leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it DAVID LEVIEN Senza traccia romanzo Traduzione dall’inglese di Maurizio Nati Prima edizione nella collana Gli Aceri: agosto 2010 Prima edizione nella presente collana: luglio 2013 Titolo originale: City of the Sun © 2008 by Levien Works, Inc. © 2010 by Fanucci Editore via delle Fornaci, 66 – 00165 Roma tel. 06.39366384 – email: [email protected] Indirizzo internet: www.fanucci.it Proprietà letteraria e artistica riservata Stampato in Italia – Printed in Italy Tutti i diritti riservati Progetto grafico: Grafica Effe DAVID LEVIEN Senza traccia Per gli scomparsi e per coloro che li attendono. 1 Jamie Gabriel si sveglia alle cinque e quarantaquattro, quando il suono della radiosveglia rompe il silenzio. Rotola su un fianco e preme il tasto Sleep, passando bruscamente dalle parole a un irritante motivetto popolare cantato da un ragazzotto appena uscito dal liceo che indossa gli stessi vestiti e fa le stesse mosse del gruppo di ballerine che lo accompagna. La cosa peggiore. I ragazzi a scuola dicono che a loro piace. A qualcuno piace per davvero, e gli altri ne seguono la scia. Jamie ascolta i Green Day e i Linkin Park. Fuori è ancora quasi del tutto buio. Jamie spegne la radiosveglia e mette i piedi a terra. Svegliarsi è facile. Nella camera più grande dormono mamma e papà. Carol e Paul. Il tappeto va da parete a parete, color azzurro chiaro. Nuovo. Quello straccio color giallo epatico che si trovava già in casa quando la comprarono non c’è più. L’azzurro s’intona meglio con il mobilio in quercia della camera da letto, dice mamma. Un cambiamento niente male per i Gabriel, andare ad abitare in quella palazzina stile rustico su Richards Avenue, sobborgo di Wayne. Qui ci sono file di alberi in quasi tutti gli isolati, e ogni casa ha un cortile. Jamie oltrepassa la fotografia scattata a scuola, appesa nel 9 corridoio prima di arrivare al bagno. È una foto che detesta. Quel giorno aveva i capelli color grano pettinati tutti storti. Fa un goccio d’acqua, tutto qui. Si laverà i denti al ritorno, dopo aver fatto colazione, prima di andare a scuola. Ciondola per la cucina – Pop-Tart? Naaa – e poi dalla porta di servizio passa in garage. Mamma e papà adorano l’idea di avere il garage attaccato a casa, il banco da lavoro, lo spazio per il minivan bianco e per la Buick azzurra. Solleva a metà la saracinesca del garage, che scivola sulle guide. Una macchia di pelo nero schizza dentro e lo mordicchia sulle caviglie. «Dove sei stato, Tater?» La coda del labrador dai baffi grigi continua ad agitarsi per un po’sulla gamba del ragazzo. Dopo una notte passata a gironzolare, a Tater piace il modo il cui il ragazzo gli scarmiglia il pelo. Poi il ragazzo lo spinge di lato e si accuccia per uscire carponi da sotto la saracinesca. Fuori lo aspetta la pila dell’edizione mattutina dello Star, ancora odorosa di inchiostro acido, ancora calda di stampa. Jamie trascina dentro i giornali e si mette al lavoro, ripiegandoli tre volte così da poterli lanciare. Riempie gli zaini di tela bianca e se li infila uno per spalla, poi inforca la bicicletta. La Mongoose è sua, pagata con i soldi raggranellati in sei mesi di consegna dei giornali dopo il trasloco in Richards Avenue. Jamie si piega e sospinge la bici fuori dal garage, quando Tater riprende a strofinarsi contro la sua gamba. Il vecchio cane comincia a uggiolare. Ancheggia e piagnucola come non gli capita mai di fare. «Che ti prende?» Jamie spinge sui pedali e si mette in movimento. Tater guaisce e mugola. I cani sanno. «Era meglio andare da McDonald’s, stronzo di un ciccione» disse Garth ‘Rooster’ Mintz a Tad Ford mentre allungava la 10 mano per arraffare una fetta di pane fritto. La faccia di Tad sembrò spremersi per il risentimento, poi si rilassò. L’odore di benzina, della colazione presa a un fast food e del dopobarba di Tad riempivano la Lincoln dell’81 color grigio nave da guerra. «Tu mangi quanto me» replicò Tad. «Sei solo fortunato che a te non fa ingrassare.» Rooster non disse nulla, limitandosi a masticare la fetta di pane. Tad era scontento della sua mancanza di reazione, ma quello fu tutto ciò che disse. Rooster pesava buoni trentacinque chili meno di lui, ma era duro come l’acciaio. Uno tosto, insomma. Tad gli poteva contare i tendini. Una volta lo aveva visto, ubriaco fradicio, strappare la narice di un tizio durante una rissa in un bar. Tutta la parte sinistra del naso era stata aperta e la narice sbatacchiava sulla faccia a ogni respiro dopo che la rissa era stata sedata e Rooster trascinato via a forza. A Tad non mancavano le opportunità per rintuzzare le battute di Rooster... quell’ometto puzzava quasi sempre come una capra. Raramente si concedeva una doccia. Faceva flessioni e sollevamenti e lasciava che il sudore rimanesse lì, preoccupandosi solo di ripulire i tatuaggi. I capelli biondorossicci gli ricadevano unti e flosci. E poi c’erano le cicatrici. Segnacci rossi in rilievo lungo gli avambracci, come se qualcuno ci si fosse accanito con un coltello da macellaio. Quando Tad aveva finalmente trovato il coraggio di chiedergli dove se le fosse procurate, Rooster si era limitato a rispondere: «In giro.» Tad aveva lasciato perdere. «Sei solo fortunato che a te non fa ingrassare» ripeté Tad, mentre masticava la fetta di pane. «Già, sono fortunato» disse Rooster, e guardò la strada ancora buia sotto quei fottuti alberi. «Era meglio andare da McDonald’s.» Jamie Gabriel, in sella alla sua bici, pedala. Passa davanti a 11 case ancora silenziose, ancora buie all’interno. Lancia i giornali nei cortili e sotto i portici. Di ogni lancio misura accuratamente la traiettoria e la velocità. Un irrigatore automatico innaffia silenziosamente un prato ancora blu sotto la luce livida del mattino. Jamie mira verso la porta della casa, in modo che il giornale non si bagni. Continua a pedalare. Una fila di lampioni si spegne con un sibilo mentre il mattino avanza. Per