Emilio Pistilli S. vittore del Lazio, l'estre- AQUILONIA in co mu n e di SAN VITTORE DEL LAZIO COMUNE DI SAN VITTORE DEL LAZIO 1998 mo comune della provincia di Frosinone, trae origine da insediamenti dell'età del ferro. La possente cinta muraria in opera pseudo poligonale del monte Sambùcaro, che sovrasta il paese, testimonia l'importanza del luogo fin dall'epoca sannitica. In questo lavoro si sostiene l'attribuzione di quelle mura alla mitica città di Aquilonia, distrutta dai Romani nella terza guerra sannitica del 293 a. C., ma si evidenzia anche il cospicuo patrimonio storico culturale che si è accumulato nel territorio comunale nel corso dei secoli. Di particolare interesse la straordinaria serie degli affreschi di scuola cassinese (sec. XI-XIII) conservati nella medioevale chiesa di S. Nicola. Emilio Pistilli AQUILONIA in San Vittore del Lazio COMUNE DI SAN VITTORE DEL LAZIO 2003 TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI © EMILIO PISTILLI 2003 SERVIZIO fOTOgRAfICO: “fOTO VALERIO MASCIO” Tutte le foto a colori contenute nel volume sono state riprese nel mese di novembre 1998 L’OPERA è STATA STAMPATA CON CONTRIbUTO EALL S.r.l. Presentazione Un ritrovamento di eccezionale interesse storico, come quello di “un’antica città” situata sul monte che sovrasta San Vittore del Lazio, merita di essere conosciuto non solo dagli specialisti del settore e dagli abitanti del luogo, ma da un più vasto pubblico. Un ritrovamento che, oltre la valorizzazione ed il recupero del patrimonio storico-culturale del territorio, favorirà anche lo sviluppo del turismo tradizionale. Ecco perché l’Amministrazione Comunale di San Vittore del Lazio, non può non compiacersi del fatto che un messaggio di tale portata venga affidato ad un veicolo di ampia diffusione, come appunto è la pubblicazione di un libro. Gli amministratori, pertanto, esprimono a nome di tutti i cittadini, il massimo apprezzamento al prof. Emilio Pistilli, che si è adoperato per la realizzazione del presente lavoro. A lui va il merito di aver segnalato per primo la presenza nel territorio del poderoso circuito megalitico di monte Sambùcaro, identificato con la mitica città sannitica di “AqUiLoniA”, e di averne curato lo studio e la ricerca fino alla stesura della presente pubblicazione. L’Amministrazione Comunale ha condiviso pienamente la tesi avanzata dal prof. Pistilli ed ha giudicato doveroso dare alle stampe questo lavoro, che lega ulteriormente la figura dello studioso al nostro paese, nel quale ha trascorso gli anni della sua infanzia. A nome personale, infine, esprimo di tutto cuore, l’auspicio, che questa scoperta diventi per i Sanvittoresi motivo ulteriore di apprezzamento, amore ed orgoglio per la propria terra. Dott. Franco Pirollo Sindaco di San Vittore del Lazio Premessa quando, nel 1972, segnalai il ritrovamento di un imponente circuito murario in opera pseudo poligonale sul monte che sovrasta S. Vittore del Lazio, per molteplici ragioni ipotizzai che si trattasse dell’introvabile Aquilonia dei Sanniti di cui parla Livio nel Lib. X della sua storia di Roma. Allora proposi la questione come un’ipotesi; in realtà avevo buoni motivi per ritenere che si trattasse di ben più che un’ipotesi. Un mio articolo-segnalazione1 fu accolto con buona dose di scetticismo: per questa ragione gli elementi probanti che lì riassumevo passarono quasi del tutto inosservati. Successivamente intervenni più volte sulla stampa a riassumere i termini della scoperta2. Da allora ho raccolto svariate riserve sul tenore della mia ipotesi, anche da chi, per amor di campanile, avrebbe dovuto trovar conveniente amplificare l’importanza del ritrovamento. Tutte le obiezioni e le recise smentite, anche da persone autorevoli, sull’identificazione di Aquilonia, anziché farmi recedere dall’ipotesi, mi hanno rafforzato sempre più nella mia convinzione, e non certo per testardaggine: in breve, ciò che doveva demolire la mia tesi risultava, invece, inconsistente ed incongruente nei confronti del racconto di Livio e, anzi, mi induceva a riscontrare ancora nuove concordanze. non sono mancati studiosi, anche di chiara fama, che, pur di sostenere tesi diverse, sono stati costretti a correggere e talvolta stravolgere il testo di Livio. Le obiezioni maggiori si possono riassumere in tre punti essenziali: a) La città di Aquilonia è da collocare in altro sito; e proprio riguardo al sito abbiamo una vera e propria “antologia” di località individuate negli ultimi cento anni: spaziano dalla Valle di Comino, al Molise, alla Basilicata. 1 E. Pistilli, Ipotesi sulla città di Aquilonia distrutta nell’anno 293 a.C., in “il Gazzettino del Lazio”, n. 10 del 15 giugno 1972. 2 Tralasciando i quotidiani basti ricordare solo le riviste: “La voce di Aquino”, iV/72, n. 34, pag. 4; “Rassegna storica dei comuni”, V/73, n. 2, pag. 67; “Lazio Sud”, ii/83, n. 4, pag. 17. 6 EMiLio PiSTiLLi b) le città conquistate dai Romani nella terza guerra sannitica del 293 a. C. (Cominio, Amiterno, Duronia, oltre, naturalmente, Aquilonia) sono da individuare tra la Valle di Comino, il territorio di S. Elia Fiumerapido e quello di Roccasecca, lungo il corso del Melfa; dunque in un raggio di dieci o quindici chilometri, facendo centro su Atina; c) il racconto di Livio è fantastico e per questo motivo non fa testo. naturalmente se è fantastico non ha senso nemmeno porsi il problema dell’identificazione dell’antica Aquilonia, e ciò vale anche per qualsiasi altra collocazione di località liviane. non pensavo, dopo tanti anni, di dover riprendere quell’argomento, ma le accresciute acquisizioni da parte mia e la necessità di dover confutare affermazioni fuorvianti ed interventi privi di ogni senso della storia e della concretezza da parte di alcuni critici di turno, mi inducono a farlo. nel 1972, con un articolo su “il Gazzettino del Lazio”3 ed un successivo estratto diffuso ampiamente, descrissi con dovizia di particolari le vicende e l’entità del ritrovamento; oggi potrei ripetere tutto alla lettera, rivedendo solo alcuni dettagli dovuti alla mia inesperienza del tempo, come per esempio il numero eccessivo delle porte e la forzata individuazione dell’acropoli nella parte più alta del complesso archeologico4. in effetti qui riprenderò gran parte di quel lavoro. 3 op. cit. 4 Fui indotto in tali errori da qualche studioso che godeva della mia piena fiducia. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 7 1 - S. VITTORE DEL LAZIO 1- S. Vittore del Lazio: m. 207 s. l. m. 1.1. Notizie storiche Le origini dell’attuale centro abitato di S. Vittore del Lazio5 sono da ricercarsi nel pieno medioevo e precisamente a cavallo dell’anno mille. Ma ciò non significa che il territorio, precedentemente a quel tempo, fosse disabitato. La ricerca archeologica, infatti, fornisce (e molto più potrà ancora fornire) numerose testimonianze di insediamenti umani, nella zona, già in epoche antichissime. il primo a darci notizie abbastanza precise di ritrovamenti antichi fu il dott. Pietro Saroli, medico di 1ª classe nella R. Marina, il quale, in un suo opuscolo del 18926 informava del rinvenimento di diverse 5 questo paragrafo è stato tratto liberamente da Lineamenti di Storia di S. Vittore del Lazio, Archeoclub di S. Vittore del Lazio, 1986, pubblicazione alla quale ho dato un modesto contributo di ricerche. 6 P. Saroli, Di alcune tombe rinvenute nel territorio di San Vittore del Lazio – Nota archeologica, Venezia, 1892. 8 EMiLio PiSTiLLi tombe di epoca romana e preromana nel fondo così detto dei “Gentili”, nel fondo (“masseria”) dei signori Sarnelli, nel fondo “Casadelmo” del barone Bonanno, nel fondo “Marozze”, nel fondo “olive del Consiglio” e nel fondo “Bagni”. in una di quelle tombe fu ritrovata una moneta neroniana, e già questo fatto fornisce una datazione ben precisa. in base alle indicazioni del Saroli non è possibile stabilire l’epoca reale delle altre inumazioni; né è accettabile l’ipotesi dell’emerito medico sanvittorese, secondo il quale esse risalirebbero al periodo volsco, dal momento che pare ormai accertato che i Volsci poco o nulla ebbero a che fare con il territorio in questione. S. Vittore ha pure restituito alcune iscrizioni di epoca romana, due delle quali furono riportate dal Mommsen nel Corpus Inscriptionum Latinarum. La prima: P. FARACio C .F7 La seconda: Don PERCEnniA o. L. PRiMA . AGR. P . Viii in . FRonT . P . Viii.8 in di una terza ci riferisce D. Angelo Pantoni o.S.B. nel Bollettino Diocesano di Montecassino: questa accenna ad una famiglia dei “Principii” ed è inserita in un pilastro della chiesa parrocchiale9. Ritrovamenti ben più importanti si ebbero nel 1972 sul monte Sambùcaro: ma questo è proprio l’argomento del presente lavoro. 7 T. Mommsen, C.i.L., X, n. 5232, tra le rovine di un’antica casa. 8 id. n. 5273, nella chiesa matrice 9 A. Pantoni, S. Vittore del Lazio, i, “Bollett. Dioces. Di Montecassino”, 1973, n. 3, pag. 232. Gli articoli comparsi nel citato Bollettino Diocesano tra il 1973 e 1975 sono stati raccolti in un unico volume: “San vittore del Lazio – Ricerche storiche e artistiche”, a cura di Faustino Avagliano, Montecassino, 2002. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 9 oggi si puó affermare che non vi sia un campo, nel comune di S. Vittore, che non rechi tracce di antichi insediamenti preromani, romani e medioevali. Pantoni ritiene che lì fosse uno dei tanti “pagi” o ville che sorgevano ovunque nel Cassinate10. Ma l’abbondanza e l’estensione dei luoghi di ritrovamenti fanno pensare a qualcosa di più di un villaggio: ad una città, forse sannitica, forse precedente. Se si trattò di Aquilonia la sua storia si chiuse nel 293 a. C. con la distruzione nella terza guerra sannitica; se fu altra città sannitica cessò di esistere comunque con l’occupazione dei Romani, avvenuta nel medesimo periodo. Se qualche forma di vita continuò dopo quegli avvenimenti fu senz’altro modesta ed irrilevante fino alla totale pacificazione del territorio da parte dei Romani. il territorio fece parte del Latium Adiectum e godette di tutti i benefici dell’occupazione romana, compreso anche il passaggio della via Latina, nell’attuale zona di S. Cesario, dove sono ancora presenti cospicui resti del basolato. Ma alla caduta dell’impero subì gli effetti disastrosi delle invasioni barbariche con il relativo spopolamento. Dopo la venuta di S. Benedetto a Montecassino (probabilmente nel 529) seguì le sorti del monastero. Ma solo nell’anno 744 il territorio di S. Vittore fece parte ufficialmente della Terra Sancti Benedicti (cioè dei possedimenti dell’abbazia di Montecassino). in quell’anno, infatti, il duca di Benevento Gisulfo ii, per riparare alle malefatte dei suoi predecessori longobardi, donò al monastero una notevole estensione di territorio che andava da S. Andrea a S. Pietro infine, al monte Cavallo (nelle Mainarde), al monte Cairo, ad Esperia, includendo, quindi, per intero l’attuale comune di S. Vittore11. Dopo le devastazioni operate dai Saraceni, terminate con la battaglia del Garigliano nel 915, l’abate Aligerno (ab. 949-986) provvide al ripopolamento delle contrade abbandonate dai suoi abitanti, facendovi affluire contadini da altre regioni. Certamente in quella occasione anche le campagne di S. Vittore – non ancora esistente come paese – furono abitate da nuovi coloni. Attorno alle chiese e alle celle monastiche, che erano ormai sorte un 10 ivi, pag. 233. 11 Chronica Monasterii Casinensis (d’ora in poi solo Chron. Cas,), i, 5, M.G.H., Scriptores, 1980, a cura di H. Hoffmann. 10 EMiLio PiSTiLLi po’ dovunque, furono costruite numerose case che costituirono i primi nuclei dei futuri comuni. questi nuclei, per volere degli abati di Montecassino, furono fortificati e circondati da mura. questa fu anche la sorte di S. Vittore, il cui castello viene menzionato per la prima volta nel Chronicon cassinese nel 1045, quando i normanni, che avevano invaso tutto il meridione d’italia, furono cacciati da S. Germano (oggi Cassino) e da tutta la Terra di S. Benedetto, asserragliandosi, però, nei castelli di S. Vittore e di S. Andrea12. Dopo pochi giorni l’abate Richerio, chiesto l’aiuto dei conti dei Marsi e dei fedeli dei monasteri vicini, riuscì a liberare il castello di S. Vittore. questo castello doveva essere ben munito, dal momento che ebbe una cinta muraria fortificata da ben 23 torri13, alcune delle quali sono ancora visibili. Lo troviamo ancora menzionato nel 1123, quando si alleò con S. Angelo in Theodice che era insorto contro Montecassino; ma l’abate oderisio sedò la rivolta14. Ancora nel 1139, durante il conflitto tra Ruggero ii e il papa innocenzo ii; quest’ultimo fu sconfitto e il monastero fu spogliato del suo tesoro e alcuni paesi furono devastati e incendiati, fra questi S. Vittore15. Altra espugnazione del castello si ebbe nel 1199 da parte del tedesco Markualdo16; più tardi, nel 1382, da Luigi ii D’Angiò17; e ancora nel 1421 dal signore di Capua Braccio da Montone18. Devastazioni si ebbero ancora tra il 1400 ed il 140119. 12 Chron Cas., cit., ii, 71. 13 S. De Miranda, S. Vittore Mauritano Martire e le memorie ambrosiane nella Campania, napoli, 1932, pag. 12; anche A. Pantoni, cit., pag. 232; il numero delle torri sembrerebbe esagerato. 14 Chron Cas., cit., iV, 79. 15 L. Tosti, Storia della badia di Montecassino, Roma, 1899, ii, pag. 107. 16 Ryccardi de Sancto Germano Chronica, ed. Garufi, 1938, R.i.S., t. Vii, p. ii, pag. 20. 17 De Tummolillis, Notabilia temporum, Fonti della Storia d’italia, Vii, ist. St. ital., 1890, pag. 9. 18 De Tummolillis, op. cit., pag. 33. 19 Per ulteriori notizie sul castello si veda l’Appendice ii, B.5. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 11 2- S. Vittore del Lazio: veduta dalle pendici del monte Sambùcaro. La tranquillità si ebbe solo un secolo più tardi con la dominazione spagnola. Ma da allora in poi S. Vittore seguirà le vicende note di tutto il meridione d’italia. il paese ebbe nel medioevo un ospizio per i poveri e numerose chiese: S. Maria della Rosa (la principale), S. nicola (che conserva ancora affreschi del Xiii secolo), S. Salvatore (che fu poi S. Croce), S. Basilio. nelle campagne: S. Sebastiano, S. Vittore, S. Giovanni, S. Pietro, S. Angelo (S. Michele), S. Giusta e S. Leonardo. Va infine ricordato che un’antica tradizione afferma che attorno alla chiesa di S. nicola sorgeva una vera e propria città (distinta dalla zona del Castello) di 6.000 famiglie, cioè oltre 20.000 persone: probabilmente si trattava dell’agglomerato dei Greci che nel medioevo avevano popolato in gruppi numerosi le contrade della Terra di S. Benedetto e la stessa S. Germano (Cassino)20. Per le notizie relative a tempi più recenti rinvio al ricordato studio Lineamenti di storia di S. Vittore del Lazio o, meglio ancora a quello del benedettino Angelo Pantoni nell'edizione del 2002. 20 A. Pantoni, op. cit., pag. 232. 12 EMiLio PiSTiLLi 2 - AQUILONIA 2.1. La “urbs” dei Sanniti Prima di procedere nella trattazione va messo a fuoco il concetto di urbs riferito ai centri abitati sannitici. Dobbiamo subito sgomberare la mente dallo stereotipo della città romana, con ampie strade, palazzi, monumenti, ecc. non dobbiamo mai dimenticare che i Sanniti furono per lungo tempo un popolo a persistente struttura tribale, dedito prevalentemente alla pastorizia e all’agricoltura. Le abitazioni dei pastori da sempre – oggi come ieri – si sono presentate con un modello di monolocale con annessa stalla, realizzato con materiale ricavato dallo stesso luogo: per lo più pietra locale (o tufo), combinata con legname e laterizi a copertura. Locali poveri e privi di ogni servizio perché la maggior parte del tempo la si trascorreva sui pascoli o tra i campi; per molti mesi dell’anno, addirittura, si andava in transumanza. Le strade erano in funzione dell’uomo ma anche degli armenti che a sera riparavano nelle stalle. Dunque una città sannitica, specialmente se posta in zona precaria di confine, fatta di una successione ed un accavallarsi di tal genere di abitazioni – e che qui chiameremo di primo tipo –, non doveva offrire un paesaggio tanto elegante. infatti se oggi si va ad effettuare scavi su siti del genere non ci si possono aspettare strutture imponenti e materiali di pregio. La strutturazione in tribù, del resto, esclude la presenza di istituzioni pubbliche che dessero inevitabilmente luogo ad opere di edilizia pubblica e di tipo monumentale. Gennaro Franciosi: « [i Sanniti] vivevano, in poche parole, quali poplazioni di pastori, in una fase assai più arretrata rispetto alle zone del Lazio raggiunte a quel tempo dall’influenza etrusca. i secoli Vi e V della civiltà sannita sono conosciuti esclusivamente in base agli scavi di necropoli che, non affiancate da opere di urbanizzazione, denotano una densità demografica sul territorio, ma non l’esi- AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 13 stenza di agglomerati cittadini »21. Dunque il concetto di città-stato, che i Romani presero dagli Etruschi, non è applicabile al popolo dei Sanniti, almeno nel senso descritto da Cicerone: « multa enim sunt civibus inter se communia, forum, fana, porticus, viae, leges, jura, judicia, suffragia, consuetudines »22. « Tutto ciò, continua Franciosi, non si verifica nell’ambiente dell’antico Samnium, nel quale, nonostante le distinzioni sociali, persistono notevoli vestigia di un più antico assetto comunitario tribale, tipico dell’arcaica società italica »23. questo discorso, naturalmente, non vale per i grandi centri urbani dell’interno dell’antico Sannio, dove si viveva in strutture organizzate per una residenza stabile e con tutti i servizi, dalle fogne alle officine, dagli edifici sacri a quelli per l’amministrazione della cosa pubblica, fino ai teatri: e di questi abbiamo vari esempi in tutto il Molise: per tutti si veda Pietrabbondante, presso Agnone. quest’ultimo genere di città – secondo tipo –, destinato, come già detto, ad una popolazione residenziale, dedita a molteplici attività, era posta quasi sempre in posizione piuttosto elevata ma facilmente raggiungibile, sia per la pendenza del terreno, sia per la rete stradale che le dava accesso – non si puó pensare che i Sanniti amassero complicarsi l’esistenza andando ad abitare in luoghi adatti solo alle capre –, sia per le possibilità di rifornimento idrico. Era inserita, inoltre, in un contesto fortificato che garantisse sicurezza a persone e cose. Tali fortificazioni consistevano di solito in un circuito di solide mura di tipo poligonale, di quelle che Giuseppe Lugli definiva di seconda, di terza e di quarta maniera: cioè con qualche pretesa estetica e di decoro24. il più delle volte quelle città hanno continuato ad essere frequentate anche in epoche successive proprio grazie alla vivibilità conferita dalle condizioni ambientali particolarmente felici. La stessa cosa non puó dirsi per le città di primo tipo destinate ad 21 G. Franciosi, Osservazioni sulle strutture sociali dei Sanniti, in Safinim, Atti del Convegno di Studi del Centro Studi Alto Molise, Agnone, 14 marzo 1992. 22 Cicerone, De officiis, 1.17.53. 23 G. Franciosi, cit. 24 G. Lugli, Studi minori di topografia antica, De Luca Edit., 1965, pag. 27 e sgg. Va rilevato, però, che la classificazione del Lugli è quasi del tutto riferita ad esperienze dell’area romano laziale, quindi non sempre applicabili alle fortificazioni sannitiche. 14 EMiLio PiSTiLLi una presenza precaria perché poste in zona di confine o perché utilizzate per attività stagionali. Anche qui, però, dobbiamo immaginare che la scelta del luogo non potesse prescindere da criteri di vivibilità: facilità di accesso da parte degli abitanti e del bestiame, presenza di acqua (corsi d’acqua o pozzi) e prossimità ai campi lavorati ed ai pascoli. La fortificazione, per questi abitati, aveva caratteri di struttura di emergenza, dunque una semplice sovrapposizione di massi, con scarsa o nessuna lavorazione; di prima maniera, secondo Lugli, il che non implica necessariamente una successione temporale o diacronica tra le varie maniere, ma anche una coesistenza temporale, o sincronica, con differenziazioni derivate solo dalla loro destinazione. A conferma di ciò vi è uno studio di una certa importanza sulle mura del basso Lazio, impropriamente definite “ciclopiche”: è quello di Dino Ramacci del 197525, il quale riporta diversi pareri sul rapporto tipologia-antichità delle varie tecniche edilizie – sempre riferiti al Lazio meridionale – con qualche spunto interessante: « Riprendendo a dire delle classificazioni in epoche e maniere delle mura poligonali, va osservato che tale distinzione non puó essere accolta rigidamente. Piuttosto vanno posti in rilievo i vari modi, il diverso stile seguito, la migliore costruzione attuata e in questo senso vanno considerate le epoche e le maniere diverse. E questo va detto perché nella costruzione spesso furono seguiti altri modi che pur vanno considerati, attinti contemporaneamente alle diverse epoche ». A conferma di ciò lo stesso Ramacci cita il Fonteanive: « … si fa annotare come queste diverse maniere si ravvisino talvolta in uno stesso bastione le une alle altre sovrapposte; ed anche disposte in senso perpendicolare, od anche a scaglioni in ritirata ». il lavoro di Dino Ramacci è di grande pregio per la ricca documentazione fotografica sulle mura poligonali del basso Lazio. il più delle volte si è verificato che le mura non cingevano l’abitato, ma si elevavano attorno alla cima del monte che lo dominava, sfruttando l’asperità del luogo e l’abbondanza di pietre per la costruzione del circuito murario e dei rifugi interni. Dunque queste ultime fortificazioni erano destinate solo ad una difesa di emergenza per persone e bestiame e per brevi periodi: lo dimo25 D. Ramacci, Le mura ciclopiche nel Lazio Meridionale. Le città dei Pelasgi, Staderini, Roma, 1975, AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 15 strano la stessa asperità del sito e le limitate possibilità di sopravvivenza per lunghi periodi, determinate dalla mancanza di acqua abbondante – in quei luoghi di solito si rinvengono solo dei pozzi di acqua piovana o di raccolta degli scoli nevosi – e di autonome risorse alimentari. i più recenti studi ci hanno fornito un lungo elenco di fortificazioni del genere, accanto a quelle del secondo tipo, già note, dei grossi centri dell’interno del Sannio. 2.2. Alcuni esempi Uno studio fondamentale sulle emergenze archeologiche del Sannio occidentale (tra Venafro, Campobasso, Telese e Capua) è quello di Domenico Caiazza26, il quale ci fornisce anche una catalogazione di 54 insediamenti fortificati nel nord di Terra di Lavoro e nel Molise in base alle loro dimensioni ed importanza. Egli, per esempio, classifica come urbs o centro di grande dimensione, con acropoli, tracce di strade ed edifici: Casinum, Bovianum, l’odierna Campobasso, Caiatia, Trebula (Treglia), Montauro; come oppidum, o centro di media dimensione: Frosolone, Monte Saraceno (Longano), Ferrazzano, Monte Monaco, Monte Alifano, Monte Cila; come castellum o piccola fortificazione di esclusivo o preminente impiego militare: Monte Castellone (Torcino), Monte Crocella, Colle di Rocco, Monte Caruso, Colle Vrecciale, Monte Catrevula, Monte Acero, Monte S. Croce (Roccamonfina). Già i nomi che richiamano località montane ci rivelano la tipologia accostabile al nostro primo tipo delle fortificazioni che il Caiazza definisce oppida o castella; invece quelle che egli chiama urbes hanno assicurato la frequentazione umana fino ai giorni nostri e sono assimilabili al secondo tipo. Anche nel basso Frusinate si hanno fortificazioni del primo tipo: monte Cierro o Costalunga in territorio di S. Elia Fiumerapido, Rocca 26 D. Caiazza, Archeologia e storia antica del mandamento di Pietramelara e del Montemaggiore, Pietramelara, 1986, pag. 102; si vedano anche: Adolfo Panarello, ‘Patenaria’ dall’alba dell’Uomo al V secolo d. C. – Preistoria, protostoria e storia antica del circondario di Vairano Patenora, 1994; Paolo nuvoli, Ad Aquiloniam e Cominium – Quadro geostorico della battaglia nel Sannio dei Pentri, Ediz. Vitmar, Venafro, 2002. 16 EMiLio PiSTiLLi Malacocchiara in Val di Comino, tanto per citarne alcune. non si puó concludere questo capitolo senza far cenno all’istituto del ver sacrum, ampiamente diffuso tra le popolazioni arcaiche italiche e che consisteva nell’usanza di allontanare, ogni anno, un certo numero di giovani per far fronte all’eccesso di popolazione che determinava gravi problemi di sopravvivenza in luoghi poco ospitali quali erano quelli del Sannio montuoso. Tale uso, che soppiantò quello crudele del sacrificio umano, consisteva nel mandare alla ventura i gruppi migranti, destinati, in tal modo, all’estinzione o alla nascita di nuovi gruppi tribali. nella migrazione del ver sacrum i gruppi venivano guidati da un mitico animale, che diveniva anche il simbolo tribale, e ciò sarebbe dimostrato anche dallo stesso nome di alcuni gruppi etnici italici: il picchio (picus) per i Piceni, il lupo (hirpus) per gli irpini, il bue (bos) per le genti di Boviano27. Potremmo arguire che uno di questi gruppi, guidato dall’aquila, si fosse stanziato tra i monti a ridosso di Venafro: quello dell’Aquilone e di Montaquila, dando origine agli stessi toponimi? *** A questo punto ritengo opportuno proporre integralmente all’attenzione del lettore le pagine di Tito Livio, dal suo Ab Urbe condita, limitatamente alla battaglia di Aquilonia ed ai suoi preliminari, con la pregevole versione italiana a fronte di Carlo Vitali28: solo così, infatti potranno essere chiari tutti i riferimenti che più avanti si faranno al testo di Livio. 27 E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Einaudi, 1985, pag. 37 e sgg.; 1ª ediz. in inglese Cambridge University Press, 1967. 28 Livio riserva alla battaglia di Aquilonia i capitoli XXXViii-XLV del libro X della “Storia di Roma”. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 17 3- Cassino: le mura dell’antica Casinum guardano quelle di S. Vittore del Lazio sulle prime pendici del monte Sambùcaro (sullo sfondo indicate dalla freccia). 4- Atina: le mura poligonali di Valle giordana. 18 EMiLio PiSTiLLi 5- Vicalvi: le mura poligonali che contornavano la cima del colle, attualmente occupato da un castello medioevale. 6- S. Elia fiumerapido: scorcio del circuito poligonale di monte Cierro o Costalunga, a ridosso della contrada Olivella. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 19 3 - IL TESTO DI TITO LIVIO Tito Livio Storia di Roma Testo latino, versione e note a cura di Carlo Vitali, ediz. zanichelli, 1973 pag. 282-304 Lib. X, capp. XXXViii - XLV n. B. - Le note a questa sezione appartengono al traduttore. Terribili riti di iniziazione tra i Sanniti XXXVIII. Sequitur hunc annum et consul insignis, L. Papirius Cursor, qua paterna gloria, qua sua, et bellum ingens victoriaque quantam de Samnitibus nemo ad eam diem praeter L. Papirium patrem consulis pepererat. Et forte eodem conatu apparatuque omni opulentia insignium armorum bellum adornaverant et deorum etiam adhibuerant opes ritu quodam sacramenti vetusto velut initiatis militibus, dilectu per omne Samnium habito nova lege, ut qui iuniorum non convenisset ad imperatorum edictum quique iniussu abisset caput Iovi sacraretur. Tum exercitus omnis Aquiloniam est indictus. Ad sexaginta milia militum quod roboris in Samnio erat convenerunt. Ibi mediis fere castris locus Terribili riti di iniziazione tra i Sanniti XXXViii. Si ebbero nell'anno seguente un console illustre sia per la gloria paterna quanto per la propria, Lucio Papirio Cursore, una grossa guerra e una vittoria quale mai nessuno, ad eccezione di L. Papirio, padre del console, aveva fino allora riportato sui Sanniti. Ed anche allora, stranezze del caso, i Sanniti scesero in campo con lo stesso apparato sfarzoso e con la stessa ricchezza di armi; e anche allora fecero ricorso agli dèi, iniziando con un antico rito sacro, facendo le leve in tutto il Sannio secondo una nuova legge, per la quale quelli che erano atti alle armi che non si fossero presentati conformemente all'editto dei capi o si fossero allontanati senza permesso fossero immolati a Giove. Poi tutto 20 EMiLio PiSTiLLi est consaeptus cratibus pluteisque et linteis contectus, patens ducentos maxime pedes in omnes pariter partes. Ibi ex libro vetere linteo lecto sacrificatum sacerdote Ovio Paccio quodam, homine magno natu, qui se id sacrum petere adfirmabat ex vetusta Samnitium religione, qua quondam usi maiores eorum fuissent cum adimendae Etruscis Capuae clandestinum cepissent consilium. Sacrificio perfecto per viatorem imperator acciri iubebat nobilissimum quemque genere factisque; singuli introducebantur. Erat cum alius apparatus sacri qui perfundere religione animum posset, tum in loco circa omni contecto arae in medio victimaeque circa caesae et circumstantes centuriones strictis gladiis. Admovebatur altaribus magis ut victima quam ut sacri particeps adigebaturque iure iurando quae visa auditaque in eo loco essent non enuntiaturum. Dein iurare cogebant diro quodam carmine, in execrationem capitis familiaeque et stirpis composito, nisi isset in proelium quo imperatores duxissent et si aut ipse ex acie fugisset aut si l'esercito venne convocato ad Aquilonia1. Vi si trovarono riuniti circa sessantamila, quanti armati poteva dare il Sannio. Là, nel mezzo del campo, un'area lunga e larga quasi duecento piedi venne chiusa da graticci sostenuti da pali e coperta da tele. in essa un sacerdote molto anziano, ovio Paccio, secondo un rituale ricavato da un vecchio libro di tela2, offrì un sacrificio, che egli diceva una rinnovazione di quello che, secondo l'antica liturgia sannitica, era stato offerto dai loro antenati clandestinamente quando avevano deciso di strappare Capua agli Etruschi. Compiuto il sacrificio, il comandante in capo faceva chiamare da un messo tutti coloro che eccellevano o per nobiltà o per imprese compiute e venivano introdotti ad uno ad uno. Per incutere negli animi un sacro terrore, oltre le altre attrezzature per i sacrifici, in tutto lo spazio coperto, si ergevano nel mezzo are e intorno ad esse giacevano le vittime uccise, e centurioni con le spade in pugno erano distribuiti tutto all'ingiro. il chiamato era fatto accostare all'altare in atteg- 1 Città nel territorio degli irpini, ai confini con l'Apulia, non lontano dall'odierna Carbonara. 