di continuità storica, condizione di necessità, assoluto morale e materiale di cui non può fare a meno, pena l'angoscia per l'insicurezza dell'esistenza, l'instabilità, il disordine sociale, cui fa seguito lo scatenamento della violenza nei rapporti sociali. La Comunità è così la foresta dei Bantù, fitta di segreti e di misteri che determinano nelle persone mancanza di una corretta visione della realtà e dell'esperienza sociale. In queste condizioni le idee sull'ordine sociale diffuse con gli attuali strumenti di comunicazione di massa possono diventare armi micidiali al servizio del potere precostituito per estorcere il consenso politico, per imporre guerre sanguinose, come per spogliare gli individui ed i popoli della parte maggiore della ricchezza prodotta con il lavoro quotidiano o per avvantaggiare uno o pochi a spese di molti. A dispetto di ciò tuttavia - grazie soprattutto alla televisione e a internet - oggi la massa comincia ad allargare gli orizzonti culturali in cui è stata confinata dalla secolare limitatezza di conoscenza della natura e delle sue leggi. In questa nuova condizione il processo di crescita culturale in atto potrebbe agire nel tempo come un enzima con un alto grado di scatenamento di una reazione informatica le cui conseguenze, soprattutto in rapporto alle teorie e alle ipotesi relative alla forma, alla struttura, alla dimensione numerica e territoriale della comunità e della società e ai limiti della politica, sono imprevedibili. 3. In cerca di una nuova logica dell'ordine sociale. Credo che in qualsiasi società ci siano persone rare che hanno a cuore il futuro delle nuove generazioni e il bene comune. Queste persone sono anche consapevoli che il cambiamento comporta una rivoluzione culturale di grande L'imprinting è una forma di apprendimento che si verifica in un periodo della vita detto periodo critico quando si è predisposti biologicamente a quel tipo di apprendimento. I primi studi sull'imprinting vennero fatti da Konrad Lorenz sulle oche che subito dopo la nascita identificano la propria madre nel primo oggetto o persona in movimento che vedono. 27 23 portata storica. Al pari delle altre grandi rivoluzioni, anche l'imminente rivoluzione della sostenibilità cambierà la faccia della Terra e le fondamenta delle identità, delle istituzioni e delle culture umane. (…) Ovviamente nessuno sa che cosa bisogna fare per compiere una rivoluzione siffatta. Non vi è una ricetta: Per attuare un mutamento globale di paradigma, seguire attentamente queste regole. Come tutte le rivoluzioni che l'hanno preceduta, neanche questa può essere pianificata o imposta da chicchessia. Non obbedirà ai decreti di questo o quel governo, né ai proclami di chi costruisce modelli al calcolatore. La rivoluzione della sostenibilità sarà organica: scaturirà dall'immaginazione, dagli esperimenti e dalle azioni di miliardi di individui. L'onere di tradurla in realtà non ricade sulle spalle di una singola persona o di un gruppo particolare. Nessuno ne avrà il merito, ma a tutti è dato contribuire. 28 Non credo che le attuali condizioni dell'ordine sociale planetario siano favorevoli ad un rapido miglioramento dello stato della coscienza individuale e collettiva, perché le informazioni disponibili su questo tema sono tutto meno che, nella maggior parte dei casi, veritiere. A parere di molti scienziati che si occupano dell'ambiente in cui si svolge la vita umana, infatti, il modo in cui attualmente è governato il mondo porterà a un futuro insostenibile e, in tempi relativamente brevi da un punto di vista evolutivo, al collasso di molti sistemi politici e delle relative economie senza che si sia provveduto a concepire un nuovo percorso in grado di offrire a tutti migliori garanzie di sicurezza, di stabilità e di pace nel cambiamento. L'insieme dei problemi irrisolti posti dal vecchio modo di ragionare sostengono gli scienziati del terzo millennio - sfiorerà appena le presenti generazioni, ma colpirà violentemente quelle future, portando molti stati in prossimità del margine del caos o addirittura al fallimento dei sistemi politici, economici e anche religiosi. Se appena nel 1972 eravamo convinti di avere tutto il tempo disponibile per considerare opzioni a lungo termine per impedire che lo sviluppo tecnologico potesse essere controllato in modo da stare ben al di sotto dei limiti di carico del pianeta, nel 2015 la crescita della complessità, le prospettive di crescita della popolazione, l'inquinamento, il cambiamento del clima e la riduzione della superficie di terra coltivabile indicano chiaramente che l'impronta ecologica29 che stanno lasciando la politica, l'economia e la finanza sul pianeta ha oltrepassato i limiti dello sviluppo sostenibile e ha imboccato a folle velocità la via del collasso dei sistemi sociali a causa della loro eccessiva complessità e D. e D. Meadows, J. Randers, I nuovi limiti dello sviluppo, Trad. M. Riccucci, Mondadori, Milano, 2006, p. 317. 29 L'impronta ecologica è l'impatto complessivo delle attività umane sulla natura. 28 24 instabilità. Sarà possibile e avremo il tempo per diffondere la consapevolezza globale della necessità di orientare il comportamento, le abitudini di vita, la politica, la finanza e l'economia in modo da invertire le attuali tendenze distruttrici, per rientrare nella capacità di carico a lungo termine del pianeta? Oppure l'umanità continuerà, senza reagire, a permettere a pochi individui potentissimi e astuti di continuare a perseguire fino in fondo scopi egoisti e predatori volti ad accrescere una tecnologia e una produzione non necessarie al progresso della coscienza e del benessere, come sono i consumi e i bisogni artificiali, l'espansione della moneta virtuale gestita dal grande capitale parassitario, l'inquinamento dell'aria, dell'acqua, della terra, o a costruire armamenti sempre più micidiali, finché sarà troppo tardi per tornare indietro? 4. Le risposte della natura alla violazione delle sue leggi Nelle attuali condizioni è ormai certo che al superamento dei limiti dello sviluppo sostenibile dal pianeta seguirà con sempre maggiore accelerazione, la divaricazione della forbice fra ricchi e poveri. Metà della ricchezza mondiale è in mano agli 85 uomini più ricchi del pianeta. Lo rivela una ricerca della Ong inglese Oxfam alla vigilia al World Economic Forum nella città di Davos in occasione della riunione dei leader mondiali della finanza e della politica. In Italia il 50% della ricchezza appartiene a meno del 10 % della popolazione, mentre il restante 50 % appartiene al rimanente 90%. In queste condizioni è probabile che nei prossimi decenni avverrà ciò che la storia ha dimostrato di doversi attendere quando una società non dispone di un sistema sociale in grado di auto-organizzarsi e di auto-regolarsi rapidamente: una serie di rivoluzioni violente contro il potere che pochi vogliono continuare a esercitare su molti. Da parte mia credo che contro questo probabile disastro abbiamo una sola medicina: diventare collettivamente consapevoli che le leggi della natura non possono essere impunemente violate o ignorate, perché pongono severi limiti sia a chi e al modo in cui viene stabilita la legge, sia alle dimensioni territoriali e numeriche delle comunità umane, sia alle eccessive disuguaglianze che nei secoli hanno permesso la nascita e l'affermazione del potere nei sistemi sociali determinandone l'instabilità. Dobbiamo diventare consapevoli che la natura non ha fretta di dare le sue risposte a ciò che facciamo; ma quando le dà, purtroppo, sono sempre improvvise, terribili e definitive: fa collassare ed elimina i sistemi che non sono coerenti con le sue leggi eterne e inviolabili per produrne di nuovi e soprattutto di diversi. Nel presente guerre sanguinose investono da decenni vaste aree del pianeta; continua il disinteresse del potere egoista per la povertà, per la miseria, per le malattie facilmente curabili, per l'ignoranza e per il sottosviluppo di 25 vastissime aree e di intere popolazioni, mentre l'informazione è sempre più in mano ai predatori della Terra (i banchieri) e ai loro lacchè politici che governano dispoticamente gli stati e le comunità locali con prepotente arroganza usando la menzogna e legittimazione della violenza da parte dello stato. Riporta Noam Chomsky30 che ... Le nostre società stanno andando verso la plutocrazia. La democrazia è scomparsa. Secondo uno studio della Oxfam, l’Ong umanitaria britannica, 85 persone nel mondo hanno la ricchezza posseduta da 3,5 miliardi di individui”. Nonostante ciò, nel solo 2008 (rapporto SIPRI, Istituto internazionale di Stoccolma per la ricerca sugli armamenti, pubblicato nel 2009) i governi hanno speso in armamenti 1.464 miliardi di dollari, pari circa al 2,4 per cento del PIL globale e a 217 dollari a persona. Nel 2010 la spesa militare è aumentata dell'1,3% in termini reali, raggiungendo i 1.630 miliardi di dollari. Secondo il rapporto, l’Italia è responsabile del 2,8 per cento delle spese mondiali per gli armamenti. Di questi dati i giornali non parlano mai e la gente non ne sa niente o quasi. Nel 2011, infatti, in piena crisi economica, la spesa per le armi in Italia è stata valutata dal SIPRI pari a 37 miliardi dollari corrispondenti a 689 dollari pro capite e ha superato quella tedesca (46,8 miliardi di dollari, ma 568 dollari procapite) e giapponese (46,3 miliardi, con 361 dollari pro-capite). In sei Paesi europei della Nato sono ancora dislocate 480 bombe nucleari in otto basi aeree: 150 in Germania, 110 in Gran Bretagna, 90 in Italia, 90 in Turchia, 20 in Belgio e 20 in Olanda. Oggi ci sono circa 3000 bombe nucleari strategiche negli Stati Uniti, circa 4000 in Russia. La vendita di armi da parte delle maggiori aziende produttrici armamenti militari del mondo è tuttavia aumentata del 29% in termini reali dal 2003. È questa l'eredità violenta che ci hanno lasciato i concetti sociali secolarizzati ispirati alla teologia-politica? Oppure quello che ho riportato sopra è fantasia e non, come io credo, il pinnacolo sempre più visibile dell'iceberg del male? 5. Condizioni di allarme rosso? Oltre alle spese per gli armamenti, purtroppo, c'è ben altro! Il sito del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOOA) offre un'analisi globale del clima. Vedi: <http://www.noaa.gov/wx.html> Il documento descrive i suoi effetti sul pianeta Terra nel tempo. Gli autori dello studio sono 300 specialisti appartenenti a 160 gruppi di ricerca di ogni continente. I dati confermano che il 2010 è stato più caldo del 2009 e il decennio 2000/2010 il più caldo mai registrato. L'autunno del 2014 è stato il più caldo degli ultimi sessanta anni. L'anidride carbonica ( CO2) è aumentata nell'atmosfera di 1,5 ppm (parti per milione) rispetto al 2008, con una media 30 N. Chomsky, Il linguaggio e la mente, Bollati Boringhieri, 2010. 26 atmosferica di 386,29 ppm. Nel 2013 la CO2 in atmosfera ha superato la soglia psicologica di 400 ppm di concentrazione, superandola di nuovo nel 2014 e nel marzo del 2015: valori che non erano stati raggiunti negli ultimi tre milioni di anni. Le conseguenze del superamento della soglia di 400 ppm non si faranno attendere. Infatti superando in permanenza i 350 ppm, per alcuni scienziati non si avrebbe un pianeta simile a quello che ha reso possibile l'adattamento della vita sulla Terra. Questo dato del NOOA, sebbene agghiacciante, passa fra l'indifferenza totale dei media e dei governi. Il 2015 è stato il ventunesimo anno consecutivo in cui si è registrato il ritiro dei ghiacciai. Nel recente passato su circa mille e quattrocento grandi ghiacciai esistenti sul pianeta solo otto sono cresciuti, mentre molti sono diminuiti fortemente o sono scomparsi. L'India ha avuto gli anni più caldi della sua storia; l'Australia è al secondo posto. La Cina ha sofferto la peggiore siccità degli ultimi 50 anni. La temperatura degli oceani continua a salire trasformandoli nel brodo primordiale nel quale probabilmente è nata la vita. È evidente che la Terra si sta adattando a nuove condizioni. Con quale risultato nel futuro è impossibile prevedere. Ebbene: la nostra specie esiste sul pianeta da circa centomila anni: un periodo irrilevante da un punto di vista dell'evoluzione. Appena dodicimila anni fa gli uomini impararono a coltivare la terra e fondarono le prime comunità. Negli ultimi trecento anni abbiamo avuto una crescita rapidissima, addirittura esponenziale quanto a popolazione, sviluppo economico, industriale, tecnologico e delle informazioni. Solo negli ultimi decenni la fortissima espansione dell'industria per effetto della tecnologia prodotta dalle scoperte scientifiche ha determinato in quasi tutte le comunità umane il desiderio e l'aspettativa di una crescita economica illimitata. L'idea che i limiti naturali debbano imporre limiti alla crescita economica appare a molti assurda e inconcepibile al punto che è oggi impensabile parlare di porre limiti allo sviluppo. Una visione antropocentrica pone un limite fisico all'evoluzione della materia, e considera l’essere umano come l'ultimo stadio logico dell'evoluzione, il suo traguardo finale. In realtà la nostra specie è una tappa transitoria dell'evoluzione della natura, la sua "fase" biologica, di cui ne è l'apice invalicabile, il suo "non plus ultra". Ciò non deve sorprendere, visto che ogni livello sistemico ha dei limiti fisici invalicabili. Il confine, infatti, è raggiunto quando una struttura perde energia nell'ambiente esterno più di quanta possa recuperarne, mettendo così a repentaglio la sua stabilità.31 Al volgere del millennio è stato oltrepassato del 20 per cento il limite globale della terra coltivabile disponibile sul pianeta, mentre il cambiamento del clima 31 Pietro Nigra, http://www.homolaicus.com/politica/dialogo Dialogo sui massimi sistemi. 27 ne diminuisce annualmente la disponibilità. Nel 2015 per soddisfare le esigenze di nutrimento della popolazione mondiale sarebbe necessario un pianeta e mezzo. Ogni giorno muoiono, per cause direttamente legate alla fame o a malattie facilmente curabili oltre 20.000 persone delle quali la maggioranza sono bambini. Dal 1929 l'industria chimica ha prodotto circa due milioni di tonnellate di PCB (bifenil policlorurato), usato per diversi scopi. I PCB sono utilizzati come fluidi dielettrici (per limitare il flusso di corrente; per esempio nei trasformatori) e come additivi per antiparassitari, ritardanti di fiamma, isolanti, vernici e altro. A causa della loro tossicità e della loro tendenza a bio-accumularsi, sono attualmente banditi in buona degli stati. I PCB sono solubili nei grassi, ma poco solubili in acqua, hanno tempi lunghissimi di permanenza nell'ambiente e si muovono velocemente finché non sono assorbiti da qualche forma di vita. I PCB si sono dimostrati altamente stabili e la loro diffusione nell'ambiente è rilevata oggi dai ricercatori che li trovano in quasi tutti i sistemi viventi. Le concentrazioni più elevate di PCB si trovano nei pesci, negli uccelli, nei mammiferi, nei tessuti grassi dell'uomo e nel latte materno umano. I suoi effetti sono gravissimi; possono causare la morte o alterare il sistema nervoso, l'intelligenza o la funzione sessuale nella specie umana. Sono considerati dagli scienziati una bomba a orologeria a livello globale. Aggiunti ai pesticidi usati in agricoltura, all'inquinamento prodotto dalle auto, al CFC (Cloro-Fluoro-Carburo) ancora disponibile sul mercato nero, alla quantità di rifiuti tossici prodotti dall'industria e al modo in cui vengono trattati i rifiuti, il quadro dà l'idea di ciò a cui stiamo andando incontro. A queste notizie se ne possono aggiungere molte altre, gravi, ben documentate e dettagliate, come quelle sul rapporto fra giovani e droga, fra giovani e alcool, sulla disgregazione delle famiglie, sulla corruzione politica, sull'artificialità dei sistemi finanziari e via dicendo. Chiunque lo desideri può approfondire l'argomento della sostenibilità dello sviluppo su diverse pubblicazioni scientifiche o libri, come State of the World del Worldwatch Institute, Edizioni Ambiente, Milano che esce ogni anno, NOOA, oppure I nuovi limiti dello sviluppo32, Feltrinelli, Milano, un libro che esce ogni venti anni, che misura il polso della sostenibilità fra ciò che la Terra può produrre e mettere a disposizione dell'uomo e l'impronta ecologica che l'uomo lascia con le sue attività. E' evidente che la fede nella scienza e le conseguenti possibilità di crescita tecnologica, continuano a produrre, oltre la conoscenza, anche una cultura dell'artificiale che tende a negare ogni possibilità di limite. Sembra che mentre la natura oppone suoi limiti inviolabili a ogni fenomeno fisico, chimico e biologico, l'egoismo sfrenato e l'ossessione del POTERE legati alla fantasia, giustificati dalla disuguaglianza, incoraggiati dall'egoismo, dal narcisismo e 32 D. e D. Meadows, J. Randers, I nuovi limiti dello sviluppo, cit. p. 317 28 dall'idea di onnipotenza, non ammettano limiti. Nell'indifferenza dei media e dei governi, un numero sempre crescente di ricercatori indica che seguendo gli attuali indirizzi finanziari, industriali, economici e politici, nel prossimo futuro si produrranno scenari che si concluderanno con un collasso dei sistemi sociali a livello planetario. Per queste ragioni credo che ognuno dovrebbe chiedersi: cosa posso fare io? Cosa possiamo fare collettivamente? La mia risposta è tanto semplice quanto probabilmente lontana da ogni aspettativa: dobbiamo individuare e diffondere la conoscenza dei meccanismi fisici, chimici e biologici ai quali riferire la coerenza politica, filosofica, giuridica e scientifica dell'ordine sociale, perché ciò che pensiamo e facciamo dipende unicamente dalle teorie che usiamo per interpretare ciò che osserviamo. 29 Capitolo III L'idea di un Dio onnipotente e sovrano 1. Il gioco cosmico della natura e l'illusione dell'onnipotenza umana. Purtroppo neppure l'infinita solitudine ed oscurità dello spazio che oggi siamo in grado di osservare ci rende umili partecipi del gioco cosmico di un Quid misterioso e inaccessibile alla mente che si manifesta nella realtà dell'Universo e nella vita come Natura. Questo Spirito è forse quello delle centomila religioni che nel corso dei secoli si sono affermate sulla Terra? Non so rispondere. È l'élan vital del filosofo Henri Bergson33? Ancora non so. È l'Archè, la forza misteriosa, il Principio superiore che determina il divenire della realtà la cui complessità crescente verso una meta sconosciuta ci sfugge? Forse. È lo Spirito misterioso che permea i corpi del vivente e manifesta nella specie umana la sua potenza nascosta per miliardi di anni nei processi evolutivi dell'energia, della materia e della vita, come coscienza di sé? Credo di sì. Il cervello non è ancora attrezzato per permetterci di percepire interamente la complessità del reale. Con grande difficoltà riusciamo a diventare consapevoli che quanto pensiamo è solo un frammento della realtà che possiamo osservare. Immaginiamo per un momento di poter vedere le particelle, gli atomi, le molecole, gli amminoacidi e le cellule degli organismi che compongono tutto l'esistente. Immaginiamo ancora di poter vedere i colori che i nostri occhi non sono in grado di percepire, i suoni che il nostro udito non è in grado di avvertire e gli odori che non abbiamo mai conosciuto. Disponendo di organi che permettono di percepire la realtà ultima delle cose sarebbe possibile attribuire lo stesso significato a tutti i fenomeni che si producono in natura? Certamente no. Eppure è sulla base delle nostre attuali limitate capacità che osserviamo la realtà e costruiamo le teorie dell'ordine sociale, basandoci su ipotesi di continuità col passato e su illusioni di onnipotenza creatrice. Dobbiamo, siamo costretti a prendere atto che la scienza comincia a offrirci la visione di una nuova straordinaria dimensione della realtà e questo ci dà nuove possibilità di prospettive sociali verso le quali saremo costretti ad orientarci. La scienza moderna è come una gigantesca lente di ingrandimento che possiamo usare per osservare i fenomeni naturali molto più distintamente H. Bergson (1859-1941) filosofo francese evoluzionista, Nobel nel 1927. Nel 1907 pubblicò L'evoluzione creatrice. Riteneva che la teoria di Darwin non fosse in grado di spiegare il processo evolutivo. 33 30 rispetto al passato. La dimensione dell'universo e delle particelle elementari della materia, la conoscenza dei meccanismi biologici del nostro corpo, lo studio del comportamento animale e umano: tutto ci trasporta su un piano di conoscenza molto diverso dal passato. In un brevissimo periodo di tempo (da un punto di vista evolutivo) le illusioni di onnipotenza umana a misura di un Dio creatore posto fuori della natura, formate nel corso dei secoli da molte religioni cominciano a indebolirsi. Si avvia un percorso che nel futuro produrrà nuovi modi di osservare la realtà e il comportamento sociale della nostra specie. Sarà nel corso di questo percorso che Scienza e Umanesimo troveranno la loro coerenza con le leggi conosciute della natura? Se sì molti capiranno il senso di queste splendide parole e si riconosceranno in ciò che veramente siamo: Quando Milton raffigura la prima donna in atto di specchiarsi in una fonte e tendere amorosamente le braccia verso la propria immagine, come per abbracciarla, egli dipinge nel modo più preciso il genere umano. - Questo Dio che tu adori, o uomo! questo Dio che facesti buono, onnipossente, giusto, sapientissimo, immortale, santo, sei tu stesso: cotesto ideale di perfezione è la tua immagine, purificata nello specchio ardente della tua coscienza. Dio, la natura e l’Uomo sono il triplice aspetto dell’Ente uno e identico: l’uomo è Dio stesso giunto, traverso mille evoluzioni, alla coscienza di sé; ... Non v’è altro Dio fuori di colui che dalle origini ha detto: IO; non c’è altro Dio che TE. Tali sono le ultime conclusioni della filosofia che muore svelando il mistero della religione e il proprio. 34 Da parte mia credo che sia necessario armarsi di coraggio e cominciare a diffondere questo modo nuovo di considerare anche l'ordine sociale, perché come vedremo questa idea di essere il DIVENIRE di un Quid misterioso che nei secoli abbiamo chiamato Dio, Natura, Essere è già presente nei meccanismi che presiedono al funzionamento dei sistemi fisici, chimici e biologici che ci riguardano direttamente e prima o poi si manifesterà, probabilmente attraverso una lunga e profonda rivoluzione culturale, in un nuovo modo di concepire anche l'ordine sociale; ordine che tanta parte ha agli effetti del comportamento umano, del benessere, del progresso della civiltà e della coscienza. 2. Vivete sottomessi Tenuto conto che il sapere scientifico raddoppia circa ogni dieci anni, credo che l'interconnessione e la coerenza fra Scienza e Umanesimo resa oggi 34 P. J. Proudhon, vedi: Prologo al Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria. 31 necessaria dalla crescita della complessità, sarà la chiave di accesso a un nuovo modo di pensare, di osservare e di interpretare la realtà. Tuttavia non mi nascondo che il percorso sarà lungo e pieno di difficoltà. Il cervello dell'uomo moderno sembra essere stato parassitizzato dai memi della cultura della teologia-politica e giuridica che ha attraversato i secoli bui dell'Umanità. Nonostante ciò resto convinto che sebbene la culla della vita sia stata nient'altro che un brodino sciapito e maleodorante di ammoniaca che dopo un viaggio di oltre tre miliardi e mezzo di anni ha prodotto la nostra specie, in un lontano futuro riusciremo a cogliere il significato ultimo della nostra esistenza. La chiave dell'origine della condizione umana non si trova esclusivamente nella nostra specie, perché la storia non è iniziata e non finirà con il genere umano. La chiave si trova nell'evoluzione della vita sociale degli animali nel suo complesso.35 Questo concetto è fondamentale per la comprensione di quanto seguirà, perché siamo stati creati dagli animali e il nostro comportamento, modellato dall'evoluzione, permetterà di conseguire più facilmente l'obbiettivo del benessere materiale e spirituale cooperando mutualisticamente in piccole comunità pacifiche, invece che in grandi società violente e altamente conflittuali. A scuola, per ben che sia andata, abbiamo studiato la storia della vita sulla Terra come una sorta di premessa per l'avvento dell'uomo e ci siamo abituati a considerare tutte le altre forme di vita, sia quelle presenti sia quelle che ci hanno preceduto, come inferiori, prive di intelligenza e di coscienza, inducendoci a ritenere tutti gli esseri umani come qualcosa di speciale e di unico, separati e contrapposti alla natura che possiamo dominare, soprattutto in ossequio al dogma biblico. Tuttavia oggi perfino il libero arbitrio dell'uomo, ipotesi tanto cara ai filosofi come indice di superiorità della nostra specie nei confronti delle altre specie animali, sta cedendo sotto la mannaia inesorabile della scienza. Il libero arbitrio, infatti ... ... è un prodotto del centro decisionale subconscio del cervello che dà alla corteccia cerebrale l'illusione di un'azione indipendente. Man mano che i processi fisici della coscienza sono stati definiti dalla ricerca scientifica, meno è rimasto di un fenomeno qualsiasi che intuitivamente possa essere etichettato come libero arbitrio. Come esseri indipendenti siamo liberi, ma le nostre decisioni dipendono da tutti i processi organici che hanno creato i nostri cervelli e le nostre menti. Perciò, in ultima E. O. Wilson, La conquista sociale della Terra, a cura di Telmo Pievani, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2013, p. 127. 35 32 istanza, il libero arbitrio sembra essere di natura biologica. 36 Una rivoluzione silenziosa muove i primi passi verso la consapevolezza che aspetti del nostro comportamento individuale e sociale, che in precedenza abbiamo considerato come questioni di libera scelta, in realtà sono il prodotto di forze fisiche, chimiche e biologiche geneticamente prestabilite e controllate. Purtroppo nei secoli abbiamo adottato comportamenti che rispondono al potere, al dominio, al possesso, alla predazione, alla conflittualità, alla violenza, all'autorità e alla gerarchia, come in apparenza indicava la natura e come veniva confermato dal libro dei libri la Bibbia, il testo sacro per i popoli dell'occidente. Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.37 Come potevamo sapere, migliaia di anni fa, che dall'idea di dominio della natura da parte dell'uomo sarebbero discese quelle di onnipotenza umana e della disuguaglianza senza limiti? Dovevano passare secoli e secoli prima che la scienza cominciasse a dipanare il gomitolo aggrovigliato della conoscenza, osservando i fenomeni della natura con un metodo di indagine adatto a dedurne e a verificarne le prime leggi, fino a giungere alle moderne scoperte e alla Teoria dei sistemi complessi dinamici e adattativi a cui dedico parte di questo lavoro. Tuttavia desta in me profonda meraviglia che ancor oggi, nonostante gli straordinari progressi in tutti i campi del sapere, la stragrande maggioranza delle persone non accetti l'idea che alla natura si comanda solo ubbidendole38. Come se ciò non bastasse abbiamo creduto e continuiamo a credere che sia possibile che alcuni nostri simili possano avere il privilegio di rappresentare in Terra la potenza ordinatrice e creatrice del Dio della Bibbia come verità assoluta, eterna, rivelata da un Dio immaginato a nostra somiglianza e per nostro uso, consumo e profitto: E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò. (Genesi 1, 26). È stata forse questa illusione di onnipotenza creatrice e ordinatrice dell'uomo che ponendo Dio, il Grande Sconosciuto, fuori della natura, ha permesso che si rafforzasse per secoli nell'intera umanità l'idea che la vita dell'uomo e l'ordine della sua società debbano essere incatenati alla logica biblica? Non è forse questo atteggiamento che ha permesso di continuare a usare il comportamento violento e predatorio tenuto oggi dalle nazioni più forti nei 36 Ivi, p. 320 37 Genesi, 1, 26. 38 F. Bacon (1561–1626), Noumeno organum novum, ii, aforisma 3. 33 confronti di quelle più deboli o tecnologicamente meno avanzate? Non è questa la ragione per la quale la pace planetaria fra le grandi potenze si regge ancor oggi su terribili armi di distruzione di massa? L'illusione che un Essere onnipotente possa intervenire nel corso della storia umana caricando in continuazione l'orologio degli eventi e distribuendo a suo piacimento e compiacimento miracoli, potere, ricchezza, autorità, diritto di vita e di morte su altri esseri umani e salvezza eterna dopo la morte, non ha forse contribuito e giustificato per secoli e in modo determinante a scatenare il comportamento egoista e predatorio dell'uomo, proprio della sua natura animale? Vivete sottomessi ad ogni umana autorità per amore del Signore: sia al re come al sovrano, sia ai governatori come inviati da lui per punire i malfattori e premiare quelli che fanno il bene.39 È forse sulla base della sottomissione al potere teologico-politico secolarizzato scaturito da leggende popolari e confinato nei miti e nei dogmi religiosi che sarà possibile perseguire anche nei secoli futuri il progresso della vita e della coscienza nella specie umana? Da parte mia credo che se l'informazione, in quanto conoscenza, è potere40 come molti oggi sostengono, non potremo far altro che affidarci alla necessità della sua sacralità e al modo in cui viene diffusa a tutti i livelli della società. Credo che i modi di pensare ed i comportamenti derivati dal passato si frantumeranno davanti alle scoperte della scienza e non è escluso che una nuova religione possa apparire negli anni a venire: la Religione della conoscenza e della vita, alla quale anche l'ordine sociale e il comportamento umano dovranno essere rigorosamente riferiti e connessi 3. L'uomo dopo l'uomo Dai sacerdoti dell'antico Egitto ai filosofi della Grecia a quelli moderni, si leva un ancor debole coro, ma di straordinaria armonia, sull'idea di Dio in quanto natura; idea che trova il suo massimo interprete in un filosofo ebreo, ribelle nei confronti degli assoluti della tradizione ebraica: Benedetto Spinoza, con il suo Deus sive natura cognita et incognita. Tutti ormai dovrebbero essere consapevoli che faraoni, sovrani, imperatori, papi, vescovi, profeti, tiranni, capi e despoti sono stati gli strumenti, a volte inconsapevoli, della tragedia umana della guerra e della violenza lungo i secoli 39 S. Paolo, Lettera ai Romani, cap. 13. 40 F. Bacon: Novum Organum, Tantum possumus quantum scimus, in Novum organum, cit. 1, 129. 34 in nome dell'onnipotenza di una supposta divinità: un'idea che ha fortemente influenzato il modo in cui vengono formati i governi e le leggi della comunità. La violenza che nell'Antico Testamento si presenta come intervento divino nella storia o come intervento umano nel compimento della volontà di Dio fissata dalla legge, e in quanto tale come violenza “religiosa”, rimane sempre legata all'idea di legge.41 Fa meraviglia che all'alba del terzo millennio la stragrande maggioranza delle persone non abbia ancora compreso il nesso di relazione che lega l'idea della legge alla violenza che lo "stato" può usare nei confronti della vita degli individui. È dall'età dell'Illuminismo che si rimprovera alla Bibbia e in particolare all'Antico Testamento il linguaggio della violenza. ... Il mondo in cui viviamo è funestato da una violenza di dimensioni finora sconosciute e del tutto impreviste, che si richiama esplicitamente a Dio e alle Sacre Scritture.42 Siamo ancora convinti che la teoria dell'evoluzione debba cedere il passo all'idea della creazione del mondo da parte di un'entità extraterrestre superintelligente, dotata di infinita potenza, ma fondamentalmente simile all'uomo: una sorta di primus inter pares, di cui però non sappiamo quasi nulla. Quanto diversa ci apparirebbe la realtà se anche la scienza che si occupa delle dottrine politiche riferisse i concetti dell'ordine sociale alla complessità dei sistemi e soprattutto ai limiti che la natura impone a ognuno di essi! Quanti sanno, ad esempio, che l'Universo è una immensa federazione di sistemi? Quanti hanno idea che ogni sistema ha un limite oltre il quale non può auto-organizzarsi, auto-regolarsi o espandersi pena il suo successivo crollo e dissolvimento? Da decenni, ormai, la scienza indica questi nuovi concetti. Eppure, anche se sembra incredibile, moltissime persone continuano a credere che la Terra sia stata creata alle 9.00 del mattino del giorno 22 del mese di ottobre del 4004 a. C., come aveva stabilito in un poderoso volume pubblicato nel 1650, dopo decenni di meticolose ricerche bibliche, l'arcivescovo della Chiesa d'Irlanda James Ussher. Tuttavia in un periodo di tempo estremamente breve da un punto di vista evolutivo, il campo di indagine dei fenomeni naturali si è enormemente dilatato e all'idea di onnipotenza ha cominciato progressivamente a sostituirsi quella che ogni elemento e creatura sia parte del Tutto; Tutto di cui al momento, in definitiva, non conosciamo né il significato né altro scopo che non sia quello di un misterioso DIVENIRE verso Qualcosa di inimmaginabile. 41 J. Assmann, Non avrai altro Dio, cit., p. 85. 42 Ivi, pp. 27-28. 35 Un numero sempre crescente di persone si ritrovano così ad essere umili individui, partecipi dell'universo cosmico e spirituale dal quale ricevono continui influssi modificatori del comportamento e delle scelte di vita: atomi viventi, amanti, pensanti, che si rendono progressivamente conto che c'è un forte legame di connessione e di relazione fra tutto ciò che esiste e che questo deve avere una spiegazione razionalmente deducibile anche in termini sociali. Mancherei perciò di logica coerente con le precedenti osservazioni se non cercassi nella Natura, attraverso la quale quello Spirito sconosciuto si manifesta nella realtà, la coerenza con le sue leggi eterne e inviolabili. Bisognerebbe fare in modo che le religioni monoteiste, nate dallo spirito della politica e della legislazione, fossero radicalmente depoliticizzate, così che all'ordine del politico, inconcepibile senza la violenza, si possa contrapporre un altro ordine, il cui potere si fondi sulla non violenza. Solo allora si realizzerà l'impulso iniziale del monoteismo: quello di liberare l'uomo dall'onnipotenza del cosmo, dello stato, della società o di qualsiasi altro sistema avanzasse su di noi pretese totalizzanti.43 La natura ci indica - e la scienza oggi conferma - che le componenti ed i processi per mezzo dei quali i sistemi naturali hanno permesso alla vita di affermarsi e di organizzarsi spontaneamente sulla Terra rispettano tre regole: tutta la vita ha un'insopprimibile tendenza a riprodursi; tutta la vita ha un'insopprimibile tendenza a conservarsi; tutta la vita ha un'insopprimibile tendenza a evolversi e auto-organizzarsi in vista di uno scopo inconoscibile, ma certo. Questo modo di osservare la realtà che si rivolge in primo luogo alla necessità di comprendere le leggi della complessità dinamica e dei limiti dei sistemi naturali che formano l'universo, a mio avviso giustifica e rende necessario affrontare il tema dell'ordine sociale nello spirito dell'evoluzione, senza tenere in considerazione i miti e le leggende sulla divinità sorte lungo la storia incerta e confusa del genere umano che ci è pervenuta. Questo, a mio parere, potrebbe consentirci di muovere i primi passi verso un orizzonte culturale che lascerà alle spalle le illusioni, le rivelazioni, gli assoluti, le ipotesi e le fantasie del passato, consentendoci di trovare le radici naturali e morali del comportamento umano e dell'ordine sociale. La visione dell'evoluzione come competizione cruenta cronica tra individui singoli e specie, distorsione della teoria darwiniana della "sopravvivenza del più idoneo", si dissolve dinanzi alla visione nuova di una cooperazione continua, di un'interazione forte e di una dipendenza reciproca tra forme di vita. La vita non prese il sopravvento sul globo con la lotta, ma istituendo inter-relazioni. Le forme di vita si 43 J. Assmann, idem, pp. 133-134. 36 moltiplicarono e divennero sempre più complesse attraverso una cooptazione di altre, non soltanto attraverso la loro estinzione. 44 Credo che questa consapevolezza contribuirebbe a realizzare Un Uomo dopo l'uomo veramente partecipe dell'Universo cosmico e spirituale; un uomo nuovo che dalla sua esistenza riceverebbe tutta la felicità ed il benessere compatibili con la sua animalità, i suoi limiti naturali e la sua neonata coscienza. Sarà questo l'Uomo sognato nei secoli passati da migliaia di alchimisti dell'ordine sociale, politico e religioso, che per ottenerlo non hanno esitato a usare la guerra, la violenza, la tortura, l'omicidio, la predazione, lo sfruttamento, la menzogna, l'alienazione e il dominio dell'uomo sull'uomo, in nome di un Dio artificiale o di uno Stato altrettanto immaginario? 4. Il tempo che forse non abbiamo più. Il tempo ha una funzione essenziale in relazione al verificarsi dei fenomeni. In apparenza la natura e l'uomo provengono dal tempo che nella nostra realtà appare agli scienziati come illusione in quanto “sembra non far parte della fisica”45 che si occupa dei fenomeni ripetibili sperimentalmente, mentre il tempo non è o non appare essere tale. La prima cosa che mi viene in mente riguardo al tempo è ripetere quanto ebbe a dire Sant'Agostino e cioè che è veramente difficile rispondere alla domanda su cosa esso è. Che cosa dunque è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so.46 Per questo comincerò col dire che non intendo aggiungere alcunché alle infinite definizioni del tempo date dai sacerdoti, dai filosofi e dagli scienziati, ognuna delle quali è certamente valida per l'esperienza personale di chi l'ha data, ma difficilmente lo è per tutti. È strano che sappiamo così poco sul tempo. Ci viviamo immersi attimo per attimo e non conosciamo quasi niente di ciò che esso è. Le teorie sull'inizio e sulla fine del tempo hanno prodotto una miriade di credenze e goduto di grandi fortune. I calendari che stabiliscono la durata degli anni, le divisioni dei mesi, delle ore, dei minuti e dei secondi, sono stati soggetti a continui studi e riforme. Parlando del tempo non dobbiamo mai dimenticare che se c'è stato davvero il Big-Bang, come la democrazia della scienza 47 lascia supporre, ci troviamo di L. Margulis e D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 4. Questo sostengono A. Einstein fisico, H. Bergson filosofo e scienziato, M. Heidegger filosofo, I. Prigogine fisico e molti altri. 46 S. Agostino, (334- 430) Le Confessioni, libro XI. Il concetto di tempo, 14-17. 47 Per scienza democratica qui si intende la condivisione di un'ipotesi scientifica da parte della 44 45 37 fronte a un elemento trascendentale la cui natura e spiegazione al momento sfugge all'osservazione scientifica. Andrà a finire che la democrazia della scienza scoprirà ciò che l'umanità sa già da migliaia e migliaia di anni e cioè che il tempo è una condizione, un aspetto fisico eterno e misterioso del divenire di un Quid che ha trasformato la sua energia manifestandosi come informazione, materia e vita, ovvero come Natura. Per questo, forse, le religioni, molto prima della scienza si sono occupate del tempo. Quella induista soprattutto. Secondo l'antichissima religione indù il mondo ha avuto un inizio e avrà una fine. I suoi testi sacri riportano che tutto ciò che è stato originato con la creazione sarà riassorbito, e che il periodo all'interno di tale processo ha una durata misurabile in milioni di milioni di anni. Diversamente dalle credenze ebraico-cristiane che del tempo hanno una concezione lineare con un inizio e una fine di poche migliaia di anni, l'induismo ha del tempo una concezione ciclica e ripetitiva molto più ampia, aperta, non lineare. Per gli Indù l'universo, l'uomo, la natura e tutto ciò che possiamo percepire come realtà, è manifestazione di un principio unico, superiore a tutto, increato, eterno che appare all'uomo attraverso l'immagine multiforme di molti Dei. Il tempo, essi dicono, è un aspetto dell'Essere supremo, una frammentazione della Sua unità ed eternità. La realtà che l'uomo osserva e in cui vive, rappresenta qualcosa di parziale e incompleto perché l'Atman48 non può essere osservato, né percepito; è oltre le cose ed è per questa ragione che l'uomo, non potendo conoscerlo, ne ha una visione parziale e frammentaria. Nonostante la morte, sostiene questa antica religione, l'uomo è eterno perché anche in lui abita quello stesso spirito che vive eternamente. Con la fine del presente ciclo cosmico (tempo parziale) - raccontano i testi sacri Indù - l'universo tornerà allo stato di non manifestazione e tutto ciò che esisterà sarà riassorbito nel Principio unico49 da cui è sorto e tornerà a essere eterno. Dopo di che tutto ricomincerà da capo e una nuova manifestazione – creazione, darà origine a un nuovo universo. L'uomo moderno ha dimenticato la sua origine divina, non è più capace di riconoscere il senso della vita, della morte e del tempo; vive in un mondo fatto di sola materia, di quantità, non di qualità; di menzogna, raramente di verità e così facendo si aggrappa alle cose terrene e soffre nel timore di perderle con la morte. Dimenticando la bellezza, l'armonia e la coerenza che lo lega alla natura e all'Universo, la nostra specie si avvia sempre più velocemente verso ciò che i testi sacri Indù indicano come Kali yuga: l'età della fine del tempo. È ciò che i Greci e gli Ebrei chiamavano Apocalisse, ovvero la Rimozione della manifestazione. Per gli indù, il Kali yuga è l'avvio del tempo finale: la lunga maggioranza degli scienziati. 48 L'Atman, per l'induismo, è lo Spirito universale che abita tutte le cose. 49 Bràhman. 38 fase del materialismo, del nichilismo, della quantità, della ricchezza oltre il bisogno, della sete di dominio, della violenza e del narcisismo: tutte cose che portano l'uomo al suo crepuscolo e alla notte buia dell'anima senza Dio. Secondo quest'antichissima concezione religiosa quando il mondo corre pazzamente verso il materialismo, l'egoismo, la violenza, la guerra, il relativismo e l'oscuramento dell'immagine di Dio è come se il tempo subisse un'accelerazione e tutto si proiettasse con maggiore rapidità verso l'oscurità e la morte. Tale appare essere il tempo presente, con le sue attività frenetiche, caotiche e drammaticamente pericolose per la sorte del pianeta azzurro e del genere umano. In queste condizioni avremo la volontà, la capacità e il coraggio, di adottare le misure drastiche necessarie a cambiare con rapidità ed efficienza i modelli sociali secolarizzati e incancreniti creati nel passato, dove si è formato il comportamento individuale e sociale dell'uomo moderno? Non sono sicuro che si possa. Il tempo della riforma potrebbe essere scaduto. ... Non penso che eviteremo il disastro, in una forma o nell'altra. È troppo tardi. Ci siamo spinti troppo oltre e la riforma richiederebbe troppo tempo.50 Tuttavia non si può fare a meno di sperare; bisogna sperare e tentare. Gli elementi per avviare il cambiamento positivo e razionale dell'umanità oggi ci sono tutti. Ma per dare voce alla speranza sarebbe necessario stabilire le condizioni per una nuova e più forte garanzia di rispetto dei bisogni e della dignità di ogni essere umano; garanzia che può essere stabilita soprattutto rispettando nei codici delle leggi i diritti naturali di individui umanamente, socialmente, politicamente e giuridicamente uguali. Lo stato naturale è governato da una legge di natura che è per tutti vincolante; e la ragione, che è poi quella legge stessa, insegna a chiunque soltanto voglia interpellarla che, essendo tutti gli uomini eguali e indipendenti, nessuno deve ledere gli altri nella vita, nella salute, nella libertà o negli averi.51 Anche se le idee nuove hanno bisogno di tempi lunghi e talvolta lunghissimi per manifestare i loro effetti, è accaduto talvolta che concetti rivoluzionari apparentemente sepolti, riemergano dopo secoli nella società con rinnovato e straordinario vigore essendo i tempi pronti a riceverli. Il riferimento alla natura come creatrice e ordinatrice dei sistemi sociali è probabilmente uno di questi concetti. Il modo spontaneo con il quale dovrebbero nascere le regole di comportamento sociale (le leggi) che ordinano 50 P. Russel, fisico teorico e psicologo in: La rivoluzione della coscienza, di E. Lazlo, S. Grof e P. Russel, Nuova Era, Città della Pieve, (Perugia), 2003, pp. 116-117. 51 J. Locke (1632-1704), Trattato sul governo, Editori Riuniti, Roma, 1997, p. 6. 39 la vita degli individui, dei gruppi, delle comunità e delle società, un altro. La scelta della spontaneità e della cooperazione mutualistica come strategie di comportamento da inserire nell'ordine sociale attraverso l'informazione e l'educazione un altro ancora. Nel terzo millennio esistono condizioni particolari, mai esistite nei secoli passati, per le quali tutto si può verificare a una tale velocità da lasciare aperta la via alla speranza. Se non saremo capaci di intraprendere questa nuova strada temo che la possibilità di cambiamento sarà legata a una serie di rivoluzioni violente che seguendo l'attuale modo di concepire e organizzare l'ordine sociale inevitabilmente si verificherà; oppure al verificarsi di un evento distruttivo planetario estremo come potrebbero essere la caduta di un meteorite o il cambiamento climatico che farà diminuire le risorse agricole disponibili. In effetti la percezione collettiva di un pericolo estremo o di un evento planetario distruttivo potrebbe essere la scintilla in grado di avviare la reazione a catena necessaria per svegliare la massa dal torpore e dall'inettitudine. Per quanto tempo ci ostineremo a ignorare che il modo attuale di concepire e di organizzare l'ordine sociale è una strada chiusa, dove sono destinati a cessare i sogni, le illusioni e le fantasie di un'umanità ancora fanciulla e immatura? 40 Capitolo IV L'informazione e i sistemi 1. Che cosa è e da dove viene l'Informazione? Nello scenario politico economico e religioso del terzo millennio pochissimi si chiedono che cosa sia e da dove venga l'informazione (Informare = prendere forma e funzione). Credo che l'argomento meriti una brevissima disamina. Etimologicamente il termine informazione, deriva dal latino in-formare, che significa dare o prendere forma, anche se oggi il significato più comune è dare notizie. L'informazione nasce dalla conoscenza, dall'elaborazione e dalla raccolta di dati disponibili per la comunicazione in forma tale da influenzare la percezione del ricevente che la trasforma in consapevolezza e/o azione. Il concetto di informazione in quanto dare o ricevere notizie è vasto e differenziato e deve essere misurato e analizzato come le altre entità fisiche. L’ampliamento del significato di questo termine, ma anche l’analisi dei suoi limiti e delle sue possibilità, ha conosciuto un grande sviluppo attraverso autori e scienziati operanti soprattutto nei campi della Teoria dell’informazione (Claude E. Shannon), della Teoria generale dei sistemi (Ludwig von Bertalanffy) e della Teoria della meccanica quantistica (Fritjof Capra nel campo della fisica), il fisico Paul Davies nel campo della gravità, da Richard Dawkins nel campo della biologia, ecc., che hanno sottolineato come l’informazione sia il risultato di un processo di combinazione di tre fattori (Informa-azione), che, analizzati, ci forniscono ulteriori chiavi di lettura per una sua più profonda e definita interpretazione. L'informazione, infatti, riguarda in primo luogo l'energia (forse le frequenze delle onde sonore che originano la forma, come oggi indica la cimatica52), le particelle di materia, gli atomi, le molecole e così via fino agli esseri viventi e al loro comportamento. Nei cromosomi che abitano le cellule di tutto il vivente, ad esempio, risiedono i geni costituiti da molecole di DNA, che sono una sorta di sistema di informazioni biologiche straordinariamente complesso ed efficiente, basato sugli stessi meccanismi e su gli stessi elementi fisici e chimici in ogni specie vivente. … tutti gli organismi si nutrono della differenza di entropia creata dalla forza gravitazionale. La fonte originaria dell'informazione e dell'ordine che osserviamo nel mondo vivente è la gravitazione.53 52 La cimatica è una nuova scienza che studia l'effetto morfogenetico delle onde sonore. 53 Paul Davies, Da dove viene la vita, cit., p. 6. 41 Nei sistemi complessi del vivente il meccanismo del passaggio dal caos all'ordine è dovuta all'informazione che è sempre correlata con le forze 54 che interagiscono all'interno dei sistemi. Friedrich Von Hayek, economista austriaco vincitore del Premio Nobel nel 1974, ha affermato che l'ordine spontaneo dei sistemi è l'unico compatibile con le scienze esatte perché converge con le più recenti teorie della fisica, della chimica e della biologia. In realtà l'idea di ordine spontaneo dei sistemi complessi che si auto-organizza tramite l'informazione è stata formalizzata da due premi Nobel per la chimica, Lars Onsager55 ed Ilya Prigogine56, che dedicarono la loro attenzione al passaggio dal disordine all'ordine auto-organizzato nell'evoluzione storica dell'universo. Prigogine definì come “strutture dissipative gli oggetti ed i processi che si organizzano e modificano spontaneamente la loro forma. Con l'apporto di energia le strutture dissipative possono diventare più ordinate invece che meno. Con questo aveva trovato la chiave per comprendere il passaggio dalla non vita alla vita; di più: dall'energia alla materia e da questa alla vita. Da parte sua Hayek57 sosteneva che per quanto riguarda la società umana anche la complessità del linguaggio, dei mercati e dell'ordine sociale sono emersi tramite processi e strategie evolutive spontanee di informazione e di autoorganizzazione. Se consideriamo che nella natura, nella società, nella politica e nell'economia di mercato l'ordine nasce dal caos, l'assestamento spontaneo di milioni e milioni di decisioni e di dati attraverso i quali si forma l'ordine sociale - riporta Hayek - conduce a un ordine superiore rispetto ai sistemi il cui ordine è costituito mediante piani fatti a priori, artificiali, pre-programmati, comunque prodotti da “pianificazione, controllo centralizzato, deliberazioni non spontanee, ecc..”. Secondo molti scienziati la pianificazione a priori sta cadendo in sempre maggior discredito non solo nella politica e nell'economia, ma anche nella ricerca scientifica in generale. … anche per la gravitazione si può dire lo stesso. (…) L'ordine compare spontaneamente. In termini di informazione sembra che tutto vada al rovescio.58 Davies, Prigogine e Hayek introducono così uno stretto legame di relazione fra informazione, spontaneità e ordine dal disordine nell'organizzazione dei Interazione elettromagnetica, interazione forte, interazione debole gravitazionale. 55 L. Onsager (1903-1976), chimico norvegese naturalizzato statunitens e. 56 I. Prigogine ( 1917-2003) chimico e fisico russo. 57 F. Von Hayek (1899-1992), economista e filosofo austriaco. 58 P. Davies, Da dove viene la vita, cit, p. 62. 54 42 e interazione sistemi. In realtà non conosciamo ancora perfettamente la ragione per la quale l'informazione influenza il passaggio spontaneo dal disordine all'ordine attraverso l'apporto di energia, ma siamo consapevoli che una ragione deve esistere perché questo processo interessa tutto l'Universo. È dunque evidente che in primo luogo ognuno dovrebbe essere consapevole che tutto l'universo è governato dalle stesse leggi fisiche e chimiche e che nel vivente la natura organizza spontaneamente la complessità e l'ordine dei sistemi che crea attraverso l'informazione. È la circolarità dell'informazione, infatti, che permette agli elementi e agli individui di costituire legami di relazione basati su nessi di reciprocità in grado di produrre sistemi auto-organizzati, auto-regolati ed auto-sufficienti che producono cambiamento e maggiore stabilità e sicurezza, raggiungendo nel tempo livelli evolutivi (anche di ordine sociale) superiori rispetto ai precedenti. Chi avrebbe potuto sospettare - un tempo - che le api (e non solo loro!) pensano, ricordano, prevedono, collaborano, apprendono, questuano, si scambiano cognizioni (concetti) e non solo emozioni (segnali di paura e di pericolo come in genere fanno gli altri animali), usano dialetti, sono capaci di calcolare e di indicare, con la danza, la distanza e la direzione delle fonti di approvvigionamento o la sede della nuova dimora quando sciamano, riconoscono perfettamente i colori e gli odori, costituiscono squadre di pronto intervento, hanno inventato il condizionatore, il telefono, adottano strategie vantaggiose di salvaguardia dell'ordine sociale, effettuano scelte con il procedimento della democrazia diretta e regolano i loro rapporti prevalentemente su basi di spontaneità e di cooperazione mutualistica, invece che sulla gerarchia, sull'egoismo, sulla conflittualità e sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse condivisibili, come avviene per la specie umana? Tutto ciò appare fantascientifico, lo ammetto. Ma per chi conosce bene la materia è semplicemente un insieme di osservazioni scientificamente certe. La democrazia della scienza dice oggi che ciò che ha caratterizzato l'Universo fin dalla singolarità del primo istante del Big-Bang è un processo di aggregazione mediante strutturazione spontanea di legami fisico-chimici e di associazione per permettere ai sistemi di raggiungere equilibrio dinamico degli elementi che li formano. Tutto l'Universo è governato dalle stesse leggi fisiche alle quali sottostanno sia le entità più semplici sia quelle più complesse. La natura deve però "faticare" per organizzarsi e mantenersi in strutture stabili di complessità crescente, lottando contro una sua stessa legge fisica, che vuole che dall’ordine si passi al caos e non viceversa, se non con l’impiego massiccio di energia.59 59 P. Nigra: Dialogo sui massimi sistemi, cit. 43 In natura l'ordine di un sistema deve, quindi, essere ricercato nella capacità di auto-organizzare gli elementi, le componenti ed i processi in modo tale da produrre la massima funzionalità, stabilità e sicurezza col minimo dispendio di energia necessaria all'adattamento vantaggioso all'ambiente interno ed esterno acquisendo nuova informazione. In questa ottica il passaggio dal disordine all'ordine consisterebbe in un processo spontaneo che riguarda anche le informazioni relative all'organizzazione dell'ordine sociale umano. Per queste ragioni, nel tentativo di trovare le radici naturali dell'ordine sociale, userò ciò che mi è dato conoscere dei sistemi cercando innanzitutto di rispondere alle domande su Chi siamo?, Da dove veniamo? e Dove andiamo? 2. Un tentativo di riposta alla domanda su Chi siamo? Per la scienza moderna il segreto dell'esistente è racchiuso in un punto infinitamente più piccolo di un atomo (10 elevato alla -16 a potenza). Da quel momento in poi una misteriosa forma di energia ha prodotto il tempo, lo spazio, la materia e l'informazione, senza la quale niente potrebbe esistere. Sebbene si sappia ancora troppo poco su questo straordinario evento alcuni scienziati lo ipotizzano come una singolarità60, mentre altri affermano che questa ipotesi non sarebbe necessaria. I fisici, prendendo per buona la prima e più accreditata fra le due ipotesi ritengono che il nostro universo sia nato circa 13 miliardi e 700 milioni di anni fa. Ebbene: tutte le particelle che compongono gli atomi delle stelle, delle galassie e tutto ciò che possiamo osservare, compresi gli atomi che formano il nostro corpo, è nato in prossimità dell'immensa esplosione alla quale la scienza ha dato il nome di Big-Bang. Da quel momento in poi semplici particelle di materia si raggrupparono in atomi disordinati che unendosi, autoorganizzandosi e auto-regolandosi hanno prodotto elementi, processi e sistemi sempre più complessi passando dalla semplicità dell'energia e della materia primordiale alla straordinaria complessità della vita e dell'ambiente in cui si è manifestata in miliardi di anni. Al processo di cambiamento continuo della realtà un filosofo sociale inglese, Herbert Spencer61, contemporaneo di Darwin, ha dato il nome di evoluzione cosmica. Credo che possiamo cominciare da qui a sperare di poter dipanare la matassa ingarbugliata della conoscenza necessaria a dare una risposta esauriente agli enigmi che l'Umanità si è posta fin dalla sua origine: Chi siamo? L'Umanità è come un sognatore in cammino, preso fra la fantasia del 60 La fisica indica come singolarità un fenomeno privo di orizzonte degli eventi. 61 H. Spencer (1820-1903), filosofo sociale, proposto per il Nobel nel 1902. 44 sogno e il caos del mondo reale. La mente cerca ma non trova il posto preciso e l'ora. Abbiamo creato la civiltà delle guerre stellari, con le emozioni dell'età della pietra, con istituzioni medievali e con la tecnologia del divino. Ci agitiamo. Siamo terribilmente confusi dai fatti della nostra esistenza e il pericolo per il nostro futuro. La religione non risolverà mai questo enigma.62 Posta in questi termini la questione del Chi siamo? si perviene alla conclusione di comprendere che tutto l'esistente è manifestazione del divenire nel tempo di un Quid, il Grande Sconosciuto, Dio, senza sapere cosa sia in realtà. Credo che senza l'aiuto di tre filosofi del passato, Baruch Spinoza 63, Pierre Joseph Proudhon e Giordano Bruno, difficilmente sarei pervenuto a cercare di dare questa risposta alla domanda. Il primo in Ethica more geometrico demonstrata identifica la sostanza dell'Universo con Dio (Deus sive natura cognita et incognita), ovvero la natura conosciuta e sconosciuta; il secondo in Del Principio federativo indica nel divenire della realtà materiale e spirituale dell'uomo e della società l'essenza della Sua manifestazione con queste parole: (a) Il divenire non è, qualunque cosa abbiano detto certi filosofi più mistici che profondi, una posizione di mezzo fra l'essere ed il non essere; il divenire è il movimento dell'Essere nella sua vita e nelle sue manifestazioni. 