UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
ANNALI DELLA FACOLTÀ
DI MEDICINA E CHIRURGIA
Volumi 96-98 (2006-2008)
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ISBN 978-88-548-3664-8
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I edizione: marzo 2011
INDICE
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VOLUME 96 (2006)
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PAOLO CALABRESI
ALTERAZIONI CELLULARI, MOLECOLARI E COMPORTAMENTALI IN
UN MODELLO SPERIMENTALE DI MORBO DI PARKINSON
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LUCIO CASALI
LA TUBERCOLOSI OGGI. CENTOVENTIQUATTRO ANNI DOPO ROBERT
KOCH
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ALICE BERTUZZI
PSICOLOGIA E OLFATTO
91
NINO GORNI
RESINE, GOMMORESINE E COLORI
103
VITALIA MURGIA
DALL’ETNOMEDICINA ALLA RICERCA FARMACOLOGICA E CLINICA
109
RITA PAGIOTTI, PAOLA ANGELINI, ROBERTO VENANZONI, BRUNO GRANETTI
MIRRA, INCENSO E OPOPONACO. VALUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ ANTIMICROBICA NEI CONFRONTI DI ALCUNE SPECIE DI DERMATOFITI
117
ELISABETTA PALAGI
DIMMI CHE ODORE HAI E TI DIRÒ CHI SEI. RICONOSCIMENTO INDIVIDUALE OLFATTIVO IN LEMUR CATTA
127
MARCELLO TARDELLI
IL CENTRO STUDI ERBARIO TROPICALE DI FIRENZE
137
BRUNO TIRILLINI, FRANCESCA RICCADONNA, ROBERTO MARIA PELLEGRINO
L’OLIO ESSENZIALE DI MIRRA DA COMMIPHORA MYRRHA (NEES)
ENGL. DELL’ETIOPIA
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INDICE
147
VOLUME 97 (2007)
149
ROBERTO GERLI, ELENA BARTOLONI BOCCI, FILIPPO LUCCIOLI
ONELIA BISTONI, SHEILA MOSCATELLI, ALESSIA ALUNNO
UN BREVE VIAGGIO NELLA REUMATOLOGIA DEGLI ULTIMI
VENT’ANNI. DALLE TERAPIE EMPIRICHE A QUELLE BIOLOGICHE
163
MARIO RONCETTI, SANDRO ALLEGRINI
IL TRATTATO SULLA MEMORIA DEL PERUGINO MATTIOLO MATTIOLI
175
ALDO SETAIOLI
MATHEOLUS PERUSINUS, TRACTATUS DE MEMORIA. OMAGGIO AL
“PIÙ ILLUSTRE MEDICO PERUGINO DEL QUATTROCENTO”
185
ENRICO CAPODICASA
MATHEOLUS PERUSINUS. SPUNTI E RIFLESSIONI DI STORIA DELLA
MEDICINA
147
VOLUME 98 (2008)
205
LAMBERTO BRIZIARELLI
ALESSANDRO SEPPILLI
237
EMILIO BUCCIARELLI
LUCIO SEVERI (1908-1991)
243
LUCIANO BINAGLIA, GIANFRANCESCO GORACCI
GIUSEPPE PORCELLATI
245
ADOLFO PUXEDDU
PAOLO LARIZZA
251
MARIAPIA VIOLA MAGNI
LA STORIA SCIENTIFICA DI FRANCESCO MAGNI
273
ENNIO BECCHETTI
PAOLO CARINCI
277
MARCO MAOVAZ, ILEANA GIAMBANCO
ROSARIO FRANCESCO DONATO, BRUNO ROMANO
LA MEDICINA NELL’UNIVERSITÀ DI PERUGIA
359
MARCELLO PACI
L’ACCESSO ANTERIORE NELLA CHIRURGIA LAPAROSCOPICA DEL
SURRENE
397
GIUSEPPE ABBRITTI
DIOGENE FURBETTA
VOLUME 96
(2006)
7
Università degli Studi di Perugia
Annali della Facoltà di Medicina e Chirurgia, voll. 96-98
ISBN 978-88-548-3664-8
DOI 10.4399/97888548366481
pag. 9-62
ALTERAZIONI CELLULARI, MOLECOLARI
E COMPORTAMENTALI IN UN MODELLO SPERIMENTALE
DI MORBO DI PARKINSON
PAOLO CALABRESI
Clinica Neurologica – Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Perugia
1. INTRODUZIONE
1.1. La malattia di Parkinson
James Parkinson, medico inglese del XIX secolo, fu il primo a raccogliere e pubblicare in un opuscolo intitolato An essay on the shaking
palsy (Parkinson, 1817) una serie d’osservazioni su pazienti che presentavano peculiari caratteristiche. La descrizione che fece Parkinson rimane ancora efficace per la sua capacità di mettere in risalto le alterazioni
caratteristiche della postura e del movimento: «Moto tremolante involontario, con forza muscolare ridotta, di parti non in azione, anche quando
vengono sorrette; con propensione a piegare il tronco in avanti e a passare da un’andatura al passo alla corsa; assenza di alterazioni sensitive
e dell’intelletto».