2 Libri lintei: rotoli di tela di Lino sui quali si conservavano scritti i nomi dei magistrati anno per anno; erano custoditi nel tempio di Giunone Moneta. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio quem fugientem vidisset non extemplo occidisset. Id primo quidam abnuentes iuraturos se obtruncati circa altaria sunt, iacentes deinde inter stragem victimarum documento ceteris fuere ne abnuerent. Primoribus Samnitium ea detestatione obstrictis decem nominati ab imperatore; eis dictum, ut vir virum legerent donec sedecim milium numerum confecissent. Ea legio linteata ab integumento consaepti, in quo sacrata nobilitas erat, appellata est; bis arma insignia data et cristatae galeae, ut inter ceteros eminerent. Paulo plus viginti milium alius exercitus fuit nec corporum specie nec gloria belli nec apparatu linteatae legioni dispar. Hic hominum numerus, quod roboris erat, ad Aquiloniam consedit. 21 giamento più di vittima che di iniziando ed era invitato a giurare che non avrebbe rivelato nulla di quanto avesse veduto od udito in quel luogo. Gli si richiedeva poi un altro giuramento stilato in una formula truce con la quale richiamava la maledizione sul proprio capo, sulla propria famiglia, sulla discendenza, se non avesse seguito i suoi duci nel combattimento a cui essi lo chiamavano, se fosse fuggito dalla battaglia, se non avesse ucciso immediatamente chiunque avesse visto fuggire. Alcuni fra i primi che si erano rifiutati di prestare quel giuramento vennero massacrati davanti all'altare e i loro corpi giacenti tra le vittime dei sacrifici furono di ammonimento agli altri che avessero voluto imitarli. Tra i più distinti dei Sanniti vincolatisi con quel giuramento il comandante supremo ne elesse dieci, ciascuno dei quali doveva scegliersi un compagno e questi un altro, e così via via fino a raggiungere il numero di sedicimila. questo reparto dalla copertura del recinto in cui la nobiltà era stata consacrata fu chiamato linteato: ebbero armi distinte, elmi impennacchiati, in modo che fossero chiaramente visibili. il resto dell'esercito, composto da 22 EMiLio PiSTiLLi poco più che ventimila uomini3, non era molto al disotto della legione linteata né per la prestanza degli individui, né per valore in guerra né per lusso di armi: questa massa di uomini che costituiva la forza dei Sanniti si accampò nelle vicinanze di Aquilonia. Operazioni di preparazione dei consoli XXXIX. Operazioni di preparazione dei consoli XXXiX. Consules profecti ab urbe, prior Sp. Carvilius, cui veteres legiones, quas M. Atilius superioris anni consul in agro Interamnati reliquerat, decretae erant. Cum eis in Samnium profectus, dum hostes operati superstitionibus concilia secreta agunt, Amiternum oppidum de Samnitibus vi cepit. Caesa ibi milia hominum duo ferme atque octingenti, capta quattuor milia ducenti septuaginta. Papirius novo exercitu - ita enim decretum erat - scripto Duroniam urbem expugnavit. Minus quam collega cepit hominum, plus ali- i consoli partirono dall'Urbe; prima Spurio Carvilio, a cui era stato dato il comando delle legioni veterane che M. Atilio, console dell'anno precedente, aveva lasciate nella regione di Amiterno4, giunto nel Sannio mentre i nemici intenti alle loro pratiche superstiziose tenevano conciliaboli segreti, prese loro d'assalto la città di Amiterno: vennero uccisi circa duemila ottocento uomini, fatti prigionieri quattromila duecento settanta. Papirio con un esercito di nuova leva, come era stato decretato, espugnò Duronia. il numero dei 3 questi 20.000 con i 16.000 della legione linteata non raggiungono la cifra di 60.000 data da Livio poco sopra. il resto era probabilmente composto di milizie ausiliarie e da alleati. 4 Amiterno, patria di Sallustio, non era però nel Sannio, ma in territorio sabino, non lungi dal fiume Pescara (Aternus). - Duronia, nominata poco sotto, è città sconosciuta, come Cominio, la quale però non doveva essere molto lontana da Aquilonia (venti miglia). AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio quanto occidit; praeda opulenta utrobique est parta. Inde pervagati Samnium consules, maxime depopulato Atinate agro, Carvilius ad Cominium, Papirius ad Aquiloniam, ubi summa rei Samnitium erat, pervenit. Ibi aliquamdiu nec cessatum ab armis est neque naviter pugnatum; lacessendo quietos, resistentibus cedendo comminandoque magis quam inferendo pugnam dies absumebatur. Quodcumque Comini inciperetur remittereturque, omnium rerum etiam parvarum eventus proferebatur in dies. Altera Romana castra [quae] viginti milium spatio aberant, et absentis collegae consilia omnibus gerendis intererant rebus; intentiorque Carvilius, quo in maiore discrimine res vertebatur, in Aquiloniam quam ad Cominium quod obsidebat erat L. Papirius, iam per omnia ad dimicandum satis paratus, nuntium ad collegam mittit sibi in animo esse postero die, si per auspicia liceret, confligere cum hoste; opus esse et illum quanta maxima vi posset Cominium oppugnare, ne quid laxamenti sit Samnitibus ad subsidia Aquiloniam mittenda. Diem ad proficiscendum nuntius habuit; nocte rediit, approbare collegam consulta referens. 23 prigionieri fu inferiore a quello del collega, alquanto maggiore invece il numero degli uccisi: la preda conquistata fu abbondante in entrambe le città. i consoli poi, dopo aver saccheggiato il Sannio, specialmente la regione di Atina, si portarono l'uno, Carvilio, a Cominio, l'altro, Papirio, ad Aquilonia dove erano concentrate le forze dei Sanniti. ivi, per qualche tempo, le ostilità né mancarono né giunsero a scontro impegnativo; i giorni si susseguivano in scaramucce provocatorie contro il nemico quieto, stando sulla difensiva quando opponeva resistenza, tenendolo più sotto la minaccia della grande battaglia che non ingaggiandola. Di tutto quello che a Cominio si faceva o non si faceva, di ogni avvenimento anche di piccolo conto si teneva informato, giorno per giorno, l'altro accampamento romano. Esso distava venti miglia ed il console lontano partecipava a tutte le decisioni sulle iniziative da prendere; più vigile l'attenzione di Carvilio verso Aquilonia quanto maggiore l'importanza di quel settore sul suo a Cominio che egli teneva assediato Lucio Papirio, che aveva ormai compiuto tutti i preparativi per la battaglia, manda un messo al 24 EMiLio PiSTiLLi collega per informarlo che egli ha deciso di venire alle mani, se gli auspici saranno favorevoli, con il nemico nel giorno seguente; molto opportuna sarebbe stata una azione in gran forza di Carvilio contro Cominio che impedisse a quei Sanniti di mandar aiuti ad Aquilonia: il messo ebbe un giorno intero per il viaggio di andata e ritorno: ritornò nella notte e riferì che il collega approvava il piano di Papirio. Discorso di Papirio ai soldati Papirius nuntio misso extemplo contionem hahuit; multa de universo genere belli, multa de praesenti hostium apparatu, vana magis specie quam efficaci ad eventum, disseruit: non enim cristas vulnera facere; et per picta atque aurata scuta transire Romanum pilum et candore tunicarum fulgentem aciem ubi res ferro geratur cruentari: auream olim atque argenteam Samnitium aciem a parente suo occidione occisam spoliaque ea honestiora victori hosti quam ipsis arma fuisse: datum hoc forsan nomini familiaeque suae ut adversus maximos conatus Samnitium opponerentur duces spoliaque et referrent quae insignia publicis etiam locis decorandis essent: 5 Vd. Lib. iX, 40. Discorso di Papirio ai soldati Congedato il messo, Papirio chiamò subito a raccolta i soldati: parlò a lungo sulla guerra in generale, a lungo sulla particolare messa in scena dei nemici per l'attuale, più vana apparenza che utile al risultato finale; i pennacchi non dànno ferite, il giavellotto romano trapassa anche scudi dipinti o dorati, le candide tuniche di una schiera rifulgente si tingono di sangue quando si lavora con le spade. " il padre suo - disse - già una volta aveva fatto strage di una schiera scintillante d'oro e d'argento, e quelle spoglie erano state più di onore per il nemico vittorioso che utili come armi ai vinti5. Era forse un dono concesso al suo none e alla sua famiglia essere designati AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio deos immortales adesse propter totiens petita foedera, totiens rupta; tum si qua coniectura mentis divinae situ nulli unquam exercitui fuisse infestiores quam qui nefando sacro mixta hominum pecudumque caede respersus, ancipiti deum irae devotus, hinc foederum cum Romanis ictorum testes deos, hinc iuris iurandi adversus foedera suscepti execrationes horrens, invitus iuraverit, oderit sacramentum, uno tempore deos, cives, hostes metuat. Auspici falsificati XL. Haec comperta perfugarum indiciis cum apud infensos iam sua sponte milites disseruisset, simul divinae humanaeque spei pleni clamore consentienti pugnam poscunt; paenitet in posterum diem dilatum certamen; moram diei noctisque oderunt. Tertia vigilia noctis, iam relatis litteris a collega, Papirius silentio surgit et pullarium in 25 duci che tenessero testa ai maggiori sforzi dei Sanniti e ne riportassero spoglie che fossero bell'ornamento anche per pubblici monumenti. Gli dei immortali erano lì presenti per quei trattati tante volte richiesti e altrettante volte violati, e, se si poteva far qualche congettura sul pensiero divino, nessun esercito essi avevan mai tanto avuto in odio quanto quello che, macchiato in un nefando rito dall'uccisione commista di uomini e di animali, doppiamente votato all'ira celeste dovendo paventare da una parte gli dèi testimoni dei patti stretti con i Romani, dall'altra la maledizione del giuramento a cui si era obbligato contro i trattati, aveva giurato contro volontà, odiava il giuramento militare ridotto a temere nello stesso tempo dèi, cittadini e nemici". Auspici falsificati XL. Codeste informazioni, che egli aveva avute da rivelazioni di disertori, comunicate da Papirio nel suo discorso ai soldati già di per sé pieni d'ira, crearono un senso di speranza nell'aiuto celeste e nelle proprie forze così vivo che un grido unanime eruppe dai petti per chiedere di combattere; il rinvio al giorno seguente spiace, il ritardo di un 26 EMiLio PiSTiLLi auspicium mittit. Nullum erat genus hominum in castris intactum cupiditate pugnae; summi infimique aeque intenti erant; dux militum, miles ducis ardorem spectabat. Is ardor omnium etiam ad eos qui auspicio intererant pervenit; nam cum pulli non pascerentur, pullarius auspicium mentiri ausus tripudium solistimum consuli nuntiavit. Consul laetus auspicium egregium esse et deis auctoribus rem gesturos pronuntiat signumque pugnae proponit. Exeunti iam forte in aciem nuntiat perfuga viginti cohortes Samnitium - quadringenariae ferme erant - Cominium profectas. Quod ne ignoraret collega, extemplo nuntium mittit: ipse signa ocius proferri iubet; subsidia suis quaeque locis et praefectos subsidiis attribuerat; dextro cornu L. Volumnium, sinistro L. Scipionem, equitibus legatos alios, C. Caedicium et T. Trebonium, praefecit; Sp. Nautium mulos detractis clitellis cum tribus cohortibus alariis in tumulum conspectum propere circumducere iubet atque inde inter ipsam dimicationem quanto maxime posset moto pulvere se ostendere .Dum his intentus giorno e di una notte diventa odioso. Dopo la mezzanotte, ricevuta la lettera del collega, Papirio in silenzio si alza, dà ordine al pullario di prendere gli auspici. in tutto l'accampamento non c'era un solo individuo che non fosse preso dalla febbre di combattere; alti graduati e umili fanti erano in pari stato d'orgasmo: il comandante ammirava lo spirito battagliero dei soldati, i soldati quello del comandante: e tale entusiasmo si era comunicato anche a coloro che prendevano parte alla presa degli auspici, tanto che, mentre in realtà i polli rifiutavano il cibo, il pullario osò falsare l'auspicio sfavorevole e riferì al console che si era avuto un tripudio solistimo6. il console festante annuncia a tutti l'ottimo auspicio e che si combatterà con l'approvazione degli dèi: fa alzare il segnale del combattimento. Già stava per scendere in campo, quando venne informato da un disertore che venti coorti dei Sanniti - erano in tutto circa quaranta - erano partite alla volta di Cominio. Manda tosto un messo, perché il collega ne sia informato; dà ordine di accelerare l'avanzata: aveva già dislocato in posi- 6 Tripudium solistimum: l'auspicio più favorevole dato dai polli sacri; e si aveva quando essi uscivano a furia dalle gabbie e si precipitavano tanto avidamente sul cibo che i grani del becchime cadevano loro dai becchi producendo rumore. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio imperator erat, altercatio inter pullarios orta de auspicio eius diei exauditaque ab equitibus Romanis, qui rem haud spernendam rati Sp. Papirio, fratris filio consulis, ambigi de auspicio renuntiaverunt. Iuvenis ante doctrinam deos spernentem natus rem inquisitam ne quid incompertum deferret ad consulem detulit. Cui ille: " Tu quidem macte virtute diligentiaque esto! Ceterum qui auspicio adest, si quid falsi nuntiat, in semet ipsum religionem recipit; mihi quidem tripudium nuntiatum, populo Romano exercituique egregium auspicium est ". Centurionibus deinde imperavit uti pullarios inter prima signa constituerent. Promovent et Samnites signa; insequitur acies ornata armataque, ut hostibus quoque magnificum spectaculum esset. Priusquam clamor tolleretur concurrereturque, emisso temere pilo ictus pullarius ante signa cecidit. Quod ubi consuli nuntiatum est, " Di in proelio sunt "; inquit; " habet poenam noxium caput ". Ante consulem haec dicentem corvus voce clara occinuit; quo laetus augurio consul, adfirmans nunquam humanis rebus magis praesentes interfuisse deos, signa canere et clamorem tolli iussit. 27 zioni opportune le milizie ausiliarie con propri comandanti; posto a capo dell'ala destra Lucio Volumnio, della sinistra Lucio Scipione, alla cavalleria altri legati Caio Cecilio e Tito Trebonio; a Spurio nauzio poi comanda di guidare rapidamente i muli, liberati dal basto, su una altura bene in vista, scortati da tre coorti, e di mettersi in evidenza durante il corso della battaglia, sollevando nuvole di polvere quanto più sarà possibile. Mentre il comandante stava dando tali disposizioni, giunse alle orecchie di alcuni cavalieri romani una discussione sorta tra i pullari a proposito dell'auspicio di quel giorno: e quelli giudicando che si trattava di cosa da non prendere alla leggera, informarono Spurio Papirio, figlio di un fratello del console, che si dubitava della sincerità degli auspici. i1 giovane, nato in tempi in cui non si era ancora insegnato a disprezzare gli dèi, appurò la diceria per non riferire cosa incerta e poi ne parlò al console il quale disse: " Un "bravo" a te per la tua virtuosa diligenza; ma sappi che chi assiste ad una presa di auspici e ne dà una interpretazione falsa, attira su se stesso la colpa del sacrilegio; a me fu dato per certo il tripudio, 28 EMiLio PiSTiLLi l'augurio più bello per il popolo romano e per l'esercito ". Comandò poi ai centurioni di collocare i pullari tra le primissime file. Anche le avanguardie dei Sanniti si fanno avanti, seguono le schiere dalle armi rifulgenti, spettacolo magnifico persino ai nemici. Prima che si alzi l'urlo di guerra e si muova all'assalto, il pullario colpito da un giavellotto chissà da chi e da dove lanciato, cade ucciso davanti alle insegne. Saputolo, il console esclamò: " Gli dèi sono con noi; il colpevole ha pagato il fio ". E mentre così diceva, davanti a lui un corvo mandò il suo grido chiaramente risonante: ed il console, lieto di quell'augurio, affermando che gli dèi non erano mai stati più favorevoli d'allora ad imprese umane, fece squillare le trombe ed alzare il grido di battaglia. Sconfitta dei Sanniti ad Aquilonia XLI. Proelium commissum atrox, ceterum longe disparibus animis: Romanos ira, spes, ardor certaminis avidos hostium sanguinis in proelium rapit; Samnitium magnam partem necessitas ac religio invitos magis resistere quam inferre pugnam cogit. Nec sustinuissent Sconfitta dei sanniti ad Aquilonia XLi. Violento fu l'inizio dello scontro, ma ben diversa la disposizione degli animi: rabbia, speranza, ardore di lotta spingono avanti i Romani sitibondi di sangue nemico; l'imperioso vincolo religioso induce la maggior parte dei Sanniti, disanimati, più a difendersi che ad attaccare. Anzi, AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio primum clamorem atque impetum Romanorum, per aliquot iam annos vinci adsueti, ni potentior alius metus insidens pectoribus ac fuga retineret. Quippe in oculis erat omnis ille occulti paratus sacri et armati sacerdotes et promiscua hominum pecudumque strages et respersae fando nefandoque sanguine arae et dira execratio ac furiale carmen detestandae familiae stirpique compositum: iis vinculis fugae obstricti stabant civem magis quam hostem timentes. Instare Romanus a cornu utroque a media acie et caedere deorum hominumque attonitos metu; repugnatur segniter, ut ab iis quos timor moraretur a fuga Iam prope ad signa caedes pervenerat, cum ex transverso pulvis velut ingentis agminis incessu motus apparuit; Sp. Nautius Octavium Maecium quidam eum tradunt dux auxiliaribus cohortibus erat; pulverem maiorem quam pro numero excitabant; insidentes mulis calones frondosos ramos per terram trahebant. Arma signaque per turbidam lucem in primo apparebant; post altior densiorque pulvis equitum speciem cogentium agmen dabat fefellitque non Samnites modo sed etiam Romanos; et consul adfirmavit errorem clamitans 29 avvezzi da tanti anni alle sconfitte, non avrebbero nemmeno sostenuto il primo urto e la impetuosità dell'assalto dei Romani, se non fossero stati trattenuti dal fuggire da un altro senso di paura più profondo, infisso nell'animo. Ché avevano ancora davanti agli occhi tutta quella scena del rito occulto e i sacerdoti armati e la promiscua strage di uomini e di animali e le are cosparse di sangue pio ed empio e la truce maledizione e le formule infernali imprecanti alle famiglie, ai discendenti: inchiodati da quei vincoli, resistevano più per timore dei concittadini che dei nemici. Grande era la pressione dei Romani ai fianchi e al centro e larga la strage dei nemici svigoriti dal timore degli dèi e degli uomini; tepida la resistenza, come di gente che non fugge per paura. E già l'avanzata stava per raggiungere la retroguardia, quando su di un fianco fu visto un polverone quale solleva il procedere di una grande armata: si trattava di Spurio nauzio - o, secondo altri, di ottavio Mecio - capo delle coorti ausiliarie: e sollevavano nuvoli di polvere molto più intensi in proporzione al loro numero, perché i bagaglioni a cavalcione dei muli si strascicavano dietro rami 30 EMiLio PiSTiLLi inter prima signa ita ut vox etiam ad hostes accideret, captum Cominiumu victorem collegam adesse; adniterentur vincere priusquam gloria alterius exercitus fieret. Haec insidens equo; inde tribunis centurionibusque imperat ut viam equitibus patefaciant; ipse Trebonio Caedicioque praedixerat ut, ubi se cuspidem erectam quatientem vidissent, quanta maxima vi possent concitarent equites in hostem. Ad nutum omnia, ut ex ante praeparato, fiunt: panduntur inter ordines viae; provolat eques atque infestis cuspidibus in medium agmen hostium ruit perrumpitque ordines quacumque impetum dedit Instant Volumnius et Scipio et perculsos sternunt. Tum iam deorum hominumque fronzuti. nel lucore offuscato si intravedevano in prima fila armati e insegne: dietro, un polverìo più alto e più denso dava l'impressione di un corpo di cavalleria che chiudesse la marcia: e ne furono tratti in inganno non solo i Sanniti, ma anche i Romani; ed il console avvalorò l'errore, alto gridando tra le prime file in modo da essere udito anche dai nemici, che Cominio era stata presa e che il collega vincitore stava per arrivare: vincessero, dunque, prima che l'altro esercito se ne aggiudicasse l'onore. Così diceva dall'alto del cavallo; ordina poi ai tribuni ed ai centurioni di lasciar libero tra le schiere il passaggio alla cavalleria; già aveva detto a Trebonio ed a Cedicio che non appena lo avessero visto alzare e squassare la lancia caricassero a tutta furia, quanto era possibile, il nemico. Al segnale dato, tutto si svolse come era stato prestabilito; tra i manipoli viene lasciato libero il passaggio, la cavalleria vi si precipita, a lancia protesa irrompe nel folto dei nemici, getta il disordine tra le schiere dovunque passa: Volumnio e Scipione con la fanteria le tengono dietro, si fa strage degli sconfitti. Cadde allora la forza coerciti- AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio victa vis: funduntur linteatae cohortes, pariter iurati iniuratique fugiunt nec quemquam praeter hostes metuunt. Peditum agmen quod superfuit pugnae in castra aut Aquiloniam compulsum est; nobilitas equitesque Bovianum perfugerunt. Equitem eques sequitur, peditem pedes; diversa cornua dextrum ad castra Samnitium, laevum ad urbem tendit. Prior aliquanto Volumnius castra cepit; ad urbem Scipioni maiore resistitur vi, non quia plus animi victis est sed melius muri quam vallum armatos arcent: inde lapidibus propulsant hostem. Scipio, nisi in primo pavore priusquam colligerentur animi transacta res esset, lentiorem fore munitae urbis oppugnationem ratus, interrogat milites satin aequo animo paterentur ab altero cornu castra capta esse, se victores pelli a portis urbis. Reclamantibus universis primus ipse scuto super caput elato pergit ad portam; secuti alii testudine facta in urbem perrumpunt deturbatisque Samnitibus quae circa portam erant muri occupavere; penetrare in interiora urbis, quia pauci admodum erant, non audent. 31 va degli dei e degli uomini: sconvolte le coorti linteate, la fuga di quelli che hanno giurato e di quelli che non sono legati da giuramento diventa generale: ormai non si teme altri che il nemico. Le schiere della fanteria scampate dalla battaglia sono ricacciate nell'accampamento o ad Aquilonia, nobili e cavalieri fuggono a Boviano7; la cavalleria romana insegue la cavalleria, la fanteria la fanteria; i due corpi dell'esercito seguono vie diverse, quello di destra verso l'accampamento sannita, quello di sinistra verso la città. La presa dell'accampamento da parte di Volumnio avvenne un poco prima; Scipione trovò maggior resistenza, non perché il nemico avesse ripreso coraggio, ma perché le mura davano possibilità migliore di tener lontano il nemico che non una palizzata: si difendevano con lanci di pietre. Scipione, ben sapendo che se non avesse ottenuto il suo scopo prima che i nemici si fossero riavuti dallo spavento, l'espugnazione della città ben fortificata sarebbe andata per le lunghe, chiese ai suoi soldati se volessero permettere con indifferenza che l'altra ala si impadronisse 7 non si tratta di Boviano vecchio - dei Pentri -; ma di altro detto Undecimanorum, più al sud, alle falde del Tiferno. 32 EMiLio PiSTiLLi dell'accampamento e che essi, vincitori, fossero respinti dalle porte della città. Tutti protestarono: ed egli per il primo facendosi schermo con lo scudo al capo si fa sotto alla porta: altri lo seguono in formazione di testuggine, fanno impeto contro la città, e dopo aver dispersi i Sanniti, prendono possesso del tratto delle mura collegato con la porta: non osarono andar oltre, perché erano troppo pochi. Presa di Aquilonia XLII. Haec primo ignorare consul et intentus recipiendo exercitui esse; iam enim praeceps in occasum sol erat et appetens nox periculosa et suspecta omnia etiam victoribus faciebat. Progressus longius ab dextra capta castra videt, ab laeva clamorem in urbe mixtum pugnantium ac paventium fremitu esse: et tum forte certamen ad portam erat. Advectus deinde equo propius, ut suos in muris videt nec iam integri quicquam esse, quoniam temeritate paucorum magnae rei parta occasio esset, acciri quas receperat copias signaque in urbem inferri iussit. Presa di Aquilonia XLii. il console non era ancora al corrente di quella situazione e si dava da fare per chiamare a raccolta l'esercito perché il sole ormai piegava al tramonto e la notte incombente induceva a sospettare ed a temere di tutto. Avanzando alquanto, vide sulla destra che il campo nemico era stato conquistato e dalla sinistra gli giunse dalla città un grande clamore: grida di combattenti confuse con voci di terrore; era proprio il momento in cui si combatteva intorno alla porta. Fattosi più sotto a cavallo, quando ebbe visto che i suoi già erano sul muro e che la situazione non ammetteva altra decisione, tanto più che il temerario coraggio di pochi poteva dare la spinta ad una grande impresa, fa AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio Ingressi proxima ea parte quia nox adpropinquabat, quievere. Nocte oppidum ab hostibus desertum est. Caesa illo die ad Aquiloniam Samnitium milia viginti trecenti quadraginta, capta tria milia octingenti septuaginta, signa militaria nonaginta septem. Ceterum illud memoriae traditur non ferme alium ducem laetiorem in acie visum seu suopte ingenio seu fiducia bene gerundae rei. Ab eodem robore animi neque controverso auspicio revocari a proelio potuit et in ipso discrimine quo templa deis immortalibus voveri mos erat voverat Iovi Victori, si legiones hostium fudisset, pocillum mulsi priusquam temetum biberet sese facturum. Id votum dis cordi fuit et auspicia in bonum verterunt. 33 accorrere le truppe già radunate e ordina di passare all'assalto della città. Ma dopo aver preso piede nel quartiere vicino alla porta, per il sopraggiungere della notte, non andarono oltre. nel corso della notte i nemici abbandonarono la città. in quella giornata intorno ad Aquilonia i Sanniti ebbero ventimila e trecento quaranta morti; i prigionieri furono tremila ottocento settanta, le insegne militari conquistate novantasette. Ma ci è stato anche tramandato che forse non fu visto mai durante un combattimento un comandante più sereno, o fosse questo effetto del suo carattere, o fosse la certezza del pieno successo: e tale forza di carattere dimostrò nel non lasciarsi distogliere dalla decisione di combattere per l'incertezza degli auspici, come pure quando nel punto cruciale della battaglia, allorché secondo l'uso si fa voto di templi agli dèi immortali, egli promise a Giove vittorioso, che, se avesse riportato vittoria sui nemici, gli avrebbe offerto un piccolo bicchiere di vino melato, prima di bere vino puro8. Gli dèi gradirono il voto e ritorsero a favore gli auspici. 8 Voto irriverente, anche se scherzoso; come poco … ortodossa - secondo la mentalità dell'epoca - la spregiudicatezza di Papirio riguardo agli auspici; ma Livio trova modo di accomodare tutto per i suoi beniamini. 