UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA
TESI DI LAUREA
LA DISCIPLINA DEL MERCATO ASSICURATIVO
E LE PROSPETTIVE DI INTEGRAZIONE EUROPEA
Relatore:
Chiar.mo Prof. Michele Siri
Candidato:
Marco D’Oro
Anno Accademico: 2006/2007
Note e ringraziamenti
Il lungo lavoro di ricerca e compilazione è stato possibile solamente grazie
alla collaborazione ed infinita pazienza dei miei genitori, Bruno ed Angela, ai
quali dedico questo importante passo della mia vita.
Colgo altresì l’occasione per manifestare profonda gratitudine al professor
Michele Siri per la grande disponibilità nei miei confronti.
Infine ringrazio le persone che mi sono state vicino, aiutandomi a trovare la
volontà di dedicarmi con impegno e passione tanto al lavoro, quanto allo studio:
Diana, Valentina, gli amici tutti, i colleghi.
I
INDICE
Introduzione
VII
Capitolo I
Financial Services Action Plan
1.1
Servizi Finanziari: elaborazione di un quadro d’azione
1
1.2
Il “Financial Services Action Plan”
11
1.3
Monitoraggio delle attività
16
1.4
FSAP Evaluation Part I
23
1.5
Monitoraggio dell’adozione delle direttive negli Stati Membri
29
1.6
L’attività del Financial Services Policy Group
32
1.7
L’attività del Forum Group of Market Experts
35
Capitolo II
-Il mercato assicurativo-
Introduzione
2.1
38
Il mercato assicurativo da “protetto” a “libero” e da “nazionale” 39
Ad “internazionale”
2.2
Il consolidamento transfrontaliero: un cammino difficile
44
2.3
La concorrenza tra imprese e i c.d. “nuovi rischi”
48
2.4
L’internazionalizzazione delle compagnie assicurative.
50
Parallelismi e differenze con il sistema bancario
2.5
La costituzione del mercato assicurativo unico
53
2.6
La direttiva sull’intermediazione assicurativa: 2002/92/CE
57
2.7
Le violazioni delle direttive in materia assicurativa:
61
Il procedimento sanzionatorio contro gli Stati in ritardo con
l’implementazione della DIA
I
Capitolo III
-Il margine di solvibilità-
3.1
Il rischio
64
3.2
Il margine di solvibilità
69
3.3
Da Solvency 0 a Solvency II
73
3.4
Solvency II: le domande chiave
75
3.5
Cos’è Solvency II
78
3.6
In particolare: le ragioni giustificatrici del progetto Solvency II
81
3.7
I tre pilastri
85
3.8
Ipotesi sull’impatto del nuovo sistema di solvibilità
90
3.9
L’attività di CEA e CEIOPS
93
3.10
Quantitative Impact Study I
96
3.10.1 QIS1: osservazioni generali
3.10.2 QIS1: conclusioni generali
3.11
Quantitative Impact Study II
101
3.11.1 QIS2: obiettivi e contenuti
3.11.2 QIS2: valutazione dell’esercizio
3.12
Alcune criticità di Solvency II
108
3.13
I Consultation Papers del CEIOPS
112
Capitolo IV
-Il ramo vita-
4.1
In generale, l’assicurazione sulla vita
116
4.2
L’attività delle imprese di assicurazione sulla vita nell’ambito
120
del sistema finanziario
4.2.1 L’asset liability management per le imprese vita
4.2.2
La vigilanza e le garanzie finanziarie nelle imprese
del ramo vita, in chiave solvibilità
4.3
La disciplina: Direttiva 2002/83/CE
I
140
4.4
La disciplina in Italia: Circolare ISVAP 551/d “Le norme di
149
trasparenza delle polizze vita”
4.5
La disciplina in Italia: il Codice Civile
152
4.6
La disciplina in Italia: D.Lgs.209 07/09/05 “La tutela del
156
consumatore nel nuovo codice delle assicurazioni”
4.7
Un confronto europeo sui conti economici delle imprese
161
di assicurazione
4.8
Alcune osservazioni: il mercato vita nel contesto sociale
165
Capitolo V
Le prospettive di integrazione europea in materia di previdenza
complementare
5.1
L’importanza della previdenza complementare nel quadro
168
comunitario
5.2
Normativa comunitaria
171
5.3
Previdenza complementare: perché?
173
5.4
Il ruolo del settore privato
176
5.5
La libera circolazione dei lavoratori
179
5.6
Sistemi pensionistici nei principali paesi dell’Unione Europea
184
5.6.1 Francia
5.6.2 Germania
5.6.3 Paesi Bassi
5.6.4 Gran Bretagna
5.6.5 Gli schemi di previdenza complementare all’interno del
mercato UE
5.7
“A simpler way to better pension”: il rapporto Pickering
197
5.8
La previdenza complementare in Italia
210
5.8.1 I fondi pensione in Italia
5.8.2 Andamento delle adesioni, impatto della crisi subprime,
prospettive per il futuro: un intervento del presidente di
I
Covip, settembre 2007
5.9
Il settore assicurativo e il suo valore per la crescita, osservazioni 223
dell’Ania
Capitolo VI
L’intermediazione assicurativa
6.1
Introduzione: cinque anni dopo la Direttiva 2002/92/CE
232
6.2
Analisi della Direttiva 2002/92/CE
235
6.2.1 Registrazione obbligatoria e requisiti professionali
6.2.2 Obblighi di informazione degli intermediari
6.3
L’implementazione della Direttiva in alcuni Stati Membri
240
6.3.1 Austria
6.3.2 Belgio
6.3.3 Francia
6.3.4 Germania
6.3.5 Italia
6.3.6 Paesi Bassi
6.3.7 Spagna
6.3.8 Regno Unito
6.4
Analisi comparativa dell’implementazione dell’IMD
245
6.4.1 Scopo del legislatore nazionale nell’implementazione
dell’IMD
6.4.2 Mantenimento di diritti acquisiti (grandfathering)
6.4.3 La scelta e lo stile regolatorio dell’autorità competente
6.4.4 Requisiti relativi alla competenza ed all’onorabilità
6.4.5 Obblighi relativi alla responsabilità professionale, alla
protezione dei capitali dei clienti, al margine di solvibilità
6.4.6 Requisiti minimi di informazione da fornire ai consumatori
6.4.7 I costi di implementazione
6.5
Italia: osservazioni sul Nuovo Codice delle Assicurazioni
V
256
6.6
Italia: regolamento ISVAP n. 5/2006
260
6.7
Regolamento ISVAP n.5/2006: tutela dell’assicurato nei casi di
268
insolvenza dell’intermediario
6.8
La fase delle trattative contrattuali: obblighi e responsabilità di
273
intermediari ed assicuratori
6.9
Il registro unico degli intermediari
289
6.10
L’importanza dell’intermediazione all’interno del mercato
292
assicurativo
6.11
Osservazioni sull’impatto delle novità legislative sul mercato e
295
sulla professione
Bibliografia
300
V
Introduzione
L’importanza dell’assicurazione nell’economia moderna è indubbia ed è
stata riconosciuta per secoli.
L’assicurazione è praticamente una necessità per le attività produttive e per le
imprese, e non è trascurabile il suo ruolo nella protezione del tenore di vita delle
persone. Essa diventa il mezzo mediante il quale “il disastro di uno viene
condiviso da tanti, il disastro di una comunità viene condiviso da altre comunità,
le grandi catastrofi vengono attenuate e possono essere riparate”. In pratica è un
elemento essenziale per il funzionamento delle economie nazionali: senza
copertura assicurativa l’intero settore commerciale pubblico e privato non
potrebbe funzionare.
L’assicurazione permette alle attività produttive di operare in un’ottica di costi
effettivi, fornendo loro meccanismi di trasferimento dei rischi. Permette alle
imprese di assumere crediti che altrimenti sarebbero inaccessibili senza
un’adeguata copertura dai rischi, e fornisce protezione contro i rischi collegati
all’espansione dei business in territori non familiari (nuovi mercati, prodotti,
servizi), elemento essenziale per creare crescita economica.
Oltre al mondo delle imprese, l’assicurazione è di vitale importanza per gli
individui. La carenza di copertura assicurativa lascerebbe gli individui e le
famiglie priva di protezione dalle incertezze della vita quotidiana: l’assicurazione
è perciò un requisito fondamentale per la stabilità finanziaria, per il benessere, per
il tenore di vita dell’individuo.
In Europa la cultura assicurativa è in crescita. Il bisogno assicurativo è cresciuto
enormemente in seguito a diversi fattori, tra i quali il miglioramento del tenore di
vita medio dei cittadini dell’Unione, l’incremento culturale, l’aumento della
durata della vita, l’impatto di determinati eventi storici, che hanno portato
all’attenzione delle persone l’esistenza di nuovi rischi, come il terrorismo. Infine
non va trascurata l’importanza assunta dal mercato assicurativo come collettore
del risparmio privato, soprattutto nell’ambito della previdenza.
V
Si può tranquillamente affermare che il mercato assicurativo è uno degli elementi
cardine dell’economia europea, assolutamente non trascurabile in un’ottica di
sviluppo.
Il legislatore europeo, nell’ambito della creazione di un mercato unico dei servizi
finanziari, ha dedicato in questi anni ampio spazio alla materia assicurativa,
soprattutto allo scopo di armonizzare le discipline nazionali, in modo da realizzare
degli standard omogenei in tutti gli Stati Membri.
Il titolo di questa tesi “la disciplina del mercato assicurativo e le
prospettive di integrazione europea”, ne riassume efficacemente l’ambizioso
obbiettivo: fornire al lettore una visione a trecentosessanta gradi del mondo
assicurativo e della sua disciplina legislativa, e le prospettive di realizzazione del
“mercato unico”, fondamentale chiave di volta del mercato assicurativo dei nostri
giorni.
Le conclusioni alle quali sono giunto non sono univoche: da un lato è inevitabile
osservare la portata innovativa del progetto in corso di realizzazione, il mercato
unico europeo. I miglioramenti sono evidenti sotto molteplici aspetti: alti standard
professionali
degli
intermediari,
maggior
tutela
del
consumatore,
razionalizzazione dei margini di solvibilità delle compagnie, abbattimento delle
frontiere per la prestazione dei servizi finanziari.
Il rovescio della medaglia non è comunque trascurabile: non sempre si è assistito
ad una implementazione omogenea delle Direttive Europee, realtà che potrebbe
creare notevoli discussioni e problematiche. Parallelamente alcuni elementi
dell’impianto legislativo in via di sviluppo non sembrano essere adeguati allo
standard che l’Unione ha intenzione di realizzare. E’ il caso ad esempio della
Direttiva 2002/92/CE sull’intermediazione assicurativa, che ha ampi margini di
miglioramento, soprattutto in chiave di tutela dei consumatori.
All’interno della dissertazione questi argomenti sono trattati in maniera
approfondita, con lo scopo precedentemente accennato di fornire il quadro più
completo possibile dello stato di realizzazione del mercato unico assicurativo.
Si può concludere osservando semplicemente che il grande progetto UE è in corso
di realizzazione, e che, sebbene vi siano alcune criticità non trascurabili, un lavoro
costante delle Istituzioni europee in sinergia con i legislatori nazionali e con i
V
protagonisti del mercato assicurativo, porterà sicuramente alla realizzazione di un
mercato unico pienamente funzionante, con elevati standard di professionalità,
sicurezza, competitività e tutela dei consumatori. I tempi per conseguire questo
importante risultato, però, sembrano essere ancora lunghi.
I
Capitolo I
FINANCIAL SERVICES ACTION PLAN
Sommario: 1.1 Servizi finanziari: elaborazione di un quadro d’azione – 1.2 Il Financial
Services Action Plan – 1.3 Monitoraggio delle attività – 1.4 FSAP Evaluation Part I – 1.5
Monitoraggio dell’adozione delle direttive negli stati membri – 1.6 L’attività del “Financial
Services Policy Group” – 1.7 L’attività dei “Forum Group of Market Experts”
1.1
Servizi Finanziari: elaborazione di un quadro d’azione
Nel Giugno 1998 il Consiglio europeo di Cardiff ha invitato la
Commissione “a presentare un quadro di azioni intese a migliorare il mercato
unico dei servizi finanziari”. Rispondendo a tale invito, la Commissione ha
pubblicato una comunicazione1 nella quale ha individuato una serie di temi da
sviluppare urgentemente per beneficiare appieno dei vantaggi della moneta unica
e assicurare un funzionamento ottimale del mercato finanziario europeo.
Sono state evidenziate cinque linee di azione essenziali:
a. l’UE va dotata di un dispositivo legislativo che consenta di
affrontare le nuove sfide in materia di regolamentazione;
b. va eliminata qualsiasi frammentazione residua del mercato dei
capitali, in modo da ridurre il costo dei capitali raccolti sui mercati
dell’UE;
c. gli utenti ed i fornitori di servizi finanziari devono essere messi in
grado di sfruttare liberamente le opportunità commerciali dal
mercato finanziario unico, assicurando nel contempo un livello
elevato di protezione dei consumatori;
d. va incoraggiato un maggiore coordinamento tra le autorità di
vigilanza;
1
COM (1998) 625 del 28.10.1998: “Servizi finanziari: elaborazione di un quadro di
azione”.
1
e. va sviluppata una infrastruttura integrata a livello UE per le
operazioni finanziarie al dettaglio e all’ingrosso.
a) Un apparato normativo più snello ed efficace
Secondo la Commissione, il raggiungimento di un apparato normativo più
snello e più efficace può essere perseguito innanzitutto mediante un
aggiornamento della legislazione. Elementi fondamentali di questo aggiornamento
sono la razionalizzazione delle tecniche legislative (legiferare meno e meglio) e
una maggiore rapidità della legislazione.
In secondo luogo è auspicabile il miglior utilizzo possibile della normativa
già esistente i cui difetti attuali possono essere corretti da una migliore attuazione
a livello nazionale, da un controllo più rigoroso da parte della Commissione e da
un’interpretazione più chiara ed uniforme delle norme comunitarie.
LINEE D’AZIONE
La commissione:
9
eserciterà pressione affinché le direttive siano attuate in modo efficace ed entro i termini
previsti;
9
elaborerà comunicazioni interpretative contenenti orientamenti per gli Stati membri e gli
operatori;
9
metterà sul tappeto nuove proposte per l’elaborazione della futura legislazione
prudenziale in materia di servizi finanziari.
Il Consiglio e il Parlamento europeo
9
sono invitati a collaborare con la Commissione per esaminare la possibilità di concludere
un accordo interistituzionale che precisi le modalità di elaborazione di una legislazione
snella, flessibile e più rapidamente adottabile;
9
dovrebbero impegnarsi ad esercitare un certo grado di autorestrizione nel processo
legislativo per evitare una legislazione troppo complessa.
Gli Stati membri
9
dovrebbero invitare le loro autorità di vigilanza ad aumentare il loro ruolo di
2
autoregolamentazione approfondendo e potenziando i processi volti a rafforzare le norme
regolamentari e le pratiche operative per un mercato unico efficace;
9
dovrebbero impegnarsi ai fini di un’attuazione efficace e tempestiva delle direttive.
b) L’eliminazione della frammentazione residua del mercato dei capitali
La Commissione non ritiene che l’introduzione della moneta unica possa
essere condizione sufficiente per provocare l’integrazione dei mercati finanziari, i
quali rimarranno frammentati a causa della sussistenza di barriere regolamentari,
amministrative e fiscali.
Per quanto riguarda la domanda, gli emittenti devono poter accedere con
facilità ai mercati finanziari paneuropei, in condizioni di concorrenza. Per
realizzare questo obiettivo si impongono nuove misure nei settori del mutuo
riconoscimento dei prospetti, e del finanziamento delle giovani imprese
innovatrici non quotate.
Nell’ambito dell’offerta gli investitori devono essere liberi di investire le
loro attività senza scontrarsi con barriere giuridiche o amministrative, né con
problemi di informazione. Si prospetta una maggiore armonizzazione contabile al
fine di stimolare gli investimenti transfrontalieri con una maggiore trasparenza ed
una migliore comparabilità dei bilanci, e l’eliminazione delle restrizioni
quantitative e qualitative agli investimenti: i gestori di fondi pensione e di
assicurazione vita, infatti, gestiscono una porzione crescente delle riserve di
risparmi dell’Unione. Un miglioramento, per quanto minimo, dei rendimenti
potrebbe generare utili sostanziali per i membri dei fondi pensione e contribuire
ad alleggerire il costo del finanziamento pubblico delle pensioni. Ciò potrebbe, in
ultima analisi, contribuire alla creazione di posti di lavoro, rafforzando nel
contempo la sicurezza dei risparmi per la pensione.
Prodotti come fondi pensione e assicurazione vita sono sottoposti a
trattamenti prudenziali e fiscali che variano da Stato membro a Stato membro.
Questa situazione può creare differenze arbitrarie tra prodotti e far pendere
ingiustamente la bilancia a favore di un gestore piuttosto che di un altro. Per
3
ovviare a questo problema la Commissione si adopererà per il realizzarsi di
condizioni di concorrenza uniformi per prodotti finanziari analoghi.
I prestatori di servizi di investimento devono altresì poter esercitare le loro
attività in tutta l’Unione senza dovere espletare formalità giuridiche e
amministrative ridondanti.
Nel quadro della direttiva relativa ai servizi d’investimento, il mantenimento delle
regolamentazioni locali in materia di negoziazione di attività dà luogo ad un
mosaico di requisiti molto diversi e rende arduo ai prestatori di servizi di
investimento avere accesso ai mercati regolamentati di altri Stati membri e
competervi in modo efficace.
La Commissione ritiene che le attività transfrontaliere non devono essere soggette
a regole di negoziazione inutili imposte dal paese ospitante, in quanto
l’autorizzazione del paese di origine e la vigilanza delle istituzioni offrono
all’investitore professionale le garanzie necessarie.
LINEE D’AZIONE
La Commissione:
9
proporrà miglioramenti alle direttive relative ai prospetti, in modo tale da eliminare le
discordanze tra normative nazionali e permettere il mutuo riconoscimento di tali prospetti;
9
esaminerà la possibilità di incentivare, con iniziative giuridiche adeguate, i fondi
specializzati nel capitale di rischio a raccogliere a livello europeo i capitali necessari al
finanziamento delle nuove imprese di piccole dimensioni;
9
esaminerà se le opzioni in materia di informazione contabile previste dalle direttive
contabili siano inadeguate, tenuto conto della necessità di una maggiore armonizzazione
delle norme in materia;
9
elaborerà, sulla base di una comunicazione, una direttiva che mira allo smantellamento
delle misure che limitano gli investimenti dei fondi di previdenza integrativa e non sono
motivate da considerazioni di congruenza monetaria;
9
si sforzerà di addivenire ad un consenso sul ruolo del revisore legale dei conti nel contesto
dell’informazione degli investitori e dei mercati finanziari;
4
9
continuerà a lavorare al miglioramento della normativa relativa al governo societario in
cooperazione con gli organismi privati e pubblici competenti;
9
si adopererà per preservare la concordanza tra le norme contabili europee e le norme
contabili internazionali elaborate dalla IASC, in particolare introducendo la contabilità al
volore equo nel quadro normativo della’UE;
9
individuerà i mezzi più vantaggiosi (legislativi e non) per migliorare l’efficacia delle
direttive sui servizi di investimento promuovendo la necessaria convergenza delle
impostazioni nazionali relative alle regole di condotta.
Il Consiglio e il Parlamento europeo
9
sono invitati a fare progressi nell’adozione delle proposte di direttive relative alle
procedure di offerta pubblica di acquisizione e allo statuto della società europea (SSE);
9
sono invitati ad adottare rapidamente la legislazione necessaria basata sulle proposte della
Commissione nel settore degli OICVM.
c) I mercati al dettaglio degli Stati membri non sono ancora aperti
Allo stato delle cose valutato dalla Commissione nella comunicazione,
l’interpenetrazione dei mercati si è realizzata soprattutto attraverso lo stabilimento
di succursali o di controllate, spesso mediante l’acquisizione di operatori già
insediati
in
un
altro
mercato
nazionale.
Ad
esempio,
nel
mercato
dell’assicurazione sulla vita, le imprese di assicurazione della maggior parte
degli stati membri non effettuano vendite transfrontaliere.
Per realizzare un autentico mercato interno occorre contemperare due
obiettivi a volte contrastanti: innanzitutto, i consumatori dovrebbero poter
scegliere con cognizione di causa nella certezza che i loro interessi sono tutelati
da solidi meccanismi di garanzia; un secondo obiettivo è accrescere la
concorrenza e ampliare le possibilità di scelta dei consumatori consentendo a tutti
gli intermediari finanziari di prestare i loro servizi a clienti/consumatori in
qualsiasi parte dell’UE, sulla base dell’autorizzazione rilasciata loro dall’autorità
di vigilanza nel paese d’origine. Gli stati membri si preoccupano legittimamente
di proteggere i consumatori dall’esposizione al rischio finanziario, ma l’esigenza
di garantire un elevato livello di protezione non dove essere utilizzata come
pretesto per ostacolare l’attività transfrontaliera.
5
La Commissione ritiene che continuerà ad essere impossibile sviluppare un
prodotto paneuropeo per quanto riguarda i prestiti ipotecari, l’assicurazione sulla
vita o i fondi pensione, in mancanza di un coordinamento e del riconoscimento
reciproco delle differenze di fondo delle disposizioni nazionali in materia.
Occorre dunque sviluppare soluzioni pragmatiche per riconciliare l’obiettivo della
promozione della piena integrazione dei mercati finanziari con quello di
assicurare un elevato livello di protezione dei consumatori e mantenere la loro
fiducia.
9 Occorre avviare iniziative mirate a migliorare il grado di protezione dei
consumatori attraverso la convergenza delle prassi nazionali. In
particolare, il coordinamento delle prassi nazionali per quanto riguarda gli
intermediari di assicurazione può dare un contributo sostanziale sia alla
protezione dei consumatori che alla più larga commerciabilità dei prodotti
assicurativi.
9 Occorre individuare le differenze sostanziali tra le norme giuridiche che
tutelano i consumatori nei diversi paesi. Sono necessari meccanismi che
consentano alle istituzioni comunitarie di tracciare un quadro sistematico
delle fattispecie in cui si applicano le normative nazionali degli stati
membri.
9 La Commissione perseguirà una politica che distingua tra consumatori ed
operatori professionali2, limitando l’applicazione delle norme del paese
ospitante ai casi in cui è in gioco la sicurezza dei consumatori3.
9 Occorre sviluppare una strategia che protegga i consumatori da pratiche
commerciali aggressive e sleali ma che allo stesso tempo consenta loro di
cercare il prodotto più conveniente.
2
Il principio della protezione differenziata dei consumatori è stato sancito negli anni
ottanta dalla Corte di giustizia quando ha dichiarato, in materia di esigenze di protezione dei
consumatori, che si deve anche ammettere che tali ragioni non hanno la stessa importanza per
tutti […] e che possono esistere casi in cui, dato il carattere del rischio e del contraente […] non
vi è alcuna necessità di tutelare quest’ultimo mediante l’applicazione delle norme imperative del
suo ordinamento nazionale. (causa 205/84, Racc. 1986, pag 3755). La Commissione ha già
applicato questo principio nei settori dell’assicurazione e dei servizi d’investimento.
3
Il termine “consumatore” è stato definito nella legislazione in materia di protezione dei
consumatori: si tratta di una persone fisica che agisce al di fuori della sua attività professionale o
lavorativa.
6
9 Occorre mettere a disposizione mezzi di ricorso efficaci a livello
transfrontaliero. Si devono assumere iniziative in materia di risoluzione
extragiudiziale delle controversie e di trattamento dei reclami.
LINEE D’AZIONE
La Commissione:
9
metterà in atto le iniziative annunciate nel Libro verde “Servizi finanziari –
Promuovere la fiducia dei consumatori”;
9
presenterà proposte per introdurre mezzi di ricorso e procedure di trattamento dei
recliami di levello adeguato per i clienti dei servizi finanziari;
9
individuerà e catalogherà le differenze tra le disposizioni adottate dagli Stati
membri invocando “l’interesse generale” a protezione dei consumatori nel settore
dei servizi finanziari, in vista dell’elaborazione di misure concordate, mirate e
proporzionate;
9
adotterà una politica basata sulla distinzione tra operatori professionali all’ingrosso
e comuni consumatori al dettaglio, per concentrare l’azione di regolamentazione
sugli ambiti nei quali è più necessaria e per evitare costi di adempimento
indebitamente elevati;
9
studierà nuove incisive peoposte per assicurare che gli intermediari di
assicurazioni debbano soddisfare rigorosi requisiti professionali e di altra natura
allo scopo di migliorare la protezione dei consumatori e il funzionamento del
mercato unico delle assicurazioni;
9
affronterà gli ostacoli giuridici fondamentali alla diffusione dei prodotti finanziari
seguendo una strategia graduale, viste le radicate differenze delle tradizioni
giuridiche.
d) L’esigenza di cooperazione tra le autorità regolamentari e di vigilanza
La cooperazione tra le autorità di vigilanza nazionali è fondamentale per la
gestione del rischio istituzionale/prudenziale, e deve svilupparsi organicamente
sia per rafforzare la capacità di far fronte a problemi transfrontalieri, sia per
elaborare un’impostazione di vigilanza comune per affrontare nuove forme di
rischio prudenziale sui mercati bancari, assicurativi e mobiliari.
7
Occorrerà altresì una stretta cooperazione tra le autorità di vigilanza e l’autorità
monetaria competente per la gestione della liquidità all’interno del sistema; tale
cooperazione deve fondarsi su una chiara attribuzione delle responsabilità.
Il coordinamento delle autorità di vigilanza deve essere basato su modalità
attentamente studiate: la Commissione riterrebbe assai utile l’elaborazione di una
“carta delle autorità di vigilanza” che attribuirebbe chiaramente le competenze per
lo svolgimento dei diversi compiti di vigilanza su base transfrontaliera.
Ulteriori elementi sottolineati dalla Commissione sono: l’importanza della
cooperazione internazionale sotto il profilo regolamentare, e soprattutto
l’esportazione dell’ordinamento della Comunità per assicurare la stabilità
finanziaria nei paesi dell’Europa orientale, che stanno compiendo progressi
costanti, anche se non uniformi, nel recepire la legislazione UE sui servizi
finanziari.
LINEE D’AZIONE
La Commissione:
9
contribuirà all’elaborazione di una “carta delle autorità di vigilanza” che definisca
le responsabilità rispettive e meccanismi per il coordinamento dei diversi
organismi aventi funzioni di vigilanza al livello UE.
9
riesaminerà le norme comunitarie in materia di requisiti patrimoniali degli enti
creditizi.
Il Consiglio e il Parlamento europeo:
9
dovrebbero adottare le proposte di direttiva in materia di risanamento e
liquidazione degli enti creditizi e delle imprese di assicurazione.
Gli Stati membri:
9
dovrebbero spingere le loro autorità di vigilanza a contribuire al massimo al
miglioramento dell’infrastruttura di vigilanza globale.
e) Condizioni generali per un mercato finanziario UE pienamente integrato
8
La Commissione ritiene che un quadro normativo elastico e aggiornato
non può da solo assicurare un funzionamento ottimale del mercato finanziario
unico, ed auspica perciò la realizzazione di una serie di condizioni più ampie.
A livello di infrastrutture un mercato pienamente funzionante presuppone
l’esistenza di mezzi tecnici e pratici necessari perché il regolamento delle
operazioni transfrontaliere possa essere effettuato con la stessa facilità ed
efficienza del regolamento delle operazioni nazionali. Devono perciò essere
colmate le lacune giuridiche dei sistemi di pagamento e di regolamento delle
operazioni su titoli, e dei sistemi di pagamento al dettaglio.
Riguardo la politica di concorrenza la Commissione riconosce un effetto
positivo alla coperazione tra banche ed altre imprese di servizi finanziari nei limiti
delle norme del trattato che vietano gli abusi di posizione dominante e
accertandosi che gli accordi conclusi non implichino restrizioni della concorrenza.
La Commissione ritiene anche che eventuali interventi degli Stati membri sotto
forma di aiuti di Stato rischia di avere effetti distorsivi della concorrenza, e si
impegna ad adoperarsi con energia per assicurare la parità delle condizioni di
concorrenza, applicando rigorosamente le disposizioni del trattato in materia di
aiuti di stato.
Le politiche fiscali sono destinate a influenzare pesantemente la
prestazione di servizi su scala transfrontaliera. I risparmi delle persone fisiche, ad
esempio, sono fortemente sensibili alle differenze di tassazione dei redditi da
capitale. Le distorsioni derivanti da tali differenze devono perciò essere
minimizzate.
Altri esempi di situazioni “patologiche” si riscontrano in materia di fondi
pensione e assicurazione sulla vita, soprattutto per quel che riguarda le formalità
relative ad adempimenti fiscali ed obblighi di informativa previsti negli Stati
membri, che causano una lievitazione dei costi degli operatori. In materia di
assicurazione sulla vita, infine, solo i premi versati ad un operatore nazionale
beneficiano di un trattamento fiscale favorevole.
La mobilità del lavoro costituisce un altro fattore indispensabile per il
corretto funzionamento di un mercato paneuropeo. Le società che operano in più
Stati membri non dovrebbero essere costrette ad istituire un fondo pensioni
9
distinto in ciascun paese, con conseguenti ripercussioni negative sul costo del
lavoro4.
LINEE D’AZIONE
La Commissione:
9
presenterà proposte per accrescere la certezza giuridica per quanto riguarda
l’impego di garanzie su base transfrontaliera.
9
ridurrà gli ostacoli di ordine statistico all’esecuzione di bonifici di importo
modesto al dettaglio.
9
preseterà proposte per eliminare gli ostacoli fiscali all’affiliazione tranfrontaliera
ai fondi pensione, agevolando così lo sviluppo di strutture societarie paneuropee
e incoraggiando la mobilità del lavoro.
Il Consiglio e il Parlamento europeo:
9
dovrebbero adottare la proposta di direttiva sulla tassazione del risparmio.
Consiglio e gli Stati membri:
9
dovrebbero impegnarsi ad applicare il codice di condotta sulla tassazione delle
imprese.
4
Questo problema è stato in parte affrontato dalla legislazione comunitaria nella direttiva
98/49/CE, relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori subordinati
e dei lavoratori autonomi che si spostano all’interno della Comunità europea.
1
1.2
Il “Financial Services Action Plan”
La comunicazione della Commissione COM(1999)232, 11.05.99 “Messa
in atto del quadro di azione per i servizi finanziari: piano d’azione” (Financial
services action plan) dà corpo alle iniziative la cui necessità è stata affermata nella
precedente comunicazione del 28/10/1998 sui “Servizi finanziari: elaborazione di
un quadro di azione”.
IL FSAP è il risultato di un lungo processo di costruzione di un mercato
unico dei servizi finanziari che ha avuto inizio negli anni settanta, e si pone il fine
di confermare gli obiettivi ispiratori della politica in materia di servizi finanziari
negli anni successivi, e di determinare l’ordine di priorità di tali obiettivi,
delineando un calendario indicativo per il loro conseguimento e consigliando una
serie di meccanismi strumentali alla loro realizzazione.
Essenzialmente, le azioni contenute nel documento si suddividono in tre capitoli:
mercati all’ingrosso, mercati al dettaglio e strutture di vigilanza.
Viene dedicata attenzione anche alle modalità di messa in atto dello schema
d’azione.
a) Mercati all’ingrosso
Innanzitutto il FSAP pone come priorità l’aggiornamento della direttiva
sui servizi d’investimento (DSI), la cui applicazione viene ostacolata
dall’atteggiamento delle autorità competenti del paese del cliente. Sorgono quindi
urgenti esigenze di regolamentazione e nuovi problemi dovuti agli sviluppi dei
mercati e delle tecnologie, soprattutto per quel che riguarda le borse, i sistemi
alternativi di negoziazione, la raccolta di capitali su scala europea.
Molta attenzione viene rivolta ai fondi pensione, e all’obiettivo che i
gestori dovrebbero poter operare in un quadro coerente in tutto il mercato unico,
la cui mancanza scoraggia la mobilità del lavoro e impedisce tutti i benefici che
deriverebbero da un mercato unico dei sistemi pensionistici integrativi. Infatti,
essendo fonte di capitale a lungo termine, i fondi pensione “comunitari”
accrescerebbero il flusso di risorse disponibili per gli investimenti del settore
1
privato, stimolerebbero la creazione di posti di lavoro, abbassando il costo
indiretto del lavoro, e allevierebbero il crescente onere del finanziamento delle
pensioni di vecchiaia. La messa a punto di tale quadro è stata considerata dai
membri del Gruppo per i servizi finanziari una priorità così importante da
giustificare un dibattito specifico.
Riguardo le operazioni di negoziazione transfrontaliera di valori mobiliari
il FSAP sottolinea la necessità dell’accettazione reciproca e l’esecutorietà delle
garanzie su scala transfrontaliera. Attualmente queste condizioni non sono
soddisfatte e vi è un rischio più elevato che i contratti di garanzia transfrontalieri
vengano invalidati e regna l’incertezza sulla loro esecutorietà in caso di
insolvenza di chi ha fornito la garanzia.
Il quadro sui mercati all’ingrosso si conclude con l’auspicio di una rapida
adozione della direttiva sulle offerte pubbliche di acquisizione e dello statuto della
società europea, che porterebbero ad un’organizzazione più razionale delle società
nel mercato unico e aprirebbero la strada ad importanti proposte di direttiva sulle
fusioni transfrontaliere di società e azioni, e sul trasferimento della sede sociale.
Le ristrutturazioni societarie (fusioni, acquisizioni, OPA, ecc..) dovranno essere
monitorate dalle autorità di vigilanza secondo criteri prudenziali, di trasparenza e
di non discriminazione. Vanno però evitati ingiustificati ostacoli sulla base di
considerazioni di ordine prudenziale, e di conseguenza qualsiasi procedura di
autorizzazione deve essere fondata su un insieme di criteri obiettivi resi noti e
mantenuti costanti nel tempo.
b) Mercati al dettaglio
Nonostante alcuni importanti adattamenti siano già stati applicati,
rimangono numerosi ostacoli alla prestazione transfrontaliera di servizi.
L’applicazione da parte degli Stati membri di norme nazionali per difendere i
consumatori da pratiche commerciali sleali e garantire la solidità e l’integrità dei
servizi finanziari rende impossibile per consumatori e fornitori il godimento dei
benefici che il mercato unico produrrebbe in termini di scelta più ampia e
condizioni concorrenziali.
1
Questi problemi di regolamentazione devono, secondo il FSAP, essere affrontati
con determinazione, in quanto un’adeguata e progressiva armonizzazione delle
regole in materia di commercializzazione e di informazione nell’insieme
dell’Unione, offre la prospettiva di un mercato al dettaglio autenticamente
integrato, che tenga nel debito conto gli interessi tanto dei consumatori quanto dei
fornitori.
La Commissione ha individuato sei aree di intervento fondamentali:
9 informazione e trasparenza: i consumatori devono disporre di
informazioni che consentano loro di valutare le caratteristiche del
contratto, il prestatore del servizio, e l’investimento proposto;
9 procedure di ricorso: occorre trovare un sistema efficiente ed
efficace di soluzione per via giudiziaria ed extragiudiziale delle
controversie per infondere la necessaria fiducia nell’attività
transfrontaliera;
9 un’applicazione equilibrata delle norme di tutela dei consumatori;
9 preparare la strada per servizi finanziari al dettaglio basati sul
commercio elettronico;
9 intermediari assicurativi: occorre definire un chiaro approccio
comune per la regolamentazione degli intermediari assicurativi,
facilitando la libera prestazione di servizi e consolidando, ad un
livello elevato, la protezione dei consumatori;
9 pagamenti transfrontalieri al dettaglio: è necessario colmare le
lacune tecniche e amministrative che rallentano e rendono costose
le operazioni di bonifico e di pagamento mediante carta.
c) Strutture di vigilanza
Sotto il profilo della regolamentazione, secondo il FSAP, l’Unione
dovrebbe tentare di applicare sempre alle sue istituzioni finanziarie una normativa
prudenziale conforme agli standard più elevati. Questi devono essere sempre
aggiornati agli sviluppi del mercato e i requisiti patrimoniali devono rispecchiare
1
con esattezza i rischi patrimoniali cui sono esposte le banche, le imprese di
assicurazione e gli intermediari mobiliari nell’Unione.
Per quanto riguarda invece la vigilanza, la più stretta integrazione dei
mercati ha messo in primo piano l’esigenza di un rafforzamento della
collaborazione nell’ambito dell’UE. Attualmente le decisioni in merito alle norme
e alle modalità di vigilanza dei settore delle banche, delle assicurazioni, e dei
mercati mobiliari viene condotta prevalentemente a tale livello. La fiducia
reciproca nell’efficacia dell’opera di vigilanza e di regolamentazione condotta dai
paesi partner è il fattore chiave di una efficace vigilanza transfrontaliera.
d) La messa in atto dello schema d’azione
La Commissione non sottovaluta le modalità della messa in atto dello
schema d’azione, utili ad evitare che il processo si areni. Viene sottolineata la
necessità di monitorare con frequenza le priorità di regolamentazione, valutandole
in maniera olistica ed intersettoriale, e naturalmente quella di evitare il protrarsi
oltremodo dei processi decisionali. Si auspica anche che le soluzioni adottate a
livello UE debbano essere caratterizzate da una certa flessibilità in modo da non
essere rese immediatamente obsolete dal rapido ritmo dei mutamenti dei mercati.
Per ottenere le migliori soluzioni tecniche disponibili, la Commissione intende
coinvolgere le altre istituzioni comunitarie e i rappresentanti delle categorie
interessate a livello UE nelle discussioni sui lineamenti generali di qualsiasi
iniziativa.
Infine è di fondamentale importanza la rapida messa in atto delle soluzioni
concordate, che allo stato attuale è penosamente lenta (non è insolito che per
portare a termine una procedura legislativa occorrano tre o quattro anni).
Piano D’azione per i servizi finanziari
Il piano d’azione elaborato nel FSAP conferma gli orientamenti da seguire per
trarre pienamente beneficio dell’introduzione della moneta unica e garantire la
stabilità e la competitività dei mercati finanziari dell’UE.
1
Per ogni misura prevista nel piano d’azione è indicato un livello di priorità,
secondo una scala articolata in tre gradi:
1. azioni con grado di priorità 1.
Esiste un ampio consenso sul carattere estremamente urgente di
queste azioni. Si tratta delle iniziative che devono essere realizzate
nel termine più breve possibile.
2. azioni con grado di priorità 2.
La Commissione considera queste azioni importanti perché
adeguando la legislazione esistente o le strutture attuali alle nuove
sfide poste dall’evoluzione dei mercati.
3. azioni con grado di priorità 3.
Azioni su temi importanti, per i quali esiste un consenso chiaro e
generale sul fatto che fatto che occorre lavorare in vista della messa
a punto di una politica coerente in tempi medi (fine del periodo
transitorio dell’euro).
1
1.3 Monitoraggio delle attività
Il primo progress report5 riguardo il Financial Services Action Plan è
stato pubblicato al Congresso ECOFIN, il 29 Novembre 1999. In esso la
Commissione stessa nota che, pur essendo trascorsi soltanto cinque mesi
dall’adozione dell’Action Plan, alcuni progressi sono già stati fatti, anche se in
molte aree si denota la necessità di un maggiore impegno.
Per realizzare molte delle azioni pianificate, la Commissione ha istituito il
Financial Services Policy Group (FSPG), organo comprendente i rappresentanti
dei ministeri dell’economia e delle finanze degli Stati membri e i rappresentanti
della banca centrale europea.
La relazione sottolinea i progressi compiuti in diversi settori in seguito
all'adozione di un certo numero di misure previste, come la preparazione di una
direttiva in materia di fondi pensione, l’adozione dela Comunicazione “Risk
Capital Action Plan”, le proposte riguardo E-Money, e la proposta di
regolamentazione dell’intermediazione assicurativa.
La relazione fornisce inoltre una valutazione globale, positiva, degli sforzi fatti
nell'elaborazione del lavoro di base per iniziative specifiche del piano d'azione, e
invita in seguito la Commissione ad adoperarsi nei prossimi mesi per presentare
una serie di misure importanti in conformità al calendario previsto dal piano
d'azione (fondi pensione, Libro verde sulla direttiva relativa ai servizi
d'investimento, modernizzazione delle disposizioni contabili, Libro verde sul
commercio elettronico). La relazione, infine, sottolinea una mancanza di progressi
in alcune aree, ed invita a prendere provvedimenti tempestivi.
Il secondo progress report6 viene presentato al congresso ECOFIN del
31/05/2000, e il suo incipit “il consiglio europeo di Lisbona: una svolta” è
indicativo sui contenuti. A Lisbona infatti, i capi di Stato e di governo hanno
manifestato la volontà comune di realizzare gli obiettivi del FSAP entro l’anno
2005 e il Piano d’azione per il capitale di rischio entro il 2003. Queste scadenze
5
6
Comunicazione del 29/11/1999
COM(2000) 336 Final
1
diventano il nuovo punto di riferimento per i citati obiettivi, nonché per tutte le
successive verifiche dei Piani d’azione.
La Commissione constata che sono stati compiuti dei progressi sostanziali. Alcuni
settori tuttavia hanno registrato pochi miglioramenti: statuto della società europea,
frodi e contraffazioni nei sistemi di pagamento e recepimento da parte degli Stati
membri della direttiva sul carattere definitivo del regolamento.
Per rispettare la scadenza del 2005, deve essere accelerata l'attuazione del piano
d'azione in cinque settori prioritari: un "passaporto europeo" per gli emittenti
azionari, una maggiore comparabilità dell'informativa finanziaria sulle società,
l'eliminazione degli ostacoli agli investimenti dei fondi pensione e degli organismi
d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), un miglior funzionamento
del mercato transfrontaliero dei pronti contro termine e accordi di riacquisto dei
titoli e una revisione della direttiva sui servizi d'investimento.
Nel terzo progress report7 del Novembre del 2000, la Commissione
manifesta la convinzione che in assenza di un coordinamento e una dinamica
maggiori, non sarà possibile rispettare la scadenza del 2005. Su richiesta del
Consiglio Ecofin, la Commissione ha riesaminato il FSAP per precisarne le
priorità e ha indicato, per ciascuna di esse, un percorso critico da seguire per poter
rispettare la scadenza del 2005. La Commissione suggerisce, per ciascuna
istituzione, una serie di priorità critiche per i successivi sei mesi, che potranno
essere riesaminate e sviluppate nelle prossime relazioni di avanzamento per
mantenere lo slancio verso la scadenza del 2005. La Commissione tiene peraltro a
sottolineare che tutte le misure del Piano d'azione devono progredire
parallelamente, se si vuole che le politiche dell'Unione relative ai mercati dei
capitali e ai servizi finanziari producano tutti i risultati voluti.
Al fine di migliorare il coordinamento fra le istituzioni è stato creato il cosiddetto
“Gruppo 2005”8, e ad esso è stato affidato il controllo del dettagliato calendario
delle scadenze del FSAP.
7
COM(2000) 692/2 Final
Il Gruppo 2005 comprende il presidente del comitato degli affari economici e monetari, i
rappresentati della Presidenza e il commissario responsabile dei servizi finanziari. Obiettivo di
questo Gruppo 2005 - un gruppo informale - è allineare i calendari di lavoro sulle misure del
8
1
A Giugno del 2001 la Commissione pubblica il quarto progress report9.
La relazione valuta i progressi delle proposte e direttive in materia. Indica che la
decisione spetta ormai al Consiglio ed al Parlamento europeo. Infatti, dalla
presentazione del Piano d'azione, 18 misure sono già state presentate e benché
siano stati raggiunti accordi su alcuni punti, altre questioni costituiscono ancora
delle vere e proprie sfide. Occorrerà una autentica volontà politica per attuare il
Piano in tutti i suoi elementi entro le scadenze del 2003/2005; ciò vale ad esempio
per l'istituzione dei due comitati sui valori mobiliari raccomandato dalla relazione
Lamfalussy10.
La relazione segnala inoltre che occorre tenere conto dei rapidi
cambiamenti intervenuti nel settore bancario, poiché la revisione della
regolamentazione (sorveglianza) è più urgente di quanto previsto. Il testo tratta
anche la cooperazione transfrontaliera delle borse, ed illustra infine i progressi
compiuti (conglomerati finanziari, opuscolo da pubblicare per i titoli offerti al
pubblico o quotati, abuso di mercati, rischio legato ai titoli depositati in garanzia
ed al credito) così come gli ostacoli (fondo pensione e commercio elettronico).
Il quinto progress report11 del 30 Novembre 2001 sottolinea la necessità
urgente di far fronte alle più recenti evoluzioni che hanno interessato il settore,
quali l'introduzione dell'euro, la flessione dell'economia, il perturbamento dei
mercati finanziari a seguito degli attentati dell'11 settembre 2001 e la lotta contro
il finanziamento del terrorismo.
La relazione nota con soddisfazione i progressi realizzati, quali l'adozione della
direttiva antiriciclaggio, l'accordo sul regolamento relativo ai pagamenti
transfrontalieri, l'adozione dello statuto di società europea, l'accordo politico sulla
direttiva relativa sulla vendita a distanza e l'istituzione, nel settore dei valori
mobiliari, dei comitati raccomandati nella relazione Lamfalussy. Tuttavia, le
FSAP per evitare ritardi, scambiare pareri sugli aspetti politici chiave di tali misure, e aggiornarsi
sui progressi compiuti.
9
COM(2001) 286 Final
10
Il Committee of Wise Men on the Regulation of European Securities Markets, presieduto
da Alexandre Lamfalussy, ha pubblicato nel Novembre del 2000 una relazione sugli scenari
economici del mercato unico e sui possibili sviluppi.
11
COM(2001) 712 Final
1
proposte relative ai fondi di pensione, agli opuscoli, ai conglomerati finanziari e
alle norme contabili internazionali, così come la nuova proposta sulle offerte
pubbliche d'acquisto rappresentano altrettante misure chiave che dovranno essere
adottate rapidamente.
In una conferenza stampa, il commissario per il mercato interno Frits
Bolkenstein rilascerà questa dichiarazione: "Progress so far has been broadly
satisfactory, but is not sufficient in itself to guarantee the integration of financial
markets in the near future. After the 11 September attack we responded very
rapidly with the adoption of the anti-money laundering Directive and the
Regulation on cross-border bank transfers was agreed in record time. We need
the same resolve to tackle all the remaining issues. An integrated European
financial sector will be a motor for economic growth and jobs and a shield
against financial instability. It will enable EU citizens and businesses to reap the
full benefits of euro. The European Parliament and the Council must deliver on
time." In essa traspare tutta la preoccupazione per un periodo che si presenta
socialmente ed economicamente instabile, ma anche estrema fiducia nel cammino
svolto dall’UE, auspicando la massima velocità nella realizzazione degli obiettivi
del FSAP: un mercato interno pienamente integrato, infatti, potrebbe permettere ai
cittadini e all’economia di godere appieno dei benefici portati dall’Euro.
Il sesto progress report12 del 03/06/2002 è accompagnato da ottimistiche
dichiarazioni di Romano Prodi e Frits Bolkenstein, che rispecchiano il contenuto
della relazione stessa il cui incipit è indicativo: “il clima migliora: ma c’è ancora
abbastanza da fare”. In essa si constata che progressi tangibili sono stati realizzati
ma ritiene che i quindici Stati membri debbano fare di più. Ricorda che in
particolare devono essere adottate in tempi brevi le proposte che vertono sugli
abusi di mercato, le garanzie finanziarie, la vendita a distanza dei servizi
finanziari, gli intermediari assicurativi, gli opuscoli, i conglomerati finanziari, le
norme contabili internazionali ed i fondi di pensione integrativa.
Le presidenze belga e spagnola hanno contribuito a dare il necessario impulso
politico affinché l’invito a compiere progressi concreti e tangibili del quinto
12
COM(2002) 267
1
progress report potesse essere accolto. Rimangono comunque molte perplessità
sul raggiungimento degli obiettivi secondo il calendario stabilito a Lisbona, e
preoccupazioni riguardo la direttiva sui fondi pensione, e altre direttive di non
minore importanza.
Il settimo progress report13 conclude che il FSAP è ad un buon punto di
realizzazione. La relazione sottolinea che l’entrata in vigore delle nuove misure
deve concentrare l’attenzione dell’UE sulla corretta e tempestiva implementazione
ed
applicazione.
Vengono
evidenziati
i
notevoli
progressi
conseguiti
nell'integrazione del settore, in particolare per quanto riguarda i servizi
d'investimento, l'adeguatezza patrimoniale delle banche e delle imprese
d'investimento, la compensazione ed il regolamento, la nuova proposta sulle OPA,
gli opuscoli, i fondi pensione, i conglomerati finanziari e gli abusi di mercato.
Infatti, quasi tutte le misure considerate prioritarie per il 2001 sono state adottate.
Il testo sottolinea tuttavia che lo stesso slancio deve essere mantenuto se si vuole
rispettare la scadenza fissata dal FSAP (2005) nonostante i problemi incontrati dai
mercati finanziari e la perdita di fiducia degli investitori. Per garantire un migliore
seguito del FSAP, la Commissione svilupperà una serie di indicatori al fine di
ottenere una migliore classificazione, per ordine di priorità, delle misure di
politica finanziaria. È anche auspicabile estendere il metodo "Lamfalussy" che
permette di rispondere rapidamente ed in modo flessibile agli sviluppi del mercato
per l'insieme dei settori finanziari. Infine, si deve elaborare fin dal 2003 un Piano
d'azione per il diritto societario, compreso il governo societario.
La Commissione pubblica l’ottavo progress report14 a metà del 2003
dichiarando che il positivo panorama economico globale è un’importante impulso
verso la realizzazione di un mercato integrato europeo, e che i progressi politici
verso il raggiungimento dell’obiettivo sono molti ed evidenti: 32 delle 42 misure
legislative originali sono infatti già state realizzate. La relazione giunge così ad
una conclusione importantissima: per permettere l’implementazione del FSAP
13
14
Bruxelles 03/12/2002
Bruxelles 03/06/2003
2
entro la deadline del 2005, tutte le misure legislative dovranno essere adottate
entro nove mesi (Aprile 2004) dal progress report stesso.
A testimonianza di questo orientamento ottimista e del desiderio di portare a
termine il programma nel più breve tempo possibile, la dichiarazione del
commissario per il mercato interno Frits Bolkestein: "The clock is ticking. We
have nine months to deliver the remaining parts of the Financial Services Action
Plan. Most of the Commission proposals are on the table: it is now up to the
European Parliament and the Member States to ensure that European businesses
and consumers can reap the benefits of financial integration. There is a huge
economic prize out there estimated at a direct windfall gain of at least 130 billion
euros for the financial services sector, not to mention the knock on effects of
cheaper capital for Europe's businesses. The end result will be renewed
confidence, more economic growth and more jobs. We must not let that slip. "
A Novembre del 2003 una relazione intermedia, il nono progress
report15
giunge alla conclusione che il FSAP è stato uno dei motori dello
sviluppo del mercato dei capitali europeo. Il FSAP ha infatti migliorato le
prospettive di crescita sostenibile derivante dagli investimenti e le prospettive di
occupazione.
Tuttavia la relazione sottolinea che per via delle elezioni del Parlamento europeo e
dell'allargamento dell'Unione europea a Maggio e Giugno 2004, è essenziale
giungere ad un accordo nel corso dei quattro mesi successivi sulle misure
importanti del FSAP che devono essere ancora adottate, ovvero: la direttiva sui
servizi di investimento, la direttiva sulla trasparenza e la direttiva sulle offerte
pubbliche di acquisto.
Infine la relazione pone l'accento sulle iniziative prese dalla Commissione per
valutare l'attuale stato di integrazione dei mercati finanziari europei.
Il 2 Giugno 2004, come stabilito, viene pubblicato il decimo e ultimo
progress report16 di monitoraggio sull’implementazione del FSAP. Il 93% delle
misure legislative previste è stato completato, e tutto ciò grazie ad un sapiente
15
16
Bruxelles 25/11/2003
Bruxelles, 02 Giugno 2004
2
lavoro di pianificazione e coordinazione tra le strutture dell’Unione. Ma per
valutare effettivamente il successo o meno del lavoro iniziato nel 1999 con la
pubblicazione dell’Action Plan, sarà necessario attendere un periodo di tempo
durante il quale sarà possibile valutare, mediante una buona e puntuale
implementazione delle misure, l’effettivo impatto del FSAP.
E’ proprio Frits Bolkenstein a pronunciarsi riguardo questo argomento: “This
report brings good news. The progress already made on the FSAP is a substantial
achievement by all the European Institutions and by national regulators and
supervisors, based on high quality input from market participants and experts.
But we must keep the champagne on ice for now. The time for celebration will be
once all the FSAP measures are working smoothly on the ground and when
Europe’s economy is reaping the full benefits. I am sure that time will come, but
we have a long way to go yet.”
La relazione quindi enfatizza che è ancora troppo presto per poter valutare se il
FSAP abbia raggiunto o meno i suoi obiettivi. Molte delle misure legislative
chiave sono entrate in vigore da pochissimo tempo mentre altre non sono ancora
state recepite dagli Stati membri.
Ciononostante il FSAP funziona come impulso per il cambiamento del mercato, in
quanto tutti i mercati finanziari si stanno riorganizzando su base extra-nazionale.
2
1.4
FSAP Evaluation Part I
Il Financial Services Action Plan, lanciato nel 1999 è stato portato a
termine quasi completamente alla scadenza del 2004, con l’adozione di 39 misure
legislative su 4217. Questo risultato da considerare un grande successo in termini
di procedura legislativa, soprattutto tenendo conto della vastità e della portata
innovativa del programma, il cui impatto sul mercato ha prodotto effetti mai
sperimentati nell’area dei servizi finanziari.
Raggiunto il termine finale per il completamento del FSAP si è sentita la
necessità di valutare oggettivamente il grado di successo delle misure legislative,
apprenderne lezioni per le politiche future, e ottenere dei feedback da parte degli
operatori e delle istituzioni. Per questi motivi il 7 Novembre del 2005, la
Commissione ha pubblicato la prima parte della valutazione dell’Action Plan:
“FSAP Evaluation – Part I: process and implementation”, che risponde appunto
all’esigenza di ottenere valutazioni ex-post dell’impatto dell’Action Plan stesso.
Nella relazione vengono analizzate le modalità nelle quali le varie misure
legislative e non legislative sono state adottate. Oltre a questo il testo esamina le
procedure, i progetti e le modalità di lavoro.
In occasione della conferenza stampa di presentazione della relazione,
Charlie McCreevy, commissario per il mercato interno e i servizi ha dichiarato:
“It is our job to ensure that the measures we adopt are of the highest possible
quality, reflect the reality on the ground and have the potential to bring tangible
benefits. That is why we’re now asking for comments on the adoption process of
the FSAP. Such input will be invaluable when we come to analyse whether there
are things we could do better in future.”
Questa richiesta di feedback sulla prima parte della valutazione del FSAP dà la
possibilità a tutte le parti interessate di esprimere le proprie opinioni riguardo il
processo di adozione delle misure. La Commissione è particolarmente interessata
a conoscere opinioni sulla percezione generale del FSAP, sulla consultazione, sul
processo Lamfalussy e sulle lezioni imparate dal FSAP, come:
17
Altre due misure legislative sono state adottate durante il 2005, portando la percentuale
di completamento al 98%.
2
9 qual è stata la tua personale esperienza sul processo di
implementazione delle misure del FSAP?
9 qual è stata la tua percezione del volume di consultazioni
finalizzate all’elaborazione delle misure del FSAP?
9 qual è la tua valutazione dei lavori della struttura Lamfalussy fino
ad ora?
Tutte le risposte provenienti dalle parti interessate, sono da Febbraio 2006 oggetto
di studio e analisi per poter essere incoroporate all’interno del report finale.
Analisi della struttura del FSAP
L’ ”evaluation Part I” si apre con una dettagliata analisi della struttura del
FSAP, per poter rispondere alle domande: “qual è stato l’effetto della costruzione
di un piano d’azione a così ampio raggio?” e “le priorità iniziali hanno influenzato
il calendario per l’adozione delle misure finali, e in che maniera?”.
La relazione pone la sua attenzione sul “framework” del 1998 e sull’Action plan
stesso: in essi sono state delineate le iniziative finalizzate alla creazione di un
unico mercato finanziario che potesse servire come motore per la crescita, la
creazione di posti di lavoro, e per accrescere la competitività dell’economia
Europea.
Pur essendo difficile quantificare l’effetto della pubblicazione di un progetto così
vasto, si può comunque sostenere che il lancio di tali iniziative sia stato un
elemento chiave dell’eventuale successo del FSAP.
Diventare l’economia più dinamica del mondo entro il 2010, obiettivo delineato a
Lisbona, fece diventare il FSAP il fulcro di questo cambiamento. Le istituzioni
infatti, con l’avvicinarsi della deadline, hanno dovuto lavorare coralmente e con
celerità, poiché su di esse pesava tutta la pressione dell’opinione pubblica, della
politica, e di un mercato in fase di transizione.
Altri fattori cruciali sono entrati in campo: prima di tutto il lancio
dell’Euro, che ha creato i presupposti per un mercato finanziario fortemente
integrato, e secondariamente l’utilizzo da parte della Commissione, a supporto del
suo programma, di analisi economiche accolte favorevolmente dai maggiori
2
esperti di economia europei, alimentando il clima di fiducia nei confronti del
mercato unico.
Tutto ciò, come detto, ha portato ad un estremo e mai sperimentato grado di cooperazione tra le istituzioni, con tempi di adozione delle misure molto inferiori
alla media e persino il recupero di iniziative che sembravano giunte ad un punto
morto. Nell’Action Plan del 1999, ognuna delle misure previste era accompagnata
da uno specifico livello di priorità, da 1 a 3.
Tutte le proposte legislative, tranne quella sulle offerte pubbliche di acquisto18,
dotate di priorità 1 sono state realizzate puntualmente entro Aprile del 2002.
Le priorità 2 (sia legislative che non legislative) sono state realizzate entro la
deadline del 2004, tranne la direttiva sui requisiti patrimoniali minimi19. Si ritiene
però che quest’ultima non potesse essere implementata nei tempi previsti in
quanto prematura.
Le misure con priorità 3 comprendono anche le ultime due azioni (su 42) che non
sono state portate a termine entro la deadline del 2004: le proposte di direttiva
sulle fusioni20 e i trasferimenti di sede.
Nonostante molte delle misure con grado di priorità 1 (soprattutto quelle
non legislative) fossero già in avanzato stadio di lavorazione al momento della
pubblicazione dell’Action Plan nel 1999, il fatto stesso che siano state tutte
completate entro i tempi previsti dà una dimostrazione di quanto possa essere
efficace e vantaggioso affrontare un ampio e vario progetto con scadenze definite,
quando vi è un forte supporto politico per la realizzazione degli obiettivi.
Il calendario dell’introduzione delle varie misure del FSAP è stato
influenzato da una varietà di fattori, come l’applicazione dell’approccio
Lamfalussy21, l’intensità delle consultazioni portate avanti per molte delle misure,
18
La direttiva sulle OPA è stata completata entro la deadline del 2004.
Approvata dal Parlamento Europeo il 28 Settembre 2005
20
Dopo un voto positivo del Parlamento Europeo la direttiva sulle fusioni è stata adottata il
19/09/2005.
21
Il processo Lamfalussy è un approccio a quattro livelli per elaborare la legislazione. Il
primo livello è quello di progettazione, seguito dal secondo nel quale la Commissione implementa
le misure. Al terzo livello si provvede a delineare una comune e definitiva guida interpretativa; il
quarto livello conclude il processo con la Commissione che controlla i tempi e i modi di
trasposizione della disciplina comunitaria negli Stati membri.
19
2
e alcuni eventi esterni che possono aver rafforzato la pressione per la conclusione
entro la deadline del 2004.
Il processo Lamfalussy è stato lodato da molti per aver velocizzato in
maniera non trascurabile i tempi di adozione della legislazione, ma ha subito
anche alcune critiche. Spesso infatti i termini per la trasposizione delle direttive
sono stati considerati eccessivamente stringenti, i tempi per le consultazioni ridotti
rispetto al normale, e i calendari di realizzazione non pienamente realistici.
Ciononostante, nel Novembre del 2003, la Commissione ha lanciato un pacchetto
di misure finalizzate all’estensione del processo Lamfalussy all’area dei fondi
d’investimento, delle banche e delle assicurazioni.
Riguardo l’influenza delle consultazioni, quando esse sono state condotte,
la reazione generale è stata sicuramente positiva sui risultanti testi legislativi.
Indubbiamente la preparazione, le risposte, la ricerca di conclusioni dopo
l’esercizio di consultazioni ha prolungato i tempi necessari per preparare le
proposte legislative. Comunque, le proposte derivanti da consultazioni si sono
dimostrate di qualità superiore, integrando al loro interno i differenti punti di vista
delle parti interessate, in maniera tale da diminuire l’opposizione di obiezioni
quando i testi venivano sottoposti al Parlamento e al Consiglio. Quindi i tempi
maggiori richiesti dalle consultazioni vengono poi recuperati nelle fasi successive:
ad oggi questo metodo è diventato uno standard.
E’ discussa anche l’eventuale influenza sulle azioni previste dal FSAP da
parte di elementi esterni. Sicuramente alcune iniziative intraprese nell’ambito del
FSAP hanno ricevuto un maggiore impulso dagli eventi di mercato che si sono
verificati durante il processo di realizzazione, in particolare: l’affare Enron22 negli
22
Nel 2002 la Enron, società energetica americana, improvvisamente fallì. L’avvenimento
giunse del tutto inaspettato poiché ufficialmente l’azienda negli ultimi 10 anni aveva avuto una
crescita molto rapida, decuplicando il proprio valore e raggiungendo il 7° posto nella classifica
delle più importanti multinazionali degli USA. Tuttavia nel giro di pochissimo tempo le azioni
Enron, da tutti considerate solidissime, persero tutto il loro valore, passando dalla quotazione di 86
dollari a 26 centesimi, bruciando così circa 60 miliardi di dollari nel giro di tre mesi. Ciò portò
numerosi dipendenti a gravi difficoltà, poiché gli era stata fatta una proposta che permetteva loro
di acquistare le azioni della società e non poterono far nulla per ripararsi dal disastro. I più alti
dirigenti della società invece non subirono alcuna perdita, poiché avevano venduto le loro azioni
prima del crack, realizzando così enormi guadagni; per essi infatti non era prevista alcuna clausola
che gli impedisse di liberarsi delle proprie quote. L’opinione pubblica pretese chiarimenti, poiché
pareva inspiegabile che una multinazionale che aveva un fatturato di circa 130 miliardi di dollari
all’anno crollasse così rapidamente senza segnali premonitori.
2
Stati Uniti e lo scandalo Parmalat23 in Italia. Questi eventi focalizzarono
l’attenzione delll’opinione pubblica e della politica sulle regole del controllo delle
società, sul diritto societario, e sul ruolo dei revisori contabili, causando
indirettamente un’accellerazione del processo di realizzazione delle iniziative in
materia, previste dal FSAP.
Indubbiamente un altro elemento importante è stato l’introduzione dell’Euro, che
ha dato un’impulso decisivo alla conclusione di affari da parte dei consumatori in
tutta l’area della moneta unica.
Non va sottovalutata infine, nell’ambito dei fattori che hanno influenzato la
realizzazione del FSAP, la pressione della deadline sulle istituzioni comunitarie.
Questo fattore, combinato con la pressione addizionale causata dalla fine della
legislatura del sesto Parlamento Europeo e con il termine della Commissione di
Romano Prodi, fu stimolo importante per la realizzazione di tre direttive
prioritarie tra il primo quarto del 2003 e la l’inizio del 2004, nonché di altre
numerose azioni di grande importanza.
Comparazione tra il risultato finale e il progetto iniziale
Ci sono sicuramente alcune differenze sostanziali tra i contenuti originali
dell’Action Plan e quanto poi è stato realizzato. Ciò è dovuto alla necessità
sopravvenuta di rendere di più ampio respiro molte delle misure legislative
originariamente previste.
Le azioni che non hanno subito particolari variazioni sono principalmente quelle
che erano già ad un avanzato stadio di lavorazione al momento della
pubblicazione del FSAP. Altre misure invece non si sono discostate dagli obiettivi
23
Il crack Parmalat è stato soprannominato “la Enron d’Europa”. Nel dicembre 2003, il
gigante italiano di latticini e alimenari, Parmalat, ha fatto fallimento. La caduta drammatica della
Parmalat fu scatenata quando la Bank of America dichiarò che un documento attestante 4 miliardi
di Euro sul conto di una loro filiale alle Isole Cayman era contraffatto. Solo un paio di mesi prima,
i manager della Parmalat avevano dichiarato di essere in pareggio con 4,2 miliardi di Euro, ma il
19 dicembre 2003 ammisero di l’esistenza di un buco pari a 4 miliardi di Euro nelle finanze della
compagnia. Data la complessita’ degli espedienti finanziari usati dai manager della Parmalat,
associata a transizioni finanziarie (come ad esempio derivati) fuori dal bilancio e fondi nascosti in
consociate offshore alle Isole Cayman, non esiste una valutazione esatta del debito complessivo
della compagnia. Le stime variano da 8 a 14 miliardi di Euro, mentre le autorita’ stanno ancora
indagando sullo stato reale delle finanze della compagnia.
2
originali previsti dall’Action Plan, ma hanno richiesto in seguito ulteriori lavori e
azioni correttive.
Un esempio a riguardo si ha in materia di assicurazioni. Verso la scadenza del
termine infatti, sono venute in essere una quantità di iniziative nell’area
assicurativa non previste dall’Action Plan: gli schemi di garanzia assicurativa, che
proteggono i contraenti dal fallimento delle Compagnie, la Supervisione sulla
Riassicurazione, e la solvibilità.
Considerando però l’Action Plan come un corpo unico, e non come un insieme di
iniziative separate tra loro, si giunge facilmente alla conclusione che tutte le
azioni intraprese al di fuori del progetto originario, possano essere considerate
anch’esse realizzazione degli obiettivi del FSAP.
Conclusioni
Le misure introdotte durante il FSAP non sono certamente diventati
dogmi. E’ chiaro che l’ambiente legislativo debba essere continuamente
aggiornato per tenere il passo con l’evoluzione dei servizi finanziari in Europa e
nel mondo.
Sicuramente il completamento del FSAP nei tempi previsti è da considerarsi un
successo d’importanza fondamentale, soprattutto per il nuovo approccio alla
legislazione che potrebbe conseguirne. L’utilizzo del metodo Lamfalussy ha
dotato l’Unione di una maggiore flessibilità per rispondere agli eventi di mercato,
ed in generale di maggiore ponderazione, razionalità, e qualità delle misure
introdotte.
Va detto però che ci sono sicuramente alcuni difetti visibili nel Financial
Services Action Plan dovuti principalmente ai termini stringenti nei quali sono
state realizzate tutte le azioni. Questo argomento ha avviato una fase di
valutazione riguardo la velocità a discapito della qualità, anche qui tenendo il
dovuto conto dell’utilizzo innovativo del metodo Lamfalussy.
L’ Evaluation Part II verrà pubblicata tra il 2006 e il 2008, dopo che tutte
le misure legislative del FSAP saranno state implementate negli Stati membri, per
poterne osservare l’effettivo impatto economico sul campo.
2
1.5
Monitoraggio dell’adozione delle direttive negli Stati membri
Il monitoraggio dell’adozione delle direttive negli Stati membri è
un’attività fondamentale per la realizzazione degli obiettivi del FSAP. Senza di
essa infatti i soddisfacenti risultati ottenuti nella fase legislativa comunitaria
verrebbero fortemente compromessi dall’inerzia degli Stati membri. Per questo
motivo il monitoraggio viene effettuato in maniera costante e completa, in modo
da permettere alla Commissione di intervenire ove ritenga vi sia necessità.
Due volte al mese vengono pubblicati tre documenti di monitoraggio, che
analizzano la trasposizione delle direttive del Financial Services Action Plan:
9 l’analisi direttiva per direttiva (allegato 5);
9 la percentuale di completamento in base alle direttive (allegato 6);
9 la percentuale di completamento in base allo Stato membro (allegato 7).
Il report che analizza la trasposizione direttiva per direttiva si compone di più
colonne. Nella prima da sinistra viene descritta “l’azione” (es. direttiva sulla
mediazione assicurativa), nella seconda colonna il tipo di misura (direttiva,
comunicazione), nella terza la deadline per la trasposizione negli Stati membri.
Dopo di queste sono presenti numerose colonne, ognuna delle quali analizza la
situazione Stato per Stato. La legenda del report contempla alcune voci, in base ad
ognuna delle quali si delinea una situazione diversa della trasposizione della
direttiva:
9 CP: parzialmente notificata alla Commissione;
9 NC: nessuna notifica ricevuta dalla Commissione;
9 EX: notifica ricevuta e sotto esame della Commissione;
9 OK: notifica approvata dalla Commissione, oppure nessuna notifica
richiesta;
9 NA: non applicabile (= ok)
9 D: derogabile (=ok).
Dal report più recente (17/07/2006) si evince che molte delle direttive hanno
ottenuto completa trasposizione nelle legislazioni degli Stati membri, anche se
rimane ancora una grande mole di lavoro da fare.
2
Ad esempio, analizzando nel particolare la direttiva 2002/92/EC sulla mediazione
assicurativa, la cui deadline per la trasposizione era il 15/01/2005, si nota che la
situazione Stato per Stato è abbastanza altalenante. Ritardi significativi si
segnalano in Germania, Grecia, Spagna, Portogallo, mentre l’adozione è solo
parzialmente completata in Francia e a Malta.
Ben più problematica è la situazione per altre direttive, come la 2004/109/EC
sulla Trasparenza, la cui deadline è il 20/01/2007 e che a tutt’oggi non ha trovato
applicazione in nessuno degli stati membri.
Ma la scadenza futura non sembra essere l’unico motivo dell’inerzia degli Stati, in
quanto anche per direttive la cui deadline è già stata superata (come la
2004/25/EC, deadline 20/05/2006 “Take Over Bids”) si nota ancora una
bassissima percentuale di trasposizione.
Il fatto che nessuna delle direttive, il cui termine non è ancora scaduto, abbia
ricevuto trasposizione può significare che gli Stati abbiano bisogno dell’intero
margine di tempo a disposizione, o che preferiscano ritardare il più possibile
l’azione per motivi di risorse.
Chiaramente c’è un lavoro considerevole da svolgere nell’area della trasposizione,
e il fatto che molti degli Stati non rispettino le scadenze è insostenibile, in quanto
questo ritardo incide negativamente sui benefici che il mercato unico potrebbe
apportare.
L’unico mezzo a disposizione dell’Unione per migliorare questa situazione è la
pressante minaccia di procedimenti d’infrazione contro gli Stati membri
inadempienti. Oltre a questa considerazione si ritiene comunque necessaria una
maggiore e continuata co-operazione tra gli Stati stessi.
Procedendo nell’analisi dei report, alcune interessanti osservazioni
possono essere effettuate sullo stato di trasposizione in percentuale delle direttive
la cui deadline sia già passata. Solo metà delle direttive raggiunge il 100%, inteso
come trasposizione in tutti gli Stati membri. Delle restanti direttive, molte hanno
comunque una percentuale alta di trasposizione, superiore all’80%. I risultati
maggiormente negativi si evidenziano in relazione alle direttive sui Prospetti,
quella sui Cambi di Gestione (take-over bids), e all’importantissima direttiva sulle
Società Europee.
3
Il report che analizza la situazione Stato per Stato invece mostra come il
livello generale di trasposizione sia superiore al 70% in tutti gli Stati, con punte
del 95% in Repubblica Ceca, Estonia, ed Olanda. Si posizionano intorno alla
percentuale minima la Francia, la Lituania e il Portogallo, mentre l’Italia si attesta
intorno all’80%.
Naturalmente questi dati vanno analizzati in un contesto politico, sociale ed
economico che varia a seconda dello Stato, e quindi non possono essere
pienamente indicativi solo su base numerica.
3
1.6
L’attività del Financial Services Policy Group
La comunicazione 625 del 1998, “elaborazione di un piano d’azione”
istituisce il Financial Services Policy Group (FSPG), il cui compito è quello di
realizzare un dettagliato calendario del FSAP mediante l’assegnazione di priorità
a determinate azioni. Il Policy Group è composto dai ministri Ecofin, dai
rappresentanti della Banca Centrale Europea ed è diretto dalla Commissione
stessa.
Oltre all’identificazione delle priorità lo scopo del FSPG è quello di segnalare alla
Commissione le condizioni di mercato ideali per assicurare il funzionamento
ottimale del mercato unico.
