UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA TESI DI LAUREA LA DISCIPLINA DEL MERCATO ASSICURATIVO E LE PROSPETTIVE DI INTEGRAZIONE EUROPEA Relatore: Chiar.mo Prof. Michele Siri Candidato: Marco D’Oro Anno Accademico: 2006/2007 Note e ringraziamenti Il lungo lavoro di ricerca e compilazione è stato possibile solamente grazie alla collaborazione ed infinita pazienza dei miei genitori, Bruno ed Angela, ai quali dedico questo importante passo della mia vita. Colgo altresì l’occasione per manifestare profonda gratitudine al professor Michele Siri per la grande disponibilità nei miei confronti. Infine ringrazio le persone che mi sono state vicino, aiutandomi a trovare la volontà di dedicarmi con impegno e passione tanto al lavoro, quanto allo studio: Diana, Valentina, gli amici tutti, i colleghi. I INDICE Introduzione VII Capitolo I Financial Services Action Plan 1.1 Servizi Finanziari: elaborazione di un quadro d’azione 1 1.2 Il “Financial Services Action Plan” 11 1.3 Monitoraggio delle attività 16 1.4 FSAP Evaluation Part I 23 1.5 Monitoraggio dell’adozione delle direttive negli Stati Membri 29 1.6 L’attività del Financial Services Policy Group 32 1.7 L’attività del Forum Group of Market Experts 35 Capitolo II -Il mercato assicurativo- Introduzione 2.1 38 Il mercato assicurativo da “protetto” a “libero” e da “nazionale” 39 Ad “internazionale” 2.2 Il consolidamento transfrontaliero: un cammino difficile 44 2.3 La concorrenza tra imprese e i c.d. “nuovi rischi” 48 2.4 L’internazionalizzazione delle compagnie assicurative. 50 Parallelismi e differenze con il sistema bancario 2.5 La costituzione del mercato assicurativo unico 53 2.6 La direttiva sull’intermediazione assicurativa: 2002/92/CE 57 2.7 Le violazioni delle direttive in materia assicurativa: 61 Il procedimento sanzionatorio contro gli Stati in ritardo con l’implementazione della DIA I Capitolo III -Il margine di solvibilità- 3.1 Il rischio 64 3.2 Il margine di solvibilità 69 3.3 Da Solvency 0 a Solvency II 73 3.4 Solvency II: le domande chiave 75 3.5 Cos’è Solvency II 78 3.6 In particolare: le ragioni giustificatrici del progetto Solvency II 81 3.7 I tre pilastri 85 3.8 Ipotesi sull’impatto del nuovo sistema di solvibilità 90 3.9 L’attività di CEA e CEIOPS 93 3.10 Quantitative Impact Study I 96 3.10.1 QIS1: osservazioni generali 3.10.2 QIS1: conclusioni generali 3.11 Quantitative Impact Study II 101 3.11.1 QIS2: obiettivi e contenuti 3.11.2 QIS2: valutazione dell’esercizio 3.12 Alcune criticità di Solvency II 108 3.13 I Consultation Papers del CEIOPS 112 Capitolo IV -Il ramo vita- 4.1 In generale, l’assicurazione sulla vita 116 4.2 L’attività delle imprese di assicurazione sulla vita nell’ambito 120 del sistema finanziario 4.2.1 L’asset liability management per le imprese vita 4.2.2 La vigilanza e le garanzie finanziarie nelle imprese del ramo vita, in chiave solvibilità 4.3 La disciplina: Direttiva 2002/83/CE I 140 4.4 La disciplina in Italia: Circolare ISVAP 551/d “Le norme di 149 trasparenza delle polizze vita” 4.5 La disciplina in Italia: il Codice Civile 152 4.6 La disciplina in Italia: D.Lgs.209 07/09/05 “La tutela del 156 consumatore nel nuovo codice delle assicurazioni” 4.7 Un confronto europeo sui conti economici delle imprese 161 di assicurazione 4.8 Alcune osservazioni: il mercato vita nel contesto sociale 165 Capitolo V Le prospettive di integrazione europea in materia di previdenza complementare 5.1 L’importanza della previdenza complementare nel quadro 168 comunitario 5.2 Normativa comunitaria 171 5.3 Previdenza complementare: perché? 173 5.4 Il ruolo del settore privato 176 5.5 La libera circolazione dei lavoratori 179 5.6 Sistemi pensionistici nei principali paesi dell’Unione Europea 184 5.6.1 Francia 5.6.2 Germania 5.6.3 Paesi Bassi 5.6.4 Gran Bretagna 5.6.5 Gli schemi di previdenza complementare all’interno del mercato UE 5.7 “A simpler way to better pension”: il rapporto Pickering 197 5.8 La previdenza complementare in Italia 210 5.8.1 I fondi pensione in Italia 5.8.2 Andamento delle adesioni, impatto della crisi subprime, prospettive per il futuro: un intervento del presidente di I Covip, settembre 2007 5.9 Il settore assicurativo e il suo valore per la crescita, osservazioni 223 dell’Ania Capitolo VI L’intermediazione assicurativa 6.1 Introduzione: cinque anni dopo la Direttiva 2002/92/CE 232 6.2 Analisi della Direttiva 2002/92/CE 235 6.2.1 Registrazione obbligatoria e requisiti professionali 6.2.2 Obblighi di informazione degli intermediari 6.3 L’implementazione della Direttiva in alcuni Stati Membri 240 6.3.1 Austria 6.3.2 Belgio 6.3.3 Francia 6.3.4 Germania 6.3.5 Italia 6.3.6 Paesi Bassi 6.3.7 Spagna 6.3.8 Regno Unito 6.4 Analisi comparativa dell’implementazione dell’IMD 245 6.4.1 Scopo del legislatore nazionale nell’implementazione dell’IMD 6.4.2 Mantenimento di diritti acquisiti (grandfathering) 6.4.3 La scelta e lo stile regolatorio dell’autorità competente 6.4.4 Requisiti relativi alla competenza ed all’onorabilità 6.4.5 Obblighi relativi alla responsabilità professionale, alla protezione dei capitali dei clienti, al margine di solvibilità 6.4.6 Requisiti minimi di informazione da fornire ai consumatori 6.4.7 I costi di implementazione 6.5 Italia: osservazioni sul Nuovo Codice delle Assicurazioni V 256 6.6 Italia: regolamento ISVAP n. 5/2006 260 6.7 Regolamento ISVAP n.5/2006: tutela dell’assicurato nei casi di 268 insolvenza dell’intermediario 6.8 La fase delle trattative contrattuali: obblighi e responsabilità di 273 intermediari ed assicuratori 6.9 Il registro unico degli intermediari 289 6.10 L’importanza dell’intermediazione all’interno del mercato 292 assicurativo 6.11 Osservazioni sull’impatto delle novità legislative sul mercato e 295 sulla professione Bibliografia 300 V Introduzione L’importanza dell’assicurazione nell’economia moderna è indubbia ed è stata riconosciuta per secoli. L’assicurazione è praticamente una necessità per le attività produttive e per le imprese, e non è trascurabile il suo ruolo nella protezione del tenore di vita delle persone. Essa diventa il mezzo mediante il quale “il disastro di uno viene condiviso da tanti, il disastro di una comunità viene condiviso da altre comunità, le grandi catastrofi vengono attenuate e possono essere riparate”. In pratica è un elemento essenziale per il funzionamento delle economie nazionali: senza copertura assicurativa l’intero settore commerciale pubblico e privato non potrebbe funzionare. L’assicurazione permette alle attività produttive di operare in un’ottica di costi effettivi, fornendo loro meccanismi di trasferimento dei rischi. Permette alle imprese di assumere crediti che altrimenti sarebbero inaccessibili senza un’adeguata copertura dai rischi, e fornisce protezione contro i rischi collegati all’espansione dei business in territori non familiari (nuovi mercati, prodotti, servizi), elemento essenziale per creare crescita economica. Oltre al mondo delle imprese, l’assicurazione è di vitale importanza per gli individui. La carenza di copertura assicurativa lascerebbe gli individui e le famiglie priva di protezione dalle incertezze della vita quotidiana: l’assicurazione è perciò un requisito fondamentale per la stabilità finanziaria, per il benessere, per il tenore di vita dell’individuo. In Europa la cultura assicurativa è in crescita. Il bisogno assicurativo è cresciuto enormemente in seguito a diversi fattori, tra i quali il miglioramento del tenore di vita medio dei cittadini dell’Unione, l’incremento culturale, l’aumento della durata della vita, l’impatto di determinati eventi storici, che hanno portato all’attenzione delle persone l’esistenza di nuovi rischi, come il terrorismo. Infine non va trascurata l’importanza assunta dal mercato assicurativo come collettore del risparmio privato, soprattutto nell’ambito della previdenza. V Si può tranquillamente affermare che il mercato assicurativo è uno degli elementi cardine dell’economia europea, assolutamente non trascurabile in un’ottica di sviluppo. Il legislatore europeo, nell’ambito della creazione di un mercato unico dei servizi finanziari, ha dedicato in questi anni ampio spazio alla materia assicurativa, soprattutto allo scopo di armonizzare le discipline nazionali, in modo da realizzare degli standard omogenei in tutti gli Stati Membri. Il titolo di questa tesi “la disciplina del mercato assicurativo e le prospettive di integrazione europea”, ne riassume efficacemente l’ambizioso obbiettivo: fornire al lettore una visione a trecentosessanta gradi del mondo assicurativo e della sua disciplina legislativa, e le prospettive di realizzazione del “mercato unico”, fondamentale chiave di volta del mercato assicurativo dei nostri giorni. Le conclusioni alle quali sono giunto non sono univoche: da un lato è inevitabile osservare la portata innovativa del progetto in corso di realizzazione, il mercato unico europeo. I miglioramenti sono evidenti sotto molteplici aspetti: alti standard professionali degli intermediari, maggior tutela del consumatore, razionalizzazione dei margini di solvibilità delle compagnie, abbattimento delle frontiere per la prestazione dei servizi finanziari. Il rovescio della medaglia non è comunque trascurabile: non sempre si è assistito ad una implementazione omogenea delle Direttive Europee, realtà che potrebbe creare notevoli discussioni e problematiche. Parallelamente alcuni elementi dell’impianto legislativo in via di sviluppo non sembrano essere adeguati allo standard che l’Unione ha intenzione di realizzare. E’ il caso ad esempio della Direttiva 2002/92/CE sull’intermediazione assicurativa, che ha ampi margini di miglioramento, soprattutto in chiave di tutela dei consumatori. All’interno della dissertazione questi argomenti sono trattati in maniera approfondita, con lo scopo precedentemente accennato di fornire il quadro più completo possibile dello stato di realizzazione del mercato unico assicurativo. Si può concludere osservando semplicemente che il grande progetto UE è in corso di realizzazione, e che, sebbene vi siano alcune criticità non trascurabili, un lavoro costante delle Istituzioni europee in sinergia con i legislatori nazionali e con i V protagonisti del mercato assicurativo, porterà sicuramente alla realizzazione di un mercato unico pienamente funzionante, con elevati standard di professionalità, sicurezza, competitività e tutela dei consumatori. I tempi per conseguire questo importante risultato, però, sembrano essere ancora lunghi. I Capitolo I FINANCIAL SERVICES ACTION PLAN Sommario: 1.1 Servizi finanziari: elaborazione di un quadro d’azione – 1.2 Il Financial Services Action Plan – 1.3 Monitoraggio delle attività – 1.4 FSAP Evaluation Part I – 1.5 Monitoraggio dell’adozione delle direttive negli stati membri – 1.6 L’attività del “Financial Services Policy Group” – 1.7 L’attività dei “Forum Group of Market Experts” 1.1 Servizi Finanziari: elaborazione di un quadro d’azione Nel Giugno 1998 il Consiglio europeo di Cardiff ha invitato la Commissione “a presentare un quadro di azioni intese a migliorare il mercato unico dei servizi finanziari”. Rispondendo a tale invito, la Commissione ha pubblicato una comunicazione1 nella quale ha individuato una serie di temi da sviluppare urgentemente per beneficiare appieno dei vantaggi della moneta unica e assicurare un funzionamento ottimale del mercato finanziario europeo. Sono state evidenziate cinque linee di azione essenziali: a. l’UE va dotata di un dispositivo legislativo che consenta di affrontare le nuove sfide in materia di regolamentazione; b. va eliminata qualsiasi frammentazione residua del mercato dei capitali, in modo da ridurre il costo dei capitali raccolti sui mercati dell’UE; c. gli utenti ed i fornitori di servizi finanziari devono essere messi in grado di sfruttare liberamente le opportunità commerciali dal mercato finanziario unico, assicurando nel contempo un livello elevato di protezione dei consumatori; d. va incoraggiato un maggiore coordinamento tra le autorità di vigilanza; 1 COM (1998) 625 del 28.10.1998: “Servizi finanziari: elaborazione di un quadro di azione”. 1 e. va sviluppata una infrastruttura integrata a livello UE per le operazioni finanziarie al dettaglio e all’ingrosso. a) Un apparato normativo più snello ed efficace Secondo la Commissione, il raggiungimento di un apparato normativo più snello e più efficace può essere perseguito innanzitutto mediante un aggiornamento della legislazione. Elementi fondamentali di questo aggiornamento sono la razionalizzazione delle tecniche legislative (legiferare meno e meglio) e una maggiore rapidità della legislazione. In secondo luogo è auspicabile il miglior utilizzo possibile della normativa già esistente i cui difetti attuali possono essere corretti da una migliore attuazione a livello nazionale, da un controllo più rigoroso da parte della Commissione e da un’interpretazione più chiara ed uniforme delle norme comunitarie. LINEE D’AZIONE La commissione: 9 eserciterà pressione affinché le direttive siano attuate in modo efficace ed entro i termini previsti; 9 elaborerà comunicazioni interpretative contenenti orientamenti per gli Stati membri e gli operatori; 9 metterà sul tappeto nuove proposte per l’elaborazione della futura legislazione prudenziale in materia di servizi finanziari. Il Consiglio e il Parlamento europeo 9 sono invitati a collaborare con la Commissione per esaminare la possibilità di concludere un accordo interistituzionale che precisi le modalità di elaborazione di una legislazione snella, flessibile e più rapidamente adottabile; 9 dovrebbero impegnarsi ad esercitare un certo grado di autorestrizione nel processo legislativo per evitare una legislazione troppo complessa. Gli Stati membri 9 dovrebbero invitare le loro autorità di vigilanza ad aumentare il loro ruolo di 2 autoregolamentazione approfondendo e potenziando i processi volti a rafforzare le norme regolamentari e le pratiche operative per un mercato unico efficace; 9 dovrebbero impegnarsi ai fini di un’attuazione efficace e tempestiva delle direttive. b) L’eliminazione della frammentazione residua del mercato dei capitali La Commissione non ritiene che l’introduzione della moneta unica possa essere condizione sufficiente per provocare l’integrazione dei mercati finanziari, i quali rimarranno frammentati a causa della sussistenza di barriere regolamentari, amministrative e fiscali. Per quanto riguarda la domanda, gli emittenti devono poter accedere con facilità ai mercati finanziari paneuropei, in condizioni di concorrenza. Per realizzare questo obiettivo si impongono nuove misure nei settori del mutuo riconoscimento dei prospetti, e del finanziamento delle giovani imprese innovatrici non quotate. Nell’ambito dell’offerta gli investitori devono essere liberi di investire le loro attività senza scontrarsi con barriere giuridiche o amministrative, né con problemi di informazione. Si prospetta una maggiore armonizzazione contabile al fine di stimolare gli investimenti transfrontalieri con una maggiore trasparenza ed una migliore comparabilità dei bilanci, e l’eliminazione delle restrizioni quantitative e qualitative agli investimenti: i gestori di fondi pensione e di assicurazione vita, infatti, gestiscono una porzione crescente delle riserve di risparmi dell’Unione. Un miglioramento, per quanto minimo, dei rendimenti potrebbe generare utili sostanziali per i membri dei fondi pensione e contribuire ad alleggerire il costo del finanziamento pubblico delle pensioni. Ciò potrebbe, in ultima analisi, contribuire alla creazione di posti di lavoro, rafforzando nel contempo la sicurezza dei risparmi per la pensione. Prodotti come fondi pensione e assicurazione vita sono sottoposti a trattamenti prudenziali e fiscali che variano da Stato membro a Stato membro. Questa situazione può creare differenze arbitrarie tra prodotti e far pendere ingiustamente la bilancia a favore di un gestore piuttosto che di un altro. Per 3 ovviare a questo problema la Commissione si adopererà per il realizzarsi di condizioni di concorrenza uniformi per prodotti finanziari analoghi. I prestatori di servizi di investimento devono altresì poter esercitare le loro attività in tutta l’Unione senza dovere espletare formalità giuridiche e amministrative ridondanti. Nel quadro della direttiva relativa ai servizi d’investimento, il mantenimento delle regolamentazioni locali in materia di negoziazione di attività dà luogo ad un mosaico di requisiti molto diversi e rende arduo ai prestatori di servizi di investimento avere accesso ai mercati regolamentati di altri Stati membri e competervi in modo efficace. La Commissione ritiene che le attività transfrontaliere non devono essere soggette a regole di negoziazione inutili imposte dal paese ospitante, in quanto l’autorizzazione del paese di origine e la vigilanza delle istituzioni offrono all’investitore professionale le garanzie necessarie. LINEE D’AZIONE La Commissione: 9 proporrà miglioramenti alle direttive relative ai prospetti, in modo tale da eliminare le discordanze tra normative nazionali e permettere il mutuo riconoscimento di tali prospetti; 9 esaminerà la possibilità di incentivare, con iniziative giuridiche adeguate, i fondi specializzati nel capitale di rischio a raccogliere a livello europeo i capitali necessari al finanziamento delle nuove imprese di piccole dimensioni; 9 esaminerà se le opzioni in materia di informazione contabile previste dalle direttive contabili siano inadeguate, tenuto conto della necessità di una maggiore armonizzazione delle norme in materia; 9 elaborerà, sulla base di una comunicazione, una direttiva che mira allo smantellamento delle misure che limitano gli investimenti dei fondi di previdenza integrativa e non sono motivate da considerazioni di congruenza monetaria; 9 si sforzerà di addivenire ad un consenso sul ruolo del revisore legale dei conti nel contesto dell’informazione degli investitori e dei mercati finanziari; 4 9 continuerà a lavorare al miglioramento della normativa relativa al governo societario in cooperazione con gli organismi privati e pubblici competenti; 9 si adopererà per preservare la concordanza tra le norme contabili europee e le norme contabili internazionali elaborate dalla IASC, in particolare introducendo la contabilità al volore equo nel quadro normativo della’UE; 9 individuerà i mezzi più vantaggiosi (legislativi e non) per migliorare l’efficacia delle direttive sui servizi di investimento promuovendo la necessaria convergenza delle impostazioni nazionali relative alle regole di condotta. Il Consiglio e il Parlamento europeo 9 sono invitati a fare progressi nell’adozione delle proposte di direttive relative alle procedure di offerta pubblica di acquisizione e allo statuto della società europea (SSE); 9 sono invitati ad adottare rapidamente la legislazione necessaria basata sulle proposte della Commissione nel settore degli OICVM. c) I mercati al dettaglio degli Stati membri non sono ancora aperti Allo stato delle cose valutato dalla Commissione nella comunicazione, l’interpenetrazione dei mercati si è realizzata soprattutto attraverso lo stabilimento di succursali o di controllate, spesso mediante l’acquisizione di operatori già insediati in un altro mercato nazionale. Ad esempio, nel mercato dell’assicurazione sulla vita, le imprese di assicurazione della maggior parte degli stati membri non effettuano vendite transfrontaliere. Per realizzare un autentico mercato interno occorre contemperare due obiettivi a volte contrastanti: innanzitutto, i consumatori dovrebbero poter scegliere con cognizione di causa nella certezza che i loro interessi sono tutelati da solidi meccanismi di garanzia; un secondo obiettivo è accrescere la concorrenza e ampliare le possibilità di scelta dei consumatori consentendo a tutti gli intermediari finanziari di prestare i loro servizi a clienti/consumatori in qualsiasi parte dell’UE, sulla base dell’autorizzazione rilasciata loro dall’autorità di vigilanza nel paese d’origine. Gli stati membri si preoccupano legittimamente di proteggere i consumatori dall’esposizione al rischio finanziario, ma l’esigenza di garantire un elevato livello di protezione non dove essere utilizzata come pretesto per ostacolare l’attività transfrontaliera. 5 La Commissione ritiene che continuerà ad essere impossibile sviluppare un prodotto paneuropeo per quanto riguarda i prestiti ipotecari, l’assicurazione sulla vita o i fondi pensione, in mancanza di un coordinamento e del riconoscimento reciproco delle differenze di fondo delle disposizioni nazionali in materia. Occorre dunque sviluppare soluzioni pragmatiche per riconciliare l’obiettivo della promozione della piena integrazione dei mercati finanziari con quello di assicurare un elevato livello di protezione dei consumatori e mantenere la loro fiducia. 9 Occorre avviare iniziative mirate a migliorare il grado di protezione dei consumatori attraverso la convergenza delle prassi nazionali. In particolare, il coordinamento delle prassi nazionali per quanto riguarda gli intermediari di assicurazione può dare un contributo sostanziale sia alla protezione dei consumatori che alla più larga commerciabilità dei prodotti assicurativi. 9 Occorre individuare le differenze sostanziali tra le norme giuridiche che tutelano i consumatori nei diversi paesi. Sono necessari meccanismi che consentano alle istituzioni comunitarie di tracciare un quadro sistematico delle fattispecie in cui si applicano le normative nazionali degli stati membri. 9 La Commissione perseguirà una politica che distingua tra consumatori ed operatori professionali2, limitando l’applicazione delle norme del paese ospitante ai casi in cui è in gioco la sicurezza dei consumatori3. 9 Occorre sviluppare una strategia che protegga i consumatori da pratiche commerciali aggressive e sleali ma che allo stesso tempo consenta loro di cercare il prodotto più conveniente. 2 Il principio della protezione differenziata dei consumatori è stato sancito negli anni ottanta dalla Corte di giustizia quando ha dichiarato, in materia di esigenze di protezione dei consumatori, che si deve anche ammettere che tali ragioni non hanno la stessa importanza per tutti […] e che possono esistere casi in cui, dato il carattere del rischio e del contraente […] non vi è alcuna necessità di tutelare quest’ultimo mediante l’applicazione delle norme imperative del suo ordinamento nazionale. (causa 205/84, Racc. 1986, pag 3755). La Commissione ha già applicato questo principio nei settori dell’assicurazione e dei servizi d’investimento. 3 Il termine “consumatore” è stato definito nella legislazione in materia di protezione dei consumatori: si tratta di una persone fisica che agisce al di fuori della sua attività professionale o lavorativa. 