34 EMiLio PiSTiLLi Presa di Cominio XLIII. Eadem fortuna ab altero consule ad Cominium gesta res. Prima luce ad moenia omnibus copiis admotis corona cinxit urbem subsidiaque firma ne qua eruptio fieret portis opposuit. Iam signum dantem eum nuntius a collega trepidus de viginti cohortium adventu et ab impetu moratus est et partem copiarum revocare instructam intentamque ad oppugnandum coegit Decimum Brutum Scaevam legatum cum legione prima et decem cohortibus alariis equitatuque ire adversus subsidium hostium iussit: quocumque in loco fuisset obvius, obsisteret ac moraretur manumque, si forte ita res posceret, conferret, modo ne ad Cominium eae copiae admoveri possent. Ipse scalas ferri ad muros ab omni parte urbis iussit ac testudine ad portas successit; simul et refrigebantur portae et vis undique in muros fiebat. Samnites sicut, antequam in muris viderent armatos, satis animi habuerunt ad prohibendos urbis aditu hostcs, ita, postquam iam non ex intervallo nec missilibus sed cominus gerebatur res et qui aegre successerant ex plano in muros, loco quem magis timuerant victo facile in hostem Presa di Cominio XLiii. né minor successo riportò l'altro console a Cominio. Alle prime luci del giorno, fatte accostare tutte le truppe alle mura, cinse la città con linea ininterrotta, rafforzando poi validamente i presìdi delle porte per impedire ogni tentativo di sortite. E già stava per dare il segnale dell'assalto quando ne fu trattenuto dal messo trepidante mandatogli dal collega per informarlo dell'arrivo delle venti coorti; fu anche costretto a dislocare parte delle forze già disposte e pronte per l'espugnazione della città. Comandò al legato Decimo Bruto Sceva di marciare con la prima legione scortata da dieci coorti e con la cavalleria contro quel rinforzo dei nemici, di opporglisi dovunque lo avesse incontrato, di arrestarlo e, se il caso lo richiedesse, di impegnarlo in un combattimento, purché quelle truppe non potessero avvicinarsi alla città. Fece rizzare scale lungo tutto il circuito delle mura e in formazione di testuggine mosse all'abbattimento delle porte, con azione concordata: si scalavano le mura mentre si scardinavano le porte. i Sanniti, finché non videro armati che combattevano sulle mura, ebbero AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio imparem ex aequo pugnabant, relictis turribus murisque in forum omnes compulsi paulisper inde temptaverunt extremam pugnae fortunam; deinde abiectis armis ad undecim milia hominum et quadringenti in fidem consulis venerunt; caesa ad quattuor milia octingenti octoginta. Sic ad Cominium, sic ad Aquiloniam gesta res: in medio inter duas urbes spatio, ubi tertia expectata erat pugna, hostes non inventi. Septem milia passuum cum abessent a Cominio, revocati ab suis neutri proelio occurrerunt. Primis ferme tenebris, cum in conspectu iam castra, iam Aquiloniam habuissent, clamor eos utrinmque par accidens sustinuit; deinde regione castrorum, quae incensa ab Romanis erant, flamma late fusa certioris cladis indicio progredi longius prohibuit. Eo ipso loco 35 quel tanto di spirito combattivo che bastava per impedire l'invasione nella città; ma quando la battaglia non si svolgeva più a distanza, né con giavellotti, ma a corpo a corpo, e quelli che dal basso faticosamente avevano raggiunto la sommità delle mura superando difficoltà di luogo assai temibili, combattevano ora con tutta facilità e a parità di condizioni contro un nemico meno agguerrito, abbandonarono torri e mura; ricacciati tutti al centro della città, tentarono per un poco una disperata resistenza, ma poi gettarono le armi e si arresero al console: furono circa undicimila e quattrocento; i morti raggiunsero il numero di quattromila ottocento ottanta. Tale fu l'azione bellica a Cominio e ad Aquilonia: invece non si ebbe una terza battaglia come si era pronosticato, nel tratto fra le due città, perché i nemici non vennero trovati quando erano distanti sette miglia da Cominio, le venti coorti furono fatte tornare e così non presero parte né ad una battaglia né all'altra. Cominciava quasi ad annottare, già erano in vista sia dell'accampamento sia di Aquilonia, quando un grande urlio che giungeva intenso dalle due parti li indusse ad arrestarsi; 36 EMiLio PiSTiLLi temere sub armis strati passim inquietum omne tempus noctis expectando timendoque lucem egere. Prima luce, incerti quam in partem intenderent iter, repente in fugam consternantur conspecti ab equitibus, qui egressos nocte ab oppido Samnites persecuti viderant multitudinem non vallo, non stationibus firmatam. Conspecta et ex muris Aquiloniae ea multitudo erat iamque etiam legionariae cohortes sequebantur. Ceterum nec pedes fugientes persequi potuit et ab equite novissimi agminis ducenti ferme et octoginta interfecti; arma multa pavidi ac signa militaria duodeviginti reliquere; alio agmine incolumi, ut ex tanta trepidatione, Bovianum perventum est. poi le alte fiamme che si alzavano e dilagavano dal punto dove era l'accampamento incendiato dai Romani più chiaro segno della sconfitta, li dissuasero dall'avanzarsi di più. Là, gettatisi a terra confusamente, senza lasciare le armi, trascorsero tutta la notte, trepidanti, aspettando e temendo la luce del giorno. E quando essa apparve, ed erano ancora incerti sul dove dirigersi, fuggirono spaventatissimi perché erano stati scorti dalla cavalleria che, datasi all'inseguimento dei Sanniti usciti di notte dalla città, aveva notato quella massa di gente non protetta né da terrapieno né da posti di guardia. Ed anche dalle mura di Aquilonia era stata vista quella moltitudine e le coorti legionarie già uscivano ad inseguirla. Ma la fanteria non poté raggiungere i fuggiaschi ed anche la cavalleria ne uccise solo circa duecento ottanta della retroguardia. Pieni di paura, abbandonarono quantità di armi e diciotto insegne militari; il resto della schiera, data la confusione generale, raggiunse incolume Boviano. Decisione dei consoli. Premiazioni al valore XLIV. Laetitiam utriusque exercitus Romani auxit et ab altera parte Decisioni dei consoli. Premiazioni al valore XLiV. La gioia della vittoria nei due eserciti fu resa più viva perché AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio feliciter gesta res. Uterque ex alterius sententia consul captum oppidum diripiendum militi dedit, exhaustis deinde tectis ignem iniecit; eodemque die Aquilonia et Cominium deflagravere et consules cum gratulatione mutua legionum suaque castra coniunxere. In conspectu duorum exercituum et Carvilius suos pro cuiusque merito laudavit donavitque et Papirius, apud quem multiplex in acie, circa castra, circa urbem fuerat certamen, Sp. Nautium, Sp. Papirium, fratris filium, et quattuor centuriones manipulumque hastatorum armillis aureisque coronis is donavit: Nautium propter expeditionem qua magni agminis modo terruerat hostes, iuvenem Papirium propter navatam cum equitatu et in proelio operam et nocte qua fugam infestam Samnitibus ab Aquilonia clam egressis fecit, centuriones militesque quia primi portam murumque Aquiloniae ceperant, equites omnes ob insignem multis locis operam corniculis armillisque argenteis donat. Consilium inde habitum iamne tempus esset deducendi de Samnio exercitus aut utriusque aut certe alterius, optimum visum, quo magis fractae res Samnitium essent, eo pertinacius 37 era stata reciproca. Per comune accordo ciascuno dei due consoli concesse ai propri soldati il saccheggio della città conquistata. Le abitazioni spogliate di tutto vennero incendiate; in uno stesso giorno Aquilonia e Cominio furono preda delle fiamme e i consoli, fra le mutue congratulazioni delle legioni, unirono gli accampamenti. Al cospetto di entrambi gli eserciti, Carvilio elogiò e premiò ciascuno secondo il proprio merito, e Papirio, l'esercito del quale aveva avuto un compito più gravoso sia in combattimento, sia intorno all'accampamento e alla città, regalò braccialetti e corone d'oro a Spurio nauzio, a Spurio Papirio, figlio del fratello, e a quattro centurioni degli astati e dei manipoli; nauzio per la condotta della manovra con la quale aveva incusso timore ai nemici come se si fosse trattato di un grande esercito; il giovane Papirio per il valido aiuto prestato con la cavalleria sia in combattimento sia nella notte in cui aveva reso tanto rovinosa ai Sanniti la fuga quando erano usciti di nascosto da Aquilonia; i centurioni ed i soldati che per i primi avevano preso possesso della porta e delle mura di Aquilonia; donò poi cornetti e 38 EMiLio PiSTiLLi et infestis agere cetera et persequi ut perdomitum Samnium insequentibus consulibus tradi posset: quando iam nullus esset hostium exercitus, qui signis conlatis dimicaturus videretur, unum superesse belli genus, urbium oppugnationes, quarum per excidia militem locupletare praeda et hostem pro aris ac focis dimicantem conficere possent Itaque litteris missis ad senatum populumque Romanum de rebus ab se gestis diversi Papirius ad Saepinum, Carvilius ad Veliam oppugnandam legiones ducunt. bracciali d'argento a tutti i cavalieri per la loro efficace cooperazione in molte occasioni. Si tenne poi il consiglio di guerra per decidere se ormai si dovessero condur via dal Sannio i due eserciti o almeno uno di essi; ma parve miglior partito quello di portare a termine l'impresa con tanto maggiore intensità e accanimento quanto minore era la possibilità di resistenza dei Sanniti, in modo da poter consegnare ai consoli successori un Sannio completamente pacificato; dal momento che pareva non esistesse più ormai un esercito nemico contro cui combattere, non rimaneva altra forma di guerra che l'espugnazione delle varie città: con essa avrebbero arricchito di preda i soldati e finito un nemico ridotto a combattere per l'estrema difesa. Mandarono quindi al senato ed al popolo romano il rapporto del loro operato; poi, separatisi, Papirio condusse le legioni all'espugnazione di Sepino, Carvilio a quella di Velia9. Azioni provocatorie degli Etruschi e dei Falisci XLV. Litterae consulum ingenti laetitia et in curia et in contione Azioni provocatorie degli Etruschi e dei falisci XLV. il rapporto dei consoli letto in senato e nell'assemblea fu accol- 9 Sepino: a sud di Boviano (nota 7), sul fiume Tamarus. - Velia: di incerta ubicazione. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio auditae, et quadridui supplicatione publicum gaudium privatis studiis celebratum est. 39 to con grande gioia e venne festeggiato con una festività pubblica di quattro giorni e dalla pietà dei privati. 40 EMiLio PiSTiLLi 4 - UNA gUERRA CONTRO CITTÀ SCOMPARSE *** Non rientra nell’economia di questo lavoro l’esame completo e dettagliato di tutte le notizie contenute nel racconto di Livio, come ad esempio i rituali prebellici dei Sanniti o il numero dei morti e dei prigionieri o le successive fasi della guerra dopo la disfatta dei Sanniti. Qui saranno esaminati solo quei passaggi attinenti all’individuazione di Aquilonia. 4.1. La strategia dei consoli Dal racconto di Livio si ha chiara la strategia dei consoli romani nell’affrontare i Sanniti sul loro territorio per un intervento del tipo “soluzione finale”, cioè eliminazione definitiva del “problema” Sanniti: un’operazione a tenaglia che prendesse il territorio da nord – con il console Spurio Carvilio che attacca Amiterno, “oppidum de Samnitibus”1 – e da sud – con Papirio che espugna Duronia –. Dopo tali successi i consoli attraversano tutto il Sannio (pervagati Samnium2) dando la caccia ad un nemico che ha deciso di procrastinare lo scontro diretto e decisivo per concentrarsi in luoghi a lui più favorevoli. infine convergono verso i monti delle Mainarde e si incontrano nell’agro atinate dove la devastazione è pressoché totale (maxime depopulato Atinate agro3 – e non poteva essere altrimenti, visto l’affollamento dei due eserciti). Le postazioni scelte dai Sanniti sono Cominio (nell’omonima valle, dunque a ridosso dell’agro atinate) e Aquilonia, a soli trenta chilometri di distanza (viginti milium spatio aberant4). La ragione precipua della spedizione militare romana era certamente quella di assicurarsi il controllo effettivo e definitivo della Valle del 1 Livio, X, 39. 2 ibid. 3 ibid. 4 ibid. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 41 7- Carta del Sannio secondo Salmon. Rapido, che consentiva i collegamenti tra il Lazio, la Campania ed il sud della penisola, territori di estrema importanza per i loro scambi commerciali. i Sanniti, posizionandosi sulle alture di S. Vittore del Lazio e di S. Pietro infine (come già avevano fatto con Casinum), potevano tenere sotto minaccia permanente tutta l’ampia valle sottostante – e la scorribanda dell’anno precedente su interamna Lirenas lo dimostra –, rendendo insicure le attività commerciali di Roma: il loro scopo, invece, era quello di assicurarsi i preziosi pascoli alimentati dal LiriGarigliano e dal Peccia, con possibilità di sbocchi anche commerciali sulla costa tirrenica, antico sogno dei Sanniti. Se così non fosse stato – se cioè Aquilonia fosse stata situata all’interno del Sannio – i Romani non avrebbero avuto motivo di ingaggiare una dura guerra contro i Sanniti che se ne stavano nel loro territorio, sia pure in armi. i Romani, checché ne dica certa storiografia militaresca, non si davano alle conquiste fini a se stesse, mossi dallo spirito di “grandeur” di recente memoria; tendevano, invece, ad espandere i loro “affari” per necessità interne di natura sociale e politica; e per ottenere ciò erano spesso indotti ad imporre ai territori confinanti la loro “pacificazione” o quella che comunemente viene detta Pax Romana; e spesso ciò si poteva realizzare solo con la conquista militare. 42 EMiLio PiSTiLLi 8- La manovra dei consoli romani contro i Sanniti. i Sanniti, da parte loro, non potevano accettare passivamente la riduzione progressiva delle aree territoriali delle quali da tempi immemorabili potevano disporre liberamente e sulle quali avevano sempre potuto esercitare i loro interessi economici senza concorrenti forti. Per questa ragione non potevano rassegnarsi a starsene racchiusi nel loro Sannio montuoso senza possibilità di fruire dei vicini pascoli estivi. Dunque la loro chiamata alle armi in luoghi periferici come quelli qui esaminati – Aquilonia – avevano una ragione ben precisa; ragione che Livio, da buon romano, si guarda bene dall’evidenziare. 4.2. gli eserciti consolari A questo punto occorre mettere a fuoco l’entità reale delle forze AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 43 romane (di quelle sannitiche si è occupato ampiamente lo stesso Livio). Al tempo delle guerre sannitiche Roma disponeva stabilmente di due eserciti consolari; ognuno di essi era composto da due legioni regolari e da altre due di alleati; queste ultime durante la battaglia venivano disposte alle ali5. Ma quando si parla di eserciti ci si riferisce di solito ai soli combattenti, mentre si ignora tutto quello che un esercito in missione richiedeva perché i soldati potessero svolgere agevolmente il loro “lavoro”. il bagaglio personale di un soldato romano in marcia era piuttosto leggero e consisteva essenzialmente nelle proprie armi personali e in un vettovagliamento minimo. Dunque per una spedizione della durata di diversi giorni era necessario che altri si occupassero del vettovagliamento e dell’assistenza costante alla macchina da guerra. Per questo l’esercito si portava dietro carriaggi con i rispettivi conducenti, personale “tecnico”, come carpentieri, falegnami, fabbri, maniscalchi, addetti alle cucine; personale medico per l’assistenza sanitaria e gli interventi di pronto soccorso ai feriti; scribi e segretari che sapessero scrivere dispacci, fare relazioni, trascrivere discorsi dei consoli; consiglieri militari, sacerdoti, aruspici, pullari. A tutti questi va aggiunta la massa di stallieri, vaccari, pastori addetti alla cura del bestiame al sèguito – e non solo cavalli – che doveva assicurare il nutrimento ai soldati ed allo stesso personale. Ad ogni sosta dell’esercito si attivava immediatamente, nelle retrovie, lo stuolo del personale ausiliario per il foraggiamento delle bestie e per procacciare, preferibilmente nelle malcapitate abitazioni del luogo, cibo a tutti i componenti la spedizione. il transito di un esercito, allora come ora, ha sempre comportato gravissimi danni alle zone attraversate: anche per questo, dunque, leggiamo maxime depopulato Atinate agro. in considerazione di ciò non era pensabile che due eserciti si muovessero seguendo gli stessi percorsi o con la stessa destinazione. Anche così, dunque, si giustificava la necessità dell’operazione a tenaglia cui ho accennato più su. infine va rilevato che gli eserciti dei nostri due consoli del 293 a.C. dovevano essere ben consistenti per due buoni motivi: i consoli romani oltre che condottieri erano anche politici, dunque partivano per una 5 A. Bandini, Storia e arte militare; vd. anche Encicl. Ital., XX, pag. 775, s. v. “Legione”. 44 EMiLio PiSTiLLi missione militare in “pompa magna”, con adeguata messa in scena e senza risparmio di mezzi, con una organizzazione ed un potenziale bellico che consentisse loro la massima sicurezza; inoltre l’obiettivo della spedizione non era da poco: bisognava abbattere una volta per sempre la potenza sannitica sul territorio nemico; la cosa dunque non poteva essere affrontata con mezzi limitati. *** Era necessaria questa digressione per sgomberare subito il campo dalle azzardate identificazioni di tutte le città ricordate da Livio in località della Valle di Comino o nelle sue adiacenze: non si inviano due eserciti consolari per conquistare un “fazzoletto” di territorio ristretto in un raggio non superiore ai dieci chilometri, quale è quello appena ricordato. Più di uno studioso, infatti, ha voluto porre Amiterno nei pressi di S. Elia Fiumerapido e Duronia sul corso del fiume Melfa al di sopra di Roccasecca. Al di là delle considerazioni appena fatte sulla consistenza degli eserciti romani, dovremmo pensare che sarebbero stati dei suicidi i consoli se avessero attaccato quelle città così poste lasciandosi alle spalle la massima potenza sannita che risiedeva in Cominio ed Aquilonia. infine proprio l’obiettivo della missione, che era quello di chiudere la partira coi Sanniti, impedisce di pensare che i Romani volessero attuarlo limitandosi ad un attacco in zona ristretta e ai limiti, se non al di fuori, del territorio del Sannio. 4.3. Cominio Circa la collocazione di Cominio è ormai quasi universalmente accettata la tesi di Michele Jacobelli che la identifica nelle mura poligonali ancora visibili sul colle di Vicalvi, in Valle di Comino6, confortato dalla vicinanza di Atina, cui si fa riferimento con l’espressione Atinate agro. Lo stesso toponimo “Comino” è sicuramente da ricondurre al “Cominium” di Livio tramite il medioevale “Cumino”7. 6 Michele Jacobelli, Ritrovate le città di "Aquilonia" e "Cominium", Ediz. Consiglio della Valle di Comino, 1965. 7 nel diploma di ildebrando, duca di Spoleto, anno 778, si legge: "ecclesiam Sancti Donati in territorio Cumino". AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 45 9- Vicalvi: particolare delle mura di Cominium. Purtroppo il merito dell’archeologo Jacobelli, che nell’identificazione di Cominio in Vicalvi, pose un punto fermo nelle ricerche degli studiosi sulle località liviane, non puó essere esteso all’indicazione di Aquilonia nella località “Rocca degli Alberi”, sempre in Val di Comino, sia per mancanza di elementi concreti di identificazione, sia per i motivi più su esposti (spazi troppo angusti per due eserciti consolari). Lasciamo per il momento da parte la questione Aquilonia, che comunque, sappiamo ora, era distante trenta chilometri da Vicalvi. Poniamo degli altri punti fermi riguardo alla localizzazione di Amiterno e Duronia. 4.4. Amiterno Cosa ci impedisce di riconoscere l’Amiternum liviana nella storica Amiternum, oggi S. Vittorino Amiterno, presso L’Aquila? il fatto, si dice, che quest’ultima fu anticamente città sabina e non sannitica. È un problema questo? Una soluzione è proposta da Giacomo Devoto, che, a proposito della nostra questione, corregge il testo di Livio “Amiternum oppidum de Samnitibus vi cepit”: « il console del 46 EMiLio PiSTiLLi 293 prende Amiterno de Samnitibus, che sta, forse, in luogo de Sabineis »8. Appena due anni prima, nel 295, nel contesto di una serie di turbolenze di popolazioni italiche, animate dai Sanniti, Roma dovette con molto affanno battere una coalizione degli stessi Sanniti, con gli Umbri, i Galli e gli Etruschi nella tragica battaglia di Sentino (oggi Sassoferrato in Umbria), molto più a nord della nostra Amiterno9. quella parte dell’italia centro meridionale non fu certo pacificata con la battaglia di Sentino; lo stesso Devoto conferma: « nel cuore della Sabina, si dovette vincere qualche resistenza nelle valli del nera e dell’Aterno10 », e infatti appena due anni dopo i Romani dovettero iniziare proprio di lì l’operazione di “bonifica” o di “pacificazione” del territorio sannitico con la spedizione del console Spurio Carvilio. il territorio dei Sabini, le cui principali città erano Reate, nursia, Amiterno, Trebula Mutuesca, fu annesso solo nel 289 con la deduzione della colonia di Atri – dunque quattro anni dopo la nostra battaglia –, ed ebbe il diritto di suffragio dal 268. Ancora: Goffredo Bendinelli definisce Amiterno antica città sabina presso L’Aquila: “[Amiternum] Città d’origine antichissima, alleata ancora dei Sanniti nel 299 a. C., occupata dai Romani nel 293”11. Anche il nostro traduttore Carlo Vitali parla di Amiterno affermando che non era nel Sannio “ma in territorio sabino, non lungi dal fiume Pescara (Aternus)12. Sulla stessa linea sono l’archeologo Gianfilippo Carettoni13 e lo storico Gaetano De Sanctis che rifiuta la possibilità che esistessero due città con quello stesso nome: « infatti sarebbe singolare che questo nome derivato dal fiume Aterno (Varr. De lingua latina V, 28: da am(b)-Aternus = attorno al fiume Aterno) si ripetesse anche altrove »14. Anche volendo ammettere che vi fossero due città chiamate 8 G. Devoto, Gli antichi Italici, Vallecchi, 5ª ediz., 1977, pag. 245. 9 Livio, X, 27 e sgg.. 10 Loc. cit.. 11 Encicl. Ital., ii, pag. 981, s. v. Amiterno. 12 Livio, Storia di Roma, X, nota al cap, XXXiX. 13 G. F. Carettoni, Casinum, istituto di Studi Romani, 1940, pag. 48. 14 G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. ii, La nuova italia, 1970, pag. 342, nota 45. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 47 Amiterno, sarebbe singolare, aggiungo io, che Livio non trovasse necessario precisare che non si trattava della nota e storica Amiterno dei Sabini, ma di un’altra minore e mai più passata alla ribalta della storia fino ai suoi tempi. È illuminante, al riguardo, l’esempio delle citazioni di interamna, che, proprio perché ve ne erano diverse, venivano indicate di volta in volta come Lirenas, nahars, ecc. Si potrebbe proseguire con altre citazioni, ma conviene far cenno alle argomentazioni di E. T. Salmon, ritenuto, credo a ragione, il maggior esperto della civiltà Sannitica, il quale sulla questione che qui ci interessa ha fatto, e continua a fare, proseliti. il nostro, partendo da tre punti fermi: interamna Lirenas sulla via Latina (oggi Teramo, contrada di Pignataro interamna, presso Cassino), Cominium in Valle di Comino e Atina nella stessa valle, ricostruisce una strategia del console Spurio Carvilio basata su località non attendibili per le ragioni su esposte. L’equivoco parte dalla lettura del passo di Livio: “Carvilius, cui veteres legiones, quas M. Atilius superioris anni consul in agro Interamnati reliquerat, decretae erant”15, ritenendo che il console muovesse il suo attacco da interamna Lirenas, mentre Livio cita quella località solo per ricordare quale esercito fu assegnato allo stesso console; tutti i movimenti di truppe sopravvenuti tra l’assegnazione e l’inizio delle operazioni, mentre l’altro console faceva leva, Livio non dice. Anzi, non è neppure certo che Carvilio prendesse il suo esercito da interamna Lirenas, presso Casinum, poiché lo stesso Livio riguardo all’anno 294 afferma che le fonti non sono del tutto concordi16, e riferisce che secondo Fabio Pittore uno dei due eserciti consolari, ma non chiarisce quale17, fu portato in Etruria. E fu proprio di qui, cioè da interamna nahars, odierna Terni, secondo Antonio Giannetti18, che 15 L'anno precedente il console Atilio, dopo aver sconfitto i Sanniti a Lucera, dovette disperdere un altro esercito di Sanniti che avevano attaccato e depredato la colonia di interamna Lirenas, presso Casinum: qui il console, prima di partire per Roma, lasciò l'esercito: Livio, X, 36. 16 Livio, X, 37: "Et huius anni parum constans memoria est". 17 ibid: "Sed ab utro consule non adiecit". 18 A. Giannetti, Mura ciclopiche in S. Vittore del Lazio, in Atti dell'Accademia nazionale dei Lincei, anno CCCLXX (1973), Serie ottava, Rendiconti, estr. dal vol. XXViii, fasc. 1-2., pag. 112. 48 EMiLio PiSTiLLi partì il console Carvilio. in questo modo lo sviluppo degli eventi presenterebbe minori problemi. Dunque non si è obbligati a ritenere che l’itinerario della spedizione prendesse le mosse dalla colonia presso Casinum, cosa che invece ha fatto Salmon. Se questi, infatti, avesse ragione non si potrebbe che concordare con lui quando dice: « il console Spurio Carvilio Massimo, muovendo da interamna Lirenas verso nord lungo il fiume Rapido19 oltrepassò Casinum, invase e saccheggiò la città sannita di Amiternum, devastò la zona di Atina e si fermò a Cominium »20. nella nota aggiunge che Amiterno “era probabilmente la località attualmente chiamata Sant’Elia Fiumerapido”21. in questo errore il Salmon fu indotto dalle notizie di ritrovamenti di mura in quella località segnalate fin dal secolo scorso22. non doveva trattarsi di opera particolarmente significativa dal momento che oggi non se ne ha quasi più traccia. Molto più esplicito è Armando Mancini, autore di studi sulla Valle di Comino, che pone “Amiterno, nella valle del Rapido, e Duronia, nella valle del Melfa”23. in territorio di S. Elia G. F. Carettoni, sulla base delle segnalazioni del secolo scorso, ammette l’esistenza di un pagus, ma precisa che 19 il fiume Rapido nasce al di sopra di S. Elia Fiumerapido e bagna Cassino - n.d.a. 20 E. T. Salmon, op. cit., pag. 283. 21 ivi, pag. 292, nota 66. nei pressi di S. Elia Fiumerapido è stata di recente individuata una fortificazione in opera poligonale, di limitata estensione, sulla cima del monte Cierro/Costalunga, al di sopra del santuario di Casalucense, ma puó solo trattarsi di una postazione strategica o di avvistamento simile a tante altre sparse nel territorio sannitico, o, meglio ancora un'area sacrale protetta, il lucus o bosco sacro dei Sanniti, un cui esempio è quello che sorgeva sul luogo dell'attuale abbazia di Montecassino o sul vicino Monte Puntiglio; alla presenza di un lucus, inoltre, farebbero pensare i toponimi Casalucense, Valleluce, Salaùca; l'allineamento in opera incerta che da tale circuito si diparte ortogonalmente verso il fondovalle ha poco a che vedere con esso essendo di epoca di gran lunga posteriore; nulla, comunque, fa pensare ad un antico centro abitato d'importanza tale da essere attacccato dall'esercito consolare. 22 Cfr. Carmelo Mancini in Giorn. Scav. Pompei, iV, pagg. 40 e sgg., in località S. Maria Maggiore: " Ma la indubbia dimostrazione della remotissima origine di questo Paese S. Elia Fiume Rapido sta certamente nei ruderi delle mura poligone da me veduti circa un chilometro di distanza presso la vetusta chiesa parrocchiale detta S. Maria Maggiore […] Colà probabilmente dovea sorgere la obliata Amiternum ". 23 A. Mancini, La Magona di Atina, Forni, 1987, pag. 19. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 49 “attualmente non è più possibile identificare alcun resto di muraglia” e conclude: “se gli avanzi erano di poca entità è facile che siano andati distrutti”24. Contraria anche la posizione dello studioso santeliano Giovanni Petrucci, che ritiene poco probabile l’identificazione di Amiterno nei resti archeologici presso S. Elia25. il Pais non esclude che potessero esistere due città con lo stesso nome26, ma gli ribatte Carettoni che “non abbiamo prove per localizzare detta città nei pressi di S. Elia”27. All’Amiternum santeliana sarebbe facile obiettare: perché Livio non nomina Casinum, lì a due passi? Ma più ancora: siamo certi che Casinum, notoriamente città sannitica28 ma colonia romana già dal 312, in quel frangente di rivolgimenti continui degli equilibri di forze tra Romani e Sanniti fosse ancora saldamente in mano dei Romani? E poteva esserlo se l’Amiterno dei Sanniti si trovava a circa sette chilometri da Casinum? E se per caso Casinum fosse stata in mano dei Sanniti, non doveva, il console, attaccare prima Casinum per non lasciarsi pericolosi presìdi alle spalle? Domande, queste, a cui si puó fare a meno di rispondere se non vogliamo complicarci la vita andando a cercare una Amiternum dove non c’è, anziché riconoscerla in quella che tutti riconoscono. Ma a chiudere definitivamente la questione è lo stesso Livio quando dice che il console Carvilio partì con le sue legioni per il Sannio29; dunque ha scarsa rilevanza sapere se il luogo di partenza fosse interamna Lirenas oppure nahars: è certo che si recò nel Sannio, mentre la valle del Rapido non si puó considerare territorio sannitico a tutti gli effetti. Si puó concludere ricordando che si impone la necessità di 24 G. F. Carettoni, op. cit., pag. 106. 25 G. Petrucci, Santa Maria Maggiore a Sant'Elia F.R., in "il Golfo", a. iX, n. 1/80, pag. 11, e S. Maria Maggiore di S. Elia Fiumerapido, in "Spazio Aperto", a. iii, n. 3, pag. 20. 26 E. Pais, Storia di Roma, V, pag. 83, nota 5. 27 G. F. Carettoni, loc. cit., pag. 48. Sulla localizzazione di Amiternum si possono consultare ancora G. De Sanctis, Storia dei Romani, ii., pag. 360; H. nissen, Italische Landeskunde, ii, pag. 679. 28 M. Terenzio Varrone,De lingua latina, Vii, 27.28.29: "Samnites tenuerunt"; dunque un possesso solo temporaneo. 29 Livio, X, 39: "Cum eis in Samnium profectus". 50 EMiLio PiSTiLLi collocare Amiterno nella valle del Rapido solo se si accetta per fermo che il console muovesse da interamna Lirenas; ma abbiamo già visto quanti dubbi si possono riscontrare al riguardo. 4.5. Duronia Per Duronia l’identificazione è più complessa perché l’attuale Duronia presso Boiano ha tale nome solo dal 1875; fino a quell’anno si chiamò “Terra Vecchia”; al momento non ci è dato sapere quale fosse il primitivo nome, né è particolarmente importante riguardo all’attuale lavoro. L’ubicazione della Duronia Liviana nei pressi di Roccasecca, proposta dal nissen30 è confutata dallo stesso Salmon, anche se con motivazioni tratte dai noti presupposti errati: « H. nissen […] e altri ritenevano che Duronia si trovasse appena a ovest di Casinum, a Roccasecca, la cui antichità è provata dal materiale da costruzione poligonale che vi si trova. Ma la teoria non puó essere esatta, in quanto se lo fosse ciò significherebbe che l’asse di avanzamento di Papirio Cursore sarebbe passato attraverso quello di Carvilio »31. Salmon, invece, propone l’ubicazione nel territorio di Cerasuolo, presso Venafro: « Duronia doveva essere situata in un qualche punto compreso fra le odierne Venafro e Montaquila […], e la località più probabile è Cerasuolo, un importante nodo stradale: nell’antichità se ne irraggiavano strade che portavano a Montaquila, isernia e Venafro32 ». Uno studioso serio come Salmon non dovrebbe fare storia partendo da congetture senza alcun fondamento obiettivo. Antonio Giannetti, sulla scorta dell’atlante De Agostini, che elenca l’odierna Duronia tra le città di origine sannitica, preferisce rifarsi a questa, che è “posta sull’alto corso del Trigno33”. 