La prima riunione del Gruppo si tiene a Bruxelles il 28 Gennaio 1999, su
stimolo della Commissione, per dare un rinnovato impeto alla realizzazione del
mercato integrato europeo. In questa prima seduta al Gruppo viene richiesto di
esaminare quattro aree: dove siano necessarie immediate misure legislative, dove
sia necessario un aggiornamento della legislazione esistente, dove la legislazione
esistente debba essere semplificata, ed infine dove essa debba essere resa
maggiormente coerente.
Nel documento che ne è risultato vengono delineate appunto le priorità
immediate. Il FSPG invita le istituzioni Europee a realizzare in tempi brevi una
legislazione nel campo della liquidazione delle banche e delle assicurazioni, in
quello dei cambi di gestione e nel campo dello Statuto della Società Europea. In
campo invece di aggiornamento legislativo il Gruppo focalizza l’attenzione sulla
disciplina dell’antiriciclaggio, delle OPA e del riconoscimento dei prospetti.
Questa prima seduta del Financial Services Policy Group avrà un
considerevole impatto sulla formazione dell’Action Plan, che verrà pubblicato
pochi mesi dopo.
Il 19 Ottobre del 1999 il FSPG, sotto la direzione del Commissario
Europeo per il Mercato Interno Frits Bolkenstein, si riunisce per la quarta volta,
per monitorare lo stato dell’implementazione dell’Action Plan. Sono trascorsi
soltanto cinque mesi dalla pubblicazione del FSAP e il Gruppo, nella relazione
pubblicata, sostiene che i progressi possano essere considerati soddisfacenti e
3
pianifica un successivo monitoraggio a Giugno del 2000.
Nella relazione
vengono evidenziate nuove priorità, come in materia di fondi pensione ed ecommerce.
Il secondo report sull’implementazione dell’Action Plan viene pubblicato
in occasione del settimo incontro del Gruppo, l’11 Maggio 2000,
successivamente al Congresso Straordinario di Lisbona. Questo Congresso ha
avuto un’importanza chiave nello scadenziario del FSAP poiché ha posto il
termine ultimo per il completamento delle misure previste dall’Action Plan
all’anno 2005, per quel che riguarda il piano d’azione sui Capitali di Rischio
all’anno 2003.
Il Gruppo quindi, nell’analizzare i progressi realizzati fino a quel momento tiene
conto anche della portata innovativa di una deadline così stringente. Nella
relazione viene sottolineata l’importante approvazione della disciplina in materia
di e-commerce, e gli sforzi per quel che riguarda l’approvazione della disciplina
sulla liquidazione degli istituti di credito. Secondo il FSPG il cammino svolto
verso il mercato unico si sta rivelando soddisfacente, ma non sufficiente
nell’ottica della deadline, perciò in questa occasione il Gruppo richiede alle
istituzioni Europee un maggior impegno nell’implementazione delle priorità.
Nell’Aprile del 2001, in occasione del decimo congresso, il Gruppo
assume una posizione simile, con lo scopo di spronare ed ottenere un maggior
impegno in determinate materie da parte delle istituzioni. A Stoccolma, infatti, il
Congresso
ha
richiesto
una
rapida
implementazione
dell’Action
Plan,
un’accelerazione del processo legislativo, oltre a confermare la scadenza del 2005.
Per rispondere rapidamente alle sfide del Congresso il FSPG ha rielaborato il
proprio piano di lavoro per collaborare al meglio con la Commissione alla
tempestiva realizzazione delle priorità.
Verso la fine del 2001 il policy group si occupa di valutare l’impatto sul
mercato degli eventi successivi all’ 11/09 americano. La preoccupazione di un
rallentamento del progetto dovuto ad un crollo dell’economia è forte, ma il
Gruppo nell’undicesimo e nel dodicesimo report assicura che i mercati hanno
retto abbastanza bene. Preoccupazione permane nell’ambito dei servizi finanziari.
3
A Giugno del 2002, in seguito ad un suggerimento della Commissione, il
Consiglio Ecofin ha considerato appropriato riconfigurare il Financial Services
Policy Group sotto la presidenza degli Stati Membri, per indirizzare la politica e
dare valutazioni sugli elementi del mercato finanziario al Consiglio Ecofin. Per
riflettere il suo nuovo ruolo e status, il Financial Services Policy Group può essere
rinominato come Financial Policy Committee (FPC).
Oltre alle finalità già esposte, il FPC ha il compito di colmare il distacco tra
l’ambiente politico e i giudizi di natura tecnico-economica, elaborando relazioni
sulle strategie da seguire in tutti i settori del mercato finanziario, influenzando
così il processo legislativo.
In particolare il FPC ha un ruolo di indirizzamento della politica, creando una
connessione con il consiglio Ecofin:
9 definendo le strategie a medio e lungo termine (ad esempio per il periodo
successivo al FSAP);
9 considerando le necessità di breve periodo (ad esempio: il controllo del
finanziamento del terrorismo, la riassicurazione, la fase attuale del FSAP);
9 valutando i progressi e l’implementazione del FSAP.
Oltre a tutto questo il FPC deve anche occuparsi di valutare politicamente e dare
visioni d’insieme sia riguardo il mercato interno sia quello esterno.
L’FPC naturalmente ha l’obbligo di rispettare le prerogative istituzionali
esistenti, soprattutto il diritto d’iniziativa della Commissione e il ruolo di controllo
di essa. In generale il Committee deve contribuire a creare un clima di
cooperazione e fiducia reciproca tra le istituzioni comunitarie.
Nella sua attività il Policy Group deve evitare di impegnarsi in materie
eccessivamente tecniche e i suoi membri non devono essere coinvolti nei comitati
legislativi, ma devono collaborare attivamente con essi.
Si riconosce quindi al Financial Policy Committee un ruolo importante, ma che
richiede considerazioni prudenziali. Il gruppo comunque deve godere di
autonomia e flessibilità nelle proprie attività e decisioni.
3
1.7
L’attività del “Forum Group of Market Experts”
Il Financial Services Action Plan ha istituito una serie di gruppi di esperti
di mercato con la finalità di assistere la Commissione nell’identificazione delle
imperfezioni e degli ostacoli pratici al funzionamento di specifiche aree del
mercato unico.
Tra il 1999 e la fine del 2001 sono stati istituiti sei Forum Groups of Experts. Il
lavoro di ogni Forum Group è partito da un indice di argomenti sulla base del
quale si è sviluppata la discussione. Comunque i gruppi avevano la possibilità di
discutere altri argomenti che consideravano rilevanti per il lavoro del gruppo
stesso.
Il primo Forum Group inizia i lavori nell’Ottobre del 1999 ed affronta
l’argomento dell’ISD24 (Investment Services Directive).
L’ISD, adottato nel 1993, ha liberalizzato per la prima volta la diffusione dei
servizi d’investimento in tutta la Comunità. Ma gli effetti positivi di questa
direttiva non si sono potuti produrre appieno a causa del ritardo nella
trasposizione da parte degli stati membri.
L’obiettivo della discussione del Forum Group è quello di mettere a disposizione
una relazione tecnica specifica, imparziale, dettagliata, dell’importanza dell’ISD
dal punto di vista del mercato.
I temi principali trattati in questa prima discussione sono vari: le linee guida da
seguire per creare uno schema di lavoro per i servizi finanziari, le attività
all’ingrosso, l’allargamento delle prerogative disciplinate dall’ISD anche a
soggetti pubblici, la regolazione del mercato disciplinando in maniera più precisa
le condizioni standard, il diritto delle società di investimento di partecipare ai
mercati anche a distanza, lo studio di sistemi alternativi di trattativa.
I lavori di questo primo Forum Group sono stati poi raccolti in un “Green Paper”
del 2000, nella fase iniziale dell’action plan.
24
Direttiva 93/22/EEC, adottata il 10 Maggio 2003. Questa direttiva può essere considerata
una pietra miliare del mercato dei capitali Europeo. L’ISD ha varie finalità, come la creazione di
una sorta di “passaporto europeo” per le compagnie d’investimento mobiliare, la possibilità di
trattazione degli investimenti mediante la borsa valori in tutti gli Stati Membri, la realizzazione di
un mercato regolato che opera senza una sede materiale, ma attraverso la rete telematica.
3
Le discussioni del secondo gruppo vertono sulle manipolazioni del
mercato. Innanzitutto la discussione verte sull’individuazione delle pratiche di
mercato di natura manipolativa più comuni, che dovrebbero essere dichiarate
illegali a livello europeo (ad esempio le transazioni artificiali, la diffusione di
informazioni fuorvianti, la manipolazione dei prezzi).
In seguito gli esperti identificano quali strumenti finanziari fossero oggetto delle
malpratiche, quali fette del mercato, quale categoria di soggetti era più portata
verso l’utilizzo di queste pratiche scorrette, quali potessero essere i mezzi per
arginare il fenomeno.
Anche in questo caso i lavori del Forum Group, iniziati ad Ottobre del 1999, si
sono conclusi nel 2000 con una consultazione con gli Stati Membri e con una
proposta di direttiva.
Gli argomenti oggetto degli altri Forum Group of Experts sono stati i
contratti transfrontalieri e lo sviluppo di un’informazione che possa essere chiara
e comprensibile per i consumatori, tematiche riguardo le quali, dopo un anno di
consultazioni, si è giunti a proposte di direttive fondamentali per il FSAP.
Nel 2000, mentre si dipana il calendario dell’Action Plan, vengono svolte
altre due importanti consultazioni di Market Experts: la prima finalizzata al
superamento dei restanti ostacoli al mercato unico, e la seconda a facilitare
legalmente gli investimenti transfrontalieri.
E’ discussa l’utilità dell’attività dei gruppi di esperti sugli argomenti
oggetto delle misure legislative dell’Action Plan. La finalità dei Forum Groups è
sicuramente quella di ottenere relazioni tecnico giuridiche precise, puntuali e,
come si è detto, imparziali. Indubbiamente però l’esercizio di queste
consultazioni, che nei casi analizzati in questa sede si sono prolungate
dall’Ottobre del 1999 alla fine del 2000, ha rallentato la fase dell’iniziativa
legislativa. Ma come è stato sostenuto dal metodo Lamfalussy, diventato oggi lo
standard dell’iter legislativo dell’UE, queste consultazioni devono considerarsi
necessarie all’ottenimento di proposte di direttiva più complete, che meno si
prestino alla presentazione di obiezioni, traducendosi quindi in un risparmio di
tempo e risorse in una fase successiva.
3
La maggior parte delle relazioni degli Expert Groups citano l’argomento del
volume delle misure legislative introdotte praticamente in contemporanea, e
chiedono una “pausa di regolazione” dopo la conclusione dell’Action Plan. Il
Securities Expert Group addirittura arriva a concludere che la deadline politica del
FSAP enfatizzi la velocità, facendo sì che le scadenze siano troppo stringenti per
poter effettuare una sufficiente consultazione industriale e un adeguato studio
dell’impatto.
L’Asset Management Group ha commentato a sua volta: “some of the legislative
measures adopted ad EU level have not been as effective as expected. In some
instances, […] provisions which are intended to open markets have been watered
down or suffered from ambiguites which hamper consistent implementation”25.
Anche questa dichiarazione potrebbe essere una conseguenza dell’imperativo
politico di completare le misure oggetto dell’Action Plan entro i tempi prestabiliti,
che non sempre ha portato a far sì che esse raggiungessero il livello di qualità
previsto.
I gruppi hanno constatato che, con alle spalle l’esperienza del FSAP, le
istituzioni Europee dovrebbero dare maggior considerazione alle misure non
legislative, come l’autoregolazione da parte dei settori dell’industria, i codici di
condotta, ecc.. Gli Expert Groups hanno anche menzionato che, oltre alla proposta
di nuove azioni, gli sforzi dovrebbero essere concentrati nella semplificazione,
correzione o rimozione delle regole esistenti, pratica che non era stata inclusa nel
FSAP. Infine viene sottolineata la necessità di evitare le regole conflittuali o
ridondanti.
Le proposte dei Market Groups of Experts sono oggetto di grande
considerazione per la pianificazione dell’era successiva all’Action Plan.
25
Expert Group Report, Asset Management Expert Group, Section 2, paragraph 23.
3
Capitolo II
IL MERCATO ASSICURATIVO
Introduzione - 2.1 Il mercato assicurativo: da “protetto” a “libero” e da “nazionale” ad
“internazionale” – 2.2 Il consolidamento transfrontaliero: un cammino difficile - 2.3 La
concorrenza tra imprese e i c.d. “nuovi rischi” – 2.4 L’internazionalizzazione delle
compagnie assicurative. Parallelismi e differenze con il sistema bancario – 2.5 La
costituzione del mercato assicurativo unico – 2.6 La direttiva sull’intermediazione
assicurativa: 2002/92/CE – 2.7 Le violazioni delle direttive in materia assicurativa: il
procedimento sanzionatorio contro gli Stati in ritardo con l’implementazione della DIA
Introduzione
Il mercato assicurativo all’interno dello spazio economico europeo conta
circa 5000 imprese assicuratrici, con oltre un milione di dipendenti, e una raccolta
premi che supera i 970 miliardi di Euro. Le statistiche mostrano che le grandi
compagnie europee detengono il 95% del mercato assicurativo mondiale.
In questo capitolo si affrontano diverse sfaccettature di un settore così sviluppato
e complesso: studi sulle prospettive di integrazione europea, un’analisi di quanto è
già stato fatto a riguardo e quanto ancora rimane da realizzare. Si pensi ad
esempio al fatto che il sistema assicurativo dovrà affiancarsi e sostituirsi sempre
di più al sistema previdenziale degli Stati, e che si è sviluppata una grande
discussione – ad esempio dopo gli attentati terroristici dell’11/09/2001 – sulla
copertura dei cosiddetti nuovi rischi.
In ambito legislativo le direttive UE hanno profondamente modificato
l’aspetto del mercato assicurativo, sebbene gli Stati membri non si sono dimostrati
in alcuni casi sufficientemente pragmatici a convertirne il contenuto in leggi
nazionali, come nel caso della Direttiva sull’intermediazione assicurativa,
2002/92/CE, i cui effetti in Italia, ad esempio, sono stati recepiti con direttiva
Isvap del 16/10/2006.
3
2.1
Il mercato assicurativo: da “protetto” a “libero” e da “nazionale” ad
“internazionale”
Il quadro legislativo del mercato unico ha facilitato la crescita dell’attività
assicurativa transfrontaliera particolarmente per quanto riguarda i grandi rischi
industriali e commerciali, ma l’impatto di questa apertura è notevolmente minore
per i rischi privati. Questo anche perché le compagnie che operano in tutta legalità
in uno stato membro possono essere dissuase ad estendere la propria attività in un
altro stato a causa di fattori ostativi alla concorrenza che tuttora permangono.
Innanzi tutto, in relazione alla possibilità di nuovi entranti potenziali nel mercato,
i
produttori,
già
presenti
su
quest’ultimo,
possono
adottare
strategie
rispettivamente collusive, accomodanti, o, in termini di prezzi praticati.
Un elemento che può condizionare il comportamento concorrenziale dei soggetti
economici, nel mercato, è costituito dall’esistenza di barriere all’entrata, le quali
scoraggiano nuovi entranti potenziali. Queste, infatti, fanno sì che i produttori
esistenti possano imporre, per un periodo di tempo prolungato, prezzi di vendita al
di sopra dei costi medi di produzione e distribuzione, senza che ciò spinga nuovi
potenziali produttori ad entrare nel mercato.
Tra le ragioni che rendono difficile l’entrata in un nuovo mercato si possono
ricomprendere le economie di scala, la differenziazione dei prodotti e le
asimmetrie dei costi che si traducono in vantaggi assoluti per le imprese già
operanti sul mercato. Più in generale le principali barriere all’entrata possono
essere classificate in: barriere amministrative, barriere non strategiche, barriere
strategiche.
Quando la pubblica amministrazione subordina l’accesso al mercato alla
concessione di specifiche autorizzazioni (o al soddisfacimento di particolari
requisiti ) le barriere si definiscono amministrative.
In particolare le condizioni imposte da uno stato in materia di tutela del
consumatore possono dissuadere le compagnie ad estendere la propria attività in
un altro stato membro. Questo è largamente imputabile alla mancanza di un
quadro giuridico comunitario per gli intermediari, che permetta a questi ultimi di
3
trarre vantaggio dalla libertà di stabilimento e di fornire i propri servizi in altri
paesi.
La regolamentazione comunitaria attuale ha contribuito ad armonizzare le
regolamentazioni nazionali, ma permangono tuttavia molte divergenze e il
mercato europeo rimane frammentato.
Tra le barriere non strategiche sono da comprendere le, già ricordate, economie di
scala. La loro presenza, infatti, consente di stabilire il prezzo ad un livello tanto
più elevato, quanto maggiore è la condizione minima ottimale di produzione
richiesta, affinché un potenziale concorrente possa realisticamente pensare di
entrare sul mercato e di restarvi profittevolmente.
Tra le barriere strategiche rientrano, invece, i comportamenti che le imprese
esistenti intraprendono per scoraggiare l’ingresso di nuovi entranti. Pensiamo
all’esistenza di particolari condizioni che facilitano l’atto di acquisto del prodottoservizio. L’importanza attribuita alla prossimità del punto vendita, per esempio,
dipende dalla frequenza delle transazioni riguardanti lo specifico bene o servizio,
ovvero, dalla esigenza di mantenere relazioni correnti con un fornitore di prodotti
o servizi plurimi.
Nel caso specifico delle polizze vita, sia per la natura del servizio (incorporata nel
prodotto offerto), sia per la frequenza limitata del singolo atto di acquisto, non
sembra che la prossimità dei punti di vendita possa costituire un fattore talmente
importante da determinare la scelta della compagnia con cui assicurarsi.
Ancora, la differenziazione dei prodotti può costituire un’ulteriore barriera
strategica all’entrata o, in altri termini, un vantaggio per l’operatore già presente
sul mercato nei confronti di un potenziale concorrente che dovrà sostenere costi di
distribuzione e di pubblicità (qualora quest’ultima, in particolare, risulti decisiva
nel condizionare le scelte dei consumatori). Le realizzazione di prodotti
diversificati è possibile variando il mix delle condizioni e termini delle polizze.
Del resto, nello specifico, l’introduzione di nuovi prodotti, che effettivamente
presentino una cesura rispetto a quelli tradizionalmente offerti, è facilmente
imitabile dalle altre imprese, non esistendo barriere produttive e conoscitive tali
da impedirne, in tempi ravvicinati, la replicabilità da parte di una compagnia.
4
Tuttavia quella della differenziazione è ormai una strategia che dovrebbe essere
necessariamente perseguita.
L’economista J. Sutton mette in evidenza che le probabilità di entrata in un
mercato sono più elevate quando i prezzi praticati sono più vicini a quelli
riscontrabili nelle forme di mercato monopolistico, dove le imprese operano con
costi elevati. Se, invece, i profitti complessivi si posizionano ad un livello
intermedio, si configura un mercato di “accomodamento” e, pertanto, l’entrata
sarà moderatamente conveniente. Qualora ci si trovi in una situazione di
concorrenza accesa sul prezzo, i profitti saranno molto contenuti e l’entrata non
particolarmente attraente per il tratto aggressivo della concorrenza in quel
mercato.
Del resto, le compagnie, oggi, nel definire i confini della loro arena competitiva
devono tenere conto, non solo della presenza di un elevato numero di compagnie,
bensì, anche della presenza di nuovi intermediari, quali le SIM (società di
intermediazione mobiliare) e le banche. In particolare il fenomeno della vendita
attraverso banche di prodotti assicurativi del ramo vita (cd. Bancassurance) è
importante, e come l’esperienza, estera ed italiana, confermano non è destinato a
scomparire. Non si tratta, dunque, di un fenomeno momentaneo, ma costituisce un
fenomeno che tenderà a svilupparsi sempre più nel corso del tempo. Questo
rapido passaggio che ha interessato il mercato assicurativo, e che lo ha
trasformato da “protetto” a “libero”, da “nazionale” ad “internazionale”,
unitamente alle modifiche legislative, ha determinato un brusco risveglio per tutti
coloro che vi operavano. Oggi appare sempre più necessario valorizzare e
sfruttare ogni potenzialità esistente e creare vantaggi competitivi difendibili su
scala globale. In particolare, dall’attenzione al prodotto, che ha caratterizzato
l’orientamento degli ultimi decenni, si è passati ad un forte orientamento verso il
cliente. Questo cambiamento ha richiesto, e richiede, un cambio culturale del
management e una revisione del front office e del back office.
In definitiva il mercato assicurativo sta affrontando importanti sfide.
Quella conseguente alla ristrutturazione dello stato sociale che dovrà portare il
sistema assicurativo privato a fornire un importante contributo nella Previdenza e
nella Sanità. Quella del mercato che chiede prodotti più efficienti e più flessibili.
4
Quella derivante dalle innovazioni nella distribuzione, dove accanto ad agenti,
brokers, sportelli bancari, promotori finanziari vanno sempre più crescendo le
vendite per telefono e via Internet.
Una sfida non meno importante è quella della trasparenza e dell’orientamento
dell’impresa al cliente che deve diventare una strada obbligata con l’obiettivo di
migliorarne la soddisfazione e quindi fidelizzarlo, laddove di fronte ad un mercato
che cresce lentamente, ogni cliente sottratto alle imprese concorrenti ha costi
elevati e crescenti.
Stiamo passando ad una fase caratterizzata da un’intensa creatività e da una
profonda opera di deregulation. All’interno dei vari settori le politiche competitive
tendono a svilupparsi tipicamente mediante l’utilizzo di leve caratterizzate dalla
maggiore facilità di implementazione e dalla maggiore flessibilità. Questo fatto si
giustifica per la naturale tendenza delle imprese ad adottare comportamenti che
implicano un contenuto sforzo di cambiamento rispetto alle situazioni esistenti e
che possono attivarsi con i minori interventi a livello strutturale, nel tentativo o
nella convinzione di evitare implicazioni di lungo periodo. Facendo riferimento ai
fattori dell’offerta, il prezzo è quello dotato di maggiore facilità di utilizzo e
flessibilità, potendo essere modificato in tempi brevi, senza sostanziali
adattamenti strutturali o comportamentali all’interno dell’impresa. Ad uno stadio
di complessità superiore la comunicazione richiede tempi di attuazione più lunghi
a fronte di una più intensa attività progettuale; più difficoltoso si rileva l’utilizzo
di parametri di offerta attinenti al prodotto con riferimento sia ai tempi di
attuazione, sia alle implicazioni di lungo termine connessi agli investimenti e
cambiamenti nei processi organizzativi e produttivi.
Ne segue, data la relazione fondamentale della teoria economica secondo
la quale prezzo e domanda sono legati da una correlazione inversa, che le imprese
attuino riduzioni di prezzi nel tentativo di ottenere maggiori volumi di vendita in
modo da ridurre i costi di produzione, considerando “dati” gli altri fattori
dell’offerta.
L’adozione di questa logica può determinare l’acquisizione di vantaggi
competitivi da parte delle imprese per determinati periodi di tempo; ma in
prospettiva di lungo termine il predominio di manovre basate sulla diminuzione
4
dei prezzi si può tradurre in una riduzione dei profitti a livello settoriale che si
verifica secondo modalità differenti e tempi differenti in relazione alle
caratteristiche del settore (concentrazione e numero di imprese) e a livello di
“collusione” esistente tra le imprese che vi operano.
La facilità di utilizzo del prezzo determina infatti un’elevata imitabilità delle
manovre attuate da parte dei concorrenti tale da ottenere vantaggi solo fino a che
la domanda complessiva mostra un’elasticità positiva al prezzo; altrimenti la
riduzione dei prezzi può generare la caduta dei profitti a livello settoriale.
Allora le imprese costrette a modificare la gestione competitiva agiscono sui
fattori dell’offerta in modo più equilibrato. Il prezzo perde il suo ruolo di unico
strumento competitivo per assumere quello di controprestazione a carico del
cliente a fronte delle prestazioni rese.
L’attenzione si sposta sui fattori dell’offerta (prodotto, gamma, servizi,
comunicazione, immagine) non più ritenuti come “dati” ed alla base dei
comportamenti competitivi vi è la ricerca di un equilibrio di detti fattori e il
prezzo come valorizzazione di questi.
4
2.2
Il consolidamento transfrontaliero: un cammino difficile
Nel paragrafo precedente è stata sottolineata la presenza di numerose
barriere all’entrata che rendono difficoltoso il processo di internazionalizzazione
del mercato assicurativo (ed in generale dei mercati finanziari). Una scorciatoia
verso l’internazionalizzazione è sicuramente l’utilizzo di fusioni ed acquisizioni
transfrontaliere (cross border mergers & acquisitions).
Per consolidamento transfrontaliero si intende ogni fusione ed acquisizione,
totale o parziale, che coinvolga due o più società finanziarie (società di credito,
investimento, assicurazioni) stabilite in due Stati Membri differenti.
La Commissione stessa, almeno stando agli studi pubblicati nel 200526, non è stata
in grado di valutare l’effettiva incidenza delle M&A sul mercato unico,
dichiarando però l’incontrovertibile necessità di abbattere gli ostacoli che
rallentano questo settore. Il consolidamento transfrontaliero è il prodotto di
decisioni commerciali prese dai partecipanti al mercato. Pur non essendo un fine
in sé, resta di certo un mezzo per arrivare ad una maggiore efficienza.
Secondo la Commissione sarà di certo il mercato a stabilire l’importanza del
consolidamento, fermo restando che, in un mercato finanziario completamente
integrato, fusioni e acquisizioni transfrontaliere devono essere opzioni a totale
disposizione degli istituti finanziari.
I vantaggi del consolidamento transfrontaliero sono comunque abbastanza
autoevidenti: in un mercato unico che conta 25 Stati Membri con una popolazione
di 450 milioni di persone, le compagnie che operano su base europea possono
offrire i loro prodotti e servizi ad un numero significativamente più alto di
potenziali clienti rispetto al mercato domestico. Allargando il loro target di
clientela, le compagnie possono beneficiare delle economie di scala come della
maggior diversificazione dei rischi.
Di conseguenza un’elevata facilità di ingresso su mercati stranieri permetterebbe
alle compagnie di avere grandi vantaggi, che si tradurrebbero quasi certamente
26
Commission Staff Working Document - SEC(2005)1398: Cross-border consolidation in
the EU financial sector
4
anche in grandi vantaggi per i consumatori (maggiore scelta di prodotti, migliori
rendimenti per gli investimenti, ecc..).
Nel 2004 però, il congresso Ecofin ha lanciato un allarme sul basso livello delle
M&A, invitando la Commissione a preparare una relazione su quali fossero i
problemi che rallentavano lo sviluppo di questo settore.
La Commissione ad Aprile del 2005 ha indetto un sondaggio online per
comprendere al meglio quali potessero essere gli elementi frenanti, e sulla base
dei risultati di tale sondaggio ha pubblicato a Novembre del 2005 uno studio, che
ha portato infine, nel Settembre del 2006 ad una proposta di direttiva27.
La proposta di direttiva mira a migliorare considerevolmente la certezza giuridica,
la chiarezza e la trasparenza del processo di approvazione, da parte della
vigilanza, delle acquisizioni e degli incrementi di partecipazioni nei settori
bancario, assicurativo e mobiliare.
Un aspetto importante del mercato unico è l’eliminazione di tutti gli ostacoli
ingiustificabili che impediscono il buon funzionamento del mercato interno.
Qualsiasi ingerenza indebita da parte delle autorità nazionali o delle autorità
sopranazionali nell’attuazione di una decisione commerciale che avrebbe portato
ad un consolidamento potrebbe effettivamente ostacolare il buon funzionamento
del mercato.
Il sistema di vigilanza prudenziale esistente attualmente nell’Unione europea si
basa sul principio della responsabilità delle autorità competenti dello Stato
membro di origine e su un implicito obbligo di stretta collaborazione tra le
autorità competenti dello Stato membro d’origine e di quelle dello Stato membro
ospitante nella vigilanza delle attività degli enti operanti in Stati membri diversi
da quello in cui hanno l’amministrazione centrale.
27
Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la direttiva
92/49/Cee e le direttive 2002/83/CE, 2004/39/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE per quanto riguarda
le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di
partecipazioni nel settore finanziario.
4
L’attuale quadro giuridico28 regolamenta la situazione in cui un soggetto,
denominato “candidato acquirente”, desideri acquisire o incrementare una
partecipazione in un istituto finanziario o in un’impresa di investimento sia in
ambito nazionale che nel contesto transfrontaliero. Le autorità nazionali
competenti possono opporsi ad un’acquisizione se non sono convinte dell’idoneità
del candidato acquirente a garantire una gestione sana e prudente dell’ente. Il
quadro giuridico attuale non prevede tuttavia criteri specifici per valutare
l’idoneità del candidato acquirente e ha pertanto lasciato alle autorità competenti
una notevole discrezionalità nell’accettare, scoraggiare o respingere un progetto di
acquisizione. Inoltre le attuali direttive non definiscono nel dettaglio la procedura
di valutazione delle acquisizioni.
La proposta di direttiva modifica considerevolmente il quadro esistente per quanto
concerne la procedura ed i criteri che le autorità competenti devono applicare
quando valutano un candidato acquirente.
Le direttive modificate definiscono l’intera procedura che le autorità competenti
dovranno applicare per valutare le acquisizioni da un punto di vista prudenziale.
Esse introducono inoltre un processo di notifica e decisione chiaro e trasparente
per le autorità competenti e per le imprese. I termini vengono abbreviati e la
sospensione del loro decorso da parte delle autorità competenti viene limitata ad
un solo caso e assoggettata a chiare condizioni.
Vengono inoltre definiti chiaramente i criteri da applicare per la valutazione
prudenziale che saranno pertanto noti in anticipo ai partecipanti al mercato. Ne
deriverà una maggiore certezza e prevedibilità per quanto concerne i criteri
applicati dalle autorità competenti quando valutano la solidità finanziaria di
un’acquisizione.
Le direttiva modificate prevedono un elenco chiuso di criteri per valutare
l’idoneità dell’acquirente, determinando così un’armonizzazione completa in
materia di valutazione dell’idoneità a livello di Unione europea. Questi criteri
sono: la reputazione del candidato acquirente, la capacità di continuare a rispettare
28
Articolo 19 della direttiva 2000/48/CE, articolo 15 della direttiva 92/49/CEE, articolo 15
della direttiva 2002/83/CE, articoli da 20 a 23 della direttiva 2005/68/CE e articolo 10 della
direttiva 2004/39/CE.
4
le direttive settoriali applicabili, il rischio di riciclaggio dei proventi di attività
illecite e di finanziamento del terrorismo.
Per quel che riguarda la valutazione dell’impatto, invece, sono state esaminate
alcune opzioni, tra le quali il mantenimento dello status quo, l’opzione di
regolamentazione giuridicamente vincolante e quella giuridicamente non
vincolante. Dopo un esame delle diverse alternative si è giunti alla conclusione
che per raggiungere gli obiettivi di certezza giuridica, chiarezza e trasparenza, a
beneficio sia delle autorità competenti che dei partecipanti al mercato, è
necessaria una soluzione di regolamentazione giuridicamente vincolante. Per
centrare i predetti obiettivi ed assicurare coerenza all’interno di ciascun settore e
tra i singoli settori, è opportuno mirare ad un livello elevato di armonizzazione per
quanto riguarda la procedura e i criteri per la valutazione prudenziale. Un livello
inferiore di armonizzazione –che lasci un considerevole livello di flessibilità agli
Stati membri e alle loro autorità competenti- non consentirebbe di raggiungere gli
obiettivi dichiarati di maggiore certezza giuridica, prevedibilità e coerenza per
quanto riguarda le valutazioni prudenziali delle acquisizioni e degli incrementi di
partecipazioni in enti finanziari e in imprese di investimento.
4
2.3
La concorrenza tra imprese e i c.d. “nuovi rischi”
Il trattato CE vieta tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di
associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il
commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di
impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato
comune.
Lo stesso trattato consente peraltro alla Commissione di disporre deroghe ai
divieti previsti e pertanto sin dal 1992, in ragione della particolarità dell’attività
assicurativa basata sulla mutualità, il regolamento 3932/92/CEE ha disposto
specifiche deroghe per determinate categorie di accordi, decisioni e pratiche
concordate dalle imprese di assicurazione aventi per oggetto: la cooperazione
riguardante la fissazione in comune di certi tipi di rischi; il regolamento dei
sinistri; la valutazione e il riconoscimento di apparecchiature di sicurezza; i
registri e le informazioni per i rischi aggravati.
Il 27 Febbraio 2003 la Commissione ha emanato il regolamento n. 358/2003/CE
che verrà a scadere il 31 Marzo 2010. Il nuovo regolamento di esenzione
conferma, nella sostanza, l’impianto e la disciplina del precedente e risulta, anzi,
più liberale di quest’ultimo, a dimostrazione del fatto che il diritto della
concorrenza può essere applicato all’attività assicurativa soltanto in parte e con
tutta una serie di opportuni adattamenti.
Tra le novità di maggior rilievo introdotte si ricorda, in particolare, quella
concernente la copertura in comune dei “nuovi rischi”. Per tali rischi, infatti, le
imprese sono autorizzate a provvedere alla prestazione della garanzia mediante
consorzi di coassicurazione o di coriassicurazione senza limiti di sorta e quindi, a
prescindere dalla quota di mercato del consorzio.
La nozione di “nuovi rischi” fatta proprio dal 325/2003/CE suscita perplessità.
Essa infatti ha riguardo di rischi che in precedenza non esistevano affatto e per la
cui copertura è necessario creare prodotti assicurativi assolutamente nuovi. Una
nozione così rigorosa ed astratta suscita motivate riserve: l’assicurazione consiste,
4
infatti, nella garanzia dei rischi e in assicurazione è dunque nuovo non solo il
rischio mai prima registratosi dal punto di vista fenomenologico, ma anche quello
mai prima garantito per la mancanza, appunto, dei necessari elementi di
conoscenza statistico-attuariale.
C’è il pericolo, quindi, che la nuova disciplina non consenta un concreto
approccio assicurativo a rischi come quelli del terrorismo di ultima generazione o
delle catastrofi naturali.
Più in generale, è tutta la disciplina della copertura in comune dei rischi,
attraverso consorzi di coassicurazione
o di coriassicurazione, a risultare
semplificata e più incentivante rispetto alla normativa precedentemente in vigore.
Da un lato, infatti, scompare ogni distinzione tra rischi ordinari, aggravati e
catastrofali, con la conseguenza che la quota di mercato del consorzio non potrà
che essere calcolata sull’intero mercato di riferimento anziché su sottoinsiemi di
questo di problematica individuazione; dall’altro, le quote massime di mercato
che detti consorzi possono legittimamente detenere passano, per i consorzi di
coassicuazione, dal 10% al 20% e, per quelli di coriassicurazione, dal 15% al
25%.
4
2.4
L’internazionalizzazione delle compagnie assicurative. Parallelismi e
differenze con il sistema bancario.
Il processo di internazionalizzazione dei servizi finanziari è stato oggetto
di un significativo numero di ricerche, sia teoriche che empiriche. Due aspetti, in
particolare, hanno attratto l’attenzione dei ricercatori: gli effetti della presenza di
intermediari
stranieri
sul
paese
ospitante,
e
i
percorsi
generali
di
internazionalizzazione del settore finanziario.
Tra l’anno 1999 e il 2003, periodo di intensi cambiamenti a livello
legislativo per quel che riguarda l’integrazione dei mercati finanziari, è stato
condotto uno studio29 sui parallelismi e le differenze che intercorrono tra il
sistema bancario e quello assicurativo.
Gli autori, Dario Focarelli30 e Alberto Franco Pozzolo31 hanno condotto un’analisi
su tutti i paesi interessati dall’integrazione transfrontaliera dei servizi finanziari. I
risultati mostrano che l’internazionalizzazione delle banche e delle compagnie
assicurative seguono percorsi similari. In particolare, l’integrazione economica è
un elemento determinante per le strategie internazionali sia delle banche che delle
compagnie assicurative, mentre la diversificazione dei rischi è più importante in
campo assicurativo.
Infine, i risultati supportano la tesi secondo la quale le barriere all’entrata di
operatori stranieri negli stati del G10 spiegano più agevolmente il comportamento
delle banche che quello delle compagnie assicurative.
Fusioni e acquisizioni internazionali sono alcuni dei metodi maggiormente
utilizzati dalle società finanziarie per espandere le loro attività al di fuori dei
confini nazionali32, e l’incidenza di essi all’interno del mercato finanziario è
variegata. Il mercato assicurativo è certamente quello più internazionalizzato, con
una percentuale significativamente più elevata rispetto al sistema bancario.
29
Cross Border M&A In the financial sector: is banking different from insurance?
Focarelli: Ania, research department and university of Rome La Sapienza, Actuarial
Science Department
31
Pozzolo: università del molise, Dipartimento di Scienze economiche gestionali e sociali
and Ente Luigi Einaudi
32
Focarelli e Pozzolo dimostrano che il cross-border M&A ha avuto un’incidenza inferiore
nei servizi finanziari che nel settore industriale, che risulta essere quello maggiormente
internazionalizzato.
30
5
Questo dato sembra essere dovuto a due considerazioni: studi di risk management
che
sembrano
condurre
ad
un
diffuso
scetticismo
nei
confronti
dell’internalizzazione delle banche, e il fatto che il settore assicurativo sta, negli
ultimi anni, sperimentando un’intensa fare di deregolamentazione e di
internazionalizzazione.
I ricercatori sembrano concordi riguardo al fatto che il grande potenziale di
crescita, specialmente nelle economie emergenti, sia uno dei fattori che attraggono
maggiormente l’ingresso di compagnie assicurative straniere.
Alcuni studi
accademici tendono comunque ad essere più prudenti a riguardo33.
Dati empirici comunque dimostrano che i paesi dove si localizza la maggior
concentrazione di investitori assicurativi stranieri sono quelli dove è maggiore
l’integrazione tra il paese d’origine e quello di destinazione. In addizione a questo,
la presenza straniera è superiore nei paesi dove la competizione nel mercato è
maggiore, e, in caso di mercati meno competitivi, dove viene dato intenso
supporto politico a politiche liberali.
In definitiva, lo studio “Cross Border M&A In the financial sector: is
banking different from insurance?” propende per la presenza di numerosi punti in
comune nel percorso di internazionalizzazione delle banche e delle compagnie
assicurative, sebbene quest’ultimo settore abbia conosciuto un maggior impulso
negli ultimi anni.
Emergono però anche fondamentali differenze.
Innanzi tutto le caratteristiche del paese di origine hanno un’influenza diversa nei
due settori. Le compagnie assicurative tendono ad espandersi all’estero
maggiormente delle banche, se sono stabilite in un paese con un più altro reddito
pro capite, un più ampio sistema bancario, e un minor mercato assicurativo. Una
possibile spiegazione potrebbe essere che le compagnie assicurative hanno una
maggior propensione ad espandersi all’estero quando il loro mercato locale è
33
Secondo uno studio di Swiss Reinsurance (Sigma Re, 2000), vi sono alcuni fattori che
possono spiegare l’espansione delle compagnie assicurative in paesi meno sviluppati. Essi sono: a)
l’incentivo di “raggiungere il cliente” operando all’estero; b) la maggior crescita attesa in paesi
meno sviluppati; c) la possibilità di beneficiare di maggiore efficienza mediante una maggiore
differenziazione e le economie di scala. Vi sono però anche alcuni fattori frenanti: a) la maggior
domanda di garanzie richiesta dai paesi in via di sviluppo; b) maggiori requisiti di capitali in
relazione all’aumento dei rischi e ad una più stringente regolamentazione della solvibilità; c)
l’esigenza di maggiore know-how.
5
relativamente piccolo e le prospettive di crescita non sono elevate, mettendo in
evidenza la considerazione che esse potrebbero incontrare delle difficoltà ad
espandersi sul mercato domestico, in quanto il mercato assicurativo è
maggiormente legato alla domanda rispetto a quello bancario.
Un’altra importante differenza con le banche è che le decisioni delle compagnie
assicurative sembrano essere meno influenzate dalla tassazione e dalla struttura
demografica della popolazione, probabilmente perché queste caratteristiche sono
già elementi insiti nella grandezza dei mercati stessi.
Passando alle caratteristiche del paese di destinazione, risulta che le compagnie
assicurative subiscono in maniera inferiore rispetto alle banche la presenza di
barriere implicite o esplicite all’entrata nei mercati stranieri.
5
2.5
La costituzione del mercato assicurativo unico
Il processo di armonizzazione comunitaria, talvolta discontinuo e non
sempre lineare, ha inteso realizzare come obiettivo ultimo l’istituzione di un vero
e proprio “mercato unico assicurativo”, al fine di garantire la liberalizzazione dei
servizi assicurativi attraverso l’espressione di condizioni che consentano, da un
lato, la libertà di stabilimento delle imprese assicuratrici di uno Stato Membro in
un altro Paese della CE, e che, dall’altro lato, assicurino la libera prestazione dei
servizi da parte di un’impresa stabilita in uno degli Stati della Comunità ad un
altro Stato Membro; tenuto conto, comunque, di talune imprescindibili esigenze,
quali:
9 Tutelare la generalità degli assicurati dall’eventuale insolvenza delle
imprese, dalla difficile comprensione delle clausole contrattuali e dalla
pubblicità distorsiva;
9 Assicurare medesime condizioni di concorrenza a tutte le imprese
assicuratrici operanti nel territorio comunitario, principalmente per mezzo
del coordinamento delle norme in materia di trattamento fiscale, regime
valutario, condizioni contrattuali e costituzione delle riserve tecniche;
9 Proteggere gli interessi dei Governi nazionali.
La prima fase del suddetto processo di liberalizzazione ha condotto
all’applicazione del principio della libertà di stabilimento attraverso soprattutto le
direttive 73/239/Cee e 79/267/Cee, note come prima direttiva danni e prima
direttiva vita, le quali hanno dato luogo in Italia, rispettivamente, alle leggi
295/1978 e 742/1986. Le stesse direttive avevano, inoltre, stabilito i compiti delle
Autorità di vigilanza sulle imprese assicurative, in regime di libertà di
stabilimento, determinando l’istituzione dell’Isvap.
La seconda fase, invece, finalizzata all’applicazione del principio della
libera prestazione dei servizi assicurativi, ha determinato nel nostro ordinamento
l’emanazione del D.L.vo 49/1992, in attuazione della direttiva 88/357/Cee, nota
come seconda Direttiva danni, che coordinava le disposizioni legislative,
regolamentari ed amministrative riguardanti l’assicurazione diretta diversa
5
dall’assicurazione sulla vita, fissava le disposizioni volte ad agevolare l’esercizio
effettivo della libera prestazione dei servizi e modificava la direttiva 73/239/Cee;
nonché l’emanazione del D.L.vo 515/1992, in attuazione della Direttiva
90/619/Cee, nota come seconda direttiva vita, che coordinava le disposizioni
legislative, regolamentari ed amministrative riguardante l’assicurazione diretta
sulla vita, fissava le disposizioni destinate a facilitare l’esercizio effettivo della
libera prestazione dei servizi e modificava la direttiva 79/267/Cee.
La terza ed ultima fase del citato processo di liberalizzazione ha consentito
la libera prestazione da parte di tutte le imprese assicuratrici, qualsiasi ramo
esercitino, ed a favore di tutti gli stipulanti polizze assicurative. L’obiettivo di
quest’ultima fase è stato quello di garantire all’impresa di assicurazione
un’autorizzazione unica all’esercizio della propria attività, valida per tutti i Paesi
comunitari: la c.d. “licenza assicurativa unica” analogamente a quanto previsto
per il settore bancario. In tal modo il compito primario di vigilanza spetta alle
Autorità dello Stato membro di origine, mentre le Autorità dello Stato Membro
destinatario del servizio, pur non venendo private di tutti i poteri di vigilanza,
assumono invece un ruolo accessorio.
La costituzione del mercato assicurativo unico è stata realizzata con le
direttive 92/96/Cee sull’assicurazione vita, e 92/49/Cee sulle assicurazioni diverse
da quella sulla vita, che hanno trovato attuazione in Italia attraverso i decreti
legislativi n.174 e n.175 entrambi del 17 Marzo 1995.
Con le cc.dd. direttive di “terza generazione” è così divenuto effettivo il
mercato unico delle assicurazioni in Europa. Con tali provvedimenti l’intera
materia assicurativa è stata fatta rientrare sotto il regime dell’ “home country
control”, in base ai principi dell’autorizzazione unica rilasciata alle imprese di
assicurazione dal proprio Stato di origine e del mutuo riconoscimento delle
legislazioni nazionali.
I menzionati decreti hanno, pertanto, contribuito a dilatare l’ambito dei
poteri di vigilanza, che non sono più limitati al territorio nazionale, bensì sono
estesi a livello comunitario, essendo l’Isvap tenuto a svolgere attività di controllo
su tutte le imprese aventi la sede legale in Italia che svolgono attività assicurativa
all’estero in regime di stabilimento o di libera prestazione dei servizi.
5
In merito occorre precisare che è in regime di stabilimento l’attività che
l’impresa esercita da uno stabilimento situato in uno Stato membro assumendo
obbligazioni con contraenti aventi il domicilio o la sede nello stesso Stato.
E’, invece, libera prestazione dei servizi l’attività che l’impresa esercita da uno
stabilimento allocato in uno Stato assumendo obbligazioni con contraenti aventi il
domicilio o la sede legale in un altro Stato.
Nel capitolo precedente si è valutato l’importanza del Financial Services Action
Plan sul mercato unico dei servizi finanziari. Tra il 2000 e il 2004 l’Ue ha dato un
grande apporto per uno sviluppo armonico e veloce del mercato transfrontaliero,
con risultati che ancora oggi sono oggetto di valutazione.
Dopo una, relativamente breve, pausa di regolamentazione l’Unione europea sta
preparando un nuovo framework di regole per il settore assicurativo allo scopo di
superare le barriere nazionali e rafforzare il mercato unico. Le nuove regole
consentiranno alle compagnie di operare in tutti i 25 stati membro una volta
soddisfatti i requisiti richiesti dal supervisore del paese ospitante. La nuova
regolamentazione armonizzerà inoltre le norme riguardo la quantità di capitale
assicurativo da mettere a disposizione per affrontare gli impegni presi.
La legislazione è stata proposta dalla Commissione europea nel 2004/2005 ma i
lavori hanno subito una brusca frenata a causa di una disputa sulla possibilità da
parte del supervisore, di richiedere garanzie assicurative accessorie per i
potenziali danni coperti.
Francia e Portogallo chiedono attualmente tali garanzie, ad esempio, in forma di
lettere di credito, o bond. Il settore assicurativo si è a lungo opposto a tali
richieste, sostenendo che bloccherebbero il capitale senza una giustificazione
valida.
Il parlamento europeo e gli stati membri sono giunti ad un punto d’accordo
sostenendo che tali richieste dovranno essere introdotte per gradi come parte della
nuova direttiva in materia assicurativa.
La nuova regolamentazione UE probabilmente aumenterà le pressioni sugli Usa
ad abbandonare la serie di requisiti aggiunti richiesti alle compagnie straniere.
5
Bruxelles ha largamente cercato di spingere gli Usa a eliminare tali restrizioni ma
la sua posizione è stata fino ad ora compromessa dalle decisioni di Francia e
Portogallo che hanno introdotto le stesse misure restrittive.
Peter Skinner34 ha preparato a Marzo del 2005 un report che sostiene con
fermezza l’obbligo di introdurre per gradi dei requisiti aggiunti nell’Ue. Il
deputato europeo ha dichiarato che le nuove regole in preparazione rappresentano
una buona chance di definire standard globali, sottolineando che i gruppi europei
rispondono al 95% circa del mercato assicurativo mondiale.
Skinner ha dichiarato: “La nuova regolamentazione crea un unico mercato
nell’Unione consolidando il sistema di norme intorno ad un processo altamente
efficiente di market-led. Grazie a questo nuovo sistema le compagnie hanno
accesso a mercati in paesi dove attualmente gli è negato”.
34
Deputato europeo del partito laburista britannico
5
2.6
La direttiva sull’intermediazione assicurativa: 2002/92/CE
Nel 2002 l’UE emana una direttiva sull’intermediazione assicurativa, che
nelle premesse viene considerata attività fondamentale per lo sviluppo del mercato
unico.
Il legislatore ritiene infatti che nonostante le disposizioni precedenti avessero
contribuito notevolmente al riavvicinamento delle legislazioni nazionali, fossero
ancora sussistenti notevoli differenze tra le normative, ostacolo allo svolgimento
dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa nel mercato interno.
La direttiva tende a rafforzare il corretto funzionamento del mercato unico delle
assicurazioni attraverso l’instaurazione della licenza unica per gli intermediari
assicurativi e riassicurativi, il riconoscimento della parità di trattamento tra gli
operatori che esercitano l’intermediazione, l’adozione di criteri che garantiscano
un elevato livello di tutela del consumatore.
Inizialmente la direttiva chiarisce il concetto di “intermediario
assicurativo”, elencando quali soggetti non possono rientrare in questa categoria.
Vanno esclusi coloro che svolgono un’altra attività professionale, come i
consulenti, o chi esercita l’attività di intermediario, sussistendo rigorose
condizioni, come attività secondaria.
La direttiva altresì raccomanda l’istituzione di un albo professionale, sia per
monitorare gli esercitanti l’attività, sia per sanzionare chi opera senza
autorizzazione: si tratta, quindi, di un provvedimento inquadrabile nell’esigenza di
tutela dei consumatori.
La registrazione ha tuttavia un’altra importante caratteristica: permette
all’intermediario di esercitare l’attività in qualunque Stato membro.
Sempre nell’ottica della tutela dei consumatori non viene trascurata l’importanza
della trasparenza nell’attività di intermediazione. L’intermediario deve, infatti,
rispettare rigorosamente le legislazioni in materia di informazioni da fornire ai
consumatori, e deve altresì motivare le proprie scelte qualora dichiari di fornire
consulenze su prodotti offerti da una vasta gamma di imprese di assicurazione.
5
La direttiva, effettuate queste premesse sulla figura dell’intermediario,
giunge quindi ad una definizione dell’attività di “intermediazione assicurativa”: si
tratta delle attività consistenti nel presentare o proporre contratti di assicurazione,
o compiere altri atti preparatori o relativi alla conclusione di tali contratti, ovvero
nel collaborare, segnatamente in caso di sinistri, alla loro gestione ed esecuzione.
Viene definito anche “l’intermediario assicurativo collegato”, che agisce sotto la
responsabilità di una o più imprese di assicurazione, per i prodotti che le
riguardano rispettivamente.
Il Capo II della direttiva è dedicato ai requisiti per la registrazione,
nell’apposito albo istituito dagli Stati membri. Gli Stati possono istituire un unico
registro, o registri separati per assicuratori e riassicuratori, decidere se rilasciare
un documento tale da consentire agli interessati di verificare la registrazione.
Come si è detto, la registrazione, subordinata a precisi requisiti professionali
disciplinati dall’articolo 4 della direttiva, permette agli intermediari assicurativi e
riassicurativi di svolgere l’attività di intermediazione nella Comunità in regime di
libero stabilimento e di libera prestazione dei servizi.
Gli intermediari devono possedere adeguate cognizioni e capacità determinate dai
rispettivi Stati membri d’origine. Gli Stati possono modulare le condizioni
imposte in materia di cognizioni e capacità, in base all’attività svolta e ai prodotti
offerti.
Coloro
che
esercitano
un’attività
professionale
diversa
dall’intermediazione, possono esercitare l’attività di intermediazione solo se un
intermediario che soddisfi i requisiti dell’articolo 4 o un’impresa di assicurazione
assumono l’intera responsabilità dell’attività.
Gli Stati hanno anche la facoltà di verificare le cognizioni e le capacità degli
intermediari, e mettere a disposizione dei mezzi di formazione adatti.
Un altro elemento importante è il requisito dell’onorabilità, inteso come
certificato penale, o analogo documento nazionale, immacolato da illeciti penali
connessi con reati contro il patrimonio o altri reati in relazione ad attività
finanziarie e non devono essere dichiarati falliti.
Gli intermediari assicurativi devono essere in possesso di un’assicurazione per la
responsabilità professionale per i danni derivanti da negligenza nell’esercizio
5
della loro professione. Gli Stati devono altresì dotarsi delle misure necessarie per
tutelare i consumatori contro l’incapacità dell’intermediario di trasferire i premi
all’impresa di assicurazione o di trasferire all’assicurato gli importi della
prestazione assicurativa. Queste misure ad esempio possono essere l’istituzione di
un fondo garanzia, o la rigida separazione del patrimonio dell’intermediario dai
cc.dd. conti cliente.
L’articolo 8 della direttiva è dedicato alle Sanzioni, che possono essere
previste ed erogate dagli Stati membri nei confronti di chiunque eserciti l’attività
di intermediazione assicurativa o riassicurativa senza essere registrato in uno degli
Stati, nei modi previsti dalla direttiva stessa. Sanzioni possono essere previste
anche nei confronti di imprese di assicurazione che si avvalgono di intermediari
non registrati.
Queste disposizioni possono essere ricollegato ad uno dei principi fondamentali:
la maggior tutela del consumatore. A dimostrazione di ciò, gli Stati possono
prevedere anche l’inibizione ad avviare nuove attività nei confronti dei soggetti
sanzionati.
Le sanzioni erogate devono, naturalmente, essere motivate e comunicate
all’intermediario, di modo che egli possa impugnare in sede giurisdizionale il
provvedimento che ritiene ingiusto.
Il principio di tutela del consumatore ha sicuramente ispirato il legislatore
comunitario negli articoli 12 e 13 della direttiva, riguardo gli “obblighi
d’informazione degli intermediari” e le “modalità dell’informazione”.
L’articolo
12
disciplina
il
contenuto
minimo
delle
informazioni
che
l’intermediario deve fornire al consumatore: la sua identità e il suo indirizzo e i
mezzi per verificare la registrazione, se è detentore di una quota di partecipazione
superiore al 10% del capitale sociale di una determinata impresa di assicurazione,
o se, viceversa, un’impresa di assicurazione è proprietaria di almeno il 10% del
capitale sociale dell’intermediario, ed infine le procedure (articolo 10) che
consentono agli interessati di presentare ricorso nei confronti dell’intermediario,
nonché le procedure di reclamo e risoluzione stragiudiziale (articolo 11).
5
Riguardo il contratto proposto, l’intermediario ha il dovere di effettuare un’analisi
imparziale e di comunicare eventuale obblighi contrattuali ad esercitare l’attività
di intermediazione assicurativa esclusivamente con una o più imprese di
assicurazione.
Nel caso l’intermediario fornisca consulenza sulla base di un’analisi imparziale,
egli deve comunque fondare tale consulenza sull’analisi di un numero sufficiente
di contratti di assicurazione disponibili sul mercato.
All’articolo 13 la direttiva disciplina le “modalità dell’informazione”, disponendo
che qualsiasi informazione da fornire ai clienti deve essere comunicata su un
supporto adeguato (principalmente cartaceo), in modo chiaro, preciso e
comprensibile per il consumatore.
6
2.7
Le violazioni delle direttive europee in materia assicurativa: la
procedura sanzionatoria contro gli Stati in ritardo con l’implementazione
della DIA.
La maggior parte dei procedimenti sanzionatori in corso nel settore
assicurativo, riguardano l’errata implementazione delle direttive comunitarie nelle
legislazioni nazionali. Questo riguarda soprattutto le direttive vita e non vita di
terza generazione e le direttive sull’assicurazione dei veicoli a motore.
Negli ultimi due anni sono stati avviati dalle istituzioni europee più di dieci
procedure contro le infrazioni degli Stati membri: solo una di esse è relativa alla
trasposizione della direttiva sui gruppi assicurativi.
Il 12 Ottobre 2005 la Commissione Europea ha spedito a dieci stati inadempienti
le cosiddette reasoned opinions, seconda fase delle procedure sanzionatorie, che
prevedono per gli Stati l’obbligo di adeguarsi alla Direttiva sull’intermediazione
assicurativa entro un tempo massimo di due mesi, pena la comunicazione alla
European Court of Justice.
I dieci stati coinvolti non hanno adempiuto all’obbligo di notificare alla
Commissione Europea per tempo di aver recepito la DIA nella legislazione
nazionale.
Il termine entro il quale gli Stati membri erano tenuti ad adeguarsi a questa
normativa comunitaria giuridicamente vincolante, diretta a consentire agli
intermediari di esercitare la propria attività in tutto il territorio europeo con la sola
licenza ottenuta nel proprio paese, ma a condizione di un significativo
miglioramento del livello di protezione dei consumatori di quest’area, era il 15
Gennaio 2005.
Eppure, a dieci mesi dalla deadline fissata di comune accordo dagli stessi Stati
membri solo il 60% di questi ha recepito con legge nazionale la direttiva.
I risultati del monitoraggio effettuato dalla Commissione in data 1 Ottobre 2005,
mettono in evidenza come questa legge sia una delle misure più scarsamente
implementate tra quelle concordate dai Capi di Governo con il Financial Services
Action Plan votato nel Giugno 1999.
6
Per il Bipar35, queste inadempienze fanno sì che si venga a creare un clima di
incertezza giuridica e confusione circa i passporting rights che la DIA riconosce
agli intermediari. Tali diritti, consentono all’intermediario di creare attività in un
altro Stato dell’UE, o di estendere il proprio business oltre il confine a seguito di
semplice notifica, qualora lo Stato dell’intermediario abbia messo in atto le poste
condizioni imposte dalla direttiva. Ma tale meccanismo non può funzionare senza
intoppi in quei paesi che stanno portando ritardo nell’implementazione della
direttiva, con conseguente impossibilità per gli intermediari di far valere il
passaporto europeo.
Con lo spirare del termine per l’attuazione di due anni, il Bipar, assieme alle
associazioni nazionali ha esortato i governi nazionali inadempienti a non
provocare ulteriori ritardi, affinché sia reso effettivo e funzionante il mercato
unico dell’intermediazione assicurativa.
La Commissione Europea ha sollecitato gli stati inadempienti per ulteriori dieci
mesi, fino a quando non è stata presa la decisione di avviare la procedura
sanzionatoria.
La direttiva è ritenuta di cruciale importanza, perché, una volta attuata
uniformemente, permetterà agli intermediari di effettuare i servizi previsti dalle
assicurazioni ai propri clienti anche quando questi sono esposti ad altri stati
membri, come accade sempre più spesso. Allo stesso tempo gli intermediari
assicurativi potranno soddisfare i propri clienti avendo a disposizione una più
ampia gamma di prodotti presenti nel mercato unico, esercitando maggiormente il
loro ruolo di catalizzatori di competizione a livello europeo.
Il ritardo con cui alcuni Stati stanno dando attuazione alla direttiva, ostacola il
perfezionamento del mercato unico d’intermediazione assicurativa.
35
Ubicato dal 1989 a Bruxelles il Bipar (European Federation of Insurance Intermediaries)
è riconosciuto dalle istituzioni europee e internazionali come la federazione rappresentativa degli
intermediari assicurativi europei, le cui attività possono avere un impatto sul settore. Aderiscono al
BIPAR circa 42 associazioni nazionali rappresentative di agenti assicurativi e intermediari
professionisti appartenenti a tutta l’area geografica dell’Europa e del Mediterraneo. Essa
rappresenta circa 100 000 intermediari assicurativi professionisti, sia autonomi che dipendenti, in
27 paesi, che sono attivi in praticamente tutti i paesi del mondo e danno lavoro a più di 250 000
persone.
6
Il Bipar infatti segnala regolarmente alla Commissione le numerose difficoltà cui
gli intermediari devono far fronte; vi sono testimonianze di intermediari francese
che non si sono visti riconoscere il passaporto per operare in Inghilterra o Spagna.
Le loro certificazioni, basate sulla licenza presa in Francia, sono state respinte dai
due paesi.
E’ stata quindi avanzata la proposta che il CEIOPS36 fissi un accordo provvisorio,
da far valere nell’attesa che tutti gli Stati abbiano adempiuto agli obblighi della
direttiva, con il quale consentire agli intermediari di far valere da subito i
passporting rights.
Il CEIOPS inoltre, in cooperazione con la Commissione, dovrà fornire indicazioni
chiare e dettagliate sulle conseguenze della tarda implementazione sugli
intermediari dell’UE e sulle soluzioni sperimentate dagli Stati membri per limitare
l’impatto negativo nelle attività di intermediazione cross-border.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, è possibile che gli
intermediari invochino gli effetti obbligatori della DIA per chiedere risarcimento
dei danni agli Stati per non essere in grado di assicurare l’esercizio del business
nei mercati europei. Allo stesso modo i clienti possono citare per danni gli Stati
per non aver potuto godere della tutela a livello europeo prevista dalla legislazione
comunitaria.
Paul Carty, vice presidente del comitato UE del Bipar ha affermato: “Il mercato
assicurativo unico non diventerà una realtà e anzi sarà fallimentare fintanto che
la DIA non verrà implementata consentendo agli intermediari, che sono il vero
motore del mercato, di esercitare la propria professione senza impedimenti in
tutta l’Unione”.
36
Commettee of European Insurance and Occupational Pensions Supervisors
6
Capitolo III
IL MARGINE DI SOLVIBILITA’
Sommario: 3.1 Il rischio – 3.2 Il margine di solvibilità – 3.3 Da Solvency 0 a Solvency II 3.4 Solvency II: le domande chiave – 3.5 Cos’è Solvency II – 3.6 In particolare: le
ragioni giustificatrici del progetto Solvency II – 3.7 I tre pilastri – 3.8 Ipotesi sull’impatto
del nuovo sistema di solvibilità – 3.9 L’attività di CEA e CEIOPS – 3.10 Quantitative
Impact Study I – 3.11 Quantitative Impact Study II – 3.12 Alcune criticità di Solvency II –
3.13 I Consultation Papers del CEIOPS
3.1
Il rischio
Il rischio è definito dall’imprevedibilità degli avvenimenti futuri, e quindi
dalla possibilità che la manifestazione concreta di un qualsiasi fatto incerto possa
dare risultati diversi da quelli previsti37.
I rischi generano incertezza legata agli effetti derivanti dalla destinazione delle
risorse economiche generate dall’attività stessa.
Ciò che preoccupa l’impresa sono le conseguenze negative del verificarsi dei
rischi. Queste sono definite come rischio d’impresa che è un rischio economico
generale, il quale al suo interno può essere suddiviso in una serie di rischi correlati
ed interdipendenti.
Nella prassi si distinguono rischi puri e statici, che producono solo effetti negativi,
speculativi e dinamici, che possono produrre sia effetti positivi che negativi.
Soprattutto i rischi puri possono generare grosse perdite alle imprese, limitandone
la libertà d’azione, creando ostacoli alla creazione di reddito, non essendo mai del
tutto eliminabili.
37
F. Brambilla ,“Trattato di statistica” , vol. 2, ed. Utet, Torino, 1968, pag. 9.
6
Per questo motivo le imprese si rivolgono alle compagnie di assicurazione, le
quali dietro versamento di un premio si assumono le conseguenze negative
all’avverarsi del rischio38.
I rischi assicurati sono quelli definiti puri che l’impresa non può eliminare: tra
questi però non tutti sono assicurabili. L’impresa d’assicurazione per assumersi
tali rischi richiede il verificarsi di date condizioni per far sì che il rischio puro
diventi assicurabile.
Tali condizioni si ritrovano in alcune caratteristiche che sono:
1) il rischio deve riguardare un gran numero di unità, perché solo così è
possibile calcolare la probabilità di manifestazione dell’evento.
2) le unità assunte devono rispondere a requisiti di omogeneità qualitativa e
quantitativa per controllare meglio gli effetti negativi da imputare
all’imprevedibilità.
L’omogeneità qualitativa identifica meglio le caratteristiche delle unità
assicurate per meglio classificarle all’interno di gruppi il più possibili
omogenei. L’omogeneità quantitativa realizza invece un livellamento dei
valori delle prestazioni per evitare sproporzioni eccessive nei rimborsi per
rami diversi, e valori troppo alti in relazione ai beni assicurati.
3) la frequenza di accadimento deve essere determinabile a priori; ciò per
poter definire il prezzo della copertura assicurativa.
4) il danno producibile deve dipendere solo da eventi aleatori e deve essere di
entità considerevole. Questo è richiesto per due motivi: far sì che
l’intervento dell’uomo non possa in nessun modo modificare o alterare la
probabilità di accadimento e per creare interesse alla copertura
assicurativa, che altrimenti se il danno fosse modesto non comporterebbe
nessun bisogno di assicurarsi.
5) il costo connesso alla copertura assicurativa deve invece essere di importo
modesto, affinché si crei una collettività abbastanza numerosa. Sì da luogo
38
Lo stesso codice civile all’art. 1882 definisce il rapporto del contratto assicurativo come
“l’assicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si
obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro,
ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”.
6
qui al verificarsi della legge dei grandi numeri che afferma che
all’aumentare del gruppo e delle frequenze dell’evento stimate, ne deriva
che la differenza tra la frequenza stimata e la sua probabilità matematica
tende a zero, quindi la frequenza si stabilizzerà intorno ad un dato valore.
6) occorre infine, che la probabilità di accadimento del rischio sia
indipendente dagli altri rischi: in poche parole che il verificarsi di un
rischio su un soggetto, in un dato gruppo, non influenzi la probabilità di
accadimento degli altri rischi.
Viste le condizioni necessarie per l’assicurabilità di un rischio puro, possiamo
vedere sinteticamente le principali tipologie di rischi presenti in un’impresa di
assicurazione, questi sono:
-
rischi riguardanti le persone39
-
rischi riguardanti le cose e i beni
-
rischi riguardanti la responsabilità civile per danni alle
persone o a cose
Dunque l’impresa di assicurazione ha come oggetto principale della sua
attività l’assunzione di tali rischi. Questo avviene appunto mediante la riscossione
anticipata di un premio, rispetto al possibile evento dannoso.
Si crea così l’inversione del ciclo economico, fatto caratteristico non riscontrabile
in altri tipi di imprese. Si creano anche maggiori complessità nella gestione
dell’attività assicurativa, rispetto alle altre attività economiche, perché tutte le
decisioni, nell’ambito della determinazione del premio, sono prese prima di
conoscere con precisione quali saranno i costi40 (a seconda che sia
39
Questi possono essere suddivisi in : - rischi riguardanti la vita umana riconducibili alle
assicurazioni in caso di vita e di morte - rischi riguardanti gli infortuni sul lavoro, invalidità,
vecchiaia, disoccupazione, malattie. Tra queste assicurazioni rientrano anche quelle obbligatorie di
natura sociale che hanno una regolamentazione speciale.
40
Nella normalità l’impresa di assicurazione non dovrebbe mai avere problemi di
autofinanziamento, appunto perché acquisisce con anticipo i ricavi rispetto ai costi. Gli unici costi
sostenuti anticipatamente sono quelli relativi alle provvigioni e spese di incasso dovute agli agenti
6
un’assicurazione su cose o persone distinguiamo risarcimento, capitale maturato,
rendita).
Collegate al problema della non conoscenza degli effettivi costi, vi sono anche
tutte le decisioni riguardanti gli investimenti delle grandi somme di denaro
incassate, che l’impresa di assicurazione sa dovranno essere accantonate per far
fronte agli esborsi futuri41, ma che contemporaneamente dovranno anche essere
fonte di reddito per l’impresa in quanto non si sa quanto in la nel tempo
avverranno i pagamenti; ed anche perché in ogni caso il fine dell’impresa di
assicurazione, come per tutte le imprese economiche, è quello di produrre reddito.
A fianco del rischio puro, che rappresenta la centralità della sua attività, sorgono
una serie di altri rischi accessori che vanno tenuti sotto controllo al fine di
garantire la solvibilità42 dell’impresa di assicurazione nei confronti degli
assicurati.
e i costi amministrativi di gestione dell’impresa. Questi non dovrebbero mai generare problemi di
deficit di cassa; quindi la loro incidenza al rischio d’insolvenza è trascurabile.
41
In realtà non tutti i rischi genereranno costi. Una parte di questi non vedrà il verificarsi di
nessun evento dannoso. In questo caso l’intero premio andrà a costituire il reddito di pertinenza
dell’impresa.
42
Per solvibilità si intende la capacità dell’impresa di assicurazione di far fronte ai propri
impegni verso gli assicurati. Riguardo alla solvibilità nel settore assicurativo tale espressione è
generalmente usata per indicare lo stato di benessere di un’impresa, sia dal punto di vista
dell’autorità di vigilanza sia da quello del management della compagnia stessa. Va però detto che i
due soggetti interessati si prefiggono istituzionalmente obiettivi diversi. Mentre l’autorità di
vigilanza deve garantire agli assicurati e ai danneggiati la solvibilità della compagnia, e a tal fine
effettua periodicamente un monitoraggio a breve termine sulla stessa, il management invece è
responsabile principalmente nei confronti degli azionisti, della prosecuzione dell’attività
dell’impresa, non solo nel breve ma anche nel lungo termine, dovendo garantire una congrua
remunerazione del capitale investito. I soggetti sopra menzionati fanno quindi riferimento a due
diversi concetti di solvibilità. Per tale ragione spesso si parla di solvibilità quando l’esaminatore è
l’autorità di vigilanza, mentre si parla di solidità finanziaria quando è indagata la capacità
dell’impresa di fronteggiare le fluttuazioni sfavorevoli e quindi garantire la continuazione nel
lungo periodo della propria attività. N. Savelli nella rivista “Finanza imprese e mercati” n. 2 1994.
6
Per far fronte a tali peculiari caratteristiche sono molteplici gli strumenti previsti
dalla normativa. I principali metodi vanno dalle riserve tecniche43, ottenute
dall’applicazione di metodologie statistiche ed attuariali ai premi incassati, alla
costruzione di premi mediante metodi probabilistici basati sull’osservazione sia
del numero degli eventi accaduti negli anni sia del loro costo medio, alla
previsione
di
capitali
supplementari
che
permetteranno
all’impresa
di
assicurazione di coprire qualsiasi perdita emergente e quindi di sopravvivere.
I fattori di instabilità si ritrovano principalmente nel passivo per la
possibilità che le basi statistiche e finanziarie sottostanti ai premi si dimostrino
inadeguate e che quindi le riserve tecniche costituite con tali fonti a loro volta
risultino inadeguate.
Le diverse tipologie di rischi possono essere raggruppate e classificate in
tre macro classi:
9 rischi tecnici (sottotariffazione, sovrasinistralità, errate riserve
tecniche, tipologie di riassicurazione).
9 rischi di mercato (di investimento, di credito, di tasso di interesse, di
cambio, di liquidità).
9 rischi diversi (di inflazione, legati al comportamento del management,
dell'andamento dell'economia in generale, condizioni socio politiche).
43
Le riserve tecniche, iscritte nel passivo indicano la complessiva esposizione debitoria
della compagnia per effetto dei contratti stipulati e per la quale ad una certa data (la chiusura
dell’esercizio) non ha ancora assolto le proprie obbligazioni. Nei rami danni le principali riserve
tecniche sono “la riserva premi” e “la riserva sinistri”. Nel ramo vita è “la riserva matematica”.
Tratto da “Il margine di solvibilità delle imprese di assicurazione: confronto tra i sistemi europeo
ed americano” Quaderno ISVAP n. 6. 1997.
6
3.2
Il margine di solvibilità europeo
L’esigenza anche in Europa di accrescere gli strumenti a disposizione delle
imprese di assicurazione per tenere maggiormente sotto controllo la solvibilità, è
cresciuto nel tempo per i soliti motivi: crescita della componente finanziaria nei
prodotti assicurativi, soprattutto nel ramo vita, e maggiore competitività che
spinge ad assumere sempre maggiori rischi d’investimento da parte delle imprese
di assicurazione.
La tendenza è venuta crescendo nel tempo, con l’emanazione di direttive sempre
più improntate a liberalizzare il mercato per garantire la massima trasparenza e
competitività. Dall’altra parte, mediante la creazione di un sistema di norme volte
a garantire maggiormente la solvibilità dell’impresa.
Queste ultime (a parte le norme riguardanti il livello di capitalizzazione minima)
si riflettono nel Margine di Solvibilità, che trova origine negli studi svolti negli
anni ‘60 e poi introdotto con le direttive di prima generazione (direttiva n. 239 del
1973 per i rami danni e direttiva n. 267 del 1979 per i rami vita).
Questo deve essere costituito con quella parte del capitale libero da impegni verso
gli assicurati, quindi patrimonio interamente a disposizione dell’impresa
d’assicurazione.
Il Margine di Solvibilità viene di volta in volta inteso come un’ulteriore riserva
dell’impresa, ma non tecnica, o come un livello supplementare di patrimonio
libero: in generale può essere inteso come un cuscinetto supplementare che serve
per far fronte ai possibili imprevisti, che data l’attività assicurativa possono
manifestarsi e intaccare la solidità finanziaria dell’impresa.
