Lupo Buonazia a proposito del teatro di Mārūn al-Naqqāš
Paola Viviani*
Lupo Buonazia taught Arabic in Naples from 1878 until 1914, the year of his
death. His main concerns were linguistics, metrics and dialect. The “Maurizio
Taddei Library” at the University of Naples “L‟Orientale” preserves some of his
handwritten notes on the Lebanese playwright Mārūn al-Naqqāš. Buonazia offers
interesting considerations about this Arab dramatist's work; and he is most likely
the first Arabic scholar to have written about him in Italy and perhaps even in the
West on the whole.
Il 3 febbraio 1983, presso l‟allora Istituto Universitario Orientale, Francesco
Gabrieli tenne una conferenza dal titolo Gli studi arabo-islamici a Napoli fra Otto
e Novecento1. In quella sede, basandosi specialmente su quanto rievocato da suo
padre Giuseppe, a suo tempo studente di arabo a Napoli, egli ricordò, tra gli altri, i
docenti che, avendo insegnato nella città partenopea, avevano fatto da tramite,
sebbene non sempre in maniera precisa e lodevole – tale giudizio si basava su alcune prove2 – tra la cultura araba e la nostra, nonché, per riflesso, con ambienti
* Ricercatore di Lingua e Letteratura Araba presso la Seconda Università di Napoli, Facoltà
di Studi Politici e per l‟Alta Formazione Europea e Mediterranea “Jean Monnet”.
1
Francesco Gabrieli, Gli studi arabo-islamici a Napoli tra Otto e Novecento, in La conoscenza dell‟Asia e dell‟Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX, a cura di U. Marazzi, vol. I, tomo I, XX,
Napoli 1984, pp. 3-13.
2
Gabrieli, dopo aver parlato in maniera molto lusinghiera di Maurizio Lettieri (1804-1849), che
aveva insegnato a Napoli negli anni 1847-1849, si riferisce a delle figure che egli definisce oscure,
ovvero “un certo Giorgio Uahbe (Wahba), probabilmente un arabo cristiano d‟Oriente («un orientale girovago, cerretano e saltimbanco» lo qualifica un anonimo opuscolo polemico del 1860)” e a
“un certo Beniamino Raffaele Sanguinetti, spedito non so in che anno dal Ministero italiano a occupare come titolare la cattedra di «Letteratura orientale» nella Facoltà di Lettere napoletana” e,
infine un lettore di nome Giabara (ivi, pp. 3-4, 6). Nel testo Gabrieli ricorda inoltre Carlo Alfonso
Nallino (1872-1938), Giorgio Levi Della Vida (1886-1967), Riccardo Galiani, Laura Veccia Vaglieri (1893-1989) (ivi, pp. 5-8).
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terzi. L‟Italia ha svolto un ruolo fondamentale nella rielaborazione e nella trasmissione delle conoscenze acquisite o prodotte in ambito arabo, ed è quasi del tutto
superfluo ricordare quanto il nostro paese sia stato all‟avanguardia nella loro analisi e assimilazione, indubbiamente perché di quel mondo è stato, almeno in alcune zone, parte integrante e, inoltre, per gli inevitabili contatti tra la Chiesa di Roma e le orientali, il che ha comportato una particolarissima rete di rapporti, una
sorta di osmosi tra le due realtà i cui esiti hanno avuto larga eco ben oltre i confini
della Penisola.
Il valore dell‟Italia quale “mediatrice” culturale tra Oriente ed Europa, nonché
patria degli studi orientali e, in particolare, di arabistica, è stata posta bene in evidenza nel volumetto dal titolo Origine e progresso dello studio delle lingue orientali in Italia e che risale al 18423. In un periodo impregnato ancora di spirito romantico e, nel contempo, scosso da istanze positiviste, il noto storico e letterato
Francesco Predari (1809-1870), conosciuto anche per essersi occupato dell‟opera
di Giambattista Vico (1668-1744)4, dopo aver rammentato i motivi profondi che
erano stati alla base della nascita di una disciplina quale l‟Etnografia, da cui era, a
sua volta, scaturito l‟interesse per le lingue, sottolinea quanto sia stato rilevante lo
studio della storia e delle culture orientali per arrivare a comprendere la storia e la
cultura occidentale5. Contestualmente, esprime un sincero malessere riguardo alla
noncuranza spesso riservata dagli italiani ai risultati ottenuti dai connazionali in
qualsiasi branca dello scibile umano. In particolare, egli si pronuncia in merito a
quanto accade nel momento in cui si vogliano ricordare i linguisti nostrani che si
sono occupati con immensa dedizione delle “cose” orientali, tanto più che ribadisce che è stato «per l‟esclusiva opera degli Italiani sino al secolo XVI»6 che la
conoscenza dell‟arabo «si sparse nell‟Europa»7. Egli commenta, inoltre:
Ma mentre si guarda e si ammira con una specie di compiacente orgoglio a un tanto
progresso della moderna linguistica […], chi mai ha finora curato di gettare uno
sguardo paziente, un pensiero di giustizia a quei primi lavori, oggidì sì profondamen3
Francesco Predari, Origine e progresso dello studio delle lingue orientali in Italia. Memoria
di Francesco Predari, Tipografia di Paolo Lampato, Milano 1842.
4
Tra le sue tante opere, oltre ad una storia della dinastia Savoia, si annovera, infatti,
un‟importante edizione de La scienza nuova (1725 e 1730) di Vico, ossia La scienza nuova di
Giambattista Vico or per la prima volta integrata ed illustrata con aggiunte e note tratte da altri
scritti dell'autore per cura di Francesco Predari, Tipografia economica, Torino 1852.
5
“Posciachè la direzione più generale degli studj di questo secolo è la storia, ma la storia considerata nel suo più vasto aspetto, in tutti gli elementi che si connettono alle sue origini, alla sua
filosofia, ed a tutti i più ardui problemi della civiltà delle nazioni, lo studio delle lingue dovette esso pure subordinarsi a questo sì elevato ed ampio punto di vista. Ha quindi dovuto servire di strumento per rilevare le diverse circostanze della migrazione dei popoli, del loro carattere e della loro
culla. Di qui la formazione di una scienza che ebbe il nome di Etnografia. Questa, che in tutti i
suoi elementi esisteva senza dubbio sparsa nei lavori dei nostri Italiani, principiando dal XV secolo, ha solo oggidì acquistato un carattere di scienza… e tale è l‟importanza a cui si è in questi tempi elevato lo studio delle lingue e specialmente dell‟Oriente, siccome della parte di questo nostro
globo da cui sembra la storia derivare più comunemente la soluzione di tutte le questioni, che si
connettono all‟origine primitiva delle nazioni anche più occidentali e settentrionali d‟Europa.”