64 Il terzo anticipa nel tempo entrambe queste straordinarie intuizioni, scrivendo: Talmente dunque quel dio, come assoluto, non ha che far con noi; ma per quanto si comunica alli effetti della natura, ed è più intimo a quelli che la natura istessa; di maniera che se lui non è la natura istessa, certo è la natura della natura; ed è l'anima de l'anima del mondo, se non è l'anima istessa. ... Così a partire da Dio c'è discesa all'essere vivente, attraverso il mondo, e dall'essere vivente ascesa attraverso il mondo fino a Dio. …65 Giordano Bruno dice anche che “non essendoci nell'universo parte più importante dell'altra,” non è concesso all'uomo il primato biblico che lo impone come “possessore e dominatore del mondo” e vede l'essere umano come semplice “cooperatore dell'operante natura” (operanti naturae homines E. O. Wilson, La conquista sociale della terra, Liverlight Publishing corporation, New York - London, 2012, p. 8. 63 B. Spinoza (1632-1677), filosofo olandese. 64 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cap. Asefi, Milano 2000, III, Forme di governo, Nota. 65 G. Bruno (1548-1600), Spaccio de la bestia trionfante, in Dialoghi morali, Sansoni, Firenze, 1958, p. 783. 62 45 cooperatores esse possint). Per tutti e tre gli studiosi l'uomo, con tutta la realtà, è dunque una tappa del divenire (evoluzione) attraverso le forme, di ciò che chiamiamo Dio? È forse una vibrazione66 di natura ancora sconosciuta che le produce spontaneamente? Tutto ciò probabilmente scandalizzerà i credenti. Tuttavia potrebbe offrire alla mente di molti dubbiosi l'appiglio per cambiare radicalmente il modo di ragionare, di osservare i fenomeni naturali, di comportarsi di pensare e di agire nella consapevolezza della creazione spontanea dell'ordine sociale più favorevole allo sviluppo delle facoltà materiali e spirituali in vista di una meta sconosciuta. Per questa ragione considero l'ordine sociale il campo di allenamento dell'intelligenza e della coscienza la cui accresciuta potenza permetterà un giorno molto lontano di riconoscerci collettivamente in ciò che veramente siamo. Ovviamente la mia osservazione su Chi siamo è solo una fra le tante interpretazioni possibili; non ha alcuna pretesa di essere un dogma, non è un assoluto, tanto meno una nuova religione anche se auspico che nel futuro, attraverso la diffusione e la sacralità dell'informazione possa nascere una Religione civile della vita per il rispetto sacrale che ad essa dobbiamo in quanto manifestazione del divenire dello Spirito segreto che la abita. 3. Da dove veniamo; l'origine della vita. Vista la complessità del problema, se conversando con un ipotetico amico dovessi cercare di rispondere alla domanda: Da dove viene la vita? penso che per fare il primo passo dovrei trasformarmi in Mago Merlino o se preferite nella Fata Turchina e toccandolo con la bacchetta magica illuminerei la sua mente con il contenuto di un libro poco conosciuto: Microcosmo, pubblicato in Italia nel 1986 da Mondadori. Il libro è di una ricercatrice americana, membro della National Academy of Sciences, Lynn Margulis67 e di sua figlia Dorion Sagan, divulgatrice scientifica. Elaborato con grande semplicità e competenza Microcosmo offre una base temporale e scientificamente abbastanza certa dalla quale partire per comprendere la parte dell'evoluzione che ha prodotto la vita dalla materia e il comportamento individuale e sociale del vivente, noi compresi. La ragione del mio interesse per il contenuto di questa opera è che chiarisce come i batteri, indicati come nostri antichissimi antenati, in un arco temporale di oltre tre miliardi e mezzo di anni hanno selezionato e stabilito nei geni che abitano le cellule dei corpi di tutto il vivente (comprese quelle del nostro corpo) 66 Vedi la Teoria della cimatica descritta dallo Svizzero Hans Jenny. La cimatica che si occupa di come le forme della materia derivano dalle vibrazioni. 67 Lynn Margulis (1938-2011), Biologa, ricercatrice americana nel campo dei batteri. 46 la maggior parte delle informazioni che presiedono alla costituzione della forma, del funzionamento degli organi, del comportamento e infine della “socialità”, fenomeno biologico strettamente connesso con l'ordine sociale naturale dei sistemi viventi. L'origine della vita – sostiene la scienziata – è dovuta a semplici composti inorganici che la produssero attraverso reazioni chimiche di sintesi che cominciarono a verificarsi spontaneamente sul nostro pianeta circa 4 miliardi di anni fa oppure - il che non cambia proprio niente - in epoca diversa in qualche parte dell'universo per essere successivamente trasportati sulla Terra da meteoriti. Negli anni venti del secolo scorso il biochimico russo Aleksandr Ivanovich Oparin68 e il genetista inglese John Haldane 69, furono i primi a proporre l'ipotesi che le condizioni ambientali della Terra primordiale fossero tali da consentire la formazione di una grande quantità di molecole organiche da composti inorganici. Nel tempo lontanissimo in cui questo processo si produsse spontaneamente, infatti, il Pianeta disponeva di un alto contenuto energetico, un ambiente con grandi vulcani sottomarini, abbondanza di fulmini e di radiazione ultraviolette e un'atmosfera primitiva caratterizzata dall'assenza di ossigeno ma ricca di idrogeno, metano, ammoniaca, zolfo e soprattutto di acqua. Per i due scienziati questo poteva essere stato l'ambiente ideale per la nascita della vita. Sembra che queste condizioni abbiano favorito la formazione di un'enorme quantità di composti organici differenti e che il loro progressivo accumulo nei mari primitivi del Pianeta abbia indotto nuove reazioni chimiche che dettero origine a molecole organiche fondamentali per la futura esplosione della vita: gli amminoacidi, ovvero i mattoni con i quali sono costruite le proteine70. Nello stesso lunghissimo periodo di tempo, si formarono gli acidi nucleici71 e le membrane72, che successivamente permisero alle cellule di preservare la loro integrità strutturale rispetto all'ambiente, di favorire il passaggio delle sostanze nutritive e l'uscita degli scarti, di regolare i rapporti tra cellule, di riconoscere e respingere i corpi estranei e di elaborare e memorizzare i segnali fisici e chimici che provenivano sia dall'ambiente interno sia dall'ambiente esterno. Successivamente le proteine si associarono in sistemi macro-molecolari in grado di esprimere le fondamentali funzionalità nei sistemi del vivente: l'autoriproduzione e l'auto-conservazione. A questo punto il sistema-vita cominciò ad A.I. Oparin (1894-1960), biochimico e biologo russo. John Haldane (1892,1964), biologo e genetista inglese. Le proteine sono catene di amminoacidi; sostanze organiche composte da carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto che le nostre cellule utilizzano per crescere e per riprodursi. 71 Gli acidi nucleici sono macromolecole che provvedono alla conservazione e al trasporto dell'informazione genetica delle entità biologiche e delle cellule. 72 La membrana della cellula costituisce un “limite” fra interno ed esterno della stessa rendendola qualcosa di distinto dall'ambiente circostante. 68 69 70 47 auto-organizzarsi e ad auto-regolarsi per affrontare la sua lunghissima e pericolosa marcia verso un ignoto destino, cercando di approfittare e di tradurre in informazioni genetiche contenute nel RNA/DNA73 le migliori opportunità e comportamenti per conservarsi e per riprodursi nelle generazioni future. All'ipotesi della nascita spontanea della vita formulata quasi un secolo fa dai due scienziati si deve il merito del superamento dell'ostacolo concettuale fondamentale che fino allora aveva impedito un corretto approccio scientifico al problema della sua origine. Prima di questa ipotesi la scienza occidentale aveva cercato di spiegarne l'origine o attraverso la creazione o a opera della combinazione fra generazione spontanea e vitalismo. L'idea della generazione spontanea era che la vita fosse emersa dall'aria e dalla decomposizione della materia le quali possedevano la forza vitale che permetteva la sua rigenerazione. Il vitalismo, invece, considerava che le forme viventi fossero generate spontaneamente dalla separazione dei composti inorganici da quelli organici. In realtà furono Darwin e Pasteur74 a descrivere, per primi, l'origine della vita come un evento unico e a ipotizzare che fosse emersa dalla materia inanimata. Ma mentre Darwin sosteneva che la vita fosse nata in una piccola pozza calda, come scrisse in una lettera a un amico nel 1871, Pasteur la confinò nell'idea secolarizzata che fosse opera di un Dio creatore. Ebbene: credo che da un punto di vista dello studio e della conoscenza dell'ordine sociale umano siamo rimasti pressappoco al periodo che corrisponde alle idee della generazione spontanea e del vitalismo. Infatti la lentissima diffusione delle informazioni è restata ancorata a un pensiero teologico-politico secolarizzato permeato da errori e distorsioni ereditate da un lontanissimo passato in mancanza di adeguata conoscenza scientifica o storica. 4. Dove andiamo? Come ho già riportato nel ventesimo e ancor più nel ventunesimo siamo pervenuti a conoscenze straordinarie in tutti i campi del sapere. Quando Vladimir I. Vernadskij, scienziato mineralogista e geochimico russo scriveva nel 1926 in La biosfera75 che le fasi successive dello sviluppo della Terra sono: … “il passaggio della geosfera (materia inanimata) alla biosfera (materia vivente) e dalla biosfera alla noosfera (dalla parola greca Nous, mente, n.d.a.)) e che la diffusione e la condivisione della conoscenza trasformerà Il DNA è una lunga catena di nucleotidi che formano l'elica immortale. È il principale archivio delle istruzioni ereditarie contenute nelle cellule di tutto il vivente. Anche l'RNA è formato da acidi nucleici. 74 L. Pasteur (1822-1895), Biologo, chimico e microbiologo francese . 75 V. I. Vernadskij (1863-1945), La biosfera e la noosfera, Sellerio, Palermo, 1999. 73 48 radicalmente la biosfera”, la Teoria del caos, quella dei Sistemi dinamici complessi e adattativi, la Teoria del Tutto, come le scoperte più recenti delle materie delle quali si occupano gli scienziati della Terza cultura, non erano ancora disponibili. Anche Teilhard de Chardin76 della Compagnia di Gesù, filosofo e paleontologo, riteneva che la noosfera fosse la nuova tappa evolutiva della coscienza collettiva in cui il pensiero umano, pur continuando ad essere il prodotto di ogni singolo individuo avrebbe subito un processo di globalizzazione planetaria … “dove ognuno penserà per tutti e tutti penseranno in ognuno): un “superorganismo sociale” attraverso il quale nei secoli si manifesterà Dio. Per padre Teilhard l'Universo, se è attratto da un punto supremo di complessità e di coscienza, non può che muoversi nella direzione della crescita di entrambi. Per questa ragione il religioso postula il concetto di Punto Omega come supremo traguardo che non costituisce solo il punto di arrivo del processo evolutivo essendo la causa per la quale l'universo intero si muove nella sua direzione. Vernadskij e Teilhard de Chardin, pur nei limiti delle conoscenze del loro tempo indicano un concetto di straordinaria rilevanza per gli esseri umani: la terza fase dello sviluppo della Terra avverrà con l'interazione fra le menti di tutti gli uomini e, forse, anche degli uomini con tutto l'esistente. Sarà il Punto Omega dell'intelligenza e della coscienza che aprirà la fase critica della prossima tappa dell'evoluzione umana? Sarà questo passaggio obbligato, ancora denso di misteri, di sacrifici e di straordinarie opportunità, che ci costringerà ad adeguare il nostro comportamento al rispetto dell'ambiente e all'eliminazione delle idee di predazione, di egoismo, di violenza e di dominio e che ci metterà nella condizione di superare l'istinto animale, residuo di miliardi di anni di evoluzione della vita; istinto che, come vedremo, possiamo superare con la cultura. 5. Il Superoganismo come prossima tappa evolutiva? Fu un entomologo americano, William Morton Wheele 77 a coniare per primo, nei suoi lavori sulle formiche (1911), il termine superorganismo per indicare colonie di insetti come le formiche, le api e le termiti. La parola fu estremamente popolare al principio del secolo passato e Wheeler vi ritornò più volte nei suoi scritti. Nel celebre saggio, La colonia di formiche come organismo, ad esempio, Wheeler asserì che le colonie di questi insetti, come quelle delle api e delle termiti sono in effetti, “… dei superorganismi, non 76 77 P. Teilhard de Chardin (1881-1955), Il fenomeno umano, Queriniana, Brescia, 1995, p. 240. W. M. Wheeler (1865-1937), entomologo americano. 49 qualcosa di analogo a un organismo: una cosa del tutto nuova e diversa”. Oggi quella “cosa del tutto nuova e diversa” viene definita dai ricercatori della Terza cultura come comportamento emergente dalla proprietà non lineare dei sistemi complessi: un fenomeno universale applicabile sia all'energia, sia alle particelle elementari di materia, sia alla vita. L'esempio più significativo di proprietà non lineare e di comportamento emergente è dato proprio dalla comparsa della vita dalla materia, ma lo stesso si può dire per la comparsa degli atomi dalle particelle, delle molecole dagli atomi, dell'acqua da due atomi di idrogeno che si uniscono con uno di ossigeno, dai processi fisici del cervello-mente che producono la coscienza e via dicendo. Caratteristica comune dei sistemi complessi (come ad esempio la vita), è che quando raggiungono un certo grado di complessità e di equilibrio dinamico delle proprie componenti e lo mantengono a lungo, emergono spontaneamente dal sistema considerato cambiamenti non immaginabili a priori. Infatti: la scienza della complessità sostiene che ciò che può emergere dai sistemi in queste condizioni non è spiegabile sulla base delle leggi che governavano le singole componenti che interagiscono al loro interno, e pertanto questo fenomeno non è prevedibile a priori. Tutta la realtà che possiamo osservare intorno a noi, compresa la vita, non è che il prodotto finale di un immenso e lunghissimo processo di emergenza proprio dei sistemi aperti che investe tutto l'universo. Giunto a questo punto chi legge si chiederà sconcertato: A quale risultato pratico possono condurre queste osservazioni, che possono apparire alquanto fantascientifiche rispetto al tema concreto dell'ordine sociale? La risposta è celata nel futuro della nostra specie ma opera già nel DNA contenuto nell'elica immortale, presente in tutte le cellule del vivente. Infatti anche se la fantasia e l'illusione ci suggeriscono di essere diversi e superiori rispetto alle creature che popolano la Terra, è ormai scientificamente accertato che i meccanismi biologici genetici fondamentali che contengono le informazioni e producono la forma ed il comportamento del vivente sono identici, anche se numericamente i loro rapporti all'interno di sistemi diversi sono potenzialmente differenti. Diversamente dal passato oggi sappiamo che il processo naturale che ha preceduto la comparsa del sistema nervoso nelle forme viventi è durato circa due miliardi e mezzo di anni. Tuttavia solo verso 700 milioni di anni fa, anche in seguito ai cambiamenti dell'ambiente, si produssero le prime strutture neuronali complesse che cominciarono a interagire ed a integrarsi originando un cervello-mente come oggi lo conosciamo. Nella specie umana questo processo avviò una larga modificabilità del comportamento e migliorò la capacità di adattamento all'ambiente sia dell'individuo, sia dei gruppi sociali. Se oggi è relativamente facile indicare cosa è emerso attraverso il processo 50 dell'evoluzione del vivente, altrettanto non si può dire per ciò che è emerso nella realtà con la comparsa del Sapiens, l'uomo moderno, noi. Niente e nessuno che fosse vissuto prima di pochi milioni di anni fa, infatti, avrebbe potuto prevedere che da un salto evolutivo nella vita animale sarebbero emerse nella specie del sapiens con grande potenza e vigore rispetto alle altre specie animali, l'intelligenza e la coscienza. Ebbene, è molto probabile che a questa tappa evolutiva ne seguirà un'altra in cui dalla dimensione e dal funzionamento che assumeranno entrambe le qualità emergerà qualcosa di completamente nuovo, come è sempre accaduto nel percorso storico dei sistemi; qualcosa che solo alla nostra specie è dato immaginare, il superorganismo sociale umano. Come minuscole parti di un'enorme biosfera, la cui essenza è fondamentalmente batterica, noi, con altre forme di vita, dobbiamo giungere fino a una specie di cervello simbiotico, che è oltre la nostra capacità di capire o di rappresentare in modo giusto.78 Se riusciremo a offrire una solida spiegazione al perché del processo simbiotico del cervello con l'intera realtà che siamo in grado di percepire e di indagare, si apriranno per la nostra specie nuovi orizzonti culturali che permetteranno alle generazioni future di immaginare e di organizzare una corretta struttura dell'ordine sociale che sia ad un tempo stabile, sicura, dinamica e adattativa. In poche parole è questo che ci attende sulla via della nostra evoluzione animale: la necessità di produrre il superorganismo sociale umano ordinato sulla base delle informazioni disponibili che il nostro cervello simbiotico rapporterà spontaneamente con la realtà sociale sempre più complessa, offrendoci una dimensione dell'esistenza individuale e sociale connessa e partecipe con tutto l'osservabile. In questa ottica cominceremo a riconoscersi in ciò che veramente siamo: non il frutto di una casualità universale, né la fuga dal nulla della morte riparandosi nel rifugio della premiazione eterna da parte di una divinità creatrice, ma la semplice consapevolezza di essere manifestazione del divenire di uno Spirito inconoscibile che lungo i secoli abbiamo chiamato DIO. 78 L. Margulis, Dorion Sagan, Microcosmo, cit., pp. 160-161. 51 Capitolo V Il miracolo della vita e l'ordine sociale 1. Il gene: la radice biologica della vita e del comportamento individuale e sociale. Ho riportato che in natura i sistemi complessi del vivente si auto-organizzano e si auto-regolano per ottenere stabilità e cambiamento in vista di risparmiare energia, per stabilire un più efficiente rapporto interno e nei confronti dell'ambiente esterno, e la crescita delle informazioni disponibili nel sistema. Sembra assurdo: stabilità e cambiamento insieme! Per comprendere questa apparente contraddizione dobbiamo risalire a circa quattro miliardi di anni fa quando le condizioni fisiche e chimiche della Terra, prima dell'avvento della vita, hanno cominciato a produrre alcune sostanze organiche chiamate purine e pirimidine, i mattoni che compongono le molecole genetiche che permettono la riproduzione delle informazioni per mezzo di due acidi: uno chiamato RNA e l'altro DNA.79 Probabilmente la concentrazione di queste sostanze nel brodo primordiale di alcune pozze calde che si formarono nei mari del pianeta (come riporta Darwin), sotto l'azione dell'energia prodotta dalla luce ultravioletta del sole, permise loro di combinarsi e di produrre molecole organiche sempre più grandi e complesse. A un certo punto una di queste molecole (o l'aggregazione di un gruppo) ha prodotto, per il fenomeno dell'emersione, qualcosa di inesistente fino a quel momento: il replicone, una molecola specifica in grado di replicare se stessa. Ebbene: il replicone doveva contenere un certo numero di geni che per potersi riprodurre dovevano contenere specifiche informazioni. In queste condizioni crebbe il numero dei repliconi presenti nell'ambiente cellulare. Dalla loro unione in qualche milione di anni emerse ancora un nuovo sistema più complesso: quello dei batteri eucarioti80 che ha dato origine a tutto il vivente che possiamo osservare. La risoluzione dei problemi ebbe inizio quattro miliardi di anni or sono per mezzo della mutazione e ricombinazione di catene di DNA procariotico. La selezione naturale, conservando i batteri ed i loro discendenti che rispondono in modo più efficiente all'ambiente, immagazzinò soluzioni ai problemi del riscaldamento, della siccità, delle 79 Il DNA è un acido nucleico che contiene le informazioni genetiche necessarie alla sintesi del RNA e proteine, molecole indispensabili per lo sviluppo e per il funzionamento degli organi. 80 Procarioti, batteri senza nucleo; Eucarioti, batteri con nucleo. 52 radiazioni, ultraviolette. L'immagazzinamento avveniva in forma di sequenze informazionali di acidi nucleici e di capacità di questi acidi nucleici, RNA e DNA, di interagire con le proteine nelle loro immediate vicinanze. Mediante il trasferimento di repliconi81 … il crescere della quantità di informazioni immagazzinata nelle sequenze degli amminoacidi e delle coppie di basi di queste molecole biochimiche a catena lunga potrebbe essere seguito essenzialmente fin dalle origini della vita.82 Oggi tutto lascia pensare che la condizione più probabile per la riproduzione, per l'affermazione e per l'evoluzione della vita sulla Terra sia stata una comunità di cellule microscopiche ognuna delle quali era delimitata da una membrana plasmatica con pompe, trasportatori e canali, che conteneva circa 5.000 proteine, disponeva di almeno 600 geni nel RNA/DNA e possedeva ribosomi83. Questa sarebbe l'ipotesi scientifica più accreditata della nascita della vita sul pianeta e costituirebbe l'avvio del processo della sua evoluzione, durata oltre tre miliardi e mezzo di anni. Herbert Spencer (1820-1903), filosofo inglese che ancora non disponeva di questa conoscenza, definì il processo nell'ottica della sopravvivenza del più adatto come condizione di evoluzione a cui Charles Darwin aggiunse per selezione naturale. La conservazione delle differenze e variazioni individuali favorevoli e la distruzione di quelle nocive sono state da me chiamate "selezione naturale" o "sopravvivenza del più adatto".84 Io chiamo “selezione naturale” il principio per il quale ogni lieve variazione, se utile, si mantiene. Ma l’espressione “sopravvivenza del più adatto”, spesso usata da Herbert Spencer, è più idonea, e talvolta ugualmente conveniente.85 Doveva passare ancora un secolo dal tempo di Spencer e di Darwin prima che fossero scoperti i segreti del materiale genetico ereditario e i meccanismi attraverso i quali si trasmettono alle generazioni future le informazioni contenute nei geni dell'elica immortale. Infatti la definitiva strutturazione I replilconi sono molecole autonome di DNA che vengono replicate dall'apparato metabolico della cellula che li ospita, ma non fanno parte del genoma. 82 L. Margulis e D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 246, 247. 83 I ribosomi sono organelli che si trovano nell'ambiente cellulare. Sono responsabili della sintesi proteica. Hanno la funzione di leggere le informazioni contenute in una catena di RNA messaggero. 84 C. Darwin (1809-1882), Sulla origine delle specie, Edizioni A. Barion, Sesto San Giovanni, Milano, 1926, p. 147. 85 Ivi, cap. 3, Lotta per l'esistenza. 81 53 genetica negli organismi multicellulari fu chiarita solo alla fine degli anni '70 del ventesimo secolo, quando divennero disponibili le sequenze codificate di DNA/RNA che contengono parte delle informazioni relative alla costruzione degli organi, delle proteine, delle funzioni e del loro comportamento. “Il gene - scrive Richard Dawkins – è la parte immortale di ogni essere vivente che … tocca ogni aspetto della vita sociale, l'amore e l'odio, la lotta e la cooperazione, il donare e il rubare, la bramosia e la generosità.”86 Ebbene: noi siamo, nel bene e nel male, ciò che produce l'informazione contenuta nel complesso dei geni che abitano le cellule del nostro corpo e il nostro comportamento individuale e sociale dipende in gran parte da essi, anche se è influenzato dall'ambiente esterno e dalla cultura. Da tutto ciò mi sembra di poter dedurre che senza la conoscenza del funzionamento basilare del sistema genetico, in quanto contenitore di informazioni biologiche che influenzano il comportamento, ben difficilmente si potrà giungere a considerazioni razionali relative all'organizzazione dell'ordine sociale più vantaggioso per la crescita della coscienza e del benessere nella nostra specie. Vediamo ora molto sinteticamente come la scienza sia pervenuta, in tempo evolutivo estremamente breve a queste osservazioni. 2. Da Aristotele a Darwin. Philosophie zoologique di Lamarck, On the origin of species di Darwin e Synthetic Philosophy di Spencer, costituiscono indubbiamente i principali punti di rottura con le implicazioni della teologia-politica biblica nel corso dei secoli recenti. Alla diffusione delle opere di questi e di altri grandi ricercatori si deve l'avvio del passaggio dalla teologia-politica biblica a quella che nel futuro, almeno lo spero, sarà indicata come la teologia della natura. Infatti tutto ciò che prima di del 1859 veniva interpretato e studiato nell'ottica del contesto biblico con l'intenzione di verificare l'adesione dei risultati della nascente scienza alla parola di Dio o alla fiducia attribuita alle rivelazioni dei Profeti, con l'idea di evoluzione viene riferito all'origine della vita e al progressivo divenire di forme biologiche e di comportamenti differenziati, sperimentati biologicamente nel corso di miliardi di anni. Fino alla fine del diciannovesimo secolo, del resto, era poco conveniente o addirittura pericoloso per chiunque riportare risultati di ricerche che contraddicessero in qualche modo la dottrina della Chiesa cattolica, oppure i contenuti della Bibbia ritenuta sacra in quanto posta in stretto rapporto con la volontà e l'onnipotenza della divinità. Tuttavia, mentre la maggior parte dei naturalisti europei si sforzava di mettere 86 R. Dawkins, Il gene egoista, cit. p. 4. 54 in evidenza il collegamento di certi fossili con il periodo del Diluvio universale, pochi altri cominciarono a maturare l'idea di spingersi oltre il dogma biblico. Del resto già Aristotele aveva affermato che lo sviluppo ed il comportamento del vivente sono guidati e controllati da un piano globale, che permette agli esseri di dirigersi verso un fine prestabilito, ma ignoto. Dopo gli incidenti di Giordano Bruno, di Giulio Cesare Vanini, di Galileo Galilei e di altri eretici che sulla base di nuove osservazioni filosofiche e scientifiche cominciavano a contestare le teorie fondate sulla verità biblica, apparvero i lavori di Georges Louis Leclerc de Buffon87, dell'inglese Erasmus Darwin88, nonno del più famoso Charles e di Jean Baptiste de Lamarck 89, oggi considerato il vero padre e pioniere dell'evoluzione, che anticipò di oltre cinquanta anni le teorie di C. Darwin e di H. Spencer. Nel 1809 Lamarck presentò per primo una teoria che indicava come gli organismi viventi si modificherebbero gradualmente nel tempo. L'uso o il non uso degli organi - sosteneva – avrebbe portato ad un loro potenziamento o a un'atrofia anche negli eredi. L'ipotesi implica l'idea di fondo di Lamarck: l'ereditabilità dei caratteri acquisiti nel corso dell'esistenza. Non fu difficile, in seguito, smontare questa teoria con semplici esempi facilmente verificabili. Per esempio: un culturista non avrà necessariamente figli muscolosi; la muscolosità del culturista è, infatti, una manifestazione di ciò che riguarda la forma che deriva dall'interazione con l'ambiente (il sollevare ripetutamente pesi), che non entra a far parte del suo patrimonio genetico. Tuttavia nel XXI secolo la nuova scienza dell'epigenetica 90 sostiene che possono esistere altre interpretazioni dei fenomeni biologici legati al fenotipo (che riguarda la forma) e al genotipo (che riguarda la funzione). Ebbene, queste nuove interpretazioni favorirebbero la teoria di Lamarck per la quale alcuni aspetti del comportamento potrebbero essere trasmessi geneticamente già nella generazione successiva rispetto a quella durante la quale si sono manifestati. Lascio al lettore immaginare la potenzialità della verifica scientifica di questo assunto. 3. La scienza che nega la verità biblica. A partire dal diciannovesimo secolo, comunque, furono sempre più numerosi i ricercatori che consideravano i reperti fossili secondo un'ottica diversa rispetto a quella della Bibbia. Essi furono duramente attaccati dalla Chiesa cattolica che G. L. Leclerc de Buffon (1707-1788), matematico, cosmologo e naturalista francese. E. Darwin (1731-1802) filosofo e medico inglese. J. B. De Lamarck (1744-1829) zoologo, chimico e botanico francese. L'epigenetica è una branca della genetica che descrive le modificazioni che variano l’espressione genica ereditaria, pur non alterando la sequenza del DNA. 87 88 89 90 55 considerava le teorie evoluzioniste come vere e proprie eresie degne di scomunica o peggio di morte; esattamente come oggi fa l'Islam nei confronti degli scienziati islamici evoluzionisti. Ebbene, nonostante queste considerazioni, a distanza di circa quattrocento anni dalla morte del più grande eretico della storia (Giordano Bruno), il 18 febbraio 2000 il papa della Chiesa cattolica con una lettera inviata tramite il suo segretario di stato Sodano a un convegno su G. Bruno a Napoli esprime profondo rammarico per la sua morte atroce 91, ma la considera “un triste episodio della storia cristiana moderna” che tuttavia “non consente la sua riabilitazione perché il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana”. Agli inizi del terzo millennio la Chiesa cattolica non vuole ancora rendersi conto del cambiamento in atto, perché sa che la sua fase finale potrebbe iniziare proprio da C. Darwin che aveva scritto di non avere “il minimo dubbio sulla rigorosa e letterale verità della Bibbia”, ma si poneva più tardi l'angoscioso interrogativo di un “Dio spietato” citando il modo col quale gli Icneumonidi92 fanno a pezzi le loro prede. … non possiamo meravigliarci se tutte le combinazioni della natura non sono perfette, almeno per quanto può desumerci dal nostro giudizio, e se alcune di queste disposizioni naturali ripugnano alle nostre idee sull'adattamento delle forme. Né ci sorprenderà che l'aculeo dell'ape cagioni la morte dell'ape stessa; che i fuchi siano prodotti in sì gran numero per un solo atto; e che una gran parte di essi sia uccisa dalle sterili operaie; ... che l'ape regina abbia un odio istintivo per le proprie figlie feconde; che l'icneumone si nutra del corpo vivente dei bruchi. 93 Da problemi angosciosi come quello che si poneva C. Darwin, tuttavia, nuove idee cominciarono a scaturire dalle successive scoperte scientifiche; scoperte che portarono a reinterpretare la storia dei fossili, non più considerati in riferimento ad una prima creazione universale o al dettato biblico. Per quanto io ne sappia il libro che maggiormente influenzò il pensiero e l'opera di Charles Darwin fu Principi di geologia, scritto dal geologo scozzese Charles Lyell, di una decina di anni più anziano di lui. Con le sue ricerche in Principi di geologia pubblicato nel 1830 Lyell aveva cercato di approfondire le Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, con la lingua serrata da una morsa perché non potesse parlare o gridare, Bruno venne condotto al patibolo denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri furono gettate nel Tevere. 92 Gli Icneumonidi sono imenotteri solitari che per la maggior parte svolgono il loro ciclo di sviluppo come parassiti a spese di altri insetti. In pratica i bruchi vengono mangiati dalle larve che li mantengono in vita cibandosi prima delle parti non vitali e poi di tutto il loro corpo. 91 93 C. Darwin, Sull'origine delle specie, cit., p. 502. 56 tesi di James Hutton94, oggi considerato uno dei padri fondatori della geologia moderna, le cui concezioni sull'evoluzione della crosta terrestre erano rivoluzionarie per i tempi in cui le concepì. Lyell, inoltre, si contrapponeva al catastrofismo geologico di Georges Cuvier95, biologo francese universalmente conosciuto come il padre dell'anatomia comparata. Per approfondire le sue ricerche Cuvier si mise alla ricerca di fossili studiando in profondità le rocce. Ben presto si rese conto che usando questa tecnica apparivano tracce di stratificazioni regolari di giacimenti in cui si trovavano reperti ossei che potevano essere riportati ad ambienti e tempi differenti per i caratteri fisici e morfologici che mostravano. Tuttavia nel libro “Ricerche sulle ossa fossili” Cuvier interpretava i risultati delle sue osservazioni in senso decisamente antievoluzionistico. Infatti, accertato che in epoche passate erano vissute specie diverse ormai scomparse, riteneva che tutti i mutamenti fossero dovuti a catastrofi naturali e pensava che le specie viventi, in tempi remoti, si fossero estinte regione per regione e che in seguito le stesse regioni venissero ripopolate dal Creatore con nuove specie. Lyell, che considerava con disprezzo il catastrofismo di Cuvier indicandolo come geologia mosaica, si rese conto che i reperti fossili mostravano numerose e discontinue particolarità speciali anche dopo eventi catastrofici e non considerò mai i risultati delle ricerche nell'ottica biblica. Non riteneva le modificazioni discontinue dei reperti fossili come miracoli isolati e le osservò come se accadessero “attraverso l'intervento di cause intermedie” come “un processo naturale in contrapposizione a un processo miracoloso.”96 Sosteneva inoltre che la somma dei lenti e costanti effetti delle forze naturali aveva prodotto cambiamenti dell’ambiente e che questo avesse effettivamente operato, in tempi molto lunghi, anche sugli organismi viventi modificandoli. Tale osservazione fu alla base di ciò di cui Darwin aveva bisogno per sviluppare la sua teoria sull'origine delle specie. 4. I batteri come precursori dell'evoluzione sociale della vita. Non so a quanti politici possa oggi interessare conoscere a cosa sia dovuta l'affermazione e l'evoluzione della vita sulla Terra. La religione ha dato la sua sentenza inappellabile: la creazione da parte di Dio è argomento indiscutibile. Solo negli ultimissimi secoli abbiamo cominciato a disporre delle informazioni scientifiche necessarie per affrontare il tema della creazione in modo diverso da quello della Bibbia. Ad esempio L. Margulis scrive in proposito in J. Hutton (1726-1797), geologo scozzese considerato il padre della geologia moderna . G. Cuvier (1769-1832), biologo francese. In Osservazioni sul pensiero di Lyell, di E. Mayr (1904-2005), biologo e genetista tedesco naturalizzato americano. 94 95 96 57 Microcosmo: Corporazioni viventi, alcune cellule hanno avuto inizio dal sopravvento di un organismo ostile su un altro. ... I mitocondri sono stati i primi componenti delle corporazioni cellulari che hanno fornito indizi sulle loro origini. … Questi ed altri indizi mirano a dare la seguente spiegazione per i mitocondri: essi devono essere stati un tempo dei batteri, rintanatisi come simbionti all'interno delle cellule batteriche più grosse di loro.97 La base scientifica della citazione è costituita dal DNA mitocondriale: un organello contenuto anche nelle cellule del nostro corpo che funziona come fabbrica chimica per fornire agli organi l'energia di cui hanno bisogno. Per questa grande scienziata i mitocondri erano in origine piccoli batteri, predatori spietati, che per la prima volta erano riusciti a produrre l'energia necessaria per i loro processi biologici respirando l'ossigeno, gas tossico per tutti gli altri batteri che per produrre energia usavano altri gas presenti nell'atmosfera primordiale. Ebbene, questi piccoli batteri, dotati di maggiore energia derivante dalla respirazione dell'ossigeno aggredivano prede più grandi di loro finché, in tempi molto lunghi, cominciarono a trovare vantaggioso insediarsi stabilmente nel corpo dell'ospite dei cui scarti potevano nutrirsi. Predatore e ospite, evidentemente, traevano vantaggio reciproco dalla loro unione simbiotica in quanto il primo riusciva ad utilizzare vantaggiosamente i prodotti di scarto del secondo, mentre questo si avvantaggiava dal meccanismo della respirazione dell'ossigeno del predatore che gli forniva una maggiore quantità di energia disponibile. Così facendo i due batteri realizzavano un “nesso spontaneo di reciprocità“ biologicamente permanente trasformando stabilmente un comportamento che fino allora era stato predatorio, conflittuale e violento, in uno cooperativo e mutualistico che comportava maggiore stabilità, maggiore efficienza, minor consumo di energia e vantaggi reciproci. Ebbene, la spontaneità del legame di reciprocità basato sulla cooperazione e sul vantaggio reciproco (mutualistico) è stata anche all'origine del successo evolutivo dei gruppi e delle società animali, comprese quelle della nostra specie e hanno consentito la sopravvivenza delle specie socialmente evolute oggi esistenti sul pianeta, rispetto al 99% di quelle che si sono estinte. In sostanza la nostra esistenza come specie è dovuta a un processo spontaneo cooperativo e mutualistico che si è manifestato originariamente come “simbiosi” fra due diverse specie di batteri (un piccolo predatore e una grande preda), che l'adottarono miliardi di anni fa per migliorare la loro capacità di adattamento all'ambiente esterno attraverso una maggiore quantità di energia 97 L. Margulis e D. Sagan, Microcosmo, cit., p. 133. 58 disponibile, giungendo a trasmetterlo ai propri eredi, fino a noi. Cerchiamo di immaginare l'antenato dei nostri mitocondri: un aggressore spietato, capace di utilizzare l'ossigeno per la respirazione, quando questo gas è presente nell'ambiente, oppure di farne a meno quando è necessario. Gli antenati dei mitocondri hanno invaso altri nostri antenati batterici e si sono riprodotti al loro interno. All'inizio, gli ospiti con i loro occupanti riuscirono, anche se miseramente, a sopravvivere. Ma quando morirono trascinarono con sé i loro assalitori. Alla fine rimasero solo quelle aggregazioni i cui membri erano impegnati in una cooperazione reciproca.98 È evidente che se questo processo biologico spontaneo di cooperazione reciproca non si fosse dimostrato vantaggioso rispetto alle sfide offerte dall'ambiente interno o esterno, o se non avesse determinato un miglioramento delle capacità di riproduzione, di conservazione, di risparmio di energia e di miglioramento dell'efficienza dei sistemi sociali del vivente, le comunità di cellule e di individui che hanno popolato e popolano la Terra o sarebbero completamente diverse, o non esisterebbero affatto. Oggi, sulla base delle conoscenze raggiunte in diversi campi di indagine, possiamo addirittura andare oltre ai batteri come precursori dell'ordine sociale. Molti scienziati accettano oggi l'idea che gli animali, compreso l'uomo, siano colonie gigantesche di geni simbiotici, che nel corso di miliardi di anni hanno imparato a trasferire nelle informazioni del codice genetico, i vantaggi reciproci ottenuti dall'unione e dalla cooperazione spontanea. Dobbiamo andare al di là della teoria darwiniana, che enfatizza l'importanza degli individui, e mettere in primo piano l'importanza della comunità. … l'evoluzione dipende molto più dall'interazione fra le diverse specie che da quella fra individui della stessa specie. L'evoluzione diventa una questione di sopravvivenza dei gruppi più adatti, invece che degli individui, più adatti.99 Sulla base di queste osservazioni confermate di recente dal padre della sociobiologia E. O. Wilson in La conquista sociale della Terra (2013), credo di poter sostenere che la società umana è un processo di aggregazione biologica non solo fra individui, ma anche fra specie diverse in vista dei benefici comuni che può comportare la loro unione cooperativa e mutualistica. Credo che tutti dobbiamo riflettere per cercare di comprendere se l'evoluzione individuale e sociale sia una questione di sopravvivenza degli individui più adatti, oppure dei gruppi, delle comunità e delle società più adatte. 98, L. Margulis e D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 136. 99 Bruce Lipton, biologo cellulare americano, La biologia delle credenze, Macroedizioni, Scienza e conoscenza, trad. G. Fiorentini, Cesena, 2005, p. 50. 59 Dalla soluzione di questo problema a mio avviso dipende anche il modo di organizzare l'ordine sociale e politico dell'Umanità futura, in vista della crescita della coscienza, della stabilità, della sicurezza, del benessere e della pace. Tutto ciò, naturalmente, ammesso che vogliamo davvero cambiare il modo di organizzare la società in vista della nuova tappa che ci attende lungo il percorso della nostra inevitabile evoluzione animale. 5. Eravamo scimmie e ancor molto prima … piccolissimi batteri. Giunto a questo punto devo fare un'amara considerazione: se molti ritengono ancor oggi spregevole l'idea che indica una specie di scimmie come progenitrice della specie umana, mi immagino cosa possano pensare dell'idea che l'uomo - come riporta Lynn Margulis in Microcosmo - ha come progenitori antichissimi i batteri dai quali deriva molte delle sue qualità, funzioni e comportamenti. In effetti i batteri e la loro evoluzione sono così ricchi di significato, che la divisione fondamentale fra le forme di vita sulla Terra non è tra piante e animali, come si suppone comunemente, ma fra procarioti, organismi composti di cellule prive di nucleo cioè i batteri, ed eucarioti, cioè tutte le altre forme di vita. ... Questi organismi “fusi insieme” si evolvettero poi in forme di vita più complesse che respiravano ossigeno. Vi fu, dunque, in questo caso, un meccanismo evolutivo più brusco della mutazione: una alleanza simbiotica che divenne permanente.100 Oggi pochissimi sanno che il corpo di ogni essere umano è anche un immenso aggregato di cellule batteriche e che circa il 10 % del suo peso secco è costituito da batteri che coesistono con noi e sono assolutamente necessari alla nostra sopravvivenza. Ebbene, le cellule batteriche, che nei geni contenevano le informazioni sulla cooperazione e sul reciproco vantaggio che avrebbero portato alla costituzione spontanea delle società animali, si sono formate ai primordi della vita. Forse per questo gran parte dei paleontologi del ventesimo secolo si sono limitati a prendere in considerazione il momento in cui, circa 585 milioni di anni fa (periodo Cambriano), i reperti fossili potevano rappresentare l'inizio dell'era della vita sul pianeta e a ritenere che fosse apparsa solo allora. Tuttavia fu così che la data della creazione, più o meno 6.000 indicata nel 1650 dall'arcivescovo della Chiesa d'Irlanda James Ussher, come già riportato, cominciò a essere spostata indietro di oltre mezzo miliardo di anni. Da parte sua Darwin così conclude On the origin of species: 100 L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit. pp. 5, 7. 60 Vi ha certamente del grandioso in queste considerazioni sulla vita e sulle varie facoltà di essa, che furono impresse dal Creatore in poche forme o anche in una sola; e nel pensare che, mentre il nostro pianeta si aggirò nella sua orbita, obbedendo alla legge immutabile della gravità, si svilupparono da un principio tanto semplice, e si sviluppano ancora infinite forme, vieppiù belle e meravigliose.101 Le parole: “in poche forme o anche in una sola”, fanno pensare che Darwin avesse in mente un'idea inconfessabile al tempo in cui visse: che tutta l'evoluzione della vita fossa dipesa da una sola forma. Del resto ... ... Nulla prova che gli esseri umani siano i sommi amministratori della vita su questo pianeta, né la discendenza svilita di un'entità extraterrestre super-intelligente. C'è la prova, invece che siamo il frutto della ricombinazione di potenti comunità batteriche, con una storia di molti miliardi di anni. Facciamo parte di un intreccio aggrovigliato che deriva dall'originaria conquista della Terra da parte dei batteri. Le capacità di intelligenza e tecnologia non ci appartengono in modo specifico, ma sono di tutti i viventi.102 Ebbene, il carattere unitario e di coerenza evolutiva del piano di autoorganizzazione, che dalla materia conduce alla vita, è oggi messo in evidenza dalla scienza della biologia cellulare, della sociobiologia e dell'etologia che lo riconducono all'origine dei batteri e alla strutturazione spontanea della catena di sequenze genetiche contenute nell'elica immortale. 6. La rivoluzione della genetica: da Gregorio Mendel alla scoperta dell'Elica immortale. A partire dalla costruzione dei microscopi e dei telescopi si è avviata la grande rivoluzione della conoscenza della natura e dell'Universo. “La vita - scrive Lynn Margulis in Microcosmo - ha una storia così interessante che non ci si può permettere di perdere l'inizio. Gli storici cominciano forse lo studio della civiltà con la fondazione di Los Angeles? Così sarebbe lo studio della storia naturale se si ignorasse il microcosmo”. Da 700 milioni di anni in poi la spinta evolutiva della vita ha fatto un enorme salto qualitativo e l'evoluzione dei primi sistemi nervosi in cervelli ha permesso di elaborare in modo sempre più efficiente una quantità di informazioni disponibili mai esistita nel corso dei miliardi di anni precedenti. Da questo processo è dipesa la comparsa della nostra specie che è capace di utilizzare solo l'8/10% delle potenzialità del cervello formate in un tempo così lungo. 101 102 C. Darwin, Sulla origine delle specie, cit., p. 519. L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit., p.11. 61 Da circa ottomila a tremila anni or sono, dall'Egitto e poco dopo da un piccolo promontorio che dall'Asia minore si protende nel Mediterraneo, la Grecia, in un lampo di genio l'uomo creò la scienza. Con i tentativi di formulazione delle prime leggi naturali la scienza diventa anche un metodo di indagine sociale che esplora sistematicamente i fenomeni osservabili della natura, ricercandone incessantemente le cause che li producono e verificando sperimentalmente i risultati. Agendo sulla base rigorosa dei dati acquisiti e della loro diffusione, la scienza è diventata una sorta di impresa collettiva la cui attività complessiva è di gran lunga superiore a quella che può svolgere un singolo cervello. Ebbene, per spiegare i suoi risultati sulla trasmissione dei caratteri ereditari nelle piante, Gregorio Mendel103, un abate nato una decina di anni dopo Darwin, indicò quelli che successivamente furono chiamati geni104 come un insieme di fattori. La parola “gene” era all'inizio usata per indicare qualunque “fattore ereditario” che segue le leggi mendeliane, ma, dopo che fu chiarita la struttura chimica del patrimonio ereditario, fu riservata a un intero segmento di DNA capace di produrre un'unità biochimica fondamentale nel funzionamento di una cellula: la proteina.105 Il gene è una sequenza di DNA che controlla un carattere ereditario. Viene trascritta come unità e contiene informazioni biologiche per una sola proteina o per più proteine tra loro correlate. Oggi sembra che gli errori del nostro DNA siano sepolti nelle porzioni di DNA non codificante, quasi potessero costituire una riserva in caso di necessità in ambienti diversi dall'attuale allo scopo di offrire maggiori possibilità di sopravvivenza. L'insieme dei cromosomi che contengono i geni di una cellula è chiamato genoma e include sia i geni dell'elica immortale sia il DNA non codificante106 (o DNA spazzatura), che è circa il 98 % di quello complessivo. La scoperta della struttura del DNA è senz'altro la più importante finora compiuta dalla biologia, perché spiega che cosa è la vita, e ha posto le basi per capire tutto il resto. 107 Nel corpo umano vi sono circa diecimila trilioni di cellule ognuna delle quali G. Mendel, (1822-1884) biologo e matematico Ceco e frate agostiniano; è il precursore della moderna genetica per le sue osservazioni sui caratteri ereditari. 104 La parola gene fu coniata dal botanico danese Wilhelm Johannsen (1857-1927). 105 L. L. Cavalli Sforza, La specie prepotente, Ed. S. Raffaele, Milano, 2010, p. 51. 106 Allo stato attuale delle conoscenze non è ancora ben nota la funzione del DNA non codificante. I ricercatori ritengono che potrebbe essere una sorta di riserva di sequenze di DNA in grado di influire su geni specifici dell'elica immortale favorendone l'attivazione o impedendo il funzionamento. 107 L. L. Cavalli Sforza, ivi, cit. p. 67. 103 62 contiene un lungo filamento di DNA (circa due metri) che è l'insieme di istruzioni in grado di costruire un corpo. Le istruzioni sono scritte nell'alfabeto dei nucleotidi (A, C, G, T). 108. L'ordine con il quale i nucleotidi sono collegati fra di loro, determina il carattere ereditario. È sufficiente il cambiamento di posizione anche di un solo nucleotide per produrre effetti importanti su tutto l'organismo o sul comportamento. Oggi sappiamo che tutti gli animali, le piante, i batteri e i virus, sono macchine di sopravvivenza molto diverse fra loro, che hanno in comune alcune informazioni genetiche specifiche. Un moscerino, la drosofila, ad esempio, ha il 60% dei geni identici a quelli umani, un topo ne ha il 90%. In una banana il 50% di funzioni chimiche avvengono nello stesso modo di quelle di un organismo umano. Nonostante le grandi differenze fra i geni di una balena, di un topo, di una quercia e di una banana, la loro chimica fondamentale è molto simile e il funzionamento dei loro replicatori è sostanzialmente uguale, come in tutto il vivente. La grande scoperta di Mendel è stata dimostrare che le unità genetiche ereditarie possono essere studiate come particelle indivisibili e indipendenti. La struttura dei geni non invecchia si conserva e si riproduce, passando di corpo in corpo nel corso delle generazioni e ha la stessa probabilità di scomparire nel corso della generazione nella quale il gene si è formato, come dopo cento o mille milioni di anni. Per questo in biologia i geni vengono indicati come immortali. Appena pochi decenni fa queste informazioni non erano conosciute e l'esistente era unicamente il prodotto della creazione di una divinità immaginaria e onnipotente in grado di creare dal nulla l'esistente. 7. Darwinismo sociale e sociologia Nonostante l'abbondanza di materiale scientifico oggi disponibile che riguarda anche l'uomo e la sua società, pochissimi studiosi dell'ordine sociale hanno preso in considerazione le nuove conoscenze relative al funzionamento dei sistemi biologici complessi e super-complessi dinamici e adattativi. Solo di recente alcuni scienziati e filosofi hanno cominciato ad ammettere che la morale sociale della natura, nonostante le apparenze indichino il contrario, è superiore a quella dell'uomo. Tuttavia, anche nel presente creazionismo ed evoluzionismo sembrano essere termini difficilmente conciliabili. Ad esempio: in alcuni stati americani forti gruppi di opinione che contestano la teoria di Darwin in nome del creazionismo biblico hanno chiesto, tramite azioni legali, uguale (o addirittura superiore) 108 A - adenina, C - citosina, G - guanina, T - timina. I nucleotidi sono esteri fosforici costituiti da una base azotata, da uno zucchero e da un gruppo fosfato. 63 legittimità per la tesi creazionista durante le lezioni di Scienze nelle scuole pubbliche, e che la teoria dell'evoluzione della vita sulla Terra non sia ammessa nei programmi di studio. Altro esempio: nel 2006 le guide turistiche del Grand Canyon, Colorado, hanno ricevuto la direttiva di non rispondere a chi avesse domandato l'età del canyon (5-6 milioni di anni secondo i geologi) per non offendere la sensibilità dei fondamentalisti religiosi per i quali il mondo fu creato circa 6.000 anni a. C. . L'Islam, purtroppo, non è da meno. Secondo quanto riferisce l'Indipendent on Sunday, un importante Imam che insegna fisica all’università del Middlesex, Usama Hasan socio della Royal Astronomical Society, è stato minacciato di morte e addirittura costretto a rinnegare l’opinione da lui espressa in una conferenza tenuta a gennaio in una moschea di Londra, che la teoria darwiniana dell’evoluzione sia compatibile con l’Islam; opinione peraltro condivisa da altri studiosi islamici con formazione scientifica109. La Teoria dell'evoluzione è presa a pretesto dai musulmani integralisti per screditare quegli Imam che a parer loro sono troppo progressisti. Infatti per la religione islamica “Darwin è bestemmia” e i fedeli fanatici minacciano di apostasia110 chi condivide le idee evoluzioniste giustificando così l'uccisione del musulmano/a che si dichiarasse a suo favore. Anche la maggior parte dei filosofi sociali occidentali si è dimostrata abbastanza indifferente davanti alla scoperta di Darwin, servendosene talvolta per giustificare ipotesi filosofiche o per proteggere meschini interessi di bottega. Tuttavia la maggior parte delle opposizioni al darwinismo restano di natura religiosa o di natura ideologica; mentre i teorici marxisti estremi non la ritengono in linea con il materialismo dialettico. Questo non toglie che Karl Marx abbia utilizzato le idee esposte in “Origine delle specie, ... per fondare sulla selezione naturale la lotta di classe nella storia”111. Successivamente a L'origine delle specie, nasce l'idea del Darwinismo sociale di cui Herbert Spencer è il fondatore universalmente riconosciuto. I grandi capitalisti utilizzarono subito l'idea della sopravvivenza del più adatto unitamente all'idea di disuguaglianza come legge di natura, per giustificare i sistemi economici altamente concorrenziali e conflittuali e le stratosferiche differenze di ricchezza posseduta, dimenticando che tali sistemi possedevano alcune delle caratteristiche più brutali dell'animalità, fra le quali l'uso della violenza, il dominio, la predazione, la sopraffazione, lo sfruttamento dei più deboli e indifesi e la guerra contro popoli tecnologicamente arretrati che vivevano su territori con grandi risorse naturali. Purtroppo ancor oggi questa mentalità continua a dominare gli schemi mentali 109 Agorax vox Italia, marzo 2011, articolo di Ermanno Morgari. 110 L'Apostasia è l'abbandono di una fede religiosa. 111 Vedi: C. Zirkle, Evolution, Marxian Biology and Social Scene, University of Pennsylvania Press, p. 86. 64 della maggioranza delle persone che hanno grandi interessi economici, politici o religiosi da difendere. È evidente che in questa ottica il cambiamento del modo di concepire l'organizzazione sociale in coerenza con la legge di natura diventa una chimera. Scrive Lynn Margulis in Microcosmo: La sopravvivenza del più idoneo, un motto coniato dal filosofo Herbert Spencer, venne utilizzato dagli imprenditori alla fine dell'Ottocento per giustificare le miserabili pratiche come l'impiego di manodopera infantile, il commercio degli schiavi, e il ricorso a condizioni di lavoro disumane. Distorto al punto che solo il più spietato vince la “lotta per l'esistenza”, il concetto implicava che anche lo sfruttamento, essendo una cosa naturale, era moralmente accettabile. Andrew Carnegie112, grande industriale americano nativo in Inghilerra ricordato per aver costruito una delle più potenti corporazioni della storia e reso celebre negli ultimi anni della sua vita per l'attività filantropica e per aver fondato università, biblioteche e musei, scrisse nel 1900 che: “... dobbiamo accettare e accogliere le grandi inuguaglianze, la concentrazione degli affari, sia industriali sia commerciali, nelle mani di pochi e la legge della competizione fra questi ultimi, non solo come benefiche, ma come essenziali al futuro progresso del genere umano”. Dopo Carnegie, il nazista Himmler sostenne, infatti, che il darwinismo forniva un supporto all'idea della necessità di liberare l'Europa dagli Ebrei, da lui considerati inadatti ai fini del progresso sociale. Credo che non dovremo mai dimenticare che la natura risponde sempre alla violazione delle sue leggi e che il tempo non costituisce un ostacolo alla sua risposta che è quasi sempre improvvisa e terribile, in grado di colpire i singoli, come i gruppi, le comunità come i grandi stati. L'eccessiva disuguaglianza economica e politica fra gli individui è una di queste violazioni. 112 A. Carnegie (1835-1919) 65 Capitolo VI I sistemi complessi 1. Ilya Prigogine e la Teoria della complessità dei sistemi Ilya Prigogine113 è stato uno dei grandi protagonisti della cultura filosofica e scientifica del XX secolo. Nel 1977 gli fu conferito il premio Nobel per i suoi studi sulla chimica e per le scoperte nell'ambito della termodinamica. A partire dal 1947 insegna fisica e chimica all'Università di Bruxelles e venti anni dopo assume l'incarico di dirigere il prestigioso Center for Statistical Mechanics and Thermodynamics dell'Università del Texas. In uno studio dato alle stampe nel 1967 intitolato Structure, Dissipation and Life, Prigogine introduce il concetto di struttura dissipativa con la quale intende un sistema termodinamico aperto più o meno lontano dall'equilibrio, che scambia energia e materia con l'ambiente producendo ordine dal disordine e nuova informazione. Dal non-equilibrio - afferma Prigogine - sorge continuamente ordine ed è così che la natura crea i sistemi dissipativi, quali sono gli esseri viventi. La caratteristica del vivente è di influire sullo stato di equilibrio dell'energia assorbendola e restituendola all'ambiente sotto forma di calore. Lo scienziato sviluppa poi in senso filosofico il concetto di complessità dei sistemi facendone il cardine di una nuova logica in grado di integrare punti di vista fino allora inconciliabili: la cultura umanistica (il mondo delle arti e delle humanae litterae quali sono la grammatica, la retorica, la storia, la poesia e la filosofia, ecc.), con la cultura scientifica (il complesso delle scienze esatte quali sono la fisica, la matematica, la chimica e la biologia, ecc.). Nasce così una Nuova alleanza tra due culture tenute artificialmente separate per secoli: l'Umanesimo e le Scienze della natura. Con l'idea di struttura dissipativa Prigogine giunge al concetto di autoorganizzazione dei sistemi dinamici complessi adattativi e ponendoli fuori del terreno esclusivo della fisica e della chimica, invade la biologia, i sistemi sociali e il modo in cui essi si sono organizzati nel corso della storia umana. Da queste riflessioni nasce, nel 1979, La nuova alleanza114 il suo libro più importante, più bello e più controverso, scritto a quattro mani con la sua collaboratrice Isabelle Stengers. Per la scienza della complessità l'irreversibilità dei sistemi gioca un ruolo essenziale in natura e lungi dall'essere un'illusione è all'origine dei processi 113 I. Prigogine (1917–2003). 