Il Margine di Solvibilità è uno strumento complementare al capitale minimo e alle
riserve tecniche. A differenza di queste ultime, il margine è però determinato
riguardo all’attività svolta dall’impresa e a quella che si prevede per il futuro.
Quindi non gode del principio di funzionamento tipico dell’attività assicurativa
nel quale le riserve tecniche sono costituite con i premi raccolti (inversione del
6
ciclo economico). Deve essere quindi costituito con capitali apportati dagli
azionisti o in generale utili e attività dell’impresa stessa44.
In tal modo guardando la gestione dell’impresa di assicurazione possiamo
affermare che il Margine di Solvibilità garantisce e determina la capacità di
solvibilità dinamica dell’impresa, mentre le riserve tecniche garantiscono la
capacità di solvibilità statica45.
Il Margine di Solvibilità deve essere costituito da valori non destinati a
copertura di impegni verso gli assicurati.
Le varie direttive che regolano il margine e l’attività assicurativa precisano quali
beni possono entrarne a far parte, e quali valori ne sono invece esclusi. In linea di
massima, la scelta comunitaria privilegia la costituzione del margine con attività
che presentano un buon grado di liquidità e non eccessivamente rischiose, in
modo tale da rendere la volatilità del margine minima, garantendo la massima
solvibilità46.
Il margine, è poi differenziato nella fase di calcolo per il ramo vita e per il ramo
danni. Ogni formula cerca di prendere in considerazione i fattori rilevanti del
ramo. Riserve matematiche e capitali sotto rischio per i rami vita; riserve tecniche
e premi per i rami danni.
Oltre a questi fattori principali, è preso in considerazione anche il ricorso a
politiche riassicurative (passive) che riducono gli impegni dell’impresa
assicurativa e quindi il margine minimo da possedere.
44
Donati-Volpe Putzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni., Giuffrè, 2000 pag. 44-45:
<<la funzione del Margine di Solvibilità è una funzione di garanzia in senso lato della solvibilità
dell’impresa, poiché si risolve nell’obbligo di mantenere un’eccedenza delle attività rispetto alle
passività, proporzionata al volume di affari dell’impresa. Sotto il profilo patrimoniale, il Margine
di Solvibilità assorbe la garanzia offerta dal capitale sociale, che in quanto componente del
patrimonio netto concorre alla costituzione del margine, ma sul piano giuridico capitale sociale e
Margine di Solvibilità sono entità che vanno debitamente distinte e alle quali si applicano
normative diverse>>.
45
Op. cit. .Rischio d’impresa in campo assicurativo. di F. Gismondi T. Di Gregorio, ed. Il
Mulino, Bologna 1997, pag. 77,78.
46
In realtà per tutti gli investimenti, l’U.E. privilegia e raccomanda criteri di prudenza
evidenziando il
rispetto dei requisiti di: redditività, liquidità.
7
Tale fenomeno è però in parte frenato per evitare il massiccio ricorso alla
riassicurazione, di fronte a rapidi accrescimenti produttivi non sorretti da adeguati
mezzi patrimoniali, dove il ricorso alla riassicurazione passiva potrebbe essere
massiccio, con conseguente calo del Margine di Solvibilità: per questo è fissato un
limite massimo alla cessione dei rischi, che risiede nel 50% dei sinistri e capitali
sotto rischio47 e nell’85% delle riserve matematiche.
Va precisato che le imprese di riassicurazione sono esentate dalla costituzione del
Margine di Solvibilità, mentre chi esercita sia riassicurazione che assicurazione,
vede rientrare anche le operazioni di riassicurazione nel calcolo del Margine di
Solvibilità.
La formula in sostanza si presenta molto rigida, anche se sono in atto proposte per
modifiche ai parametri per renderla sempre più attenta all’evolversi delle
situazioni rischiose nel mercato assicurativo.
Oltre al valore del Margine di Solvibilità, la normativa stabilisce un livello
minimo di questo, che deve essere obbligatoriamente mantenuto sempre
dall’impresa di assicurazione, dal momento della sua costituzione, detto in Italia
quota di garanzia, ma definito dall’Unione Europea fondo di garanzia.
Il fondo di garanzia è costituito da un terzo del Margine di Solvibilità, ed ha come
scopo principale quello di fornire sempre un livello di capitalizzazione minimo
all’impresa di assicurazione, che possiamo definire come un livello minimo di
sicurezza, senza il quale all’impresa non è consentito continuare l’attività48.
La normativa europea sul Margine di Solvibilità dà delle linee generali da seguire
nel calcolo e composizione. I singoli stati, con le loro autorità di vigilanza,
47
I capitali sotto rischio, presenti nelle assicurazioni che prevedono un pagamento sia in
caso di vita che di morte, sono pari alla differenza tra il capitale caso morte previsto dalla polizza e
la riserva matematica accantonata. Esprime in pratica il capitale necessario all’assicuratore da
integrare con la riserva (matematica) già accumulata per fronteggiare il pagamento del capitale in
caso si verifichi la morte dell’assicurato prima del previsto.
48
Per le imprese vita in ogni caso, la quota di garanzia non può essere inferiore a . 800.000,
fatti salvi limiti specifici per le mutue. Nei rami danni la quota minima non può essere inferiore a
prefissati limiti d’importo legati alla tipologia di rischio assunto stabiliti nell.art. 39, D. Lgs n. 175
del 1995.
7
possono in alcuni punti modificare, ma non stravolgere, alcuni criteri alla base del
calcolo o valori di attività ammissibili nel margine.
Questo perché le singole normative tra i paesi membri dell'U.E. non sono ancora
del tutto armonizzate, soprattutto nell’ambito della corretta contabilizzazione a
bilancio di alcune classi di attività49.
Infine, le soglie di intervento da parte delle autorità di vigilanza variano secondo
la mancanza del Margine di Solvibilità richiesto, e si differenziano tra i vari paesi
membri dell’U.E. non ritrovando ancora quell’armonia più volte necessaria per un
mercato libero e competitivo che offra le stesse condizioni a tutti gli operatori.
In tutti i paesi si hanno due distinte soglie: la prima, quando si scende al
di sotto del Margine di Solvibilità, che prevede diversi interventi che si possono
differenziare da paese a paese in linea di massima riconducibili ad integrazioni di
capitale, ricorso obbligato alla riassicurazione passiva, riduzione del volume di
attività, riqualificazione del portafoglio di assicurati.
La seconda, quando si scende al di sotto del fondo minimo di garanzia, che può
portare ad immediati piani di risanamento, all’amministrazione controllata e alla
liquidazione coatta amministrativa se la situazione è insanabile.
Come si può osservare la gran parte degli interventi è di origine finanziaria,
rivolta a suoi miglioramenti indiretti (riqualificazione
del
portafoglio,
riassicurazione) o diretti (apporto di nuovi capitali) e di rapido effetto.
Il Margine di Solvibilità può essere così visto anche come un istituto, che regola
con particolari meccanismi di controllo, l’attività delle imprese assicuratrici che,
pur trovandosi in una situazione di rischio elevato, sono ritenute
in ogni caso in grado di predisporre misure idonee al superamento dello stato di
squilibrio in cui versa50.
49
Per esempio in alcuni paesi date attività sono contabilizzate a valore di mercato, mentre
in altri gli stessi valori sono contabilizzati al costo storico. È attualmente allo studio da parte dello
IASCO un’armonizzazione dei principi contabili europei.
50
Op. cit. Riserve tecniche e margine di solvibilità nelle imprese di assicurazione di F.
Rubino, ed.
Franco Angeli, Milano 2000 pag. 116, 117.
7
3.3
Da Solvency 0 a Solvency II
Il progetto Solvency 0 deriva da studi compiuti negli anni ’60; recepito
nelle direttive assicurative di prima generazione (anni ’70).
Solvency 0 ha introdotto il requisito patrimoniale minimo (“margine minimo di
solvibilità”) e lo ha rapportato ad indicatori semplici quali premi e sinistri
nell’assicurazione
danni,
riserve
matematiche
e
capitali
sotto
rischio
nell’assicurazione vita.
Solvency I aggiorna Solvency 0 senza mutarne la logica. Si tratta di una riforma
avviata nella seconda metà degli anni ’90 e recepita in due direttive del 2002.
Solvency II è una riforma radicale che non abbraccia le sole metodologie di
calcolo del requisito patrimoniale ma riguarda l’intero sistema di vigilanza
prudenziale.
Si tratta di un progetto avviato dalla Commissione Europea nel 2000 allo scopo di
riformare l’intero sistema di vigilanza prudenziale delle imprese di
assicurazione.
L’obiettivo non è solo quello di modificare i criteri quantitativi per il calcolo del
margine di solvibilità, ma di rivedere il complesso di regole a presidio della
stabilità delle imprese.
Il sistema di solvibilità europeo (“Solvency I”) finora ha tenuto, ma presenta
diversi limiti:
9 non considera l’insieme dei rischi cui è esposta un’impresa dal lato
dell’attivo e del passivo;
9 non tiene conto dei rischi specifici di una compagnia (a parità di premi e di
sinistri, la rischiosità di due imprese può essere molto diversa);
9 non tiene conto delle interconnessioni fra le regole relative a riserve
tecniche, attivi a copertura, margine di solvibilità;
9 non tiene conto della qualità del risk management / controllo interno delle
diverse imprese.
Di conseguenza Solvency II si pone l’obiettivo di definire un sistema di regole
prudenziali che:
9 rifletta meglio i rischi effettivi assunti dalle imprese;
7
9 incentivi le imprese di assicurazione a conoscere e gestire meglio i propri
rischi;
9 consenta alla vigilanza di cogliere per tempo i segnali di difficoltà;
9 migliori confrontabilità e trasparenza fra imprese e tra mercati;
9 sia flessibile in modo da riflettere con tempestività gli sviluppi del
mercato.
7
3.5
Solvency II: Le domande chiave
a) Perché è necessario un nuovo sistema di regole sulla solvibilità?
L’attuale struttura di regole denominata Solvency I51, in vigore dai primi
anni ’70, usa un modello semplice e robusto per calcolare i requisiti di capitali.
Questo modello può essere implementato ad un costo molto basso e produce
risultati apprezzabili sul mercato assicurativo. Il suo difetto risulta quello di essere
troppo semplice e di non dirigere i capitali accuratamente dove di questi vi è
necessità: dove, cioè, sono presenti i rischi.
Negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro che il margine di solvibilità
delineato da Solvency I risulta non essere più adeguato, e di conseguenza la
regolamentazione in numerosi paesi ha dovuto subire un rafforzamento: ciò ha
prodotto un patchwork di regole differenti in tutta l’Europa.
La lezione appresa tra il 2002 e il 2003, quando i mercati finanziari crollarono
improvvisamente, causando il fallimento di più di una compagnia assicurativa, ha
accresciuto la coscienza, sia degli operatori che del legislatore, dell’importanza di
una miglior pratica del risk management.
b) In cosa il nuovo sistema si differenzierà dal vecchio?
Il nuovo sistema, denominato Solvency II, si baserà sui principi
dell’economia per calcolare i requisiti di capitali delle imprese di assicurazione.
Sarà anche un sistema basato sull’analisi del rischio, e su di esso verranno basate
tutte le misurazioni del margine di solvibilità.
Una struttura di fattori semplici, come quella usata in Solvency I, non è più
adeguata alla grande quantità e diversificazione dei rischi che si riscontra in
un’odierna compagnia assicurativa. Le compagnie più avanzate hanno realizzato
dei sofisticati modelli interni per misurare gli effetti di eventi avversi sui loro
portafogli. Questi modelli, dopo accurate analisi e studi, vengono utilizzati come
base per realizzare la nuova struttura di regole.
51
Solvency I è un termine di ampio respiro che comprende tutto il sistema di direttive che
regolamenta l’attuale sistema prudenziale del mercato assicurativo
7
Le compagnie che, invece, non si sono dotate di modelli interni potranno
utilizzare un sistema di approccio standard52, che comunque risulta molto più
evoluto del sistema attualmente in vigore.
Lo scopo di Solvency II non è semplicemente quello di elevare in maniera
generica i livelli minimi dei requisiti patrimoniali ma essenzialmente quello di
assicurare un alto standard di valutazione del rischio e un’allocazione efficiente
dei capitali.
c) Che impatto avrà Solvency II sui governi, sull’industria assicurativa, e
sull’economia europea?
La necessità che le compagnie migliorino la loro pratica del risk management e
che esse possiedano adeguati livelli di capitali, darà ai governi una miglior
protezione contro il rischio di fallimento delle compagnia.
Un secondo vantaggio sarà sicuramente quello di una miglior allocazione dei
capitali, che dovrebbe riflettersi positivamente sulla riduzione dei costi per i
consumatori, accresciuta concorrenza e trasparenza, e potrebbe altresì produrre un
miglioramento dei prodotti, collegato ad una sensibile diminuzione dei prezzi.
Per quel che riguarda l’industria assicurativa, invece, i miglioramenti nel
campo del risk management sono stati sensibili in questi ultimi anni. Solvency II
incoraggerà ulteriormente l’intera industria a adottare queste pratiche. E’ atteso
che lo standard generico di valutazione dei rischi si elevi abbastanza rapidamente.
L’industria assicurativa europea include un grande numero di piccole e medie
compagnie che dovrebbero affrontare ingenti costi per realizzare modelli interni
atti a calcolare i propri requisiti patrimoniali per la solvibilità. Esse potranno
utilizzare il cosiddetto approccio standardizzato che permetterà loro di aggirare il
problema degli ingenti costi, a discapito però della precisione: questo approccio
infatti, essendo meno personalizzato, dovrebbe rivelarsi anche maggiormente
approssimativo.
52
L’approccio standardizzato al calcolo del margine di solvibilità prescrive un metodo da
seguire obbligatoriamente: ad esempio nell’assicurazione non-vita esso deve essere calcolato in
ogni caso mediante formule.
7
La progettazione e i possibili effetti dell’approccio standard sono attualmente in
fase di approfondita valutazione nel secondo c.d. Quantitative Impact Study (QIS
2) condotto dal Ceiops53.
Se il progetto Solvency II dovesse realizzarsi al meglio, esso non solo
condurrà ad una più efficiente allocazione dei capitali in tutta l’industria
assicurativa, ma dovrebbe anche condurre ad un’industria meglio amministrata
che possa aspirare a realizzare la propria stabilità finanziaria in un mondo di
rischi.
Una più efficiente allocazione dei capitali conduce all’abbassamento dei prezzi
per i consumatori. Un minor rischio per le compagnie assicurative crea maggior
fiducia nella stabilità industriale e finanziaria.
In più, la nuova struttura regolamentatoria si applicherà uniformemente in tutta
l’Unione Europea. Accoppiato ad una maggior trasparenza e ad una maggior
informazione al pubblico, questo dovrebbe accelerare la realizzazione di un vero e
funzionante Mercato Unico nei servizi finanziari.
53
Ceiops: Committee of European Insurance and Occupational Pensions Supervisors
7
3.6
Cos’è Solvency II
Solvency II è sia un concetto che un processo. Il concetto è molto
semplice: che assicuratori e riassicuratori dovrebbero rendersi conto appieno dei
rischi inerenti alla loro attività e allocare sufficienti risorse per coprire questi
rischi.
Il processo atto a realizzare questo concetto è però molto più complesso. Esso
coinvolge i legislatori dell’UE, della Svizzera, della Norvegia, del Liechtenstein e
dell’Islanda. Nonostante i principi guida del processo siano comuni, sono tuttora
presenti numerose diversificazioni nell’implementazione, che non si completerà
del tutto prima dell’anno 2010.
L’approccio raccomandato dalla commissione è praticamente quello di
richiedere alle compagnie di assicurazione e riassicurazione di produrre modelli
finanziari. Sono previsti comunque meccanismi semplificati per le operazioni più
piccole e meno sofisticate.
Le proposte sono basate su tre pilastri:
1. il I pilastro quantifica i presidi patrimoniali a fronte dei rischi di
sottoscrizione (underwriting), di mercato e di credito lasciando spazio,
eventualmente, ai modelli interni;
2. il II pilastro è indirizzato, da un lato, alla diffusione della cultura del
rischio all’interno dell’impresa, attraverso la costituzione di presidi volti al
monitoraggio del rischio, e, dall’altro, alla previsione di metodologie di
controllo uniformi da parte dell’autorità di vigilanza;
3. il III pilastro, rappresenta, in un certo senso, il corollario dei due pilastri
precedenti, ovvero un’impresa che quantifica il proprio livello di rischio
effettivo (I pilastro) e lo monitora attraverso idonee infrastrutture (II
pilastro) non può non comunicare al mercato in maniera trasparente il suo
modo d’essere e di operare”.
La Commissione Ue ha definito, dopo una prima fase di ricognizione del
modus operandi delle principali compagnie, il timesheet dei lavori per la
7
costruzione dell’apparato di solvibilità seguendo il cosiddetto approccio
Lamfalussy54.
Il Committee of European Insurance and Occupational Pension Supervisors
(CEIOPS), comitato di terzo livello, ha prima di tutto formulato i pareri relativi
alla forma e agli elementi costitutivi del II pilastro (giugno 2005) e del I pilastro
(ottobre 2005) sulla base della consultazione con gli operatori del mercato. Nel
febbraio del 2006 ha formulato il parere sul III pilastro. Spetterà poi all’European
Insurers e Occupational Pension Committee (EIOPC) il parere definitivo
sull’adozione delle misure.
L’assetto attuale della vigilanza prudenziale si fonda sull’istituto del
margine di solvibilità. Esso corrisponde ad un coefficiente fisso degli impegni
assunti nell’ultimo anno (ramo vita) o alle risorse raccolte o erogate nell’ultimo
triennio (ramo danni), senza tenere conto di nessun’altra tipologia di rischio quale,
ad esempio, il rischio finanziario connesso all’investimento delle risorse raccolte a
titolo di premi o il rischio di disallineamento tra i tassi riconosciuti sulle polizze e
i tassi relativi al portafoglio investimenti.
Le risorse disponibili per il soddisfacimento del requisito prudenziale devono
essere almeno pari al margine di solvibilità.
Il requisito patrimoniale soffre di un limite intrinseco: la misura unica del
coefficiente di rischio di sottoscrizione finisce per equiparare compagnie con
caratteristiche assai diverse penalizzando, ad esempio, con vincoli di solvibilità
più stringenti, le imprese più grandi. Queste, potendo contare su un portafoglio di
maggiori dimensioni, conseguono, per la legge dei grandi numeri, un minor
scostamento tra le basi demografiche adottate e la mortalità effettiva per il ramo
vita, una stabilizzazione della sinistrosità per il ramo danni.
Esistono, quindi, esigenze di patrimonializzazione individuali diverse a seconda
del soggetto considerato, del ramo esercitato all’interno del business vita e danni
(si pensi all’impegno a fronte dei sinistri con bassa frequenza e di importo
elevato), del rischio conservato.
54
L’approccio Lamfalussy prevede l’implementazione delle misure tecniche che avviene
grazie al fondamentale contributo dei comitati a diversi livelli.
7
Esistono una serie di ulteriori istanze presenti nel mondo assicurativo, e
non solo, che spingono per una completa revisione dell’intero impianto di
solvibilità.
Da una parte il fondamentale principio dell’allocazione del capitale in base al
rischio, ha indotto a una continua evoluzione del sistema finanziario, in primis del
settore bancario (Basilea 2). Dall’altra, le esigenze di confrontabilità nei settori
aperti alla concorrenza ha spinto alla previsione di standard comuni di valutazione
e di rappresentazione dei risultati (i principi contabili internazionali)”.
“Solvibilità II nasce come risposta alla necessità di creare un sistema di sicurezza
calibrato sul profilo di rischio effettivo della singola impresa di assicurazioni
(“one size does not fit all”) in un contesto concorrenziale. Pertanto, non più
coefficienti fissi, ma un sistema di determinazione della dotazione patrimoniale
minima, frutto dell’individuazione, dell’eventuale autonoma misurazione e della
gestione di tutte le fonti di rischio di soggetti che fanno del rischio il proprio
business”. In altre parole, diffusione della cultura del rischio55”.
55
Professor Claudio Porzio, ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso
l’Università degli Studi di Napoli e docente presso la Divisione Intermediari Finanziari ed
Assicurazioni della SDA Bocconi di Milano, in un’intervista su www.soldionline.it
8
3.7
In particolare: le ragioni giustificatrici del progetto Solvency II
Il vigente sistema di Solvibilità è stato introdotto nei primi anni ’70. Da
allora, la scienza del risk management ha progredito considerabilmente. Molte
grandi compagnie hanno sviluppato sofisticati modelli di risk management, sia per
definire i requisiti patrimoniali, sia per porre in essere strutture manageriali atte a
identificare, misurare, e controllare i livelli di rischio.
Nella vigente struttura di Solvency I, sono presenti alcuni elementi per la
valutazione della solvibilità che non sempre sono appropriati, e addirittura talvolta
contraddittori. Alcune regole sono tali da essere contrarie alla teoria corretta del
risk management: ad esempio una compagnia che incrementa i propri premi nonvita senza incremento della sinistrosità riduce il rischio di insolvenza, ma i
requisiti patrimoniali aumentano.
In Solvency II, lo scopo è quello di realizzare una struttura coerente con tutte le
altre misure legislative riguardanti la solvibilità nell’intero campo dei servizi
finanziari, che tenga in considerazione gli studi di risk management e
l’accuratezza della valutazione dei rischi.
Negli ultimi anni, in molti paesi dell’Unione, si è verificato un progressivo
rafforzamento della legislazione in materia assicurativa per correggere le
inadeguatezze conosciute, ma questo processo è stato realizzato in maniera
abbastanza frammentaria.
L’UE, di conseguenza, ha sentito l’esigenza e la necessità di dare una svolta
univoca alla materia assicurativa.
Solvency II è un’opportunità per migliorare la regolamentazione delle
assicurazioni introducendo:
9 un sistema basato sul rischio;
9 un approccio che integri le previsioni assicurative e i requisiti patrimoniali;
9 una struttura onnicomprensiva per il risk management;
9 requisiti patrimoniali definiti o da un approccio standardizzato oppure da
modelli interni;
9 una migliore valutazione, e di conseguenza mitigazione, dei rischi.
8
Un sistema basato sul rischio permette di allocare i capitali accuratamente
proprio dove i rischi si annidano. Se il sistema si dimostrasse inaccurato, le
compagnie dovrebbero sostenere costi superiori rispetto al necessario per coprire
determinati rischi, con la conseguenza dell’incremento del costo delle
assicurazioni per i consumatori. Per altri rischi, invece, verrebbero accantonati
capitali inadeguati, aumentando il pericolo di fallimento.
Idealmente, un sistema basato sulla valutazione dei rischi dovrebbe misurare
accuratamente il livello dei rischi in portafoglio, ed indicare un ammontare di
capitali ad esso proporzionato, al fine di utilizzare i capitali nella maniera più
efficiente possibile.
Solvency I specificava i requisiti patrimoniali mediante un semplice set di
fattori da applicare alle riserve tecniche ed ai premi. Questi fattori definivano il
cosiddetto margine di solvibilità che doveva essere mantenuto dalle imprese
ulteriormente ed esternamente alle riserve tecniche.
Il problema di questo approccio è che non sempre le previsioni si sono dimostrate
adeguate, soprattutto a causa della varietà di prodotti e delle differenze tra paesi.
Solvency II offre l’opportunità di rileggere questi principi con un approccio
estremamente rivolto verso i principi di mercato.
Solvency II non si limiterà a definire i requisiti di capitali, ma richiederà
anche alle compagnie di dotarsi di sistemi, processi, e controlli per la
valutazione dei rischi. Le compagnie in grado di adattarsi al meglio a queste
richieste, verranno ricompensate con inferiori requisiti patrimoniali, facendo sì
che esse possano riscontrare tutti i vantaggi possibili del migliorarsi nel campo del
risk management.
Il livello di rischio in un portafoglio assicurativo dipende da una molteplicità di
fattori.
Il livello delle tariffe può incidere quando un’impresa riesce ad emettere un
prodotto con più ampio margine di profitto. L’esistenza di opzioni e garanzie
diversificate nell’ambito del prodotto incide, come incide la politica di
investimenti della compagnia.
8
Elementi di grande incisività sul tasso di rischio possono essere certamente la
sinistrosità, il rapporto tra sinistri e premi incassati, una strategia di investimenti
aggressiva, e tutto ciò va ad incidere sulle richieste di capitali.
Le tecniche di risk management, come l’uso della riassicurazione e della
coassicurazione, può ridurre il livello dei rischi.
Infine, il livello della diversificazione all’interno del portafoglio può avere un
effetto significante sui requisiti patrimoniali.
La diversificazione si basa sul principio per il quale non tutti i rischi si
cristallizzeranno nello stesso momento. Una compagnia assicurativa che
sottoscrive un ampio numero di rischi difficilmente dovrà trovarsi nella
condizione di risarcirli tutti nello stesso momento. Maggiore è il numero dei
rischi, maggiori sono le probabilità che la sinistrosità si attesti sui livelli attesi.
Gli effetti della diversificazione operano su livelli diversi: ad esempio, tra rischi
individuali all’interno di un portafoglio, tra diverse aree geografiche, ecc..
Grazie alla diversificazione, i requisiti di capitali per l’intero portafoglio di rischi
saranno inferiori alla somma dei singoli capitali richiesti per ogni componente
separatamente.
Vista la grande quantità di elementi che incidono sul livello di rischio è
impossibile, o comunque molto difficile, sviluppare un set di fattori semplice che
possa catturare efficacemente tutti questi elementi.
Molte compagnie hanno, di conseguenza, sviluppato sofisticati modelli
computerizzati atti a testare gli effetti di differenti eventi sui loro portafogli
assicurativi.
Questi modelli possono essere usati per calcolare la quantità di capitali necessari
per affrontare la varietà di circostanze avverse che potrebbero insorgere.
Tenuto conto che tali modelli devono essere sottoposti a robuste procedure di
verifica e controllo, essi provvedono comunque i migliori mezzi disponibili per
determinare i requisiti patrimoniali perfettamente adeguati ad un particolare
portafoglio.
Non tutte le compagnie però hanno sviluppato questi sofisticati modelli
interni, o non tutti i modelli hanno ottenuto l’autorizzazione dopo essere stati
sottoposti ai controlli dell’autorità competenti.
8
Per di più, le compagnie piccole e medie potrebbero avere grosse difficoltà nel
sostenere i costi dello sviluppo di tali modelli interni. Il progetto Solvency II
prevede un approccio alternativo detto “Standard Approach”, che potrà essere
utilizzato nei suddetti casi. Questo approccio sarà risk-based e in linea di massima
seguirà gli stessi principi dei modelli interni e la sua struttura sarà disegnata in
modo tale da ottenere risultati similari, ma necessiterà anche di incorporare
margini conservativi per il fatto che l’approccio non è perfettamente adeguato allo
specifico profilo di rischio.
Nonostante l’approccio standardizzato sarà certamente più economico rispetto allo
sviluppo di modelli interni, visualizzando questa materia in un’ottica di lungo
periodo sarà sicuramente più vantaggioso ed incentivante per le compagnie,
muoversi verso un approccio maggiormente sofisticato.
In ogni caso, la decisione sull’approccio da scegliere, rimarrà a totale
appannaggio della compagnia.
Solvency I non fa riferimenti diretti alla diversificazione e alla mitigazione dei
rischi, non procurando alcun incentivo per le compagnie che organizzano il
proprio business in maniera tale da ottenere un alto livello di diversificazione o
sviluppano strategie per mitigare i rischi.
Solvency II invece provvede l’opportunità di riconoscere sia gli effetti della
mitigazione dei rischi che quelli della diversificazione, affidando queste materie
ad appropriate regole riguardanti la mobilità dei capitali.
8
3.8
I tre pilastri
Il progetto Solvency II prende come riferimento la struttura a tre pilastri
lanciata da Basilea II per il settore bancario, anche se le similitudini tra i due
modelli sono molto limitate, data la specificità del settore assicurativo. In
particolare il nuovo sistema di solvibilità prevede la possibilità di adottare misure
nuove non solo dal punto di vista quantitativo (indicatori, modelli, rapporti), ma
anche dal punto di vista qualitativo (risk management, controlli di rischio interni,
stress test). Il progetto in esame, lanciato dalla Commissione Europea per la
completa revisione del sistema attuale di controllo prudenziale delle compagnie
assicurative vita e danni, è in piena fase di implementazione, che dovrebbe
completarsi intorno all’anno 2010.
Il I pilastro quantifica i presidi patrimoniali a fronte dei rischi di
sottoscrizione (underwriting), di mercato e di credito lasciando spazio,
eventualmente, ai modelli interni.
Vengono insomma definite le risorse finanziarie che una compagnia deve
possedere per essere considerata solvente.
Due sono le soglie contemplate: la prima è quella denominata Solvency Capital
Requirement (SCR). Quando le risorse di una compagnia scendono al di sotto di
questa soglia viene immediatamente attivata l’attività di supervisione, secondo i
parametri definiti nel secondo pilastro.
La seconda soglia, Minimum Capital Requirement (MCR) definirà il livello
raggiunto il quale le autorità di vigilanza potranno invocare severe misure, incluso
il divieto alla compagnia di sottoscrivere nuovi affari.
Il SCR, calcolato con modelli interni o con l’approccio standardizzato, permetterà
alle compagnie di affrontare le circostanze avverse, anche di severa entità.
La Commissione, nel Novembre del 2002 ha pubblicato un documento
contenente le idee della Commissione in merito all’architettura generale del nuovo
sistema di solvibilità delle imprese di assicurazioni, con specifico riferimento alla
struttura a tre pilastri.
8
Per ciò che concerne il primo pilastro la Commissione si è pronunciata riguardo le
riserve tecniche, gli investimenti, i mezzi patrimoniali delle compagnie, i modelli
interni che si possono utilizzare, ed il capitale minimo richiesto. In particolare, le
raccomandazioni riguardano sia il ramo danni che il ramo vita, ma in modalità
separate. Uno dei punti principali di Solvency II è l’uso di modelli interni per il
calcolo del capitale minimo richiesto, e l’armonizzazione dei metodi ai fini del
calcolo delle riserve tecniche.
9 Riserve tecniche nel ramo danni
L’armonizzazione delle riserve sinistri è uno dei punti centrali del nuovo
regime di solvibilità, per questo motivo la Commissione raccomanda che
vengano definite le condizioni seguenti: un benchmark quantitativo di
riferimento per il livello prudenziale delle riserve tecniche, una riserva
tecnica standard.
La Commissione riconosce la difficoltà di determinare la relativa
probabilità di distribuzione dei sinistri, ma crede che l’approccio suggerito
sia utile per costruire una procedura strutturata di calcolo delle riserve
tecniche, in grado di facilitare il compito delle Autorità di Vigilanza, e di
incoraggiare lo sviluppo di modelli interni da parte delle Compagnie. Le
tecniche ed i metodi utilizzati per calcolare la “riserva standard”, dovranno
risultare coerenti e compatibili con quelli utilizzati per redigere i conti
economici delle compagnie, secondo i nuovi principi contabili
internazionali IAS.
9 Riserve tecniche nel ramo vita
Le regole attuali per il calcolo delle riserve tecniche dal ramo vita
dovranno essere confrontate con il nuovo sistema di solvibilità a due livelli
(il cosiddetto target capital ed il livello minimo assoluto di capitale), e con
le nuove regole contabili IAS. Con le regole date dagli IAS, le riserve
tecniche dovranno essere calcolate mediante un tasso d’interesse risk free
applicato ai flussi di cassa futuri. In quest’ottica, ci potrebbe essere
l’esistenza di un sitema standard futuro di calcolo delle riserve che preveda
8
margini prudenziali ed una riserva aggiuntiva da costituire a fronte di
scenari negativi di redditività degli investimenti.
9 Regole sugli investimenti
La Commissione raccomanda di considerare in maniera adeguata i rischi
degli investimenti a fronte delle riserve tecniche, soprattutto nel ramo
danni, infatti, le compagnie di assicurazione hanno rilevato che il rischio
sugli investimenti non è considerato in maniera adeguata dalle regole
attuali di solvibilità. In tal senso, la Commissione raccomanda di
considerare
i
rischi
legati
agli
investimenti,
soprattutto
nella
determinazione del capitale richiesto alle imprese (target capital level). La
Commissione, inoltre, ritiene opportuno che dovranno essere soggetti a
regole di sicurezza e copertura anche gli attivi che costituiscono il
patrimonio netto, non solo gli attivi a copertura delle riserve tecniche.
9 Regole sul capitale proprio delle compagnie
La Commissione propone due livelli obbligatori di capitale della
compagnia: il target capital ed il livello minimo assoluto di capitale. Il
target capital deve riflettere il capitale economico necessario all’impresa
per operare con una determinata probabilità di fallimento piuttosto bassa.
Il calcolo relativo dovrà tenere conto dei rischi principali cui un
assicuratore è esposto. Il target capital, inoltre, dovrà essere l’indicatore
principale utilizzato dal Controllo delle Compagnie che operano in
condizioni considerate normali.
Ai fini del calcolo del target capital dovrà essere stabilito un sistema
standard di quantificazione, mediante l’ausilio delle Associazioni
Internazionali degli Attuari, utilizzando un insieme di coefficienti standard
definito a livello europeo. Pertanto il nuovo sistema di calcolo consentirà
l’uso di modelli interni, regolarmente validati dalle Autorità di Controllo.
In particolare i criteri di validazione dovranno essere decisi a livello
europeo anche sulla base del supporto che potrà essere fornito dalla
professione attuariale (in particolare dal Group Consultatif e IAA). Il
8
capitale minimo assoluto fungerà da “campanello d’allarme per le
Autorità di Controllo”. Tale capitale minimo assoluto deve essere
determinato in modo semplice ed oggettivo e può essere calcolato in modo
autonomo oppure come percentuale del target capital (in questo caso
potrebbe essere calcolato con regole attuali, rinforzando alcuni requisiti
patrimoniali). La Commissione afferma che per le assicurazioni danni, il
livello risultante che si ottiene con il calcolo attuale può essere approvato,
mentre per le assicurazioni vita si ritiene che questo calcolo abbia bisogno
di ulteriori approfondimenti.
Il II pilastro è indirizzato, da un lato, alla diffusione della cultura del
rischio all’interno dell’impresa, attraverso la costituzione di presidi volti al
monitoraggio del rischio, e, dall’altro, alla previsione di metodologie di controllo
uniformi da parte dell’autorità di vigilanza.
Il secondo pilastro riguarda il controllo interno, il risk management, trasparenza e
regole di calcolo, soprattutto in riferimento ai fattori di rischio più rilevanti. Esso,
comunque, è stato progettato soprattutto per incoraggiare le compagnie di
assicurazione ad utilizzare al meglio le tecniche di risk management e migliorare
costantemente i propri rischi. In questo caso verrà data particolare importanza alle
procedure di Asset and Liability Management, ed alla struttura di programmi
riassicurativi della Compagnia.
Al fine della gestione dei rischi sono molto utili gli stress test con i possibili
adattamenti ai singoli mercati nazionali ed un insieme di statistiche minime
comuni a livello europeo. In particolare gli stress test dovrebbero rispondere alla
domanda: “qual è la massima perdita se lo scenario ipotizzato si verifica?”.
Pertanto l’analisi con gli stress test prevede l’ipotesi di alcuni scenari
(generalmente l’analisi per scenario prevede che l’economia evolva in tre possibili
modi diversi, chiamati, rispettivamente, best case, middle case e worst case. In
pratica si ipotizzano tre scenari in cui ciascuno dei fattori chiave (tassi d’interesse,
rendimento, debito, ecc..) evolvano, rispettivamente, nel migliore dei modi (best
8
case), in modo normale (middle case) e nel peggior modo immaginabile (worst
case)56.
Le procedure delle Autorità di controllo dovrebbero prevedere anche una analisi
dello sviluppo a lungo termine delle compagnie, al fine di verificarne la solvibilità
finanziaria sulla base di uno scenario di continuazione del business.
Il III pilastro, rappresenta, in un certo senso, il corollario dei due pilastri
precedenti, ovvero un’impresa che quantifica il proprio livello di rischio effettivo
(I pilastro) e lo monitora attraverso idonee infrastrutture (II pilastro) non può non
comunicare al mercato in maniera trasparente il suo modo d’essere e di operare.
L’obiettivo del terzo pilatro è quello di migliorare la trasparenza e l’informativa
delle compagnie di assicurazione. La Commissione ritiene, infatti, che il processo
informativo assume una rilevanza fondamentale, soprattutto nel caso in cui si
ricorra a metodologie interne di valutazione.
Queste informazioni servono a rinforzare i meccanismi di mercato (concorrenza,
comparazione, ecc.) ed a contribuire a creare un sistema di controllo basato sul
profilo di rischio delle compagnie. A questo fine, è necessaria l’esigenza di
allineare lo schema informativo agli standard contabili internazionali.
Altro aspetto importante riguarda l’opportunità o meno che talune informazioni
vengano rese pubbliche. In particolare le imprese di assicurazione dovrebbero
definire politiche di informativa pubblica approvate dal consiglio di
amministrazione. Tali politiche dovrebbero dichiarare gli obiettivi e le strategie
della compagnia di assicurazione in materia di pubblicità delle informazioni sulla
sua situazione economico – finanziaria. Di conseguenza, la direzione dovrà
decidere quali e quanti dati pubblicare, considerando la possibilità di creare sul
mercato un effetto indesiderato (aggravamento della situazione, sfiducia da parte
degli assicurati, ecc.).
56
E’ da notare che spesso la realtà supera la fantasia: si fa riferimento alle “Twin Towers”
di New York, in cui, per la polizza assicurativa è stato ipotizzato che due aerei si potessero
scontrare davanti ai due grattacieli, senza ipotizzare il disastro che è effettivamente accaduto.
8
E’ molto importante che i tre pilastri non si sovrappongano tra di loro.
Combinata con l’armonizzazione europea, è la natura del business e dei rischi a
determinare la solvibilità, e non il paese d’origine della compagnia.
I tre pilastri sono stati appunto progettati rispettando un principio di coerenza: il
secondo pilastro è supplementare al primo, mentre il terzo si occupa di completare
la struttura. In questo modo si cerca di evitare la sovrapposizione e l’ingenerarsi di
confusione, che potrebbe rallentare il processo di implementazione.
9
3.8
Ipotesi sull’impatto del nuovo sistema di solvibilità
Riguardo il progetto Solvency II, molte questioni rimangono aperte e sono
oggetto di studio. Considerato che l’implementazione non avverrà prima dell’anno
2010, è possibile effettuare solamente delle ipotesi riguardo molti dei punti focali.
Innanzitutto è necessario uno studio, che ad oggi non è ancora stato
realizzato, per quantificare quale possa essere il costo dell’implementazione del
nuovo sistema di solvibilità.
Alcune compagnie sono già in possesso dei sistemi e dei processi per
implementarlo con successo, ma altre dovranno certamente affrontare dei costi.
L’approccio standard permetterà ad esse di diventare operative in materia di
solvibilità senza un eccessivo dispendio in termini di sistemi e processi, fermo
restando che in questo modo si resterà in un ambito maggiormente conservatore
rispetto allo sviluppo di modelli interni.
Uno dei costi che potrebbe realizzarsi per queste compagnie è da valutare in
termini di aumento dei capitali richiesti se esse operano nell’ambito di rischi
elevati.
D’altra parte, si potrebbe argomentare che i costi dello sviluppo di migliori
sistemi e processi interni, dovrebbero essere considerati indipendentemente da
Solvency II, come voci del normale esercizio dell’attività. Le compagnie piccole e
medie che affronterebbero costi significativi se fossero obbligate a sviluppare
modelli interni da sottoporre ad approvazione esterna,
usando l’approccio
standard, potranno adeguarsi al nuovo framework gradualmente.
Le compagnie che non investiranno in tali sistemi e processi, infatti, dovranno
lottare per rimanere competitive, in quanto i loro sistemi di allocazione dei
capitali non sono risk-based e comunque inefficienti.
Il principale vantaggio per i consumatori sarà sicuramente quello di una
miglior protezione contro il rischio di fallimento delle compagnie, assicurando
che il capitale accantonato sia appropriato ai rischi sottoscritti, e promuovendo
migliori pratiche di risk management.
9
Un secondo vantaggio verrà dalla migliore e più efficiente allocazione dei capitali
all’interno del mercato, che si rifletterà nella riduzione dei costi per i
consumatori.
Infine, una miglior realizzazione dei prodotti, unita ad una attenta tariffazione
creerà le condizioni per un’accresciuta concorrenza tra le imprese e una maggior
trasparenza.
Il sistema di regole è stato basato su principi economici, ed esso si
applicherà uniformemente nell’UE. Una precondizione per un efficiente
mercato unico dei servizi assicurativi è che gli standard di supervisione (inclusi e
requisiti di solvibilità) sono gli stessi per tutti i paesi.
Il CEIOPS, maggior organo consultivo addetto dalla Commissione allo
sviluppo di Solvency II, ha recentemente operato il secondo Quantitative Impact
Study (QIS 2).
All’interno di questo studio, un’ampia selezione di compagnie assicurative sono
state interrogate per ottenere un calcolo degli effetti delle varie proposte del primo
e secondo pilastro sul loro business. Ciò ha una doppia finalità. Prima di tutto esso
provvede dati realistici per calibrare il nuovo sistema. Secondariamente, e forse
ciò ha maggiore importanza, ingenera nelle compagnie assicurative una maggiore
consapevolezza
riguardo la struttura di Solvency II e le aiuta ad iniziare a
prepararsi al meglio per la sua introduzione.
Parallelamente la Commissione Europea ha iniziato a lavorare su un Impact
Assessment da allegare al lancio della Direttiva. L’impatto da tenere in
considerazione è quello che si ripercuote sull’economia in generale e sulla
stabilità finanziaria, sulle compagnie assicurative e sulle autorità di supervisione,
sui prodotti assicurativi e sul mercato stesso, ed infine sui consumatori.
La Commissione si sta avvalendo della collaborazione del CEIOPS e della CEA.
Vi sono elementi che potrebbero rallentare e diminuire il potenziale di
Solvency II. Un grande numero di parti, in molti paesi europei, dovranno aderire
al progetto: a volte, la necessità di ottenere consensi porta con se il bisogno di
scendere a compromessi.
9
Questi compromessi non devono però essere infedeli al principio di un approccio
economico coerente. Se questo venisse sostituito da un sistema misto che sia
carente in coerenza tra le varie giurisdizioni, gli obiettivi originali di Solvency II
verrebbero totalmente snaturati.
Un sistema misto potrebbe facilmente incorporare un “doppio conto” dei rischi,
che aumenterebbe i costi sia per le compagnie che per i consumatori.
Un’altra obiezione è che, se i requisiti patrimoniali esulano dalle regole dettate dai
principi economici, si possono creare condizioni adatte ad escamotage. Per
esempio, le compagnie cercherebbero di evitare gli onerosi requisiti patrimoniali
spostando i rischi all’estero, distorcendo in questo modo il mercato.
Potenzialmente Solvency II dovrebbe avere un importante impatto sul
comportamento dell’industria assicurativa a livello di investimenti. Introducendo
un sistema basato sul rischio, Solvency II enfatizza l’importanza di una buona
pratica di risk-management.
Alcune obiezioni sono state sollevate riguardo la possibilità che il progetto possa
modificare le linee di investimento delle compagnie, causando repentini
movimenti di capitali che potrebbero deprimere il mercato. Non è ancora chiaro se
Solvency II possa alterare l’attrattività di una particolare classe di
9
3.9
L’attività di CEA e CEIOPS
Solvency II, l’ambizioso progetto avviato dalla Commissione Europea allo
scopo di creare un nuovo sistema di solvibilità per le compagnie assicurative
europee ha compiuto passi significativi tra il 2005 e il 2006, e nel 2007 sta
entrando in una
fase di grandissima importanza.
Il CEIOPS ha finalizzato il proprio processo di consultazioni e pubblicato i
risultati nel primo Quantitative Impact Study, che è stato prontamente seguito,
nel maggio del 2006, dall’avvio di un secondo studio quantitativo, i cui risultati
sono stati recentemente pubblicati.
L’industria assicurativa e riassicurativa ha mostrato un fronte comune sulle
istanze chiave, che ha direzionato non poco il processo regolatorio verso la giusta
direzione.
Solvency II continuerà a dominare l’agenda dell’industria assicurativa con sempre
maggiore intensità, mentre il nuovo sistema di solvibilità prende forma, fino alla
pubblicazione della direttiva UE che è attesa per la metà dell’anno 2007.
Il contributo del CEA è basato su due pilastri chiave. Prima di tutto, il
CEA ha concentrato i proprio sforzi sulle fondamenta del nuovo sistema di
solvibilità: lavorando a soluzioni tecniche, e ricercando consenso politico
dell’industria con l’obiettivo principale di assicurarsi il supporto delle piccole e
delle grandi compagnie.
Secondariamente, CEA ha contribuito alla discussione e alla cooperazione con gli
altri soggetti parte del progetto, incrementando la conoscenza di Solvency II ed
intensificando il dialogo riguardo gli argomenti tecnici e politici.
Facendo ciò, CEA, ha sviluppato un eccellente grado di cooperazione sia con la
Commissione che con il CEIOPS.
La posizione dell’industria assicurativa è basata su un set di chiari principi
economici. Questi principi chiave, sui quali Solvency II dovrebbe basarsi, sono
presentati in due documenti guida, CEA Building Blocks for the Solvency II
Project (Maggio 2005) e Solutions to Major Issues for Solvency II –Joint Paper-
9
(Febbraio 2006): pietre miliari del periodo 2005/2006, durante il quale la CEA ha
partecipato alla richiesta di consultazioni da parte del CEIOPS, così come è stato
parte attiva del Quantitative Impact Study I, e della preparazione del QIS2.
Il Joint Paper è il prodotto di una fruttuosa cooperazione tra CEA e forum CRO,
in esso sono contenute delle proposte di soluzione alle sei principali istanze su
Solvency II:
1. Ai fini della solvibilità il Minimum Capital Requirement (MCR) e il
Solvency Capital Requirement (SCR), dovrebbero riflettere margini
prudenziali addizionali rispetto alle canoniche riserve tecniche.
2. L’approccio standardizzato per il calcolo dell’SCR dovrebbe essere basato
sugli stessi principi economici che caratterizzano i modelli interni, ma
semplificati il più possibile.
3. La diversificazione dovrebbe essere riconosciuta sia nei test individuali,
sia nei test multipli, perché, ignorandola, si potrebbe giungere ad un
eccessivo accantonamento di capitali.
4. Un approccio all’ammissibilità degli strumenti di mitigazione del rischio
basato sui principi, assicurerà che alcune forme di mitigazione non
vengano arbitrariamente preferite ad altre. La mitigazione del rischio
dovrebbe essere riconosciuta appieno nel calcolo dei requisiti patrimoniali.
5. Solvency II dovrebbe basarsi su principi, non su regole, creando adesione
ai principi economici e non istituendo restrizioni arbitrarie e non
necessarie.
6. Dovrebbero essere chiarite le competenze dei supervisori, per garantire
l’adeguata armonizzazione dell’applicazione della disciplina di Solvency
II e per mantenere la struttura pratica, coerente, ed efficiente.
La sinergia tra CEA e CEIOPS ha anche permesso di recepire al meglio,
mediante le consultazioni, le istanze sollevate dall’industria assicurativa e
riassicurativa europea.
Alcune soluzioni proposte dal CEIOPS, però, sono fonte di perplessità: ad
esempio la possibilità di sviluppare un sistema misto, oppure l’idea di un
approccio a Solvency II molto prudente e graduale, quasi conservatore.
9
Cionondimeno, sarà essenziale che le consultazioni tra organi di supervisione e
mercato assicurativo continuino incessantemente, e si rinforzino ad ogni stadio del
progetto.
Il Joint Paper ha preparato la strada per i lavori di implementazione del, più volte
citato, European Standard Approach (ESA) per la determinazione dei requisiti
patrimoniali.
L’argomento ESA ha sicuramente aiutato la prosecuzione del dibattito tecnico, e
direzionato costruttivamente le proposte del CEIOPS.
I principi economici alla base dell’ESA sono allineati a quelli applicati nei
modelli interni, offrendo così una solida e funzionale alternativa alle compagnie
che decideranno di non sviluppare i propri modelli. L’ESA è anche stato sfruttato
per aumentare il grado di consapevolezza dell’importanza di Solvency II
nell’industria assicurativa, ad esempio sensibilizzando le compagnie riguardo
l’importanza del risk-management.
CEIOPS, oltre alle suddette attività ha dedicato molto spazio ai propri
Consultation Papers, dei quali si parlerà più approfonditamente nei paragrafi
successivi (3.13).
9
3.10
Quantitative Impact Study I
La Commissione Europea ha richiesto al CEIOPS di acquisire dati
approfonditi sul possibile impatto quantitativo del nuovo sistema di solvibilità
mediante studi di impatto quantitativo (QIS). I risultati dei QIS sono un elemento
chiave del rapporto della Commissione a riguardo di Solvency II.
Il CEIOPS ha condotto un primo QIS (QIS1) durante l’autunno / inverno del
2005, con l’obiettivo di testare il livello di prudenza nelle riserve tecniche in
diverse condizioni. Il documento redatto dal CEIOPS mette in evidenza le
tendenze generali degli organi di supervisione nazionale, e mira a dare una visione
chiara e concisa dei risultati della ricerca. Nel QIS1 si sottolinea che solamente i
rapporti dei singoli Stati membri possono dare un’immagine completa di quella
che è la realtà di essi.
Di conseguenza il CEIOPS ha richiesto ad ogni organo di supervisione nazionale
che intendesse partecipare al QIS1 di invitare un range abbastanza ampio di
compagnie a rispondere al questionario che era sto predisposto per riassumere i
risultati.
In totale, 150 compagnie attive nel ramo vita, 190 attive nel ramo danni, e 4
riassicuratori57, hanno inviato i suddetti dati ai rispetti organi di supervisione
nazionale. I numeri del QIS1 forniscono alcuni dati interessanti. Ad esempio il
fatto che i paesi che avrebbero dovuto partecipare al rapporto erano più numerosi
di quelli che poi effettivamente hanno inviato i rapporti: ciò è dovuto al fatto che
la complessità delle operazioni di calcolo sulla base dei dati forniti, non ha
permesso ad alcuni paesi di rispettare la deadline prevista.
Rispetto alle aspettative iniziali, invece, il numero di piccole e medie imprese
partecipanti è stato superiore, così come è stata superiore al numero atteso, la
partecipazione delle compagnie operanti nel ramo vita.
Diciannove supervisori nazionali hanno inviato i loro rapporti, tre dei quali hanno
coperto solo l’assicurazione non-vita. Non tutti i report forniscono dati o risposte
qualitative a tutte le domande espresse.
57
Poiché molte compagnie sono attive in più rami, il totale delle imprese che hanno
partecipato al QIS1 è di 312.
9
Il CEIOPS ha chiesto, altresì, ai supervisori nazionali che hanno deciso di
non partecipare, le ragioni di questa decisione. Tra le motivazioni addotte vi sono
state la mancanza di esperienza, di risorse, e di tempo. Ma, come ha menzionato
uno dei supervisori, alcune delle compagnie partecipanti sono sussidiarie di grandi
gruppi internazionali, di modo che è possibile imparare dagli studi anche senza
esserne parte attiva.
La struttura del report richiama fedelmente la struttura dei country
reports inviati dai supervisori nazionali.
1. il primo capitolo presenta le osservazioni generali e le conclusioni.
Aspira a presentare un quadro riassuntivo conciso dei risultati, e a
dare le conclusioni che possono essere tratte dall’intero QIS1;
2. nel secondo capitolo vengono mostrati i risultati quantitativi di tutti
i country reports;
3. il terzo capitolo mette a fuoco la metodologia utilizzata dalle
compagnie,
4. il quarto capitolo mette in luce le risorse richieste alle compagnie
per calcolare le riserve tecniche e i margini di rischio;
5. infine, il quinto capitolo, riassume ogni commento addizionale o
studio presentato dai supervisori nazionali e dalle compagnie
assicurative partecipanti.
9
3.10.1
QIS1: osservazioni generali
Il primo capitolo del report pubblicato dal CEIOPS contiene osservazioni
generali e conclusioni. Ecco un estratto delle osservazioni generali di maggior
interesse.
1. Gli obiettivi del QIS1 erano duplici. Prima di tutto il QIS1 poneva
attenzione sul livello di prudenzialità delle attuali riserve tecniche,
eseguendone un monitoraggio. Questo potrebbe dare una rozza
indicazione sull’impatto delle delle regole proposte sulle riserve. In più, il
CEIOPS sperava che l’esercizio di questo monitoraggio potesse garantire
informazioni riguardo la praticabilità delle relative operazioni di calcolo, e
per questo motivo l’organo comunitario ha invitato tutte le compagnie vita
e non-vita a partecipare. Benché delle indicazioni precise non siano
arrivate dal QIS1, le approssimazioni possono dare indicazioni utili, e le
informazioni qualitative ricevute riguardo i metodi ed i modelli usati dai
partecipanti sono considerate di grande importanza. Paradossalmente,
anche gli studi incompleti sono stati ben accetti dal CEIOPS, che ha
ritenuto utile assumere tutti i dati possibili.
2. Il CEIOPS ha riconosciuto che il primo studio sull’impatto quantitativo ha
delle limitazioni, dovute sia alle stringenti deadlines, sia alla novità degli
approcci oggetto di studio.
3. La percentuale di mercato coperta dai paesi partecipanti al QIS1 è di circa
il 44% dell’intero mercato vita, e del 43% per il non-vita. Questo dato è
comunque relativo in quanto le percentuali sono variabili all’interno di
ogni singolo paese.
4. Poiché alcuni paesi non hanno partecipato, il CEIOPS non è stato in grado
di raggiungere conclusioni e sviluppare un modello che potesse
rappresentare l’intera area economica europea. Solo cinque supervisori
nazionali hanno considerato il rapporto valido per l’intero mercato
nazionale, mentre nove lo hanno ritenuto rappresentativo solo per le grandi
9
imprese, quattro, invece, hanno considerato il modello proposto
inadeguato per il rispettivo mercato interno.
5. Il trend generale riguardo le compagnie partecipanti sembra essere quello
di aver completato solo in parte i test e le domande poste dal QIS1.
Naturalmente la percentuale e il tipo di risposte subisce molte variazioni a
seconda dello Stato Membro e soprattutto degli interventi di guida e
collaborazione eseguiti dai singoli supervisori nazionali.
6. Una generica mancanza di tempo, risorse ed esperienza è stata addotta
come principale motivo di difficoltà nell’interpretare ed eseguire i test
richiesti. Nei country reports si incontrano richieste esplicite di un
superiore framework di linee guida e comunque di deadline meno
stringenti.
7. Un’ampia discussione si è sviluppata riguardo la contemplazione dei rischi
finanziari nel calcolo delle riserve, oggetto di maggior attenzione per le
imprese operanti nel ramo vita, scarsa invece l’attenzione dedicata ad essi
dalle compagnie operanti nell’assicurazione non-vita. Tra le motivazioni
addotte riguardo la non contemplazione dei rischi finanziari, spicca quella
secondo la quale non è corretto inserirli nel calcolo delle riserve poiché
essi incidono solamente sui capitali posseduti dalla compagnia e non sulle
riserve.
8. Altro elemento di discussione del QIS1 è stata la quantità di risorse
addizionali necessarie per eseguire i calcoli richiesti, seguendo i principi e
la metodologia proposta. Questo è sicuramente un elemento chiave per il
successo del progetto Solvency II, in quanto andrà ad incidere sul bilancio
delle compagnie operanti nel mercato che dovranno decidere quale
approccio scegliere. Il QIS1, a riguardo, è stato un fallimento in quanto
pochissime compagnie sono state in grado di calcolare precisamente la
quantità di capitali necessari. Ciò non ha permesso di giungere ad un
quadro generale.
9. In generale è stata espressa soddisfazione, sia dalle autorità di supervisione
nazionale, sia dalle compagnie, riguardo la qualità e la plausibilità dei
metodi e degli approcci proposti. Nonostante ciò sono state espresse anche
1
numerose riserve riguardo l’adeguatezza dei sample proposti, e questo non
deve far dimenticare che il progetto è ancora ad uno stadio primitivo.
1
3.10.2
QIS1: conclusioni generali
Il primo Quantitative Impact Study ha dato al CEIOPS considerevoli quantità
di dati relativi al possibile impatto del best estimate e dei margini di rischio sul
calcolo delle riserve tecniche, che erano due dei principali obiettivi dello studio.
La prima conclusione generale è quella che il best estimate sommato al margine di
rischio tende ad essere inferiore alle riserve calcolate sulla base attuale, e che i
margini di rischio tendono ad essere piccoli per la maggior parte delle compagnie.
Queste osservazioni mostrano che le proposte inserite in Solvency II avranno un
significativo impatto, fermo restando che l’effetto totale può solamente essere
valutato dopo l’esercizio definitivo del QIS2, che include anche gli effetti dei
requisiti di solvibilità.
L’Impact Study fornisce anche una buona visione delle metodologie di
lavoro che i calcoli richiedono. Per quel che riguarda l’assicurazione vita, le
metodologie sono state differenti da compagnia a compagnia, diversificandosi
soprattutto a livello nazionale. Per di più è stato dimostrato che è proprio questo
tipo di compagnie ad affrontare le maggiori difficoltà nel completare le rilevazioni
richieste.
Un dato notevolmente diverso proviene dall’analisi delle metodologie utilizzate
dagli assicuratori non-vita, che, nonostante l’utilizzo di approcci totalmente
differenti, hanno ottenuto risultati tendenzialmente simili.
Comunque, come si è detto, i risultati non possono essere considerati
rappresentativi per l’intera l’area economica europea. Non tutti gli Stati membri
hanno deciso di partecipare, mentre all’interno dei paesi che hanno scelto la
partecipazione
allo
studio
quantitativo
sembra
esserci
una
notevole
differenziazione dei dati a seconda della grandezza delle compagnie stesse. Ci si
aspetta che specialmente le piccole compagnie siano quelle che inglobano una
maggior componente nazionale: cosicché le informazioni sull’impatto dei calcoli
richiesti sulle loro riserve tecniche, dovrebbe dare una migliore indicazione sugli
effetti per un mercato nazionale, rispetto alle informazioni ricevute dalle grandi
compagnie, per loro stessa natura maggiormente internazionali.
1
3.11
Quantitative Impact Study II
Il 06/12/2006 il CEIOPS ha pubblicato il suo Report58 riguardante i
risultati del Quantitative Impact Study II (QIS2).
Basato su una maggior partecipazione dell’industria (23 paesi coperti, con una
percentuale superiore al 50% del mercato), esso ha dato al CEIOPS importanti
dati per redire la propria opinione sul progetto.
In generale, l’esercizio ha mostrato che l’impatto sulla solvibilità delle
compagnie assicurative sembra differenziarsi in modo eterogeneo, esso sembra
sicuramente dipendere da una combinazione di fattori contrastanti. Mediamente,
le riserve tecniche sembrano decrescere, il SCR aumentare, e così anche il capitale
disponibile. La percentuale di solvibilità sembra invece decrescere.
A questo stadio però, ogni valutazione sull’impatto della solvibilità, così come
ogni comparazione con il sistema vigente, dev’essere fatta in maniera molto cauta.
I dati e i parametri usati nel QIS2 erano solamente preliminari e di prova. Per di
più, Solvency II si basa su una struttura completamente diversa da Solvency I:
mettere in paragone i requisiti di capitale senza confrontare l’intero sistema,
potrebbe essere assolutamente fuorviante.
Le lezioni imparate dal QIS2 saranno utilissime per i futuri studi, ed in
particolare, per la realizzazione del QIS3, che dovrebbe condurre il CEIOPS a
finalizzare il proprio parere sui requisiti di capitale.
L’esperienza ha oltretutto insegnato che i futuri Impact Studies dovranno essere
semplificati in metodologia e procedimento, essere cioè, maggiormente user
friendly.
Come si è accennato in precedenza, un numero sostanzioso di compagnie
europee hanno partecipato a questo secondo studio sull’impatto quantitativo, di
molto superiore alla percentuale di partecipazione ottenuta dal QIS1.
Ciò rende i risultati del QIS2 decisamente più rappresentativi dello status quo.
Il numero totale di compagnie rispondenti è stato di 514, un incremento del 65%
rispetto al QIS1, che aveva avuto 312 rispondenti. Di queste 514, 161 esercitano il
ramo vita, 22 esercitano il mercato salute, e 237 esercitano il ramo non-vita.
58
CEIOPS-SEC 71/06S QIS2 – Summary Report
1
Altre 81 compagnie esercitano entrambi i rami, sia perché si tratta di compagnie
composite, sia perché si tratta di gruppi contenenti imprese attive nei rispettivi
rami.
Infine, 13 riassicuratori hanno partecipato al QIS2.
Il numero dei paesi partecipanti si è incrementato dai 19 paesi del QIS1 ai 23
presenti del QIS2.
Le statistiche mostrano che tutti i tipi di compagnia, dalla piccola alla
grande sono stati rappresentati abbastanza sostanzialmente dai partecipanti allo
studio. Ma, mentre per le compagnie medie e grandi, il modello può essere
considerato rappresentativo dell’intero mercato, per le piccole compagnie il
numero dei partecipanti è stato ancora troppo ridotto per essere sufficiente. I
risultati, quindi, riguardo quest’ultima tipologia di imprese può essere considerato
semplicemente indicativo.
Si è accennato che la percentuale di mercato coperta dal secondo studio
sull’impatto quantitativo è sostanziale sia per il ramo vita che per quello non-vita.
Nella la maggior parte dei paesi partecipanti è stata raggiunta una quota media di
mercato superiore al 50%.
L’analisi delle statistiche, infine, mostra come non tutte le compagnie
hanno risposto ai quesiti posti dal QIS2, ed alcune hanno addirittura fornito
solamente dati qualitativi, rispecchiando in parte il fenomeno verificatosi
nell’esercizio del QIS1.
1
3.11.1
QIS2: obiettivi e contenuti
Il QIS2, ha i seguenti obiettivi:
9 verificare l’adeguatezza e l’affidabilità di vari approcci utilizzabili come
formula standard per il calcolo del Solvency Capital Requirement (SCR);
9 verificare la disponibilità presso le imprese dei dati ritenuti necessari;
9 ottenere una prima stima dell’impatto quantitativo, in termini di
patrimonio richiesto, delle formule proposte;
9 non rientra, invece, fra gli scopi dello studio testare la calibrazione. La
calibrazione proposta in QIS2 è, pertanto, da ritenersi meramente
indicativa.
I contenuti del QIS2 vertono su quattro elementi fondamentali:
1. La valutazione delle poste di bilancio
Per gli attivi si considerano i valori di mercato; ove tali valori non siano
disponibili, si ricercano possibili approcci alternativi purché coerenti con
le informazioni desumibili dai mercati.
Per le riserve tecniche si utilizzano valori market consistent per i rischi
hedgeable (ad esempio i rischi finanziari), il best estimate59 sommato al
risk margin60 per tutti gli altri rischi (ad esempio i rischi assicurativi).
2. Gli elementi ammessi alla copertura dei requisiti
Da considerare nella determinazione del capitale disponibile sono: plus e
minusvalenze latenti degli attivi, differenze tra valori di bilancio delle
riserve tecniche e loro valore secondo lo standard Solvency II (best
estimate + risk margin).
Per l’assicurazione vita, gli utili futuri da riconoscere agli assicurati su
base discrezionale (differenza tra le riserve attuali e riserve calcolate al
59
Best Estimate: valore attuale dei cash flows netti, calcoltato utilizzando un approccio
market consistent che catturi i rischi hedgeable e includa anche i costi delle garanzie e delle
opzioni implicite.
60
Risk Margin: margine prudenziale su tutto il run off del portafoglio, che serve a far fronte
ai rischi non hedgeable. La metodologia di calcolo del Risk Margin è basata su metodi diversi: i
percentili, il cost of capital, e metodi alternativi.
1
minimo garantito) possono essere considerati come elementi del capitale
disponibile, se utilizzabili per far fronte a “general losses”, oppure come
fattore di mitigazione del capitale richiesto, se utilizzabili per far fronte a
perdite solo entro certi limiti. In tal caso l’ammontare delle riserve per utili
futuri utilizzabile come “risk mitigant” è definito dall’applicazione di un
coefficiente (k-factor), dipendente dal gradi di discrezionalità di cui
godono le imprese nel riconoscere gli utili ai propri assicurati.
Per l’assicurazione danni, analoga funzione è svolta dagli utili attesi per
l’esercizio successivo.
3. La formula standard e i modelli interni per il calcolo del SCR
Il calcolo del SCR tiene conto dei due “risk mitigants” sopra menzionati.
Nel calcolo vengono considerati tutti i rischi:
9 rischi di mercato;
9 rischio di credito;
9 rischio operativo;
9 rischio assicurativo vita;
9 rischio assicurativo danni;
9 rischio assicurativo malattia;
4. Il calcolo del MCR
E’ previsto che le imprese partecipanti:
9 calcolino un MCR transitorio, basato sulle regole di Solvency I;
9 calcolino un MCR post-transizione, basato sulla formula standard
SCR;
9 forniscano informazioni sulle spese aggiuntive che si sosterrebbero
in caso di run-off.
1
3.11.2
QIS2: valutazione dell’esercizio
Per comprendere al meglio quanto siano stati complessi i risultati forniti
dal QIS2 è necessario analizzare in profondità i dati presenti nel report pubblicato
dal CEIOPS. In esso vengono discussi, punto per punto gli elementi focali
dell’intero studio.
Il potenziale impatto sull’intero sistema assicurativo differenzia il ramo vita da
quello non vita. Il cambiamento medio della solvibilità per le sottoscrizioni vita
può variare sostanzialmente da compagnia a compagnia. E non è facile tirare le
somme su quali siano i cambiamenti effettivi apportati dal nuovo sistema rispetto
al vecchio.
Più semplice sembrano le conclusioni relative al ramo non-vita, che vede una
generica diminuzione delle riserve tecniche, e di conseguenza un aumento dei
capitali disponibili. Il report di molti paesi però dimostra come vi sia ancora
un’alta percentuale di compagnie che abbiano comunque avuto un risultato di
solvibilità superiore al 100%, sebbene inferiore a Solvency I.
Alcuni supervisori nazionali hanno identificato specifiche tipologie di compagnie
che dovrebbero accantonare quantità significative di nuovi capitali per riscontrare
i parametri del SCR: le piccole compagnie attive nel ramo non-vita,
principalmente attive in un’unica linea e/o mutue assicuratrici.
Un elemento di discussione è stata la ricerca del margine tra il MCR e il
SCR, di modo che una compagnia che sfora i requisiti del SCR, non sia
immediatamente in pericolo di superare anche il MCR. Per far ciò si è cercato di
creare una statistica, grazie all’aiuto dei supervisori nazionali, di compagnie con
un rapporto SCR/MCR del 75%. Anche in questo caso i risultati sono stati molto
variegati, soprattutto tra paesi diversi. Il QIS2 però, non puntava specificamente a
tirare conclusioni specifiche su questo punto, rimandando approfondimenti in
materia al QIS3.
Il report si occupa di differenziare l’impatto quantitativo a secondo dal
tipo di compagnia. I supervisori nazionali sono stati interrogati sugli effetti del
nuovo SCR ed MCR a seconda della “grandezza” e del “tipo” di compagnia
1
Le differenziazioni in materia però non possono essere che indicative, visto il
dinamismo del mercato e l’incompletezza dei dati ricevuti da molti partecipanti.
Per quel che riguarda la grandezza, l’impatto sembra essere maggiore nelle
compagnie più piccole, e principalmente in quelle attive nel ramo non-vita.
Un supervisore nazionale ha evidenziato come ci sia una relazione tra la struttura
della compagnia e il mercato finanziario: le entità indipendenti subiscono un
maggior impatto rispetto alle compagnie appartenenti a dei gruppi. Questo
potrebbe essere collegato alla forte correlazione tra la grandezza delle compagnie
e la struttura di esse, dato che le compagnie indipendenti tendono ad essere
piccole.
Tre supervisori nazionali non hanno trovato differenze nell’impatto su compagnie
basate su strutture legali diverse. Altri tre supervisori invece hanno fornito dati
su questo tipo di impatto, sottolineando un maggior impatto nei confronti delle
entità mutualistiche. Il dato però non è certo, in quanto i fattori in campo
potrebbero fuorviare, ad esempio potrebbe essere stata la grandezza o il tipo di
ramo esercitato a determinare differenze.
Sei supervisori nazionali hanno trovato prove di un effetto delle linee
commerciali sull’impatto nel QIS2. Questi supervisori sottolineano un maggior
effetto sulle compagnie monolinea, specialmente non-vita.
Il modello di business applicato non sembra aver avuto alcun effetto per alcuni
supervisori nazionali, mentre per altri vi sono stati dei rilievi degni di attenzione
ma probabilmente influenzati da altri fattori.
Sembra evidente quindi che, in generale, il QIS2 abbia fornito risultati
abbondanti, ma non interpretabili in maniera univoca.
Il QIS2 ha anche messo a nudo una serie di elementi positivi e alcune criticità
preoccupanti.
Innanzitutto ha destato soddisfazione che:
9 sia stato considerato anche l’approccio di tipo cost of capital, che è un
approccio decisamente più semplice, robusto e verificabile;
9 si tenga pienamente conto della riassicurazione61;
61
In materia si discute molto su come risolvere il problema creato dal poter disporre di dati
al lordo della riassicurazione.
1
9 si tenga conto della correlazione dei rischi62;
9 si preveda che la differenza tra le riserve statutory e quelle solvency non
sia ammessa a copertura del capitale;
9 si preveda un trattamento di riduzione del requisito per le gestioni
separate63.
Parallelamente, ha destato notevole preoccupazione la mancanza di chiarezza
sulla ripartizione tra riserve e capitale e il ruolo del MCR, e su quale livello di
capitalizzazione si punti ad imporre.
62
Riguardo la correlazione dei rischi vanno testate le matrici di correlazione proposte.
Si pone il problema di come realizzare questo elemento in Italia. Dal punto di vista
teorico K è più alto quando in una gestione ricorrano i seguenti elementi: gli assicurati hanno tutti
lo stesso minimo garantito, gli attivi sono obbligazioni e non azioni, il consolidamento dei
rendimenti non avviene anno per anno.
63
1
3.12
Alcune criticità di Solvency II
Gli studi sull’impatto quantitativo hanno sollevato alcune criticità, temi
sicuramente di rilievo, anche per il mercato italiano.
Innanzitutto la problematica delle partecipazioni discrezionali agli utili futuri
nell’assicurazione vita (K-factor). Se Solvency II è destinata a fondarsi su
principi economici, deve tener conto della capacità di tutti gli strumenti a
disposizione dell’impresa per assorbire perdite in caso di shock.
Un aspetto importante deriva dalla presenza di prodotti vita con partecipazione
agli utili, che riconoscono agli assicurati – oltre ad un rendimento minimo
garantito – un rendimento aggiuntivo che dipende dai risultati ottenuti
dall’assicuratore gestendo i fondi raccolti64. Nei vari paesi, gli assicuratori
normalmente hanno un certo grado di discrezionalità nel riconoscere agli
assicurati la parte di utile eccedente il minimo garantito; discrezionalità che varia
in base alle caratteristiche dei prodotti, al quadro giuridico di riferimento, alle
regole contabili applicate. Di tali fattori occorre tenere conto nel valutare i
requisiti di capitale.
In Italia elementi di discrezionalità derivano dal fatto che:
9 gli assicuratori decidono, nel rispetto dei limiti di legge, il mix di
investimenti che fa parte della gestione separata;
9 gli attivi della gestione sono valutati, ai fini del calcolo del rendimento da
riconoscere agli assicurati, secondo il criterio del costo storico, per cui
l’assicuratore può decidere il momento in cui realizzare eventuali plus o
minusvalenze di portafoglio.
Grazie a tali aspetti, la volatilità dei rendimenti delle gestioni separate è
drasticamente ridotta: nessun rendimento sul mercato finanziario è smooth come
quello delle gestioni separate.
Ogni paese presenta le proprie specificità in materia.
In Germania le compagnie di assicurazione possono decidere, per le polizze with
profit, quale livello di rendimento riconoscere ogni anno a ciascun assicurato.
Possono utilizzare i proventi della gestione per far fronte a general losses della
64
In Italia si tratta delle polizze rivalutabili collegate a gestioni separate, che rappresentano
circa il 60% del mercato vita.