Francesco Predari, Prefazione a Id., Origine e progresso dello studio delle lingue orientali in Italia. Memoria di Francesco Predari, cit., pp. I-II.
6
Francesco Predari, Origine e progresso dello studio delle lingue orientali in Italia. Memoria
di Francesco Predari, cit., p. 33.
7
Ibid.
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te ignorati, e che furono gli elementi primitivi di che si nudrì la loro infanzia?
L‟Italia, che ebbe in ciò una parte sì ampia, è generalmente la più dimenticata […]
perfino in tutti quegli schizzi storici che comunemente soglionsi premettere in forma
di introduzione ad ogni novella produzione di sì fatto genere. E tale dimenticanza è
propria non solo degli oltramontani, ma sì anche dei nostri cultori stessi di queste discipline8.
Infine, conclude:
[…] Lo scopo pertanto di questo nostro lavoro fu quello di porgere una rapida rivista
storica di tutti quegli autori e di quelle opere per cui può l‟Italia riputarsi a nessuna
delle altre nazioni seconda nella gloria di questi studj; e ciò perché dalla cognizione
di quanto si fece dai nostri maggiori, si svegli nei giovani un séguito di opere degne
della sapienza di quella nazione […]9.
Egli quindi discute dell‟opera divulgativa e scientifica di alcuni nomi importanti
nel panorama degli studi arabi in Italia tra il XVIII secolo e i primissimi decenni
del XIX, terminando con la menzione del conte Carlo Ottavio Castiglioni (17841849), Michelangelo Lanci (1779-1867), dei siciliani Vincenzo Mortillaro (18061888) e Giuseppe Caruso10, dichiarando compiaciuto che «digrediremmo
all‟infinito»11, se si volessero enumerare tutti coloro che all‟epoca coltivavano
l‟arabo nel nostro Paese. Dalla disamina condotta da Pedrari, si evince perciò, in
secoli forse un po‟ dimenticati, la profonda dinamicità degli intellettuali attivi nel
nostro Paese nel prodigarsi per la diffusione e l‟analisi di una cultura a noi tanto
vicina per molteplici motivi. D‟altra parte, Francesco Gabrieli ha più volte scritto
degli orientalisti italiani, mettendone in luce i pregi e, perché no, i difetti. Grazie
a lui, ad esempio, possiamo facilmente aggiornare il lungo elenco approntato da
Pedrari e di cui ho citato solo un breve segmento12.
Tornando ora alla già accennata conferenza del 1983 sugli studi arabistici, tra
i docenti che nell‟Ottocento insegnarono a Napoli, Francesco Gabrieli annovera il
già citato professore pugliese Maurizio Lettieri, il toscano Lupo Buonazia (18441914) e Carlo Alfonso Nallino13, sicuramente personaggi che di sé hanno lasciato
una traccia positiva. Di certo, dei tre studiosi or ora citati, il più famoso è, inutile a
dirsi, Nallino, ma sono rimasta personalmente molto incuriosita dalle parole che
Gabrieli dedica a Buonazia, affermando che con lui «l‟arabistica di formazione
europea faceva finalmente la sua comparsa nei quadri dell‟insegnamento superiore napoletano» – giudizio che si fonda a sua volta su dichiarazioni di Francesco
Lo Parco e Nallino stesso14.
Vorrei, quindi, in questo contributo, tracciare un breve profilo di un attento
conoscitore della lingua e linguistica araba, Lupo Buonazia, toscano di Prato, che
fu docente a Napoli tra il 1878 e il 1914. Egli fu uno specialista del Mashreq, in8
Francesco Predari, Prefazione, cit., pp. II-III.
Ivi, p. IV.
10
Francesco Predari, Origine e progresso dello studio delle lingue orientali in Italia. Memoria di Francesco Predari, cit., pp. 37-39.
11
Ivi, p. 39.
12
Si vedano, ad es., Francesco Gabrieli, Un secolo di studi arabo-siculi, in “Studia Islamica”,
2 (1954), pp. 89-102; Id., Grandi orientalisti italiani, in Saggi orientali, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 1960, pp. 209-212; Id., Orientalisti del Novecento, IPO, Roma 1993.
13
Su Nallino si veda anche Francesco Gabrieli, Orientalisti del Novecento, cit., pp. 1-13.
14
Francesco Gabrieli, Gli studi arabo-islamici a Napoli tra Otto e Novecento, cit., p. 4.
9
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dugiando sull‟analisi del dialetto parlato in Siria e Libano. Si occupò tantissimo
della lingua araba classica e non, campo in cui fu formatore e divulgatore, per cui
lo si può inserire nel solco degli innumerevoli ricercatori amanti della luġat al-ḍād
e della sua letteratura che, prendendo a piene mani dalla tradizione dell‟Oriente e
dell‟Occidente arabo in generale, attraverso una continua e coerente attività scientifica, si prodigarono per diffonderle nel nostro Paese e non solo. Lupo Buonazia
ebbe come suo primo insegnante il fiorentino Fausto Lasinio (1831-1914), com‟è
risaputo, uno dei maggiori semitisti italiani, molto conosciuto e apprezzato anche
in ambito internazionale, che tanto aveva lavorato sull‟opera di Averroè. Tra le sue
pubblicazioni, è soprattutto ricordato Il commento medio di Averroè alla “Poetica” di Aristotele per la prima volta pubblicato in arabo e in ebraico e recato in
italiano15. Dal canto suo, Lupo Buonazia dedicò grandi energie all‟esame dei testi
di Mārūn Ibn Ilyās al-Naqqāš, l‟autore siro-libanese vissuto tra il 1817 e il 1855, e
considerato il padre del teatro arabo moderno16. Mi sembra, in realtà, un‟ipotesi
affascinante, quella suggerita dagli stessi interessi di maestro e discepolo: che esista una qualche sequenzialità tra gli studi condotti da Lasinio sul Perì Poietikès
commentato da Averroè e quelli di Buonazia sull‟arte drammatica araba nel XIX
secolo?