6 9 Occorre mettere a disposizione mezzi di ricorso efficaci a livello transfrontaliero. Si devono assumere iniziative in materia di risoluzione extragiudiziale delle controversie e di trattamento dei reclami. LINEE D’AZIONE La Commissione: 9 metterà in atto le iniziative annunciate nel Libro verde “Servizi finanziari – Promuovere la fiducia dei consumatori”; 9 presenterà proposte per introdurre mezzi di ricorso e procedure di trattamento dei recliami di levello adeguato per i clienti dei servizi finanziari; 9 individuerà e catalogherà le differenze tra le disposizioni adottate dagli Stati membri invocando “l’interesse generale” a protezione dei consumatori nel settore dei servizi finanziari, in vista dell’elaborazione di misure concordate, mirate e proporzionate; 9 adotterà una politica basata sulla distinzione tra operatori professionali all’ingrosso e comuni consumatori al dettaglio, per concentrare l’azione di regolamentazione sugli ambiti nei quali è più necessaria e per evitare costi di adempimento indebitamente elevati; 9 studierà nuove incisive peoposte per assicurare che gli intermediari di assicurazioni debbano soddisfare rigorosi requisiti professionali e di altra natura allo scopo di migliorare la protezione dei consumatori e il funzionamento del mercato unico delle assicurazioni; 9 affronterà gli ostacoli giuridici fondamentali alla diffusione dei prodotti finanziari seguendo una strategia graduale, viste le radicate differenze delle tradizioni giuridiche. d) L’esigenza di cooperazione tra le autorità regolamentari e di vigilanza La cooperazione tra le autorità di vigilanza nazionali è fondamentale per la gestione del rischio istituzionale/prudenziale, e deve svilupparsi organicamente sia per rafforzare la capacità di far fronte a problemi transfrontalieri, sia per elaborare un’impostazione di vigilanza comune per affrontare nuove forme di rischio prudenziale sui mercati bancari, assicurativi e mobiliari. 7 Occorrerà altresì una stretta cooperazione tra le autorità di vigilanza e l’autorità monetaria competente per la gestione della liquidità all’interno del sistema; tale cooperazione deve fondarsi su una chiara attribuzione delle responsabilità. Il coordinamento delle autorità di vigilanza deve essere basato su modalità attentamente studiate: la Commissione riterrebbe assai utile l’elaborazione di una “carta delle autorità di vigilanza” che attribuirebbe chiaramente le competenze per lo svolgimento dei diversi compiti di vigilanza su base transfrontaliera. Ulteriori elementi sottolineati dalla Commissione sono: l’importanza della cooperazione internazionale sotto il profilo regolamentare, e soprattutto l’esportazione dell’ordinamento della Comunità per assicurare la stabilità finanziaria nei paesi dell’Europa orientale, che stanno compiendo progressi costanti, anche se non uniformi, nel recepire la legislazione UE sui servizi finanziari. LINEE D’AZIONE La Commissione: 9 contribuirà all’elaborazione di una “carta delle autorità di vigilanza” che definisca le responsabilità rispettive e meccanismi per il coordinamento dei diversi organismi aventi funzioni di vigilanza al livello UE. 9 riesaminerà le norme comunitarie in materia di requisiti patrimoniali degli enti creditizi. Il Consiglio e il Parlamento europeo: 9 dovrebbero adottare le proposte di direttiva in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi e delle imprese di assicurazione. Gli Stati membri: 9 dovrebbero spingere le loro autorità di vigilanza a contribuire al massimo al miglioramento dell’infrastruttura di vigilanza globale. e) Condizioni generali per un mercato finanziario UE pienamente integrato 8 La Commissione ritiene che un quadro normativo elastico e aggiornato non può da solo assicurare un funzionamento ottimale del mercato finanziario unico, ed auspica perciò la realizzazione di una serie di condizioni più ampie. A livello di infrastrutture un mercato pienamente funzionante presuppone l’esistenza di mezzi tecnici e pratici necessari perché il regolamento delle operazioni transfrontaliere possa essere effettuato con la stessa facilità ed efficienza del regolamento delle operazioni nazionali. Devono perciò essere colmate le lacune giuridiche dei sistemi di pagamento e di regolamento delle operazioni su titoli, e dei sistemi di pagamento al dettaglio. Riguardo la politica di concorrenza la Commissione riconosce un effetto positivo alla coperazione tra banche ed altre imprese di servizi finanziari nei limiti delle norme del trattato che vietano gli abusi di posizione dominante e accertandosi che gli accordi conclusi non implichino restrizioni della concorrenza. La Commissione ritiene anche che eventuali interventi degli Stati membri sotto forma di aiuti di Stato rischia di avere effetti distorsivi della concorrenza, e si impegna ad adoperarsi con energia per assicurare la parità delle condizioni di concorrenza, applicando rigorosamente le disposizioni del trattato in materia di aiuti di stato. Le politiche fiscali sono destinate a influenzare pesantemente la prestazione di servizi su scala transfrontaliera. I risparmi delle persone fisiche, ad esempio, sono fortemente sensibili alle differenze di tassazione dei redditi da capitale. Le distorsioni derivanti da tali differenze devono perciò essere minimizzate. Altri esempi di situazioni “patologiche” si riscontrano in materia di fondi pensione e assicurazione sulla vita, soprattutto per quel che riguarda le formalità relative ad adempimenti fiscali ed obblighi di informativa previsti negli Stati membri, che causano una lievitazione dei costi degli operatori. In materia di assicurazione sulla vita, infine, solo i premi versati ad un operatore nazionale beneficiano di un trattamento fiscale favorevole. La mobilità del lavoro costituisce un altro fattore indispensabile per il corretto funzionamento di un mercato paneuropeo. Le società che operano in più Stati membri non dovrebbero essere costrette ad istituire un fondo pensioni 9 distinto in ciascun paese, con conseguenti ripercussioni negative sul costo del lavoro4. LINEE D’AZIONE La Commissione: 9 presenterà proposte per accrescere la certezza giuridica per quanto riguarda l’impego di garanzie su base transfrontaliera. 9 ridurrà gli ostacoli di ordine statistico all’esecuzione di bonifici di importo modesto al dettaglio. 9 preseterà proposte per eliminare gli ostacoli fiscali all’affiliazione tranfrontaliera ai fondi pensione, agevolando così lo sviluppo di strutture societarie paneuropee e incoraggiando la mobilità del lavoro. Il Consiglio e il Parlamento europeo: 9 dovrebbero adottare la proposta di direttiva sulla tassazione del risparmio. Consiglio e gli Stati membri: 9 dovrebbero impegnarsi ad applicare il codice di condotta sulla tassazione delle imprese. 4 Questo problema è stato in parte affrontato dalla legislazione comunitaria nella direttiva 98/49/CE, relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi che si spostano all’interno della Comunità europea. 1 1.2 Il “Financial Services Action Plan” La comunicazione della Commissione COM(1999)232, 11.05.99 “Messa in atto del quadro di azione per i servizi finanziari: piano d’azione” (Financial services action plan) dà corpo alle iniziative la cui necessità è stata affermata nella precedente comunicazione del 28/10/1998 sui “Servizi finanziari: elaborazione di un quadro di azione”. IL FSAP è il risultato di un lungo processo di costruzione di un mercato unico dei servizi finanziari che ha avuto inizio negli anni settanta, e si pone il fine di confermare gli obiettivi ispiratori della politica in materia di servizi finanziari negli anni successivi, e di determinare l’ordine di priorità di tali obiettivi, delineando un calendario indicativo per il loro conseguimento e consigliando una serie di meccanismi strumentali alla loro realizzazione. Essenzialmente, le azioni contenute nel documento si suddividono in tre capitoli: mercati all’ingrosso, mercati al dettaglio e strutture di vigilanza. Viene dedicata attenzione anche alle modalità di messa in atto dello schema d’azione. a) Mercati all’ingrosso Innanzitutto il FSAP pone come priorità l’aggiornamento della direttiva sui servizi d’investimento (DSI), la cui applicazione viene ostacolata dall’atteggiamento delle autorità competenti del paese del cliente. Sorgono quindi urgenti esigenze di regolamentazione e nuovi problemi dovuti agli sviluppi dei mercati e delle tecnologie, soprattutto per quel che riguarda le borse, i sistemi alternativi di negoziazione, la raccolta di capitali su scala europea. Molta attenzione viene rivolta ai fondi pensione, e all’obiettivo che i gestori dovrebbero poter operare in un quadro coerente in tutto il mercato unico, la cui mancanza scoraggia la mobilità del lavoro e impedisce tutti i benefici che deriverebbero da un mercato unico dei sistemi pensionistici integrativi. Infatti, essendo fonte di capitale a lungo termine, i fondi pensione “comunitari” accrescerebbero il flusso di risorse disponibili per gli investimenti del settore 1 privato, stimolerebbero la creazione di posti di lavoro, abbassando il costo indiretto del lavoro, e allevierebbero il crescente onere del finanziamento delle pensioni di vecchiaia. La messa a punto di tale quadro è stata considerata dai membri del Gruppo per i servizi finanziari una priorità così importante da giustificare un dibattito specifico. Riguardo le operazioni di negoziazione transfrontaliera di valori mobiliari il FSAP sottolinea la necessità dell’accettazione reciproca e l’esecutorietà delle garanzie su scala transfrontaliera. Attualmente queste condizioni non sono soddisfatte e vi è un rischio più elevato che i contratti di garanzia transfrontalieri vengano invalidati e regna l’incertezza sulla loro esecutorietà in caso di insolvenza di chi ha fornito la garanzia. Il quadro sui mercati all’ingrosso si conclude con l’auspicio di una rapida adozione della direttiva sulle offerte pubbliche di acquisizione e dello statuto della società europea, che porterebbero ad un’organizzazione più razionale delle società nel mercato unico e aprirebbero la strada ad importanti proposte di direttiva sulle fusioni transfrontaliere di società e azioni, e sul trasferimento della sede sociale. Le ristrutturazioni societarie (fusioni, acquisizioni, OPA, ecc..) dovranno essere monitorate dalle autorità di vigilanza secondo criteri prudenziali, di trasparenza e di non discriminazione. Vanno però evitati ingiustificati ostacoli sulla base di considerazioni di ordine prudenziale, e di conseguenza qualsiasi procedura di autorizzazione deve essere fondata su un insieme di criteri obiettivi resi noti e mantenuti costanti nel tempo. b) Mercati al dettaglio Nonostante alcuni importanti adattamenti siano già stati applicati, rimangono numerosi ostacoli alla prestazione transfrontaliera di servizi. L’applicazione da parte degli Stati membri di norme nazionali per difendere i consumatori da pratiche commerciali sleali e garantire la solidità e l’integrità dei servizi finanziari rende impossibile per consumatori e fornitori il godimento dei benefici che il mercato unico produrrebbe in termini di scelta più ampia e condizioni concorrenziali. 1 Questi problemi di regolamentazione devono, secondo il FSAP, essere affrontati con determinazione, in quanto un’adeguata e progressiva armonizzazione delle regole in materia di commercializzazione e di informazione nell’insieme dell’Unione, offre la prospettiva di un mercato al dettaglio autenticamente integrato, che tenga nel debito conto gli interessi tanto dei consumatori quanto dei fornitori. La Commissione ha individuato sei aree di intervento fondamentali: 9 informazione e trasparenza: i consumatori devono disporre di informazioni che consentano loro di valutare le caratteristiche del contratto, il prestatore del servizio, e l’investimento proposto; 9 procedure di ricorso: occorre trovare un sistema efficiente ed efficace di soluzione per via giudiziaria ed extragiudiziale delle controversie per infondere la necessaria fiducia nell’attività transfrontaliera; 9 un’applicazione equilibrata delle norme di tutela dei consumatori; 9 preparare la strada per servizi finanziari al dettaglio basati sul commercio elettronico; 9 intermediari assicurativi: occorre definire un chiaro approccio comune per la regolamentazione degli intermediari assicurativi, facilitando la libera prestazione di servizi e consolidando, ad un livello elevato, la protezione dei consumatori; 9 pagamenti transfrontalieri al dettaglio: è necessario colmare le lacune tecniche e amministrative che rallentano e rendono costose le operazioni di bonifico e di pagamento mediante carta. c) Strutture di vigilanza Sotto il profilo della regolamentazione, secondo il FSAP, l’Unione dovrebbe tentare di applicare sempre alle sue istituzioni finanziarie una normativa prudenziale conforme agli standard più elevati. Questi devono essere sempre aggiornati agli sviluppi del mercato e i requisiti patrimoniali devono rispecchiare 1 con esattezza i rischi patrimoniali cui sono esposte le banche, le imprese di assicurazione e gli intermediari mobiliari nell’Unione. Per quanto riguarda invece la vigilanza, la più stretta integrazione dei mercati ha messo in primo piano l’esigenza di un rafforzamento della collaborazione nell’ambito dell’UE. Attualmente le decisioni in merito alle norme e alle modalità di vigilanza dei settore delle banche, delle assicurazioni, e dei mercati mobiliari viene condotta prevalentemente a tale livello. La fiducia reciproca nell’efficacia dell’opera di vigilanza e di regolamentazione condotta dai paesi partner è il fattore chiave di una efficace vigilanza transfrontaliera. d) La messa in atto dello schema d’azione La Commissione non sottovaluta le modalità della messa in atto dello schema d’azione, utili ad evitare che il processo si areni. Viene sottolineata la necessità di monitorare con frequenza le priorità di regolamentazione, valutandole in maniera olistica ed intersettoriale, e naturalmente quella di evitare il protrarsi oltremodo dei processi decisionali. Si auspica anche che le soluzioni adottate a livello UE debbano essere caratterizzate da una certa flessibilità in modo da non essere rese immediatamente obsolete dal rapido ritmo dei mutamenti dei mercati. Per ottenere le migliori soluzioni tecniche disponibili, la Commissione intende coinvolgere le altre istituzioni comunitarie e i rappresentanti delle categorie interessate a livello UE nelle discussioni sui lineamenti generali di qualsiasi iniziativa. Infine è di fondamentale importanza la rapida messa in atto delle soluzioni concordate, che allo stato attuale è penosamente lenta (non è insolito che per portare a termine una procedura legislativa occorrano tre o quattro anni). Piano D’azione per i servizi finanziari Il piano d’azione elaborato nel FSAP conferma gli orientamenti da seguire per trarre pienamente beneficio dell’introduzione della moneta unica e garantire la stabilità e la competitività dei mercati finanziari dell’UE. 1 Per ogni misura prevista nel piano d’azione è indicato un livello di priorità, secondo una scala articolata in tre gradi: 1. azioni con grado di priorità 1. Esiste un ampio consenso sul carattere estremamente urgente di queste azioni. Si tratta delle iniziative che devono essere realizzate nel termine più breve possibile. 2. azioni con grado di priorità 2. La Commissione considera queste azioni importanti perché adeguando la legislazione esistente o le strutture attuali alle nuove sfide poste dall’evoluzione dei mercati. 3. azioni con grado di priorità 3. Azioni su temi importanti, per i quali esiste un consenso chiaro e generale sul fatto che fatto che occorre lavorare in vista della messa a punto di una politica coerente in tempi medi (fine del periodo transitorio dell’euro). 1 1.3 Monitoraggio delle attività Il primo progress report5 riguardo il Financial Services Action Plan è stato pubblicato al Congresso ECOFIN, il 29 Novembre 1999. In esso la Commissione stessa nota che, pur essendo trascorsi soltanto cinque mesi dall’adozione dell’Action Plan, alcuni progressi sono già stati fatti, anche se in molte aree si denota la necessità di un maggiore impegno. Per realizzare molte delle azioni pianificate, la Commissione ha istituito il Financial Services Policy Group (FSPG), organo comprendente i rappresentanti dei ministeri dell’economia e delle finanze degli Stati membri e i rappresentanti della banca centrale europea. La relazione sottolinea i progressi compiuti in diversi settori in seguito all'adozione di un certo numero di misure previste, come la preparazione di una direttiva in materia di fondi pensione, l’adozione dela Comunicazione “Risk Capital Action Plan”, le proposte riguardo E-Money, e la proposta di regolamentazione dell’intermediazione assicurativa. La relazione fornisce inoltre una valutazione globale, positiva, degli sforzi fatti nell'elaborazione del lavoro di base per iniziative specifiche del piano d'azione, e invita in seguito la Commissione ad adoperarsi nei prossimi mesi per presentare una serie di misure importanti in conformità al calendario previsto dal piano d'azione (fondi pensione, Libro verde sulla direttiva relativa ai servizi d'investimento, modernizzazione delle disposizioni contabili, Libro verde sul commercio elettronico). La relazione, infine, sottolinea una mancanza di progressi in alcune aree, ed invita a prendere provvedimenti tempestivi. Il secondo progress report6 viene presentato al congresso ECOFIN del 31/05/2000, e il suo incipit “il consiglio europeo di Lisbona: una svolta” è indicativo sui contenuti. A Lisbona infatti, i capi di Stato e di governo hanno manifestato la volontà comune di realizzare gli obiettivi del FSAP entro l’anno 2005 e il Piano d’azione per il capitale di rischio entro il 2003. Queste scadenze 5 6 Comunicazione del 29/11/1999 COM(2000) 336 Final 1 diventano il nuovo punto di riferimento per i citati obiettivi, nonché per tutte le successive verifiche dei Piani d’azione. La Commissione constata che sono stati compiuti dei progressi sostanziali. Alcuni settori tuttavia hanno registrato pochi miglioramenti: statuto della società europea, frodi e contraffazioni nei sistemi di pagamento e recepimento da parte degli Stati membri della direttiva sul carattere definitivo del regolamento. Per rispettare la scadenza del 2005, deve essere accelerata l'attuazione del piano d'azione in cinque settori prioritari: un "passaporto europeo" per gli emittenti azionari, una maggiore comparabilità dell'informativa finanziaria sulle società, l'eliminazione degli ostacoli agli investimenti dei fondi pensione e degli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), un miglior funzionamento del mercato transfrontaliero dei pronti contro termine e accordi di riacquisto dei titoli e una revisione della direttiva sui servizi d'investimento. Nel terzo progress report7 del Novembre del 2000, la Commissione manifesta la convinzione che in assenza di un coordinamento e una dinamica maggiori, non sarà possibile rispettare la scadenza del 2005. Su richiesta del Consiglio Ecofin, la Commissione ha riesaminato il FSAP per precisarne le priorità e ha indicato, per ciascuna di esse, un percorso critico da seguire per poter rispettare la scadenza del 2005. La Commissione suggerisce, per ciascuna istituzione, una serie di priorità critiche per i successivi sei mesi, che potranno essere riesaminate e sviluppate nelle prossime relazioni di avanzamento per mantenere lo slancio verso la scadenza del 2005. La Commissione tiene peraltro a sottolineare che tutte le misure del Piano d'azione devono progredire parallelamente, se si vuole che le politiche dell'Unione relative ai mercati dei capitali e ai servizi finanziari producano tutti i risultati voluti. Al fine di migliorare il coordinamento fra le istituzioni è stato creato il cosiddetto “Gruppo 2005”8, e ad esso è stato affidato il controllo del dettagliato calendario delle scadenze del FSAP. 7 COM(2000) 692/2 Final Il Gruppo 2005 comprende il presidente del comitato degli affari economici e monetari, i rappresentati della Presidenza e il commissario responsabile dei servizi finanziari. Obiettivo di questo Gruppo 2005 - un gruppo informale - è allineare i calendari di lavoro sulle misure del 8 1 A Giugno del 2001 la Commissione pubblica il quarto progress report9. La relazione valuta i progressi delle proposte e direttive in materia. Indica che la decisione spetta ormai al Consiglio ed al Parlamento europeo. Infatti, dalla presentazione del Piano d'azione, 18 misure sono già state presentate e benché siano stati raggiunti accordi su alcuni punti, altre questioni costituiscono ancora delle vere e proprie sfide. Occorrerà una autentica volontà politica per attuare il Piano in tutti i suoi elementi entro le scadenze del 2003/2005; ciò vale ad esempio per l'istituzione dei due comitati sui valori mobiliari raccomandato dalla relazione Lamfalussy10. La relazione segnala inoltre che occorre tenere conto dei rapidi cambiamenti intervenuti nel settore bancario, poiché la revisione della regolamentazione (sorveglianza) è più urgente di quanto previsto. Il testo tratta anche la cooperazione transfrontaliera delle borse, ed illustra infine i progressi compiuti (conglomerati finanziari, opuscolo da pubblicare per i titoli offerti al pubblico o quotati, abuso di mercati, rischio legato ai titoli depositati in garanzia ed al credito) così come gli ostacoli (fondo pensione e commercio elettronico). Il quinto progress report11 del 30 Novembre 2001 sottolinea la necessità urgente di far fronte alle più recenti evoluzioni che hanno interessato il settore, quali l'introduzione dell'euro, la flessione dell'economia, il perturbamento dei mercati finanziari a seguito degli attentati dell'11 settembre 2001 e la lotta contro il finanziamento del terrorismo. La relazione nota con soddisfazione i progressi realizzati, quali l'adozione della direttiva antiriciclaggio, l'accordo sul regolamento relativo ai pagamenti transfrontalieri, l'adozione dello statuto di società europea, l'accordo politico sulla direttiva relativa sulla vendita a distanza e l'istituzione, nel settore dei valori mobiliari, dei comitati raccomandati nella relazione Lamfalussy. Tuttavia, le FSAP per evitare ritardi, scambiare pareri sugli aspetti politici chiave di tali misure, e aggiornarsi sui progressi compiuti. 9 COM(2001) 286 Final 10 Il Committee of Wise Men on the Regulation of European Securities Markets, presieduto da Alexandre Lamfalussy, ha pubblicato nel Novembre del 2000 una relazione sugli scenari economici del mercato unico e sui possibili sviluppi. 