114 La Nuova alleanza, edito in Italia da Einaudi nel 1981. 66 biologici e della loro auto-organizzazione individuale e sociale. Con La nuova alleanza Prigogine e Stengers rispondono a Il caso e la necessità, un saggio scritto dal biochimico francese Jacques Monod 115. Se il lucido pessimismo esistenziale di Monod proclama che la scienza ha infranto l'antica alleanza tra la natura e l'uomo, Prigogine e Stengers cercano di ricomporre il dissidio sostenendo che la vita (e quindi l'uomo) non è frutto del caso, bensì delle fluttuazioni irreversibili di sistemi dinamici complessi e adattativi capaci di auto-organizzarsi. Se Darwin ci ha insegnato che l'uomo è un prodotto dell'evoluzione biologica e se Einstein ci ha insegnato che siamo immersi in un Universo in continua evoluzione, Prigogine e Stengers ci insegnano che l'intero universo è un insieme di sistemi dinamici adattativi e che gli esseri viventi e la storia dell'uomo sono un processo naturale, spontaneo indirizzato verso l'autoorganizzazione e l'auto-regolazione. Ebbene questo processo, dal punto di vista politico, è sinonimo di autogoverno degli individui come delle comunità. Con la prospettiva di osservare la storia dell'evoluzione dell'energia, della materia e della vita nel suo percorso storico di circa tre miliardi di anni, si presenta l’occasione di instaurare La nuova alleanza tra l’uomo e la natura. Sulla base di questa nuova logica l'organizzazione sociale umana dovrebbe essere concepita filosoficamente, giuridicamente, biologicamente e socialmente come un fenomeno legato alla recenti scoperte della scienza e non alle interpretazioni dedotte da dogmi teologico-politici di un oscuro passato. 2. Friedrick A. Von Hayek Nel 1974 il premio nobel F. Von Hayek e altri due premi nobel L. Onsager e Ilya Prigogine dedicarono la loro attenzione al passaggio dal disordine all'ordine auto-organizzato e spontaneo nell'evoluzione storica dell'universo. In un primo tempo Hayek aveva separato decisamente le scienze sociali dalle scienze naturali accusando di scientismo tutti coloro che cercavano di trasferire i metodi di indagine dal campo delle scienze naturali a quello delle scienze sociali, di cui l'economia è una componente fondamentale. Successivamente, soprattutto in seguito al contributo di Karl Popper 116, Hayek riduce progressivamente questa separazione, giungendo a distinguere i fenomeni semplici dai fenomeni complessi e ponendo fra questi ultimi la società umana. Con questo passaggio abbandona l'idea che fra scienze sociali e le scienze conosciute della natura debba esserci un confine netto e invalicabile. In sintonia con Popper, Hayek sostiene che il problema primario delle scienze 115 J. Monod, biologo e filosofo francese, premio Nobel per la biologia. Il caso e la necessità è stato pubblicato in Italia da Mondadori nel 1971. 116 K. Popper (1902-1994) filosofo politico austriaco naturalizzato britannico. 67 sociali è la conoscenza degli effetti non intenzionali del comportamento umano molti dei quali risultano essere imprevedibili. A questa osservazione aggiunge che per quanto riguarda la società umana anche la complessità del linguaggio, dei mercati e dell'ordine sociale sono emersi tramite processi e strategie evolutive spontanee di auto-organizzazione, come avviene in tutti i sistemi complessi naturali. Giunge così a concludere che esistono due tipi di ordine sociale: quelli costruiti a priori o a tavolino, e quelli spontanei. Un ordine è costruito a priori - riporta Hayek - quando dipende dalla volontà di qualcuno di creare esattamente un certo tipo di ordine: come ad esempio avviene quando si pone in essere una qualsiasi ipotesi ideologica politica che deve essere imposta mediante la realizzazione di piani o di strategie preconfezionate. In quanto tale, l'ordine costruito sulla base della storia, della fede in un'ideologia o di una filosofia di vita, è sempre e completamente imposto dall'alto ed ha le caratteristiche dell'accentramento, della gerarchia e della staticità, cioè cambia con molta difficoltà e generalmente degenera nella violenza. Lo scopo di un ordine artificiale costruito a priori viene congegnato in modo da servire sempre gli interessi e le aspettative di chi lo ha messo in essere ed è generalmente prodotto da conoscenza limitata e orientato verso un fine prestabilito da chi lo ha voluto creare. L'esempio più chiaro di ordine costituito artificialmente a priori è lo STATO, sinonimo di accentramento, di dominio, di gerarchia, di segreti e di instabilità. Nelle società animali, diversamente, l'ordine sociale si forma inintenzionalmente grazie alla cooperazione spontanea, altruista e cooperativa di tutti i membri della società. Questo tipo di ordine genera stabilità. Ne sono un esempio le società degli animali eusociali come le api e le formiche e le termiti la cui organizzazione sociale risale a più di cinquanta milioni di anni. Se consideriamo che anche nella società umana e nell'economia di mercato l'ordine nasce dal caos, l'assestamento spontaneo di milioni e milioni di decisioni e di dati attraverso i quali si forma l'ordine sociale - scrive Hayek porta a un ordine superiore rispetto ai sistemi il cui ordine è costruito mediante piani stabiliti a priori, ideologici, comunque prodotti da pianificazione, controllo centralizzato e gerarchico che generalmente sfocia nel parassitismo sociale, nella violenza fra gli individui e nella guerra fra popoli. Sulla base di queste osservazioni Hayek concepisce l'economia di mercato come il luogo in cui ognuno è libero di offrire beni e servizi ad altre persone che, altrettanto liberamente, possono scegliere di accettarli o rifiutarli in regime di competizione non violenta finalizzata all'interesse e al vantaggio comune. Vale qui la pena ricordare che i termini competizione e concorrenza derivano rispettivamente dal verbo latino cum-petere, che significa cercare insieme e concorrere, ovvero correre-con. Questo comportamento di libera scelta degli individui che formano il gruppo, la comunità e la società, si dimostra coerente con il modo in cui si formano le 68 regole (le leggi) che la natura adotta per organizzare le società animali che crea. La libertà è essenziale per far posto all'imprevedibile e all'impredicibile; ne abbiamo bisogno perché, come abbiamo imparato, da essa nascono le occasioni per raggiungere molti dei nostri obiettivi"117. È ormai palese, infatti, che quando gli individui possono usare le opportunità offerte da una situazione creata artificialmente (ad esempio da una Costituzione o da leggi non condivise dalla maggioranza delle persone che formano la società), adottano comportamenti e forniscono informazioni solo in apparenza altruiste e cooperative per trarne vantaggio per sé o per il limitato gruppo di appartenenza, sempre a spese di altri. In tutti i tipi di associazione, dagli stati, alle chiese, alle corporazioni, ai partiti, ai sindacati, alle lobbies, ecc., infatti, i comportamenti degli associati sono in genere mossi da élites culturali, politiche, economiche e religiose come pedine della dama in modo da promuovere e favorire gli interessi di quelli che controllano il governo o che possono partecipare alla spartizione dei vantaggi che ne possono derivare. La storia dà ampia, documentata e secolare testimonianza di questa tendenza parassitaria attraverso il modo in cui si è formato l'ordine sociale della nostra specie nei secoli passati. Per questa ragione in un sistema sociale umano ordinato artificialmente a tavolino (le ideologie e le scelte politiche dei soli rappresentanti), la concentrazione del potere politico ed economico in poche mani cresce fino a diventare un mostruosa macchina di spoliazione e di sfruttamento parassitario della ricchezza prodotta dai lavoratori e dagli imprenditori. L’elemento centrale dell’economia è fino a tal punto in loro pugno (a pochi potenti o rappresentanti, n.d.a.), che nessuno osa respirare contro il loro volere.118 Davanti a queste osservazioni credo che abbiamo veramente bisogno di una nuova cultura dell'ordine sociale che ci permetta di orientarci nell'immenso mare dell'impredicibile e dell'imprevedibile, affidandoci alle leggi conosciute della natura. 3. Diventare consapevoli che l'universo è un insieme ordinato di sistemi che si auto-organizzano e si auto-regolano spontaneamente. Se finora le analisi e gli studi relativi all'ordine sociale sono stati riferiti a 117 F. Von Hayek, La società libera, traduzione di M. Bianchi di Lavagna Malagodi, Vallecchi, Firenze, 1969. 118 Enciclica Quadragesimo anno, 1931, par. 106. 69 posteriori alla limitata storia dell'uomo, credo sia venuto il momento di rivolgere l'attenzione a ciò che di nuovo indica la Terza cultura e in particolare alla Teoria generale dei sistemi fondata da Ludwig von Bertalanffy.119 Questa Teoria nacque come risposta alle nuove conoscenze che la biologia cominciava a sviluppare agli inizi del XX secolo. Le scoperte scientifiche in ogni campo, infatti, fecero nascere la scuola di pensiero organicistica, che si opponeva a quella meccanicistica caratteristica del secolo precedente. Negli anni venti del secolo ventesimo il filosofo inglese Charlie Dumbar 120 Broad, a proposito dei sistemi coniò il termine Proprietà emergente, contraddicendo il paradigma cartesiano per il quale il comportamento del tutto può essere compreso studiando le proprietà delle sue parti. Un esempio di proprietà emergente è rappresentato dalle proprietà della mente come esito finale delle proprietà fisiche dei sistemi neuronali che, evolvendosi, hanno prodotto il cervello. La consapevolezza e la coscienza nella specie umana, infatti, sono qualità della mente che emergono e si manifestano come qualcosa di diverso rispetto alle componenti neurofisiologiche che le hanno originariamente generate negli animali, che non sarebbe stato possibile prevedere a priori. Partendo dagli studi dei sistemi complessi e delle loro proprietà emergenti, il concetto di sistema si è rapidamente diffuso fino al 1984, anno in cui Murray Gell-Mann121 fondò nel Nuovo Messico il Santa Fe Institute, che presto divenne il punto di riferimento di tutti gli scienziati che si occupano di complessità dei sistemi. Questi scienziati fanno ampio uso dei concetti di auto-organizzazione e di emergenza dei sistemi in generale, compresi quelli che si riferiscono all'ordine sociale della nostra specie. Sinceramente non mi nascondo la difficoltà di rapportare l'ordine sociale umano agli studi della complessità e dell'emergenza perché, per quanto io ne sappia, si tratta di materia del tutto nuova rispetto ai modelli teologico-politici secolarizzati attualmente adottati nel campo delle dottrine dell'ordine sociale. Del resto è osservazione comune che l'umanità sta oggi affrontando problemi di enorme portata derivanti dalla crescita esponenziale della complessità, destinati ad accrescersi diminuendo la probabilità di trovare soluzioni efficaci a risolvere i nuovi problemi che producono. Questo allontanerà la possibilità di far emergere attraverso un nuovo ordine sociale l'uomo nuovo atteso lungo i secoli da molti sognatori; un uomo dopo l'uomo che nel caos intellettuale e morale nel quale stiamo sprofondando, potrebbe permettere agli individui di buona volontà di trovare finalmente una Terra consacrata sulla quale possano unirsi in nome della scienza, della morale e della verità e parlare finalmente un linguaggio comune per costruire insieme 119 L. V. Bertalanffy, biologo austriaco, (1901- 1972). 120 C. Dunbar Broad (1887–1971), filosofo inglese. 121 M. Gell-Mann, fisico americano, premio Nobel per la fisica nel 1969. 70 un futuro dignitoso e giusto per le nuove generazioni. Sarebbe la fine definitiva delle ideologie dalle quali sono nate le categorie socio politiche, economiche e religiose che nei secoli recenti hanno diviso il mondo, creando enormi differenze fra povertà estrema e ricchezza estrema. Nelle attuali condizioni, infatti, la nostra civiltà più che a un sistema assomiglia a una grossa infezione batterica che si espande sulla superficie del pianeta. Continuando su questa strada le società moderne finiranno per esaurire le risorse della Terra e per soffocare sotto il peso dei loro rifiuti materiali o delle allucinazioni spirituali artificiali. Sarà partendo da osservazioni simili a questa che potremo produrre un nuovo modo di concepire la società per per una maggiore uguaglianza nella libertà? Da parte mia per lunghi anni ho cercato di trovare una logica che fosse in grado di dare significato al concetto di ordine sociale ricercandone le radici naturali. Solo di recente mi sono reso conto che le teorie associate ai sistemi complessi sono proprie della Terza cultura: una nuova corrente di pensiero che non si riconosce interamente nella cultura umanistica secolarizzata o in quella aridamente tecnologica. Ebbene, la Terza cultura sta producendo una nuova filosofia naturale fortemente interdisciplinare 122 che cerca di integrare diverse aree di ricerca nel tentativo sia di superare le barriere esistenti, sia di elaborare un linguaggio comune semplice e accessibile a tutti che permetta di risolvere i problemi creati nel passato. Nella terza cultura troviamo sia i pionieri della Teoria della complessità, sia filosofi, sia eminenti scienziati come Manfred Eigen biofisico e chimico premio Nobel per la chimica, Isabelle Stengers chimica e filosofa, Ilya Prigogine chimico e fisico Nobel per la chimica, Edgar Morin filosofo e sociologo, Murray Gell-Mann Nobel per la Fisica, ecc.. Lo studio dei sistemi complessi dinamici e adattativi, che è l'oggetto della Teoria della complessità, affronta sistematicamente questi e altri numerosi problemi, cercando di offrire risposte e soluzioni utili allo sviluppo della civiltà umana del futuro. 4. Sistemi chiusi e sistemi aperti. I sistemi del vivente sono costituiti da reti di elementi e componenti che interagiscono tra loro in modo locale e non lineare. Possono essere strutturalmente chiusi (quando non hanno scambi di energia o di informazioni, ad esempio una pietra), oppure funzionalmente aperti in quanto hanno continui scambi di energia, di materia e di informazioni (il vivente, l'uomo, la società, l'economia, la politica, ecc.). I sistemi aperti sono formati da un grandissimo numero e da una enorme 122 Vedi: T. Tinti, http://www.tulliotinti.net/psicofilosofia/corsocomplex.htm 71 varietà di componenti, elementi, processi e soprattutto da legami di relazione. In una singola cellula o nel corpo umano, ad esempio, tutto è in continua interazione attraverso scambi di informazioni, di materiali e di energia. Provate a immaginare la lunghezza di tutto il DNA contenuto in tutte le cellule di un solo essere umano123: venti milioni di chilometri di possibili combinazioni di quattro lettere che garantiscono al corpo l'unicità, la dinamicità, la stabilità e la forma come singolo individuo. In apparenza tutto l'esistente è come se fosse opera di un misterioso progettista. Tuttavia per comprendere l'importanza dell'emergenza nei sistemi credo sia anche necessario distinguere i sistemi lineari dai non lineari cercando di illustrarne il significato con semplici esempi. Un sistema è definito lineare se si può ridurre in tanti sotto-sistemi indipendenti che però non interagiscono tra loro; mentre è indicato come non lineare se gli elementi, le componenti e i processi che lo formano interagiscono fra loro mediante scambio di energia, di materia o di informazione. Ebbene, ogni sistema complesso dinamico e adattativo del vivente si struttura in vista di auto-organizzare e di auto-regolare il funzionamento e il comportamento dei suoi elementi e processi equilibrandoli in modo altamente efficiente, tale da permetterne la continua evoluzione accrescendo la quantità delle informazioni disponibili, risparmiando energia, migliorando l'efficienza del sistema; in poche parole creando ordine dal disordine. Proviamo adesso a immaginare di applicare questo concetto a tutta la realtà che compone l'universo e avremo un'idea di cosa si propongono di studiare gli scienziati che si occupano della Teoria della complessità. Ebbene, le osservazioni che ho riportato sopra valgono per tutto il vivente: per una singola cellula come per un batterio, per il singolo corpo umano come per una società, per un animale come per l'uomo, per un grande stato come per una piccola comunità, per la politica come per l'economia o per la religione, per l’ecologia come per un'impresa, per un ospedale come per un'azienda, per la salute come per un sistema bancario, come per qualsiasi tipo di organizzazione vivente o messa in essere dalla nostra specie. Se, per esempio, consideriamo un ospedale come un sistema complesso non lineare, scopriamo che esso è costituito da più reparti con funzioni specializzate che hanno tra di loro legami di relazione basati su continui flussi di energia, di materiali, di persone e di informazioni, in continua interazione. Questi scambi consentono sia di raggiungere l'optimum dell'efficienza, sia di creare le condizioni di spreco di energia passando dalla staticità al disordine. Ebbene: per raggiungere efficienza e risparmio di energia le componenti del sistema ospedale devono essere strettamente connesse e interdipendenti e avere fra loro forti legami di reciprocità e di cooperazione. 123 Il DNA contenuto in ogni cellula del corpo umano è lungo circa 2 metri. 72 Dai legami di relazione dei vari reparti dell’ospedale così stabiliti, infatti, emerge come un tutto organico: qualche cosa di più e di diverso rispetto alla somma dei singoli reparti che lo compongono. In queste condizioni l'ospedale nel suo complesso acquisisce proprietà, caratteristiche, qualità proprie e specifiche che nessuna delle sue singole componenti possiede. Ebbene: l'ordine di un sistema concepito su queste basi è paragonabile a quello di una singola cellula, di un singolo batterio, di un singolo organismo o al governo di una piccola comunità come di una grande società. 5. Il fenomeno dell'emergenza nei sistemi complessi. Il fenomeno straordinario dell'emergenza nei sistemi aperti complessi dinamici e adattativi del vivente che nel tempo hanno formato la realtà osservabile è uno dei misteri più affascinanti della scienza moderna. Per comprendere di cosa si tratta è necessario in primo luogo sgombrare la mente dal significato che è comunemente attribuito alla parola “emergenza” di cui mi occuperò qui molto succintamente. Infatti questa parola non si riferisce a una situazione potenzialmente pericolosa alla quale è necessario far fronte con urgenza, come comunemente si intende. Si tratta di cosa molto diversa. Nel mondo fisico-chimico, biologico e sociale il fenomeno dell'emergenza è sinonimo di auto-organizzazione. Quando un sistema esibisce nuove proprietà inspiegabili sulla base delle leggi che regolano il comportamento delle sue singole componenti, si ha il fenomeno di emergenza che scaturisce spontaneamente dalle interazioni non lineari fra i suoi elementi, componenti e processi. Essendo comune a tutti i sistemi dell'Universo questo fenomeno naturale potrebbe essere indicato come una misteriosa “emergenza del divenire”. E' forse questo il meccanismo spontaneo che produce l'evoluzione a partire da una forma di energia sconosciuta dalla quale si è manifestata nel tempo la realtà che possiamo osservare e che investe tutta la natura, compresa l'organizzazione dell'ordine sociale, le diverse forme di governo, il modo di fare le leggi, i mercati, la moneta, la finanza, la politica, l'economia, la religione, il tempo meteorologico, le fabbriche, gli ospedali, la scuola, la borsa, ecc..? Ebbene: i sistemi non lineari, in certe condizioni di stabilità dinamica, producono spontaneamente nel tempo comportamenti, proprietà, forme e funzioni emergenti; quelli lineari no. Dobbiamo tenere presente che ... Il comportamento emergente di un sistema è dovuto alla non-linearità. Le proprietà di un sistema lineare sono infatti additive: l’effetto di un insieme di elementi è la somma degli effetti considerati separatamente, e nell’insieme non appaiono nuove proprietà che non siano già presenti nei singoli elementi. Ma se vi sono termini/elementi combinati, che 73 dipendono gli uni dagli altri, allora il complesso è diverso dalla somma delle parti e compaiono effetti nuovi.124 Per esempio: l'acqua è emersa nella realtà del cosmo da una proprietà non lineare di due diversi atomi: l'idrogeno e l'ossigeno. Immagino che tutti sappiano che la molecola di acqua è un sistema composto da questi due elementi sebbene in proporzioni diverse. Il primo, l'idrogeno, è l'elemento chimico più abbondante nell'universo: un gas inodore, incolore, insapore, infiammabile, più leggero di ogni altro; il secondo, l'ossigeno, è un gas inodore, incolore, ma tossico per le prime forme di vita organica. Ebbene, oggi sappiamo che quando questi atomi si uniscono nel rapporto H2O, per le forze fisiche e chimiche che determinano la loro aggregazione si produce un elemento nuovo (una molecola di acqua) che ha un comportamento e mostra forme e proprietà completamente diverse rispetto agli atomi separati che la formano. Dunque si può dire che il sistema molecola di acqua emerge dall'unione di atomi diversi le cui leggi, comportamento e aspetto fisico sono differenti rispetto a quelle che la costituiscono. Senza acqua, infatti, non ci potrebbe essere la vita come la conosciamo. Un processo analogo a quello dell'acqua si può osservare nell'atomo di carbonio. Anche il carbonio è un elemento senza il quale la vita come noi la conosciamo non sarebbe apparsa sulla Terra. I composti chimici di cui è costituita tutta la materia vivente, noi compresi, sono formati da carbonio ridotto. Durante la fotosintesi, infatti, il carbonio viene ridotto chimicamente e quindi reso disponibile come nutrimento per funghi, batteri, ecc., che rilasciano biossido di carbonio come prodotto della loro respirazione. La versatilità del carbonio è uno dei segreti della vita sulla terra. Gli atomi di carbonio, nello stato di agitazione in cui vennero a trovarsi nelle condizioni di calore, umidità e fusione che predominavano nell'Archeano125, poterono combinarsi rapidamente con l'idrogeno, l'azoto, l'ossigeno, il fosforo e lo zolfo, dando così origine a una vasta gamma di sostanze diverse. Questo insieme di molecole contenenti carbonio continua a esistere, a interagire e a evolversi. I sei elementi che sono stati appena menzionati sono oggi il denominatore chimico comune di tutti gli esseri viventi e rappresentano il 99% in peso secco di ogni organismo. 126 Dalla combinazione dei sei elementi chimici sopra indicati sono emersi i 124 P. Bridgman (1882-1961), fisico e filosofo della scienza americano, in The Logic of Modern Physics, The Mac Millan Company, New York 1927, citato in P. Magrassi Difendersi dalla complessità, F. Angeli, 2009, p. 51. 125 L'Archeano, dal greco “inizio”, “origine”, è il più antico periodo della Terra. 126 L. Margulis e D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 42. 74 sistemi complessi degli amminoacidi, delle proteine e l'elica immortale del DNA/RNA, che in seguito hanno prodotto la vita come noi la conosciamo. La vita, dunque, è emersa dalla materia, proprio come la materia è emersa dall'energia. A chi legge sembrerà impossibile che quanto sopra riportato possa essere messo in relazione alla formazione dell'ordine sociale ma vedremo che non è così perché nei sistemi complessi l'emergenza non è prevedibile a priori con certezza. Chi avrebbe potuto prevedere che ... Procarioti indipendenti entrarono in altri procarioti. All'interno, essi cominciarono a digerire i rifiuti cellulari e i loro propri rifiuti vennero utilizzati a loro volta, come alimento. Da una condivisione così intima risultarono rapporti permanenti, in cui le cellule producevano cellule discendenti, ben adattate a vivere all'interno di altre cellule. Con il passare del tempo, queste popolazioni di batteri coevolutisi, divennero comunità di microbi. Caratterizzate da un'interdipendenza dei loro membri così marcata da essere, da un punto di vista pratico, i protisti127 La vita aveva compiuto così un altro passo, superando tutto quell'intrecciarsi di trasferimenti genetici liberi, per giungere al sinergismo della simbiosi. Organismi separati si amalgamarono creando nuovi insiemi, che erano qualcosa di più della somma delle singole parti.128 Individui o elementi isolati, infatti, non produrrebbero quel Qualcosa in più che permette la dinamicità dei sistemi nella stabilità e nel cambiamento. È ormai evidente che i comportamenti emergenti dei sistemi ultra-complessi sociali umani si verifichino in presenza di tre fatti: a) il funzionamento ottimale e spontaneo delle componenti e dei processi dei sottosistemi col minor dispendio di energia; b) una sempre maggiore quantità di informazione disponibile e diversificata; c) la capacità di auto-organizzarsi e di riorganizzarsi in presenza di perturbazioni dell'ordine che modifichino la funzionalità e l'equilibrio degli elementi e dei processi che formano il sistema. Ebbene, credo che la combinazione dal basso invece che dall'alto di queste tre condizioni potrebbe indicarci come stabilire, nel futuro, l'ordine senza violenza nelle società umane. La natura ci dimostra che i grandi cambiamenti non sono mai venuti dal "vertice", ma dal basso. Infatti per la costituzione di un sistema di livello superiore concorrono elementi che non necessariamente si evidenziano per le loro dimensioni o per il loro grado di dominanza, ma per la facilità con la quale collaborano con i propri simili e per il tipo d'informazione di cui sono in possesso. ... La ricostituzione dei gruppi sociali non avverrà perciò per iniziativa di qualche governo nazionale o 127 I protisti sono organismi viventi microscopici formati da una sola cellula di tipo eucariotico. 128 L. Margulis e D. Sagan, ivi, p. 123. 75 di qualche ente pubblico. Non avverrà neanche per la semplice addizione d'individualità culturalmente diverse spinta dal desiderio d'ipotetici vantaggi economici, ma da persone libere dalle influenze culturali dell'economia di mercato e desiderose di poter esprimere pienamente quella che è la reale natura umana: la socialità. Queste entità sorgeranno perché gli individui che le costituiranno rifiuteranno la cultura dominante della competizione e fonderanno invece la loro ragione di vita sulla collaborazione. 129 Il problema del cambiamento di paradigma rispetto al passato sta nella scelta culturale che dobbiamo compiere: se sia conveniente continuare a comportarci sulla base della logica dei concetti, dei miti e degli assoluti accumulati lungo i secoli passati che riposano sull'artificialità, sull'autorità, sul centralismo e sul monopolio della forza da parte di uno o di pochi, oppure se è preferibile ragionare sulla base di ciò che la scienza è oggi in grado di indicare come possibilità di governo di tutti da parte di ognuno (autogoverno) cooperando mutualisticamente per il bene comune. 6. Il nesso di reciprocità nei sistemi del vivente. Dallo studio dei sistemi complessi dinamici e adattativi non lineari emerge un dato assai significativo avuto riguardo al modo in cui si formano le regole dell'ordine sociale. Il successo di un sistema sociale, infatti, dipende dalla possibilità di accogliere, connettere, rendere stabili, dinamiche e reciprocamente vantaggiosi i comportamenti e le richieste della maggioranza degli individui che formano una comunità o una società in vista del bene comune. Infatti un nesso di reciprocità e di cooperazione reciproca è necessario per il funzionamento del sistema. Se non esiste, è scarso o spezzato, il sistema non giungerà mai a una condizione di stabilità dinamica. Se pensiamo che nessuno ha stabilito a priori il tenore di ossigeno nell'aria, la temperatura del globo, la composizione degli oceani, l'emergenza di una pianta da un seme, il meccanismo della riproduzione animale, la democrazia come procedimento convenzionale di scelta di comportamento vantaggioso per l'individuo e per il gruppo, ecc., ci rendiamo conto che tutto nasce spontaneamente, ma entro certi limiti e a condizioni ben determinate. Il finalismo, infatti, non esiste nei sistemi naturali, a meno che ci poniamo in una prospettiva di finalismo innato, o supposto creato; prospettiva da cui Jacques Monod ci invita ad uscire nell’ottica di una visione darwiniana e laica della scienza chiedendosi semplicemente se “La giraffa ha il collo lungo per 129 P. Nigra: Dialogo sui massimi sistemi, cit.. 76 mangiare le foglie più alte o mangia le foglie più alte perché ha il collo lungo”130. È evidente che per il darwinismo il collo della giraffa si è allungato per poter disporre vantaggiosamente di cibo più disponibile che gli altri animali non potevano raggiungere, migliorando la sua possibilità di sopravvivenza; ma la giraffa non sapeva che il suo il desiderio di disporre delle foglie più alte si sarebbe trasformato in geni biologici specifici che avrebbero prodotto l'allungamento del collo e che questo avrebbe favorito la sopravvivenza anche negli eredi. È evidente che la giraffa ha tratto beneficio dal suo collo più lungo adattandone la struttura al desiderio determinato dal vantaggio sperato di raggiungere le foglie più alte, ovvero dalla sua volontà. Ebbene: questo desiderio connesso alla volontà di scelta, valgono per la società delle giraffe come per il comportamento della specie umana. Da qui nasce la domanda che ci riguarda direttamente: come può, l'uomo, adattare il sistema dell'ordine sociale al suo benessere materiale e spirituale se gli viene impedito di manifestare il suo desiderio mediante la sottrazione artificiale e non spontanea della proprietà della sua volontà, che giuridicamente è sovranità? Non è forse questo che accade nei sistemi sociali centralizzati organizzati sulla base della rappresentanza integrale che confina la volontà di scelta politica degli individui nell'idea secolarizzata di stato sovrano accentrato derivato dalla teologia-politica, quando la volontà di scelta è limitata al solo giorno della cerimonia delle elezioni dei rappresentanti? 7. Problemi di ordine complesso e di ordine complicato Una classificazione elementare dei problemi che un sistema produce nel corso del suo funzionamento potrebbe aiutarci a comprendere come è possibile ripristinare l'equilibrio interno, quando è compromesso. I problemi che un sistema può generare sono di tre tipi: semplici, complessi e complicati. I problemi semplici sono determinati da regole elementari di causa ed effetto che li caratterizzano e sono facili da illustrare, da comprendere e da risolvere. Esempio: se hai fame, mangia, dove per eliminare il problema (la fame) la soluzione è mangiare; per eliminare un debito, la soluzione è onorarlo, per evitare la pioggia è necessario ripararsi, ecc.. I problemi complicati, diversamente, sono determinati da un numero molto elevato di regole di causa ed effetto che, se rispettate, portano sempre alla soluzione. Per esempio, il funzionamento di un computer. Il computer funziona fino al momento in cui una componente si guasta e interrompe il legame di relazione con le altre parti impedendone il funzionamento. Ebbene: noi sappiamo che i problemi prodotti dai sistemi complicati (in questo caso il 130 J. Monod (1910-1976), Il caso e la necessità. 77 guasto del computer) possono essere ridotti (da cui il riduzionismo131) a problemi semplici di cui si conosce il procedimento per arrivare alla soluzione generale. La conoscenza del computer, infatti, permette di individuare e di sostituire il meccanismo guasto, di sostituirlo e di ripristinare il funzionamento. Diciamo allora che in presenza della necessaria conoscenza e sulla base della riduzione del sistema da complicato a semplice, il comportamento del computer diventa prevedibile a priori. I problemi complessi, diversamente da quelli semplici e complicati, sono quelli in cui non è prevedibile a priori con sicurezza la relazione fra causa ed effetto. Esempi ne sono i rapporti fra persone, gli investimenti in borsa, la politica, l'economia, la religione, la finanza, il comportamento della folla, il tempo meteorologico, ecc.). Un problema, dunque, è complesso quando non si conosce il procedimento per arrivare con certezza e rapidamente alla soluzione generale prevedendo il comportamento del sistema nel suo insieme nel futuro. In questo caso si spera che attraverso un artificio di riduzione si possa renderlo complicato per poterlo poi ancora ridurre per prevederne gli esiti e intervenire sulle singole componenti per ripristinare il corretto il funzionamento, senza che la previsione sia garantita. Come tutti possono capire, infatti, prevedere, correggere e garantire con certezza, ad esempio, il percorso di un potente tornado, un terremoto, uno tsunami, il comportamento di una folla inferocita, la roulette, il corso dei mercati, l'economia o la borsa (sistemi complessi), è pressoché impossibile e il risultato sarà sempre legato alla probabilità, alla sorte, all'alea, non alla certezza. Ebbene, queste due parole, alea e certezza, come vedremo, assumeranno un'importanza fondamentale agli effetti delle soluzioni relative all'organizzazione del sistema dell'ordine sociale. Dobbiamo prendere atto che tutti i tentativi e le ipotesi di prevedere un ordine sociale perfetto effettuati nel corso di molti secoli da chi se n'è occupato per cercare di indicare quale sia il migliore per la specie umana sono falliti e che di rivoluzione in rivoluzione o di guerra in guerra, siamo giunti allo stato attuale di pericolosa instabilità politica ed economica a livello globale. Basta pensare ai morti di tutte le guerre e rivoluzioni nel corso dei secoli per appropriarsi del potere e della ricchezza, alle decine di migliaia di persone che quotidianamente muoiono di fame o per malattie facilmente curabili, alle gravi ingiustizie di chi è costretto a vivere in condizioni di miseria, a chi è oppresso da governi che non consentono la libertà di scelta, ai lavoratori depredati di ¾ della ricchezza che producono dalle fameliche consorterie e caste parassitarie di interessi politici, economici e anche religiose organizzate , che risultano 131 Per riduzionismo si intende la ricerca delle proprietà di qualunque sistema fisico in quanto riconducibili a quelle dei suoi componenti elementari e si basa sull’ipotesi che tutta la realtà possa essere ‘ridotta’ (o spiegata) in termini di particelle materiali e dei loro moviment i. 78 chiare le dimensioni dei problemi che le nuove generazioni saranno costrette ad affrontare e risolvere nel prossimo futuro. 8. La “retroazione” (feedback) nei sistemi. Prima di entrare nel discorso specifico dell'ordine nei sistemi sociali, devo introdurre molto brevemente un concetto la cui conoscenza mi appare indispensabile agli effetti della comprensione del funzionamento dei sistemi complessi aperti: il feedback (o retroazione). In un sistema complesso si ha retroazione quando una componente agisce su una seconda componente che a sua volta retro-agisce sulla prima regolandone il funzionamento in modo da stabilire un nuovo equilibrio stabile. L'interazione fra elementi diversi di un sistema aperto è caratterizzata da una retroazione regolatrice o distruttrice che può essere negativa o di inibizione, oppure positiva o di eccitazione. Il feedback negativo (di inibizione) è un processo che permette ai sistemi aperti di interagire con l'ambiente esterno scambiando sia energia (lavoro e calore) sia materia, per raggiungere una condizione di stabilità dinamica oscillando intorno al punto di equilibrio. I meccanismi di auto-organizzazione e di autoregolazione si basano perciò su processi di feedback negativo. Il termostato che accende e spegne la caldaia di casa tenendo quasi costante la temperatura è il più conosciuto di tutti i meccanismi di feedback negativo. Un altro esempio è costituito dagli ormoni che a concentrazioni alte inibiscono, per retroazione negativa, la loro stessa produzione da parte dell'organismo tenendo così in equilibrio la funzione degli organi o dei processi; un altro ancora è la coesistenza delle specie fra prede e predatori su un certo territorio la cui sopravvivenza e determinata dall'equilibrio fra le specie in rapporto alle possibilità offerte dall'ambiente. In pratica la retroazione negativa smorza automaticamente l'effetto dello scambio di energia per stabilizzare (equilibrare) in modo permanente il rapporto fra gli elementi del sistema ristabilendo ordine dal disordine. Il feedback negativo favorisce l'emergenza di nuove proprietà e comportamenti nei sistemi complessi dinamici e adattativi. Il feedback positivo in un sistema aperto, diversamente, è un processo estremamente potente di eccitazione che può far esplodere il sistema. Nella retroazione positiva una componente eccita direttamente o indirettamente una seconda, che a sua volta eccita la prima e così via di seguito. Una volta innescato questo meccanismo di amplificazione è difficile arrestarlo e in genere avvia un processo di allontanamento dall'equilibrio dinamico aumentando la richiesta di energia e indirizzando il sistema verso la crescita del disordine o il margine del caos. Nei sistemi complessi il feedback positivo accresce sia l'instabilità (effetto valanga, causalità circolare, circolo vizioso-virtuoso, prevalenza di un elemento 79 su tutti gli altri, ecc.), sia la richiesta di energia e rallenta o impedisce il cambiamento positivo e impedisce l'emergenza. Esempi di retroazione positiva possono essere le idee, le mode, le tendenze, la moneta, la spirale dell'usura, ma anche le faide tra famiglie, l'equilibrio del terrore fra grandi paesi (USA e URSS nella guerra fredda), l'accentramento in poche mani del potere di governo, lo scioglimento dei ghiacciai, lo scontro fra religioni diverse, l'acustica per la quale un suono amplificato in uscita da un altoparlante ritorna al microfono che lo ha generato producendo un fortissimo suono, ecc.. La retroazione positiva può investire anche numerosi aspetti nel sistema dell'ordine sociale, quali le ideologie, la psicologia sociale, le religioni, l'inflazione, l'economia, la guerra, i sistemi bancari, la proliferazione dei partiti, la mafia e le organizzazioni criminali, i sindacati, l'inquinamento, ecc..; tutte cose che sono in grado di avviare il sistema verso l'instabilità e il disordine. Nei sistemi aperti altamente complessi la potenza esplosiva dei fenomeni di feedback positivo che tende all'instabilità e alla mancanza di equilibrio, si intreccia costantemente con la ricerca di stabilità e di equilibrio prodotta dai feedback negativi. Infatti i due tipi di retroazione coesistono nei sistemi aperti in una sorta di polarizzazione il cui perno di equilibrio è dato dalla capacità di autoorganizzarsi e di auto-regolarsi. Non sussistendo per un certo tempo l'equilibrio dinamico che assicura il cambiamento nella stabilità (giorni, anni o secoli non ha importanza), il sistema è condannato a fare la fine del 99,% dei sistemi scomparsi in natura: vengono messi nel deposito degli scarti dell'evoluzione. Tuttavia proprio quando una perturbazione riesce ad allontanare il sistema dall’equilibrio dinamico si verificano due opposte possibilità: a) il sistema ha sufficiente energia e quantità di informazioni disponibili che gli permettono di trovare un nuovo e più vantaggioso equilibrio; b) il sistema precipita nel caos per mancanza di possibilità di auto-regolazione. Questo meccanismo riguarda tutti i sistemi aperti complessi, compreso quello dell'ordine sociale umano. Abbiamo visto che dalla possibilità di auto-organizzazione e di autoregolazione del sistema per mantenerlo in equilibrio dinamico possono emergere effetti straordinari che si traducono in nuove proprietà, forme e funzioni che gli scienziati chiamano comportamenti emergenti. Ebbene, oggi sappiamo che l'attitudine a manifestare comportamenti emergenti è presente nei sistemi delle particelle, degli atomi, delle molecole, delle cellule, dei batteri ... fino all'uomo e alla sua società in un contesto fisico, biologico ed etologico, oppure nelle macchine o nelle imprese in un contesto socio-economico, nelle credenze, nelle ideologie, nei miti e nella fede in un contesto teologico-politico, e che non sono prevedibili a priori. Pertanto anche agli effetti dell'ordine sociale umano la possibilità di autoorganizzazione e di auto-regolazione (autogoverno) dal basso è funzione 80 primaria del sistema, perché costituisce il punto di appoggio per la creazione di ordine dal disordine e di stabilità dall'instabilità ponendo le condizioni per l'emergenza di qualcosa di radicalmente nuovo e diverso rispetto al vecchio sistema. Io credo che sia necessario riflettere se sia più o meno conveniente cercare di risolvere gli attuali problemi planetari partendo dal basso pacificamente attraverso una crescita generalizzata della conoscenza e della coscienza individuale e collettiva in grado di rendere coerenti le leggi prodotte dalla ragione con quelle conosciute della natura, oppure per mezzo di regole imposte a priori dall'alto con la forza o con la violenza come quasi dovunque avviene anche agli inizi del terzo millennio. Conoscere come si producono in natura le regole dell'ordine sociale e chi le stabilisce, dovrebbe pertanto essere preoccupazione primaria di chiunque si occupi di politica, ovvero del modo di organizzare e governare una comunità. Ovviamente nessun politico darà credito a questo modo di ragionare, perché lo costringerebbe a intendere la politica in un modo radicalmente diverso da quello che gli procura privilegi e potere. 81 Capitolo VII L' ordine nei sistemi politici 1. Riconoscimento a P. J. Proudhon Mancherei di rispetto a me stesso se giunto a questo punto mancassi di onorare un grande uomo dimenticato del passato che molti anni fa, nella mia introduzione alla traduzione di Del principio federativo, ho indicato come Profeta dell'ordine sociale dell'Umanità futura: Pierre Joseph Proudhon, sociologo e filosofo autodidatta francese vissuto nel diciannovesimo secolo. Per questa ragione pubblico la definizione di ORDINE con la quale lo studioso apre il suo De la création de l'ordre dans l'Humanité ou principes d'organization politique, pubblicato nel 1843. Valuti il lettore, pur considerando la differente cultura umanistica e scientifica del suo tempo rispetto al presente, le numerose analogie del suo pensiero con le recenti acquisizioni della Teoria della complessità. 1. Chiamo ORDINE ogni disposizione seriale 132 o simmetrica. L'ordine suppone necessariamente divisione, distinzione, differenza. Ogni cosa indivisa, indistinta, non differenziata, non può essere concepita come ordinata: queste nozioni si escludono reciprocamente. 2. Le idee di intelligenza e di causa finale sono estranee alla concezione dell'ordine. Infatti, l'ordine può apparirci come risultato non previsto di proprietà inerenti alle diverse parti di un tutto: l'intelligenza non può, in questo caso, essere assegnata come principio d'ordine. - D’altronde, può esistere nel disordine una tendenza o fine segreto: la finalità non potrebbe tuttavia essere presa come carattere essenziale dell'ordine. ... 3. L'ordine è la condizione suprema di ogni persistenza, di ogni sviluppo, di ogni perfezione. 4. L'ordine, nelle sue diverse manifestazioni, essendo serie, simmetria, rapporto, è sottoposto a delle condizioni alle quali può essere scomposto e che ne sono come il principio immediato, la forma, la rag serie ione, il metro. Queste condizioni sono quelle che chiamiamo leggi. - Così, assumendo il cerchio come un tutto ordinato, l'uguaglianza fissa del raggio generatore sarà la legge. Nella serie aritmetica 3, 5, 7, 9, 11 … , la legge o ragione è 2. 5. L’espressione di una legge, o la sua descrizione, è una formula. 6. Ogni legge vera è assoluta non eccettua nulla: l'ignoranza o l'inerzia dei grammatici, moralisti, giureconsulti ed altri filosofi, ha immaginato soltanto il proverbio “Nessuna regola è senza eccezione”. La mania di imporre delle regole 132 Una serie è qui considerata come la somma degli elementi di un sistema. 82 serie alla natura, invece di studiarle, ha confermato più tardi quest'aforisma dell'ignoranza. - Nelle scienze matematiche e naturali è ammesso che ogni legge che non comprenda l'universalità dei fatti è una legge falsa, una legge nulla; la stessa cosa vale per tutte le altre scien serie ze. 7. L'ordine non è affatto qualcosa di reale, ma soltanto di formale; è l'idea inscritta nella sostanza, il pensiero espresso in ogni collezione, serie, organismo, genere e specie, come la parola nella scrittura. 8. L'ordine è tutto ciò che l'uomo può sapere dell'universo. Considerando la creazione secondo le tre categorie di sostanza, causa, relazione, troviamo che gli esseri, percettibili soltanto per noi attraverso i rapporti che sosteniamo con essi, ci restano impenetrabili nella loro sostanza; che le cause, inafferrabili nel loro principio e la loro origine, non ci lasciano intravedere che la successione dei loro effetti. I rapporti delle cose, l'ordine ed il disordine, il bello e il brutto, il bene e il male, ecco tutto ciò che cade sotto l'osservazione dell'uomo, tutto ciò che è oggetto della sua scienza. Delle tre facce dell'universo, una soltanto ci è dunque intelligibile: le altre due sono, da parte nostra, oggetto di una fede cieca, fatale. 9. Degli esseri non conosciamo che i loro rapporti: tuttavia, poiché è necessario, per i bisogni della scienza, distinguere sotto ognuna delle sue facce questo grande tutto che chiamiamo UNIVERSO, si sono dati dei nomi speciali alle cose note e alle ignote, alle visibili e alle invisibili, a quelle che si conoscono e a quelle che si credono. ... 10. Intendiamo con “causa” la forza primitiva che determina un cambiamento di stato, una produzione d'ordine o di disordine, in una parola un movimento. ... 11. “Proprietà, qualità, modo e fenomeno” sono altrettante espressioni correlative di sostanza e di causa e servono a designare in cosa l'una e l'altra siano percettibili e cioè l'ordine ed il disordine che esse pretendono. 12. Secondo queste nozioni, l'ordine, o ciò che vi è di puramente formale nella natura, essendo la sola cosa accessibile alla ragione, l'unico oggetto della scienza diventa con ciò stesso la sola REALTÀ per la ragione. C'è un ordine, o sistema133naturale dei corpi celesti, dimostrato da Newton; Un sistema delle piante, riconosciuto da Jussieu; Un sistema di zoologia, di cui Cuvier è il principale inventore; Un sistema di chimica, che Lavoisier ha più o meno completamente formulato; Un sistema di numerazione, ammesso sin dalla più remota antichità; Dei sistemi di composizione molecolare, di riproduzione organica, di cosmogonia, di grammatica, di arte e di letteratura, ancora poco conosciuti, ma che tendono a emergere dai veli che li ricoprono ed a costituirsi in modo assoluto. Allo stesso modo esiste un sistema naturale di economia sociale, intravisto o presentito dai legislatori, che si sono sforzati di conformarvi le loro leggi: sistema che ogni giorno l'umanità “realizza” e che mi propongo di riconoscere. 133 Il grassetto è mio per far notare come Proudhon abbia anticipato, qui come in diverse altre occasioni, l'importanza della conoscenza dei SISTEMI agli effetti della ricerca della definizione del modo di stabilire la legge nell'ordine sociale. 83 13. Negli esseri inorganici o privi di ragione l'ordine si produce in virtù di forze inconsce, cieche, infallibili, e secondo delle leggi sconosciute ad essi; negli esseri dotati di ragione in virtù di forze che si sentono attraverso questa ragione che esse sono soggette a deviare, e secondo le leggi che questi esseri sono chiamati a conoscere. In altri termini, gli esseri rozzi obbediscono alle loro leggi senza averne l'intelligenza: l'Umanità non si organizza che attraverso la conoscenza riflessa, e, se posso dirlo in tal modo, attraverso l'elaborazione che essa fa da sé delle proprie leggi. Ora, questa intelligenza delle nostre leggi, non l'otteniamo in modo istantaneo e attraverso una percezione macchinale, ma attraverso un lungo sforzo di contemplazione, di ricerca e di metodo. Da qui tre grandi epoche nella formazione della conoscenza umana, la Religione, la Filosofia, la Scienza. 14. Chiamo RELIGIONE l'espressione istintiva, simbolica e sommaria attraverso la quale una società nascente manifesta la sua opinione sull'ordine universale. In altri termini, la Religione è l'insieme dei rapporti che l'uomo, nella culla della civiltà, immagina esistere tra lui, l'Universo e DIO, l'Ordinatore supremo. ... 15. Intendo con FILOSOFIA questa aspirazione a conoscere, questo movimento dello spirito verso la scienza che succede alla spontaneità religiosa e si pone come antitesi della fede: aspirazione e movimento che non sono ancora né scienza né metodo, ma indagine dell'una e dell'altro. ... 16. La religione e la filosofia hanno in comune il fatto che abbracciano l'universo nelle loro contemplazioni e nelle loro ricerche, il che toglie loro ogni specialità e con ciò stesso ogni realtà scientifica; che nelle loro elucubrazioni o fantasie esse procedono “a priori”, senza posa discendendo, con un certo artificio retorico, dalle cause agli effetti, o risalendo dagli effetti alle cause, e fondandosi costantemente, l'una sull'idea ipotetica e indeterminata di Dio, dei suoi attributi, dei suoi disegni; l'altra su delle generalità ontologiche, sprovviste di consistenza e di fecondità. ... 17. Chiamo SCIENZA la comprensione, chiara, completa, certa e ragionata dell'ordine. Il carattere proprio della Scienza è, al contrario della religione e della filosofia, di essere speciale, e, secondo questa specialità, di aver un metodo d'invenzione e di dimostrazione che esclude il dubbio e non lascia nulla all'ipotesi ... Ovunque la Scienza non ha piantato le sue prime pietre miliari, vi è religione o filosofia, e cioè ignoranza o delusione 18. Chiamerò METAFISICA la teoria universale e suprema dell'ordine, teoria i cui metodi peculiari delle diverse scienze sono altrettante applicazioni speciali. Così la geometria e l'aritmetica sono due dipendenze della metafisica, che dà ad ognuna di esse la certezza e le abbraccia nella sua generalità. L'oggetto della metafisica è: 1° di fornire dei metodi ai rami di studi che ne sono mancanti, e di conseguenza di creare la scienza là dove la religione e la filosofia la chiamano; 2° Di dimostrare il criterio assoluto della verità; 3° Di fornire delle conclusioni sullo scopo comune delle scienze, e cioè sull'enigma di questo mondo, e l'ulteriore destino del genere umano. 19. Intendo con PROGRESSO la marcia ascensionale dello spirito verso la Scienza, attraverso le tre epoche consecutive di Religione, Filosofia, e Metafisica o metodo. 84 Di conseguenza, il Progresso non si occupa dell'accumulazione delle scoperte che il tempo porta in ogni specialità, ma della costituzione e della determinazione stessa delle scienze. Comprendo la meraviglia e la perplessità del lettore davanti a quanto ho sopra riportato. Tuttavia lo invito a considerare che De la création de l'ordre dans l'Humanité è stato pubblicato nel 1843 e che Darwin pubblicò L'origine delle specie nel 1859. Dovevano passare sedici anni prima che Proudhon potesse disporre degli elementi fondamentali della Teoria dell'evoluzione delle specie. Nonostante ciò intuì che il perno regolatore dell'ordine in tutti i sistemi sociali è la legge. È la legge, infatti, che permette alla maggioranza degli associati di auto-regolare i rapporti sociali producendo ordine dal disordine in vista del risparmio di energia, della stabilità e dell'efficienza delle istituzioni e della pace: tutti elementi che concorrono a realizzare il bene comune. La creazione di ordine dal disordine per mezzo della legge è quanto di più importante gli esseri umani possano conoscere sull'ordine sociale, perché dal modo in cui si forma e da chi è deliberata e fatta osservare, dipende il successo o l'insuccesso materiale e spirituale del gruppo, della comunità o della società. A distanza di venti anni da De la création de l'ordre dans l'Humanité infatti, in Del principio federativo (cap. VI), Proudhon pone la legge quale perno di equilibrio dell'Autorità con la Libertà: due elementi che considera essenziali agli effetti del successo, in termini di stabilità e di benessere, del sistema dell'ordine sociale. Questo doppio moto, l'uno di recessione l'altro di progresso, che si risolve in un unico fenomeno, risulta ugualmente dalla definizione dei principi, dalla loro collocazione relativa e dai loro ruoli; anche qui nessun equivoco è possibile, né vi è il più piccolo spazio per l'arbitrario. Il fatto è di un'evidenza oggettiva e di una certezza matematica; è ciò che noi chiameremo una legge. Definire la legge condivisa dalla maggioranza degli individui che formano la comunità per mezzo di una convenzione (tale è la Democrazia) in grado di equilibrare l'Autorità con la Libertà, è certamente fondamentale per la creazione dell'ordine sociale, perché è coerente con la spontaneità mediante la quale la natura organizza l'ordine delle società animali che crea. Quasi cento anni prima di Proudhon un emigrante toscano in America nello stato della Virginia, Filippo Mazzei, 134 discute nell'aprile del 1776 con Jefferson di cui era amico i problemi legati alla Costituzione del nuovo Stato che si era dichiarato indipendente dall'Inghilterra. Ma quando il toscano gli chiede di contribuirvi con sue proposte, Jefferson si rifiuta di leggerle durante la Convenzione. Il 4 luglio 1776, a Filadelfia, si incontrano i rappresentanti delle 134 F. Mazzei (1730-1816) 85 tredici colonie in Congresso Generale ed adottano la Dichiarazione di indipendenza. Ebbene le parole: "Noi teniamo per certe queste Verità. Che tutti gli Uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili ..." attribuite a Thomas Jefferson, dopo oltre due secoli risulteranno essere state scritte da Mazzei, vicino di casa di Jefferson, che le aveva copiate da lui. Fu così che il pensiero di un immigrante toscano fu incarnato nel documento della fondazione degli Stati Uniti d'America. Questo contributo è ammesso, fra gli altri, anche da John F. Kennedy nel suo libro “Una Nazione di Immigranti” in cui afferma che … "La grande dottrina “Tutti gli uomini sono creati uguali … ” attribuito nella Dichiarazione di Indipendenza a Thomas Jefferson, sono ripresi dagli scritti di Philip Mazzei, un patriota scrittore nativo dell'Italia, che era intimo amico di Jefferson."135 Deluso dalla risposta negativa di Jefferson il 6 maggio 1776 Mazzei pubblica le “Istruzioni dei possidenti della Contea di Albemarle ai loro delegati alla Convenzione,” che costituisce un documento di eccezionale valore storico per dimostrare quanto grandi fossero state le sue intuizioni politiche. Fra l'altro scrive: “Sappiamo che dobbiamo essere rappresentati in quelle cose per cui non possiamo esser presenti, ma ogniqualvolta possiamo esserci non delegheremo il nostro potere ad altri. Ci rappresenteremo da noi.” “C'è qualcosa di veramente magico in quel vocabolo “rappresentanza”. Ha servito finora ammirabilmente ad accecare la maggior parte del popolo per tenerlo nella più perfetta ignoranza dei propri diritti e fargli credere di essere libero mentre la sola meschina porzione di libertà da esso goduta è stata quella di scegliersi i padroni.” “Siccome la nostra libertà vien ridotta in proporzione al potere che conferiam loro (ai rappresentanti, n.d.a.), sarebbe pazzia il conferirne più che non sia veramente necessario. Nella loro forma di governo essi si arrogano un potere illimitato senza menomamente badare ai loro elettori, che essi limitano ad obbedire passivamente alle leggi, lasciando loro la sola meschina scelta di cambiar padroni ad ogni anno. Il potere di approvare o disapprovare le leggi fatte dai nostri rappresentanti è uno di quei diritti di cui non possiamo privare o spossessare i nostri posteri. (…) E' veramente inconcepibile che un piccolo numero di uomini, chiamati dal popolo a servire i suoi affari (solo perché i membri della comunità non possono riunirsi in un luogo), possano pretendere di non essere soggetti al sindacato di chi li ha assunti, anzi di arrogarsi anche autorità illimitata su coloro che li hanno assunti e caso mai questi non fossero contenti dell'arbitrarietà della loro gestione, non avrebbero il potere di licenziarli prima del termine di un anno, quando sarebbe permesso loro di 135 J. F. Kennedy, Una Nazione di immigranti, Harper & Row, New York, pp. 15-16. 