Nel testo della comunicazione del 1983 di Francesco Gabrieli, si legge dunque che l‟orientalista toscano, un garibaldino, aveva iniziato lo studio dell‟arabo a
Pisa con Fausto Lasinio, trasferendosi quindi in Germania, dove era stato discepolo del celebre edotto in filosofia islamica Friedrich Dieterici (1821-1903) e del
linguista e filologo Heinrich Laberecht Fleischer (1801-1888), a sua volta tra i più
importanti allievi del parigino Antoine-Isaac Silvestre de Sacy (1758-1838),
l‟autore, tra l‟altro, di una celebre Grammaire arabe (1806, 2^ ed. 1826-1827).
Successivamente, Buonazia aveva prestato la propria opera intellettuale, fino alla
sua scomparsa, presso il Regio Istituto Orientale (sin dal 1878) e poi alla Regia
Università di Napoli (dal 1885). Gabrieli afferma ancora che «il Buonazia ci appare, a nostra conoscenza, forse il più antico e certo fino allora17 il più serio docente di questa lingua»18 presso l‟antico “Collegio dei Cinesi” fondato da Matteo
Ripa. E prosegue:
[…] il Buonazia era ricordato da mio padre, che fu suo scolaro nei primi anni, per la
sua scrupolosità, modestia e paterna bontà […]; ma debbo pure ricordare che quello
stesso scolaro […], dopo un biennio di studio napoletano si trasferì […]: segno che
l‟insegnamento buonaziano non lo aveva del tutto appagato […]19.
La sua produzione reperibile presso la Biblioteca Maurizio Taddei dell‟Università
15
Il commento medio di Averroè alla “Poetica” di Aristotele per la prima volta pubblicato in
arabo e in ebraico e recato in italiano, di cui apparvero insieme due parti (Pisa 1872, e in Annali
delle Università toscane, XIII [1873]).
16
Per tutti, si veda Monica Ruocco, Storia del teatro arabo. Dalla nahḍah a oggi, Carocci,
Roma 2010, pp. 32 e ss.
17
Ossia fino al 1878.
18
Francesco Gabrieli, Gli studi arabo-islamici a Napoli tra Otto e Novecento, cit., p. 5.
19
Ibid.
78
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degli Studi di Napoli “L‟Orientale” consta dei seguenti titoli20: Catalogo dei codici
partenopei arabi della Biblioteca Nazionale di Napoli, in ciò continuando e perfezionando l‟opera di Maurizio Lettieri21; Glossario arabo-italiano per esercitazioni
scolastiche; Regole della grammatica araba e Materiale da elaborare per gli esercizi da unirsi alla grammatica araba; Materiali manoscritti per uno studio su
la metrica araba22; Materiali manoscritti per un dramma in dialetto in Siria,
Naggas e studi sul dialetto siriano; Gli scritti drammatici di Marun Naggas. Lupo
Buonazia, assieme ad altri colleghi, tra i quali Ignazio Guidi (1884-1935), Luigi
Bonelli (1865-1947) e Bartolomeo Lagumina (1850-1931), e su incarico del Ministero della Pubblica Istruzione, aveva dato inizio, nel 1878, alla catalogazione del
materiale arabo manoscritto conservato nelle biblioteche governative e approntato
quindi i Cataloghi dei codici orientali di alcune biblioteche d‟Italia (Firenze,
1878-1904)23. Si era altresì occupato dell‟inventario dei 38 codici posseduti dalla
Biblioteca Riccardiana di Firenze (1886-1887)24. Il manuale di grammatica,
l‟unico testo a stampa25 tra quelli appartenenti alla Biblioteca Maurizio Taddei, è,
secondo il giudizio di Francesco Gabrieli, «di natura e scopi essenzialmente didattici»26. D‟altronde, l‟autore stesso volle precisare, nell‟Avvertenza con cui si apre
l‟opera, che
[Q]uesta Grammatichetta fu scritta per quegli alunni del R. Istituto Orientale che,
dopo il breve corso di un anno scolastico, dovessero andare in Oriente. Lo scopo di
essa fu, dunque, quello di porre loro in mano un libretto che desse una chiara idea
della struttura della lingua araba e potesse rendere ragione dei modi di dire e di scrivere che si sarebbero presentati loro nella pratica dei paesi dove questa lingua è parlata e scritta27.
20
Nell‟elenco qui proposto, i titoli vengono forniti così come sono stati registrati nei cataloghi della Biblioteca. Più avanti, quelli dei testi da me maggiormente consultati verranno dati secondo la scrittura dell‟Autore. Si avverte, inoltre, che in alcuni punti si è preferito apporre
l‟accento là dove, invece, Buonazia non l‟aveva utilizzato. Infine, sempre nelle citazioni, anche i
nomi dei personaggi delle opere dell‟Arabo sono proposte così come le aveva segnalate Buonazia.
21
Francesco Gabrieli, Gli studi arabo-islamici a Napoli tra Otto e Novecento, cit., p. 5. Maurizio Lettieri aveva curato infatti Regiae Bibliothecae Borbonicae codices arabici descripti, quorum specimina arabicae et latine nunc primum editit […], Ex Regia Lib., Neapoli 1839, IV, pp. 24.
22
Buonazia partecipò, nel 1878, ad un importante Congresso fiorentino degli Orientalisti, dove egli propose un intervento sulla metrica araba.
23
Valentina Sagaria Rossi, La catalogazione dei manoscritti arabi conservati presso le biblioteche del territorio italiano, in “Quaderni di Libri e Riviste d‟Italia n. 44. La presenza araboislamica nell‟editoria italiana”, a cura di Isabella Camera d‟Afflitto, Ministero dei Beni e le Attività Culturali, Ufficio Centrale per i Beni Librari e le Istituzioni Culturali – Divisione Editoria, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2000, p. 4 (la numerazione delle pagine qui fornita si
riferisce al documento in versione telematica, disponibile sul sito http://dida.let.unicas.it).
24
Ibid.
25
Lupo Buonazia, Regole della Grammatica Araba compendiate da L. Buonazia Professore
straordinario di Lingua e Letteratura Araba nella R. Università di Napoli, Tipografia della R. Accademia dei Lincei, Roma 1910.
26
Francesco Gabrieli, Gli studi arabo-islamici a Napoli tra Otto e Novecento, cit., p. 5.