James Parkinson osservò che questi sintomi progressivamente peggioravano fino al sopraggiungere della morte del paziente causata dalle complicazioni dovute all’immobilità. Parkinson battezzò la malattia paralysis agitans; paralysis per la scarsità di movimento e agitans riferendosi
al tremore. Nonostante Parkinson non osservasse, nei suoi pazienti, anormalità nel tono muscolare o a livello cognitivo, il suo contributo alla descrizione della malattia fu particolarmente accurato. In seguito, il medi9
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PAOLO CALABRESI
co francese Jean Marie Charcot aggiunse, alla descrizione originale di James Parkinson, molte altre caratteristiche quali la rigidità muscolare, la
micrografia e le alterazioni sensoriali. Il dr. Charcot chiamò questa patologia Malattia di Parkinson (MP) dal nome di colui che per primo ne
diede una chiara descrizione (Duvoisin, 1987).
Notevoli progressi nella conoscenza della MP sono stati conseguiti a
partire dalla fine degli anni Cinquanta, quando Arvid Carlsson dimostrò
che l’80% della dopamina (DA) cerebrale si trova nei nuclei della base
(Carlsson, 1959), in un’area che rappresenta meno dello 0.5% del peso
totale del cervello. Successivamente, Oleh Hornykiewicz, studiando reperti autoptici di cervelli umani, osservò che i cervelli dei soggetti che
avevano sofferto di MP presentavano bassi livelli di DA, norepinefrina
e serotonina, a livello dello striato e in modo molto più marcato a livello del putamen (Bernheimer and Hornykiewicz, 1965; Hornykiewicz,
1970). Delle tre amine biogene, la DA era quella ridotta in modo più drastico. La MP quindi è divenuta il primo esempio di malattia cerebrale associata a una carenza di un particolare neurotrasmettitore. Successivamente, è stato dimostrato che la MP è causata dalla degenerazione dei neuroni DAergici della pars compacta della substantia nigra. Alla fine degli
anni Sessanta, Birkmayer e Hornykiewicz (Birkmayer e Hornykiewicz,
1976) ipotizzarono che i pazienti affetti da MP avrebbero potuto trarre
giovamento da un’eventuale normalizzazione dei livelli cerebrali di DA.
Birkmayer e Hornykiewicz osservarono che l’iniezione endovenosa di Ldiidrossifenilalanina (L-DOPA), precursore della DA, provocava una notevole, anche se breve, remissione dei sintomi della malattia, fornendo
in tal modo un approccio nuovo per il trattamento del MP (Birkmayer e
Hornykiewicz,1976). Successivamente, George Cotzias dimostrò che il
graduale aumento della somministrazione di L-DOPA per via orale riusciva a indurre effetti benefici significativi e continui.
1.1.1. I sintomi della malattia di Parkinson
La MP è una malattia neurodegenerativa a carattere progressivo i cui sintomi cardinali sono rappresentati da notevole riduzione dei movimenti spontanei, acinesia, bradicinesia, aumento del tono muscolare (rigidità) e da una
forma caratteristica di tremore a riposo (con 4-5 scosse al secondo). Caratteristici della MP sono anche l’andatura strascicata, la postura in fles-
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Annali della Facoltà di Medicina e Chirurgia, voll. 96-98
ISBN 978-88-548-3664-8
DOI 10.4399/97888548366482
pag. 63-76
LA TUBERCOLOSI OGGI.