11 COM(2001) 712 Final 1 proposte relative ai fondi di pensione, agli opuscoli, ai conglomerati finanziari e alle norme contabili internazionali, così come la nuova proposta sulle offerte pubbliche d'acquisto rappresentano altrettante misure chiave che dovranno essere adottate rapidamente. In una conferenza stampa, il commissario per il mercato interno Frits Bolkenstein rilascerà questa dichiarazione: "Progress so far has been broadly satisfactory, but is not sufficient in itself to guarantee the integration of financial markets in the near future. After the 11 September attack we responded very rapidly with the adoption of the anti-money laundering Directive and the Regulation on cross-border bank transfers was agreed in record time. We need the same resolve to tackle all the remaining issues. An integrated European financial sector will be a motor for economic growth and jobs and a shield against financial instability. It will enable EU citizens and businesses to reap the full benefits of euro. The European Parliament and the Council must deliver on time." In essa traspare tutta la preoccupazione per un periodo che si presenta socialmente ed economicamente instabile, ma anche estrema fiducia nel cammino svolto dall’UE, auspicando la massima velocità nella realizzazione degli obiettivi del FSAP: un mercato interno pienamente integrato, infatti, potrebbe permettere ai cittadini e all’economia di godere appieno dei benefici portati dall’Euro. Il sesto progress report12 del 03/06/2002 è accompagnato da ottimistiche dichiarazioni di Romano Prodi e Frits Bolkenstein, che rispecchiano il contenuto della relazione stessa il cui incipit è indicativo: “il clima migliora: ma c’è ancora abbastanza da fare”. In essa si constata che progressi tangibili sono stati realizzati ma ritiene che i quindici Stati membri debbano fare di più. Ricorda che in particolare devono essere adottate in tempi brevi le proposte che vertono sugli abusi di mercato, le garanzie finanziarie, la vendita a distanza dei servizi finanziari, gli intermediari assicurativi, gli opuscoli, i conglomerati finanziari, le norme contabili internazionali ed i fondi di pensione integrativa. Le presidenze belga e spagnola hanno contribuito a dare il necessario impulso politico affinché l’invito a compiere progressi concreti e tangibili del quinto 12 COM(2002) 267 1 progress report potesse essere accolto. Rimangono comunque molte perplessità sul raggiungimento degli obiettivi secondo il calendario stabilito a Lisbona, e preoccupazioni riguardo la direttiva sui fondi pensione, e altre direttive di non minore importanza. Il settimo progress report13 conclude che il FSAP è ad un buon punto di realizzazione. La relazione sottolinea che l’entrata in vigore delle nuove misure deve concentrare l’attenzione dell’UE sulla corretta e tempestiva implementazione ed applicazione. Vengono evidenziati i notevoli progressi conseguiti nell'integrazione del settore, in particolare per quanto riguarda i servizi d'investimento, l'adeguatezza patrimoniale delle banche e delle imprese d'investimento, la compensazione ed il regolamento, la nuova proposta sulle OPA, gli opuscoli, i fondi pensione, i conglomerati finanziari e gli abusi di mercato. Infatti, quasi tutte le misure considerate prioritarie per il 2001 sono state adottate. Il testo sottolinea tuttavia che lo stesso slancio deve essere mantenuto se si vuole rispettare la scadenza fissata dal FSAP (2005) nonostante i problemi incontrati dai mercati finanziari e la perdita di fiducia degli investitori. Per garantire un migliore seguito del FSAP, la Commissione svilupperà una serie di indicatori al fine di ottenere una migliore classificazione, per ordine di priorità, delle misure di politica finanziaria. È anche auspicabile estendere il metodo "Lamfalussy" che permette di rispondere rapidamente ed in modo flessibile agli sviluppi del mercato per l'insieme dei settori finanziari. Infine, si deve elaborare fin dal 2003 un Piano d'azione per il diritto societario, compreso il governo societario. La Commissione pubblica l’ottavo progress report14 a metà del 2003 dichiarando che il positivo panorama economico globale è un’importante impulso verso la realizzazione di un mercato integrato europeo, e che i progressi politici verso il raggiungimento dell’obiettivo sono molti ed evidenti: 32 delle 42 misure legislative originali sono infatti già state realizzate. La relazione giunge così ad una conclusione importantissima: per permettere l’implementazione del FSAP 13 14 Bruxelles 03/12/2002 Bruxelles 03/06/2003 2 entro la deadline del 2005, tutte le misure legislative dovranno essere adottate entro nove mesi (Aprile 2004) dal progress report stesso. A testimonianza di questo orientamento ottimista e del desiderio di portare a termine il programma nel più breve tempo possibile, la dichiarazione del commissario per il mercato interno Frits Bolkestein: "The clock is ticking. We have nine months to deliver the remaining parts of the Financial Services Action Plan. Most of the Commission proposals are on the table: it is now up to the European Parliament and the Member States to ensure that European businesses and consumers can reap the benefits of financial integration. There is a huge economic prize out there estimated at a direct windfall gain of at least 130 billion euros for the financial services sector, not to mention the knock on effects of cheaper capital for Europe's businesses. The end result will be renewed confidence, more economic growth and more jobs. We must not let that slip. " A Novembre del 2003 una relazione intermedia, il nono progress report15 giunge alla conclusione che il FSAP è stato uno dei motori dello sviluppo del mercato dei capitali europeo. Il FSAP ha infatti migliorato le prospettive di crescita sostenibile derivante dagli investimenti e le prospettive di occupazione. Tuttavia la relazione sottolinea che per via delle elezioni del Parlamento europeo e dell'allargamento dell'Unione europea a Maggio e Giugno 2004, è essenziale giungere ad un accordo nel corso dei quattro mesi successivi sulle misure importanti del FSAP che devono essere ancora adottate, ovvero: la direttiva sui servizi di investimento, la direttiva sulla trasparenza e la direttiva sulle offerte pubbliche di acquisto. Infine la relazione pone l'accento sulle iniziative prese dalla Commissione per valutare l'attuale stato di integrazione dei mercati finanziari europei. Il 2 Giugno 2004, come stabilito, viene pubblicato il decimo e ultimo progress report16 di monitoraggio sull’implementazione del FSAP. Il 93% delle misure legislative previste è stato completato, e tutto ciò grazie ad un sapiente 15 16 Bruxelles 25/11/2003 Bruxelles, 02 Giugno 2004 2 lavoro di pianificazione e coordinazione tra le strutture dell’Unione. Ma per valutare effettivamente il successo o meno del lavoro iniziato nel 1999 con la pubblicazione dell’Action Plan, sarà necessario attendere un periodo di tempo durante il quale sarà possibile valutare, mediante una buona e puntuale implementazione delle misure, l’effettivo impatto del FSAP. E’ proprio Frits Bolkenstein a pronunciarsi riguardo questo argomento: “This report brings good news. The progress already made on the FSAP is a substantial achievement by all the European Institutions and by national regulators and supervisors, based on high quality input from market participants and experts. But we must keep the champagne on ice for now. The time for celebration will be once all the FSAP measures are working smoothly on the ground and when Europe’s economy is reaping the full benefits. I am sure that time will come, but we have a long way to go yet.” La relazione quindi enfatizza che è ancora troppo presto per poter valutare se il FSAP abbia raggiunto o meno i suoi obiettivi. Molte delle misure legislative chiave sono entrate in vigore da pochissimo tempo mentre altre non sono ancora state recepite dagli Stati membri. Ciononostante il FSAP funziona come impulso per il cambiamento del mercato, in quanto tutti i mercati finanziari si stanno riorganizzando su base extra-nazionale. 2 1.4 FSAP Evaluation Part I Il Financial Services Action Plan, lanciato nel 1999 è stato portato a termine quasi completamente alla scadenza del 2004, con l’adozione di 39 misure legislative su 4217. Questo risultato da considerare un grande successo in termini di procedura legislativa, soprattutto tenendo conto della vastità e della portata innovativa del programma, il cui impatto sul mercato ha prodotto effetti mai sperimentati nell’area dei servizi finanziari. Raggiunto il termine finale per il completamento del FSAP si è sentita la necessità di valutare oggettivamente il grado di successo delle misure legislative, apprenderne lezioni per le politiche future, e ottenere dei feedback da parte degli operatori e delle istituzioni. Per questi motivi il 7 Novembre del 2005, la Commissione ha pubblicato la prima parte della valutazione dell’Action Plan: “FSAP Evaluation – Part I: process and implementation”, che risponde appunto all’esigenza di ottenere valutazioni ex-post dell’impatto dell’Action Plan stesso. Nella relazione vengono analizzate le modalità nelle quali le varie misure legislative e non legislative sono state adottate. Oltre a questo il testo esamina le procedure, i progetti e le modalità di lavoro. In occasione della conferenza stampa di presentazione della relazione, Charlie McCreevy, commissario per il mercato interno e i servizi ha dichiarato: “It is our job to ensure that the measures we adopt are of the highest possible quality, reflect the reality on the ground and have the potential to bring tangible benefits. That is why we’re now asking for comments on the adoption process of the FSAP. Such input will be invaluable when we come to analyse whether there are things we could do better in future.” Questa richiesta di feedback sulla prima parte della valutazione del FSAP dà la possibilità a tutte le parti interessate di esprimere le proprie opinioni riguardo il processo di adozione delle misure. La Commissione è particolarmente interessata a conoscere opinioni sulla percezione generale del FSAP, sulla consultazione, sul processo Lamfalussy e sulle lezioni imparate dal FSAP, come: 17 Altre due misure legislative sono state adottate durante il 2005, portando la percentuale di completamento al 98%. 2 9 qual è stata la tua personale esperienza sul processo di implementazione delle misure del FSAP? 9 qual è stata la tua percezione del volume di consultazioni finalizzate all’elaborazione delle misure del FSAP? 9 qual è la tua valutazione dei lavori della struttura Lamfalussy fino ad ora? Tutte le risposte provenienti dalle parti interessate, sono da Febbraio 2006 oggetto di studio e analisi per poter essere incoroporate all’interno del report finale. Analisi della struttura del FSAP L’ ”evaluation Part I” si apre con una dettagliata analisi della struttura del FSAP, per poter rispondere alle domande: “qual è stato l’effetto della costruzione di un piano d’azione a così ampio raggio?” e “le priorità iniziali hanno influenzato il calendario per l’adozione delle misure finali, e in che maniera?”. La relazione pone la sua attenzione sul “framework” del 1998 e sull’Action plan stesso: in essi sono state delineate le iniziative finalizzate alla creazione di un unico mercato finanziario che potesse servire come motore per la crescita, la creazione di posti di lavoro, e per accrescere la competitività dell’economia Europea. Pur essendo difficile quantificare l’effetto della pubblicazione di un progetto così vasto, si può comunque sostenere che il lancio di tali iniziative sia stato un elemento chiave dell’eventuale successo del FSAP. Diventare l’economia più dinamica del mondo entro il 2010, obiettivo delineato a Lisbona, fece diventare il FSAP il fulcro di questo cambiamento. Le istituzioni infatti, con l’avvicinarsi della deadline, hanno dovuto lavorare coralmente e con celerità, poiché su di esse pesava tutta la pressione dell’opinione pubblica, della politica, e di un mercato in fase di transizione. Altri fattori cruciali sono entrati in campo: prima di tutto il lancio dell’Euro, che ha creato i presupposti per un mercato finanziario fortemente integrato, e secondariamente l’utilizzo da parte della Commissione, a supporto del suo programma, di analisi economiche accolte favorevolmente dai maggiori 2 esperti di economia europei, alimentando il clima di fiducia nei confronti del mercato unico. Tutto ciò, come detto, ha portato ad un estremo e mai sperimentato grado di cooperazione tra le istituzioni, con tempi di adozione delle misure molto inferiori alla media e persino il recupero di iniziative che sembravano giunte ad un punto morto. Nell’Action Plan del 1999, ognuna delle misure previste era accompagnata da uno specifico livello di priorità, da 1 a 3. Tutte le proposte legislative, tranne quella sulle offerte pubbliche di acquisto18, dotate di priorità 1 sono state realizzate puntualmente entro Aprile del 2002. Le priorità 2 (sia legislative che non legislative) sono state realizzate entro la deadline del 2004, tranne la direttiva sui requisiti patrimoniali minimi19. Si ritiene però che quest’ultima non potesse essere implementata nei tempi previsti in quanto prematura. Le misure con priorità 3 comprendono anche le ultime due azioni (su 42) che non sono state portate a termine entro la deadline del 2004: le proposte di direttiva sulle fusioni20 e i trasferimenti di sede. Nonostante molte delle misure con grado di priorità 1 (soprattutto quelle non legislative) fossero già in avanzato stadio di lavorazione al momento della pubblicazione dell’Action Plan nel 1999, il fatto stesso che siano state tutte completate entro i tempi previsti dà una dimostrazione di quanto possa essere efficace e vantaggioso affrontare un ampio e vario progetto con scadenze definite, quando vi è un forte supporto politico per la realizzazione degli obiettivi. Il calendario dell’introduzione delle varie misure del FSAP è stato influenzato da una varietà di fattori, come l’applicazione dell’approccio Lamfalussy21, l’intensità delle consultazioni portate avanti per molte delle misure, 18 La direttiva sulle OPA è stata completata entro la deadline del 2004. Approvata dal Parlamento Europeo il 28 Settembre 2005 20 Dopo un voto positivo del Parlamento Europeo la direttiva sulle fusioni è stata adottata il 19/09/2005. 21 Il processo Lamfalussy è un approccio a quattro livelli per elaborare la legislazione. Il primo livello è quello di progettazione, seguito dal secondo nel quale la Commissione implementa le misure. Al terzo livello si provvede a delineare una comune e definitiva guida interpretativa; il quarto livello conclude il processo con la Commissione che controlla i tempi e i modi di trasposizione della disciplina comunitaria negli Stati membri. 19 2 e alcuni eventi esterni che possono aver rafforzato la pressione per la conclusione entro la deadline del 2004. Il processo Lamfalussy è stato lodato da molti per aver velocizzato in maniera non trascurabile i tempi di adozione della legislazione, ma ha subito anche alcune critiche. Spesso infatti i termini per la trasposizione delle direttive sono stati considerati eccessivamente stringenti, i tempi per le consultazioni ridotti rispetto al normale, e i calendari di realizzazione non pienamente realistici. Ciononostante, nel Novembre del 2003, la Commissione ha lanciato un pacchetto di misure finalizzate all’estensione del processo Lamfalussy all’area dei fondi d’investimento, delle banche e delle assicurazioni. Riguardo l’influenza delle consultazioni, quando esse sono state condotte, la reazione generale è stata sicuramente positiva sui risultanti testi legislativi. Indubbiamente la preparazione, le risposte, la ricerca di conclusioni dopo l’esercizio di consultazioni ha prolungato i tempi necessari per preparare le proposte legislative. Comunque, le proposte derivanti da consultazioni si sono dimostrate di qualità superiore, integrando al loro interno i differenti punti di vista delle parti interessate, in maniera tale da diminuire l’opposizione di obiezioni quando i testi venivano sottoposti al Parlamento e al Consiglio. Quindi i tempi maggiori richiesti dalle consultazioni vengono poi recuperati nelle fasi successive: ad oggi questo metodo è diventato uno standard. E’ discussa anche l’eventuale influenza sulle azioni previste dal FSAP da parte di elementi esterni. Sicuramente alcune iniziative intraprese nell’ambito del FSAP hanno ricevuto un maggiore impulso dagli eventi di mercato che si sono verificati durante il processo di realizzazione, in particolare: l’affare Enron22 negli 22 Nel 2002 la Enron, società energetica americana, improvvisamente fallì. L’avvenimento giunse del tutto inaspettato poiché ufficialmente l’azienda negli ultimi 10 anni aveva avuto una crescita molto rapida, decuplicando il proprio valore e raggiungendo il 7° posto nella classifica delle più importanti multinazionali degli USA. Tuttavia nel giro di pochissimo tempo le azioni Enron, da tutti considerate solidissime, persero tutto il loro valore, passando dalla quotazione di 86 dollari a 26 centesimi, bruciando così circa 60 miliardi di dollari nel giro di tre mesi. Ciò portò numerosi dipendenti a gravi difficoltà, poiché gli era stata fatta una proposta che permetteva loro di acquistare le azioni della società e non poterono far nulla per ripararsi dal disastro. I più alti dirigenti della società invece non subirono alcuna perdita, poiché avevano venduto le loro azioni prima del crack, realizzando così enormi guadagni; per essi infatti non era prevista alcuna clausola che gli impedisse di liberarsi delle proprie quote. L’opinione pubblica pretese chiarimenti, poiché pareva inspiegabile che una multinazionale che aveva un fatturato di circa 130 miliardi di dollari all’anno crollasse così rapidamente senza segnali premonitori. 2 Stati Uniti e lo scandalo Parmalat23 in Italia. Questi eventi focalizzarono l’attenzione delll’opinione pubblica e della politica sulle regole del controllo delle società, sul diritto societario, e sul ruolo dei revisori contabili, causando indirettamente un’accellerazione del processo di realizzazione delle iniziative in materia, previste dal FSAP. Indubbiamente un altro elemento importante è stato l’introduzione dell’Euro, che ha dato un’impulso decisivo alla conclusione di affari da parte dei consumatori in tutta l’area della moneta unica. Non va sottovalutata infine, nell’ambito dei fattori che hanno influenzato la realizzazione del FSAP, la pressione della deadline sulle istituzioni comunitarie. Questo fattore, combinato con la pressione addizionale causata dalla fine della legislatura del sesto Parlamento Europeo e con il termine della Commissione di Romano Prodi, fu stimolo importante per la realizzazione di tre direttive prioritarie tra il primo quarto del 2003 e la l’inizio del 2004, nonché di altre numerose azioni di grande importanza. Comparazione tra il risultato finale e il progetto iniziale Ci sono sicuramente alcune differenze sostanziali tra i contenuti originali dell’Action Plan e quanto poi è stato realizzato. Ciò è dovuto alla necessità sopravvenuta di rendere di più ampio respiro molte delle misure legislative originariamente previste. Le azioni che non hanno subito particolari variazioni sono principalmente quelle che erano già ad un avanzato stadio di lavorazione al momento della pubblicazione del FSAP. Altre misure invece non si sono discostate dagli obiettivi 23 Il crack Parmalat è stato soprannominato “la Enron d’Europa”. Nel dicembre 2003, il gigante italiano di latticini e alimenari, Parmalat, ha fatto fallimento. La caduta drammatica della Parmalat fu scatenata quando la Bank of America dichiarò che un documento attestante 4 miliardi di Euro sul conto di una loro filiale alle Isole Cayman era contraffatto. Solo un paio di mesi prima, i manager della Parmalat avevano dichiarato di essere in pareggio con 4,2 miliardi di Euro, ma il 19 dicembre 2003 ammisero di l’esistenza di un buco pari a 4 miliardi di Euro nelle finanze della compagnia. Data la complessita’ degli espedienti finanziari usati dai manager della Parmalat, associata a transizioni finanziarie (come ad esempio derivati) fuori dal bilancio e fondi nascosti in consociate offshore alle Isole Cayman, non esiste una valutazione esatta del debito complessivo della compagnia. Le stime variano da 8 a 14 miliardi di Euro, mentre le autorita’ stanno ancora indagando sullo stato reale delle finanze della compagnia. 2 originali previsti dall’Action Plan, ma hanno richiesto in seguito ulteriori lavori e azioni correttive. Un esempio a riguardo si ha in materia di assicurazioni. Verso la scadenza del termine infatti, sono venute in essere una quantità di iniziative nell’area assicurativa non previste dall’Action Plan: gli schemi di garanzia assicurativa, che proteggono i contraenti dal fallimento delle Compagnie, la Supervisione sulla Riassicurazione, e la solvibilità. Considerando però l’Action Plan come un corpo unico, e non come un insieme di iniziative separate tra loro, si giunge facilmente alla conclusione che tutte le azioni intraprese al di fuori del progetto originario, possano essere considerate anch’esse realizzazione degli obiettivi del FSAP. Conclusioni Le misure introdotte durante il FSAP non sono certamente diventati dogmi. E’ chiaro che l’ambiente legislativo debba essere continuamente aggiornato per tenere il passo con l’evoluzione dei servizi finanziari in Europa e nel mondo. Sicuramente il completamento del FSAP nei tempi previsti è da considerarsi un successo d’importanza fondamentale, soprattutto per il nuovo approccio alla legislazione che potrebbe conseguirne. L’utilizzo del metodo Lamfalussy ha dotato l’Unione di una maggiore flessibilità per rispondere agli eventi di mercato, ed in generale di maggiore ponderazione, razionalità, e qualità delle misure introdotte. Va detto però che ci sono sicuramente alcuni difetti visibili nel Financial Services Action Plan dovuti principalmente ai termini stringenti nei quali sono state realizzate tutte le azioni. Questo argomento ha avviato una fase di valutazione riguardo la velocità a discapito della qualità, anche qui tenendo il dovuto conto dell’utilizzo innovativo del metodo Lamfalussy. L’ Evaluation Part II verrà pubblicata tra il 2006 e il 2008, dopo che tutte le misure legislative del FSAP saranno state implementate negli Stati membri, per poterne osservare l’effettivo impatto economico sul campo. 2 1.5 Monitoraggio dell’adozione delle direttive negli Stati membri Il monitoraggio dell’adozione delle direttive negli Stati membri è un’attività fondamentale per la realizzazione degli obiettivi del FSAP. Senza di essa infatti i soddisfacenti risultati ottenuti nella fase legislativa comunitaria verrebbero fortemente compromessi dall’inerzia degli Stati membri. Per questo motivo il monitoraggio viene effettuato in maniera costante e completa, in modo da permettere alla Commissione di intervenire ove ritenga vi sia necessità. Due volte al mese vengono pubblicati tre documenti di monitoraggio, che analizzano la trasposizione delle direttive del Financial Services Action Plan: 9 l’analisi direttiva per direttiva (allegato 5); 9 la percentuale di completamento in base alle direttive (allegato 6); 9 la percentuale di completamento in base allo Stato membro (allegato 7). Il report che analizza la trasposizione direttiva per direttiva si compone di più colonne. Nella prima da sinistra viene descritta “l’azione” (es. direttiva sulla mediazione assicurativa), nella seconda colonna il tipo di misura (direttiva, comunicazione), nella terza la deadline per la trasposizione negli Stati membri. Dopo di queste sono presenti numerose colonne, ognuna delle quali analizza la situazione Stato per Stato. La legenda del report contempla alcune voci, in base ad ognuna delle quali si delinea una situazione diversa della trasposizione della direttiva: 9 CP: parzialmente notificata alla Commissione; 9 NC: nessuna notifica ricevuta dalla Commissione; 9 EX: notifica ricevuta e sotto esame della Commissione; 9 OK: notifica approvata dalla Commissione, oppure nessuna notifica richiesta; 9 NA: non applicabile (= ok) 9 D: derogabile (=ok). Dal report più recente (17/07/2006) si evince che molte delle direttive hanno ottenuto completa trasposizione nelle legislazioni degli Stati membri, anche se rimane ancora una grande mole di lavoro da fare. 2 Ad esempio, analizzando nel particolare la direttiva 2002/92/EC sulla mediazione assicurativa, la cui deadline per la trasposizione era il 15/01/2005, si nota che la situazione Stato per Stato è abbastanza altalenante. Ritardi significativi si segnalano in Germania, Grecia, Spagna, Portogallo, mentre l’adozione è solo parzialmente completata in Francia e a Malta. Ben più problematica è la situazione per altre direttive, come la 2004/109/EC sulla Trasparenza, la cui deadline è il 20/01/2007 e che a tutt’oggi non ha trovato applicazione in nessuno degli stati membri. Ma la scadenza futura non sembra essere l’unico motivo dell’inerzia degli Stati, in quanto anche per direttive la cui deadline è già stata superata (come la 2004/25/EC, deadline 20/05/2006 “Take Over Bids”) si nota ancora una bassissima percentuale di trasposizione. Il fatto che nessuna delle direttive, il cui termine non è ancora scaduto, abbia ricevuto trasposizione può significare che gli Stati abbiano bisogno dell’intero margine di tempo a disposizione, o che preferiscano ritardare il più possibile l’azione per motivi di risorse. Chiaramente c’è un lavoro considerevole da svolgere nell’area della trasposizione, e il fatto che molti degli Stati non rispettino le scadenze è insostenibile, in quanto questo ritardo incide negativamente sui benefici che il mercato unico potrebbe apportare. L’unico mezzo a disposizione dell’Unione per migliorare questa situazione è la pressante minaccia di procedimenti d’infrazione contro gli Stati membri inadempienti. Oltre a questa considerazione si ritiene comunque necessaria una maggiore e continuata co-operazione tra gli Stati stessi. Procedendo nell’analisi dei report, alcune interessanti osservazioni possono essere effettuate sullo stato di trasposizione in percentuale delle direttive la cui deadline sia già passata. Solo metà delle direttive raggiunge il 100%, inteso come trasposizione in tutti gli Stati membri. Delle restanti direttive, molte hanno comunque una percentuale alta di trasposizione, superiore all’80%. I risultati maggiormente negativi si evidenziano in relazione alle direttive sui Prospetti, quella sui Cambi di Gestione (take-over bids), e all’importantissima direttiva sulle Società Europee. 