27
L‟Avvertenza così continua: “A raggiungere questo intento si imponeva non solo la brevità
ma anche un metodo che differisse alquanto da quello dottrinale seguito dai migliori autori di
grammatiche arabe. Da ciò deriva che, nella Etimologia, venne preposta la trattazione del Nome a
quella del Verbo, occorrendo nelle lingue semitiche molti periodi senza bisogno dell‟uso di questo.
E maggiori dovevano essere le divergenze apportate nella parte della Sintassi.
Non potendo tenere separata la Sintassi delle parole da quella delle Proposizioni, nel breve ambito
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Già nelle intenzioni del Buonazia, perciò, il manuale non doveva avere alcuna
grossa pretesa “accademica”, bensì una fondamentalmente pratica. Sebbene siano
passati più di cento anni dalla sua pubblicazione, e sia stato, com‟è noto, superato
in fama e in profondità da quello di Laura Veccia Vaglieri – che alcuni decenni
dopo sarebbe succeduta a Buonazia nella cattedra di Lingua e Letteratura Araba
presso l‟Istituto Orientale28 –, e l‟approccio all‟apprendimento di una lingua sia
ormai alquanto differente, a mio parere, il libretto sembra poter ancora offrire una
qualche utilità, sempre ovviamente entro limiti ben definiti. In realtà, malgrado la
sua compattezza, presenta tanti esempi che sicuramente possono aiutare il discente a cominciare la scoperta dell‟arabo, per cui mi pare che l‟obiettivo di Buonazia
sia stato raggiunto. Assai interessante, poi, mi è parso lo schizzo di eserciziario che
avrebbe dovuto, nei propositi chiaramente espressi dal docente toscano, corredare il
manuale di grammatica. Nel volume che lo contiene, conservato nell‟ateneo napoletano, non ci sono soltanto fogli manoscritti, ma anche le bozze a stampa delle
prime pagine del libro, più alcuni esercizi. Come sempre, secondo il metodo
d‟insegnamento-apprendimento del tempo, si tratta essenzialmente29 di frasi da
tradurre dall‟italiano in arabo e viceversa: sono frasi abbastanza complesse, a volte, perché il Professore ha tentato di riunire in un solo esempio di enunciato quante più regole possibile, il che se sulle prime non pare facilitare il compito allo studente, in realtà gli offre la preziosa opportunità di confrontarsi fin da subito con le
difficoltà e la laboriosità che perfino una normale conversazione è di solito in gradi meno di 30 pagine, credei utile muovere dalla Proposizione, trattando, prima, delle sue parti essenziali e quindi dei complementi di essa, e preponendo in ciascuna sezione ciò che riguarda il
Nome a ciò che riguarda il Verbo, in modo da procedere, così, in un ordine parallelo a quello della
Etimologia. Agli Esercizi che vedranno la luce dopo questa pubblicazione, ed a quelli proposti dai
maestri spetterà di provvedere alla ordinata unione di queste parti corrispondenti, che nel passare
dalla teoria alla pratica non possono essere disgiunte.
Non mi nascondo che forse ad alcuni sembrerà che sarebbe stato più semplice e più confacente ad
un breve compendio fondere insieme Etimologia e Sintassi (ciò che ho fatto per i numerali) come
non mi nascondo che alcune regole sintattiche sono appena adombrate e non facili ad intendersi da
un principiante; ma mi è parso preferibile all‟ometterle, anche un vago accenno, lasciando al giusto discernimento del maestro lo svilupparle e chiarirle o il mandarle al tempo in cui l‟alunno già
inoltrato nello studio potrà fare uso della Grammatica del Caspari, dove le ritroverà in forma più
ampia e precisa.” Lupo Buonazia, Avvertenza, in Id., Regole della Grammatica Araba compendiate da L. Buonazia Professore straordinario di Lingua e Letteratura Araba nella R. Università di
Napoli, cit. Qui si allude al manuale C.P. Caspari, Arabische Grammatik, Waisenhaus, Halle 1876.
28
Francesco Gabrieli, Orientalisti del Novecento, cit., pp. 173-175. In questo breve ritratto di
Laura Veccia Vaglieri, scritto nel 1989, alla p. 174 si legge: “[…] [Q]ui va menzionata in prima
linea la sua grammatica araba (Grammatica teorico-pratica della lingua araba, 2 voll., 19371961), con cui da oltre quarant‟anni più generazioni di studiosi si sono iniziati alla lingua dal dad.
Con questo fondamentale manuale teorico-pratico (di cui andrebbero solo ora rinnovati e rinfrescati gli esercizi), la Vaglieri affrancò gli italiani dalla dipendenza per l‟apprendimento dell‟arabo da
grammatiche di stranieri (quella italiana di G. Gabrieli, del 1913, era rimasta limitata alla pura teoria, e le molte altre pullulate negli anni della guerra libica eran tutte di ben modesto valore), offrendo uno strumento ancor oggi valido per l‟approccio allo studio sia dell‟arabo classico sia di
quello moderno…”. Cfr. Laura Veccia Vaglieri, Grammatica teorico-pratica della lingua araba, 2
voll., Istituto per l‟Oriente, Roma 1937-1961 e sue ristampe. Si veda anche l‟edizione aggiornata:
Laura Veccia Vaglieri, Maria Avino, Grammatica teorico-pratica della lingua araba. Primo volume, parte 1 e parte 2: 1. Laura Veccia Vaglieri, Morfologia e nozioni sintattiche, rivedute e aggiornate da Maria Avino; 2. Maria Avino, Esercizi in lingua araba moderna, Istituto per l‟Oriente,
Roma 2011.
29
Solo all‟inizio del libro sono presenti esercizi di lettura.