1
compagnia. Naturalmente si tratta solo di una facoltà, ma ciò determina che
l’apposita riserva contabile per future profit sharing non si configuri come un
debito, ma possa essere utilizzata come elemento di copertura di capitale, anche
nel sistema Solvency I.
In Francia, se le compagnie vendono un titolo e realizzano una plusvalenza,
questa plusvalenza viene contabilizzata come una riserva che deve essere
attribuita agli assicurati entro otto anni. Essa può però essere assorbita da una
minusvalenza registrata successivamente. Non è chiaro se questa caratteristica sia
tale da far ritenere che la riserva possa assorbire general losses. Certamente è una
situazione molto diversa da quella italiana, in cui la plusvalenza deve essere
attribuita agli assicurati nell’anno in corso.
Il QIS2 ha cercato di misurare la capacità degli utili futuri di assorbile
perdite, distinguendo due casi:
9 se la riserva per utili futuri può essere usata per coprire general losses
della compagnia, allora tutta la riserva viene considerata come elemento
di capitale;
9 se invece la riserva ha una capacità limitata di assorbire perdite, viene
introdotto il cosiddetto “fattore k”, originariamente proposto dal CEA, che
rappresenta la parte di riserva utilizzabile per ridurre il requisito
patrimoniale.
Il QIS2 ha evidenziato l’esistenza di una molteplicità di situazioni e una estrema
diversita di approcci, sia in generale nel considerare le riserve per utili futuri sia
nell’applicazione del “fattore k”.
La sfida, al momento, è di individuare, a livello europeo, criteri oggettivi che
consentano di stimare, nei vari paesi e nelle singole imprese, la quota delle riserve
per utili futuri che può essere utilizzata come fattore di assorbimento delle perdite
in presenza di shock.
Per l’assicurazione italiana si tratta di veder riconosciuta la loss absorbing quality
di parte di tali riserve, che discende dalle specificità delle polizze rivalutabili.
Qualunque sia la natura riconosciuta ai fini di solvibilità alle riserve per
partecipazioni discrezionali agli utili (fattore di riduzione del requisito
1
patrimoniale o elemento del capitale disponibile)
occorre che, a parità di
assorbimento dei rischi, il trattamento sia analogo.
Se così non fosse, vi sarebbe un forte incentivo alla modifica delle caratteristiche
dei prodotti. In Italia diventerebbero troppo costose una serie di tutele per gli
assicurati che sino ad oggi hanno dimostrato di essere molto apprezzate.
Un secondo profilo rilevante attiene al trattamento degli investimenti
azionari nel calcolo del Solvency Capital Requirement (SCR). Al momento
attuale, l’impostazione del CEIOPS (applicata nel QIS2) prevede il calcolo del
requisito tramite la valutazione dell’impatto di shock azionari su un orizzonte
temporale di un anno. L’applicazione di tale approccio ha evidenziato alcuni
problemi:
9 la dimensione dello shock applicato (40%) è troppo elevata;
9 il considerare una dimensione annuale non tiene conto delle strategie di
asset-liability management delle imprese di assicurazione, ossia del fatto
che gli assicuratori gestiscono i propri investimenti (e fare essi anche le
azioni) con una logica di medio-lungo termine, in coerenza con passività,
specie nel vita, anch’esse di lungo termine;
9 l’inclusione degli attivi detenuti a fronte del patrimonio libero, in aggiunta
a quelli a copertura delle riserve tecniche, fra quelli assoggettati a shock
risulta oltremodo penalizzante, con l’effetto paradossale di imporre
requisiti più elevati alle imprese più patrimonializzate. Le azioni detenute
a fronte del patrimonio libero sono quasi sempre costituite da
partecipazioni, tipicamente gestite con logiche di lungo periodo, per le
quali, dunque, shock annuali non avrebbero molto senso.
E’ ovvio che Solvency II avrà un impatto sull’attività di investimento degli
assicuratori europei, così come l’introduzione del Risk Based Capital, all’inizio
degli anni ’90, lo ha avuto su quelli statunitensi, ma le nuove regole devono essere
coerenti con l’economicità dell’attività assicurativa e tener conto delle logiche di
gestione finanziaria tipicamente orientate al lungo periodo.
1
L’assicurazione si fonda sulla diversificazione dei rischi, per cui è
essenziale che le regole di solvibilità tengano conto delle capacità delle imprese di
diversificare, ma senza penalizzare indebitamente quelle che, per dimensione, non
sono in grado di farlo (ma magari mitigano i rischi ricorrendo alla
riassicurazione).
L’incidenza del size-factor nel non-life underwriting risk, un fattore dipendente
dalla dimensione dell’impresa che si ipotizza incidere sulla volatilità dei risultati
tecnici dei singoli rami, ha evidenziato l’esistenza di un problema di calibrazione.
CEIOPS, nel Consultation Paper n.20, propone alcune modifiche in vista del
QIS3.
Molti altri punti sollevano perplessità, ad esempio la scarsa attenzione
rivolta ad una realtà in forte espansione, i gruppi di imprese, oppure la prospettiva
di un lead supervisor. Oggetto di discussione è anche il contenuto della direttiva
stessa, che, secondo la procedura Lamfalussy, dovrebbe contenere i principi
essenziali e generali del futuro regime. La questione è cosa si debba intendere per
principi essenziali e in particolare se essa debba includere la definizione del
requisito, le questioni di vigilanza cross-border sui gruppi, la previsione di
specificità nazionali (ad esempio nel Pillar II). Più in generale la questione è
quanto debba essere lasciato alle implementing measures di Livello II.
1
3.13
I Consultation Papers del CEIOPS
CEIOPS, come si è detto in precedenza, oltre all’importante attività svolta
nei Quantitative Impact Study, è molto attivo nella pubblicazione di frequenti
Consultation Papers, sulle tematiche e sugli elementi di discussione di Solvency
II.
Seguono alcuni dei principali pareri espressi dal CEIOPS.
CP17: Draft advice to the European Commission in the framework of the
Solvency II project on Pillar II capital add-ons for solo and group undertakings”
Riguarda il potere dell’Autorità di vigilanza di imporre alle imprese requisiti
patrimoniali aggiuntivi (“capital add-ons”) rispetto a quelli derivanti dall’utilizzo
della formula standard o di un modello interno. Il CEIOPS si dichiara a favore
dell’introduzione, nella Direttiva “quadro”, di principi generali relativi
all’esercizio di tale potere. Al fine di promuovere l’armonizzazione delle pratiche
di vigilanza, il CEIOPS propone un approccio strutturato, per gradi,
nell’applicazione degli eventuali requisiti aggiuntivi.
Ulteriore tema trattato nel Paper è quello dell’imposizione di “capital add-ons”
nell’ambito dei gruppi di imprese.
CP18: Draft advice to the European Commission in the framework of the
Solvency II project on Supervisory powers – further advice”
Contiene alcuni pareri aggiuntivi in materia di poteri della vigilanza. Vengono
ribaditi alcuni principi che dovranno guidare l’attività dei supervisors e sono
elencati alcuni fra i più importanti poteri di cui essi dovranno disporre. Si
sottolinea l’obiettivo della maggiore armonizzazione anche per quanto riguarda il
2°pilastro, il che significa che tutti i supervisors europei dovranno avere gli
stessi poteri, esercitabili alle medesime condizioni.
In particolare, il potere di consentire deroghe ai requisiti generalmente previsti da
Solvency II sarà assoggettato a condizioni pienamente armonizzate.
1
CP19: “Draft advice to the European Commission in the framework of the
Solvency II project on safety measures (limits on assets)”
E’ dedicato al tema della disciplina degli investimenti delle imprese di
assicurazione. Come è noto, nel passaggio ad un regime di solvibilità basato sul
rischio, il CEIOPS prevede di adottare, sul piano degli investimenti ammessi,
l’approccio definito come “prudent person plus”. Tale approccio consiste nella
statuizione di alcuni principi generali che dovrebbero guidare l’attività di
investimento (sicurezza, redditività, liquidità), con l’aggiunta di pochi limiti
quantitativi finalizzati a circoscrivere quei rischi di investimento di cui non si
riesce a tenere conto nella determinazione dei requisiti patrimoniali (ad esempio,
rischi di concentrazione e di liquidità). L’ipotesi formulata dal CEIOPS è di
limitare l’applicazione dei limiti quantitativi ad un periodo transitorio
(esempio: 5 anni), nel quale testare la capacità della Standard Formula di riflettere
efficacemente i rischi di investimento.
CP20: “Draft advice to the European Commission in the framework of the
Solvency II project on Pillar I issues – further advice”
Di particolare rilievo il Consultation Paper n.20, perché contiene ulteriori pareri
tecnici su temi del primo pilastro. Fa seguito alle risposte alla “second wave of
calls for advice” dello scorso anno.
I principali elementi del Consultation Paper n.20 sono:
9 criteri di valutazione;
9 criteri di ammissibilità degli elementi patrimoniali;
9 SCR (standard formula e modelli interni totali e parziali);
9 MCR;
9 safety measures e casi particolari (piccole imprese, assicurazione malattia,
riassicurazione).
Riguardo i criteri di valutazione il CP20 si occupa degli hedgeable e nonhedgeable risks, e sostiene un ampliamento dei poteri dei supervisori nel
richiedere un rafforzamento delle riserve tecniche nell’ambito delle procedure di
secondo pilastro.
1
Riguardo il SCR, viene radicalmente mutato il framework della Commissione, che
si amplia rispetto al progetto originario.
CEIOPS sostiene anche novità relative alla Formula Standard, rimandandone il
testing alla fase del QIS3.
Relativamente ai modelli interni CEIOPS raccomanda che l’approvazione di essi
venga subordinata ad una serie di requisiti:
9 qualità statistica;
9 calibrazione;
9 use test.
Il CP20 contiene anche un’ammissione di problemi di metodo ed approccio
nell’esercizio del QIS2.
1
Capitolo IV
IL RAMO VITA
Sommario: 4.1 In generale, l’assicurazione sulla vita – 4.2 L’attività delle imprese di
assicurazione sulla vita nell’ambito del sistema finanziario - 4.3 La disciplina: direttiva
2002/83/CE – 4.4 La disciplina in Italia: Circolare Isvap 551/D “le norme di trasparenza nelle
polizze vita” – 4.5 La disciplina in Italia: il Codice Civile – 4.6 La disciplina in Italia: D.Lgs. 209
07/09/05 “la tutela del consumatore nel nuovo codice delle assicurazioni” – 4.7 Un confronto
europeo sui conti economici delle imprese di assicurazione del ramo vita – 4.8 Alcune
osservazioni: il mercato vita nel contesto sociale
4.1
In generale, l’assicurazione sulla vita
In assicurazione per rischio65 si intende la probabilità che si verifichi un
evento in un determinato momento. Il rischio assicurato dal ramo vita è “il
verificarsi di un evento attinente alla vita umana” (art. 1882 C.C.).
Tradotto in pratica si può assicurare:
9 la morte dell’assicurato entro una certa data
9 la permanenza in vita dell’assicurato a una certa data.
Per determinare il giusto prezzo da pagare per assicurare la vita di una persona è
necessario stabilire: la sua probabilità di vita ad un certo momento [ipotesi
demografica], il rendimento finanziario delle somme via via incassate [ipotesi
finanziaria], il costo di acquisizione e di gestione del contratto da parte
dell’impresa [ipotesi di spesa].
La probabilità di vita di una persona è determinata da fattori demografici che
possono essere ricavati dai censimenti della popolazione che si tengono ogni 10
anni (l’ultimo è del 2001).
65
Il Rischio è la probabilità che un certo evento si verifichi e l’entità dei danni che ne
possono derivare. Nell’assicurazione Vita, l’alea dipende dalla durata della vita umana; questa, a
sua volta, dipende dall’evento morte o dal suo non verificarsi entro un dato momento
(sopravvivenza).
1
Dai dati rilevati si è notato che i fattori da considerare sono:
9 l’età (più si invecchia più elevate sono le probabilità di morte);
9 il sesso (le donne vivono più a lungo degli uomini e il divario tende ad
allargarsi);
9 lo stato di salute (la presenza di determinate malattie eleva la probabilità di
morte);
9 il tipo di lavoro (alcune professioni espongono ad alti rischi);
9 alcuni comportamenti (ad es. il fumo: un fumatore vive mediamente meno
di un non fumatore).
Da tutte queste analisi si realizzano le tavole di mortalità che sono lo strumento
base per la determinazione del giusto premio.
Le tavole di mortalità66 vengono costruite sulla base delle elaborazioni statistiche
applicate a una popolazione campione di 100.000 individui in età zero di cui viene
seguita tutta la vita. I dati esprimono: la speranza di vita (quanti anni si prevede
vivrà una persona ad una certa età), la probabilità di morte (deceduti sul totale
dell’anno), la probabilità di sopravvivenza (probabilità di sopravvivere nell’anno),
il numero di viventi, dei morti, la frequenza di morte, la vita media, per ogni età.
L’assicuratore utilizza questi dati come base di partenza per calcolare le proprie
tariffe.
I
dati
vengono
poi
elaborati
dall’assicuratore
tenendo
conto
dell’andamento del rischio per la popolazione dei propri assicurati (esempio: una
Compagnia che assicuri prevalentemente impiegati non fumatori avrà un
andamento del rischio diverso da chi assicura operai edili fumatori).
Per determinare l’esatto ammontare del premio è necessario tenere conto
anche delle:
9 regole finanziarie – per determinare qual è il rendimento delle somme
incassate a titolo di premio (più alto è il rendimento ottenibile più basso
sarà il premio di base) (ipotesi finanziaria);
9 spese necessarie – per gestire l’attività assicurativa vita (dall’emissione del
contratto alla gestione dei capitali accumulati, sino alle spese necessarie
per pagare i sinistri) (ipotesi di spesa).
66
Sono tavole numeriche elaborate dall’ISTAT, in occasione dei censimenti della
popolazione italiana che partenda da una popolazione teorica iniziale di 100.000 individui in età
zero, indicano per ogni età: il numero dei viventi, dei morti, la frequenza di morte, la vita media.
1
In questo modo si può determinare il premio per tutti i rischi che rientrano nella
statistica delle tavole di mortalità.
Vi possono essere situazioni che sono talmente più gravi della media da
non poter essere assicurate o da poter essere assicurate solo a condizioni
particolari (ad es. un infartuato oggi conduce una vita pressoché regolare ma la
sua probabilità di morte è molto più alta di quella di un individuo sano).
Per determinare il rischio si utilizzano due sistemi: il questionario sanitario che fa
parte delle dichiarazioni dell’assicurato, le visite mediche che prevedono esami
diagnostici via via più approfonditi man mano che la somma assicurata diventa
più elevata o, in certi casi, cresce l’età dell’assicurato.
Le dichiarazioni dell’assicurando vengono rilasciate su un apposito questionario
anamnestico e riguardano il suo stato di salute attuale e pregresso. L’assicurando
deve sottoscrivere tali dichiarazioni attestando la veridicità di tutto quanto
dichiarato e esprimendo la consapevolezza delle conseguenze in caso di
dimostrata non veridicità delle dichiarazioni.
Le visite mediche e gli ulteriori accertamenti sanitari possono essere richiesti
dall’assicuratore in base alla gravità del caso. L’assicuratore, in presenza di
particolari situazioni sanitarie (ad es. portatori di particolari malattie) può
addirittura indicare presso quali strutture sanitarie o medici, di sua fiducia, far
visitare l’assicurando. Così come l’assicuratore può richiedere documentazione o
cartelle cliniche relative a interventi chirurgici cui è stato sottoposto l’assicurando
in passato.
Quando la compagnia richiede unicamente le dichiarazioni scritte ed emette la
polizza “senza visita medica” il contratto conterrà una clausola detta di carenza67,
che limita per i primi 180 giorni la prestazione. In sostanza la compagnia, a fronte
di una situazione di rischio della quale non ha la rappresentanza esatta, si tutela
con questo periodo di tempo entro il quale limita ad alcuni soli casi il pagamento
della prestazione.
67
Nel caso di assunzione del rischio senza visita medica, se il decesso dell’assicurato
avviene nei primi 180 giorni ed è causato da infortunio o da malattia indicata specificamente in
polizza (malattie a decorso estremamente rapido) l’assicuratore liquiderà il capitale assicurato.
Altrimenti qualora il decesso dell’assicurato dipenda da altre cause/malattie in virtù della
condizione di carenza l’assicuratore corrisponderà una somma pari ai soli premi versati dal
contraente.
1
In contratto rimangono inoltre convenute diverse modalità di affrontare il
problema del decesso dovuto alla sindrome da immunodeficienza acquisita
(AIDS) in funzione del tempio e degli accertamenti effettuati.
Dalle risposte del questionario sanitario o dalla visita medica per la stipula della
polizza possono emergere delle condizioni di salute che aggravano pesantemente
il rischio. In questi casi o in caso di professioni particolarmente pericolose, si
parla di rischi tarati68 che comportano un maggior rischio di mortalità e una
difficoltà di valutazione. Le imprese di assicurazione chiedono dei soprapremi
pari alla differenza tra il premio derivante dalle tavole di mortalità di rischi tarati
(elaborate in Italia dal Consorzio Italiano Rischi Tarati - CIRT69) e quello delle
tavole di rischi normali.
68
E’ il rischio che presenta, per ragioni sanitarie e/o extra sanitarie, una sopramortalità che
si traduce in un presumibile maggior costo delle prestazioni garantite dall’assicuratore,
comportante la richiesta del premio superiore.
69
Organismo costituito fra le imprese opranti in Italia nel Ramo Vita. Ad esso viene
delegato il compito della tariffazione dei rischi vita anomali sotto il profilo sanitario per consentire
l’atto di previdenza alla maggior parte di coloro cui verrebbe altrimenti rifiutata l’assicurazione
sulla vita.
1
4.2
L’attività delle imprese di assicurazione sulla vita nell’ambito del
sistema finanziario
Con il contratto di assicurazione sulla vita, l’assicuratore, in corrispettivo di
un premio unico o periodico si obbliga a pagare un determinato capitale o a
corrispondere una determinata rendita al verificarsi di un evento attinente alla
vita umana.
Il rischio che grava sull’assicuratore è dunque in funzione della durata della vita
dell’assicurato, e la relativa delimitazione è quella che risulta dalla precisazione
degli eventi che influiscono sulla durata stessa (età, stato di salute, professione
dell’assicurato).
Tale tipologia di rischio (demografico) viene considerata nella fissazione del
premio da parte dell’impresa attraverso la definizione di apposite ipotesi
demografiche che vengono effettuate sulla base di tavole di mortalità e
consentono all’impresa di determinare una parte di premio che può essere definita
come “premio di rischio”.
Nella fissazione della propria prestazione (relativa alle somme che verranno
versate al beneficiario del contratto al verificarsi dell’evento) l’impresa di
assicurazione dovrà anche tenere in considerazione il fatto che il contraente
verserà i premi in anticipo rispetto al verificarsi dell’evento e che tali premi
saranno in grado di produrre un incremento finanziario.
Nella determinazione del premio si considererà anche un’ipotesi finanziaria
attraverso la quale verrà determinato il tasso di rendimento che si prevede di
ricavare dell’investimento finanziario dei premi corrisposti dagli assicurati (cd.
tasso tecnico di tariffa). Tale parte di premio viene comunemente definita come
“premio di risparmio”.
Il premio puro è perciò composto dalla somma del premio di rischio e del premio
di risparmio.
Normalmente l’assicuratore riconosce all’assicurato un rendimento minimo
garantito sulle somme da questi versate, garantendo in sostanza anche la
1
corresponsione di un tasso di interesse70, inferiore ai tassi correnti di mercato.
Tuttavia esso viene definito al momento della stipula del contratto e rimane in
vigore per tutta la durata contrattuale e perciò per un lasso di tempo generalmente
lungo.
In periodi di stabilità dei tassi di interesse la corresponsione di un tasso garantito
minimo non costituiva un problema per le imprese di assicurazione e negli anni
caratterizzati da tassi di interesse in ascesa, ciò consentiva loro di beneficiare dei
rendimenti maggiori che potevano essere ottenuti dalle stesse sul mercato dei
capitali. Ciò comportava, dal lato della domanda, una mancanza di competitività
del prodotto assicurativo rispetto ad impieghi alternativi di investimento del
risparmio.
Intorno agli anni ottanta le imprese di assicurazione affiancarono ai
prodotti tradizionali altre forme di assicurazione sulla vita, in grado di valorizzare
maggiormente la componente finanziaria al fine di garantire agli assicurati
prestazioni il cui potere di acquisto fosse difeso, almeno in parte, nel tempo.
Si diffusero le polizze rivalutabili, con le quali l’assicurato partecipa ai risultati
finanziari ottenuti dall’impresa attraverso l’investimento delle riserve.
Nelle polizze rivalutabili le prestazioni dell’assicuratore sono ancorate al reddito
degli investimenti che confluiscono in una gestione separata delle riserve
matematiche, esse prevedono unitamente ad un rendimento minimo garantito
anche una partecipazione agli utili della gestione che aumenta il capitale
assicurato senza la richiesta di ulteriori premi ai contraenti71.
In tali tipologie di polizze la garanzia di rendimento minimo può avvenire su base
annua o al momento della liquidazione del capitale. In ogni caso, il sottoscrittore
della polizza ha diritto al massimo tra il valore del capitale ottenuto attraverso la
gestione separata e l’ammontare del capitale garantito a scadenza.
70
Al fine di evitare che una diminuzione dei tassi di interesse possa determinare
l’impossibilità o la difficoltà per l’impresa di adempiere le proprie obbligazioni il d.lgs. 174/1995
stabilisce che “ …. L’Isvap fissa con proprio provvedimento, per tutti i contratti da stipulare che
contengono una garanzia di tasso di interesse un tasso di interesse massimo che non potrà
superare il 60% del tasso medio dei prestiti obbligazionari dello Stato”. I relativi provvedimenti
dell’Isvap sono il n. 79/1995 e il n. 1036 del 1998.
71
A. Floreani, S. Rigamonti (1999). La vigilanza e le garanzie finanziarie
1
L’impresa con la garanzia di rendimento minimo assume, quindi, un rischio legato
alla circostanza che negli anni successivi alla stipulazione del contratto essa non
riesca ad investire sul mercato dei capitali in attività che le consentano di
realizzare rendimenti uguali o superiori a quelli garantiti; e tale circostanza, può
realizzarsi concretamente, ad esempio, nei momenti in cui i mercati finanziari
sono caratterizzati dalla discesa dei tassi di interesse, potendosi determinare una
riduzione nei flussi futuri e nei valori di mercato degli attivi sottostanti, o nei
momenti in cui un rialzo dei tassi di interesse possa generare delle minusvalenze
sul valore degli attivi.
In tale ambito, un peso importante assume la verifica degli strumenti operativi e
gestionali utilizzati dalle imprese di assicurazione per misurare e gestire i rischi
finanziari connessi al loro portafoglio, sia dal lato degli investimenti sia dal lato
degli impegni.
In tale ottica si avverte anche l’importanza dell’uso da parte delle imprese di
assicurazione di tecniche di gestione integrata dell’attivo e del passivo, in cui le
tecniche di asset-liability management rivestono un ruolo centrale.
Ai rischi normalmente connessi all’attività assicurativa, definiti rischi tecnici72
o attuariali (quali il rischio di sottotariffazione, di sovrasinistralità e di
insufficienza delle riserve tecniche) si aggiungono i rischi legati agli investimenti
compiuti dalle imprese di assicurazione, che sono gli stessi rischi cui sono esposti
gli intermediari finanziari.
Essi sono legati al fatto che le attività e le passività degli intermediari finanziari
scadono in tempi differenti e risultano, perciò, esposte a tutte le tipologie di
rischio collegate alle fluttuazioni dei mercati finanziari. In sostanza, le imprese
sono esposte al rischio di conseguire rendimenti diversi, ed eventualmente anche
inferiori, rispetto al rendimento atteso al momento dell’assunzione dell’impegno,
oppure rispetto ad un rendimento minimo ritenuto accettabile.
72
Una classificazione e descrizione dei rischi cui è esposta l’impresa assicurativa è riportata
nel Quaderno Isvap n.6, (1999) ove vengono indicate anche le misure di prevenzione previste dalla
normativa comunitaria per i medesimi rischi.
1
Una classificazione generale dei rischi cui è esposta una impresa di assicurazione,
ai fini delle tecniche di risk management, è proposta da D. Babbel e A. Santomero
(1999), che riportano sia la classificazione dei rischi proposta dalla Society of
Actuaries’ Commitee on Valuation and Related Problems, sia la classificazione
normalmente proposta dall’industria assicurativa.
Babbel e Santomero (1999) distinguono quattro macroclassi di rischio ed indicano
i rimedi più comunemente utilizzati dalle imprese per gestirli :
9 Rischio attuariale, derivante dall’inadeguatezza delle basi tecniche sulle
quali è stato costruito il premio puro. Si tratta, in sostanza delle assunzioni
circa le probabilità degli eventi sinistrosi e del tasso tecnico utilizzato nel
calcolo del premio. Tale tipologia di rischio consiste nella probabilità di una
modificazione dei fattori demografici o finanziari attuariali utilizzati nella
stima iniziale;
9 rischio di mercato, inteso come la componente di rischio “non
diversificabile” all’interno dell’attività assicurativa. Esso si riferisce alla
probabilità che il valore dell’attivo e del passivo dell’impresa cambino in
relazione a fattori esterni, quali possono essere le variazioni dei tassi di
interesse, dei valori dei titoli, ed in generale, delle condizioni di
reinvestimento. Può manifestarsi in modi differenti ed essere relativo ai tassi
di interesse, al valore delle azioni, all’andamento dei cambi, all’inflazione;
9 rischio di credito, collegato al rischio di insolvenza del proprio debitore il
quale potrebbe non essere in grado di adempiere alle proprie obbligazioni.
Tale rischio è difficile che possa essere eliminato completamente in quanto
può nascere da fattori sistemici;
9 rischio di liquidità che fa sì che l’impresa non possa trasformare gli
investimenti in liquidità nei tempi previsti senza sopportare perdite in conto
capitale.
La conoscenza del proprio profilo di rischio è indispensabile per le imprese di
assicurazione sia sotto il profilo commerciale, per le strategie di pricing che sotto
quello gestionale, per orientare concretamente il processo decisionale.
1
All’interno dell’area del risk management l’analisi dei rischi di mercato ha
acquisito negli anni un’importanza crescente da parte delle imprese assicurative,
come già accaduto nel passato nel settore bancario che ha sviluppato propri
modelli.
Altrettanta importanza viene riconosciuta dagli organismi di Vigilanza in ordine
agli strumenti utilizzati dalle imprese per la valutazione dei rischi finanziari.
Le tecniche di misurazione e valutazione di questo rischio nell’ambito di un
portafoglio integrato di attività e passività delle imprese di assicurazione è stata la
base su cui si sono costruiti modelli di gestione volti alla determinazione del
composizione ottimale rischio/rendimento. Attraverso tali modelli muta la visione
manageriale delle imprese collegando strettamente la determinazione dei premi, le
politiche di investimento, la strategia di crescita dell’impresa.
Dal punto di vista della Vigilanza ciò che rileva in tale sede è soprattutto che
l’impresa disponga di un portafoglio ottimale di attività a copertura delle riserve
tecniche, che sia coerente con il principio del close matching tra flussi dell’attivo
e del passivo, ma che tenga anche conto della dinamica dei flussi futuri.
L’interesse delle imprese di assicurazione sulla vita alla valutazione
dell’esposizione al rischio di mercato (ed in particolare ai rischi connessi alla
discesa dei tassi di interesse) si è sviluppato negli Stati Uniti a partire dagli anni
’70, quando l’aumento dell’inflazione fece crescere i tassi di interesse e indusse i
risparmiatori a cercare investimenti con rendimenti superiori all’inflazione.
Il mercato assicurativo statunitense fu interessato da questo fenomeno in quanto
gli assicurati presero in prestito capitali dalle proprie polizze vita ed investirono i
proventi in investimenti più redditizi.
I risparmiatori indirizzarono i loro risparmi nei money market mutual funds (fondi
del mercato monetario che corrispondevano rendimenti superiori a quelli massimi
corrisposti dagli istituti di credito). Le imprese di assicurazione furono costrette a
progettare e commercializzare nuovi prodotti sensibili ai tassi di interesse,
assumendo un elevata esposizione al rischio di credito, senza considerare i
necessari allineamenti tra l’attivo e il passivo. Il risultato fu che nel 1987 fallirono
19 imprese, nel 1989 40, nel 1991 furono 58 (Brys de Varenne, 1996).
1
Fino ad allora gli assicuratori avevano indirizzato le proprie scelte nella
convinzione che i tassi di interesse rimanessero stabili ed erano state sottovalutate
le opzioni insite (embedded options) nei contratti. In virtù di tale opzioni
l’assicurato può scegliere la forma di pagamento preferita alla scadenza del
contratto (rendita o capitale), contrarre un prestito con il capitale accumulato nella
polizza, versare premi più elevati rispetto a quanto stabilito, ottenere il riscatto del
contratto o la proroga dello stesso alla scadenza. Un ulteriore opzione insita può
essere considerata la previsione di un rendimento minimo garantito nel contratto.
In particolare, nei contratti di assicurazione con rendimento minimo garantito si
può ritenere che l’assicurato detenga un portafoglio di attivi (costituito dalla
partecipazione alla gestione separata) di cui l’impresa è gestore e su cui esiste di
fatto un’opzione put a favore degli assicurati esercitabile ad un prezzo di
esercizio, pari al valore del capitale minimo garantito. Al momento della
liquidazione (o annualmente) l’assicurato ha diritto al massimo tra il valore del
portafoglio di investimenti e l’ammontare del capitale minimo maturato (A.
Floreani, S. Rigamonti, 1999).
In altri termini, il tasso minimo garantito può essere considerato come un’opzione
il cui valore deve tener conto delle aspettative sui tassi e dovrebbe essere
incorporato nel prezzo del premio, come elemento finanziariamente distinto dalle
altre componenti.
Studi specifici hanno dimostrato che gli assicurati esercitano più frequentemente
le opzioni di riscatto o di prestito su polizza quando i tassi di interesse aumentano
(D. F. Babbel, 1997). Al contrario, se i tassi di mercato scendono i consumatori
tendono a rimanere più a lungo nei contratti assicurativi, in quanto i tassi di
interesse riconosciuti dalle imprese di assicurazione risultano, di norma, più
attraenti rispetto alle altre opportunità del mercato.
Tale tipologia di rischi (legati alla variabilità dei tassi di interesse e all’esercizio
delle opzioni insite da parte degli assicurati) non era stata sufficientemente
considerata negli anni precedenti caratterizzati da una sostanziale stabilità dei tassi
di interesse.
1
La presenza di un rischio di interesse si è manifestata anche in area europea in
questi ultimi anni caratterizzati da una discesa dei tassi, con particolare riguardo
all’opzione relativa al rendimento minimo garantito.
In Italia, ad esempio, la repentina discesa dei tassi ha reso più stringente il
vincolo di bilancio per le imprese vita il cui portafoglio era caratterizzato in
passato dalla presenza di tassi minimi garantiti e partecipazione ai risultati della
gestione finanziaria, la cui portata economica era irrilevante al momento della loro
vendita, dato il contesto di elevati rendimenti e la quasi totale assenza di rischio
sulla parte preponderante degli investimenti costituita da titoli di Stato.
La discesa dei tassi di interesse, avvenuta negli anni seguenti, ha determinato la
presa di coscienza del problema connesso alla presenza nel portafoglio di prodotti
che assicuravano alla scadenza un rendimento superiore a quello che si poteva
ottenere in quel momento sul mercato finanziario.
A partire dal 1997 le imprese vita hanno progressivamente aumentato la quota
degli attivi a copertura costituita da titoli obbligazionari a tasso fisso, con una
tendenza ad un allungamento delle scadenze; alcune imprese, hanno fatto ricorso
per la prima volta a titoli strutturati, caratterizzati da lunga durata, rendimento
minimo garantito, e rendimenti variabili basati sui tassi swap a lungo termine, allo
scopo di immunizzare i rischi del tasso minimo presente nelle polizze rivalutabili
già emesse.
E’, inoltre, aumentata l’offerta di strumenti assicurativi nei quali il rischio
derivante dall’andamento delle variabili di mercato viene di fatto ad essere
trasferito in tutto o in parte sull’assicurato, come nel caso delle polizze unit linked
e index linked.
L’attenzione delle imprese si è focalizzata su una più attenta gestione degli attivi a
copertura e sulla strutturazione di nuovi prodotti assicurativi.
E’ emersa, inoltre, sempre più la consapevolezza che la sola rappresentazione in
bilancio delle riserve e degli investimenti posti a loro copertura non fornisce
strumenti informativi circa i rischi derivanti dagli effetti dell’evoluzione delle
variabili finanziarie, a seconda della dimensione temporale delle poste sia
dell’attivo che del passivo.
1
In tale contesto, le tecniche di Asset Liability Management (ALM) si sono
sviluppate per far fronte al rischio di tasso di interesse, l’evoluzione successiva ha
permesso di comprendere anche rischi diversi da quelli di tasso ed i modelli di
ALM si sono trasformati in uno strumento utile per la gestione integrata dei rischi
finanziari cui è esposta l’impresa. Si è passati da modelli sostanzialmente statici di
allineamento dei cash flows a modelli dinamici, che si basano su una serie di
scenari possibili delle diverse condizioni economiche sia generali che
dell’azienda, in grado di valutare, attraverso apposite statistiche, diverse
alternative strategiche. Da queste si può arrivare a creare una funzione, cd.
frontiera efficiente, che rappresenta le strategie in grado di realizzare il massimo
rendimento finanziario per un dato livello di rischio.
Partendo perciò dalla semplice ottica di misurazione del rischio di tasso di
interesse i modelli elaborati costituiscono uno strumento in grado di orientare le
scelte strategiche in funzione non solo della solvibilità, ma anche degli obiettivi di
crescita, delle dimensioni del capitale impiegato e del controllo del valore
dell’azienda nel tempo.
1
4.2.1 L’asset liability management per le imprese vita
I modelli ALM sono fondamentali nel verificare la solvibilità prospettica,
e non solo immediata, di una compagnia (il che rappresenta un obiettivo
importante tanto per il management e gli azionisti della compagnia, che per
l’Autorità di Vigilanza),ma il loro possibile utilizzo in chiave gestionale va anche
oltre tale finalità.
La capacità di modellare e di simulare la possibile dinamica futura delle poste
dell’attivo e del passivo può consentire di compiere in maniera più consapevole
molte delle scelte chiave che spettano al management. Si consideri, ad esempio,
la necessità di valutare l’impatto sui periodi futuri di determinate scelte nella
gestione del portafoglio titoli, dell’adozione di ipotesi più pessimistiche o
ottimistiche nella dinamica dei riscatti e dei nuovi ingressi, del possibile brusco
modificarsi del portafoglio di attivi a copertura e di passivi di singole gestioni
separate a seguito di operazioni di fusione, acquisizione o scorporo di società del
gruppo o esterne ad esso e delle relative reti distributive. Sarebbe quindi riduttivo
confinare i modelli di ALM a strumenti per il puro adempimento di un pur
fondamentale obbligo da parte dell’Autorità di Vigilanza; infatti, una significativa
parte del valore aggiunto del ricorso a simili modelli risiede proprio in una più
consapevole assunzione delle scelte di gestione (non solo finanziaria) che
caratterizzano tipicamente una impresa vita73
Sotto il profilo gestionale, un modello di ALM fornisce, come è intuibile, il suo
maggiore contributo nel caso delle gestioni di ramo primo, sia per gli impegni in
termini di rendimento minimo che caratterizzano tali prodotti, sia per il loro peso
all’interno dei bilanci delle imprese.
In generale, quindi, l’asset e liability management di una impresa vita può
essere considerato come l’insieme delle metodologie e dei processi a supporto
delle scelte gestionali volte a configurare la combinazione dell’attivo e del
73
Swiss Re (2000).
1
passivo dell’impresa (considerata sia nel suo complesso che limitatamente a
specifici sottoinsiemi di attività e passività) secondo il profilo di rendimento
atteso e rischio ritenuto ottimale, sulla base delle informazioni e delle ipotesi di
scenario disponibili, avendo particolare riferimento al profilo dei rischi finanziari
sopportati. È utile evidenziare come la definizione fornita vuole sottolineare in
particolare cinque aspetti:
(a) l’ALM fa riferimento non solo alle metodologie di misurazione e controllo dei
rischi finanziari, ma anche ai processi organizzativo-gestionali attraverso i
quali tale attività si realizza;
(b) le metodologie e i processi di ALM possono essere riferiti a un duplice livello,
e cioè sia a livello dell’impresa nel suo complesso (livello che definiamo come
“macro”) che a livello di una singola porzione specifica di attività e passività,
rappresentata tipicamente dalla singola gestione separata (livello “micro”). Per
quanto forte sia l’esigenza di giungere a una visione integrata a livello di tutta
l’impresa dei rischi complessivi sopportati, le tecniche di ALM devono anche
supportare alcune importanti scelte a livello della singola gestione separata.
Anche in questo senso l’ALM di una impresa vita risulta radicalmente
differente da quello di altri intermediari finanziari quali tipicamente le banche,
in cui il livello di analisi definito come micro è di fatto inesistente in quanto
non esiste un legame strutturale tra andamento di alcune poste del passivo e
dell’attivo, cosa che invece caratterizza i prodotti rivalutabili di ramo primo:
l’ammontare di riserve varia in funzione del rendimento realizzato dalle
attività a loro copertura;
(c) l’ALM non ha necessariamente l’obiettivo di annullare i rischi finanziari,
immunizzando completamente l’impresa dalle variazioni dei fattori di
mercato, ma piuttosto quello di far ottenere il profilo di rischio-rendimento
ritenuto pro tempore ottimale; è quindi necessario da un lato identificare una
variabile obiettivo espressiva del rendimento atteso, e dall’altro una
corrispondente misura di rischio;
1
(d) la valutazione delle strategie ritenute “ottimali” è sempre compiuta sulla base
delle informazioni disponibili, e subordinata alla correttezza delle ipotesi
adottate non solo sul possibile andamento dei mercati, ma anche sulle scelte in
tema di trattamento contabile delle attività a copertura delle riserve
(assegnazione al comparto durevole o meno), sulla dinamica del passivo (ad
esempio, andamento dei riscatti e dei versamenti aggiuntivi) e sulle strategie
commerciali messe in atto dall’impresa (ad esempio, introduzione di nuovi
prodotti che potrebbero ridurre la percentuale di mantenimento dei premi
ricorrenti collegati ai prodotti in essere), sulle possibili operazioni di M&A (ad
esempio scorporo di parte della rete distributiva), e così via. La selezione delle
strategie non è quindi un esercizio meccanico, ma il risultato di una attenta
valutazione delle alternative perseguibili che richiede il pieno coinvolgimento
di numerosi attori, ognuno dei quali dovrà contribuire a fornire i dati di input
necessari a modellare congiuntamente la dinamica dell’attivo e del passivo;
(e) l’ALM fa riferimento prevalente, ma non esclusivo, ai rischi di natura
finanziaria; ciò significa che benché la gestione dell’esposizione al rischio
finanziario complessivo derivante dalla combinazione dell’attivo e del passivo
rappresenti il cuore dell’asset
e
liability management, esso deve
necessariamente sia considerare attentamente l’impatto in termini finanziari
dei rischi di altra natura (quali quelli demografici), sia giungere a proporre
soluzioni che possono anche coinvolgere una ridefinizione delle caratteristiche
e del mix dei prodotti offerti, finendo così talora per influenzare anche le altre
tipologie di rischio assunte dall’impresa.
Il tentativo di sviluppare l’Asset-Liability Management per le imprese di
assicurazione come strumento di gestione richiede non solo di compiere le scelte
metodologiche circa le misure obiettivo e le misure di rischio da adottare, ma
anche di definire o ridefinire i processi organizzativi attraverso i quali le scelte di
gestione integrata dell’attivo e del passivo devono essere assunte. L’enfasi
1
sull’importanza dei processi organizzativi è decisiva, in quanto è chiaro il rischio
che in assenza di un’adeguata attenzione rivolta a questo aspetto anche il più
valido fra i possibili modelli di ALM finisca con l’essere di fatto non
adeguatamente utilizzato e quindi improduttivo. Sotto il profilo dei processi,
peraltro, è difficile pretendere di voler definire una sola soluzione tipo adattabile a
qualsiasi impresa. Troppo rilevanti, almeno in questa fase, sono le differenze che
vi possono essere da impresa sotto almeno quattro profili: le dimensioni, il peso
delle diverse linee di prodotto (e in particolare il peso delle linee di ramo primo)
sullo stock di riserve e sui flussi di nuova produzione, le eventuali scelte di delega
parziale o totale all’esterno della gestione del portafoglio titoli a copertura delle
riserve, e infine il livello di sofisticazione del modello di ALM adottato. E’
comunque possibile svolgere alcune brevi considerazioni di natura generale.
In primo luogo, l’introduzione di modelli e di processi di gestione integrata
dell’attivo e del passivo richiede di rendere condivise e sottoposte a un vaglio
collegiale numerose scelte (si pensi alla definizione delle politiche di
retrocessione o delle strategie di investimento di lungo termine) che toccano
funzioni diverse. Nell’introdurre quindi un modello di ALM che guidi le decisioni
aziendali nel lungo periodo, è importante che tutte le funzioni coinvolte si
riconoscano e condividano il modello adottato, visto che esse dovranno da un lato
fornire gli input al modello per le parti di propria competenza (definendo chi i
tassi di mortalità, di proroghe e di riscatto, chi le previsioni sui tassi di crescita
della nuova produzione, chi le ipotesi sull’andamento dei mercati), e dall’altro
lato accettare gli output forniti dal modello come un realistico aiuto nella scelta
fra diverse decisioni alternative. Il coinvolgimento delle diverse funzioni può
essere faticoso, e può richiedere l’intervento dell’alta direzione nel caso si
manifestino delle resistenze all’innovazione da parte di alcuni degli attori in
gioco, ma è probabilmente uno degli elementi chiave per il successo
dell’introduzione di un nuovo modello e di un nuovo processo di ALM.
La seconda considerazione è che la ridefinizione del processo di asset e
liability management non può essere fatta coincidere tout court con la creazione di
1
un Comitato ALM. Tale condizione può essere in molti casi necessaria, ma
certamente non è sufficiente al fine di garantire un efficace processo decisionale
nelle scelte che coinvolgono l’intera struttura attivo-passivo dell’impresa. E’ del
resto esperienza comune che la qualità delle decisioni assunte da un’impresa non è
di per sé direttamente proporzionale al numero di funzioni aziendali coinvolte
nella decisione stessa, specie se non sono state definite con chiarezza le
responsabilità di ciascuna di esse. Ciò vale a maggior ragione in quanto la
necessità in alcuni casi di assumere collegialmente, e in altri casi di sottoporre in
modo organico al vaglio di altre funzioni alcune delle decisioni chiave della
strategia aziendale, non significa espropriare della loro autonomia decisionale i
responsabili delle singole funzioni, né, al tempo stesso, consentire loro di sfuggire
alle proprie responsabilità per le scelte che sono loro specifiche.
Se quindi è importante costituire un Comitato ALM, è altrettanto importante quali
debbano essere le decisioni (verosimilmente poche, infrequenti e strategiche) che
ricadono sotto la responsabilità congiunta e collegiale dei membri del Comitato, e
quali le decisioni che, pur potendo o dovendo essere discusse all’interno del
Comitato stesso, rimangono sotto la responsabilità individuale dei singoli soggetti
coinvolti.
Anche il modello di ALM adottato, quindi, dovrebbe essere visto come uno
strumento volto a garantire che l’impresa assuma decisioni organiche sulla base di
un insieme di ipotesi di partenza condivise fra le diverse funzioni aziendali,
sebbene il modello potrà talora essere utilizzato in alcune sue parti anche solo da
singole funzioni come supporto per le scelte (di breve periodo e di natura tattica)
che rientrano nella specifica sfera di competenza.
Come terza e ultima osservazione, è inevitabile che la modifica dei processi
aziendali possa richiedere del tempo per diventare realmente efficace, come del
resto anche l’esperienza del settore bancario nell’introduzione dei modelli di
ALM insegna. Anche per questo è importante che l’alta direzione sia pienamente
convinta della rilevanza del contributo che i modelli e i processi di ALM possono
dare nel perseguire insieme la stabilità dell’impresa e la creazione di valore per
l’azionista. Solo in questo modo, infatti, l’alta direzione potrà garantire in modo
continuativo il suo supporto e il suo pungolo allo sviluppo dei processi di ALM,
1
evitando il rischio di accontentarsi di soluzioni di facciata (la scelta di un modello
di ALM magari operativamente non utilizzato, la costituzione di un Comitato di
ALM puramente formale o troppo burocratico) che non riuscirebbero realmente a
incidere sulla qualità delle decisioni tattiche e strategiche assunte dall’impresa.
1
4.2.2
La vigilanza e le garanzie finanziarie nelle imprese del ramo vita, in
chiave solvibilità
Il rischio di investimento nel sistema normativo europeo è considerato sia
nel calcolo del margine di solvibilità74 sia nelle disposizioni che presiedono
all’accantonamento delle riserve tecniche ed alla relativa copertura.
In particolare, è previsto, per le imprese di assicurazione sulla vita che il calcolo
delle riserve debba essere effettuato in base ad una prudente valutazione,
intendendo per tale “una valutazione che comprenda un margine ragionevole per
variazioni sfavorevoli dei fatti pertinenti”.
In sostanza, deve essere previsto nell’accantonamento delle riserve tecniche un
margine di sicurezza destinato a far fronte a probabili eventi sfavorevoli.
Ciò comporta che anche nel calcolo delle riserve si debba tenere conto del
matching tra impegni ed investimenti. Il miglior allineamento tra riserve tecniche
ed attivi a copertura, in termini di durata e di rendimenti, riduce infatti la
necessità di disporre di un margine di sicurezza.
A tal fine sono possibili vari modelli per stimare tali rischi, ma i più comuni
utilizzati nei paesi europei sono basati su stress test in relazione a scenari
predefiniti.
Il paese che dispone di una specifica regolamentazione è il Regno Unito,
dove è previsto che le imprese vita debbano effettuare annualmente il Resilience
test al fine di valutare se possibili variazioni avverse dei tassi di interesse possano
rendere insufficiente il valore degli attivi a coprire gli impegni.
La misura si rende particolarmente necessaria nell’ordinamento inglese in quanto,
come è noto, la valutazione degli attivi in bilancio avviene non in base al valore
storico (d’acquisto), ma in base al valore di mercato.
74
Vedi il capitolo precedente riguardante il progetto Solvency II
1
L’applicazione del Resilience test non è priva di problemi ed ambiguità
evidenziate da uno studio di D.E. Purchase et al. (1989), tuttavia non evidenzia
particolari difficoltà nell’applicazione pratica.
In particolare, si suppone che dopo la chiusura dell’esercizio i tassi di interesse,
che possono essere ottenuti sul mercato dei titoli a reddito fisso, cambino secondo
valori stabiliti dall’autorità di controllo e che, nello stesso tempo, anche il valore
delle azioni degli immobili e di altri investimenti si riducano secondo diversi
parametri.
Il test deve essere effettuato da un attuario e richiede, in sostanza, che venga
considerata l’adeguatezza delle riserve e delle relative attività a copertura in un
contesto di improvvisa discesa del valore degli attivi di una percentuale stabilita
(azioni o investimenti simili inclusi quelli immobiliari) e nel cambiamento del
valore dei titoli di miglior standing e degli altri titoli a reddito fisso derivante da
un innalzamento o una diminuzione dei tassi di interesse.
Si può notare che il mismatching è qui usato in uno specifico contesto, che tende
a valutare il saldo netto tra il valore aggregato degli attivi e dei passivi derivante
dal cambiamento del livello dei tassi di interesse.
Questo test può essere anche definito come big bang mismatching per
distinguerlo dal cash flow (mis)matching usato nella tradizionale teoria attuariale.
Attualmente vengono utilizzate differenti ipotesi:
1
aumento dei tassi di rendimento di tre punti percentuali per i titoli a reddito
fisso e diminuzione del valore degli investimenti in azioni e beni immobili del
25%;
2
diminuzione dei tassi di rendimento del 20% per i valori a reddito fisso e
diminuzione del valore degli investimenti in azioni ed immobili del 10%;
3
diminuzione dei tassi di rendimento del 10% per i titoli a reddito fisso e
diminuzione del valore degli investimenti del 25%.
Il valore delle riserve matematiche viene invece modificato applicando alle
riserve il tasso di interesse massimo fissato dall’autorità di vigilanza in funzione
1
del rendimento degli attivi, previa deduzione di un margine di sicurezza fissato
anch’esso dalla medesima autorità75.
Se emerge un disallineamento tra il valore modificato dell’attivo rispetto a quello
del passivo (ottenuto applicando i differenti parametri) l’impresa deve provvedere
ad un accantonamento supplementare, mediante la costituzione di una apposita
riserva, cd. riserva per il test di resilience, necessaria a coprire l’eventuale deficit.
In sostanza il test di resilience misura l’elasticità del passivo rispetto all’attivo in
funzione della correlazione temporale dei cash flows: maggiore è il grado di
correlazione, minore sarà la riserva integrativa da costituire.
Il sistema suggerito consiste nella ripartizione degli attivi in relazione alle varie
categorie di passivo (seguendo l’abituale suddivisione di sottoportafogli
omogenei), secondo i valori risultanti dai principi contabili in vigore.
Normalmente il valore degli attivi sarà determinato in base al valore di mercato è
sarà più elevato rispetto al passivo (comprensivo delle riserve matematiche, di
eventuali bonus concessi agli assicurati, tasse e capital gains).
In tale sede dovrà essere posta particolare attenzione alla allocazione delle poste
dell’attivo a seconda delle classi del passivo al fine di minimizzare il grado di
mismatching avuto riguardo alla loro volatilità .
Successivamente, sui valori dell’attivo e del passivo si applicano i parametri di
riduzione o di aumento stabiliti dalle regole sul test di resilience; ciò consente di
capire quale parte del portafoglio contribuisce maggiormente a creare eventuali
squilibri ed in quale direzione vanno i movimenti.
La soluzione finlandese considera i rischi cui è esposta l’impresa di
assicurazione nell’ambito della costituzione di apposite riserve denominate di
equilibrio o di “fluttuazione”.
Esse assolvono il compito di ammortizzare le oscillazioni del risultato di
economico configurandosi come fondi che si alimentano con una parte degli utili
tecnici, negli anni in cui si registrano risultati favorevoli, e dai quali si effettuano
prelievi negli anni in cui i risultati sono invece sfavorevoli.
75
ai sensi dell’art. 18 della direttiva 92/96/CEE.
1
Il modello impiegato si basa sul criterio di “probabilità di rovina”, largamente
usato nella teoria del rischio.
Vengono individuati due livelli di riserva: una minima che garantisca una
probabilità di non rovina pari al 99% nel primo esercizio, e una massima che
garantisca la medesima probabilità di non rovina nei successivi cinque esercizi.
La riserva di equilibrio, così come formulata, tiene in sufficiente considerazione i
rischi tecnici, specie nei rami danni, caratterizzati anche da rilevanti fluttuazioni,
ma non si adatta perfettamente alle imprese vita dove le fluttuazioni di risultati
sono meno evidenti e non considera sufficientemente i rischi di investimento.
A tal fine è obbligatorio in Finlandia che il consiglio di amministrazione
dell’impresa definisca un piano di investimenti che prenda posizione sul
matching tra riserve ed attivi a copertura in termini di durata e di rendimenti e di
rischio di credito.
Sulla base di ciò può ritenersi che l’attuale regolamentazione finlandese tiene in
considerazione il rischio di investimento nella misura in cui esso è pianificato e
gestito dall’impresa.
Tuttavia in Finlandia sono in corso degli approfondimenti per verificare la
necessità di estendere i requisiti richiesti, ai fini del controllo della solvibilità, ai
rischi di investimento sulla base di indicatori matematici di tipo early warning.
Pur non essendovi al riguardo un preciso obbligo di legge, l’autorità di controllo
richiede alle imprese di comunicare la loro situazione sulla base dei modelli
matematici adottati.
La
Francia,
con
decreto
dell’agosto
1999
e
con
successivo
provvedimento attuativo del dicembre 2000, ha introdotto l’obbligo per le
imprese di monitorare l’esposizione ai rischi finanziari effettuando apposite
simulazioni dell’impatto delle variazioni dei livelli dei tassi di interesse, dei corsi
azionari e dei tassi di cambio sugli attivi e sugli impegni verso gli assicurati.
In proposito, è previsto che le imprese debbono valutare i rischi finanziari in via
permanente, effettuando apposite simulazioni secondo la metodologia indicata
nel decreto attuativo. Inoltre, trimestralmente le imprese devono trasmettere alla
Commissione di controllo i risultati delle simulazioni ed un prospetto riportante
1
la situazione dell’attivo e del passivo sulla base sia del valore contabile, che del
valore di mercato.
Gli scenari ipotizzati, riguardano l’effetto di un aumento o di una diminuzione del
tasso di rendimento dei Titoli di Stato a 10 anni, e di una diminuzione del valore
di realizzo delle azioni, delle quote di fondi o dei valori immobiliari e dei tassi di
cambio.
Il decreto attuativo prevede i criteri in base ai quali devono essere condotte le
simulazioni e lascia alla Commissione di controllo la possibilità di chiedere alle
imprese l’effettuazione delle simulazione sulla base di altre ipotesi.
Il prospetto che le imprese sono tenute a trasmettere trimestrale alla Commissione
non appare rappresentativo di una gestione integrata di attivo passivo quanto
piuttosto una valutazione di impatto (stress test) su singole classi di attivo e di
passivo.
Gli strumenti della vigilanza in materia di garanzia finanziaria previsti
dalla normativa italiana sono articolati su un primo livello che opera a priori ed
attiene alla fase di determinazione della garanzia in materia di tasso di interesse
prima dell’emissione contrattuale ed un secondo livello che interviene nel periodo
di vigenza della garanzia, attraverso un meccanismo che impone alle imprese un
monitoraggio periodico tra impegni assunti in termini di tasso di interesse e
rendimento degli attivi rappresentativi delle riserve tecniche.
Nel primo livello, sebbene le ipotesi sottostanti alla determinazione delle tariffe
spettino all’attuario incaricato, la base finanziaria deve essere fissata nel limite
della garanzia massima da stabilire secondo le regole individuate dalla Vigilanza
nel 1998.
Le imprese sono tenute a confrontare periodicamente i livelli delle garanzie
finanziarie presenti nei prodotti assicurativi con l’evoluzione del livello massimo
di tasso di interesse che può essere venduto sul mercato e, qualora necessario, a
rivedere i contenuti della garanzia sui contratti di nuova emissione.
Il meccanismo di determinazione del tasso massimo da applicare ai contratti di
assicurazione sulla vita ed alle operazioni di capitalizzazione espressi in lire, che
per i contratti con generica provvista di attivi non può, in ogni caso, superare il
1
4%, viene determinato mensilmente con riferimento ad un benchmark
rappresentato dal tasso di rendimento lordo a scadenza del Btp decennale, previa
deduzione di un margine prudenziale del 40%. Tuttavia, al fine di evitare che
variazioni nella curva dei tassi di natura non strutturale si ripercuotano sul livello
massimo di garanzia attraverso la rilevazione periodica del benchmark, le norme
prevedono l’adeguamento solo se le ultime tre rilevazioni si discostano, nello
stesso segno ed in misura superiore ad una banda di oscillazione prefissata, dal
tasso massimo in vigore.
E’ stata, in sostanza, delineata una cornice regolamentare che si pone l’obiettivo
di incorporare una parte dell’alea afferente la garanzia finanziaria in fase di
costruzione delle tariffe.
Naturalmente i margini di prudenza impliciti nell’articolazione appena descritta
trovano i loro limiti nella dinamica dei mercati finanziari e nella situazione
reddituale degli attivi detenuti dall’impresa a fronte degli impegni tecnici.
1
4.3
La disciplina: Direttiva 2002/83/CE
La direttiva 2002/83/CE del 5 Novembre 2002 contiene la disciplina
vigente dell’assicurazione vita, ed è il retaggio della lunga serie di direttive che,
dal 1979 in poi, hanno provato a dare maggior chiarezza alla disciplina. Essa è
parte del corpus normativo relativo all’assicurazione sulla vita che include la
direttiva 91/674/CEE del Consiglio, del 19 Dicembre 1991, relativa ai conti
annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione.
Principi generali
Tra le considerazioni iniziali contenute nella direttiva 2002/83/CE,
il Parlamento Europeo, sostiene la necessità di eliminare le divergenze
esistenti tra le legislazioni nazionali in materia di controllo. Al fine di
realizzare questo scopo e nel contempo assicurare una protezione adeguata
degli assicurati in tutti gli Stati membri, viene ritenuto opportuno
coordinare, in particolare, le disposizioni relative alle garanzie finanziarie
richieste alle imprese di assicurazione vita76.
Sempre nella parte introduttiva è presente il principio77 secondo il quale il
completamento del mercato interno, nel settore dell’assicurazione diretta
sulla vita, deve essere completato sotto il duplice profilo della libertà di
stabilimento e della libertà di prestazione di servizi negli Stati membri.
La direttiva rappresenta perciò una tappa importante verso il
ravvicinamento dei mercati nazionali in un unico mercato integrato, e
l’impostazione che viene adottata consiste nell’attuare le forme di
armonizzazione essenziali, necessarie e sufficienti, a rendere possibile il
rilascio, negli Stati membri, di un’autorizzazione unica valida in tutta la
comunità. Di conseguenza, l’accesso all’attività assicurativa e l’esercizio
della stessa sono subordinati alla concessione di un’autorizzazione
amministrativa unica, rilasciata dalle autorità dello Stato membro in cui
76
Nello specifico ci si riferisce al progetto Solvency II, di cui si è trattato nel capitolo
precedente.
77
Di cui si è parlato più specificamente nel primo capitolo, relativo al Financial Services
Action Plan.
1
l’impresa assicurativa ha la propria sede sociale. Grazie a tale
autorizzazione, l’impresa può svolgere le proprie attività ovunque nella
Comunità.
Ampio spazio viene dedicato alla figura del supervisore, e
vengono indicati i margini che delineano una “non imparzialità”
dell’autorità stessa, con il concetto di stretti legami. Si auspica la
collaborazione tra gli organi di vigilanza e le istituzioni europee, e viene
prevista la possibilità di predisporre un regime di sanzioni uniforme.
Riguardo le compagnie viene formalizzato il principio secondo il
quale l’esercizio dei rami vita e danni non possano essere cumulabili, e per
questo motivo le imprese multiramo dovranno scindersi in due imprese.
Viene spronata la concorrenza fra compagnie per garantire i migliori
standard di prodotto e di prezzo, e vengono puntualizzati alcuni paletti
relativamente alla pubblicità ed all’informazione contrattuale.
Argomento di scottante importanza è la tutela degli assicurati, che
viene perseguita mediante diverse linee guida, prima fra tutte la
costituzione di sufficienti riserve tecniche. Si auspica la necessità di
coordinare le norme concernenti il calcolo delle riserve tecniche, le cui
differenziazioni all’interno degli Stati membri potrebbero diminuire il
livello di sicurezza degli assicurati.
Nel capitolo precedente si è dato ampio spazio al margine di
solvibilità, altro elemento di spicco della tutela degli assicurati stessi. La
direttiva dispone che le imprese di assicurazione siano in possesso, oltre
che di riserve tecniche sufficienti a far fronte agli impegni contratti, di una
riserva complementare, detta appunto margine di solvibilità, rappresentata
dal patrimonio libero e, con l’accordo dell’autorità competente, da
elementi impliciti del patrimonio, destinata ad ammortizzare gli effetti di
eventuali variazioni economiche favorevoli. Questo requisito, recita la
direttiva, costituisce un elemento importante del sistema di vigilanza
prudenziale mirante a proteggere gli interessi degli assicurati.
Viene dedicata attenzione anche alla costituzione di un fondo di garanzia,
costituito da elementi impliciti del patrimonio, e aggiornabile in maniera
1
dinamica in parallelo all’evoluzione dell’indice europeo dei prezzi al
consumo.
Definizioni e campo di applicazione
La direttiva definisce il concetto di impresa di assicurazione
(art.1): ogni impresa che abbia ottenuto l’autorizzazione amministrativa
conformemente al principio di autorizzazione. L’autorizzazione deve
essere richiesta alle autorità dello Stato membro di origine, e vengono
elencate le condizioni per l’ottenimento della stessa: le forme societarie78,
l’esclusività dell’attività assicurativa, la presentazione di un programma di
attività conformi al disposto della direttiva, il possesso del fondo di
garanzia minimo, il rispetto dei requisiti di onorabilità e professionalità
degli operatori.
Il programma di attività è una condizione necessaria per l’ottenimento
dell’autorizzazione e deve contenere alcuni elementi fondamentali: la
natura degli impregni che l’impresa si propone di assumere, i principi in
materia di riassicurazione, gli elementi che costituiscono il fondo minimo
di garanzia, le previsioni circa le spese e i mezzi finanziari destinati a farvi
fronte. Inoltre per i primi tre esercizi sociali l’impresa ha l’obbligo di
esporre le previsioni relative al bilancio, alla tesoreria, e ai mezzi
finanziari destinati alla copertura degli impegni e del margine di
solvibilità.
L’autorizzazione viene accordata per ramo, e, una volta ottenuta, è valida
per l’intera Comunità.
Ogni decisione di rifiuto dell’autorizzazione deve essere adeguatamente
motivata e notificata all’impresa interessata.
Condizioni di esercizio dell’attività assicurativa
78
Per quanto riguarda la Repubblica italiana le forme societarie previste sono “società per
azioni”, “società cooperativa”, “mutua di assicurazione”. Viene prevista la possibilità di utilizzare
la forma della società europea.
1
La vigilanza finanziaria su un’impresa di assicurazione, rientra
nella competenza esclusiva dello Stato membro d’origine. Essa comprende
in particolare la verifica dello stato di solvibilità e della costituzione delle
riserve tecniche, comprese le riserve matematiche, e delle altre attività
esercitate in conformità delle norme comunitarie.
Riguardo le succursali, vige il principio che le autorità competenti dello
Stato membro di orgine possano eseguire controlli ed indagini nello Stato
della succursale, e che quest’ultimo possa a sua volta partecipare alla
verifica.
Gli Stati membri impongono alle imprese di assicurazione la
presentazione di un resoconto annuale, per tutte le operazioni, relativo alla
loro situazione finanziaria e al loro stato di solvibilità.
Gli Stati membri devono altresì consentire alle competenti autorità di
vigilanza di informarsi dettagliatamente circa la situazione delle imprese di
assicurazione e le sue attività complessive, e di prendere nei confronti
dell’impresa di assicurazione e dei suoi rappresentanti
le misure
necessarie per garantire che le attività dell’impresa siano conformi alla
legislazione, ed, infine, di assicurare l’applicazione delle leggi, se
necessario mediante esecuzione coattiva.
Gli articoli 14 e seguenti della direttiva si occupano di disciplinare
dettagliatamente l’esercizio del trasferimento del portafoglio (art.14), la
partecipazione qualificata (art.15), il segreto d’ufficio (art.16), gli obblighi
dei revisori (art.17) e l’esercizio cumulativo (art.18) e la gestione distinta
delle attività di assicurazione vita e non vita.
Riguardo quest’ultima (art.19) la direttiva precisa che le gestione distinta
deve essere organizzata in modo tale che le attività disciplinate siano
separate affinché non si rechi pregiudizio ai rispettivi interessi degli
assicurati dei rami danni e vita, ed affinché gli obblighi finanziari minimi,
in particolare il margine di solvibilità, non siano sostenute dall’altra
attività.
1
In caso di insufficienza di uno dei margini di solvibilità, le autorità
competenti applicano all’attività in cui si riscontra tale insufficienza le
misure previste dalla corrispondente direttiva, a prescindere dai risultati
ottenuti nell’altra attività.
Le riserve tecniche, margine di solvibilità e fondo di garanzia
All’articolo 20 la direttiva dispone la prescrizione a carico delle
imprese di assicurazione di costituire riserve tecniche sufficienti,
delineandone l’ammontare in base ad una serie di principi.
Innanzitutto, nel calcolo delle riserve tecniche, deve essere utilizzato un
metodo attuariale prospettivo sufficientemente prudente, tenendo conto di
tutti gli obblighi futuri conformemente alle condizioni stabilite per ciascun
contratto in corso.
La prudenza viene intesa come valutazione che comprenda un margine
ragionevole per variazioni sfavorevoli dei vari fattori pertinenti.
Le riserve tecniche devono essere calcolate separatamente per ciascun
contratto, ma ciò non impedisce la costituzione di riserve per rischi
generali che non sono riferibili ad elementi singoli.
L’impresa deve mettere a disposizione del pubblico i metodi e le basi
utilizzati
per
la
valutazione
delle
riserve
tecniche,
compreso
l’accantonamento della partecipazione agli utili.
All’articolo 22 la direttiva dispone che gli attivi a copertura delle riserve
tecniche devono tener conto del tipo di operazioni effettuate dall’impresa
di assicurazione in modo da assicurare la sicurezza, il rendimento e la
liquidità degli investimenti dell’impresa, che provvederà all’adeguata
diversificazione e dispersione di tali investimenti.
L’articolo 23 disciplina quali sono le categorie di attivi che lo Stato
membro può autorizzare a copertura delle riserve tecniche, diversificandoli
in: investimenti, crediti, altri attivi. Lo Stato membro non deve
1
necessariamente autorizzare questi attivi, ed in ogni caso l’impresa deve
farne una valutazione prudenziale al netto dei debiti contratti per acquisire
gli attivi stessi.
L’articolo 24 impone determinati paletti relativi alla diversificazione degli
investimenti e delega gli Stati membri a legiferare più dettagliatamente in
materia di attivi consentiti.
Nel capitolo precedente si è parlato approfonditamente del progetto
Solvency II, il quale innoverà profondamente la disciplina del margine di
solvibilità.
Il margine di solvibilità, nella definizione della direttiva, è costituito dal
patrimonio dell’impresa di assicurazione, libero da qualsiasi impegno
prevedibile, comprendente: il capitale sociale versato, le riserve libere, gli
utili o le perdite al netto dei dividendi da pagare, gli utili che figurano
nello stato patrimoniale. La direttiva prevede un’esaustiva elencazione di
elementi che, eventualmente, possono diventare voci del margine di
solvibilità, e all’articolo 28 predispone gli elementi per il calcolo del
margine di solvibilità richiesto.
Il fondo di garanzia corrisponde ad un terzo del margine di solvibilità, e
non può essere inferiore a tre milioni di Euro.
Imprese di assicurazione in difficoltà
Un
elemento
assicurazione
in
qualificante
difficoltà
è
per
individuare
certamente
quella
un’impresa
della
di
mancata
conformazione all’articolo 20 della direttiva, quello dedicato alla
costituzione delle riserve tecniche.
Questo principalmente perché un’impresa che non rispetta le regole
prudenziali su riserve tecniche, margine di solvibilità e fondo di garanzia è
un potenziale rischio per tutte le parti che vengono in contatto con essa,
soprattutto per gli assicurati.
1
L’autorità competente dello Stato membro deve esigere dall’impresa un
piano di risanamento da sottoporre ad esame, qualora ritenga che i diritti
degli assicurati siano a rischio.
Il piano di risanamento devo contenere quantomeno la seguente
documentazione: previsioni relative alle spese di gestione, un piano che
esponga dettagliatamente le previsioni di entrata e di spesa, sia per le
operazioni dirette e per le operazioni di riassicurazione, la situazione
probabile di tesoreria, previsioni relative ai mezzi finanziari destinati alla
copertura degli impegni e del margine di solvibilità richiesto, la politica di
riassicurazione nel suo complesso.
Al fine di garantire gli assicurati da rischi, le autorità competenti possono
disporre alle imprese di assicurazione la costituzione di un margine di
solvibilità più elevato, determinato sulla base del piano di risanamento.
L’autorizzazione
accordata
all’impresa
di
assicurazione
dall’autorità competente può essere revocata da questa quando
l’impresa: non ne fa uso espressamente entro dodici mesi, non soddisfi più
le condizioni di accesso, non ha potuto realizzare le misure previste dal
piano di risanamento, manca gravemente agli obblighi che le incombono
in virtù della normativa vigente. Qualsiasi decisione di revoca,
naturalmente, deve essere adeguatamente motivata e notificata all’impresa
di assicurazione.
L’autorità competente dello Stato membro si attiva per informare della
revoca dell’autorizzazione le autorità competenti degli altri Stati membri,
in modo da evitare che l’impresa di assicurazione interessata possa iniziare
attività in essi.
Libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi
Un’impresa di assicurazione che decida di iniziare ad operare in un
altro Stato membro deve darne notizia all’autorità competente dello Stato
membro originario. In questa notifica devono essere contenuti tutti gli
elementi qualificanti dell’attività che l’impresa sta per intraprendere, in
1
modo tale da permettere all’autorità di valutare il progetto. Qualora non si
verifichino problemi entro tre mesi l’autorità competente dello Stato
membro di origine deve comunicare tutti gli elementi contenuti nella
notifica allo Stato membro della succursale e ne informa l’impresa
interessata.
Una volta ricevuta una notifica dall’autorità competente dello Stato
membro della succursale, la succursale stessa può stabilirsi ed iniziare
l’attività.
Riguardo invece la libera prestazione di servizi, l’impresa è
tenuta ad informare preventivamente l’autorità competente dello Stato
membro precisando la natura dei rischi che si propone di coprire.
Allo scopo di controllare il rispetto delle disposizioni nazionali
relative ai contratti di assicurazione, lo Stato membro della succursale o
della prestazione di servizi può esigere da ogni impresa che intenda
effettuare sul suo territorio operazioni assicurative, la comunicazione non
sistematica delle condizioni o degli altri documenti che essa intende
applicare, senza che tale esigenza possa costituire per l’impresa di
assicurazione una condizione preliminare per l’esercizio della sua attività.
Un’impresa che non ottemperi alla normativa vigente viene invitata a porre
rimedio alle criticità evidenziate; se essa non ottempera all’invito l’autorità
competente dello Stato membro di origine si interessa di informare la
autorità degli Stati dove l’impresa opera in regime di stabilimento o di
libera prestazione di servizi, che applicano le misure da essi ritenute
adeguate.
Altre disposizioni
Un elemento fondamentale per la gestione dell’attività assicurativa
nell’Unione è sicuramente la cooperazione tra gli Stati membri e la
Commissione.
Questo stretto rapporto si estrinseca nella comunicazione costante delle
anomalie e delle criticità incontrate dalle autorità competenti a vigilare sul
1
mercato assicurativo, e sull’emissione di un rapporto di attività da
sottoporre periodicamente al monitoraggio della Commissione79.
79
La relazione sull’evoluzione del mercato delle assicurazioni e delle operazioni esercitati
in regime di libera prestazione di servizi è stato trasmesso per la prima volta il 20 Novembre 1995.
1
4.4
La disciplina in Italia. Circolare ISVAP 551/d: Le norme di
trasparenza delle polizze vita
L’assicurazione sulla vita è un importante collettore del risparmio. Per
questo motivo la stipula del contratto richiede grande attenzione da parte del
cliente
ed estrema
chiarezza
e
completezza
d’informazione
da
parte
dell’intermediario.
L’obiettivo è quello di far sì che il cliente acquisti con consapevolezza un
prodotto che risponda nel migliore dei modi alle sue esigenze potendo confrontare
diverse offerte con criteri univoci.
Questo è il senso dell’evoluzione normativa degli ultimi anni: aumentare il grado
di trasparenza per far evolvere e crescere anche quantitativamente il mercato.
L’attuale punto di arrivo della normativa di trasparenza è la circolare ISVAP
551/d del 01/03/2005 che costituisce “il nuovo testo unitario in materia di
trasparenza dei prodotti di assicurazione sulla vita”.
La stessa circolare fissa in maniera molto chiara le modalità di redazione della
documentazione prescrivendo la dimensione minima del testo, i limiti di utilizzo
di parole come “garanzia, garantito e capitale protetto”, impone l’uso di un
linguaggio chiaro e comprensibile, proibendo i messaggi pubblicitari.
A partire dal 1 Ottobre 2004, l’ISVAP ha obbligato le imprese di assicurazione a
pubblicare sui propri siti Internet le note informative e le condizioni di polizza dei
loro prodotti (circolare n.533 del 4/06/2004).
La circolare 551 prescrive che prima della sottoscrizione della proposta al
potenziale cliente venga consegnato un fascicolo informativo contenente:
9 nota informativa e progetto esemplificativo;
9 scheda sintetica;
9 condizioni di assicurazione comprensive di: regolamento del fondo interno
(per i contratti Unit Linked), regolamento per la gestione interna separata
(per i contratti a prestazioni rivalutabili);
9 glossario;
9 modulo di proposta.