3 Il report che analizza la situazione Stato per Stato invece mostra come il livello generale di trasposizione sia superiore al 70% in tutti gli Stati, con punte del 95% in Repubblica Ceca, Estonia, ed Olanda. Si posizionano intorno alla percentuale minima la Francia, la Lituania e il Portogallo, mentre l’Italia si attesta intorno all’80%. Naturalmente questi dati vanno analizzati in un contesto politico, sociale ed economico che varia a seconda dello Stato, e quindi non possono essere pienamente indicativi solo su base numerica. 3 1.6 L’attività del Financial Services Policy Group La comunicazione 625 del 1998, “elaborazione di un piano d’azione” istituisce il Financial Services Policy Group (FSPG), il cui compito è quello di realizzare un dettagliato calendario del FSAP mediante l’assegnazione di priorità a determinate azioni. Il Policy Group è composto dai ministri Ecofin, dai rappresentanti della Banca Centrale Europea ed è diretto dalla Commissione stessa. Oltre all’identificazione delle priorità lo scopo del FSPG è quello di segnalare alla Commissione le condizioni di mercato ideali per assicurare il funzionamento ottimale del mercato unico. La prima riunione del Gruppo si tiene a Bruxelles il 28 Gennaio 1999, su stimolo della Commissione, per dare un rinnovato impeto alla realizzazione del mercato integrato europeo. In questa prima seduta al Gruppo viene richiesto di esaminare quattro aree: dove siano necessarie immediate misure legislative, dove sia necessario un aggiornamento della legislazione esistente, dove la legislazione esistente debba essere semplificata, ed infine dove essa debba essere resa maggiormente coerente. Nel documento che ne è risultato vengono delineate appunto le priorità immediate. Il FSPG invita le istituzioni Europee a realizzare in tempi brevi una legislazione nel campo della liquidazione delle banche e delle assicurazioni, in quello dei cambi di gestione e nel campo dello Statuto della Società Europea. In campo invece di aggiornamento legislativo il Gruppo focalizza l’attenzione sulla disciplina dell’antiriciclaggio, delle OPA e del riconoscimento dei prospetti. Questa prima seduta del Financial Services Policy Group avrà un considerevole impatto sulla formazione dell’Action Plan, che verrà pubblicato pochi mesi dopo. Il 19 Ottobre del 1999 il FSPG, sotto la direzione del Commissario Europeo per il Mercato Interno Frits Bolkenstein, si riunisce per la quarta volta, per monitorare lo stato dell’implementazione dell’Action Plan. Sono trascorsi soltanto cinque mesi dalla pubblicazione del FSAP e il Gruppo, nella relazione pubblicata, sostiene che i progressi possano essere considerati soddisfacenti e 3 pianifica un successivo monitoraggio a Giugno del 2000. Nella relazione vengono evidenziate nuove priorità, come in materia di fondi pensione ed ecommerce. Il secondo report sull’implementazione dell’Action Plan viene pubblicato in occasione del settimo incontro del Gruppo, l’11 Maggio 2000, successivamente al Congresso Straordinario di Lisbona. Questo Congresso ha avuto un’importanza chiave nello scadenziario del FSAP poiché ha posto il termine ultimo per il completamento delle misure previste dall’Action Plan all’anno 2005, per quel che riguarda il piano d’azione sui Capitali di Rischio all’anno 2003. Il Gruppo quindi, nell’analizzare i progressi realizzati fino a quel momento tiene conto anche della portata innovativa di una deadline così stringente. Nella relazione viene sottolineata l’importante approvazione della disciplina in materia di e-commerce, e gli sforzi per quel che riguarda l’approvazione della disciplina sulla liquidazione degli istituti di credito. Secondo il FSPG il cammino svolto verso il mercato unico si sta rivelando soddisfacente, ma non sufficiente nell’ottica della deadline, perciò in questa occasione il Gruppo richiede alle istituzioni Europee un maggior impegno nell’implementazione delle priorità. Nell’Aprile del 2001, in occasione del decimo congresso, il Gruppo assume una posizione simile, con lo scopo di spronare ed ottenere un maggior impegno in determinate materie da parte delle istituzioni. A Stoccolma, infatti, il Congresso ha richiesto una rapida implementazione dell’Action Plan, un’accelerazione del processo legislativo, oltre a confermare la scadenza del 2005. Per rispondere rapidamente alle sfide del Congresso il FSPG ha rielaborato il proprio piano di lavoro per collaborare al meglio con la Commissione alla tempestiva realizzazione delle priorità. Verso la fine del 2001 il policy group si occupa di valutare l’impatto sul mercato degli eventi successivi all’ 11/09 americano. La preoccupazione di un rallentamento del progetto dovuto ad un crollo dell’economia è forte, ma il Gruppo nell’undicesimo e nel dodicesimo report assicura che i mercati hanno retto abbastanza bene. Preoccupazione permane nell’ambito dei servizi finanziari. 3 A Giugno del 2002, in seguito ad un suggerimento della Commissione, il Consiglio Ecofin ha considerato appropriato riconfigurare il Financial Services Policy Group sotto la presidenza degli Stati Membri, per indirizzare la politica e dare valutazioni sugli elementi del mercato finanziario al Consiglio Ecofin. Per riflettere il suo nuovo ruolo e status, il Financial Services Policy Group può essere rinominato come Financial Policy Committee (FPC). Oltre alle finalità già esposte, il FPC ha il compito di colmare il distacco tra l’ambiente politico e i giudizi di natura tecnico-economica, elaborando relazioni sulle strategie da seguire in tutti i settori del mercato finanziario, influenzando così il processo legislativo. In particolare il FPC ha un ruolo di indirizzamento della politica, creando una connessione con il consiglio Ecofin: 9 definendo le strategie a medio e lungo termine (ad esempio per il periodo successivo al FSAP); 9 considerando le necessità di breve periodo (ad esempio: il controllo del finanziamento del terrorismo, la riassicurazione, la fase attuale del FSAP); 9 valutando i progressi e l’implementazione del FSAP. Oltre a tutto questo il FPC deve anche occuparsi di valutare politicamente e dare visioni d’insieme sia riguardo il mercato interno sia quello esterno. L’FPC naturalmente ha l’obbligo di rispettare le prerogative istituzionali esistenti, soprattutto il diritto d’iniziativa della Commissione e il ruolo di controllo di essa. In generale il Committee deve contribuire a creare un clima di cooperazione e fiducia reciproca tra le istituzioni comunitarie. Nella sua attività il Policy Group deve evitare di impegnarsi in materie eccessivamente tecniche e i suoi membri non devono essere coinvolti nei comitati legislativi, ma devono collaborare attivamente con essi. Si riconosce quindi al Financial Policy Committee un ruolo importante, ma che richiede considerazioni prudenziali. Il gruppo comunque deve godere di autonomia e flessibilità nelle proprie attività e decisioni. 3 1.7 L’attività del “Forum Group of Market Experts” Il Financial Services Action Plan ha istituito una serie di gruppi di esperti di mercato con la finalità di assistere la Commissione nell’identificazione delle imperfezioni e degli ostacoli pratici al funzionamento di specifiche aree del mercato unico. Tra il 1999 e la fine del 2001 sono stati istituiti sei Forum Groups of Experts. Il lavoro di ogni Forum Group è partito da un indice di argomenti sulla base del quale si è sviluppata la discussione. Comunque i gruppi avevano la possibilità di discutere altri argomenti che consideravano rilevanti per il lavoro del gruppo stesso. Il primo Forum Group inizia i lavori nell’Ottobre del 1999 ed affronta l’argomento dell’ISD24 (Investment Services Directive). L’ISD, adottato nel 1993, ha liberalizzato per la prima volta la diffusione dei servizi d’investimento in tutta la Comunità. Ma gli effetti positivi di questa direttiva non si sono potuti produrre appieno a causa del ritardo nella trasposizione da parte degli stati membri. L’obiettivo della discussione del Forum Group è quello di mettere a disposizione una relazione tecnica specifica, imparziale, dettagliata, dell’importanza dell’ISD dal punto di vista del mercato. I temi principali trattati in questa prima discussione sono vari: le linee guida da seguire per creare uno schema di lavoro per i servizi finanziari, le attività all’ingrosso, l’allargamento delle prerogative disciplinate dall’ISD anche a soggetti pubblici, la regolazione del mercato disciplinando in maniera più precisa le condizioni standard, il diritto delle società di investimento di partecipare ai mercati anche a distanza, lo studio di sistemi alternativi di trattativa. I lavori di questo primo Forum Group sono stati poi raccolti in un “Green Paper” del 2000, nella fase iniziale dell’action plan. 24 Direttiva 93/22/EEC, adottata il 10 Maggio 2003. Questa direttiva può essere considerata una pietra miliare del mercato dei capitali Europeo. L’ISD ha varie finalità, come la creazione di una sorta di “passaporto europeo” per le compagnie d’investimento mobiliare, la possibilità di trattazione degli investimenti mediante la borsa valori in tutti gli Stati Membri, la realizzazione di un mercato regolato che opera senza una sede materiale, ma attraverso la rete telematica. 3 Le discussioni del secondo gruppo vertono sulle manipolazioni del mercato. Innanzitutto la discussione verte sull’individuazione delle pratiche di mercato di natura manipolativa più comuni, che dovrebbero essere dichiarate illegali a livello europeo (ad esempio le transazioni artificiali, la diffusione di informazioni fuorvianti, la manipolazione dei prezzi). In seguito gli esperti identificano quali strumenti finanziari fossero oggetto delle malpratiche, quali fette del mercato, quale categoria di soggetti era più portata verso l’utilizzo di queste pratiche scorrette, quali potessero essere i mezzi per arginare il fenomeno. Anche in questo caso i lavori del Forum Group, iniziati ad Ottobre del 1999, si sono conclusi nel 2000 con una consultazione con gli Stati Membri e con una proposta di direttiva. Gli argomenti oggetto degli altri Forum Group of Experts sono stati i contratti transfrontalieri e lo sviluppo di un’informazione che possa essere chiara e comprensibile per i consumatori, tematiche riguardo le quali, dopo un anno di consultazioni, si è giunti a proposte di direttive fondamentali per il FSAP. Nel 2000, mentre si dipana il calendario dell’Action Plan, vengono svolte altre due importanti consultazioni di Market Experts: la prima finalizzata al superamento dei restanti ostacoli al mercato unico, e la seconda a facilitare legalmente gli investimenti transfrontalieri. E’ discussa l’utilità dell’attività dei gruppi di esperti sugli argomenti oggetto delle misure legislative dell’Action Plan. La finalità dei Forum Groups è sicuramente quella di ottenere relazioni tecnico giuridiche precise, puntuali e, come si è detto, imparziali. Indubbiamente però l’esercizio di queste consultazioni, che nei casi analizzati in questa sede si sono prolungate dall’Ottobre del 1999 alla fine del 2000, ha rallentato la fase dell’iniziativa legislativa. Ma come è stato sostenuto dal metodo Lamfalussy, diventato oggi lo standard dell’iter legislativo dell’UE, queste consultazioni devono considerarsi necessarie all’ottenimento di proposte di direttiva più complete, che meno si prestino alla presentazione di obiezioni, traducendosi quindi in un risparmio di tempo e risorse in una fase successiva. 3 La maggior parte delle relazioni degli Expert Groups citano l’argomento del volume delle misure legislative introdotte praticamente in contemporanea, e chiedono una “pausa di regolazione” dopo la conclusione dell’Action Plan. Il Securities Expert Group addirittura arriva a concludere che la deadline politica del FSAP enfatizzi la velocità, facendo sì che le scadenze siano troppo stringenti per poter effettuare una sufficiente consultazione industriale e un adeguato studio dell’impatto. L’Asset Management Group ha commentato a sua volta: “some of the legislative measures adopted ad EU level have not been as effective as expected. In some instances, […] provisions which are intended to open markets have been watered down or suffered from ambiguites which hamper consistent implementation”25. Anche questa dichiarazione potrebbe essere una conseguenza dell’imperativo politico di completare le misure oggetto dell’Action Plan entro i tempi prestabiliti, che non sempre ha portato a far sì che esse raggiungessero il livello di qualità previsto. I gruppi hanno constatato che, con alle spalle l’esperienza del FSAP, le istituzioni Europee dovrebbero dare maggior considerazione alle misure non legislative, come l’autoregolazione da parte dei settori dell’industria, i codici di condotta, ecc.. Gli Expert Groups hanno anche menzionato che, oltre alla proposta di nuove azioni, gli sforzi dovrebbero essere concentrati nella semplificazione, correzione o rimozione delle regole esistenti, pratica che non era stata inclusa nel FSAP. Infine viene sottolineata la necessità di evitare le regole conflittuali o ridondanti. Le proposte dei Market Groups of Experts sono oggetto di grande considerazione per la pianificazione dell’era successiva all’Action Plan. 25 Expert Group Report, Asset Management Expert Group, Section 2, paragraph 23. 3 Capitolo II IL MERCATO ASSICURATIVO Introduzione - 2.1 Il mercato assicurativo: da “protetto” a “libero” e da “nazionale” ad “internazionale” – 2.2 Il consolidamento transfrontaliero: un cammino difficile - 2.3 La concorrenza tra imprese e i c.d. “nuovi rischi” – 2.4 L’internazionalizzazione delle compagnie assicurative. Parallelismi e differenze con il sistema bancario – 2.5 La costituzione del mercato assicurativo unico – 2.6 La direttiva sull’intermediazione assicurativa: 2002/92/CE – 2.7 Le violazioni delle direttive in materia assicurativa: il procedimento sanzionatorio contro gli Stati in ritardo con l’implementazione della DIA Introduzione Il mercato assicurativo all’interno dello spazio economico europeo conta circa 5000 imprese assicuratrici, con oltre un milione di dipendenti, e una raccolta premi che supera i 970 miliardi di Euro. Le statistiche mostrano che le grandi compagnie europee detengono il 95% del mercato assicurativo mondiale. In questo capitolo si affrontano diverse sfaccettature di un settore così sviluppato e complesso: studi sulle prospettive di integrazione europea, un’analisi di quanto è già stato fatto a riguardo e quanto ancora rimane da realizzare. Si pensi ad esempio al fatto che il sistema assicurativo dovrà affiancarsi e sostituirsi sempre di più al sistema previdenziale degli Stati, e che si è sviluppata una grande discussione – ad esempio dopo gli attentati terroristici dell’11/09/2001 – sulla copertura dei cosiddetti nuovi rischi. In ambito legislativo le direttive UE hanno profondamente modificato l’aspetto del mercato assicurativo, sebbene gli Stati membri non si sono dimostrati in alcuni casi sufficientemente pragmatici a convertirne il contenuto in leggi nazionali, come nel caso della Direttiva sull’intermediazione assicurativa, 2002/92/CE, i cui effetti in Italia, ad esempio, sono stati recepiti con direttiva Isvap del 16/10/2006. 3 2.1 Il mercato assicurativo: da “protetto” a “libero” e da “nazionale” ad “internazionale” Il quadro legislativo del mercato unico ha facilitato la crescita dell’attività assicurativa transfrontaliera particolarmente per quanto riguarda i grandi rischi industriali e commerciali, ma l’impatto di questa apertura è notevolmente minore per i rischi privati. Questo anche perché le compagnie che operano in tutta legalità in uno stato membro possono essere dissuase ad estendere la propria attività in un altro stato a causa di fattori ostativi alla concorrenza che tuttora permangono. Innanzi tutto, in relazione alla possibilità di nuovi entranti potenziali nel mercato, i produttori, già presenti su quest’ultimo, possono adottare strategie rispettivamente collusive, accomodanti, o, in termini di prezzi praticati. Un elemento che può condizionare il comportamento concorrenziale dei soggetti economici, nel mercato, è costituito dall’esistenza di barriere all’entrata, le quali scoraggiano nuovi entranti potenziali. Queste, infatti, fanno sì che i produttori esistenti possano imporre, per un periodo di tempo prolungato, prezzi di vendita al di sopra dei costi medi di produzione e distribuzione, senza che ciò spinga nuovi potenziali produttori ad entrare nel mercato. Tra le ragioni che rendono difficile l’entrata in un nuovo mercato si possono ricomprendere le economie di scala, la differenziazione dei prodotti e le asimmetrie dei costi che si traducono in vantaggi assoluti per le imprese già operanti sul mercato. Più in generale le principali barriere all’entrata possono essere classificate in: barriere amministrative, barriere non strategiche, barriere strategiche. Quando la pubblica amministrazione subordina l’accesso al mercato alla concessione di specifiche autorizzazioni (o al soddisfacimento di particolari requisiti ) le barriere si definiscono amministrative. In particolare le condizioni imposte da uno stato in materia di tutela del consumatore possono dissuadere le compagnie ad estendere la propria attività in un altro stato membro. Questo è largamente imputabile alla mancanza di un quadro giuridico comunitario per gli intermediari, che permetta a questi ultimi di 3 trarre vantaggio dalla libertà di stabilimento e di fornire i propri servizi in altri paesi. La regolamentazione comunitaria attuale ha contribuito ad armonizzare le regolamentazioni nazionali, ma permangono tuttavia molte divergenze e il mercato europeo rimane frammentato. Tra le barriere non strategiche sono da comprendere le, già ricordate, economie di scala. La loro presenza, infatti, consente di stabilire il prezzo ad un livello tanto più elevato, quanto maggiore è la condizione minima ottimale di produzione richiesta, affinché un potenziale concorrente possa realisticamente pensare di entrare sul mercato e di restarvi profittevolmente. Tra le barriere strategiche rientrano, invece, i comportamenti che le imprese esistenti intraprendono per scoraggiare l’ingresso di nuovi entranti. Pensiamo all’esistenza di particolari condizioni che facilitano l’atto di acquisto del prodottoservizio. L’importanza attribuita alla prossimità del punto vendita, per esempio, dipende dalla frequenza delle transazioni riguardanti lo specifico bene o servizio, ovvero, dalla esigenza di mantenere relazioni correnti con un fornitore di prodotti o servizi plurimi. Nel caso specifico delle polizze vita, sia per la natura del servizio (incorporata nel prodotto offerto), sia per la frequenza limitata del singolo atto di acquisto, non sembra che la prossimità dei punti di vendita possa costituire un fattore talmente importante da determinare la scelta della compagnia con cui assicurarsi. Ancora, la differenziazione dei prodotti può costituire un’ulteriore barriera strategica all’entrata o, in altri termini, un vantaggio per l’operatore già presente sul mercato nei confronti di un potenziale concorrente che dovrà sostenere costi di distribuzione e di pubblicità (qualora quest’ultima, in particolare, risulti decisiva nel condizionare le scelte dei consumatori). Le realizzazione di prodotti diversificati è possibile variando il mix delle condizioni e termini delle polizze. Del resto, nello specifico, l’introduzione di nuovi prodotti, che effettivamente presentino una cesura rispetto a quelli tradizionalmente offerti, è facilmente imitabile dalle altre imprese, non esistendo barriere produttive e conoscitive tali da impedirne, in tempi ravvicinati, la replicabilità da parte di una compagnia. 4 Tuttavia quella della differenziazione è ormai una strategia che dovrebbe essere necessariamente perseguita. L’economista J. Sutton mette in evidenza che le probabilità di entrata in un mercato sono più elevate quando i prezzi praticati sono più vicini a quelli riscontrabili nelle forme di mercato monopolistico, dove le imprese operano con costi elevati. Se, invece, i profitti complessivi si posizionano ad un livello intermedio, si configura un mercato di “accomodamento” e, pertanto, l’entrata sarà moderatamente conveniente. Qualora ci si trovi in una situazione di concorrenza accesa sul prezzo, i profitti saranno molto contenuti e l’entrata non particolarmente attraente per il tratto aggressivo della concorrenza in quel mercato. Del resto, le compagnie, oggi, nel definire i confini della loro arena competitiva devono tenere conto, non solo della presenza di un elevato numero di compagnie, bensì, anche della presenza di nuovi intermediari, quali le SIM (società di intermediazione mobiliare) e le banche. In particolare il fenomeno della vendita attraverso banche di prodotti assicurativi del ramo vita (cd. Bancassurance) è importante, e come l’esperienza, estera ed italiana, confermano non è destinato a scomparire. Non si tratta, dunque, di un fenomeno momentaneo, ma costituisce un fenomeno che tenderà a svilupparsi sempre più nel corso del tempo. Questo rapido passaggio che ha interessato il mercato assicurativo, e che lo ha trasformato da “protetto” a “libero”, da “nazionale” ad “internazionale”, unitamente alle modifiche legislative, ha determinato un brusco risveglio per tutti coloro che vi operavano. Oggi appare sempre più necessario valorizzare e sfruttare ogni potenzialità esistente e creare vantaggi competitivi difendibili su scala globale. In particolare, dall’attenzione al prodotto, che ha caratterizzato l’orientamento degli ultimi decenni, si è passati ad un forte orientamento verso il cliente. Questo cambiamento ha richiesto, e richiede, un cambio culturale del management e una revisione del front office e del back office. In definitiva il mercato assicurativo sta affrontando importanti sfide. Quella conseguente alla ristrutturazione dello stato sociale che dovrà portare il sistema assicurativo privato a fornire un importante contributo nella Previdenza e nella Sanità. Quella del mercato che chiede prodotti più efficienti e più flessibili. 