30 nissen, loc. cit.; altri studiosi hanno accettato la tesi del nissen. Va precisato che i resti archeologici cui si fa cenno non sono tali da far pensare ad una città. 31 Salmon, op. cit. pag. 292-293, nota 68. 32 ibid. 33 A. Giannetti, loc. cit. pag. 112; lo studio del Giannetti si basa essenzialmente sulle segnalazioni del sottoscritto, per questa ragione esso concorda quasi del tutto con le mie argomentazioni, salvo qualche difformità di scarso rilievo. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 51 neppure Gaetano De Sanctis si sbilancia definendo la città “ignota”34. Al di là della quasi totale assenza di notizie certe, pare non vi debbano essere dubbi che la nostra località dovesse trovarsi nel Sannio centro meridionale, dunque molto distante da Cominio e da Casinum. il che confermerebbe la nostra iniziale rappresentazione della spedizione sannitica dei consoli Carvilio e Papirio più sopra proposta: cioè una manovra combinata da nord e da sud per chiudere la partita con i bellicosi Sanniti35. E questo intento è confortato anche dalle successive scorribande degli eserciti romani nel Sannio, contro Sepino e Velia, dopo la sconfitta di Aquilonia36. 4.6. Aquilonia ora si puó cominciare a trattare di Aquilonia, che Livio nomina sempre senza aggettivi ma che associa a Cominium con l’appellativo di urbes, come Duronia, mentre Amiternum viene definita oppidum37. non mi pare il caso di ripercorrere tutti i tentativi di identificazione di questa località negli ultimi cento anni; basterà ricordare Raffaele Garrucci, che presuppone l’esistenza di due centri con il nome Aquilonia, rifiuta la soluzione dell’odierna Lacedonia – che taluni fanno derivare da Aquilonia tramite il nome AkUDUnniAD letto su una moneta sannitica – e pone quella ricordata da Livio in località Civitavecchia, a cinque miglia da Pietrabbondante (che per lui è il “Bovianum” ricordato ancora da Livio a conclusione della battaglia di Aquilonia)38; con estrema disinvoltura, poi, ricorda che Aquilonia distava da Cominio, nella Valle di Comino, venti miglia (trenta chilometri)39, il che smentisce clamorosamente la sua tesi. 34 G. De Sanctis, op. cit., pag. 342, nota 45. 35 Vd. supra, par. 4.1 36 Livio, X, 44: "Papirius ad Saepinum, Carvilius ad Veliam oppugnandam legiones ducunt". 37 Livio, X, 39. 38 P. R. Garrucci, Le monete dell'Italia antica, 1985, pagg. 99-100. Lo stesso Garrucci ricorda alcuni autori che indicano Pietrabbondante come luogo della nostra Aquilonia. 39 ibid. 52 EMiLio PiSTiLLi Adotta Lacedonia, invece, G. Devoto, ma senza darne ragione40. non si puó tacere, infine, la proposta del Salmon, che mostra di intuire che la nostra località dovesse essere dalle parti di Venafro, ma che, facendosi guidare dalla chiara derivazione del toponimo da “aquila”, non puó fare a meno di puntare il dito su Montaquila: « Aquilonia doveva essere situata nella zona in cui Livio riteneva che essa si trovasse, a circa 20 miglia romane da Cominium (vicino all’odierna Alvito). Montaquila, dal significativo nome, corrisponde esattamente a questa descrizione. E il nome non le è stato posto in tempi recenti, bensì si è conservato per tutto il Medioevo … »41. Purtroppo per lui con la distanza delle venti miglia non ci siamo. Peccato che al momento in cui Salmon scriveva (1967) ancora non era nota la poderosa cinta muraria di S. Vittore del Lazio, sul versante del Monte Aquilone. Va sottolineata, infine, la passione con cui varie aree del centro sud d’italia si contendono la “titolarità” di Aquilonia: soprattutto in Valle di Comino ed in Irpinis, dove, guarda caso, è possibile ritrovare località con nomi quali Atina o Comino o Aquilonia. Vittima illustre di queste omonimie fu Gaetano De Sanctis42. 4.7. Alcune certezze Avendo ormai ampiamente discusso delle varie località ricordate da Livio a proposito della battaglia di Aquilonia, non ci resta che porre alcuni punti fermi circa il testo di Livio e lasciarsi guidare dallo stesso storico. Primo punto fermo: Aquilonia era distante da Cominio venti miglia romane, cioè trenta chilometri: « Altera Romana castra [quae] viginti milium spatio aberant)43. 40 G. Devoto, cit., pag. 175 e 246; fa, tuttavia, cenno alla moneta con la scritta Akudunniad, e la attribuisce senz'altro a Lacedonia. 41 E. T. Salmon, op. cit., pag. 293, nota 68. 42 G. De Sanctis, op. cit., pag. 342, nota 46: egli identifica con decisione Aquilonia con l'odierna Lacedonia attribuendo a Livio (che viene tacciato in continuazione di imprecisioni e duplicazioni di più fatti) anche una Cominio ocritum presso Benevento. 43 Livio, X, 39. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 53 Secondo: un messo poteva andare dall’uno all’altro accampamento romano in una giornata: « diem ad proficiscendum nuntius habuit »44. Terzo: due diversi percorsi stradali dovevano collegare le due città, uno breve e diretto – quello praticato dai messi romani – ed un altro più lungo e non visibile dal primo – quello percorso dagli 8000 uomini inviati dai Sanniti da Aquilonia in soccorso di Cominio: « viginti cohortes Samnitium – quadringenariae ferme erant – Cominium profectas »45. Quarto: il nome Aquilonia; c’è da osservare che tale toponimo ha una conformazione “dotta”, cioè romanizzata, mentre non conosciamo la versione sannitica o volgare, che comunque doveva avere attinenza etimologica con la forma romanizzata. in ogni caso, proprio a partire dai tempi che stiamo trattando, Roma cominciò ad estendere la propria cultura o romanizzazione a tutta l’italia; dunque è facile che il toponimo liviano di Aquilonia abbia finito per restare legato a quei luoghi giungendo fino a noi. Quinto: Cominio era protetta da mura, per questo motivo i Romani la dovettero assediare, assaltare ed incendiare; ad Aquilonia si combatté una battaglia campale, il che presuppone ampi spazi per le manovre dei due eserciti. Sesto: l’accampamento dei Sanniti ad Aquilonia, visto dalla parte dei Romani, aveva la città alla sinistra: « diversa cornua dextrum ad castra Samnitium, laevum ad urbem tendit »46. Settimo: di fronte all’accampamento romano sorgeva un colle a forma di tumulo: « Sp. Nautium mulos detractis clitellis cum tribus cohortibus alariis in tumulum conspectum propere circumducere iubet »47. Ottavo: Mentre a Comino si dovettero abbattere le porte (refrigebantur portae)48, ad Aquilonia non è certo che lo si dovesse fare, anzi fu sufficiente fare la testuggine per irrompere nella città: « testudine facta in urbem perrumpunt deturbatisque Samnitibus quae circa portam erant muri occupavere »49. 44 ibid. 45 ivi, X, 40. 46 ivi, X, 41. 47 ivi, X, 40. 48 ivi, X, 43. 49 ivi, X, 41 54 EMiLio PiSTiLLi 5 - LE MURA DI AQUILONIA IN SAN VITTORE DEL LAZIO 5.1. Una scoperta a tavolino in considerazione delle precedenti indicazioni, una sera della primavera del 1972, studiando la carta topografica al 25.000 del basso Lazio alla ricerca della misteriosa Aquilonia, facendo centro su Vicalvi (o Cominio) con un raggio di circa trenta chilometri – considerando gli antichi percorsi, non le odierne carrozzabili –, attratto dal nome del Monte Aquilone1 e dal toponimo locale Muraglie, puntai con decisione il dito su S. Vittore del Lazio, territorio che conoscevo molto bene per avervi abitato per diversi anni. Tentò di dissuadermi il prof. Antonio Giannetti, preziosa guida ai miei primi passi nel mondo dell’archeologia in quel tempo, asserendo che mai in S. Vittore erano stati segnalati ritrovamenti archeologici di un certo interesse. non volli dargli ascolto. L’indomani presi in macchina con me il titubante prof. Giannetti e mi recai in località Muraglie, frazione di S. Vittore del Lazio2. 1 Così come aveva fatto Salmon con Montaquila, vd. supra par. 4.9. 2 Devo precisare, per amore della verità, che da quel momento tutte le ricerche sul sito e sull’identificazione di Aquilonia furono condotte dal sottoscritto, che aveva cura, però, di informare il compianto Giannetti; questi, solo dopo aver preso visione delle foto da me riprese sul colle Marena/Falascosa, fu indotto a superare il suo scetticismo e a darmi ragione sull’ipotesi di Aquilonia. L’elaborazione dei dati da me raccolti fu fatta insieme a lui fino al momento della relazione finale, sulla quale, però, sorsero delle discordanze fra noi; per questo motivo ognuno preparò la propria relazione impegnandosi a cercare per proprio conto il canale di divulgazione del ritrovamento. nella mia relazione, che diedi alle stampe attraverso il periodico “il Gazzettino del Lazio”, per rispetto e sensibilità nei confronti dell’anziano professore e della sua autorità culturale, parlai sempre a nome mio e del Giannetti, anche quando le cose da me scritte riguardavano solo me stesso. non fece altrettanto l’autorevole professore, che, lungi dal riconoscere al sottoscritto il merito della scoperta, nella sua relazione all’Accademia dei Lincei, parlò sempre a nome proprio, trascurando con cura di citare il mio lavoro e definendomi solo per inciso suo “solerte collaboratore”. Purtroppo per me quella relazione ha fatto il giro degli studiosi AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 55 Lì, presso la fattoria Pezzella, ai piedi del Colle del Pero3, trovammo tracce inequivocabili di manufatti di epoca precristiana (ma di ciò si parlerà più avanti). Mentre eravamo intenti ad esaminare un tratto di muro pseudo quadrato formato da due file sovrapposte di enormi massi, sommariamente sgrossati, a sostegno di un terrapieno, un contadino, quasi con aria di burla, ci disse che quello era ben poco in confronto con la muraglia esistente sulle falde delle ultime propaggini del Monte Sambùcaro; essa era composta, a detta del contadino, di grandissime pietre portate lassù « dalle fate » (così gli aveva raccontato la nonna!). quella muraglia era visibile anche ad occhio nudo. La vedemmo estendersi per un tratto di circa due chilometri, quasi come una collana, intorno alle due ultime protuberanze del Monte Sambùcaro e incombeva su di noi. La descrizione del contadino (nicola Vendittelli da S. Vittore), colorita dalle immagini fantastiche, ci interessò vivamente. Si rendeva necessario un sopralluogo. non persi tempo. nei giorni successivi (a partire dal 16 marzo 1972) feci delle escursioni sul luogo indicato e i risultati superarono ogni aspettativa. Dunque per un caso fortuito il toponimo Muraglia, che non si riferiva a quella che cercavo, richiamando la mia attenzione, mi aveva condotto a scoprire quella autentica. 5.2. Il monte Sambùcaro il Monte Sambùcaro (m. 1205 l.m.) – sulle carte dell’i.G.M. è scritto “Sammucro”: è una evidente trascrizione della pronuncia dialettale del luogo: Sam(b)ùcrö; d’ora in poi qui si userà la forma Sambùcaro – troneggia tra i due comuni di S. Vittore del Lazio e S. Pietro infine. Si estende da est a ovest e sulla sua cima si incontrano le tre regioni del della materia escludendomi da ogni personale riconoscimento (dopo tanto lavoro un pizzico di rincrescimento me lo si dovrà pur consentire). questo dovevo precisare, non per mania di autocelebrazione – non ne avrei bisogno in quanto nel mio ambiente ognuno conosce il reale andamento dei fatti –, ma per la verità storica, pur serbando ancora un grato e rispettoso ricordo del prof. Antonio Giannetti, scomparso ormai da diversi anni. 3 Pare che il toponimo “Pezzella” debba corrispondere, sia linguisticamente che topograficamente, a quello di “Colle del Pero” attraverso le varianti dialettali Còllë Përìgliö – Pëzzìglio e Përréllä. 56 EMiLio PiSTiLLi Lazio, della Campania e del Molise. Si erge quasi come un contrafforte del monte Aquilone, m. 1270, situato più a nord. i due monti sono divisi dal profondo vallone scavato dal Rio S. Vittore4. il versante sud del Sambùcaro scende quasi a precipizio, mentre il versante opposto 10- Il monte Sambùcaro visto dalla Rocca Janula di Cassino. degrada più dolcemente tra una balza e l’altra, fino ad incontrare la base dell’Aquilone in località Radicosa. nel crinale occidentale degrada in due riprese (queste ci interesseranno particolarmente): “Croce di Macchia” (m. 702) e il falsopiano “Marena- Falascosa” (m. 570) che sovrasta S. Vittore. quindi precipita sui dirupi del Rio S. Vittore. Più a ovest si estendono le brevi pianure di “Campopiano” e “S. Giusta”, incastonate fra il Sambùcaro e l’Aquilone a nord, il “Colle del Pero” e il colle “La Chiaia” ad ovest (verso Cervaro) e la collina dove 4 questo ruscello, dalle acque freddissime e trasparenti, oggi è indicato con il nome del comune che attraversa, insomma non ha un proprio nome. nel passato non era così: pare che fosse chiamato “Rio Chiaro”. Ciò è intuibile da un reperto toponomastico del paese: Pescoronchiaro è un vicolo che dall’abitato medioevale conduce all’esterno, verso il precipizio che domina il nostro corso d’acqua; il nome, dal significato misterioso, è chiaramente formato da Pesco - rio - Chiaro, dove “pesco” è un termine dell’entroterra molisano abruzzese e significa “dirupo”. 57 AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio sorge l’abitato di S. Vittore a sud. Contiguo alle pianure precedenti è il falsopiano di “Montenero” sulle pendici meridionali della Chiaia. 5.3. Le mura In fi ne Mi sono diffuso su tali particolari per ragioni che vedremo più appresso. La muraglia, dicevo, ben visibile anche da Cassino ad occhio nudo nelle giornate chiare, si estende sul versante settentrionale delle protuberanze “Marena” e “Croce di Macchia” in direzione est-ovest. Pie tro Strada S. Leonardo N S. Croce di Macchia falascosa 690 Chiaiale a en ar S. Vittore M St r a d a R a d i c o s a 11- Il circuito poligonale di monte Sambùcaro. non credo che si possa trovare sul suolo italiano un circuito murario in opera pseudopoligonale, di epoca sannitica, di tale lunghezza ed imponenza. Esso parte da un costone roccioso a quota m. 387 del colle “Mare na” dominante la contrada “La Canala” di S. Vittore, compie un lento giro verso nord-est alla stessa quota e poi si impenna bruscamente 58 EMiLio PiSTiLLi lungo il ripido versante “Falascosa”, a est, fino a giungere a quota 690, dove si perde fra le rocce di un baratro che si affaccia più ad ovest di S. Pietro infine, sull’altro versante del monte. nel punto in cui inizia la sua ascesa la muraglia affonda, quasi, nell’avvallamento di confluenza delle due protuberanze. quel tratto di muraglia misura m. 1315 ed ha l’altezza media di m. 1,60; è interrotto solo in alcuni brevi tratti a causa delle azioni del vento, della neve e della pioggia. Ha l’aspetto di mura poligonali del tipo più antico (prima maniera, secondo Lugli); non c’è alcuna preoccupazione di allineamento dei massi che la compongono. questi, estratti certamente dal luogo stesso, hanno le misure medie di cm. 6 0 x 8 0 x 6 0 , ma taluni hanno la facciata più lunga superiore al metro e 20 cm. La parte esterna della muraglia è abbastanza curata; la parte interrata è quasi sempre a una sola cortina, mentre quella più alta, data la forte pendenza del terreno, è a doppia cortina. Lo spessore medio è di m. l,65. in nessun punto la cinta muraria conserva la sua altezza originaria; è infatti, quella, una zona sollecitata da fortissimi venti; la neve, la pioggia e le radici infiltranti hanno completato l’opera di distruzione. Già è tanto che la muraglia sia giunta in quello stato fino a noi. Di tanto in tanto lungo il circuito si aprono delle brecce, forse ricavate in tempi recenti dai pastori per il transito delle greggi; alcune di esse, due in particolare, hanno tutto l’aspetto di antiche porte; la loro ampiezza va da m. l,40 fino ad un massimo di m. 2,50; ma più che di porte si puó parlare di varchi, lasciati aperti certamente al tempo della costruzione della muraglia: lo si deduce dalla sovrapposizione dei massi; dagli stessi varchi partono dei sentieri che scendono a valle. Al termine della lunga teoria di mura, sulla Croce di Macchia, là dove doveva essere la porta principale, si nota un largo lastricato in pietra scalpellata e levigata. quel luogo viene chiamato comunemente “La Croce” perché, a detta della gente del luogo, su un punto imprecisato della cinta era posta una grande pietra con una croce scolpita5: per 5 La croce era il segnale di riferimento della triangolazione per il punto trigonometrico: si veda “Monografie dei punti trigonometrici”, Direzione compartimentale del catasto di napoli, “zona Alvito e Cervaro”, Registro 1, pag. 122, ricognizione eseguita nell’anno 1898; lo stesso registro segnala l’incisione di un triangolo su roccia nel medesimo luogo. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 59 quante ricerche si siano fatte, però, non è stato possibile reperirla; certamente sarà rotolata a valle6. Solo in tempi abbastanza recenti sullo stesso luogo è stata innalzata una grande croce di ferro. La muraglia fin qui descritta si interrompe più volte in corrispondenza di alcuni dirupi, che presentano tracce di lavorazione, utilizzati come parte integrante della fortificazione; il restante tratto del circuito, sul versante opposto, è tutto una serie di precipizi, ma nei luoghi in cui questi sono più accessibili si notano altri tracciati di mura poligonali, che vanno da m. 50 a m. 100, destinati ad assicurare la continuità dell’intero sistema difensivo; ne ho contati almeno tre. nel tratto più lungo di questi ultimi, all’altezza della sottostante località “Collecase”, si apre una porta che chiamerò di S. Vittore. Su quel versante non ci dovevano essere altre porte, benché numerosi metri della muraglia saranno certamente rotolati a valle non consentendo più una “lettura” completa del sito; numerosi massi sono disseminati nell’area sottostante. È importante avvertire che sullo stesso versante si possono notare ampi tratti di rocce affioranti scalpellate e spianate nel verso del pendio: probabilmente per ragioni difensive si rendeva necessario assicurare una visuale completa, eliminando la possibilità di ripari per gli assalitori, ed anche per rendere più scorrevole il rotolamento dei massi lanciati contro gli stessi. Cosa analoga la si ritrova al di sotto delle mura di Casinum sul versante sud, tra la città e l’acropoli. La cinta, da questo lato, doveva seguire il crinale roccioso della montagna e subirne i dislivelli fino ad incontrare le due estremità della muraglia ancora esistente. in tal modo 1a teoria delle mura doveva circoscrivere un piano avente la vaga forma di una piuma di gallina. L’estremità più stretta coincideva con la Croce di Macchia, mentre si dilatava al massimo sul pianoro del Marena a quota 570. Tutta la cintura muraria, dall’una e dall’altra parte, è contornata, all’interno, quasi a segnarne il perimetro, da una stradella che si interrompe solo per alcuni tratti ed è segnata sulle carte topografiche. 6 Per la descrizione delle mura si veda anche l’appendice A.1. 60 EMiLio PiSTiLLi 12- Croce di Macchia: la spianata che dà accesso all'interno della fortificazione; in primo piano un riparo in pietra, innalzato, forse, dai pastori su una trincea della seconda guerra mondiale. 13- falascosa: tratto di muro poligonale sul versante nord. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 61 14- Versante falascosa. 15- Versante falascosa. 62 EMiLio PiSTiLLi 16- La fuga ininterrotta delle mura che si inerpicano verso Croce di Macchia sul versante falascosa. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 63 17- Parte bassa del versante falascosa: la vegetazione inizia a non rendere più visibili le mura. 18- Al termine del versante falascosa: da questo punto si puó intravedere la spianata di Campopiano (a destra) e parte dell'abitato di Cervaro (al centro in alto); a destra si scorgono alcuni dei numerosissimi massi rotolati in basso. 64 EMiLio PiSTiLLi 19- Colle Marena: lato settentrionale del Chiaiale. 20- Un tratto emergente dalla folta vegetazione del Chiaiale. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 65 21- Ogni tanto l'imponenza delle mura ha la meglio sui carpini e querciole infestanti. 22- Scorcio delle mura in fuga verso valle: lato nord. 66 EMiLio PiSTiLLi 23- Prosegue la discesa verso il basso; lato nord. 24- Dettaglio della zona Marena, lato nord; notare la sovrapposizione non molto ordinata dei grandi massi. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 67 25- Uno dei varchi (forse una porta) con tracce di fortificazione sul Chiaiale; lato nord. 26- Versante di S. Vittore: la sella tra il colle falascosa ed il colle Marena; dal paese si distingue un tratto delle mura (al centro nella foto) dove si apre la porta detta di S. Vittore. 68 EMiLio PiSTiLLi 27- Colle Marena: versante sud; tratto di muro che riprende dopo un costone roccioso. 28- Roccia a strapiombo inserita nel circuito murario dominante il paese di S. Vittore. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 69 29- Lato S. Vittore: la muraglia ricuce i vuoti tra le fortificazioni naturali dei costoni rocciosi. 30- Lo sperone di colle Marena domina l'intera valle del Rapido-Peccia; a sinistra l'abitato di S. Vittore; in alto a destra è appena visibile l'abbazia di Montecassino, antica acropoli fortificata di Casinum; al centro della foto si possono distinguere alcuni tratti delle mura e la sottostante scarpata nella quale le rocce sono state spianate artificialmente. 70 EMiLio PiSTiLLi 31- Colle Marena: veduta sulla piana del Rapido con Montecassino e Cassino, da dove le mura sono visibili ad occhio nudo. 32- Versante sud: a sinistra si apre la porta di S. Vittore; su questo versante le mura sono molto danneggiate. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 71 33- Versante sud: particolare delle mura. 34- Colle Marena: tratto delle mura che guardano verso Cervaro e Cassino. 72 EMiLio PiSTiLLi 35- Colle Marena: veduta sulla spianata di Campopiano, sulla frazione Muraglie e su Cervaro; a sinistra Cassino, al centro in fondo monte Cairo (m. 1.669 s. l. m.) e a destra la gola di Capo di China che conduce nella Valle di Comino. 5.4. All’interno insomma tutta la zona ha l’aspetto di un’antichissima area fortificata, di cui restano pochi, ma inequivocabili segni, dei quali i più importanti sono le mura poligonali e, forse più di tutti, i numerosi frammenti di ceramica che è facile rinvenire in alcune ben delimitate zone all’interno. Tali ceramiche sono per lo più frammenti di tegoloni, di vasi, ciotole, orci; la loro fattura è certamente precristiana. L’impasto è molto spesso poroso, talvolta compatto; contiene molta sabbia o granuli di carbone, di quarzo o sostanza cinerina; sia all’esterno che in frattura i cocci sono a volte di colore bruno, a volte rosso oppure grigio o giallino; in gran numero quelli senza rivestimento, pochi con rivestimento. Tali frammenti si possono reperire su terreno erboso ma anche a pochi centimetri di profondità; i numerosi sgretolamenti della china lo dimostrano. Giannetti ne fa una elencazione articolata che preferisco riportare AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 73 integralmente, con l’avvertenza che tali indicazioni si riferiscono solo ad una prima fase delle ricerche sul nostro sito. « l) frammenti di mattoni (spess. cm 2,8/4), di coppi (spess. cm 2) di tegole (spess. cm 3) ad impasto carbonioso o misto a molta sabbia, color nero o giallo in frattura, rosso nella faccia esterna oppure giallino in tutto lo spessore; 2) frammenti di dolî di impasto molto eterogeneo, impuro per presenza di grani di quarzo, di carbone e di sabbia con pareti grezze, malcotti, esternamente appena lisciati a stecca (labbri piatti appena elevati dal corpo del recipiente e distinti da esso con un solco appena accennato); 3) pesi di forma piramidale, a base quadrata d’impasto grezzo con pareti lisciate a stecca; 4) due frammenti di basi di lucerne ad impasto grezzo, malcotto con ansa a lingua molto accentuata applicata sul piano di base; di labbri di impasto grezzo privi di risvolto ad orlo rotondo; di pareti di ciotola con decorazione a forma di Croce di S. Andrea incisa a stecca; 5) gola di vasetto a forma di calice, con labbro piatto d’impasto grezzo come pomice; labbri con risvolto esterno (ciotole scodelle) con solco all’attaccatura della spalla, d’impasto poco omogeneo, spesso ben cotti; 6) frammenti di basi o di pareti di ciotole di impasto omogeneo ben cotto, internamente coperti da una pellicola vetrosa di colore bianco o giallo oppure da vernice nera; esternamente sempre in colore naturale; 7) frammento di fondo di piatto, d’impasto omogeneo, ben cotto internamente, ornato al centro con grosso disco a vernice rossa incluso in tre cerchi di color nero, concentrici; altri dischetti rossi dovevano trovarsi intorno alla superficie interna della parete; 8) frammento di selce lavorata; capocchia di un chiodo in ferro battuto. « Circa la zona di reperimento (a parte i frammenti di laterizi – moltissimi – che si trovano dispersi in tutta l’area chiusa dalle mura e anche fuori di essa) indichiamo i settori in cui sono stati rinvenuti gli oggetti più significativi. 74 EMiLio PiSTiLLi quelli riportati ai numeri 2 e 3 sono stati raccolti nel settore orientale detto Falascosa subito all’inizio dell’erto pendio pietroso; quelli del numero 4 verso il settore occidentale detto Marena; quelli dei numeri 5 e 6 nel settore centrale detto Chiaiale7; invece il frammento di cui al numero 7 fu raccolto lungo la via d’accesso alla fortificazione, precisamente nei pressi di una cava di gesso. non si è rinvenuto alcun frammento di ceramica buccheroide o etrusco campana, né di origine greco cumana; sembra infatti che tutti i vasi, a cui i frammenti suddetti appartenevano, facciano riferimento, sia per l’impasto, sia per le forme, a un tipo di ceramica subappenninica, ad eccezione forse dei frammenti riportati nei numeri 6 e 7 internamente coperti di pellicola uso smalto o dipinti a vernice »8. Come sono giunti fin lassù quei resti? non certo portati dal vento. Ma, cosa singolare, si rinvengono negli avvallamenti o nei brevi pianori riparati dal vento, e solo sul colle Marena. Sul pianoro che forma la sommità del Marena ho notato dei segni appena percettibili di muri congiunti trasversalmente e, all’interno, di altri muri paralleli: tutto ciò è interrato e difficilmente visibile sul posto, mentre dall’alto, discendendo lungo il crinale della Croce di Macchia, appare più chiaramente. negli altri luoghi in cui si rinvengono materiali fittili si notano (a fatica, in verità) allineamenti appena affioranti di mura poligonali a sostegno di alcuni terrazzamenti. nulla del genere, invece, si riscontra su Croce di Macchia: quest’ultima zona è di difficile lettura perché assolutamente impervia: rocce e pietrame dappertutto. questo, per sommi capi, é quanto trovai lassù9. 7 Chiaiale è un avvallamento tra il versante Falascosa ed il poggio Marena. il termine secondo Giannetti deriva da plateale con trasformazione del prefisso pla in chia. io aggiungerei: attraverso la forma chianale, che nel dialetto locale sta per luogo o oggetto piano. 8 A. Giannetti, cit. pag. 107-108. 9 Si puó ricordare anche la descrizione abbastanza dettagliata che fa del nostro complesso Attilio Coletta in Centri fortificati del Lazio meridionale, “Centro Studi Storici Saturnia, Atina, 1998, pag. 32 e sgg.; però alcune sue soluzioni sono da prendere con cautela. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 75 5.5. Strade e pozzi Va ancora detto che stradelle molto antiche consentono l’accesso dalla Canala – caseggiato a ridosso del Rio S. Vittore – e soprattutto dalla Radicosa. quest’ultima prosegue sempre in linea retta, a quota 600 circa, fino alla Croce di Macchia – sulle carte catastali è denominata via S. Leonardo – e poi giù a S. Pietro infine vecchia. questo tracciato esistente ancora oggi, collegava il basso Lazio con Conca Casale e il Molise, ma anche con Viticuso10. Una sola stradella, invece, é sul versante sud e sbocca proprio presso l’unica porta di quel lato (porta di S. Vittore). L’approvvigionamento idrico era assicurato dalla presenza di alcuni pozzi; uno esiste ancora oggi lungo il sentiero che sale dalla Canala ed é molto antico, anche se si notano dei rifacimenti di epoca posteriore. Altri pozzi sono segnalati dai pastori in zona La Macchia, in prossimità della “Croce”. Va infine tenuto presente che accanto all’opera di distruzione effettuata dal tempo c’è stato sempre il continuo lavorìo di smantellamento operato dai pastori. infatti le costruzioni in pietra che certamente costituivano le abitazioni dei primitivi abitanti sono state sistematicamente smantellate per erigere rozzi ripari per le bestie; ripari che si incontrano in gran numero all’interno della cinta muraria. 