1
La nota informativa contiene tutte le informazioni preliminari per sottoscrivere
con consapevolezza la proposta e il contratto (D.Lgs.n.174/1995 art.109). Le
informazioni precontrattuali sono suddivise in :
9 informazioni
relative
all’impresa
(denominazione
sociale,
forma
giuridica);
9 informazioni relative al contratto (definizione di ciascuna garanzia e
opzioni possibili, modalità di esercizio e di calcolo del diritto di recesso,
indicazioni generali relative al regime fiscale applicabile al contratto).
Le informazioni in corso di contratto devono contenere la variazione delle
informazioni relativamente all’impresa e al contratto, in particolare le modifiche
intercorse alle informazioni fornite prima della conclusione del contratto, come
garanzia, durata, modalità di scioglimento, ecc..
La compagnia di assicurazione ha l’obbligo di consegnare la nota informativa al
contraente, e la consegna di essa deve essere attestata da apposita dichiarazione
contenuta nella proposta.
Il progetto esemplificativo deve essere consegnato insieme alla nota informativa
per i contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione e presenta lo
sviluppo del capitale o della rendita assicurati e dei premi nel corso della durata
contrattuale con l’evidenza, ad ogni ricorrenza annuale, dei valori di riscatto e di
riduzione.
La scheda sintetica descrive le caratteristiche essenziali del contratto – le
tipologie di prestazioni assicurate, le garanzie di rendimento, i costi e i dati storici
di rendimento delle gestioni separate o dei fondi a cui sono collegate le
prestazioni – in termini facilmente percepibili dal potenziale contraente. Tale
documento informativo sintetico redatto secondo un preciso schema previsto
dall’ISVAP, deve essere consegnato dalla Compagnia al potenziale contraente
prima della conclusione del contratto.
Il dovere di trasparenza da parte delle Compagnie di Assicurazione non si
esaurisce nel momento della conclusione del contratto ma si manifesta durante
tutto il corso del contratto stesso.
Vi sono vari tipi di informativa in corso di contratto.
1
La lettera di conferma di investimento dei premi per i contratti unit linked.
Per comunicare l’ammontare del premio lordo versato e di quello investito, la data
di decorrenza della polizza, il numero delle quote attribuite al contratto, il loro
valore unitario, nonché il giorno cui tale valore si riferisce (data di
valorizzazione). Per i premi successivi al primo, la comunicazione avviene entro
10 giorni lavorativi dalla data di valorizzazione delle quote.
Un altro elemento importante è la pubblicazione su quotidiani e siti Internet di
dati relativi al contratto e all’impresa. Vige l’obbligo di pubblicare
giornalmente almeno su un quotidiano a diffusione nazionale e sul sito Internet
dell’impresa le caratteristiche salienti delle polizze index e unit linked e quelle
degli eventuali nuovi prodotti.
Altri elementi relativi alla trasparenza sono: l’estratto conto annuale che
contiene tutte le caratteristiche salienti dell’investimento effettuato dal cliente, la
comunicazione in caso di perdite (per i contratti unit e index linked per
variazioni di circa il 30% del controvalore e del valore di riscatto), la variazione
del tasso di interesse garantito per i contratti a premi unici ricorrenti le imprese
comunicano preventivamente per iscritto al contraente la variazione del tasso,
comunicazioni in caso di esercizio di opzioni contrattuali, al massimo 60 giorni
prima dalla data di possibilità di esercizio dell’opzione l’impresa deve fornire per
iscritto all’avente diritto una descrizione di tutte le opzioni esercitabili.
1
4.5
La disciplina in Italia: il Codice Civile
La disciplina dell’assicurazione sulla vita contenuta nel Codice Civile
Italiano è contenuta nel Libro IV Titolo III Capo XX Sezione III
“Dell’assicurazione sulla vita”.
Art. 1919 Assicurazione sulla vita propria o di un terzo
L'assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un
terzo. L'assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida
se questi o il suo legale rappresentante non dà il consenso alla conclusione
del contratto. Il consenso deve essere provato per iscritto (2725).
Art. 1920 Assicurazione a favore di un terzo
E' valida l'assicurazione sulla vita a favore di un terzo (1411 e seguenti).
La designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di
assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata
all'assicuratore, o per testamento (587 e seguente, 649); essa e efficace
anche se il beneficiario è determinato solo genericamente. Equivale a
designazione l'attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a
favore di una determinata persona.
Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai
vantaggi dell'assicurazione (1411, 1923).
Art. 1921 Revoca del beneficio
La designazione del beneficiario è revocabile con le forme con le quali può
essere fatta a norma dell'articolo precedente. La revoca non può tuttavia
farsi dagli eredi dopo la morte del contraente, né dopo che, verificatosi
l'evento, il beneficiario ha dichiarato di voler profittare del beneficio
(1411).
1
Se il contraente ha rinunziato per iscritto al potere di revoca, questa non ha
effetto dopo che il beneficiario ha dichiarato al contraente di voler
profittare del beneficio. La rinuncia del contraente e la dichiarazione del
beneficiario devono essere comunicate per iscritto all'assicuratore (att.
188).
Art. 1922 Decadenza dal beneficio
La designazione del beneficiario, anche se irrevocabile, non ha effetto
qualora il beneficiario attenti alla vita dell'assicurato (801).
Se la designazione e irrevocabile ed è stata fatta a titolo di liberalità, essa
può essere revocata nei casi previsti dall'art. 800 (att. 188).
Art. 1923 Diritti dei creditori e degli eredi
Le somme dovute dall'assicuratore al contraente o al beneficiario non
possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare (Cod. Proc. Civ.
491 e seguenti, 670 e seguenti).
Sono salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla
revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori (2901 e
seguenti) e quelle relative alla collazione (737 e seguenti), all'imputazione
(747) e alla riduzione (555 e seguenti) delle donazioni.
Art. 1924 Mancato pagamento dei premi
Se il contraente non paga il premio relativo al primo anno, l'assicuratore
può agire per l'esecuzione del contratto nel termine di sei mesi dal giorno
in cui il premio è scaduto. La disposizione si applica anche se il premio è
ripartito in più rate, fermo restando il disposto dei primi due commi
dell'art. 1901; in tal caso il termine decorre dalla scadenza delle singole
rate.
1
Se il contraente non paga i premi successivi nel termine di tolleranza
previsto dalla polizza o, in mancanza, nel termine di venti giorni dalla
scadenza, il contratto è risoluto di diritto (1453 e seguenti), e i premi
pagati restano acquisiti all'assicuratore, salvo che sussistano le condizioni
per il riscatto dell'assicurazione o per la riduzione della somma assicurata.
Art. 1925 Riscatto e riduzione della polizza
Le polizze di assicurazione devono regolare i diritti di riscatto e di
riduzione della somma assicurata, in modo tale che l'assicurato sia in
grado, in ogni momento, di conoscere quale sarebbe il valore di riscatto o
di riduzione dell'assicurazione.
Art. 1926 Cambiamento di professione dell'assicurato
I cambiamenti di professione o di attività dell'assicurato non fanno cessare
gli effetti dell'assicurazione, qualora non aggravino il rischio in modo tale
che, se il nuovo stato di cose fosse esistito al tempo del contratto,
l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione (1898).
Qualora i cambiamenti siano di tale natura che, se il nuovo stato di cose
fosse esistito al tempo del contratto, l'assicuratore avrebbe consentito
l'assicurazione per un premio più elevato, il pagamento della somma
assicurata è ridotto in proporzione del minor premio convenuto in
confronto di quello che sarebbe stato stabilito.
Se l'assicurato dà notizia dei suddetti cambiamenti all'assicuratore, questi,
entro quindici giorni, deve dichiarare se intende far cessare gli effetti del
contratto ovvero ridurre la somma assicurata o elevare il premio.
Se l'assicuratore dichiara di voler modificare il contratto in uno dei due
sensi su indicati, l'assicurato, entro quindici giorni successivi, deve
dichiarare se intende accettare la proposta.
1
Se l'assicurato dichiara di non accettare, il contratto e risoluto, salvo il
diritto dell'assicuratore al premio relativo al periodo di assicurazione in
corso e salvo il diritto dell'assicurato al riscatto. Il silenzio dell'assicurato
vale come adesione alla proposta dell'assicuratore.
Le comunicazioni e dichiarazioni previste dai commi precedenti possono
farsi anche mediante raccomandata (att. 187).
Art. 1927 Suicidio dell'assicurato
In caso di suicidio dell'assicurato, avvenuto prima che siano decorsi due
anni dalla stipulazione del contratto, l'assicuratore non è tenuto al
pagamento delle somme assicurate, salvo patto contrario.
L'assicuratore non è nemmeno obbligato se, essendovi stata sospensione
del contratto per mancato pagamento dei premi (1901), non sono decorsi
due anni dal giorno in cui la sospensione e cessata.
1
4.6
La disciplina in Italia: D.Lgs. 209 07/09/05 “la tutela del consumatore
nel nuovo codice delle assicurazioni”
Il Nuovo codice delle assicurazioni, introdotto con il decreto legislativo 7
Settembre 2005 n.209, ha innovato il piano normativo in materia di assicurazioni,
sostituendo oltre mille norme vigenti, con soli 335 articoli.
La volontà del legislatore, dunque, è stata quella di semplificare l’assetto
normativo, abrogando completamente norme vetuste come due regi decreti, quello
del 23 marzo 1922 n. 387 “istituzione di un casellario centrale generale per la
raccolta e la conservazione delle schede relative a casi di infortunio sul lavoro, i
quali importino invalidità permanente”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, del 6
aprile 1922, n. 81 e il regio decreto 4 gennaio 1925, n. 63, “regolamento per la
esecuzione del R.D.L. 29 aprile 1923, n. 966, concernente l’esercizio delle
assicurazioni private, pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 12 febbraio 1925 n. 35.
Il decreto legislativo introduce una nuova disciplina volta a rafforzare il ruolo
della Isvap, abrogando alcuni articoli della legge 12 agosto 1982 n. 576 detta
“riforma della vigilanza sulle assicurazioni”.
Il Nuovo codice ha, inoltre, introdotto alcune importanti tutele volte a rafforzare la
posizione del contraente debole, il consumatore – assicurato.
Il codice delle assicurazioni si prefigge, in conformità al nuovo codice del
consumo, di rimediare ad una situazione asimmetria contrattuale, assicuratore da
un lato (contraente forte) e assicurato dall’altro (contraente debole), attraverso una
corretta informativa pre-contrattuale al fine di realizzare una situazione di parità
tra i contraenti e consentire così il libero esplicarsi dell’autonomia contrattuale.
Queste tutele risultano essere necessarie non solo perché vi è uno squilibrio
giuridico ed economico delle due parti contrattuali, ma perché il contratto di
assicurazione è un contratto di massa ove l’uniforme disciplina dei singoli
rapporti contrattuali viene attuata attraverso la predisposizione da parte delle
imprese, del contenuto contrattuale, delle tariffe, dei premi, delle condizioni
generali di contrattuale, elaborate sulla base di un calcolo statistico, il quale tiene
1
conto del fabbisogno finanziario occorrente per predisporre l’operazione, per
ciascuna annualità assicurativa, al fine di far fronte agli obblighi contrattuali
assunti.
Il consumatore si trova di fronte ad una variegata tipologia di contratti che offrono
vari servizi, fino ad oggi, proposti senza considerare se erano effettivamente
idonei ai bisogni e alle necessità degli assicurati. Ad oggi, il nuovo codice delle
assicurazioni impone all’intermediario assicurativo di illustrare i vantaggi della
polizza proposta in modo esauriente e di proporre quella che maggiormente si
conforma alle esigenze del consumatore.
Vi è dunque, un obbligo di informativa precontrattuale del consumatore, obbligo
che nel nostro ordinamento rappresenta la tipica forma di tutela del consumatore
nei contratti di massa.
A dimostrazione di quanto detto, a contrario, si osservi che le tutele poste a favore
del consumatore non operano nel caso in cui le condizioni contrattuali siano state
oggetto di effettiva trattativa individuale ( ex art. 1469 – ter comma 4 c.c., trasfuso
nel codice del consumo). La legge a tutela del consumatore, in buona sostanza, si
preoccupa di assicurare in modo spesso imperativo la conoscenza preliminare da
parte del contraente debole, in questo caso l’assicurato, delle clausole contrattuali
( art. 1469 quinquies comma 2, n. 3 c.c. ecc. trasfuso nel codice del consumo o la
legge sulla multiproprietà) per consentire una consapevole stipulazione del
contratto.
In precedenza, il legislatore non imponeva un obbligo tassativo di informazione in
materia assicurativa.
Il nuovo codice attribuisce invece, rilevanza giuridica alla fase pre contrattuale,
conferendo all’ISVAP il compito di regolamentazione della materia informativa,
pre-contrattuale al fine di assicurare una minore disparità fra le parti contraenti e
un rafforzamento della posizione del contraente debole ossia l’assicurato.
Del resto, qualora l’intermediario e dunque, la compagnia assicurativa per il
tramite della quale opera offra un prodotto, illustrato pre - contrattualmente in un
determinato modo, che in seguito si dimostri diverso da quello proposto incorrerà
1
nella responsabilità ex art. 1337 c.c., responsabilità ancor più rilevante
giuridicamente, di quanto non fosse in passato, per i motivi sopra indicati.
Il codice delle assicurazione tenta di tutelare un interesse primario che è quello
dell’esatta conoscenza dei termini del contratto, sulla base dell’informazione
offerta, secondo i regolamenti emessi dall’ISVAP.
A dimostrazione di quanto detto si legge che l’art. 120 rubricato “informazione
pre - contrattuale e regole di comportamento” che impone all’intermediario
assicurativo di informare, in caso di conclusione del contratto o di modifiche
rilevanti o di rinnovo sulle base delle indicazioni stabilite dall’ISVAP con
regolamento.
In relazione al contratto proposto gli intermediari sono tenuti a fornire consulenze
fondate su un analisi imparziale offrendo il prodotto migliore per l’utente ossia
“idoneo a soddisfare le richieste del contraente”. Inoltre, se viene proposto
all’assicurato un determinato prodotto, al contraente dovrà indicare l’impresa con
cui avrà a che fare.
In ogni caso, anche dopo la conclusione del contratto di assicurazione,
l’assicurante dovrà proporre all’assicurato anche in base alle informazioni
fornite al contraente un prodotto adeguato alle sue esigenze, previamente
illustrando le caratteristiche essenziali del contratto e le prestazioni alle quali è
obbligata l’impresa di assicurazione.
L’ISVAP ha un ruolo chiave in quanto dovrà regolamentare a seconda delle
esigenze degli assicurati, delle categorie di rischio, delle cognizioni e della
capacità
professionale
degli
addetti
all’intermediazione
le
regole
di
comportamento e di presentazione nei confronti del contraente con riferimento
agli obblighi di informazione relativi all’intermediario medesimo e ai rapporti con
l’impresa assicurativa, alle caratteristiche del contratto proposto in relazione
all’eventuale prestazione di servizio di consulenza fondata su un’analisi
imparziale o dell’esistenza degli obblighi assunti per la promozione e
l’intermediazione con una o più imprese di assicurazione.
L’Isvap può regolamentare le modalità con le quali è fornita l’informazione al
contraente prevedendo i casi nei quali può essere effettuata su richiesta, di regola,
1
l’uso della lingua italiana e la comunicazione su un supporto accessibile e
durevole al più tardi subito dopo la stipula del contratto, le modalità di tenuta
della documentazione concernente l’attività svolta, violazioni alle quali si
applicano le sanzioni disciplinari previste dall’art. 329, sono esclusi gli
intermediari che operano nei grandi rischi o nel settore riassicurativo.
Quanto detto sin ora, dimostra che il legislatore ha voluto inserire nella materia
assicurative quelle tutele tipiche che il nostro ordinamento prevedeva in materia di
vendite, di intermediazione e di finanziamento a garanzia del contraente più
debole ossia il consumatore.
Il legislatore ha continuato ad innovare il panorama legislativo recependo la
normativa di diritto del consumatore nelle vendite a distanza in caso di contratti
assicurativi stipulati on line.
In particolare, l’Art. 121 “informazione precontrattuale in caso di vendita a
distanza”, impone l’obbligo all’intermediario a fine della chiamata di indicare
l’identità della persona in contatto con il contraente e il suo rapporto con
l’intermediario assicurativo, nonché una descrizione delle principali caratteristiche
del servizio o prodotto offerto, nonché il prezzo totale comprese le imposte che il
contraente dovrà corrispondere.
In ogni caso l’informativa è fornita al cliente prima della conclusione del contratto
di assicurazione. Può essere fornita verbalmente solo a richiesta del contraente o
qualora sia necessaria una copertura immediata del rischio, con supporto
informativo subito dopo la conclusione del contratto. Anche in questo caso
l’ISVAP può regolamentare le modalità di informazioni sulle caratteristiche del
contratto.
Il nuovo codice prevede l’obbligo specifico per le imprese di assicurazione di
scrivere le condizioni del contratto in modo chiaro ed esauriente (art. 166 I
comma codice delle assicurazioni), imponendo inoltre, una specifica evidenza
delle clausole che riportano la limitazione delle garanzie ( art. 166 II comma del
codice delle assicurazioni).
1
L’art. 167 del codice stabilisce che è nullo il contratto di assicurazione stipulato
con un’impresa non autorizzata o con un’impresa alla quale sia fatto divieto di
assumere nuovi affari.
La nullità in questo caso può essere fatta valere solo dal contraente e
dall’assicurato. La nullità impone la restituzione dei premi pagati. In ogni caso
non sono ripetibili gli indennizzi e le somme eventualmente corrisposte o dovute
dall’impresa agli assicurati ed agli altri aventi diritti.
L’art. 167 del codice delle assicurazioni introduce una norma c.d. di protezione
del contraente debole, prevedendo, come rimedio nei casi elencati, la nullità
relativa esperibile dal solo assicurato.
La norma ha, quindi, natura inderogabile e non può essere valido oggetto di
autonoma trattativa o transazione fra le parti.
La norma dell’art. 167 del nuovo codice ricorda quella introdotta dal legislatore in
tema di nullità del contratto ad oggetto l’obbligo di fideiussione in tema di vendite
immobiliari sulla carta ex art. decreto legislativo n. 122 del 2005.
1
4.7
Un confronto europeo sui conti economici delle imprese di
assicurazione del ramo vita
Confrontare i risultati economici delle imprese di assicurazione che
operano esclusivamente nel ramo vita nei principali paesi dell’area dell’Euro non
è attività agevole, soprattutto in luce della diversificazione delle fonti. I dati
relativi a singole compagnie assicurative che esercitano esclusivamente il ramo
vita sono tratti dal database ISIS commercializzato da Bureau van Dijk che
raccoglie le informazioni messe a disposizione dalla società di ratin Fitch-IBCA
sullo stato patrimoniale e sui conti economici delle imprese di assicurazione.
Per quel che riguarda il periodo che va dal 1998 al 2002 le principali conclusioni
sono:
9 il mercato vita si è sviluppato in Italia più rapidamente rispetto agli
altri paesi, anche perché all’inizio del periodo era più contenuta la
diffusione dei prodotti assicurativi;
9 in Italia è molto più ampia la diffusione dei prodotti unit-linked, prodotti
con caratteristiche finanziarie assimilabili ai fondi comuni di investimento;
9 gli utili lordi in rapporto al capitale (ROE lordo) sono scesi in Italia,
Francia e Germania tra il 1998 e il 2002 in corrispondenza con la caduta
dei mercati finanziari; c’è una dispersione molto forte nei risultati delle
singole imprese italiane: nel 2002 a fronte di un ROE lordo per l’impresa
mediana pari al 5,7%, un quarto delle imprese hanno avuto utili lordi
superiori al 17,5% del capitale; ma un quarto delle imprese ha invece
sopportato perdite per oltre il 5% del capitale;
9 il rapporto tra spese complessive (inclusive delle provvigioni di
acquisizione e delle spese di amministrazione) e i premi netti contabilizzati
(indicatore che approssima il costo delle polizze) è sceso per l’impresa
mediana italiana dall’8,9% nel 1998 al 7,1% nel 2002, il valore più basso
nel confronto con l’impresa mediana in Francia, Germania e Spagna. Vi è
una forte dispersione tra le imprese del valore di questo indicatore
1
(expense ratio): un quarto delle imprese ha un rapporto tra costi e premi
inferiore al 3,8%, mentre un altro quarto ha un rapporto superiore all’11%.
Nel 2002 le imprese di assicurazione che esercitano esclusivamente
l’assicurazione vita censite su ISIS sono 319, di cui 45 operano in Francia, 188 in
Germania, 44 in Italia, 42 in Spagna.
La crescita dei premi è stata molto più forte in Italia che negli altri paesi
riflettendo un grado di diffusione dell’assicurazione vita molto più limitato
all’inizio del periodo di osservazione. Tra il 1996 e il 2002 il rapporto tra premi e
PIL è salito dall’1,4% al 4,4%: l’ammontare dei premi pro-capite è passato da 238
a 96080.
Per l’impresa mediana italiana la crescita annuale dei premi è stata pari al 50,7%
nel 1998, al 21,1 nel 1999, all’8,1 nel 2000, al 15,1 nel 2001 all’8,8 nel 2002. La
dispersione dei tassi di crescita è molto ampia. Nel 2002 un quarto delle imprese
ha incrementato i premi di oltre il 33% rispetto al 2001, ma un altro quarto delle
imprese ha avuto una riduzione di oltre il 9%.
Una caratteristica del mercato italiano è stato il forte sviluppo delle polizze unit e
equity linked, contratti a fronte dei quali sono accantonate riserve pari al 46%
delle riserve complessive (sempre per l’impresa mediana). La quota è molto più
bassa in Francia (13,9%) e in Spagna (4,4%) mentre è pressoché nulla in
Germania.
L’indicatore sintetico per misurare la redditività delle imprese è il rapporto
tra l’utile prima delle tasse e i mezzi patrimoniali (definito come la somma del
capitale sociale sottoscritto, delle riserve per azioni proprie, delle riserve di
perequazione, delle altre riserve e dell’utile/perdita di esercizio).
Nei tre paesi più grandi gli utili in rapporto ai mezzi patrimoniali sono scesi tra il
1998 e il 2002. Per l’impresa mediana, in Francia sono scesi dal 10,1% al 3,1%, in
80
Secondo i dati pubblicati dal CEA, in Francia l’incidenza dei premi sul PIL è passato tra
il 1996 e il 2002 dal 5,9% al 5,6%, in Germania dal 2,6% al 3,1%, in Spagna dal 2,2% al 3,7%.
Nello stesso periodo l’ammontare dei premi pro-capite è salito in Francia da 1.216 a 1.450, in
Germania da 583 a 796, in Spagna da 259 a 667.
1
Germania dal 14,2% al 5,7%, in Italia dal 10,2% al 5,7%, in Spagna gli utili in
rapporto al matrimonio sono rimasti sostanzialmente costanti.
La dispersione dei risultati tra le imprese è molto forte in Italia. Un quarto
delle imprese hanno avuto nel 2002 utili superiori al 17,5% del capitale; ma un
quarto del sistema ha invece sopportato perdite per oltre il 5% del capitale. Solo in
Spagna si ha una dispersione dei risultati accentuata come quella registrata in
Italia.
L’expense ratio (definito come la somma delle spese di acquisizione e di
quelle di amministrazione in rapporto ai premi netti contabilizzati) è sceso in
Italia, sempre per l’impresa mediana, dall’8,9% nel 1998 al 7,1% nel 2002. Nel
2002 si collocava sul valore europeo più basso: in Francia era pari al 7,5%, in
Spagna all’8,2%, in Germania al 15,2%.
Per un’analisi riferita a tutte le imprese che esercitano il ramo vita (anche
quelle che operano contemporaneamente al ramo danni, cosiddette imprese
composite), relativa a un periodo più lungo e dettagliata secondo la tipologia di
compagnia di assicurazione sulla base dei canali di vendita, ecco uno stralcio della
Relazione della Banca d’Italia 2003:
“Secondo
le
statistiche
dell’ISVAP
relative
alle
compagnie
di
assicurazione del ramo vita, nel 2001 l’incidenza dei costi complessivi
sull’ammontare dei premi lordi era pari al 6,6%. Essa risultava pari al 10% per
le compagnie che operano prevalentemente attraverso agenzie proprie, rispetto
all’8,7% e al 4,1% rispettivamente, per quelle che effettuano la raccolta mediante
SIM o sportelli bancari. Per il complesso delle compagnie tra il 1993 e il 2001
l’incidenza dei costi sui premi è scesa sensibilmente, dal 19,7% al 6,6%; la
riduzione ha riflesso soprattutto la diminuzione dei costi commerciali oltre che
quella delle spese di amministrazione”81.
La riduzione dei costi per gli assicurati vita è quindi avvenuta in concomitanza
con l’aumento dei collocamenti attraverso gli sportelli bancari e i promotori
finanziari e le SIM, la cui quota collocata nel complesso sale dal 34,4% nel 1995
al 70,6% nel 2002.
81
Relazione della Banca d’Italia, anno 2003, pag.300
1
La distribuzione delle polizze vita in Italia, per canale di collocamento sta
subendo un progressivo ed importante cambiamento, anche repentino.
A metà degli anni novanta il mercato vita era retaggio principalmente di agenti e
broker, mentre lo scenario che si è delineato negli ultimi anni è il progressivo
predominio sulla vendita di prodotti vita da parte degli sportelli bancari, la
cosiddetta esplosione del modello di bancassicurazione.
Si è anche modificata di molto la composizione delle quote di mercato dei singoli
gruppi di compagnie. Con riferimento ai gruppi di imprese che 2002 detenevano
almeno lo 0,5% del mercato, tra il 1998 e il 2002 è passato di mano il 26% del
mercato.
Infine, il mercato assicurativo italiano del ramo vita non risulta essere
particolarmente concentrato nel confronto internazionale, soprattutto se si tiene
conto delle sue dimensioni.
1
4.8
Alcune osservazioni: il mercato vita nel contesto sociale
Nei capitoli precedenti si è analizzato approfonditamente il modo in cui
l’Unione Europea sta progettando e realizzando un unico mercato assicurativo, e
l’impatto che questo potrebbe avere (ed ha) sull’attività assicurativa stessa.
Parallelamente a questa importante rivoluzione del modo di concepire il mercato
si deve necessariamente tenere conto degli eventi storici e delle modificazioni
sociali che in maniera più o meno indiretta hanno effetti sul mercato stesso.
Nei capitoli uno e tre si è più volte osservato quanto l’introduzione
dell’Euro abbia dato propulsione all’europeizzazione dell’attività assicurativa
stessa, e questo va considerato un passo importante di un grande e lungo processo
in via di realizzazione.
Ma la domanda: “come reagisce il mercato assicurativo vita ad eventi storici o a
momenti di crisi economica?” non è di così facile liquidazione in quanto i pilastri
stessi sui quali esso si fonda sono necessariamente particolari.
Il ramo vita si basa innanzi tutto su un bisogno, il quale si concretizza soprattutto
nelle società più evolute. In maniera un po’ semplicistica possiamo osservare che
la coscienza e la necessità di protezione del tenore di vita, pilastro del ramo vita
stesso, si manifesta esclusivamente nelle società con un livello culturale adeguato
e con un tenore di vita medio / alto. L’osservazione potrà risultare abbastanza
ovvia, ma è sicuramente questo uno dei motori propulsivi dell’intero mercato vita:
esso può attecchire dove il suddetto bisogno si concretizza.
In Italia quindi, analizzando il cavalcante sviluppo del mercato vita
possiamo osservare che l’esigenza assicurativa ha preso piede soprattutto negli
ultimi anni, rispetto, ad esempio, ad un mercato già molto avanzato come quello
americano.
La scarsissima diffusione dei prodotti assicurativi in Italia ha fatto sì che, quando
il momento fosse stato propizio, un boom vero e proprio potesse realizzarsi. La
diffusione di prodotti Index Linked, simili ai fondi comuni di investimento, sono
un segnale importante, così come lo è la, seppur ancora non determinante, crescita
1
dei prodotti long term care, a testimoniare una netta presa di coscienza dell’utente
italiano della necessità di proteggere il proprio tenore di vita.
Ma la risposta al quesito iniziale è ancora lontana. In effetti analizzando i
grafici della raccolta premi vita nel mercato italiano, soprattutto in chiave crescita,
possono essere fatte alcune considerazioni.
Dal 1999 al 2005 si notano alcuni picchi negativi che comunque non inficiano un
cammino di progressiva crescita.
Uno di essi, intorno all’anno 2000 potrebbe essere un effetto secondario del flop
della new economy che ha portato a gonfiare, e successivamente ad un crollo
vertiginoso, determinate imprese basate sulle tecnologie [in Italia il caso Tiscali].
L’immediata perdita di fiducia dei mercati, riportata in maniera globale dai mass
media, e il successivo periodo di recessione, avrebbero potuto incidere in qualche
maniera sulla crescita del ramo vita?
I fatti dell’11 Settembre 2001 aiutano sicuramente a valutare l’impatto di grandi
eventi storici sul mercato assicurativo, in particolare vita.
Sicuramente, gli attentati dell’11 Settembre hanno segnato una svolta nel mercato
assicurativo. Non solo perché il comparto si è trovato a gestire il più grande
sinistro catastrofale della sua storia82, ma anche perché le ricadute dell’attacco
terroristico agli Stati Uniti hanno cambiato il modo di fare e di intendere
l’assicurazione.
Anche se le compagnie italiane sono state interessate solo
marginalmente alla massa di risarcimenti, il settore assicurativo italiano ha subito
l’impatto derivante dalla riduzione della redditualità degli investimenti, e
dall’aumento dei premi di riassicurazione, causando il consequenziale aumento
dei premi assicurativi in generale. Tutti i settori sono stati interessati da questo
fenomeno, compresa l’assicurazione marittima, e l’assicurazione obbligatoria per
la circolazione dei veicoli.
Secondo i dati diffusi dall’Isvap, però, la raccolta premi vita non ha subito
particolare decremento, anzi, ha continuato un progressivo periodo di crescita. Ciò
suggerisce che gli eventi del 2001 non abbiano inciso in maniera particolarmente
82
La stima è valutata intorno agli 80 miliardi di dollari.
1
negativa sul mercato vita italiano. Una considerazione che si potrebbe fare è che il
pilastro stesso del ramo vita, cioè la tutela del tenore di vita possa rispondere in
maniera del tutto particolare a determinati eventi.
Un’ipotesi interessante potrebbe essere appunto quella che il ramo vita,
importante collettore del risparmio privato, riesca a controbilanciare i momenti di
crisi economica con una crescente esigenza di tutela del risparmio stesso e del
tenore di vita dei consumatori. Fenomeno che si è verificato sicuramente in Italia
nell’ultimo quinquennio grazie ad un progressivo aumento del livello culturale e
del reddito pro-capite della popolazione. Ciò ha portato il paese a diventare uno
dei più importanti mercati vita mondiali.
Gli studi effettuati sulla portata dell’impatto dell’11 Settembre nel convegno
“Come superare Ground Zero” organizzato da Assinform confermano che i fatti
di New York hanno avuto un impatto decisamente diverso sul ramo vita e sul
property. Le conseguenze sono state sicuramente meno devastanti per il ramo vita,
dove solo le grandi polizze collettive hanno subito dei limiti. Il problema per il
ramo è certamente il danno indiretto dovuto al bilancio delle compagnie.
1
Capitolo V
LE PROSPETTIVE DI INTEGRAZIONE EUROPEA IN MATERIA
DI PREVIDENZA COMPLEMENTARE
Sommario: 5.1 L’importanza della previdenza complementare nel quadro comunitario - 5.2
Normativa comunitaria – 5.3 Previdenza complementare: perché? – 5.4 Il ruolo del settore
privato – 5.5 La libera circolazione dei lavoratori – 5.6 Sistemi pensionistici nei principali paesi
dell’Unione Europea – 5.7 “A simpler way to better pension”: il rapporto Pickering – 5.8 La
previdenza complementare in Italia – 5.9 Il settore assicurativo e il suo valore per la crescita,
osservazioni dell’Ania
5.1
L’importanza
della
previdenza
complementare
nel
quadro
comunitario
Fino a qualche decennio fa, il modello previdenziale dei Paesi appartenenti
all’Unione Europea è stato quello della previdenza pubblica gestita
direttamente dallo Stato e basata sul metodo a ripartizione per il finanziamento
delle pensioni: la ripartizione prevede che i contributi siano pagati direttamente
per finanziare le prestazioni ai pensionati attuali. Un simile sistema di protezione
sociale ha garantito e garantisce un elevato livello di solidarietà, anche
generazionale, una tutela delle fasce di lavoratori più deboli ed un tenore di vita
rispettabile per i pensionati.
Tuttavia, gli Stati membri si trovano oggi a fronteggiare gravi problemi di
finanziamento del sistema pubblico dovuti soprattutto all’invecchiamento della
popolazione europea, agli alti tassi di disoccupazione e all’aumento della
scolarizzazione, che diminuiscono la popolazione attiva e causano l’aumento dei
contributi con gravi ripercussioni economiche sul costo del lavoro. A ciò si
aggiunge in alcuni Paesi la cattiva gestione degli enti previdenziali di Stato.
1
Contrariamente, la liberalizzazione dei mercati mondiali impone una riduzione
dell’onere di finanziamento della spesa sociale che grava sulle imprese in modo
tale da non mettere a rischio la competitività dei loro prodotti in un’ottica globale.
Nei costi per la spesa sociale, la previdenza costituisce nei Paesi Europei circa il
30% del PIL e si stima83 che continui a crescere nei prossimi decenni a causa
dell’invecchiamento della popolazione.
Per questo motivo tutti gli Stati sono alla ricerca di eque soluzioni volte a
garantire il livello di prestazioni pensionistiche raggiunto e nello stesso tempo far
fronte al crescere del loro costo.
Tra gli studiosi è stata avanzata la tesi che il modo migliore per
raggiungere gli obiettivi appena enunciati è quello di dar vita a piani di previdenza
integrativa basati sul metodo di finanziamento cosiddetto “a capitalizzazione” (i
contributi sono accantonati ed investiti per poi finanziare la pensione del
contribuente stesso).
I fondi pensione potranno consentire una riduzione dell’incidenza delle
prestazioni fornite dal sistema previdenziale pubblico sull’intera pensione, frenare
la crescita dei contributi, garantire livelli di pensione pari o migliorativi rispetto a
quelli attuali ed infine assicurare la sostenibilità dello Stato sociale84.
Per la Commissione Europea85, i fondi pensione rappresentano già oggi un valido
strumento di integrazione degli schemi pensionistici pubblici e coprono
attualmente il 25% della popolazione attiva degli Stati Membri.
La crescita della previdenza complementare, basata sulla capitalizzazione dei
contributi, e lo sviluppo del mercato dei capitali sono strettamente correlati e
possono dar vita ad una serie concatenata di conseguenze senza dubbio favorevoli
per la crescita economica dell’ UE.
La creazione di nuovi strumenti di intermediazione finanziaria contribuisce infatti
ad accrescere lo spessore dei mercati finanziari consentendo alle imprese di
reperire capitali per investimenti a lungo termine e allo stesso tempo diminuire
l’indebitamento bancario. In tale contesto, le piccole e medie imprese potranno
83
Si rinvia al “Libro Verde sulle pensioni integrative nel Mercato Unico”.
Ferri E., Preto A., “Un quadro normativo comunitario per le pensioni complementari”,
Diritto ed Economia dell’Assicurazione,1999, fasc.1
85
Libro Verde sulle pensioni integrative nel Mercato Unico
84
1
più facilmente accedere ai mezzi finanziari necessari per lo sviluppo, mentre le
grandi imprese avranno a disposizione un ulteriore mezzo di finanziamento.
Da questo sintetico quadro emerge che i fondi pensione apportano dei vantaggi
non solo perché comportano una riduzione, o al limite un contenimento, della
spesa previdenziale, ma anche per una serie di benefici economici in termini di
finanziamento di investimenti a medio e lungo termine che i regimi pensionistici
pubblici attuali non garantiscono.
1
5.2
Normativa comunitaria
Per le regioni che abbiamo enunciato nel paragrafo precedente, emerge,
nel panorama europeo, la tendenza degli Stati al trasferimento di parte dei carichi
previdenziali a forme di previdenza integrativa basate sui fondi pensione.
L’assenza di un quadro di riferimento normativo a livello comunitario ha
determinato il diffondersi di una varietà di schemi di previdenza complementare e
di conseguenza ha determinato il sorgere di nuove problematiche legate
all’effettiva realizzazione di un Mercato Unico del lavoro e dei capitali86.
Va del resto ricordato che l’applicazione del principio di sussidiarietà, attribuendo
ad ogni Stato membro il compito di definire il regime previdenziale più adeguato
al suo sistema economico, limita fortemente l’intervento comunitario in materia di
previdenza complementare.
Un’armonizzazione comunitaria delle norme di previdenza complementare,
delle agevolazioni fiscali ad esse connesse e della disciplina in materia di libera
circolazione dei capitali è resa oggi difficile dalla ripartizione di competenze tra le
istituzioni dell’Unione Europea e i singoli Stati Membri, nonché dalle procedure
di decisione per l’adozione di atti normativi comunitari in materia tributaria e di
previdenza sociale.
Le basi giuridiche per la regolamentazione di tali aspetti divergono tra di loro.
Gli articoli 56, 77 o 100 A del trattato prevedono la procedura di codecisione e
costituiscono il fondamento giuridico per l’adozione di norme di armonizzazione
della gestione transfrontaliera dei fondi pensione87; gli art. 51 e 235 prevedono
una decisione unanime degli Stati in seno al Consiglio ed hanno costituito la base
giuridica dell’adozione della Direttiva 98/49/CE in materia di “salvaguardia dei
diritti a pensione integrativa dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi
che si spostano all’interno dell’Unione Europea”; l’armonizzazione fiscale è
86
87
COM(1999) 134 , 11.05.1999
in base a tale procedura è stata recentemente adottata la proposta di direttiva volta a
disciplinare le attività transfrontaliere dei fondi pensione ( Com. 507/2000).
1
infine possibile soltanto attraverso l’applicazione dell’art. 100 che comunque
prevede una deliberazione unanime degli Stati membri.
Il dibattito sulla regolamentazione della previdenza integrativa a livello
comunitario ha fondamentalmente ad oggetto i seguenti principi:
1. la garanzia di un libero mercato di capitali dei fondi pensione, con
conseguente possibilità di gestione transfrontaliera, rispettando e
realizzando i principi in materia di libertà di prestazione di servizi e di
stabilimento all’interno dei Paesi dell’Unione Europea;
2. la garanzia di una sostanziale libertà di spostamento dei lavoratori da
un Paese all’altro dell’Unione Europea, rimuovendo gli ostacoli
giuridici che la impediscono, primo su tutti l’assenza di una tutela dei
diritti già acquisiti presso un regime di previdenza complementare.
Per quanto riguarda la pensione di base statale, esiste il regolamento
1408/71 che detta una normativa di raccordo e coordinamento tra i diversi
sistemi pensionistici degli Stati Europei.
In materia di previdenza complementare è stata approvata la Direttiva
98/49/CE.
3. la parità di trattamento fiscale verso forme previdenziali offerte da
istituzioni
situate in altri Stati Membri; tale questione è strettamente connessa ai
primi due punti.
1
5.3
Previdenza complementare: perché?
Alla base dell’intera discussione sull’importanza e sul potenziale della
previdenza complementare vi è un elemento imprescindibile: la sua inevitabilità.
L’analisi dei dati che seguiranno dimostra in maniera abbastanza incontrovertibile
che i vecchi regimi di previdenza non possono più soddisfare la domanda di
previdenza odierna e futura.
Il punto di partenza del ragionamento è l’aumento dei tassi di
dipendenza della popolazione anziana (Tavola 1), derivante dall’allungamento
della vita attesa e dalla riduzione della natalità88. Dopo il 2010, secondo i paesi, le
pensioni pubbliche saranno più basse, in rapporto alle retribuzioni, di quelle
attuali, a meno di gravare le future generazioni di oneri molto elevati. I giovani di
oggi devono quindi risparmiare di più. Questo sembra essere un punto fermo e
condiviso.
Tavola 1
Tassi di dipendenza degli anziani (*) nei vari paesi dell’Unione Europea. Proiezioni al 2050.
Austria
Belgio
Danimarca
Finlandia
Germania
Grecia
Francia
Irlanda
Italia
Olanda
Portogallo
Spagna
Regno Unito
Unione Europea
2000
2050
22.9
25.5
22.2
22.1
23.8
25.5
24.4
16.8
26.6
20.0
22.6
24.5
23.8
24.2
54.0
45.0
36.0
44.0
49.0
54.0
46.0
40.0
61.0
41.0
46.0
60.0
42.0
49.0
(*) Numero di persone di età superiore ai 65 anni in percentuale del numero di persone di età
compresa fra 15 e 66 anni.
88
CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, 2003. Sulle dinamiche della longevità, si
veda MACCHERONI C., 2002. Per un inquadramento dei sistemi pensionistici nell’ambito della
più ampia evoluzione socioeconomica, si veda LINDBECK A., 2000.
1
Fonte: COMMISSIONE EUROPEA, 2003.
TAVOLA 2
INCIDENZA PERCENTUALE PRESTAZIONI PENSIONISTICHE DI I E II PILASTRO
SUL PIL IN ALCUNI PAESI EUROPEI(*)
BELGIO
DANIMARCA
GERMANIA
SPAGNA
FRANCIA
ITALIA
OLANDA
PORTOGALLO
SVEZIA
REGNO UNITO
2,2
0,7
0,5
1,1
0,6
0,5
5,1
0,8
1,0
5,5
11,1
10,7
12,1
9,1
12,5
13,7
10,9
9,2
12,4
12,3
(*) L’incidenza delle pensioni pubbliche sul PIL è relativa all’anno 2000; quella delle pensioni
complementari si riferisce al 1997.
Fonte: EUROSTAT e ASSICURAZIONI GENERALI, 2001.
Incidenza prestazioni pensioni complementari (II pilastro) sul PIL (%)
Incidenza pensioni pubbliche sul PIL (%)
In tutti i paesi il punto di partenza delle proposte di riforma è l’aumento
dei tassi di dipendenza della popolazione anziana, derivante dall’allungamento
della vita attesa e dalla riduzione della natalità89.
Dopo il 2010, secondo i paesi, le pensioni pubbliche saranno più basse, in
rapporto alle retribuzioni, di quelle attuali, a meno di gravare le future generazioni
di oneri molto elevati. I giovani di oggi devono quindi risparmiare di più. Questo
sembra essere un punto fermo e condiviso.
Chi afferma che le “riforme sono già state fatte” ritiene che gli oneri che verranno
addossati alle future generazioni siano sostenibili o comunque equi rispetto a
quelli che gravano sulla generazione presente. Chi invece afferma che le riforme
debbano ancora essere completate ritiene che la distribuzione degli oneri sia
ancora squilibrata a sfavore delle generazioni future90. Entrambi, a maggior
89
CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, 2003. Sulle dinamiche della longevità, si
veda MACCHERONI C., 2002. Per un inquadramento dei sistemi pensionistici nell’ambito della
più ampia evoluzione socioeconomica, si veda LINDBECK A., 2000.
90
Per una valutazione degli effetti delle riforme attuate in Italia negli anni ’90, si veda
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, 2001. Per una sintesi del
dibattito e delle opzioni di riforma, SARCINELLI M., 2001.
1
ragione i secondi, si debbono porre il problema di come garantire un tenore di vita
adeguato a coloro che andranno in pensione nei prossimi decenni.
La via maestra per affrontare questo problema è di aumentare il risparmio
aggregato da oggi ai prossimi decenni. Non si tratta dunque di scegliere in astratto
se sia meglio un sistema a ripartizione o uno a capitalizzazione.
Come è stato ampiamente dimostrato91, il beneficio netto del passaggio alla
capitalizzazione è zero anche quando il rendimento dei mercati finanziari sia di
molto superiore al tasso di crescita del prodotto nazionale. Ciò perché il
miglioramento di benessere a regime, ossia per le future generazioni, è
esattamente uguale, in valore attuale, al sacrificio che la transizione impone alle
generazioni di mezzo, che vengono gravate dal doppio onere di sostenere gli
attuali pensionati della ripartizione e di risparmiare per il proprio futuro.
Il passaggio, almeno parziale, a sistemi a capitalizzazione non è dunque una
scelta, ma deriva invece essenzialmente dalla necessità, di cui si è detto sopra,
di aumentare oggi il tasso di risparmio.
Dal punto di vista macroeconomico, l’operazione ha senso se il maggiore
risparmio si traduce in accumulazione di capitale e dunque in un livello più
elevato dell’output in futuro.
91
DIAMOND Peter A.,1999. Sul punto, si veda anche SINN H.W., 2000.
1
5.4
Il ruolo del settore privato
In linea di principio, non ha importanza se il maggiore risparmio sia pubblico
o privato. Come ha messo in luce la Commissione insediata dall’amministrazione
Clinton92 a metà degli anni novanta, lo Stato potrebbe:
a) risparmiare per conto dei privati (ad esempio con conti ad
accumulazione presso le istituzioni della sicurezza sociale),
oppure anche, e in un certo senso più semplicemente,
b) contenere il proprio disavanzo, con riduzioni di spese o aumenti di
imposte (o contributi sociali). Il minor onere che ne conseguirebbe in
futuro per il servizio del debito pubblico potrebbe essere poi distribuito nel
modo che si ritiene più appropriato fra le diverse generazioni (lavoratori e
pensionati) nel periodo della cosiddetta “gobba” pensionistica.
E’ opinione generalmente condivisa che lo Stato “debba fare la sua parte”
attraverso il contenimento dei disavanzi pubblici (nell’assunto implicito che non
vi sia perfetta equivalenza ricardiana fra risparmio pubblico e risparmio privato).
Si discute molto se sia opportuno un intervento dello Stato per conto dei privati
(punto a). Alcuni93 ritengono che questa sia la soluzione migliore perché:
a) sarebbero più contenuti i costi di gestione grazie alle economie di scala.
b) Lo Stato sarebbe in grado di offrire garanzie più credibili, in termini, ad
esempio, di rendimento minimo (mutualità dovuta alle maggiori
dimensioni del fondo pubblico e alla possibilità di ricorrere allo strumento
fiscale).
92
93
ADVISORY COUNCIL ON SOCIAL SECURITY,1997.
Ad esempio, MUNNELL A. H., 2002; AARON H. J., REISCHAUER R.D., 1998.
1
c) La previdenza privata sarebbe meno in grado, rispetto a quella pubblica, di
resistere alla tentazione di offrire vie d’uscita anticipate (ad esempio, in
caso di malattia o perdita del posto di lavoro), il che vanificherebbe
almeno in parte la natura pensionistica del risparmio.
L’opinione prevalente, non solo negli Stati Uniti, è che il mercato,
opportunamente
regolato, potrebbe fare meglio dello Stato. Gli argomenti sono:
a) è inopportuno che lo Stato intervenga sul mercato finanziario e in
particolare su quello azionario. Anche se è possibile immaginare rigorose
regole di governance, è difficile evitare interferenze politiche nell’uso dei
fondi. Su questo punto, un intervento molto influente, probabilmente
risolutivo, è stato quello di Alan Greenspan che ha criticato gli attuali
investimenti in azioni da parte dei fondi pensione dei dipendenti pubblici.
b) Sarebbe molto forte la tentazione di utilizzare il surplus accumulato dalla
previdenza pubblica per coprire disavanzi correnti o quantomeno per
rinviare gli aggiustamenti che sono necessari al bilancio pubblico.
c) La previdenza privata è meglio in grado di soddisfare le diverse esigenze
degli individui, comprese quelle che portano ad uscite anticipate. In effetti,
i problemi del welfare non riguardano solo le pensioni, ma anche la sanità,
la precarietà del lavoro ecc.
d) La concorrenza fra istituzioni finanziarie private che offrono strumenti
previdenziali migliorerebbe l’allocazione del portafoglio, a beneficio degli
iscritti, nonché l’utilizzo complessivo delle risorse e dunque la crescita
economica.
e) Politicamente, è molto difficile obbligare le persone a risparmiare di più,
perché un contributo ad un fondo pubblico, anche se a capitalizzazione,
1
verrebbe percepito come una tassa. Questo argomento è stato utilizzato dal
Presidente della Commissione Clinton, Edward Gramlich, ed è da molti
considerato
l’argomento
decisivo
a
favore
della
previdenza
complementare privata, facoltativa o anche obbligatoria. Vi è inoltre il
rischio che, essendo percepito come una tassa, il contributo aggiuntivo
induca le persone a ridurre altre forme di risparmio.
In conclusione è vero, in questo caso come in generale, che “un pianificatore
illuminato” potrebbe conseguire l’ottima allocazione delle risorse, ma ci sono forti
argomenti a favore di un ruolo centrale del mercato, opportunamente regolato.
1
5.5
Libertà di circolazione dei lavoratori
Uno dei principi fondamentali dettati dal Trattato è la libertà di
circolazione dei lavoratori all’interno del mercato UE per motivi di lavoro.
L’assenza di un sistema normativo coordinato in materia di previdenza
complementare costituisce un serio ostacolo per l’esercizio di tale libertà.
Problemi analoghi aveva creato l’iscrizione obbligatoria di tutti i lavoratori ai
regimi pensionistici pubblici di base degli Stati Europei. Per questo motivo, le
Istituzioni comunitarie hanno sin dall’inizio cercato di creare un sistema di norme
volte a raccordare la disciplina pensionistica pubblica degli Stati Membri.
Sulla base dell’art.42 del Trattato CE è stato adottato il Regolamento comunitario
1408/71 (e successive norme di attuazione con Reg.574/72) con lo scopo di creare
una cornice comunitaria di coordinamento dei sistemi pensionistici obbligatori.
Va sottolineato che si tratta di una disciplina di coordinamento e non di
armonizzazione in quanto il quadro normativo comunitario non interferisce affatto
con la libertà degli Stati membri di organizzare liberamente i propri schemi
pensionistici obbligatori, ma è finalizzato a garantire il mantenimento dei diritti
pensionistici acquisiti attraverso il cumulo delle contribuzioni effettuate dal
lavoratore a favore dei regimi pensionistici dei diversi Stati in cui egli ha prestato
il suo lavoro.
Il regolamento comunitario in materia di pensioni pubbliche non si applica agli
schemi di previdenza complementare, ne si potrebbe applicare in ragione delle
profonde diversità strutturali che in tal materia sussistono tra gli Stati Membri.
Più volte la Commissione94, analizzando la situazione europea in materia di
previdenza sociale, ha affermato la necessità di rimuovere gli ostacoli di ordine
economico, sociale e giuridico che impediscono ai lavoratori di godere a pieno
delle fondamentali libertà garantite dal trattato.
94
Comunicazione del 1991; Proposta di direttiva del 1993 successivamente ritirata per il
dissenso di alcuni Stati ed infine il “Libro verde per un Mercato Unico per le pensioni
complementari”.
1
La stessa Corte di Giustizia con la sentenza Shumacher95 ha stabilito che
qualsiasi impedimento, diretto o indiretto, all’esercizio della libertà di
spostamento dei lavoratori contrasta con l’efficacia diretta ed immediata dei
principi fondamentali del Trattato.
Nel libro verde sul Mercato Unico delle pensioni complementari la
Commissione ha evidenziato quelle che sono le cause di maggiore ostacolo per
creare un sistema pensionistico complementare uniforme in tutti gli Stati dell’UE:
9 periodi lunghi e diversi per l’acquisizione dei diritti pensionistici;
9 trasferimento dei diritti pensionistici acquisiti;
9 diverso trattamento fiscale dei contributi, rendimenti e prestazioni dei
fondi pensione.
Un primo passo verso l’eliminazione di tali ostacoli è rappresentato dalla
direttiva 98/49/EC del 29 giugno 1998 la quale prevede in via di principio che i
lavoratori che si spostano all’interno dello spazio UE siano messi nella condizione
di continuare a contribuire allo schema pensionistico integrativo del Paese di
origine in modo tale da avere lo stesso trattamento dei lavoratori che si spostano
all’interno di un unico Stato membro.
Ciò permetterebbe ai lavoratori di evitare i trasferimenti da uno schema all’altro e
non perdere i diritti pensionistici eventualmente maturati.
Va comunque detto che un simile meccanismo di raccordo è di difficile attuazione
pratica perché richiederebbe una serie di deroghe alla disciplina sulle condizioni
di lavoro dei singoli Stati membri, nonché un reciproco riconoscimento dei diversi
sistemi fiscali che stanno alla base di ogni schema di previdenza integrativa.
Il Libro Verde approfondisce i principali ostacoli alla libera circolazione
dei lavoratori nell’Unione.
95
Caso C-27/93, Finanzmt Koln-Alstadt v. Shumacher del 14/02/1995.
1
Appurato che lunghi e diversi periodi di acquisizione dei diritti pensionistici con
conseguente possibilità di riscatto o trasferimento della posizione individuale
costituiscono un ostacolo reale ed un’indiretta discriminazione tra lavoratori che si
spostano all’interno del loro stesso Stato e lavoratori che si spostano all’interno
dell’UE, la questione più delicata da risolvere per garantire un effettiva esistenza
della libera circolazione dei lavoratori comunitari è quella del come trasferire le
situazioni pensionistiche individuali da uno Stato membro all’altro.
Da una recente comunicazione della Commissione96 emerge che a causa
della varietà dei regimi pensionistici complementari adottati dagli Stati UE e dal
loro diverso regime fiscale il trasferimento dei diritti pensionistici è attualmente
impossibile.
Schemi di previdenza integrativa come quello basato sulle “books reserves”
(Germania) o sul metodo a ripartizione rendono tecnicamente inattuabile lo
spostamento della situazione pensionistica del singolo lavoratore.
Ciò sarebbe invece possibile se la previdenza complementare si diffondesse
all’interno di tutti gli Stati UE attraverso lo schema dei fondi pensione a
capitalizzazione. Inoltre, anche tra schemi di fondi pensione a capitalizzazione, il
trasferimento non è possibile se nel loro interno gli Stati non adottano norme di
coordinamento basate su principi comunitari comuni, soprattutto nel determinare
il valore del capitale trasferito da uno Stato all’altro.
Ad esempio, attualmente, il trasferimento all’estero di un lavoratore italiano,
aderente ad un regime di previdenza complementare, risulterebbe sfavorevole
rispetto ad un mero trasferimento nel territorio nazionale proprio a causa
dell’assenza di una disciplina degli spostamenti transfrontalieri.
L’alternativa al trasferimento di capitale da un fondo all’altro dell’UE sarebbe
invece quella di garantire la conservazione dei diritti acquisiti nei diversi fondi
pensione dei diversi Stati e coordinarli al momento della prestazione pensionistica
in modo tale da assicurare un equo trattamento per i beneficiari.
96
COM (1999) 134, 11/05/1999.
1
Le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, garantite dal
Trattato e specificate dalla Corte di Giustizia97, si risolvono, in materia di fondi
pensione nella garanzia di una serie di attività quali la libertà di gestione
transfrontaliera degli investimenti, la libertà di investimenti transfrontalieri, la
libertà di appartenenza transfrontaliera alle istituzioni pensionistiche.
In tal modo, una sana concorrenza dei fondi pensione garantisce in via indiretta la
libertà dei lavoratori di scegliere lo schema pensionistico più vantaggioso ed
adatto alla loro attività.
E’ giurisprudenza consolidata che i provvedimenti nazionali in grado di
derogare legittimamente alle libertà di stabilimento, prestazione di servizi e
circolazione dei capitali possano farlo solo in presenza di determinati presupposti:
esistenza di un interesse pubblico da tutelare, idoneità dei provvedimenti a
garantire la tutela di tale interesse senza andare oltre, adozione di provvedimenti
non discriminatori.
Va comunque detto che non ci sono ancora norme specifiche che disciplinano e
garantiscono l’applicazione di tali libertà.
Per evitare che la concorrenza tra fondi pensione in campo comunitario sia falsata
da legislazioni diverse che prevedono differenti requisisti di costituzione ed
azione, la Commissione, nel Libro Verde, ha manifestato l’esigenza di adottare
una disciplina comunitaria di indirizzo e coordinamento volta a raggiungere i
seguenti obiettivi:
a. dettare una serie di norme prudenziali a tutela dei lavoratori aderenti ai
fondi pensione;
b. garantire ai fondi pensione il miglior profitto possibile non ponendo troppe
restrizioni agli investimenti all’interno del Mercato Unico in modo tale da
non renderli più svantaggiosi rispetto ai piani di risparmio individuali
offerti dalle compagnie di assicurazione;
97
Causa C-70/95, sent.17/06/1995; Causa C-55/94 con sent. del 30/10/1995.
1
c. garantire in ogni Stato membro un eguaglianza di trattamento dei fondi
pensione attraverso un mutuo riconoscimento dei regimi prudenziali ed un
riavvicinamento dei sistemi fiscali.
Attualmente, un fondo pensione non può avere aderenti in più di uno Stato a
causa delle diversità strutturali dei sistemi di previdenza complementare.
La partecipazione transnazionale a fondi pensione non può dunque che essere un
obiettivo di lungo periodo.
In realtà, le enormi differenze in materia di disciplina dei fondi pensione rendono
molto difficile la realizzazione concreta delle libertà di stabilimento, di
prestazione di servizi e di circolazione dei capitali.
Allo stato attuale delle cose, è possibile solamente l’adozione di una direttiva
volta a fornire un quadro armonico delle garanzie e dei requisiti minimi che i
fondi pensione devono avere. In questo senso va la proposta di direttiva della
Commissione (com.507/2000) i cui principali contenuti sono:
9 la predisposizione di regole prudenziali basilari per la costituzione e la
gestione dei fondi pensione: è prevista perfino l’istituzione di autorità di
vigilanza con lo scopo di un continuo controllo coordinato in tutti gli Stati
Membri;
9 la previsione di una serie di principi in materia di investimenti dei
contributi, volti a diversificare e quindi tutelare gli aderenti ai fondi;
9 l’obbligo di prestare una serie di garanzie patrimoniali e di informazione a
tutela del mercato e dei lavoratori.
1
5.6
Sistemi pensionistici nei principali paesi dell’Unione Europea
In campo internazionale, la dottrina98 che esamina i sistemi pensionistici
adottati dagli Stati è solita suddividere la loro struttura in tre pilastri.
Quando si parla dei tre pilastri, ci si riferisce in linea di principio ad una
suddivisione tra un trattamento pensionistico di base, una previdenza collettiva
integrativa del primo ed infine una previdenza supplementare di tipo individuale.
Per meglio chiarire la suddivisione, per “Primo Pilastro” s’intende un regime
pensionistico pubblico ed obbligatorio che garantisca a tutti una pensione di base:
le pensioni di vecchiaia gestite e garantite dallo Stato attraverso il metodo
cosiddetto a ripartizione.
Il “Secondo Pilastro” comprende invece i piani pensionistici di
previdenza integrativa, gestiti dallo stato o da società (soprattutto compagnie
d’assicurazione ed
istituti bancari) attraverso la costituzione di fondi pensione occupazionali o
collettivi e finalizzati a garantire un trattamento pensionistico che, insieme alla
pensione base, si avvicini all’ultima (o alla media degli ultimi anni) retribuzione.
Gli schemi di previdenza integrativa sono essenzialmente basati su un sistema a
capitalizzazione (fatta eccezione per la Francia, in cui tali sistemi sono finanziati
col metodo della ripartizione e gestiti direttamente dallo Stato)99 ed hanno forma
nei seguenti modi:
9 creazione di partecipazioni in fondi pensione non gestiti da datori di
lavoro; il fondo riceve i contributi, li investe ed eroga la pensione in base a
contributi e rendimenti. I fondi possono essere “chiusi” ( quando solo
un’impresa od un gruppo d’imprese appartenenti allo stesso settore
possono aderire ad essi) o “aperti” (quando imprese appartenenti a diversi
settori economici possono aderirvi); inoltre possono essere a “prestazioni
definite”(viene
garantito
un
determinato
98
livello
di
prestazione
STEVENS L., DRABBE H., DIETVORST G., KAVELAARS P., Pension systemin the
Europen Union, Kluwer, 1999; SCIFONI G., SACRESTANO A., La riforma della disciplina
fiscale del secondo e terzo pilastro del sistema pensionistico nazionale, Il Fisco, fasc.23, 2001.
99
Per questo motivo è in discussione una proposta di riforma francese volta a comprendere
nel regime pensionistico di base anche gli attuali piani previdenziali integrativi pubblici
1
pensionistica) od a “contribuzione definita” (la prestazione pensionistica in
questo caso varia a seconda dei rendimenti degli investimenti);
9 sottoscrizione di una polizza vita di gruppo da parte di un’impresa: la parte
contraente è il datore di lavoro, i beneficiari sono i lavoratori, i contributi
vengono versati alla compagnia d’assicurazione, la quale li investe e paga
alla fine del piano la prestazione pensionistica;
9 accantonamenti mediante riserve di bilancio (“book reserves”): il datore di
lavoro gestisce le riserve accantonate e s’impegna a pagare il trattamento
pensionistico in base al piano pattuito.
Il “Terzo Pilastro” consiste invece nella sottoscrizione di polizze vita
individuali da parte dei lavoratori con compagnie d’assicurazione.
Fatte queste premesse d’ordine generale, saranno di seguito analizzati i sistemi
pensionistici di principali Stati dell’Unione Europea.
1
5.6.1
Francia
I Pilastro: pensioni pubbliche di base
Il sistema pensionistico francese prevede una pensione di base generale ed obbligatoria ed
è fondato sul metodo di finanziamento a ripartizione.
Accanto ad un regime generale (“Regime general d’assurance vieillesse”) sussistono
alcuni regimi speciali in determinati settori economici.
Il sistema pensionistico pubblico francese è composto attualmente da 26 regimi di base per
l’assicurazione della vecchiaia100.
Tra i diversi regimi pensionistici, esiste comunque un sistema di compensazione finanziaria
finalizzato a mantenere gli equilibri di bilancio.
L’età pensionabile del Regime Generale è di 60 anni sia per gi uomini sia per le donne. Pensioni
d’anzianità sono previste per quei lavoratori che hanno totalizzato 40 anni di contribuzione e che
hanno raggiunto l’età di 58 anni.
I contributi per la pensione di vecchiaia sono a carico sia del lavoratore sia del datore di lavoro
(50% e 50%), mentre l’erogazione della prestazione viene calcolata in relazione ai 10 migliori
salari percepiti dal lavoratore, fermo restando comunque un tetto massimo (circa 1100 euro
mensili) ed un tetto minimo (circa 500 euro) predisposto dalla legge. Vi è da aggiungere che i
contributi devono essere versati per almeno 37,5 annualità: ogni anno in meno determinerà una
diminuzione della pensione di vecchiaia.
E’ attualmente in discussione una proposta di riforma che prevede l’aumento dell’età pensionabile
da 60 a 65 anni e l’inserimento dei regimi di previdenza complementare ARRCO e AGIRC
nell’ambito del coordinamento europeo dei regimi di base di cui al regolamento 1408/71.
Per quanto riguarda la tassazione delle erogazioni, queste vengono trattate come reddito di lavoro
dipendente ed assoggettate a tassazione secondo le regole per tale categoria dettate.
II Pilastro: previdenza complementare
In Francia, a differenza di molti altri Stati, la previdenza complementare è obbligatoria101
100
101
PERACCHI F., Le pensioni in Italia e in Europa, Padova, 2000
I dati per la ricostruzione degli schemi di previdenza complementare di seguito riportati
si basano sull’analisi e le tabelle contenute nel Libro Verde sulle Pensioni complementari nel
Mercato Unico pubblicato dalla Commissione Europea, COM (97) 283; sul documento della
European federation for
1
Il 90% delle pensioni integrative sono gestite da istituzioni federali, l’ARRCO e l’AGIRC, nate da
accordi stipulati dalle confederazioni sindacali e le associazioni di categoria dei datori di lavoro.
Solo il 10% dei lavoratori è coperto da una previdenza complementare collettiva volontaria,
affidata ai piani aziendali ed interaziendali gestiti da fondi pensione o compagnie d’assicurazione.
L’ARRCO e l’AGIRC sono federazioni di fondi pensionistici complementari strettamente correlati
tra di loro in quanto si basano su una reciproca compensazione finanziaria per far fronte ad
eventuali deficit di bilancio. Alla gestione del fondo partecipano in via paritetica le parti sociali
che l’hanno istituito. Gli schemi di previdenza complementare francese sono basati su un sistema
di finanziamento a ripartizione, per cui i contributi versati nell’anno vanno a finanziare le pensioni
erogate nell’anno stesso, mentre i lavoratori acquisiscono punti in base all’ammontare dei
contributi versati a loro beneficio: tali punti determinano il livello della prestazione pensionistica
da erogare alla fine del piano.
L’aliquota di contribuzione è del 6% del salario lordo ( è previsto che in via graduale arrivi ad
essere del 16% entro il 2003).
Il contributo è a carico del datore di lavoro per il 60%, mentre grava sul lavoratore per il restante
40%.
Il lavoratore acquista da subito i diritti pensionistici e non è previsto alcun periodo di maturazione
(vesting period). Se il rapporto di lavoro cessa prima del raggiungimento dell’età pensionabile, il
lavoratore ha diritto alla conservazione dei diritti acquisiti ed all’erogazione della prestazione al
momento del raggiungimento dell'età pensionabile.
Per quanto riguarda il trattamento fiscale102, i contributi ai fondi di previdenza complementare
sono deducibili dal reddito del lavoratore dipendente fino ad un certo limite, mentre da quello del
datore di lavoro per intero. Non vi è invece alcuna deducibilità per le riserve di bilancio
accantonate a fini pensionistici. I rendimenti dei fondi pensione privati, sebbene questi ultimi
esistano in via del tutto residuale, non sono soggetti ad imposizione. Le prestazioni erogate (che
insieme alla pensione base costituiscono generalmente l’80% dello stipendio finale) sono
Retirement Provision (EFRP), European Pension Funds, 1996; sull’indagine della CEA,
System of occupational pension provision and the tax treatment thereof, 1997 riportato in parte in
DIETRVOST G., Pension Systems in the European Union, op.cit.
102
I dati circa il trattamento fiscale dei piani di previdenza complementare della Francia e
degli altri Stati, sono ripresi da uno studio della European Federation for Retirement Provision
(EFRP), condotto nel Giugno del 2000 e pubblicato in EIORP, A single License to enable
Multinationals to pool their pension liabilities and assets on a tax neutral basis, 2000, 18 e da un
rapporto sui regimi impositivi delle pensioni complementari negli Stati Europei elaborato
dall’OCSE nel 1998, contenuto in European Round Table of Industrialists, European Pension. An
Appeal for Reform, 2000, 47.
1
interamente tassate. Il metodo di tassazione utilizzato può essere schematizzato nella formula
EET103
III Pilastro: Polizze vita
Nel terzo pilastro sono inseriti i piani di risparmio individuale che il lavoratore costituisce con
compagnie d’assicurazione.
Dal 1997 sono deducibili i premi delle polizze vita pagati periodicamente. Il limite massimo
deducibile è di 1000 franchi per ogni famiglia, più 250 franchi per ogni bambino facente parte
della famiglia. Un imposta del 3.4 per cento che grava sui premi di polizza è destinata ai fondi per
la sicurezza sociale.
5.6.2
Germania104
I Pilastro
Il sistema pensionistico tedesco è basato su una pluralità di fondi, gestiti o controllati
dallo Stato, e obbligatori per tutti i lavoratori: gli schemi pensionistici di base variano a seconda
della categoria di lavoratori e dei settori in considerazione.
103
Nella fiscalità internazionale, gli studiosi dei regimi impositivi dei sistemi previdenziali,
al fine di meglio evidenziare le modalità di tassazione delle pensioni, analizzano il trattamento
fiscale nei tre momenti principali dello schema pensionistico: la contribuzione, gli eventuali
rendimenti finanziari degli investimenti e le prestazioni pensionistiche erogate. Ne deriva che la
formula EET (exemption, exemption, taxation) significa esenzione dei contributi dall’imposizione,
esenzione dei rendimenti e tassazione della prestazione pensionistica; ETE (exemption, taxation,
exemption) indica che vengono tassati i soli rendimenti finanziari; TEE che l’imposizione avviene
esclusivamente al momento della contribuzione. Tale schema di analisi è stato applicato anche nel
rapporto OCSE, ’98, op.ult. cit.
104
Prima di passare alla trattazione del sistema pensionistico tedesco, è doveroso richiamare
l’attenzione sulla riforma approvata dal Parlamento (Maggio 2001) entrata in vigore a Maggio
2002. Tale riforma ha lo scopo di garantire la sopravvivenza del sistema pubblico delle pensioni
attraverso l’introduzione e l’incentivazione dei fondi pensione aziendali finanziati col metodo della
capitalizzazione. L’adozione di tale schema ha come conseguenza la graduale sostituzione degli
accantonamenti di bilancio (il metodo maggiormente diffuso nella previdenza complementare
tedesca) con i fondi pensione. Per un’analisi della riforma, si rinvia a RICHARD F., Fonds de
pension à
l’allemande, Le Monde, 11 Maggio 2001.
1
Il sistema è finanziato a ripartizione con un contributo pari a circa il 20% della remunerazione
mensile lorda ed i contributi sono per metà a carico del lavoratore e per metà a carico del datore di
lavoro.
L’età pensionabile, sia per gli uomini sia per le donne è di 65 anni con un periodo di contribuzione
minima pari a 5 anni. Resta comunque la possibilità di un prepensionamento a 60 anni per le
donne e 63 per gli uomini: in tal caso, la pensione viene ridotta del 3.6% per ogni anno.
Le prestazioni pensionistiche erogate, calcolate in rapporto all’ammontare dei contributi pagati,
sono soggette a tassazione come reddito di lavoro dipendente con aliquote ridotte, ferma restando
la soglia d’esenzione che è di circa 6.500 euro annui.
II Pilastro
Il sistema di previdenza pubblica tedesco, teso a garantire al lavoratore un reddito
adeguato allo standard raggiunto durante la vita lavorativa, non ha consentito lo sviluppo di un
regime di previdenza complementare obbligatorio per i lavoratori105.
La previdenza complementare tedesca è dunque di tipo volontario e occupazionale, ed è
disciplinata dall’ “Atto sulle pensioni occupazionali” (betrAVG) del 1974, nel quale vengono
fissati i requisiti minimi per dar vita ad un sistema pensionistico occupazionale di tipo integrativo.
La costituzione dei piani previdenziali avviene attraverso accordi tra rappresentanze sindacali, tra
il sindacato dei lavoratori ed il datore di lavoro ovvero tra datori di lavoro e lavoratori dipendenti.
Gli schemi possono avere diversa natura: possono consistere in accantonamenti di riserve contabili
nel bilancio aziendale e dunque essere gestiti direttamente dai datori di lavoro (books reserves);
possono essere costituiti fondi pensione, ed in tal caso saranno gestiti dai rispettivi consigli
d’amministrazione (per i quali la legge prevede la presenza obbligatoria di almeno due
rappresentanti delle parti sociali); infine possono essere affidati a compagnie d’assicurazione
attraverso la sottoscrizione di un contratto assicurativo di gruppo o individuale.
Gli schemi di previdenza complementare vengono finanziati attraverso il metodo della
capitalizzazione, sono per la maggior parte a prestazioni definite e prevedono un indicizzazione
delle pensioni106.
105
Per una descrizione del sistema pensionistico tedesco in generale e delle sue tendenze
evolutive, si rinvia a AXEL BORSCH-SUPAN, “Social Security Reform in Germany”, lavoro
presentato nel Convegno “Social Security Reforms: International Comparison”, Roma, 16 e 17
Marzo, 1998 (disponibile sul sito del Ministero del lavoro www.minlavoro.it).
106
La BetrAVG del 1974 prevede che ogni tre anni la pensione sia adeguata all’andamento
dei prezzi.
1
I “book reserves” prevedono contributi esclusivamente o in gran parte a carico del datore di
lavoro, mentre per i fondi pensione, un terzo dei contributi grava sui lavoratori. Nonostante ciò, il
sistema di previdenza complementare più diffuso è il primo.
Comunque, va sottolineato che circa il 50% dei lavoratori aderisce ad un piano di previdenza
complementare107, la cui prestazione pensionistica rappresenta
circa il 10% della retribuzione lorda108.
I diritti pensionistici si considerano acquisiti dopo che il lavoratore abbia raggiunto l’età di 35 anni
ed abbia partecipato al fondo pensione per almeno 10 anni.