86 scegliere nuovi agenti, ma con la stessa arbitrarietà di potere illimitato. Se questa è libertà, ci piacerebbe sapere cos'è la schiavitù. E' mera illusione pretendere che un paese sia libero se tutto il potere dei suoi abitanti risiede in pochi uomini, sebbene siano scelti da essi e possano cambiarsi annualmente, E' vero che il timore di essere scartati alle prossime elezioni possa esercitare una specie di freno su di essi per qualche tempo, ma ciò sarebbe un cattivo custode delle nostre libertà. Quanto più prosperasse il nostro Paese, tanto maggiore diverrebbe il loro potere e prestigio. Dopo aver tenuto per lungo tempo una carica, acquisterebbero un tale ascendente sui loro elettori, che questi non penserebbero nemmeno a scartarli. Il popolo sente una specie d'orgoglio nel votar sempre per le stesse persone ed è spesso abbagliato dallo splendore e dall'opulenza e sempre prevenuto a favor di famiglie cospicue e dei figli degli uomini di valore, che somiglino o no ai genitori. Sicché se non stiamo in guardia contro le conseguenze di tali pregiudizj mediante salutari leggi costituzionali, vedremo perpetuare alcune cospicue famiglie, e i loro congiunti clienti, e ridurre il governo sostanzialmente a un'aristocrazia e magari oligarchia insolentemente esercitata all'ombra della libertà. Per evitare quindi un tal gran male, per rendere ognuno conscio della propria importanza come membro della comunità uguale a chiunque altro nei suoi diritti naturali, per renderci più competenti in materia di leggi e più felici sotto di esse, deliberiamo: Che le leggi fatte dai nostri rappresentanti non possono essere dette né devono essere, leggi del paese fintanto che non saranno approvate dalla maggior parte del popolo. Sebbene Mazzei fosse consapevole dei limiti della Democrazia Diretta, cioè dell'Autogoverno, afferma: "Il nostro dovere è sottometterci alle leggi fatte dai nostri rappresentanti, ma anche allora abbiamo diritto di fare tutto quanto è in nostro potere per farle revocare se dovessero apparirci contraddittorie con l'onore e l'interesse della comunità." Richiamandosi al saggio di Joseph Priestley “On the first principle of government”, scrive che: "E' una verità incontestabile che un paese non è libero, se tutti i suoi abitanti non partecipano egualmente al diritto di governare" e continua affermando che "Il potere di approvare o respingere le leggi promulgate dai nostri rappresentanti è uno di quei diritti di cui non possiamo privare o spogliare i nostri posteri." A distanza di due secoli e mezzo circa, sembra che le parole di Filippo Mazzei siano state scritte appena ieri. Niente è sostanzialmente cambiato nel frattempo avuto riguardo a CHI e al MODO di fare e legittimare la legge che ognuno deve 87 rispettare e al ruolo che il governo deve avere nei confronti degli individui: i rappresentanti continuano ad essere collegialmente i despoti del terzo millennio e i cittadini sono ridotti al rango di loro sudditi paganti come lo erano al tempo di Mazzei. Sia lui, sia Proudhon non conoscevano le leggi di natura come le conosciamo oggi e le loro analisi socio-politiche erano limitate all'esperienza e alla cultura del tempo. Ad esempio: quando Proudhon scrive che gli animali “… sono al di sotto della condizione dell'uomo; essi non percepiscono i rapporti delle cose, non sanno nulla di ciò che accade in loro, ciò che scambiamo per intelligenza, non è che un istinto perfezionato dall'abitudine, una specie di sogno provocato dall'ambiente circostante, e che non suppone né mediazione né scienza. Come per il sonnambulo, il pensiero degli animali non è conosciuto; è organico e spontaneo, ma non cosciente o riflesso”, e Mazzei si esprimeva secondo la cultura e le conoscenze della sua epoca, non erano note leggi della natura come oggi le conosciamo. Ad esempio allora anche gli scienziati pensavano che gli animali non possono soffrire o volere; figurarsi se poteva pensare che gli animali potessero comunicare, come oggi sappiamo con certezza scientifica. Nel 1947 Von Frisch136 pubblicò i risultati delle sue ricerche sul linguaggio delle api. Subito il mondo accademico mostrò grande scetticismo nei confronti delle sue scoperte. La ragione dello scetticismo degli scienziati nell'accettare che le api comunichino mediante un vero e proprio linguaggio gestuale è dovuto al fatto noto che gli animali, con i loro vocalizzi e le loro posture, si scambiano delle “emozioni” soprattutto per mezzo di segnali di paura, di allarme e di pericolo, ma mai dei “concetti” come sono la direzione e la distanza delle fonti di approvvigionamento. Lo scetticismo dei ricercatori nei confronti di Von Frisch cessò solo dopo che un etologo inglese, W. Thorpe 137, verificò di persona, in campo aperto presso l'abitazione dello scienziato austriaco le sue osservazioni e pubblicò sulla rivista Science che erano esatte.138 Del resto se qualche scienziato vissuto all'epoca di Mazzei o di Proudhon avesse avuto dei problemi sui rapporti fra l'uomo e la natura, le dottrine tradizionali dei grandi pensatori del passato, come ad esempio Tommaso D'Aquino, erano pronte a offrir loro ampie rassicurazioni che gli animali, in genere definiti bruti dalla religione, esistono solo per essere usati dall'uomo. Questa, infatti, era anche la posizione della Chiesa cattolica nata per affermare la pratica della legge dell'amore, come S. Francesco aveva giustamente interpretato, mentre per secoli ha usato la legge del terrore per imporla in nome 136 Karl Von Frisch (1886-1982), biologo ed etologo austriaco, premio Nobel. 137 W. H. Thorpe, zoologo ed etologo inglese (1902- 1986). 138 Dalla società delle api alle città-stato del futuro. Natura e ordine sociale, Nexus, Padova, 2010, p. 26. 88 dell'onnipotenza della divinità creatrice, come dimostra la storia del cattolicesimo nei secoli che seguirono il Concilio di Nicea (325 d. C.). È forse per questa ragione storica per la quale la violenza nei confronti degli animali nostri fratelli continua ancor oggi fra l'indifferenza generale? Del resto tutti pensatori pre-darwinisti trovavano assai conveniente negare qualsiasi rapporto di somiglianza fra gli animali e gli uomini, perché questo poteva costituire per loro un problema di natura psicologica, politica e giuridica molto serio. Un Dio onnipotente e giusto, infatti, non avrebbe potuto creare degli esseri che soffrissero senza uno scopo, mentre la sofferenza umana era giustificata dalla Chiesa in rapporto al peccato originale e alla salvezza eterna. Così Nicolas de la Fontaine, segretario di Calvino descrive nelle sue memorie, pubblicate nel 1738, la visita a uno dei luoghi in cui veniva praticata la vivisezione agli animali: Somministravano percosse ai cani con perfetta indifferenza, e deridevano chi compativa queste creature come se provassero dolore. Dicevano che gli animali erano orologi; che le grida che emettevano quando venivano percossi erano soltanto il rumore di una piccola molla che era stata toccata, e che il corpo nel complesso era privo di sensibilità. Inchiodavano i poveri animali a delle tavole per le quattro zampe, per vivisezionarli e osservare la circolazione del sangue che era grande argomento di conversazione.139 Diversamente dal passato oggi la scienza offre senza posa nuove conoscenze che si diffondono con grande rapidità, ma vengono acquisite lentamente dalla massa attratta più dalle mode, dal divertimento e dal potere che dalla conoscenza della natura e delle sue leggi eterne e inviolabili che, piaccia o non piaccia, riguardano anche l'ordine sociale umano. 2. Il culto dei morti e la nascita del mito. Dalle risposte che gli uomini primitivi cominciarono a dare alle domande sui misteriosi fenomeni della natura e sulla vita in generale, nacquero le storie, le leggende e i primi racconti (miti) che si trasmisero di generazione in generazione. Tutto ciò che li circondava, la natura, l'Universo e i fenomeni straordinari che non sapevano spiegare deve essere apparso ai loro occhi come un turbinio di immagini disordinate, di pensieri, di osservazioni, di misteri, di contraddizioni che generavano in loro stupore, meraviglia, angoscia e paura. Davanti ai fenomeni della natura i primitivi rischiavano di perdersi, di cadere continuamente nello smarrimento, nello sconforto, nell'angoscia del dolore generato dalla morte. 139 N. de la Fontain, Memories, citato in Peter Singer, Animal Liberation, p. 22. 89 In Dio nel cervello, A. Newberg ed E. d'Aquili140 illustrano con un esempio illuminante come gli ominidi potrebbero essere pervenuti alla genesi del mito religioso. I due scienziati immaginano che ... … un clan preistorico molto unito, un uomo della tribù è morto e il suo cadavere è stato deposto su una pelle d'orso. Alcuni membri del clan si avvicinano, lo toccano delicatamente e capiscono che il loro amico un tempo vivo adesso non esiste più. Quella che fino a ieri era una persona calda e vitale è divenuta un corpo freddo e inerte. Il capotribù, un uomo riflessivo si siede accanto al fuoco del bivacco e medita sulla forma senza vita che un tempo parlava e rideva con lui. Che cosa è venuto a mancare? si chiede. Come si è perso e dove è andato questo qualcosa? Mentre guarda il fuoco scoppiettante sente lo stomaco tendersi per l'ansia e la tristezza. Ha urgenza di trovare una ragione e pensa che non avrà pace finché non l'avrà trovata; ma più riflette sul tormentoso mistero della vita e della morte, più sprofonda nell'angoscia esistenziale. Ora - continua il racconto - mentre il capo tribù continua a macerarsi nel dolore e nella tristezza per la scomparsa dell'amico, la risposta eccitatoria del cervello s'intensifica, il polso accelera, il respiro si fa rapido e poco profondo e la fronte si imperla di sudore. Meditando sui suoi problemi il capotribù fissa con aria vacua il fuoco, che presto brucia fino alle braci. Quando le fiamme si spengono tra gli ultimi crepitii, ha un'intuizione: il fuoco era un tempo vivo e luminoso, ma adesso è spento e presto resteranno solo grigie ceneri inerti. Quando le ultime volute di fumo salgono al cielo, il capo si volta verso il corpo dell'amico morto e pensa che la sua vita e il suo spirito siano scomparsi come sono scomparse le fiamme. Prima di esprimere consciamente quel pensiero è colpito da un'immagine: l'intima essenza dell'amico sale come il fumo in alto, come lo spirito del fuoco ascende al cielo. Per i due scienziati la convinzione che produce il mito nasce come un'idea qualsiasi: una delle tante ipotesi che emergono continuamente nell'emisfero sinistro del cervello attraverso le quali l'uomo antico, come quello moderno, cerca di dare risposte plausibili e ordinate ai problemi e ai fenomeni complessi dell'esistenza che non è in grado di risolvere e di comprendere. Il racconto dei due scienziati, infatti, così prosegue: Quando il concetto astratto dell'ascesa dello spirito al cielo affiora alla coscienza del capotribù, esso si “accoppia” con una delle soluzioni emozionali dell'emisfero destro. Di colpo l'accordo di entrambi gli emisferi induce una risonanza neuronale che invia scariche positive in 140 A. Newberg, E. D'Aquili, Dio nel cervello, cit. p. 76. 90 tutto il sistema limbico per stimolare i centri del piacere nell'ipotalamo. Poiché l'ipotalamo regola il sistema nervoso autonomo, i forti impulsi di piacere provocano una risposta del parasimpatico, con la conseguenza che il capotribù si sente invaso da un gran senso di sicurezza e di pace. … L'intuizione è così fulminante da parergli una rivelazione; l'esperienza gli sembra reale in maniera vivida e tangibile. In quel momento gli opposti ”vita e “morte” hanno cessato di essere in irreparabile conflitto e sono stati risolti a livello mitico. Ora il capo vede chiaramente la verità assoluta delle cose: gli spiriti continuano a vivere. Egli pensa di aver scoperto una verità fondamentale, di aver avuto ben più di una semplice idea: la sente infatti come una convinzione arrivata dal di dentro, dai recessi più intimi della mente.141 In tutte le civiltà e in tutte le epoche i miti si ripresentano sugli stessi temi: diluvi di purificazione, uomini cacciati da un immaginario paradiso terrestre, parti di donne vergini, figli di Dio, eroi risorti o che rubano agli dei il fuoco o la conoscenza appannaggio esclusivo della divinità, l'onnipotenza di un creatore immaginario in grado di ordinare la vita degli individui e la comunità a suo piacimento caricando l'orologio degli eventi, ecc.. Le idee di potere, di autorità e di onnipotenza, infatti, sono presenti in tutti i miti dell'ordine sociale. Raramente ciò che in apparenza la natura mostrava come comportamento sociale animale veniva trasportato sul piano del governo. Ad esempio: per decine di secoli la regina delle api è stata indicata come un Re, essendo per gli antichi impossibile l'esistenza di una femmina in grado di governare un popolo. Solo nel 1609 il reverendo Charles Butler pubblicò un famoso libro, The feminine monarchie, in cui annunciava che il Re delle api è in realtà una Regina che provvede alla riproduzione delle le api operaie e dei fuchi che assicurano la continuità della vita dell'alveare. Lo stesso vale per le formiche, per le termiti e per altri insetti sociali. È il mito religioso che ha prodotto i concetti di gerarchia 142, di dominio, di potere e di legge? È il concetto di onnipotenza della Divinità generato dai miti della teologia-politica che ha permeato nei secoli le dottrine artificiali del governo del gruppo, della comunità e della più vasta società? 3. Ci nutriamo ancora di miti religiosi e politici creati nell'antichità Credo che chiunque sia interessato a trovare le radici culturali e biologiche dell'esperienza umana da un punto di vista sociale, economico o religioso dovrebbe considerare i miti come tendenza propria della specie umana a A. Newberg, E. d'Aquili, ivi, pp. 76-77. La parola Gerarchia deriva dal greco antico Ierarchìa da Ieròs sacro e Archìa, presiedere, essere a capo, governare. Originariamente significava governo dei sacerdoti. 141 142 91 raccontare e tramandare in forma simbolica o poetica, fatti collegati con eventi realmente accaduti, raccontati di generazione in generazione nel corso dei secoli. I miti, del resto, hanno sempre affollato la nostra storia e vivono ancor oggi nei grandi temi che stanno alla base della cultura moderna. Non fa eccezione il contenuto del libro più conosciuto e venduto nel mondo, la Bibbia, che altro non è se non un immenso resoconto di miti teologico-politici costruiti nel tempo, riferiti a singoli eventi alcuni dei quali possono avere solide basi storiche, mentre altri sono racconti distorti o mai accaduti. Generalmente oggi si concorda sul fatto che il Libro dell'Alleanza riflette la pratica legale di Israele del periodo più antico della sua storia come popolo, in un tempo nel quale non si conoscono i contatti con la Mesopotamia. L'assunto più ragionevole è che essa sia stata trasportata in Palestina da gruppi che erano emigrati nel corso del II millennio da regioni dove le tradizioni giurisprudenziali mesopotamiche erano ben conosciute. Lo stesso può dirsi dei racconti della creazione e del diluvio (Genesi 2; 6-9) 143 Premesso che la Bibbia, scritta dagli scribi ebraici nel corso del ritorno in Israele dalla prigionia lungo la Terra dei due fiumi 144, non è un testo unitario, ma un intricatissimo compendio di tradizione orale, di leggende popolari, di fonti storiche diverse, di canti, di proverbi, di leggi e regole di differente provenienza culturale, risulta che cominciò a essere codificata solo a partire dall'ottavo secolo a. C. e da allora, non si sa perché, non ha cessato di essere considerata come il LIBRO sacro che contiene La legge data da Dio agli uomini. Ebbene, i testi biblici originari a disposizione degli studiosi, eccetto brevi tratti in aramaico, sono scritti in ebraico antico su rotoli di pelle o di pergamena. Osservando uno di questi testi il lettore resterebbe sorpreso nell'osservare che si tratta di un'interminabile sequenza di consonanti senza punteggiatura. 145 Per fare un esempio pratico consideriamo una frase di senso comune scritta nella nostra lingua e come risulterebbe scritta nella Bibbia, ricordando che gli Ebrei non scrivevano le vocali. Ilgranlibroapparepraticamentescrittoconquesteparole. Diverrebbe nella Bibbia: Lgrnlbrpprprtcmntscttcnqstprl. Nella scrittura ebraica, infatti, non sono indicate le parole vere e proprie: deve trovarle il lettore separando gruppi di lettere esattamente al punto giusto. 143 J. Bright, Storia dell'antico Israele, cit. pp. 105-106. 144 La Mesopotamia. 145 Salvo piccole spaziature che indicano pause emotive che non hanno nulla a che vedere con le singole parole. 92 Ebbene, immagini ognuno di moltiplicare questo immenso rebus per circa due milioni e mezzo di lettere consecutive che formano la Bibbia e si renderà conto di come è stata fatta. É evidente che il primo problema che si presenta nella traduzione è quello relativo alla sua "interpretazione" e che solo dopo si potranno affrontare gli altri problemi relativi alla lettura allegorica, simbolica, esoterica o cabalistica del testo. Per legge statistica è inevitabile che in migliaia e migliaia di casi alcune lettere possano essere attribuite alla parola precedente o a quella successiva fornendo, attraverso le necessarie modifiche, un testo di significato compiuto, ma spesso non equivalente a quello voluto dallo scriba o dal racconto che lo stesso aveva trascritto. Se per esempio scriviamo un testo con le consonanti di tmtnt e non indoviniamo esattamente le vocali da interporre, si può avere indifferentemente: ti amo tanto, tu mi tenti e temo i tonti. Nei secoli i rabbini ebraici sono riusciti con discussioni a non finire e pazienza infinita a concordare un significato per ogni frase della Bibbia e hanno anche pensato di separare le parole e di aggiungere le vocali. Il testo definitivo della Bibbia di cui oggi disponiamo 146 è stato realizzato sulla base di questi accordi. Come facciamo noi a sapere che la versione ufficiale diffusa in tutto il mondo risponda esattamente al pensiero contenuto negli antichissimi testi originali, è un mistero che può essere giustificato o accettato solo sulla base della fede. Un altro esempio di come la distorsione interpretativa anche di una sola parola potrebbe aver determinato il comportamento errato dell'uomo è costituito dalle prime parole della Bibbia: Dio creò il cielo e la Terra. Tempo fa ho chiesto ad un mio amico professore universitario di storia dell'ebraismo, Furio Biagini, quale fosse il vero significato della parola Barà, Creò, e se la parola potesse essere interpretata anche come “Dio si manifestò come cielo e terra”. Questa la risposta di Furio: Ho chiesto al mio Rabbino per sicurezza ma come già ti avevo detto il verbo Barà vuol dire creare, formare, ritagliare, dare una forma, talvolta trasformare, ma mai manifestarsi. Ho accettato la parola trasformare indicata dal rabbino. Da parte mia credo che il rabbino abbia marginalizzato (talvolta trasformare) il fatto che il termine Barà potrebbe essere interpretato anche come trasformare consapevole forse che una simile traduzione avrebbe potuto sovvertire la gravità nel mondo della religione e della fede. Tuttavia riferendomi a questa interpretazione ho così cambiato le prime parole della Bibbia, da Dio creò il cielo e la Terra, in Dio si trasformò in Cielo e in La cosiddetta Bibbia Masoretica contrariamente a quanto si pensa è abbastanza recente; il manoscritto ebraico completo più antico della Bibbia di cui disponiamo, infatti, non è sicuramente anteriore al X° sec. d. Cristo. Vedi: I Manoscritti di Qumran, L. Moraldi, Utet, Torino, 1986, p. 84. 146 93 Terra, ovvero in tutto ciò che esiste. amico Immagino che ognuno possa comprendere quanto diversa sarebbe stata la storia del genere umano se l'intera realtà, l'Universo e la vita fossero stati posti come trasformazione o - come a me piace - manifestazione dello Spirito misterioso e inconoscibile che chiamiamo DIO. La consapevolezza intima di ogni essere umano di essere il risultato ultimo e provvisorio della trasformazione di uno Spirito sconosciuto che anima l'intero Universo, se osservato nel suo aspetto del divenire, avrebbe modificato il percorso storico-culturale della religione e il comportamento individuale e sociale degli individui e avrebbe prodotto un mondo completamente diverso rispetto all'attuale. Per queste ragioni la Bibbia mi appare soprattutto come un libro di contenuto mitologico costellato di racconti in gran parte frutto della fantasia. Nella prospettiva aperta del presente, tuttavia, si ha l’impressione che i miti siano una manifestazione propria dell'infanzia favolosa dell'umanità, per mezzo dei quali è stato possibile pervenire lungo i secoli ai moderni concetti della teologia-politica, ma anche a molte riflessioni scientifiche sull'ordine sociale. Il fatto che gli uomini abbiano trovato alcune proposizioni generali che, una volta comprese, non possono essere sottoposte a dubbio, fu, io ritengo, una breve via per concludere che erano “innate”. Una volta accettata, tale conclusione liberò i pigri dalle fatiche della ricerca e impedì a chi aveva dubbi concernenti tutto ciò che una volta per tutte era stato considerato come innato, di condurre avanti la propria ricerca. Ed era un vantaggio non piccolo per quelli che si presentavano come maestri e insegnanti, considerare questo come il pr amico incipio di tutti i “principi”: i principi non devono essere messi in discussione. Infatti una volta stabilita la tesi che esistono principi innati, poneva i suoi seguaci nella necessità di accogliere alcune dottrine appunto come innate: il che voleva dire privarli dell'uso della propria ragione e del proprio giudizio e porli nella condizione di credere ed accettare quelle dottrine sulla base della fiducia senza ulteriori esami. Messi in questa condizione di cieca credulità, potevano essere più facilmente governati e diventavano più utili per una certa specie di uomini, che avevano l'abilità ed il compito di dettar loro principi e di guidarli.147 E' forse questa la ragione per la quale il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti della Chiesa cattolica si autodefiniscono come Pastori, ognuno con il proprio “gregge”? Trasportati sul piano della fede nell'onnipotenza creatrice della divinità i concetti teologico-politici secolarizzati hanno permeato la filosofia, il diritto, la politica e il comportamento degli individui, organizzando su artificiali gli attuali sistemi sociali. 147 J. Locke, Saggio sull'intelligenza umana, Epistola al lettore, 1, 3, Laterza, Bari, 1999 94 E' quindi di primaria importanza definire cosa si intende per ordine naturale e per ordine artificiale e come, senza conoscere e confrontare il modo di determinare la legge nei sistemi sociali animali con il modo in cui si forma la legge nell'ordine sociale umano, si possa pervenire a negarne la spontaneità. 4. Le costruzioni politiche artificiali Come abbiamo visto H. Spencer, a differenza di C. Darwin 148, sostiene esplicitamente che sulla Terra non è esistita soltanto un'evoluzione biologica, perché questa è stata preceduta da una evoluzione cosmica e inorganica. A questi due tipi di evoluzione, riporta il filosofo sociale inglese, ne seguirà una terza che definisce superorganica, alla quale sarà soggetto l'uomo con la sua cultura, realizzazioni tecnologiche, società, politica, religione ed economia. Con questa rappresentazione Spencer introduce per la prima volta un concetto di grande rilevanza filosofica e scientifica: l'evoluzione non può essere limitata alla vita, ma deve essere estesa all'intero universo; un'ipotesi che Darwin non tentava neppure di affrontare ritenendo impossibile pensare all'origine della vita dalla materia. Darwin stesso, infatti, in una lettera ad un amico riporta: Le forme apparvero a causa di un processo del tutto sconosciuto. Al momento attuale è assolutamente idiota pensare all'origine della vita; tanto varrebbe pensare all'origine della materia149. Quando Darwin scrisse queste parole, le ipotesi del Big Bang, dell'origine della vita dall'energia e dalla materia e la conoscenza della funzione biologica dei geni nell'elica immortale erano di là da venire. Tuttavia oggi sappiamo che sulla base delle osservazioni di Darwin e di Spencer l'idea di una evoluzione estesa a tutti gli aspetti della realtà fisica, chimica e biologica per mezzo dell'informazione disponibile, investe direttamente il modo con il quale la natura auto-organizza SPONTANEAMENTE tutti i sistemi del vivente. Oggi sappiamo che al processo evolutivo di connessione-coerenza e di incessante trasformazione (evoluzione) sono soggetti tutti i sistemi delle galassie, delle stelle, il sole, la terra, i mari, l’atmosfera, le particelle, gli atomi, i geni, i batteri, le piante, gli insetti e l'uomo, con tutto ciò che lo riguarda direttamente o indirettamente nei rapporti con l'ambiente esterno ed interno. Da parte mia credo che questo debba valer anche per l'ordine sociale umano e che si possa riassumere nel modo in cui devono essere concepite, deliberate, abolite e modificate le regole (le leggi) che ordinano i sistemi sociali. Infatti se 148 Spencer e Darwin si conoscevano e si confrontavano, ma non andavano molto d'accordo. Darwin ha riconosciuto a Spencer di aver usato per primo il termine “evoluzione” per indicare i cambiamenti delle specie. 149 R. Dawkins, Il racconto dell'antenato, Mondadori, Milano, 2004, p. 510. 95 guardiamo sia a CHI, sia al MODO col quale è stato organizzato l'ordine di quasi tutti i sistemi sociali lungo i secoli passati, ci rendiamo conto di due cose: la prima è che si tratta di ordini costruiti a priori, imposti dall'alto, accentrati, gerarchici e non spontanei, dunque artificiali; la seconda è che la legge, quando è deliberata da uno o da pochi e non è prodotta da scelte di comportamento libere e volontarie della maggioranza degli individui che formano la società, permette di mantenere un comportamento individuale e collettivo egoista, predatorio e altamente conflittuale che si concretizza anche nella violenza dei rapporti interpersonali, siano essi economici, politici o religiosi e nella GUERRA. In sostanza la nostra specie ha creato e continua a creare istituzioni sociali artificiali che ... non hanno alcuna realtà perché ... ... Sono gli uomini che rendono reali i fatti e le strutture sociali. La realtà dei fatti naturali, delle montagne e delle molecole, esiste indipendentemente dalle nostre rappresentazioni, mentre il denaro o il matrimonio acquistano "realtà" solo in riferimento ad un accordo "convenzionale" che gli uomini decidono di stabilire. ... Il potere dei governi e delle corti costituzionali è un potere palpabile, concreto ed effettivo, ma, a differenza del potere dei venti e delle maree, esiste solo perché noi ne riconosciamo l'esistenza.150 Accettare l'ordine sociale dello STATO costruito artificialmente a priori “solo perché noi ne riconosciamo l'esistenza”, basandolo su convenzioni accettate sulla base di informazioni storicamente distorte o scientificamente errate ci ha portato a disinteressarci del modo con il quale vengono organizzate e ordinate la comunità e la più vasta società in cui viviamo la nostra esistenza. Questo comportamento, infatti, ha permesso la nascita di sistemi accentrati e gerarchici di governo in cui un solo individuo (capo, re, imperatore, duce leader, ecc. ) o pochi rappresentanti (gli eletti nei parlamenti e nei consigli) possono deliberare le leggi (soprattutto quelle fiscali e monetarie), alle quali le presenti e le future generazioni saranno sottomesse per continuare a essere sfruttate nei secoli. 150 J. Searle: La costruzione della realtà sociale, 1955, Trad. A. Bosco, Einaudi, Torino, 2006. 96 Capitolo VIII La socialità 1. Il mistero dell'origine della vita e la socialità nei batteri. Scrive P. J. Proudhon nel Prologo al Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria: Dirò dunque come, studiando nel silenzio del mio cuore, e lontano da tutte le umane considerazioni, il mistero delle rivoluzioni sociali, Dio, il grande Sconosciuto, è divenuto per me un’ipotesi, voglio dire un necessario strumento dialettico. … Se io seguo, attraverso le sue trasformazioni successive l’idea di Dio, trovo che cotesta idea è innanzi tutto sociale; intendo dire che essa è piuttosto un atto di fede del pensiero collettivo, che un concetto individuale. Ora, come e in quale occasione un tale atto di fede si produce? Importa determinarlo.151 Ebbene, credo che per cominciare a determinare in cosa consiste l'idea sociale sia necessario rispondere brevemente alle seguenti domande: cosa è la socialità in quanto “atto di fede nel pensiero collettivo”? Quando e dove è nata questa funzione biologica? Con quali strumenti possiamo determinarne l'origine e la giustificazione? Dobbiamo considerare che è propria della sola specie umana in quanto idea, ipotesi necessaria posta artificialmente a priori, oppure è caratteristica biologica del vivente? Per rispondere in modo appropriato non vedo altra strada che quella di riferirmi al periodo in cui si formarono i primi elementi del RNA/DNA cellulare dai quali prese origine la vita come oggi la conosciamo. Capisco che a prima vista tutto ciò potrà sembrare del tutto fuori luogo per chi ha mentalmente schematizzato i concetti dell'ordine sociale sulla base degli imprinting teologico-politici secolarizzati e sulla necessità di continuità storica limitata alla brevissima permanenza della specie umana sulla Terra. Alla luce delle recenti scoperte scientifiche, infatti, non è possibile stabilire con certezza assoluta se il fenomeno che si concluse con la comparsa della vita sul Pianeta azzurro fosse legato a una sola cellula, oppure ad un gruppo di cellule che avevano caratteristiche simili e vivevano riunite in gruppi nello stesso ambiente. Tuttavia appare evidente che esse possedevano già la tendenza a creare relazioni stabili e cooperative per i vantaggi che potevano ottenere 151 P. J. Proudhon, Prologo al Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria, cap. I. Ed, Garniere Frère, 1850. Testo tradotto dal francese . 97 rispetto all'ambiente interno ed esterno. Sulla base di questa osservazione mi sono chiesto se la socialità possa trovare la sua origine nella formazione degli spezzoni primordiali di RNA/DNA che fra i quattro e tre miliardi e mezzo di anni fa cominciarono a produrre i geni dell'elica immortale determinandone il comportamento e la specificità di funzioni e di trasmissione di informazioni genetiche alle generazioni successive. Questo, infatti, farebbe pensare che le prime cellule viventi avessero già una tendenza alla socialità; assolutamente elementare, d'accordo, ma tale da affrontare con successo la lotta per l'affermazione della vita sulla Terra, cooperando spontaneamente nel reciproco interesse (synallagma o nesso di reciprocità) allo scopo di trarne vantaggio individuale e collettivo. Penso che questa osservazione sia valida anche agli effetti dell'ordine sociale umano e più precisamente per i contratti di scambio nel sistema dell'ordine economico e per i contratti di scambio nel sistema dell'ordine politico. A mio parere questo costituisce il fondamento della socialità. A sostegno di questa tesi la logica e la scienza indicano oggi che il nesso di reciprocità era presente nelle componenti biologiche che hanno preceduto la formazione delle prime cellule viventi e nell'organizzazione sociale dei primi batteri che hanno abitato la Terra o, se si vuole, che vi sono stati trasportati da qualche meteorite vagante nell'Universo; il che non cambia proprio nulla. Capisco che alla luce dell'apparenza e dell'esperienza storica legate al brevissimo periodo evolutivo in cui la specie umana è vissuta sulla Terra (centomila anni), sia difficile ammettere la validità dell'osservazione che attribuisce una forma primordiale di socialità alle prime cellule apparse sul Pianeta. Tuttavia dobbiamo prendere atto che noi esistiamo grazie alla leggera prevalenza in tutto il vivente di comportamenti spontanei altruisti e mutualmente cooperativi che nell'ordine sociale umano producono pubbliche virtù, rispetto a quelli artificiali egoisti e violenti generati dal narcisismo, dall'egoismo, dall'arbitrio, dall'abuso e dalla eccessiva disuguaglianza, che indeboliscono o spezzano ii nessi di reciprocità fra gli individui e fra le società. In questa ottica la socialità è una funzione biologica propria di tutta la vita, tendente a favorire l'aggregazione spontanea, cooperativa e mutualistica nei rapporti sociali mediante nessi di reciprocità che consentono di evitare o di ridurre i danni conseguenti le possibili scelte errate delle leggi che incidono profondamente sul comportamento individuale e sociale. 2. La sorgente del comportamento sociale. L'egoismo e l'altruismo. Per secoli e secoli l'Umanità ha cercato il sacro Graal della conoscenza che permettesse di costituire un ordine sociale adatto a perseguire la felicità del 98 genere umano. Tuttavia solo oggi sappiamo dalla scienza ciò che un tempo non sarebbe stato neppure possibile immaginare, ovvero che le proprietà degli elementi, delle componenti e dei processi che presiedono alla socialità sono dovuti principalmente all'interazione biologica di geni specifici, che per la maggior parte si sono formati nel genoma primordiale dei batteri miliardi di anni fa. Di conseguenza ... … La socialità, (è) l’insieme dei processi e delle proprietà utili alla vita sociale.152 Questo vale per le società dei batteri come per quelle della nostra specie. La scienza dice oggi che piccoli frammenti di RNA presenti in tutte le cellule del vivente mostrano spesso capacità di catalisi, agiscono cioè da enzimi (i ribozimi153) preposti ad accelerare i processi chimici di aggregazione; ovvero cooperano per permettere alla cellula di trarre vantaggio dalla reazione. Attraverso una serie di reazioni complementari e circolari, infatti, da un lato i ribozimi agiscono sulla molecola di cui sono parte, dall'altro aiutano a montare e a replicare altre molecole di RNA mediante retroazioni di copiatura genetica positive e negative più o meno perfette ed equilibrate. L'alto numero degli errori di copiatura che si verificò all'inizio del lunghissimo processo biologico di trasmissione ereditaria fra i quattro ed i tre miliardi di anni fa, portò all'eliminazione di tutte le molecole di RNA che non rispondevano sia al minor numero di errori nella copiatura, sia al più efficiente uso dell'energia per i loro processi chimici rispetto all'ambiente esterno ed interno. È stato così che sono sopravvissute le molecole e le cellule che cooperavano traendo vantaggio dalla costruzione del RNA/DNA primordiale, ottenendo condizioni di stabilità vantaggiose all'interno dei sistemi cellulari e infine sociali in tutto il vivente. Ad esempio, oggi sappiamo che i geni presenti nell'elica immortale accendono o spengono i loro semafori rosso e verde per permettere, impedire o stimolare il funzionamento di altri geni che presiedono alla struttura della forma e del comportamento. Il funzionamento complessivo e il funzionamento degli organi è determinato da nessi biologici di relazione, di integrazione e di cooperazione mutualistica fra i geni dell'elica immortale. Ebbene, per quanto riguarda la nostra specie all'interno di questo meccanismo si sono prodotte le condizioni del comportamento sociale umano. Se è vero, come riporta Rousseau in Il contratto sociale, che L'uomo è nato libero, e dovunque è in catene 154, dovrebbe essere anche vero che da un punto 152 E. O. Wilson, Sulla natura umana, Zanichelli, Bologna, p. 148. 153 Un ribozima (termine composto da ribonucleico ed enzima), è una molecola di RNA in grado di catalizzare (accelerare o diminuire) una reazione chimica. 154 J.J. Rousseau (1712-1778), Il contratto sociale, trad. Maria Garin, introduzione e cura T. Magri, Editori Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 5. 99 di vista biologico ed etologico le catene sociali alle quali si riferisce sono favorite sia dal corredo genetico che determina il comportamento individuale, sia dal modo in cui è stato organizzato l'ambiente sociale in cui gli esseri umani vivono. Penso che questa osservazione meriti la dovuta attenzione in relazione al modo in cui si è manifestata la “disuguaglianza” che tanta importanza assume dal punto di vista dell'ordine sociale. Concepisco nella specie umana due generi di disuguaglianza: l'una, che chiamo naturale o fisica, perché è stabilita dalla natura, e che consiste nella differenza di età, di salute, di forze corporee e qualità d'intelligenza e dell'anima; l'altra che si può chiamare disuguaglianza morale e politica, perché dipende da una specie di “convenzione” che è stabilita o almeno autorizzata dal consenso degli uomini. Quest'ultima consiste nei diversi privilegi di cui alcuni godono a danno degli altri - come essere più ricchi, più onorati, più potenti di loro, o anche di farsi obbedire.155 Uno dei grandi errori del passato è stato considerare la disuguaglianza come “Legge di natura”. Diversamente dalle credenze antiche in La giustizia nella rivoluzione e nella chiesa, P. J. Proudhon scrive profeticamente: Con un sentimento unanime, pagani, cristiani, monarchici e democratici, s'accordarono nel considerare l'inuguaglianza come una legge della natura o della provvidenza, contro la quale nessuno aveva il diritto di protestare, e che, imponendosi alla ragion pratica e divenendo così ragion di Stato, e trovando la sua espressione e consacrazione nel patto sociale, conduceva sistematicamente lo stato di naufragio in naufragio. Una volta ammessa la validità dell'ipotesi della disuguaglianza come legge di natura e della società, è stato facile trovare e condividere la metafisica dell'ordine sociale fondato sul potere fondata sull'idea di “limite”, estremizzando le condizioni favorevoli allo status quo potere costituito costituito a priori. Decine di milioni di morti nel tentativo di affermare una maggiore uguaglianza nella libertà e nella diversità, sono lì a confermarlo Davvero rari sono stati gli studiosi che hanno compreso che l'inuguaglianza e l'uguaglianza, come l'autorità e la libertà sono costrette a convivere nell'ordine sociale e che hanno bisogno di un nesso di reciprocità che le tenga in equilibrio determinandone i limiti. Davanti alla crisi planetaria che oggi mette in pericolo l'ecosistema, l'economia, la pace e la vita di miliardi di persone, credo sia necessario prendere atto che si sta verificando un eccessivo accumulo di complessità dei sistemi sociali; complessità che non siamo più in grado di controllare e di regolare con gli strumenti culturali obsoleti e secolarizzati del potere, della politica, della religione e dell'economia come li abbiamo intesi nel corso della storia umana. 155 J.J. Rousseau, Origine della disuguaglianza, cit. p. 35. 100 Se Thomas Hobbes in La natura umana 156 riporta che … ... Per farsi un'idea chiara degli elementi della legge di natura e della legge Politica è importante conoscere la natura dell'uomo. ... E. O. Wilson, fondatore della sociobiologia moderna così definisce la natura sociale dell'uomo: Ci accostiamo a questo argomento con un senso di esitazione e persino di timore. Perché, se il cervello è una macchina di 100 miliardi di cellule nervose e il funzionamento della mente può essere spiegato come la somma di attività di un numero finito di reazioni chimiche ed elettriche, esistono confini che limitano le possibilità umane, cioè siamo entità biologiche e il nostro spirito non può spaziare liberamente. Se il genere umano si è evoluto per mezzo della selezione naturale darwiniana, sono il caso genetico e la necessità ambientale, e non Dio, che hanno creato le specie. Si può ancora cercare la divinità nell’origine dell’unità fondamentale della materia, nei quark e negli strati elettronici (Hans Kung aveva ragione di chiedere agli atei perché, invece del nulla, qualcosa esista), ma non nell’origine della specie. Per quanto si cerchi di abbellire tale cruda conclusione con metafore ed immagini, essa rimane l’eredità filosofica dell’ultimo secolo di ricerca scientifica. Non sembra possibile evitare questa conclusione, di certo poco attraente. Essa è la prima ipotesi essenziale per qualsiasi seria considerazione della condizione umana. Senza di essa le discipline umanistiche e le scienze sociali si riducono alla descrizione dell’aspetto superficiale dei fenomeni, come sarebbe per l’astronomia senza la fisica, la biologia senza la chimica, la matematica senza l’algebra. Tenendo invece conto di essa si può scoprire la natura umana come oggetto di una completa ricerca sperimentale, la biologia può essere posta al servizio di una educazione liberale e la concezione di noi stessi può essere enormemente e veramente arricchita.157 A mio parere, sull'egoismo c'è poco da dire. Qualunque cosa si sia evoluta nel vivente per selezione naturale, è apparsa nei secoli avere un comportamento prevalentemente egoista, predatorio e conflittuale; più raramente altruista e cooperativo. Per comprendere l'enigma dell'altruismo e dell'egoismo nella nostra specie credo che sia necessario, fra l’altro, distinguere due forme basilari di comportamento altruista: quello spinto e quello blando158 che convivono nella natura umana e nell'ordine sociale senza potersi vicendevolmente escludere. 156 T. Hobbes (1588-1679), La natura umana, Il Minotauro, Milano, 1995, p. 5. 157 E. O. Wilson, fondatore della moderna sociobiologia, in Sulla natura umana. 158 E.O. Wilson, Sulla natura umana, cap. I°, p. 5 101 Quando l’individuo si rende conto che può trarre vantaggio dalle sue azioni altruiste a favore di un gruppo numeroso i cui membri non hanno strette relazioni di parentela, non esita ad usare gli strumenti psicologici della menzogna, della finzione, dell’ipocrisia, della pretesa o dell’inganno, per mostrare pubblicamente il suo altruismo e il suo spirito di cooperazione. Questo comportamento sociale finisce col tradursi in egoismo. L'uomo politico, infatti, cosciente dei continui compromessi ai quali deve il suo successo, il suo potere ed i suoi privilegi, è molto abile nel campo dell'ipocrisia e della menzogna. Se osservata nell'ottica dei sistemi dinamici complessi la mancanza di equilibrio fra comportamento altruista ed egoista tende a spezzare i nessi di reciprocità nei rapporti interpersonali e accresce la dinamica eccitatoria dei feedback positivi in numerose componenti sociali. Come abbiamo visto, i processi di feedback positivo possono disintegrare i rapporti affettivi e di relazione fra gli individui favorendo comportamenti contraddittori, artificiali, scorretti, irrazionali, conflittuali, violenti e predatori sia fra le singole persone sia fra i popoli. In presenza di società costituite sulla base di eccessive differenze economiche fra le persone, di grandi numeri, di vasti territori, di non partecipazione di ogni individuo alla formazione delle leggi, si attenuano o vengono meno i legami di relazione affettiva, di amicizia, di tradizioni, di valori, di reciprocità e di conoscenza condivisa e si moltiplicano le associazioni di interessi, caste, lobby, chiese, ecc. che hanno interesse ad unirsi per indebolire e successivamente spezzare i nesso di reciprocità nei rapporti sociali ed economici per riceverne vantaggio privato in termini di potere o di ricchezza. Il divide et impera è il migliore espediente di una tirannide per controllare e governare un popolo provocando divisioni e rivalità fra i cittadini. 3. Il meccanismo biologico della socialità. Scrive E. O. Wilson in Sulla natura umana: Se gli animali vivono insieme in gruppi vuol dire che i loro geni ottengono dalla vita associativa più di quello che danno. 159 La codifica in regole biologiche di informazione e di comportamento di quelle ritenute più vantaggiose ai fini del miglioramento della qualità e del benessere dell'individuo e dell'efficienza del sistema sociale in cui vive, può essere indicata come una convenzione biologica, ovvero come un contratto che nella nostra specie è sociale, ma soprattutto politico. Se ci avviciniamo alla realtà della natura, infatti, possiamo renderci conto che 159 E. O. Wilson, Sulla natura umana, cit., p. 105. 102 quando in un gruppo di individui la maggioranza adotta una strategia di comportamento stabile che si dimostra vantaggiosa per l'individuo o per il gruppo è come se scegliesse convenzionalmente di condividere con gli altri una regola di comportamento, ovvero che si stipulasse un contratto di reciprocità il cui contenuto, se condiviso dalla maggioranza, viene introdotto come informazione biologica nell'elica immortale, per trasmetterlo alle generazioni future. Nel tentativo di massimizzare il proprio successo vitale ed evolutivo nel mondo animale, il concetto di ESS (Strategia Evolutivamente Stabile)160 dimostra che la migliore strategia di comportamento dipende da ciò che fa la maggioranza della popolazione che è adottata da tutti gli individui per ottenerne un vantaggio evolutivo comune. Una strategia evolutivamente stabile o ESS (Evolutionary Stable Strategy) è definita come una strategia che, se la maggior parte dei membri di una popolazione l'adotta, non può essere migliorata da una strategia alternativa. ... L'unica strategia che durerà sarà quella che, una volta evoluta, non potrà essere più migliorata da nessun individuo deviante.161 Anche l'ordine sociale umano è il prodotto finale di questo processo. Ebbene, da pochissimi decenni fra alcuni sociobiologi ed etologi si è fatta lentamente strada l’idea che l'evoluzione non sia fondata solo sulla strategia del comportamento egoista, violento, conflittuale o predatorio, come si pensava nel passato, ma in prevalenza sulla strategia dell'altruismo spontaneo e sulla cooperazione mutualistica all'interno della famiglia, del gruppo e della società. Essendo necessario alla conservazione, alla prosperità e allo sviluppo di ciascuna specie, il mutuo appoggio è diventato ciò che Darwin ebbe a definire un istinto permanente costantemente in azione presso tutti gli animali sociali, ivi compreso, naturalmente, l'uomo.162 In presenza di ordine sociale organizzato spontaneamente il mutuo appoggio e la cooperazione mutualistica sono sinonimi di altruismo163: feedback negativi necessari a mantenere l'equilibrio e la stabilità del sistema nel corso del suo cambiamento dinamico volto al bene comune. Filosofi, giuristi e sociologi hanno cercato per secoli di trovare un principio 160 Il concetto di ESS è stato introdotto dal biologo e genetista John Maynard Smith nel 1973 utilizzando metodi di analisi della Teoria dei giochi. È considerato un'estensione al campo evolutivo dell'equilibrio di Nash. 161 R. Dawkins, Il gene egoista, cit., pp 74- 75. 162 P. Kropotkin( 1842-1921) , Scienza e anarchia,cit., p.124. 163 La parola altruismo fu coniata nel 1853 dal filosofo A. Comte, 1798-1857), filosofo e sociologo francese. 103 ordinatore superiore che ponesse fine all'instabilità sociale. Purtroppo non disponevano del complesso di conoscenze che oggi abbiamo e di secolo in secolo hanno potuto solo ipotizzare forme artificiali di società create sulla base delle esperienze dirette o della teologia-politica secolarizzata. Solo col ventesimo secolo la fisica, la chimica, la biologia, la sociobiologia, l'etologia, la teoria dei sistemi complessi, la teoria dei giochi, la teoria dell'equilibrio di Nash, ecc., hanno iniziato a spiegare perché l'ordine sociale creato a priori dagli esseri umani si differenzia da quello degli altri mammiferi. Un gioco può essere descritto in termini di strategie, che i giocatori devono seguire nelle loro mosse: l'equilibrio c'è, quando nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il proprio comportamento. Per cambiare, occorre agire insieme.164 Diversamente dal recente passato, sulla base dei dati scientifici di cui oggi possiamo disporre, siamo in grado di verificare se le informazioni genetiche relative all'altruismo e alla cooperazione mutualistica nell'ordine sociale non solo appartengono a tutto il vivente, ma convivono nell'elica immortale con i geni dell'egoismo e della predazione. Forse per questo L. Margulis, scrive: La vita non prese il sopravvento sul globo con la lotta, ma istituendo interrelazioni. Le forme di vita si moltiplicarono e divennero sempre più complesse attraverso una cooptazione di altre, non soltanto attraverso la loro estinzione.165 Quindi non furono la lotta, la violenza e la predazione a permettere l'affermazione e l'evoluzione della vita sociale sulla Terra, ma la cooperazione spontanea e reciprocamente vantaggiosa. La simbiosi fra specie diverse ne è un chiaro esempio; la straordinaria cooperazione mutualistica nelle società degli animali eusociali un altro. Ebbene, io credo che questa sorta di convenzione biologica che ha prodotto il successo o l'insuccesso evolutivo delle specie animali e vegetali sia l'Archè, il Principio superiore attraverso il quale si forma la legge e che la convenzione, posta alla base del nesso di reciprocità nei rapporti interpersonali politici ed economici, costituisca il campo di allenamento necessario alla crescita della coscienza e del benessere individuale e collettivo nella pace e che possa produrre condizioni di sempre maggiore uguaglianza nella libertà e nella diversità nell'ordine sociale della nostra specie. 164 John Nash, intervista di Piergiorgio Odifreddi, 11 marzo 2008. 165 L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 4. 104 4. La questione dell'istinto, l'imperativo territoriale e la convenzione biologica, Ogni volta che con gli amici mi permetto di sostenere la necessità di impostare le leggi dell'ordine sociale sulla conoscenza del funzionamento dei sistemi biologici, viene inevitabilmente fuori il discorso dell'istinto. Inutilmente io sostengo che la socialità è un istinto biologico. A parere di tutti gli interlocutori, infatti, l'istinto sarebbe proprio degli animali, ma non dell'uomo che possiede la ragione e la cultura. Pertanto, a loro dire, l'ordine sociale non può essere che un prodotto della ragione in rapporto alla continuità storica dell'esperienza umana e che non è possibile realizzarlo sulla base delle nuove conoscenze delle leggi biologiche, fisiche, chimiche, etologiche e sociobiologiche che nelle specie animali hanno creato, in tempi lunghissimi, il comportamento sociale istintivo. E. O. Wilson in La conquista sociale della Terra sostiene che… ... nessuna idea della scienza moderna ha suscitato più polemiche di quella secondo cui l'istinto umano è il prodotto della mutazione della selezione naturale.166 Come abbiamo visto l'etologia è la scienza che studia il comportamento animale e umano. Ebbene: L'etologia tratta ... sia il comportamento animale sia quello umano come funzioni di un sistema che deve la sua esistenza e la sua forma specifica a un processo storico svoltosi nel corso della filogenesi167, dello sviluppo dell'individuo e, nel caso dell'uomo, dell'evoluzione culturale. In quanto al problema causale vero e proprio, e cioè al problema del “perché” un determinato sistema sia dotato di quelle e soltanto di quelle caratteristiche, esso può trovare una risposta legittima soltanto nella spiegazione di tale processo in termini di scienza naturale. 168 Vediamo dunque cosa si dovrebbe intendere per istinto. Un'ape appena nata si orienta immediatamente verso un celletta che contiene miele e ne assume in abbondanza per avviare al meglio i suoi processi vitali; una balena neonata sa nuotare; uno gnu sa stare in piedi, correre e trottare pochi minuti dopo la nascita, ecc.. Questi comportamenti, ovviamente, si sviluppano in base a istruzioni biologiche già presenti nel patrimonio 166 E. O. Wilson, Sulla natura umana, cit. p. 182. 167 R. L. Montalcini ((1909-1912), in “La Galassia Mente, Baldini & Castoldi, Milano, 2001, definisce la filogenesi come “un processo evolutivo degli organismi vegetali e animali dalla loro comparsa sulla terra a oggi”. 168 G. A. D'Ambrosio, Introduzione a L'imperativo territoriale di R. Ardrey, Giuffré Editore, 1984, Milano, p. 3. 105 genetico dell'elica immortale. Penso perciò che possiamo essere d'accordo nel definire l'istinto come una capacità innata che negli individui di tutte le specie determina un comportamento immediato in risposta a precisi stimoli interni o esterni. Nell'enorme periodo di tempo che ha segnato la vita dei batteri - dice la scienza del ventunesimo secolo - si sono prodotti spontaneamente nel vivente i geni dell'elica immortale e le strutture neuronali che permettono anche di prevedere, apprendere, simulare, immaginare, ricordare, trasmettere e ricevere informazioni che determinano il comportamento individuale. Ebbene, per controllare il comportamento dell'organismo in relazione all'ambiente interno e esterno, i geni e il restante RNA/DNA presente nelle cellule del corpo, perfetti ingegneri programmatori, nel corso della loro formazione ... ... dovevano regolare il computer in anticipo, fornendogli una lista equilibrata di istruzioni specifiche e di suggerimenti su strategie e tecniche da usare. ... dopo di che la macchina da sopravvivenza lavora da sola ed i geni possono solo restare passivi al loro interno.169 Fin dalla loro comparsa i batteri sapevano forse che per rispondere in modo efficace ai pericoli improvvisi che derivavano dall'ambiente esterno dovevano disporre di meccanismi di comportamento molto rapidi ed efficienti? Apparentemente no! Questo non toglie che in circa tre miliardi di anni sono sopravvissuti quelli che erano in grado di dare risposte immediate di comportamento nei confronti dei pericoli per assicurare in modo più efficiente la sopravvivenza e la riproduzione. Questo si può spiegare col fatto mentre nei batteri e negli animali la rapidità della risposta istintiva a stimoli ambientali è rapidissima e automatica, nella specie umana la risposta può essere soggetta anche a scelte volontarie di comportamento soggette a particolari raffinatissimi meccanismi di valutazione sensoriale, culturale o di pensiero astratto che rallentano o impediscono il funzionamento del meccanismo. Ad esempio: tutti gli esseri umani nascono con la capacità istintiva di stare immersi nell'acqua senza respirare. Un riflesso ancestrale comune ai mammiferi, infatti, porta anche i neonati della nostra specie a chiudere istintivamente la glottide per impedire di inalare l’acqua durante l’immersione evitando così di restare soffocati. Questo riflesso istintivo viene perso dal bambino dopo i primi 7-8 mesi di vita, dopo di che deve apprendere il nuoto per imitazione. Con l'apprendimento per imitazione il bambino compie un passo fondamentale della sua esistenza: è in grado di scavalcare l’istinto geneticamente programmato e di superare la paura indotta dalla legge della conservazione 169 R. Dawkins, Il gene egoista, cit. p. 57. 106 della vita per mezzo della capacità di apprendere, di imitare, di ricordare e di prevedere le conseguenze della sua scelta di comportamento che adesso è volontaria e non più istintiva. Nei Sapiens la possibilità di scelta di comportamento consapevole legata alla cultura complessiva acquisita, diventa forse lo strumento per superare l’istinto? La risposta che oggi i neuroscienziati danno è che la mente inconscia, che ha avuto un periodo evolutivo di formazione lunghissimo, legge i segnali ambientali interni ed esterni e nell'uomo processa circa 20 milioni di stimoli al secondo. L'istinto, in parole povere, fa scattare le risposte senza la minima partecipazione o supervisione della mente conscia con una rapidità eccezionale. L'intervento della mente conscia, diversamente, permette di rispondere solo a circa 40 stimoli al secondo. Nell'uomo le due menti formano una coppia dinamica ed interconnessa in grado di cooperare in ogni istante, come quando guidiamo una macchina e parliamo con una persona, oppure guidiamo e seguiamo la trasmissione della radio. Questa sorta di cooperazione spontanea fra geni produce comportamenti molto complessi, come nel caso di uno che impara a manovrare un complicato meccanismo ed esegue movimenti impacciati e lenti inizialmente ma decisi e rapidi una volta acquisiti nei programmi della mente inconscia e resi automatici. Come nel vivente l'istinto è una conseguenza della selezione biologica naturale nelle specie animali, così anche il comportamento territoriale è stato geneticamente acquisito come reazione istintiva necessaria alla sopravvivenza e alla sicurezza della famiglia, del gruppo e della società in condizioni di pericolo. Per questo, forse, il comportamento territoriale istintivo degli animali ha attratto la curiosità di centinaia di specialisti e di biologi, i quali sono convinti che l'uomo sia una specie legata al territorio in cui è nato, proprio come lo sono moltissime specie animali. Ignorando queste osservazioni, la globalizzazione (mercato) e il mondialismo (politica) hanno la pretesa di poter violare impunemente le regole di comportamento biologico che la natura ha sperimentato in miliardi di anni, senza rendersi conto di doverne subire, presto o tardi, le conseguenze. 5. Imperativo territoriale e comunità La più importante fatica scientifica di un grande etologo e zoologo americano, Robert Ardrey, si titola: L'imperativo territoriale.170 R. Ardrey (1908-1980), zoologo, antropologo e drammaturgo americano, L'imperativo territoriale, Giuffrè Editore, Milano, Collana di scienza della politica diretta da Gianfranco Miglio, 1984. 170 107 Partendo dall'assunto che il comportamento sociale umano, essendo un prodotto dell'evoluzione, può essere spiegato biologicamente nello stesso modo del comportamento di altri animali, Ardrey lo osserva in rapporto al territorio e lo definisce come “un istinto aperto in cui il comportamento finale è regolato da un modello geneticamente determinato, completato da tradizioni sociali e da esperienze individuali”. Ne consegue che gli animali, esattamente come l'uomo, costruiscono nazioni biologiche le cui componenti “obbediscono all'imperativo territoriale” e sostiene la tesi che che “Una effettiva organizzazione sociale ... sarà raggiunta o attraverso il territorio o attraverso la tirannia”. La capacità di un popolo, di formare tradizioni culturali che diventano una rilevante forza selettiva in un particolare ambiente, ha probabilmente contribuito al rapido sviluppo dell'evoluzione umana. Sottovalutare le conseguenze a lungo termine di una tradizione culturale è altrettanto pericoloso che sopravvalutare le conclusioni a breve termine del determinismo culturale.171 Un'ampia varietà di osservazioni interdisciplinari sul comportamento territoriale degli animali fa pensare che la lotta per il territorio abbia caratteristiche innate e che sia fortemente dipendente dalla genetica. Nel corso della sua evoluzione sociale l'uomo, grazie all'istinto di sopravvivenza ha adottato strategie di comportamento necessarie a eliminare i pericoli legati all'ambiente familiare, sociale e territoriale. L'imperativo territoriale di nazione biologica deve essersi formato in milioni e milioni di anni nel mondo animale come istinto, reazione davanti a pericoli o situazioni in cui è in gioco la sicurezza, la sopravvivenza, la stabilità e il benessere dell'individuo, del gruppo o della comunità, insediata su un limitato territorio dove l'individuo ha sviluppato la conoscenza dell'ambiente e creato rapporti di amicizia, usi, costumi e tradizioni condivise. La difesa del territorio di ogni comunità o società animale sarebbe dunque un istinto territoriale individuale, sociale e biologico ancestrale legato sia all'identità e alla sopravvivenza dell'individuo, sia alla comunità in cui vive. In realtà fino ai secoli recenti l'uomo ha sempre vissuto in comunità di dimensioni assai limitate: le Poleis greche e le Civitates romane. È a partire dalla diffusione dell'idea di Stato e dalla rivoluzione industriale che ... … Si considera del tutto scontato che le dimensioni sempre crescenti delle entità politiche, fino ad arrivare ad un unico governo mondiale, garantiscano un allargamento dei mercati e conseguentemente una accresciuta prosperità. ... La globalizzazione dei mercati, in realtà, nasconde il proposito di accentrare in un unico organismo mondiale la 171 R. Ardrey, Ivi, p. 53. 