CENTOVENTIQUATTRO ANNI DOPO ROBERT KOCH
LUCIO CASALI
Cattedra di Malattie dell’apparato respiratorio – Università degli Studi di Perugia – Ospedale “Santa Maria” di Terni
1. INTRODUZIONE
La tubercolosi rappresenta ancora oggi il retaggio millenario di un’antica malattia e sotto nuove spoglie continua a essere una minaccia incombente per gran parte dell’umanità.
È indubbio che la parte moderna di questa affezione si debba far risalire all’ultimo ventennio del XIX secolo e coincida con l’eccezionale scoperta del suo agente eziologico (Mycobacterium Tuberculosis) da parte di
Robert Koch, comunicata ai membri dell’Accademia di fisiologia di Berlino il 24 marzo 1882. Nell’occasione un altro futuro premio Nobel per
la Medicina, Paul Ehrlich, descrive l’atmosfera quasi sospesa con cui i presenti accolsero le parole di Koch per sfilare poi in silenzio a osservare al
microscopio i preparati che Koch aveva allestito affinché si potesse cogliere la presenza dei bacilli della tubercolosi [1].
Qualche tempo dopo, sull’onda del successo internazionale che aveva fatto seguito alla scoperta, lo stesso Koch aveva azzardato una previsione secondo la quale si sarebbe avviato un movimento mondiale destinato a produrre una grande vittoria sulla tubercolosi. Questa previsione
è stata purtroppo in parte smentita dai fatti e al momento attuale gran parte del mondo è ancora devastata da questa malattia.
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LUCIO CASALI
2. NOTE EPIDEMIOLOGICHE
La tubercolosi rappresenta un problema globale e può essere considerata come la causa principale di morte da parte di un’unica malattia infettiva [2]. A livello generale si contano 2 milioni di morti all’anno su un’incidenza annuale di 8.9 milioni di nuovi casi dei quali 3.9 milioni sono risultati sputo-positivi ed essi rappresentano una grave potenzialità nei confronti della diffusione dell’infezione [3-4]. La regione Africa dell’OMS
presenta l’incidenza maggiore con 356/100.000 casi ma numericamente il maggior numero di malati è addensato nelle aree più popolose dell’Asia. Bangladesh, Cina, India, Indonesia e Pakistan raccolgono il 48%
dei nuovi casi (Ibidem), mentre circa l’80% delle nuove diagnosi si localizza in 22 Paesi a grande densità abitativa [2].
Laddove l’incidenza è elevata sono colpiti soprattutto soggetti di sesso maschile in giovane età, mentre nei Paesi a economia consolidata la
malattia tende a prevalere nelle classi più anziane, almeno per quanto riguarda la popolazione autoctona. Diversamente gl’immigrati da Paesi ad
alta prevalenza tendono ad ammalarsi in giovane età: entro pochi anni dall’ingresso nei nuovi Paesi vi sarebbe quindi il mantenimento delle caratteristiche originarie anche nei nuovi paesi.
Per quanto riguarda l’Europa si è osservato un andamento abbastanza differente tra i Paesi industrializzati dell’ovest e quelli appartenenti all’ex Unione Sovietica. Dal 1989 e per tutto il decennio che ha preceduto il nuovo millennio vi è stata una impennata di casi nell’Europa orientale, mentre a Occidente continuava la tendenza a una progressiva discesa dei tassi. Al momento sembra che anche nei Paesi dell’Est e in quelli baltici sia in corso una riduzione della malattia [5]. In compenso, soprattutto nelle repubbliche baltiche e in certi territori russi, sono in netto aumento i casi di tubercolosi multi-resistente (14-17%) (MDRTB)[6] contrariamente a quanto accade in altre parti del mondo dove mediamente si parla di una percentuale di MDR-TB del 3% [7]. Tutto questo può naturalmente rilanciare in senso molto più critico una ripresa della tubercolosi che si configurerebbe come molto meno controllabile.
Per quanto riguarda l’Italia, dati recenti dell’Istituto superiore di sanità [8] ci dicono che il nostro Paese presenta un tasso d’incidenza compreso tra il 5 e il 6/100.000 che lo colloca tra le aree a basso rischio.