Anche per quanto riguarda il trattamento fiscale, bisogna fare dei distinguo in base allo
schema previdenziale adottato:
9
gli accantonamenti a riserva del datore di lavoro sono deducibili e i lavoratori non
possono contribuire. Le prestazioni pensionistiche costituiscono reddito imponibile al
momento dell’erogazione ma parte di esse sono tassate con un’aliquota inferiore;
9
per quanto riguarda i fondi pensione, i contributi del datore di lavoro sono interamente
deducibili, ma costituiscono reddito imponibile per il lavoratore se superano il tetto dei
3000 marchi; i rendimenti derivanti dagli investimenti sono tassati con un’imposta fissa
del 10%. La prestazione pensionistica è soggetta ad imposizione e le aliquote applicabili
sono le stesse agevolate del sistema pensionistico di base pubblico (sistema impositivo
ETT);
III Pilastro
Il terzo pilastro è composto essenzialmente da polizze vita. A condizione che il piano
previdenziale individuale sia di almeno dodici anni, i premi di polizza sono interamente deducibili.
I proventi derivanti dagli investimenti sono tassati, mentre la prestazione erogata è soggetta alla
normale imposta sui redditi.
La prestazione erogate in seguito alla morte dell’assicurato o in seguito alla assicurazione di un
capitale non è soggetta ad imposta.
107
In una statistica ufficiale del 1993 risultava che le forme di previdenza complementare
erano così suddivise tra i lavoratori: il 56% aderiva al sistema del “book reserves”, il 32% ai fondi
pensione, ed infine, il 12% aveva una polizza assicurativa. Tali dati sono forniti dal Federal
Statistics Office e riportati in WINFRIED SCHMAHL, The public-private mix in pension
provision in Germany, 1997, 100.
108
La pensione erogata mediante gli schemi di previdenza complementare è così bassa,
perché il sistema pensionistico pubblico tedesco riesce a garantire una pensione di base che varia
tra il 70 ed il 90% dell’ultima retribuzione.
1
5.6.3
Paesi Bassi
I Pilastro
Il sistema previdenziale olandese è in linea di principio fondato su uno schema pubblico
universale, la cui gestione spetta alla “Sociale Verzekeringsbank” (SVB), obbligatorio per tutti i
lavoratori residenti e che fornisce una prestazione minima di base. Lo schema pensionistico
pubblico è finanziato dagli stessi assicurati attraverso un contributo pari al 18% circa della loro
retribuzione. Il massimo reddito imponibile annuo è pari a 22.000 euro.
L’età pensionabile è di 65 anni per uomini e donne e non sono richiesti periodi minimi di anzianità
contributiva. L’ammontare massimo della pensione, che va da un minimo di 530 euro ad un
massimo di 950 a seconda del nucleo famigliare, si raggiunge con 50 anni di contribuzione. Per
ogni anno in meno di contribuzione, l’ammontare della pensione erogata è diminuita del 2%.
Le erogazione sono soggette a tassazione come reddito da lavoro.
Un sistema così concepito, offre una pensione ai limiti del sostentamento. Per questo motivo,
l’iscrizione ad un piano di previdenza integrativa è resa obbligatoria dagli accordi collettivi
stipulati tra le rappresentanze sindacali.
La pensione erogata viene assoggettata a tassazione come reddito percepito.
II Pilastro
La legge olandese non prevede l’obbligo di datori di lavoro e lavoratori di partecipare a piani di
previdenza complementare. Prevede comunque la possibilità che un fondo pensione possa essere
reso obbligatorio per un intero settore109. In quest’ultimo caso, sebbene i datori di lavoro non sono
tenuti ad offrire un piano di previdenza complementare110, nel momento in cui decidessero di farlo,
dovrebbero
109
Wet van 17 maart1949 houdende vaststelling van en regelingbetreffende verplichte
deelneming in een bedrijfspensioenfonds (legge 17 Maggio 1949 che stabilisce le regole relative
all’iscrizione obbligatoria ad un fondo pensione di categoria) e Wet van 15 mei 1962 houdende
regelen betreffende pensioen-en spaarvoorzieningen (legge 15 Maggio 1962 sui fondi pensione e
sui fondi risparmio, così come modificata anche recentemente).
110
E’ anche vero che, se l’obbligo di predisporre piani di previdenza complementare non è
sancito dall’ordinamento olandese, viene generalmente inserito nei contratti collettivi dalle parti
sociali. Su questo tema si rinvia a ERIC LUTJENS, “International perspectives on supplementary
pensions”, Emmanuel Reynaud, Bryn Davies, GerardHughes, 1997, 18.
1
aderire a quello settoriale.
I fondi pensione olandesi, miranti a garantire un regime di previdenza complementare in grado di
fornire un reddito che si avvicini all’ultimo salario, sono istituiti secondo due modalità: una prima
modalità, la più diffusa, consiste nella partecipazione dei datori di lavoro e dei loro dipendenti ad
un fondo occupazionale (o di settore) istituito attraverso la contrattazione collettiva delle parti
sociali a livello settoriale.
I contratti collettivi vengono recepiti con un provvedimento del Ministero degli affari sociali il
quale ne rende obbligatoria l’adesione a tutti i lavoratori e datori di lavoro appartenenti alla
categoria111.
In caso di assenza di piani pensionistici occupazionali, il datore di lavoro può scegliere lo schema
di previdenza integrativa o aderendo ad un fondo pensione esistente, o creando un fondo aziendale
o interaziendale, ovvero sottoscrivendo un contratto assicurativo individuale o collettivo per i
lavoratori.
Di qualsiasi tipo essi siano, i piani previdenziali devono essere approvati dal Ministero degli affari
sociali e devono garantire una presenza paritetica dei lavoratori e dei datori di lavoro nella loro
gestione.
Tra le due forme di previdenza complementare, sono molteplici gli argomenti a favore dei fondi
occupazionali resi obbligatori: la solidarietà tra tutti i lavoratori del settore, in quanto l’adesione ed
il trattamento non varia ne per ragioni di età ne di salute; i lavoratori che cambiano impresa
all’interno dello stesso settore continuano nel loro piano senza alcun problema di trasferimento o
conservazione dei diritti pensionistici; infine, l’esistenza di un fondo pensione occupazionale
obbligatorio elimina quel tipo di competizione tra imprese basata sul risparmio nella
predisposizione dei piani di previdenza complementare.
Il problema di un ingiustificato monopolio a favore dei fondi pensione settoriali creati con appositi
accordi delle rappresentanze sindacali, del resto, è stato giudicato inesistente dalla Corte di
Giustizia112.
Il metodo di finanziamento comunemente adottato è la capitalizzazione, mentre, per quel che
riguarda le modalità organizzative, i fondi pensione presentano, nel 90% dei casi, schemi
previdenziali a prestazioni definite legate al salario finale o alla media salariale degli ultimi anni di
retribuzione; la restante percentuale di schemi previdenziali è a contribuzione definita.
111
Una volta creato un fondo pensione di settore, recepito e reso obbligatorio con decreto
del Ministero del lavoro e degli affari sociali, il datore di lavoro può essere esentato dall’obbligo di
adesione dal Ministero stesso, qualora ne faccia richiesta e presenti un piano pensionistico
alternativo almeno uguale a quello settoriale reso obbligatorio.
112
Corte di Giustizia del 21 settembre 99 C-115/97/C-117/97.
1
Le contribuzioni possono essere a carico del datore di lavoro o del lavoratore a seconda di quanto
pattuito nei contratti collettivi: generalmente, il lavoratore contribuisce per la metà o per un terzo
al finanziamento.
L’età pensionabile è di 65 anni, mentre con una legge entrata in vigore nel 1999 si è stabilito che il
periodo minimo di contribuzione per avere una pensione prima dei 65 anni è di 10 anni. Va
precisato che il lavoratore ha diritto alla pensione integrativa in quanto abbia acquisito anche il
diritto alla pensione di base.
Per quanto riguarda il regime di tassazione, i contributi versati dal datore di lavoro sono
interamente deducibili qualora ricorrano le seguenti condizioni: il piano pensionistico deve
garantire il lavoratore esclusivamente per la vecchiaia, la morte e l’invalidità; la prestazione
pensionistica non deve superare i limiti fissati dalla legge113; il piano pensionistico deve essere
costituito mediante un fondo pensione o un contratto d’assicurazione.
I contributi dei lavoratori sono deducibili fino ad una certa somma.
I rendimenti del fondo pensione sono esentasse e le prestazioni erogate ricevono lo stesso
trattamento fiscale delle pensioni di base ( sistema impositivo EET).
III Pilastro
Nella legislazione olandese, non vi è nessuna norma favorevole verso i piani di previdenza
individuale, fermo restando che, in caso di assenza di fondi occupazionali, la stipula di contratti di
assicurazione individuali o di gruppo, alle condizioni e con le garanzie poste dalla legge adempie
ad una funzione di secondo pilastro e quindi gode degli stessi benefici previsti per i fondi
pensione.
5.6.4
Gran Bretagna
I Pilastro
Il sistema pensionistico pubblico consiste in uno schema di base statale volto a garantire una
pensione minima, universale ed obbligatoria: il “Basic State Retirement Pension”(BSP).
Proprio per la precipua finalità di garantire un trattamento pensionistico minimo, la prestazione
pensionistica non viene correlata alla retribuzione dei lavoratori.
113
La Wet op de loombelasting (legge relativa all’imposta sulle retribuzioni) prevede che, ai
fini della deducibilità dei contributi, la pensione rogata non sia superiore al 70% del trattamento
individuale di fine carriera.
1
Esiste inoltre un sistema pubblico di previdenza complementare, il SERPS (“State EarningsRelated Pension Scheme), il quale è obbligatorio per tutti i lavoratori dipendenti, mentre i datori di
lavoro non possono in alcun modo aderire a tale schema di previdenza integrativa.
Il sistema pensionistico pubblico di base si fonda sul metodo a ripartizione.
L’età pensionabile è di 65 anni per gli uomini e di 60 per le donne (l’età pensionistica per queste
ultime dovrà comunque raggiungere gradualmente i 65 anni entro il 2020).
Il prepensionamento è consentito a determinate condizioni, mentre per ogni anno di lavoro in più
rispetto all’età pensionabile è previsto un incremento della pensione del 7,5% per ogni anno.
I contributi per lo schema base delle pensioni di vecchiaia vanno dall’8 al 10% della retribuzione e
sono a carico del lavoratore.
La pensione minima di base varia da circa 65 a 105 sterline settimanali.
II Pilastro
Come accennato nel paragrafo precedente, in Gran Bretagna, lo Stato gestisce due piani: il piano
pensionistico pubblico di base e un piano di previdenza integrativa a favore dei lavoratori
dipendenti, in modo tale da garantire un adeguato livello di reddito.
I lavoratori dipendenti vengono automaticamente assicurati al SERPS114 (State ernings-related
pension scheme), il quale garantisce una prestazione pensionistica pari al 25% del salario massimo
previsto dalla legge.
Al lavoratore viene comunque data la facoltà di optare per la previdenza privata, purché queste
offra condizioni almeno uguali a quelle delle pensioni integrative pubbliche. Gli schemi
pensionistici complementari privati sono costituiti o a livello occupazionale, interaziendale o su
iniziativa di un’unica impresa, la quale da vita ad un fondo pensione chiuso per i suoi dipendenti.
Nel primo caso, il fondo deve essere separato dalle imprese che lo costituiscono e deve essere
gestito in maniera del tutto autonoma.
Sia che scelgano il sistema pubblico che quello privato, i lavoratori hanno a disposizione due
schemi: quello a prestazioni definite e quello a contribuzioni definite.
Per i lavoratori, è inoltre possibile spostare la loro posizione individuale da un fondo all’altro
senza alcuna penalizzazione e mantenendo i diritti acquisiti.
La contribuzione è a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori e varia dal 9 al 12% della
retribuzione.
Il metodo di finanziamento utilizzato è la capitalizzazione.
114
I lavoratori autonomi non possono aderire al SERPS, neanche se ne fanno espressamente
domanda. Su questo argomento, Gerry Dietvorst, Pension Systems in the European Union,
Kluwer, op.cit., 32.
1
In linea generale, per l’acquisto dei diritti pensionistici, al lavoratore sono sufficienti due anni di
partecipazione al piano. Se la cessazione del rapporto di lavoro avviene prima della maturazione di
tali diritti, il lavoratore può richiedere il rimborso dei contributi versati115. Se, viceversa, il
rapporto di lavoro si interrompe dopo la maturazione di tali diritti, ma prima del pensionamento, il
lavoratore ha due opzioni: aspettare l’erogazione differita della prestazione pensionistica, oppure
trasferire la propria posizione nell’eventuale fondo costituito dall’impresa con la quale da vita al
nuovo rapporto di lavoro.
Le condizioni di partecipazione ai piani integrativi variano da piano a piano, ma in ogni caso l’età
pensionabile è di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne116.
Per quanto riguarda il trattamento fiscale della pensione erogata, la legislazione britannica prevede
che i contributi del datore di lavoro siano deducibili e non superino il 18% dello stipendio lordo
del lavoratore; i contributi dei lavoratori sono deducibili fino al 15% del salario; i rendimenti
derivanti dall’attività d’investimento sono esenti dall’imposizione, fatta eccezione per i dividendi
che vengono assoggettati ad un’imposta del 25%.
E’ infine tassata la prestazione pensionistica ( sistema impositivo EET, tenendo conto dell’imposta
sui dividendi).
5.6.5
Gli schemi di previdenza complementare all’interno del mercato UE
Dall’analisi dei sistemi pensionistici nei principali paesi europei, emerge che la Francia ed
il Regno Unito si caratterizzano per l’obbligatorietà legale alla previdenza complementare, con la
differenza però che nel Regno Unito, alla copertura pubblica obbligatoria, è dato facoltà al
lavoratore di sostituire quella privata, sia attraverso l’adesione a piani occupazionali, sia a piani
personali.
Nei Paesi Bassi vige invece un sistema di piani occupazionali contrattualmente obbligatori in
quanto istituiti attraverso accordi conclusi tra le parti sociali.
Del tutto volontaria è invece la previdenza complementare in Germania, Italia e Spagna, dove la
scelta è lasciata al singolo lavoratore.
In via generale, sono presenti in tutti i paesi le agevolazioni fiscali per la partecipazione a forme di
previdenza integrativa piuttosto che ad altre forme di risparmio od investimento.
115
Per un approfondimento di tale tema si rinvia a VINCENZO ANDRIETTI, Le pensioni
in Italia e in Europa, op.ult.cit.,226
116
Nel 1995 è stata varata una legge che prevede l’equiparazione graduale dell’età
pensionabile tra uomini e donne. Tra il 2010 e il 2020, anche per le donne, l’età pensionabile sarà
di 65 anni. Si rinvia a LYNES TONY, The British Case, in Enterprise and Welfare State, Martin
Rein and Eskil Wadensjo, 1997, 332.
1
Per quanto riguarda il regime di tassazione, emerge che le agevolazioni fiscali sono, in tutti i paesi
esaminati, basate su una deducibilità dei contributi destinati al piano di previdenza integrativa, i
rendimenti degli investimenti dei fondi non sono soggetti a tassazione (o soggetti a tassazione
ridotta) e le prestazioni finali vengono tassate o con aliquote agevolate, o attraverso l'applicazione
delle generali norme fiscali.
Il terzo pilastro, ossia la costituzione di piani previdenziali individuali attraverso contratti stipulati
con compagnie di assicurazione, viene in linea generale penalizzato rispetto alla gestione collettiva
ed occupazionale della previdenza integrativa, in quanto sono resi deducibili solo i premi pagati
dal lavoratore o dal datore di lavoro, senza alcun provvedimento agevolativo nella fase di
tassazione dei rendimenti finanziari e dell’erogazione della prestazione pensionistica.
Va comunque evidenziato che, sia nei Paesi Bassi che in Inghilterra (così come in Italia),
l’istituzione di piani di previdenza integrativa individuale che prevedono condizioni minime e
prestazioni equivalenti o migliorative rispetto ai piani di previdenza occupazionali hanno lo stesso
trattamento fiscale agevolativo dei fondi pensione pubblici e privati.
1
5.7
“A simpler way to better pension”: il rapporto Pickering
L’industria dei fondi pensione privati nel Regno Unito è certamente la più
importante e sofisticata tra quelle operanti in ambito europeo.
Il peso relativo del sistema previdenziale integrativo in tale Paese, o, per meglio
dire, il livello di copertura pensionistica che esso è chiamato ad assicurare, non è
imputabile esclusivamente alla presenza di un vasto e articolato mercato
finanziario e di intermediari interessati allo sviluppo del settore o alla propensione
dei datori di lavoro inglesi a proporre schemi pensionistici ai propri dipendenti
allo scopo di fidelizzarli all’azienda (fattori certamente concomitanti); esso in
larga misura è anche il risultato di una scelta politica operata alla fine degli anni
Settanta di riequilibrare la componente pubblica e quella privata del sistema
pensionistico attraverso la creazione del c.d. SERPS (State Earnings Related
Pension Scheme, sostituito dall’aprile 2002 dallo State Second Pension Scheme) e,
soprattutto, la previsione del meccanismo di contracting-out dal Second Pension
in virtù del quale i lavoratori possono trasferire parte dei propri contributi
previdenziali dal sistema obbligatorio agli schemi pensionistici promossi dai
datori di lavoro.
Negli anni Ottanta la riforma del sistema previdenziale fu bruscamente modificata
dai Governi conservatori attraverso il ridimensionamento della copertura
pensionistica assicurata dallo stesso SERPS117.
Occorre, peraltro, ricordare che i fondi pensione rappresentavano già prima degli
anni delle citate riforme una realtà significativa del sistema previdenziale inglese:
il picco massimo di adesioni agli schemi occupazionali era stato raggiunto, infatti,
nel 1967 con 12,2 milioni di iscritti
Nel difficile percorso di riforma le autorità inglesi hanno, dunque, potuto
ancorarsi a strutture ad esperienze gestionali consolidate.
Alcune cifre costituiscono di per sé evidenza dell’importanza della previdenza
privata nel Regno Unito. Nell’anno 2000, su un totale di 21,4 milioni di lavoratori
117
Per una analisi del sistema previdenziale inglese si veda D. Blake, The United Kingdom
Pension System: key issues, Discussion Paper PI-0107, in The Pensions Institute, Birkbeck
College, University of London, giugno 2002.
1
dipendenti, 13,5 milioni aderivano a forme previdenziali private. Di questi, 10,1
milioni erano iscritti a schemi pensionistici occupazionali118.
Nello stesso anno, il valore degli asset di tali schemi era pari a 860 miliardi di
sterline119, oltre l’80 per cento del prodotto interno lordo; gli schemi a prestazione
definita, che garantiscono ai partecipanti l’erogazione di una rendita pensionistica
commisurata all’ammontare del salario (attraverso un meccanismo di calcolo di
cui si dirà in seguito) contavano, sempre nel 2000, 9,1 milioni di aderenti, pari al
90 per cento del totale degli iscritti agli schemi pensionistici aziendali.
La sostenibilità di lungo periodo della promessa previdenziale affidata ai
fondi pensione privati è però attualmente messa in discussione dall’insorgere di
criticità, in parte legate a fattori strutturali, in parte determinate dalla congiuntura
dei mercati finanziari.
Negli ultimi venti anni, durante i quali la maggior parte degli schemi a prestazione
definita registrava ingenti surplus, numerose aziende sponsor si sono orientate a
ridurre la loro contribuzione agli stessi. Nello stesso periodo, gli schemi
pensionistici inglesi hanno investito massicciamente in azioni, prima patendo la
crisi del 1987, successivamente godendo dei forti rialzi degli anni Novanta e, da
ultimo, subendo i contraccolpi dell’andamento negativo dei mercati iniziato
nell’anno 2000.
La conseguenza più rilevante di tale processo è stata la crescita del fenomeno
dell’underfunding degli schemi a prestazione definita che per il 2002 è stato
stimato in 65 miliardi di sterline120
118
Secondo i dati pubblicati dall’Opra, al 31.3.2002 gli iscritti agli schemi occupazionali
sarebbero oltre 25 milioni (il dato risulta superiore rispetto a quello sopra indicato dal momento
che molte persone sono iscritte a più schemi). Al 31 marzo 2002 vi erano circa 103.000
occupational pension schemes e 437 personal pension schemes attivi, in regime di contribuzione
definita, con oltre 15 milioni di iscritti.
119
Secondo i dati forniti dall’Opra, al 31.3.2002 il valore degli asset degli schemi aziendali
sarebbe sceso a 770 miliardi di sterline.
120
Secondo uno studio della Watson Wyatt il deficit previdenziale nel 2002 ammonterebbe a
130 miliardi di sterline se fosse contabilizzato in base al FRS 17 (metodo di contabilizzazione dei
costi e dei ricavi, delle attività e passività degli schemi a prestazione definita nel bilancio
dell’azienda sponsor; tale metodologia sostituisce la precedente a partire dal giugno 2003 e si
caratterizza per l’immediato riconoscimento nel bilancio dell’azienda sponsor del valore attuale
dei costi e dei ricavi mentre le attività e passività sono valutate alle condizioni attuali di mercato).
1
Molte tra le imprese sponsor degli schemi pensionistici a prestazione
definita di fronte agli eventi descritti hanno operato la scelta di ridurre la
generosità degli schemi, anche decurtando i benefici promessi. Secondo un
recente studio condotto dalla Watson Wyatt circa il 55 per cento delle aziende
sponsor che offrono schemi a prestazione definita ha operato, nel corso degli
ultimi cinque anni, delle variazioni alle condizioni degli stessi, disponendone la
chiusura ai nuovi entranti e introducendo nuovi schemi (56 per cento), solo in
taluni casi è stata prevista la riduzione delle prestazioni (7 per cento) o dei
contributi versati per i lavoratori già iscritti. Secondo Watson Wyatt, la
maggioranza delle aziende che ha sospeso l’offerta di schemi a prestazione
definita ha parallelamente istituito schemi a contribuzione definita.
Il fenomeno della “fuga” dalla prestazione definita verso i regimi a contribuzione
definita suscita apprensione tra i policy maker inglesi; infatti, da un lato, il rischio
finanziario (che negli schemi a prestazione definita grava sui datori di lavoro)
negli schemi a contribuzione definita è trasferito in capo ai lavoratori iscritti,
dall’altro (ed è questo aspetto a suscitare le maggiori preoccupazioni), il
contributo erogato dai datori di lavoro agli schemi a contribuzione definita risulta
in media inferiore (4,3 per cento dello stipendio pensionabile) a quello (9,9 per
cento) dagli stessi erogato agli schemi a prestazione definita. Di qui nasce il
motivo di allarme: il minore apporto di risorse alla previdenza privata potrebbe
accentuare nel medio-lungo periodo il fenomeno di undersaving121 che, per motivi
riconducibili anche al progressivo invecchiamento della popolazione, già adesso
influenza i risultati delle proiezioni riguardanti la sostenibilità del sistema di
sicurezza sociale nei prossimi anni.
Inoltre, la sospensione di nuove iscrizioni agli schemi a prestazione definita, nel
far venir meno i flussi contributivi a valere sulle posizioni dei neo-assunti, rende
121
Il Green Paper, diffuso nel dicembre 2002 dal governo inglese, stima che il fenomeno
dell’undersaving riguardi circa 3 milioni di lavoratori che potrebbero vedere il loro tasso di
sostituzione scendere al di sotto del 50 per cento. In aggregato, l’undersaving annuale viene
stimato in circa 27 miliardi di sterline (Association of British Insurers, 2002). Secondo uno studio
dalla Oliver, Wyman & Company, la tendenza al passaggio dagli schemi a prestazione definita a
quelli a contribuzione definita potrebbe portare il livello del saving gap a 33 miliardi di sterline, a
causa della minore contribuzione dei datori di lavoro.
2
gli schemi più fragili finanziariamente, aggravando, per tale via, il fenomeno
dell’underfunding.
Il Governo inglese, allo scopo di analizzare gli effetti di lungo periodo che
l’ undersaving potrebbe produrre sulla fiducia del pubblico nella componente
privata del sistema previdenziale, ha promosso molteplici iniziative di studio (non
tutte, peraltro, incentrate sulle problematiche dei fondi pensione) volte ad
identificare i maggiori nodi strutturali che rendono problematica l’accumulazione
del risparmio personale e ricercare soluzioni idonee a semplificare ed estendere
l’accesso al sistema di previdenza complementare.
Tra tali studi si segnalano: il Myners Report (pubblicato nel 2001),
“L’investimento istituzionale nel Regno Unito”122; il Sandler Report (pubblicato
nel 2002), “Il risparmio personale di medio-lungo periodo nel Regno Unito”123; la
Review quinquennale della Occupational Pensions Regulatory Authority
(pubblicata nel 2002); infine, lo studio della Inland Revenue “La semplificazione
della tassazione sulle pensioni private”, pubblicato nel 2002.
Un ulteriore studio (certamente il più rilevante tra quelli menzionati, per
ciò che attiene specificamente ai fondi pensione) è stato commissionato all’ex
Presidente della Associazione dei fondi pensione (Napf), Alan Pickering.
Il Rapporto conclusivo del gruppo di lavoro coordinato da Pickering “A Simpler
Way to Better Pension” è stato pubblicato nel luglio del 2002.
Le misure di riforma suggerite nel documento mirano a rendere più efficiente il
sistema previdenziale privato (sgravandolo da eccessivi oneri regolamentari) e a
ridurre i costi che le imprese sponsor sostengono per il finanziamento degli
schemi pensionistici a prestazione definita, disincentivando così la loro
sostituzione con gli schemi a contribuzione definita.
122
HM Treasury (2001), Institutional Investment in the United Kingdom: A Review. Il
rapporto del gruppo di lavoro, presieduto da Paul Myner, contiene una serie di principi riguardanti
l’attività di investimento dei fondi pensione e, più in generale, degli investitori istituzionali.
123
HM Treasury (2002), Medium and Long-Term Retail Savings in the UK. Il gruppo di
lavoro, coordinato da Sandler, ha formulato delle proposte al Governo e alla Financial Services
Authority che mirano a rendere più efficiente l’industria del risparmio. Con riferimento al settore
della previdenza privata il rapporto suggerisce l’introduzione degli stakeholder pension plans.
2
Il Rapporto Pickering riveste un’importanza particolare per lo sviluppo della
riflessione in corso: esso ha, infatti, rappresentato il punto di riferimento per la
elaborazione da parte del Ministero del Lavoro e delle Pensioni delle proposte di
riforma del sistema di previdenza complementare contenute nel Green Paper124
(dicembre 2002) e nel c.d. Action plan125 (giugno 2003).
Tali proposte, ispirate alla volontà di semplificare ed estendere l’accesso al
sistema di previdenza complementare, recepiscono sostanzialmente le proposte
contenute nel Rapporto Pickering.
Tra le misure di riforma proposte nel Rapporto Pickering quelle che mirano a
rendere meno onerosi per le imprese sponsor gli schemi pensionistici vertono
principalmente su due aree: i benefici accessori, oggi offerti nel quadro degli
schemi a prestazione definita, e la semplificazione del meccanismo di
contracting-out.
Con riguardo ai benefici accessori, misure di rilievo per il loro contenuto radicale
sono quelle che prevedono la rimozione dell’obbligo in capo agli schemi
pensionistici di rivalutare le rendite previdenziali in funzione dell’andamento
dell’inflazione126 e la trasformazione da obbligo in facoltà della erogazione al
coniuge superstite di parte della pensione dell’altro coniuge in caso di
premorienza (c.d. reversibilità); importo e caratteristiche della pensione di
reversibilità sarebbero determinate dal datore di lavoro, d’intesa con i lavoratori.
124
Department for Work and Pensions, Simplicity, security and choice: working and saving
for retirement, Dicembre 2002. Il Green Paper presenta diverse proposte che riguardano, in
sintesi, il miglioramento dell’informativa ai potenziali aderenti e agli iscritti a forme previdenziali;
la riaffermazione del ruolo e della responsabilità dei datori di lavoro nella promozione del
risparmio previdenziale; l’aumento del grado di tutela degli iscritti agli schemi occupazionali; la
semplificazione dei prodotti al fine di agevolare il risparmio previdenziale; l’introduzione di
misure volte ad incentivare la permanenza nel mondo del lavoro.
125
Department for Work and Pensions, Simplicity, security and choice: working and saving
for retirement. Action on occupational pensions, giugno 2003. L’Action Plan, elaborato dal
Governo sulla base dei pareri ricevuti in merito alle proposte contenute nel Green Paper, contiene
gli interventi in materia di schemi pensionistici aziendali volti a semplificare gli adempimenti a
carico dei datori di lavoro, rendere il sistema pensionistico più chiaro e comprensibile da parte
degli interessati.
126
Le prestazioni pensionistiche erogate dagli schemi occupazionali sono indicizzate in
linea con gli incrementi dei prezzi fino ad un massimo del 5 per cento (limite fissato al 3 per cento
per la parte di pensione riferita a periodi di lavoro effettuati dall’aprile 1988 all’aprile 1997).
2
Quanto alla riduzione del costo strutturale della prestazione, l’intervento più
rilevante proposto nel Rapporto attiene al meccanismo di contracting-out che
incide sulle modalità di calcolo della prestazione. Attualmente, gli schemi a
prestazione definita, per poter essere destinatari dei contributi previdenziali dei
lavoratori che optino per il contracting-out, hanno l’obbligo di offrire, come
minimo, un beneficio previdenziale iniziale calcolato moltiplicando il numero
degli anni di iscrizione allo schema per una percentuale predefinita (1/80; c.d.
accrual rate) del salario medio dei tre anni che precedono il pensionamento. Su
tale base, un lavoratore iscritto per 40 anni matura il diritto a ricevere una
pensione integrativa pari a circa la metà della media del salario percepito negli
ultimi tre anni di lavoro (che, naturalmente, si somma alla rendita pensionistica di
primo pilastro).
Il Rapporto Pickering propone di ridurre a 1/100 il tasso di accumulo e suggerisce
di considerare ai fini del calcolo del beneficio pensionistico la media delle
retribuzioni percepite nel corso dell’intera carriera lavorativa.
L’intervento produrrebbe un duplice effetto: per un verso la sensibile limitazione
dell’esposizione finanziaria delle imprese sponsor, che dovrebbe, negli auspici dei
proponenti, favorire la conservazione e l’espansione del numero degli schemi a
prestazione definita offerti; per l’altro verso, la contrazione della copertura
pensionistica, temperata soltanto in parte dal mantenimento della certezza in
ordine all’ammontare della prestazione.
L’obiettivo di preservare o, addirittura, incrementare il numero di lavoratori
dipendenti iscritti agli schemi a prestazione definita, sarebbe in tal modo
perseguito a costo di un sacrificio nient’affatto trascurabile imposto agli stessi
lavoratori.
Un’ulteriore tipologia di interventi individuata nel Rapporto mira ad accrescere il
livello di tutela degli aderenti agli schemi. In tale contesto, si collocano misure
quali il miglioramento della qualità delle informazioni fornite con riguardo alle
singole posizioni previdenziali, l’incremento delle garanzie a favore degli aderenti
prossimi al pensionamento, la semplificazione delle procedure per la liquidazione
della posizione in caso di uscita dallo schema prima dell’età pensionabile o per il
trasferimento della posizione in caso di adesione ad altro schema.
2
Da ultimo, occorre far cenno alla ipotesi prospettata nel Rapporto di vincolare
l’assunzione in un posto di lavoro all’adesione al fondo aziendale, a condizione
che il datore di lavoro vi versi un contributo pari almeno al 4 per cento dello
stipendio pensionabile. La misura viene prospettata in combinazione con
l’eliminazione del periodo minimo di vesting (attualmente, due anni) richiesto per
il riconoscimento dei benefici pensionistici, in quanto tale meccanismo rende
palesemente iniqua la clausola dell’obbligatorietà, soprattutto per i lavoratori (ad
es. quelli dell’edilizia) che hanno un elevato tasso di mobilità.
Come già si accennava nel precedente paragrafo, con il Green Paper e l’Action
Plan il Governo ha prospettato, utilizzando largamente l’impianto di base e il
materiale
del Rapporto Pickering, talune proposta di riforma del sistema
previdenziale privato (e, in particolare, degli schemi previdenziali occupazionali) .
In particolare nell’Action Plan, il Governo delinea una serie di interventi volti a
superare talune rigidità dell’attuale disciplina normativa; ad esempio sostituendo
le regole riguardanti la costituzione delle riserve contabili (Minimum Funding
Requirement), ed eliminando alcune restrizioni alla modificabilità dei diritti degli
iscritti.
Le raccomandazioni del Rapporto Pickering non sono, invece, state accolte per
ciò che attiene alla revisione del meccanismo di indicizzazione delle prestazioni,
dove viene prospettata una riduzione del livello massimo di rivalutazione dal 5 al
2,5 per cento annuo.
Così pure sarà lasciato inalterato (diversamente da quanto suggerito nel Rapporto)
il tasso di accumulo (1/80) fissato per il contracting out, sebbene si riconosca la
necessità di semplificare il meccanismo.
Anche l’attuale modo di funzionamento delle pensioni di reversibilità su base
obbligatoria non sarà modificato.
Tra le misure raccomandate nel Rapporto e riprese nei documenti dal Governo si
segnalano: la razionalizzazione delle regole in merito alla comunicazione agli
iscritti ed alla risoluzione delle controversie tra fondo e iscritti, il rafforzamento
delle tutele a beneficio degli iscritti che lasciano lo schema pensionistico prima di
aver maturato i diritti pensionistici; la revisione della normativa che disciplina
l’ordine di riparto, tra gli aderenti, del patrimonio dello schema pensionistico in
2
caso di liquidazione dello stesso; l’introduzione di un nuovo sistema di
supervisione.
Infine, in analogia con l’esperienza americana (cfr. Public Benefit Guarantee
Corporation) l’Action Plan del Governo prevede l’introduzione di un Pensions
Protection Fund che riassicurerebbe obbligatoriamente gli schemi a prestazione
definita contro il rischio di insolvenza delle aziende sponsor.
Il Fondo, finanziato interamente dai soggetti vigilati, dovrebbe garantire il 100 per
cento delle pensioni in pagamento e il 90 per cento delle prestazioni degli aderenti
attivi, fino ad un massimo fissato in relazione allo stipendio degli aderenti.
Nel Rapporto Pickering grande rilievo è attribuito alla efficacia degli
strumenti di regolamentazione e vigilanza.
Le riforme che esso propone in tale campo sono rivolte in primo luogo a
modificare l’approccio della normativa che disciplina l’attività degli schemi
pensionistici privati. Si pone in evidenza, in particolare, che ad una normazione di
tipo prescrittivo, quale è quella attualmente vigente, sarebbe preferibile una
legislazione per principi che statuisse con chiarezza gli obiettivi sottostanti alle
norme piuttosto che disciplinare in modo dettagliato il procedimento attraverso il
quale raggiungerli.
Le Autorità di controllo sarebbero chiamate a dettare le linee guida per il
comportamento degli operatori e a verificare, in ultima istanza, la corrispondenza
tra gli obiettivi indicati nelle norme e le regole di condotta di cui si è dotato, anche
attraverso l’autodisciplina, il sistema.
Un’attenzione particolare è dedicata nel Rapporto al tema degli assetti
organizzativi della vigilanza. In particolare, è rappresentata la necessità di un
rafforzamento dei presidi di controllo sui fondi pensione.
Attualmente tale funzione è attribuita ad un’autorità dedicata, la Occupational
Pensions Regulatory Authority (Opra)127, che interviene essenzialmente
rispondendo a sollecitazioni provenienti dagli
127
Per un approfondimento in merito si veda, Elena Moiraghi, “Autorita’ di vigilanza nel
settore della previdenza complementare nel Regno Unito: l’Occupational Pensions Regulatory
Authority (Opra)”.
2
iscritti, dagli attuari e dai revisori. Nel ribadire la necessità di prevedere per i
fondi
pensione un’autorità di vigilanza ad hoc, distinta dalla Financial Services
Authority
(FSA)128, il documento definisce una nuova configurazione delle funzioni e dei
poteri
della suddetta autorità di vigilanza. Ad essa sarebbero assegnati compiti di
salvaguardia della stabilità del sistema, muovendo dal riconoscimento della
peculiarità dei rischi previdenziali rispetto a quelli puramente finanziari.
La nuova autorità di controllo (New Kind of Regulator - NKR) dovrebbe agire in
modo maggiormente “pro-active” ed essere dotata di margini di discrezionalità e
poteri d’intervento più estesi di quelli attualmente attribuiti all’Opra e tali da
metterla in grado di isolare sul nascere i casi di potenziale pericolosità per il
sistema.
Per quanto riguarda le metodologie di vigilanza, nel Rapporto si raccomanda che
l’Opra/NKR adotti le tecniche di monitoraggio del rischio (risk-based approach),
elaborate dalla FSA.
Il Rapporto propone, inoltre, di attribuire all’Opra/NKR il ruolo di advisor sia nei
confronti degli operatori, per ciò che attiene all’elaborazione di codici di condotta,
sia nei confronti del Governo, per l’elaborazione di proposte di riforma normativa.
Già al momento della istituzione (nel 2000) della Financial Services Authority,
era stato deciso di mantenere in vita l’autorità di settore (l’Opra fu l’unica
istituzione confermata tra quelle preesistenti al processo di riforma).
Significativo è che il Rapporto Pickering, come pure il Green Paper e l’Action
Plan, suggeriscano di procedere al consolidamento e all’ampliamento dei poteri
dell’Opra/NKR mantenendo un ruolo distinto per la FSA e per l’Opra/NKR, nel
pur necessario coordinamento delle competenze che le due autorità esercitano nel
settore della previdenza integrativa.
128
Per un approfondimento in merito si veda Elisabetta Giacomel, “Il riskbased approach
nell’attività di regolamentazione e di vigilanza della Financial Services Authority (FSA)”.
2
In particolare, nell’Action Plan viene precisato che obiettivi e funzioni della
nuova autorità dovrebbero essere definiti con estrema puntualità rafforzandone i
poteri sanzionatori.
La definizione di un approccio unitario nelle metodologie di vigilanza (attraverso
l’adozione del risk-based approach da parte dell’Opra/NKR) non implica, nel
modello suggerito nel Rapporto Pickering (e confermato nei successivi documenti
del Governo), lo smarrimento della specificità della funzione di controllo sul
rischio previdenziale. Appare implicita, sotto tale profilo, la sottolineatura della
diversità dei fondi pensione rispetto ad altri investitori istituzionali di tipo
collettivo, quali, ad esempio, i fondi comuni di investimento.
Le proposte contenute nel Rapporto in tema di vigilanza hanno, inoltre, il
denominatore comune di muovere dal riconoscimento delle funzioni che il
risparmio previdenziale svolge in relazione all’obiettivo di garantire il
soddisfacimento dei bisogni primari nell’età matura, funzioni alquanto diverse da
quelle svolte dal risparmio finanziario non previdenziale (che ha, peraltro, anche
diverse modalità di accumulazione e di liquidazione).
Nel Regno Unito il sistema previdenziale privato fa leva in misura
rilevante sulla consapevolezza del lavoratore/risparmiatore quanto ai propri
diritti, obiettivo il cui perseguimento presuppone la messa a disposizione degli
iscritti ai fondi pensione di tre distinti strumenti: trasparenza nei rapporti con i
fondi, disponibilità di una rete di consulenza specialistica ed esistenza di
adeguate strutture di formazione.
Il Rapporto Pickering suggerisce alcune misure di miglioramento delle modalità
di interazione tra i fondi e i loro iscritti. In particolare, viene raccomandata la
messa a disposizione di questi ultimi di materiali informativi meno generici,
facilmente consultabili e soprattutto funzionali alla assunzione di decisioni
consapevoli. Secondo il Rapporto, le comunicazioni agli iscritti, oltre ad essere
focalizzate e dedicate, dovrebbero essere redatte in modo sintetico – il Rapporto è
molto critico nei confronti della prassi attuale che prevede la trasmissione agli
iscritti di un materiale informativo troppo ampio e di difficile comprensione.
Tenuto conto che non tutti gli iscritti o i potenziali aderenti agli schemi
pensionistici hanno la possibilità di avere accesso alla consulenza finanziaria, il
2
Rapporto propone che le aziende sponsor siano chiamate a svolgere un ruolo di
assistenza informativa nei confronti dei dipendenti, aiutandoli a comprendere i
vantaggi derivanti dall’iscrizione alla forma pensionistica aziendale.
Si tratterebbe di un’innovazione assai significativa in una realtà quale quella
anglosassone molto sensibile al rischio di conflitti d’interesse.
Le misure proposte in tema di razionalizzazione dei flussi informativi e di
assegnazione alle imprese di un ruolo di consulenza si inseriscono in un contesto
articolato in cui numerose entità pubbliche e private già svolgono un’ampia
attività di assistenza informativa agli iscritti e ai potenziali aderenti agli schemi
pensionistici.
Si segnalano i servizi erogati in tale ambito da organi governativi quali il Pension
Service (struttura del Department for Work and Pensions) e le già menzionate
Autorità di supervisione (Opra e FSA).
Compito del Pension Service è quello di favorire la consapevolezza dei lavoratori
in ordine alle loro scelte previdenziali complessive. Il servizio più rilevante
fornito al riguardo è la diffusione di informazioni sulla posizione previdenziale
maturata nel settore pubblico nonché di previsioni (a richiesta dell’interessato)
sull’ammontare ipotizzabile della pensione pubblica.
Sulla base dei dati forniti dal Pension Service (che si avvale del Retirement
Pension Forecasting Team), le aziende sponsor e i provider forniscono a loro
volta previsioni sul reddito pensionistico complessivo ipotizzabile in capo ai
lavoratori che potranno beneficiare sia di una pensione pubblica sia di una
pensione integrativa privata.
L’Opra si avvale per l’assistenza agli iscritti ai fondi di un’organizzazione
privata, l’Opas (Pensions Advisory Service), di natura no-profit, cui assicura
risorse finanziarie.
L’Opas, presso la quale prestano servizio professionisti del settore previdenziale
su base volontaria, fornisce informazioni generali in tema di previdenza pubblica
e privata, ma non informazioni specifiche sulle singole posizioni previdenziali.
Alla FSA è attribuita la competenza di promuovere la consapevolezza dei
risparmiatori quanto a tutti gli aspetti della finanza personale. In tale quadro, la
FSA ha impostato un programma di attività che prevede l’utilizzazione di
2
strumenti quali pubblicazioni divulgative, workshops, utilizzo della rete web,
materiali di supporto all’insegnamento scolastico.
Per quanto riguarda specificamente gli schemi stakeholder, la FSA ha elaborato
uno strumento ad hoc (il decision tree) che facilita le scelte di coloro che
intendono utilizzare tale tipologia di schema previdenziale.
Quanto ai consulenti professionali, la disciplina di settore incentiva il ricorso ai
servizi offerti da tali soggetti, dettando le regole del gioco (e modalità efficienti
nella verifica della loro applicazione), nonché prevedendo interventi repressivi nel
caso di violazioni di regole di condotta da parte degli stessi consulenti.
In particolare, merita segnalare che una definizione normativa di consulenza è
specificamente dettata nel Financial Services & Markets Act 2000.
Inoltre, la regolamentazione prevede anche una tipizzazione dei consulenti129: ciò,
naturalmente, facilita l’efficiente e corretto funzionamento del mercato.
Infine, è da rilevare che nel Regno Unito l’insegnamento degli elementi essenziali
della finanza personale è stato inserito come materia di studio non obbligatoria
nella scuola pubblica dai cinque ai sedici anni di età.
Le proposte contenute nel Rapporto Pickering, come si è appena visto,
sono volte a consolidare la promessa previdenziale, proprio perché il sistema
misto pubblico/privato in essere appare sempre più caratterizzato da elementi che
ne mettono a rischio la certezza.
D’altra parte, se è vero che nel Regno Unito la spesa pubblica pensionistica
appare relativamente sotto controllo (circa il 5 per cento del PIL), è altrettanto
vero che, nel lungo periodo, il fenomeno del saving gap pensionistico potrebbe, se
non opportunamente governato, indurre conseguenze socialmente intollerabili,
esponendo le autorità inglesi ai problemi politici e, in ultima analisi, anche
finanziari, legati all’impoverimento della popolazione anziana.
Il quadro delineato non sembra, peraltro, molto dissimile da quello con il quale ci
si sta misurando da diverso tempo nel nostro Paese. A dispetto della opinione
129
I consulenti sono suddivisi in due categorie: Tied advisers e Independent financial
advisers. L’attività di consulenza è subordinata al conseguimento di titoli professionali comunque di standard elevati - rilasciati da istituzioni legalmente riconosciute; i consulenti sono
autorizzati preventivamente a svolgere la propria attività dalla Financial Services Authority.
2
corrente circa la unicità delle patologie che caratterizzano il sistema pensionistico
italiano, almeno due aspetti, quello riguardante il livello di generosità del sistema
previdenziale (e la correlata sostenibilità della spesa) e quello afferente la
rischiosità della promessa previdenziale, sono comuni nell’esperienza dei due
Paesi.
2
5.8
La previdenza complementare in Italia
A oltre dieci anni dall’avvio del processo di riforma che ha introdotto gli
strumenti e le norme della previdenza complementare, in Italia lo sviluppo dei
fondi pensione registra ancora gravi ritardi rispetto ai paesi anglosassoni, sia alle
economie a noi simili quanto a caratteristiche istituzionali e struttura finanziaria,
quali Francia, Germania e Spagna.
Sotto molti punti di vista lo sviluppo della previdenza integrativa rimane
insoddisfacente.
Le attività dei fondi pensione rappresentano meno del 2,8 per cento del PIL, un
valore inferiore alla media dell’area dell’Euro e ben lontano dai livelli, assai
elevati, che si registrano nel Regno Unito (66 per cento) e negli Stati Uniti (circa
il 100 per cento). Per di più la lenta espansione dei fondi pensione procede in
modo diseguale tra le diverse categorie di lavoratori. La diffusione della
previdenza integrativa è infatti particolarmente bassa tra i giovani, le donne, i
lavoratori autonomi e quelli addetti alle imprese di minori dimensioni. Si tratta di
categorie che più di altre sono penalizzate dalla discontinuità e dalla variabilità dei
redditi, per le quali la possibilità di accumulare risorse previdenziali lungo un
orizzonte temporale esteso rappresenta un vantaggio particolarmente rilevante.
Il ritardo nel campo della previdenza integrativa contribuisce a limitare
l’articolazione del mercato dei capitali italiano. I paesi in cui i fondi pensione
sono più sviluppati hanno infatti sistemi finanziari anch’essu particolarmente
sviluppati sia nel comparto del capitale di rischio, sia in quello obbligazionario.
Assai stratto risulta il legame tra fondi pensione e borsa: la presenza degli
investitori istituzionali favorisce la quotazione anche di imprese di minore
dimenione; stimola la concorrenza tra operatori in campi essenziali per il
funzionamento del mercato, quali la raccolta di ordini, la negoziazione e il
collocamento di titoli, l’attività di ricerca.
Negli anni più recenti i fondi pensione hanno significativamente contribuito
all’apertura del sistema finanziario alle innovazioni, fornendo risorse a operatori –
ad esempio i fondi di private equity - e strumenti di finanziamento, quali le
2
obbligazioni societarie (corporate bonds), che in importanti paesi hanno stimolato
la ristrutturazione del sitema produttivo anche attraverso il trasferimento della
proprietà di aziende inefficienti.
In Italia, il basso numero di imprese quotate e, più in generale, la scarsa
articolazione del mercato privato dei capitali rischiano a loro volta di limitare le
opportunità di diversificazione dei fondi pensione, che potrebbero indirizzare i
loro investimenti prevalentemente verso i mercati esteri.
E’ necessario sottolineare che i potenziali benefici dello sviluppo dei fondi
pensione potranno affluire al nostro sistema finanziario solo se la loro crescita
sarà accompagnata da una parallela espansione del sistema finanziario.
Riguardo alle misure in grado di stimolare lo sviluppo della previdenza
integrativa, le indagini campionarie indicano che, a distanza di oltre un decennio
da interventi incisivi sul sistema previdenzaile obbligatorio, i lavoratori sono solo
in parte consapevoli dei tagli apportati alle pensioni pubbliche e spesso
sovrastimano le risorse di cui disporranno nella fase di pensionamento. Dai dati a
disposizione emerge che ricorrono a pensioni integrative soprattutto i
risparmiatori più istruiti, con dimestichezza con gli strumenti finanziari ed in
possesso di consistenti risorse investite in attività rischiose: si tratta
presumibilmente, dei nuclei familiari con elevata capacità di raccogliere,
assimilare, ed elaborare informazioni.
Questi dati confermano l’importanza di rafforzare l’impregno pubblico volto a
fornire ai lavoratori informazioni e conoscenze adeguate, al fine di renderli
consapevoli della loro condizione previdenziale (ad esempio rendendo disponibile
il cosiddetto estratto conto previdenziale). Essi segnalano, altresì, l’esigenza di
accrescere il tasso di alfabetizzazione finanziaria dei lavoratori; in più paesi
l’innalzamento in campo economico-finanziario è oggetto di iniziative da parte
del governo e delle autorità di supervisione, con interventi che vanno dalla
diffusione di informazioni a campagne pubbliche di sensibilizzazione mediante i
diversi mezzi di comunicazioni.
2
I lavoratori italiani sono stati finora riluttanti a rinunciare al Trattamento di
fine rapporto (TFR), ritenendolo più flessibile e meno rischioso degli altri
strumenti della previdenza integrativa. Sotto entrambi gli aspetti, tuttavia, i fondi
pensione presentano vantaggi rispetto al TFR. Anche per effetto delle recenti
modifiche normative, la disciplina in tema di riscatti, anticipazioni, erogazioni e
portabilità conferisce alla ricchezza previdenziale accumulata nei fondi pensione
una flessibilità di utilizzo considerevole, comparabile con quella del TFR.
Sotto il profilo finanziario, le analisi svolte in questo lavoro indicano che
al basso rischio del TFR si associa un rendimento anch’esso medio basso: in
molte fasi del passato sarebbe stato preferibile per i lavoratori investire i risparmi
previdenziali sul mercato finanziario. Per gli aderenti ai fondi pensione il
beneficio derivante dalla possibilità di investire i contributi previdenziali in
attività di mercato si associa a due ulteriori elementi di convenienza: la
disponibilità della contribuzione aggiuntiva da parte del datore di lavoro; un
trattamento vantaggioso.
Affinché l’adesione ai fondi pensione offra benefici concreti ai lavoratori
italiani è essenziale che i costi di gestione sopportati dai risparmiatori siano
contenuti. In caso contrario, i vantaggi dei fondi pensione rischierebbero di
riflettersi soprattutto in un aumento dei ricavi per gli intermediari che prestano
servizi ai fondi, invece che in un miglioramento delle condizioni di vita dei futuri
pensionati. I risultati di questo lavoro indicano che la riduzione dei costi che può
derivare dalla crescita delle masse gestite e dalle conseguenti economie di scala
può essere significativa. Il contenimento dei costi per i risparmiatori richiede,
inoltre, la trasparenza e la confrontabilità delle commissioni applicate sulle
diverse forme previdenziali e la piena possibilità per i lavoratori di spostarsi dagli
schemi pensionisti più onersoi a quelli con costi più contenuti e in grado di offrire
prodotti che meglio rispondono alle loro esigenze. Si tratta di elementi essenziali
per stimolare la concorrenza tra fondi pensione, e che sarebbe dannoso limitare
con vincoli di varia natura, quale ad esempio quello posto alla trasferibilità del
contributo del datore di lavoro.
2
5.8.1 I fondi pensione in Italia
In termini economici e normativi, l’istituzione della previdenza
complementare in Italia è stata inserita all’interno di un più generale disegno di
riforma dell’intero sistema pensionistico. L’evoluzione del quadro normativo non
è sempre stata lineare. In alcuni casi essa è stata anzi tormentata, con false
partenze, complicazioni eccessive che a volte hanno rappresentato un fattori di
freno più che di sostegno allo sviluppo della previdenza integrativa.
La legge delega n.421 dell’ottobre del 1992 indicò le linee di fondo che il
Governo doveva seguire nella sua opera di revisione della normativa
previdenziale. Non a caso, tale azione seguiva una delle più gravi crisi
economiche e valutarie vissute dall’Italia, conseguenza inevitabile del tentativo di
perseguire l’ideale europeo senza, al tempo stesso, fare proprie le regole
dell’Europa unita. La forza potenzialmente disgregatrice emanata dalla crisi del
sistema fu incanalata per creare il consenso necessario a una riforma di vasta
portata – fatta anche, ma non solo, di tagli alle prestazioni e innalzamenti dei
contibuti – su un tema socialmente assai rilevante come quello delle pensioni130.
Le ragioni e gli obiettivi politici della riforma sono noti: il sistema
pensionistico pubblico, basato sul regime retributivo (vale a dire su pensioni
calcolate in base all’ultima retribuzione) e a ripartizione (ossia con prestazioni
finanziate con i contributi pagati dai lavoratori attivi) stava accumulando squilibri
crescenti, a causa della tendenza secolare all’allungamento della vita media e alla
riduzione delle nascite, combinata con una bassa crescita dell’occupazione e, in
Italia, con deficit e debito pubblico elevati, incompatibili con gli impegni europei.
Il disegno innovatore perseguito dalla riforma è anch’esso noto: il
passaggio da un sistema previdenziale incentrato su un unico regime obbligatorio
pubblico (la pensione dell’INPS) a un sistema basato su tre pilastri:
130
La delega fu attuata con il decreto n.503 del dicembre del 1992 per le pensioni pubbliche
e col decreto n.124 dell’aprile del 1993 per le pensioni complementari. La legge n.335 dell’agosto
del 1995 e gli interventi previdenziali della legge n.449 del 27 dicembre 1997 completarono una
prima fase riformatrice.
2
1. la pensione pubblica (il cosiddetto primo pilastro), ridefinita in modo da
garantire una maggiore rispondenza tra i contributi versati dai lavoratori e
le prestazioni da essi percepite negli anni di pensionamento;
2. la pensione integrativa di categoria o aziendale (secondo pilastro),
accumulata mediante l’adesione su base collettiva ai fondi pensione;
3. la pensione integrativa individuale (terzo pilastro), lasciata alla scelta di
risparmio previdenziale del singolo lavoratore (FIP, forme individuali
pensionistiche).
Un tale disegno che tuttora ispira il nostro sistema di previdenza integrativa, si
caratterizza per la modernità dell’impianto, nel panorama dei sistemi pensionistici
dei paesi industriali; per la sua rapida, sia pur graduale, introduzione nello jure
condito della legislazione nazionale; per il suo contributo al riequilibrio del
bilancio dello Stato.
Accanto alla questione dei conti pubblici vi era e vi è ancora quella altrettanto
rilevante dei conti privati. Per non peggiorare le condizioni economiche dei futuri
pensionati occorreva assicurare, in parallelo con la riduzione delle prestazioni
pensionistiche pubbliche, un adeguato sviluppo della previdenza integrativa. In
caso contrario si sarebbe raggiunto l’illusorio successo di disinnescare la “bomba
demografica”, rappresentata dagli effetti dell’invecchiamento della popolazione,
innescando una non meno pericolosa “bomba sociale”: la prospettiva di una
generazione che ha pagato pensioni generose ai padri, non ha fatto figli e va in
quiescenza con un vero e proprio crollo del tenore di vita.
La sola istituzione dei fondi pensione ad adesione “libera e volontaria” non è
stata sufficiente a riequilibrare il bilancio intertemporale dei lavoratori italiani. Un
primo tentativo per stimolare il risparmio previdenziale e l’adesione ai fondi
pensione fu fatto col decreto legislativo n.47 del febbraio del 2000 (in attuazione
della delega contenuta nella legge n.133 del maggio del 1999) che ha, da un lato,
introdotto le polizze individuali pensionistiche (PIP), offerte dalle compagnie di
assicurazione in concorrenza con i fondi aperti; dall’altro, ha uniformato il
2
trattamento fiscale degli strumenti della nuova previdenza – fondi pensione,
polizze assicurative, trattamento di fine rapporto – e introdotto forme di
agevolazione fiscale del risparmio previdenziale. Tuttavia, l’aliquota fiscale sugli
interessi parri all’11 per cento, in luogo dell’usuale 12,5 per cento previsto per
altre forme di risparmio finanziario non ha fornito un impulso apprezzabile allo
sviluppo della previdenza complementare.
Un nuovo intervento in favore della previdenza complementare è stato
effettuato con la legge delega n.243 del 23 agosto del 2004 e col relativo decreto
di attuazione n.252 del 5 dicembre 2005. Questa modifica legislativa può essere
considerata una vera e propria seconda riforma della previdenza complementare,
dopo quella iniziale degli anni novanta.
Infatti affiancondosi agli interventi relativi al primo pilastro (quali revisioni delle
pensioni di anzianità e di vecchiaia, liberalizzazione allungamento dell’età
pensionabile col sistema degli incentivi-disincentivi, eliminazione dei divieti di
cumulo tra pensione e reddito da lavoro) il decreto innova profondamente la
previdenza complementare.
In particolare esso prevede:
9 il
conferimento
del
TFR
maturando
alle
forme
pensionistiche
complementare salvo esplicito dissenso da parte del lavoratore (c.d. tacito
conferimento);
9 l’introduzione di una tassazione agevolata delle prestazioni erogate in
forma sia di capitale sia di rendita;
9 agevolazioni fiscali e contributive in favore delle imprese, al fine di
compensarle per la perdita del TFR, che in precedenza rappresentava una
forma di finanziamento a basso costo;
9 una serie di modifiche relative a contribuzioni, prestazioni, anticipazioni,
riscatti e trasferimenti.
L’entrata in vigore del decreto 252/05, anticipata di un anno al 1 gennaio 2006
ha determinato un ulteriore passo avanti nel processo di riforma. Occorre ora
valutare se la normativa vigente riuscirà a fornire il necessario slancio alla
2
previdenza complementare.
2
5.8.2 Andamento delle adesioni, impatto della crisi subprime, prospettive
per il futuro: un intervento del presidente di Covip, settembre 2007
L’analisi dell’andamento delle adesioni nel primo semestre del 2007
sconta inevitabilmente in questa fase un carattere di provvisorietà dei dati
disponibili.
In primo luogo, infatti, non è possibile in questa sede dare contezza del dato
relativo alle adesioni dei lavoratori che entro il semestre non hanno espresso
alcuna manifestazione di volontà circa la destinazione del TFR, cosiddetti
lavoratori silenti.
Si tratta infatti di dati ancora molto parziali, anche in ragione della differente
tempistica di versamento prevista negli accordi collettivi istitutivi delle forme
negoziali.
Un quadro più completo potrà pertanto aversi soltanto con l’effettivo versamento
delle quote di TFR, che, nella gran parte dei fondi è atteso nel corso del mese di
ottobre.
Al momento, è soltanto possibile anticipare che sulla base di alcune rilevazioni
effettuate, anche consultando a tal fine i fondi pensione potenzialmente interessati,
le aspettative in ordine al flusso delle possibili adesioni in via tacita si contengono
entro il limite di pochi punti percentuali.
L’aspetto positivo di tale fenomeno è del tutto evidente.
La diffusione delle iniziative di informazione ha favorito una maggiore presa di
coscienza da parte dei lavoratori, che si è tradotta in espresse manifestazioni di
volontà.
Per quanto riguarda invece le adesioni esplicite alle forme di previdenza
complementare, va considerato che le stesse risultano essersi concentrate nella
seconda parte del semestre, tant’è che sia i fondi pensione sia i datori di lavoro
sono ancora impegnati nel processo di elaborazione e controllo dei relativi dati.
Tuttavia, grazie allo sforzo compiuto per la raccolta delle informazioni e alla
collaborazione fornita al riguardo dai fondi pensione nonché dall'INPS, la COVIP
è in grado di fornire in questa sede prime indicazioni.
2
I dati attengono in particolare ai lavoratori dipendenti del settore privato, gli unici
interessati dalla scadenza del periodo utile per la scelta sulla destinazione del
TFR.
A conclusione del semestre di avvio della riforma, i lavoratori dipendenti privati
iscritti alle forme pensionistiche complementari sono circa 2,7 milioni rispetto al
milione e 800 mila di fine 2006. Si registra dunque una crescita di circa 900 mila
lavoratori, con un incremento di quasi il 50%. La ripartizione della crescita delle
adesioni secondo le diverse tipologie di forme pensionistiche complementari
mostra una larga prevalenza dei fondi pensione negoziali che, a seguito di un
incremento nel semestre di circa 600 mila unità, sfiorano 1,7 milioni di aderenti.
Incrementi rilevanti registrano i fondi pensione aperti e i PIP, rispettivamente con
190 mila e 110 mila nuove adesioni.
I primi di fatto triplicano, rispetto al 2006, le iscrizioni di lavoratori dipendenti
privati, che raggiungono 280 mila unità.
Circa 210 mila risultano i lavoratori dipendenti privati iscritti ai PIP istituiti ai
sensi della nuova normativa di settore, di cui quasi la metà già aderenti a piani “di
vecchia generazione”.
Sulla base degli esiti di un’apposita rilevazione condotta sull’insieme dei fondi di
maggiore dimensione, registrano nuove iscrizioni anche i fondi pensione
preesistenti, per i quali va oltretutto ricordato che i tassi di adesione già prima
della riforma erano molto elevati.
In tali fondi, appare inoltre significativo il fenomeno delle opzioni esplicite a
favore del conferimento integrale del TFR, esercitate da soggetti già iscritti ma
per i quali il versamento del TFR non era previsto o era previsto in misura
parziale.
Nel complesso, le iscrizioni raggiunte, se rapportate alla generale platea dei
lavoratori dipendenti del settore privato destinatari della riforma, stimabile in
circa 12,2 milioni, si traducono in un tasso di adesione che in termini di
significatività potrebbe anche apparire alquanto limitato.
L’analisi deve però necessariamente tenere conto delle difformi situazioni in cui
la riforma ha operato con riguardo alle diverse tipologie di lavoratori.
2
E’ evidente infatti che la platea alla quale essa può dirsi più direttamente e
incisivamente rivolta è quella costituita dai lavoratori dipendenti privati per i quali
la contrattazione sindacale ha previsto il versamento di una contribuzione
aziendale, che va ad aggiungersi al flusso di TFR.
Ciò consente di apprezzare gli effetti della riforma su lavoratori che, in quanto
interessati da fondi promossi dalle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e
dei datori di lavoro, è presumibile siano stati raggiunti con più facilità dalla
campagna di informazione sull’argomento, in molti casi svolta direttamente sui
luoghi di lavoro.
Non possono peraltro essere inclusi in tale platea i bacini di riferimento di 4 fondi
pensione negoziali istituiti nel corso del 2007, con un’area di potenziali aderenti
di oltre 2 milioni e mezzo di lavoratori, per i quali è ragionevole assumere una
capacità di intercettare efficacemente adesioni ancora piuttosto limitata.
Di conseguenza, la platea cui è più opportuno riferirsi è quella relativa ai
potenziali aderenti dei fondi pensione negoziali già operativi al 31 dicembre 2006
e dei fondi pensione preesistenti rivolti appunto ai lavoratori dipendenti.
Nel complesso, si tratta di fondi che riguardano circa 8 milioni di potenziali
aderenti.
In rapporto a tale più realistico quadro di riferimento, le nuove iscrizioni, pari a
poco meno di 600 mila, portano a un tasso di adesione di circa il 28 per cento, cui
andranno ad aggiungersi i lavoratori silenti.
Un esame più articolato dell’andamento delle adesioni esplicite, concentrato sui
soli fondi pensione negoziali, può risultare utile a cogliere meglio la dinamica
delle iscrizioni in questi mesi.
Di questi fondi, meno di un terzo fa riferimento a una singola azienda o a un
gruppo, mentre oltre i due terzi sono fondi di categoria, destinati a una pluralità di
lavoratori appartenenti a uno o più settori produttivi.
Prestando infine uno sguardo all’andamento della gestione finanziaria dei
fondi pensione nel corso dei primi mesi del 2007, si osserva che sia i fondi
pensione negoziali che i fondi pensione aperti hanno registrato rendimenti
positivi.
2
Si ricorderà che dal mese di luglio i mercati finanziari sono stati interessati dalle
insolvenze che hanno caratterizzato i mutui americani di tipo non primario,
cosiddetti subprime, cioè mutui erogati a soggetti con scarso merito di credito.
Tali insolvenze, come è noto, hanno originato consistenti perdite di valore nei
titoli di debito direttamente emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione dei
suddetti mutui o comunque ad essi collegati.
Nello scorso mese di agosto, la COVIP ha chiesto a tutte le forme pensionistiche
complementari di fornire dati e informazioni sull’eventuale esposizione, diretta e
indiretta, al mercato di tali mutui.
Da un primo riscontro relativo al flusso di informazioni pervenuto, è emerso che
soltanto qualche fondo è risultato marginalmente interessato a tale fenomeno,
essenzialmente in forma indiretta, mediante partecipazione a OICR a loro volta
esposti.
Le ricadute sul sistema sono state pertanto del tutto trascurabili.
Alla luce di tale esperienza e ricordando anche l’irrilevante impatto sul sistema
delle note crisi che hanno interessato in passato il mercato delle obbligazioni, si
può concludere che la gestione del risparmio previdenziale viene attuata con
particolare cautela e attenzione all’interesse dell’iscritto.
Certamente, l’andamento non positivo dei mercati azionari in questo periodo
costituisce un fattore di difficoltà per i lavoratori nel valutare l’effettiva
convenienza ad aderire o meno alla previdenza complementare.
Le forme pensionistiche complementari, per la loro stessa natura, vanno però
guardate in un orizzonte di lungo termine, nel quale le turbolenze dei mercati
risultano assolutamente fisiologiche.
Inoltre le stesse modalità di funzionamento dei fondi tendono di per sé ad
attenuare gli effetti delle oscillazioni di borsa, poiché prevedono flussi di
versamento periodici e quindi distribuiti nelle varie fasi di mercato.
La scelta di partecipare alla previdenza complementare deve poi fondarsi
prioritariamente sulla possibilità di trovare in essa lo strumento attraverso il quale
provvedere alla necessaria integrazione del reddito nell’età anziana, beneficiando
di quei presidi di cui il sistema stesso è dotato in considerazione della funzione
sociale alla quale è chiamato.
2
Da questo punto di vista, può guardarsi con fiducia all’apporto che le forme
pensionistiche complementari possono offrire.
Nella trascorsa delicata fase di transizione, l’affermazione, tramite una
Autorità dedicata, di una vigilanza unitaria, in chiave omogenea, su forme con
medesima finalità ma caratteristiche talvolta assai diverse (coesistono, ad
esempio, attività profit e non profit) si è tradotta per gli operatori in una
maggiore chiarezza di obiettivi, di regole, di processi e in una speditezza degli
adempimenti, che diversamente sarebbe stato certo più complicato realizzare.
La presenza di una Autorità unica di settore, alla quale sono state attribuite anche
le competenze in materia di trasparenza, prima distribuite tra diverse Autorità, ha
consentito di realizzare, con l’adozione degli schemi di statuto, di regolamento e
di nota informativa, una azione integrata di razionalizzazione, semplificazione e
omogeneizzazione dei documenti, a vantaggio tanto degli aderenti quanto degli
operatori del sistema.
Tale configurazione della vigilanza è risultata determinante anche per il
conseguimento di un punto di equilibrio tra le varie sensibilità, in una realtà in cui
il consenso delle forze sociali non meno che delle associazioni rappresentative
degli intermediari bancari, finanziari e assicurativi appare irrinunciabile per
perseguire l’obiettivo dello sviluppo della previdenza complementare, anche
mediante il conferimento del TFR.
Al tempo stesso si è dato riscontro alla necessità di evitare, per la diversa natura e
finalità perseguite, ogni assimilazione tra prodotti di previdenza complementare e
prodotti finanziari e assicurativi.
L’ordinamento normativo vigente scandisce, d’altra parte, una chiara distinzione
di compiti e funzioni tra fondi pensione e intermediari finanziari e assicurativi
incaricati della gestione delle risorse, con un’obbligata ripartizione delle
attribuzioni, cui è logico e coerente faccia riscontro una distinzione anche sotto il
profilo del sistema dei controlli.
Va oltretutto rilevato che il modello dei fondi pensione a contribuzione definita
impedisce di realizzare una efficace distinzione della vigilanza tra i profili della
2
stabilità e della trasparenza, tipici invece del controllo sul risparmio finanziario
tout court.
Tale distinzione si rivelerebbe sostanzialmente arbitraria e implicherebbe
inevitabilmente duplicazioni e costi aggiuntivi, nonché un complessivo
ripensamento dell’intera normativa di settore.
Concludendo questa prima ricognizione sulla operatività della riforma, è
opportuno rilevare come, a fronte di un accrescimento delle adesioni e di una
dinamica anche molto interessante che ha caratterizzato alcune realtà aziendali e
di settore, rimane ancora una platea di lavoratori che, optando a favore del
mantenimento del TFR presso l’azienda di appartenenza, è tuttora priva di
un secondo pilastro previdenziale.
Creare una vera e diffusa “cultura previdenziale” resta dunque il principale
obiettivo al quale tendere. L’andamento osservato in questi mesi ha infatti
confermato che, dove l’informazione è stata scarsa o di cattiva qualità, si è
affermato un atteggiamento “attendista” da parte dei lavoratori, i quali in un
prossimo futuro potranno pur sempre rivedere le loro preferenze a favore delle
forme pensionistiche complementari.
2
5.9
Il settore assicurativo e il suo valore per la crescita, osservazioni
dell’Ania
Fattori demografici, sociali e macroeconomici hanno fatto lievitare a
dismisura negli ultimi decenni la spesa pensionistica in rapporto al PIL: da un
livello del 5% del PIL nel 1960, essa è passata negli ultimi anni dal 13% nel 1990
al 14,7% nel 2004.
Un aumento della spesa pensionistica è avvenuto in tutti i paesi europei.
Nel confronto internazionale il livello della spesa pubblica previdenziale del
nostro Paese è superiore alla media europea (pari al 12,3% considerando l’UE15)
ed è il dato più alto registrato rispetto ai principali Paesi europei: 13,3% in
Germania, 13,1% in Francia, 10,7% nel Regno Unito e 9,2% in Spagna.
Inoltre, l’Italia è di gran lunga il paese con il più elevato livello del debito
pubblico nella Unione Europea.
Per non compromettere la sostenibilità finanziaria dei conti pubblici, molti
Governi europei, tra cui anche quello italiano, hanno realizzato nel corso degli
ultimi quindici anni interventi correttivi dettati dalla necessità di contenere la
spesa previdenziale pubblica.
Gli interventi sono stati realizzati attraverso la progressiva modifica dei requisiti
di accesso e/o delle prestazioni.
Con l’obiettivo di garantire una tutela adeguata ai pensionati, molti paesi
hanno anche perseguito politiche volte a favorire lo sviluppo della previdenza
complementare, in modo che la pensione sia la somma di due componenti distinte:
9 la pensione pubblica;
9 la pensione complementare.
Nonostante la riduzione del livello della pensione pubblica garantita dallo
Stato e nonostante il fatto che l’età pensionabile sia stata elevata nel corso del
tempo, le previsioni della Ragioneria Generale dello Stato formulate alla fine del
2
2006 indicano che la fine della crescita del rapporto tra spesa pensionistica e PIL
avverrà solo dopo il 2040 (anno in cui essa toccherà il valore massimo di 15,1%
del PIL), quando il sistema sarà quasi tutto contributivo e la spesa inizierà a
scendere, ritornando al 13,8% del PIL nel 2050.
La previsione della Ragioneria è fatta “a legislazione costante”, ossia tenendo
conto che la legge in vigore prevede sia il c.d. “scalone” dal 1° gennaio 2008,
ossia l’aumento generalizzato a 60 dell’età minima per il pensionamento, sia la
revisione decennale dei coefficienti di trasformazione in rendita del montante
maturato nel regime contributivo (prevista per il 2005 dalla legge 335/95).
Non tiene conto degli interventi a favore delle pensioni più basse, sia di quelli
decisi nel corso del 2007, sia di quelli che potranno essere decisi in futuro.
È possibile che le previsioni andranno profondamente modificate se a seguito del
negoziato con le parti sociali e dell’iter parlamentare le regole di pensionamento
saranno cambiate, in particolare se non saranno effettivamente aggiornati i
coefficienti di trasformazione.
Secondo le previsioni di Eurostat (base 2004), i soggetti ultra 65enni sono
diventati una quota consistente della popolazione: erano il 6% all’inizio del ’900,
sono ora saliti quasi al 25% e, estrapolando le attuali tendenze, saranno circa il
29% del totale nel 2020 e il 47% nel 2050. Già oggi, per la prima volta nella
storia, gli over 65 hanno superato il numero di tutti i giovani sotto i 20 anni e nel
2050 saranno più del triplo (25 milioni contro 8).