papà è una gran cosa essersi trasferiti in un quartiere in cui si rispetta ancora la tradizione: il giro dei giornali. Mamma non ne è così sicura... Il suo ragazzo ha diritto al riposo. Pochi conoscono le strade come Jamie. Buie e vuote, sono le sue strade. All’inizio non ne era sicuro nemmeno Jamie, quando doveva ancora abituarsi a quel lavoro ed era costretto a trascinarsi in giro sulla sua vecchia Huffy. Poi si era guadagnato la nuova bici. Aveva letto la vecchia storia di un postino che era diventato un ciclista e aveva partecipato a un’olimpiade. Perché non anch’io? Aveva una fotografia. Le cosce dell’uomo di colore si gonfiano e si increspano. Sembra quasi che debba spaccare la sua bicicletta, invece di montarla. Jamie controlla l’orologio. Sembra che sia in perfetto orario. Rooster diede un’occhiata all’orologio dentro la Lincoln. Adesso quella dannata Lincoln puzzava per una vecchia perdita di benzina e per le scoregge di Tad che coprivano l’odore dolciastro del suo dopobarba. Però la macchina era pulita. Riggi l’aveva comprata pagandola in contanti, e aveva cambiato più volte la targa, sempre fasulla. Rooster detestava quei dannati camioncini. Fletté l’avambraccio, sentì il muscolo rigonfio muoversi sotto la pelle ferita in via di guarigione e sotto la peluria rossiccia. Aveva un avambraccio piuttosto grosso per la sua statura. Rooster era imbottito di robaccia. Era disciplinato in fatto di organizzazione, ma era anche un bastardo indolente, sospettava, quando si trattava di affrontare certe parti del lavoro. Già, odiava quei sequestri 12 del cazzo. Chiunque poteva farli. Non era come il lavoro nelle case. Quella sì che era roba da professionisti. «Metti in moto» disse piano Rooster, sbirciando di nuovo l’orologio con la coda dell’occhio. Controllò il parabrezza della Lincoln. Quel dannato parabrezza era grosso come il ponte di comando dell’astronave Enterprise. «Oh merda» disse Tad, mentre l’ultimo boccone della sua frittella gli si bloccava in gola. Il motore si avviò con un rumore rauco e gutturale. Videro un movimento all’angolo. Jamie abbassa la testa e pigia sui pedali. Ha dato un bel colpo al suo record. Ha dato un bel colpo al record mondiale. Lancia ancora un giornale, poi affonda la spalla destra mentre svolta all’angolo della Tibbs. Lo zaino sulla spalla sinistra è diventato più leggero e lo sbilancia. Raddrizza la Mongoose e guarda su. Una macchina. Dannazione. Jamie sbuca dall’angolo proprio davanti al radiatore arrugginito e inchioda. Le gomme mordono l’asfalto e stridono. Fumo e puzza di gomma bruciata. I freni schiacciati a fondo tengono. I due veicoli si bloccano, separati da pochi centimetri. Jamie emette un sospiro di sollievo, scuote la testa e comincia a spingere verso il cordolo, piegandosi per raccogliere alcuni giornali che sono usciti dallo zaino. Si aprono le portiere. I piedi picchiano sulla strada. Jamie drizza la testa a quel rumore. Due uomini scendono dalla macchina. Si muovono verso di lui. Mentre si avvicinano Jamie stringe forte i freni sul manubrio. 13 2 Carol Gabriel si sistema dietro l’orecchio una ciocca di capelli biondi sporchi e sorseggia il suo caffè, chicchi a tostatura lenta macinati di fresco. Ai suoi amici piace il caffè di Starbucks, ma lei lo trova amaro e sa che lo bevono solo per il nome. Sta in piedi in cucina e guarda oltre il lavello attraverso la piccola finestra quadrata. Dal giorno del trasloco si scopre quasi sempre lì a sorridere. Soprattutto dopo l’arrivo improvviso dell’autunno, tre settimane prima, con un’esplosione di colore sugli alberi. Oggi non c’è sorriso, anche se la giornata è qualcosa di luminoso e splendente. La seconda tazza di caffè ha cominciato a coagularsi nella pancia quando di solito Jamie sfreccia nel vialetto con la sua bicicletta prima ancora che lei abbia finito la prima. Paul passeggia in cucina con la cravatta blu da agente di assicurazioni non ancora annodata che gli penzola dal collo. Ha il naso infilato in un opuscolo e così urta una sedia di cucina. La sedia stride sul pavimento in mattonelle di maiolica e gli invia un messaggio doloroso su per il ginocchio e la coscia. Carol gira la testa al rumore. Frazionamento delle rendite annuali. Maggiore liquidità dai vantaggi fiscali e protezione del capitale. Paul non ha ancora ca14 pito bene come vendere il concetto, ma adesso deve dedicarsi ai nuovi prodotti. Siede, allunga la mano verso il toast ormai freddo. Un’intera vita fatta di variabili. Contributi annui a una polizza che paga un’indennità in caso di morte, ma che si trasforma in uno strumento pensionistico di tipo previdenziale all’età di sessantacinque anni, ecco che cosa lo ha portato in questo quartiere. Ha ampliato la sua base, ha raggiunto un nuovo livello di clientela. Ha fatto una mossa concreta, che non comporta rischi, e si è comprato una casa di cui può pagare la rata mensile anche nei mesi in cui le cose vanno peggio, soltanto grazie alle commissioni su quelle polizze. Adesso il suo progetto è quello di fare in modo che non ci siano più mesi in cui le cose vanno peggio. Paul mangiucchia il toast. Lo tiene con la destra, e con la sinistra si tocca la pancia. Sta cedendo. Colpa dei suoi trentacinque anni. Fino a trentuno era dura come la pietra, ma negli ultimi quattro l’ha trascurata. Per quasi tutta la vita è stato magro, un atleta di oltre un metro e ottanta, poi gli è spuntato un callo osseo sul calcagno. I dottori gli avevano raccomandato di farselo rimuovere, ma l’intervento richiedeva una lunga degenza, e così lui aveva deciso di ignorarlo. Gli avevano detto che non avrebbe funzionato, che quel callo osseo avrebbe continuato ad aggravare la fascia plantare, e che non sarebbe scomparso da solo, ma lui si era fatto l’idea che invece potesse farlo. Aveva tenuto duro, chilometro dopo chilometro, sopportando il dolore, finché qualcosa era cambiato e quell’affare si era ritirato da solo. Aquel punto il lavoro aveva fatto ciò che il dolore non era riuscito a fare e lo aveva bloccato di brutto. Aveva cominciato a tornare a casa aggravato da una stanchezza diversa da quella provocata da qualsiasi lavoro manuale fatto in gioventù. Pochi scotch alla settimana erano diventati pochi scotch a sera, in modo da poter dormire. Quello, sospettava Paul, aveva aggiunto il primo giro di sottopancia. Poi era 15 passato alla vodka, che lo aiutava, ma ormai era fuori forma e lo sapeva. «Paul, sono preoccupata.» Carol è in piedi accanto a lui. Paul alza la testa e vede un’ombra sulla faccia di sua moglie. «Hai visto Jamie fuori?» «No. Perché?» «Non è a casa e non l’ho sentito tornare dal suo solito giro.» «Magari è uscito prima per andare a scuola...» La faccia di lei gli restituisce una decina di domande, e la più gradevole dice: ‘Perché mai un ragazzo dovrebbe andare a scuola prima?’ Come fa un uomo adulto a essere così dannatamente scemo? La domanda le spunta in mente e lei si sente subito in colpa e la respinge. Però era lì. «No, hai ragione» dice lui. Trangugia il caffè, afferra una pila di polizze di assicurazione e si alza. «Forse gli si è rotta la bicicletta.» Carol lo fissa dubbiosa, non speranzosa. «Sono già in ritardo, ma seguirò il suo itinerario mentre vado in ufficio. Chiamami se si fa vivo. Voglio sapere perché...» «Tu chiamami appena lo vedi. Chiamami appena puoi. Proverò dai Daugherty. Magari sta da loro.» «Già. Probabilmente è così.» Paul le dà un bacio frettoloso e punta verso la porta. Come se baciasse un manichino. Le madri sanno. La Buick LeSabre azzurra di Paul attraversa il quartiere. Le strade, vuote e silenziose fino a un’ora prima, adesso sono affollate. I pulmini accompagnano i più piccoli a scuola. Quelli più grandicelli ci vanno in bicicletta, a gruppi. Quelli ancora più grandi raggiungono il liceo in macchina, quattro per ogni auto. I marciapiedi sono punteggiati da gente che fa jogging e che porta a spasso il cane. Paul frena davanti a un cartello di STOP in miniatura brandito da una donna anziana con i capelli bianchi e una fascia 16 arancione sul petto. Indica a un gruppo di ragazzini di otto anni di attraversare la strada davanti alla Buick mentre Paul abbassa il finestrino. «Conosce Jamie Gabriel? L’ha visto?» «Non di nome» dice lei, con anni di sigarette nella voce. «Io conosco le facce.» «Ha visto un ragazzo che consegna i giornali?» chiede Paul, rimpiangendo di non avere una fotografia con sé. «Forse gli si è rotta la bicicletta.» «Non l’ho visto, no, solo ragazzi che andavano a scuola.» Insoddisfatto, Paul annuisce e riparte. Svolta a destra per la Tibbs. Una strada macchiata di olio. Jamie non c’è, e tutto sembra normale. Senza sapere bene che fare dopo, guida per il resto dell’itinerario, poi prosegue verso l’ufficio. Rooster se ne sta seduto a sorseggiare la sua birra del mattino. Suoni di chitarre spompate gli rintronano nella testa. Ha suonato Mudvayne per tutta la mattina. Ha smesso da qualche minuto, ma riesce ancora a sentirlo. Lui può farlo. È una delle tante cose che lui può fare e gli altri no. Lui è speciale. Sa di esserlo. Ma non è felice. Avere dei doni non è la stessa cosa che avere la felicità. La sua mente turbina di un riverbero di chitarra simulata – non ha voglia di pensarci più di tanto – finché sente all’esterno il furgone che arriva. Tad scende pesantemente dal furgone stringendo una confezione da sei bottiglie di birra e la ricarica, il secondo giro di cibo della giornata. Questa volta viene da McDonald’s, come suggerito. Si avvicina alla casa, il ‘pugno nell’occhio’ del quartiere. La tinta sta cedendo in grossi riccioli e scaglie, e solo le finestre sul lato e quelle del salone sono verniciate di fresco. Nere. Ciò che loro chiameranno ‘studio per la musica’, se qualcuno glielo chiede. Ma nessuno lo fa. Questa è la casa che i vicini vorrebbero veder crollare, in modo che il valore della proprietà aumenti. 17 Tad entra, togliendosi gli occhiali da sole scuri e infilandoli nel taschino della camicia di flanella. Il soggiorno è squallido, con il tappeto sdrucito e scolorito e due divani di seconda mano color verde e arancio che arredano la stanza senza che da decenni qualcuno si sia mai preoccupato di cambiare la fodera. Le scatole di sandwich del fast food e i vari contenitori imbrattano il tinello. Rooster siede su una sedia malferma, davanti a un televisore a colori spento di vent’anni con le antenne di stagnola a orecchie di coniglio appoggiate su uno scatolone di cartoni del latte. Ha gli occhi fissi sullo schermo buio e si muove appena al ritmo della musica che sembra riempirgli la testa da una fonte sconosciuta. È senza camicia. «Sei un pigrone bastardo.» Gli occhi di Rooster non abbandonano il televisore mentre punta l’indice verso Tad. «Non sai nemmeno che cos’è l’etica del lavoro.» «Hai parlato con Riggi?» chiede Rooster come se Tad fosse appena entrato nella stanza e i precedenti commenti non ci fossero mai stati. «Senza camicia. Ma guardati.» «Da quando te ne sei andato sono stato lì dentro già due volte» dice Rooster. Voce inespressiva. I suoi occhi, anch’essi inespressivi, si voltano verso Tad, tagliando corto. «Hai parlato con Riggi?» «Due volte? Stronzate, due volte...» Tad riprende fiato. «Sì, gli ho parlato.» «Che ha detto?» Tad appoggia la birra sul tavolo del tinello, in mezzo a tutti gli altri rifiuti. Ne apre una per sé e ne lancia un’altra a Rooster. «Il signor Riggi dice che gli serve per giovedì.» Rooster apre la birra e si concede un assaggio di prova. «Giovedì. Merda.» «Già» comincia Tad, godendo del fastidio del suo socio. 