Va segnalato per altro che dal 1999 al 2004 i casi di tubercolosi regi-
Università degli Studi di Perugia
Annali della Facoltà di Medicina e Chirurgia, voll. 96-98
ISBN 978-88-548-3664-8
DOI 10.4399/97888548366483
pag. 75-90
PSICOLOGIA E OLFATTO
ALICE BERTUZZI
Dipartimento di Psicologia – Facoltà di Psicologia 1 – “Sapienza” Università di Roma
via dei Marsi, 78 – 00185 Roma
1. LO SVILUPPO DELL’OLFATTO NELL’ARCO DEL CICLO VITALE
In che modo l’olfatto si sviluppa nel corso della vita? Come influisce
l’invecchiamento sul funzionamento di questo senso? Quanto la capacità olfattiva della donna differisce da quella dell’uomo? E in che misura
il fumo, la professione, l’ambiente circostante e la cultura si ripercuotono sull’olfatto?
È probabile, che la prima percezione sensoriale della nostra vita, sia
un odore percepito nel liquido amniotico (Doty, 1991b). In base a calcoli approssimativi si può affermare che nel grembo materno un bimbo è
in grado di sentire gli odori già dal quinto mese; è possibile che già in
questa fase la memoria olfattiva stabilisca associazioni di un certo valore per il periodo successivo alla nascita. A questo proposito si sono rivelati utili gli esperimenti sugli animali: nei ratti l’odore del liquido amniotico influisce sul riconoscimento della madre da parte del piccolo (Hepper, 1987): in un esperimento eseguito al microscopio è stato raccolto il
liquido amniotico di alcune femmine; otto ore dopo la nascita i piccoli
venivano messi su una lastra, con ai due lati due bastoncini d’ovatta, uno
impregnato del liquido amniotico della madre, l’altro con quello di un’altra femmina di ratto. Si è osservato che i piccoli cercavano di avvicinarsi al bastoncino con il liquido della madre, muovevano la testa in quella direzione e a volte cercavano di succhiarlo; inoltre, per escludere che
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ALICE BERTUZZI
il comportamento potesse essere causato dal contatto tra la madre e il piccolo dopo la nascita, l’esperimento fu eseguito anche su ratti nati con parto cesareo; anche in questo caso la preferenza andava al bastoncino con
il liquido amniotico della madre. Possiamo quindi concludere che in questi animali l’apparato olfattivo funziona già prima della nascita e che in
questa fase si forma una “memoria olfattiva”.
Anche nell’uomo i neonati riconoscono e preferiscono l’odore della madre, specie quello del seno, delle ascelle e del collo; si è stabilito che subito dopo la nascita un odore può far scattare comportamenti specifici.
Fin dall’inizio i neonati hanno una preferenza per determinati odori
(Mennella & Beauchamp, 1991): se a un lattante si avvicina al naso una
striscia impregnata dell’odore di uova marce, si vede che arriccia il naso
e accenna a mettersi a piangere, mentre l’odore del burro fa scattare movimenti di suzione; questo non significa che i bambini abbiano un’innata avversione per le uova marce; è probabile che l’odore del burro somigli a quello familiare e protettivo della madre. Se la madre odorasse di
uova marce, probabilmente, col tempo, i neonati presenterebbero comportamenti di suzione verso questo odore. Si tratta tuttavia solo di un’ipotesi, poiché le reazioni citate si osservano appena dopo la nascita e prima della prima poppata. Forse i processi di apprendimento legati alla valutazione degli odori avvengono in una fase molto precoce, ma anche altri odori come la vaniglia, la banana, i gamberi, che presumibilmente il
bambino sente per la prima volta, scatenano reazioni specifiche.
Il neonato, quindi, non solo crea presto delle associazioni olfattive, ma
probabilmente possiede una scala di apprezzamento innata per gli odori.
Per quanto riguarda invece l’olfatto nei bambini di età compresa tra
uno e cinque anni, si presume che essi siano tolleranti agli odori: in un
esperimento i bambini venivano messi a giocare intorno a un tavolo con
un divisorio sul quale sono stati praticati dei fori così da indirizzare verso il tavolo degli odori a una concentrazione ben al di sopra del valore
soglia; i risultati hanno riportato una diffusa indifferenza agli odori da parte dei bambini (Lipsitt et al., in Schaal, 1988).
Durante l’adolescenza avviene una trasformazione nella valutazione
degli odori a causa della produzione di ormoni sessuali. In questa fase,
determinate sostanze, come ad esempio le sostanze feromoniche come
l’androsterone e il muschio, che solitamente ai bambini più piccoli non
piacciono, vengono improvvisamente considerate piacevoli, mentre al-
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