5.6. Senza tempo Dopo quanto ho sommariamente descritto ritengo non esistano più ragionevoli dubbi che si trattasse di una antica fortificazione. quale popolo poteva abitare una simile inaccessibile fortezza? Certamente un popolo di pastori: data la possibilità di facile transumanza, in poche ore si puó passare dai 40 metri s.l.m. a oltre 1000 metri del Sambùcaro e dell’Aquilone; e non è ciò che fanno ancora oggi i pastori del luogo? Lì si era in piena zona di influenza sannitica, e i Sanniti, è noto, erano dei fieri montanari. Dunque niente di più facile che quello fosse un avamposto sannitico a guardia dei pascoli delle valli sottostanti, anche se la fortificazione sembra guardare più verso il Sannio che altrove. 10 Vd. Appendice A.6. 76 EMiLio PiSTiLLi quel circuito, infine, è del tutto simile a tanti altri del centro sud d’italia classificati sannitici o dell’età del ferro. Somiglianze molto strette si hanno con quelli esaminati da Domenico Caiazza11. Ritengo tuttavia azzardato proporre una datazione certa: c’è chi pone quel genere di costruzioni attorno all’Viii-Vii secolo e c’è chi si ferma al iV-iii sec. a. C. questi ultimi ritengono che siano state edificate in occasione delle guerre sannitiche. queste tutto al più costituiscono un termine di riferimento per una datazione minima; ma il fatto che mura del genere si ritrovano in tutto il centro sud d’italia, nella Grecia micenea e nelle città della costa anatolica, cioè erette da culture diverse e in tempi diversi, ci puó far ritenere che sfuggano ad ogni datazione certa: le definirei senza tempo. Solo il ritrovamento di manufatti organici, sicuramente connessi con la costruzione di tali fortificazioni, potrà consentire datazioni attendibili tramite le moderne tecnologie di laboratorio. Fra i vari tentativi di dare una paternità ai grandiosi complessi di mura poligonali in italia va segnalato Mario Pincherle12, il quale cerca di ricollegare le tecniche e le tipologie nostrane con quelle minoiche dell’Asia minore: forse, pur con argomentazioni spesso discutibili, apre un panorama di speculazione che potrebbe darci interessanti lumi. 5.7. Si tratta di Aquilonia? Siamo in presenza della mitica Aquilonia? Per poterlo affermare, secondo gli scettici, bisognerebbe trovare in loco un cippo con la scritta AQUILONIA; ma a noi è sufficiente riscontrare sul posto tutti i punti fermi elencati più su13. Ed ecco i riscontri. Primo: il colle Marena dista da Vicalvi/Cominio quasi esattamente trenta chilometri se si percorre l’antico tracciato stradale che da S. Vittore costeggia il Colle del Pero, passa per Cervaro, di qui va a S. Michele (frazione di Cassino), a Portella (frazione di S. Elia), alla piana dell’olivella, a Capo di China, seguendo la vecchia “strada romana”, a Cancello di Atina e, sempre in linea retta, a Vicalvi. 11 Vd. supra par. 2.2. 12 M. Pincherle, La civiltà minoica in Italia. Le città Saturnie, Pacini Editore, 1990. 13 Vd. supra par. 4.7. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 77 questo tracciato, anche se in disuso (perché sostituito dalla recente strada a scorrimento veloce Cassino-Atina-Sora), è ancora in gran parte percorribile. Secondo: la strada appena descritta consente ad un uomo a cavallo di andare e tornare in meno di una giornata. Terzo: un percorso alternativo e più lungo puó essere costituito dall’antico tracciato che segue il corso del fiume Melfa (la strada “Tracciolino”) fino a Roccasecca, s’innesta sulla pedemontana che conduce a Casinum, segue il fondovalle dell’attuale Casilina fino alla Taverna di S. Vittore. questa strada consente di andare e tornare da Cominio senza essere avvistati da chi percorre quella precedente; e probabilmente fu scelta dalle coorti dei Sanniti per andare in soccorso di Cominio14. Quarto: il toponimo Aquilonia lo si ritrova nel vicino e incombente Monte Aquilone; è noto come i nomi delle località montane si conservano pressoché invariati per millenni. Quinto: gli spazi per una battaglia campale si possono ritrovare ai piedi dei due monti del luogo: il Sambùcaro e l’Aquilone. Sono due ampie aree in pendenza entrambe verso il Rio S. Vittore: la spianata di “Campopiano”, più a monte, e quella di “S. GiustaMontenero”, più a valle sulle pendici del colle “La Chiaia”. L’una, tenuta dai Romani, poteva dominare dall’alto l’accampamento dei Sanniti, l’altra, invece, poteva controllare l’unica possibilità di accesso alle vie per Aquilonia, cioè il guado del Rio S. Vittore. Sesto: la fortificazione sannitica di colle Marena era alla destra dell’accampamento dei Sanniti ed alla sinistra di quello romano. Settimo: da Campopiano il colle del Pero, ma più ancora il colle La Chiaia, visto di lato, appare come un perfetto tumulo, anche se la sua forma è piuttosto allungata. Alle spalle del colle poteva nascondersi un contingente di soldati per comparire all’improvviso dando 14 Si potrà obiettare che quelle coorti dovettero passare al di sotto di Casinum che, secondo le notizie in nostro possesso, era già colonia romana. Ma l’episodio ricordato del saccheggio di interamna Lirenas ci fa intuire che l’oppidum di Casinum non costituiva un pericolo per migliaia di soldati che transitassero nei suoi pressi. Del resto i Romani avevano fatto leva per affrontare i Sanniti e con tutta probabilità avevano sguarnito quella ed altre colonie. Resta, tuttavia, il dubbio se Casinum fosse ancora in possesso dei Romani. 78 EMiLio PiSTiLLi 36- I luoghi della battaglia: a destra il pianoro di Campopiano; a sinistra il colle La Chiaia, che, visto da qui, appare come un tumulo, e che domina la spianata di S. giusta/Montenero; al centro della foto, in alto, il colle del Pero. l’impressione di provenire dalla strada per Cominio (quella breve percorsa dai messi romani). Ottavo: la fortificazione del colle Marena, nonostante l’asperità del luogo, non si presenta come un complesso particolarmente adatto a sostenere a lungo assedi ed attacchi nemici; niente di più facile, dunque, che alle porte vi fossero solo delle protezioni di fortuna e non porte come quelle di Cominio. Ed infatti nelle porte della nostra presunta Aquilonia non si sono trovate tracce di cardini o altro, né sui piedritti né sulle soglie. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 79 6 - I LUOgHI DELLA bATTAgLIA 6.1. La battaglia Dopo aver appurato la concordanza del racconto liviano con i luoghi qui descritti, concordanza che puó apparire addirittura eccessiva, proviamo ora a calare la descrizione della battaglia sugli stessi luoghi, senza discostarci dal testo di Livio. nell’anno 293 a. C. il Senato Romano, dopo mezzo secolo di guerre contro i Sanniti, decise di sferrare un’offensiva decisiva contro quel popolo che, da parte sua, si era messo in armi facendo leva per tutto il Sannio ed ammassando 40.000 soldati (altri codici riferiscono 60 mila), il fior fiore della gioventù sannitica, nella città di Aquilonia. i consoli di quell’anno L. Papirio Cursore, figlio del più noto Lucio Papirio, e Spurio Carvilio si recarono nel Sannio con due eserciti; il primo, dopo aver fatto leva, andò ad espugnare la città di Duronia, probabilmente tra isernia e Campobasso, il secondo, rilevando l’esercito già in armi da interamna, prese d’assalto la città di Amiterno, nei pressi di L’Aquila; quindi dopo aver percorso in lungo e in largo il Sannio si unirono nell’agro Atinate, in Ciociaria, dove, ovviamente, si ebbe il maggior saccheggio. A questo punto i consoli si divisero di nuovo: Carvilio assediò Cominio (oggi Vicalvi), nella omonima valle, mentre Papirio si recò nei pressi di Aquilonia, ubi summa rei Samnitium erat. quest’ultima località, a detta di Livio, distava circa 20 miglia, cioè 30 chilometri da Cominio. L. Papirio con il suo esercito seguì la via che passa ad ovest di Atina, sale a Capo di China, scende lungo il versante occidentale di Monte Cifalco, fino alla pianura di S. Elia Fiumerapido e risale poi attraverso la contrada “Portella” fin su a S. Michele, in comune di Cassino, lungo le estreme propaggini del Monte Aquilone e sempre su quelle stesse pendici prosegue per Acqua Candida, a nord di Cervaro, fino a sfociare alle spalle del Colle del Pero sulla pianura di Campopiano su cui domina la presunta Aquilonia1. 1 questa antichissima strada pedemontana prosegue oggi, sempre in linea retta, fino a S. Pietro infine, da dove si imboccava l’altra strada che saliva a Croce di Macchia 80 EMiLio PiSTiLLi 37- L'abitato di S. Vittore dominato dal monte Sambùcaro con le due protuberanze (a sinistra) falascosa e Marena, protette dalle mura poligonali; in basso si apre la profonda fenditura del rio di S. Vittore. Dunque Papirio pose il suo accampamento in Campopiano occupando il Colle del Pero e presidiando la suddetta via per i frequenti contatti che aveva con il collega Carvilio che si trovava a Cominio. Alla sua sinistra aveva Aquilonia, da cui era separato dal profondo dirupo del Rio S. Vittore, alle spalle il monte Aquilone. i Sanniti invece avevano posto il loro accampamento nel declivio del colle La Chiaia (S. Giusta-Montenero), là donde si possono ammirare i resti medioevali di S. Vittore, ed erano separati da quest’ultima località dal rio omonimo. Era in loro possesso l’unico punto in cui il rio fosse agevolmente valicabile, onde garantirsi i contatti con la loro città. inoltre da quella posizione potevano assicurarsi lo sbocco a valle per i rifornimenti ed il vettovagliamento: non dimentichiamo che i Sanniti erano in quell’area già da molto tempo e sicuramente controllavano la vasta pianura dominata da Aquilonia. il loro accampamento, però, era stretto ai due lati (la porta principale di Aquilonia) e continuava verso il Molise col nome di via S. Leonardo. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 81 38- La zona della presunta battaglia. dal colle La Chiaia e dal rio: quello che apparentemente doveva costituire una valida difesa risultò, poi, la causa principale della sconfitta, non avendo avuto essi adeguati spazi di manovra. Tuttavia il guado del rio consentiva il controllo di un nodo stradale di notevole importanza. Di lì infatti si dipartivano (e ancora oggi): la via che, costeggiando il colle del Pero, conduce a Cervaro; la via che, aggirando la Chiaia da sud, conduce ancora a Cervaro; la via che, passando per La Canala, conduce ad Aquilonia e alla Radicosa, dove esiste un varco per il Molise; la via che collega S. Vittore del Lazio con S. Pietro infine, quasi certamente una continuazione della Pedemontana già descritta; infine l’accesso al fondovalle del GariPeccia. Sulla disposizione dei due eserciti (Romani in alto e Sanniti in basso) non mi trovai d’accordo con il prof. Giannetti, il quale capovolgeva le posizioni, non riuscendo, però, a spiegare come i Romani stando nella piana di S. Giusta-Montenero potessero avere la città di Aquilonia a sinistra, come precisa Livio. 82 EMiLio PiSTiLLi Avendo, dunque, i Sanniti scelto per primi la postazione2 avrebbero potuto attestarsi, al posto dei Romani, sulla spianata di Campopiano, apparentemente più favorevole perché in posizione dominante rispetto a quella di S. Giusta, ma questo sarebbe stato un errore ancora maggiore perché di lì non avrebbero potuto avere più collegamenti con Aquilonia, dalla quale sarebbero stati separati dal profondo dirupo del Rio S. Vittore. Sempre seguendo il racconto di Livio, Papirio dopo aver temporeggiato per diversi giorni fra scaramucce di nessun conto, decise di attaccare il nemico postero die e mandò un messo al collega per avvertirlo affinché anche questi attaccasse contemporaneamente Cominio. il messo, utilizzando il percorso breve su descritto, ebbe un giorno per andare e tornare. Tornò a notte riferendo che Carvilio approvava i piani. Papirio preparò lo schieramento: all’ala destra pose L. Volumnio, all’ala sinistra L. Scipione. ordinò quindi a Spurio nauzio di togliere i basti ai muli e di condurli, con alcune coorti delle ali, attorno, forse, al Colle del Pero, per posizionarsi al coperto di un colle che probabilmente aveva l’aspetto di un tumulo, in tumulum conspectum, (il colle la Chiaia, appunto; ma forse anche lo stesso Colle del Pero). nauzio doveva poi comparire nel vivo della battaglia sollevando quanta più polvere potesse. Poco prima che il console desse inizio al combattimento un disertore sannita rivelò che 8000 uomini erano stati inviati da Aquilonia a Cominio per aiutare quest’ultima città nella difesa contro gli assedianti. Probabilmente i Sanniti di Cominio si erano accorti dei preparativi di attacco da parte degli assedianti e, ignorando la manovra combinata degli eserciti romani, avranno chiesto rinforzi a quelli di Aquilonia; rinforzi che furono senz’altro inviati. Papirio mandò subito un messaggero ad avvertire di ciò il collega. il messaggero spronando la cavalcatura dovette impiegare meno di tre ore3. 2 i Romani si erano decisi a dare guerra ai Sanniti solo dopo che costoro, da tempo, avevano fatto leva per tutto il Sannio ed avevano scelto Aquilonia come centro di raccolta. 3 Cfr. Giorgio Berzero, Ab Urbe condida, Lib. X. pag. 177, nota 2. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 83 39- Collegamenti tra Vicalvi (Cominio) e S. Vittore del Lazio (Aquilonia). Subito dopo il console, approfittando anche del temporaneo alleggerimento delle forze nemiche, fece avanzare i suoi reparti e diede inizio alla battaglia. il combattimento fu feroce, la strage immensa; i Romani avanzavano senza tregua fra le schiere nemiche. A far precipitare gli eventi contribuì l’apparizione di fianco (tra la Chiaia e il Colle del Pero) del polverone sollevato dai reparti di Spurio nauzio. Tale visione ingannò i Sanniti ed i Romani stessi: si credette infatti che si trattasse dell’esercito di Carvilio che giungeva vittorioso da Cominio. 84 EMiLio PiSTiLLi i Romani moltiplicarono le forze e l’ardore per non vedersi togliere il merito della vittoria dall’altro esercito; i Sanniti furono atterriti e finirono per darsi alla fuga. i nobili e i cavalieri fuggirono alla volta di Boviano (probabilmente lungo il versante di S. Pietro infine oppure per la via della Radicosa, sulla sponda sinistra del Rio S. Vittore), i fanti si rifugiarono parte nell’accampamento e parte ad Aquilonia. 6.2. La sconfitta dei Sanniti il fronte dei Sanniti dunque era stato spezzato al centro in due tronconi, e ciò è spiegabile se si pensa che alle spalle di questi era il profondo dirupo costituito dal Rio di S. Vittore. L’ala destra dei Romani guidata da Volumnio attaccò e prese l’accampamento incendiandolo, l’ala sinistra con Scipione attraversò il guado del rio e, inseguendo i fuggiaschi, giunse sotto le mura di Aquilonia, probabilmente nel lato nord. Gli occupanti la città si difesero lanciando sassi sugli assalitori, e i sassi in quel luogo non mancavano certo. Scipione dopo aver incitato i suoi formò la testuggine con gli scudi alzati sopra il capo e irruppe nella città (testudine facta in urbem perrumpunt). S’impadronì della porta, ma, avendo solo pochi soldati con sé, preferì non addentrarsi nella città. i1 console, radunando i soldati poiché la sera s’appressava, constatò che alla sua destra l’accampamento dei Sanniti era stato preso e che alla sua sinistra si combatteva presso le porte della città. Con le truppe raccolte s’appressò alle mura e penetrò nella porta a lui più vicina. Ma la notte era sopraggiunta e preferì far riposare gli uomini. nelle ore notturne la città fu abbandonata dai suoi abitanti; da quale parte? Forse dal lato più inaccessibile, dove i Romani non erano giunti, dall’unica porta sul versante sud, la porta di S. Vittore. Di lì dovettero scendere nella sottostante pianura tra S. Vittore e S. Pietro infine. A valle dovettero essere scorti dalla cavalleria nemica ed inseguiti. nell’inseguimento i cavalieri romani videro anche dei Sanniti sparsi qua e là senza difesa alcuna. Erano, questi, gli 8.000 soldati inviati in aiuto di Cominio, ma richiamati poi verso Aquilonia per gli avvenimenti appena descritti. il console Carvilio a Cominio, avvertito dal collega, aveva mandato AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 85 incontro a quegli uomini – sulla via più breve per Aquilonia – alcune coorti per fermarli, ma, lungo la strada non ne trovarono traccia; probabilmente quelli avevano attraversato a valle la pianura di Cassino e seguito poi la via pedemontana in direzione di Roccasecca per risalire lungo la via Tracciolino fino alla valle di Comino. Al ritorno da quel loro inutile viaggio quei Sanniti percorsero la stessa strada aggirando le radici del versante sud-est della Chiaia. Giunti verso sera in vista dell’accampamento e di Aquilonia, dice Livio, furono fermati dalle fiamme che dall’accampamento si erano propagate all’intorno4, ma anche, forse, dalle grida che provenivano dalla città. Lì si fermarono sbigottiti e passarono la notte senza chiudere occhio. Alle prime luci dell’alba furono sorpresi e messi in fuga dalla cavalleria romana. Ma erano stati avvistati anche dalle mura della fortezza. Anch’essi dopo alcune perdite presero la via per Boviano. Dal luogo dove quei soldati avrebbero pernottato si distinguono nettamente le mura della città da noi indicata. Aquilonia fu saccheggiata e incendiata. Le fiamme dovettero essere visibiii per un raggio di molti chilometri: dall’agro atinate (attraverso la gola di Capo di China), alla valle del Rapido, ai monti degli Aurunci, all’attuale Mignano Montelungo; tale era la posizione della nostra supposta Aquilonia. nella battaglia, a detta di Livio, perirono oltre 20.000 Sanniti e poco meno di 4.000 furono fatti prigionieri. quella strage segnò la capitolazione definitiva dell’indomito popolo del Sannio. 4 Livio, X, 43: « Deinde regione castrorum, quae incensa ab Romanis erant, flamma late fusa certioris cladis indicio progredi longius prohibuit ». 86 EMiLio PiSTiLLi 7 - LO STORICO LIVIO 7.1. L’affidabilità di Livio questa sommaria ricostruzione evidenzia la stupefacente concordanza tra la descrizione di Livio ed i luoghi di S. Vittore, concordanza che puó addirittura apparire sospetta perché pone una questione che vale la pena affrontare: come faceva Livio a descrivere con tanta precisione la battaglia e i luoghi, a distanza di oltre 260 anni1, come se fosse stato presente a quegli avvenimenti? Alcuni storici hanno definito Livio più poeta che storico, volendo con questo affermare che egli non è da prendere alla lettera. Si potrebbe rispondere semplicisticamente che non si comprende come Livio possa essere affidabile in taluni casi e non degno di attenzione in tal’altri; non si comprende come si possa essere storiografo affidabile e nello stesso tempo visionario. Guido Vitali nella sua prefazione alla Storia di Roma dice del nostro: « Assai più che uno storico nel significato vero e proprio del termine, egli è dunque un narratore di storia2 ». E forse questa è la definizione più giusta dal momento che nell’opera liviana ritroviamo fatti realmente accaduti accanto a leggende ampiamente diffuse nel mondo romano; lo stesso Livio, con molta correttezza intellettuale dice di sé: « quei fatti accaduti prima o durante la fondazione di Roma, adorni di poetiche favole piuttosto che di sicura documentazione storica, io non penso né a confermarli né a confutarli »3. Di certo non si puó affermare che Livio abbia fatto tesoro delle intuizioni di Polibio, storico di razza, il quale sosteneva che compito dello storico non è quello di stupire il lettore con artifici retorici o con fatti prodigiosi, ma limitarsi ad esporre i fatti, anche i più insignificanti, secondo verità. Tuttavia va dato atto a Livio che non si è inventato 1 Livio iniziò la sua opera tra il 29 e 27 a. C. 2 G. Vitali, op. cit., Lib. i, pag. XV. 3 « quae ante conditam condendamve urbem poeticis magis decora fabulis quam incorruptis rerum gestarum monumentis traduntur, ea nec adfirmare nec refellere in animo est », Praefatio, pagg. 4/5. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 87 nulla, anzi per certi versi dobbiamo essergli grati per averci tramandato tante leggende che fanno parte ormai del bagaglio culturale del nostro popolo. Un appunto gli si puó muovere: fu storico di parte, perché storico di Roma; caricò di enfasi le gesta delle legioni romane; quando evidenziò l’eroismo dei nemici fu solo per attribuire maggior valore ai soldati di Roma. Ma per fare ciò non aveva bisogno di inventarsi personaggi e circostanze: gli era sufficiente far pronunciare un certo discorso ad un console o ad un tribuno oppure decantarne le doti umane e militari, oppure celebrare i trionfi ingigantendo i bottini di guerra. A parte questi aspetti, che possono considerarsi marginali, va evidenziato che quelle che sono esagerazioni attribuite a Livio sono in realtà esagerazioni delle sue fonti, specialmente quelle coeve ai fatti narrati: quelle sì avevano interesse a manipolare la descrizione degli avvenimenti a scopi propagandistici. Le fonti del nostro, oltre il più volte citato Fabio Pittore – che a sua volta si rifaceva a Geronimo di Cardia, a Callia di Siracusa, a Timeo di Tauromenio e ad altri storici greci – si sa, furono quelle ancora reperibili negli archivi romani dei suoi tempi, e cioè gli acta pubblici e privati, i Libri e i Commentarii magistratuum, gli Annales maximi, i Fasti calendarii, i Libri e i Commentarii pontificum, le opere degli annalisti, le iscrizioni incise su colonne, su templi, su tombe, le laudationes funebres. Accanto a queste bisogna porre le relazioni scritte in tempo reale dai segretari o scribi prezzolati che i condottieri si portavano appresso perché decantassero le loro gesta e magnificassero le loro virtù, insomma qualcosa come gli odierni inviati speciali al fronte; lo scopo era di tutta evidenza: solo in parte una forma di vanità e di vanagloria, molto, invece, un’operazione di propaganda elettorale per le imminenti elezioni a Roma, dove con le cariche pubbliche spesso si costruivano ingenti fortune. Tali relazioni non sono giunte fino a noi ma, conoscendo l’eccezionale modernità dei Romani in questo genere di cose, non possiamo dubitarne l’esistenza e tanto meno che ve ne fossero ancora al tempo di Livio, il quale non si lasciò sfuggire l’occasione di utilizzarle, talvolta integralmente. Così si puó spiegare l’eccezionale corrispondenza tra i fatti e i luoghi, cosa che si verifica molto spesso nel racconto liviano. Se così non 88 EMiLio PiSTiLLi fosse non potremmo comprendere, per esempio, come mai Livio, nell’accennare alla collina dietro la quale si doveva nascondere Spurio nauzio con le coorti e i muli, la definisce tumulus anziché semplicemente collis o colliculus, ma soprattutto perché gli avvenimenti sono visti sempre e soltanto dalla parte dei Romani, AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 89 8 - DOVE CERCARE AQUILONIA 8.1. fortificazione, non città Dunque se Livio fa fede, come credo debba farne nel caso nostro, possiamo analizzare da vicino quella che egli chiama urbs di Aquilonia. nell’irruzione del console all’interno delle mura Livio non fa cenno a strade, palazzi, né ad un incendio come per Cominio. Tutto ciò ci fa pensare che all’interno delle mura non vi fosse qualcosa che potesse definirsi città come noi la intendiamo. E allora dobbiamo far ricorso a quanto ho detto prima circa le città dei Sanniti1. qui ci troviamo di fronte ad un insediamento di primo tipo: la fortificazione in alto, utilizzata solo per le emergenze e, forse, per le cerimonie religiose; l’abitato a valle, in luogo più accessibile e presso abbondanti fonti d’acqua, soprattutto per abbeverare il bestiame. nel circuito poligonale di monte Sambùcaro le condizioni per una vita residenziale non sono certamente favorevoli: la parte più alta, presso Croce di Macchia, è battuta da venti spesso di eccezionale violenza; ogni inverno vi si verificano abbondanti nevicate; le zone riparate già descritte sono piuttosto limitate e consentono un certo confort solo per un limitato periodo dell’anno. Per questo motivo l’area non è stata più utilizzata nelle epoche successive se non per presenze stagionali. Va aggiunto che dalla fortificazione Marena-Falascosa si poteva avvistare quella di Casinum e, attraverso il valico di Capo di China, quella di Cominio; da quest’ultima si avvistavano le mura di Atina; insomma una rete di postazioni che si guardavano a vicenda, cosa, questa, tipica del sistema difensivo dei Sanniti. Se il circuito poligonale di S. Vittore non dovesse essere quello di Aquilonia, vista la sua eccezionale estensione (complessivamente circa tre chilometri), si dovrà pur dire a quale città sannitica appartenesse: non si puó pensare, infatti, che quell’opera immane servisse solo come fortilizio di avvistamento o come luogo sacro (come quello 1 Vd. supra par. 2.1. 90 EMiLio PiSTiLLi di monte Cierro in S. Elia Fiumerapido), o, infine, come riparo per le pecore. Certamente era connesso, insieme alle contigue mura di S. Eustachio, con un sottostante centro abitato di qualche importanza. Se lo si dovesse individuare in funzione di una città diversa da Aquilonia, si dovrebbero trovare delle motivazioni più convincenti di quelle qui riportate. 8.2. La città a valle Dunque, dicevamo, è giù che bisogna cercare tracce dell’abitato, sulle ultime balze del monte Sambùcaro. E infatti su di esse oggi sorgono due ridenti paesi: S. Vittore e S. Pietro infine. L’origine di questi due centri è medioevale e fu determinata dallo stato di insicurezza per le continue scorribande saracene. Ma nulla ci impedisce di pensare che in epoche molto precedenti quelle zone fossero abitate da popolazioni dedite alla pastorizia o all’agricoltura, popolazioni che, per la loro economia piuttosto povera, hanno potuto lasciare scarse tracce della loro frequentazione. Ma tali tracce non si debbono ricercare necessariamente sotto gli abitati medioevali dei due paesi. Vi è un’area assolutamente inesplorata proprio tra S. Vittore e S. Pietro infine, quella dove finisce la zona rocciosa del Sambùcaro e si adagia gradualmente verso la radice del monte. Lì il dilavamento dei fianchi della montagna ha accumulato metri e metri di terra e detriti, ciò significa che eventuali ricerche si dovrebbero fare a notevole profondità. nonostante ciò da una sommaria ispezione del sito si è notata una gran quantità di materiale laterizio in superficie. Ricalcando le orme di Livio non trovo indegno riportare anche … le “favole”. i più anziani della zona narrano che in quel luogo in tempi antichissimi sorgeva una grande città che veniva chiamata Napuluózzö: è evidente la derivazione da Neapolis, cioè nuova città. Ma probabilmente la tradizione nasce dal ricordo della cittadella dei Greci di cui ho parlato innanzi2. Però non è favola quanto segnalato dal Giannetti nella sua relazione già ricordata3. Egli accenna ad un complesso rurale in località 2 Vd. supra par. 1.1. 3 Vd. supra par. 4.4., nota 27. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 91 “Abbondanza” o “Mura abbandonate” ricco di resti murari molto antichi e di materiale fittile di varie epoche; dovrebbe essere ciò che resta di un antico tempio pagano frequentato in età preromana e romana. Ma diamo la parola al Giannetti: « … in località Mura Abbandonate, e precisamente nel terreno del sig. Luigi Decina, si scoprono segni di muri di fondazione affossati nel terreno coltivabile o affioranti da esso. Pare che detti muri siano formati alla base di grossi massi squadrati e, superiormente, di struttura ad opera incerta. Afferma il Decina che non è facile arare presso la casa colonica; e mostra due grandi pietre calcari aventi ciascuna una faccia squadrata in modo da combaciare perfettamente se poste in contatto. Ciascuna delle facce ha un incavo semisferico del diametro di circa m 0,50, mentre un lato dei massi misura circa m 0,80. La cavità sferica che si formava unendo i due massi comunicava con l’esterno a mezzo di una fessura, larga cm 1 0 x 7 aperta al vertice di una depressione imbutiforme. « È probabile che le due pietre fossero state così lavorate per formare il thesaurus di un tempio; e messa l’una sull’altra, con i due incavi combacianti, furono rinvenute ed estratte da terra alcuni anni fa. Del resto che in quel posto vi sia stato un tempio pagano lo si desume anche dalla numerosa suppellettile votiva (mani, piedi, maschere, testine, vasetti ecc.) che viene estratta da probabili favisse infossate nel terreno adiacente; che tale tempio risalisse ad epoca preromana perdurando fino ad epoca imperiale romana, lo si deduce da frammenti di ceramica recanti ornamentazioni tipo appenninico (bozze, tacche, mammelloni); o di ceramica a vernice nera dal Lamboglia classificata come Campana A e B; o da oggetti vascolari di forme grecizzanti; o infine da testine muliebri dalla particolare acconciatura dei tempi dell’impero romano. Da notare infine che il luogo suddetto è unito alla fortificazione di Colle Marena-Falascosa per mezzo di una strada che, inerpicandosi per un vallone, raggiunge Collecaso »4. Collecaso (o Collecase) è sul versante meridionale del colle Marena-Falascosa ed è servito da una comoda mulattiera che parte dalla località La Canala. A circa metà percorso di detta mulattiera sorgono i resti di una chiesa medioevale dedicata a S. Angelo; quel luogo è detto anche “Grotta di Annibale”. 4 Loc. cit. pag, 110. Vd. anche qui, Appendice A.3. 92 EMiLio PiSTiLLi 40- Le mura di S. Eustacchio sul versante meridionale del Sambùcaro. Per numerosi altri ritrovamenti in questa ed altre zone di S. Vittore rinvio al libro “San Vittore del Lazio – Storia economia e futuro di un paese”, del 1990, a cura dell’amministrazione comunale (pag. 49 e sgg.)5. 