4 Quella derivante dalle innovazioni nella distribuzione, dove accanto ad agenti, brokers, sportelli bancari, promotori finanziari vanno sempre più crescendo le vendite per telefono e via Internet. Una sfida non meno importante è quella della trasparenza e dell’orientamento dell’impresa al cliente che deve diventare una strada obbligata con l’obiettivo di migliorarne la soddisfazione e quindi fidelizzarlo, laddove di fronte ad un mercato che cresce lentamente, ogni cliente sottratto alle imprese concorrenti ha costi elevati e crescenti. Stiamo passando ad una fase caratterizzata da un’intensa creatività e da una profonda opera di deregulation. All’interno dei vari settori le politiche competitive tendono a svilupparsi tipicamente mediante l’utilizzo di leve caratterizzate dalla maggiore facilità di implementazione e dalla maggiore flessibilità. Questo fatto si giustifica per la naturale tendenza delle imprese ad adottare comportamenti che implicano un contenuto sforzo di cambiamento rispetto alle situazioni esistenti e che possono attivarsi con i minori interventi a livello strutturale, nel tentativo o nella convinzione di evitare implicazioni di lungo periodo. Facendo riferimento ai fattori dell’offerta, il prezzo è quello dotato di maggiore facilità di utilizzo e flessibilità, potendo essere modificato in tempi brevi, senza sostanziali adattamenti strutturali o comportamentali all’interno dell’impresa. Ad uno stadio di complessità superiore la comunicazione richiede tempi di attuazione più lunghi a fronte di una più intensa attività progettuale; più difficoltoso si rileva l’utilizzo di parametri di offerta attinenti al prodotto con riferimento sia ai tempi di attuazione, sia alle implicazioni di lungo termine connessi agli investimenti e cambiamenti nei processi organizzativi e produttivi. Ne segue, data la relazione fondamentale della teoria economica secondo la quale prezzo e domanda sono legati da una correlazione inversa, che le imprese attuino riduzioni di prezzi nel tentativo di ottenere maggiori volumi di vendita in modo da ridurre i costi di produzione, considerando “dati” gli altri fattori dell’offerta. L’adozione di questa logica può determinare l’acquisizione di vantaggi competitivi da parte delle imprese per determinati periodi di tempo; ma in prospettiva di lungo termine il predominio di manovre basate sulla diminuzione 4 dei prezzi si può tradurre in una riduzione dei profitti a livello settoriale che si verifica secondo modalità differenti e tempi differenti in relazione alle caratteristiche del settore (concentrazione e numero di imprese) e a livello di “collusione” esistente tra le imprese che vi operano. La facilità di utilizzo del prezzo determina infatti un’elevata imitabilità delle manovre attuate da parte dei concorrenti tale da ottenere vantaggi solo fino a che la domanda complessiva mostra un’elasticità positiva al prezzo; altrimenti la riduzione dei prezzi può generare la caduta dei profitti a livello settoriale. Allora le imprese costrette a modificare la gestione competitiva agiscono sui fattori dell’offerta in modo più equilibrato. Il prezzo perde il suo ruolo di unico strumento competitivo per assumere quello di controprestazione a carico del cliente a fronte delle prestazioni rese. L’attenzione si sposta sui fattori dell’offerta (prodotto, gamma, servizi, comunicazione, immagine) non più ritenuti come “dati” ed alla base dei comportamenti competitivi vi è la ricerca di un equilibrio di detti fattori e il prezzo come valorizzazione di questi. 4 2.2 Il consolidamento transfrontaliero: un cammino difficile Nel paragrafo precedente è stata sottolineata la presenza di numerose barriere all’entrata che rendono difficoltoso il processo di internazionalizzazione del mercato assicurativo (ed in generale dei mercati finanziari). Una scorciatoia verso l’internazionalizzazione è sicuramente l’utilizzo di fusioni ed acquisizioni transfrontaliere (cross border mergers & acquisitions). Per consolidamento transfrontaliero si intende ogni fusione ed acquisizione, totale o parziale, che coinvolga due o più società finanziarie (società di credito, investimento, assicurazioni) stabilite in due Stati Membri differenti. La Commissione stessa, almeno stando agli studi pubblicati nel 200526, non è stata in grado di valutare l’effettiva incidenza delle M&A sul mercato unico, dichiarando però l’incontrovertibile necessità di abbattere gli ostacoli che rallentano questo settore. Il consolidamento transfrontaliero è il prodotto di decisioni commerciali prese dai partecipanti al mercato. Pur non essendo un fine in sé, resta di certo un mezzo per arrivare ad una maggiore efficienza. Secondo la Commissione sarà di certo il mercato a stabilire l’importanza del consolidamento, fermo restando che, in un mercato finanziario completamente integrato, fusioni e acquisizioni transfrontaliere devono essere opzioni a totale disposizione degli istituti finanziari. I vantaggi del consolidamento transfrontaliero sono comunque abbastanza autoevidenti: in un mercato unico che conta 25 Stati Membri con una popolazione di 450 milioni di persone, le compagnie che operano su base europea possono offrire i loro prodotti e servizi ad un numero significativamente più alto di potenziali clienti rispetto al mercato domestico. Allargando il loro target di clientela, le compagnie possono beneficiare delle economie di scala come della maggior diversificazione dei rischi. Di conseguenza un’elevata facilità di ingresso su mercati stranieri permetterebbe alle compagnie di avere grandi vantaggi, che si tradurrebbero quasi certamente 26 Commission Staff Working Document - SEC(2005)1398: Cross-border consolidation in the EU financial sector 4 anche in grandi vantaggi per i consumatori (maggiore scelta di prodotti, migliori rendimenti per gli investimenti, ecc..). Nel 2004 però, il congresso Ecofin ha lanciato un allarme sul basso livello delle M&A, invitando la Commissione a preparare una relazione su quali fossero i problemi che rallentavano lo sviluppo di questo settore. La Commissione ad Aprile del 2005 ha indetto un sondaggio online per comprendere al meglio quali potessero essere gli elementi frenanti, e sulla base dei risultati di tale sondaggio ha pubblicato a Novembre del 2005 uno studio, che ha portato infine, nel Settembre del 2006 ad una proposta di direttiva27. La proposta di direttiva mira a migliorare considerevolmente la certezza giuridica, la chiarezza e la trasparenza del processo di approvazione, da parte della vigilanza, delle acquisizioni e degli incrementi di partecipazioni nei settori bancario, assicurativo e mobiliare. Un aspetto importante del mercato unico è l’eliminazione di tutti gli ostacoli ingiustificabili che impediscono il buon funzionamento del mercato interno. Qualsiasi ingerenza indebita da parte delle autorità nazionali o delle autorità sopranazionali nell’attuazione di una decisione commerciale che avrebbe portato ad un consolidamento potrebbe effettivamente ostacolare il buon funzionamento del mercato. Il sistema di vigilanza prudenziale esistente attualmente nell’Unione europea si basa sul principio della responsabilità delle autorità competenti dello Stato membro di origine e su un implicito obbligo di stretta collaborazione tra le autorità competenti dello Stato membro d’origine e di quelle dello Stato membro ospitante nella vigilanza delle attività degli enti operanti in Stati membri diversi da quello in cui hanno l’amministrazione centrale. 27 Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 92/49/Cee e le direttive 2002/83/CE, 2004/39/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario. 4 L’attuale quadro giuridico28 regolamenta la situazione in cui un soggetto, denominato “candidato acquirente”, desideri acquisire o incrementare una partecipazione in un istituto finanziario o in un’impresa di investimento sia in ambito nazionale che nel contesto transfrontaliero. Le autorità nazionali competenti possono opporsi ad un’acquisizione se non sono convinte dell’idoneità del candidato acquirente a garantire una gestione sana e prudente dell’ente. Il quadro giuridico attuale non prevede tuttavia criteri specifici per valutare l’idoneità del candidato acquirente e ha pertanto lasciato alle autorità competenti una notevole discrezionalità nell’accettare, scoraggiare o respingere un progetto di acquisizione. Inoltre le attuali direttive non definiscono nel dettaglio la procedura di valutazione delle acquisizioni. La proposta di direttiva modifica considerevolmente il quadro esistente per quanto concerne la procedura ed i criteri che le autorità competenti devono applicare quando valutano un candidato acquirente. Le direttive modificate definiscono l’intera procedura che le autorità competenti dovranno applicare per valutare le acquisizioni da un punto di vista prudenziale. Esse introducono inoltre un processo di notifica e decisione chiaro e trasparente per le autorità competenti e per le imprese. I termini vengono abbreviati e la sospensione del loro decorso da parte delle autorità competenti viene limitata ad un solo caso e assoggettata a chiare condizioni. Vengono inoltre definiti chiaramente i criteri da applicare per la valutazione prudenziale che saranno pertanto noti in anticipo ai partecipanti al mercato. Ne deriverà una maggiore certezza e prevedibilità per quanto concerne i criteri applicati dalle autorità competenti quando valutano la solidità finanziaria di un’acquisizione. Le direttiva modificate prevedono un elenco chiuso di criteri per valutare l’idoneità dell’acquirente, determinando così un’armonizzazione completa in materia di valutazione dell’idoneità a livello di Unione europea. Questi criteri sono: la reputazione del candidato acquirente, la capacità di continuare a rispettare 28 Articolo 19 della direttiva 2000/48/CE, articolo 15 della direttiva 92/49/CEE, articolo 15 della direttiva 2002/83/CE, articoli da 20 a 23 della direttiva 2005/68/CE e articolo 10 della direttiva 2004/39/CE. 4 le direttive settoriali applicabili, il rischio di riciclaggio dei proventi di attività illecite e di finanziamento del terrorismo. Per quel che riguarda la valutazione dell’impatto, invece, sono state esaminate alcune opzioni, tra le quali il mantenimento dello status quo, l’opzione di regolamentazione giuridicamente vincolante e quella giuridicamente non vincolante. Dopo un esame delle diverse alternative si è giunti alla conclusione che per raggiungere gli obiettivi di certezza giuridica, chiarezza e trasparenza, a beneficio sia delle autorità competenti che dei partecipanti al mercato, è necessaria una soluzione di regolamentazione giuridicamente vincolante. Per centrare i predetti obiettivi ed assicurare coerenza all’interno di ciascun settore e tra i singoli settori, è opportuno mirare ad un livello elevato di armonizzazione per quanto riguarda la procedura e i criteri per la valutazione prudenziale. Un livello inferiore di armonizzazione –che lasci un considerevole livello di flessibilità agli Stati membri e alle loro autorità competenti- non consentirebbe di raggiungere gli obiettivi dichiarati di maggiore certezza giuridica, prevedibilità e coerenza per quanto riguarda le valutazioni prudenziali delle acquisizioni e degli incrementi di partecipazioni in enti finanziari e in imprese di investimento. 4 2.3 La concorrenza tra imprese e i c.d. “nuovi rischi” Il trattato CE vieta tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. Lo stesso trattato consente peraltro alla Commissione di disporre deroghe ai divieti previsti e pertanto sin dal 1992, in ragione della particolarità dell’attività assicurativa basata sulla mutualità, il regolamento 3932/92/CEE ha disposto specifiche deroghe per determinate categorie di accordi, decisioni e pratiche concordate dalle imprese di assicurazione aventi per oggetto: la cooperazione riguardante la fissazione in comune di certi tipi di rischi; il regolamento dei sinistri; la valutazione e il riconoscimento di apparecchiature di sicurezza; i registri e le informazioni per i rischi aggravati. Il 27 Febbraio 2003 la Commissione ha emanato il regolamento n. 358/2003/CE che verrà a scadere il 31 Marzo 2010. Il nuovo regolamento di esenzione conferma, nella sostanza, l’impianto e la disciplina del precedente e risulta, anzi, più liberale di quest’ultimo, a dimostrazione del fatto che il diritto della concorrenza può essere applicato all’attività assicurativa soltanto in parte e con tutta una serie di opportuni adattamenti. Tra le novità di maggior rilievo introdotte si ricorda, in particolare, quella concernente la copertura in comune dei “nuovi rischi”. Per tali rischi, infatti, le imprese sono autorizzate a provvedere alla prestazione della garanzia mediante consorzi di coassicurazione o di coriassicurazione senza limiti di sorta e quindi, a prescindere dalla quota di mercato del consorzio. La nozione di “nuovi rischi” fatta proprio dal 325/2003/CE suscita perplessità. Essa infatti ha riguardo di rischi che in precedenza non esistevano affatto e per la cui copertura è necessario creare prodotti assicurativi assolutamente nuovi. Una nozione così rigorosa ed astratta suscita motivate riserve: l’assicurazione consiste, 4 infatti, nella garanzia dei rischi e in assicurazione è dunque nuovo non solo il rischio mai prima registratosi dal punto di vista fenomenologico, ma anche quello mai prima garantito per la mancanza, appunto, dei necessari elementi di conoscenza statistico-attuariale. C’è il pericolo, quindi, che la nuova disciplina non consenta un concreto approccio assicurativo a rischi come quelli del terrorismo di ultima generazione o delle catastrofi naturali. Più in generale, è tutta la disciplina della copertura in comune dei rischi, attraverso consorzi di coassicurazione o di coriassicurazione, a risultare semplificata e più incentivante rispetto alla normativa precedentemente in vigore. Da un lato, infatti, scompare ogni distinzione tra rischi ordinari, aggravati e catastrofali, con la conseguenza che la quota di mercato del consorzio non potrà che essere calcolata sull’intero mercato di riferimento anziché su sottoinsiemi di questo di problematica individuazione; dall’altro, le quote massime di mercato che detti consorzi possono legittimamente detenere passano, per i consorzi di coassicuazione, dal 10% al 20% e, per quelli di coriassicurazione, dal 15% al 25%. 4 2.4 L’internazionalizzazione delle compagnie assicurative. Parallelismi e differenze con il sistema bancario. Il processo di internazionalizzazione dei servizi finanziari è stato oggetto di un significativo numero di ricerche, sia teoriche che empiriche. Due aspetti, in particolare, hanno attratto l’attenzione dei ricercatori: gli effetti della presenza di intermediari stranieri sul paese ospitante, e i percorsi generali di internazionalizzazione del settore finanziario. Tra l’anno 1999 e il 2003, periodo di intensi cambiamenti a livello legislativo per quel che riguarda l’integrazione dei mercati finanziari, è stato condotto uno studio29 sui parallelismi e le differenze che intercorrono tra il sistema bancario e quello assicurativo. Gli autori, Dario Focarelli30 e Alberto Franco Pozzolo31 hanno condotto un’analisi su tutti i paesi interessati dall’integrazione transfrontaliera dei servizi finanziari. I risultati mostrano che l’internazionalizzazione delle banche e delle compagnie assicurative seguono percorsi similari. In particolare, l’integrazione economica è un elemento determinante per le strategie internazionali sia delle banche che delle compagnie assicurative, mentre la diversificazione dei rischi è più importante in campo assicurativo. Infine, i risultati supportano la tesi secondo la quale le barriere all’entrata di operatori stranieri negli stati del G10 spiegano più agevolmente il comportamento delle banche che quello delle compagnie assicurative. Fusioni e acquisizioni internazionali sono alcuni dei metodi maggiormente utilizzati dalle società finanziarie per espandere le loro attività al di fuori dei confini nazionali32, e l’incidenza di essi all’interno del mercato finanziario è variegata. Il mercato assicurativo è certamente quello più internazionalizzato, con una percentuale significativamente più elevata rispetto al sistema bancario. 29 Cross Border M&A In the financial sector: is banking different from insurance? Focarelli: Ania, research department and university of Rome La Sapienza, Actuarial Science Department 31 Pozzolo: università del molise, Dipartimento di Scienze economiche gestionali e sociali and Ente Luigi Einaudi 32 Focarelli e Pozzolo dimostrano che il cross-border M&A ha avuto un’incidenza inferiore nei servizi finanziari che nel settore industriale, che risulta essere quello maggiormente internazionalizzato. 30 5 Questo dato sembra essere dovuto a due considerazioni: studi di risk management che sembrano condurre ad un diffuso scetticismo nei confronti dell’internalizzazione delle banche, e il fatto che il settore assicurativo sta, negli ultimi anni, sperimentando un’intensa fare di deregolamentazione e di internazionalizzazione. I ricercatori sembrano concordi riguardo al fatto che il grande potenziale di crescita, specialmente nelle economie emergenti, sia uno dei fattori che attraggono maggiormente l’ingresso di compagnie assicurative straniere. Alcuni studi accademici tendono comunque ad essere più prudenti a riguardo33. Dati empirici comunque dimostrano che i paesi dove si localizza la maggior concentrazione di investitori assicurativi stranieri sono quelli dove è maggiore l’integrazione tra il paese d’origine e quello di destinazione. In addizione a questo, la presenza straniera è superiore nei paesi dove la competizione nel mercato è maggiore, e, in caso di mercati meno competitivi, dove viene dato intenso supporto politico a politiche liberali. In definitiva, lo studio “Cross Border M&A In the financial sector: is banking different from insurance?” propende per la presenza di numerosi punti in comune nel percorso di internazionalizzazione delle banche e delle compagnie assicurative, sebbene quest’ultimo settore abbia conosciuto un maggior impulso negli ultimi anni. Emergono però anche fondamentali differenze. Innanzi tutto le caratteristiche del paese di origine hanno un’influenza diversa nei due settori. Le compagnie assicurative tendono ad espandersi all’estero maggiormente delle banche, se sono stabilite in un paese con un più altro reddito pro capite, un più ampio sistema bancario, e un minor mercato assicurativo. Una possibile spiegazione potrebbe essere che le compagnie assicurative hanno una maggior propensione ad espandersi all’estero quando il loro mercato locale è 33 Secondo uno studio di Swiss Reinsurance (Sigma Re, 2000), vi sono alcuni fattori che possono spiegare l’espansione delle compagnie assicurative in paesi meno sviluppati. Essi sono: a) l’incentivo di “raggiungere il cliente” operando all’estero; b) la maggior crescita attesa in paesi meno sviluppati; c) la possibilità di beneficiare di maggiore efficienza mediante una maggiore differenziazione e le economie di scala. Vi sono però anche alcuni fattori frenanti: a) la maggior domanda di garanzie richiesta dai paesi in via di sviluppo; b) maggiori requisiti di capitali in relazione all’aumento dei rischi e ad una più stringente regolamentazione della solvibilità; c) l’esigenza di maggiore know-how. 5 relativamente piccolo e le prospettive di crescita non sono elevate, mettendo in evidenza la considerazione che esse potrebbero incontrare delle difficoltà ad espandersi sul mercato domestico, in quanto il mercato assicurativo è maggiormente legato alla domanda rispetto a quello bancario. Un’altra importante differenza con le banche è che le decisioni delle compagnie assicurative sembrano essere meno influenzate dalla tassazione e dalla struttura demografica della popolazione, probabilmente perché queste caratteristiche sono già elementi insiti nella grandezza dei mercati stessi. Passando alle caratteristiche del paese di destinazione, risulta che le compagnie assicurative subiscono in maniera inferiore rispetto alle banche la presenza di barriere implicite o esplicite all’entrata nei mercati stranieri. 5 2.5 La costituzione del mercato assicurativo unico Il processo di armonizzazione comunitaria, talvolta discontinuo e non sempre lineare, ha inteso realizzare come obiettivo ultimo l’istituzione di un vero e proprio “mercato unico assicurativo”, al fine di garantire la liberalizzazione dei servizi assicurativi attraverso l’espressione di condizioni che consentano, da un lato, la libertà di stabilimento delle imprese assicuratrici di uno Stato Membro in un altro Paese della CE, e che, dall’altro lato, assicurino la libera prestazione dei servizi da parte di un’impresa stabilita in uno degli Stati della Comunità ad un altro Stato Membro; tenuto conto, comunque, di talune imprescindibili esigenze, quali: 9 Tutelare la generalità degli assicurati dall’eventuale insolvenza delle imprese, dalla difficile comprensione delle clausole contrattuali e dalla pubblicità distorsiva; 9 Assicurare medesime condizioni di concorrenza a tutte le imprese assicuratrici operanti nel territorio comunitario, principalmente per mezzo del coordinamento delle norme in materia di trattamento fiscale, regime valutario, condizioni contrattuali e costituzione delle riserve tecniche; 9 Proteggere gli interessi dei Governi nazionali. La prima fase del suddetto processo di liberalizzazione ha condotto all’applicazione del principio della libertà di stabilimento attraverso soprattutto le direttive 73/239/Cee e 79/267/Cee, note come prima direttiva danni e prima direttiva vita, le quali hanno dato luogo in Italia, rispettivamente, alle leggi 295/1978 e 742/1986. Le stesse direttive avevano, inoltre, stabilito i compiti delle Autorità di vigilanza sulle imprese assicurative, in regime di libertà di stabilimento, determinando l’istituzione dell’Isvap. La seconda fase, invece, finalizzata all’applicazione del principio della libera prestazione dei servizi assicurativi, ha determinato nel nostro ordinamento l’emanazione del D.L.vo 49/1992, in attuazione della direttiva 88/357/Cee, nota come seconda Direttiva danni, che coordinava le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti l’assicurazione diretta diversa 5 dall’assicurazione sulla vita, fissava le disposizioni volte ad agevolare l’esercizio effettivo della libera prestazione dei servizi e modificava la direttiva 73/239/Cee; nonché l’emanazione del D.L.vo 515/1992, in attuazione della Direttiva 90/619/Cee, nota come seconda direttiva vita, che coordinava le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardante l’assicurazione diretta sulla vita, fissava le disposizioni destinate a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione dei servizi e modificava la direttiva 79/267/Cee. La terza ed ultima fase del citato processo di liberalizzazione ha consentito la libera prestazione da parte di tutte le imprese assicuratrici, qualsiasi ramo esercitino, ed a favore di tutti gli stipulanti polizze assicurative. L’obiettivo di quest’ultima fase è stato quello di garantire all’impresa di assicurazione un’autorizzazione unica all’esercizio della propria attività, valida per tutti i Paesi comunitari: la c.d. “licenza assicurativa unica” analogamente a quanto previsto per il settore bancario. In tal modo il compito primario di vigilanza spetta alle Autorità dello Stato membro di origine, mentre le Autorità dello Stato Membro destinatario del servizio, pur non venendo private di tutti i poteri di vigilanza, assumono invece un ruolo accessorio. La costituzione del mercato assicurativo unico è stata realizzata con le direttive 92/96/Cee sull’assicurazione vita, e 92/49/Cee sulle assicurazioni diverse da quella sulla vita, che hanno trovato attuazione in Italia attraverso i decreti legislativi n.174 e n.175 entrambi del 17 Marzo 1995. Con le cc.dd. direttive di “terza generazione” è così divenuto effettivo il mercato unico delle assicurazioni in Europa. Con tali provvedimenti l’intera materia assicurativa è stata fatta rientrare sotto il regime dell’ “home country control”, in base ai principi dell’autorizzazione unica rilasciata alle imprese di assicurazione dal proprio Stato di origine e del mutuo riconoscimento delle legislazioni nazionali. I menzionati decreti hanno, pertanto, contribuito a dilatare l’ambito dei poteri di vigilanza, che non sono più limitati al territorio nazionale, bensì sono estesi a livello comunitario, essendo l’Isvap tenuto a svolgere attività di controllo su tutte le imprese aventi la sede legale in Italia che svolgono attività assicurativa all’estero in regime di stabilimento o di libera prestazione dei servizi. 