80
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do di generare. All‟interno dei manuali, nelle pagine dedicate alla spiegazione di
una data regola e negli esercizi applicativi, a mio avviso, spesso si lascia poco
spazio alla varietà e molteplicità della casistica, soffermandosi su determinati esempi, forse i più ricorrenti, la qual cosa può rivelarsi un‟arma a doppio taglio. È
mia opinione, comunque, che l‟eserciziario concepito da Buonazia fosse davvero
uno strumento adeguato, ed è un peccato che non sia stato condotto a termine. Inoltre, vorrei sottolineare che il procedimento da lui seguito fa effettivamente
pensare all‟azione di una “mente scientifica” qual egli era. Si sa, infatti, che il
Professore non era solo un estimatore delle materie umanistiche, ma anche della
scienza e della tecnica30. Inoltre, da annotazioni su un quaderno conservato presso
l‟odierna Università degli Studi “L‟Orientale”, si apprende che il giovane Buonazia era stato a Beirut nel lontano 1872 e che lì aveva per la prima volta sperimentato la lingua parlata, cominciando dunque a studiarla. Ciò l‟avrebbe poi indotto
ad avvicinarsi alla linguistica. In particolare, doveva essere profondamente affascinato dalla poesia dialettale e non, oltre che dal ritmo e dalla musicalità dell‟arabo in
ogni sua forma. Tutto questo dinamismo intellettuale lo avrebbe in seguito portato
ad occuparsi di metrica, come si è già accennato. Proseguendo sulla strada della
divulgazione, degno di attenzione si rivela altresì il Glossario arabo-italiano concepito per le scolaresche, che potrebbe essere l‟oggetto di un approfondimento per
evidenziare quali particolari lessemi lo studioso ha creduto opportuno sottoporre
all‟attenzione dei docenti e, ancor di più, dei discenti. Chissà, infine, se non sia
stato proprio il ricordo delle iniziali difficoltà – che potrebbero essergli sembrate
insormontabili – nel comunicare con chi lo circondava nella città libanese ad avere successivamente spinto il docente a prodigarsi per far sì che gli studenti avessero a disposizione strumenti agevoli in modo da poter essere in grado di entrare
fin da subito in stretto contatto con gli abitanti di qualsiasi Paese arabo avessero
un giorno visitato.
Bisogna porre in evidenza che la dedizione del Professore toscano alla lingua
araba sembra, almeno stando ai documenti consultati, prevalere sull‟impegno consacrato alla letteratura. Se ci si sofferma sull‟insieme della sua produzione conosciuta ai più, ossia la Grammatica, i Cataloghi e il testo di metrica, appunto, risulta evidente quanto votato egli fosse allo studio della luġat al-ḍād, ai suoi vari registri e allo stile. È però interessante, altresì, indugiare sulle pagine, più sopra segnalate, intorno alla figura e all‟arte del siro-libanese Mārūn al-Naqqāš, poiché lì
il letterato fa tesoro delle conoscenze del linguista – e viceversa –, rafforzando
così alcune convinzioni, e, contemporaneamente, scorge dei segnali che rimandano ai principi del Risorgimento nostro e di quello arabo.
È necessario rammentare che, per scrivere di al-Naqqāš, il docente di Prato
trae ispirazione dal volume Arzat Lubnān (Il cedro del Libano, 1869), curato dal
fratello del drammaturgo, Niqūlā, che ne aveva firmato la prefazione, il primo esempio di studio critico teatrale nel mondo arabo 31. Il libro contiene, oltre alle tre
pièces di Mārūn – al-Baḫīl (L‟avaro, 184732), Abū ‟l-Ḥasan al-muġaffal aw Hārūn
30
Francesco Gabrieli, Gli studi arabo-islamici a Napoli tra Otto e Novecento, cit., p. 5.
Niqūlā al-Naqqāš, Muqaddimah, in Mārūn Ibn Ilyās al-Naqqāš, Arzat Lubnān, al-Maṭba„ah
al-„Umūmiyyah, Bayrūt 1869 (Wizārat al-Ṯaqāfah, al-Markaz al-Qawmī li ‟l-Masraḥ wa ‟l-Mūsīqà
wa ‟l-Funūn al-Ša„biyyah, al-Qāhirah 1996); Monica Ruocco, Storia del teatro arabo. Dalla
nahḍah a oggi, cit., p. 219, n. 65.
32
Esistono però discrepanze in merito alla datazione. Monica Ruocco, Storia del teatro ara31
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al-Rašīd (Abū ‟l-Ḥasan il folle/l‟ingenuo33, o Hārūn al-Rašīd, 1849-1850) e alḤasūd al-salīṭ o al-Salīṭ al-ḥasūd (L‟invidioso insolente, 1851-1853) –, il prezioso
discorso da lui pronunciato il giorno del debutto sulle scene della sua prima commedia o “operetta” – per molto tempo considerata la prima commedia araba in assoluto34 –, introduzione sulla quale Buonazia si sofferma con profonda attenzione.
Ancora in Arzat Lubnān, si trova altresì l‟allocuzione tenuta da Niqūlā durante
l‟inaugurazione di un nuovo teatro a Beirut, elogi funebri in onore di Mārūn, poesie encomiastiche rivolte a quello che è considerato il capolavoro dell‟autore sirolibanese, ossia la sua terza commedia, e un‟appendice sui nuovi tipi di poesia araba.
Ritornando, ora, alla questione del Risorgimento, è d‟uopo ricordare che Mārūn al-Naqqāš visse durante la cosiddetta al-Nahḍah, il lungo periodo di risveglio
e rinnovamento socio-politico-culturale verificatosi tra il XIX secolo – sebbene
suoi prodromi si possano ravvisare già nella seconda metà del 1700 – e i primi
decenni del XX. Il termine al-Nahḍah viene reso in vari modi, tra cui rinascita, riformismo, ma può far pensare al Rinascimento, anche, come ha suggerito Isabella
Camera d‟Afflitto35. Ciò che a me sembra importante rilevare, per quanto attiene
a Buonazia e alla sua scelta di occuparsi del genere teatrale e del suo padre in terra
araba, è appunto che lo studioso parli di Risorgimento, associazione d‟idee, questa, forse conseguenza delle esperienze da lui vissute. Si è in precedenza notato
che egli era stato un garibaldino, un uomo che aveva combattuto per gli ideali di
libertà e indipendenza: non è quindi per nulla strano che fosse particolarmente
colpito da determinati elementi presenti nelle opere degli autori arabi che cercavano il rinnovamento nella propria società in ogni aspetto dell‟esistenza. Credo sia
doveroso accennare al fatto che pure Francesco Gabrieli ha più volte discusso della Nahḍah come di un risorgimento in cui, però, a differenza di quanto accaduto in
Italia, la preoccupazione dominante, ossia l‟urgenza dell‟affrancamento dal giogo
dell‟oppressore, avrebbe «cacciato nell‟ombra»36, o quasi, le problematiche più
genuinamente a carattere sociale, ossia quelle «della interna libertà civile, della
democrazia, dell‟equilibrio economico e sociale»37. Ciò allo studioso appare ancor
più vero allorché si pensa ai risultati della lotta nazionalistica38. Ma su questo si
ritornerà tra breve; qui, piuttosto, mi pare bene proporre alcuni elementi ricordati
e posti in evidenza da Buonazia:
[…] Se non che, attratto dall‟amore del sapere e del viaggiare, [lo scrittore] volle visitare le principali città del suo paese, e di poi passò, nel 1846, in Egitto, là dove, visti Alessandria e Il Cairo, partì per l‟Italia. Qua lo attrassero particolarmente le rappresentazioni teatrali, e vedendo in esse una delle migliori istituzioni europee per
bo. Dalla nahḍah a oggi, ibid. Ma si veda anche Lupo Buonazia, Gli scritti drammatici di Marun
Naqqas per Lupo Buonazia, p. 2.