8.3. Un antico tratturo A rendere interessante il versante meridionale del Sambùcaro è la strada mulattiera che origina dall’antico centro abitato di S. Pietro infine e sale obliquamente verso Croce di Macchia quasi in linea retta, salvo un solo breve tornante. A circa metà di questo percorso, su una sporgenza del monte, sorgono resti molto interessanti di mura poligonali, simili a quelli della superiore fortificazione; le mura si dipartono dallo sperone del Sambùcaro e scendono a valle divaricandosi in modo da racchiudere una vasta area triangolare simile a quella della vicina Casinum; sui resti del promontorio sono state sovrapposte altre strutture murarie in epoca cristiana; il luogo è denominato “S. Eustachio”. 5 Anche “Lineamenti di storia di S. Vittore del Lazio”, a cura dell’Archeoclub di S. Vittore del Lazio, 1986. Si veda anche l’Appendice al termine di questo lavoro. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 93 41- Particolare delle mura di S. Eustacchio. A margine del complesso vi è una cisterna6. quelle rovine hanno tutto l’aspetto di un fortilizio di avamposto e di controllo della nostra mulattiera, che è l’unica via di accesso per il Molise. Ma non si puó escludere una importanza religiosa dal momento che in periodo benedettino vi fu innalzata la chiesetta di S. Eustachio: i monaci nella loro opera di evangelizzazione usavano sostituire ai santuari pagani le chiese cristiane. Della mulattiera mi sono occupato ampiamente in articoli vari7 nei quali la classificavo come tratturo per la transumanza di breve percorso tra la valle del Rapido-Peccia ed il vicino Molise. questa strada, che, come già detto, a partire dalla sommità di Croce di Macchia verso La Radicosa prende il nome “S. Leonardo”, è stata molto frequentata fino a tempi recenti da chi si muoveva per commercio o semplicemen6 Maurizio zambardi, San Pietro Infine, monumento mondiale della pace, 1998, pag. 38; id., Fortificazioni sannitiche in San Pietro Infine, in “oggi e domani”, bimestrale di S. Pietro infine, anno i, n. 1 (febbraio 1987), pagg. 4-5, dove si trovano interessanti e condivisibili spunti per la conoscenza del luogo e per la sua destinazione; a quest’ultimo lavoro rinvio per ulteriori approfondimenti. 7 Per tutti rinvio a “I vecchi tratturi per un turismo alternativo”, in “L’inchiesta”, 14.9.97, pag, 13; vd. anche supra, Appendice A.6. 94 EMiLio PiSTiLLi 42- Lo sperone di S. Eustacchio con uno dei muri in opera poligonale che scendono a valle. te per le fiere di bestiame tra il basso Lazio ed il Venafrano. L’unica alternativa a questo percorso era costituita, fino a qualche decennio fa, dalla carrozzabile “Tre Torri”, resa malfamata, quest’ultima, dalla presenza dei briganti; ora una moderna galleria risolve ogni problema di collegamento con il Molise. Da qualche anno la strada San Leonardo è stata resa percorribile con fuoristrada. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 95 9 - UN RICCO PATRIMONIO ARCHEOLOgICO 9.1. Antichità attorno ad Aquilonia La scoperta della fortificazione di Colle Marena-Falascosa coincise, nello stesso 1972, con il ritrovamento di numerosi altri resti archeologici. - nella frazione Muraglie, che chiude la spianata di Campopiano, oltre l’allineamento pseudo quadrato già ricordato1, vanno segnalati anche: un alto muro in opus incertum, con canali di scolo in terracotta di sicura epoca romana, a protezione della carrozzabile per S. Vittore (ora quel muro è stato abbattuto per ampliare la sede stradale!); un troncone di muro in opus reticulatum ribaltato dalla sua base. 43- Costruzione nuragica lungo la via S. Leonardo, tra Croce di Macchia e Radicosa. La foto è del 1972; lo stato attuale del manufatto è notevolmente peggiorato. 1 Vd. supra par. 5.1. e Appendice A.1. 96 - - - EMiLio PiSTiLLi in località Campopiano sono segnalate delle tombe a cappuccina; alcune di esse sono databili al iii sec. D. C. grazie al ritrovamento di una moneta di Gordiano; ma tutta l’area presenta tracce di lunghi allineamenti murari interrati, mentre i contadini riferiscono di ritrovamenti di lucerne e “candelieri” in bronzo; abbondante il materiale fittile. Spianata di S. Giusta: condotte idriche interrate in muratura, fornaci per il carbone e per la calce, tegoloni, di fattura molto antica, “che presentano in una faccia i segni del canniccio su cui furono messi ad asciugare quando l’argilla era ancora fresca2”. Sul lato settentrionale del colle Marena-Falascosa, a valle della strada S. Leonardo della frazione Radicosa, su una spianata frequentata da pastori, sorgono costruzioni di tipo nuragico di epoca e fattura indefinita3 L’area delle mura, che prima era frequentata solo da pastori e cacciatori, dopo l’annuncio della scoperta è stata meta di svariate escursioni di curiosi e di appassionati di antichità. Alcuni di questi hanno segnalato ritrovamenti di materiali fittili e qualcuno anche di monete; gli anziani di S. Vittore e di S. Pietro infine si sono ricordati di cose strane, di grotte, di sotterranei, visti in quei luoghi durante la fuga dai loro paesi nel 1943-44. Purtroppo in tali racconti non si sa mai quanto ci sia di vero e quanto sia da attribuire alla fantasia. E la suggestione di una scomparsa città sannitica di fantasie ne suscita! 2 A. Giannetti, loc. cit., pag. 110. 3 E. Pistilli, Un “nuraghe” a S. Vittore del Lazio?, in “il Gazzettino del Lazio”, 20.12.1972, pag. 2; vd. anche supra, Appendice A.5. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 97 APPENDICE A Appunti di ricerca Desidero affidare a questa pubblicazione alcuni dei numerosi appunti da me frettolosamente annotati durante e al termine delle mie escursioni in territorio di S. Vittore del Lazio in seguito al ritrovamento delle mura di Aquilonia. Spero si tenga presente che si tratta solo di appunti, non destinati ad essere pubblicati, e riferiti alla situazione del momento: se ora mi decido di inserirli è per non far perdere alcune importanti annotazioni che si riferiscono, spesso, a luoghi ora totalmente modificati. A.1. “Muraglie” 12 marzo 1972 Per giungere a “Le Muraglie” abbiamo dovuto attraversare tutto l’abitato di S. Vittore, imboccare la rotabile per Cervaro e subito dopo piegare a destra, in direzione nord-est. Da tale diramazione ha inizio la via Muraglie, quasi interamente lastricata di ciottoli levigati dal diametro medio di una dozzina di cm. La via è larga circa m. 2 (a detta del prof. Giannetti, che mi ha accompagnato, è molto antica); dapprima discende verso il torrente Rio S. Vittore, che attraversa per mezzo di un ponte rifatto in epoca fascista – nei dintorni è facile reperire mattoni rettangolari, cotti in modo imperfetto, di apparente epoca precristiana –, poi si inerpica, sempre in direzione nord-est, verso un colle che si erge dalle ultime pendici del monte Aquilone. A poco più di un chilometro dall’inizio della via, al termine di un breve ma duro strappo, si trovano delle abitazioni agricole (poche unità a destra e a sinistra). Lì abbiamo dovuto lasciare la macchina. Abbiamo rivolto poche domande ai contadini che abitano in quelle case. Abbiamo così appurato che nei campi circostanti, in special modo in quelli più a monte, è facile reperire un’infinità di cocci di fattura antica. Una donna, dopo una certa reticenza, ci ha dichiarato che tempo addietro, vangando nel suo podere su alle Muraglie, ha trovato dei resti di mura antiche abbastanza larghe. 98 EMiLio PiSTiLLi invogliati da tali notizie abbiamo proseguito a piedi. La via, dal luogo anzidetto, prosegue ancora nella stessa direzione per circa 800 metri, sempre con il fondo acciottolato, dopo di che giunge ad un bivio. qui hanno termine i ciottoli; sulla destra ci si affaccia sul vallone del Rio S. Vittore (sull’altra sponda del vallone si vedono le case della contrada “Canala” e la via per la “Radicosa”, entrambe frazioni di S. Vittore del Lazio); proseguendo si percorre una via mulattiera, che, pare, termina su un dirupo. La via Muraglie, invece, piega a sinistra in direzione nord-ovest ed è frequentemente attraversata da rigagnoli di acqua che sorge sul lato destro della via; da quello stesso lato si erge maestoso l’Aquilone e alle spalle il monte Sambùcaro. Dopo aver percorso quest’ultimo tratto per altri 500 m. (altrettanta strada ci rimaneva da fare per giungere alle abitazioni delle Muraglie, che si intravedevano più su) abbiamo incontrato un contadino che ci ha rivelato di aver trovato, tempo addietro, una tomba interrata sulla sommità del colle di cui abbiamo percorso le pendici (e di cui ho parlato prima). La tomba era formata da un letto di tegoloni di terracotta con i bordi esterni rialzati; sopra di essi poggiavano, a doppio spiovente, due file di tegoloni sì da formare un abitacolo a sezione triangolare; sulla sommità di detto abitacolo, a ulteriore copertura, correva una fila di canali semicilindrici. All’interno il contadino aveva rinvenuto uno scheletro ed un vasetto di ceramica “come un portacenere”. Lo stesso contadino ha poi ricordato di aver già notato delle tracce di mura antiche un po’ più su, in direzione nord (nella stessa direzione della tomba). Altre mura, a detta dello stesso, si trovano sulla via più a monte, nel piccolo centro abitato delle Muraglie; e proprio a questi ultimi muri, molto probabilmente, è da far risalire il nome della località. Dopo il colloquio con il contadino abbiamo abbandonato la via e, attraversando alcuni campi in direzione della sommità della collina, ci siamo ritrovati ai piedi di un terrapieno di forma quadrata e alto, sul lato sud, circa m. 2,50. Su questo lato abbiamo trovato un muro in pietra e calcestruzzo del tipo “opus incertum”, di fattura, però, molto accurata; il muro, ribaltato verso l’esterno ed in posizione quasi orizzontale, è lungo m. 3,50 circa, spesso oltre un metro; non è possibile accertarne l’altezza effettiva perché la base affonda nel terrapieno. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 99 Seguendo il muro sullo stesso lato, ma ad alcuni metri verso est, abbiamo rinvenuto un tratto di muro megalitico dell’altezza massima di m. 1,50 circa e lungo m. 6 circa, formato da due file sovrapposte di grossi macigni squadrati; ne abbiamo misurato uno: alt. m. 1, lungh. m. 1,10, profondità m. 1,10 il muro era quasi del tutto ricoperto di arbusti, terra e letame, lì riversato dalla vicina casa colonica sita nel bel mezzo del terrapieno. È stato necessario sterrarlo; e ciò è stato possibile grazie all’intervento del sig. Antonio Vendittelli, contadino del luogo. La zona del terrapieno viene denominata “Pezzelle”. Lo stesso Vendittelli ha poi affermato che mura megalitiche, dello stesso tipo di quelle appena rinvenute, ma 44- Muro di sostruzione in località Muraglie. formate da massi molto più grandi, si trovano alle spalle del monte Sambùcaro, in località “Falascosa” e “Marena”, due balze contigue separate da un avvallamento. La muraglia era possibile osservarla dal punto in cui ci trovavamo. infatti in direzione sud-est, a qualche centinaio di metri più giù della cima Marena (è strano come questo termine ritorni spesso nelle montagne del basso Lazio), a partire da un piccolo dirupo e procedendo verso est, è possibile distinguere nettamente una muraglia che scende leggermente verso il detto avvallamento per poi risalire lungo la zona Falascosa e scomparire verso la sommità dopo aver aggirato il cocuzzolo (che è un po’ più elevato del Marena). A detta del Vendittelli quei macigni sarebbero stati portati lassù dalle fate; tale credenza abbiamo riscontrato poi in altre due donne del luogo. Alla sommità delle due balze ci sarebbero due notevoli pianori, mentre un po’ più su del dirupo del Marena, donde ha inizio la muraglia, ci sarebbero i resti (sempre a detta del Vendittelli) di una bellissima “casa” fatta con pietre enormi e lavorate. Dopo tali interessanti dichiarazioni ci siamo aggirati nella zona del 100 EMiLio PiSTiLLi terrapieno ed abbiamo rintracciato altri resti di mura in “opus incertum”; taluni ribaltati come il precedente, altri costeggianti la via principale che in quel tratto, tra due brevi file di case, riassume la struttura a ciottolato. Sullo spiazzo superiore del terrapieno, davanti alla casa anzidetta, si trova una grossa pietra squadrata, attualmente usata come sedile, ritrovata per caso quasi nel centro di quella che oggi è l’aia della casa colonica. Da quel luogo si gode di un panorama bellissimo: le falde dell’Aquilone, il monte Sambùcaro, la valle del Volturno, Mignano Montelungo, la parte meridionale della valle del Liri, e, più da presso, S. Vittore; a occidente troneggia minaccioso il corno del colle “Chiaia”. Sembra che la via Muraglia prosegua, ma in pessimo stato, fino a Cervaro aggirando a nord il colle Chiaia. Sembra inoltre che tra il lato sinistro del Rio S. Vittore, ai piedi del monte Sambùcaro, e il poggio in cui è abbarbicata la contrada Muraglie, in prossimità della “Sorgentina” (a est della zona ispezionata), si trovi un ponte che gli abitanti definiscono molto antico. N. b. – La strada per la frazione Muraglie è stata rifatta dall’amministrazione comunale in tempi recenti con notevole ampliamento della carreggiata: ciò ha comportato anche l’abbattimento del lungo muro di epoca romana che fungeva da sostruzione nel lato a monte. A.2. Sambùcaro – Marena 16 marzo 1972 Dopo aver percorso circa due chilometri dalla via Canala in direzione nord-est, costeggiando il Rio S. Vittore, abbiamo seguito un tratturo che si inerpica alla sinistra di un valloncello verso la sommitaà Marena. il tratturo è impervio e molto spesso scompare per poi ricomparire più innanzi; ma notevoli sono le ramificazioni. La montagna è molto ripida, rocciosa e, per una larga fascia, ricoperta da una bassa boscaglia di carpini. Dopo una faticosa ascesa, accompagnato da mio fratello Romano, esperto fotografo, sono arrivato a circa m. 100 dalla cresta. Lì mi si è AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 101 finalmente presentata una lunga e poderosa muraglia, che, partendo da un dirupo roccioso che incombe su La Canala, piega verso oriente in un avvallamento che divide il Marena in due costoni e risale volgendosi a sud-est fino ad interrompersi nella sella tra il Sambùcaro e la cima Marena: quel punto, mi ha poi detto un pastore, viene denominato “La Croce”; ma vale la pena confermarne l’esattezza. Anche in tale luogo la muraglia si perde fra le rocce di un baratro che si affaccia un po’ più a nord di S. Pietro infine. il percorso della muraglia si puó calcolare attorno ai tre chilometri di lunghezza. La muraglia ha l’altezza media di m. 1,50; è interrotta solo in alcuni brevissimi tratti, a causa del vento, della pioggia e della neve; in tali interruzioni i pastori hanno ricavato dei passaggi per i loro sentieri. La struttura ha tutto l’aspetto di un gigantesco recinto ed è formata da un’infinità di pietre e macigni sovrapposti in maniera molto irregolare; la loro facciata esterna, per lo più spianata (ma sempre grezza), misura in media cm. 60 di altezza e 80 di lunghezza, mentre lo spessore è proporzionalmente molto più ridotto. Si tratta di pietre poste spesso di taglio, ma è molto facile trovare, nella composizione del muro, massi molto grandi, di forma tozza (quasi parallelepipedi) posti 45- Appunti per una rappresentazione grafica della cintura muraria di colle Marena - falascosa. in senso trasversale, dall’esterno all’interno, destinati, evidentemente, ad ancorare la struttura alla montagna. Taluni massi hanno la facciata superiore al metro e 20 cm. 102 EMiLio PiSTiLLi il lato esterno della muraglia è assai piatto, cioè privo di sporgenze ed ha tutto l’aspetto di muro poligonale. 46- Appunti presi sul luogo della muraglia. non è stato possibile accertarne lo spessore perché l’interno è tutto un riempimento di pietre e massi che vanno a congiungersi col terreno che sale rapidamente: lo spessore del riempimento va dai due ai tre metri e talvolta anche di più. il terreno esterno ai piedi della cinta muraria non presenta residui di pietre cadute dall’alto. Va tenuto presente al riguardo che un fortissimo vento spira da oriente ad occidente (cioè dall’esterno all’interno); sulle parti alte del colle il vento è addirittura irresistibile. Vale la pena riferire che in prossimità del termine sud-est ho trovato un vento tanto forte che minacciava di strapparmi via gli occhiali se non li avessi trattenuti costantemente con le mani. Una relativa quiete regnava invece nei rari avvallamenti, in special modo nel valloncello n. 1 (vedi fig. 45), dove ho trovato residui di mattoni e di vasetti (che ho consegnato al prof. Giannetti affinché li custodisse). Residui del genere ho trovato anche in prossimità del costone roccioso donde ha inizio la muraglia, sul versante della Canala (n. 2 fig. 45), e più su in un avvallamento (n. 3 fig. 45). Altrove non ne ho trovati. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 103 L’interno della cinta presenta una infinità di rocce affioranti dal terreno; tra esse i pastori hanno costruito, disseminati di qua e di là, una serie di ricoveri in pietra, ora scoperti, per riparare se stessi e le bestie dal vento. Tutta la zona è impervia e non presenta possibilità di agevole accesso se non sulla sella della muraglia (n. 4 fig. 45). Di là, infatti, sarebbe possibile far scendere una stradella con un largo giro verso le falde del Sambùcaro e alle spalle di un colle di fronte al Marena [collina “Stoppacciara”], zona, questa che non abbiamo esplorato (n. 5 fig. 45). Presso la sella, all’esterno del muro, abbiamo trovato una specie di rozzo lastricato, che potrebbe anche essere naturale; in quel punto il muro è per brevi tratti interrotto: talvolta ne restano solo singoli macigni poggiati sul terreno. Ma quella è la zona più sollecitata dal vento. Pochi metri più oltre la muraglia si perde fra le rocce dello strapiombo su S. Pietro infine. Al ritorno siamo scesi dal monte di fronte al Marena [Stoppacciara] (ad est), lungo il versante che guarda proprio quest’ultimo. neanche qui abbiamo trovato tracce di stradelle; cosa del resto impossibile, data la natura del terreno. Cosa fosse alle spalle del colle dal quale siamo scesi non so. A.3. “Mura abbandonate” 21 maggio 1972 in località “Mura Abbandonate” (nel dialetto locale pare si dica “Abbondanza”) ho ispezionato un campo sito ad ovest della vecchia via intercomunale che collega S. Vittore del Lazio con S. Pietro infine, ai piedi del monte Sambùcaro (in basso alla protuberanza Croce di Macchia). il terreno, con una casa colonica, è di proprietà di Luigi Decina di S. Vittore. Davanti alla casa sono posti due blocchi di pietra, identici, che, sovrapposti, formano un cubo di un metro con all’interno una cavità sferica del diametro di circa cm. 60 e perfettamente levigata. in una delle cavità semisferiche figura un foro comunicante con l’esterno del blocco. 104 EMiLio PiSTiLLi 47- Ritrovamenti in località Mura Abbandonate. A detta di Giannetti sarebbe un “tesaurus”. i blocchi sarebbero stati rinvenuti in loco, sovrapposti come già detto e pare che all’interno vi fosse della cenere e, forse, dei cocci. Sul terreno appartenente alla casa (poco più di un tomolo) si nota un AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 105 terrapieno malamente lastricato con pietre irregolari non molto grandi. Tutto all’interno ho raccolto, con il dott. Franco Galasso, una infinità di frammenti di ceramiche e laterizi (ne abbiamo riempito due sacchetti, ma ve ne sono ancora tanti, tanti): per lo più vasi di ogni sorta e di ogni fattura; molti sono anneriti all’interno, altri (pochi) sono verniciati all’esterno con una patina nera e qualche accenno di disegno; nel fondo di uno di questi vasetti si nota un’incisione a forma di margheritina [la solita “rosetta” di molta ceramica etrusco campana a vernice nera; vd. dis. 1 fig. 47 ]. Ho raccolto anche due tronchi di piramide di terracotta a base rettangolare e alti circa cm 8; verso la sommità vi è un foro orizzontale [questi manufatti in terracotta oggi vengono identificati come pesi per telaio]; su uno di questi appare una incisione sul lato largo alta cm. 3,5 [qualcosa tra una S ed un 8; vd. dis. 2 fig. 47]; altri frammenti notevoli sono stati catalogati. A m. 60 a sud della casa colonica esiste un arco in pietra in opus incertum, lungo circa m. 2 e affiorante dal terreno circa m. 1,50; sembrerebbe una porta. Al di sopra dell’arco è un forno di epoca più recente. il proprietario del terreno afferma che esistono delle fondazioni di muri interrati (dis. 3 fig. 47). numerosi cocci sarebbero stati presi da collezionisti di Cassino e di Roma (testoline, piedi, vasi, ecc., 48- Ricostruzione grafica di un vasetto a vernitutti in ceramica). ce nera in località Mura Abbandonate. Pare che nel terreno al di là della via, a nord dell’abitazione, esista una fontana molto antica, ma non l’ho visitata. A sud del terreno ispezionato c’è una cava di argilla abbandonata. Si puó pensare che tutto il complesso in questione fosse un tempio. nei giorni successivi altre escursioni sul luogo predetto. Uno del luogo (non mi si è voluto dire il nome) mi ha mostrato una punta di lancia, di fattura non comune, in ferro martellato (vd. dis. 4): è stata trovata all’interno del fondo Decina. 106 EMiLio PiSTiLLi A.4. “I Passeggeri” 10 giugno 1972 Dalla intercomunale S. Vittore - S. Pietro infine, subito dopo il convento (venendo da S. Vittore), in prossimità di una chiesa abbandonata [“Madonna del Soccorso”], si diparte una via che sale verso Sambùcaro, in direzione di una cava di stucco. Dopo circa m. 400 dall’inizio della via, si trova un casolare semidiroccato con una stalla. Adiacente al casolare, verso est, si notano delle arcate interrate, con pilastri quadrati che terminano a croce. i pilastri, su tre file (ognuna di tre) sono posti alla distanza tra loro di circa tre metri: potrebbe trattarsi di una chiesa molto antica, ma anche di una cisterna di epoca romana [sul luogo oggi sorge il ristorante L’oliveto]. Davanti a tali resti è stata rinvenuta una colonnina da balaustra in cemento, sezione quadrata, alta circa un metro, ornata con riquadri molto precisi sui lati. questo farebbe propendere per un chiesa. A.5. Via S. Leonardo – Croce di Macchia 27 agosto 1972 Via mulattiera che, dalla Radicosa, conduce a S. Pietro infine vecchia attraverso il passo di Croce di Macchia – Via S. Leonardo. La via, segnata sulle carte topografiche, proviene da Conca Casale, passa poco distante dalla Radicosa, a quota 550 m., e, senza mai perdere quota, sale a Croce di Macchia, a m. 702, distante circa m. 150 dalla porta principale di Aquilonia; di qui precipita trasversalmente sul versante sud del Sambùcaro e sbocca nella parte alta del vecchio e disabitato caseggiato di S. Pietro infine dopo essere passato ai piedi della protuberanza su cui sorgono le rovine di S. Eustachio. il tratto da me percorso è lungo dai sei ai sette chilometri e procede quasi sempre in linea retta, senza tornanti, fatta eccezione per l’angolazione di Croce di Macchia. A partire dalle poche abitazioni della zona, in prossimità della Radicosa, segnate a quota 575 sulla carta topografica militare al AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 107 25.000 del 1942, la via presenta notevoli resti di un ciottolato di media grandezza. Al centro della via corre una fila di pietre più grandi, come una spina dorsale. il lastricato si conserva ancora a volte sul lato sinistro della fila centrale, a volte sul lato destro, raramente per l’intera carreggiata, che varia da m. 1,50 a m. 2,50. Alla sinistra, procedendo verso sud, corre un terrapieno alto in media m. 1, da cui si dipartono alcuni sentieri che salgono verso la base del Sambùcaro (che domina sulla sinistra); alcuni di questi sono segnati sulla carta. il ciottolato è visibile fino a quota 624 (vedi la cartina allegata). A questo punto si ha l’impressione che la via abbandoni il primitivo tracciato (che dovrebbe procedere diritto, sia pure in salita) per volgere verso destra alla ricerca di un più agevole passaggio, con minore pendenza. Più oltre, appena valicato il colle prospiciente la Falascosa (il colle “Stoppacciara”), la stradella va quasi a perdersi nella folta macchia che si estende verso l’alto, sulle pendici del Sambùcaro. in corrispondenza del declivio della Croce di Macchia scompare del tutto. Riappare poi all’imbocco del versante sud del Sambùcaro, ma è soltanto un’impervia mulattiera pietrosa che ha subito chissà quanti ritocchi nel suo tracciato a causa delle innumerevoli frane che sconvolgono l’intero versante, assolutamente privo di vegetazione; di lì è indescrivibile il paesaggio che si puó ammirare. L’intero percorso, dalla Radicosa a S. Pietro infine, si puó dividere in due tratti: il primo quasi pianeggiante fino a Croce di Macchia e abbastanza agevole, il secondo fin troppo ripido. nel primo tratto si possono notare numerose tracce di un antico passato, a parte il fondo stradale che mostra inequivocabilmente quanto debba essere stato frequentato, nonostante l’assoluta mancanza di abitazioni nel raggio di diversi chilometri. nel punto segnato dal numero 1 sulla carta è posta, sul lato sinistro della via, una vaschetta in pietra locale lunga cm. 108, larga cm 53, alta da 40 a 30 cm., profonda all’interno cm. 22, con le pareti spesse cm 10, con due spigoli vivi su un lato lungo e due arrotondati sul lato opposto (come se fosse stata addossata ad una costruzione); nel fondo della vaschetta appare incisa la scritta: 8 S V M ben centrata, con lettere molto grandi. Addossato alla vaschetta, ma più in là, è un pozzo con l’interno in muratura (la parte superiore è stata rifatta) di fattura molto antica. L’interno è a forma di 108 EMiLio PiSTiLLi botte; al livello dell’acqua (a circa tre metri in basso) è largo circa m. 3, all’imboccatura appena un metro; la parte esterna affiorante è tutto un ammasso di pietrame, protezione precaria alla fonte d’acqua. A pochi metri di distanza da questo pozzo, a destra della via, in un breve pianoro, si notano altri tre pozzi, uno dei quali ha una copertura in cemento; di questi ultimi non ho potuto esplorare l’interno a causa dell’intenso buio che impedisce di vedere. Al numero 4 della carta si scorgono altri due pozzi identici al primo qui descritto (n. 1). Tutti i pozzi sono ricchi d’acqua e abitualmente usati dai pastori. Al numero 5, in prossimità del colle prospiciente la Falascosa (colle “Stoppacciara”), a quota m. 680, ho notato alcune costruzioni in pietra a secco, di fattura molto strana; un paio di queste hanno la vaga forma di nuraghi: una specie di tronchi di coni; l’interno (lastricato) è a bottiglia, cioè molto largo alla base, con una stretta apertura alla sommità; c’è una notevole sproporzione tra lo spessore del muro alla base e quello in alto. La porta d’ingresso è molto bassa: occorre chinarsi per entrare. Alcune di queste costruzioni sono invece squadrate e addossate alla parete rocciosa. Uno dei “nuraghi” si conserva in ottime condizioni, un altro è semidiroccato; da quest’ultimo si puó notare che le pietre, non molto grandi e irregolari, sono sovrapposte quasi in cerchi concentrici; dall’esterno, però, non si nota alcun allineamento. (fig. 43)1. Che servano da riparo per i pastori ed il bestiame è evidente, ma chi le ha fatte? A che epoca risalgono? quale tradizione le ha tramandate a noi in quel luogo? non è certo da tutti realizzare tali costruzioni, ardite nel loro genere. in tutto il mio girovagare nel basso Lazio e nel vicino Molise non ne ho mai viste di simili; mentre qualcosa che vi si accosti in maniera interessante si trova un po’ dappertutto in Puglia, specialmente nella penisola salentina: lì vengono chiamati furniéddi ed appartenevano al mondo agro pastorale; ora sono utilizzati soprattutto per essiccarvi fichi o altri frutti della campagna. L’accostamento non appare azzardato se ricordiamo che i pastori abruzzesi e molisani da tempi immemorabili hanno fatto transumanza in terra di Puglia: dunque quella tecnica edilizia puó essere stata acquisita in quelle occasio1 E. Pistilli, “Un ‘nuraghe’ a S. Vittore del Lazio?”, in “il Gazzettino del Lazio”, 20.12.1972, pag. 2. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 109 49- Via S. Leonardo: appunti in escursione. ni e riprodotta talvolta anche sui nostri monti, anche se va sottolineato che quelli di S. Vittore strutturalmente hanno qualcosa di diverso. nel primo tratto della via ho raccolto alcuni frammenti di ceramica, forse medioevale. nel secondo tratto poco da rilevare. A metà della discesa verso S. Pietro infine, ai piedi di S. Eustachio, 110 EMiLio PiSTiLLi si attraversa una muraglia (forse una porta) del tipo poligonale molto simile a quella di Aquilonia, con massi abbastanza grandi, ma è molto frammentaria. Discende da S. Eustachio e volge verso ovest. Dall’alto di Aquilonia è anche visibile. Da questo punto in poi la via deve aver subito numerose modifiche; talvolta è anche difficile riconoscerne il tracciato. Appena valicato il vallone “Strette”, in zona Castellone, il tracciato riprende ampio e ben conservato, fino alla sommità del paese abbandonato di S. Pietro infine. A detta di alcuni anziani pastori l’intera via veniva percorsa, forse fino a prima della 2ª guerra mondiale, molto di frequente; specialmente in occasione di fiere a Conca Casale i mercanti, i contadini e i pastori salivano lungo quella via, che era l’unica praticabile per chi proveniva dalla valle del fiume Peccia. N. b. – La via S. Leonardo a nord di Croce di Macchia è stata rifatta e resa carrozzabile: molte delle cose qui segnalate non sono più visibili. A.6. “Muraglie” 8 ottobre 1972 il contadino Vendittelli, fratello di Giuseppe, abitante a S. Vittore, mi riferisce che quando era piccolo, andando a “Marena”, sul pianoro vedeva una costruzione circolare in pietre a secco a forma di torre restringentesi verso l’alto. Dalla descrizione mi viene in mente il “nuraghe” ritrovato lungo la via S. Leonardo. Giuseppe Vendittelli, poi, ritiene che potrebbe essere stato costruito con delle forme interne in legno, forme che, a costruzione ultimata, venivano tolte; ma precisa che si tratta solo di una sua supposizione. A.7. S. Pietro Infine 1 dicembre 1972 il signor orlando Compagnone mi segnala tombe non ben precisate AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 111 su monte Sambùcaro e pitture in località “Santuiti” (S. Vito) presso “le grotte”. inoltre molti laterizi alle spalle del cimitero di S. Pietro infine in direzione dei “niri” (iannelli), dove dice di aver trovato anche delle “monete di terracotta”! 50- Il Casalino della Radicosa ed altri ritrovamenti in S. Pietro Infine. A.8. Vallone Radicosa 30 gennaio 1973 in località Colle Murato, alla Radicosa, ho ispezionato una costruzione, che lì chiamano “casarino”, a pianta rettangolare, lunga m. 3,60 e larga m. 2,20. Le pareti sono alquanto arcuate verso l’interno fino ad un’altezza di m. 1,60, al di sopra di queste poggia una copertura a volta la cui freccia misura m. 1,30. La porta d’ingresso è larga un metro ed 112 EMiLio PiSTiLLi alta m. 1,80. Lo spessore dei muri è di cm. 46. Sulla parete di sinistra, presso la porta, si apre un canale di scolo circolare lungo m. 1.70; il suo diametro misura cm 10. L’intonaco interno è di colore rossiccio, forse di cocciopesto. L’ambiente ha tutto l’aspetto di una cisterna. (Fig. 50.) A.9. “fauciara” S. Pietro infine 25 gennaio 1973 Campo antistante il cancello del cimitero, a sinistra della via comunale, di proprietà di olindo Rossi (?). Durante gli scavi delle vigne sono venuti alla luce numerosissimi frammenti di ceramiche e laterizi vari; a circa un metro di profondità si rinvengono grosse pietre squadrate solo su una faccia della larghezza di cm. 42 e lunghezza indefinibile perché interrate: appaiono di traverso (est-ovest circa) nei fossi per le viti; una di quelle pietre è stata estratta e misura circa m. 1,30. Un altro blocco di pietra è squadrata su tutte le facce e misura cm. 6 0 x 6 0 x 6 0 ; su un lato si notano dei piccoli incavi rettangolari (n. 1 fig. 50): forse servivano per gli incastri con altre pietre. in prossimità di un forno seminterrato, alla profondità di un metro, si vede un tratto di muro in opus reticulatum in pietra tufacea; numerosi tasselli di reticolato sono sparsi su tutto il campo. Sul terreno si trovano due basamenti di colonnine in pietra tufacea (n. 2 fig. 50), settori di cerchio in laterizio (n. 3 fig. 50), grossi mattoni di terracotta. Su un campo confinante è visibile un frammento di colonna in pietra nera (ma forse è cemento). Un profondo fossato mostra tracce, nell’interno, di muro in pietra e calce e gradini che scendono verso un arco in pietra interrato. i frammenti di ceramiche sono resti di vasellame domestico, ma taluni sono molto fini. Presenza di frammenti di intonaco con superficie esterna rossastra. Tutto lascerebbe pensare ai resti di una ricca villa di epoca romana o forse anche di un tempio (?). AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 113 Sul posto c’è stato l’intervento dei carabinieri di S. Pietro infine e della Soprintendenza di napoli, che pare abbia intenzione di effettuare degli scavi. Lungo la via del cimitero, sul muro a secco che la separa dal terreno di Apollonia Morgillo, ho raccolto una pietra spianata solo su un lato (alto cm. 35) con la scritta: … 03 … GELo Lo studioso Benedettino D. Angelo Pantoni definisce la scritta settecentesca: potrebbe leggersi: 1703 S. AnGELo e riferirsi alla scomparsa chiesa di S. Angelo di cui parlano le cronache cassinesi medioevali. 51- frammento di epigrafe in S. Pietro N, b, - Sul luogo ha effettuato Infine. degli scavi la Soprintendenza di napoli. A.10. “Campopiano” 9 novembre 1987 Accanto ad una tomba a cappuccina, m. 1 , 8 0 x 0 , 4 0 , orientata nord-sud, profondità cm. 50-60, ritrovata dai giovani dell’Archeoclub già manomessa, in posizione parallela a questa e a distanza di circa cm. 20 sul lato ovest, è stata individuata un’altra tomba di uguale fattura ma con doppio letto di mattoni: numerosi frammenti ossei, 52- Tombe a cappuccina in Campopiano. 114 EMiLio PiSTiLLi apparentemente di due diversi inumati (essendovi parti di cranio sia da una estremità che dall’altra); i mattoni apparivano di due diverse specie: una rossiccia ma molto friabile, e l’altra giallina, ben cotta e resistente; il tutto era crollato in seguito a schiacciamento. Al di fuori della seconda tomba, presso l’estremità sud, si è trovata una moneta di bronzo ben conservata, forse un sesterzio di Gordiano Pio (Gordianus Pius …), forse Gordiano iii, 238-244 d. C., e frammenti di un vasetto a ceramica rossa molto fine e sottile; sembra che vi fosse anche una lucerna a ceramica grigio-marrone, ma poteva anche trattarsi di altro vasetto. i rilievi dei ritrovamenti sono stati fatti 53- Moneta di gordiano III dai giovani dell’Archeoclub. in una tomba a Campopiano. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 115 APPENDICE b il patrimonio storico culturale di San Vittore del Lazio Con questa sezione desidero evidenziare il contesto storico e culturale dell’area interessata al ritrovamento delle mura di Aquilonia. Si tratta solo di una breve rassegna dal momento che per maggiori approfondimenti si puó fare riferimento alle pubblicazioni indicate nel testo e in bibliografia. b.1. La chiesa di San Nicola il sacro edificio sorge al termine di Via Greci, fuori dell’attuale centro urbano ma fuori anche della cinta muraria dell’antico castello1. Esso è legato alla presenza, nel territorio comunale, di una colonia di Greci stanziatasi lì probabilmente attorno al sec. X, nell’ambito di una capillare diffusione su tutto il territorio dell’abbazia di Montecassino2. ne sono conferma lo stesso nome S. nicola, come pure quello della scomparsa chiesa di S. Basilio e il toponimo medioevale “li Greci” giunto fino a noi con “via Greci”. Sulle origini della chiesa non abbiamo notizie precise; la si trova citata per la prima volta nel Regestum II Thomae Abbatis (12851288)3, poi nuovamente nel Registrum censuum et confinium del 1377, conservato nell’Archivio di Montecassino. Ma la sua costruzione è certamente di molto anteriore: lo confermano le strutture murarie dell’edificio e le pitture in esso conservate. All’iniziale unica navata lunga m. 26,90 e larga m. 5,80 furono aggiunti due corpi laterali, il campanile sul lato destro verso l’altare ed il coro in sostituzione dell’area absidale4. 1 “ex et prope castrum” si precisa in documenti dell’archivio di Montecassino. 2 Vd. supra par. 1.1. 3 Fol. Vi,v, nel quale risulta come chiesa parrocchiale. 4 Per notizie più dettagliate sulla struttura dell’edificio si veda: S. Vittore del Lazio: La chiesa di S. Nicola, a cura della cooperativa “Lavorare insieme” di Cassino, in “Lazio Sud”, i, n. 3 (maggio 1982); per gli affreschi: A. Pantoni, Le pitture di S. Nicola a San vittore del Lazio presso Montecassino, estr. dal “Bollettino d’Arte” 116 EMiLio PiSTiLLi i bombardamenti della seconda guerra mondiale hanno gravemente compromesso l’edificio, tuttavia una serie di provvidenziali interventi di restauro hanno salvato gran parte del patrimonio più prezioso della chiesa, gli affreschi medioevali, opera di pittori di scuola benedettina. Le pitture vanno dal secolo Xi, tempo dell’abate Desiderio che rese splendida la basilica di Montecassino, al sec. XiV. non mancano, però, tracce sottostanti di altri affreschi di epoca precedente, dei quali ancora non si sono occupati gli studiosi. Le decorazioni pittoriche più antiche attualmente visibili sono quelle della navata centrale: sulla parete di destra si riconoscono le figure di S. Luca e S. Giovanni Battista, del sec. XiV; sul primo arcone della navatella laterale campeggia il Cristo giudice (mutilato dalle opere di ristrutturazione) affiancato dalla Madonna e da S. Giovanni Battista, nonché da altre figure di santi ed apostoli, del sec. Xiii-XiV; sulla parete del secondo arcone fino al dopoguerra erano visibili pochi resti di un’ultima cena, accostabile alle pitture di S. Angelo in Formis, sec. Xi-Xii, e, di questa stessa epoca gli affreschi successivi raffiguranti una Madonna con il Bambino e S. Michele: questi, gravemente danneggiati dai bombardamenti, furono distaccati e portati a Roma per il restauro, ma non sono più tornati. Sulla parete di sinistra è appena riconoscibile un trecentesco S. Cristoforo, cui seguono le figure di S. Pietro e S. nicola, al quale è dedicata la chiesa: la loro esecuzione puó essere assegnata al sec. Xii. in alto, sulla stessa parete, sono tre figure, tra le quali sono riconoscibili S. Giovanni Battista, a destra, ed il Salvatore al centro; riferibili al sec. Xii; al di sotto della terza figura si scorge un papa, che potrebbe essere S. Callisto; più a destra è visibile una Madonna che allatta Gesù e accanto una santa, forse S. Margherita di Antiochia, protettrice delle partorienti, entrambe di fine Trecento. Le pitture dell’abside sono andate quasi del tutto perdute, salvo pochi frammenti che riconducono ad un Cristo centrale affiancato da due figure, mentre nella parte bassa doveva esserci una serie di persodel Ministero della Pubblica istruzione, nn. 2-3, aprile settembre 1968, pagg. 132135, riportato, con qualche variazione, nel “Bollettino Diocesano di Montecassino”, anni 1973-1975, e, infine, in “San Vittore del Lazio” dello stesso autore del 2002, op. cit., ormai fonte primaria per la conoscenza della storia di S. Vittore del Lazio; E. Pistilli, Chiesa di S. Nicola, San Vittore del Lazio, in “Presenza Xna, Diocesi di Montecassino”, a. iX, n. 2 (febbraio 1999). AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 117 naggi rappresentanti il collegio apostolico, riferibili all’inizio del sec. Xii. nel corpo aggiunto del lato destro della chiesa si conserva la parte più cospicua del patrimonio pittorico di S. nicola. La rappresentazione delle “sette opere di misericordia” – “dar da mangiare agli affamati”, “dar da bere agli assetati”, “visita agli infermi”, “vestire gli ignudi”, “ospitare i pellegrini”, “visitare i carcerati”, “seppellire i morti” – è opera sicuramente del sec. XiV e fu commissionata da nicola da Guererio, rettore della chiesa di S. nicola5. Della stessa mano è il contiguo ciclo del martirio di S. Margherita di Antiochia; seguiamo la descrizione che ne fa lo studioso benedettino Angelo Pantoni: « nella prima scena, partendo da sinistra, è l’incontro della santa col governatore pagano; nella successiva la santa testimonia, innanzi al medesimo governatore, la sua fede cristiana; seguono altre due scene, quasi del tutto svanite. nel registro inferiore la santa, in prigione, alza un martello per colpire, probabilmente, il demonio, raffigurato nel riquadro successivo all’inferriata della prigione; segue la scena dell’immersione della santa in una caldaia bollente, e, infine, la decapitazione e la glorificazione dell’anima trasportata da angeli. [ ... ] Manca nel nostro ciclo la flagellazione della santa, ma era certo presente in una delle due scene ora illeggibili »6. Lo stile degli affreschi della navatella di destra ha molti caratteri comuni con l’esperienza giottesca, il che ha dato spunto a diversi studiosi di avanzare le più disparate ipotesi, tra cui la possibilità che in Terra S. Benedicti sia passato un allievo di Giotto, ma anche, al contrario, che dalla scuola benedettina lo stesso Giotto abbia tratto ispirazione. Va ancora aggiunto che interessanti affinità si possono riscontrare con alcuni affreschi della chiesa di S. niccolò di Treviso (sec. Xiii), specialmente per il gusto decorativo riferito al panneggio sottostante alla raffigurazione della Madonna con Bambino attorniata da santi, sotto l’organo della navata di destra, e a quella contigua della Vergine in trono con S. Domenico (?); entrambe sono assegnate a frescanti operanti tra il XiV ed il XV secolo7. 5 nella scritta dedicatoria ancora si legge: (Hoc opus) fecit fieri per nicola(us) da(?) guererio rector eccle. sci/ (Nicol)ai post mortê suã p. manu ... 6 A. Pantoni, Le pitture di S. Nicola ..., cit., pag. 134. 7 Per maggior precisione posso aggiungere che gli affreschi in questione furono ritro- 118 EMiLio PiSTiLLi Al di là di tali questioni resta l’enorme importanza delle pitture di S. nicola nel panorama artistico dei secoli Xi-XiV, del quale non si conosce ancora abbastanza. Dalla stessa chiesa è stato recuperata una sola statua lignea, quella di S. nicola, del sec. Xiii, alta circa m. 1,50; dopo il restauro fu affidata al museo di Montecassino dove attualmente è custodita. La chiesa, ora monumento nazionale tutelato dalla Soprintendenza ai Beni culturali, a restauro ultimato, ha assunto l’aspetto austero delle origini, avendo perduto il corpo aggiunto di sinistra e l’atrio di fine seicento, quando le pitture erano coperte da una mano di bianco8. 54- L'austera facciata della chiesa di S. Nicola. vati dal professor Mario Bottar, restauratore di molte opere d’arte di Treviso, nel 1923 sotto uno strato di calce; la Madonna con Bambino è affiancata da S. Giuliano, S. Giovanni Battista, S. Pietro ed altri tre santi ed è assegnata agli inizi del ‘400 con residui di bizantinismo, mentre la Madonna in trono, affiancata da S. Domenico, o forse S. Tommaso D’Aquino, che le porge il plastico della chiesa, è della prima metà del ‘300; enttrambi gli affreschi sono di autore ignoto. 8 Inventaria ecclesiarum, del 29 luglio 1696, in Archivio di Montecassino, t. iii, S. Vittore. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 119 55- Il campanile di S. Nicola. 56- La campana di S. Nicola sembra chiamare quella di S. Maria della Rosa. 120 EMiLio PiSTiLLi 57- Interno della chiesa di S. Nicola dopo il restauro. 58- S. Nicola: navata centrale e navatella laterale. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 59- S. Nicola: il corpo aggiunto della navatella laterale. 60- Presso l'ingresso a destra: S. giovanni battista (a sinistra) e S. Luca. 121 122 EMiLio PiSTiLLi 61- S. Nicola: al di sopra della prima arcata: serie di sei personaggi che guardano verso sinistra: probabilmente sei apostoli. 62- S. Nicola: al di sopra della seconda arcata: deposizione dalla croce. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 123 63- S. Nicola: navatella di destra; veduta d'insieme dei due cicli delle opere di misericordia e di S. Margherita di Antiochia. 64- S. Nicola: navatella di destra; le sette opere di misericordia: in alto "dar da mangiare agli affamati" e "dar da bere agli assetati"; in basso: "vestire gli ignudi" e "ospitare i pellegrini". 124 EMiLio PiSTiLLi 65- S. Nicola: navatella di destra; in alto: Cristo benedicente tra due angeli e "visitare gli infermi"; in basso: "visitare i carcerati" e "seppellire i morti". 66- S. Nicola: navatella di destra; il ciclo di S. Margherita di Antiochia; in alto: S. Margherita incontra il governatore pagano; la santa testimonia la sua fede cristiana dinanzi all'imperatore; in basso: S. Margherita in prigione alza il martello (a sinistra) per colpire il demonio (a destra). AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 125 67- S. Nicola: navatella di destra; in alto: un episodio della vita della santa e la sua flagellazione; in basso: S. Margherita immersa in una caldaia bollente e la sua decapitazione e glorificazione. 68- S. Nicola: altri riquadri nella navatella di destra, verso l'ingresso. 126 EMiLio PiSTiLLi 69- S. Nicola: particolare dell'affresco (foto 68). 70- S. Nicola: l'Annunciazione, nell'affresco di foto 68. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 127 71- S. Nicola: S. giovanni Evangelista, nell'affresco di foto 68. 72- S. Nicola: navatella di destra, verso l'ingresso: figure di santi. 128 EMiLio PiSTiLLi 73- S. Nicola: l'abside con tracce superstiti di affreschi. 74- S. Nicola: lato destro dell'abside; frammento della raffigurazione del collegio sacerdotale. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 129 75- S. Nicola: lato destro dell'abside; in basso: panneggio con figure simboliche. 76- S. Nicola: lato sinistro dell'abside; frammento del collegio apostolico. 130 EMiLio PiSTiLLi 77- S. Nicola: lato sinistro dell'abside; in basso: panneggio con figure simboliche. 78- S. Nicola: parete sinistra; S. Cristoforo. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 131 79- S. Nicola: parete sinistra; S. Pietro (a sinistra) e forse S. Nicola; sec. XII. 80- S. Nicola: parete sinistra; figura sacerdotale non identificabile. 132 EMiLio PiSTiLLi 81- S. Nicola: parete sinistra; il Cristo con S. giovanni battista (a destra). 82- S. Nicola: parete sinistra; figura di santa. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 133 83- S. Nicola: parete sinistra; presso l'ingresso: uno stemma, probabilmente quello di Capodiferro, e tre angeli. 84- S. Nicola: parete d'ingresso; tracce non leggibili di affreschi nella parte bassa. 134 EMiLio PiSTiLLi b.2. Chiesa di Santa Maria della Rosa È la chiesa matrice del paese, presente già nel sec. Xiii-XiV, quando era sotto il titolo di Archipresbiteralis Ecclesia Sanctae Mariae9, in seguito detta anche S. Maria Maggiore. Acquisì il titolo attuale di S. Maria della Rosa nel 1561, quando l’altare laterale di S. Maria della Rosa fu incorporato in quello maggiore. L’edificio è a tre brevi navate e presenta la particolarità del campanile posto al centro della facciata d’ingresso. Prima degli eventi bellici del 1943-44 nella chiesa esistevano opere ed arredi cinque-seicenteschi, come gli otto altari ed il pregevole coro ligneo, in gran parte distrutti o trafugati. Per fortuna si sono salvati due confessionali del ‘700 e soprattuto il pulpito cosmatesco del ‘200 ed il monumento funebre del vescovo Guglielmo Capodiferro del ‘300. Di particolare interesse, oggi, i due portoni di bronzo: quello centrale intitolato “Mistica rosa”, inaugurato il 7 maggio 1994, e quello laterale dedicato a S. Vittore Martire, inaugurato il 10 maggio 1998, entrambi opera dello scultore Alberto Di Campli. 85- Chiesa di S. Maria della Rosa; lato nord. 9 Registrum confinium et Censuum (1278-1410), manoscritto in Archivio di Montecassino. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 135 86- Il campanile di S. Maria della Rosa e la torre dell'orologio. 87- S. Maria della Rosa; in primo piano l'antico campanile a vela. 136 EMiLio PiSTiLLi 88- Il campanile della chiesa maggiore svetta su tutto il centro abitato. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 137 89- S. Maria della Rosa; porta centrale di bronzo intitolato "Mistica Rosa", opera dello scultore Alberto di Campli. 90- S. Maria della Rosa; porta laterale di bronzo intitolata a S. Vittore Martire, opera di Alberto di Campli. 138 EMiLio PiSTiLLi 91- S. Maria della Rosa; interno. b.3. Il pulpito cosmatesco Posto nella parte centrale della chiesa, verso sinistra – fino a tempi relativamente recenti era sul lato destro in posizione opposta all’attuale –, costituisce una delle maggiori attrattive del paese per i cultori di arte antica. La composizione nel suo insieme, leggera e sobria, richiama modelli non presenti nel territorio. il pulpito, adorno di interessanti sculture e mosaici, poggia su quattro esili colonne, probabilmente provenienti da un riutilizzo, poggianti a loro volta sul dorso di quattro leoni che guardano verso l’interno. Particolarmente importante è la raffigurazione dell’eone lettorino che sostiene il leggìo del pulpito: in esso si interpreta il nudo del corpo umano in maniera totalmente svincolata dai modelli, ancora predominanti in quell’epoca, del nudo classico romano. Di pregevole fattura anche i mosaici che “con i pavoni affrontati, ai lati di uno degli archi trilobi di sostegno, mostrano una leggerezza di fantasia che non si vede nella più ricca Ravello10”. 10 A. Pantoni, San Vittore, op. cit., pag. 91, anche in “Bollettino Diocesano di Montecassino”, n. s. anno XXX (1975), n. 1, pagg. 82-83; lo studioso benedettino AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 92- S. Maria della Rosa; il pulpito cosmatesco. 139 140 EMiLio PiSTiLLi La datazione dell’opera si puó far risalire al ‘200, sia per le sculture che per la tipologia dei capitelli. b.4. Il monumento funebre di guglielmo Capodiferro (guglielmo di S. Vittore) nell’ingresso della chiesa di S. Maria della Rosa, sul lato destro, incassato nella parete, è visibile un monumento marmoreo rappresentante un personaggio disteso in posizione di morte, rivestito dei sacri paramenti vescovili. Sulla breve parete di testa è infisso lo stemma di famiglia: il capo di un guerriero protetto da un’armatura di ferro. Una piccola lapide di marmo (cm. 23x42) reca la motivazione del monumento: GUiLLELMo iii CAPoFERREo qUi EX TURonEnSiS ECCLESiAE in GALLiA THESAURARio EPiSCoPUS THEATinUS A BEnEDiCTo Xii Anno MCCCXL. CREATUS, ET Anno MCCCLii. MoRTUUS EST SAnCTi ViCToREnSES ConCiVi SUo PoSUERE Anno MDCCXXXVi Come si vede, l’iscrizione del 1736 si riferisce ad un Guglielmo iii Capodiferro, vescovo di Chieti a partire dal 1340. La lapide è di gran lunga posteriore al monumento, che, per caratteristiche tipologiche e per fattura, è senza dubbio del tardo Trecento11; mentre il testo dell’epigrafe è tratto quasi integralmente dalle brevi note storiche dell’Ughelli in Italia Sacra del 172012. La famiglia Capodiferro, o Capoferro, è attestata a S. Vittore fin si rifà al giudizio espresso da G. nicco-Fasola, Due pulpiti campani del XII e del XIII secolo, in “L’Arte”, XLi (1938), pag. 10. 11 A. Pantoni, S. Vittore, Viii, in “Boll. Dioc.”, cit., pag. 83. 12 F. Ughelli, Italia Sacra, a cura di n. Ughelli, Venezia, Coleti, Vol. Vi, 1720, coll. 741-742. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 141 dalla metà del 1200. Troviamo infatti un Riccardo Capoferro (Capuferrus) come testimone in un contratto stipulato a S. Vittore il 4 febbraio 125313. nel 1273 figura testimone in uno strumento Petrus Capiferrus14. Ancora gli eredi di Riccardo Capoferro risultano proprietari terrieri nel 127415. nel sec. Xiii il cognome Capodiferro o Capoferro era abbastanza diffuso nel meridione d’italia, in particolare a Benevento, dove attorno al 1252 un Capoferro viene eletto arcivescovo. nei secoli XV-XVi troviamo a Roma un ramo molto potente dei Capodiferro. Ma veniamo al nostro Guglielmo Capodiferro, più noto come Guglielmo di S. Vittore. non se ne conosce la data di nascita, probabilmente nell’ultimo ventennio del sec. Xiii, né si hanno notizie sulla sua formazione giovani- 93- S. Maria della Rosa; il monumento funebre al vescovo guglielmo Capodiferro. 13 Regesto di Tommaso Decano, in “Tabularium Casinense” di Montecassino, 1915, n. LVi, pag. 113. 14 ibid. n. 313, pag. 135 e n. 388, pag. 160. 15 Regesti Bernardi I Casinesis fragmenta, a cura di A. M. Caplet, Roma, Tip. Vaticana, 1890, n. 431, pag. 184. 142 EMiLio PiSTiLLi le. Lo si incontra per la prima volta nel 1310 con la carica di “scrittore” alla corte papale di Avignone16. nel giugno di quello stesso anno risultava come canonico della chiesa di Chieti e denunciò a papa Clemente V l’irregolarità dell’elezione a vescovo di Chieti di Goffredo di Galluzio. L’anno successivo era canonico nella chiesa di Agrigento. La brillante carriera ecclesiastica di Guglielmo continuò anche durante il papato di Giovanni XXii. nel 1316 era arcidiacono della chiesa di Aquino e conservò i benefici acquisiti nelle diocesi di Chieti e di Agrigento, nonché nelle diocesi di Palermo e di Terra di Lavoro. nel 1317 ricevette l’abbaziato del monastero di S. Pietro di Laureto, però dovette rinunciare al titolo di arcidiacono della chiesa di Aquino; ma, a riprova dell’influenza della sua famiglia, un suo parente, nicola Capodiferro di S. Vittore, prese il suo posto nella chiesa aquinate, mentre il fratello Raimondo risiedeva ad Avignone, presso la corte papale ed era abate a napoli nel monastero di S. Sebastiano, che amministrava per mezzo di procuratori. quest’ultimo fatto non piacque al vescovo di napoli Umberto, che impose dei gravami al monastero di S. Sebastiano. Raimondo interpose i buoni uffici del fratello Guglielmo ed ottenne nel 1319 da Giovanni XXii di essere liberato dai gravami. nel 1318 Guglielmo chiese la prepositura di S. Pietro della Foresta in cambio dell’abbazia di S. Pietro di Laureto. nel 1321 era stato nominato vescovo di Atri e Penne, ma vi rinunciò in favore del fratello Raimondo; in quello stesso periodo risultava ancora come “scrittore” del Papa. Ancora nel 1321, insieme al vescovo di Catania e all’abate della SS. Trinità di Mileto, venne incaricato di favorire la pace fra Roberto re di napoli e la Chiesa di Cosenza, che si contendevano il possesso del castello di S. Liceto Calabro. intanto il 2 maggio dell’anno successivo papa Giovanni XXii, per le esigenze del popolo della Terra S. Bendicti e in omaggio a S. Benedetto, stabilì che l’abbazia cassinese fosse, per l’innanzi, sede di episcopato, soggetto alla Chiesa Romana. 16 Le notizie che da questo punto si riportano sono tratte per lo più da Giulia Barone in Dizionario Biografico degli Italiani, ist. Enc. ital. n. 18, pag. 629 sgg. s. v. Capodiferro Guglielmo; vd. anche E. Pistilli, Guglielmo Capodiferro, in “Lazio Sud”, anno Vi (1987), n. 4. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 143 Ma i vescovi venivano nominati ad Avignone e spesso non si recavano neppure sul luogo, preferendo governare per mezzo di vicari17. Fu così che nel 1323 oddone, patriarca di Alessandria e amministratore della diocesi cassinese, esentò i benefici di Guglielmo Capodiferro dalla propria giurisdizione. Un altro beneficio ottenne nel 1324 a Wambeke nella diocesi di Cambrai (60 lire tornesi all’anno). Verso la fine di quello stesso anno venne nuovamente nominato vescovo di Atri, senza tuttavia occupare la cattedra vescovile. il 10 marzo 1326 fu nominato cappellano del Papa e il 13 di quello stesso mese rinunciò all’episcopato. Grazie alla particolare benevolenza di Giovanni XXii ottenne numerosi altri benefici, a cui però dovette rinunciare nell’ottobre del 1329 in cambio delle cospicue rendite derivanti dalla nuova nomina a tesoriere della chiesa di S. Martino di Tours; gli restavano soltanto i benefici siciliani, i cui proventi però non incassava da anni. Con la morte di Giovanni XXii (1334) non cessò la benevolenza del papato: anche il successore Benedetto Xii (o Xi) intervenne in suo favore presso il vescovo di Cassino “affinché questi costringesse tal Bartolomeo Plumbate a render conto dei benefici – soprattutto siciliani – del C., i cui proventi non erano entrati in possesso del titolare per molti anni, procurandogli un danno di circa 12.000 fiorini”18. nel 1340, dopo una presenza trentennale presso la Curia papale, dove aveva esercitato una notevole influenza – “Papae notarius” lo definisce Ughelli19 – accettò la nomina a vescovo di Chieti (17 marzo); fu consacrato da Bertrando, vescovo di ostia e Velletri, il 23 luglio, ottenuto il permesso di lasciare la Curia, intraprese effettivamente la nuova attività pastorale, anche se continuò ad esercitare una certa influenza nell’amministrazione pontificia. interpose i suoi uffici anche nell’inchiesta sull’elezione del vescovo di Aversa Giovanni Mathoni, nella quale ci sarebbe stata l’interferenza del re di napoli Roberto d’Angiò. Di quest’ultimo pare che il nostro Guglielmo sia stato amico e consigliere20. 17 T. Leccisotti, Montecassino, X ediz., Montecassino, 1983, pag. 73. 18 G. Barone, loc. cit., pag. 630 b. 19 F. Ughelli, loc. cit., col. 741 sgg. 20 ibid. 144 EMiLio PiSTiLLi non dimenticò “i membri della sua famiglia se nominò quale suo vicario generale un nipote, Pietro Capodiferro di S. Vittore, canonico della chiesa teatina”21. Guglielmo non ebbe vita facile nella diocesi di Chieti: fu aspramente avversato da un suo feudatario, Francesco Della Torre, che aveva usurpato i beni della Chiesa e ucciso numerosi laici e chierici. nel 1349, anno in cui fu devastata da un violento terremoto la Terra S. Benedicti e rasa al suolo l’abbazia di Montecassino, lanciò la scomunica contro il Della Torre, ma fu costretto a riparare in esilio. nel 1350 estese la scomunica ai partigiani del suo nemico perché avevano usato violenza contro i suoi fedeli. La sua brillante carriera veniva amareggiata proprio in prossimità della morte che lo colse tra il 1352 e 1353. L’ultima notizia della presenza della famiglia Capodiferro in S. Vittore è riferita all’anno 1454 con un certo Antonello de nofro capo ferro, menzionato per il pagamento del censo per la franchigia dagli obblighi feudali22, dopo di che non ve n’è più traccia. Una persistente tradizione orale, infine, riferisce che la statua giacente del vescovo Guglielmo Capodiferro sia stata traslata nell’attuale chiesa, non si sa quando, da una precedente sistemazione in un palazzo gentilizio lungo via Castello. in questa via effettivamente sorge un lungo arco chiamato arco Capodiferro: sulle sue pareti si distinguono appena delle pitture con stemmi gentilizi. Sembra confermare in un certo modo la tradizione, quanto si legge nel volumetto Ricordi del XVI centenario del glorioso martire S. Vittore Mauritano, del 1903: « Esistono tuttora, quasi nel centro del castello i ruderi del palazzo di questa nobile famiglia [i Capodiferro], parte ridotti a nuove abitazioni, parte rimasti testimonio di vetustà »23. Potrebbe avere attinenza, con detto palazzo, quello della sede rettorale descritto in un inventario del 1534: “in primis un Palazzo dentro dicto Castello di membri 12, con un cortiglio, et uno orto circuito tutto di muro intorno, dove si dice La ritta, fine le mura pubbliche, la Ecclesia di S. Maria, dentro lo quale palazzo c’è una cappella”. Si tratta comunque di notizie troppo vaghe per avere un serio fondamento di attendibilità. 