108 regolamentazione del commercio e della finanza virtuale planetaria per favorire i gruppi di potere egoista incarnati nei clan, soprattutto bancario, finanziario e industriale, che attraverso lacchè politici ai loro ordini governano gli stati. 172 Solo oggi cominciamo a renderci conto che la prospettiva statalista voluta dai globalizzatori dei mercati, da attuarsi mediante il mondialismo della politica (un governo unico per tutta la terra), rende necessario l'accentramento di potere di governo a livello mondiale ed offre la possibilità di uniformare i comportamenti individuali e sociali favorevoli al mercato, distruggendo gli usi, la cultura, le diversità e le tradizioni delle piccole e medie comunità. Nei secoli recenti, sotto la spinta del formidabile sviluppo della tecnologia e della dimensione territoriale dello stato, il capitalismo ha subito una profonda trasformazione: si è affermato come paladino del mondialismo e della globalizzazione dei mercati ed è degenerato in turbocapitalismo. In questa ottica è possibile prevedere uno STATO MONDIALE in mano a pochi gigacapitalisti e super-burocrati centralizzatori, nominati direttamente dai capi dei partiti o dalle burocrazie degli stati, che risponderanno del loro operato e delle leggi dagli stessi volute, non alle regole oggi conosciute della vita umana, ma unicamente alle lobbies di banchieri a livello mondiale. Il modo mediante il quale è stata organizzata l'Europa ne è un evidente e squallido esempio. La Teoria delle dimensioni sociali, formulata nel 1955 da Leopold Kohr173 in Il crollo delle Nazioni, si fonda sul presupposto che la causa di tutte le guerre e della miseria sociale sia da ricercarsi nella “grande dimensione territoriale e numerica dei grandi stati-nazione”. ... se la natura pone a misterioso fondamento del benessere il principio della piccolezza degli elementi del creato, indicando nel principio opposto la causa del loro malessere, il sistema di cura non può essere rappresentato che dal metodo della divisione, intesa come scissione in più parti degli elementi prima esistenti, in modo da trasformare un equilibrio statico controllato, in una forma di equilibrio dinamico dotato di un autonomo potere di regolazione. ... mentre la fusione, che a tanti sembra un fenomeno evolutivo, rappresenta invece non soltanto una causa di malessere, ma anche un indice di primitivismo. ... Le lastre di pietra, che non hanno alcuna utilità quando sono troppo grosse, possono essere utilizzate in delicati mosaici o in imponenti cattedrali, dopo essere state tagliate in parti più piccole.174 Se nel presente molti odiano la parola “secessione”, prima di manifestare il proprio pensiero in relazione al suo significato dovrebbero rendersi conto che 172 H-Hermann Hoppe, Abbasso la democrazia, Leonardo Facco Editore, Bergamo, 2000, p. 36. 173 Leolold Kohr (1909-1994), economista, giurista e politologo statunitense. 174 L. Kohr, Il crollo delle nazioni, Edizioni di comunità, Milano, 1960, p. 180. 109 la secessione altro non è che una esatta interpretazione biologica del contenuto di questa citazione. Il prossimo fallimento della moderna Europa dove l'alta finanza, con la complicità della politica e della burocrazia stataliste sta tentando la fusione dei sistemi legislativi e finanziari del potere di governo di numerosi stati sottraendo agli stessi sovranità su quasi ogni aspetto della vita in comune, ne è un esempio evidente. Infatti i popoli stanno avviando un processo irreversibile di autodeterminazione politica a livello locale, che si opporrà sempre più pesantemente al processo di accentramento politico europeo voluto dalle grandi lobbie politico-affaristiche, ma non dalla maggioranza dei cittadini. Nel 1943, poco prima di morire, Simone Weil ha scritto: Il bisogno di avere radici è forse il più importante e il meno conosciuto dell’anima umana. Difficile definirlo. L’essere umano ha le sue radici nella concreta partecipazione, attiva e naturale all’esistenza di una comunità che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti dell’avvenire.175 Il quadro sociale che deriverà da queste osservazioni potrebbe essere caratterizzato da rivolte popolari violente, volte a ripristinare un ordine sociale coerente con i limiti numerici e territoriali che la natura impone a ogni sistema sociale che crea; compreso quello umano. Nel 1990, un gruppo di docenti e studiosi nel campo dell’etica, della filosofia e delle scienze sociali, si ritrovarono nella capitale degli Stati Uniti su invito di Amitai Etzioni,176 docente di sociologia presso la locale George Washington University e del suo collega William Galston per un dibattito sui problemi cronici di tutte le moderne società occidentali. Furono affrontati i temi della disgregazione sociale, del declino della famiglia, dell'egoismo, dell'individualismo, del venir meno del concetto di responsabilità sociale, dei pericoli della democrazia elettronica, della scomparsa di una qualsiasi nozione di bene comune capace di bilanciare gli interessi particolari, della violenza, della guerra, dell'accentramento del potere, ecc.. Il gruppo di studio dopo aver preso atto che dopo quasi cinquant’anni in cui era stato progressivamente estromesso dal dibattito delle idee qualsiasi riferimento al tema delle identità collettive, decisero di darsi il nome Communitarians per enfatizzare il fatto che era giunto il momento di tenere fede alle responsabilità nei confronti dei principi e delle persone con cui tutti tutti gli individui hanno 175 Simone Weil (1909-1948), La prima radice, trad. F. Fortini, Edizioni di comunità, Milano, p. 198. Amitai Etzioni, sociologo, teorico del Movimento comunitario, animato da un forte impegno civile di rinnovamento a favore della comunità, volto a promuovere il senso di responsabilità sociale, il valore del rispetto reciproco, la necessità di bilanciare le esigenze individuali con le responsabilità sociali. 176 110 qualcosa a che spartire: la Comunità. Quello che il gruppo di intellettuali riteneva essere il pericolo maggiore per il genere umano è la progressiva scomparsa dell'idea di comunità dalla vita sociale. Forse è per tale ragione che sono portato a credere che il nesso di reciprocità nei rapporti interpersonali, economici e politici, l'istinto biologico individuale legato all'imperativo territoriale della comunità e la contrattualità politica della LEGGE collegata all'idea di autogoverno, potrebbero essere le risposte adeguate per risolvere i problemi creati nel passato dalla nostra specie. Purtroppo attualmente proprio quella borghesia che aveva trovato nel capitalismo delle origini lo strumento del progresso, del benessere, della libertà e della civiltà, creatrici dello straordinario periodo del Rinascimento, ha accettato passivamente un sistema sociale politico ed economico distruttivo in cui gli individui non consumano per esistere, ma esistono solo per consumare. Saranno le piccole e medie comunità autogovernate, indipendenti, federate con altre dello stesso tipo e stabilmente insediate su territori limitati, le scogliere sulle quali si infrangerà l'assurdo disegno politico mondialista portato avanti senza scrupoli morali dai grandi stati moderni accentrati in mano alle lobby di potere finanziare, burocratiche e massoniche che voglio dominare il mondo? Io credo che passeranno secoli e che una serie di rivoluzioni sociali debba verificarsi prima che possano apparire le condizioni di coerenza del comportamento umano con la legge di natura. Sarà questo passaggio a offrirci la possibilità di modificare i comportamenti politici che si dimostrano contrari al progresso, al benessere di tutti e alla crescita della coscienza individuale e collettiva e della civiltà? 111 Capitolo IX L'archè del Contratto nell'ordine sociale 1. La ruota infuocata di Issione delle rivoluzioni sociali. In Del principio federativo Proudhon scrive: Si tratta di sapere se la società può arrivare a qualcosa di regolare, di giusto e di stabile, che soddisfi la ragione e la coscienza, oppure se siamo condannati per l'eternità a questa ruota di Issione. Nella mitologia greca Issione, figlio di Flegias, re dei Lapiti, invitato alla mensa degli Dei aveva oltraggiato la Dea Era e per questo fu condannato da Giove a girare per l'eternità legato a una ruota infuocata. Penso che molti di quelli che con un po' di fatica sono giunti fin qui, concorderanno che ciò che ci aspetta in mancanza di possibilità di cambiamento di logica per affrontare il tema dell'ordine sociale sia la persistenza di un sistema statale chiuso caratterizzato da un susseguirsi di brevi periodi di pace con periodi di rivoluzioni, di sfruttamento indiscriminato, di atroci violenze e di guerre. Tuttavia una possibilità di cambiamento esiste, è reale e può essere facilmente compresa da tutte le persone di buona volontà: Io cerco di dimostrare che questo tipo di costituzione unica (la Costituzione federale, n.d.a.) che alla fine sarà riconosciuta come la più grande conquista della ragione dei popoli, non è altro che il sistema federativo. Ogni forma di governo che si allontana da essa, deve essere considerata come una creazione empirica, un abbozzo provvisorio, più o meno comodo, sotto la quale la società trova riparo un istante e che, come la tenda dell'Arabo, si leva la mattina dopo averla montata la sera.177 L'esperienza della teologia-politica secolarizzata e le centinaia di rivoluzioni e di guerre che ha prodotto dovrebbe ormai averci insegnato che nel corso di ogni rivoluzione sociale la politica e l'economia si riducono a scontro irrazionale e violentissimo di passioni, di ipotesi, di ideologie, di miti, di fedi e di interessi. Infatti una volta terminata la rivoluzione o la guerra che nascono sempre dall'alternarsi di regimi di autorità con regimi di libertà o dalla grande disuguaglianza delle fortune, si perviene inevitabilmente a nuove costruzioni 177 P. J. Proudhon, Del Principio federativo, cap. 1, Dualismo politico, Autorità e libertà. 112 artificiali dell'ordine sociale decise a tavolino ancor prima che la rivoluzione cominciasse. Così la ruota di Issione dello Stato accentrato continuerà a produrre per l'Umanità secoli l'inferno di rivoluzioni sociali e di guerre. Chi dispone di grandi ricchezze sa che storicamente l'ordine sociale si dissolve nelle forme degenerate dell'anarchia 178, della democrazia, del socialismo, del liberalismo, del comunismo, della dittatura e della monarchia. I grandi proprietari delle banche sanno anche che tutto ciò può essere favorevole alla preservazione e all'accrescimento dei loro interessi potendo manipolare i governi con la corruzione e con la compravendita dei voti. La maggiore preoccupazione dei filosofi e dei giuristi onesti dei secoli che ci hanno preceduto era quella di ricercare l'origine del potere, il Principio superiore dal quale tutto ciò che riguarda l'ordinato evolversi della vita sociale dovrebbe derivare per arrestare la violenza nei rapporti interpersonali e sociali. La Grecia antica lo trovò nella Democrazia come forma di governo popolare; Machiavelli lo trovò nel Principe riferendo il potere di dominio e di imperio al quale i suoi sudditi sarebbero stati sottomessi con la forza per assicurare loro la stabilità di governo e la sicurezza; Hobbes e Rousseau lo trovarono nell'idea di contratto sociale e di volontà generale; Proudhon lo trovò nell'idea di contratto politico commutativo che accomunando il principio repubblicano con la democrazia permette di equilibrare nell'ordine sociale l'autorità con la libertà per mezzo della legge. Tuttavia nella realtà sociale … Esistono dicotomie ed antinomie. Le dicotomie sono coppie di estremi opposti ed autoescludentisi. Archè ed Anarchè, cioè il principio generativo e, insieme, conservativo che viene contrapposto alla mancanza di origine e organizzazione, cioè il “territorializzato” contro il “nomade”, è un chiaro esempio di dicotomia. Si definisce antinomia, invece, la compresenza di due affermazioni contraddittorie, egualmente dimostrabili, in uno stesso procedimento logico o definizione. Un caso chiarissimo di questa compresenza la troviamo nella “proprietà privata”, come esemplificato dalle due opere maggiori di P. J. Proudhon sull’argomento. In Che cos’è la proprietà? il tipografo francese afferma che essa “è un furto”; nella Quarta memoria sulla proprietà179, diversamente, sostiene che questa “è la libertà”. In realtà, sono ben poche le dicotomie che non siano poi riducibili a delle antinomie di base. Certo è che, accolta una errata dicotomia, si ottiene Ho indicato l'anarchia come degenerata perché la parola anarchia, sotto la spinta dello status quo secolarizzato, ha assunto nel tempo un significato negativo e dispregiativo che originariamente non gli apparteneva. 179 P. J. Proudhon, Teoria della Proprietà, o Quarta Memori stampato nel 1866, un anno dopo la sua morte. Nell’arco di tutta la sua produzione Proudhon, in contrapposizione con Marx, ha evidenziato lucidamente che la principale fonte dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, nonché il più grande pericolo per la libertà individuale, sociale e per il bene comune non è da rintracciarsi tanto nell’espropriazione capitalista, quanto “nel modo di produrre la Legge”. 178 113 ciò che in teoria cognitiva, ma non solo, si chiama bias, cioè la ricaduta a cascata di un iniziale distorsione su tutti i passaggi logici successivi, un errore sistematico.180 Ci vuol poco a capire che il bias181 è lo strumento che alcuni usano per appropriarsi del potere di governare distorcendo il significato delle parole per creare condizioni favorevoli ai loro interessi e aspettative personali o di gruppo. Per questo credo sia necessario restituire alle parole il loro significato originario, escludendo dalla politica la possibilità di interpretazioni personali. Archè è un termine che nell'antica Grecia significava principio unico, comando e indicava il potere generativo a cui tutte le cose devono ubbidire ed entro il quale ogni cosa vive nella sua limitata dimensione. L'Archè è anche l'identità del diverso, principio eterno e incorruttibile di cui ogni cosa, elemento o processo è costituito. L'archè dunque non solo è ciò che vi e di identico nelle cose diverse, e non solo è la dimensione da cui esse provengono e in cui esse ritornano, ma è anche la forza che determina il divenire (il mutare) del mondo, ossia è il "principio" che, governando il mondo, lo produce e lo fa tornare a sé.182 L'opposto di Archè in quanto principio generativo, è Anarchè: mancanza di origine, di potere e di organizzazione. Anarchia è ordine senza potere. Riferito alla società umana il termine è sinonimo di consapevolezza, coscienza allo stato puro, autogoverno degli individui e delle loro comunità; esattamente il contrario di ciò che il potere e le chiese hanno fatto credere agli individui ed a popoli indicando la parola come sinonimo di DISORDINE e di violenza . Quale riflesso pratico possono avere queste osservazioni agli effetti dell'ordine sociale? A mio parere è ciò che importa esaminare. 2. Come il potere dello status quo impedisce la spontaneità delle leggi nell'ordine sociale umano Credo che cercare di definire la natura del potere e di indicare i modi attraverso i quali rendere più equa la diffusione del benessere, sia molto importante agli effetti della comprensione dell'ordine sociale, perché coinvolge sia l'idea di uguaglianza nella diversità sia la necessità di equilibrio dell'autorità Luigi Corvaglia, conversazione sul tema: Proprietà e mercato fra Archè e Anarchè. Il Bias è indicato come un errore sistematico che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni, ipotesi o interessi e, viceversa, ignorare o sminuire le informazioni che le contraddicono. 182 E. Severino, La filosofia antica, BUR, collana Saggi, Rizzoli. 180 181 114 con la libertà i cui figli degeneri sono per entrambi l'arbitrio, l'abuso, le esagerazioni dell'egoismo connessi con la politica e col mercato. Un adeguato chiarimento sul tema del “potere” è dato da un grande giurista tedesco, Carl Schmitt in Dialogo sul potere183 con un giovane: G. (giovane) - Parliamo dunque del potere che uomini esercitano su altri uomini. Da dove deriva quel potere smisurato che, per esempio uomini come Stalin o Roosvelt o chiunque altro lei voglia, hanno esercitato su milioni di uomini? C. S. - (Carl Schmitt) Nei tempi antichi si sarebbe risposto così: il potere deriva dalla natura o da dio. G. - Temo che ai nostri giorni il potere non ci appaia più come qualcosa di naturale. C. S. - Lo temo anch'io. Rispetto alla natura ci sentiamo oggi molto superiori. Non la temiamo più e anche se ci aggredisce con malattie e catastrofi, nutriamo la speranza di sconfiggerla in breve tempo. L'uomo, un essere vivente reso debole dalla natura, si è prepotentemente distaccato dal proprio ambiente con l'aiuto della tecnica. Si è fatto signore della natura e di tutti gli esseri che vivono sulla terra. Le barriere tangibili che nel passato la natura gli aveva opposto, come il freddo e il caldo, la fame e la carestia, gli animali selvatici e i pericoli di ogni sorta, queste barriere naturali hanno perso molto della loro forza. G. - È vero. Non abbiamo più motivo di temere gli animali selvatici. C. S. - Oggi le gesta di Ercole ci sembrano imprese molto modeste; e quando un leone o un lupo piomba in una grande città, al massimo, crea ostacoli al traffico o intimidisce i bambini. Di fronte alla natura l'uomo si sente così superiore da permettersi il lusso di istituire parchi naturali. G. - E che ne è di dio? C. S. - Per ciò che riguarda dio, l'uomo moderno – e mi riferisco a chi abita nelle grandi città – ha l'impressione che dio sia indietreggiato o che persino lo abbia allontanato. Quando sente il nome di dio, l'uomo di media cultura cita automaticamente la sentenza di Nietzsche: dio è morto. Altri, non meglio informati, citano un motto del socialista francese Proudhon, che ha precorso Nietzsche di circa quaranta anni affermando: chi parla di dio, bara. G. - Se il potere non deriva né dalla natura, né da dio, allora da dove proviene? C. S. - Non ci resta che una soluzione: il potere, che viene esercitato da un uomo su un altro uomo, deriva dall'uomo stesso. G. - Questa è buona. Ma tutti siamo uomini. Lo erano anche Stalin e Roosevelt o chiunque altro si voglia citare in proposito. 183 C. Schmitt (1888-1985), giurista e filosofo politico tedesco, Dialogo sul potere, Ed. il melangolo, Genova, 1990, pp. 11-14. 115 C. S. - Una soluzione tranquillizzante. Se il potere, che un uomo esercita su un altro, deriva dalla natura, allora o è il potere del genitore sulla sua prole, oppure è solo la superiorità dei denti, delle zampe, degli artigli, delle ghiandole velenose, e di altre armi naturali. Lasciamo pure cadere il discorso sul potere dei genitori. Resta il potere del lupo sull'agnello. Un uomo che ha potere, di fronte ad un uomo che non ne ha, si sente un lupo. Chi non ne ha si sente un agnello, finché non riesce a raggiungere il potere e ad assumere il ruolo del lupo. Ricorda il detto latino: Homo homini lupus. G. - Spaventoso! E quando il potere deriva da dio? C. S. - Allora, colui che lo esercita deve possedere una qualità divina, interpreta il proprio potere come qualcosa di divino e pretende che si veneri se non la sua persona, quantomeno il potere divino che si manifesta in lui. Ricorda il detto latino: Homo homini deus. G. - Questo supera ogni limite! C. S. - Ma se il potere non deriva né della natura né da dio, allora tutto ciò che riguarda il potere e la sua prassi si svolge tra uomini. I detentori del potere di fronte a coloro che non lo hanno, i potenti di fronte agli impotenti sono più semplicemente uomini di fronte a uomini. G. - È proprio così: l'uomo è per l'uomo un uomo. C. S. - Ancora una volta le ricordo un detto latino: Homo hominis Homo. In ultima analisi l'idea di Schmitt, considerando che anche per gli antichi ”il potere deriva dalla natura o da dio”, conferma l'idea dell'inuguaglianza come legge di natura che produce POTERE e AUTORITA' come dominanti della politica e riduce la questione del governo a un fatto fra uomini. Da qui l'idea che potere e autorità debbano appartenere al più forte come in apparenza indica la natura. Stabilito il governo sull'inuguaglianza come legge di natura e non sul suo necessario equilibrio con l'uguaglianza per mezzo della coscienza, ogni società è prossima alla tirannia e al suicidio, perché … … il potere, guardiano della giustizia, è impotente ad adempiere al suo mandato: è un organo di iniquità. Costretto fatalmente, per sostenere l'ordine di cose la cui immoralità non tarda a colpire le anime, ad usare verso i cittadini la violenza, da questo momento è perduto. In luogo della Giustizia, regna la ragion di stato, la cui ultima parola, il termine funebre è tirannia.184 La saldatura storica fra l'idea di divinità onnipotente e creatrice di ordine dal disordine (che in nome dell'obbedienza oltre a salvare dalla morte sceglie a sua discrezione anche i benedetti dalla sorte in termini di ricchezza) e il POTERE che per mezzo dell'autorità e della forza induce all'obbedienza mediante la 184 P. J. Proudhon, La giustizia nella rivoluzione e nella chiesa, trad. di Mario Albertini (1919- 1997), UTET , Torino, 1968, p. 467. 116 sottomissione, ha permesso che in nome dell'inuguaglianza si formasse la grande proprietà che si incarna nel dispotismo, nell'egoismo, nella violenza di stato, nello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e nelle guerre di oppressione o di conquista. Qui non sussiste più l'uomo che “è per l'uomo un uomo”, ma il potere dell'uomo “contro” l'uomo. Eccolo il Bias dello Stato sovrano: l'errore sistematico attraverso il quale sono state selezionate e diffuse nei secoli le informazioni che permettono a pochi di esercitare il loro potere personale attraverso l'autorità e la violenza legittimata dalla legge, riparandosi dietro l'invenzione di un dio onnipotente o dello stato. Da qui alla violazione dei diritti naturali degli individui il passo è breve, brevissimo. Si pensi al diritto naturale di preservare la vita violato con l'obbligo di partecipare alla guerra o all'imposizione fiscale oltre certi limiti, al diritto naturale alla non tassabilità della prima casa (entro certi limiti di superfice), all'esercizio diretto della volontà di scelta politica personale che è sinonimo di “sovranità”, ai segreti di stato, alle violazioni della costituzione, ecc., ecc. . Se si può giustificare che tutto ciò che nei secoli è stato prodotto a causa dell'ignoranza e dalla mancanza di conoscenza delle leggi della natura e dei relativi diritti, oggi la servitù nei confronti del potere comunque stabilito a priori dall'uomo sull'uomo non è più accettabile. Nessuno, che io sappia, ha considerato che disuguaglianza e uguaglianza sono elementi del sistema dell'ordine sociale soggetti alla legge universale dell'equilibrio degli elementi che lo formano. Per questa ragione credo che presto dovremo - o meglio: “saremo costretti” a prendere atto che il potere e l'autorità dello stato, non esistono in natura e che sono destinati a scomparire come sistemi di organizzazione sociale primitivi, artificiali e arbitrari imposti dall'alto con la forza o con la menzogna. L'ordine sociale umano, in poche parole, non ha più ragione di essere fondato sulla continuità storica o sul potere e l'autorità dello STATO come concepito nei secoli passati e come oggi viene insegnato nelle scuole e nelle università, ma su un corretto rapporto fra le leggi prodotte dalla ragione con quelle conosciute della natura conosciute e nel rispetto assoluto dei diritti naturali che non possono essere oggetto di legge. In questo caso il potere e l'autorità esistono; eccome se esistono! Sono quelli che derivano da ogni individuo uguale e libero di concorrere con la propria VOLONTÀ e la propria COSCIENZA, nella libertà e nella diversità, alla formazione della LEGGE mediante strumenti giuridici appropriati in cui la Democrazia diretta sia prevalente rispetto alla Democrazia rappresentativa. Pertanto, a mio parere, l'Archè del governo così sommariamente concepito dovrebbe essere considerato come la bussola per orientare l'ordine sociale delle Comunità future verso il progresso, il benessere e una nuova forma di civiltà. Se io seguo, attraverso le sue trasformazioni successive, l’idea di Dio, 117 trovo che cotesta idea è innanzi tutto sociale; intendo dire che essa è piuttosto un atto di fede del pensiero collettivo, che un concetto individuale. Ora, come e in quale occasione un tale atto di fede si produce? Importa determinarlo.185 Ebbene, a mio parere un tale atto di fede nel pensiero collettivo si produrrà attraverso la capacità degli individui e dei popoli di auto-organizzarsi politicamente ed economicamente riappropriandosi del diritto naturale di deliberare direttamente le leggi che li riguardano, senza delegarlo completamente a dei rappresentanti. Tale è l'autogoverno come legge di natura inalienabile, inviolabile e imprescrittibile. La legge così prodotta renderà possibile stabilire regole di comportamento sociale condivise della vita in comune, per … … non permettere un potere collocato al di sopra della società, ma anche una concentrazione territoriale e una concentrazione di molte funzioni della vita sociale nelle mani di pochi.186 Se questo non sarà possibile, dovremo continuare a soggiacere all'idea secolarizzata che un mostro sociale, un Leviatano chiamato STATO sovrano, possa continuare a predare, dominare, legittimare la violenza istituzionale e sfruttare la vita e il lavoro di molti per salvaguardare gli interessi, i privilegi ed il potere di pochi derivati dalla sua esistenza e dal suo uso contro natura. 3. I migliori per autoreferenza che vogliono dominare il mondo. Agli albori del terzo millennio stiamo percependo segnali allarmanti che indicano la prossima fine delle illusioni che una economia politicamente globalizzata e mondializzata, realizzata sulla base di concezioni teologicopolitiche secolarizzate inappropriate e arbitrarie, possa sradicare dal Pianeta la povertà, la grande disuguaglianza, l'ignoranza e le guerre. Lo Jus Publicum Europaeum cinque-seicentesco, nato dopo la pace di Westfalia (1648), che concludeva la Guerra dei trent'anni, ha caratterizzato i regimi dei maggiori stati del pianeta fino ad oggi. In queste condizioni non è certamente semplice azzardare idee nuove per dare voce e potere al popolo, ovvero a tutti i cittadini, nella formazione delle leggi ed è comprensibile che ciò possa ancora apparire velleitario o utopistico nelle attuali condizioni politiche, economiche e religiose. Tuttavia dobbiamo prendere atto che il potere planetario della grande finanza 185 P. J. Proudhon Prologo al Sistema delle contraddizioni economiche a filosofia della miseria, cap. I, cit. . 186 P. Kropotkin, Scienza e anarchia, cit., p. 36. 118 bancaria predatrice e parassitaria ha mantenuto la dote di malvagità, di criminalità sociale e di oppressione del passato e che non accetterà facilmente una concezione dell'ordine sociale che nasce dal basso, dagli individui come avviene in natura, perché sarebbe in grado di subordinarla agli interessi e alle aspettative della maggioranza responsabile delle scelte di governo. I migliori (...) vogliono poter essere malvagi, quando a loro piaccia, senza cessare di essere i padroni. Un predicatore politico avrà un bel dire loro che, essendo la forza del popolo la loro forza, il loro più grande interesse è che il Popolo sia fiorente, numeroso e temibile. Sanno benissimo che non è vero. Il loro interesse personale è soprattutto che il popolo sia debole, miserabile e che non possa mai resister loro.187 Di fronte alla grande crisi determinata dalle ideologie sociali che non riescono più a trasmettere una visione del futuro coerente con gli ideali morali ed economici che si sono affermati nei corso dei secoli, si rende necessaria una nuova consapevolezza, una nuova logica per affrontare il futuro in vista di risolvere i colossali problemi connessi con la crescita straordinaria della complessità dinamica dei sistemi dell'ordine sociale. Chiaramente la civiltà occidentale da tempo è sulla strada dell'autodistruzione. Può questo percorso essere fermato e, se sì, come? Vorrei poter essere ottimista, ma non so se vi siano sufficienti ragioni per l'ottimismo. Intendiamoci: il corso della storia è determinato in ultima analisi dalla idee, e le idee possono, in linea teorica, cambiare nello spazio di un secondo. Ma affinché le idee cambino non basta che la gente veda che qualcosa è sbagliato. Cioè, si devono comprendere i principi basilari sui quali poggia la società: la cooperazione umana.188 In queste condizioni, infatti, ogni potere artificiale, arbitrario o abusivo in grado di imporre agli individui e ai popoli un numero esorbitante di regole molto spesso incomprensibili, spesso vessatorie, di incerta interpretazione e dunque ispirate al parassitismo sociale, alla lunga è destinato a soccombere per permettere a ogni persona e popolo di essere unita alle altre nella libertà e nella diversità lasciando ognuno padrone a casa propria. 4. Lo stato moderno sinonimo di spoliazione degli individui e dei popoli. In Del principio federativo (Cap. I) Proudhon pone nella legge il principio generativo, l'Archè dell'ordine sociale, come elemento unico del governo e precisa subito che tale principio è il perno di equilibrio di un'antinomia fra 187 188 J.J Rousseau, Il Contratto sociale, cit. p. 105. H-H. Hoppe, Democrazia: il dio che ha fallito, liberilibri, Milano, p. 262-263. 119 l'Autorità che precede e la Libertà che segue. L'ordine politico riposa fondamentalmente su due principi contrari, l'AUTORITA', e la Libertà: il primo iniziatore, il secondo determinatore; avente questo per corollario la ragione libera, quello la fede che induce all'obbedienza. L'Autorità e la Libertà sono tanto antiche nel mondo quanto la razza umana: esse nascono con noi, e si perpetuano in ciascuno di noi. Osserviamo solamente una cosa, alla quale pochi lettori presterebbero essi stessi attenzione: questi due principi formano, per così dire una coppia di cui i due termini, indissolubilmente legati l'uno all'altro, sono nondimeno irriducibili l'uno contro l'altro e restano, qualunque cosa noi facciamo, in lotta perpetua. L'Autorità suppone inconfutabilmente una libertà che la riconosca o che la neghi; la Libertà a sua volta, nel senso politico della parola, suppone un'autorità che tratti con essa, frenandola o tollerandola. Sopprimetene l'una, l'altra non avrà più senso: l'autorità senza una libertà che discuta, resista o si sottometta è una parola vana; la libertà senza un'autorità che gli faccia da contrappeso è un non-senso. … Ne consegue che in ogni società, anche la più autoritaria, una parte è necessariamente riservata alla libertà; parimenti in ogni società, anche la più liberale, una parte è destinata all'autorità. Questa condizione è assoluta; nessun sistema politico può sottrarsi ad essa. A dispetto della ragione il cui sforzo tende incessantemente a risolvere la diversità nell'unità, i due principi rimangono a confronto e sempre in opposizione. Dalla loro tendenza contraria ed inevitabile e dalle loro reciproche reazioni, risulta la dinamica della politica. Con queste parole Proudhon anticipa e applica al sistema dell'ordine sociale umano un fenomeno fisico che oggi sappiamo essere caratteristico di tutti i sistemi altamente complessi del vivente: la ricerca incessante di equilibrio degli elementi e dei processi che ne consentono il perfetto funzionamento, rendendoli stabili e dinamici, migliorandone l'efficienza e risparmiando energia in vista della stabilità e del cambiamento. Molti grandi sociologi ed economisti del passato dell’Otto-Novecento di scuola francese e italiana hanno messo al centro delle loro riflessioni sociologiche il concetto di spoliazione dei cittadini da parte dello stato. Lo stato, che dovrebbe essere organizzato per i bene di tutti è molto spesso un'organizzazione formata da pochi per “spogliare” i cittadini dei loro beni. Jean-Baptiste Say, Pierre Joseph Proudhon, Frédéric Bastiat, Vilfredo Pareto, Maffeo Pantaleoni e altri, hanno osservato che in ogni società gli individui hanno a disposizione solo due modi per soddisfare i propri bisogni e garantire i propri interessi: la produzione e lo scambio volontario. Dopo l'autorità e la libertà, ancora due elementi del sistema dell'ordine sociale che dovrebbero trovare nella legge il loro equilibrio. Entrambi i termini 120 (produzione e scambio volontario di beni), infatti, esigono un nesso di reciprocità contrattualmente garantito che si concretizza nella partecipazione diretta dei soggetti interessati alla formazione della legge che regola i rapporti di produzione e di scambio. Tuttavia, mentre la partecipazione individuale e volontaria costituisce l'essenza del contratto economico di scambio in vista del reciproco interesse, nell'ordine politico la partecipazione individuale e volontaria dei cittadini alla formazione del contratto politico (la legge che regola lo scambio) è arbitrariamente esteso al consenso e alla rappresentanza: due condizioni artificiali, ipotetiche che offrono una doppia e inconciliabile possibilità di interpretazione e producono due forme antitetiche di governo: a) come rappresentanza politica di tutti da parte di pochi ai quali viene delegato col voto tutto il potere di l'iniziativa delle leggi e la funzione legislativa. Questo si verifica creando a priori indivisione e accentramento del potere di governo in poche mani; è il “contratto sociale”. Il procedimento che ne deriva produce la forma di Stato sovrano accentrato che “nega” sia la sovranità popolare, sia la partecipazione diretta dei cittadini all'iniziativa e alla delibera delle leggi che li riguardano, spezzando il nesso di reciprocità che garantisce il bene comune. E' il caso dell'Italia; b) come rappresentanza politica limitata dalla partecipazione volontaria di tutti alla deliberazione o alla legittimazione delle leggi che riguardano ognuno. Questo si può ottenere quando i cittadini conferiscono con procedimento democratico agli eletti nelle istituzioni la “parte minore” della loro sovranità di scelta politica sui FATTI limitati e conosciuti che li riguardano, riservandone sempre agli aventi diritto al voto la “parte maggiore”. In questo caso il potere di iniziativa delle leggi e la funzione legislativa appartengono anche ai cittadini e i rappresentanti sono sottomessi al loro potere superiore. Da questo secondo tipo di contratto (politico o di federazione) deriva l'Autogoverno, ovvero la divisione del potere di governo fra tutti gli individui associati che deliberano, modificano e abrogano le leggi della comunità locale e nazionale, non “contro” ma “in concorrenza” con i loro rappresentanti. Questa forma di governo è indicata come Federale. E' il caso della Svizzera e della California e di altri States americani meno conosciuti. La soluzione a) spezza il nesso di reciprocità fra governanti e governati e produce sistemi accentrati, eccezionalmente burocratizzati e dispotici in mano ai grandi proprietari e alle banche; la soluzione b) garantisce il nesso di reciprocità fra cittadini e fra questi e le istituzioni di governo nella deliberazione e legittimazione della legge e produce sistemi effettivamente repubblicani, democratici: dunque Federali. L'esperienza ha ormai storicamente dimostrato che con la finzione dello STATO i rappresentanti, essendo gli unici ad avere il potere dell'iniziativa delle leggi (art. 71 Cost. italiana), possono legittimare sia la violenza giuridica dello stato, 121 sia la spoliazione dei cittadini da parte dello stesso come in effetti sta avvenendo visto che il secondo comma dello stesso articolo 71 (leggi di iniziativa popolare) viene puntualmente ignorato da Parlamento, esattamente come vengono ignorati dallo stesso i risultati di numerosi referendum. Altro esempio storico di come si perviene alla condizione di legittimazione della violenza e della spoliazione dei cittadini da parte dello stato sovrano è di nuovo l'Italia la cui Costituzione, approvata dall'Assemblea generale il 22 dicembre 1947 e entrata in vigore il 1 gennaio 1948, non è mai stata sottoposta all'approvazione o al rifiuto del popolo come era stato promesso dai partiti della Resistenza riuniti a Bari nel 1944. Così la possibilità di negare la Sovranità popolare salvo l'unico giorno della cerimonia delle elezioni attraverso un potere autoreferenziale del parlamento tipico dello stato monarchico e fascista che aveva voluto e perso la guerra, veniva subdolamente reintrodotta nella Costituzione Repubblicana e democratica voluta dai partiti antifascisti. Ebbene, da un punto di vista morale e pratico i risultati della spoliazione da parte dello stato sovrano dei diritti naturali dei cittadini lavoratori, della violenza giuridica della legge e della spoliazione mediante tasse e imposte assurde sono abbastanza simili: per il fascismo l'entrata in guerra con milioni di morti; per la democrazia parlamentare le catene di decine di milioni di cittadini-lavoratori legati allo sfruttamento sistematico da parte del sistema predatorio delle banche private e del grande capitale parassitario locale, nazionale, europeo o mondialista che sia. 5. La convenzione e la legge morale propria della natura. La parola convenzione (contratto) connessa con il nesso di reciprocità, ho riportato, ha suscitato di recente l'interesse in alcuni sociobiologi ed etologi per il fatto che la selezione naturale crea spontaneamente i geni che regolano il funzionamento degli organi e condizionano il comportamento individuale e sociale, iscrivendo nell'elica immortale le informazioni genetiche legate al comportamento. Selezionando e premiando le associazioni dei geni che si dimostrano più favorevoli alla migliore strategia di sopravvivenza, di riproduzione, di sicurezza o di ordinato sviluppo del sistema sociale, la natura assicura alle generazioni future gli elementi che costituiscono un vantaggio evolutivo per l'individuo, per il gruppo e per la specie che si identifica nel buon governo e nella civiltà. Questa sorta di Radice della coscienza morale propria della natura tesa a fornire alle generazioni future le informazioni necessarie al miglioramento del funzionamento del sistema dell'ordine sociale, si sta lentamente spegnendo 122 nella nostra specie a causa dell'egoismo esagerato delle presenti generazioni, che per soddisfare i propri interessi immediati accrescono a dismisura la complessità dei sistemi sociali e caricano le generazioni future di gravami, di debiti e di problemi che la crescita esponenziale della complessità non consentirà di risolvere efficacemente. Così Darwin aveva pienamente ragione quando affermava che l'istinto della mutua attrazione si manifesta presso gli animali sociali in modo più costante dell'istinto egoista alla conservazione personale. Egli vi vedeva, come sappiamo, il rudimento di una coscienza morale: fatto che, malauguratamente, i darwinisti hanno troppo spesso dimenticato.189 Molti anni fa, quando ancora non avevo idea che l'ordine sociale potesse avere le sue radici nella natura, sono stato colpito dalla parola convenzione con la quale avevo scarsissima confidenza. Non potevo neppure immaginare, allora, che parole come democrazia, repubblica, autogoverno, sovranità popolare, sovranità monetaria e modo di deliberare le leggi, dovessero essere informate a convenzioni di reciprocità contrattuale fras gli appartenenti alla comunità. Ebbene, leggendo la definizione di questa parola in Del principio federativo di P. J. Proudhon, che la intendeva come sinonimo di contratto politico commutativo per giungere alla definizione della sua idea di legge come perno di equilibrio della giusta Autorità con giusta Libertà, nel mio cervello si è accesa come una lampadina e ho dato importanza a cose che fino allora avevo considerato con grande superficialità o addirittura ignorato. Dopo alcuni anni da questa presa di coscienza ho dato ancora maggiore importanza alla convenzione, avendo trovato citato in Il Gene egoista di R. Dawkins il titolo di un libro scritto da Robert Ardrey 190, uno zoologo ed etologo americano e per venti anni anche affermato drammaturgo. Il titolo del libro di R. Ardrey, The Social Contract (Il contratto sociale) era identico al titolo del più famoso Du contract social di J. J. Rousseau, pubblicato nel 1772. Appena letto il titolo mi sono subito chiesto la ragione per la quale un noto scienziato del ventesimo secolo avesse scritto un libro dedicandolo “Alla memoria di Rousseau”, vissuto circa due secoli prima di lui e avesse usato lo stesso titolo della sua opera più famosa. Sicuramente, ho pensato, deve avere avuto qualche ragione forte per farlo. Mi sono messo subito alla ricerca di The Social Contract di Ardrey e dopo diverse ed inutili richieste a varie biblioteche, grazie a Internet sono riuscito a trovarne uno usato che ho acquistato, che mi è stato spedito dall'isola di White. Ho così scoperto la ragione dello stesso titolo dei libri di Rousseau e di Ardrey: entrambi cercavano il legame di relazione che unisce l’uomo e la sua società 189 P. Kropotkin, Scienza e anarchia, cit. p. 124. 190 R. Ardrey ( 1908-1980) 123 alla natura e tutti e due, a tanta distanza di tempo e in condizioni di conoscenza tanto diverse lo avevano trovato nella convenzione, cioè nel contratto che entrambi, dopo Hobbes, avevano indicato come “sociale”. È stato così che, soprattutto grazie a William Morton Wheeler, Robert Ardrey, Edward O. Wilson e a Richard Dawkins, ho scoperto che i rapporti sociali nelle società animali superiori sono regolati da convenzioni, ovvero da contratti di reciprocità di natura biologica. La perfezione del contratto sociale ha spezzato gli antichi vincoli, tipici dei vertebrati, imposti dalla rigida selezione di parentela, mediante la convenzione.191 Detto ciò, tuttavia, credo che sia necessario definire in termini appropriati gli elementi, le componenti ed i principi del contratto definito come sociale, o di sottomissione da Hobbes e da Rousseau e successivamente politico e commutativo o di Federazione da Pierre Joseph Proudhon. Ebbene, seguendo questo percorso mi sono convinto che questa distinzione consentirà nel futuro di restringere al minimo l'ambito delle interpretazioni che hanno consentito di distorcere i concetti fondamentali che riguardano il modo di organizzare l'ordine sociale umano o di indebolirli favorendone il travisamento nella pubblica opinione per salvaguardare interessi o punti di vista personali, come è avvenuto per le idee di democrazia, di repubblica, di moneta, di socialismo, di liberalismo, di comunismo, di fascismo, di nazismo, ecc.. A mio parere, ciò permetterebbe di mettere in evidenza come la coscienza morale propria della natura e la conoscenza delle sue leggi fisiche, chimiche e biologiche, possa aprire nuovi orizzonti dottrinari, economici, giuridici e anche religiosi per cercare di ordinare in un nuovo modo la società umana, in vista della crescita della coscienza, del benessere delle generazioni presenti e future e del progresso della civiltà. 6. La difficoltà di introdurre nuove idee. Le correnti filosofiche e giuridiche che nei secoli si sono occupate delle dottrine dell'ordine sociale, sono talmente numerose e diversificate da sottili differenze e tanti sono gli autori ed i testi di riferimento che, anche volendo, tutto ciò che è stato oggetto di pubblicazione e di ripensamento su questi temi nel tempo difficilmente si potrebbe leggere commentare nel corso di una vita. Ci vorrebbe una vita intera per ripensare alcune delle maggiori teorie politiche in termini politologici, cioè non in chiave storico- filosofico191 E. O. Wilson, Sulla natura umana, cit., p. 110. 124 letteraria, e ideologica, come sono scritte tutte le dottrine politiche. 192 Oggi nessuno, al di fuori di ristretti e chiusi ambiti universitari, si azzarda a verificare la secolarizzazione dei concetti obsoleti di riferimento che stanno alla base dell'ordine sociale in rapporto alle nuove conoscenze sulla natura . So bene che questo modo di pensare rischia di rovesciare il pensiero secolarizzato della teologia-politica, investe il mondo dell'economia e della religione e corre il rischio di essere volutamente ignorato o deriso dei media. Tuttavia non vedo altra strada per risolvere i problemi di straordinaria complessità che continuamente si producono e ancor più si produrranno nell'ordine politico ed economico delle società del ventunesimo secolo. La crescita esponenziale della complessità sociale, infatti, non lascia alcun dubbio sulla necessità di intraprendere una strada nuova e diversa rispetto al passato. Sono ben consapevole che cercare di introdurre nuove idee negli ordinamenti politici è sempre stato terribilmente difficile. Già Machiavelli, nel tentativo di giustificare politicamente il potere del Principe per instaurare lo stato, rendendosi conto delle difficoltà obbiettive che si incontrano a introdurre idee nuove nell'ordine sociale scrisse: ... debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più periculosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre nuovi ordini, perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che degli ordini vecchi fanno bene, e ha tepidi defensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbero bene.193 A queste parole Machiavelli aggiunge che un nuovo sistema ha per nemici la paura e l'incredulità degli uomini che non si fidano di cose nuove, se non hanno esempi concreti ai quali riferirle. Non è facile dipanare la matassa aggrovigliata degli eventi storici per stabilire un punto di avvio obbiettivo relativo alla nascita dei problemi politici economici e spirituali \attuali. Da parte mia scelgo il periodo che va dal XV al XVII secolo, quando si formarono i primi concetti giuridici moderni del diritto positivo (giuspositivismo) contrapposti a quelli di diritto naturale (giusnaturalismo). Questa antinomia (contrapposizione) è ancor oggi evidente nelle dottrine e nelle filosofie sociali che si sono formate nel corso del tempo. L'imprinting della funzione dirigista dello stato ha radicato saldamente l'illusione, data dal processo di archiviazione della memoria storica non biologica, che il cervello nel 1920 sia il medesimo cervello nel 2015 e che 192 G. Miglio, in Lezioni di politica, a cura di G. Bianchi, Il Mulino, Bologna p. 28. 193 N. Machiavelli(1469-1527) , Il Principe, p. 36. 125 quello che ha prodotto i sistemi sociali del passato, anche remoto, possa continuare a essere considerato valido oggi. Sostituire nelle giovani generazioni l'idea di conciliare le esigenze del positivismo con quelle del giusnaturalismo mediante la nascita di comunità locali autogovernate e federate è un'impresa rivoluzionaria che le future generazioni, a mio avviso, saranno comunque chiamate a fare e noi abbiamo, individualmente e collettivamente, il dovere di indirizzarle verso questa ricerca. 7. Giusnaturalismo e positivismo; i fratelli nemici e la Legge. Già Aristotele194 in Politica, aveva definito l'uomo come animale politico perché è in grado di organizzare la società. La definizione in realtà, indicava l'antitesi fra ciò che è giusto per la città e ciò che è giusto per la natura. La legge della città - sosteneva il grande scienziato e filosofo greco - rispecchia il costume e la convenzione sociale, mentre la natura fa emergere spontaneamente nell'ordine sociale ciò che nella vita associata è veramente utile, originario e proprio dell'animale e dell'uomo. Anche i tentativi dei primi grandi giusnaturalisti (Althusius, Grozio, Pufendorf, Locke, ecc.) di dare una sistemazione giuridica al diritto di natura (Il giusnaturalismo che fonda la legge sul rispetto del diritto naturale), si rivelarono presto presso l'opinione pubblica del tempo come astrazioni concettuali, architetture ideali della ragione, logiche senza reale fondamento del governo della comunità: tutte cose che favorirono i sostenitori del diritto positivo (dal latino ius positivum che significa "posto" o "imposto" all'osservanza di ognuno dall'autorità dello stato comunque costituito) . Norberto Bobbio ha reso bene l'idea della differenza fra positivismo e giusnaturalismo chiamandoli i fratelli nemici. Da buon positivista Bobbio ha precisato che il giusnaturalismo non può essere considerato un vero e proprio diritto, perché è un diritto disarmato che a differenza del positivismo non ha carattere di autorità e di coercibilità. Per lui, probabilmente, la forza dello stato di diritto deve precedere ed essere maggiore rispetto alla legge di natura e ai diritti naturali degli individui e dei popoli. A giustificazione del pensiero di Bobbio si può soltanto dire che il giusnaturalismo è disarmato nei confronti del positivismo per effetto della mancanza delle conoscenze scientifiche, da parte dei giuristi e dei filosofi politici, posteriori al 1859 e ancor più al 1955. In Dalla società delle api alle città stato del futuro. Natura e ordine sociale, ho riportato sinteticamente i risultati di un esperimento che fa luce sulla diversa considerazione che dovremmo avere nei confronti della legge di natura agli effetti dell'ordine sociale. Penso valga la pena citarlo. 194 Aristotele (384 a. C. - 322). 126 Nel 1958 Jay Boyd Best ed Irvin Rubinstein, due ricercatori della divisione neuropsichiatrica di un istituto di ricerca a Washington D. C., portarono avanti esperimenti sull’apprendimento strumentale animale usando il verme plathelmintha planaria. I due ricercatori si proponevano di dimostrare che nell’inseguimento di una meta desiderabile e vantaggiosa che implica una scelta fra diverse risposte possibili, anche un verme impara a scegliere la più vantaggiosa e a rifiutare quella svantaggiosa. … non ci misero molto per dimostrare che il verme non solo può imparare a scegliere, ma può farlo con attitudine sorprendente.195 La conclusione degli esperimenti sul verme planaria permise a Best di chiedersi: “Se qualcuno trova che il comportamento della planaria assomiglia a ciò che negli animali più evoluti è chiamata noia, interesse, conflitto, decisione, frustrazione, ribellione, preoccupazione, coscienza dell’apprendimento della conoscenza, ci è permesso di dire che anche i planaria mostrano questi attributi”? La risposta che lo stesso dette alla domanda che precede fu la seguente: Si assuma che l’apparente somiglianza fra il modello protopsicologico dei planaria e quello dei topi e degli uomini, si rivela qualcosa di più che irrilevante; questo indicherebbe che le caratteristiche psicologiche sono precedenti e più diffuse delle strutture neurofisiologiche le quali, al contrario, sono credute quelle d’origine. ... Due possibilità si affacciano: che tali modelli nascano da qualche proprietà primordiale della materia vivente, nascendo a livello cellulare o subcellulare di organizzazione, più che a quello del sistema nervoso … una possibilità alternativa è che i programmi di comportamento possono essere sorti, indipendentemente in varie specie, da un tipo di evoluzione convergente. In altre parole la psicologia degli animali può evolversi in risposta a considerazioni obbligatorie di una condizione migliore. Ebbene, da un punto di vista sociale la stragrande maggioranza degli individui del terzo millennio non non ha ancora imparato a scegliere un comportamento politico socialmente vantaggioso e a rifiutare quello svantaggioso come fanno spontaneamente i vermi planaria! Questo avviene perché la maggioranza dei cittadini non è pienamente consapevole di essere proprietaria di alcuni Diritti naturali che appartengono a tutti per nascita e che questi diritti sono inviolabili, inalienabili, imprescrittibili e soprattutto NON POSSONO ESSERE OGGETTO DI LEGGE. Agli effetti della produzione del diritto nell'ordine sociale è determinante 195 Robert Ardrey, L’imperativo territoriale, cit., p. 386. 127 stabilire con precisione il RUOLO che il governo deve assumere nei confronti di ogni cittadino. Ebbene questo può avvenire in due modi diversi: affidando a pochi il compito di governare tutti, oppure partecipando tutti al governo di ognuno. Da una parte l'imposizione, dall'altra la partecipazione. La scelta, inevitabile ma certa, è la stessa del verme planaria relativa al comportamento più conveniente trasportato nel campo dell'ordine sociale. E' infatti attraverso la partecipazione diretta della formazione della legge che il popolo (tutti i cittadini) sovrano per diritto naturale, esercita il diritto di concorrere a stabilire democraticamente il ruolo che che il governo deve avere nei confronti di ognuno, in modo da imparare a scegliere la legge più vantaggiosa e a rifiutare quella svantaggiosa come fanno i vermi Planaria. Murray. N. Rothbard, in Etica della libertà riporta in proposito: In effetti i principi giuridici di ogni società possono essere stabiliti in tre modi: (a) seguendo le consuetudini tradizionali della tribù o della comunità; (b) obbedendo caso per caso alla volontà arbitraria di chi governa l'apparato dello Stato o, (c) usando la ragione per scoprire il diritto naturale – in sintesi con la servile conformità alla consuetudine, con il capriccio arbitrario o con la ragione umana. Essenzialmente, questi sono i soli modi possibili per stabilire il diritto positivo. ... Nel nostro secolo la diffusa ignoranza della stessa esistenza del diritto naturale e la derisione di cui esso è stato fatto oggetto hanno fatto sì che le genti, per realizzare delle strutture giuridiche, facessero ricorso o al metodo (a) o al (b), o a una mescolanza dei due. Questo è vero anche per chi ha cercato di perseguire una politica di difesa della libertà individuale.196 Per l'insieme di queste ragioni credo che l'idea far partecipare i cittadini alla deliberazione delle leggi sia una dottrina giuridica rivoluzionaria di ogni comunità e società che aspira all'equilibrio della giusta libertà con la giusta autorità, dell'inuguaglianza con l'uguaglianza e dei vantaggi e svantaggi che possono derivare dalla proprie scelte di comportamento politiche ed economiche ... ... in quanto sottopone alla luce impietosa e inflessibile della ragione lo status quo esistente che potrebbe violare grossolanamente il diritto naturale stesso. Nel regno della politica, ovvero dell’azione dello Stato, il diritto naturale fornisce all’uomo un insieme di norme che possono essere radicalmente critiche nei confronti del diritto positivo esistente, imposto dallo Stato.197 196 M. N. Rothbard (1926-1989), grande teorico giusnaturalista, economista, filosofo e politico, in L'etica della libertà, liberilibri, Macerata, 1996, p. 36. . 197 Ivi, p. 31. 128 Ciò considerato, credo di poter aggiungere che alla luce della ricerca scientifica del terzo millennio il giusnaturalismo ha valore etico e sociale in quanto trova il suo spazio fra le leggi fisiche, chimiche, biologiche, sociobiologiche ed etologiche del ventunesimo secolo. A queste il giusnaturalismo riconosce sia un nesso di reciprocità nei rapporti sociali e politici fra gli individui e fra questi e le loro istituzioni di governo, sia una coscienza morale superiore rispetto alla morale della violenza giuridica dello status quo generata dalla concezione positivista della legge, che la riconduce ad astrazione teologico-politica, filosofica e religiosa obsoleta imposta mediante la paternalistica truffa dello stato sovrano accentrato in poche mani. Di conseguenza possiamo osservare che ... … tutte le costituzioni politiche, tutti i sistemi di governo, compresa la federazione, possono ricondursi a questa formula, l'Equilibrio dell'Autorità per mezzo della Libertà e viceversa; è in conseguenza di questo che le categorie adottate dopo Aristotele dalla moltitudine degli autori e grazie ai quali i tipi di governo si classificano, gli Stati si differenziano, le nazioni si distinguono, monarchia, aristocrazia, democrazia, ecc., eccetto la federazione, si riducono a delle costruzioni ipotetiche, empiriche, dalle quali la ragione e la giustizia non ottengono che una soddisfazione imperfetta; è che tutti questi sistemi, fondati sugli stessi dati incompleti, diversi solo per gli interessi, i pregiudizi, le consuetudini, in fondo si assomigliano e si equivalgono; che quindi, se non fosse per il disagio causato dall'applicazione di questi falsi sistemi, e per le passioni esasperate, gli interessi disconosciuti, le aspettative deluse, che spingono ad accusarsi gli uni con gli altri, saremmo, alla fine molto vicini a comprenderci; perché infine tutte queste divisioni di partiti fra i quali la nostra immaginazione scava degli abissi, tutte quelle diversità di opinioni che ci sembrano inconciliabili, tutti questi antagonismi fortuiti che ci appaiono senza rimedio, troveranno finalmente il loro equilibrio definitivo nella teoria del governo federale. 198 Ebbene, il governo federale di una comunità locale o nazionale è proprio della teoria del contratto politico commutativo o di reciprocità (Federalismo), perché risponde sia a CHI sia al MODO di deliberare e legittimare la legge con la partecipazione diretta di ogni avente diritto al voto. La legge trova così la sua legittimazione nella volontà dei cittadini, sovrani per diritto naturale e non per concessione divina, artificiale, o del potere di qualcuno posto arbitrariamente a priori sopra di loro con la forza o con l'inganno. Giunto a questo punto sono purtroppo consapevole dei tempi lunghi necessari a far digerire alla massa questi concetti, ma bisogna sempre ricordare che una lunga marcia comincia sempre con un primo passo. 