33
Buonazia preferisce tradurre muġaffal con “folle”, mentre Ruocco con “l‟ingenuo”.
34
Si veda, però, Monica Ruocco, Storia del teatro arabo. Dalla nahḍah a oggi, cit., p. 219, n.
63.
35
Isabella Camera d‟Afflitto, Letteratura araba contemporanea. Dalla nahḍah a oggi, Carocci, Roma 2007 (2^ ed.), pp. 19-20.
36
Francesco Gabrieli, Libertà e democrazia nel Vicino Oriente, in Id., Saggi orientali, cit., p.
196.
37
Ibid.
38
Ibid.
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Lupo Buonazia a proposito del teatro di Mārūn al-Naqqāš
l‟educazione del popolo pensò di trasportarla in patria. L‟impresa non era facile ed
egli non se lo dissimulava […]. Ma aiutato dall‟amor di patria, […], ed ajutato dalla
conoscenza della poesia e della musica, non pose tempo in mezzo […]39.
Così, dunque, nasceva al-Baḫīl che, a sua volta, era preceduto da un discorso dello scrittore, discorso riassunto come segue da Lupo Buonazia:
In esso [l‟autore] riconosce il progresso che incominciava a notarsi nel suo paese, ma
misura giustamente la distanza che corre fra questo e la cultura ed il sapere degli europei. Lasciate da parte le cause della decadenza, cerca quelle che sono di ostacolo al
nuovo risorgimento, e le trova nella mancanza dell‟amor di patria che fa sì che ciascuno preferisca l‟utile proprio a quello sociale donde deriva che i dotti, che non
mancano in Siria (come egli riconosce) non trasmettano agli altri il loro sapere, sperando che altri prenda su di sé questo peso.
Rimprovera quindi ai suoi connazionali la mancanza di perseveranza nelle cose e
l‟impotenza di cogliere i frutti subito dopo sparso il seme, mostrando i benefici che
traggono gli Europei dagli sforzi […] di più generazioni. Ed infine nota che la vergogna mista a superbia fa sì che non si osi, nel suo paese, di inventare cosa o tradurre
libro che non piaccia, per timore della critica e degli scherni ai quali sarebbero fatti
segno gli autori. Di qui prende le mosse per biasimare l‟uso inveterato di non misurare il merito degli scrittori che dagli ornamenti de lo stile, trascurando la sostanza per
la forma, e si accinge a nuotare contro la corrente, con l‟apprestare un teatro educativo e dell‟oro europeo fuso in forma araba40.
L‟amor di patria, dunque, è l‟elemento, fondamentale, di cui in Oriente si sente,
sul volgere della metà del secolo XIX, la mancanza – e non solo a detta di Mārūn
al-Naqqāš. Nel contempo, tuttavia, il drammaturgo non si esime dall‟indicare il
legame esistente tra amor di patria, appunto, e senso civile, il che, ritengo, conduce direttamente alla lotta per i diritti della persona in una qualsiasi società. Se
Francesco Gabrieli ha avuto ragione nel sostenere che spesso nel mondo arabo si è
tralasciata la battaglia per le diverse libertà che naturalmente attengono all‟uomo,
è pur vero che gli innumerevoli combattenti per una nuova ummah hanno riempito
pagine e pagine sulla necessità, per tutti i membri della propria comunità, di non
avere come unico – o primo – obiettivo la “libertà” nel senso di liberazione
dall‟oppressore, chiunque questo fosse, bensì l‟esatta comprensione del significato
di unità, di fratellanza, di popolo, di democrazia. E ciò, nell‟opinione di più intellettuali “riformatori”, ha significato mettere l‟accento sul bisogno che il Governo
desse a tutti un‟occasione di riscatto, progresso, avanzamento culturale e materiale, attraverso l‟educazione e la concessione dei diritti civili41. Ora, sulla base di
ciò, mi pare interessante rimarcare l‟attenzione che Buonazia pone a determinate
affermazioni di Mārūn al-Naqqāš, da cui, ripeto, sembra possibile evincere almeno uno, forse il meno letterario, dei motivi per il quale l‟opera dell‟autore arabo ha
potuto così tanto colpirlo, vale a dire il ritrovare in lui e nei suoi convincimenti e
39
Lupo Buonazia, Gli scritti drammatici di Marun Naqqas per Lupo Buonazia, cit., pp. 6-7.
Ivi, pp. 10-11.
41
Si consideri, ad es., l‟opera di un riformatore quale il siro-libanese cristiano Faraḥ Anṭūn
(1874-1922), che tanto ha scritto sull‟argomento. Per una visione d‟insieme sulla sua attività, soprattutto giornalistica, cfr. l‟ormai classico Donald M. Reid, The Odissey of Faraḥ Anṭūn: A Syrian
Christian‟s Quest for Secularism, Bibliotecha Islamica, Minneapolis and Chicago 1975. In italiano,
Maria Avino, L‟Occidente nella cultura araba dal 1876 al 1935, Jouvence, Roma 2002, pp. 44-51,
149-157; Paola Viviani, Un maestro del Novecento arabo. Faraḥ Anṭūn, Jouvence, Roma 2004.