18 «Ha organizzato tutto per giovedì, perciò sarà meglio che ti dia da fare.» «Ah, sì? Io dovrei darmi da fare? Perché non lo fai tu?» Questo zittisce Tad per un momento. «No grazie. Il professionista sei tu.» Rooster annuisce appena, compiaciuto, poi si infila una pillola in fondo alla gola, tracanna qualche sorsata della birra e si alza stancamente. Vicodin. Quando hai qualche problema fisico si porta via tutto il dolore. Quando non ce l’hai si porta via altre cose. Rooster si rimette in sesto e attraversa risoluto tutto il salone, diretto verso la porta posteriore. Tad occupa la sedia di fronte al televisore, si china in avanti e lo accende, su un canale che trasmette cartoni animati. Il rumore di una chiave che gira nella toppa dall’esterno e la porta si apre, lasciando entrare un rettangolo di luce nella brutta stanza in penombra. Le finestre sono chiuse con chiodi e nella parte interna hanno una griglia metallica. L’unico arredo è un letto senza lenzuola. Rooster allunga la mano e avvita una nuda lampadina nel suo alloggio, illuminando la stanza. Raggomitolata fra il letto e la parete c’è una chiazza di pelle rigata di lacrime, stravolta dalla violenza. Il volto dell’uomo è una maschera che non mostra né eccitazione né pazzia. Il volto del ragazzo è una maschera di dolore, di paura, di incomprensione e, ma così sotto la superficie da essere invisibile, di furia. Non dice nemmeno di no, ma tenta debolmente di sgattaiolare via dall’uomo. «Ci siamo» dice Rooster. Punta verso il ragazzo e richiude la porta con un calcio. In soggiorno Tad alza il volume del televisore. Maledizione. Dove diavolo ho messo il libretto d’istruzioni del mio BlackBerry? Paul rovista sul tavolo pieno di carte. 19 I telefoni all’esterno sono occupati. Sono settimane che infila numeri in quel coso, ma adesso non riesce a farlo funzionare. L’ufficio rivestito di pannelli ostenta diversi attestati incorniciati che contraddistinguono i suoi meriti come agente assicurativo, ma in quel momento non lo aiutano. Janine appare sulla porta. «Carol sulla tre.» E scompare di nuovo. Lui ha chiamato Carol mentre andava al lavoro e le ha detto di incominciare a cercare Jamie. «Carol? Il mio BlackBerry è appena andato in tilt. Si è fatto vivo? Perché quando lo farà dovrà darci qualche spiegazione.» La risposta di lei lo raggela fin nelle viscere. Sono le dieci e un quarto. «La polizia? Certo, ma non so. Mi sembra un po’drastico.» Il suo sguardo si perde lontano. C’è un mondo pieno di possibilità là fuori. Ma lui non è pronto ad accettarle. I padri possono anche non voler sapere. «Se non si fa vivo all’ora normale, dopo la scuola...» Si blocca. Lo stomaco brontola. L’acido vi ribolle come se avesse bevuto sei tazze di caffè a digiuno. «No, hai ragione... Vengo a casa e ne parliamo... D’accordo... Cerca solo di non agitarti.» Ma mentre riattacca è proprio quello che incomincia a fare lui. Paul e Carol se ne stanno fermi in piedi nel burocratico turbinio della stazione di polizia in piena attività. Le cose si muovono lentamente per loro, in modo incoerente, come un nastro danneggiato in un registratore. Se ne stanno fermi in piedi e gesticolano con il corpulento sergente dietro il banco. Più tardi siedono al tavolo di un poliziotto dall’aria preoccupata, riempiono moduli, gli forniscono delle fotografie. Adesso, mentre attendono in silenzio su una panca di legno, Paul stringe in una mano una tazza di caffè freddo e nel20 l’altra il palmo gelido di Carol. I suoi lineamenti hanno cominciato a irrigidirsi; ancora non è possibile vederlo, ma lei ha preso a inaridirsi e ad avvizzire come una foglia secca. Finalmente. Finalmente il poliziotto dall’aria preoccupata li conduce nel piccolo ufficio a vetri del capitano Pomeroy. Quest’ultimo, un uomo morbido e carnoso con l’osso del naso sporgente, è seduto dietro la sua scrivania. Ha un fermacravatte d’argento. Penna e matita, anch’esse d’argento, sbucano dal taschino della camicia. I capelli sono pettinati all’indietro col gel, la faccia cosparsa di dopobarba, la bocca piena di gomma alla nicotina. «Signore e signora Gabriel, ho esaminato tutte le carte e posso assicurarvi che questo ufficio farà tutto quello che può per assistervi nel ritrovamento di vostro figlio... ehm, di James.» «Jamie» esce fuori dalla mascella tirata di Carol. «Jamie.» Pomeroy prende un appunto. «Anche se sarà un diminutivo per...» «No, si chiama proprio così. È sul certificato di nascita.» «Ma prima di farlo, prima di dare il via alle ricerche, voglio solo accertarmi che non si tratti... Voglio dire, che il vostro ragazzo non sia semplicemente scappato per...» «È scomparso. Ne sono sicura. Queste cose succedono.» «Signora, quasi tutte le madri... Senta, voglio solo esserne sicuro. Insomma, si sa come sono fatti i ragazzi.» «Cosa?» Gli viene fuori un gracidio rauco, come se Paul non usasse la voce da anni. «Quello che sto cercando di dire è che, come capita spesso in questo genere di situazioni, magari aveva un compito di matematica e non se la sentiva di affrontarlo. Oppure ha ricevuto un brutto voto in scienze e non voleva che voi lo...» «Non Jamie.» «Signora Gabriel...» Pomeroy si piega all’indietro e si sposta sul fianco la pistola automatica infilata nella fondina. Guarda Paul in una muta richiesta di collaborazione. 21 «Tesoro, sono sicuro che tutti i genitori dicono...» «Proprio così» si sfoga Pomeroy riconoscente, interrompendo Paul. «Insomma, probabilmente è solo...» La speranza è un ramo sottile, e gli uomini fanno del loro meglio per afferrarlo, ma per Carol è un po’sovraccarico. La sua espressione blocca Pomeroy. «Vi suggerisco di parlare con i suoi insegnanti.» Riesce a riprendere in mano la situazione. «Vedete se a scuola è tutto a posto. Chiedete ai suoi amici...» «Va bene, lo faremo, ma...» azzarda Paul. «Tutto ciò che farete seguendo le mie indicazioni ci risparmierà lavoro inutile.» Pomeroy picchietta la penna d’argento sul bordo della scrivania. «Che cosa avete intenzione di fare? Non potete diramare un allarme?» «Lo abbiamo già fatto. Abbiamo diffuso l’informazione. D’accordo, signora. Allargheremo le ricerche. Controlleremo la vostra casa. E anche il suo luogo di lavoro, signor Gabriel. Invierò agenti nel quartiere per una ricerca porta a porta. E voglio che mi chiamiate nel momento stesso in cui vostro figlio si rifarà