198 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit. p. 57-58. 129 Capitolo X La lunga marcia della vita sociale nella storia 1. Gli elementi dell'ordine sociale prima di Darwin. G. G. Simpson199, grande paleontologo americano, cercando di rispondere alla domanda fondamentale anche agli effetti dell'ordine sociale: Perché esistiamo? si è così espresso: La mia opinione è che tutti i tentativi di rispondere a questa domanda compiuti prima del 1859 sono totalmente privi di valore e che faremo meglio a ignorarli completamente.200 Se non siamo in grado di rispondere alla domanda “Perché esistiamo?” o se confiniamo la risposta nell'idea della creazione da parte di un Essere onnipotente o se non ce la poniamo affatto, continueremo a fidarci delle ipotesi e degli artifici teologico-politici secolarizzati formulati nei secoli passati e non riusciremo mai a trovare le Radici dell'ordine sociale umano. Il biologo inglese R. Dawkins, per rispondere alla domanda di Simpson di cui sopra, in Il gene egoista a pag. 3 riporta: Organismi viventi sono esistiti sulla Terra, senza mai sapere il perché, per più di tre miliardi di anni, prima che uno di essi cominciasse a intravedere la verità. Il suo nome era Charles Darwin. A dire il vero, altri avevano intuito qualcosa, ma fu Darwin che, per primo, mise insieme una teoria coerente e difendibile che spiegava perché noi esistiamo. Darwin ci ha reso possibile dare una risposta plausibile al bambino curioso, la cui domanda dà il titolo a questo capitolo. Ebbene, anche R. Dawkins conclude che prima del 1859, data della pubblicazione di L'origine delle specie di C. Darwin, le risposte date alla domanda Perché esistiamo sono sbagliate. Il problema molto grave, a mio avviso, è che non ci siamo accorti di sbagliare e abbiamo continuato - e continuiamo - in nome della limitata storia dell'uomo, a perseverare negli errori del passato determinati dalla mancanza di conoscenza. La ragione di ciò è probabilmente da ricercarsi nella brevità della nostra esistenza che non ci permette di diventare pienamente consapevoli della 199 G. G. Simposon (1982-1984), paleontologo. 200 Cit. in: R. Dawkins, Il gene egoista, cit. p. 3. 130 dimensione temporale del periodo enorme dell'evoluzione della vita su questo pianeta e dei limiti che la natura pone a ogni fenomeno fisico e biologico. Mi chiedo quanto tempo occorrerà, ad esempio, per diffondere i risultati della recente scoperta di Nilesh Vaidya201 e dei colleghi della Portland State University, che hanno accertato con metodo scientifico che oltre tre miliardi e mezzo di anni fa molecole di RNA/RNA non solo “si dividevano il lavoro”, ma addirittura “cooperavano reciprocamente e spontaneamente per assemblarsi a vicenda” con meccanismi che potrebbero aver rappresentato alcuni dei passaggi chiave del primo abbozzo della vita sociale nel vivente. Come non vedere in questo passaggio, che risale a prima delle origini delle cellule, la forma primordiale di cooperazione spontanea e mutualistica grazie alla quale è stato possibile introdurre nei geni dell'elica immortale le informazioni biologiche necessarie ad assicurare l'affermazione della vita sul Pianeta? Credo che per avere una visione completa della realtà sociale necessaria a risolvere i problemi con una nuova logica, dobbiamo prendere atto che ... Molto prima che noi uomini cominciassimo ad evolverci, i batteri avevano inventato la fermentazione, la forma di motore rotatorio a protoni, la respirazione basata sullo zolfo, la fotosintesi, e la fissazione dell'azoto. Essi non sono soltanto esseri con un marcato comportamento sociale, ma si comportano come una forma di democrazia a livello mondiale, decentralizzata202. Le loro cellule rimangono fondamentalmente separate, ma possono connettersi e scambiare geni con organismi appartenenti anche estremamente diversi. Il rendersi conto che anche i singoli individui umani rimangono fondamentalmente separati, pur potendo contattare altri individui molto diversi e scambiare con loro informazioni, può voler dire fare un passo verso l'antica saggezza del microcosmo.203 Soltanto alle soglie del terzo millennio abbiamo cominciato a disporre degli strumenti e delle conoscenze che ci permettono di avvicinarci agli antichissimi sistemi complessi dei batteri - nostri progenitori - che hanno prodotto una rete di informazioni tradotte nella memoria biologica delle cellule, molto avanzata anche rispetto a quella dei moderni computer. In definitiva credo che la recente comprensione dei meccanismi di autoorganizzazione e di auto-regolazione dei sistemi aperti, complessi e dinamici e adattativi del vivente, dovrebbe ricevere una particolare attenzione da un punto 201 In Nature, 17 ottobre 2012, Spontaneous network formation among cooperative RNA replicators. 202 Il grassetto è mio per mettere in evidenza due parole estremamente importanti agli effetti dell'ordine sociale: la democrazia e la decentralizzazione che, come vedremo in seguito, sono state completamente svuotate del loro significato originario. 203 L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit. pp. 95-96. 131 di vista filosofico, giuridico, sociobiologico ed etologico da parte di chi si occupa delle ricerche sul comportamento umano, delle dottrine dell'ordine sociale o di politica. In tutta sincerità penso che quanto ho cercato di esporre non sia non facilmente comprensibile a tutti senza approfondimenti. Tuttavia è logico che se io non troverò la chiave d'accesso alla facilità e alla completezza di esposizione altri lo faranno dopo di me e li svilupperanno in modo migliore. A me resta la gioia di averci provato, fra mille sacrifici e nel quasi completo isolamento sociale e culturale in cui vivo riguardo alla materia di cui tratto. 2. La famiglia, la comunità e la società In natura l'individuo isolato - come la particella di materia, l'atomo, la molecola, la cellula, presi ognuno per sé - non ha prospettive evolutive. Per averle deve unirsi, riprodursi, conservarsi, comunicare e stabilire dei rapporti con altri della sua stessa specie o con altre (simbiosi) nel reciproco interesse. L'istituzione attraverso la quale la vita umana si riproduce e si perpetua, sia sul piano biologico sia su quello culturale e spirituale è la famiglia. Per quanto mi riguarda la famiglia naturale è costituita da almeno tre persone in cui una ha in comune gli stessi genitori di sesso diverso. Nella specie umana, come nelle altre specie, il sesso è l'organo della riproduzione, ma anche il più potente strumento di trasmissione delle informazioni genetiche ereditate. In realtà il sesso … si snoda per tutta la storia della vita sulla Terra e offre una chiave per capire come si sia sviluppata la vita stessa.204 Senza che la famiglia sia osservata sotto questo aspetto non ci può essere giustificazione né per l'individuo, né per il gruppo, né per la comunità, perché in un modo o in un altro sarebbe violata almeno una delle leggi fondamentali del vivente: la conservazione, la riproduzione o l'evoluzione. E' dunque nella famiglia che devono essere ricercate le radici dei meccanismi biologici, sociobiologici, etologici, psicologici e politici dell'ordine sociale umano? Essendo la tendenza propria dello spirito umano di ricondurre le idee a un unico principio e per conseguenza a eliminare quelle che sembrano inconciliabili con esso, credo che anche l'ordine sociale umano debba autoorganizzarsi spontaneamente sulla base delle stesse regole che presiedono la vita in generale; niente di più, niente di meno. 204 L. Margulis, D. Sagan, Microcosmo, cit. p. 87 132 Questa osservazione elementare e razionalmente deducibile dalla natura stessa è, per me, matematica. Di conseguenza finché l'ordine sociale di una comunità umana sarà considerato come il risultato di una costruzione astratta, riferita al solo principio del monopolio della forza di imposizione legittimata dallo stato che nega la volontà delle persone agli effetti della formazione della legge, la stessa non potrà essere il prodotto spontaneo del comportamento sociale degli individui per accordarsi ed essere coerente con la legge di natura. Nei secoli la negazione della sovranità degli individui associati in comunità locali e nazionali, è stata la causa di infinite rivoluzioni violente e di altrettanto infinite guerre. ... è con l'aiuto di … giochetti metafisici (che) si sono stabiliti fin dall'inizio del mondo tutti i governi della terra, ed è con questi che giungeremo a chiarire l'enigma politico, per poco che noi vogliamo darcene pena205 Nuovi cieli, nuove terre e vasti orizzonti attendono la nostra specie sul percorso evolutivo della vita individuale e sociale. Potremo comprenderne i meccanismi ed i misteri estendendo i nostri orizzonti culturali oltre le mistificazioni, le illusioni, i miti e gli egoismi personali o di gruppo ai quali ci siamo volontariamente incatenati nel corso dei secoli. Dopo la famiglia, viene la “comunità”. Non è facile dare un'interpretazione condivisibile da tutti del temine comunità. Un antropologo, un biologo, un etologo, un filosofo, un sociologo, uno storico, un economista e un giurista, ne daranno interpretazioni e significati abbastanza diversi. La parola deriva dal latino communis ed è propria di molte discipline. Dirò subito che alcuni autori non si sono limitati a evitare l'uso della parola comunità e con argomentazioni specifiche hanno sostenuto addirittura la necessità di bandirla dal vocabolario delle scienze sociali (T. Geiger, 1931). Altri vorrebbero studiare la comunità come combinazione di modelli ipotetici generali di società umana da identificare sulla base di istituzioni giuridiche che incarnano e concentrano nella Costituzione valori di riferimento e principi guida: associazione, democrazia, libertà, autorità, mercato, Stato, ecc. (W. Streeck e P. Schmitter). Per altri ancora, come T. Parsons, la comunità è costituita da un insieme di parti interconnesse e correlate, capace di autoregolazione, in cui ogni componente svolge una funzione necessaria all'organizzazione dell’intero sistema dell'ordine sociale. Anche l'antropologia, l'etologia e la sociobiologia accettano il riferimento alla comunità come una associazione locale di individui e di gruppi che vivono su un territorio di dimensioni assai limitate, costituita su una cultura tradizionale e condivisa. 205 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit., cap. III, Forme di governo. 133 Nelle scienze sociali l'uso del concetto di comunità in forma ben definita credo che possa essere attribuita al sociologo tedesco Ferdinand Tönnies 206 che nel secolo introdusse la tipologia comunità-società (Gemeinschaft-Gesellschaft), come strumento fondamentale per comprendere il cambiamento sociale in atto già al suo tempo. Tönnies è stato uno dei fondatori e primo presidente della Società tedesca di sociologia nel 1909. “Le relazioni tra volontà umane - afferma Tönnies in comunità e società danno luogo ad associazioni che possono essere concepite o come vita reale e organica - e questa è l'essenza della comunità - o come formazione ideale e meccanica - e questo è il concetto della società”. È evidente che per lui la comunità intesa “come un organismo vivente” sia un effetto spontaneo della natura, mentre la società, vista come un “aggregato e prodotto meccanico”, sia un prodotto artificiale, costruito a priori e imposto da pochi a molti. Per Tönnies organica207 è la comunità (Gemeinschaft) le cui forme embrionali emergono in seno alla famiglia nei rapporti tra madre e figlio, tra moglie e marito, tra fratelli, per estendersi poi ai rapporti di vicinato e di amicizia. Tali rapporti sono improntati a intimità, riconoscenza, condivisione di linguaggi, significati, abitudini, spazi, ricordi ed esperienze comuni. I vincoli di sangue (famiglia e parentela), di luogo (vicinato) e di spirito (amicizia) costituiscono delle totalità organiche – le comunità appunto – in cui gli uomini si sentono uniti in modo permanente da fattori che li rendono simili gli uni agli altri e al cui interno le disuguaglianze possono svilupparsi solo entro certi limiti, oltre i quali i rapporti diventano così rari e insignificanti da far scomparire gli elementi di comunanza e di condivisione. Il tratto sociale caratteristico della comunità è la comprensione condivisa del fatto che la stessa è un modo di sentire comune e reciproco, associativo, che costituisce la volontà propria di una comunità di realizzare il bene comune e indica una volontà di cooperazione mutualistica in vista di questo scopo. Ebbene, in base a queste osservazioni l'ordine sociale della comunità e della più grande società può essere definito mediante la scelta fra il naturale e l' artificiale. La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità essi restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li 206 F. Tönnies (1855-1936). 207 E' definita organica ogni dottrina filosofica, politica o sociologica che interpreti il mondo, la natura o la società in analogia ad un organismo vivente. 134 uniscono.208 Tönnies, professore presso l'Università di Kiel, fu destituito nel 1934 per la sua opposizione al nazionalsocialismo. L'impostazione dottrinaria di Tönnies ha influito sul lavoro di altri studiosi, in particolare Max Weber che usa ampiamente il concetto di comunità, collocandolo al livello delle relazioni dell'agire sociale. Dal concetto di comunità opposto a quello di associazione, Weber deriva l'idea di cambiamento sociale come processo di organizzazione di strutture e fenomeni, come ad esempio la burocrazia o il capitalismo moderno. In Italia Adriano Olivetti209, rifacendosi al pensiero di Tönnies, parte dal concetto innovativo della “piccola comunità come spazio naturale dell'uomo”. Con questo Olivetti supera l'idea della contrapposizione fra comunità e società e pone la prima come la nuova misura dell’ordine politico, punto di convergenza fra persona e stato e fra necessità della dimensione limitata della comunità in rapporto alla grande Babele della società moderna e delle sue metropoli. Anche per Olivetti i termini comunità e società indicano due modi diversi di concepire le associazioni di individui e generano due differenti tipi di rapporti sociali: umani e artificiali. Questo assunto gli serve per dimostrare che non ci può essere democrazia senza una base di esp Kohr erienza umana ed affettiva dei rapporti interpersonali che è possibile alimentare e conservare solo a livello di comunità naturale, organica, di dimensioni assai limitate che indica in 50.000-70.000 individui. Leopold Kohr, noto per la sua opposizione al "culto della grandezza" nel campo dell'organizzazione sociale, è tra gli ispiratori del movimento del “Piccolo è Bello”. In Il crollo delle nazioni così si esprime: La causa di tutte le forme di miseria sociale è una sola: la grandezza … La grandezza, ovvero sia il raggiungimento di dimensioni eccessive, non rappresenta uno dei tanti problemi sociali, ma costituisce il solo ed unico problema dell'universo … Se le stelle del cielo o gli atomi di uranio si disintegrano in una esplosione spontanea, ciò avviene non perché la sostanza di questi corpi abbia perduto il suo equilibrio, ma perché essa ha cercato di espandersi eccessivamente, superando quegli invalicabili limiti che circoscrivono ogni incremento di materia. Se il corpo umano si ammala ciò è dovuto, come nel caso del cancro, al fatto che una cellula, o un gruppo di cellule, ha incominciato a svilupparsi eccessivamente, oltre gli stretti limiti fissati dalla natura. E se un organismo sociale si lascia prendere dalla febbre dell'aggressione, della brutalità, del collettivismo o della stupidità collettiva, ciò avviene non perché esso sia caduto sotto un cattivo governo o sia colpito da aberrazione mentale, ma perché gli 208 F. Tönnies, Comunità e società, trad. G. Giordano, Laterza, Bari, 2011, p. 62. 209 A. Olivetti (1901-1960), federalista, fondatore del Movimento comunità, autore di L'Ordine politico delle comunità, Nuove edizioni, Ivrea, 1945, propone comunità federate di dimensioni assai limitate. 135 individui – che sono di solito così amabili se presi uno ad uno o in piccoli gruppi – si sono fusi in unità sociali eccessivamente vaste, come le masse proletarie, i grandi sindacati, i cartelli, o le grandi potenze, incominciando quindi a scivolare irreparabilmente verso un'inevitabile catastrofe.210 Da parte mia credo che nella nostra specie la capacità di un popolo inteso come associazione spontanea di individui uniti in comunità di piccole dimensioni, sia fondamentale agli effetti del giusto numero degli individui e di un equilibrato progresso del benessere, della crescita della coscienza e della civiltà. Si può stabilire come regola la considerazione che il governo (…) è tanto più benevolo, morale, giusto e sopportabile e pertanto durevole tralascio in questo momento le relazioni esterne - quanto più le sue dimensioni sono modeste e si avvicinano maggiormente a quelle di una famiglia; e viceversa, lo stesso governo sarà tanto più insufficiente, oppressivo, odioso ai suoi sudditi e conseguentemente instabile, quanto più lo stato sarà diventato vasto. La storia ha conservato il ricordo e i nostri tempi ci forniscono gli esempi di questi spaventosi mostri informi, veri mastodonti politici, che una civiltà migliore dovrà progressivamente far scomparire. In tutti questi Stati l'assolutismo è in ragione diretta della massa dei sudditi e si regge in virtù del proprio prestigio; in un piccolo stato al contrario, la tirannia non si può sostenere che per mezzo delle truppe mercenarie; altrimenti, visto da vicino si dissolve. 211 Partendo dalle considerazioni sulla dimensione territoriale e numerica della comunità credo che si potrebbe concordare che è molto difficile assimilare le leggi di una comunità naturale limitata con quelle della vasta società artificiale. La prima, infatti, permette l'auto-organizzazione spontanea dell'ordine sociale per mezzo della partecipazione attiva dei cittadini alla deliberazione della legge; la grande società, diversamente, a causa della complessità crescente e della vastità del territorio tende a negare la partecipazione dei cittadini alla deliberazione della legge per favorire l'accentramento del Il collo delle nazioni, Edizioni di comunità, Milano, 1960 potere di governo in una o poche mani. Questo processo inevitabile pone a suo fondamento l'affermazione e la crescita dello stato, dell'autorità, della burocrazia, dell'economia, dell'accentramento del potere di governo e della grande finanza parassitaria. Da parte mia credo che l'approccio dell'ordine sociale all Il collo delle nazioni, Edizioni di comunità, Milano, 1960 a moderna Teoria dei sistemi complessi dinamici e adattativi, offra la possibilità di concepire l'organizzazione della comunità e della società umane su nuovi parametri di dimensione territoriale e numerica, 210 L. Kohr (1909-1994), economista, giurista e politologo, Il collo delle nazioni, Edizioni di comunità, Milano, 1960, p. 9. 211 P. J. Proudhon, Del Principio federativo, cit. p. 83. 136 favorendo la spontaneità del governo e la deliberazione delle leggi dal basso , invece che dall'alto come oggi avviene. La vecchia programmazione fondata sulle regole procedeva dall’alto verso il basso: era al sistema nel suo insieme che venivano prescritte regole di comportamento. La nuova programmazione invece procede dal basso verso l’alto: il programma definisce il comportamento dei singoli agenti al livello strutturale più basso, ma il comportamento del sistema nel suo insieme non viene definito ed emerge invece come risultato di centinaia di piccole interazioni che si verificano a un livello inferiore 212. La definizione riflette ottimamente lo spirito del Principio di sussidiarietà dove le “piccole interazioni” sono sinonimo di nessi di reciprocità nei rapporti interpersonali e sociali intesi a perseguire il reciproco interesse. Questa impostazione, rendendo coerenti i concetti di emergenza e di riduzione della complessità in vista della stabilità, del risparmio di energia e dell'efficienza del sistema, capovolge letteralmente la forza di gravità del potere nel sistema dell'ordine sociale. Lo sviluppo scientifico sbocca ... in una vera e propria scelta metafisica, tragica e astratta; “l'uomo” deve scegliere fra la tentazione, rassicurante ma irrazionale, di cercare nella natura la garanzia dei valori umani, la manifestazione di un'appartenenza essenziale, e la fedeltà a una razionalità che lo lascia solo in un mondo muto e stupido. 213 Da parte mia credo che la consapevolezza dei differenti modi di organizzare la comunità e la società e di formare la legge, permetterà nel tempo di introdurre nell'ordine sociale gli elementi semplici e fecondi che la natura ha sperimentato per miliardi di anni per organizzare le società animali che ha creato, compresa la nostra. I vantaggi e gli svantaggi che trarremo da questa scelta dipendono dalla crescita della coscienza-conoscenza e dal senso di responsabilità che ne deriva. 3. Come la cultura dell'artificiale e della continuità storica hanno invaso gli ordinamenti sociali. Una domanda nasce potere spontanea pensando all'attuale stato caotico del mondo: cosa posso fare io, cosa possiamo fare noi per migliorare la qualità della vita unendoci su un piano di uguaglianza nella libertà e nell'accettazione della diversità? Da parte mia credo che in primo luogo dobbiamo diventare 212 M. Crichton, Preda, Garzanti, Milano, 2003. 213 I. Prigogine, I. Stengers, La Nuova Alleanza, cit. p. 30. 137 consapevoli che ... ... La scienza inizia a essere in grado di descrivere la creatività della natura, e il tempo, oggi, è anche il tempo che non parla più di solitudine, ma dell'alleanza dell'uomo con la natura che egli descrive.214 Di conseguenza penso, ma sia chiaro che è solo una mia opinione, che dovremo affrontare culturalmente, scientificamente e in modo drastico il tema della contrapposizione fra la realtà dell'ordine sociale naturale e le ipotesi dell'ordine sociale artificiale che sono apparse nei secoli in cui è vissuta la nostra specie. In questa ottica, infatti, risulta più evidente che i concetti secolarizzati e obsoleti della teologia-politica connessi all'uso del potere di governo, hanno accresciuto nell'ordine sociale la potenza esplosiva dei processi eccitatori dei feedback positivi che destabilizzano i sistemi. Credo che non potremo sottrarci a lungo alla verifica scientifica del processo di instabilità dei sistemi dell'ordine sociale alla luce della seguente osservazione. Io cerco di dimostrare che questo tipo di costituzione unica, che alla fine sarà riconosciuta come la più grande conquista della ragione dei popoli, non è altro che il sistema federativo. Ogni forma di governo che si allontana da essa, deve essere considerata come una creazione empirica, un abbozzo provvisorio, più o meno comodo, sotto la quale la società trova riparo un istante e che, come la tenda dell'Arabo, si leva la mattina dopo averla montata la sera. È dunque qui indispensabile un'analisi severa, e la prima verità importante che il lettore deve conquistare da questa lettura, è la convinzione che la politica, variabile all'infinito come arte di applicazione, è, quanto ai principi che la reggono, una scienza dimostrativa esatta né più né meno che la geometria e l'algebra.215 L'analisi severa a cui si riferisce Proudhon è rivolta all'esame e alla ricerca dei principi empirici costruiti a priori che impediscono di organizzare l'ordine sociale in funzione della contrattualità politica dei rapporti fra gli individui, fra questi e i loro i governi e fra i governi di comunità diverse. Per comprendere come nel tempo la cultura dell'artificiale si è affermata in politica, devo ricorrere a una simpatica storiella che si racconta negli Stati Uniti citata da Noam Chomsky in Le dieci strategie della manipolazione attraverso i mass media. Nella storiella si racconta che se un rana viene messa nell'acqua calda per essere bollita, salta via e si salva. Ma se viene messa dentro l'acqua appena tiepida e si scalda progressivamente, vi resta senza reagire fino a morire bollita. “La morale della storia è che ciò che non si può accettare immediatamente si 214 I. Prigogine, Le leggi del Caos, Editori Laterza, Bari, 2003, p. 85. 215 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit. cap. 1. 138 potrà accettare a poco a poco, in mancanza di consapevolezza del risultato finale” scrive Antonella Randazzo sul suo sito216. Nel corso del XVII secolo l'istituzione delle grandi corporation di grandi imprenditori e le banche americane fu avversata tenacemente dal popolo. Questi autentici mostri sociali esercitarono pressioni sul governo per fare in modo che le loro corporation venissero considerate "persone giuridiche” con gli stessi diritti delle persone fisiche ma senza avere alcun dovere né alcuna responsabilità. Dopo ripetuti tentativi non passò molto tempo che la legge relativa alle corporation venne approvata. Quasi subito diverse corporation furono trascinate in tribunale per aver commesso una serie di frodi e di azioni illegali. La conclusione che si può trarre dalla storiella della rana bollita è che gli esempi, anche i più terribili che la storia ci ha offerto, quando c'è di mezzo la fedeltà al gruppo, l'onnipotenza di un individuo, di un popolo o di una fede religiosa le leggi servono soprattutto a mascherare la verità per privilegiare pochi a spese di tutti allontanando le persone dalla ricerca di soluzioni utili e vantaggiose per ognuno. Basta pensare al “segreto si stato”. 4. Abbiamo bisogno di risposte. Se fin qui ho ho cercato di illustrare le ragioni per le quali abbiamo collettivamente il dovere di diffondere la conoscenza della Teoria dei sistemi complessi dinamici e adattativi per applicarla all'ordine sociale, penso che si possa fare un ulteriore passo in avanti perché ognuno si renda conto che sebbene l'uomo sia diverso da tutte le altre specie ... ... la spiegazione dell'origine del mondo e dell'uomo che ci proviene dalla Bibbia non è compatibile con quello che ci dicono le osservazioni di tutte le scienze della natura”.217 Si tratta dunque di indicare, attraverso nuovi modelli di informazione e di educazione rispetto al passato, COME si possa pervenire a una nuova e più vasta coscienza di ciò che realmente siamo. Penso che per fare ciò abbiamo bisogno di rispondere alle seguenti domande: come formare “una intelligenza collettiva e universale”218, come indirizzarci “verso una nuova religione razionale“219, come concepire “un nuovo tipo di contratto sociale”220, 216 Vedi: http://antonellarandazzo.blogspot.it/. 217 L. L. Cavalli-Sforza, La specie prepotente, cit., p. 175. 218 J. Attali, Breve storia del futuro, Fazi Editore, Roma, 2007, p. 217. 219 H. Kohut (1913-1981), Potere coraggio e narcisismo, , Astrolabio, Roma, p. 9. 220 R. Dahrendorf, Quadrare il Cerchio - Benessere economico, coesione sociale e libertà politica, trad. R. Rini, Laterza, Bari, 1995, p. 87. 139 come indicare “una nuova condizione numerica e territoriale degli Stati” in modo da favorire l'auto-organizzazione delle comunità locali 221, come creare “una struttura economica e sociale radicalmente differente”222, come educare alla “generosità e all'altruismo, perché siamo nati egoisti”223, come produrre “una forma di governo fondata sul diritto naturale dei cittadini di essere sovrani” delle scelte politiche ed economiche che li riguardano. Le risposte saranno tanto più efficaci e costruttive quanto più cercheranno di essere coerenti con la radice unica e la causa prima dell'esistente: la conoscenza della natura come realtà, manifestazione di un misterioso divenire dei sistemi anche quelli sociali - alfa ed omega della nostra esistenza e fonte suprema di verità. Anche se queste osservazioni appaiono in gran parte estranee al pensiero sociale moderno credo che dalla loro condivisione e diffusione dipenderanno i primi piccoli passi verso un nuova dimensione della società e della civiltà. Come ciò potrebbe avvenire lo illustra con la consueta chiarezza P. J. Proudhon in Del principio federativo (cap. VI) con queste parole: “Se il lettore ha seguito con diligenza l'esposizione precedente, la società umana deve apparirgli una creazione fantastica, piena di cose di cui stupirsi e di misteri. Ricordiamo brevemente i vari termini: a) L'ordine politico riposa su due principi connessi opposti ed irriducibili: l'Autorità e la Libertà. b) Da questi due principi derivano parallelamente due regimi contrari: il regime assolutista o autoritario ed il regime liberale. c) Le forme di questi due governi sono tanto diverse fra loro, incompatibili ed inconciliabili, come le loro nature; noi le abbiamo definite in due termini: Indivisione e Separazione. d) La ragione vuole che ogni teoria debba realizzarsi seguendo il suo principio, tutto l'esistente prodursi secondo la sua legge: la logica è la condizione della vita, come del pensiero. Ma è proprio il contrario che si manifesta in politica: né l'Autorità né la Libertà possono costituirsi separatamente, dando luogo a un sistema che sia esclusivamente proprio di ciascuna; lungi da ciò, esse sono condannate, nelle loro rispettive istituzioni, a farsi continue reciproche concessioni. e) La conseguenza è che la fedeltà ai principi, in politica, non esiste che in teoria, essendo in pratica costretta ad accettare compromessi di ogni genere; il governo in ultima analisi si riduce, malgrado la migliore volontà e tutta la virtù immaginabile, ad una creazione ibrida, equivoca ad una promiscuità di regimi che la logica severa ripudia, e davanti alla quale arretra la buona fede. Nessun governo sfugge a questa contraddizione. f) Conclusione: l'arbitrario entra fatalmente nella politica, la corruzione diventa presto l'anima del potere e la società è trascinata senza riposo né misericordia, sulla china senza fine delle rivoluzioni. …" Questo doppio moto, l'uno di recessione l'altro di progresso, che si risolve in un unico 221 E. F. Schumacher ( 1911-1975) Piccolo è bello, Mondadori, Milano, 1998, p. 222 F. Capra, Il Tao della fisica, Adelphi, Milano, 1989, p. 356. Capra è fisico delle alte energie. 223 R. Dawkins, Il gene egoista, cit., p. 5. 140 fenomeno, risulta ugualmente dalla definizione dei principi, dalla loro collocazione relativa e dai loro ruoli; anche qui nessun equivoco è possibile, né vi è il più piccolo spazio per l'arbitrario. Il fatto è di un'evidenza oggettiva e di una certezza matematica; è ciò che noi chiameremo una legge”. È dunque la legge l'elemento, la componente del sistema dell'ordine sociale in grado di garantire contrattualmente al meglio l'equilibrio dell'autorità con la libertà, l'unione nella diversità, la disuguaglianza con l'uguaglianza, l'egoismo con l'altruismo, la cooperazione con la concorrenza e la stabilità con il cambiamento? Perché? Perché - è la risposta – dallo SCOPO, dal MODO e da CHI viene deliberata e legittimata la legge, dipendono due sistemi politici opposti: quello dell'indivisione e quello della divisione del potere di governo. Indivisione o divisione fra chi? A mio parere: o secondo una logica artificiale posta a priori del potere e dell'autorità dello stato comunque costituito; oppure secondo la logica che la natura adotta per organizzare le società che crea: la spontaneità che è il modo di procedere dell'evoluzione della vita. Se questo è il senso del cambiamento necessario per passare da un sistema artificiale a uno naturale, come possiamo ricostruire la società sulle nuove basi? P. J. Proudhon, nel rispondere alla domanda dell'amico Gauthier sul modo di ricostruire la società afferma: Tu mi chiedi di spiegare il modo di ricostruire la società. … Non si tratta ora di immaginare, di combinare nel nostro cervello un sistema che in seguito presenteremo: il mondo non si riforma così. La società non può correggersi che da se stessa.224 Correggersi da se stessa a mio parere significa che oltre ad auto-organizzarsi e auto-regolarsi il sistema dell'ordine sociale umano deve possedere anche la capacità di auto-limitarsi secondo la volontà degli associati che giuridicamente è esercizio diretto della SOVRANITA'. Credo che questo concetto costituisca il fondamento dell'idea federativa della vita in comune e che in tempi evolutivamente brevi investirà il futuro della società umana, pena la scomparsa della nostra specie. Sainte Beuve (1804-1869), Proudhon, sa vie et sa correspondance, 18381848, A. Costes, Paris, 1947, p. 154. 224 141 Cap. XI Il Moloc dello stato e i diritti violati 1. La finzione dell'idea di stato e quella di “persona giuridica”. Frédéric Bastiat (1801-1850), economista e scrittore francese che si era posto l'interrogativo comune a molti studiosi del suo tempo “Che cos’è lo stato?”, giudicava talmente importante la risposta che chiese di istituire un grosso premio per colui che ne avesse data una definizione semplice, intelligente e comprensibile per tutti. Io vorrei che si istituisse un premio, non di cinquecento franchi, ma di un milione di franchi, con attribuzione di corone d’alloro, croci al merito e nastrini, per premiare colui che offrirà una definizione buona, semplice e intelligente di questo termine: lo Stato. Quale immenso servizio non sarebbe reso alla società! Riferendosi allo stesso stesso articolo sul Journal des Débats lo studioso rispose successivamente così alla sua domanda: Essendo certo che lo Stato non può procurare il godimento agli uni senza accrescere il lavoro degli altri, in attesa di un’altra definizione dello Stato, mi ritengo autorizzato a fornire qui la mia risposta. Chissà che essa non ottenga il primo premio? Eccola: Lo Stato è la grande finzione attraverso la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti gli altri. Infatti, oggi come ieri, chi più chi meno, ognuno vorrebbe certamente trarre vantaggio dal lavoro degli altri. Questa inclinazione non si ha il coraggio di mostrarla apertamente, la si nasconde anche a sé stessi, e allora che cosa si fa? Ci si immagina un intermediario, ci si rivolge allo Stato, e ogni ceto, uno dopo l’altro, vorrebbe dirgli: “Voi che avete la facoltà di espropriare legalmente, onestamente, prendete dal pubblico, e noi ripartiremo il tutto. Possiamo anche illuderci che con la definizione data oltre 160 anni fa Bastiat volesse caratterizzare lo stato come era al suo tempo, ma devo osservare che le forme asfissianti ed i modi arbitrari e dispotici con i quali l’idea di stato invade anche nel presente la vita degli individui, delle comunità e delle società, sono esattamente quelle che egli aveva indicato, aggravate dall’arroganza, dall’ipocrisia, dalla corruzione, dall'autoreferenza, dalla spoliazione, dall’insolenza, dalla predazione, dal privilegio e dallo sfruttamento. Ebbene: l’idea di stato come padrone assoluto del potere di legiferare e 142 depositario dell'autorità, della forza di coazione, della moralità, dell'efficienza, della solidarietà e della virtù e della vita dei cittadini, viene ancor oggi presentata dai media e da molti accademici giuristi e filosofi sociali (ma non da tutti) come dottrina ottimale di governo della società. Ad esempio Marco Bassani, già collaboratore di Gianfranco Miglio e storico delle dottrine politiche all'Università di Milano, così si esprime a proposito dello statalismo italiano: Un tempo lo Stato si nutriva di ideologie parallele e complementari: nazionalismo, comunismo, fascismo. Da almeno trent'anni si alimenta alla greppia di un diritto che è morto e si abbevera alla fonte di una declinante idea di sé. Ormai solo lo statalismo sostiene lo Stato: il parassitismo è la sua unica ragion d'essere. Ma basta e avanza per renderci più poveri dello Zambia. Pochi o addirittura nessuno considera che alla finzione sempre più evidente dello stato volta a giustificare un potere abusivo e arbitrario posto sopra i cittadini, si aggiunge di pari passo la finzione della sua personalità giuridica: un tema dei più densi di implicazioni storiche, filosofiche e politiche che il diritto conosca. La parola persona, infatti, è un attributo storicamente riconosciuto soltanto all’uomo e non al diritto. Se si indagasse sul significato originario di persona si scoprirebbe presto che ha origini millenarie e che risale alla cultura greca dove indicava la maschera di legno usata dagli attori di teatro, mentre gli antichi Romani la indicavano come il suono della voce dell’attore che passava attraverso la maschera che indossava. Utilizzare la parola persona come radice di personalità giuridica che indica lo stato come soggetto di diritto, è solo un comodo espediente per evitare l'interpretazione di concetti giuridici lunghi e complicati volti a mascherare interessi di parte. Fu Ugo Grozio (1583-1645), filosofo e giurista olandese ad affiancare la persona naturalis alla persona moralis. Questo permise ai filosofi giuridici e ai legislatori del suo tempo di affermarla come finzione necessaria a giustificare e collegare il potere e l'autorità nella nascente idea di stato con la moralità della chiesa. La metafora cominciò presto a diventare mito, racconto che indicava e giustificava lo stato come persona giuridica. In definitiva il positivismo trasferiva interamente con una finzione la SOVRANITÀ dell'individuo allo stato. Nascono così la rappresentanza politica, la delega del potere di fare le leggi, la violazione dei diritti naturali dei cittadini ridotti al rango di sudditi perenni, il consenso, la ragion di stato, il segreto di stato, la tassazione senza limiti, l'obbligo di partecipare alle guerre di conquista, la negazione del diritto naturale di secessione in nome dello stato sovrano, ecc.: tutte cose che sarebbero state nel futuro il terreno ideale per permettere l'affermazione di un 143 potere artificiale creato a priori posto sopra i cittadini, che venivano bolliti dal potere dello status quo con l'astuzia e l'inganno come la rana di Chomsky. La “più bella costituzione del mondo” in vigore attualmente in Italia è il prodotto poco conosciuto di questa gigantesca mistificazione storica. Tornando al tempo di Bastiat è necessario notare che al suo tempo lo stato non aveva ancora provocato le guerre del ventesimo e ventunesimo secolo, non aveva ancora permesso che si progettassero e mettessero in opera i gulag e i campi di sterminio, non c'erano ancora le bombe nucleari e quelle chimiche e batteriologiche, mentre il mondialismo, la moneta virtuale e lo sfruttamento bancario planetario erano ancora di là da venire. Eppure lo stato aveva già tutte le caratteristiche di assolutismo, di autoritarismo e di violenza legalizzata del moderno stato sovrano unitario e accentrato, in grado di violare la sovranità popolare espressa mediante i referendum, ecc. . All'autoritas romana, fondata sulla supremazia dello Jus come dignitas da garantire all'individuo su un piano di uguaglianza, lo stato sovrano accentrato moderno ha sostituito la potestas, il potere indiviso che non nasce dalla volontà concreta e reale delle scelte politiche degli individui, ma da una serie di finzioni giuridiche secolarizzate necessarie a giustificare e mantenere in vita lo statu quo del potere costituito a priori. 2. La sovranità come diritto naturale dei cittadini e il caso Italia. Prima di affrontare il tema specifico del governo organizzato sulla base della teoria del contratto politico commutativo o di federazione, credo di dover prendere brevemente in considerazione il tema della sovranità, perché alla grande finzione dello stato sovrano moderno, della sua personalità giuridica, della democrazia solo rappresentativa, ecc., si aggiunge la negazione della sovranità che apre la porta al dispotismo e agli eccessi della disuguaglianza. La sovranità conferita a un principe (a un consiglio o a un parlamento non fa differenza, n.d.a.) con certi obblighi e a certe condizioni non è propriamente sovranità né potere assoluto, a meno che tali condizioni non siano le leggi di Dio e della natura. . .. Quanto però alle leggi naturali e divine, tutti i principi della terra vi sono soggetti, né è in loro potere trasgredirle, se non vogliono rendersi colpevoli di lesa maestà divina, mettendosi in guerra contro quel Dio alla cui maestà tutti i principi della terra devono sottostare chinando la testa con assoluto timore e piena reverenza. Insomma, il potere assoluto dei principi e delle signorie sovrane non si estende in alcun modo alle leggi di Dio e della natura.225 225 J. Bodin (1529-1596) filosofo e giurista francese, I sei libri dello Stato, UTET, Torino, 1997. 144 Dio e natura vengono qui indicati come sinonimi di onnipotenza al cui potere superiore, formalizzato in leggi, tutti devono sottomettersi rinunciando a “tutta” la proprietà della volontà di scelta politica personale che giuridicamente è sovranità. Per sovranità - scrive infatti anche Jean Bodin padre dell'assolutismo monarchico - “si intende quel potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato”. Le idee di Stato e di Persona giuridica non erano ancora state istituzionalizzate e l'idea di Dio e quella di Natura erano le uniche fonti di riferimento del diritto che nei secoli successivi avrebbero informato le idee dell'ordine sociale. Se ciò può essere comprensibile ai tempi di Machiavelli e di Bodin, che interesse abbiano oggi i comuni cittadini a sottomettersi al potere di qualcuno (un papa, un monarca, un principe, un capo, un partito, o un parlamento,) che ha la pretesa di rappresentare al meglio la volontà e gli interessi di tutti, non è facilmente comprensibile da parte di individui liberi dotati di ragione. Una breve analisi dell'art. 1° comma 2° della Costituzione Italiana consente di chiarire come in Italia siamo pervenuti di nuovo, dopo l'esperienza del fascismo, alla sottomissione volontaria dei cittadini al potere dello stato, anche se pomposamente e comicamente indicato come Repubblica democratica. “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, recita l'art. 1 comma 2 della Costituzione. Dagli atti del dibattito all'Assemblea costituente risulta che i “limiti” erano riferiti alla forma Repubblicana e democratica dello stato e non alla sovranità popolare. L'interpretazione giuridica che successivamente ne è stata data dalla Corte costituzionale si risolve nell'ennesima finzione che distingue l'appartenenza della sovranità dal suo esercizio e la limita al giorno della cerimonia della democrazia (le elezioni) per eleggere i rappresentanti dei partiti. Tenendo presente che i Principi fondamentali della Costituzione italiana furono formulati quasi contemporaneamente alla prima e alla seconda parte della stessa e che ad essi avrebbero dovuto essere essere riferiti, è almeno lecito chiedersi come sia stato possibile che l'esercizio della sovranità da parte di tutti i cittadini (il popolo) sia stato confinato nell'angustia degli articoli: 70 (La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere); nell'art. 71 (iniziativa popolare delle leggi) mediante “proposte” che nessuno prende in considerazione; e (art. 75) e nel referendum abrogativo il cui risultato, come ampiamente dimostrato dall'esperienza, può essere violato a piacere dal parlamento in mano ai partiti dei quali la Corte costituzionale è espressione lautamente e indegnamente ricompensata. Un precedente poco o per niente conosciuto del comportamento politico antisociale dello stato, che nella pratica politica NEGA la sovranità popolare, è dato da quanto avvenne il 4 e 5 dicembre del 1947 quando l'Assemblea costituente esaminò la bozza dell'art. 50 del testo del Progetto di Costituzione, 145 approvata all'unanimità dalla Commissione dei settantacinque e presentato all'Assemblea per la definitiva approvazione. Cosa diceva mai di tanto importante l'art. 50 della bozza? Quando i poteri pubblici, violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino. Cosa accadde quando l'Assemblea costituente, formata dai nascenti partiti del nuovo regime, esaminò l'articolo di legge è oggi facile immaginare alla luce dell'esperienza: l'articolo fu bocciato! Consapevoli i più, che le affermazioni di principio di Repubblica e Democrazia sarebbero state solo buone intenzioni; illuso il popolo di contare qualcosa con il referendum abrogativo (art. 75 Cost.) e con la crocetta da mettere ogni quattro o cinque anni su una scheda preparata dopo infinite lotte al coltello dalle segreterie dei partiti; ingannati i cittadini sulla concretezza della loro partecipazione alla vita politica mediante l'iniziativa delle leggi (art. 71 Cost.); sul rispetto dei risultati dei referendum; sul controllo sulla legittimità dell'azione di governo da parte della Corte costituzionale nominata quasi per intero dagli stessi partiti, promesse una miriade di cose belle, sante, buone e giuste, solo in apparenza contrarie al passato regime, ai nascenti partiti non rimaneva che impedire la giustificazione costituzionale di una possibile e legittima resistenza-rivolta popolare contro la violazione, da parte dello stato, dei Diritti naturali e dei principi e valori che la stessa Costituzione avrebbe dovuto garantire nel tempo. Nei decenni successivi all'entrata in vigore della legge 25 maggio 1970 n° 352, destinata a regolare l’esercizio del referendum e prevista dall’ultimo comma dell’art. 75 della Costituzione infatti, la sovranità politica degli individui è stata violata numerose volte avendo il parlamento apertamente disatteso il risultato di numerosi referendum, come ad esempio il finanziamento pubblico ai partiti, la responsabilità civile dei giudici, l'abolizione del ministero dell'agricoltura e foreste, le trattenute sindacali, ecc. ecc. . Con la sopracitata legge infatti, il parlamento ormai saldamente in mano alle segreterie dei partiti ridotte a consorterie di affari, vere e proprie cosche di potere politico ed economico, ha costantemente distorto il significato originario del comma 2° dell'art. 1° della Costituzione relativo alla sovranità popolare. Questa arbitraria interpretazione ha eretto una barriera insormontabile fra i principi autentici della democrazia (la sovranità popolare come sorgente unica dell'iniziativa della legge) e lo stato depositario assoluto della sovranità, del potere, degli interessi … e degli innumerevoli privilegi di pochi parassiti politici e burocratici pagati da molti. I principi costituzionali di dignità sociale, di uguaglianza davanti alla legge, di garanzia di inviolabilità dei diritti 146 dell'uomo (art. 2 Cost. - che immagino essere i Diritti naturali), la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto impediscono la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, (art. 3 Cost.), ecc., sono stati disattesi a favore del potere politico, economico, bancario, industriale, religioso, delle consorterie dei partiti e della burocrazia che hanno occupato stabilmente le istituzioni di governo nascondendosi dietro il paravento dello stato indicato alla massa dei cittadini ignari come repubblicano e democratico. Inutilmente Luigi Einaudi, già presidente della repubblica aveva avvertito che ... Non è dalla lettera di una Costituzione che occorre ricavare gli elementi più fecondi: la lettera è stata scritta in altri tempi, quando i bisogni erano diversi: più interessante è vedere quale uso si è fatto di quel sistema creato tanti anni fa.226 L'uso che i partiti hanno fatto della Costituzione è oggi sotto gli occhi di tutti. Affermare, come fecero i costituenti, che La sovranità appartiene al popolo, per poi negare nei fatti con con legge ordinaria che il popolo stesso possa esercitarla su ogni aspetto della vita politica, non significa forse negare i concetti stessi di Repubblica e di Democrazia solennemente affermati nell'art. 1 e violare il Diritto naturale dei cittadini a stabilire il ruolo che il governo deve avere nei confronti della vita di tutti? Cosa c'è di diverso in questo comportamento politico rispetto a quanto affermò Mussolini il 17 maggio 1928, in occasione della relazione al governo relativa al sistema di rappresentanza? “La dottrina fascista NEGA il dogma della sovranità popolare e proclama in sua vece la sovranità dello stato”, sostenne il duce. Il fascismo dettò apertamente le sue regole; non si nascose dietro la maschera della democrazia e della repubblica. Tuttavia proprio in nome di quelle regole pochi individui trascinarono l'Italia in una guerra sciagurata e criminale. Ebbene, a distanza di molti anni dal discorso di Mussolini sul finire della guerra in cui morirono centinaia di migliaia di giovani italiani, un filosofo di regime raccolse l'idea del Duce con queste parole: C'è lo stato; e c'è la sua volontà; la sua legge. Nella quale il cittadino, dalla nascita alla morte, trova i suoi limiti, presupposto della sua esistenza, condizione della sua libertà.227 Negli anni successivi alla guerra, sempre in nome della continuità storica, il popolo italiano è stato nuovamente sottoposto all'imprinting dell'assoluto dello 226 L. Einaudi (1874-1961) economista e secondo presidente della Repubblica italiana, Il Buongoverno, a cura di E. Rossi, Editori Laterza, Bari, 1955. 227 G. Gentile (1875-1944), filosofo, Genesi e struttura della società, Ed. Le lettere, Firenze, 1987, p. 58. 147 stato sovrano, paternalista, assistenziale, fonte di sicurezza e stabilità dell'ordine sociale. Oggi continuiamo a pagare le conseguenze di queste scelte. Sulla base dell'esperienza di quanto avvenuto nei decenni successivi alla grande guerra, come non giustificare le parole di Don Sturzo che al ritorno dall'esilio volontario in America, assediato dai giornalisti che gli chiedevano cosa ne pensasse della nuova Costituzione rispose lapidario: “È il fascismo meno Mussolini”. E così è stato perché nei fatti l'attuale Costituzione NEGA il diritto naturale dei cittadini a controllare direttamente il ruolo e l'azione di governo. Mi sono chiesto spesso come sia stato possibile che secoli di lotte e di sangue per la vera democrazia siano stati inutili. Per quanto riguarda l'Italia la risposta è stata sempre la stessa: la Costituzione italiana, costruita a priori a tavolino dalle nascenti forze del nuovo regime non è mai stata sottoposta all'approvazione o al rifiuto del popolo sovrano! Qualunque cosa ne dicano i partiti, la magistratura e i quindici spaccacapelli super-privilegiati della Corte costituzionale il regime instaurato dopo la caduta del fascismo è giuridicamente illegittimo e si sta dimostrando moralmente e socialmente inadatto a tutelare ciò che di buono esiste ancora nella Costituzione scritta tanti anni fa, arbitrariamente violata e disattesa per tutelare gli interessi personali di pochi. Insomma, proprio mentre ci si vantava di rifondare la democrazia si proclamava la stupidità congenita del popolo. E si approdava così al risultato finale di una gigantesca contraddizione. Perché mai il popolo sarebbe un povero incapace quando qualcuno cerca di fargli esprimere direttamente il suo giudizio su un problema di rilievo, e diventerebbe invece fonte di saggezza quando viene costretto a scegliere e a legittimare chi dovrà governarlo? Se non si tiene ben fermo il principio della sovranità (volontà) popolare, perché mai io cittadino dovrei riconoscere e accettare l’autorità e le decisioni dei membri eletti del Parlamento? Il loro potere si fonda forse sul caso, o sulla forza?228 Come è possibile che in una Repubblica Democratica, definita tale in base a una Costituzione che ognuno ha interpretato e applicato a modo suo e secondo il proprio tornaconto, i rappresentanti dei partiti si siano auto-conferiti il diritto supremo di imporre tasse e imposte a piacimento e di autodeterminare il proprio stipendio e privilegi, escludendo il popolo pagante dalla possibilità di cambiare le leggi che li riguardano? Il collasso dello stato che ne seguirà - come spesso ricordava il compianto G. Miglio - grande federalista e studioso delle istituzioni - sarà pagato sotto forma di lacrime, di miseria e di sangue dalla parte più povera e indifesa della popolazione trascinata in una tragedia in cui colpevoli e innocenti, parassiti, privilegiati e complici del regime, subiranno lo stesso dolorosissimo destino. 228 G. Miglio, Il referendum tradito, Il Sole 24 ore n° 144, 27 maggio 1987. 148 3. I diritti naturali nell'ordine sociale Per quanto ne so io il diritto naturale è un concetto che si è sviluppato in modo particolare in Olanda nel ‘600 come complesso di principi universali che preesistono allo stato e che trovano il loro fondamento nella natura e nella coscienza dell'uomo. In quanto tali la garanzia costituzionale di inviolabilità, di imprescrittibilità, di inalienabilità e di non tassabilità, dovrebbe essere sempre posta a fondamento della legge. La più antica classificazione del diritto è quella che da sempre vede contrapposti il diritto naturale al diritto positivo. Per diritto naturale si intende quell’insieme di precetti, di norme, che, per usare un’espressione particolare, “sta scritto nel cuore degli uomini”. Storicamente il diritto alla vita, alla libertà ed alla proprietà rappresentano il nucleo minimo del diritto naturale, unitamente al diritto al nome, all’identità personale e alla famiglia. Di contro, il diritto positivo consiste nell’insieme delle norme “vigenti”, di quei precetti, cioè, che in un dato momento storico rappresentano l’ordinamento giuridico di uno Stato.229 Da parte mia sono convinto che senza partire da queste fondamentali osservazioni ogni analisi dei problemi dell'ordine sociale in generale e della violazione dei Diritti naturali in particolare, sarà alla lunga nient'altro che un'angusta e inutile esercitazione di falsità, di inganni e di ipocrisie intese a giustificare l'esistente. In effetti è questo che sta avvenendo anche nel secondo decennio del terzo millennio in Italia fra il disinteresse e la paura generale di un futuro incerto e pericoloso, soprattutto per le nuove generazioni. Alle grandi finzioni dello stato sovrano moderno accentrato e indivisibile tuttavia, manca un altro importante tassello: la negazione del vincolo di mandato imperativo (art. 67 Cost.) che recita: “Ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Questo significa che l'eletto non ha alcuna responsabilità politica e giuridica per la durata del suo mandato di rappresentanza nei confronti di chi lo ha eletto. La negazione del vincolo di mandato deriva dalla Costituzione Francese del 1791 in cui viene definito il discrimine fra Ancien Regime e Modernità. Questa negazione avrebbe dovuto separare la rappresentanza degli interessi dalla rappresentanza politica. Ebbene, oggi è incorporata in quasi tutti i sistemi costituzionali degli stati sovrani moderni. In Italia è stato ripresa dallo Statuto Albertino che recitava: I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori (art. 41). Appunti dalle lezioni di Diritto pubblico comparato del prof. Giuseppe Barone anno accademico 2004-2005. G. Barone è ordinario di storia contemporanea e preside della facoltà di Scienza politiche di Catania. 229 149 La delega del potere necessario a deliberare le leggi, che si concretizza col voto senza vincolo di mandato, è un vero e proprio atto di investitura di potere superiore a quello del popolo e contraddice apertamente la teoria rousseauiana che fu alla base della Grande rivoluzione, per la quale: La sovranità non può venire rappresentata, per la stessa ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale e la volontà non si rappresenta: o è essa stessa o è un’altra; una via di mezzo non esiste. I deputati del popolo non sono dunque e non possono essere i suoi rappresentanti, sono solo i suoi commissari. Non possono concludere niente in modo definitivo.230 In effetti la negazione del vincolo di mandato è la ... ... ricostruzione giacobina della sovranità fintamente popolare, che trasmigra dal corpo fisico del sovrano a quello mistico della nazione. È la cifra ultima della schiavitù e della tirannia concettuale dello stato moderno. Il vincolo deve esserci eccome: se no il rappresentante non rappresenta nulla di concreto.231 In questa lucida osservazione è purtroppo celato il cancro del sistema politico italiano: i partiti, organizzazioni politiche che non sono né carne né pesce, si sono trasformati in gruppi di potere volti a tutelare interessi privati che esistono in funzione dei voti e non per il bene di tutto il popolo. Pertanto si può dire che il mandato imperativo è proprio della vera democrazia, mentre la sua negazione è sinonimo di asservimento dei cittadini allo stato sovrano tramite i partiti che in Italia son “organismi pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia.”232 4. Democrazia: il dio che ha fallito. Il titolo di questo sottocapitolo è tratto da un famoso libro di Hans-Herman Hoppe successore di M.N. Rothbard nella cattedra di economia presso l'Università del Nevada nel 1995 e direttore del Journal of Libertarian Studies. In esso Hoppe riporta: È avendo in mente un ordine naturale che vengono rilevati gli errori 230 J. J. Rousseau, Il contratto sociale, Laterza, 1997, p. 137. 231 Da una mia conversazione 2015 su internet con Luigi Marco Bassani, brillante storico delle dottrine politiche all'Università di Milano. 232 Simone Weil (1909-1943), filosofa e scrittice francese,Manifesto per la soppressione dei partiti politici, Castelvecchi, Roma, 2008, p. 36. 