21 ibid. 22 Registrum II ludovici Abbatis commendatarii, f. 159r. 23 A cura del Comitato dei festeggiamenti, Caserta, Tip. S. Marino, 1903, pag. 10. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 145 b.5. Il castello nella storiografia cassinese si parla per la prima volta di un castello di S. Vittore nel 1045, quando i normanni, scacciati un po’ dovunque dal territorio abbaziale, fecero resistenza solo nel castello di S. Vittore e quello di S. Andrea24. nella stessa fonte S. Vittore, liberato dopo pochi giorni, viene poi ricordato come oppidum25. Di nuovo come castello figura nel privilegio di papa Vittore ii all’abate Federico, dove si precisa che alcuni castelli o “castra” all’origine furono monasteri26. Come castrum lo ritroviamo nel 1123, quando i suoi abitanti con giuramento si allearono con i ribelli di S. Angelo in Theodice contro l’abate oderisio27. il castello di S. Vittore ebbe notevole importanza per la sicurezza della Terra di S. Benedetto grazie alla sua posizione prossima ai confini, e ciò è dimostrato anche dalle sue numerose vicissitudini a causa di fatti bellici. Tra questi basti ricordare la devastazione subita nello scontro tra Ruggero ii e papa innocenzo ii nel 113928; oppure l’espugnazione ad opera delle soldataglie di Markualdo nel 119929; o quella di Luigi ii 24 Chron. Cas., ii, cap. 71: « ... universam protinus Terram in circuitu peragrantes, ac subita formidine captos homines aggredientes, praeter castellum sancti Victoris, et praedictum arcem sancti Andreae, universa fere eo die, Deo auxiliante, recipiunt ». 25 ibid.: « ... et praedicto sancti Victoris oppido post paucos dies recepto ». 26 E. Gattola, Accessiones, i, pag. 157. 27 Chron. Cas., iV, cap. 79: « interea homines de sancto Angelo Todici, qui omnium tribolationum, et persecutionum in hoc loco venientium semper caput, et auctores fuerunt, sociatis sibi his, qui castrum sancti Victoris incolebant, contra eundem abbatem conspirant, et jurisjurandi nexibus se mutuo alligant, ut nequaquam huic Casinensi Coenobio, Abbatique fidelitatem faciant, nisi ad suum velle relaxiones illis, et placita tribuat ». 28 L. Tosti, Storia della Badia di Montecassino, Pasqualucci, Roma, 1889, ii, pag. 107: « in mezzo alle ostilità dei regii e dei pontificii patirono assai le terre cassinesi. Sant’Angelo in Theodice, Cucuruzzo, Mortula, San Vittore e San Pietro-infine andarono miseramente guaste dal fuoco ». Si veda anche qui il par. 1.1. 29 Riccardo da S. Germano, Chronica, a cura di A. Garufi, Bologna, 1938, “Rerum italicarum Scriptores”, Vii, pag. 20: « Hic per Venafrum veniens maledicus cum maledictis terram sancti ingressus est Benedicti; et primum castrum sancti Petri in fine, desertum ab incolis causa metus nullo obstans occupans, igne cremavit; castrum sancti Victoris vi capiens, bonis propriis spoliavit et movens exinde castra sua Cervarium et Toroclum, duo scilicet castra ab habitatoribus derelicta, combus- 94- San Vittore del Lazio; veduta generale del paese; la parte più alta era racchiusa nelle mura del castello. 146 EMiLio PiSTiLLi AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 147 D’Angiò che nel 1382 col suo esercito prese con la forza S. Vittore prendendo in preda beni e persone30; e, non ultima, la conquista di Braccio da Montone, signore di Capua, nel 142131. Per i tempi successivi Pantoni ricorda: « Di altre devastazioni nella zona reca traccia il Registrum dell’abate Enrico Tomacelli, tra il 1400 e il 1401, e, del resto, una vera tranquillità non sarà conseguita, se non un secolo dopo, con l’affermarsi definitivo del dominio spagnolo su tutto il regno »32. Ma l’ultimo capitolo delle traversie del castello di S. Vittore, con tutto il centro abitato, è quello dei bombardamenti del 1943/44. Secondo il De Miranda le mura del castello avevano ben 23 torri33; forse si tratta di un’esagerazione, ma alcune di esse sono ancora ben visibili. 95- La torre quadrata dell'antico castello domina via S. Croce. sit ». Vd. anche A. Pantoni, S. Vittore, i, in Boll. Dioc., cit., 1973, n. 3, pag. 233. 30 A De Tummolillis, Notabilia temporum, a cura di C. Corvisieri, in “Fonti per la Storia d’italia”, istit. Storico ital., Roma, 1890, Vii, “Scrittori sec. XV”, pag. 9: « ...accessit ad sanctum Victorem quod vi cepit et exposuit in praedam bona omnia ac homines et mulieres eiusdem, et deinde cepit castrum sancti Petri in fine ». 31A. De Tummolillis, op. cit., iii, pag. 106: « ... et optinuit castrum sancti Victoris, et Castrumnovum et Pedemontem ». 32 A. Pantoni, loc. cit. 33 S. De Miranda, S. Vittore Mauritano Martire e le memorie ambrosiane della Campania, napoli, 1932, pagg. 4-6. 148 EMiLio PiSTiLLi 96- La torre cilindrica incorporata dalle abitazioni di privati, visibile da piazza Municipio. 97- L'arco gotico di piazza Municipio, antico ingresso al castello. 98- San Vittore del Lazio: l'antico centro storico; il campanile si erge da sempre come sentinella sulla valle. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 149 150 EMiLio PiSTiLLi b.6. Il paese oggi attraverso le immagini 99- Il centro storico con i campanili di S. Nicola (in basso), S. Maria della Rosa e la torre dell'orologio. 100- Il paese è immerso nel verde perenne di fertili oliveti. 151 AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 22 21 23 20 19 18 2 10 9 13 12 11 7 5 8 6 1 14 17 15 16 3 4 101- Cartina di riferimento delle foto del centro storico di S. Vittore; evidenziato il circuito delle mura del castello. 152 EMiLio PiSTiLLi 102- La monumentale fontana di piazza Municipio: n. 1 della cartina di riferimento delle foto. 103- L'arco di via Castello con veduta sulla chiesa di S. Maria della Rosa: n. 2 della cartina. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 153 104- Ingresso al palazzo del Castello: n. 3. 105- L'arco Capodiferro: n. 4. 154 EMiLio PiSTiLLi 106- Traversa di via Castello: n. 5. 107- Traversa di via Castello: n. 6. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 155 108- Traversa di via Castello: n. 7. 109- Via Castello; portale del palazzo giangrande: n. 8. 156 EMiLio PiSTiLLi 110- Via Castello: n. 9. 111- Via Castello: n. 10. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 157 112- Scalinata su via Castello: n. 11. 113- Traversa di via Castello: n. 12. 158 EMiLio PiSTiLLi 114- Via Castello: n. 13. 115- Veduta parziale di piazza Municipio dall'arco gotico: n. 14. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 159 116- gli antichi vicoli che si dipartono da piazza Municipio: a sinistra traversa di via Roma, a destra via greci: n. 15. 117- Via greci: n. 16. 160 EMiLio PiSTiLLi 118- Traversa di via Roma: n. 17. 119- Traversa di via Roma: n. 18. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 161 120- Via Roma: n. 19. 121- Traversa di via Roma: n. 20. 162 EMiLio PiSTiLLi 122- Via Roma: n. 21. 123- Traversa di via Roma: n. 22. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 163 124- Traversa di via Roma: n. 23. 125- Il convento delle Suore della Purità posto all'esterno del paese. 164 EMiLio PiSTiLLi 126- La chiesa campestre di S. Sebastiano, detta anche Madonna del Soccorso. 127- Chiesa di S. Sebastiano: affresco raffigurante il santo martire. AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 165 128- Affresco della chiesa di S. Croce, andato perduto con la demolizione della stessa chiesa. 129- S. Vittore del Lazio in una cartolina del 1926, quando era ancora in provincia di Caserta. 166 EMiLio PiSTiLLi bIbLIOgRAfIA - A. Bandini, Storia e arte militare in Encicl. ital., XX, pag. 775, s. v. Legione. - G. Berzero, Ab Urbe condida, Lib. X. - D. Caiazza, Archeologia e storia antica del mandamento di Pietramelara e del Montemaggiore, Pietramelara, 1986. - G. F. Carettoni, Casinum, istituto di Studi Romani, 1940. - Centri fortificati del Lazio meridionale, “Centro Studi Storici Saturnia, Atina, 1998. - Chronica Monasterii Casinensis, M.G.H., Scriptores, 1980, a cura di H. Hoffmann. - Conta Haller Gioia, Ricerche su alcuni centri fortificati in opera poligonale in area campano-sannitica, Acc. Arch. Lettere, BB. AA. di napoli, Monumenti, iii, 1978. - S. De Miranda, S. 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Atina: le mura poligonali di Valle Giordana. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 5. Vicalvi: le mura poligonali che contornavano la cima del colle . . . . . . . 18 6. S. Elia Fiumerapido: scorcio del circuito poligonale di monte Cierro o Costalunga, a ridosso della contrada olivella.. . . . . . . . . . . . . 18 7. Carta del Sannio secondo Salmon.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 8. La manovra dei consoli romani contro i Sanniti.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 9. Vicalvi: particolare delle mura di Cominium. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 10. il monte Sambùcaro visto dalla Rocca Janula di Cassino. . . . . . . . . . . 56 11. il circuito poligonale di monte Sambùcaro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 12. Croce di Macchia: la spianata che dà accesso all'interno della fortificazione; in primo piano un riparo in pietra, innalzato, forse, dai pastori su una trincea della seconda guerra mondiale.. . . . . . 60 13. Falascosa: tratto di muro poligonale sul versante nord. . . . . . . . . . . . . 60 14. Versante Falascosa.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 15. Versante Falascosa.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 16. La fuga ininterrotta delle mura che si inerpicano verso Croce di Macchia sul versante Falascosa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 17. Parte bassa del versante Falascosa: la vegetazione inizia a non rendere più visibili le mura. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 18. Al termine del versante Falascosa: da questo punto si puó intravedere la spianata di Campopiano e parte dell'abitato di Cervaro; a destra si scorgono alcuni dei numerosissimi massi rotolati in basso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 19. Colle Marena: lato settentrionale del Chiaiale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 20. Un tratto emergente dalla folta vegetazione del Chiaiale. . . . . . . . . . . . 64 21. ogni tanto l'imponenza delle mura ha la meglio sui carpini e querciole infestanti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 22. Scorcio delle mura in fuga verso valle: lato nord.. . . . . . . . . . . . . . . . . 65 23. Prosegue la discesa verso il basso; lato nord. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 24. Dettaglio della zona Marena, lato nord; notare la sovrapposizione non molto ordinata dei grandi massi. . . . . . . . . . . . . . 66 25. Uno dei varchi (forse una porta) con tracce di fortificazione sul Chiaiale; lato nord. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 170 EMiLio PiSTiLLi 26. Versante di S. Vittore: la sella tra il colle Falascosa ed il colle Marena; dal paese si distingue un tratto delle mura dove si apre la porta detta di S. Vittore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 27. Colle Marena: versante sud; tratto di muro che riprende dopo un costone roccioso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 28. Roccia a strapiombo inserita nel circuito murario dominante il paese di S. Vittore.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 29. Lato S. Vittore: la muraglia ricuce i vuoti tra le fortificazioni naturali dei costoni rocciosi.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 30. Lo sperone di colle Marena domina l'intera valle del Rapido-Peccia; a sinistra l'abitato di S. Vittore; in alto a destra è appena visibile l'abbazia di Montecassino, antica acropoli fortificata di Casinum; al centro della foto si possono distinguere alcuni tratti delle mura e la sottostante scarpata nella quale le rocce sono state spianate artificialmente. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 31. Colle Marena: veduta sulla piana del Rapido con Montecassino e Cassino, da dove le mura sono visibili ad occhio nudo. . . . . . . . . . . . 70 32. Versante sud: a sinistra si apre la porta di S. Vittore; su questo versante le mura sono molto danneggiate. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 33. Versante sud: particolare delle mura. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 34. Colle Marena: tratto delle mura verso Cervaro e Cassino. . . . . . . . . . . 71 35. Colle Marena: veduta sulla spianata di Campopiano, sulla frazione Muraglie e su Cervaro; a sinistra Cassino, al centro Monte Cairo e a destra la gola di Capo di China che conduce nella Valle di Comino. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 36. i luoghi della battaglia: a destra il pianoro di Campopiano; a sinistra il colle La Chiaia, che, visto da qui, appare come un tumulo, e che domina la spianata di S. Giusta/Montenero; al centro della foto, in alto, il colle del Pero. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 37. L'abitato di S. Vittore dominato dal monte Sambùcaro con le due protuberanze Falascosa e Marena, protette dalle mura poligonali; in basso si apre la profonda fenditura del rio di S. Vittore.. 80 38. La zona della presunta battaglia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 39. Collegamenti tra Vicalvi (Cominio) e S. Vittore del Lazio (Aquilonia).82 40. Le mura di S. Eustacchio sul versante meridionale del Sambùcaro.. . . 92 41. Particolare delle mura di S. Eustacchio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 42. Lo sperone di S. Eustacchio con uno dei muri in opera poligonale che scendono a valle. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 43. Costruzione nuragica lungo la via S. Leonardo, tra Croce di Macchia e Radicosa.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 44. Muro di sostruzione in località Muraglie. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 171 45. Appunti per una rappresentazione grafica della cintura muraria di colle Marena - Falascosa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 46. Appunti presi sul luogo della muraglia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 47. Ritrovamenti in località Mura Abbandonate.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 48. Ricostruzione grafica di un vasetto a vernice nera in località Mura Abbandonate. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 49. Via S. Leonardo: appunti in escursione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 50. il Casalino della Radicosa ed altri ritrovamenti in S. Pietro infine. . . 111 51. Frammento di epigrafe in S. Pietro infine. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 52. Tombe a cappuccina in Campopiano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 53. Moneta di Gordiano iii in una tomba a Campopiano.. . . . . . . . . . . . . 114 54. L'austera facciata della chiesa di S. nicola.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 55. il campanile di S. nicola.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 56. La campana di S. nicola sembra chiamare quella di S. Maria della Rosa.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 57. interno della chiesa di S. nicola dopo il restauro.. . . . . . . . . . . . . . . . 120 58. S. nicola: navata centrale e navatella laterale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 59. S. nicola: il corpo aggiunto della navatella laterale. . . . . . . . . . . . . . . 121 60. Presso l'ingresso a destra: S. Giovanni Battista e S. Luca. . . . . . . . . . 121 61. S. nicola: al di sopra della prima arcata: serie di sei personaggi che guardano verso sinistra: probabilmente sei apostoli.. . . . . . . . . . . 122 62. S. nicola: al di sopra della seconda arcata: deposizione dalla croce. . 122 63. S. nicola: navatella di destra; veduta d'insieme dei due cicli delle opere di misericordia e di S. Margherita di Antiochia. . . . . . . . . . . . . 123 64. S. nicola: navatella di destra; le sette opere di misericordia: in alto "dar da mangiare agli affamati" e "dar da bere agli assetati"; in basso: "vestire gli ignudi" e "ospitare i pellegrini". . . . . . 123 65. S. nicola: navatella di destra; in alto: Cristo benedicente tra due angeli e "visitare gli infermi"; in basso: "visitare i carcerati" e "seppellire i morti". . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 66. S. nicola: navatella di destra; il ciclo di S. Margherita di Antiochia; in alto: S. Margherita incontra il governatore pagano; la santa testimonia la sua fede cristiana dinanzi all'imperatore; in basso: S. Margherita in prigione alza il martello per colpire il demonio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 67. S. nicola: navatella di destra; in alto: un episodio della vita della santa e la sua flagellazione; in basso: S. Margherita immersa in una caldaia bollente e la sua decapitazione e glorificazione.. . . . . . . . 125 68. S. nicola: altri riquadri nella navatella di destra, verso l'ingresso. . . . 125 69. S. nicola: particolare dell'affresco (foto 68).. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 70. S. nicola: l'Annunciazione, nell'affresco di foto 68. . . . . . . . . . . . . . . 126 172 EMiLio PiSTiLLi 71. S. nicola: S. Giovanni Evangelista, nell'affresco di foto 68. . . . . . . . 127 72. S. nicola: navatella di destra, verso l'ingresso: figure di santi.. . . . . . 127 73. S. nicola: l'abside con tracce superstiti di affreschi. . . . . . . . . . . . . . . 128 74. S. nicola: lato destro dell'abside; frammento della raffigurazione del collegio sacerdotale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 75. S. nicola: lato destro dell'abside; in basso: panneggio con figure simboliche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 76. S. nicola: lato sinistro dell'abside; frammento del collegio apostolico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 77. S. nicola: lato sinistro dell'abside; in basso: panneggio con figure simboliche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 78. S. nicola: parete sinistra; S. Cristoforo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 79. S. nicola: parete sinistra; S. Pietro e forse S. nicola; sec. Xii. . . . . . 131 80. S. nicola: parete sinistra; figura sacerdotale non identificabile. . . . . . 131 81. S. nicola: parete sinistra; il Cristo con S. Giovanni Battista. . . . . . . . 132 82. S. nicola: parete sinistra; figura di santa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 83. S. nicola: parete sinistra; presso l'ingresso: uno stemma, probabilmente quello di Capodiferro, e tre angeli.. . . . . . . . . . . . . . . . 133 84. S. nicola: parete d'ingresso; tracce non leggibili di affreschi. . . . . . . 133 85. Chiesa di S. Maria della Rosa; lato nord. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 86. il campanile di S. Maria della Rosa e la torre dell'orologio. . . . . . . . . 135 87. S. Maria della Rosa; in primo piano l'antico campanile a vela. . . . . . 135 88. il campanile della chiesa maggiore svetta su tutto il centro abitato. . . 136 89. S. Maria della Rosa; porta centrale di bronzo intitolato "Mistica Rosa", opera dello scultore Alberto di Campli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 90. S. Maria della Rosa; porta laterale di bronzo intitolata a S. Vittore Martire, opera di Alberto di Campli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 91. S. Maria della Rosa; interno. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 92. S. Maria della Rosa; il pulpito cosmatesco.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 93. S. Maria della Rosa; il monumento funebre al vescovo Guglielmo Capodiferro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 94. S. Vittore del Lazio; veduta generale del paese; la parte più alta era racchiusa nelle mura del castello.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146 95. La torre quadrata dell'antico castello domina via S. Croce. . . . . . . . . 147 96. La torre cilindrica incorporata dalle abitazioni di privati, visibile da piazza Municipio.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 97. L'arco gotico di piazza Municipio, antico ingresso al castello. . . . . . . 148 98. S. Vittore del Lazio: l'antico centro storico; il campanile si erge da sempre come sentinella sulla valle. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 99. il centro storico con i campanili di S. nicola, S. Maria della Rosa e la torre dell'orologio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150 AqUiLoniA in SAn ViTToRE DEL LAzio 173 100. il paese è immerso nel verde perenne di fertili oliveti. . . . . . . . . . . . 150 101. Cartina di riferimento delle foto del centro storico di S. Vittore; evidenziato il circuito delle mura del castello.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 102. La monumentale fontana di piazza Municipio. . . . . . . . . . . . . . . . . . 152 103. L'arco di via Castello con veduta sulla chiesa di S. Maria della Rosa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152 104. ingresso al palazzo del Castello. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 105. L'arco Capodiferro.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 106. Traversa di via Castello.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154 107. Traversa di via Castello.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154 108. Traversa di via Castello.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 109. Via Castello; portale del palazzo Giangrande. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 110. Via Castello. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 111. Via Castello. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 112. Scalinata su via Castello. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 113. Traversa di via Castello. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 114. Via Castello. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 115. Veduta parziale di piazza Municipio dall'arco gotico. . . . . . . . . . . . . 158 116. Gli antichi vicoli che si dipartono da piazza Municipio: a sinistra traversa di via Roma, a destra via Greci. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 117. Via Greci. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 118. Traversa di via Roma.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160 119. Traversa di via Roma.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160 120. Via Roma.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 121. Traversa di via Roma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 122. Via Roma.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162 123. Traversa di via Roma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162 124. Traversa di via Roma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 125. il convento delle Suore della Purità posto all'esterno del paese.. . . . 163 126. La chiesa campestre di S. Sebastiano, detta anche Madonna del Soccorso.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164 127. Chiesa di S. Sebastiano: affresco raffigurante il santo martire.. . . . . 164 128. Affresco della chiesa di S. Croce, andato perduto con la demolizione della stessa chiesa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 129. S. Vittore del Lazio in una cartolina del 1926, quando era ancora in provincia di Caserta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 SOMMARIO Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 3 Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1 - S. ViTToRE DEL LAzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1.1. notizie storiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2 - AqUiLoniA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 2.1. La "urbs" dei Sanniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 2.2. Alcuni esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 3 - iL TESTo Di TiTo LiVio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 4 - UnA GUERRA ConTRo CiTTÀ SCoMPARSE . . . . . . . . . . . . . 40 4.1. La strategia dei consoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 4.2. Gli eserciti consolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 4.3. Cominio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 4.4. Amiterno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 4.5. Duronia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 4.6. Aquilonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 4.7. Alcune certezze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 5 - LE MURA Di AqUiLoniA in S. ViTToRE DEL LAzio . . . . 54 5.1. Una scoperta a tavolino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 5.2. il monte Sambùcaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 5.3. Le mura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 5.4. All'interno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 5.5. Strade e pozzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 5.6. Senza tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 5.7. Si tratta di Aquilonia? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 6 - i LUoGHi DELLA BATTAGLiA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 6.1. La battaglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 6.2. La sconfitta dei Sanniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 7 - Lo SToRiCo LiVio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 7.1. L'affidabilità di Livio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 8 - DoVE CERCARE AqUiLoniA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 8.1. Fortificazione, non città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 8.2. La città a valle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 8.3. Un antico tratturo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 9 - Un RiCCo PATRiMonio ARCHEoLoGiCo . . . . . . . . . . . . . . . 95 9.1. Antichità attorno ad Aquilonia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 APPEnDiCE A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 Appunti di ricerca A.1. "Muraglie" . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 A.2. Sambùcaro - Marena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 A.3. "Mura abbandonate" . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 A.4. "i Passeggeri" . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 A.5. Via S. Leonardo - Croce di Macchia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 A.6. "Muraglie" . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 A.7. S. Pietro infine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 A.8. Vallone Radicosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 A.9. "Fauciara" . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 A.10. "Campopiano" . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 APPEnDiCE B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 Il patrimonio storico culturale di San vittore del Lazio B.1. La chiesa di S. nicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 B.2. Chiesa di Santa Maria della Rosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 B.3. il pulpito cosmatesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 B.4. il monumento funebre di Guglielmo Capodiferro . . . . . . . . . . . . 140 B.5. il castello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 B.6. il paese oggi attraverso le immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 indice delle illustrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169 FiniTo Di STAMPARE nEL MESE Di DiCEMBRE 2003 TiPoGRAFiA UGo SAMBUCCi ViALE DAnTE - CASSino Dello stesso autore: 1972: Ipotesi sulla città di Aquilonia distrutta nell'anno 293 a.C., SAIPEM, Cassino. 1984: La torre campanaria di Cassino, Lamberti, Cassino. 1989: Cassino seconda guerra mondiale (1943-1945): bibliografia generale, A.A.S.T., Cassino. 1990: Il Consorzio di Bonifica "Valle del Liri" - 40 anni di svilup-po, IN.GRA.C., Cassino. 1992: Antiche strade per Montecassino, Lamberti, Cassino. 1994: Cassino dalle origini ad oggi, Banca Popolare del Cassinate, Cassino. 1994: Cassino dalle origini ad oggi, 1994, con brevi note su Mon-tecassino, 2ª ediz., IDEA STAMPA, Cassino. 1995: Cassino 50° anno: 1943/44 - 1993/94, Comune di Cassino. 1998: L'Indialetto cassinese Dizionario etimologico cassinese-italiano, Banca Popolare del Cassinate. 1999: La battaglia di Cassino giorno per giorno: settembre 1943 - giugno 1944, Lamberti, Cassino. EALL S.r.l. gruppo TAD Energia e Ambiente