vivo.» Pomeroy li accompagna fuori dall’ufficio a vetri. «Perché lo farà.» Pomeroy sorride in modo rassicurante. «Lo farà.» E richiude la porta dietro di loro. «Quell’uomo non ci aiuterà.» Le parole di Carol escono risolute e sinistre. Paul non dice nulla. Il fuso orario orientale ha subito il consueto aggiornamento di stagione e l’oscurità cade presto nell’Indiana. La Buick si ferma. Dopo lunghe ore di ricerche, di avvisi affissi dappertutto, Paul scende dall’auto, come ha fatto tante volte quando andava a prendere Jamie dopo l’allenamento di calcio. Paul rimane accanto allo sportello del guidatore. Carol, dopo un pomeriggio di attesa al telefono, appare sulla porta principale. Scuote la testa. Sotto il sole al tramonto Paul è un 22 bell’uomo, un padre ancora giovane. Osserva la sua casa così piena di comodità, la moglie ancora giovane. Accanto al marciapiede è parcheggiata una macchina della polizia. Paul si dirige verso la casa, mentre lei si avvia verso il marito. Si incontrano sul vialetto e si abbracciano forte, e nessuno dei due sa bene a che cosa aggrapparsi. Il sole scompare dietro gli alberi. Paul consuma una cena insipida a base di cereali freddi. Collegato al telefono c’è un apparecchio per registrare e rintracciare le chiamate, controllato a distanza dai due poliziotti a bordo della macchina. Carol gli siede accanto, in una sorta di trance. Si sente grattare sulla porta della cucina. Carol si alza e lascia entrare Tater. Dalla bocca gli sgocciola sangue. Carol prende uno strofinaccio e lo ripulisce. Il cane non è ferito – il sangue appartiene a qualcun altro – e irrompe nel salotto tutto eccitato all’odore dei cani poliziotto che nel pomeriggio hanno fiutato l’intera casa. Paul rovescia altri cereali dalla scatola e ne esce fuori un premio. «Lo stava aspettando. Glielo terrò da parte.» Lo depone sul lato del tavolo e scoppia a piangere, con le spalle scosse dai singhiozzi. Carol se ne sta dall’altra parte della cucina. Non va da lui. Dopo un po’Paul smette di piangere. «Andiamocene a letto.» Si alza in piedi. Forse ci sveglieremo domani mattina e scopriremo che è stato solo un brutto sogno, vorrebbe dire, ma non lo dice. Paul si dirige verso la scala interna. Carol va verso il muro e accende le luci del salotto e del portico. «Lasciamole accese, non si sa mai.» Lo segue su per le scale. La porta si apre proiettando luce sul materasso che il ragazzo ha tolto dal letto e ha appoggiato ad angolo contro il muro, per costruirsi un riparo che lo protegga. Rooster lancia 23 frettolosamente nella stanza il cartone del fast food intriso di olio e ridacchia fra sé e sé per quella difesa improvvisata. Mai visto prima. Come se potesse funzionare. Sbatte la porta alle sue spalle. La stanza piomba di nuovo nell’oscurità. Paul giace a pancia in su nella stanza senza luce, senza nemmeno sentire il materasso sotto di sé. Galleggia in uno spazio delimitato solo dal suo sconforto. Un dolore che non avrebbe mai immaginato lo circonda e lo lacera da ogni direzione. Le circostanze lo polverizzano, lo prosciugano, lasciandolo inerte nel buio. Dal bagno filtra un rumore soffocato e gorgogliante. Lì dentro, immersa nella vasca che si sta riempiendo, Carol pensa a Jamie quando aveva tre anni e si trastullava con Giù per lo scarico, un gioco di sua invenzione. ‘Meglio chiamare l’idraulico, mamma, io sono sparito. Sono giù per lo scarico...’ La schiena pallida di Carol trema. L’acqua picchia e rumoreggia. Si rende conto che non è l’acqua, ma le sue urla. Rooster e Tad siedono al tavolo del tinello, ingombro di avanzi. Nell’aria risuona una musica pesante di ritorno e Tad tamburella a tempo. «Allora, sarà pronto?» Rooster guarda il socio. Da un po’di tempo Tad ha cominciato a fumare metamfetamina, e adesso è sotto l’effetto. Rooster lo capisce perché Tad ha come una patina di luridume. È una droga sporca che apre i pori e sembra risucchiare all’interno la polvere e i detriti dell’aria. Deve averla fumata l’ultima volta che Rooster è andato nella stanza in fondo al salone. Disgustoso. «Ma certo che sarà pronto, brutto schifoso.» «Perché è la prima cosa, come la fottuta alba di giovedì, lo capisci, testa di cazzo?» Tad ha un’espressione inferocita, minacciosa, negli occhi. Non ci sarebbe se non fosse per la metamfetamina, pensa Rooster. 24 «Già, lo so, pezzo di merda.» Rooster gli lancia un tappo di bottiglia. Manca di poco quel bastardo di un ciccione. «Stacci attento.» Tad si muove impacciato e comunque troppo tardi. «Tanto per essere sicuro, cazzone.» «Sono un professionista, faccia di culo.» L’insulto offende Tad, che non sa come reagire, come aggiungere volgarità a volgarità. «Stammi a sentire, finocchio» comincia, poi si sente un clic e la lama di un coltello punta alla sua gola. Rooster ha estratto lo Spyderco da dieci centimetri che porta sempre nella tasca posteriore e l’ha fatto scattare. Tutto qui. Tad sente la pressione della lama sul pomo d’Adamo, una linea sottile e affilata. «Non ti azzardare a dire un’altra parola. Non scusarti, non sputare. Mi hai sentito?» La faccia di Rooster irradia sangue. Tad Ford annuisce lentamente. Le lezioni sono appena terminate alla scuola media JFK e i ragazzi sciamano verso i pulmini e le macchine dei genitori. Carol Gabriel cammina in senso contrario verso il basso edificio e si domanda perché abbia fatto questo a sé stessa e non sia venuta invece nel pomeriggio. Sono passati quattro giorni. La polizia ha lasciato la sua casa. Ogni zaino che vede, ogni giubbetto urla ‘Jamie’ per un momento, prima di dissolversi in un ragazzo diverso. Alex Daugherty si dirige verso di lei e si ferma. «Salve, signora G.» dice. Lei si china. «Alex. Ciao, Alex.» Il ragazzo sembra sapere che è successo qualcosa, ma non esattamente cosa. «Lo sai che Jamie manca da un paio di giorni?» continua. Non può impedirsi di toccarlo. Le mani si allungano e accarezzano le maniche del ragazzo, i suoi capelli. Le mani, disconnesse dalla sua mente, hanno bisogno di sapere che almeno quel ragazzo è reale. 