150 economici ed etici della monarchia. È sempre in relazione all'ordine naturale che vengono rilevati gli errori economici ed etici della monarchia. Ed è sempre in relazione all'ordine naturale che gli errori ancora più grandi della democrazia vengono messi in luce e la trasformazione storica da monarchia a democrazia si rivela come un declino della civiltà. Ed è a causa della struttura logica dell'ordine naturale - di come proteggere la libertà, la proprietà, e il conseguimento della felicità - che le pagine seguenti racchiudono anche approfondite analisi di questioni strategiche, cioè dei requisiti per il cambiamento sociale e in particolare per la trasformazione radicale della democrazia in ordine naturale.233 Anche se sembra impossibile, da un punto di vista socio-biologico l'idea di Democrazia è nata con la vita. Lynn Margulis, una scienziata più volte citata in questo libro per le sue straordinarie intuizioni, sostiene che nelle loro società gli archeobatteri, circa tre miliardi e mezzo di anni fa adottarono per primi la Democrazia decentralizzata. Pochi, tuttavia, sanno che per quanto riguarda la nostra specie il primo esempio storico di democrazia di cui abbiamo notizia certa, anche se a quel tempo non esisteva ancora questa parola, è datato oltre 3000 anni a. C. e si riferisce a un evento accaduto nella regione di Sumer in Mesopotamia, la terra fra i due fiumi. Ce lo rivela la scoperta archeologica di undici tavolette di argilla e vari frammenti il cui contenuto è il "verbale" di un'assemblea politica risalente al tempo di Gilgamesh, re di Uruk e signore di Kullab.234 I primi re sumeri non erano tiranni assoluti. Raccontano le tavolette 235 che gli abitanti delle antichissime città-stato sumeriche riuniti in assemblea, erano interpellati dal re per decidere sui problemi importanti che riguardavano tutta la comunità. Il parlamento della città di Uruk, proprio come i parlamenti moderni, era formato da due camere: una era l'assemblea degli anziani; l'altra era l'assemblea dei cittadini abili alle armi. Entrambe erano presiedute dal re. Le camere erano state convocate separatamente da Gilgamesh per decidere sulla pace a qualunque prezzo o sulla guerra per l'indipendenza che il popolo avrebbe dovuto affrontare contro re Agga un re invasore che voleva sottomettere la città.236 L'idea di far partecipare il popolo alle decisioni importanti che riguardavano H-Herman Hoppe, Democrazia: il dio che ha fallito, liberilibri, Macerata p. 20. S. N. Kramer, I Sumeri, alle radici della storia. Il primo parlamento, Newton & Compton Editori, Roma, 1979, pp. 45 e seg.. Kramer è professore emerito di assiriologia e conservatore del museo dell'Università di Pennsylvania. 235 La traduzione delle tavolette di argilla è dovuta a Thorkild Jacobsen (1904-1993), sumerologo, in La democrazia primitiva nell'antica Mesopotamia, University of Chicago Press, 1943. 236 Agga, 2685 a.C. al 2652 a. C., sovrano della città-Stato di Kish, ultimo sovrano della sua dinastia contemporaneo a Gilgamesh sovrano di Uruk nella terra di Sumer ed. 233 234 151 tutta la comunità, sicuramente antecedente al periodo di Gilgamesh, probabilmente non scomparve mai definitivamente dalla storia. A partire dall'VIII secolo a. C., infatti, la Democrazia cominciò a prendere forma in Grecia dove trovò le condizioni favorevoli per la sua affermazione come sistema di governo popolare opposto al governo dei nobili e dei ricchi. Letteralmente la parola deriva da demos (popolo) kratos (potere): dunque la Democrazia è il potere del popolo di stabilire il ruolo che il governo della comunità deve avere nei confronti di ognuno, affermando convenzionalmente il diritto della maggioranza dei cittadini237 uguali e liberi di deliberare le leggi. La formazione del governo democratico in Atene è strettamente legata alle riforme di due grandi legislatori (Solone, e Clistene) 238. La sua diffusione è dovuta alla guerra contro i Persiani in seguito alla quale la città assunse il ruolo di città-guida della Grecia. Nel corso del V secolo a. C. la vita politica ateniese era organizzata attorno a due partiti: quello democratico, che sosteneva gli interessi del popolo, e quello oligarchico che sosteneva gli interessi e le prerogative dei nobili e dei ricchi. Un processo politico analogo si verificò poco più tardi a Roma e fu chiamato Repubblica, da res, (cosa) e publicus (di tutti). La Repubblica è la cosa che appartiene a tutti, il bene collettivo in cui il potere politico di legittimare le leggi emana dal popolo. Sebbene inizialmente a Roma il publicus fosse circoscritto alla sola aristocrazia e solo le famiglie aristocratiche avessero diritto a partecipare al governo, dopo una lunga lotta anche i plebei delle tribù lo conquistarono239 stabilendo il potere dei tribuni (nominati dal popolo) di impedire l'entrata in vigore delle leggi decise dal senato quando erano giudicate contrarie agli interessi del popolo stesso. Repubblica e Democrazia sono, dunque, sinonimi di governo popolare. Con il declino di Atene e di Roma la Democrazia e la Repubblica scompaiono dalla storia per riapparire molti secoli dopo e giungere fino a noi come simboli di governo perfetto della società basati sul principio di uguaglianza nella libertà e nella diversità. Tuttavia alla fine del secolo scorso R. A. Dahl, professore emerito di scienze politiche alla Yale University, in Sulla democrazia dopo aver considerato il valore assunto da questa idea nei secoli recenti, partendo da due studi basati su criteri abbastanza diversi ed eliminando le sovrapposizioni dei dati storici ha scritto: Il XX secolo è stato un'epoca di costanti fallimenti per la democrazia. In più di settanta casi essa è caduta sotto un regime autoritario. Tuttavia, è stato anche un periodo di straordinari successi: il secolo che volge al termine è quello del trionfo democratico.240 237 Il titolo di cittadino era allora conferito solo ai militari che difendevano la patria. 238 Solone, 584 a. C.; Clistene, 507 a. C. 239 Repubblica aristocratica e Repubblica democratica. 240 R. A. Dahl, Sulla democrazia, cit, p. 153. 152 Ma - si chiede Dahl - questo dato offre la sicurezza che il mondo sia divenuto un posto sicuro per la democrazia? “Purtroppo - conclude - non è così”. Infatti è bastata la recente crisi finanziaria legata alle grandi banche perché in molti stati la democrazia non fosse più in grado di offrire la sicurezza, la stabilità e il benessere con la quale in precedenza era considerata con ottimismo. Io credo che le cause primarie della debolezza e del declino della democrazia sia da ricercare nella mancata definizione o nella distorsione fraudolenta del concetto di sovranità degli individui riferita al loro diritto di fare, modificare e abrogare le leggi e nella violazione dei loro diritti naturali. Infatti il punto nodale del declino della forma di governo democratico, a detta di molti autori, sarebbe dovuto proprio alle diverse interpretazioni che possono essere date alla parola popolo sovrano e alla confusione fra diritti umani, diritti civili e diritti naturali. Giovanni Sartori nel suo splendido libro Democrazia cosa è, riporta: Per democrazia letterale o etimologica intendo la democrazia spiegata dalla parola. Democrazia vuol dire potere popolare. Se così - e questo è l'argomento - le democrazie debbono essere quel che la parola dice: sistemi e regimi politici nei quali è il popolo che comanda.241 Di seguito lo studioso riporta ben 6 diverse interpretazioni di popolo: 1) 2) 3) 4) 5) 6) popolo come letteralmente tutti, popolo come pluralità approssimativa: un maggior numero, i più, popolo come “populace”, classi inferiori, proletariato, popolo come totalità organica e indivisibile, popolo come principio maggioritario assoluto, popolo come principio maggioritario temperato. Per la verità, considerata la mia propensione ad osservare le leggi dell'ordine sociale nell'ottica della natura, preferisco la semplicità della parte finale della definizione precedente: la democrazia è tipica dei “sistemi e regimi politici nel quale è il popolo che comanda”. Ebbene: come abbiamo visto la democrazia dopo essersi affermata in Grecia come governo della Polis, a Roma come Civitas e successivamente come Regnum, venne chiamata Stato dal fiorentino Niccolò Machiavelli che proprio all'inizio di Il Principe242 (1513), riporta: Tutti gli stati, tutti e dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati o republiche o principati.”243 241 G. Sartori, Democrazia cosa è, Rizzoli, Milano, 1994, p. 20-21. 242 N. Machiavelli, Il Principe, a cura di G. Inglese, Einaudi, Torino, IV p. 4. 243 Ivi, p. 7. 153 Machiavelli mette subito in relazione la parola “stato” con le parole dominio ed imperio sopra gli uomini e le assimila con repubbliche o principati. Come lo stesso autore riporta Il Principe si occupa di come possa essere mantenuto il principato ereditario, ovvero il potere assoluto di cui, secondo la teologiapolitica dell'epoca, era indispensabile disporre per esercitare un'efficace azione di governo con la necessaria autorità. Con Machiavelli si apre l'era dello stato sovrano e accentrato fondato sull'indivisibilità del potere di governo e sull'autorità del principe, del monarca, del despota di turno e successivamente sulla democrazia cosiddetta “parlamentare” dello stato sovrano accentrato. È questa l'era dei grandi stati costruiti artificialmente su vasti territori e grandi numeri di abitanti. L'idea di stato così concepita avrebbe permesso in seguito la fioritura delle ideologie politiche foriere di guerre atroci e di violenze inaudite nei popoli per la conquista del potere di organizzare lo stato. Questo assunto dell'esperienza storica non interessando a chi si spartisce il denaro dello stato ottenuto col monopolio della legge resta ancor oggi un problema irrisolto. Infatti Robert Dahl, dicendo che anche nel XX secolo la democrazia è fallita in oltre settanta stati conferma la validità di questa osservazione. Le esigenze della crescita del benessere materiale e spirituale degli individui e dei popoli nell'uguaglianza e nella libertà, se confinate nell'idea di stato, di democrazia parlamentare o centralismo democratico che dir si voglia, tengono ... ... ben poco conto delle libertà individuali e del rispetto delle leggi, poiché (la democrazia, n.d.a) è incapace di governare a condizioni diverse da quelle dell'unità, che non è altro che il dispotismo. (...) La democrazia è innanzitutto centralizzatrice ed unitaria, ha orrore del Federalismo (...) essa considera l'indivisione del potere come la grande molla, l'ancora di salvezza del governo. 244. Per tali ragioni, piaccia o no, quello che ci aspetta continuando a seguire il vecchio modo di ragionare è il collasso del sistema dell'ordine sociale; collasso che si verifica puntualmente per mezzo di una guerra o di una atroce e inutile rivoluzione civile, come storicamente documentato negli ultimi secoli. 5. Lo stato sovrano e la Volontà generale in Bodin, Hobbes e in Rousseau. Sebbene molti oggi confondano l'idea di stato con l'idea di governo, l'umanità è vissuta per secoli senza conoscere cosa fosse lo stato. Alcuni decenni dopo Machiavelli il giurista e filosofo francese Jean Bodin con 244 P. J. Proudhon, articolo Garibaldi et l'unité italienne, pubblicato il 7 settembre 1862 sul giornale Office de pubblicité a Bruxelles. 154 il suo De la republique pubblicato nel 1576, caratterizza l'idea di stato mediante la sua sovranità, riconoscendola come attributo medievale connesso con l'idea di Divinità. Vedendo in Dio la massima espressione del potere supremo della creazione, dell'autorità, della moralità e del bene comune, Bodin non esitò ad attribuire la sovranità allo stato. La sovranità, per Bodin, può discendere solo da “Colui che è superiore a tutti gli altri” e questo non può essere altro che Dio, “superiore all'intera società politica, che non riconosce alcun potere superiore a sé”245. Bodin non poteva immaginare che accostare il governo della società alle qualità di un Dio creatore onnipotente avrebbe contribuito a far nascere il mito dello stato sovrano definendone la sovranità come assoluta, perpetua, indivisibile, inalienabile e imprescrittibile a misura della divinità. Tuttavia credo che i misteri della natura fossero sempre lì a indicargli che era possibile un'altra strada, una diversa concezione della moralità e del potere di governo e forse per questo scrisse che, “... una legge si dirà giusta se è in accordo con la legge naturale o con i precetti divini”. Thomas Hobbes (1588–1679), filosofo inglese, famoso per il suo libro più conosciuto, Il Leviatano246, è indicato da diversi autori come un gigante del pensiero politico moderno. In Il nerbo e le briglie del potere Gianfranco Miglio scrive di lui: La critica hobbesiana alle idee e ai comportamenti politici del suo tempo è attuale perché le difficoltà di allora sono ancora le stesse contro le quali urta il sistema istituzionale di oggi. Anzi: si può affermare che i problemi del moderno Stato parlamentare sono nati nel secolo di Hobbes, e purtroppo continuano a rimanere irrisolti, perché la lezione di questo grande logico (e fondatore della psicologia politica) non è mai stata onestamente accettata e sviluppata.247 Gli uomini - sostiene Hobbes - non sono socievoli per natura e si comportano come i lupi nei loro rapporti sociali. Per passare dalla condizione di natura allo stato civile o politico, essi hanno bisogno di stabilire un patto che egli indica per primo come Contratto sociale. ... Hobbes non si limita a una mera presa d'atto dello stato di natura. Nella speculazione che porterà da Human Nature al Leviathan, Hobbes riconnette il meccanismo che conduce dalla sfera umana a quella politica. Il fin troppo commestibile Homo homini lupus si tempera alla luce della ragione con una rinunzia, a giudizio di Hobbes, ineludibile: la rinunzia al diritto di natura in favore della legge di natura. È l'anticamera di un “contratto. Un contratto fondato sull'antitesi 245 J. Bodin, De la République, libro I, c. 8. 246 Il Leviatano è un mostro marino. 247 Ivi, Edizione del Sole 24 ore, Milano 1988, p. 335. 155 speculare dell'egoismo: la rinunzia del quale porta alla perdita del diritto naturale in favore del sovrano, punto neutro, zero assoluto, vertice della piramide del patto civile e politico che si configura fra la moltitudine e fra la moltitudine e il suo sommo rappresentante, il sovrano, lui solo, svincolato da ogni obbligo contrattuale. Una delega, questa, che si è voluta - senza torto - interpretare come il sigillo più luminoso dell'assolutismo.248 Infatti Hobbes scrive nel Leviatano che: … la moltitudine così unita in una persona (il sovrano, n.d.a.), viene chiamata uno Stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto (per parlare con maggiore riverenza) di quel dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa.249 Come Machiavelli e Bodin, Hobbes non poteva sapere, ai suoi tempi, che ogni sistema sociale naturale possiede qualità specifiche di auto-organizzazione e di auto-regolazione innate. Del resto nel suo secolo, secondo i calcoli dell'arcivescovo della Chiesa d'Irlanda J. Ussher (1581-1656) - come già riportato - l'età del mondo non andava oltre quattromila anni a. C.. Tuttavia Hobbes aveva ben presente la necessità di elaborare un concetto della libertà e dell'autorità che non contraddicesse la natura, che indicava come soggetto dell'azione volontaria dell'uomo in quanto essere naturale. Nel Leviatano infatti riporta cosa intendesse per persona naturale: Quando sono considerate come sue proprie (le parole e le azioni – n.d.a), allora egli è detto persona naturale, quando invece sono considerate come rappresentanti le parole e le azioni di un altro, allora è una persona artificiale o fittizia.250 In questa ottica i contraenti del patto sociale sono da un lato le persone naturali, dall'altro la persona artificiale dello stato incarnato nella figura del sovrano o di un parlamento. Purtroppo anche la regola aurea della difesa da parte dello stato del diritto alla vita era già, al tempo di Hobbes, in contraddizione con la guerra che i sovrani facevano usando la pelle di molti per accrescere il potere proprio e di pochi. Considerato il pensiero dominante del suo tempo Hobbes non poteva tenere conto della violenza religiosa insita nella Bibbia ritenuta sacra.T. Hobbes Leviatano, Editori Riuniti, Roma, 2005, p. 106. 248 P. Tiry d'Holbach, La fabbrica dell'egoismo, versione di Thomas Hobbes, La natura umana, Il Minotauro, Milano, 1995, VII. 249 T. Hobbes Leviatano, Editori Riuniti, Roma, 2005, p. 106. 250 Ivi, p. 97. 156 Il passo rivoluzionario compiuto dal monoteismo biblico, consiste, … nell'aver incluso nel concetto di “violenza bruta” - che deve essere domata tramite la legge – anche la violenza dispotica o tirannica usata dal sovrano per far valere, non il diritto e la giustizia, bensì i propri scopi e interessi personali. ... Gli interessi personali si possono perseguire esclusivamente con “mezzi legali”. La violenza senza diritto viene criminalizzata ma, affinché ciò accada, il diritto deve allearsi con la violenza. Il diritto senza violenza sarebbe inefficace dal momento che le leggi devono entrare in “vigore”, un vigore o forza che si basa sulla minaccia credibile di sanzioni. Il vantaggio della violenza giuridica è la sua virtualizzazione.251 Il riferimento della citazione di Assmann al pensiero di Hobbes è evidente se si pensa che la violenza giuridica che nella realtà della politica moderna diventa violenza dello stato come Ente assoluto, è in grado di violare i diritti naturali degli individui che intenderebbe proteggere. Hobbes arriva al punto centrale della politica affermando che: “Il mutuo trasferimento dei diritti si chiama 'contratto'” giustificandolo con queste parole: Ogni volta che un uomo trasferisce un suo diritto, o vi rinuncia, lo fa sempre in considerazione di un diritto che gli è reciprocamente trasferito, o a motivo di un altro bene che spera di trarre da quell'atto: infatti si tratta di un'azione volontaria; e l'oggetto delle azioni volontarie degli uomini è sempre qualche bene per loro stessi.252 Che il potere sia nelle mani di una persona o di un'assemblea eletta per Hobbes non è rilevante; ciò che conta per lui è che il potere e l'autorità di governo siano assoluti, non vincolati da nessuno, indivisibili e irrevocabili . Scrive infatti che gli uomini hanno un comune interesse alla pace, alla stabilità e alla sicurezza e per questo cercano di formare delle società stipulando patti (Pactum Unionis), che precedono i Contratti di Società (Pactum Societatis) e stabiliscono leggi alle quali accettano di sottomettersi (Pactum Subiectionis). È così che Hobbes perviene all'idea di Contratto sociale. Quando il trasferimento di diritti non è mutuo, ma una delle parti lo compie con la speranza di guadagnarsi l’amicizia o i servigi di un altro uomo o dei suoi amici o la reputazione di carità o di magnanimità; o con la speranza di liberare la mente dalla compassione, o di esserne ricompensato in cielo, non si tratta di un contratto, ma di un regalo o grazia, parole che significano la stessa cosa. 253 251 J. Assmann. Non avrai altro Dio, cit., p. 16 e p. 85. 252 T. Hobbes, Leviatano, pp. 77-78. 253 Ivi, p. 78. 157 Con lungimiranza Hobbes indica il maggior difetto della democrazia nella cessione (un regalo o grazia) della propria volontà a dei rappresentanti, sottomettendosi volontariamente alle leggi da loro deliberate. L'idea di Contratto nei rapporti fra gli individui verrà ripresa circa un secolo più tardi da Jean Jacques Rousseau con il Contratto sociale e dopo ancora un secolo da Pierre Joseph Proudhon che cambiandone l'interpretazione data dai primi due la definisce, in Del Principio federativo, come dottrina del Contratto politico commutativo o di federazione, giustificandola con queste parole: Nella teoria di J.J. Rousseau, che è quella di Robespierre e dei Giacobini, il Contratto sociale è una finzione di legista, immaginata per rendere conto, senza ricorrere al diritto divino, all'autorità paterna o alla necessità sociale, della formazione dello stato e dei rapporti fra il governo e gli individui. Questa teoria, mutuata dai Calvinisti, costituiva nel 1764 un progresso, poiché aveva per scopo di ricondurre ad una legge razionale ciò che fino allora era stato considerato come un appannaggio della legge di natura e della religione. Nel sistema federativo il contratto sociale è più che una finzione; è un patto positivo, effettivo, che è stato realmente proposto, discusso, votato, adottato, e che si modifica regolarmente secondo la volontà dei contraenti. Fra il contratto federativo e quello di Rousseau e del '93, c'è tutta la distanza che passa fra la realtà e l'ipotesi.254 Qui il potere giuridico del sovrano, del capo o del parlamento si dissolve e il Contratto politico è stabilito fra i veri sovrani che sono i cittadini (indicati da Proudhon come “i contraenti”), proprietari unici della loro volontà di scelta politica (sovranità) relativa agli interessi e alle proprie aspettative di vita. Molti altri filosofi sociali e giuristi del passato hanno riconosciuto nel contratto di sottomissione al sovrano, a un capo o a un parlamento eletto, lo strumento giuridico per ordinare la vita politica della società e per questa ragione lo hanno chiamato sociale. Lo stato moderno sovrano è il risultato di questa scelta. Giovanni Gentile, il maggior filosofo dell'ideologia fascista, così interpreta la funzione dello stato in Genesi e struttura della società: Il volere, come volere comune e universale è stato. ... La volontà dello stato, con cui egli deve fare i conti, è volontà non in atto ma già posta, già voluta, già manifestata in maniera chiara, esplicita, certa. E questa manifestazione della volontà statale deve precedere i casi che essa regola.255 254 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit. cap. VII, nota a). 255 G. Gentile, Genesi e struttura della società, Casa editrice le lettere, Firenze, 1987, p. 58. 158 Volontà statale posta da CHI? Con quale SCOPO? Definita come? L'esperienza del dopo guerra ha dimostrato che proclamare la sovranità dello stato confinandola nei partiti significa che i cittadini sono costretti a cedere TUTTA la sovranità delle scelte politiche e anche economiche per la propria vita a un ente immaginario, ancor oggi indicato arbitrariamente dai filosofi e dai giuristi come unico, divino, assoluto, eterno che riassume in sé il meglio dello spirito umano. Tuttavia in Origine della disuguaglianza Rousseau sostiene argutamente che: La maggior parte dei nostri mali viene dall’opera nostra e che potevamo evitarli conservando il modo di vivere semplice prescritto dalla natura. A distanza di due secoli e mezzo da Rousseau abbiamo sperimentato sulla nostra pelle cosa accade nelle istituzioni di governo quando la deliberazione delle regole (le leggi) è affidata a un capo o a un parlamento o a un consiglio in mano ai partiti: gli individui ed i popoli subiscono un rilevante processo di sottomissione allo stato e di degrado civile e morale. Non per niente Rousseau apre Il Contratto Sociale con queste parole: “L'uomo è nato libero ma dovunque è in catene”256. ma subito dopo il ginevrino aggiunge: Se considerassi solo la forza e l'effetto che ne deriva direi: Quando un popolo, costretto ad obbedire, obbedisce, fa bene; e se può liberarsi dal giogo, fa ancor meglio. Infatti, riconquistando la sua libertà con lo stesso diritto con cui gli era stata tolta, o egli è autorizzato a riprenderla o non lo era neppure chi gliel'ha tolta.257 In un governo libero un certa uguaglianza viene giustamente posta alla base di tutti gli altri diritti perché, come sostiene Rousseau, “… l'uguaglianza non viene dalla natura, ma dalle convenzioni”. È infatti alla convenzione che Rousseau riferirà la santità del suo Contratto sociale per il quale l'individuo cede tutta la sua volontà al sovrano, ripetendo così la contraddizione di Hobbes. La sua idea di “volontà generale” in definitiva sposa integralmente la tesi dell'assolutismo e del potere indivisibile dello stato sovrano di Hobbes. Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale; e noi, come corpo, riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto.258 256 J.J. Rousseau, Il contratto sociale, Libro primo, Mursia, Milano, 1965, p. 21 257 Ivi, I. p. 21 258 Ivi, I, VI. p. 31. 159 La convenzione basata sul concetto di volontà generale ceduta al sovrano, al principe o a un parlamento, conferma e legittima la suprema direzione dello stato e dei sui organi imposti a priori con la forza o con l'inganno sopra gli individui. Non è forse questo che accade nelle democrazie parlamentari moderne in cui la sovranità è confinata nell'idea di stato sovrano e nella democrazia rappresentativa parlamentare del centralismo democratico? Scriveva Montesquieu sulla democrazia diretta e rappresentativa: Poiché in uno Stato libero qualunque individuo che si presume abbia lo spirito libero deve governarsi da se medesimo, bisognerebbe che il corpo del popolo avesse il potere legislativo. Ma siccome ciò è impossibile nei grandi Stati, e soggetto a molti inconvenienti nei piccoli, bisogna che il popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto quello che non può fare da sé. 259 La storia dei secoli recenti ha dimostrato che la logica democratica confinata nella rappresentanza politica porta all'instabilità dei sistemi e di rivoluzione in rivoluzione alla tirannia dello stato. L'Italia attuale ne è un chiaro esempio! Il governo rappresentativo non è nato come pratica democratica ma come strumento attraverso il quale i governi non democratici - soprattutto le monarchie - potevano mettere le mani su preziose entrate fiscali e altre risorse di cui avevano bisogno essenzialmente per scopi bellici.260 Dopo Hobbes e Rousseau il sociologo francese P. J. Proudhon in Del Principio federativo perviene alla definizione di Contratto politico commutativo, o di federazione come teoria innovativa della forma di governo e torna alla concretezza del reale attraverso la divisione del potere di governo fra tutti gli associati. In queste condizioni - sostiene Proudhon - i contraenti, ovvero i singoli individui aventi diritto al voto fanno propria la deliberazione o la legittimazione della legge. E' il passaggio dal contratto indicato vagamente e artificialmente come sociale al contratto politico “... realmente proposto, discusso, votato, adottato, e che si modifica regolarmente secondo la volontà dei contraenti.”261 Così la democrazia, nata non solo per la libertà come molti credono, ma per l'uguaglianza degli individui, diventa procedimento spontaneo convenzionalmente condiviso per fare, legittimare o delegittimare la legge che ognuno deve rispettare. Montesquieu (1689-1755) filosofo, giurista, storico e pensatore politico francese, Lo spirito delle leggi, BUR, Milano, vol. 1, Libro undicesimo. cap. sesto, p. 312. 260 R. H. Dahl, Sulla democrazia, p. 110. 259 261 P. J. Proudhon, Del principio federativo, Cap. VII, nota a). 160 Capitolo XII Il Contratto politico o di Federazione 1. Degenerazione dell'idea di stato. Oggi anche solo cercare di parlare di governo della comunità locale e nazionale nell'ottica della natura in quanto idea più aderente alla realtà rispetto a quella artificiale di stato sovrano “è come sventolare un drappo rosso davanti a un toro” (M. N. Rothbard, in Etica della libertà). Tuttavia non si può negare che anche nel passato ... ... Tutti i filosofi che hanno studiato le basi della società hanno sentito il bisogno di risalire fino allo stato di natura – ma nessuno ci è arrivato. 262 Credo che nessuno ci sia arrivato perché i filosofi sociali e i giuristi hanno continuato a fantasticare con i vecchi alambicchi della teologia-politica e del diritto positivo senza tener conto che la scienza stava producendo un tale incremento di conoscenza della natura che oggi ... Il sapere scientifico e la tecnologia si raddoppiano ogni dieci-venti anni a seconda della disciplina dove si misurano le informazioni. Questa crescita esponenziale fa sì che sia impossibile prevedere il futuro oltre un decennio, figuriamoci secoli o millenni.263 Sebbene il merito di aver introdotto per primi negli ordinamenti elementi molto importanti dell'idea federale spetti agli Stati uniti d'America con la Costituzione del 1776 e soprattutto del 1786, è stata la Confederazione Svizzera che dal 1848 al 1891 ha cominciato a adottare alcuni principi di democrazia diretta prevalente sulla democrazia rappresentativa che costituiscono la base di un sistema politico autenticamente Federale, come risulta dalla sua Costituzione del 1848 emanata dopo la guerra del Sonderbund 264 fra cattolici (conservatori) e protestanti (progressisti). Questa scelta ha consentito nel tempo a popoli diversi per lingua e tradizioni di unirsi in FEDERAZIONE di cittadini, di Comuni e di Cantoni dando esempio al mondo intero di pace, di efficienza, di saggezza, di stabilità e di buon governo. Il federalismo ha dimostrato al mondo come la democrazia diretta prevalente 262 J. J. Rousseau, Origine della disuguaglianza, cit., p. 36. 263 E. O. Wilson, La conquista sociale della Terra, cit., p. 319. 264 La guerra civile del Sunderbund in Svizzera (1847) si concluse con 91 morti. 161 rispetto alla democrazia rappresentativa possa efficacemente LIMITARE l'intervento dell'accentramento dei poteri di governo in poche mani, su un territorio formato da popoli diversi per costumi, lingua e tradizioni come ad esempio è l'Italia. Del principio federativo è comunemente considerato il testamento politico di P. J. Proudhon. L'origine del libro si deve ad un articolo pubblicato il 7 settembre 1862 sul giornale Office de pubblicitè a Bruxelles, dal titolo Garibaldi et l'unité italienne, che seguiva di poco un altro articolo su Mazzini (Mazzini et l'unité italienne, 13 luglio 1862). Entrambi gli articoli ebbero vasta risonanza sia sulla stampa sia nell'opinione pubblica del tempo. L'interesse di Proudhon verso l'Italia era dovuto al fatto che da noi gli spiriti democratici propugnavano una repubblica unitaria e indivisibile in nome di un'ancora inesistente nazionalità, che per gli illuminati del tempo doveva essere ottenuta con ogni mezzo e a ogni costo. Proudhon aveva affermato a più riprese la sua idea della democrazia che si spaccia continuamente per liberale, repubblicana, socialista, mentre il suo vero scopo è solo "l'unità". "La democrazia tiene ben poco conto delle libertà individuali e del rispetto delle leggi poiché è incapace di governare a condizioni diverse da quelle dell'unità che non è altro che il dispotismo. (...) La democrazia è innanzitutto centralizzatrice ed unitaria, ha orrore del federalismo (...) essa considera l'indivisione del potere come la grande molla, l'ancora di salvezza del governo. A differenza di Mazzini che sosteneva l'indipendenza solo nell'unità, Proudhon chiedeva l'indipendenza nella libertà e nella diversità attraverso la Federazione degli Stati che allora componevano l'Italia. Era naturale che la stampa unitaria ed i fanatici del principio romantico delle nazionalità lo attaccassero violentemente per le sue ferme e decise prese di posizione federaliste e perciò naturalmente contrarie all'accentramento, all'unità imposta, alla gerarchia e all'indivisibilità dello Stato. Deciso a chiarire gli equivoci determinati dal contenuto dei suoi articoli su Mazzini e su Garibaldi il 1 ottobre 1862 in una nota all'articolo da lui scritto col titolo La stampa belga e l'unità italiana, Proudhon scrive: "Ho sostenuto nel modo più chiaro possibile sia nel mio articolo su Mazzini sia in quello su Garibaldi, che il principio di unità è per sua natura illiberale e sfavorevole al progresso, alla sovranità delle nazioni, ed anche al principio della separazione dei poteri; di conseguenza, non lo vorrei per nessuno. Le critiche feroci e le reazioni popolari violente contro i suoi articoli lo costrinsero a un rapido rientro in Francia dall'esilio volontario in Belgio. In patria dovette ugualmente difendersi dagli attacchi della stampa unitaria; decise perciò di chiarire il suo pensiero sviluppando in Del principio federativo la sua idea di forma di governo. Oggi questo studioso di umilissime origini è unanimemente considerato il caposcuola del federalismo integrale o della 162 persona: una nuova forma di governo più aderente alle leggi conosciute della natura, ieri come oggi completamente e ingiustamente ignorata dai media. A distanza di tanti anni dal tempo in visse Proudhon, tuttavia, cominciamo a disporre di conoscenze scientifiche che permettono di intravedere la straordinaria crescita dei fenomeni complessi connessi con il sistema dell'ordine sociale. Dalla nuova prospettiva offerta dalla scienza è oggi possibile acquisire la consapevolezza che da quello che oggi facciamo dipenderà il mondo del 2050 e da come oggi ci comportiamo politicamente dipenderà il fatto che i nostri figli e i nostri nipoti possano vivere in un mondo migliore e più semplice, oppure che ci odieranno a causa della nostra indifferenza, dei nostri errori volontari e del nostro egoismo. Da parte mia sono convinto che la grande battaglia politica del futuro sarà fra due concezioni antitetiche dell'ordine sociale: quella della continuità storica dell'accentramento del potere di governo in poche mani che deriva dalle ipotesi del positivismo giuridico e dall'astrattezza del Contratto sociale; e quella che deriva dalla realtà del giusnaturalismo dal quale è nata l'idea di Contratto politico o Di federazione che rendendo i cittadini ed i popoli sovrani e indipendenti si dimostra assai più coerente con le leggi della natura. Lo scontro fra le due forme di governo (accentrato e federale), a mio avviso è destinato a risolversi nel tempo con la condivisione planetaria dell'idea che le leggi debbano essere il contenitore di un contratto politico commutativo fra individui sovrani e fra comunità locali e nazionali autogovernate con il procedimento della democrazia diretta prevalente su quella indiretta o rappresentativa. L'enciclopedia Treccani indica il “Contrattualismo” come “Una concezione filosofico-politica secondo la quale lo Stato nasce da un contratto tra i singoli individui. Il c. moderno si afferma nel 17° e 18° sec. per opera della scuola del diritto naturale. Attraverso il contratto gli individui convengono di uscire dallo stato di natura - dove sono eguali e liberi, ma privi di garanzie - e di formare una società civile sottomettendosi volontariamente a un potere sovrano”. Purtroppo senza precisare a chi debba appartenere il potere sovrano e chi lo debba esercitare per diritto naturale, si cade continuamente nelle contraddizioni generate dalla crescita esponenziale della complessità dei sistemi dell'ordine sociale e nel dispotismo. 2. La spontaneità della legge, ovvero l' Autogoverno dei cittadini. Come abbiamo visto fra le nozioni di contratto sociale e di contratto politico c'è la differenza fra l'ipotesi del primo e la realtà del secondo. In pratica questa differenziazione si basa sulla spontaneità della legge quale sinonimo di Autogoverno e di cooperazione mutualistica. 163 L'autogoverno è un concetto molto importante (…) In origine esso voleva semplicemente affermare che il popolo ha il diritto di governare se stesso, perché composto di cittadini, non di sudditi. Perciò nessuna oligarchia - non l'aristocrazia tradizionale, non una moderna nomenklatura - può rivendicare alcuna legittimità. Esiste una sovranità fondamentale del popolo, e questa è la base della democrazia.265 Per ottenere l'Autogoverno è necessario che il popolo possa esercitare direttamente le sue scelte politiche, sia scegliendo la forma di governo più condivisa, sia stabilendo, attraverso la partecipazione alla deliberazione o alla legittimazione delle leggi il ruolo che il governo deve avere nei confronti di tutti. In una società di individui liberi ... … Il processo di formazione del diritto dovrebbe essere riformato in modo tale da diventare un processo principalmente, se non esclusivamente, spontaneo, come il commercio, il parlare o l’intrattenere altre relazioni compatibili o complementari da parte di individui con altri individui. Si può obiettare che una simile riforma sarebbe equivalente ad un mondo utopico. Ma tale mondo fu, tutto sommato certamente non utopico in diversi paesi e in diverse epoche storiche, alcune delle quali non sono del tutto svanite dalla memoria delle generazioni viventi. D’altra parte, è senz’altro molto più utopistico continuare a levare appelli a un mondo ove i vecchi ideali stanno morendo e rimangono solo vecchie parole, come gusci vuoti, che ognuno può riempire col significato preferito, a prescindere dall’esito finale.266 Anche Proudhon dopo aver affermato che è necessario distinguere gli stati sulla base della forma di governo, la identifica come “la costituzione esterna della potenza sociale e sovranità” e prosegue ... … A causa di questa costituzione esterna della sua potenza e sovranità, il popolo non si governa da sé: c’è sempre qualcuno, a volte un solo individuo a volte molti, a titolo elettivo o ereditario, incaricato di governarlo, amministrare i suoi affari, trattare e fare compromessi in suo nome, fungere insomma da capofamiglia, tutore, gerente o mandatario, munito di procura generale, assoluta ed irrevocabile. (…) Ora è precisamente questa nozione astratta dell’essere collettivo, della sua vita, della sua azione, della sua unità, della sua individualità, della sua personalità – perché, capite, la società è una persona, come è una persona l’umanità intera; è questa la nozione di essere umano collettivo come ente di ragione, che noi neghiamo oggi; e perciò neghiamo anche lo stato, neghiamo il governo, neghiamo (...) qualsiasi costituzione della 265 Ralf Dahrendorf, Dopo la democrazia, Laterza, Bari, 2001, p. 28. 266 B. Leoni (1913-1967), filosofo e giurista italiano, La libertà e la legge, liberilibri, Macerata, 1994, pp. 147-148. 164 potenza popolare che si ponga al di sopra e al di fuori della massa, assuma essa sembianze di monarchia ereditaria, istituzione feudale o delegazione democratica. Affermiamo, invece, che il popolo, la società, la massa, può e deve autogovernarsi, pensare, agire, alzarsi ed arrestarsi come un uomo, manifestarsi insomma nella sua individualità fisica, intellettuale e morale senza l’aiuto di quella specie di sostituti che in passato furono i despoti, adesso sono gli aristocratici, qualche volta sono stati i pretesi delegati, devoti servitori della folla, e che noi chiamiamo puramente e semplicemente agitatori del popolo, demagoghi. In due parole: neghiamo il governo e lo stato perché affermiamo - e questo i fondatori di Stati non l’hanno mai creduto - la personalità e l’autonomia delle masse. Inoltre affermiamo ... che le varie forme di stato, dalla monarchia assoluta fino alla democrazia rappresentativa, sono tutti mezzi termini, posizioni illogiche ed instabili, che hanno di volta in volta una funzione transitoria o di tappe verso la libertà, nel senso che formano i gradi della scala politica attraverso cui le società si elevano di coscienza e al possesso di se stesse.267 È dunque la diversa scelta della forma di stato o di governo che in definitiva offre o nega alle masse la possibilità di scegliere il modo attraverso il quale i governo delibera le leggi e stabilisce le garanzie politiche necessarie ad assicurare l'unione nella libertà nella diversità e l'equilibrio dell'uguaglianza con la disuguaglianza necessarie a creare il bene comune? Ho già accennato ai due principi fondamentali ed antitetici di ogni governo: Autorità, Libertà. Essendo la società composta da individui, si può concepire il rapporto dell'individuo col gruppo, dal punto di vista politico, in quattro modi differenti e ne risultano quattro diverse forme di governo, due per ogni regime: I. Regime di Autorità. A) Governo di tutti da parte di uno: MONARCHIA O PATRIARCATO a) Governo di tutti da parte di tutti: Comunismo o Panarchia. Carattere essenziale di questo regime nelle sue due specie è l'INDIVISIONE del potere. II. Regime di Libertà. B) Governo di tutti da parte di ognuno: DEMOCRAZIA; b) Governo di ognuno da parte di ognuno: Anarchia o Autogoverno. Carattere essenziale di questo regime, nelle due specie, è la DIVISIONE DEL POTERE. niente di più, niente di meno. Questa classificazione data a priori dalla natura delle cose e razionalmente deducibile, è matematica.268 L'alternativa federale che Proudhon propone in Del principio federativo alla scelta fra le quattro forme di stato sopra indicate appare essere radicalmente nuova. Infatti la presenta come Contratto politico commutativo o di federazione giustificato dall'idea che il governo della società debba essere 267 P. J. Proudhon, La Voix du Peuple del 3 dicembre 1849. 268 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit. cap. II. 165 caratterizzato dall'equilibrio dell'Autorità con la Libertà mediante un contratto politico (non solo sociale) votato dai contraenti con procedimento democratico. Per chiarire l'argomento dell'ordine sociale “contrattuale e commutativo” riporto di seguito quanto Proudho ha scritto al capitolo VII di Del principio federativo. Il contratto, dice l'art. 1101 del Codice civile, è una convenzione per cui una o più persone si obbligano verso una o più, a fare o a non fare qualcosa. Art.1102. Esso è sinallagmatico269 o bilaterale quando i contraenti si obbligano reciprocamente gli uni verso gli altri. Art. 1103. È unilaterale quando una o più persone sono obbligate verso una o molte altre senza che da parte di queste ultime ci sia alcun obbligo. Art. 1104. È commutativo quando ognuna delle parti s'impegna a dare o a fare una cosa che è considerata come l'equivalente a lui dovuto o di ciò che si fa per essa. Quando l'equivalente consiste nella possibilità di guadagno o di perdita per ognuna delle parti in conseguenza di un avvenimento incerto, il contratto è aleatorio. A queste distinzioni e definizioni del Codice, relative alle forme ed alle condizioni dei contratti, ne aggiungerò un'ultima, che riguarda il loro oggetto. Secondo la natura delle cose di cui si tratta, dello scopo che ci si propone, i contratti sono domestici, civili, commerciali o politici. È di quest'ultima specie di contratto, il contratto politico, di cui ci occuperemo ora. Per facilitare la comprensione dell'idea commutativa del “contratto politico o di federazione”, confronterò adesso gli elementi principali che concorrono a formare un contratto commerciale con quelli necessari a formare un contratto politico commutativo o di federazione. Fra i molti contratti commerciali che potrei citare, sceglierò il più semplice: la compravendita di una mela. Ci sono i contraenti (il compratore e il venditore); le informazioni (la valutazione della mela, ovvero la quantità di denaro o di altro accettata dalle parti per permettere lo scambio); la volontà ovvero il desiderio di effettuare il contratto di scambio; la spontaneità (la libera scelta di acquistare e di vendere); il nesso di reciprocità stabilito sulla base del vantaggio, dell'utilità e della sicurezza che ognuno dei contraenti intende ricevere dallo scambio. Ebbene, agli effetti di ciò che ci interessa sapere l'acquisto di una mela comporta una netta distinzione degli elementi che lo costituiscono che così riassumo: il contratto di compravendita è frutto di una convenzione (contratto) bilaterale (ovvero commutativo), non è aleatoria né può essere imposta a priori e riserva sempre ai contraenti la parte maggiore della libertà di scelta, fino al momento in cui il contratto è definito, accettato e lo scambio è Sinallagmatico è il contratto stipulato sulla base di un “nesso di reciprocità” fra i contraenti a salvaguardia dei loro interessi e delle loro aspettative di vita. 269 166 avvenuto. In sostanza gli elementi fondamentali (spontaneità e cooperazione mutualistica) del contratto di compravendita di un bene (scambio) e quello politico di federazione si dimostrano coerenti con il nesso di reciprocità che la natura adotta per organizzare i sistemi delle società animali che crea fin dall'origine della vita. 3. Aleatorietà e certezza nelle due forme antitetiche di contratto sociale. Come abbiamo visto in precedenza a proposito dei contratti il nesso di reciprocità fra gli individui, elemento indispensabile per fare un contratto, può essere: aleatorio oppure commutativo. Il primo tipo di contratto prende il nome da alea, rischio e si stipula quando in conseguenza di un avvenimento incerto il vantaggio sperato o promesso per ognuna delle parti non è garantito. L'esempio meno conosciuto di contratto aleatorio in politica è quello della rappresentanza (delega) fondata sui programmi NON soggetti a vincolo di mandato. ... Sempre la bandiera della libertà è servita a mascherare il dispotismo; sempre le classi privilegiate, per proteggere i loro privilegi, si sono circondate di istituzioni liberali ed egualitarie; sempre i partiti hanno mentito sui loro programmi e sempre l'indifferenza è succeduta alla fiducia, la corruzione allo spirito civico, gli Stati si sono disgregati per lo sviluppo dei concetti e dei programmi sui quali si erano fondati.270 Alla lunga il sistema dell'ordine sociale organizzato sulla base di programmi aleatori dimostra le caratteristiche di sistema chiuso che non offre ai contraenti (i cittadini), alcuna garanzia di certezza e possibilità di controllo che le promesse fatte dai partiti o dai rappresentanti prescelti e votati siano rispettate, o che la fiducia richiesta se concessa, venga sempre onorata. Tuttavia, anche concordando con queste conclusioni un attento osservatore potrebbe sostenere che alle successive elezioni il contratto sociale (consenso o voto dato per promesse) potrebbe essere fatto con un diverso venditore (un politico o un partito) che offra maggiori garanzie nel programma. Ma, mi chiedo, qualunque siano le garanzie offerte non sarebbe più conveniente per gli individui poter sempre concorrere a determinare personalmente il modo in cui vengono deliberate le leggi che riguardano tutti, cedendo ai rappresentanti, in occasione della cerimonia del voto, una quantità di sovranità e di potere inferiori a quelli che ognuno riserva per sé, in modo da P. J. Proudhon, Del principio federativo, cit., cap. VI, Posizione del problema Principio di soluzione. 270 167 politico. poterli sempre controllare, o governarsi da sé quando ritenuto necessario? Ovviamente anche in questo caso sono possibili errori di governo; ma avendo a disposizione gli strumenti giuridici della democrazia diretta che sono in grado di equilibrare il potere della democrazia indiretta o rappresentativa (in pratica i Referendum di iniziativa popolare con carattere deliberativo-legislativo senza quorum) che prevedono la prevalenza della prima forma di democrazia sulla seconda, gli errori compiuti dai rappresentanti o dal popolo stesso sarebbero rapidamente individuati ed eliminati e gli interessi e le aspettative popolari soddisfatte. La crescita della civiltà e del benessere del popolo è legato indissolubilmente alla crescita della cultura e all'esercizio della sovranità popolare. In assenza dello strumento giuridico referendario deliberativolegislativo è infatti dimostrato che chi detiene il potere politico risponde sempre alla legge del Direttore: un principio ben conosciuto nelle scienze politiche per il quale la ricchezza di una qualsiasi società è sempre distribuita, in primo luogo a beneficio delle caste politiche e finanziarie che controllano il governo. Si potrebbe anche dire che il compito essenziale di ogni classe politica sia quello di costruire interessi particolari con interessi generali, di far digerire interessi generali come interessi particolari.271 Il secondo tipo di Contratto che i cittadini possono scegliere di adottare è quello politico o di federazione, ovvero un sistema di governo aperto fondato sul nesso di reciprocità dei rapporti politici (commutatività) che garantisce il continuo riequilibrio degli elementi che formano il sistema dell'ordine sociale favorendo la stabilità, la sicurezza, l'efficienza, il risparmio di energia e il cambiamento nel mutuo interesse. La stipula di questo contratto dipende sempre dal verificarsi di eventi certi, con il minimo rischio per i contraenti che gli impegni non vengano onorati e la massima certezza che lo siano. Ricordo qui che agli effetti del modo in cui si comportano i sistemi, è sufficiente che uno soltanto degli elementi o componenti che li formano vada fuori equilibrio per un tempo più o meno lungo, che il disordine viene esteso alle altre parti e avvia un processo che porta il sistema al margine del caos o al collasso. Si pensi per un attimo all'esagerazione della tassazione o dell'imposizione fiscale (spoliazione), o alla continua crescita della forbice fra ricchezza e povertà estreme, oppure al potere conferito dallo stato a banche private di emettere moneta scegliere addebitandone il valore al popolo col sistema del debito pubblico, alla riserva frazionaria che consente alle banche di concedere a prestito denaro che non possiedono, oppure al potere assoluto del parlamento su tutti gli aspetti della vita dei cittadini. 271 G. Miglio, L’interesse generale non esiste, in Elites, n° 4, 2004. 168 Come può l'ordine sociale essere un sistema chiuso alla possibilità di rapido cambiamento in funzione delle esigenze moderne? Si può forse dire che uno stato sovrano in cui le leggi sono decise unicamente da centri di potere posti sopra i cittadini (il parlamento, i consigli degli enti locali, le banche, i sindacati, la burocrazia, i grandi industriali ecc. ), il contratto politico che lega il cittadino allo Stato sia “uguale e reciproco” e sia “contenuto entro giusti limiti” come pretende il federalismo? A mio parere certamente no! E allora - è la domanda - cosa è necessario fare per ristabilire il nesso di reciprocità negato dallo stato e produrre il cambiamento della forma di governo preferita dalla maggioranza dei cittadini sovrani? Ebbene, la Teoria del contratto politico o di federazione prevedendo che possano essere i cittadini i titolari dell'esercizio della sovranità che permette agli stessi di deliberare, legittimare e delegittimare le leggi in ultima istanza secondo la loro convenienza reciproca, può determinare il riequilibrio del sistema dell'ordine politico impedendo gli abusi e gli arbitri che si generano col sistema della delega in bianco data dagli elettori ai rappresentanti dei partiti. 4. Una scelta necessaria per il futuro. Credo che non sia possibile immaginare quando si arresterà la crescita esponenziale della complessità legata allo sviluppo della scienza e della tecnologia che fanno passi da gigante in tempi brevissimi. Come si porranno nel futuro gli individui e le comunità davanti a questo immenso problema? I cittadini sono consapevoli delle diverse forme di governo? È tollerabile che in nome dell'assoluto dell'unità nazionale si rischi uno scontro violento fra i popoli che rivendicano la propria indipendenza politica nei confronti dello stato centralista, senza avere la possibilità di tentare la via della federazione che unisce gli individui ed i popoli garantendo a ognuno la libertà nella diversità, ma lasciando ognuno padrone a casa propria per tutto ciò che non è politicamente, mutualmente e contrattualmente condiviso? Da parte mia posso solo sperare che i media italiani pongano maggiore attenzione alle brevi considerazioni qui esposte, magari contribuendo a migliorarle o almeno ad aprire un dibattito sulla loro sostenibilità e vantaggio o insostenibilità e svantaggio in rapporto all'esistente e al bene comune. E' mai possibile continuare a parlare di politica e di economia senza avere la minima idea su quanto ha osservato un grande studioso delle istituzioni federali a livello mondiale, Daniel Elazar, per il quale: La sovranità nelle repubbliche federali viene invariabilmente attribuita al popolo, che delega i propri poteri ai diversi governi o che si accorda per esercitare direttamente quei poteri come se fosse esso stesso il governo (come accade nei cantoni svizzeri tradizionali). Il popolo 169 sovrano può delegare e dividere i poteri come meglio crede ma la sovranità rimane una sua proprietà inalienabile . … Nessun governo (o, per estensione, nessuna carica) può ritenersi sovrano e quindi credere di avere poteri illimitati, residuali o ultimi. 272 La parola stato non è indicata nella citazione; Elazar parla di “governo” e di “sovranità del popolo”. Infatti cosa è il federalismo se non governo del popolo senza stato e la sovranità il diritto naturale di ogni cittadino a partecipare alla formazione della legge che riguarda tutti? L'idea che le preferenze dei governati possano manifestarsi normalmente soltanto per il tramite dei rappresentanti, e che la volontà dei primi debba prendere necessariamente la forma di un'adesione (consenso) alle "verità" proposte dai candidati al potere, questa idea sta per uscire dalla storia. Perché si spezza il legame fra legittimazione del governante e ricognizione delle opinioni dei governati.273La richiesta così frequente in questi anni di maggiore democrazia si esprime nella richiesta che la democrazia rappresentativa venga affiancata o addirittura sostituita dalla democrazia diretta. … gli istituti di democrazia diretta nel senso proprio della parola sono due: l'assemblea dei cittadini deliberanti senza intermediari ed il referendum.274 I concetti delle due citazioni precedenti riassumono magnificamente il significato profondo della vera democrazia possibile col federalismo. Riporto di seguito alcune citazioni di autori purtroppo poco conosciuti, o pochissimo ricordati dai media in Italia, sul tema del contratto nell'ordine sociale in generale e del contratto politico in particolare. … Il requisito della reciprocità è il fulcro delle teorie etiche fondate sul contratto. Per il contrattualismo le norme morali sono le norme cui individui razionali ed egoisti converrebbero di ubbidire a condizione che anche gli altri si impegnassero a farlo. 275 La microstruttura dell’organizzazione sociale umana si basa su perfezionate mutue valutazioni che conducono alla stipulazione di contratti.276 Il contratto - in quanto presume mutuo beneficio - è il solo terreno sicuro 272 D. Elazar (1934-1999), professore universitario e presidente del Jerusalem Center for Public Affairs, Idee e forme del federalismo, trad. M. Bassani, Edizioni di Comunità, Milano, 1995, p. 90. 273 G. Miglio, Il nerbo e le briglie del potere, Ed. Il Sole 24 Ore, Milano, p. 286 274 N. Bobbio ( 1909-2004) filosofo politico, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984, p. 33. 275 J. Rachels, Creati dagli animali, cit, p. 223. 276 E. O. Wilson, Sociobiologia: la nuova sintesi, cit., p. 280. 170 sul quale gli uomini possono rischiare le loro vite ... .277 … dato che in altri termini il regime liberale, o contrattuale, prevale di giorno in giorno sul regime autoritario, è all'idea di contratto che noi dobbiamo legarci come all'idea dominante della politica.278 L'azione di due o più persone che si trasferiscono reciprocamente i loro diritti si chiama contratto.279 Ciò che costituisce l'essenza ed il carattere del contratto politico … , è che in questo sistema i contraenti, i capi di famiglia, comuni, cantoni, province o Stati, non solo si obbligano bilateralmente e commutativamente gli uni verso gli altri, ma si riservano individualmente, nel dar vita al patto, più diritti, libertà e proprietà, di quanta ne cedano.280 La perfezione del contratto sociale ha spezzato gli antichi vincoli, tipici dei vertebrati, imposti dalla rigida selezione di parentela, mediante la convenzione del contraccambio, unitamente al linguaggio flessibile infinitamente produttivo, e un’attitudine alla classificazione verbale, gli esseri umani stipulano accordi duraturi, sui quali possono essere costruite le culture e le civiltà.281 Ciò che dobbiamo osservare è che l'individuo ha degli obblighi verso il gruppo, come il gruppo ha degli obblighi nei confronti dell'individuo: questo è un equo contratto. Potremmo procedere ad esplorare questi obblighi nella loro interezza, ma prima dobbiamo riconoscere un paradosso. Al cuore del vero contratto c'è l'individuo che, per esistere, ha bisogno dell'ordine del gruppo.282 La storia e la logica, la teoria e la pratica, ci hanno condotti, attraverso i travagli della libertà e del potere, all'idea di un contratto politico. Applicando subito questa idea e cercando di rendercene conto, abbiamo riconosciuto che il contratto sociale per eccellenza è il contratto di federazione, che abbiamo definito in questi termini: un contratto sinallagmatico e commutativo, stipulato per uno o più oggetti determinati, ma la cui condizione essenziale è che i contraenti si riservino sempre una parte di sovranità e di azione superiore a quella a cui rinunciano.283 De cive Se chi è arrivato fin qui è convinto dei vantaggi che si possano ricevere Roger D. Masters, La natura della politica, Yale University Press, New Haven and London, 1989, p. 175. 278 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cap. VII, Sviluppo dell'idea di federazione, p. 101. 279 T. Hobbes, De cive, Editori Riuniti, Roma, 2001, p. 93. 280 P. J. Proudhon, Del principio federativo. p. 104 281 E. O. Wilson, Sulla natura umana, cit., p. 110. 282 R. Ardrey, (1908-1980) Zoologo e antropologo americano, The social contract, p. 101. Il libro è stato pubblicato da Fontana/Collins, Suffolk (G.B), 1977. 283 P. J. Proudhon, Del Principio federativo, cap. VIII, Costituzione progressiva. 277 171 adottando la forma di governo federale ed è interessato a far conoscere le ragioni che hanno portato l'Umanità all'attuale grado di complessità, di contraddizioni, di ingiustizia, di disuguaglianza, di violazione dei diritti naturali degli individui e dei popoli e di inutile violenza e guerra, dovrebbe cercare di diffondere ciò che di meglio crede di dover condividere di quanto ho riportato sul contratto politico commutativo o di federazione. 5. L'era delle federazioni Nell'attuale situazione della politica a livello mondiale, dovrebbe essere abbastanza facile renderci conto che il modello di contrattualità politica commutativa dell'ordine sociale si contrappone frontalmente allo ius publicum aeuropaeum dell’Europa statalista e centralista in mano ai grandi gruppi di potere finanziario (banche), politico (partiti), economico (grandi gruppi industriali) e burocratico. Ecco la radice del neofederalismo: La sua vittoria è la vittoria del contratto sul patto politico, sullo ius publicum aeuropaeum dell’Europa statalista.284 Posta la discussione del cambiamento della forma di governo in questi termini, lo stato diventa una questione accidentale, temporanea dell'ordine sociale, destinato a dissolversi per permettere l'avvento del governo federale come base delle future società politiche. Sarà forse così che si aprirà l'era delle federazioni auspicata con queste parole da P. J Proudhon in del Principio federativo? ... l'era attica, disonorata per l'orgia imperiale, è caduta nell'oblio; essa è stata completamente cancellata dall'era cristiana, che servì a segnare, in un modo altrettanto grandioso, morale e popolare, lo stesso rinnovamento. Non sarà diversamente per l'era detta costituzionale: essa sparirà a sua volta davanti all'era federativa e sociale, la cui idea profonda e popolare deve abrogare l'idea borghese e moderatrice del 1814. A mio parere, infatti, la ricerca di un nuovo modello di organizzazione dell'ordine sociale rispetto al passato che sia più coerente con le leggi conosciute della natura, indica l'inevitabilità dell'Era delle federazioni su scala planetaria. Credo che la ragione di ciò sia dovuta alla seguente osservazione di Proudhon in Del Principio federativo al cui pensiero ho cercato costantemente di riferirmi scrivendo questo libro: 284 G. Miglio, intervista rilasciata alla rivista Limes, settembre 1993. 