Inoltre, la speranza di vita di un maschio di 65 anni è aumentata, secondo i dati
dell’ISTAT, da 14,2 anni nel 1992 a 18,5 anni nel 2005.
Per questi motivi nel futuro si prospetta uno scenario di spesa previdenziale
pubblica ancora critico e gravoso per le finanze dello Stato.
Le previsioni della Ragioneria dello Stato includono le pensioni di invalidità,
vecchiaia e superstiti (“IVS”) al netto delle prestazioni in capitale e le pensioni
sociali. Al contrario dei dati utilizzati nel confronto internazionale (che Eurostat
classifica in termini di funzione old age), la Ragioneria non include alcune
prestazioni (che non sono pensioni) quali ad esempio benefici derivanti
dall’interruzione del rapporto di lavoro.
2
In quest’ottica la previdenza complementare diventa quindi uno strumento
“correttivo” imprescindibile, per integrare in modo sostanziale le prestazioni
garantite dalla previdenza obbligatoria e continuare ad assicurare ai futuri
pensionati un reddito pensionistico nel complesso soddisfacente.
In una prospettiva più ampia, la previdenza integrativa rappresenta uno strumento
fondamentale in grado di apportare benefici importanti e concreti per diversi
soggetti.
Negli ultimi anni la previdenza complementare è cresciuta in generale in tutta
Europa in termini di masse gestite e numero di iscritti, modificando in modo
lento, ma continuo la composizione dei portafogli delle famiglie.
Nell’area Euro, la quota delle riserve assicurative (che comprendono sia le polizze
vita vere e proprie che i fondi pensione) sul totale degli investimenti finanziari
delle famiglie è passata dal 21,2% del 1997 al 25,5% del 2004.
Secondo le stime della Banca Centrale Europea, nel 2006 gli investimenti in
polizze vita e fondi pensione sono stati pari a circa il 6% del reddito disponibile
delle famiglie.
In Italia l’adesione alla previdenza complementare è volontaria e le condizioni per
averne accesso sono fissate dalla legge.
Il meccanismo di funzionamento è quello a capitalizzazione in cui il lavoratore e
il datore di lavoro versano somme (contributi) che vengono investite da operatori
specializzati sul mercato finanziario.
Le
“forme
pensionistiche
complementari”,
sono
riconducibili
fondamentalmente a tre categorie:
9 i fondi pensione negoziali (ossia istituiti da accordi collettivi promossi
dalle associazioni sindacali di riferimento o anche dagli accordi aziendali);
9 i fondi pensione aperti (ossia rivolti a tutti i lavoratori e promossi dalle
istituzioni
finanziarie abilitate, vale
a
dire
banche,
società
di
intermediazione mobiliare (SIM), società di gestione del risparmio (SGR)
e compagnie di assicurazione);
9 i piani individuali pensionistici di tipo assicurativo.
2
L’adesione
alle
forme
pensionistiche
complementari
può
avvenire
individualmente o, nel caso di fondi pensione, tramite partecipazione collettiva.
La nuova normativa (d.lgs. 252/2005), la cui entrata in vigore è stata anticipata al
1° gennaio 2007131, prevede l’equiparazione delle diverse forme pensionistiche
complementari.
Nonostante il trend di crescita, documentato dalla figura seguente, le forme
pensionistiche complementari non hanno ancora fatto registrare quel grado di
diffusione e di sviluppo necessario per trasformare il sistema pensionistico
italiano in un modello “multipilastro”.
Secondo i dati della Covip, alla fine del 2006, la percentuale di adesione ai fondi
pensione negoziali dei lavoratori dipendenti risulta pari al 13,9% del bacino dei
potenziali iscritti.
Alla base di uno sviluppo ancora contenuto della previdenza complementare vi
possono essere molteplici motivazioni, tra cui:
9 la non adeguata consapevolezza dei radicali cambiamenti in atto
soprattutto da parte dei lavoratori più giovani;
9 la scarsa conoscenza del sistema previdenziale in generale e della propria
posizione pensionistica in particolare;
9 la maggiore fiducia nel datore di lavoro, rispetto all’investimento nei fondi
pensione e nel mercato finanziario;
9 la forte patrimonializzazione delle famiglie italiane.
I risparmi, il TFR, gli immobili e le rendite di vario tipo vengono considerati
forme “improprie”, ma efficaci, di integrazione della previdenza di base. Pesa
anche la scarsità di risorse destinabili alla previdenza complementare, dato il peso
consistente dell’aliquota contributiva del sistema pensionistico obbligatorio, pari a
circa il 33%, cui si somma il 6,91% del prelievo per l’accantonamento del TFR.
131
L’entrata in vigore del decreto, sia nei suoi aspetti generali sia per quanto riguarda la
disciplina fiscale, era originariamente prevista per il 1° gennaio 2008. Il d.l. n. 279/2006, non
convertito in legge, ha sancito, invece, l’anticipo al 1° gennaio 2007. I contenuti dello stesso
decreto sono stati inseriti quindi nel testo della legge finanziaria 2007.
2
La nuova normativa (d.lgs. 252/2005) stabilisce la possibilità di conferire alla
previdenza complementare il TFR. Il lavoratore può, con pronunciamento
esplicito, conferire il proprio TFR maturando, senza facoltà di revoca, a una delle
diverse forme delle previdenza complementare.
Nel caso di silenzio del lavoratore, il conferimento avviene secondo le modalità
previste da contratti o accordi collettivi, anche aziendali.
Il lavoratore può scegliere di trasferire la propria posizione previdenziale presso
qualsiasi forma pensionistica, senza però poter ritornare al TFR. Inoltre la libertà
di scelta della forma pensionistica è vincolata, per quanto riguarda il contributo
del datore di lavoro che spesso si aggiunge al TFR conferito, a limiti e modalità
stabiliti da contratti o accordi collettivi.
Per favorire il lavoratore sono previste misure di carattere fiscale che ampliano la
deducibilità
dei
contributi
e
riducono
la
tassazione
sulle
prestazioni
pensionistiche. Sulla base di una prima valutazione al 30 giugno 2007, le nuove
adesioni esplicite ai fondi negoziali del settore privato sono state pari a poco meno
di 400.000, ossia circa il 4% dei potenziali iscritti. La maggior parte dei lavoratori
interessati - oltre i 3/4 di quelli che si sono espressi - hanno deciso di non aderire
alla previdenza complementare.
Secondo alcuni commentatori è molto difficile che, anche includendo le adesioni
esplicite ai fondi aperti e ai piani individuali, si possa raggiungere l’obiettivo del
40% di adesioni esplicite entro fine anno.
Lo scenario sinora descritto, relativo all’evoluzione del sistema previdenziale
italiano e all’importanza fondamentale della previdenza complementare, induce a
una riflessione più attenta circa il possibile ruolo che i soggetti privati, tra cui il
mondo assicurativo, possono assumere in questo contesto, contribuendo
positivamente a costruire un futuro sereno per i pensionati, attraverso la garanzia
di una cospicua integrazione della pensione pubblica e di un tasso di sostituzione
adeguato.
In Europa, le imprese assicuratrici svolgono un ruolo importante e attivo sia
attraverso l’offerta di polizze assicurative sia attraverso la gestione di fondi
pensione. Le imprese di assicurazioni operanti in Italia hanno un peso rilevante
nel sistema pensionistico, gestendo circa il 39% delle masse raccolte.
2
Già oggi e ancor più in prospettiva, le imprese di assicurazione avranno un ruolo e
una responsabilità importante nell’attività di erogazione delle rendite della
previdenza complementare.
L’Ania propone alcune raccomandazioni indirizzate ai legislatori, tali da
permettere al mercato assicurativo di esprimere appieno il proprio potenziale nel
campo della previdenza:
9 Creare spazio per un ulteriore risparmio previdenziale privato.
In tutti i sistemi nazionali con elevata contribuzione obbligatoria, come in
Italia, il meccanismo previdenziale privato ha dimensioni ridotte.
In questa logica, in Italia potrebbe quindi risultare lecito chiedersi se un
prelievo obbligatorio del 33% per il finanziamento della previdenza
pubblica, a cui si aggiunge il 6,91% di accantonamento TFR, non
esauriscano lo spazio per eventuali ulteriori contributi a forme di
previdenza privata. Come recentemente argomentato dal Prof. Mario
Draghi, Governatore della Banca d’Italia, una soluzione potrebbe essere
quella di dirottare, comparabilmente con l’equilibrio dei conti pubblici,
una parte della contribuzione dal sistema previdenziale pubblico a quello
privato132.
9 Fornire incentivi e armonizzare a livello europeo il sistema di
imposizione fiscale, anche per favorire lo spostamento dal risparmio
finanziario a breve termine al risparmio a lungo termine.
Pur riconoscendo che lo schema ETT133 sia un primo passo verso una
forma di incentivazione per lo sviluppo dei piani pensionistici privati in
132
“Compatibilmente con l’equilibrio dei conti pubblici, si può anche valutare lo
spostamento verso la previdenza complementare, su base volontaria, di una quota limitata della
contribuzione destinata alla previdenza pubblica, che è pari a 33 punti percentuali del salario, il
valore di gran lunga più alto tra i maggiori Paesi europei.” Fonte: “Considerazioni finali del
Governatore della Banca d’Italia sul 2006”, Banca d’Italia, Assemblea Ordinaria dei Partecipanti,
31 maggio 20
133
Sistema in cui i premi corrisposti vengono dedotti dall’imponibile, mentre i guadagni di
capitale e le prestazioni corrisposte sono sottoposte a tassazione.
2
Italia, il passaggio al sistema EET134, prevalente in Europa, costituirebbe
una formula ancora più efficace di incentivo a livello fiscale. Più in
generale, nell’ambito del risparmio finanziario hanno senso politiche volte
a favorire il risparmio di lungo termine rispetto a quello speculativo di
breve termine.
9 Allungare le scadenze del debito pubblico e favorire l’innovazione
finanziaria.
L’aumento dell’offerta da parte dello Stato di titoli a lunga scadenza (30
anni e oltre) e di titoli collegati all’inflazione potrebbe, dal lato
dell’offerta, stabilizzare il costo del servizio del debito e, dal lato della
domanda, sostenere lo sviluppo del mercato delle pensioni private. Inoltre,
gli Stati che per pagare le pensioni sopportano il forte rischio derivante
dall’aumento della durata della vita umana (longevity risk) dovrebbero
studiare la possibilità di sviluppare il mercato dei longevity bonds, con
l’obiettivo di ridistribuire, almeno in parte, il rischio sul mercato e di
ampliare la gamma di strumenti a disposizione degli investitori
istituzionali. Un mercato dei longevity bonds efficiente potrebbe anche
determinare un aumento delle rendite della previdenza complementare.
Può risultare interessante provare a stimare mediante un semplice modello
il possibile contributo positivo della previdenza privata a sostegno dei consumi
della popolazione italiana nel 2050, nell’ipotesi che questa diventasse parte
integrante dell’architettura pensionistica italiana.
Il dato stimato come contributo positivo della previdenza integrativa, può anche
essere interpretato in un modo alternativo: se non vengono intraprese le politiche
volte a sviluppare la previdenza complementare, esso rappresenta il costo per lo
Stato, cui verrebbe verosimilmente chiesto di intervenire.
Per stimare l’ammontare di risorse che la previdenza integrativa renderebbe
disponibili occorre prima di tutto ricordare che col passare del tempo il tasso di
134
Sistema in cui i guadagni di capitale non sono tassati annualmente.
2
sostituzione garantito dal pilastro pensionistico pubblico diminuisce, mentre
quello della previdenza privata tende ad aumentare.
Secondo le stime contenute nel “Rapporto di strategia nazionale sulle Pensioni”,
preparato nel 2002 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la pensione
su cui potrà contare un dipendente del settore privato di 60 anni con 35 anni di
contributi che andrà in pensione nel 2030 sarà pari al 64% dell’ultima retribuzione
(tasso di sostituzione), composto da un 49,6% di pensione pubblica e da un 14,4%
di pensione integrativa, per le quali è stato ipotizzato l’intero conferimento del
TFR nonché una contribuzione aggiuntiva del 2,3%.
Per un lavoratore che andrà in pensione dieci anni dopo, gli stessi valori saranno
pari rispettivamente al 65,2%, di cui 48,5% di pensione pubblica e 16,7% di
pensione integrativa.
Nel 2050 il tasso di sostituzione della pensione pubblica di un neopensionato sarà
pari al 48,1% mentre le forme previdenziali complementari gli garantiranno il
16,7%, per un tasso di sostituzione complessivo del 64,8%.
Considerando l’insieme dei pensionati del settore privato in vita nel 2050, si può
stimare che poco più dei quattro quinti del reddito pensionistico proverrà dal
pilastro pubblico e un quinto da quello privato.
Poiché nel 2050 la spesa pensionistica pubblica sarà pari al 14% del PIL, secondo
le previsioni formulate dalla Ragioneria dello Stato nel dicembre 2006, è possibile
stimare che la creazione di un solido sistema previdenziale “multipilastro”
potrebbe determinare un flusso annuo di pensioni complementari che nel 2050
sarebbe pari al 3,5% del PIL.
Le assicurazioni giocheranno un ruolo molto importante nell’attività di gestione
del risparmio della previdenza integrativa (oggi esse intermediano circa il 40%
delle masse accumulate) e, ancor più, in quella di erogazione delle rendite135.
135
La prestazione tipica e naturale dei piani pensionistici della previdenza complementare è
costituita dalla rendita vitalizia. La legge vede con sfavore la liquidazione della prestazione
pensionistica complementare in un’unica soluzione e pone un divieto alla liquidazione in capitale
di un importo superiore al 50% di quanto maturato. Tuttavia, per evitare l’erogazione di rendite di
importo modesto e gli oneri conseguenti, la legge consente l’erogazione in capitale dell’intero
importo maturato qualora la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante
finale risulti di ammontare inferiore al 50% dell’assegno sociale.
2
Le regole della previdenza complementare, tenuto conto che l’erogazione
di rendite comporta l’assunzione di rilevanti rischi sul piano demografico e
finanziario, prevedono in via di principio che la stessa venga effettuata dalle
imprese di assicurazione vita con le quali i fondi pensione debbono stipulare
apposite convenzioni.
Ai fondi è tuttavia consentito di erogare direttamente le rendite, previa
autorizzazione ministeriale subordinata alla sussistenza di diverse condizioni, tra
le quali la stipulazione di una “convenzione di assicurazione contro il rischio di
sopravvivenza in relazione alla speranza di vita oltre la media”.
È necessario sottolineare che l’ipotesi fondamentale dell’esercizio di simulazione
è che l’intero flusso del TFR sia destinato alla previdenza complementare e che a
questo si aggiunga un contributo del 2,3% della retribuzione versato dal datore di
lavoro e dai lavoratori.
2
Capitolo VI
L’INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVA
6.1 Introduzione: cinque anni dopo la Direttiva 2002/92/CE – 6.2 Analisi della Direttiva
2002/92/CE - 6.3 L’implementazione della Direttiva in alcuni Stati Membri – 6.4 Analisi
comparativa dell’implementazione dell’IMD – 6.5 Italia: osservazioni sul Nuovo Codice delle
Assicurazioni – 6.6 Italia: regolamento ISVAP n. 5/2006 – 6.7 Regolamento ISVAP n.5/2006:
tutela dell’assicurato nei casi di insolvenza dell’intermediario – 6.8 La fase delle trattative
contrattuali: obblighi e responsabilità di intermediari ed assicuratori – 6.9 Il registro unico degli
intermediari – 6.10 L’importanza dell’intermediazione all’interno del mercato assicurativo – 6.11
Osservazioni sull’impatto delle novità legislative sul mercato e sulla professione
6.1
Introduzione: cinque anni dopo la Direttiva 2002/92/CE
La direttiva sull’intermediazione assicurativa136 (IMD) è stata adottata
dall’unione europea nel 2002. Gli intermediari assicurativi giocano un ruolo
centrale nella distribuzione e vendita dei prodotti assicurativi.
Gli obiettivi della Direttiva erano chiari:
9 Introdurre un singolo passaporto per gli intermediari, così come è stato
fatto per le compagnie assicurative e riassicurative.
Tale singolo passaporto si realizza nella registrazione da parte dello Stato
Membro originario che provvede ad informare lo Stato ospite che
l’intermediario ha intenzione di offrire i propri servizi transfrontalieri o di
stabilirvisi.
9 Un livello di protezione dei consumatori uniforme in tutta l’Unione.
A tale scopo gli intermediari devono soddisfare determinati requisiti
professionali, e i consumatori devono ricevere specifiche informazioni
prima di concludere ogni contratto. Oltre a questo la Direttiva obbliga gli
136
Per una prima analisi del contenuto della direttiva 2002/92/CE, sull’intermediazione
assicurativa si veda il capitolo 2 paragrafo 6 della tesi, ed il paragrafo 2 del presente capitolo.
2
Stati Membri a predisporre procedure di “lamentela” nei confronti delle
compagnie a favore dei consumatori, assicurando in ogni caso che ad
ognuna di esse venga data risposta.
L’Unione Europea ha riposto particolare interesse in questo punto,
soprattutto per quel che riguarda la divisione delle responsabilità da parte
degli Stati d’origine e ospite.
9 Stabilire un connessione ottimale tra le autorità competenti degli Stati
Membri. Riguardo questo obiettivo, è stato fatto molto dal 2002 ad oggi, e
recentemente il CEIOPS ha pubblicato un protocollo sulla cooperazione. Il
protocollo descrive il modo in cui le autorità competenti intendono
cooperare per far funzionare il meglio la Direttiva Comunitaria.
Un grande numero di dubbi e domande sono state sollevate dagli addetti ai
lavori riguardo le previsioni della Direttiva. Ad esempio un problema
interpretativo prioritario è stato quello di determinare quale dovesse essere il
meccanismo per realizzare la comunicazione tra autorità competenti nelle attività
transfrontaliere, e chi dovesse avviare le eventuali procedure di comunicazione.
Un altro punto chiave è l’interpretazione relativa al rapporto tra IMD e MIFID137.
E’ necessario stabilire una relazione ragionevole a livello nazionale in modo tale
che gli intermediari offerenti servizi di investimento e assicurativi non siano
soggetti ad un eccessivo carico di regole.
Ad oggi lo stato di implementazione dell’ IMD è considerevolmente
migliorato. Lo Stato Membro che ha implementato per ultimo la Direttiva è stato
la Germania, con una legge entrata in vigore il 22 maggio 2007.
137
La Mifid è una Direttiva di armonizzazione massima che disciplina gli intermediari e i
mercati finanziari. Essa si occupa di ridefinire il quadro istituzionale comunitario del mercato dei
servizi e delle attività di investimento e dei mercati regolamentati, ed è articolata in tre atti
normativi:
9
La direttiva di primo livello 2004/39/CE, c.d. Direttiva Mifid.
9
La direttiva di secondo livello 2006/73/CE, relativa ai requisiti di organizzazione
delle imprese di investimento e alle modalità di svolgimento dei servizi e delle attività di
investimento.
9
Il regolamento di secondo livello, 1287/2006, relativo alle operazioni di
negoziazione, alla trasparenza dei mercati di negoziazione e all’ammissione di strumenti
finanziari alle negoziazioni.
2
La Commissione ha inviato a tutti gli Stati Membri richieste di ulteriori
informazioni e chiarificazioni relativamente all’implementazione. Una di queste
richieste, ad esempio, è stata indirizzata all’Irlanda, e l’autorità competente dello
Stato ha informato la Commissione che è in cantiere una revisione dell’attuale
della Regolamentazione sulla Mediazione Assicurativa, in modo tale da
migliorarne ulteriormente la portata.
L’implementazione dell’IMD ha portato anche un piccolo numero di
problemi pratici. In Germania ad esempio la situazione è abbastanza controversa,
implicando un grandissimo dispendio di energie: la registrazione obbligatoria
degli intermediari coinvolge un numero elevatissimo di soggetti, circa 500000.
In altri Stati Membri, otto pagine del giornale ufficiale dell’ UE sono stati
trasformati in centinaia di pagine di complesse regole locali, in modo tale da
rendere la comprensione e le valutazioni su base locale decisamente complesse.
La Commissione, però, non può avviare un periodo di valutazione che abbia
consistenza e che produca risultati attendibili finché tutti gli Stati Membri non
abbiano completato appieno l’implementazione dell’IMD, ed è comunque
necessario attendere un periodo di tempo tale da permettere alle autorità e agli
addetti di assimilare profondamente le modifiche. In pratica la Direttiva sarà
oggetto di prove e valutazioni “in corsa”.
Il CEIOPS ha già annunciato che il suo Working Party continuerà a
funzionare, e che una delle cose che esso vorrebbe approfondire è il modo in cui
la Direttiva potrà essere ulteriormente migliorata nel futuro. E’ programmato,
per il 2008, un report che esporrà le opinioni degli esperti del CEIOPS in luce di
quelle esposte dagli studi effettuati degli Stati Membri; naturalmente è necessario
che anche gli addetti ai lavori diano il proprio apporto a questi studi: tutto ciò
potrebbe portare ad un aggiustamento e ad un miglioramente progressivo della
Direttiva.
2
6.2
Analisi della Direttiva 2002/92/CE
La Direttiva sull’Intermediazione Assicurativa introduce i requisiti
professionali minimi per tutti gli intermediari europei e richiede loro di registrarsi
presso un’autorità competente nello Stato Membro d’origine. La Direttiva
stabilisce anche il livello minimo di informazione che gli intermediari devono
fornire ai consumatori prima di concludere qualunque contratto.
Una volta riscontrati i requisiti richiesti nel paese d’origine, gli intermediari
assicurativi possono operare in qualunque Stato Membro.
Pubblicata nel dicembre del 2002, la Direttiva avrebbe dovuto essere
implementata prima del 15 gennaio 2005 in tutti gli Stati Membri. La sua
implementazione ha, però, subito numerosi ritardi in alcuni paesi; e per di più
molti hanno osservato che la trasposizione nelle legislazioni nazionali, non è stata
uniforme in tutta Europa.
Diversi commentatori, questi fatti ostacolano la realizzazione del mercato
assicurativo unico per l’intermediazione assicurativa e, oltre a questo, potrebbero
produrre costi superiori per quegli intermediari operanti in paesi nei quali l’ IMD
è stata implementata più velocemente, o dove i legislatori nazionali hanno
interpretato erroneamente la Direttiva.
Come si è detto (6.1) l’IMD ha l’obiettivo di permettere agli intermediari
assicurativi (broker, agenti, operatori di bancassicurazioni, ecc..) di operare in
tutta l’UE, sotto il regime di libertà di stabilimento o liberà prestazione di servizi,
pur mantenendo un altissimo livello di protezione del consumatore.
La Direttiva si applica solamente alle persone che forniscono servizi di
mediazione assicurativa a terzi in cambio di una remunerazione138. Non si applica
138
L’articolo 2.3 della Direttiva dispone che l’intermediazione assicurativa include le
attività: “le attività consistenti nel presentare o proporre contratti di assicurazione, o compiere
altri atti preparatori o relativi alla conclusione di tali contratti, ovvero nel collaborare,
segnatamente in caso di sinistri, alla loro gestione ed esecuzione.
Sono escluse le attività esercitate dalle imprese di assicurazione nonché dagli impiegati
di un'impresa di assicurazione che agiscono sotto la responsabilità di tale impresa.
Sono altresì escluse le attività di informazione fornite a titolo accessorio nel contesto di
un'altra attività professionale, sempre che l'obiettivo di questa attività non sia quello di assistere il
cliente nella conclusione o nell'esecuzione di un contratto di assicurazione o la gestione di sinistri
per un'impresa di assicurazione su base professionale o le attività di liquidazione sinistri e di
consulenza in materia di sinistri”. Non viene perciò inclusa la vendita diretta, quando cioè questa
venga effettuata direttamente dalla compagnia assicurativa o dai suoi impiegati.
2
alle persone che forniscono consulenza su coperture assicurative in maniera
accessoria ad altre attività professionali (articolo 2.3 della Direttiva), o come
attività non prevalente a condizioni molto stringenti139.
Le principali previsioni dell’IMD riguardano:
9 La registrazione obbligatoria e i requisiti professionali degli intermediari
assicurativi (capo II della Direttiva).
9 Gli obblighi di informazione degli intermediari a tutela dei consumatori
(capo III della Direttiva).
6.2.1 Registrazione obbligatoria e requisiti professionali
Le regole disciplinati nel Capo II della Direttiva sottopongono tutti gli
intermediari assicurativi e riassicurativi di tutti gli Stati Membri alla registrazione
presso un’appositamente designata autorità competente. La registrazione degli
intermediari è subordinata al possesso di determinati e stringenti requisiti
professionali e permette loro di operare in tutta l’UE, dopo previa notificazione
all’autorità competente del paese di origine di volere operare la mediazione
assicurativa in un altro Stato Membro.
I requisiti professionali considerati dalla Direttiva riguardano la
competenza, l’onestà, le capacità professionali e finanziarie, degli intermediari
139
L’articolo 1.2 della Direttiva dispone che: “La presente direttiva non si applica a soggetti
che propongono servizi di intermediazione per contratti assicurativi ove siano soddisfatte tutte le
condizioni seguenti:
a) il contratto di assicurazione richiede soltanto conoscenze sulla garanzia assicurativa
fornita;
b) non si tratta di un contratto di assicurazione sulla vita;
c) il contratto di assicurazione non copre i rischi di responsabilità civile;
d) l'attività professionale principale del proponente il contratto non consiste
nell'intermediazione assicurativa;
e) l'assicurazione è complementare rispetto al prodotto o servizio fornito
dall'intermediario e copre:
i) i rischi di deterioramento, perdita o danneggiamento dei beni forniti
dall'intermediario, o
ii) danneggiamento o perdita del bagaglio e altri rischi connessi con il viaggio
prenotato presso l'intermediario, anche se si tratta di un contratto che assicura il ramo
vita o i rischi di responsabilità civile, purché la garanzia abbia natura accessoria rispetto
alla garanzia principale relativa ai rischi connessi con tale viaggio;
f) l'importo del premio annuale non eccede 500 EUR e la durata complessiva del
contratto di assicurazione, compresi eventuali rinnovi, non è superiore a cinque anni.”.
2
assicurativi. Ad esempio l’articolo 4.1 della Direttiva dispone che “Gli
intermediari assicurativi e riassicurativi devono possedere adeguate cognizioni e
capacità, determinate dai rispettivi Stati membri d'origine”.
Questi requisiti possono variare in base all’attività svolta (assicurazione,
riassicurazione), ed ai prodotti distribuiti.
Un altro elemento fondamentale è quello dell’onorabilità140, è necessario che
l’intermediario abbia quantomeno la fedina penale pulita (soprattutto per quel che
riguarda i crimini contro la propietà o oltri crimini relativi alle attività finanziari) e
che non sia stato precedentemente dichiarato fallito e non riabilitato.
Agli intermediari viene inoltre richiesto di contrarre una polizza assicurativa per
la responsabilità professionale valida in tutta Europa con un massimale minimo di
1.000.000 di Euro per sinistro, e di 1.500.000 di Euro per anno assicurativo
(articolo 4.3).
L’articolo 4.4 dell’IMD richiede agli Stati Membri di adottare misure relative alle
somme versate dai clienti, in modo tale da garantirli da eventuali insolvenze
dell’intermediario.
L’articolo 4.6 della Direttiva permette inoltre agli Stati Membri di adottare
requisiti ulteriori e più stringenti rispetti a quelli previsiti dall’IMD, validi per gli
intermediari che vogliano iscriversi all’interno della loro giurisdizione.
L’articolo 5 della Direttiva introduce la possibilità di mantenere i diritti acquisiti.
In altre parole, gli Stati Membri hanno la possibilità di decidere che gli operatori
attivi nella mediazione assicurativa prima del giorno 1 settembre 2000 venissero
inclusi nel registro degli intermediari mediante la presunzione che essi
posseggano un livello di professionalità ed esperienza pari a quello richiesto
dall’IMD.
140
Art 4.2 IMD “Gli intermediari assicurativi e riassicurativi devono possedere il requisito
dell'onorabilità. Essi devono possedere almeno un certificato penale immacolato o analogo
requisito nazionale in riferimento a gravi illeciti penali connessi con reati contro il patrimonio o
altri reati in relazione ad attività finanziarie e non devono essere stati dichiarati falliti, salvo che
sia intervenuta la riabilitazione a norma del diritto nazionale.”.
2
6.2.2 Obblighi di informazione degli intermediari
L’articolo 12.1 della Direttiva (nel Capo III) descrive la quantità minima di
informazioni che gli intermediari assicurativi devono fornire ai clienti prima della
conclusione di qualunque contratto.
Un intermediario deve specificare:
9 Nome, cognome ed indirizzo; il registro nel quale è iscritto; se detiene più
del dieci per cento dei voti o del capitale di una data compagni
assicurativa; se una compagnia assicurativa detiene più del dieci per cento
dei voti e del capitale dell’intermediario; le procedure a disposizione dei
clienti per presentare ricorso.
9 “se egli fornisca consulenze fondate sull'obbligo di cui al paragrafo 2 di
fornire un'analisi imparziale; o se sia tenuto, in virtù di un obbligo
contrattuale, a esercitare l'attività di intermediazione assicurativa
esclusivamente con una o più imprese di assicurazione. In tal caso, egli
comunica, su richiesta del consumatore, la denominazione di tali imprese;
ovvero se non sia vincolato ad alcun obbligo contrattuale di esercitare
attività di intermediazione assicurativa esclusivamente con una o più
imprese di assicurazione e non fornisca consulenze fondate sull'obbligo di
cui al paragrafo 2 di fornire un'analisi imparziale. In tal caso, egli
comunica, su richiesta del consumatore, la denominazione delle imprese
di assicurazione con le quali ha o potrebbe avere rapporti d'affari”.
L’articolo 12.2 della Direttiva prevede che se un intermediario fornisce
consulenza sulla base di un’analisi imparziale, egli ha l’obbligo di fornire un
ventaglio sufficientemente ampio di prodotti disponibili sul mercato, così che la
proposta che ha scelto sia motivatamente quella adeguata a soddisfare le esigenze
del cliente. Per di più, in base all’articolo 12.3, prima della conclusione del
contratto l’intermediario deve precisare le richieste e le esigenze di tale
consumatore e le ragioni su cui si fonda qualsiasi consulenza fornita su un
determinato prodotto.
2
Come previsto per il Capo precedente, la Direttiva permette agli Stati
Membri di adottare requisiti maggiormente stringenti, applicabili a tutti gli
intermediari operanti nella giurisdizione, anche registrati in altri paesi dell’UE.
Infine, l’articolo 13.1 della Direttiva dispone che le informazioni debbano essere
fornite in forma cartacea, ovvero in forma accessibile a qualunque cliente, ed in
maniera chiara ed accurata, e, soprattutto, compensibile. Le informazioni,
comunque possono essere fornite in forma orale su richiesta del cliente, o dove vi
è una necessità di immediata copertura assicurativa.
La deadline per la trasposizione dell’IMD nelle legislazioni degli Stati
Membri è stata prevista per il giorno 15 gennaio 2005. Ciò nonostante, pochi
paesi (Austria, Danimarca, Irlanda, Inghilterra) sono riusciti nell’implementazione
prima della scadenza del termine. Nella maggior parte dei paesi Europei la
Direttiva è stata implementata nel tardo 2005 oppure durante il 2006. Il fanalino di
coda è la Germania che, nel 2007, non ha ancora completamente implementato
l’IMD.
2
6.3
L’implementazione della Direttiva in alcuni stati membri
6.3.1 Austria
L’IMD è stato implementato in Austria il 29 Novembre 2004 con la legge
modificativa del precedente framework, entrata in vigore il 15 gennaio 2005,
come richiesto dalla Direttiva.
La legge sull’intermediazione dispone che gli intermediari debbano registrarsi
preso le autorità distrettuali (Bezirksverwaltungsbehörde), che sono a loro volta
supervisionati dal Ministero Federale dell’Economia e del Lavoro. Il Ministero
Federale è anche autorità competente per il registro centrale degli intermediari
assicurativi, poiché esso centralizza i dati inviati dalle autorità distrettuali.
L’Autorità per i Mercati Finanziari (FMA) è l’autorità competente per quel che
riguarda gli intermediari che sono impiegati presso gli istituti di credito.
Lo statuto precedente richiedeva che agenti e broker si iscrivessero tutti presso un
registro centrale, invece di prevedere uno specifico registro per intermediari
assicurativi, mentre i requisiti professionali già previsti erano molto simili a quelli
disciplinati successivamente dall’IMD.
Tutto ciò ha permesso agli intermediari già iscritti ai registri austriaci di
riscontrare appieno i requisiti richiesti dall’IMD sull’onorabilità e sulle qualifiche
professionali. I requisiti della Direttiva sono comunque più stringenti per quel che
riguarda la bancarotta.
6.3.2 Belgio
Il Belgio ha implementato l’IMD il 15 marzo 2006, con l’entrata in vigore
della nuova legge che è andata a sostituire il precedente framework risalente al
1995.
L’autorità competente alla supervisione degli intermediari assicurativi in Belgio è
la CBFA (Commission Bancaire, Financiere et des Assurances). Dal 1 gennaio
2004 l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni è stata assorbita da CBFA, che è
quindi attualmente l’unica autority per l’intero settore dei servizi finanziari.
2
Prima dell’implementazione dell’IMD all’interno della legislazione belga, gli
intermediari assicurativi (inclusi broker, agenti e subagenti) erano soggetti a
regolamenti statutari, come descritto dalla legge 27 marzo 1995. L’impatto della
Direttiva è stato abbastanza ridotto su questo sistema di norme, in quanto è stato
osservato che “the IMD was prepared during the Presidency of Belgium and was
therefore largely inspired by the existing Belgian legislation.”141
6.3.3 Francia
La Francia ha implementato la Direttiva nella legislazione nazionale nel
dicembre del 2005 con la legge n. 2005-1564 del 15 dicembre 2005, che è andata
a modificare il libro quinto del Codice delle Assicurazioni.
La regolamentazione statutaria della mediazione assicurativa era già esistente in
Francia prima dell’implementazione dell’IMD. In particolare la mediazione
assicurativa era regolamentata dal Codice delle Assicurazioni (Code des
Assurances), pubblicato per la prima volta nel 1976.
L’autority di vigilanza per il settore è attualmente l’ ACAM (Autorité de contrôle
des assurances et des mutuelles). La registrazione degli intermediari, tuttavia, è
sottoposta alla vigilanza di un’agenzia separata (ORIAS), che è andata a sostituire
la vecchia autority competente, l’ ALCA (Association de la Liste des Courtiers
d’Assurances).
6.3.4 Germania
La Germania ha implementato solo recentemente l’IMD all’interno della
legislazione nazionale: la legge è stata pubblicata dalla Gazzetta Federale il 22
dicembre 2006 ed è entrata in vigore il 22 maggio 2007. L’implementazione della
Direttiva rappresenta un profondo cambiamento per il settore, poiché in Germania
gli intermediari assicurativi (inclusi broker, agenti e subagenti) non erano
sottoposti ad alcun obbligo di registrazione, né ad autorizzazioni.
141
C/M/S, IMD Guide – Selling Insurance Across Europe – January 2006, page 22
2
Dopo lunghe discussioni, la locale Camera dell’Industria e del Commercio
è stata designata come autorità competente e responsabile per la predisposizione
del registro degli intermediari.
6.3.5 Italia
Nel settembre del 2005 il governo italiano ha pubblicato il Nuovo Codice
delle Assicurazioni (d.lgs. 209/2005), che ha implementato l’IMD all’interno della
legislazione italiana. Il Nuovo Codice è entrato in vigore il 1 gennaio 2006, ciò
nonostante l’ISVAP (Istituto di Vigilanza Assicurazioni Private) ha ricevuto
ulteriori 24 mesi da quella data per adottare i singoli provvedimenti.
Nell’ottobre del 2006 l’ISVAP ha approvato il provvedimento relativo alla
mediazione assicurativa (circolare n.5 del 16 ottobre 2006). Questa circolare
introduce il RUI (Registro Unico degli Intermediari) che include agenti, broker,
collaboratori, banche, impiegati, ecc. Il RUI è operativo dal 1 gennaio 2007.
La mediazione assicurativa era già sottoposta a regolamentazione dal 1984 con la
legge 792/1984, quando fu creato un registro di intermediari assicurativi
obbligatorio. Il registro originario, comunque, includeva solo 2 categorie, rispetto
alle 5 inserite all’interno del nuovo registro.
L’ISVAP è l’autorità di vigilanza del settore assicurativo ed è indimendente dalla
CONSOB, l’autorità Italiana dei servizi finanziari.
Il Nuovo Codice delle Assicurazioni dispone altresì che tutte le competenze
relative
all’intermediazione
assicurativa
fossero
trasferite
completamente
all’ISVAP.
6.3.6 Paesi Bassi
L’IMD è stato inserito inizialmente nella legge olandese mediante il
“Financial Services Act” (Wet financiële dienstverlening – Wfd) del 12 maggio
2005 che è entrato in vigore il 1 gennaio 2006. Il Wfd è successivamente stato
integrato dall’ “Act on Financial Supervision” (Wet op het financieel toezicht –
Wft) del 26 settembre 2006 che è entrato in vigore il 1 gennaio 2007.
2
L’autorità di vigilanza è l’AFM (Autority Financial Markets), che è
competente alla supervisione di tutti i servizi finanziari nei Paesi Bassi.
La mediazione assicurativa, così come la consulenza (all’interno di un’attività
professionale che sfoci nella raccomandazione di uno specifico prodotto) è stata
oggetto del Financial Services Act, implementativo dell’IMD, e della sua
successiva integrazione.
Gli intermediari erano già soggetti all’obbligo di registrazione prima della
Direttiva. I precedenti requisiti per la registrazione includevano la prova di
esperienza e competenza mediante certificati di formazione, e il requisito
dell’onorabilità comprendente nessun precedente penale e nessuna bancarotta.
6.3.7 Spagna
La Spagna ha implementato l’IMD il 17 luglio 2006 con l’approvazione e
pubblicazione della legge 26/2006 sulla mediazione delle assicurazioni e
riassicurazioni private (Ley de mediación de seguros y reaseguros privados, in
Spanish).
Prima dell’implementazione della Direttiva, il framework legislativo sulla
mediazione assicurativa in Spagna era contenuto nella legge 9/1992.
La nuova legge è costruita intorno a tre principi fondamentali:
9 l’introduzione di nuovi intermediari (come gli agenti assicurativi connessi
a più compagnie assicurative);
9 uguaglianza di trattamento di tutti gli intermediari, inclusa l’uguaglianza
dei requisiti professionali;
9 istituzione di requisiti di trasparenza a protezione dei consumatori.
L’autorità competente è il Direttorato Generale delle Assicurazioni e dei Fondi
Pensione (Dirección General de Seguros y Fondos de Pensiones, DGS). Il DGS è
una divisione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ed è separato
dall’autority competente per i servizi finanziari in genere, il CNMV.
Il precedente framework prevedeva che solo i broker fossero soggetti ad
obbligo di registrazione, poiché gli agenti assicurativi erano formati e registrati
2
presso le rispettive compagnie assicurative. Le compagnie assicurative
organizzavano i propri registri di agenti e si assumevano la responsabilità
amministrativa per essi. Come risultato, alle compagnie assicurative non veniva
richiesto di essere registrate o autorizzate nel caso operassero mediazione
assicurativa mediante vendita diretta ai consumatori.
Il nuovo regime richiede a tutti gli intermediari di registrarsi presso il supervisore,
in rispetto del principio dell’uguaglianza di trattamento.
6.3.8 Regno Unito
Il Regno Unito ha implementato la Direttiva il 14 gennaio 2005. Dal
dicembre del 2001 il ministero del tesoro ha designato l’FSA come l’autorità
competente all’implementazione dell’IMD.
La
trasposizione
dell’IMD
all’interno
della
legislazione
britannica
ha
rappresentanto un importante cambiamento nella regolamentazione della
mediazione assicurativa, poiché l’industria non era soggetta ad alcuna
regolamentazione statale prima dell’IMD. Nel periodo pre-IMD il GISC (General
Insurance Standards Council), un’organizzazione indipendente autonomamente
creata dall’industria assicurativa, predisponeva gli standard per i suoi oltre 6000
membri, circa un terzo dell’intero mercato.
2
6.4
Analisi comparativa dell’implementazione dell’IMD
In questo paragrafo si esamina in maniera maggiormente approfondita
l’implementazione della Direttiva in Francia, Germania, Olanda e nel Regno
Unito. L’analisi dimostra che esistono un ampio numero di differenze tra i vari
paesi, alcune delle quali si spiegano mediante il tipo di regolamentazione in
vigore
precedentemente
all’implementazione
dell’IMD,
oppure
mediante
l’approccio scelto dal legislatore per l’implementazione stessa. Queste differenze
si traducono anche in costi diversi che gli intermediari sono costretti ad affrontare
nei vari paesi.
I punti cardine dell’analisi sono:
9 lo scopo del legislatore nazionale nell’implementazione;
9 il mantenimento dei diritti preacquisiti (grandfathering);
9 l’orientamento regolatorio dell’autorità competente;
9 i requisiti in materia di competenza ed onorabilità;
9 l’assicurazione sulla responsabilità professionale, la protezione dei capitali
dei clienti, e i margini di solvibilità;
9 la quantità minima di informazione da fornire ai consumatori;
9 i costi per adeguare la mediazione assicurativa dopo l’implementazione.
6.4.1 Scopo del legislatore nazionale nell’implementazione dell’IMD
La Direttiva non si applica alla vendita diretta di prodotti assicurativi da
parte delle compagnie, e oltre a questo fornisce una lista di esenzioni, come ad
esempio quelle relative all’assicurazione dei veicoli, e alle assicurazioni di
viaggio.
Lo scopo dell’IMD e la lista delle esenzioni risultano essere diverse nei quattro
paesi selezionati. Per esempio, le compagnie assicurative che vendono
direttamente i loro prodotti devono seguire le regole dell’IMD nei Paesi Bassi e
nel Regno Unito (dove l’attività di vendita di prodotti assicurativi è
2
regolamentata, indipendentemente dal canale di vendita), mentre in Germania e
Francia la vendita diretta non rientra nell’ambito dell’IMD.
Le legislazioni nazionali in Francia, Germania e nei Paesi Bassi seguono
pedissequamente l’elencazione fornita dall’art.1 della Direttiva, con alcune
differenze trascurabili. In Gran Bretagna invece, la legislazione supera addirittura
i requisiti minimi richiesti dall’IMD, dato che persino le coperture assicurative
relative a veicoli a motore, con premi inferiori ai 500 Euro sono comprese
nell’ambito della legge.
6.4.2 Mantenimento di diritti acquisiti (grandfathering)
L’articolo 5 dell’IMD permette esplicitamente agli Stati Membri di
includere nei nuovi registri persone che: esercitavano la mediazione assicurativa
prima del 1 Settembre 2000, oppure erano già iscritte a registri preesistenti, o
erano in possesso di competenza ed esperienza simili a quella richiesta dalla
Direttiva. Questo è un esempio di “grandfathering”, mediante il quale gli
intermediari in possesso di esperienza prima dell’introduzione della Direttiva
potessero ritagliarsi il loro posto all’interno del registro.
Tre dei paesi selezionati per l’analisi hanno fatto uso di questo metodo,
previsto dalla Direttiva. In Francia, ad esempio, i broker che erano già iscritti nel
registro tenuto dall’ALCA sono stati automaticamente registrati in quello nuovo,
creato dall’ORIA, dopo pagamento della quota di iscrizione annuale. Oltre a
questo, gli intermediari attivi nella vendita di prodotti assicurativi per due anni
prima del gennaio 2007 sono stati automaticamente inclusi nel registro
dell’ORIAS senza dover compiere ulteriore formazione o ricevere alcun diploma.
Sorprendentemente, in Germania, dove non vi era alcuna legislazione statale in
vigore prima dell’IMD, il grandfathering è stato implementato in ugual maniera.
Gli intermediari attivi dall’agosto del 2000 non devono sottoporsi ad alcun esame
se decidono di iscriversi al registro entro il 2009.
Un regime simile è stato predisposto nei Paesi Bassi, dove gli intermediari già
attivi ed in possesso di una certa quantità di esperienza, o di un diploma, hanno
2
ricevuto automaticamente una licensa dall’AFM, se ne avessero fatto richiesta
entro tre mesi dalla legge del 2005.
Nel Regno Unito questo fenomeno non è stato considerato, nonostante i
partecipanti al GISC rappresentassero circa un terzo del numero totale di
intermediari attivi nel mercato.
6.4.3 La scelta, e lo stile regolatorio dell’autorità competente
Vi sono chiare e significative differenze tra i tipi di istituzioni selezionate
come autorità competenti nei paesi in oggetto. Anche lo stile regolatorio si
differenzia molto. L’analisi focalizza il tipo di processo di consultazione utilizzato
e il modo in cui l’industria assicurativa è stata monitorata.
Sia in Gran Bretagna che nei Paesi Bassi le autorità preesistenti, responsabili per
l’intero settore finanziario (rispettivamente FSA, e AFM), sono state designate
come autorità competenti alla regolamentazione dell’intermediazione assicurativa.
In entrambi i paesi la scelta del FSA e dell’AFM rappresenta un significativo
cambiamento rispetto al regime preesistente. L’FSA in Gran Bretagna è andato a
sostituire un regime completamente volontario implementato dal GISC, e così è
stato nei Paesi Bassi, dove l’AFM ha rimpiazzato la supervisione del SFD, che era
incaricata di registrare gli intermediari e non svolgeva alcuna effettiva attività di
supervisione.
Entrambe l’autorità hanno istituito delle consultazioni pubbliche con l’industria ed
hanno partecipato alla progettazione delle regole per gli intermediari assicurativi.
Dai dati disponibili sembra che questo processo di consultazioni sia stato
maggiormente lungo ed elaborato nei Paesi Bassi, dove sono state istituite diverse
commissioni per definire le nuove regole.
Vi è stata comunque una grandissima differenza nell’approccio al cambiamento.
Nei Paesi Bassi, un incremento del numero degli intermediari così repentino è
stato visto come potenzialmente problematico e il legislatore ha supportato l’idea
di creare l’organo SFTD, il quale assiste gli intermediari nei vari adempimenti
obbligatori annuali.
2
Nel Regno Unito, invece, è stato deciso di eliminare totalmente il GISC nel
momento
in
cui
FSA
ha
ricevuto
la
completa
responsabilità
della
regolamentazione del settore.
In Francia, l’implementazione dell’IMD non rappresentava un particolare
strappo con il passato, poiché gli intermediari (in particolar modo i broker) erano
già soggetti alla regolamentazione statale. Per quel che riguarda lo stile di
regolamentazione, le fonti provenienti dall’industria sostengono che l’ACAM,
l’autorità competente Francese, è stata sicuramente un interlocutore meno
proattivo nel richiedere feedback ed interazioni con l’industria stessa, quantomeno
rispetto a quello che si è visto con le autority FSA e AFM.
Va notato, comunque, che l’ACAM è stata creata nel 2005 e che non vi sono
ancora elementi sufficienti per formulare un giudizio preciso.
L’ACAM non è responsabile della creazione e del mantenimento del nuovo
registro degli intermediari, che è sottoposto alla responsabilità dell’ORIAS, ciò
nonostante il legislatore si attende un’ampia collaborazione e scambio di
informazioni tra i due organi istituzionali.
Dopo un lungo dibattito, la legge tedesca di implementazione dell’IMD ha
disposto che la Camera di Commercio (IHKN) fosse responsabile sia
dell’autorizzazione che della registrazione degli intermediari, sotto la supervisione
del Ministero dell’Economia. Questo processo è tutt’ora in corso, ed anche in
questo caso non sembra opportuno effettuare valutazioni sulla base delle
informazioni in possesso a riguardo dello stile regolatorio adottato dall’IHKN.
6.4.4 Requisiti relativi alla competenza ed all’onorabilità
L’articolo 4.1 della Direttiva richiede che gli intermediari assicurativi e
riassicurativi siano in possesso di appropriate conoscenze e competenze,
determinate dallo Stato Membro dell’intermediario.
L’articolo 4.2 dispone altresì che gli intermediari debbano avere il requisito
dell’onorabilità, così come visto nei paragrafi precedenti.
Nella Direttiva, la formulazione di questi requisiti è generica, ed è stata
implementata in modalità differente negli Stati Membri.
2
Nel Regno Unito l’FSA ha richiesto agli intermediari assicurativi di superare un
determinato test personale che riguarda:
9 l’onestà, l’integrità e la reputazione;
9 la competenza e le capacità;
9 la stabilità finanziaria.
Gli intermediari nel Regno Unito hanno un grado di flessibilità superiore in questo
campo rispetto a quelli degli altri paesi, poiché non vi è nessun requisito di
ammissione specifica alla professione.
Viceversa, le legislazioni di altri Stati Membri sono molto più stringenti in
materia. Ad esempio nei Paesi Bassi gli intermediari devono dimostrare di essere
“adeguati” solamente per ricevere la licensa ad esercitare. Per fare ciò devono
produrre un certificato di buona condotta e non devono essere stati dichiarati
falliti nel passato. La legislazione richiede anche che, nella maggioranza dei casi,
gli intermediari perseguiscano uno specifico diploma. Per di più, la legge
integrativa del 2006 introduce anche l’obbligo dell’aggiornamento costante, in
funzione del quale gli intermediari devono frequentare specifici corsi e seminari
(e superare determinati esami).
In Francia i requisiti per l’operatività seguono la stessa falsariga, ma sono
preesistenti all’implementazione della Direttiva, ne è un esempio l’articolo L3222 del Libro V del Codice delle Assicurazioni (condition d’honorabilité)142.
I requisiti di competenza, comunque, variano a seconda della categoria
dell’intermediario. I Broker, ad esempio, ed i manager delle compagnie di
brokeraggio (rispettivamente courtiers e dirigeants) devono completare una
formazione di 150 ore, avere un’esperienza professionale di almeno due anni nel
management, o quattro anni di esperienza presso compagnie assicurative, o infine
aver conseguito uno specifico diploma.
Gli agenti sono una categoria differente e devono semplicemnte completare la
formazione di 150 ore.
142
Il vigente Codice delle Assicurazioni Francese dispone che le persone condannate per
determinati crimini (incluso omicidio, furto, frode, riciclaggio, corruzione) o dichiarate fallite, non
possano esercitare la professione di agente o broker. La legge di implementazione dell’IMD ha
introdotto ulteriori tipi di crimini ed infrazioni che conducono all’incapacità di esercitare la
professione, ed è probabilmente più severa della stessa Direttiva.
2
La legge Tedesca di implementazione ha istituito requisiti molto simili a
quelli previsti dal testo della Direttiva.
Un’osservazione analitica dell’implementazione degli articoli 4.1 e 4.2
dell’IMD mostra che solo la Germania ha mantenuto l’impostazione prevista dalla
Direttiva, alcuni paesi sono sembrati maggiormente flessibili (come l’Inghilterra),
altri (come la Francia) sicuramente più approfonditi nell’elencazione dei requisiti.
6.4.5 Obblighi relativi alla responsabilità professionale, alla protezione dei
capitali dei clienti, al margine di solvibilità
L’IMD introduce, all’articolo 4.3, l’obbligo per gli intermediari
assicurativi di possedere una polizza di responsabilità professionale con un
massimale minimo di 1.000.000 di Euro per sinistro ed 1.500.000 di Euro per
anno assicurativo. Per di più, l’articolo 4.4 richiede agli Stati Membri di adottare
misure adeguate per proteggere il denaro dei clienti.
L’obbligo di possedere una polizza di indennità professionale è stato
implementato in maniera praticamente identica negli Stati Membri, con alcune
differenze riguardanti il massimale richiesto.
Nel Regno Unito gli intermediari assicurativi, per garantire e proteggere i
capitali dei clienti, possono trasferire il rischio ad una compagnia assicurativa. Per
di più gli intermediari devono possedere una somma minima di capitale (10.000
Sterline o il 5% delle entrate annuali se maggiori), e riscontrare specifici requisiti
di solvibilità. Oltre a questo le regole previste da FSA riguardo il management dei
capitali dei clienti sono maggiormente stringenti rispetto a quelle previste dalla
Direttiva.
Nei Paesi Bassi il legislatore ha fatto sì che i premi pagati dal cliente
all’intermediario vengano trattati come se pagati direttamente alla compagnia,
mentre i soldi pagati dall’assicuratore all’intermediario non vengono considerati
pagati al consumatore finché esso non ne entri in possesso; questa previsione era
parte del Codice Civile prima ancora dell’implementazione dell’IMD.
2
In Francia e Germania si assiste a regolamentazioni molto simili, ad
esempio in Francia gli intermediari devono garantire una capacità finanziaria
minima di 15.000 Euro.
6.4.6 Requisiti minimi di informazione da fornire ai consumatori
L’articolo 12 della Direttiva descrive la quantità minima di informazioni
che gli intermediari devono fornire ai clienti prima della conclusione di un
qualunque contratto. Questi requisiti sono state generalmente rispettati nei paesi
oggetto di analisi, ma significativamente espansi sotto alcuni punti di vista, al
punto che gli intermediari sono obbligati a fornire una quantità di informazioni
sicuramente superiore a quella prevista dalla Direttiva.
Nel Regno Unito, ad esempio, ulteriormente alla quantità minima di informazioni
richiesta dalla Direttiva, è stata prevista un’elencazione completa dell’informativa
relativamente alla polizza.
Nei Paesi Bassi, i requisiti specificati dal legislatore nazionale seguono
pedissequamente il testo della Direttiva. L’intermediario, comunque, ha anche
l’onere di comunicare il proprio livello remunerativo, elemento non presente nelle
previsioni dell’IMD.
Per quel che riguarda le polizze maggiormente complesse, come le polizze vita,
gli intermediari devono tenere un registro delle caratteristiche del cliente (es.
posizione finanziaria, precedenti investimenti, propensione al rischio, ecc..) e
delle proprie consulenze, da conservare per almeno un anno.
L’intermediario deve, inoltre, fornire ai clienti un “risk sheet”, una descrizione
standardizzata del rischio presente nel prodotto assicurativo acquistato.
Dall’ottobre del 2009, l’intermediario dovrà informare inoltre il cliente riguardo
l’ammontare delle commissioni, e su specifica richiesta del cliente stesso, su
quanto di queste commissioni spettino all’intermediario per la transazione.
Il rinnovato Codice delle Assicurazioni Francese riproduce il testo
originale della Direttiva abbastanza fedelmente. Ma anche in questo caso sono
stati inseriti ulteriori requisiti. Ad esempio, l’intermediario deve dichiarare in ogni
2
caso il nome della compagnia assicurativa che ha generato una quota superiore al
33% dei suoi affari e delle sue entrate.
L’intermediario è altresì soggetto all’obbligo di motivazione scritto delle ragioni
per le quali propone uno specifico prodotto assicurativo, nel caso di rischi
complessi (grandes risques). Regole speciali si applicano anche alla
manifestazione della propria remunerazione; in particolare il broker deve
informare i clienti, su loro richiesta, riguardo la remunerazione che egli riceve se
il contratto copre rischi professionali (risques professionnels) e il premio annuo
supera i 20.000 Euro.
Anche in Germania i requisiti di informazione, seppur abbastanza fedeli
all’IMD, presentano delle specificazioni143. Una delle differenze più marcate è
quella per la quale in Germania gli intermediari hanno bisogno di documentare la
loro consulenza in forma scritta, a meno che il cliente non preferisca riceverla in
forma orale, oppure la compagnia non si assuma la responsabilità per
l’intermediario. La legge Tedesca dispone altresì che l’intermediario debba
informare il cliente che non richiedendo documentazione scritta possa venir meno
un elemento probatorio in caso di successive richieste di danni per insorta
responsabilità dell’intermediario stesso.
Gli addetti ai lavori hanno duramente criticato questi ulteriori requisiti,
argomentando che si tratta più che altro di elementi burocratici, non presenti in
altri Stati Membri.
In definitiva, i requisiti extra rispetto al testo della Direttiva sono stati
introdotti in quasi tutti gli Stati Membri, particolarmente appunto nel Regno Unito
e nei Paesi Bassi. I requisiti extra nella maggior parte dei casi riguardano
l’informativa sui costi e sulle commissioni, e spesso si applicano a rischi
particolarmente complessi.
Valutare l’effettiva utilità di queste informazioni, data anche la relativa novità
delle implementazioni, è molto difficile.
Nei Paesi Bassi gli addetti ai lavori asseriscono che i consumatori ora possono
assumere decisioni maggiormente consapevoli, migliorando di gran lunga la
143
Ad esempio, prima della conclusione del contratto, l’intermediario deve fornire il proprio
nome e il nome della compagnia assicurativa, quest’ultimo non richiesto dalla Direttiva.
2
situazione preesistente. L’opinione sull’argomento, nel Regno Unito, è
completamente diversa, il Rapporto Davidson ad esempio, commenta che: “much
of the extra, non-directive required information is unnecessary and is not read by
the consumer and results in consumers shopping around less than they otherwise
would. It is expensive for firms to produce and adds to the amount of records that
they are required to keep”.
6.4.7 I costi di implementazione
E’ opportuno distinguere tra costi diretti (es. tasse e contributi), e costi
derivati o di conformità (es. dovuti alla necessità di creare risorse apposite,
ulteriori documenti da conservare, ecc..). E’ dimostrato, e confermato dagli
addetti ai lavori, che il nuovo framework istituito dall’IMD è sicuramente più
costoso del passato.
In genere quindi si può affermare che l’attuale regime ha aumentato i costi, ma
questo è un dato che comunque va letto anche in chiave di “costi/benefici”.
Nel Regno Unito gli intermediari pagano una tassa annuale al FSA e
contemporaneamente
contribuiscono
mediante
il
Financial
Services
Compensation Scheme (FSCS) e mediante il Financial Ombudsman Service
(FOS). L’ammontare delle tasse da pagare al FSA e dei contributi al FSCS
dipende dal rendiconto annuale dell’intermediario. Nel 2006 le tasse al FSA si
sono aggirate approssimativamente intorno ai 587 Euro per gli intermediari più
piccoli, fino ai 42.697 Euro per quelli più grandi; mentre, i contributi al FSCS
sono stati variabili tra i 9 Euro e i 728 Euro. Il FOS invece ha istituito un
contributo fisso di 75 Euro, ma gli intermediari devono pagare una certa somma
per ogni controversia nella quale incorrano.
Nei paesi bassi le tasse annuali per il 2006 sono state tra i 420 Euro e i
14.780 Euro, a seconda della grandezza e dell’attività dell’intermediario.
Di gran lunga inferiori i costi in Francia e Germania. In Francia ad
esempio la registrazione all’ORIAS costa, nel 2007, fino a 50 Euro, con l’importo
2
non dipendente dal giro di affari dell’intermediario. In Germania le tasse annuali
dovrebbero essere tra i 50 e i 100 Euro all’anno.
Per quel che riguarda i costi di conformità, molti addetti ai lavori hanno
affermato che l’IMD produce una crescita non trascurabile dei costi, sebbene
questi costi non siano facilmente quantificabili.
Nel Regno Unito, ad esempio, il FSA ha pubblicato numerose analisi costibenefici in allegato alle sue proposte legislative riguardanti la mediazione
assicurativa. Ad esempio, nel valutare i costi delle nuove regole sulla vendita e
amministrazione di contratti assicurativi, FSA ha stimato che i partecipanti al
mercato avrebbero speso approssimativamente 300 milioni di Euro una tantum, e
240 milioni di Euro all’anno (solo relativamente ai costi di conformità).
Per di più, il costo dei requisiti addizionali imposti dall’IMD agli intermediari
assicurativi ammonterebbe approssimamente a 85 milioni di Euro una tantum, più
una somma variabile tra i 106 milioni di Euro e i 310 milioni di Euro.
I dati forniti dall’ABI, a riguardo del Regno Unito, asseriscono che
l’implementazione dell’IMD abbia portato a costi indiretti per l’adeguamento di
circa 400 milioni di Euro.
Per di più, l’impatto finanziario del nuovo sistema regolatorio è sembrato essere
proporzionalmente più pesante per le compagnie più piccole. Ad esempio il
British Insurance Brokers’ Association (BIBA) ha calcolato che gli intermediari
con un’entrata annuale di meno di 100.000 Sterline si troverebbero a pagare circa
il 5,20% del loro rendiconto, mentre un intermediario che guadagna più di 100
milioni di Sterline pagherebbe solamente l’ 1,13%.
Nei Paesi Bassi, i costi amministrativi risultanti dall’introduzione del
Financial Services Act sono anch’essi considerevoli. Il governo Olandese stima
che gli intermediari dovrebbero spendere ulteriori 21 milioni di Euro all’anno per
adeguamento e conformità alle nuove leggi.
Non vi sono dati sufficienti per valutare i costi di conformità in Francia e
Germania. Le fonti provenienti dall’industria hanno manifestato che il costo di
predisposizione del nuovo database predisposto dall’ORIAS in Francia dovrebbe
aggirarsi intorno agli 1.600.000 Euro, mentre in Germania le spese per gli esami
2
di qualificazione saranno intorno ai 350 Euro per intermediario, e il costo
dell’assicurazione professionale andrebbe a costare circa 1500 Euro all’anno.
L’impressione confermata dai dati è quella che sia i costi diretti che quelli
di conformità sembrino essere di gran lunga più elevati in Gran Bretagna che in
qualunque altro Stato Membro.
2
6.5
Italia: osservazioni sul nuovo Codice delle Assicurazioni
Nel settembre 2005 è stato approvato il nuovo Codice delle Assicurazioni
Private che recepisce la Direttiva comunitaria 2002/92 sull’intermediazione
assicurativa.
Il Titolo VIII del nuovo Codice delle Assicurazioni Private dedicato agli
intermediari comporta:
9 il superamento del sistema degli Albi professionali;
9 l’obbligo per tutti gli intermediari di iscrizione alle sezioni dell’istituendo
registro;
9 il possesso dei requisiti di onorabilità e di professionalità per tutti gli
intermediari;
9 l’obbligo
della
formazione
preventiva
e
continua
con
precise
responsabilità a carico di imprese e intermediari.
La nuova normativa comunitaria è stata parzialmente anticipata nella sua
attuazione dalla Circolare ISVAP 533/D, in vigore dal 1 ottobre 2004.
Il Codice delle Assicurazioni Private, disciplina l’attività di intermediazione
assicurativa, definendola e stabilendo le condizioni di accesso e di esercizio:
“L’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa consiste nel presentare
o proporre contratti di assicurazione e di riassicurazione o nel prestare
assistenza e consulenza finalizzate a tale attività e, se previsto dall’incarico
intermediativo, nella conclusione, nella gestione o nell’esecuzione dei contratti
stipulati” (Art.140).
Tutti coloro che svolgono queste attività sono soggetti a tale disciplina e
devono essere obbligatoriamente iscritti al Registro degli intermediari assicurativi
e riassicurativi.
Sono escluse dalla disciplina unicamente le attività dirette esercitate dalle imprese
di assicurazione o di riassicurazione e dai loro dipendenti, le attività di sola
informazione svolte da altri professionisti non assicurativi e attività marginali di
intermediazione non professionale relativa a prodotti assicurativi non vita e non
2
RC, di importo e durata limitati, accessori ad altri servizi e che richiedano soltanto
conoscenza delle coperture fornite (per esempio la vendita di polizze di assistenza
nelle agenzie di viaggio, coperture infortuni e scippo sul conto corrente, ecc.).
Oltre ai requisiti di onorabilità e, limitatamente agli agenti e broker, alla
stipula di una polizza di assicurazione della responsabilità civile professionale,
l’iscrizione al Registro è per tutti gli intermediari subordinata a precisi requisiti di
competenza professionale, che implicano obblighi di formazione a carico delle
imprese:
per agenti e broker “l’intermediario … deve possedere adeguate
cognizioni e capacità professionali, che sono accertate dall’ISVAP tramite una
prova di idoneità, consistente in un esame su materie tecniche, giuridiche ed
economiche determinate” (Art.144 co.2); per i produttori diretti “le imprese…
provvedono ad impartire una formazione adeguata in rapporto ai prodotti
intermediati e all’attività complessivamente svolta” (Art.145 co.2);
per i
collaboratori di agenti, broker, banche, sim, intermediari finanziari e poste “i
soggetti posseggono cognizioni e capacità professionali adeguate all’attività ed ai
prodotti sui quali operano, da acquisire mediante la frequenza a corsi di
formazione professionale a cura delle imprese o dell’intermediario interessato”
(Art.145 co.4).
Infine sono definite regole di comportamento relative a doveri e
responsabilità verso gli assicurati e alle informazioni precontrattuali da fornire ai
clienti. E’ molto importante l’introduzione del principio per il quale
l’intermediazione deve basarsi sulla analisi dei bisogni affinché la copertura
offerta sia adeguata alle esigenze del cliente: “In ogni caso, prima della
conclusione del contratto, l’intermediario assicurativo…, anche in base alle
informazioni fornite dal cliente, propone o consiglia un prodotto adeguato alle
sue esigenze, previamente illustrando le caratteristiche essenziali del contratto e
le prestazioni alle quali è obbligata l’impresa di assicurazione” (Art.151 co.3).
E’ inoltre stabilito che l’ISVAP disciplina gli obblighi informativi che
“coloro che sono a contatto con il cliente” devono rispettare, nonché la loro
modalità di comunicazione su supporto accessibile e durevole.
Il recepimento della Direttiva viene anticipato dalla Circolare ISVAP
533/D, in vigore dal 1 ottobre 2004.
2
La professionalità, al pari di correttezza, trasparenza e diligenza, viene definita
come un dovere la cui violazione “… costituisce, per i soggetti iscritti ai relativi
albi, comportamento valutabile sotto il profilo disciplinare” (Art.1).
L’ISVAP precisa l’obbligo delle imprese al “costante controllo e all’adeguata
formazione delle reti commerciali, con la finalità di garantire l’efficace
applicazione dei principi” sopra indicati (Art.2 co.1). In particolare impone “una
preventiva attività di formazione del personale incaricato della distribuzione,
compresi gli agenti ed i suoi collaboratori, affinché lo stesso raggiunga un livello
di preparazione adeguata prima della distribuzione dei prodotti, nonché un livello
di affidabilità professionale nei rapporti con gli assicurati”.
Gli accordi distributivi con imprese di altri settori (il caso più tipico è la
bancassurance), per i quali l’ISVAP ribadisce che devono in ogni caso limitarsi
alla distribuzione di prodotti standardizzati, devono “…prevedere modalità e
tempi in base ai quali dette imprese garantiscono la corretta e puntuale
formazione del proprio personale per la distribuzione dei prodotti assicurativi.
Per gli accordi già in essere, le compagnie provvedono alla loro necessaria
integrazione alla prima scadenza utile degli stessi” (Art.2 co.2).
Molto importante è l’innalzamento delle responsabilità e dei controlli al livello
degli organi amministrativi dell’impresa: “Le iniziative attuate e le verifiche
sull’adeguatezza della formazione e sull’osservanza delle regole di correttezza,
trasparenza e professionalità devono risultare da un rapporto annuale trasmesso
dall’unità organizzativa a ciò delegata al responsabile dell’internal auditing il
quale la sottopone, con eventuali osservazioni di merito, agli organi
amministrativi della società che lo inoltrano all’ISVAP entro sessanta giorni
dalla fine dell’anno solare” (Art.2 co.3).
In sintesi, vengono superati gli attuali albi Agenti e Broker, estendendo
l’obbligo di iscrizione al registro e i relativi requisiti etici e professionali a tutti
coloro che a diverso titolo svolgano attività di intermediazione assicurativa.
Le imprese sono tenute alla formazione “adeguata” e al controllo dei requisiti su
tutta la rete e, nel caso di accordi distributivi, a concordare con i partner i piani di
formazione.
La normativa sull’intermediazione apre una fase nuova nel mercato assicurativo
2
italiano, nella quale la tutela dei consumatori si focalizza sulla professionalità
degli intermediari a tutti i livelli.
Sarebbe un grave errore adeguarsi al Codice e alla Circolare ISVAP con
meri adempimenti formali, non raggiungendo la finalità della Direttiva: la
riqualificazione del rapporto con i consumatori attraverso la formazione e la
verifica costante della qualità professionale degli intermediari e di tutti i
collaboratori delle reti distributive.
Per le imprese e per gli intermediari questa è una grande opportunità. Certificare
le competenze significa non solo adeguarsi alle disposizioni dell’Autorità di
controllo ma anche rendere consapevoli i clienti della qualità professionale della
propria offerta.
Le imprese e gli intermediari possono gestire lo sforzo formativo richiesto
ottenendo il vantaggio di qualificare le reti realmente e in modo riconoscibile dai
clienti.
Per realizzare questo obiettivo è necessario definire standard professionali
riconosciuti e condivisi dai protagonisti del mercato:
9 le competenze necessarie ai diversi livelli e per i diversi profili
dell’intermediazione assicurativa;
9 i contenuti e i programmi di formazione che permettono di conseguire tali
competenze;
9 i percorsi di formazione continua e le modalità di aggiornamento;
9 le modalità e i criteri che permettono di verificare le competenze acquisite
e di certificarle pubblicamente.
2
6.6
Italia: regolamento ISVAP n.5/2006, quadro generale
L’anno 2006 è stato per il settore dell’intermediazione assicurativa un
importante periodo di transizione in quanto, in attuazione della Direttiva
2002/92/CE del 9 dicembre 2002 sull’intermediazione assicurativa, si è istituito, a
partire dal 1° gennaio 2007 il Registro Unico Elettronico degli intermediari di
assicurazione e di riassicurazione.
L’Autorità competente, ISVAP, è stata pertanto impegnata, oltre che dalla
ordinaria attività di tenuta degli albi, le cui norme hanno avuto vigenza fino a tutto
il 2006, e di gestione delle notifiche trasmesse da parte di Autorità di vigilanza di
altri Stati membri dell’UE relative agli intermediari che intendono operare nel
territorio della Repubblica italiana, anche da quella straordinaria di emanazione
della normativa secondaria d’attuazione del codice, nonché di realizzazione dei
sistemi informatici per la gestione e la tenuta del nuovo Registro Unico
Elettronico.
Il 24 ottobre 2006 è entrato in vigore il regolamento ISVAP n. 5/2006
concernente la disciplina dell’attività di intermediazione assicurativa e
riassicurativa in attuazione del codice delle assicurazioni private, con conseguente
istituzione, a partire dal 1° febbraio 2007, del registro degli intermediari
assicurativi e riassicurativi. Gli interessati all’iscrizione e al trasferimento dagli
albi al registro intermediari hanno potuto beneficiare, in funzione di un
provvedimento legislativo, di una proroga del termine originariamente fissato al
31/12/2006 dalle norme transitorie del regolamento ISVAP n. 5/2006 al 28
febbraio 2007.
L’impatto organizzativo delle nuove norme per l’ISVAP è risultato
notevole con riferimento a tre principali aspetti:
9 implementazione del nuovo Registro unico elettronico e dell’elenco
annesso relativo agli intermediari dell’Unione Europea operanti in via
transfrontaliera nel territorio della Repubblica italiana;
9 istruttoria delle domande di iscrizione nel RUI ai sensi delle disposizioni
transitorie del regolamento n.5;
2
9 gestione e inserimento nell’elenco annesso delle notifiche, effettuate ai
sensi dell’art. 116 del Codice delle assicurazioni, dalle Autorità di
vigilanza degli altri Stati membri, relative all’intenzione di oltre 5.000
intermediari di operare nel territorio della Repubblica italiana in regime di
stabilimento o in libertà di prestazione di servizi.
Alla data del 28 maggio 2007 risultano iscritti circa 180.000 soggetti (sia
persone fisiche sia società) nelle cinque sezioni del Registro e 5.456 nell’elenco
annesso.
L’ISVAP inoltre assicura l’aggiornamento dei dati contenuti nel Registro sulla
base delle comunicazioni inviate dalle imprese e dagli intermediari, nonchè delle
risultanze dei controlli e delle verifiche effettuate. Assicura altresì il pubblico
accesso al registro e ne garantisce la consultazione sul proprio sito internet.
La struttura della Circolare è particolarmente complessa, e copre tutti i
campi dell’intermediazione assicurativa, dall’accesso all’attività, all’aspetto
sanzionatorio.
La parte II della circolare disciplina l’accesso all’attività di intermediazione, ed al
capo I si occupa della disciplina del registro, e delle iscrizioni di persone fisiche e
società al RUI. E’ interessante osservare come a differenti sezioni del registro
(corrispondenti a diversi tipi di intermediario) vengano assegnati diversi tipi di
requisiti per l’accesso. In particolare per quel che riguarda broker ed agenti è
provista una prova di idoneità davanti ad una commissione esaminatrice.