25 «Certo.» «Sai se era... turbato? A scuola andava tutto bene?» «Certo. È scappato?» chiede il ragazzo. «Noi non crediamo.» La conversazione già esige un pesante tributo da Carol. «Non aveva nessun problema di cui ti abbia parlato? Aveva conosciuto qualcuno? C’è forse qualche segreto? Perché se è così devi dirmelo. È importante.» Alex scuote la testa e comincia a disegnare ghirigori invisibili sul marciapiede con la punta della scarpa, quando poco lontana sul marciapiede sua madre suona il clacson e scende dalla station-wagon. «C’è mia madre.» Carol si raddrizza e scambia un’occhiata con Kiki Daugherty, che la saluta con la mano. Ne ha parlato con Kiki e Kiki le ha detto le cose giuste. Carol osserva gelosa la madre che si riprende il figlio. Se mai c’è qualche accusa nello sguardo di Kiki, del tipo: ‘Che razza di madre permette che a suo figlio capiti una cosa del genere?’, se la tiene per sé in modo che Carol non possa vederla. Carol si affretta verso la scuola. Nell’aula di coordinamento della scuola di Jamie la sua insegnante, Andrea Preston, una ventisettenne di colore, offre a Carol una tazza di caffè. «Teniamo delle assemblee nelle quali insegniamo ai ragazzi a non parlare con estranei e a non accettare passaggi in macchina. E ne abbiamo avuta una proprio ieri per rafforzare...» «Sì. Sì.» Le parole di Carol echeggiano disincarnate contro il linoleum. «Davvero, Jamie è grande abbastanza per saperlo. Io volevo solo controllare di nuovo e vedere se qui era tutto a posto. Se la cavava bene, no?» Adesso c’è panico nella sua voce. Forse nulla era come lei pensava. «Se la cavava bene. Proprio bene» dice lentamente l’insegnante, e mostra un sorriso sofferto, come a voler caricare quelle parole vuote di un significato nascosto. «Qualche pro26 blema con le frazioni, ma niente di eccezionale. Vorrei che ci fosse dell’altro.» La faccia di Preston perlustra la sua. Carol si rende conto di quanto sia giovane quell’insegnante e che anche lei è a pezzi. Sente che dovrebbe confortarla, ma come? «Posso prendere le cose dal suo armadietto?» L’insegnante annuisce. Quello che viene spacciato per prato davanti alla casa malandata è un grigio porpora ricoperto dalla brina del mattino di giovedì. Tad siede al volante di un furgone, un vecchio Econoline con i finestrini posteriori ricoperti, e ascolta alla radio una trasmissione senza capo né coda. Si tiene alla larga da Rooster, che se ne sta sotto il portico a passeggiare avanti e indietro, fumando una sigaretta. Una immacolata Cutlass Supreme nera con i vetri oscurati e con il tettuccio apribile di serie si dirige verso la casa. Ne scende un uomo robusto con un vestito da qualche centinaio di dollari, leggermente lucido. Porta molto oro addosso, inforca occhiali da sole ed è calvo. È Oscar Riggi. È l’uomo. Rooster smette di passeggiare. Tad scende dal furgone e attraversa la strada in una nuvola di fumo di scarico dell’Econoline. «Signor Riggi, come va?» Tad ama fare il leccaculo, ma Rooster non si spinge a tanto. Sa che non è così facile trovare uno come lui. «Rooster. Tad. Come vanno le cose? Come sta il nostro bagaglio?» «Tutto a posto e caricato, signore» risponde Tad, guardando involontariamente il furgone e pensando d’istinto al nascondiglio sul pavimento ricoperto dal tappeto. Dà una pacca alla fiancata del furgone. Riggi squadra Tad come se fosse lui una nuvola di fumo di scarico. «Tutto a posto, eh, Rooster? Posso fidarmi?» «Sì, può fidarsi, capitano.» Rooster scaglia il mozzicone di 27 sigaretta in direzione di Tad. Non addosso a lui, ma nella sua direzione. Abbastanza lontano, però, perché Tad possa dire qualcosa. Riggi risale i pochi gradini fino al portico e lancia a Rooster un rotolo piuttosto consistente di banconote di piccolo e medio taglio legate con un elastico. Rooster le sfoglia distrattamente col pollice e le mette via. Riggi gli mette la mano dietro la testa, non senza affetto. «Ehi, posso contare su di te, vero?» «Proprio così, Oscar.» Tad sale i gradini per raggiungerli, molto più grosso dei due uomini messi insieme, eppure fiacco e intimidito dalla loro presenza. Senza distogliere lo sguardo da Rooster, Riggi infila una mano nella tasca della giacca e ne estrae una manciata di carte che porge a Tad. «Qui c’è l’indirizzo dell’altro furgone e le istruzioni sulla strada da prendere. C’è anche la tua destinazione. Memorizzala, scrivila in codice, quello che ti pare, poi distruggila. Dentro ci sono anche dei soldi per il viaggio.» Tad sta al gioco, si sforza di sembrare un duro, uno che le cose le conosce. «Okay, okay.» «Chiamami ogni otto ore, dovunque tu sia. Chiaro? Voglio che il mio telefono squilli ogni otto ore.» «Chiaro.» «Da dove mi chiamerai?» «Da dovunque sarò, fra otto ore.» Riggi gli rivolge un sorriso stiracchiato, come se stesse assaggiando gelatina andata a male. «Avrai il resto dei soldi al tuo ritorno.» «Sissignore.» Riggi annuisce e si volta verso di lui. «Sei ancora qui?» Tad risale di corsa sul furgone e si dilegua. Riggi si volta verso Rooster. «Hai già fatto colazione?» 28 3 Quattordici mesi dopo Paul Gabriel rovescia una seconda scatola di cereali. Infila la mano e prende il premio. È un astronauta di gomma che immerso nell’acqua cresce di otto volte e mezza rispetto alla sua grandezza originale. Lo aggiunge agli altri premi che ha messo da parte per suo figlio. Adesso ce ne sono più di dodici. Paul si disegna un cerchio sulla tempia con la punta delle dita. Lì sta ingrigendo. È pallido. E ha anche l’aria stanca. Paul abbassa il cucchiaio. «Carol? Carol, sei pronta? È ora di andare.» Poco dopo lei entra in cucina. Il vestito non l’aiuta molto. Niente trucco; borse nere sotto gli occhi. Attraversa la cucina, visibilmente in disordine. Passa una spugna sul piano di lavoro e la getta nell’acquaio pieno di piatti. Carol è in piedi accanto a Paul quando lui cambia idea sui cereali e li getta nel cestino della spazzatura. Ha la sensazione di vederli entrambi, come dall’alto. Appaiono luridi insieme, la cucina appare lurida, tutto appare lurido. «D’accordo, andiamo.» Lui raccoglie le chiavi. Lei prende un sottile contenitore con la foto di Jamie attaccata con le grappette: un pezzo sporge leggermente dal fondo. Se ne vanno. 