5 In merito occorre precisare che è in regime di stabilimento l’attività che l’impresa esercita da uno stabilimento situato in uno Stato membro assumendo obbligazioni con contraenti aventi il domicilio o la sede nello stesso Stato. E’, invece, libera prestazione dei servizi l’attività che l’impresa esercita da uno stabilimento allocato in uno Stato assumendo obbligazioni con contraenti aventi il domicilio o la sede legale in un altro Stato. Nel capitolo precedente si è valutato l’importanza del Financial Services Action Plan sul mercato unico dei servizi finanziari. Tra il 2000 e il 2004 l’Ue ha dato un grande apporto per uno sviluppo armonico e veloce del mercato transfrontaliero, con risultati che ancora oggi sono oggetto di valutazione. Dopo una, relativamente breve, pausa di regolamentazione l’Unione europea sta preparando un nuovo framework di regole per il settore assicurativo allo scopo di superare le barriere nazionali e rafforzare il mercato unico. Le nuove regole consentiranno alle compagnie di operare in tutti i 25 stati membro una volta soddisfatti i requisiti richiesti dal supervisore del paese ospitante. La nuova regolamentazione armonizzerà inoltre le norme riguardo la quantità di capitale assicurativo da mettere a disposizione per affrontare gli impegni presi. La legislazione è stata proposta dalla Commissione europea nel 2004/2005 ma i lavori hanno subito una brusca frenata a causa di una disputa sulla possibilità da parte del supervisore, di richiedere garanzie assicurative accessorie per i potenziali danni coperti. Francia e Portogallo chiedono attualmente tali garanzie, ad esempio, in forma di lettere di credito, o bond. Il settore assicurativo si è a lungo opposto a tali richieste, sostenendo che bloccherebbero il capitale senza una giustificazione valida. Il parlamento europeo e gli stati membri sono giunti ad un punto d’accordo sostenendo che tali richieste dovranno essere introdotte per gradi come parte della nuova direttiva in materia assicurativa. La nuova regolamentazione UE probabilmente aumenterà le pressioni sugli Usa ad abbandonare la serie di requisiti aggiunti richiesti alle compagnie straniere. 5 Bruxelles ha largamente cercato di spingere gli Usa a eliminare tali restrizioni ma la sua posizione è stata fino ad ora compromessa dalle decisioni di Francia e Portogallo che hanno introdotto le stesse misure restrittive. Peter Skinner34 ha preparato a Marzo del 2005 un report che sostiene con fermezza l’obbligo di introdurre per gradi dei requisiti aggiunti nell’Ue. Il deputato europeo ha dichiarato che le nuove regole in preparazione rappresentano una buona chance di definire standard globali, sottolineando che i gruppi europei rispondono al 95% circa del mercato assicurativo mondiale. Skinner ha dichiarato: “La nuova regolamentazione crea un unico mercato nell’Unione consolidando il sistema di norme intorno ad un processo altamente efficiente di market-led. Grazie a questo nuovo sistema le compagnie hanno accesso a mercati in paesi dove attualmente gli è negato”. 34 Deputato europeo del partito laburista britannico 5 2.6 La direttiva sull’intermediazione assicurativa: 2002/92/CE Nel 2002 l’UE emana una direttiva sull’intermediazione assicurativa, che nelle premesse viene considerata attività fondamentale per lo sviluppo del mercato unico. Il legislatore ritiene infatti che nonostante le disposizioni precedenti avessero contribuito notevolmente al riavvicinamento delle legislazioni nazionali, fossero ancora sussistenti notevoli differenze tra le normative, ostacolo allo svolgimento dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa nel mercato interno. La direttiva tende a rafforzare il corretto funzionamento del mercato unico delle assicurazioni attraverso l’instaurazione della licenza unica per gli intermediari assicurativi e riassicurativi, il riconoscimento della parità di trattamento tra gli operatori che esercitano l’intermediazione, l’adozione di criteri che garantiscano un elevato livello di tutela del consumatore. Inizialmente la direttiva chiarisce il concetto di “intermediario assicurativo”, elencando quali soggetti non possono rientrare in questa categoria. Vanno esclusi coloro che svolgono un’altra attività professionale, come i consulenti, o chi esercita l’attività di intermediario, sussistendo rigorose condizioni, come attività secondaria. La direttiva altresì raccomanda l’istituzione di un albo professionale, sia per monitorare gli esercitanti l’attività, sia per sanzionare chi opera senza autorizzazione: si tratta, quindi, di un provvedimento inquadrabile nell’esigenza di tutela dei consumatori. La registrazione ha tuttavia un’altra importante caratteristica: permette all’intermediario di esercitare l’attività in qualunque Stato membro. Sempre nell’ottica della tutela dei consumatori non viene trascurata l’importanza della trasparenza nell’attività di intermediazione. L’intermediario deve, infatti, rispettare rigorosamente le legislazioni in materia di informazioni da fornire ai consumatori, e deve altresì motivare le proprie scelte qualora dichiari di fornire consulenze su prodotti offerti da una vasta gamma di imprese di assicurazione. 5 La direttiva, effettuate queste premesse sulla figura dell’intermediario, giunge quindi ad una definizione dell’attività di “intermediazione assicurativa”: si tratta delle attività consistenti nel presentare o proporre contratti di assicurazione, o compiere altri atti preparatori o relativi alla conclusione di tali contratti, ovvero nel collaborare, segnatamente in caso di sinistri, alla loro gestione ed esecuzione. Viene definito anche “l’intermediario assicurativo collegato”, che agisce sotto la responsabilità di una o più imprese di assicurazione, per i prodotti che le riguardano rispettivamente. Il Capo II della direttiva è dedicato ai requisiti per la registrazione, nell’apposito albo istituito dagli Stati membri. Gli Stati possono istituire un unico registro, o registri separati per assicuratori e riassicuratori, decidere se rilasciare un documento tale da consentire agli interessati di verificare la registrazione. Come si è detto, la registrazione, subordinata a precisi requisiti professionali disciplinati dall’articolo 4 della direttiva, permette agli intermediari assicurativi e riassicurativi di svolgere l’attività di intermediazione nella Comunità in regime di libero stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Gli intermediari devono possedere adeguate cognizioni e capacità determinate dai rispettivi Stati membri d’origine. Gli Stati possono modulare le condizioni imposte in materia di cognizioni e capacità, in base all’attività svolta e ai prodotti offerti. Coloro che esercitano un’attività professionale diversa dall’intermediazione, possono esercitare l’attività di intermediazione solo se un intermediario che soddisfi i requisiti dell’articolo 4 o un’impresa di assicurazione assumono l’intera responsabilità dell’attività. Gli Stati hanno anche la facoltà di verificare le cognizioni e le capacità degli intermediari, e mettere a disposizione dei mezzi di formazione adatti. Un altro elemento importante è il requisito dell’onorabilità, inteso come certificato penale, o analogo documento nazionale, immacolato da illeciti penali connessi con reati contro il patrimonio o altri reati in relazione ad attività finanziarie e non devono essere dichiarati falliti. Gli intermediari assicurativi devono essere in possesso di un’assicurazione per la responsabilità professionale per i danni derivanti da negligenza nell’esercizio 5 della loro professione. Gli Stati devono altresì dotarsi delle misure necessarie per tutelare i consumatori contro l’incapacità dell’intermediario di trasferire i premi all’impresa di assicurazione o di trasferire all’assicurato gli importi della prestazione assicurativa. Queste misure ad esempio possono essere l’istituzione di un fondo garanzia, o la rigida separazione del patrimonio dell’intermediario dai cc.dd. conti cliente. L’articolo 8 della direttiva è dedicato alle Sanzioni, che possono essere previste ed erogate dagli Stati membri nei confronti di chiunque eserciti l’attività di intermediazione assicurativa o riassicurativa senza essere registrato in uno degli Stati, nei modi previsti dalla direttiva stessa. Sanzioni possono essere previste anche nei confronti di imprese di assicurazione che si avvalgono di intermediari non registrati. Queste disposizioni possono essere ricollegato ad uno dei principi fondamentali: la maggior tutela del consumatore. A dimostrazione di ciò, gli Stati possono prevedere anche l’inibizione ad avviare nuove attività nei confronti dei soggetti sanzionati. Le sanzioni erogate devono, naturalmente, essere motivate e comunicate all’intermediario, di modo che egli possa impugnare in sede giurisdizionale il provvedimento che ritiene ingiusto. Il principio di tutela del consumatore ha sicuramente ispirato il legislatore comunitario negli articoli 12 e 13 della direttiva, riguardo gli “obblighi d’informazione degli intermediari” e le “modalità dell’informazione”. L’articolo 12 disciplina il contenuto minimo delle informazioni che l’intermediario deve fornire al consumatore: la sua identità e il suo indirizzo e i mezzi per verificare la registrazione, se è detentore di una quota di partecipazione superiore al 10% del capitale sociale di una determinata impresa di assicurazione, o se, viceversa, un’impresa di assicurazione è proprietaria di almeno il 10% del capitale sociale dell’intermediario, ed infine le procedure (articolo 10) che consentono agli interessati di presentare ricorso nei confronti dell’intermediario, nonché le procedure di reclamo e risoluzione stragiudiziale (articolo 11). 5 Riguardo il contratto proposto, l’intermediario ha il dovere di effettuare un’analisi imparziale e di comunicare eventuale obblighi contrattuali ad esercitare l’attività di intermediazione assicurativa esclusivamente con una o più imprese di assicurazione. Nel caso l’intermediario fornisca consulenza sulla base di un’analisi imparziale, egli deve comunque fondare tale consulenza sull’analisi di un numero sufficiente di contratti di assicurazione disponibili sul mercato. All’articolo 13 la direttiva disciplina le “modalità dell’informazione”, disponendo che qualsiasi informazione da fornire ai clienti deve essere comunicata su un supporto adeguato (principalmente cartaceo), in modo chiaro, preciso e comprensibile per il consumatore. 6 2.7 Le violazioni delle direttive europee in materia assicurativa: la procedura sanzionatoria contro gli Stati in ritardo con l’implementazione della DIA. La maggior parte dei procedimenti sanzionatori in corso nel settore assicurativo, riguardano l’errata implementazione delle direttive comunitarie nelle legislazioni nazionali. Questo riguarda soprattutto le direttive vita e non vita di terza generazione e le direttive sull’assicurazione dei veicoli a motore. Negli ultimi due anni sono stati avviati dalle istituzioni europee più di dieci procedure contro le infrazioni degli Stati membri: solo una di esse è relativa alla trasposizione della direttiva sui gruppi assicurativi. Il 12 Ottobre 2005 la Commissione Europea ha spedito a dieci stati inadempienti le cosiddette reasoned opinions, seconda fase delle procedure sanzionatorie, che prevedono per gli Stati l’obbligo di adeguarsi alla Direttiva sull’intermediazione assicurativa entro un tempo massimo di due mesi, pena la comunicazione alla European Court of Justice. I dieci stati coinvolti non hanno adempiuto all’obbligo di notificare alla Commissione Europea per tempo di aver recepito la DIA nella legislazione nazionale. Il termine entro il quale gli Stati membri erano tenuti ad adeguarsi a questa normativa comunitaria giuridicamente vincolante, diretta a consentire agli intermediari di esercitare la propria attività in tutto il territorio europeo con la sola licenza ottenuta nel proprio paese, ma a condizione di un significativo miglioramento del livello di protezione dei consumatori di quest’area, era il 15 Gennaio 2005. Eppure, a dieci mesi dalla deadline fissata di comune accordo dagli stessi Stati membri solo il 60% di questi ha recepito con legge nazionale la direttiva. I risultati del monitoraggio effettuato dalla Commissione in data 1 Ottobre 2005, mettono in evidenza come questa legge sia una delle misure più scarsamente implementate tra quelle concordate dai Capi di Governo con il Financial Services Action Plan votato nel Giugno 1999. 6 Per il Bipar35, queste inadempienze fanno sì che si venga a creare un clima di incertezza giuridica e confusione circa i passporting rights che la DIA riconosce agli intermediari. Tali diritti, consentono all’intermediario di creare attività in un altro Stato dell’UE, o di estendere il proprio business oltre il confine a seguito di semplice notifica, qualora lo Stato dell’intermediario abbia messo in atto le poste condizioni imposte dalla direttiva. Ma tale meccanismo non può funzionare senza intoppi in quei paesi che stanno portando ritardo nell’implementazione della direttiva, con conseguente impossibilità per gli intermediari di far valere il passaporto europeo. Con lo spirare del termine per l’attuazione di due anni, il Bipar, assieme alle associazioni nazionali ha esortato i governi nazionali inadempienti a non provocare ulteriori ritardi, affinché sia reso effettivo e funzionante il mercato unico dell’intermediazione assicurativa. La Commissione Europea ha sollecitato gli stati inadempienti per ulteriori dieci mesi, fino a quando non è stata presa la decisione di avviare la procedura sanzionatoria. La direttiva è ritenuta di cruciale importanza, perché, una volta attuata uniformemente, permetterà agli intermediari di effettuare i servizi previsti dalle assicurazioni ai propri clienti anche quando questi sono esposti ad altri stati membri, come accade sempre più spesso. Allo stesso tempo gli intermediari assicurativi potranno soddisfare i propri clienti avendo a disposizione una più ampia gamma di prodotti presenti nel mercato unico, esercitando maggiormente il loro ruolo di catalizzatori di competizione a livello europeo. Il ritardo con cui alcuni Stati stanno dando attuazione alla direttiva, ostacola il perfezionamento del mercato unico d’intermediazione assicurativa. 35 Ubicato dal 1989 a Bruxelles il Bipar (European Federation of Insurance Intermediaries) è riconosciuto dalle istituzioni europee e internazionali come la federazione rappresentativa degli intermediari assicurativi europei, le cui attività possono avere un impatto sul settore. Aderiscono al BIPAR circa 42 associazioni nazionali rappresentative di agenti assicurativi e intermediari professionisti appartenenti a tutta l’area geografica dell’Europa e del Mediterraneo. Essa rappresenta circa 100 000 intermediari assicurativi professionisti, sia autonomi che dipendenti, in 27 paesi, che sono attivi in praticamente tutti i paesi del mondo e danno lavoro a più di 250 000 persone. 6 Il Bipar infatti segnala regolarmente alla Commissione le numerose difficoltà cui gli intermediari devono far fronte; vi sono testimonianze di intermediari francese che non si sono visti riconoscere il passaporto per operare in Inghilterra o Spagna. Le loro certificazioni, basate sulla licenza presa in Francia, sono state respinte dai due paesi. E’ stata quindi avanzata la proposta che il CEIOPS36 fissi un accordo provvisorio, da far valere nell’attesa che tutti gli Stati abbiano adempiuto agli obblighi della direttiva, con il quale consentire agli intermediari di far valere da subito i passporting rights. Il CEIOPS inoltre, in cooperazione con la Commissione, dovrà fornire indicazioni chiare e dettagliate sulle conseguenze della tarda implementazione sugli intermediari dell’UE e sulle soluzioni sperimentate dagli Stati membri per limitare l’impatto negativo nelle attività di intermediazione cross-border. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, è possibile che gli intermediari invochino gli effetti obbligatori della DIA per chiedere risarcimento dei danni agli Stati per non essere in grado di assicurare l’esercizio del business nei mercati europei. Allo stesso modo i clienti possono citare per danni gli Stati per non aver potuto godere della tutela a livello europeo prevista dalla legislazione comunitaria. Paul Carty, vice presidente del comitato UE del Bipar ha affermato: “Il mercato assicurativo unico non diventerà una realtà e anzi sarà fallimentare fintanto che la DIA non verrà implementata consentendo agli intermediari, che sono il vero motore del mercato, di esercitare la propria professione senza impedimenti in tutta l’Unione”. 36 Commettee of European Insurance and Occupational Pensions Supervisors 6 Capitolo III IL MARGINE DI SOLVIBILITA’ Sommario: 3.1 Il rischio – 3.2 Il margine di solvibilità – 3.3 Da Solvency 0 a Solvency II 3.4 Solvency II: le domande chiave – 3.5 Cos’è Solvency II – 3.6 In particolare: le ragioni giustificatrici del progetto Solvency II – 3.7 I tre pilastri – 3.8 Ipotesi sull’impatto del nuovo sistema di solvibilità – 3.9 L’attività di CEA e CEIOPS – 3.10 Quantitative Impact Study I – 3.11 Quantitative Impact Study II – 3.12 Alcune criticità di Solvency II – 3.13 I Consultation Papers del CEIOPS 3.1 Il rischio Il rischio è definito dall’imprevedibilità degli avvenimenti futuri, e quindi dalla possibilità che la manifestazione concreta di un qualsiasi fatto incerto possa dare risultati diversi da quelli previsti37. I rischi generano incertezza legata agli effetti derivanti dalla destinazione delle risorse economiche generate dall’attività stessa. Ciò che preoccupa l’impresa sono le conseguenze negative del verificarsi dei rischi. Queste sono definite come rischio d’impresa che è un rischio economico generale, il quale al suo interno può essere suddiviso in una serie di rischi correlati ed interdipendenti. Nella prassi si distinguono rischi puri e statici, che producono solo effetti negativi, speculativi e dinamici, che possono produrre sia effetti positivi che negativi. Soprattutto i rischi puri possono generare grosse perdite alle imprese, limitandone la libertà d’azione, creando ostacoli alla creazione di reddito, non essendo mai del tutto eliminabili. 37 F. Brambilla ,“Trattato di statistica” , vol. 2, ed. Utet, Torino, 1968, pag. 9. 6 Per questo motivo le imprese si rivolgono alle compagnie di assicurazione, le quali dietro versamento di un premio si assumono le conseguenze negative all’avverarsi del rischio38. I rischi assicurati sono quelli definiti puri che l’impresa non può eliminare: tra questi però non tutti sono assicurabili. L’impresa d’assicurazione per assumersi tali rischi richiede il verificarsi di date condizioni per far sì che il rischio puro diventi assicurabile. Tali condizioni si ritrovano in alcune caratteristiche che sono: 1) il rischio deve riguardare un gran numero di unità, perché solo così è possibile calcolare la probabilità di manifestazione dell’evento. 2) le unità assunte devono rispondere a requisiti di omogeneità qualitativa e quantitativa per controllare meglio gli effetti negativi da imputare all’imprevedibilità. L’omogeneità qualitativa identifica meglio le caratteristiche delle unità assicurate per meglio classificarle all’interno di gruppi il più possibili omogenei. L’omogeneità quantitativa realizza invece un livellamento dei valori delle prestazioni per evitare sproporzioni eccessive nei rimborsi per rami diversi, e valori troppo alti in relazione ai beni assicurati. 3) la frequenza di accadimento deve essere determinabile a priori; ciò per poter definire il prezzo della copertura assicurativa. 4) il danno producibile deve dipendere solo da eventi aleatori e deve essere di entità considerevole. Questo è richiesto per due motivi: far sì che l’intervento dell’uomo non possa in nessun modo modificare o alterare la probabilità di accadimento e per creare interesse alla copertura assicurativa, che altrimenti se il danno fosse modesto non comporterebbe nessun bisogno di assicurarsi. 5) il costo connesso alla copertura assicurativa deve invece essere di importo modesto, affinché si crei una collettività abbastanza numerosa. Sì da luogo 38 Lo stesso codice civile all’art. 1882 definisce il rapporto del contratto assicurativo come “l’assicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”. 6 qui al verificarsi della legge dei grandi numeri che afferma che all’aumentare del gruppo e delle frequenze dell’evento stimate, ne deriva che la differenza tra la frequenza stimata e la sua probabilità matematica tende a zero, quindi la frequenza si stabilizzerà intorno ad un dato valore. 6) occorre infine, che la probabilità di accadimento del rischio sia indipendente dagli altri rischi: in poche parole che il verificarsi di un rischio su un soggetto, in un dato gruppo, non influenzi la probabilità di accadimento degli altri rischi. Viste le condizioni necessarie per l’assicurabilità di un rischio puro, possiamo vedere sinteticamente le principali tipologie di rischi presenti in un’impresa di assicurazione, questi sono: - rischi riguardanti le persone39 - rischi riguardanti le cose e i beni - rischi riguardanti la responsabilità civile per danni alle persone o a cose Dunque l’impresa di assicurazione ha come oggetto principale della sua attività l’assunzione di tali rischi. Questo avviene appunto mediante la riscossione anticipata di un premio, rispetto al possibile evento dannoso. Si crea così l’inversione del ciclo economico, fatto caratteristico non riscontrabile in altri tipi di imprese. Si creano anche maggiori complessità nella gestione dell’attività assicurativa, rispetto alle altre attività economiche, perché tutte le decisioni, nell’ambito della determinazione del premio, sono prese prima di conoscere con precisione quali saranno i costi40 (a seconda che sia 39 Questi possono essere suddivisi in : - rischi riguardanti la vita umana riconducibili alle assicurazioni in caso di vita e di morte - rischi riguardanti gli infortuni sul lavoro, invalidità, vecchiaia, disoccupazione, malattie. Tra queste assicurazioni rientrano anche quelle obbligatorie di natura sociale che hanno una regolamentazione speciale. 