Comune alle sezioni A,B,E del registro è una delle caratteristiche presenti nella
Direttiva, la richiesta appunto di una polizza sulla responsabilità civile
professionale per gli operatori del settore dell’intermediazione.
La parte III della circolare è dedicata all’esercizio dell’attività di
intermediazione.
In particolare è da valutare con attenzione la sezione relativa alla informativa
minima da fornire ai clienti nel momento della trattativa e della conclusione del
contratto. Insieme alla circolare, ISVAP ha pubblicato due allegati (allegato 7A ed
2
allegato 7B) nei quali, come richiesto dalla Direttiva, si possono conoscere le
informazioni relative all’intermediario con il quale si sta trattando, a tutela del
consumatore.
La pubblicazione della circolare ISVAP ha rappresentato un importante
momento di rottura per gli addetti ai lavori, vuoi per i cambiamenti repentini che
essa ha apportato all’intermediazione assicurativa, vuoi per i costi di
adeguamento, vuoi per la non sempre facile interpretazione del regolamento.
ISVAP in proposito ha pubblicato, il 20 giugno 2007, una serie di FAQ
(frequently asked question) per facilitare l’interpretazione del regolamento.
Segue un estratto, dal quale si evince la volontà dell’autority di semplificare la
comprensione di determinati punti critici, in particolare in materia di informativa
precontrattuale, ed intermediari comunitari.
Art. 49 - Informativa precontrattuale
Quale deve essere il contenuto della dichiarazione prevista dall’art. 49, comma
3, del Regolamento?
L’art. 49, comma 3, del Regolamento ISVAP n. 5/2006, pone a carico
degli intermediari che entrano in contatto con i contraenti l’obbligo di predisporre
una dichiarazione, da far sottoscrivere al contraente stesso, volta ad attestare
l’avvenuta consegna a quest’ultimo della documentazione prevista dal medesimo
articolo (in particolare: il documento sul riepilogo dei principali obblighi di
comportamento, conforme al modello di cui all’allegato 7A, il documento sui dati
essenziali degli intermediari e della loro attività, conforme al modello di cui
all’allegato 7B e la documentazione contrattuale e precontrattuale).
La disposizione impone altresì agli intermediari di conservare la documentazione
atta a comprovare l’adempimento dei predetti obblighi di consegna, quale copia
della suddetta dichiarazione ovvero copia dei documenti consegnati, firmati dal
contraente.
Tale ultima previsione, che ha l’obiettivo di garantire l’effettività della consegna
della documentazione concernente l’informativa e di quella contrattuale, nonché
di rendere
possibile l’effettuazione di verifiche sull’avvenuta consegna, può
2
consentire anche all’intermediario di prevenire contestazioni sull’adempimento di
detti obblighi.
L’obiettivo di prevenire eventuali contestazioni, tuttavia, non può essere
conseguito attraverso la predisposizione di dichiarazioni non conformi alle citate
disposizioni regolamentari.
In particolare, non si ritengono in linea con le norme del Regolamento
dichiarazioni, da far sottoscrivere al contraente, il cui contenuto non sia limitato
alla semplice attestazione di avvenuta ricezione della documentazione prevista dal
citato art. 49, ma consista in affermazioni specifiche rese dal contraente con le
quali quest’ultimo dichiara di aver avuto conoscenza di una serie di informazioni
che, in base alla normativa, l’intermediario è tenuto a fornirgli e attesta, anche con
l’espressione di giudizi, l’osservanza da parte dell’intermediario di alcuni obblighi
di correttezza ai quali lo stesso è del pari tenuto, con particolare riferimento a
quelli relativi alla valutazione di adeguatezza del contratto offerto.
In tal modo, in contrasto con lo scopo delle summenzionate disposizioni, si
verrebbe infatti a ribaltare sul contraente una responsabilità che le norme pongono
in capo all’intermediario, quale soggetto a cui è richiesto di svolgere l’attività di
intermediazione con professionalità.
Iscrizione nel registro di collaboratori di intermediari comunitari
Se gli intermediari aventi residenza o sede legale in altri Stati Membri iscritti
nell’elenco annesso al registro intendono operare in Italia avvalendosi, per
l’attività fuori sede, di collaboratori italiani, questi ultimi devono essere iscritti
nella sezione E del registro?
Ai sensi dell’art. 109, comma 2, lett. e), del Codice delle Assicurazioni e dell’art.
4 del Regolamento ISVAP n. 5/2006, sono da iscrivere nella sezione E del
registro gli addetti all’attività di intermediazione al di fuori dei locali degli
intermediari, iscritti nelle sezioni A, B o D.
In base al tenore letterale delle menzionate disposizioni, sembrerebbe che gli
intermediari di cui alla sezione E possano operare solo per soggetti iscritti nel
registro e, dunque, solo per intermediari con residenza o sede legale in Italia.
Conseguentemente, gli intermediari UE, abilitati ad operare in Italia a seguito del
2
regime di notifiche previsto dall’art. 116, comma 2, del Codice delle
Assicurazioni e dall’art. 33 del Regolamento ISVAP n. 5/2006, potrebbero
avvalersi, per l’operatività fuori sede sul territorio italiano, esclusivamente di
collaboratori appartenenti allo Stato membro d’origine.
Tuttavia, al fine di non frapporre ostacoli al regime di libera circolazione degli
intermediari previsto dalla Direttiva 2002/92/CE e di evitare disparità di
trattamento rispetto ad intermediari italiani ai quali, sulla base della normativa di
altri Stati membri, potrebbe essere consentito di operare in detti Stati attraverso
collaboratori ivi iscritti e residenti, è possibile ritenere che all’intermediario
comunitario abilitato ad operare in Italia attraverso il sistema di notifiche sia
consentito di avvalersi per l’attività fuori sede di collaboratori con residenza o
sede legale in Italia, i quali, in quanto tali, dovranno essere iscritti alla sezione E
del registro e saranno pertanto tenuti all’integrale rispetto della normativa italiana.
Tale possibilità trova fondamento nella considerazione che la formulazione
dell’art. 109, comma 2, lett. e) del Codice delle assicurazioni (che riconduce
letteralmente l’iscrizione nella sezione E ai soli collaboratori degli iscritti nelle
sezioni A, B o D) è legata alla circostanza che tale norma disciplina la struttura
del registro italiano e dunque degli intermediari aventi residenza o sede legale in
Italia.
Non potendosi, per le motivazioni succitate, precludere agli intermediari
comunitari di avvalersi di collaboratori italiani, è da riconoscere in capo ai primi ai fini della sussistenza della legittimazione a richiedere l’iscrizione dei
collaboratori italiani - una posizione sostanzialmente equivalente a quella degli
iscritti nelle sezioni A, B e D.
L’obbligo di iscrizione dei collaboratori italiani nella sezione E, anche se in
qualità di collaboratori di un intermediario UE, continua a trovare fondamento
nell’art. 108, comma 1 del Codice, che riserva l’esercizio dell’attività di
intermediazione assicurativa in Italia da parte di soggetti residenti in Italia ai soli
iscritti nel registro.
In considerazione di quanto sopra, l’operatività degli intermediari comunitari
attraverso collaboratori italiani potrà pertanto avvenire alle seguenti condizioni:
2
9 l’intermediario comunitario che intende stabilirsi in Italia ed avvalersi di
collaboratori italiani, fermo restando che lo stesso può in ogni caso operare
decorsi 30 giorni dalla notifica (art. 116, comma 2 del Codice delle
Assicurazioni), deve presentare domanda di iscrizione nella sezione E del
registro per i collaboratori italiani, con conseguente attesa del termine per
il completamento dell’istruttoria; a tal fine possono essere utilizzati gli
schemi di domanda allegati al Regolamento opportunamente modificati
nella parte relativa ai dati dell’intermediario richiedente;
9 l’intermediario deve attestare, nella domanda di iscrizione, che l’attività
del collaboratore è coperta dalla polizza di r.c. professionale o da analoga
forma di garanzia ai sensi dell’art. 4, par. 3 della Direttiva 2002/92/CE;
9 l’intermediario comunitario dovrà assumersi, con atto adeguatamente
formalizzato e conservato, la piena responsabilità dell’attività posta in
essere dal collaboratore, analogamente a quanto previsto dall’art. 119,
comma 3 del Codice per gli intermediari italiani iscritti nelle sezioni A, B
e D;
9 i collaboratori dovranno, al pari di tutti gli iscritti in E, rispettare le
condizioni di iscrizione, di esercizio e le regole di comportamento previste
dal Codice e dal Regolamento;
9 in caso di esito positivo dell’istruttoria, nella sezione E del registro verrà
data evidenza del rapporto intercorrente con l’intermediario comunitario a
fini di trasparenza nei confronti del consumatore.
2
2
Nonostante la volontà chiarificatoria da parte dell’ISVAP, manifestata
nella pubblicazione della lunga serie di frequently asked questions, e la decisione
di slittare la deadline per gli adempimenti richiesti dal 1 gennaio 2007, al 28
febbraio, vi è stato un forte ostracismo in Italia da parte dell’industria assicurativa.
Le parti interessate hanno presentato ricorsi al TAR del Lazio contro l’entrata in
vigore del Regolamento ISVAP, e soprattutto per ottenerne il suo annullamento.
Ricorsi separati sono stati effettuati dall’Ania e dalle imprese assicuratrici, dai
broker, e dagli agenti.
In particolare viene contestata all’ISVAP, probabilmente a ragione ma il TAR ha
respinto i ricorsi, la mancata osservanza degli obblighi di consultazione, e la
prescrizione di termini troppo ristretti.
Riguardo questo argomento ISVAP ha in realtà operato tenendo conto anche dei
pareri giunti all’organo successivamente al termine, senza contare che il tribunale
giudicante dei ricorsi ha visto di “buon occhio” la fretta regolamentativa
dell’autority,
in
luce
anche
del
preoccupante
ritardo
manifestato
nell’implementazione della direttiva 2002/92/CE.
Un altro punto di contestazione è stato sicuramente quello relativo alla
mancata pubblicazione da parte di ISVAP di un adeguato studio sull’impatto,
soprattutto in luce di metodi che permettono valutazioni abbastanza veritiere ex
ante. Effettivamente, a tutt’oggi, non è stato messo a disposizione nessuno studio
ufficiale relativamente all’impatto quantitativo della regolamentazione.
Un
elemento
sicuramente
controverso
all’interno
dei
ricorsi
al
Regolamento ISVAP è quello dell’impossibilità, per gli intermediari, di iscriversi
a più sezioni del registro, doglianza alla quale attualmente è stata data risposta
negativa ma che probabilmente susciterà ulteriori discussioni in futuro.
2
6.7
Regolamento ISVAP n.5/2007: tutela dell’assicurato nei
casi di
144
insolvenza dell’intermediario .
L’art.4 della Direttiva n. 92/2002 sollecita i legislatori nazionali a recepire
importanti modifiche in un momento topico dell’attività assicurativa e
intermediativa: laddove l’intermediario, entra in possesso di somme di denaro
pagate dall’assicurato come premio, o a lui spettanti come risarcimento di un
sinistro.
Le sollecitazioni della Direttiva Europea riguardo la separazione patrimoniale
hanno portato, in Italia, alla progettazione all’interno del Codice delle
Assicuazioni, e alla successiva attuazione mediante il Regolamento ISVAP
n.5/2006.
L’articolo 54 del Regolamento ISVAP attinge a piene mani dall’indirizzo dettato
dalla Direttiva, i risarcimenti dovuti e i pagamenti effettuati dagli assicurati
debbono essere versati dall’intermediario su un conto separato di cui può essere
titolare l’intermediario espressamente in tale qualità; tali somme (premi e
risarcimenti e/o altri importi dalle compagnie agli assicurati) costituiscono un
patrimonio autonomo, distinto da quello “personale”. Su tale “conto separato” non
sono ammesse azioni esecutive che non siano quelle contro l’assicurato o le
Compagnie a fronte di debiti propri; allo stesso modo, non sono neppure ammesse
compensazioni, quale la fonte, volte ad intaccare la separatezza degli specifici
movimenti contabili qui presi in esame.
La ratio della norma dettata dal legislatore è quella di fornire maggiori
garanzie all’assicurato adottando tutte le misure necessarie contro l’incapacità
finanziaria dell’intermediario assicurativo che incidesse sul trasferimento dei
premi (versati dall’ assicurato) all’impresa di assicurazione e/o le somme dovute
dall’assicuratore agli aventi diritto in adempimento degli obblighi “risarcitori”.
144
Per un’analisi approfondita dell’argomento in tutte le sue sfaccettature, vedere
”L’APPLICAZIONE DELLE NUOVE REGOLE SULL’INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVA
REGOLAMENTO ISVAP N. 5/2006 – Art. 54 “SEPARAZIONE PATRIMONIALE”, Avv. Michele
Roma (Studio legale Roma Lepri & Partners)
2
Per questi motivi, con l’art. 54 del Regolamento il legislatore persegue
l’obiettivo di colmare una lacuna normativa esistente nel nostro ordinamento,
prima dell’entrata in vigore del Codice, prevedendo così una precisa
regolamentazione del rapporto tra intermediario e assicurato, nonché del rapporto
tra intermediario e impresa preponente, in caso di crisi economico-finanziaria
dell’intermediario.
L’art. 54 del Regolamento attua le disposizioni dell’art. 117 del Codice. Va
considerato, inoltre, l’Allegato n. 7B al Regolamento (“Informazioni da rendere
al contraente prima della sottoscrizione della proposta o, qualora non prevista,
del contratto, nonché in caso di modifiche di rilievo del contratto o di rinnovo che
comporti tali modifiche”) il quale specifica ulteriormente l’applicabilità della
regola della separazione nella Parte III – Informazioni sugli strumenti di tutela del
contraente sub lett. a) “ i premi pagati dal contraente agli intermediari e le somme
destinate ai risarcimenti o ai pagamenti dovuti dalle imprese, se regolati per il
tramite dell’intermediario, costituiscono patrimonio autonomo e separato”.
In entrambi i casi, il tema della separazione patrimoniale è inserito nella
parte che concerne le “Regole di comportamento” degli intermediari, quasi a
rimarcare l’ essenzialità del dovere giuridico che ne scaturisce esponendo
l’intermediario stesso, in caso di mancato rispetto, a sanzioni civili e
amministrative.
In applicazione del principio di separazione patrimoniale, sulle somme
costituenti “il patrimonio autonomo e separato” (rispetto al patrimonio personale
dell’intermediario) non sono ammesse azioni, sequestri o pignoramenti da parte di
creditori diversi dagli assicurati e dalle imprese di assicurazione. Su tali somme,
inoltre, non operano le compensazioni legali e giudiziali e non può essere pattuita
la compensazione convenzionale rispetto ai crediti vantati dall’istituto (bancario o
postale) nei confronti dell’intermediario. Ne scaturisce, a ben vedere, una
intangibilità “globale”, di tipo anche contabile e non solo esecutiva. La ratio
della disciplina
è quella di sottrarre tali somme, nell’interesse
dell’assicurato, ad eventuali azioni esperite da soggetti terzi ed estranei al
rapporto assicurativo, ancorché creditori dell’ intermediario, poiché sono
ammesse, come anticipato, le sole azioni da parte dei creditori degli assicurati e
2
delle imprese di assicurazione, nei limiti della somma rispettivamente spettante al
singolo assicurato o alla singola impresa di assicurazione.
Tale peculiare conseguenza giuridica identifica, appunto, un’applicazione
delle regole in tema di separazione patrimoniale ad una fattispecie considerata
“meritevole” di tutela dal legislatore: trattasi quindi di una deroga alla regola
generale prevista dall’art.2740 cc.
I risultati pratici sono rilevantissimi perché anche prima della modifica introdotta
dall’ art. 117 del Codice, come attuata dall’ art. 54 del Regolamento, il rapporto
trilatero tra Compagnia, Intermediario, Assicurato poggiava, di regola, su di un
conto corrente, ma in assenza del vincolo di destinazione, detto conto, anche se
intestato all’intermediario nella sua qualità, rendeva problematici gli interventi di
tutela ad opera della Compagnia o dello stesso assicurato, dovendo questi, in sede
esecutiva, far valere i propri diritti sulle somme attraverso l’ opposizione di terzo
(cfr. art. 619 cpc) e con tutte le difficoltà probatorie connesse all’ accertamento
giudiziale.
Rispetto all’impianto precedente, quindi, la separazione dei patrimoni
risulta essere un importante passo avanti nella tutela dell’assicurato.
A livello operativo-pratico la separazione stessa non sembra essere un
elemento di facilissima realizzazione per l’intermediario.
L’intermediario appena inizia l’attività di intermediazione ha l’obbligo di aprire
presso un istituto bancario un conto corrente intestato a se stesso “nella qualità di
intermediario” all’interno del quale verserà tutti i premi incassati, e che rimetterà
periodicamente tramite bonifico all’assicuratore.
Il primo punto da affrontare è quello del versamento: sebbene i pagamenti da
parte degli assicurati, ex Regolamento 5/2006 dell’ISVAP, debbano essere
effettuati mediante assegno (o moneta elettronica), vi sono delle deroge per l’RCA
e per il ramo danni, e quindi pagamenti in contanti. Ciò, in pratica, potrebbe
minare almeno marginalmente l’efficacia della legislazione in tutela degli
assicurati.
Un altro punto dolente della disciplina è che la complessità delle operazioni
bancarie stesse non sono state prese in considerazione. I conti correnti separati
infatti sottostanno, salvo episodi di convenzioni stipulate tra banche e compagnie
2
assicurative, alle comuni regole correntistiche. Ciò implica l’addebito dei costi di
tenuta, delle operazioni (bonifici, versamenti), e delle tasse governative,
direttamente sul conto corrente protetto, inficiando anche in questo caso, ma per
importi normalmente ridotti, la regola generale prevista dall’impianto legislativo.
Ulteriore complicazione proviene dall’eventuale necessità di affidamenti,
indispensabili per coprire eventuali scoperti di valuta, pagamenti insoluti, andando
a causare costosi sconfinamenti gravanti sui premi versati dall’intermediario.
Infine, la disciplina non è chiara per quel che riguarda gli agenti
plurimandatari, coloro i quali, perciò, hanno a che fare con più assicuratori. La
locuzione presente nel secondo comma dell’ art. 54 per cui “…Gli intermediari
che operano per più imprese adottano procedure idonee a garantire, anche in
sede di procedimenti esecutivi…..” pone diverse questioni. Ad un’analisi della
legge sembrerebbe implicito che l’intermediario debba aprire un conto corrente
separato per ogni assicuratore per conto del quale effettua pagamenti.
Queste osservazioni pratiche aiutano ad asserire che, sebbene il linea di
principio vi siano stati degli importanti cambiamenti nella gestione dei capitali
movimentati dall’intermediazione, la piena realizzazione della tutela del
consumatore deve essere ulteriormente perfezionata mediante interventi specifici.
Si può comunque asserire che la costituzione di un conto separato da quello
dell’intermediario per il transito dei soli premi e delle sole somme destinate al
risarcimento produce il cd. “effetto segregazione”, salvaguardando gli importi
versati da eventuali azioni esecutive dirette verso l’intermediario.
Di conseguenza, gli importi versati sul conto separato non potranno essere
pignorabili o sequestrabili da parte di creditori diversi dagli assicurati e dalle
imprese di assicurazione.
La violazione dell’obbligo di separazione patrimoniale da parte degli
intermediari, ossia l’inadempimento all’obbligo di versare in un conto separato “i
soli premi e le sole somme destinate al risarcimento”, legittima l’applicazione di
una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso fra i mille ed i
diecimila euro (art. 324 Codice); tale importo è duplicabile nei casi più gravi o in
ipotesi di ripetizione dell’illecito. Alle sanzioni amministrative pecuniarie sono
2
cumulabili le sanzioni disciplinari come disposto dagli artt. 329 del Codice e 62
del Regolamento.
L’art. 325 del Codice delle Assicurazioni individua quali destinatarie della attività
sanzionatoria le imprese e gli intermediari responsabili della violazione in piena
coerenza con la regola generale di solidarietà del debito fissata dall’art. 6 L. n.
689/1981 in tema di sanzioni amministrative pecuniarie.
2
6.8
La fase delle trattative contrattuali: obblighi e responsabilità di
intermediari ed assicuratori.
Nei paragrafi precedenti si è sottolineato quanto l’impulso della Direttiva
2002/92/CE sia stato importante nell’indirizzare i legislatori nazionali al
perseguimento dell’insieme degli obiettivi in essa contenuti. L’intermediazione
assicurativa è un tassello di tale importanza all’interno dell’intero mercato
assicurativo, da rendere necessari approfonditi interventi legislativi, come è
avvenuto in Italia.
Il principio di fondo che muove l’intera legislazione di ultima generazione è
quello di incrementare in maniera sostanziale la trasparenza nell’attività di
intermediazione a tutela, come si è detto, del consumatore.
Una fase importantissima dell’attività di intermediazione è sicuramente quella
precontrattuale, durante la quale è necessaria la massima trasparenza,
ponderazione, informazione. La regola generale in materia di responsabilità
precontrattuale è quella dettata dall’art.1337 del Codice Civile, che detta
l’obbligo di comportamento secondo buona fede durante le trattative. Nell’ambito
dell’intermediazione assicurativa, però, è stato necessario approfondire questo
concetto con una legislazione ad hoc. A ciò provvede il Codice delle
Assicurazioni, il Regolamento ISVAP 5/2006, la Circolare ISVAP 1° marzo 2005
n. 551/D (recante “Disposizioni in materia di regole di trasparenza delle polizze
di assicurazione sulla vita”) per quel che riguarda il ramo vita, e la Circolare
ISVAP 2 giugno 1997 n.303 per i soli contratti di assicurazione danni.
Gli obblighi precontrattuali previsti da questo blocco normativo possono essere
distinti, sia pur non senza interferenze e sovrapposizioni, in cinque grandi
categorie:
9 obbligo di correttezza;
L’obbligo di correttezza è posto dall’art. 183, comma 1, lettera (a), cod.
ass. a carico sia delle imprese che degli intermediari. Tale obbligo si
esplica pertanto nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto
obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi
2
dell'altra, anche a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi
contrattuali o legali145. L’obbligo di comportarsi correttamente nelle
trattative precontrattuali si sostanzia dunque per l’assicuratore (o gli
intermediari) nel dovere di attivarsi, sino ai limiti di un apprezzabile
sacrificio, per evitare che il contratto riesca inutile o dannoso per la
controparte.
Inteso in questi termini, il principio di correttezza appare necessariamente
intrecciato con l’obbligo di acquisire dall’assicurando le informazioni
necessarie a valutare quale sia il tipo di “prodotto assicurativo” a lui più
confacente (artt. 120, comma 3, e 183, comma 1, lettera (b), e comma 2,
cod. ass.; cfr. infra).
In pratica, l’intermediario, per rispettare questo obbligo deve comportarsi
in maniera pedissequa a quello che il suo dna stesso di professionista gli
prescrive. Assumendo le informazioni sulle esigenze del cliente, le
coperture
desiderate,
per
fornirgli
un
prodotto
adeguato.
Contemporaneamente nella presentazione del prodotto non deve sottacere
eventuali caratteristiche che potrebbero rendere il prodotto inadeguato e
svantaggioso. Essenzialmente, in un’ottica di “servizio al cliente” e non di
“vendita” il comportamento secondo correttezza è da sempre elemento
fondamentale del lavoro di intermediario assicurativo.
9 obbligo di diligenza;
L’art. 183, comma 1, lettera (a) cod. ass. pone altresì a carico di imprese
ed intermediari l’obbligo di diligenza. La norma reitera un principio già
imposto dall’art. 1176 c.c.. L’assicuratore e l’intermediario potranno
essere ritenuti in colpa se la loro condotta sarà stata negligente, e la loro
condotta sarà stata negligente se difforme dal comportamento che avrebbe
tenuto nella stessa situazione un ideale assicuratore (o intermediario)
“medio”, cioè zelante e rispettoso delle norme (si tenga peraltro presente
che, nei giudizi aventi ad oggetto l’accertamento dell’inadempimento la
145
Cass. civ., sez. I, 05-11-1999, n. 12310, in Società, 2000, 303, con nota di FUSI, nonché
in Dir. e pratica società, 2000, fasc. 1, 59, con nota di NISIVOCCIA.
2
colpa si presume ai sensi dell’art. 1218 c.c., ed è onere del convenuto
dimostrare che inadempimento non vi è stato, ovvero che esso non è
dipeso da propria colpa146). Analizzando quindi questo punto è valido il
discorso
fatto
in
precedenza
riguardo
l’obbligo
di
correttezza:
l’intermediario può liberarsi da qualunque colpa dimostrando di aver
operato in maniera “perfetta”, vale a dire pienamente rispettosa dei canoni
professionali.
9 obbligo di trasparenza;
L’obbligo di trasparenza è imposto ad imprese ed intermediari dall’art.
183, comma 1, lettera (a), cod. ass.. Secondo la dottrina per “trasparenza”
deve intendersi l’obbligo, da osservare nella fase delle trattative, della
formazione e della redazione del contratto, di predisporre clausole
contrattuali intelligibili e chiare, sulla base delle quali possano
compiere le proprie scelte negoziali parti pariteticamente informate.147
In questo senso, trasparenza diventa sinonimo di “conoscibilità”.
Pertanto dire che l’assicuratore o l’intermediario debbono comportarsi con
trasparenza equivale a dire che debbono comportarsi in modo da garantire
la conoscibilità sia della propria posizione personale rispetto al mercato
assicurativo, sia di tutte le caratteristiche dell’affare che propone di
concludere: in questo senso, l’obbligo di trasparenza si intreccia con
l’obbligo di informazione.
In materia diventano quindi essenziali le
informazioni fornite dall’intermediario mediante l’Allegato 7B al
Regolamento, e il contratto di assicurazione in ogni sua parte.
Corollario dell’obbligo di trasparenza è quello di esprimersi, oralmente o
per iscritto, in modo chiaro: tale obbligo è ora imposto dall’art. 166 cod.
ass., alla stregua del quale tutti i documenti consegnati all’assicurando
vanno redatti in modo “chiaro ed esauriente”.
146
Cass., sez. un., 30-10-2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, 769.
Gli esempi in tal senso possono essere numerosissimi: si pensi alle norme in tema di
trattamento dei dati personali, in tema di trasparenza del bilancio, in tema di trasparenza delle
operazioni infragruppo, ecc.; si veda anche l’art. 21 d. lgs. 24.2.1998 n. 58 (TUIF).
147
2
La norma ovviamente non dice quando un documento possa ritenersi
“chiaro”; l’art. 3 della Circolare Isvap 551/D (che, come ricordato, si
applica solo all’assicurazione sulla vita), detta al riguardo un criterio
teleologico di valutazione: il documento predisposto dall’assicuratore deve
essere tale da consentire al contraente di comprendere il contenuto del
contratto. Purtroppo però non esiste un solo “tipo sociale” di contraente,
sicché quel che può apparire lampante all’uno, potrebbe essere oscuro ad
un altro. Per questo motivo è sufficiente che il testo predisposto
dall’assicuratore sia comprensibile all’uomo medio. Ove, poi, il contraente
fosse persona dalle capacità di orientamento e comprensione inferiori alla
media, soccorrerà il disposto degli artt. 1175 c.c. e 183 cod. ass., in virtù
del quali l’intermediario sarà tenuto ad integrare i documenti forniti e ad
illustrarli in modo conveniente ed adeguato al livello dell’interlocutore.
In questo senso vi è ancora molto lavoro da svolgere da parte del
legislatore: è sufficiente un’analisi generica delle note informative di
molti prodotti assicurativi per rendersi conto di quale grado di difficoltà
essi presentino nella maggior parte dei casi. Non essendovi in Italia una
grande cultura assicurativa, l’obbligo di trasparenza è compito assai
difficile da rispettare per l’intermediario, nei confronti dell’assicurando
medio che normalmente ignora i concetti base dell’assicurazione. Ad
esempio, per permettere al consumatore di conoscere appieno le
caratteristiche di una polizza relativa al property, sarebbe necessaria una
presentazione assai complessa. Concetti come “valore intero” e “primo
rischio assoluto”, “massimale annuo”, “regola proporzionale”, ecc., non
appartengono alla cultura media del consumatore italiano. Fino a che
punto
si
spinge
l’obbligo
di
trasparenza
dell’intermediario
e
dell’assicuratore in un paese dove la cultura assicurativa è relativamente
bassa? Tali concetti vengono approfonditi nell’ambito dell’obbligo di
informazioni.
9 obbligo di informazione;
2
L’obbligo di informazione è sicuramente il più rilevante tra quelli
precontrattuali gravanti sull’assicuratore e sugli intermediari, ai quali è
imposto dall’art. 183, comma 1, lettera (b), cod. ass.. Per i soli
intermediari, esso è ribadito dall’art. 120 cod. ass.. Norme specifiche per
l’adempimento di tale obbligo sono dettate dalla Circolare Isvap 303 del
1997 per l’assicurazione danni, e dalla Circolare Isvap 551/D del 2005 per
l’assicurazione sulla vita.
Soggetto passivo dell’obbligo di informazione è tanto l’impresa quanto
l’intermediario. Trattandosi di un obbligo disgiuntivo, l’adempimento
dell’uno non esonera l’altro dall’osservanza. Tuttavia è ovvio che
l’assicurato il quale sia stato debitamente informato dall’impresa non potrà
certo dolersi della condotta renitente dell’intermediario, e viceversa.
L’obbligo di informazione precontrattuale assume di fatto contenuto
diverso per l’assicuratore e per l’intermediario: il primo infatti non ha di
norma contatto diretto con l’assicurando, e quindi il suo principale obbligo
è quello di predisporre documenti chiari ed intelligibili. Gli intermediari
invece, rappresentando l’ “interfaccia” con l’assicurando, dovranno
modulare forma e contenuto delle informazioni rispetto alle caratteristiche
intellettive del cliente che hanno dinanzi.
Soggetto attivo del diritto di essere informato è il contraente (art. 183,
comma 1, e 120, comma 1, cod. ass.)148.
Il contenuto dell’obbligo di informazione è regolato a due livelli: da
norme di legge e da norme regolamentari.
Le prime sono rappresentate dagli artt. 120, commi 1 e 4; 183, comma 2, e
185, commi 3 e 4, cod. ass., i quali, nel demandare all’Isvap il compito di
determinare con proprio regolamento le norme di dettaglio circa il
contenuto dell’obbligo di informazione, ne fissano il contenuto minimo, e
dettano alcuni princìpi cui i regolamenti dell’Isvap dovranno attenersi. In
particolare,
sono
previsti
contenuti
diversi
degli
obblighi
di
informazione gravanti sugli intermediari rispetto a quelli gravanti
sulle imprese.
148
ALPA, Quando il segno diventa comando: la "trasparenza" dei contratti bancari,
assicurativi e dell'intermediazione finanziaria, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2003, 2, 465
2
I primi hanno l’obbligo di fornire all’assicurando due distinti gruppi di
informazioni:
(a) informazioni sui propri rapporti con l’assicuratore preponente (art. 120,
comma 2, cod. ass.); e dunque se sia un agente o un mero procacciatore
d’affari, se sia pluri- o monomandatario, se abbia o meno il potere di
rappresentanza;
(b) informazioni sulle “caratteristiche essenziali” del contratto (art. 120,
comma 3, cod. ass.), e dunque sui costi, sul rischio assicurato, sui rischi
non compresi o esclusi.
Più dettagliato è il contenuto dell’obbligo di informazione gravante
sull’impresa. Quest’ultima infatti è tenuta a consegnare al contraente,
prima della conclusione del contratto ed unitamente alle condizioni
generali di assicurazione, una “nota informativa” contenente tutte le
informazioni necessarie “affinché il contraente e l'assicurato possano
pervenire a un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi contrattuali e, ove
opportuno, sulla situazione patrimoniale dell'impresa” (art. 183 cod. ass.).
La nota informativa dovrà contenere, in particolare, le informazioni
relative:
o alle garanzie prestate ed alle obbligazioni assunte dall'impresa;
o alle nullità, alle decadenze, alle esclusioni e alle limitazioni della
garanzia e alle rivalse;
o ai diritti e agli obblighi in corso di contratto e in caso di sinistro;
o alla legge applicabile ed ai termini di prescrizione dei diritti;
o alla procedura da seguire in caso di reclamo all'organismo o
all'autorità eventualmente competente.
L’elenco che precede, contemplato dall’art. 183, comma 3, cod. ass., non
sembra possa ritenersi tassativo. L’obbligo di informazione è infatti un
necessario corollario degli obblighi di correttezza e diligenza. Tali ultimi
obblighi hanno carattere generale (in quanto previsti dagli artt. 1175 e
1176 c.c.), e non possono essere circoscritti da un regolamento
amministrativo. Ne consegue che ove l’impresa ometta di fornire nella
nota informativa le informazioni prescritte dall’Isvap ha sicuramente
2
violato l’obbligo di informare, ma non è vero il contrario: e cioè che
l’impresa la quale abbia fornito tutte le indicazioni suddette abbia per ciò
solo correttamente adempiuto l’obbligo di informare.
Per stabilire dunque se e quando l’obbligo di informazione sia stato
correttamente adempiuto, occorre muovere dalla ratio degli artt. 120 e 185
cod. ass., che è consentire al cliente di scegliere con piena cognizione di
causa il “prodotto assicurativo” più consono ai suoi desiderata. Dunque le
informazioni da fornire all’assicurando sono tutte quelle utili e necessarie
per l’esercizio del diritto di valutazione e scelta della polizza da
sottoscrivere.
Se così è, deve concludersi che la legge impone alle imprese assicuratrici
di ottenere dall’assicurando un “consenso informato”, cioè fondato su una
previa e completa valutazione di tutte le caratteristiche del caso concreto.
Insomma, l’assicurando ha diritto di essere informato non solo su cosa
preveda il contratto, ma anche su quanto sia utile quel contratto, in
relazione alle proprie condizioni soggettive ed all’interesse che intende
assicurare.
La nota informativa va consegnata, dice l’art. 185, comma 1, cod. ass.,
prima della conclusione del contratto. Tale norma non può essere intesa in
senso meramente formale: non avrebbe infatti senso la consegna di un
ponderoso tomo di centinaia di pagine pochi istanti prima della
sottoscrizione della polizza. La nota deve quindi essere consegnata in
tempo utile perché l’assicurando possa prenderne visione e studiarla, e
quindi almeno alcuni giorni prima della sottoscrizione.
Quest’ultima previsione legislativa trova scarsa applicazione pratica
nella quotidiana attività di intermediazione. Tornando al concetto di
consumatore medio visto nell’ambito dell’obbligo di trasparenza, l’ipotesi
di realizzare un’adeguata informazione mediante la consegna preventiva
del fascicolo informativo è puramente illusoria. Sarebbe necessario, a mio
parere, che l’ISVAP prevedesse l’obbligo, in carico agli assicuratori, di
pubblicazione di schede informative riassuntive di particolare incisività e
comprensività, riportanti gli aspetti principali della polizza. Attualmente, il
2
linguaggio giuridico caratterizzante i fascicoli informativi di tutte le
compagnie assicurative, rende la comprensione inaccessibile ai più.
9 obbligo di adeguatezza.
Stabilisce l’art. 183, comma 2, cod. ass., che l’attività dell’impresa di
assicurazione deve svolgersi in modo “adeguato rispetto alle specifiche
esigenze dei singoli”; di rincalzo, l’art. 120, comma 3, cod. ass., impone
agli intermediari di proporre o consigliare prodotti “adeguati alle esigenze
del cliente”. Il quadro normativo è completato dall’art. 28 Circolare Isvap
551/D, il quale prevede l’obbligo per gli intermediari di proporre al cliente
soltanto polizze per lui effettivamente utili.
Queste norme esprimono un principio generale, che si è convenuto di
definire principio di adeguatezza, in virtù del quale sia l’intermediario che
l’impresa assicuratrice debbono attivarsi, nei limiti di un apprezzabile
sacrificio, affinché la controparte si determini ad “acquistare” solo il
prodotto assicurativo di cui ha bisogno, e non altri (c.d. suitability rule).
Così, ad es., vìola il principio di adeguatezza l’agente il quale suggerisca al
pensionato con modesto reddito, il quale intenda investire i propri
risparmi, di stipulare una polizza linked con rischio di capitale.
Questa pratica, la stipulazione cioè di contratti inadeguati alle esigenze
del cliente, è tutt’oggi tristemente diffusa. L’assicuratore in realtà tende
a considerare esaurito il proprio compito nel momento in cui richiede agli
intermediari di compilare il c.d. questionario di adeguatezza del prodotto
offerto. Tali questionari, a mio parere, sono, nella maggior parte dei casi,
estremamente superficiali. Appurate, ad esempio, le esigenze di tutela
previdenziale del cliente, è cosa ben diversa proporre la stipula di un piano
pensionistico
individuale,
o
l’adesione
ad
un
fondo
pensione.
L’impressione generale è che, sebbene l’enunciazione dei principi sia di
grande impatto emotivo, il legislatore abbia ancora molto lavoro da fare
per scoraggiare le malpratiche di compagnie assicurative ed
intermediari, che in molte occasioni tendono a massimizzare il profitto
non garantendo al consumatore il miglior prodotto possibile.
2
Il principio di adeguatezza si intreccia sia col dovere di correttezza, sia con
quello di informazione, perché occorre correttamente informare il cliente
sulle caratteristiche delle polizze per fargli scegliere quella più adeguata.
Obbligo di informazione ed obbligo di adeguatezza differiscono però sul
piano della condotta, perché quello di informare impone all’intermediario
di trasmettere informazioni, mentre quello di adeguatezza gli impone di
acquisire informazioni.
L’obbligo di offrire polizze “adeguate” pone a carico dell’intermediario un
complesso e delicato onere di intervista dall’assicurando, al fine di
acquisire le informazioni utili a comprendere quale sia il prodotto più
adeguato. Si tratta di una attività complessa, perché le informazioni da
acquisire sono molteplici; si tratta, nello stesso tempo, di una attività
delicata, in quanto può esporre l’intermediario a responsabilità nei
confronti del cliente.
In luce delle considerazioni poc’anzi effettuate, sembrerebbe che la
responsabilità per inadeguatezza possa addossarsi sull’intermediario con
maggior facilità. Sarebbe auspicabile quindi un maggior controllo riguardo
le politiche assuntive delle compagnie assicurative.
La violazione degli obblighi precontrattuali gravanti sull’assicuratore può
riverberare effetti su due versanti, amministrativo e civilistico.
Sul piano amministrativo, la violazione di uno qualsiasi dei precetti di cui
all’art. 183 cod. ass. (diligenza, correttezza, trasparenza, adeguatezza,
informazione) può comportare:
a. per l’impresa, la sospensione cautelare od il divieto definitivo di
commercializzare i prodotti assicurativi (art. 184 cod. ass.);
b. per l’intermediario, la sanzione amministrativa da 1.000 a 10.000 euro,
ovvero da 2.000 a 20.000 euro nei casi di particolare gravità o di recidiva
(art. 324 cod. ass.).
Più delicato è stabilire quali siano le conseguenze della violazione degli obblighi
precontrattuali sul piano civilistico.
La risposta a questo problema esige l’esame di due diversi profili, e cioè:
2
a. stabilire se la violazione degli obblighi sin qui esaminati, ed in particolare
di quelli d’informare, abbia natura contrattuale od aquiliana;
b. nel caso si opti per la tesi della natura aquiliana dell’illecito, stabilire quali
siano le conseguenze sul contratto (nullità, annullabilità, od altro).
Al primo quesito sembra debba rispondersi che la violazione degli obblighi di
diligenza, trasparenza, informazione, correttezza, nella fase delle trattative, da
parte dell’intermediario o dell’assicuratore costituisce un illecito aquiliano. E’
impossibile infatti concepire un “inadempimento” contrattuale prima che il
contratto sia venuto ad esistenza; né è possibile attribuire natura contrattuale ad un
obbligo (quello di correttezza o di informazione, ad esempio) che preesiste al
contratto, ed è imposto dalla legge. Pacifica, del resto, è nella giurisprudenza di
legittimità l’affermazione che la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.
abbia natura aquiliana149.
Conseguenza di quanto esposto è che la violazione dei doveri di correttezza,
trasparenza ed informazione durante le trattative, da parte dell’assicuratore, non
può mai legittimare una domanda di risoluzione del contratto per
inadempimento.
La Cassazione su questo punto è stata molto chiara, affermando che in tanto può
invocarsi la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., in quanto si dimostri,
in primis, l'esistenza di un contratto a prestazioni corrispettive; in secondo luogo,
la presenza di una condotta, da parte di uno dei contraenti, che possa qualificarsi
"inadempimento" al contratto stesso. Ne deriva che non può dichiararsi la
risoluzione di un contratto per "inadempimento" se si assume che quest’ultimo è
stato anteriore alla conclusione del contratto: infatti in tanto taluno può essere
dichiarato inadempiente agli obblighi che fanno capo a lui in virtù del
regolamento negoziale, in quanto esista un regolamento negoziale, cioè un
contratto che lo astringa a tenere una determinata condotta, il che non si verifica
durante le trattative150.
149
Ex multis, Cass. [ord.], sez. un., 19-11-2002, n. 16319, in Foro it. Rep. 2002,
Giurisdizione civile, n. 155; Cass., 11-05-1990, n. 4051, in Foro it., 1991, I, 184, con nota di
CARUSO.
150
Cass. 19.11.1994, n. 9802, in Rass. loc. cond., 1995, 65.
2
E’ ovvio che a soluzione opposta deve pervenirsi nel caso in cui l’assicuratore o
l’intermediario vengano meno agli obblighi di correttezza od informazione non
già prima della stipula del contratto, ma nel corso di esso (ad es., in occasione del
rinnovo: cfr. artt. 11-21 Circolare Isvap 551/D del 2005). In questi casi la
negligenza o l’omessa acquisizione del consenso informato costituiscono
inadempimento, il quale legittima sempre la domanda di risarcimento del danno,
ex art. 1218 c.c., e nei casi in cui sia grave la domanda di risoluzione del
contratto, ex art. 1453 c.c..
Posto dunque che la violazione degli obblighi precontrattuali costituisce un
illecito aquiliano, occorre ora esaminare quali effetti esso riverberi sul contratto,
ove questo sia comunque concluso.
Per dare soluzione a questo problema, è necessario distinguere due ipotesi, a
seconda che il consenso dell’assicurato si sia formato in modo integro o viziato.
Non sempre, infatti, la violazione degli obblighi precontrattuali da parte
dell’assicuratore o dell’intermediario incide sulla formazione della volontà
contrattuale della controparte. Si pensi alle ipotesi in cui l’informativa
precontrattuale venga fornita in modo esaustivo e chiaro, ma non per iscritto;
ovvero al caso in cui la nota informativa sia consegnata diverso tempo dopo la
conclusione del contratto, ma il contraente sia stato comunque debitamente
informato sui contenuti di questo. In queste ipotesi si ha un deficit solo formale di
informazione.
In questi casi, la condotta dell’assicuratore o dell’intermediario non può
riverberare effetti sul contratto. Quel che rileva a fini sostanziali, infatti, è che
l’assicurando sia informato, non certo il modo in cui lo sia. Può dunque affermarsi
che la violazione dei doveri precontrattuali non produce effetto alcuno sul piano
civilistico, quando il contratto che l’assicurando avrebbe altrimenti concluso, se
fosse stato correttamente informato o comunque se l’assicuratore si fosse
comportato con correttezza, diligenza e trasparenza, non sarebbe stato in alcun
modo diverso da quello effettivamente stipulato.
2
Diversa è l’ipotesi in cui la violazione dei doveri precontrattuali si traduca in un
deficit sostanziale di informazione, o comunque induca l’assicurando a stipulare
un contratto che avrebbe altrimenti rifiutato, ovvero un contratto diverso da quello
cui avrebbe altrimenti aderito.
In tutti gli altri contratti (quelli cioè stipulati con qualsiasi modalità da non
consumatori, ovvero quelli stipulati da consumatori ma attraverso canali
“tradizionali") deve escludersi che l’assicurato possa invocare la nullità del
contratto per omessa informazione precontrattuale. Le cause di nullità sono infatti
tassative, e nessuna norma - ad eccezione dell’art. 16 d. lg. 190/05, cit. - consente
di includere tra esse l’ipotesi del deficit di informazione dell’assicurato. Né
certamente può dirsi che il contratto stipulato in violazione dell’obbligo di
informare abbia causa od oggetto illeciti151. Omettere una adeguata informazione
alla controparte non snatura la causa del contratto, che resta lecita, né rende
illecito l’oggetto del negozio. Aggiungasi che appare arduo sostenere che le
norme di condotta imposte agli intermediari assicurativi costituiscano “norme
imperative” ai sensi dell’art. 1418 c.c.. Le “norme imperative” la cui violazione
produce la nullità del contratto sono le norme violate dal contratto in sé, non dalla
condotta tenuta dalle parti durante le trattative. Diversamente argomentando,
infatti, si perverrebbe all’assurdo di ritenere nullo il contratto di vendita quando il
venditore abbia sottaciuto all’acquirente i vizi della cosa, abrogando
implicitamente l’art. 1490 c.c..
Di nullità del contratto potrebbe forse parlarsi nella sola ipotesi in cui l’omessa
informazione, oppure l’erronea informazione, siano state di tale gravità da avere
scusabilmente lasciato intendere all’assicurando che stava per concludere un
contratto del tutto diverso da quello effettivamente concluso. In questo caso, però,
il contrario sarebbe nullo non già per contrarietà alla legge, ma per mancanza del
consenso. Si potrebbe parlare quasi di “assicurazione di aliud pro alio”.
L’assicurato potrà invece invocare, nella ricorrenza dei presupposti di legge:
(a) l’annullamento del contratto per errore (art. 1429 c.c.);
(b) l’annullamento del contratto per dolo (art. 1439 c.c.), ovvero la reductio ad
aequitatem dello stesso, nel caso di dolo incidente (art. 1440 c.c.).
151
Così Trib. Roma 25 maggio 2005, in Contratti, 2005, 796, con riferimento ad una ipotesi
di omessa informazione del risparmiatore da parte dell’intermediario finanziario.
2
La prima ipotesi può ricorrere allorché la reticenza (colposa) dell’assicuratore o
dell’intermediario abbia indotto in errore scusabile l’assicurando, facendogli
ritenere che il programma contrattuale fosse diverso da quello effettivo. In questo
caso, perché l’errore dell’assicurato possa condurre all’annullamento del
contratto, è necessario che esso sia riconoscibile dalla controparte, ed essenziale:
che verta, cioè, su alcuno degli elementi di cui all’art. 1429 c.c..
Sarà, così, annullabile per errore il contratto di assicurazione sulla vita a contenuto
finanziario, se l’assicuratore sapeva che l’assicurato aveva erroneamente creduto
che il rendimento garantito come annuale fosse in realtà mensile.
In tema di annullamento del contratto per errore, nel caso di omissione delle
prescritte informazioni all’assicurando, si pone quando l’assicurato abbia
sottoscritto il contratto (o la proposta) recante tutte le indicazioni sufficienti e
necessarie, ma in una veste grafica diversa da quella imposta dalla legge (ad
esempio, nella quale non siano state debitamente evidenziate per colore e
dimensione del carattere le clausole previste dall’art. 166 cod. ass.). A me pare
che se l’informazione è stata fornita, è completa ed è chiara, vanamente si
pretenderebbe l’annullamento del contratto per errore, sol perché non sono state
rispettate le disposizioni regolamentari sull’ “evidenza” da dare ad alcune
clausole. Colui il quale sottoscrive un testo contrattuale lascia presupporre per ciò
solo di averlo letto, e se non l’ha fatto imputet sibi. Mi sembra, insomma, eversivo
di alcuni princìpi basilari del diritto civile sostenere che la firma di un atto non
vale niente, se il contenuto dell’atto non sia stato scritto con particolari caratteri
tipografici. Se così fosse, dovrebbe concludersi che per la validità del contratto o
di alcune clausole di esso non basta il consenso validamente manifestato, ma è
necessario un ulteriore requisito formale.
Se invece l’omissione, l’incompletezza o l’erroneità delle informazioni fornite
dall’assicuratore nella fase precontrattuale non siano colpose, ma volute,
troveranno applicazione non già le norme sull’errore, ma quelle sul dolo (art. 1439
e ss. c.c.). Si verte, in questo caso, nell’ipotesi di dolosa induzione a contrarre, che
2
è anch’essa causa di annullamento del contratto, se il dolo è stato determinante del
consenso.
Il dolo è causa di annullamento del contratto sia quando provenga
dall’assicuratore (ad es., nel caso di capziosa redazione della nota informativa),
sia quando provengano dall’intermediario: in quest’ultimo caso, però, è necessario
che l’assicuratore ne fosse a conoscenza, ovvero che l’intermediario fosse munito
di potere rappresentativo (art. 1439, comma 2, c.c.). Se l’assicuratore non era a
conoscenza del dolo dell’intermediario il contratto resta perciò valido, ma
l’intermediario sarà tenuto a rispondere del danno patito dall’assicurato.
In tutti i casi di annullamento del contratto per vizio del consenso indotto da
errore o dolo della controparte, sarà onere dell’assicurato dimostrare:
(a) il proprio l’errore o l’altrui dolo;
(b) la natura determinante della falsa rappresentazione della realtà.
In particolare, nel caso l’assicurato invochi l’annullamento per errore, egli dovrà
dimostrare che questo era essenziale e riconoscibile. Ciò vuol dire che l’assicurato
non può limitarsi ad affermare la qualità essenziale del vizio, ma ha l’onere di
provare che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze,
l’errore verteva proprio sull’identità ovvero su una qualità dell’oggetto della
prestazione (art. 1429, n. 2, c.c.), e non già sulla maggiore o minore convenienza
economica dell’affare, che è ipotesi estranea alla previsione degli artt. 1427 ss.
c.c.152.
Nel caso in cui l’assicurato invochi l’annullamento per dolo, dovrà provare gli
altrui artifici o raggiri, che non possono consistere nel mero silenzio, a meno che
questo non si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente
preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno153.
In tutti e due i casi, poi, l’attore ha l’onere di provare che, qualora avesse
ricevuto le informazioni dovute al momento della contrattazione, non avrebbe
stipulato il contratto.
152
Ex multis, Cass., sez. III, 03-04-2003, n. 5139, in Foro it., 2003, I, 3047; Cass., sez. un.,
01-07-1997, n. 5900, in Foro it., 1997, I, 3217, con nota di LAGHEZZA; Cass., sez. I, 21-061996, n. 5773, in Foro it., 1996, I, 3382, con nota di VASQUES.
153
Cass., sez. II, 15-03-2005, n. 5549, in ***.
2
Una volta fornite dall’attore tali prove (che possono essere raggiunte anche col
ricorso a presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.; fatti notori, ex art. 115 c.p.c.,
massime di esperienza, come l’id quod plerumque accidit), sarà onere
dell’assicuratore dimostrare di avere tenuto una condotta diligente, ed in special
modo di avere correttamente ed esaustivamente informato l’assicurando sulle
caratteristiche e sul contenuto del contratto.
Secondo la giurisprudenza prevalente, formatasi in materia di responsabilità
dell’intermediario finanziario, quel che rileva ai fini della prova di avere
informato il cliente non è la mera forma scritta, ma la esaustività e la chiarezza
dell’informazione. Ciò vuol dire che la suddetta prova non può ritenersi fornita
attraverso la produzione di un semplice modulo prestampato, quando il contenuto
di questo non dia debito conto che il contraente sia stato informato in modo
completo, puntuale e comprensibile sulla natura, sul contenuto e sui rischi del
contratto che si accingeva a stipulare154.
Ulteriore conseguenza della violazione dei doveri precontrattuali da parte
dell’assicuratore è il risarcimento del danno, che come accennato ha natura
aquiliana.
Per quanto attiene alla determinazione del danno risarcibile, nelle assicurazioni
contro i danni esso sarà di norma agevole. Se non si sia verificato alcun sinistro, il
danno da responsabilità precontrattuale sarà pari alle spese sostenute per le
trattative e la stipula della polizza; se invece il sinistro si verifica prima che
l’assicurato abbia avuto il tempo di rivolgersi ad altro assicuratore, il danno sarà
pari all’indennizzo che il danneggiato avrebbe potuto ottenere dall’assicuratore,
qualora questi si fosse comportato correttamente.
154
Da ultimo, in tal senso, Trib. Roma, 25 maggio 2005, in Contratti, 2005, 796, secondo
cui “l’intermediario finanziario ha il preciso obbligo contrattuale, ex art. 1374 c.c., di informare
sempre il cliente sulle caratteristiche e sui rischi specifici e concreti dell’investimento, e ciò sia al
momento della stipula, sia durante la vigenza del contratto; tale obbligo va adempiuto con
modalità diverse, a seconda della preparazione e della competenza del risparmiatore, ed ai fini
della prova dell’adempimento non riveste rilievo decisivo la circostanza che il cliente abbia
sottoscritto il foglio informativo predisposto dalla banca, se questo abbia contenuto del tutto
generico; sostanzialmente nello stesso senso si vedano Trib. Taranto, 27 ottobre 2004, in Contratti,
2005, 174; Trib. Brindisi, 26-02-2004, in Foro it., 2004, I, 1561; Trib. Roma, 18-02-2002, in
Danno e resp., 2003, 291; Trib. Biella 3.1.2001, in Contratti, 2001, ***.
2
Meno agevole è la aestimatio del danno da violazione dei doveri precontrattuali
nel caso di vendita di prodotti misti assicurativi-finanziari.
Anche in questo caso, è d’obbligo fare riferimento alla giurisprudenza consolidata
in tema di violazione degli obblighi di informazione gravanti sul promotore
finanziario, la quale ha fissato i seguenti princìpi.
Non è configurabile alcun danno risarcibile quando l’informazione omessa era
tale che, se fornita, non avrebbe verosimilmente dissuaso l’investitore dalla stipula
del contratto. In questi casi, infatti, viene meno il nesso causale ex art. 1223 c.c.
tra il lamentato pregiudizio e la condotta ascritta all’assicuratore o
all’intermediario.
Non così, invece, nell’ipotesi in cui il contraente, se avesse conosciuto la notizia o
le informazioni che gli sono state sottaciute, non avrebbe stipulato il contratto,
ovvero lo avrebbe stipulato a condizioni diverse. In questo caso, tuttavia, il danno
risarcibile non può essere pari al rendimento atteso dal contraente, od a quello
suggerito dall’intermediario (magari con millanteria) al momento della stipula. Il
danno rappresentato dalla violazione della libertà contrattuale (essere indotti a
stipulare un contratto che si sarebbe altrimenti rifiutato) è un danno differenziale,
pari allo scarto tra quanto il contraente ha ricavato dal contratto effettivamente
stipulato, e quanto avrebbe ricavato se avesse investito la medesima somma in
altre attività, possibili e note al momento della conclusione del contratto non
andato a buon fine. Così, ad es., se una polizza linked, stipulata da persona tratta
in errore dall’intermediario, ha reso all’assicurato il 2%, mentre nel medesimo
periodo altre forme ordinarie di investimento hanno reso il 5%, il danno da lucro
cessante patito dall’assicurato sarà pari al 3% del capitale investito.
2
6.9
Il Registro Unico degli Intermediari
Tutti gli intermediari assicurativi in base alla Direttiva 2002/92/CE sono
soggetti ad obbligo di registrazione. Questo obbligo mette in luce due finalità
precise:
9 la libera circolazione degli intermediari all’interno dell’UE;
9 la protezione dei consumatori.
Si assiste quindi ad una nuova concezione della figura di intermediario, la cui
registrazione produce uno status nuovo rispetto all’impianto normativo precedente
degli Stati Membri. Ad un’analisi approfondita, però, non sempre il legislatore
nazionale ha realizzato appieno il disposto della Direttiva155, proponendo
soluzioni apparentemente ostative al modello dell’intermediario “unico”.
Il legislatore italiano, dopo aver previsto la creazione del Registro Unico
degli intermediari assicurativi (art.109 del decreto legislativo 109 del 7 settembre
2005 n.109 – Codice delle Assicurazioni Private), ne prevede la suddivisione in
cinque autonome sezioni, con divieto di contemporanea iscrizione a più sezioni da
parte del medesimo soggetto (persona fisica o giuridica). La soluzione è
funzionalmente identica nella Ley 26/2006 spagnola ma differisce nettamente in
altri sistemi.
Il recepimento della Direttiva in Italia coincide con l’approvazione del
Decreto Legislativo 7 settembre 2005 n.209 recante il riassetto delle disposizioni
in materia di assicurazioni private - Codice delle Assicurazioni Private.
Il Titolo IX del Codice delle Assicurazioni Private è dedicato agli intermediari
di assicurazione e riassicurazione, ed, all’interno di esso si evincono particolari
contraddizioni dovute all’esigenza di comporre le problematiche interne al mondo
intermediatizio nazionale e l’adeguamento al modello comunitario. Partendo
dall’assunto che l’obiettivo della registrazione è quello di creare un modello di
intermediario unico, l’idea stessa di articolare il registro in cinque sezioni è
sicuramente contraddittoria. In effetti, in questo modo si realizza una tipizzazione
di differenti figure di intermediario, sottolineate dal divieto espresso di iscrizione
a più sezioni del registro. Riguardo questo argomento si è accennato in
155
Sull’argomento si veda D.Cerini, Professore Associato di Diritto Privato Comparato,
Università degli Studi di Milano Bicocca.
2
precedenza (par. 6.8) la contrarietà di maggior parte degli addetti ai lavori,
manifestata in maniera esplicita mediante un ricorso al TAR del Lazio, ritenuto da
quest’ultimo infondato. E’ la Direttiva stessa che consente agli Stati Membri “più
registri per gli intermediari assicurativi e riassicurativi, purchè siano stabiliti i
criteri in base ai quali gli intermediari devono essere iscritti (…)” e semprechè si
preveda il funzionamento di uno “sportello unico che consenta di accedere
agevolmente e velocemente all’informazione proveniente dai diversi registri
istituiti elettronicamente (…)” (art.3,2 dir.2002/92/CE). In base a tale apertura,
l’art.109 del Codice delle Assicurazioni Private distingue cinque sezioni del
Registro Unico.
a. gli agenti di assicurazione, ossia gli “intermediari che agiscono in nome o
per conto di una o più imprese di assicurazione o di riassicurazione (sez.
A);
b. i mediatori di assicurazione o di riassicurazione o broker, quali
“intermediari che agiscono su incarico del cliente e senza poteri di
rappresentanza di imprese di assicurazione o di riassicurazione” (sez. B);
c. i produttori diretti, i quali, anche in via sussidiaria rispetto all’attività
svolta a titolo principale, “esercitano l’intermediazione assicurativa nei
rami vita e nei rami infortuni e malattia per conto e sotto la piena
responsabilità di un’impresa di assicurazione e che operano senza obblighi
di orario o di risultato esclusivamente per l’impresa medesima” (sez. C);
d. le banche autorizzate, gli intermediari finanziari inseriti nell’elenco
speciale di cui all’articolo 107 del testo unico bancario, le società di
intermediazione mobiliare autorizzate, la società Poste Italiane –
Divisione servizi di bancoposta (sez. D);
e. i soggetti addetti all’intermediazione, “quali i dipendenti, i collaboratori,
i produttori e gli altri incaricati degli intermediari iscritti alle sezioni di cui
alle lettere a), b) e d) per l’attività di intermediazione svolta al di fuori dei
locali dove l’intermediario opera” (sez. E).
2
L’articolo in esame, che consente altresì l’iscrizione di agenti e broker persone
fisiche, “abilitati ma temporaneamente non operanti, per i quali l’adempimento
dell’obbligo di copertura assicurativa […] è sospeso sino all’avvio dell’attività”
(3° comma), sancisce inoltre un generale divieto di “contemporanea iscrizione
dello stesso soggetto in più sezioni (2° comma, cpv.). E’ appunto quest’ultimo
l’elemento controverso che tante critiche ha mosso da parte degli addetti ai lavori
in Italia. Non tanto la separazione quindi, ma il divieto espresso di iscrizione a più
sezioni crea discussioni: la formulazione dell’ultimo comma dell’art. 109 del
Codice delle Assicurazioni Private ove si prevede che “non è consentita la
contemporanea iscrizione dello stesso intermediario in più sezioni del registro”.
L’osservazione che, quindi, può essere avanzata è che in Italia, alla volontà
unificante di estrazione comunitaria, sembra contrapporsi una certa resistenza
probabilmente proveniente dal mondo stesso dell’intermediazione.
2
6.10
L’importanza
dell’intermediazione
all’interno
del
mercato
assicurativo
Gli intermediari assicurativi facilitano la vendita e l’acquisto di prodotti
assicurativi e forniscono importanti servizi alle compagnie ed ai consumatori.
Tradizionalmente, gli intermediari vengono divisi in due categorie: gli agenti
assicurativi e i broker. Questa distinzione riguarda semplicemente il modo in cui
essi operano all’interno del mercato assicurativo.
Gli agenti assicurativi sono, generalmente, autorizzati a concludere affari
per nome e in conto di compagnie assicurative. L’agente rappresenta
l’assicuratore nel processo assicurativo, e principalmente opera sulla base di un
contratto di agenzia. Il rapporto assicuratore-agente può assumere diverse forme.
In alcuni mercati, gli agenti sono indipendenti e lavorano con più di una
compagnia assicurativa (normalmente un piccolo numero di compagnie); in altri,
gli agenti operano esclusivamente, rappresentando una singola compagnia in
un’area geografica, o trattando una solo tipologia di affari per ogni diversa
compagnia. Gli agenti possono operare in molte forme differenti: indipendente,
esclusiva, dipendente, autonoma.
I broker tipicamente lavorano per il contraente, all’interno del processo
assicurativo, ed operano indipendentemente dalle compagnie. I broker assistono i
clienti nella scelta della loro assicurazione, presentando loro una gamma di
alternative in termini di assicuratori e prodotti.
In alcuni mercati ci sono distinzioni tra broker, a seconda del tipo di assicurazioni
che sono autorizzati a intermediare, delle tipologie di clienti che servono, e del
modo in cui si pongono nella negoziazione, ad esempio facendo da tramite per
agenti e broker nei confronti delle compagnie, non trattando direttamente con il
cliente (wholesale brokers).
Tecnicamente parlando, il ruolo del broker può cambiare durante la mediazione
assicurativa, in quanto in alcuni casi può comportarsi quasi come “un agente”
dell’assicuratore, ed in altri casi come “broker tout court”. Ad esempio il broker
agisce come tramite del cliente nella negoziazione del contratto e conclusione
della polizza. Quando un broker fornisce servizi che invece sarebbero gestiti
2
direttamente dalla compagnia assicurativa, come il pagamento del premio e la
gestione dei sinistri, il broker sta agendo essenzialmente come un agente.
In pratica, indipendentmente dal ruolo che il broker sta assumendo, la funzione
che egli copre è quello di intermediario tra un cliente ed una compagnia, per
facilitare il processo di assicurazione.
Detto questo, non è sempre facile determinare quando siamo davanti ad un agente
o ad un broker.
Essendo elementi in possesso sia di ampie conoscenze del mercato
assicurativo, inclusi prodotti prezzi e compagnie, sia di una profonda conoscenza
del “bisogno assicurativo” gli intermediari hanno un ruolo fondamentale
all’interno dell’economia.
Il ruolo dell’assicurazione all’interno dell’economia è conosciuto: senza la
protezione dai rischi che l’assicurazione garantisce, le attività commerciali ed
industriali si rallenterebbero notevolmente, così come il tenore di vita delle
persone.
Il ruole dell’intermediario nell’economia globale è, essenzialmente, quello di
rendere fruibile e facilmente accessibile il mondo delle assicurazioni in ogni sua
sfaccettatura.
Vi sono diversi fattori che permettono agli intermediari di assumere questo
rilevante ruolo all’interno del mercato assicurativo.
Gli intermediari assicurativi apportano progressivamente innovative
strategie di markerting al mercato. Questo permette di aumentare la
consapevolezza e la conoscenza dei mercati dei consumatori, soprattutto in
termini di coperture possibili, di pluralità di opzioni, di modalità di accesso alle
coperture.
Gli intermediari forniscono ai consumatori l’informazione necessaria per
comprendere al meglio i prodotti e compiere scelte ponderate; possono spiegare al
cliente quali sono le sue esigenze assicurative (magari non ancora percepite) e
quali sono le opzioni in termini di assicuratori, polizze e prezzi.
Un altro elemento importante della figura dell’intermediario è sicuramente quello
dell’esperienza e della conoscenza delle esigenze e delle problematiche dei
consumatori. Egli è perciò un soggetto chiave per l’evoluzione dei prodotti
2
assicurativi in funzione dei consumatori, e per l’apertura di mercati nuovi. Per di
più l’espansione delle conoscenze e dei mercati può attirare ulteriori investimenti
e l’espansione dell’industria stessa. Infine, le accresciute conoscenze dei
consumatori aiutano sicuramente ad aumentare la domanda assicurativa.
Con queste premesse è perciò evidente quanto l’intermediazione assicurativa
possa incidere sui mercati e sull’economia.
2
6.11
Osservazioni sull’impatto delle novità legislative sul mercato e sulla
professione
La storia dell’assicurazioni testimonia numerosi esempi negativi di attività
intermediativa, a discapito della figura professionale, e della fiducia dei
consumatori. In Italia, dove l’assicurazione vita, sta in questi anni diventando un
importante collettore di capitali privati, e protagonista nel campo della previdenza,
si è assistito a tristemente celebri casi di intermediazione, nei quali l’intermediario
(e, alle volte, la compagnia) si limitava a massimizzare il proprio profitto senza
valutare le esigenze e i bisogni dell’assicurato.
La spiegazione a tali negatività è semplice: l’assenza di stringenti requisiti per
l’accesso alla professione.
E’ per questo motivo che i paletti inseriti nel 2002 dalla Direttiva Europea, e
successivamente implementati negli Stati Membri, stanno realizzando un
profondo cambiamento in positivo della professione di intermediario assicurativo.
In primo luogo si valorizza la professionalità stessa dell’intermediario. Nel
momento in cui il consumatore entra in contatto con esso, può avere la tranquillità
e la certezza di trovarsi davanti ad uno o più professionisti di provata esperienza,
competenza e professionalità. Le novità legislative in materia di requisiti, quindi,
oltre a garantire maggior tranquillità dei consumatori, valorizzano chi nel settore
opera quotidianamente, mettendolo al sicuro da coloro che, in precedenza, si
improvvisavano intermediari anche per periodi di tempo brevi.
I requisiti professionali dell’IMD garantiscono aggiornamento costante. In
questo modo, mediante una formazione continua degli intermediari, essi possono
restare costantemente al passo con i tempi ed informati riguardo le innovazioni
legislative e del mercato, a tutto vantaggio dell’intermediario stesso e del
consumatore.
Altro punto fondamentale per intermediari e consumatori è l’informazione.
Questo è stato sicuramente un punto dolente dell’attività pre-IMD. Ad esempio
l’intermediario in cattiva fede, spesso riusciva a portare a termine contratti
sicuramente vantaggiosi per lui stesso, ma non per il cliente, sottacendo i
2
caricamenti, o, nel caso di broker, scegliendo i prodotti con il tornaconto più
elevato.
La presenza di informativa precontrattuale, permette ai clienti di valutare con
assoluta trasparenza la figura stessa dell’intermediario, così come di valutare al
meglio il prodotto assicurativo che viene proposto. E’ sicuramente di grande
importanza il questionario di adeguatezza, che permette a tutti i soggetti “in
gioco” di comprendere al meglio il bisogno assicurativo.
Questi elementi, non esaustivi, permettono di valutare con assoluta
favorevolezza
l’impianto
normativo
che,
a
partire
dalla
Direttiva
sull’Intermediazione Assicurativa, si sta costruendo all’interno del nascente
mercato unico Europeo. Come si è visto in precedenza non vi è stata una
implementazione completamente uniforme tra gli Stati Membri, e questo è un
punto sicuramente problematico, il cui impatto è ancora in fase di valutazione.
Nonostante ciò non vengono inficiati i benefici di una legislazione sicuramente
più rivolta ai soggetti deboli del rapporto assicurativo, cioè i consumatori.
Uno dei punti dolenti delle riforme, stando ai dati poc’anzi presentati, e
alle testimonianze dirette assunte durante il 2007 presso le compagnie assicurative
italiane è stato sicuramente l’incremento dei costi e della burocrazia.
In Italia156 l’implementazione non ha causato un forte aumento dei costi per
intermediari e compagnie, quantomeno rispetto a paesi come Regno Unito e
Olanda. I maggiori costi sono stati probabilmente quelli affrontati per “mettersi in
conformità” in tempi brevi dopo l’uscita del Regolamento n.5/06 dell’ISVAP. In
particolare le compagnie, dovendo affrontare termini relativamente brevi, hanno
dovuto formare le risorse addette alla gestione degli intermediari, formare gli
intermediari (es. agenti, subagenti, produttori), approntare gli uffici appositi,
predisporre e diffondere la nuova modulistica, adempiere agli obblighi di legge.
Gli intermediari hanno affrontato i costi di registrazione, quelli di aggiornamento
professionale, e, l’approntamento degli strumenti necessari per operare in
conformità. Si tratta però, secondo la mia opinione, di costi abbastanza contenuti
in relazione ai benefici che le novità legislative garantiranno ai professionisti del
settore.
156
Per un’analisi dei costi diretti e di conformità in alcuni Stati Membri, si veda il paragrafo
6.4.7
2
L’aumento
burocratico,
inoltre,
è
abbastanza
evidente
poiché
l’intermediario per operare conformemente ha l’obbligo di assumere e fornire una
quantità di informazioni decisamente superiore. Così come sono aumentati gli
oneri di certificazione (anche a livello formativo) per poter riscontrare i requisiti.
Numerosi intermediari intervistati hanno manifestato opinioni negative su questo
aspetto, obiettando che non sempre l’informazione al contraente fatta nei tempi e
nei modi previsti dalla legge è garanzia di trasparenza. La sovrabbondanza di
informazioni in effetti può diventare controproducente.
Questa osservazione, seppur non completamente smentibile, va bilanciata con la
presenza dei requisiti professionali e di onorabilità dell’intermediario, in modo
tale da raggiungere un livello di trasparenza tale da garantire al cliente un’assoluta
tranquillità che gli permetta di effettuare scelte completamente ponderate, nella
coscienza di aver davanti a sé un soggetto volto alla fornitura di un servizio.
Infine, parlando dell’impatto che le novità legislative possono avere sul
mercato assicurativo Europeo, a prima vista le conclusioni possono sembrare più
“entusiasmanti” di quanto non siano in realtà.
Va detto innanzitutto che questa evoluzione dell’attività di intermediazione
assicurativa era un passo necessario, senza il quale non si può pensare ad un
mercato unico di livello davvero alto. Era necessario cioè garantire che gli
intermediari a livello europeo fossero tutti sullo stesso piano, oppure quantomeno,
riscontrassero dei requisiti minimi di competenza e profesionalità, tali da garantire
ai consumatori dell’Unione un’uniforme fiducia nel mercato e nei suoi
protagonisti.
La libera circolazione dei professionisti è anche un elemento chiave per il
trasferimento di know how, di professionalità e competenze che comunque
rimarranno diverse e frammentate, perché al suo interno l’Unione conosce realtà
assicurative estremamente diverse, che, col tempo, potrebbero muoversi verso
l’omogeneità.
Detto ciò, bisogna valutare l’impatto sulla base della considerazione che questo
passo non era evitabile. Le dichiarazioni entusiastiche dei membri delle
Commissioni Europee, non devono trarre in inganno: il cambiamento, a livello
Europeo, è stato percepito ancora in maniera troppo lieve, nel senso che sia
2
gli intermediari, sia i consumatori, sia le compagnie, non hanno ancora del tutto
assimilato la direzione verso la quale il mercato assicurativo deve e vuole
muoversi. L’opinione è quella che probabilmente, attualmente, stiamo valutando
l’inizio di un lungo percorso il cui obiettivo finale potrebbe essere quello di
accrescere ad un livello adeguato ed omogeneo la consapevolezza del bisogno
assicurativo all’interno dell’Unione Europea. Questo obiettivo si può
perseguire mediante la continua e progressiva professionalizzazione degli
intermediari, mediante l’aumento della concorrenza a livello di mercato unico tra
le compagnie in modo tale da garantire prodotti sempre più competitivi, mediante
campagne di informazione atte ad accrescre la cultura assicurativa di tutti, per
garantire il proprio tenore di vita, le proprie attività commerciali, in definitiva, il
proprio futuro.
2
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Tesi di laurea di Marco D`Oro