29 *** La stazione è animata intorno a loro, mentre i Gabriel siedono impietriti sulla panca fuori dall’ufficio del capitano Pomeroy. Dalla parte opposta il poliziotto preoccupato che tanto tempo prima ha raccolto la loro denuncia li ispeziona. Si cancella dalla faccia lo sguardo triste e si volta dall’altra parte, con l’aria colpevole. Paul e Carol siedono a qualche centimetro di distanza, ma potrebbero essere anni luce. Racchiusi nella propria capsula, ognuno solo, non riescono a colmare la distanza che li separa. L’unica cosa che condividono in questo momento è un grande fallimento. Possono vedere Pomeroy nel suo ufficio, i piedi sulla scrivania, intento a conversare con un collega. Il collega non è un poliziotto, quantomeno non porta la pistola, e quando si accorge che è tardi si alza in piedi. Pomeroy lo accompagna alla porta, e mentre l’apre la sua fragorosa risata invade la sala d’attesa. I Gabriel lo guardano con aria accusatrice; loro non ridono così da un bel po’di tempo. Quando li vede, Pomeroy chiude la conversazione. «Okay, Jase, concluderemo più tardi. Signore e signora Gabriel, come va? Accomodatevi, andiamo a vedere la situazione.» Entrano nel suo ufficio. Paul e Carol prendono posto e Pomeroy si lascia cadere sulla poltrona dietro la scrivania, stavolta in modo pesante, sospirando appena. «Credetemi, qui non c’è mai un attimo di tranquillità. Mai un attimo di pausa.» Sfoglia diverse cartelle di documenti e ne estrae una con la foto di Jamie grappettata sulla copertina. Pomeroy inforca un paio di occhiali da lettura con la montatura in plastica e scorre il fascicolo un po’ come un mercante che rivede i suoi conti. Le labbra si muovono e borbottano all’unisono con gli occhi, a basso volume. «Caso istruito il 24 ottobre... Quattordici mesi... Visto l’ultima volta la sera prima... Nessuna trac30 cia di lotta. Zona della scomparsa: quartiere di Auburn Manor, città di Wayne. Momento della scomparsa: sconosciuto. Segnalato: Uff. Pers. Scomp., Centro naz. scomp. e manc... Bambini della Notte... Prog. Scudo... Linea diretta fuggitivi... Trova un Angelo... Controlli incrociati con polizia di Stato, dipartimento dello sceriffo e FBI...» «Ha qualche nuova informazione? Qualcosa?» Pomeroy non dà segno di aver sentito la domanda e continua a controllare per un altro momento. Tira su gli occhiali e si massaggia con il dito la gobba del naso. «Come potete vedere dalla vostra copia del rapporto ancora non siamo riusciti a individuare nessuna traccia da seguire.» «Che stanno facendo i suoi uomini al momento?» «Voglio assicurarvi che il caso è ancora aperto. In queste situazioni, giovani scomparsi, fuggitivi...» «Lui non è fuggito.» Le parole di Carol escono fiacche, quasi spossate. Solo una rabbia sottile le alimenta ancora. «Non riesce a capirlo? Tutto quello che avete fatto è stato distribuire foto alle fermate dell’autobus. Se anche fosse fuggito conosce la strada di casa. Ma non può tornarci perché qualcuno lo ha preso. È stato rapito.» L’ultima parola lacera Paul come il trapano di un dentista che ha toccato un nervo. «Non abbiamo trovato nessuna prova che conforti questa ipotesi. E nemmeno l’FBI. Certo, è una possibilità. Una probabilità. Cose del genere succedono, ma spesso questi ragazzi non vogliono farsi trovare.» «Stronzate» dice Paul. Non riesce a credere di averlo detto a voce alta in faccia a un poliziotto. Pomeroy lo fissa sorpreso. Dietro gli occhi di Carol, vitrei per il dolore, c’è un movimento mentre lei guarda suo marito, una scintilla. Vede ciò che le è mancato troppo a lungo. Ma si spegne troppo presto. «Senta, capitano Pomeroy, mi dispiace... Lo so che ci avete lavorato, è solo che...» Paul è a corto di parole per concludere. 31 La bocca di Pomeroy si allarga in una mezzaluna malaticcia mentre il suo abituale controllo deborda oltre la scrivania, sul fianco. «Mi rendo conto di quello che state passando. Stiamo facendo del nostro meglio per...» Viene interrotto da un agente donna che infila la testa nella stanza. «Mi scusi, capitano. Un’unità operativa A2 richiede che lei firmi il turno di sorveglianza in modo che possano tornarsene a casa.» Pomeroy balza su, grato per l’interruzione. «Scusatemi, ci vorrà solo un minuto.» Segue l’agente verso la sala principale. Mentre esce Carol lo segue con lo sguardo, poi si alza e va dietro la scrivania. Questo innervosisce Paul. «Cha stai facendo?» Lei apre il fascicolo di Pomeroy su Jamie e comincia a esaminarlo. «Carol, tesoro, e se ci vede?» «Non m’importa. Voglio sapere quello che stanno facendo realmente.» «Carol...» Lei guarda su, punta sul vivo. «È nostro figlio. Te lo ricordi?» Lui non risponde, e la rabbia gli raggela il viso. Mentre Carol studia il fascicolo la testa le cade giù. Poi guarda su di nuovo. «Oddio.» «Che c’è?» chiede lui, guardando fuori per vedere se Pomeroy sta tornando. Lei lo ignora, ma mentre legge la sua faccia si contorce, come se soffrisse di una grave emorragia interna. «In questo fascicolo c’è una specie di registro del lavoro svolto. Non lavorano al caso da settimane... settimane. Oddio...» Fa scorrere il dito sulla pagina. La porta si spalanca e il capitano Pomeroy rientra in ufficio. Si affretta dietro la scrivania e strappa il fascicolo dalle mani di Carol. 