40 Nella normalità l’impresa di assicurazione non dovrebbe mai avere problemi di autofinanziamento, appunto perché acquisisce con anticipo i ricavi rispetto ai costi. Gli unici costi sostenuti anticipatamente sono quelli relativi alle provvigioni e spese di incasso dovute agli agenti 6 un’assicurazione su cose o persone distinguiamo risarcimento, capitale maturato, rendita). Collegate al problema della non conoscenza degli effettivi costi, vi sono anche tutte le decisioni riguardanti gli investimenti delle grandi somme di denaro incassate, che l’impresa di assicurazione sa dovranno essere accantonate per far fronte agli esborsi futuri41, ma che contemporaneamente dovranno anche essere fonte di reddito per l’impresa in quanto non si sa quanto in la nel tempo avverranno i pagamenti; ed anche perché in ogni caso il fine dell’impresa di assicurazione, come per tutte le imprese economiche, è quello di produrre reddito. A fianco del rischio puro, che rappresenta la centralità della sua attività, sorgono una serie di altri rischi accessori che vanno tenuti sotto controllo al fine di garantire la solvibilità42 dell’impresa di assicurazione nei confronti degli assicurati. e i costi amministrativi di gestione dell’impresa. Questi non dovrebbero mai generare problemi di deficit di cassa; quindi la loro incidenza al rischio d’insolvenza è trascurabile. 41 In realtà non tutti i rischi genereranno costi. Una parte di questi non vedrà il verificarsi di nessun evento dannoso. In questo caso l’intero premio andrà a costituire il reddito di pertinenza dell’impresa. 42 Per solvibilità si intende la capacità dell’impresa di assicurazione di far fronte ai propri impegni verso gli assicurati. Riguardo alla solvibilità nel settore assicurativo tale espressione è generalmente usata per indicare lo stato di benessere di un’impresa, sia dal punto di vista dell’autorità di vigilanza sia da quello del management della compagnia stessa. Va però detto che i due soggetti interessati si prefiggono istituzionalmente obiettivi diversi. Mentre l’autorità di vigilanza deve garantire agli assicurati e ai danneggiati la solvibilità della compagnia, e a tal fine effettua periodicamente un monitoraggio a breve termine sulla stessa, il management invece è responsabile principalmente nei confronti degli azionisti, della prosecuzione dell’attività dell’impresa, non solo nel breve ma anche nel lungo termine, dovendo garantire una congrua remunerazione del capitale investito. I soggetti sopra menzionati fanno quindi riferimento a due diversi concetti di solvibilità. Per tale ragione spesso si parla di solvibilità quando l’esaminatore è l’autorità di vigilanza, mentre si parla di solidità finanziaria quando è indagata la capacità dell’impresa di fronteggiare le fluttuazioni sfavorevoli e quindi garantire la continuazione nel lungo periodo della propria attività. N. Savelli nella rivista “Finanza imprese e mercati” n. 2 1994. 6 Per far fronte a tali peculiari caratteristiche sono molteplici gli strumenti previsti dalla normativa. I principali metodi vanno dalle riserve tecniche43, ottenute dall’applicazione di metodologie statistiche ed attuariali ai premi incassati, alla costruzione di premi mediante metodi probabilistici basati sull’osservazione sia del numero degli eventi accaduti negli anni sia del loro costo medio, alla previsione di capitali supplementari che permetteranno all’impresa di assicurazione di coprire qualsiasi perdita emergente e quindi di sopravvivere. I fattori di instabilità si ritrovano principalmente nel passivo per la possibilità che le basi statistiche e finanziarie sottostanti ai premi si dimostrino inadeguate e che quindi le riserve tecniche costituite con tali fonti a loro volta risultino inadeguate. Le diverse tipologie di rischi possono essere raggruppate e classificate in tre macro classi: 9 rischi tecnici (sottotariffazione, sovrasinistralità, errate riserve tecniche, tipologie di riassicurazione). 9 rischi di mercato (di investimento, di credito, di tasso di interesse, di cambio, di liquidità). 9 rischi diversi (di inflazione, legati al comportamento del management, dell'andamento dell'economia in generale, condizioni socio politiche). 43 Le riserve tecniche, iscritte nel passivo indicano la complessiva esposizione debitoria della compagnia per effetto dei contratti stipulati e per la quale ad una certa data (la chiusura dell’esercizio) non ha ancora assolto le proprie obbligazioni. Nei rami danni le principali riserve tecniche sono “la riserva premi” e “la riserva sinistri”. Nel ramo vita è “la riserva matematica”. Tratto da “Il margine di solvibilità delle imprese di assicurazione: confronto tra i sistemi europeo ed americano” Quaderno ISVAP n. 6. 1997. 6 3.2 Il margine di solvibilità europeo L’esigenza anche in Europa di accrescere gli strumenti a disposizione delle imprese di assicurazione per tenere maggiormente sotto controllo la solvibilità, è cresciuto nel tempo per i soliti motivi: crescita della componente finanziaria nei prodotti assicurativi, soprattutto nel ramo vita, e maggiore competitività che spinge ad assumere sempre maggiori rischi d’investimento da parte delle imprese di assicurazione. La tendenza è venuta crescendo nel tempo, con l’emanazione di direttive sempre più improntate a liberalizzare il mercato per garantire la massima trasparenza e competitività. Dall’altra parte, mediante la creazione di un sistema di norme volte a garantire maggiormente la solvibilità dell’impresa. Queste ultime (a parte le norme riguardanti il livello di capitalizzazione minima) si riflettono nel Margine di Solvibilità, che trova origine negli studi svolti negli anni ‘60 e poi introdotto con le direttive di prima generazione (direttiva n. 239 del 1973 per i rami danni e direttiva n. 267 del 1979 per i rami vita). Questo deve essere costituito con quella parte del capitale libero da impegni verso gli assicurati, quindi patrimonio interamente a disposizione dell’impresa d’assicurazione. Il Margine di Solvibilità viene di volta in volta inteso come un’ulteriore riserva dell’impresa, ma non tecnica, o come un livello supplementare di patrimonio libero: in generale può essere inteso come un cuscinetto supplementare che serve per far fronte ai possibili imprevisti, che data l’attività assicurativa possono manifestarsi e intaccare la solidità finanziaria dell’impresa. Il Margine di Solvibilità è uno strumento complementare al capitale minimo e alle riserve tecniche. A differenza di queste ultime, il margine è però determinato riguardo all’attività svolta dall’impresa e a quella che si prevede per il futuro. Quindi non gode del principio di funzionamento tipico dell’attività assicurativa nel quale le riserve tecniche sono costituite con i premi raccolti (inversione del 6 ciclo economico). Deve essere quindi costituito con capitali apportati dagli azionisti o in generale utili e attività dell’impresa stessa44. In tal modo guardando la gestione dell’impresa di assicurazione possiamo affermare che il Margine di Solvibilità garantisce e determina la capacità di solvibilità dinamica dell’impresa, mentre le riserve tecniche garantiscono la capacità di solvibilità statica45. Il Margine di Solvibilità deve essere costituito da valori non destinati a copertura di impegni verso gli assicurati. Le varie direttive che regolano il margine e l’attività assicurativa precisano quali beni possono entrarne a far parte, e quali valori ne sono invece esclusi. In linea di massima, la scelta comunitaria privilegia la costituzione del margine con attività che presentano un buon grado di liquidità e non eccessivamente rischiose, in modo tale da rendere la volatilità del margine minima, garantendo la massima solvibilità46. Il margine, è poi differenziato nella fase di calcolo per il ramo vita e per il ramo danni. Ogni formula cerca di prendere in considerazione i fattori rilevanti del ramo. Riserve matematiche e capitali sotto rischio per i rami vita; riserve tecniche e premi per i rami danni. Oltre a questi fattori principali, è preso in considerazione anche il ricorso a politiche riassicurative (passive) che riducono gli impegni dell’impresa assicurativa e quindi il margine minimo da possedere. 44 Donati-Volpe Putzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni., Giuffrè, 2000 pag. 44-45: <<la funzione del Margine di Solvibilità è una funzione di garanzia in senso lato della solvibilità dell’impresa, poiché si risolve nell’obbligo di mantenere un’eccedenza delle attività rispetto alle passività, proporzionata al volume di affari dell’impresa. Sotto il profilo patrimoniale, il Margine di Solvibilità assorbe la garanzia offerta dal capitale sociale, che in quanto componente del patrimonio netto concorre alla costituzione del margine, ma sul piano giuridico capitale sociale e Margine di Solvibilità sono entità che vanno debitamente distinte e alle quali si applicano normative diverse>>. 45 Op. cit. .Rischio d’impresa in campo assicurativo. di F. Gismondi T. Di Gregorio, ed. Il Mulino, Bologna 1997, pag. 77,78. 46 In realtà per tutti gli investimenti, l’U.E. privilegia e raccomanda criteri di prudenza evidenziando il rispetto dei requisiti di: redditività, liquidità. 7 Tale fenomeno è però in parte frenato per evitare il massiccio ricorso alla riassicurazione, di fronte a rapidi accrescimenti produttivi non sorretti da adeguati mezzi patrimoniali, dove il ricorso alla riassicurazione passiva potrebbe essere massiccio, con conseguente calo del Margine di Solvibilità: per questo è fissato un limite massimo alla cessione dei rischi, che risiede nel 50% dei sinistri e capitali sotto rischio47 e nell’85% delle riserve matematiche. Va precisato che le imprese di riassicurazione sono esentate dalla costituzione del Margine di Solvibilità, mentre chi esercita sia riassicurazione che assicurazione, vede rientrare anche le operazioni di riassicurazione nel calcolo del Margine di Solvibilità. La formula in sostanza si presenta molto rigida, anche se sono in atto proposte per modifiche ai parametri per renderla sempre più attenta all’evolversi delle situazioni rischiose nel mercato assicurativo. Oltre al valore del Margine di Solvibilità, la normativa stabilisce un livello minimo di questo, che deve essere obbligatoriamente mantenuto sempre dall’impresa di assicurazione, dal momento della sua costituzione, detto in Italia quota di garanzia, ma definito dall’Unione Europea fondo di garanzia. Il fondo di garanzia è costituito da un terzo del Margine di Solvibilità, ed ha come scopo principale quello di fornire sempre un livello di capitalizzazione minimo all’impresa di assicurazione, che possiamo definire come un livello minimo di sicurezza, senza il quale all’impresa non è consentito continuare l’attività48. La normativa europea sul Margine di Solvibilità dà delle linee generali da seguire nel calcolo e composizione. I singoli stati, con le loro autorità di vigilanza, 47 I capitali sotto rischio, presenti nelle assicurazioni che prevedono un pagamento sia in caso di vita che di morte, sono pari alla differenza tra il capitale caso morte previsto dalla polizza e la riserva matematica accantonata. Esprime in pratica il capitale necessario all’assicuratore da integrare con la riserva (matematica) già accumulata per fronteggiare il pagamento del capitale in caso si verifichi la morte dell’assicurato prima del previsto. 48 Per le imprese vita in ogni caso, la quota di garanzia non può essere inferiore a . 800.000, fatti salvi limiti specifici per le mutue. Nei rami danni la quota minima non può essere inferiore a prefissati limiti d’importo legati alla tipologia di rischio assunto stabiliti nell.art. 39, D. Lgs n. 175 del 1995. 7 possono in alcuni punti modificare, ma non stravolgere, alcuni criteri alla base del calcolo o valori di attività ammissibili nel margine. Questo perché le singole normative tra i paesi membri dell'U.E. non sono ancora del tutto armonizzate, soprattutto nell’ambito della corretta contabilizzazione a bilancio di alcune classi di attività49. Infine, le soglie di intervento da parte delle autorità di vigilanza variano secondo la mancanza del Margine di Solvibilità richiesto, e si differenziano tra i vari paesi membri dell’U.E. non ritrovando ancora quell’armonia più volte necessaria per un mercato libero e competitivo che offra le stesse condizioni a tutti gli operatori. In tutti i paesi si hanno due distinte soglie: la prima, quando si scende al di sotto del Margine di Solvibilità, che prevede diversi interventi che si possono differenziare da paese a paese in linea di massima riconducibili ad integrazioni di capitale, ricorso obbligato alla riassicurazione passiva, riduzione del volume di attività, riqualificazione del portafoglio di assicurati. La seconda, quando si scende al di sotto del fondo minimo di garanzia, che può portare ad immediati piani di risanamento, all’amministrazione controllata e alla liquidazione coatta amministrativa se la situazione è insanabile. Come si può osservare la gran parte degli interventi è di origine finanziaria, rivolta a suoi miglioramenti indiretti (riqualificazione del portafoglio, riassicurazione) o diretti (apporto di nuovi capitali) e di rapido effetto. Il Margine di Solvibilità può essere così visto anche come un istituto, che regola con particolari meccanismi di controllo, l’attività delle imprese assicuratrici che, pur trovandosi in una situazione di rischio elevato, sono ritenute in ogni caso in grado di predisporre misure idonee al superamento dello stato di squilibrio in cui versa50. 49 Per esempio in alcuni paesi date attività sono contabilizzate a valore di mercato, mentre in altri gli stessi valori sono contabilizzati al costo storico. È attualmente allo studio da parte dello IASCO un’armonizzazione dei principi contabili europei. 50 Op. cit. Riserve tecniche e margine di solvibilità nelle imprese di assicurazione di F. Rubino, ed. Franco Angeli, Milano 2000 pag. 116, 117. 7 3.3 Da Solvency 0 a Solvency II Il progetto Solvency 0 deriva da studi compiuti negli anni ’60; recepito nelle direttive assicurative di prima generazione (anni ’70). Solvency 0 ha introdotto il requisito patrimoniale minimo (“margine minimo di solvibilità”) e lo ha rapportato ad indicatori semplici quali premi e sinistri nell’assicurazione danni, riserve matematiche e capitali sotto rischio nell’assicurazione vita. Solvency I aggiorna Solvency 0 senza mutarne la logica. Si tratta di una riforma avviata nella seconda metà degli anni ’90 e recepita in due direttive del 2002. Solvency II è una riforma radicale che non abbraccia le sole metodologie di calcolo del requisito patrimoniale ma riguarda l’intero sistema di vigilanza prudenziale. Si tratta di un progetto avviato dalla Commissione Europea nel 2000 allo scopo di riformare l’intero sistema di vigilanza prudenziale delle imprese di assicurazione. L’obiettivo non è solo quello di modificare i criteri quantitativi per il calcolo del margine di solvibilità, ma di rivedere il complesso di regole a presidio della stabilità delle imprese. Il sistema di solvibilità europeo (“Solvency I”) finora ha tenuto, ma presenta diversi limiti: 9 non considera l’insieme dei rischi cui è esposta un’impresa dal lato dell’attivo e del passivo; 9 non tiene conto dei rischi specifici di una compagnia (a parità di premi e di sinistri, la rischiosità di due imprese può essere molto diversa); 9 non tiene conto delle interconnessioni fra le regole relative a riserve tecniche, attivi a copertura, margine di solvibilità; 9 non tiene conto della qualità del risk management / controllo interno delle diverse imprese. Di conseguenza Solvency II si pone l’obiettivo di definire un sistema di regole prudenziali che: 9 rifletta meglio i rischi effettivi assunti dalle imprese; 7 9 incentivi le imprese di assicurazione a conoscere e gestire meglio i propri rischi; 9 consenta alla vigilanza di cogliere per tempo i segnali di difficoltà; 9 migliori confrontabilità e trasparenza fra imprese e tra mercati; 9 sia flessibile in modo da riflettere con tempestività gli sviluppi del mercato. 7 3.5 Solvency II: Le domande chiave a) Perché è necessario un nuovo sistema di regole sulla solvibilità? L’attuale struttura di regole denominata Solvency I51, in vigore dai primi anni ’70, usa un modello semplice e robusto per calcolare i requisiti di capitali. Questo modello può essere implementato ad un costo molto basso e produce risultati apprezzabili sul mercato assicurativo. Il suo difetto risulta quello di essere troppo semplice e di non dirigere i capitali accuratamente dove di questi vi è necessità: dove, cioè, sono presenti i rischi. Negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro che il margine di solvibilità delineato da Solvency I risulta non essere più adeguato, e di conseguenza la regolamentazione in numerosi paesi ha dovuto subire un rafforzamento: ciò ha prodotto un patchwork di regole differenti in tutta l’Europa. La lezione appresa tra il 2002 e il 2003, quando i mercati finanziari crollarono improvvisamente, causando il fallimento di più di una compagnia assicurativa, ha accresciuto la coscienza, sia degli operatori che del legislatore, dell’importanza di una miglior pratica del risk management. b) In cosa il nuovo sistema si differenzierà dal vecchio? Il nuovo sistema, denominato Solvency II, si baserà sui principi dell’economia per calcolare i requisiti di capitali delle imprese di assicurazione. Sarà anche un sistema basato sull’analisi del rischio, e su di esso verranno basate tutte le misurazioni del margine di solvibilità. Una struttura di fattori semplici, come quella usata in Solvency I, non è più adeguata alla grande quantità e diversificazione dei rischi che si riscontra in un’odierna compagnia assicurativa. Le compagnie più avanzate hanno realizzato dei sofisticati modelli interni per misurare gli effetti di eventi avversi sui loro portafogli. Questi modelli, dopo accurate analisi e studi, vengono utilizzati come base per realizzare la nuova struttura di regole. 51 Solvency I è un termine di ampio respiro che comprende tutto il sistema di direttive che regolamenta l’attuale sistema prudenziale del mercato assicurativo 7 Le compagnie che, invece, non si sono dotate di modelli interni potranno utilizzare un sistema di approccio standard52, che comunque risulta molto più evoluto del sistema attualmente in vigore. Lo scopo di Solvency II non è semplicemente quello di elevare in maniera generica i livelli minimi dei requisiti patrimoniali ma essenzialmente quello di assicurare un alto standard di valutazione del rischio e un’allocazione efficiente dei capitali. c) Che impatto avrà Solvency II sui governi, sull’industria assicurativa, e sull’economia europea? La necessità che le compagnie migliorino la loro pratica del risk management e che esse possiedano adeguati livelli di capitali, darà ai governi una miglior protezione contro il rischio di fallimento delle compagnia. Un secondo vantaggio sarà sicuramente quello di una miglior allocazione dei capitali, che dovrebbe riflettersi positivamente sulla riduzione dei costi per i consumatori, accresciuta concorrenza e trasparenza, e potrebbe altresì produrre un miglioramento dei prodotti, collegato ad una sensibile diminuzione dei prezzi. Per quel che riguarda l’industria assicurativa, invece, i miglioramenti nel campo del risk management sono stati sensibili in questi ultimi anni. Solvency II incoraggerà ulteriormente l’intera industria a adottare queste pratiche. E’ atteso che lo standard generico di valutazione dei rischi si elevi abbastanza rapidamente. L’industria assicurativa europea include un grande numero di piccole e medie compagnie che dovrebbero affrontare ingenti costi per realizzare modelli interni atti a calcolare i propri requisiti patrimoniali per la solvibilità. Esse potranno utilizzare il cosiddetto approccio standardizzato che permetterà loro di aggirare il problema degli ingenti costi, a discapito però della precisione: questo approccio infatti, essendo meno personalizzato, dovrebbe rivelarsi anche maggiormente approssimativo. 52 L’approccio standardizzato al calcolo del margine di solvibilità prescrive un metodo da seguire obbligatoriamente: ad esempio nell’assicurazione non-vita esso deve essere calcolato in ogni caso mediante formule. 7 La progettazione e i possibili effetti dell’approccio standard sono attualmente in fase di approfondita valutazione nel secondo c.d. Quantitative Impact Study (QIS 2) condotto dal Ceiops53. Se il progetto Solvency II dovesse realizzarsi al meglio, esso non solo condurrà ad una più efficiente allocazione dei capitali in tutta l’industria assicurativa, ma dovrebbe anche condurre ad un’industria meglio amministrata che possa aspirare a realizzare la propria stabilità finanziaria in un mondo di rischi. Una più efficiente allocazione dei capitali conduce all’abbassamento dei prezzi per i consumatori. Un minor rischio per le compagnie assicurative crea maggior fiducia nella stabilità industriale e finanziaria. In più, la nuova struttura regolamentatoria si applicherà uniformemente in tutta l’Unione Europea. Accoppiato ad una maggior trasparenza e ad una maggior informazione al pubblico, questo dovrebbe accelerare la realizzazione di un vero e funzionante Mercato Unico nei servizi finanziari. 