40
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Paola Viviani
propositi qualcosa del proprio spirito rivoluzionario. D‟altra parte, essendo linguista e filologo, e discepolo di insigni studiosi di filosofia islamica, e anche semplicemente in quanto italiano, Buonazia ha sicuramente rinvenuto nelle pièces che
hanno dato l‟avvio al moderno teatro arabo ragioni di profondo interesse, come è
facile desumere dalla seguente citazione:
E qui [al-Naqqāš] narra le meraviglie che ha viste delle rappresentazioni in prosa ed
in musica, e dimostra l‟utile che se ne può trarre, invitando gli altri a seguirlo e a far
meglio di lui, senza sgomento per la meschinità del principio, perché anche in Europa dal poco si arrivò fino ai teatri di Milano e Napoli. Ed a lui piacquero tanto le rappresentazioni in musica, che da quelle volle incominciare, sebbene riconosca che la
regola avrebbe portato di muovere da quelle in prosa. Alla idea che alla sua predilezione dovesse corrispondere quella dei suoi compagni andava unito il difficile problema di notare la musica corrispondente a ciascun verso. Egli non potè risolverlo
che raccogliendo la maggiore quantità possibile di arie popolari, e adattandole ai suoi
versi42.
Il drammaturgo levantino si inserisce nella folta schiera degli intellettuali della
Nahḍah che, sin dai suoi inizi, avevano concepito il vasto disegno di rinnovare la
società araba nei suoi vari ambiti, e, quindi, pure negli stili e generi letterari. Tale
urgenza, avvertita da molti, era una conseguenza della decisa volontà di affrancarsi da un passato che, seppur glorioso, spesso non sembrava rispondere in maniera
adeguata alle esigenze della modernità, perché, tanti ne erano assolutamente convinti, soltanto procedendo di pari passo con l‟evoluto Occidente in ogni campo,
l‟Oriente arabo avrebbe potuto lasciarsi alle spalle la stagnazione in cui versava da
lunghissimo tempo. Perciò, era doveroso, nei confronti della patria, agire in tutti i
settori per ottenere un futuro di prosperità. Uno dei settori in cui si riscontrano le
maggiori novità, è appunto il teatrale, anche perché la tradizione araba era abbastanza lontana dall‟occidentale. Se, però, si vogliono cercare dei tratti in comune
tra i lavori della tradizione orientale, tra cui il teatro delle ombre di un Ibn Dāniyāl
(1248-1310)43 e di altri, e le opere (sicuramente due di esse) di Mārūn al-Naqqāš,
essi possono consistere nell‟uso di una lingua non aulica, nel carattere quasi farsesco, nell‟ambiente cittadino44. A tali elementi bisogna aggiungere quello musicale,
preponderante, quando si pensi agli scritti del siro-libanese, ma non solo45.
Sottolinea Buonazia:
[M]ancando nella lingua araba la parola adatta ad esprimere questo nuovo genere di
letteratura [scill. il teatro], l‟autore adattò quello di Riwayah tanto per la commedia
che per il dramma e la tragedia, determinando con aggettivi il carattere di essa e
l‟essere o non essere accompagnata dal canto. Così, noi troviamo designata la sua
prima operetta col titolo di “Racconto da ridere tutto cantato” e le altre due nelle quali il nostro recitativo è reso con la prosa rimata portano il titolo di “Racconto da ride42
Lupo Buonazia, Gli scritti drammatici di Marun Naqqas per Lupo Buonazia, cit., pp. 12-
13.
43
Francesca M. Corrao, Il riso, il comico e la festa al Cairo nel XIII secolo, Istituto per
l‟Oriente, Roma 1996.
44
Su tali aspetti, si veda, per tutti, Monica Ruocco, Storia del teatro arabo. Dalla nahḍah a
oggi, cit., pp. 17 e ss., con ampia bibliografia di riferimento.
45
Ivi, pp. 32 e ss.; Atia Abul Naga, Les sources françaises du théâtre egyptien (1870-1939),
SNED, Alger 1969; Muhammad M. Badawi, Early Arabic Drama, Cambridge University Press,
Cambridge 1988.
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Lupo Buonazia a proposito del teatro di Mārūn al-Naqqāš
re con canto” 46.
A tal proposito, sarebbe davvero interessante e utile ricercare a quali rappresentazioni, nel periodo del suo viaggio italiano, al-Naqqāš poté assistere a Napoli, città
visitata dallo scrittore. Di sicuro, nella prima metà dell‟Ottocento, le commedie
più comunemente messe in scena in Italia erano ancora quelle di Carlo Goldoni
(1707-1793) o dei suoi epigoni e parodisti, questi molto attivi a Napoli47, così come erano attivi, sempre nella città partenopea, i parodisti del melodramma.
Nell‟opera di Goldoni, ad esempio, si fondono tratti del teatro di Molière, della
commedia dell‟arte, della farsa e dell‟opera buffa (bisogna infatti ricordare la sua
dedizione al melodramma), che tanto successo, quest‟ultima, riscuoteva all‟epoca
e che nella capitale borbonica aveva avuto per l‟intero Settecento una delle sue
culle. Parallelamente, al-Naqqāš molto è influenzato dal teatro e in particolare da
Molière. Bisogna ricordare che lo stesso al-Baḫīl di al-Naqqāš è, per ammissione
del suo Autore, l‟adattamento de L‟avaro, mentre in al-Ḥasūd al-salīṭ (al-Salīṭ alḥasūd) pure è ravvisabile l‟orma del commediografo francese. Altrettanto (se non
di più), però, è influenzato dall‟opera seria e dalla buffa, che devono averlo stupito ed entusiasmato grandemente sia per i temi rappresentati che per i modi della
rappresentazione stessa. Per non parlare dei significati politici, ossia «patri» e
«nazionali» che, specialmente negli anni ‟40 dell‟Ottocento, il melodramma e gli
altri generi ad esso legati assumono.48 Ma lasciamo infine nuovamente la parola a
Buonazia che, sempre sfoderando la perizia di consumato linguista e cultore di
metrica, commenta:
A chi legga o veda rappresentare questa operetta [al-Baḫīl] non sfugge che l‟intreccio
e gli effetti comici sono tratti di sana pianta da opere europee. […] Né all‟autore Marun è da fare grave rimprovero di questa imitazione poiché egli scriveva forse sotto
l‟impressione di qualche operetta sentita da poco in Italia e confessa ingenuamente
nella sua prefazione di aver preso a larga mano dagli europei. Tuttavia si ha una parte
della commedia in cui non può non disconoscersi la creazione dello scrittore orientale. Ed invero gli ultimi due atti hanno origine dalla legge del diritto mussulmano per
la quale il marito che lascia la sposa prima della coabitazione deve ad essa la metà
del prezzo matrimoniale. Considerando pertanto lo scopo che l‟autore si prefigge di
far entrare in grazia dei suoi connazionali questo nuovo genere di letteratura deve riconoscersi che esso è pienamente raggiunto, poiché l‟operetta procede rapida con
brevi scene ed efficaci per gente non avvezza ad artifici già troppo vecchi per noi.