32 «Mi scusi, signora Gabriel, ma questo è proprietà del dipartimento. Ed è riservato.» Lei gli mostra la versione in suo possesso del fascicolo di Jamie. «E allora questo che è?» Lo sbatte sul tavolo. «Uno scherzo, a quanto sembra...» «Quella è una copia di certe informazioni che avete richiesto, una richiesta che noi abbiamo soddisfatto, anche se non eravamo tenuti a farlo. Non è la nostra politica.» Paul si muove sulla sedia. Avverte la debolezza della sua posizione. Se quell’uomo dovesse nutrire del risentimento nei loro confronti, allora non farebbe più nulla. Cerca di sdrammatizzare. «Car, lo sai che dobbiamo avere pazienza. Un’indagine come questa è difficile.» «Proprio così» dice Pomeroy, riprendendo il suo posto come se fosse una lotta per il territorio. «Lo sapete anche voi, visti i tentativi che avete fatto per conto vostro. E lo sappiamo noi perché gli stessi federali non sono venuti a capo di nulla.» «E il tempo? Il tempo?» urla Carol, cominciando a essere più esplicita. «Aquesto caso avete lavorato per ventidue ore e mezza, nemmeno due ore al mese da quando è scomparso.» Questo raggela Paul. «Cosa?» dice in una specie di belato. Pomeroy appare in imbarazzo. A questo punto tutti i numeri cominciano a quadrare per loro: l’età di Jamie quando è scomparso, quanti anni avrebbe adesso, quanto poco tempo è stato impiegato per cercarlo. «Leggi tu stesso» dice lei con voce gracchiante. Carol strappa il fascicolo dalle mani di Pomeroy e lo scaglia attraverso l’ufficio verso suo marito. La stanza si riempie di carte che svolazzano e poi ricadono a terra. Pomeroy si tira su. «Signora Gabriel, forse lei può non accettarlo, ma ci sono altri casi di cui si sta occupando questo dipartimento. Proprio in questo momento, per esempio, ho...» 33 A questo Carol perde la compostezza ed esce come una furia dall’ufficio, sbattendo rumorosamente la porta dietro di sé e mettendosi a correre nella sala. I due uomini si guardano. Pomeroy alza le spalle. Se quel tipo non avesse una pistola dalla quale si deduce che è un poliziotto, non riuscirebbe a convincere nessuno che lo è, pensa Paul. Paul prende la copia del fascicolo di Jamie ed esce dietro sua moglie. L’agente Carriero alzò lo sguardo nel vedere una donna magra e ricurva che usciva di corsa dall’ufficio del capitano Pomeroy. La riconobbe, ma non riuscì a ricordarne il nome. Un attimo dopo venne fuori il marito. Un tipo alto. Con l’aria preoccupata. Gabriel. Era stato lui a registrare la loro deposizione. Era passata una fottuta eternità. Un ragazzo scomparso. Era stato di turno a casa loro la prima notte e lo ricordava come un non-evento, nessuna richiesta di riscatto, niente di niente. Aveva sperato, come faceva sempre, che si trattasse di un incidente. Che il ragazzo fosse caduto e avesse sbattuto la testa, che fosse stato investito da un’auto, o che avesse avuto un malore e si fosse perso da qualche parte. Poi magari lo avrebbero trovato, tenuto in un ospedale per giorni, lo avrebbero identificato e restituito alla sua famiglia. Era il meglio che ci si potesse augurare, come aveva imparato Carriero nei suoi sette anni in divisa. All’inizio aveva svolto un’indagine approfondita, seguita da rilievi e riscontri, ma non era venuto fuori nulla, e così lo avevano rimosso da quel caso e assegnato a una banda di scassinatori. Carriero si sentiva lo stomaco in disordine per la vergogna. Dopo gli scassinatori si era occupato di altri casi e non aveva più pensato a quel ragazzo. Nei primi anni di lavoro non gli sarebbe mai successo. Adesso, lo sapeva, il suo fascicolo era congelato nell’archivio dei casi irrisolti, i cosiddetti 34 ‘casi freddi’, e veniva tirato fuori e riscaldato solo quando i genitori chiedevano qualche informazione o venivano direttamente a parlare. La cosa migliore che potevano sperare era un corpo che spuntasse e mettesse fine all’attesa. Si alzò senza nemmeno pensarci e attraversò la sala. Raggiunse l’uomo proprio mentre era in prossimità della porta. «Signor Gabriel, mi scusi.» «Sì?» L’uomo si fermò e lo squadrò. Un esile barlume di riconoscimento gli ravvivò il viso. «Oh, certo, come va, agente?» «Tempo fa ho raccolto la vostra denuncia. Parecchio tempo fa. Ho dato un’occhiata al fascicolo di suo figlio...» «Sì?» Gli occhi di Paul tradirono la fame di sapere. «Ha scoperto qualcosa?» Carriero si rimproverò per essersi espresso in modo così avventato. «No, io... Io non so nemmeno come dirlo senza apparire scorretto.» Si interruppe. Sapeva che non giovava all’immagine, che non era gioco di squadra, come si dice, ma non poteva farci niente. Il padre lo guardava quasi implorante. «C’è un uomo. È un investigatore. Ho lavorato con lui. Potrà costarvi un po’, ma è... Non so quanto potrà esservi utile, ma potrebbe valere il prezzo avere qualcuno che si occupa personalmente di questo caso.» Gli porse un biglietto da visita spiegazzato. «Potrebbe anche non essere disponibile,» continuò il giovane agente «ma non si sa mai.» Paul si sentì sgonfiare. Sperava in qualche informazione significativa, ma un biglietto da visita in quel momento non gli era di nessun aiuto. Pensò di parlare all’agente dei due investigatori ai quali si erano già rivolti, al bel gruzzolo che avevano pagato volentieri, ma che si era tradotto in incontri mensili davanti a un caffè, nel corso dei quali gli investigatori avevano tentato di nascondere la mancanza di risultati dietro inappuntabili rapporti freschi di laser e pieni solo di tante parole. Invece accettò il cartoncino. 35 «Grazie. Sarà meglio che raggiunga mia moglie.» Paul si infilò in tasca il biglietto da visita e le andò dietro. Carol sedeva, in stato quasi catatonico, nel soggiorno in penombra. La notte era calata senza che nemmeno se ne accorgesse. L’unica luce nella stanza era il bagliore emesso dal televisore silenzioso. La sua fragilità era tale che ogni delusione aveva su di lei facile presa e un peso devastante. La porta si aprì ed entrò Paul con Tater al guinzaglio. Liberò il cane, poi avanzò e spense il televisore. «Carol, andiamo a letto.» Anche se lei sembrava non averlo sentito si alzò e si avviò verso le scale, con Paul subito dietro di lei. In fondo ai gradini Paul premette l’interruttore che accendeva la luce all’esterno della casa, per Jamie, come facevano ogni sera. Carol lo guardò, poi spense le luci prima di salire. 36