172 Prima di dire cosa s'intende per federazione conviene ricordare, … l'origine e la filiazione dell'idea. La teoria del sistema federativo è del tutto nuova: credo di poter dire che non è ancora stata formulata da nessuno.285 Non è stata formulata da nessuno - oso dire - perché al suo tempo nessuno possedeva sia l'attuale esperienza delle immense tragedie prodotte dagli stati sovrani accentrati con gli orrori delle guerre del ventesimo e ventunesimo secolo sia le attuali conoscenze fisiche, chimiche, tecnologiche, etologiche, biologiche e neurobiologiche che ci consentono oggi di osservare l'intero Universo come una vera e propria rete di sistemi naturali connessi e federati sulla base delle leggi che gli stessi producono spontaneamente. Da parte mia credo che per essere diffusa in modo semplice e comprensibile a tutti questa idea dovrebbe essere ridotta ad un unico concetto in modo che ognuno possa facilmente comprenderne la potenza ideale, scientifica e la forza di rinnovamento politico e della sua utilizzazione pratica. A volte, infatti, un concetto ridotto alla sua estrema semplicità permette alle intelligenze comuni di cogliere la verità di una breve formula, in apparenza astratta, in modo più chiaro e concreto rispetto alla pesantezza di un volume di dissertazioni e di narrazioni di fatti. So bene che non è semplice superare le diversità, conciliare le differenze, garantire la libertà, assicurare agli individui e ai popoli la pace interna ed esterna e il benessere. Tuttavia proprio in questo, per me, risiede la morale della natura che tende all'espansione della vita e al divenire dell'intelligenza, della coscienza e della civiltà per mezzo dell'unione degli individui e dei popoli nella diversità e nella libertà, verso una meta sconosciuta e imprevedibile, ma certa. Credo fortemente che la creazione di un ambiente sociale e politico coerente con questo spirito potrebbe permetterci di organizzare nel tempo strutture di governo MINIME predisposte all'autogoverno e alla federazione per garantire il rispetto dei diritti naturali, la pace, la libertà e una certa eguaglianza. Non so quanto tempo occorrerà perché i mezzi di comunicazione di massa si occupino del federalismo in modo serio, smettendola di farlo conoscere attraverso l'ipocrisia del federalismo fiscale che mette il carro (il fisco) avanti ai buoi (la forma di governo federale) o del decentramento confuso con la decentralizzazione e altre amenità infantili e grottesche, come il federalismo calato dall'alto oppure quello regionale. Di sicuro è una grande illusione pensare che il federalismo come forma di governo si possa affermare su tutta la Terra in tempi brevi. Tuttavia non dovrebbe interessare se questo avverrà fra dieci, cento o mille anni, perché la natura non offre alternative possibili alla scelta fra progresso dei sistemi sociali naturali da un lato e loro degenerazione e fallimento dall'altro. 285 P.J. Proudhon, Del principio federativo, cit. cap. 1, p. 57. 173 È probabile che nel futuro molti si riconosceranno nelle parole di Daniel J. Elazar considerato tra i massimi esperti mondiali della materia, che ha scritto: Dato che il federalismo si basa sul concetto di patto, la sua importanza è affine da un lato al concetto di “legge di natura” nella definizione della giustizia e dall'altro quella di “diritto naturale” come fondamento delle origini e della giusta considerazione della società politica .286 Per questa ragione molto probabilmente non dovremo aspettare migliaia di anni per veder realizzato il sistema federale planetario a partire dalle prime unità federate, anche se non saranno immediatamente omogenee. Di certo c'è solo che io non vedrò neppure l'avvio di questo straordinario processo. Tuttavia credo che per avviare l'era delle federazioni basterebbe la volontà e la determinazione di alcune migliaia di individui capaci di ignorare la civiltà costruita sulla base delle idee artificiali di potere, di dominio, di spoliazione e di onnipotenza, disposti ad affidarsi all'innata socialità e alla cooperazione spontanea e mutualistica alle quali il federalismo si richiama. ... tutto annuncia che i tempi sono cambiati e che, dopo la rivoluzione delle idee, deve arrivare, come conseguenza legittima, la rivoluzione degli interessi. Il ventesimo secolo aprirà l'era delle federazioni, oppure l'umanità ricomincerà un purgatorio di mille anni. Il vero problema da risolvere, in realtà, non è il problema politico, è il problema economico. ... Dico semplicemente che il governo federale, dopo aver riformato l'ordine politico, deve affrontare per complemento necessario una serie di riforme che agiscano nell'ordine economico. 287Per questa ragione molto probabilmente non dovremo aspettare migliaia di anni per vedere realizzato il sistema federale planetario a partire dalle prime unità federate, anche se non saranno immediatamente omogenee. A questo punto sarebbe necessario trovare gli enzimi culturali ed i mezzi finanziari in grado di costituire, organizzare e moltiplicare la nascita e la diffusione di piccole Comunità autogovernate per aprire l'Era delle federazioni immaginata da Proudhon e avviare la conquista sociale della Terra da parte di uomini liberi e responsabili davanti alla vita delle future generazioni. Questo forse permetterebbe di riconoscersi in ognuno e in ogni cosa nell'uguaglianza e nella diversità, che sono aspetti del divenire del GRANDE SCONOSCIUTO di cui tutto è manifestazione. 286 D. J. Elazar, Idee e forme del federalismo, cit., p. 3. 287 P. J. Proudhon, Del principio federativo, cap. XI. cit. 174 Capitolo XIII Un confronto fra stato accentrato e governo federale 1. Stato accentrato italiano e governo federale svizzero e californiano; sistemi a confronto. In Il principe Niccolò Machiavelli, a proposito dell'introduzione di nuovi ordini (un nuovo sistema di governo) riporta che … Lo introduttore (di nuovi ordini. n.d.a.) ha per nimici tutti quelli che degli ordini vecchi fa ben (traggono vantaggio, n.d.a.) e ha per defensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbero bene. La quale timidezza nasce, parte per paura degli avversari che hanno le leggi dal canto loro, parte dall'incredulità degli uomini, i quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggano nata una ferma esperienza".288 Ovvero: un nuovo sistema politico ha per nemici la paura e l'incredulità degli uomini che non si fidano di cose nuove, se non hanno esempi concreti ai quali riferirle. Questa osservazione mi ha indotto a citare due articoli di stampa degni di considerazione nel panorama culturale italiano. I due articoli permetteranno a chi lo desidera di conoscere alcune delle principali caratteristiche e differenze pratiche fra il sistema dello stato sovrano accentrato (l'Italia) e il sistema di governo federale (la Svizzera) e quello della California. Di seguito gli articoli di Guglielmo Piombini, giovane studioso toscano giornalista del Movimento libertario e del giornalista Alberto Pasolini Zanelli pubblicato su Il Sole 24 Ore. ___________________________ Guglielmo Piombini Tasse, lavoro, sanità, pensioni: tra Svizzera e Italia c’è l’abisso Pubblicato su: Libreria del Ponte, Bologna, 11 Marzo 2014. Se è vero, come sostiene la vulgata prevalente, che la crisi attuale è stata provocata dalla finanza senza regole e dagli eccessi del capitalismo, allora i paesi europei economicamente più liberi dovrebbero trovarsi nelle condizioni peggiori. Possiamo verificare questa tesi confrontando la situazione economica 288 N. Machiavelli, Il Principe, cit., p. 36. 175 di due paesi confinanti abitati da popolazioni parzialmente simili, l’Italia e la Svizzera. Quest’ultima, grazie alla sua forma federale, ha sempre avuto un settore pubblico più leggero di quello dell’Italia, ma negli ultimi anni le differenze tra i due paesi si sono enormemente allargate. Nella classifica mondiale della libertà economica 2014, curata annualmente dall’Heritage Foundation e dal Wall Street Journal, il sistema economico svizzero risulta il quarto più libero del mondo (dopo Hong Kong, Singapore e l’Australia), mentre quello italiano si trova all’86esimo posto. Ancora meglio fa la Svizzera nell’indice mondiale della competitività, piazzandosi al primo posto su 148 economie mondiali, mentre l’Italia si trova al 49esimo posto. La Svizzera è particolarmente competitiva proprio in quel settore finanziario demonizzato dagli avversari del libero mercato. Non esiste infatti un paese in cui il settore finanziario rappresenti una quota così importante del PIL come la Svizzera (il 13 % contro il 4 % della Francia o della Germania). Nonostante questa maggiore esposizione ai rischi, la piazza finanziaria elvetica si è dimostrata solida, e durante la crisi ha beneficiato di aiuti statali in misura nettamente minore rispetto a quanto avvenuto in altri Paesi. La recessione che ha colpito l’Europa sembra infatti aver risparmiato la Svizzera, che pur trovandosi incastonata nel cuore del vecchio continente, ha continuato a creare business ad un ritmo costante. Secondo uno studio della rete globale di revisione RSM, tra il 2007 e il 2011 il numero di aziende in Svizzera è aumentato da 499.000 a 648.000, uno dei tassi più alti nell’area Ocse: +149.000 unità, pari ad un tasso di crescita medio annuo del 6,8%. Nel 2013 il pil della Svizzera è aumentato del 2%, mentre l’Italia ha chiuso il 2013 con un calo del pil dell’1,9 % e un calo della produzione industriale del 3,8%. Per quanto riguarda gli altri indicatori, secondo in Svizzera nel 2013 il reddito pro-capite a parità di potere d’acquisto è stato di 46.475 dollari contro i 30.094 dollari dell’Italia; l’inflazione su base annua è stata dello 0,2 % contro l’l,3 % dell’Italia; l’incidenza della spesa pubblica sul pil è circa il 33 % contro il 50 % dell’Italia; il debito pubblico è in Svizzera il 36,4 % del Pil contro il 132,6 % dell’Italia; il tasso di disoccupazione in Svizzera nel 2013 è stato del 3,3 %, mentre in Italia nel gennaio 2014 ha fatto un nuovo balzo al 12,9 %; particolarmente eclatante è il dato sulla disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni, che in Svizzera è solo del 3,6 % contro il 40 % dell’Italia! (Il Mondo 9/9/2013. Come ha fatto la Svizzera a realizzare queste straordinarie performance economiche? La verità è che la Confederazione Elvetica rappresenta un vero e proprio paradiso liberale, se paragonata all’Italia. La tassazione Benvenuti nel Paese con le tasse più basse d’Europa, titolava un recente articolo uscito su Il Sole 24 Ore. La leggerezza del fisco elvetico è favorita 176 dalla concorrenza fiscale che si fanno i 26 cantoni per attrarre imprese e investimenti. Il fisco svizzero agisce infatti su tre livelli: federale, cantonale e comunale. L’imposta federale incide sul 7,83 % degli utili, quella cantonale varia dal 4,4 al 19 %, quella comunale dal 4 al 16 %. In media quindi sulle aziende l’erario esercita una pressione che varia tra il 16 e il 25 %, sulle persone fisiche dal 5 al 20 %. L’IVA è la più bassa d’Europa, all’8 % (contro il 22 % dell’Italia!), ma sui beni di consumo è al 2,5 %, mentre l’istruzione e le cure mediche sono esenti. Non ci sono imposte sulle successioni per i discendenti diretti. Alcuni Cantoni garantiscono delle esenzioni fiscali per certi periodi o per certe attività, ed è possibile stringere accordi con l’erario sulle tasse da pagare per gli anni successivi. Una notevole differenza con l’Italia riguarda il famigerato cuneo fiscale. Il datore di lavoro italiano farà un salto sulla sedia quando scoprirà quanto pagano in tasse i colleghi della Svizzera sugli stipendi dei dipendenti. «Per 1000 euro di salario il datore di lavoro in Italia deve spenderne altri 1300, qui appena 200», spiega GianLa sanitàluca Marano, quarantenne di Milano che nel 2008 ha aperto a Chiasso una società di consulenza per gli imprenditori e i privati che vogliono aprire un’attività oltre il confine. Nel complesso il carico fiscale complessivo delle aziende (total tax rate) in Svizzera raggiunge al massimo il 28,7% del reddito d’impresa, contro l’incredibile 67,7 % dell’Italia, secondo i dati della Banca Mondiale. Non c’è quindi da meravigliarsi se negli ultimi anni centinaia di imprese italiane si sono trasferite nel Canton Ticino. All’ingresso di Chiasso c’è un cartello che dice Benvenuta impresa nella città di Chiasso. Uno dei tanti imprenditori italiani in trasferta ha commentato: «Quando arriva un imprenditore in Svizzera lo accolgono le autorità. In Italia gli mandano la guardia di finanza». Nel complesso sono 558.000 gli italiani che risiedono in Svizzera, su una popolazione di 8 milioni di abitanti, ai quali si devono aggiungere i quasi 60.000 frontalieri che passano quotidianamente il confine per lavoro, aumentati del 75 % dal 2002 a oggi. Di recente l’Ufficio Federale di Statistica ha svolto un’approfondita indagine sugli stipendi svizzeri. I risultati confermano che in Svizzera si guadagna mediamente il doppio o il triplo rispetto ai paesi confinanti: nel biennio 20072008 il salario medio era infatti equivalente a circa 3000 euro mensili al netto delle imposte. È vero che il costo della vita è mediamente più alto che negli altri paesi europei. Il costo della vita è mediamente più alto che negli altri paese europei, tuttavia, rileva l’indagine, «in nessun caso è doppio o triplo. Per fare un raffronto affidabile con gli altri paesi basti pensare che i costi tra assicurazioni e imposte varie rappresentano in media circa il 30%-35% del budget totale di una persona, il resto serve per vivere». 177 Le pensioni Probabilmente non esiste al mondo un sistema pensionistico più ingiusto, rovinoso e finanziariamente insostenibile di quello italiano. L’Inps si fonda su un meccanismo diabolico che taglieggia i lavoratori privati per concedere spropositati privilegi pensionistici alle categorie statali privilegiate. La moria delle aziende è spesso dovuta all’impossibilità di far fronte a un carico previdenziale completamente slegato dagli utili prodotti, e la maggior parte delle cartelle esattoriali sono costituite da contributi previdenziali non pagati. In Italia l’esosa contribuzione previdenziale obbligatoria a carico degli artigiani e dei commercianti, per non parlare di quella degli iscritti alla gestione separata (prevista al 33% per il 2014), è la principale causa di dissuasione dall’iniziare una nuova attività economica. Il problema è che i lavoratori privati perdono la proprietà dei risparmi che versano all’Inps, mentre la classe politico-burocratica riesce facilmente a dirottarli verso le proprie tasche per mezzo di leggi, leggine e sentenze amministrative. In sostanza, coloro che pagano i contributi e sostengono l’intero sistema, i lavoratori autonomi e dipendenti del settore privato, ricevono una pensione che rappresenta una frazione minuscola di quanto hanno effettivamente versato; d’altro canto, alcune categorie statali che non hanno mai versato contributi o che li versano solo in maniera figurativa, come i politici, i magistrati, i militari e i dipendenti pubblici in genere, si sono garantiti elevati trattamenti previdenziali, vitalizi, pensioni d’oro, doppie, triple e baby. Questi sperperi e queste palesi ingiustizie non possono esistere nel sistema pensionistico svizzero, che si fonda su tre pilastri. Il primo è quello della pensione pubblica, che richiede contributi obbligatori piuttosto limitati (il 4,2 % del reddito per il datore di lavoro e per il dipendente) e garantisce solo il minimo fabbisogno vitale al momento della pensione. La pensione pubblica è infatti quasi uguale per tutti: la minima è di 1105 franchi al mese (poco più di 900 euro al cambio attuale), la massima è il doppio (2210 franchi, cioè 1813 euro). Sul piano dell’equità non ci sono quindi paragoni con la distanza siderale che in Italia separa il trattamento pensionistico di un pensionato sociale (500 euro al mese) da quello di un membro della casta politico-burocratica (fino a 90.000 euro al mese, talvolta a partire dalla mezza età). Il secondo pilastro pensionistico svizzero è quello della previdenza professionale, che a differenza della pensione pubblica non è a ripartizione ma a capitalizzazione (si riceve cioè l’investimento accumulato). I contributi per la previdenza professionale sono in pratica obbligatori solo per i lavoratori dipendenti che percepiscono un salario superiore a 20.000 franchi e inferiore a 82.000. Per tutte le altre categorie, come quelle dei lavoratori autonomi, questo tipo di assicurazione pensionistica è solo facoltativo. Infine, il terzo pilastro pensionistico svizzero è quello della pensione integrativa privata, che serve a colmare eventuali lacune; 178 è facoltativa ma viene favorita con delle agevolazioni fiscali. Nel 2014 il sistema pensionistico svizzero è stato giudicato dal Global Retirement Index, un indice che valuta 150 sistemi pensionistici internazionali, il migliore del mondo quanto a capacità di garantire la sicurezza finanziaria agli ex lavoratori. Fare ulteriori confronti con il sistema pensionistico pubblico italiano, ricolmo di disparità e privilegi, e destinato alla bancarotta a causa dei suoi colossali deficit, sarebbe blasfemo. La sanità Se il sistema sanitario italiano è ben conosciuto per i suoi enormi sperperi, la corruzione, gli ospedali fatiscenti e le liste d’attesa interminabili, niente di tutto questo si verifica nel sistema sanitario svizzero, che è interamente privato e gestito dalle assicurazioni. Il paziente paga mensilmente un’assicurazione obbligatoria di circa 300 euro al mese, cifra nient’affatto elevata se si tiene conto che in Svizzera gli stipendi sono mediamente molto più alti che in Italia e le tasse molto più basse. Nessuno resta fuori perché una società di “compensazione sociale” provvede a coprire le spese di chi non può sostenerle. Il sistema svizzero è attentissimo ad evitare gli sprechi e per questa ragione è molto raro, ad esempio, che un medico prescriva antibiotici. L’assicurazione sanitaria privata comunque garantisce tutto, compreso il ricovero in ospedale in stanza singola o con al massimo tre persone. Anche se si stenta a crederlo, quando un paziente entra in ospedale per operarsi viene accolto da un infermiere che, catalogo alla mano, gli chiede di scegliere quale stampa preferisce avere sul muro (Picasso, Van Gogh, ecc.). Poi viene organizzato una specie di seminario personale dove i medici spiegano al paziente tutti i dettagli dell’intervento. Il paziente può scegliere di essere operato dal primario oppure dall’assistente. Nel primo caso paga un surplus, ma se quel giorno non c’è e opera un assistente (comunque sempre un medico d’eccellenza) il supplemento viene immediatamente restituito con tante scuse. Infine, l’assicurazione sanitaria spesso riduce il premio da pagare a coloro che svolgono attività salutari, come frequentare la palestra, la piscina o la sauna. Chi è più in forma, quindi, paga meno per la sanità! Il mercato del lavoro In Svizzera il mercato del lavoro, anche sotto il profilo dei licenziamenti, è molto liberale. Solo in caso di malattia, incidente o gravidanza i lavoratori godono di una protezione contro il licenziamento temporalmente limitata. Di regola i lavoratori e i datori di lavoro sono liberi di licenziarsi o licenziare nei termini concordati nel contratto di lavoro, o in mancanza semplicemente rispettando i termini di disdetta previsti dal codice delle obbligazioni. Questa 179 grande flessibilità in entrata, ricorda Paolo Malberti sul Corriere della Sera, fa sì che «ogni giorno come apri il giornale sei subissato di annunci. Se non ti trovi più bene dove stai, fai qualche colloquio e cambi ditta. E con l’occasione puoi anche toglierti la soddisfazione di mandare il capetto che te li ha rotti a quel paese». In ogni caso per chi rimane senza lavoro non ci sono sussidi pubblici o casse integrazioni come in Italia, che favoriscono senza ragione i dipendenti delle grandi aziende rispetto a tutti gli altri. C’è invece un’assicurazione privata che copre il rischio di rimanere disoccupati, usufruibile da chi ha lavorato come dipendente in Svizzera per più di 12 mesi negli ultimi due anni. Questa assicurazione contro la disoccupazione viene pagata con dei contributi pari al 2 % dello stipendio, per metà a carico del datore di lavoro e per metà a carico del lavoratore. Il bello del mercato del lavoro svizzero è che le regole del settore privato non sono molto diverse da quelle che valgono per il settore pubblico, comprese quelle sui licenziamenti: ecco forse spiegata la ragione principale della sorprendente efficienza della burocrazia svizzera. Tanto per fare un paio di esempi, ci vogliono solo due settimane per la registrazione al Registro del Commercio e un solo giorno per immatricolare un veicolo. In Svizzera, infatti, non esiste come in Italia il posto fisso a vita per il dipendente pubblico che, in spregio a ogni sbandierato principio costituzionale di uguaglianza, crea una società divisa in due caste: i cittadini di serie A (gli statali ipertutelati qualunque cosa accada) e i cittadini di serie B (i lavoratori privati assoggettati alle incertezze dell’economia). Negli ultimi decenni si è imposta infatti nella maggioranza dei cantoni e dei comuni svizzeri la tendenza ad equiparare le condizioni di impiego degli impiegati pubblici a quelle vigenti nell’economia privata. La Confederazione ha seguito questa evoluzione con la nuova legge sul personale federale del 2002 che ha abolito lo statuto di funzionario autorizzando così i licenziamenti. Dal 1° luglio 2013 è entrata in vigore un’ulteriore revisione legislativa che ha reso ancor più flessibile il rapporto di pubblico impiego. In Svizzera comunque i dipendenti statali sono molto meno numerosi che in Italia: solo 1 su 47 abitanti, mentre in Italia sono 1 su 18 (1 su 23 in Lombardia). In particolare i dipendenti federali in Svizzera sono circa 35.000, cioè uno ogni 200 abitanti: un rapporto che esprime senza bisogno di troppe spiegazioni la leggerezza del governo centrale nella confederazione elvetica. In sostanza la probabilità di imbattersi in un dipendente pubblico svizzero è del 60 % inferiore rispetto alla probabilità di imbattersi in un dipendente pubblico italiano. Quando le strade hanno cominciato a divergere? Perché l’Italia è uno Stato fallito sull’orlo del crack, mentre la Svizzera è un successo planetario? Se guardiamo alla storia, ci accorgiamo che le strade prese 180 dai due paesi hanno cominciato a divergere proprio negli anni dell’unità d’Italia. In Svizzera le ultime turbolenze si ebbero nel 1848, nella “guerra civile” del Sonderbund tra cantoni cattolici e cantoni protestanti. Si trattò in realtà di uno scontro incruento, nel quale morirono meno di cento persone e che durò solo 26 giorni. Alla fine venne adottata una nuova costituzione, dopodiché la Svizzera imboccò definitivamente la via della saggezza, della neutralità, del federalismo e della riduzione ai minimi termini del governo centrale. Anche gli italiani avrebbero potuto seguire la sorte felice degli svizzeri, se ai tempi del Risorgimento fossero prevalse le idee di Carlo Cattaneo e di coloro che proponevano un assetto confederale per l’Italia. Gli avvenimenti presero purtroppo una piega opposta. Un’interminabile serie di sciagure si sono infatti abbattute sugli italiani da quando la penisola è stata forzosamente unificata per via militare dai Savoia. Fin da subito le popolazioni del sud dell’Italia non accettarono la conquista dei piemontesi, che avevano inasprito fortemente la tassazione e introdotto la coscrizione obbligatoria, e si rivoltarono in massa. Questa guerra civile durò una decina d’anni e, malgrado venga minimizzata ancora oggi nei libri di testo come “lotta al brigantaggio”, fu in verità il conflitto più cruento che si ebbe in Europa nel periodo compreso tra le guerre napoleoniche e la prima guerra mondiale. L’esercito piemontese represse la rivolta con lo stato d’assedio, i campi di concentramento e la tattica della terra bruciata. Quante furono di preciso le vittime tra la popolazione meridionale non si saprà mai, ma le stime degli storici vanno dalle centomila (secondo Giordano Bruno Guerri) al milione (secondo La Civiltà cattolica). Il 1874 può essere considerato l’anno simbolo della distanza ormai abissale che separava la Svizzera dall’Italia unita. Una modifica della costituzione elvetica attribuì infatti ai cittadini quel potere referendario di confermare, abrogare o proporre nuove leggi, che ancora oggi rende la Svizzera famosa nel mondo. In quegli stessi anni in Italia si era conclusa da poco la feroce repressione al sud, e il Regno d’Italia era diventato uno degli stati più centralisti e fiscalisti d’Europa. Come ricorda Gilberto Oneto, tra il 1860 e il 1880 la porzione di reddito nazionale assorbita dalla tassazione praticamente raddoppiò. Fra il 1865 e il 1871 si ebbe un aumento del 63 % delle imposte sul reddito e del 107% delle imposte sui consumi che gravavano soprattutto sulle classi popolari, come l’odiata tassa sul macinato che trasformava i mugnai in esattori, inaugurando la prassi italiana di mettere cittadini contro altri cittadini. All’inizio degli anni Settanta il ministro delle finanze Quintino Sella ammise che l’Italia era il paese più tassato al mondo. Nel 1892 la pressione fiscale raggiunse il 18 % del pil contro il 7 % dell’Inghilterra e il 10 % della Germania. La tassazione eccessiva provocò la rovina dell’economia italiana, e con essa un fenomeno sconosciuto prima dell’unità: l’emigrazione di massa all’estero degli italiani. Tra il 1876 e il 1914 emigrarono 14 milioni di italiani, su una popolazione che nel 1881 era di poco 181 superiore a 29 milioni. All’inizio gli emigranti partirono soprattutto dalle regioni del nord, in particolare dal Veneto. Il grande esodo meridionale cominciò con l’adozione delle tariffe protezionistiche del 1887, che colpirono soprattutto l’agricoltura del sud, gettando nella disperazione milioni di persone già oberate dalle tasse italiane e dalla pesante novità del servizio di leva, che distraeva per anni dai lavori nei campi le braccia migliori (G. Oneto, La questione settentrionale, 2008, p. 152, 154). Il Regno d’Italia era anche uno Stato militarista e guerrafondaio: sentendosi grande e forte, si lanciò in una serie continua di guerre che mai i piccoli Stati preunitari si sarebbero sognati di intraprendere. ... Per gli abitanti della penisola, comunque, le disgrazie non erano finite. Nel 1915 il governo italiano non seguì il saggio esempio di neutralità della Svizzera, e si gettò a cuor leggero nella fornace della prima guerra mondiale. Milioni di coscritti, quasi tutti poveri contadini, vennero spediti a morire nelle trincee. Quelli che cercavano di salvarsi la vita disertando o rifiutandosi di avanzare sotto il fuoco nemico venivano fucilati dai carabinieri che sparavano a vista sui “codardi”, o dai plotoni d’esecuzione che per punizione decimavano interi reparti. In questa “inutile strage” il Regno d’Italia sacrificò la vita di quasi settecentomila italiani, mentre un numero più che doppio di giovani rimasero feriti o mutilati. Seguirono i vent’anni del fascismo, che dichiarava di voler portare a compimento la rivoluzione nazionale del Risorgimento, e la catastrofe immane della seconda guerra mondiale, che lasciò l’Italia completamente distrutta. Nel 1948 l’Italia evitò per un soffio di diventare una dittatura comunista di tipo staliniano, ma nei vent’anni successivi l’adozione di politiche economiche più liberali generò il cosiddetto “miracolo economico”. Forse è stato questo l’unico periodo positivo della storia dell’Italia unita. Nel 1968 si aprì infatti la stagione degli anni di piombo, del terrorismo e della crisi economica. Chiuso questo tragico periodo, negli anni Ottanta ebbe inizio l’epoca dell’esplosione della spesa statale, del debito pubblico, della tassazione e della corruzione, che ci ha portato alla crisi dei giorni nostri. Il verdetto della storia sembra chiaro. In 150 anni di vita lo Stato nazionale ha dato agli italiani soprattutto due cose, morte e tasse. È venuto il momento di ripudiare questo esperimento fallimentare, questa parentesi sbagliata della nostra storia, e di rivendicare quella vocazione pluralistica e quelle libertà che hanno reso grande non solo la Svizzera, ma anche la civiltà italiana nei secoli passati." Guglielmo Piombini. ____________________________ 182 Alberto Pasolini Zanelli, giornalista de Il Sole 24 Ore: CALIFORNIA PATRIA DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA. Una lezione da meditare: il Paese dove i cittadini decidono tutto Il Parlamento più antico del mondo, è l’Althing di cui restano solo banchi di pietra nel verde dell'Islanda. Quello che da più tempo funziona risiede, come è altrettanto noto, a Londra, in un palazzo che originariamente ospitava il potere rivale, quello regale. Ma quale sia il Parlamento più grande del pianeta è una scoperta meno divulgata: sta in California e non ha una sede, se non delle cabine di voto che ogni due anni vengono allestite in decine di migliaia di spazi qualsiasi. Non è proprio un Parlamento nel senso etimologico del termine, perché non vi si parla, però vi si compie il gesto decisivo della volontà popolare in una democrazia: si vota. Ogni due anni il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre, dai 10 ai 15 mi1ioni di cittadini della California possono diventare deputati o senatori. Fungono da eletti e non da elettori, sottraggono alle assemblee i poteri tradizionali. In una parola votano nei referendum, con poteri e latitudine pressoché senza limiti. Passano leggi, emendano la Costituzione, esprimono senza intermediari la volontà politica della collettività, mettono in atto quella alternativa, sempre presente nella storia delle libere istituzioni ma quasi sempre solo come ipotesi, che è la “democrazia diretta", al posto di quella rappresentativa. Gli Stati Uniti non sono il solo Paese a conoscerla. I referendum sono fra gli strumenti della democrazia in molti Paesi del mondo, ma in genere con molte limitazioni. In Italia, lo sappiamo, possono essere solo abrogativi, possono disfare leggi ma non farne e soprattutto possono venire aggirati, inoltre molti argomenti sono tabù per le pratiche referendarie, a cominciare da quello per cui i parlamentari nacquero, prima ancora della democrazia moderna, e cioè il controllo delle finanze, delle spese, delle tasse. Solo la Svizzera si avvicina, in Europa, al modello californiano. Che del resto non è unico neppure in America: altri 17 Stati dell'Unione possono cambiare la Costituzione approvando emendamenti per via referendaria e altri 21 (più il Distretto di Colombia) concedono ai loro cittadini il diritto di iniziativa per fare leggi e non soltanto per cancellarle. Ma 15 Stati danno agli elettori ambedue questi poteri: quello legislativo e quello costituente e fra questi la California non è soltanto di gran lunga il più popoloso ma anche il più attivo, i suoi abitanti i più entusiasticamente portati a servirsi di questa loro facoltà. Se si calcola che la California non è solo il principale Stato dell'Unione ma anche, per popolazione o ricchezza, uno dei più importanti Paesi del mondo, si vede quanto il suo esempio sia importante e quanto, inoltre, passibile di imitazione, in California nascono le mode, politiche e no. E la California, neppure questo va dimenticato, produce le tecnologie d'avanguardia che fra breve potranno 183 cambiare ancora più radicalmente il sistema delle consultazioni popolari, realizzando il "villaggio globale" e sostituendo quelle cabine con un pulsante elettronico. Sono prospettive che spaventano i legislatori, i politologi, i filosofi politici di ogni parte del mondo, inclusa l'America, ma la California non fa niente per ostacolarle, Le procedure si sono, anzi, semplificate al punto da risultare incoraggianti. Per portare una proposta di legge davanti a questo "Parlamento" basta che i promotori raccolgano le firme del 5 per cento degli aventi diritto al voto. Quest'anno il numero esatto è 433.969. Per un emendamento alla Costituzione la cifra sale appena un poco: l'8 per cento, ovvero 539.230. Non c'è da stupirsi che attraverso queste maglie larghe passino proposte numerose: in un anno recente si è toccato il record con 29 "iniziative legislative" stampate l'una dopo l'altra su una sola scheda lunga come un lenzuolo: né i legislatori di professione hanno il potere di depennare proposte o impedire alla gente di pronunciarsi in merito. Non ci sono, ripeto, tabù. I californiani possono andare a votare per diminuirsi le tasse: lo fecero con un'iniziativa allora rivoluzionaria, nel 1978, quando tagliarono a metà le imposte sulla proprietà fondiaria, avviando con due anni d'anticipo la "rivoluzione" reaganiana, che doveva drasticamente diminuire il carico fiscale su tutti gli americani e lanciare così il boom economico liberista. Nel 1996 fu approvata, in un altro caso controverso, la proposta di tagliare la spesa pubblica a favore dei residenti stranieri illegali, e tre anni fa per mettere fuori legge il sistema delle "quote" con cui il governo dava preferenze alle "minoranze" che avevano subito discriminazioni, reali o immaginarie. Non tutte le volte è questa linea a prevalere. Nell'autunno del 1996, per esempio, furono gli elettori, contro il parere della Camera, a decidere di elevare il salario minimo per i lavoratori, a proibire agli automobilisti privi di assicurazione (che negli Stati Uniti non è obbligatoria) di fare cause per danni in caso di incidenti e per legalizzare, di nuovo contro le direttive di Washington, l'uso medicinale della marijuana. Sempre con dei referendum, i californiani hanno scelto di reintrodurre la pena di morte, di stabilire l'obbligatorietà dell'ergastolo per chi è alla terza condanna penale, di "requisire" ottanta chilometri di spiaggia del Pacifico per adibirla a uso pubblico, di "proteggere" gli stanziamenti per le scuole e perfino di decidere in che giorno cominciare e finire l'ora legale. Non tutte le decisioni sono indiscutibilmente sagge, si è detto: ma quello che conta è il metodo. In quel "Parlamento" si portano avanti, inoltre, cause degne, anche se non vengono fatte leggi al primo tentativo. Il pungolo per le riforme è rapido e in genere efficace. Per esempio, la spinta dei "referendari" ha indotto il Congresso di Washington a modificare una regola abnorme, che consentiva in taluni casi a un magistrato di dichiarare "incostituzionale" una proposta referendaria. D'ora in poi è necessario il parere concorde di tre giudici. Invece 184 di essere "neutralizzato", dunque, il sistema si consolida. La grande maggioranza dei cittadini della California è convinta che esso sia "buono e giusto". La pensano così anche quelli che, spesso, alle proposte referendarie votano "no"."289 Alberto Paolini Zanelli _____________________ 2) Il modello federale della Svizzera e il modello accentrato semi-fascista e semi-comunista italiano. La Svizzera è una Repubblica federale dal 1848. Nel periodo di tempo che va da questa data al 1891 si avvia all'interno dei Cantoni un processo di pratica della democrazia diretta che porta alla effettiva produzione legislativa anche mediante l'iniziativa popolare delle leggi e alla nomina, da parte del popolo, di tutte le cariche pubbliche, politiche e amministrative. Accanto al sistema rappresentativo viene così inserito il diritto naturale degli individui all'esercizio della sovranità politica come fonte di produzione della legge. Mediante lo strumento giuridico del referendum di iniziativa popolare senza quorum per la validità del risultato, infatti, il popolo ha il diritto e il potere costituzionalmente garantito di deliberare, legittimare, abrogare e modificare le leggi e la stessa Costituzione. Sulla base di questa scelta è facoltà dei cittadini svizzeri di impedire lo sviluppo di una casta di burocrati in grado di usare il proprio potere per influenzare le scelte politiche del popolo sovrano definendo la funzione dei partiti (I partiti partecipano alla formazione dell’opinione e della volontà popolari, art. 137, Cost. federale svizzera) per fare in modo che gli aventi diritto al voto scelgano consapevolmente e responsabilmente a maggioranza le leggi che ognuno condivide o rifiuta. Lo stesso principio di democrazia diretta è applicato all'esercito che non è permanente e formato da militari di professione, ma da cittadini comuni (la cosiddetta Nazione armata). Oltre a permettere un considerevole risparmio in termini economici (come per la burocrazia che è di nomina popolare), questo consente al popolo di impedire che partiti, burocrazia ed esercito diventino alleati delle classi dirigenti per soffocare le istanze provenienti dai cittadini. 290 Articolo commentato e riportato integralmente dal giornalista Enzo Trentin su L'uomo Qualunque, settimanale diretto da Lucio Lami, dove ho collaborato a partire dal 1997 e nel 1998 sui temi della democrazia diretta, dell'autogoverno e del federalismo. 290 In proposito vedi: Alberto Castelli, Un modello di repubblica, Giuseppe Rensi, la politica e la Svizzera, Bruno Mondadori, Milano, 2004, p. 68 e seguenti. 289 185 Diversamente in Italia il parlamento ha adottato … ... la logica del muro contro muro e invece in Svizzera è tutta un’altra cosa. Lì sì che si lavora insieme, lì sì che il federalismo trova la sua realizzazione. Già, ce l’abbiamo qui a due passi, la Svizzera con il suo federalismo più virtuoso, e non sappiamo nemmeno copiarla. Legga qui come funziona in Svizzera: i quattro partiti che prendono più voti e che sono diversissimi tra loro si mettono a lavorare insieme per il bene della collettività. E così che funziona e ha sempre funzionato in Svizzera. È così che si crea la cultura del rispetto. La Costituzione svizzera non comincia con l’articolo 1 ma comincia con cinque premesse e la premessa più interessante e significativa è: noi siamo diversi e vogliamo lavorare tutti insieme per un obbiettivo comune che è il benessere della collettività. Invece qui, nella Repubblica sovietica italiana la Costituzione ci viene a dire che siamo tutti uguali. Non è vero che siamo tutti uguali. È diverso un cittadino di Milano da uno di Siracusa, è diverso uno che è di destra da uno di sinistra. Ma la logica vorrebbe che si lavorasse insieme, che si collaborasse. Le sembra che stia dicendo un’eresia?291 Il parlamento italiano, diversamente da quanto avviene in Svizzera pur conoscendo la bontà del sistema federale, con discutibili argomentazioni e alleanze a partire dall'Assemblea costituente, ha prodotto una Costituzione in cui norme poco chiare e incomprensibili alla gente comune, lascia spazio a numerose contraddizioni fra i Principi fondamentali e la Prima e Seconda parte. In seguito all'entrata in vigore della Carta, infatti, l’attenzione dei politici e dei partiti venne concentrata sulla contesa elettorale e sull'acquisizione del consenso. Su questo scoglio erano destinate a naufragare tutte le speranze di un effettivo distacco dal sistema fascista, da quello comunista e dalla Chiesa, per far nascere una Repubblica democratica fondata effettivamente sulla sovranità popolare come recita l'art.1 comma 2 della Costituzione. Infatti, le forme con le quali (sempre secondo la Costituzione) il popolo manifesta la propria volontà sono: a) l’esercizio diretto della sovranità popolare attraverso il referendum abrogativo (art. 75); b) l’esercizio quasi diretto costituito dal referendum condizionato sulle leggi di revisione della Costituzione (art. 138); c) l’esercizio indiretto della sovranità popolare mediante l’elezione dei membri del parlamento (art. 56 e seguenti) e in tutti gli altri casi in cui si prescrive l’elezione di rappresentanti e la nomina degli alti gradi della burocrazia, dell'esercito e della magistratura da parte degli eletti nelle istituzioni. Trascurando il fatto che in democrazia l’esercizio diretto di una funzione deve 291 Giancarlo Pagliarini, Il Giornale, intervista di Gabriele Villa, 23 marzo 2015. 186 prevalere sempre su quello indiretto (nel senso che in caso di concorrenza il primo ha la precedenza sul secondo), deliberando la legge 25 maggio 1970 n° 352 destinata a regolare l’esercizio del referendum e prevista dall’ultimo comma dell’art. 75 della Costituzione, il parlamento, ormai completamente in mano ai partiti ha attuato deliberatamente un vero e proprio tradimento della sovranità popolare: concetto giuridico che sta alla base della democrazia e della repubblica quali pilastri del federalismo. Ignorando il fatto che per la Costituzione la sovranità appartiene al popolo nelle forme e nei limiti ...292, i parlamentari, i magistrati e i giudici della Corte costituzionale nel silenzio quasi totale della stampa e della televisione, hanno violato decisamente la gerarchia delle forme della manifestazione, dell'esercizio e dell'attuazione della volontà popolare (salvo il giorno dell'elezione dei rappresentanti dei partiti) e hanno subordinato sbrigativamente il risultato dei referendum (esercizio diretto della sovranità popolare), alle esigenze di acquisizione del consenso ai partiti e a una legislazione creata ad hoc per assicurare la continuità storica dell'accentramento dello stato sovrano. Con il tradimento del referendum da parte della Corte costituzionale la Costituzione del 1948 ha accomunato il regime fascista e quello comunista mediante il “centralismo democratico” chiamato “parlamentarismo” rispettando anche in politica il detto che il lupo cambia il pelo, ma non il vizio. In seguito a ciò il sistema politico italiano è diventato nel tempo un regime ideologizzato semi-fascista e semi-comunista aggravato da un capitalismo selvaggio e da un sistema di banche private complici della politica, che in nome dell'assoluto dello stato sovrano nega il diritto naturale dei cittadini e dei popoli che formano l'Italia all'autogoverno. Inutili sono stati diversi tentativi di alcuni gruppi spontanei di cittadini, specialmente in Toscana e in Veneto, di far venire allo scoperto i partiti di regime mediante Petizioni rivolte ai sindaci ed ai consigli comunali sul tema della sovranità popolare. Il rifiuto dei consigli e dei sindaci di rispondere alle petizioni popolari (obbligo previsto dall'art. 8 comma 3 della legge 267 del 2000) volte a introdurre la democrazia diretta negli Statuti comunali è un segno evidente che i partiti non vogliono discutere su un tema che li accomuna al dispotismo dell'azione di governo sui cittadini ignari dei loro diritti costituzionali e sulla negazione della democrazia diretta prevalente rispetto a quella quella rappresentativa, per non essere inchiodati alle gravi responsabilità attraverso le quali negano di fatto il diritto naturale dei cittadini all'Autogoverno. Un confronto obbiettivo fra i modelli di stato sovrano accentrato (Italia) e di governo federale (Svizzera), indica - a mio parere senza ombra di dubbio - gli Dai verbali dell'Assemblea costituente risulta che "le forme e i limiti" (art. 1 Cost.) erano riferiti alla forma di stato Repubblicana e democratica dello stato, e non alla sovranità popolare. 292 187 enormi vantaggi in termini di stabilità, di sicurezza, di rispetto dei diritti naturali, di efficienza, di libertà di iniziativa economica, di bassa tassazione, di bassa disoccupazione, di educazione, di civiltà, di pace, ecc., del modello federale in cui i partiti … “ -partecipano- alla formazione dell’opinione e della volontà popolari” impedendo con questo che la politica si trasformi in strumento di latrocinio, di corruzione e di malgoverno come avviene in Italia. Diversamente dalla Svizzera, nel Bel Paese per l'art 49 della “Costituzione più bella del mondo”, i cittadini ... “hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per -concorrere- a determinare la politica nazionale”. E quando mai i cittadini hanno potuto concorrere alla formazione della politica nazionale se i capi bastone dei partiti, con la complicità della burocrazia e della magistratura, certi del desiderio di fanatica e irresponsabile sottomissione politica dei loro elettori, possono invitarli a godersi il mare ed i monti se il referendum è contrario ai loro interessi, oppure violare impunemente il risultato delle consultazioni referendarie come è avvenuto in numerose occasioni? Di fronte alla grande crisi determinata dal fallimento dei dogmi e delle ideologie sociali in cui i partiti e le grandi concentrazione finanziarie delle banche e del grande capitale parassitario non riescono più a trasmettere una visione del futuro coerente con i reali bisogni degli individui e con il successo della vita umana, le idee di ordine sociale spontaneo, di rispetto dei diritti naturali, di Autogoverno di comunità limitate e di contrattualità politica commutativa, potrebbero gettare una nuova luce sulla possibilità di evoluzione culturale ed economica della società più giusta e vantaggiosa rispetto al passato. Raggiungeremo questo scopo se nel corso dei prossimi decenni o secoli sapremo agire coerentemente con il bisogno di crescita della cultura e della civiltà adottando criteri politici ed economici rispettosi delle leggi conosciute della natura e se, come umanità ne avremo il tempo, la capacità e il coraggio. Potremo fare questo se saremo capaci di rispondere intimamente a tre precise domande: Perché è necessario cambiare; cosa è necessario cambiare; come possiamo cambiare. Questo libro è un tentativo in questa direzione anche se so bene che nel caos intellettuale e morale nel quale siamo sprofondati non spetta a me, in quest'ora in cui i partiti in Italia si distinguono solo per il colore dei loro manifesti e della frequenza delle comparse televisive, indicare come gli uomini di buona volontà possano trovare finalmente una terra consacrata sulla quale possano almeno tendersi una mano leale e parlare un linguaggio comune di verità e di giustizia. Questa terra, infatti, è quella del diritto naturale, della morale, della libertà, della maggior uguaglianza e del rispetto per l'umanità in tutte le sue manifestazioni: individuo, famiglia e società. Tale è la terra che alla fine unirà i rari e veri federalisti e dove potranno 188 cooperare senza distinzione di partiti, di culture e di speranze tutte le anime oneste e generose. I modelli americano (soprattutto riferito alla California) e quello svizzero hanno contribuito ad affermare il concetto che il federalismo deve essere riferito soprattutto all'autogoverno e alla sovranità popolare, alla contrattualità politica dei rapporti personali, ai rapporti fra Stati indipendenti e al modo in cui è suddiviso il potere di governo ai diversi livelli istituzionali, sia all'interno dei singoli Stati, sia per quanto riguarda il ruolo che la federazione deve avere nei confronti della vita dei cittadini sovrani. Per effetto di questi presupposti la maggioranza dei popoli che hanno adottato il federalismo hanno certamente conosciuto uno straordinario benessere ed una grande libertà, ma spesso si sono guardati bene dal valutare a spese di chi il benessere è stato ottenuto. In effetti sembra che i costituenti italiani si siano dimenticati che, come ricordava Montesquieu: “L'amore della repubblica, in una democrazia, è quello della democrazia; l'amore della democrazia è quello dell'uguaglianza”293. … “Nelle monarchie e negli Stati dispotici (lo stato sovrano è sinonimo di dispotismo, n.d.a.) nessuno aspira all'eguaglianza, non se ne ha nemmeno l'idea, ciascuno vi tende alla superiorità”. 294 L'esperienza storica ci ha mostrato quanto grandi fossero queste intuizioni e quale pesante eredità abbiano lasciato. Il più grande servizio che oggi posso rendere alla società in cui vivo sarà di aver dimostrato che lo stato è una finzione utile soprattutto a realizzare le ambizioni ed e le alchimie sociali di chi punta egoisticamente all'asservimento dei cittadini e alle logiche predatorie e criminali dei partiti e delle associazioni di interessi che si nascondono dietro di loro. Continuare ad accettare senza reagire questa condizione di sudditanza è il peggior modo mediante il quale i cittadini possono ottenere un giusto ordine sociale, che sia a un tempo coerente con le leggi che la natura adotta spontaneamente per organizzare le società che crea e per produrre una nuova forma di governo fra gli individui e fra popoli diversi che la formano. 293 Montesquieu, Lo spirito delle leggi, libro V, cap. III. 294 Ivi, cap. IV. 189 Conclusioni Giunto alla fine di questo libro ho avuto un attimo di perplessità: mi sono reso conto che probabilmente il tempo presente non è pronto per le idee che ho cercato di esporre e la loro diffusione sarà lenta e difficile. Per alcuni non e facile concordare sul fatto che gli esseri umani sono stati creati dagli animali come ha lasciato scritto Charles Darwin, altri non si rendono conto che non si possono risolvere i problemi usando lo stesso modo di ragionare che li ha prodotti come ha detto Einstein. Altri ancora non sanno che ciò che pensiamo dipende dalle teorie che usiamo per interpretare ciò che osserviamo e si affidano a dei rappresentanti, spesso senza cultura, per evitare l'impegno e lo sforzo che la responsabilità politica della tutela dei loro diritti e interessi richiede. Tutto considerato ... … L'uomo, nella sua arroganza si considera una grande opera, degna dell'intervento della divinità. Più umile e, io credo, più verosimile, ritenerlo creato dagli animali.295 Da quando Darwin fece questa osservazione (nel 1838, ventun anni prima della pubblicazione di L'origine delle specie nel 1869), cominciarono ad accumularsi prove schiaccianti a favore dell'evoluzione della vita. Questo ha progressivamente determinato e sta ancora determinando un profondo cambiamento della nostra visione della realtà e della funzione dell'uomo all'interno della società. Nel ventunesimo secolo, soprattutto a causa delle religioni, miliardi di persone non si sono ancora rese conto che l'uomo non occupa un posto speciale e privilegiato nella creazione e che è soltanto un prodotto delle forze evolutive che a partire da un Quid sconosciuto e inaccessibile alla mente hanno modellato e organizzato le forme dell'energia, della materia, della vita e del comportamento sociale del vivente. Occorreranno secoli perché questa mentalità possa cambiare, ma non credo che esistano alternative. Chi potrebbe essere interessato oggi - mi sono chiesto - alla socialità, al nesso di relazione fra le leggi conosciute della natura e quelle prodotte dalla ragione, al rispetto dei diritti naturali e della dignità delle persone, alla spontaneità e allo spirito di cooperazione mutualistica dell'organizzazione dell'ordine sociale che dovrebbe sempre permeare i rapporti politici, economici e religiosi? Con amarezza ho concluso che sarebbero stati ben pochi essendo l'attuale modo di concepire la società, la politica, l'economia e la religione ancora radicato su concetti e ipotesi formulati e affermati nei secoli antecedenti al 1869. 295 Darwin scrisse queste parole nel 1838, 21 anni prima della pubblicazione di L'origine delle specie, in Notebook, p. 30. 190 L'esplosione demografica è oggi un segnale allarmante che la complessità dei problemi che riguardano l'uomo moderno sta aumentando a una velocità che non ha precedenti nella storia umana. La curva relativa alla crescita della popolazione, secondo Heinz von Foerster, raggiungerà il giorno del giudizio nel 2026. Mentre Arthur Kestler nel capitolo finale del libro Il fantasma dentro la macchina, fa notare che la stessa esplosione incontrollata della crescita vale anche per la potenza e la precisione delle armi, per la velocità dei missili, per la diffusione scientifica e per la tecnologia dell'informazione. Tuttavia - ho pensato - accade talvolta che qualcuno fra i tanti semi del pensiero e della conoscenza che si rinnova senza posa per permettere alla vita umana di crescere e di affermarsi, anche se gettati casualmente nel roveto dell'esistenza quotidiana anche da persone semplici, “alcuni cadano nel buon terreno e pongano salde radici e innalzano buon frutto verso il cielo”296. Perciò posso solo augurarmi che non tutti giudicheranno questo lavoro con superficialità e che qualcuna delle osservazioni che ho presentato possano essere essere interpretate e migliorate da altri nell'ottica delle nuove conoscenze della natura in un sistema sociale aperto a tutti i contributi di progresso umano. Ormai sappiamo dalla scienza che il nostro comportamento sociale è determinato da numerosi e complicatissimi fattori biologici, etologici, culturali, etici e ambientali attraverso i quali il cervello determina le connessioni con la realtà così come ci appare e costruisce i propri schemi significativi destinati a durare nel tempo. Ma sappiamo anche che ciò che percepiamo è solo un'immagine assai limitata della realtà, creata dal nostro cervello. Sappiamo che l'eccessiva complessità dei sistemi sociali dipende sia dalla quantità e dalla qualità delle informazioni disponibili, sia dalla crescita esponenziale dei rapporti che ormai oltrepassano i limiti che la natura assegna ai fenomeni in rapporto alla necessità di funzionamento ottimale dei sistemi. Sappiamo anche che la tecnologia del sistema Internet è in grado di analizzare ogni giorno le opinioni e le intenzioni di oltre due miliardi e mezzo di persone per sfruttare matematicamente, da parte di chi ne ha interesse, sia la saggezza della folla sia le sue debolezze ed i lati peggiori del suo egoismo. Sappiamo che moltissimi avvertono ogni giorno l'iniquità delle catene che il potere egoista mette a miliardi di persone innocenti che non sanno che la cultura e la crescita della conoscenza e della coscienza sono gli strumenti più efficaci per spezzarle per sempre. Sappiamo che la sovranità è il potere del popolo per esercitare il suo diritto naturale nei confronti dei propri rappresentanti e sulla scelta della forma di governo e che in questa scelta risiede l'originarietà ed esclusività del diritto di ogni essere umano rispetto a altro potere preesistente. Sappiamo che che gli esseri umani possono essere bolliti come le rane dal 296 M. Pincherle (1919-2012), Scrittore e archeologo, Tommaso apostolo, Il quinto vangelo, Filelfo, 1983, 9, p. 21. 191 sistema delle informazioni in mano a caste dispotiche di potere politico, economico e anche religioso; ma sappiamo anche che l'intelligenza, la volontà e la coscienza che albergano in ognuno, se orientate verso il rispetto della legge di natura possono salvarci dagli intrighi, dalle menzogne, dagli arbitrii e dagli abusi del potere e del grande capitale parassitario incarnato nelle banche, nei grandi gruppi monopolisti e nello stato sovrano. Sappiamo che il dominio dei grandi stati in mano a caste usurai e di predatori spietati è - e sarà ancora per molto tempo - sinonimo di sterilità intellettuale, culturale e morale e che in queste condizioni la coscienza individuale e il benessere sociale non solo non potranno progredire, ma regrediranno. Tuttavia nulla è definitivo nel mondo e a ogni secondo e ora di ogni giorno si può cambiare rotta verso una via pacifica di fuga possibile e percorribile. Dobbiamo riflettere sul fatto che se abbiamo grande fiducia nella scienza dobbiamo chiederci a cosa servono le grandi scoperte se non sono utilizzate per il bene comune. Dopo il 1859 e ancor più dopo gli anni '50 del secolo passato, per la prima volta nel corso della storia umana pur nelle nebbie e nell'oscurità del presente possiamo intravedere il destino della nostra specie sapendo che una nuova tappa ci attende sul percorso della nostra evoluzione animale: un cambiamento radicale di comportamento dovuto alla conoscenza dopo il quale poco o niente resterà come prima. Per raggiungere questo lontano traguardo dobbiamo diventare consapevoli che tutta la felicità e il benessere che possiamo ottenere dalla nostra condizione di esseri umani dipendono dalla nostra volontà, dalla nostra cultura e dalle nostre scelte di comportamento individuale, sociale, economico, politico e religioso; in pratica dalle regole di comportamento (le leggi) che sapremo darci cooperando mutualmente e spontaneamente su ogni aspetto della vita in comune. Questo ci permetterà di costituire una rete di piccole Comunità umane autogovernate e federate che ci libereranno per sempre dalle catene del passato e dagli schemi artificiali e irrazionali che la nostra mente ha costruito nei secoli in mancanza di conoscenza scientifica del vivente. Solo la passione civile, la spontaneità della legge, la cooperazione mutualistica e grandi sacrifici di uomini liberi e saggi potranno un giorno aprire le porte all'Era delle federazioni attraverso le quali potremo connettere e rendere coerente l'ordine sociale umano con le leggi della natura. Così potremo organizzare un futuro migliore per le future generazioni di tutta l'Umanità perché l'egoismo, la predazione, l'usura monetaria, la sovranità degli stati, il parassitismo, l'asservimento degli individui, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la grande disuguaglianza economica, l'indifferenza, la violenza e la guerra incarnate nell'idea di STATO, sono i cimiteri della speranza di una vita migliore e della crescita della coscienza in vista della nuova tappa che ci attende lungo il percorso della nostra evoluzione animale e spirituale. 192