Sembrerebbe che non poco dovesse aver contribuito al successo lo stile della poesia
il quale si modella su quello delle canzoni popolari. E l‟autore era pure di questo avviso, come lo dimostrano le dichiarazioni della prefazione circa la necessità di non
sacrificare agli artifici della forma la sostanza delle cose. E certo avranno mosso il riso le frasi della serva Umm Risa, il gergo turco-arabo del falso giudice e la caricatura
del dialetto egiziano del segretario. Ma non sembra che avesse l‟approvazione del
pubblico il sacrificio delle desinenze grammaticali al ritmo dei versi perchè vediamo
che il fratello dell‟autore si sente in dovere di scusare il fatto dicendolo causato dalla
46
Lupo Buonazia, Gli scritti drammatici di Marun Naqqas per Lupo Buonazia, cit., pp. 14-15.
Si veda, ad es., Pasquale Sabbatino, Il „Galileo‟ del nuovo teatro. Appunti sulla fortuna di
Goldoni a Napoli nell‟Ottocento, in “Rivista di letteratura teatrale”, n. 3, 2008, pp. 55-62. Cfr. altresì Id., Pulcinella educatore al “Bianchi”, in “Barnabiti Studi”, 26, 2009, pp. 175-182.
48
Per una panoramica dell‟universo del melodramma e del mondo che intorno ad esso si
muoveva nella città partenopea nel XIX secolo, un‟utile lettura è Annamaria Sapienza, La parodia
dell‟opera lirica a Napoli nell‟Ottocento, Guida, Napoli 1998.
47
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volontà del Naqqas di dar animo anche agli ignoranti dell‟arabo a prodursi in questo
nuovo campo di letteratura49.
A questo punto, il grammatico e studioso non solo dell‟arabo classico, ma anche
della lingua parlata, fa capolino tra le righe e commenta:
Questo ci dimostra quanto sia difficile ad avverarsi il sogno di qualche arabista europeo che la lingua parlata dagli arabi dei nostri giorni possa elevarsi a lingua scritta, e
ci spiega perché il Naqqas dovesse recedere a poco a poco dalla prima via e ritornare
sulle orme degli antichi. Infatti noi crediamo che nella operetta seguente […] egli
non solo prende il soggetto da una novella delle Mille e una notte, ma anche scrive il
dialogo in prosa rimata, e tanto in questa che nei versi cantabili non si allontana dalle
regole grammaticali che rarissime volte. E la cura della forma è maggiore nella terza
operetta “L‟invidioso” nella quale spesso l‟autore si compiace di espressioni rare, o a
doppio senso, di sincere difficoltà eccezionali imposte alla rima e dei molti altri
giuochi di parole nei quali lo Marun è maestro. E talvolta anche in bocca dei servi e
delle altre persone di basso stato si trovano espressioni che sanno di gravissimo. Con
tutto ciò il Naqqas ritraendosi dalla prima maniera non si eleva fino all‟arabo classico, perché di quando in quando il giro della frase esce dalle regole della antica sintassi, e di più non spinge lo scrupolo fino a rinunziare ai vocaboli accettati dall‟uso
moderno anche se questi non siano ancora stati registrati in alcun dizionario50.
Mi è sembrato interessante tracciare uno schizzo di Lupo Buonazia, un orientalista
il cui nome non ricorre tanto spesso. Molto interessanti, a mio parere, sono le scelte che egli ha operato, specialmente nel decidere di dedicarsi, già un secolo fa, e
forse più, ad argomenti a volte ritenuti “meschini”. Egli stesso era consapevole
dello scandalo che avrebbe potuto suscitare in molti colleghi – ciò si evince da
poche righe manoscritte conservate in un quaderno presso la Biblioteca Matteo
Ripa dell‟Università “L‟Orientale”51 –, occupandosi del dialetto e di opere “moderne” scritte in uno stile non convenzionale. Ma, come egli ha segnalato
nell‟incipit dello studio sul drammaturgo arabo:
Fra gli scrittori che nel nostro secolo arricchirono la letteratura araba di opere degne
di lode merita speciale menzione il maronita Marun Naqqas, non tanto per eleganza
dei suoi scritti, quanto per la novità degli elementi che cercò introdurre nella letteratura, la quale, da secoli, non sa distaccarsi dai modelli degli antichi classici. Se poi si
pone mente che la ispirazione venne al Naqqas dal nostro paese apparirà più che giusto, doveroso far conoscere quelle opere drammatiche di lui, delle quali a noi giunse
solo qualche vaga notizia52.
Ancora una volta, allora, l‟Italia si dimostra un luogo fondamentale per la circolazione delle idee, e la trasmissione e la mediazione culturale. In particolare, lo sono
due centri nevralgici, al Sud e al Nord, Napoli e Milano, che, agli inizi del XIX
secolo, riuscirono a imprimere nel viaggiatore arabo, Mārūn al-Naqqāš, un entusiasmo e una speranza che lo guidarono nei pochi anni che ancora gli restavano da
vivere: quelli di rinnovare in qualche modo l‟arte letteraria della propria società e,
insieme, quella società stessa. D‟altra parte, è interessante notare come proprio a
49
Lupo Buonazia, Gli scritti drammatici di Marun Naqqas per Lupo Buonazia, cit., pp. 37-40.
Ivi, pp. 40-42.
51
Lupo Buonazia, Materiali manoscritti per un dramma in dialetto in Siria, Naggas e studi
sul dialetto siriano, cit.
52
Lupo Buonazia, Gli scritti drammatici di Marun Naqqas per Lupo Buonazia, cit., pp. 1-2.
50
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Lupo Buonazia a proposito del teatro di Mārūn al-Naqqāš
Napoli si iniziasse a studiare con serietà l‟opera di questo autore mettendone in
luce vari aspetti pregni di conseguenze artistiche e politiche davvero degne di interesse. A chi scrive, pertanto, sembra che il binomio Lupo Buonazia-Mārūn alNaqqāš sia meritevole di un ulteriore approfondimento, così come l‟influenza, sullo scrittore beirutino, dello spirito italiano e, soprattutto, partenopeo.
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