53 Ceiops: Committee of European Insurance and Occupational Pensions Supervisors 7 3.6 Cos’è Solvency II Solvency II è sia un concetto che un processo. Il concetto è molto semplice: che assicuratori e riassicuratori dovrebbero rendersi conto appieno dei rischi inerenti alla loro attività e allocare sufficienti risorse per coprire questi rischi. Il processo atto a realizzare questo concetto è però molto più complesso. Esso coinvolge i legislatori dell’UE, della Svizzera, della Norvegia, del Liechtenstein e dell’Islanda. Nonostante i principi guida del processo siano comuni, sono tuttora presenti numerose diversificazioni nell’implementazione, che non si completerà del tutto prima dell’anno 2010. L’approccio raccomandato dalla commissione è praticamente quello di richiedere alle compagnie di assicurazione e riassicurazione di produrre modelli finanziari. Sono previsti comunque meccanismi semplificati per le operazioni più piccole e meno sofisticate. Le proposte sono basate su tre pilastri: 1. il I pilastro quantifica i presidi patrimoniali a fronte dei rischi di sottoscrizione (underwriting), di mercato e di credito lasciando spazio, eventualmente, ai modelli interni; 2. il II pilastro è indirizzato, da un lato, alla diffusione della cultura del rischio all’interno dell’impresa, attraverso la costituzione di presidi volti al monitoraggio del rischio, e, dall’altro, alla previsione di metodologie di controllo uniformi da parte dell’autorità di vigilanza; 3. il III pilastro, rappresenta, in un certo senso, il corollario dei due pilastri precedenti, ovvero un’impresa che quantifica il proprio livello di rischio effettivo (I pilastro) e lo monitora attraverso idonee infrastrutture (II pilastro) non può non comunicare al mercato in maniera trasparente il suo modo d’essere e di operare”. La Commissione Ue ha definito, dopo una prima fase di ricognizione del modus operandi delle principali compagnie, il timesheet dei lavori per la 7 costruzione dell’apparato di solvibilità seguendo il cosiddetto approccio Lamfalussy54. Il Committee of European Insurance and Occupational Pension Supervisors (CEIOPS), comitato di terzo livello, ha prima di tutto formulato i pareri relativi alla forma e agli elementi costitutivi del II pilastro (giugno 2005) e del I pilastro (ottobre 2005) sulla base della consultazione con gli operatori del mercato. Nel febbraio del 2006 ha formulato il parere sul III pilastro. Spetterà poi all’European Insurers e Occupational Pension Committee (EIOPC) il parere definitivo sull’adozione delle misure. L’assetto attuale della vigilanza prudenziale si fonda sull’istituto del margine di solvibilità. Esso corrisponde ad un coefficiente fisso degli impegni assunti nell’ultimo anno (ramo vita) o alle risorse raccolte o erogate nell’ultimo triennio (ramo danni), senza tenere conto di nessun’altra tipologia di rischio quale, ad esempio, il rischio finanziario connesso all’investimento delle risorse raccolte a titolo di premi o il rischio di disallineamento tra i tassi riconosciuti sulle polizze e i tassi relativi al portafoglio investimenti. Le risorse disponibili per il soddisfacimento del requisito prudenziale devono essere almeno pari al margine di solvibilità. Il requisito patrimoniale soffre di un limite intrinseco: la misura unica del coefficiente di rischio di sottoscrizione finisce per equiparare compagnie con caratteristiche assai diverse penalizzando, ad esempio, con vincoli di solvibilità più stringenti, le imprese più grandi. Queste, potendo contare su un portafoglio di maggiori dimensioni, conseguono, per la legge dei grandi numeri, un minor scostamento tra le basi demografiche adottate e la mortalità effettiva per il ramo vita, una stabilizzazione della sinistrosità per il ramo danni. Esistono, quindi, esigenze di patrimonializzazione individuali diverse a seconda del soggetto considerato, del ramo esercitato all’interno del business vita e danni (si pensi all’impegno a fronte dei sinistri con bassa frequenza e di importo elevato), del rischio conservato. 54 L’approccio Lamfalussy prevede l’implementazione delle misure tecniche che avviene grazie al fondamentale contributo dei comitati a diversi livelli. 7 Esistono una serie di ulteriori istanze presenti nel mondo assicurativo, e non solo, che spingono per una completa revisione dell’intero impianto di solvibilità. Da una parte il fondamentale principio dell’allocazione del capitale in base al rischio, ha indotto a una continua evoluzione del sistema finanziario, in primis del settore bancario (Basilea 2). Dall’altra, le esigenze di confrontabilità nei settori aperti alla concorrenza ha spinto alla previsione di standard comuni di valutazione e di rappresentazione dei risultati (i principi contabili internazionali)”. “Solvibilità II nasce come risposta alla necessità di creare un sistema di sicurezza calibrato sul profilo di rischio effettivo della singola impresa di assicurazioni (“one size does not fit all”) in un contesto concorrenziale. Pertanto, non più coefficienti fissi, ma un sistema di determinazione della dotazione patrimoniale minima, frutto dell’individuazione, dell’eventuale autonoma misurazione e della gestione di tutte le fonti di rischio di soggetti che fanno del rischio il proprio business”. In altre parole, diffusione della cultura del rischio55”. 55 Professor Claudio Porzio, ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università degli Studi di Napoli e docente presso la Divisione Intermediari Finanziari ed Assicurazioni della SDA Bocconi di Milano, in un’intervista su www.soldionline.it 8 3.7 In particolare: le ragioni giustificatrici del progetto Solvency II Il vigente sistema di Solvibilità è stato introdotto nei primi anni ’70. Da allora, la scienza del risk management ha progredito considerabilmente. Molte grandi compagnie hanno sviluppato sofisticati modelli di risk management, sia per definire i requisiti patrimoniali, sia per porre in essere strutture manageriali atte a identificare, misurare, e controllare i livelli di rischio. Nella vigente struttura di Solvency I, sono presenti alcuni elementi per la valutazione della solvibilità che non sempre sono appropriati, e addirittura talvolta contraddittori. Alcune regole sono tali da essere contrarie alla teoria corretta del risk management: ad esempio una compagnia che incrementa i propri premi nonvita senza incremento della sinistrosità riduce il rischio di insolvenza, ma i requisiti patrimoniali aumentano. In Solvency II, lo scopo è quello di realizzare una struttura coerente con tutte le altre misure legislative riguardanti la solvibilità nell’intero campo dei servizi finanziari, che tenga in considerazione gli studi di risk management e l’accuratezza della valutazione dei rischi. Negli ultimi anni, in molti paesi dell’Unione, si è verificato un progressivo rafforzamento della legislazione in materia assicurativa per correggere le inadeguatezze conosciute, ma questo processo è stato realizzato in maniera abbastanza frammentaria. L’UE, di conseguenza, ha sentito l’esigenza e la necessità di dare una svolta univoca alla materia assicurativa. Solvency II è un’opportunità per migliorare la regolamentazione delle assicurazioni introducendo: 9 un sistema basato sul rischio; 9 un approccio che integri le previsioni assicurative e i requisiti patrimoniali; 9 una struttura onnicomprensiva per il risk management; 9 requisiti patrimoniali definiti o da un approccio standardizzato oppure da modelli interni; 9 una migliore valutazione, e di conseguenza mitigazione, dei rischi. 8 Un sistema basato sul rischio permette di allocare i capitali accuratamente proprio dove i rischi si annidano. Se il sistema si dimostrasse inaccurato, le compagnie dovrebbero sostenere costi superiori rispetto al necessario per coprire determinati rischi, con la conseguenza dell’incremento del costo delle assicurazioni per i consumatori. Per altri rischi, invece, verrebbero accantonati capitali inadeguati, aumentando il pericolo di fallimento. Idealmente, un sistema basato sulla valutazione dei rischi dovrebbe misurare accuratamente il livello dei rischi in portafoglio, ed indicare un ammontare di capitali ad esso proporzionato, al fine di utilizzare i capitali nella maniera più efficiente possibile. Solvency I specificava i requisiti patrimoniali mediante un semplice set di fattori da applicare alle riserve tecniche ed ai premi. Questi fattori definivano il cosiddetto margine di solvibilità che doveva essere mantenuto dalle imprese ulteriormente ed esternamente alle riserve tecniche. Il problema di questo approccio è che non sempre le previsioni si sono dimostrate adeguate, soprattutto a causa della varietà di prodotti e delle differenze tra paesi. Solvency II offre l’opportunità di rileggere questi principi con un approccio estremamente rivolto verso i principi di mercato. Solvency II non si limiterà a definire i requisiti di capitali, ma richiederà anche alle compagnie di dotarsi di sistemi, processi, e controlli per la valutazione dei rischi. Le compagnie in grado di adattarsi al meglio a queste richieste, verranno ricompensate con inferiori requisiti patrimoniali, facendo sì che esse possano riscontrare tutti i vantaggi possibili del migliorarsi nel campo del risk management. Il livello di rischio in un portafoglio assicurativo dipende da una molteplicità di fattori. Il livello delle tariffe può incidere quando un’impresa riesce ad emettere un prodotto con più ampio margine di profitto. L’esistenza di opzioni e garanzie diversificate nell’ambito del prodotto incide, come incide la politica di investimenti della compagnia. 8 Elementi di grande incisività sul tasso di rischio possono essere certamente la sinistrosità, il rapporto tra sinistri e premi incassati, una strategia di investimenti aggressiva, e tutto ciò va ad incidere sulle richieste di capitali. Le tecniche di risk management, come l’uso della riassicurazione e della coassicurazione, può ridurre il livello dei rischi. Infine, il livello della diversificazione all’interno del portafoglio può avere un effetto significante sui requisiti patrimoniali. La diversificazione si basa sul principio per il quale non tutti i rischi si cristallizzeranno nello stesso momento. Una compagnia assicurativa che sottoscrive un ampio numero di rischi difficilmente dovrà trovarsi nella condizione di risarcirli tutti nello stesso momento. Maggiore è il numero dei rischi, maggiori sono le probabilità che la sinistrosità si attesti sui livelli attesi. Gli effetti della diversificazione operano su livelli diversi: ad esempio, tra rischi individuali all’interno di un portafoglio, tra diverse aree geografiche, ecc.. Grazie alla diversificazione, i requisiti di capitali per l’intero portafoglio di rischi saranno inferiori alla somma dei singoli capitali richiesti per ogni componente separatamente. Vista la grande quantità di elementi che incidono sul livello di rischio è impossibile, o comunque molto difficile, sviluppare un set di fattori semplice che possa catturare efficacemente tutti questi elementi. Molte compagnie hanno, di conseguenza, sviluppato sofisticati modelli computerizzati atti a testare gli effetti di differenti eventi sui loro portafogli assicurativi. Questi modelli possono essere usati per calcolare la quantità di capitali necessari per affrontare la varietà di circostanze avverse che potrebbero insorgere. Tenuto conto che tali modelli devono essere sottoposti a robuste procedure di verifica e controllo, essi provvedono comunque i migliori mezzi disponibili per determinare i requisiti patrimoniali perfettamente adeguati ad un particolare portafoglio. Non tutte le compagnie però hanno sviluppato questi sofisticati modelli interni, o non tutti i modelli hanno ottenuto l’autorizzazione dopo essere stati sottoposti ai controlli dell’autorità competenti. 8 Per di più, le compagnie piccole e medie potrebbero avere grosse difficoltà nel sostenere i costi dello sviluppo di tali modelli interni. Il progetto Solvency II prevede un approccio alternativo detto “Standard Approach”, che potrà essere utilizzato nei suddetti casi. Questo approccio sarà risk-based e in linea di massima seguirà gli stessi principi dei modelli interni e la sua struttura sarà disegnata in modo tale da ottenere risultati similari, ma necessiterà anche di incorporare margini conservativi per il fatto che l’approccio non è perfettamente adeguato allo specifico profilo di rischio. Nonostante l’approccio standardizzato sarà certamente più economico rispetto allo sviluppo di modelli interni, visualizzando questa materia in un’ottica di lungo periodo sarà sicuramente più vantaggioso ed incentivante per le compagnie, muoversi verso un approccio maggiormente sofisticato. In ogni caso, la decisione sull’approccio da scegliere, rimarrà a totale appannaggio della compagnia. Solvency I non fa riferimenti diretti alla diversificazione e alla mitigazione dei rischi, non procurando alcun incentivo per le compagnie che organizzano il proprio business in maniera tale da ottenere un alto livello di diversificazione o sviluppano strategie per mitigare i rischi. Solvency II invece provvede l’opportunità di riconoscere sia gli effetti della mitigazione dei rischi che quelli della diversificazione, affidando queste materie ad appropriate regole riguardanti la mobilità dei capitali. 8 3.8 I tre pilastri Il progetto Solvency II prende come riferimento la struttura a tre pilastri lanciata da Basilea II per il settore bancario, anche se le similitudini tra i due modelli sono molto limitate, data la specificità del settore assicurativo. In particolare il nuovo sistema di solvibilità prevede la possibilità di adottare misure nuove non solo dal punto di vista quantitativo (indicatori, modelli, rapporti), ma anche dal punto di vista qualitativo (risk management, controlli di rischio interni, stress test). Il progetto in esame, lanciato dalla Commissione Europea per la completa revisione del sistema attuale di controllo prudenziale delle compagnie assicurative vita e danni, è in piena fase di implementazione, che dovrebbe completarsi intorno all’anno 2010. Il I pilastro quantifica i presidi patrimoniali a fronte dei rischi di sottoscrizione (underwriting), di mercato e di credito lasciando spazio, eventualmente, ai modelli interni. Vengono insomma definite le risorse finanziarie che una compagnia deve possedere per essere considerata solvente. Due sono le soglie contemplate: la prima è quella denominata Solvency Capital Requirement (SCR). Quando le risorse di una compagnia scendono al di sotto di questa soglia viene immediatamente attivata l’attività di supervisione, secondo i parametri definiti nel secondo pilastro. La seconda soglia, Minimum Capital Requirement (MCR) definirà il livello raggiunto il quale le autorità di vigilanza potranno invocare severe misure, incluso il divieto alla compagnia di sottoscrivere nuovi affari. Il SCR, calcolato con modelli interni o con l’approccio standardizzato, permetterà alle compagnie di affrontare le circostanze avverse, anche di severa entità. La Commissione, nel Novembre del 2002 ha pubblicato un documento contenente le idee della Commissione in merito all’architettura generale del nuovo sistema di solvibilità delle imprese di assicurazioni, con specifico riferimento alla struttura a tre pilastri. 8 Per ciò che concerne il primo pilastro la Commissione si è pronunciata riguardo le riserve tecniche, gli investimenti, i mezzi patrimoniali delle compagnie, i modelli interni che si possono utilizzare, ed il capitale minimo richiesto. In particolare, le raccomandazioni riguardano sia il ramo danni che il ramo vita, ma in modalità separate. Uno dei punti principali di Solvency II è l’uso di modelli interni per il calcolo del capitale minimo richiesto, e l’armonizzazione dei metodi ai fini del calcolo delle riserve tecniche. 9 Riserve tecniche nel ramo danni L’armonizzazione delle riserve sinistri è uno dei punti centrali del nuovo regime di solvibilità, per questo motivo la Commissione raccomanda che vengano definite le condizioni seguenti: un benchmark quantitativo di riferimento per il livello prudenziale delle riserve tecniche, una riserva tecnica standard. La Commissione riconosce la difficoltà di determinare la relativa probabilità di distribuzione dei sinistri, ma crede che l’approccio suggerito sia utile per costruire una procedura strutturata di calcolo delle riserve tecniche, in grado di facilitare il compito delle Autorità di Vigilanza, e di incoraggiare lo sviluppo di modelli interni da parte delle Compagnie. Le tecniche ed i metodi utilizzati per calcolare la “riserva standard”, dovranno risultare coerenti e compatibili con quelli utilizzati per redigere i conti economici delle compagnie, secondo i nuovi principi contabili internazionali IAS. 9 Riserve tecniche nel ramo vita Le regole attuali per il calcolo delle riserve tecniche dal ramo vita dovranno essere confrontate con il nuovo sistema di solvibilità a due livelli (il cosiddetto target capital ed il livello minimo assoluto di capitale), e con le nuove regole contabili IAS. Con le regole date dagli IAS, le riserve tecniche dovranno essere calcolate mediante un tasso d’interesse risk free applicato ai flussi di cassa futuri. In quest’ottica, ci potrebbe essere l’esistenza di un sitema standard futuro di calcolo delle riserve che preveda 8 margini prudenziali ed una riserva aggiuntiva da costituire a fronte di scenari negativi di redditività degli investimenti. 9 Regole sugli investimenti La Commissione raccomanda di considerare in maniera adeguata i rischi degli investimenti a fronte delle riserve tecniche, soprattutto nel ramo danni, infatti, le compagnie di assicurazione hanno rilevato che il rischio sugli investimenti non è considerato in maniera adeguata dalle regole attuali di solvibilità. In tal senso, la Commissione raccomanda di considerare i rischi legati agli investimenti, soprattutto nella determinazione del capitale richiesto alle imprese (target capital level). La Commissione, inoltre, ritiene opportuno che dovranno essere soggetti a regole di sicurezza e copertura anche gli attivi che costituiscono il patrimonio netto, non solo gli attivi a copertura delle riserve tecniche. 9 Regole sul capitale proprio delle compagnie La Commissione propone due livelli obbligatori di capitale della compagnia: il target capital ed il livello minimo assoluto di capitale. Il target capital deve riflettere il capitale economico necessario all’impresa per operare con una determinata probabilità di fallimento piuttosto bassa. Il calcolo relativo dovrà tenere conto dei rischi principali cui un assicuratore è esposto. Il target capital, inoltre, dovrà essere l’indicatore principale utilizzato dal Controllo delle Compagnie che operano in condizioni considerate normali. Ai fini del calcolo del target capital dovrà essere stabilito un sistema standard di quantificazione, mediante l’ausilio delle Associazioni Internazionali degli Attuari, utilizzando un insieme di coefficienti standard definito a livello europeo. Pertanto il nuovo sistema di calcolo consentirà l’uso di modelli interni, regolarmente validati dalle Autorità di Controllo. In particolare i criteri di validazione dovranno essere decisi a livello europeo anche sulla base del supporto che potrà essere fornito dalla professione attuariale (in particolare dal Group Consultatif e IAA). Il 8 capitale minimo assoluto fungerà da “campanello d’allarme per le Autorità di Controllo”. Tale capitale minimo assoluto deve essere determinato in modo semplice ed oggettivo e può essere calcolato in modo autonomo oppure come percentuale del target capital (in questo caso potrebbe essere calcolato con regole attuali, rinforzando alcuni requisiti patrimoniali). La Commissione afferma che per le assicurazioni danni, il livello risultante che si ottiene con il calcolo attuale può essere approvato, mentre per le assicurazioni vita si ritiene che questo calcolo abbia bisogno di ulteriori approfondimenti. Il II pilastro è indirizzato, da un lato, alla diffusione della cultura del rischio all’interno dell’impresa, attraverso la costituzione di presidi volti al monitoraggio del rischio, e, dall’altro, alla previsione di metodologie di controllo uniformi da parte dell’autorità di vigilanza. Il secondo pilastro riguarda il controllo interno, il risk management, trasparenza e regole di calcolo, soprattutto in riferimento ai fattori di rischio più rilevanti. Esso, comunque, è stato progettato soprattutto per incoraggiare le compagnie di assicurazione ad utilizzare al meglio le tecniche di risk management e migliorare costantemente i propri rischi. In questo caso verrà data particolare importanza alle procedure di Asset and Liability Management, ed alla struttura di programmi riassicurativi della Compagnia. Al fine della gestione dei rischi sono molto utili gli stress test con i possibili adattamenti ai singoli mercati nazionali ed un insieme di statistiche minime comuni a livello europeo. In particolare gli stress test dovrebbero rispondere alla domanda: “qual è la massima perdita se lo scenario ipotizzato si verifica?”. Pertanto l’analisi con gli stress test prevede l’ipotesi di alcuni scenari (generalmente l’analisi per scenario prevede che l’economia evolva in tre possibili modi diversi, chiamati, rispettivamente, best case, middle case e worst case. In pratica si ipotizzano tre scenari in cui ciascuno dei fattori chiave (tassi d’interesse, rendimento, debito, ecc..) evolvano, rispettivamente, nel migliore dei modi (best 8 case), in modo normale (middle case) e nel peggior modo immaginabile (worst case)56. Le procedure delle Autorità di controllo dovrebbero prevedere anche una analisi dello sviluppo a lungo termine delle compagnie, al fine di verificarne la solvibilità finanziaria sulla base di uno scenario di continuazione del business. Il III pilastro, rappresenta, in un certo senso, il corollario dei due pilastri precedenti, ovvero un’impresa che quantifica il proprio livello di rischio effettivo (I pilastro) e lo monitora attraverso idonee infrastrutture (II pilastro) non può non comunicare al mercato in maniera trasparente il suo modo d’essere e di operare. L’obiettivo del terzo pilatro è quello di migliorare la trasparenza e l’informativa delle compagnie di assicurazione. La Commissione ritiene, infatti, che il processo informativo assume una rilevanza fondamentale, soprattutto nel caso in cui si ricorra a metodologie interne di valutazione. Queste informazioni servono a rinforzare i meccanismi di mercato (concorrenza, comparazione, ecc.) ed a contribuire a creare un sistema di controllo basato sul profilo di rischio delle compagnie. A questo fine, è necessaria l’esigenza di allineare lo schema informativo agli standard contabili internazionali. Altro aspetto importante riguarda l’opportunità o meno che talune informazioni vengano rese pubbliche. In particolare le imprese di assicurazione dovrebbero definire politiche di informativa pubblica approvate dal consiglio di amministrazione. Tali politiche dovrebbero dichiarare gli obiettivi e le strategie della compagnia di assicurazione in materia di pubblicità delle informazioni sulla sua situazione economico – finanziaria. Di conseguenza, la direzione dovrà decidere quali e quanti dati pubblicare, considerando la possibilità di creare sul mercato un effetto indesiderato (aggravamento della situazione, sfiducia da parte degli assicurati, ecc.). 56 E’ da notare che spesso la realtà supera la fantasia: si fa riferimento alle “Twin Towers” di New York, in cui, per la polizza assicurativa è stato ipotizzato che due aerei si potessero scontrare davanti ai due grattacieli, senza ipotizzare il disastro che è effettivamente accaduto. 8 E’ molto importante che i tre pilastri non si sovrappongano tra di loro. Combinata con l’armonizzazione europea, è la natura del business e dei rischi a determinare la solvibilità, e non il paese d’origine della compagnia. I tre pilastri sono stati appunto progettati rispettando un principio di coerenza: il secondo pilastro è supplementare al primo, mentre il terzo si occupa di completare la struttura. In questo modo si cerca di evitare la sovrapposizione e l’ingenerarsi di confusione, che potrebbe rallentare il processo di implementazione. 9 3.8 Ipotesi sull’impatto del nuovo sistema di solvibilità Riguardo il progetto Solvency II, molte questioni rimangono aperte e sono oggetto di studio. Considerato che l’implementazione non avverrà prima dell’anno 2010, è possibile effettuare solamente delle ipotesi riguardo molti dei punti focali. Innanzitutto è necessario uno studio, che ad oggi non è ancora stato realizzato, per quantificare quale possa essere il costo dell’implementazione del nuovo sistema di solvibilità. Alcune compagnie sono già in possesso dei sistemi e dei processi per implementarlo con successo, ma altre dovranno certamente affrontare dei costi. L’approccio standard permetterà ad esse di diventare operative in materia di solvibilità senza un eccessivo dispendio in termini di sistemi e processi, fermo restando che in questo modo si resterà in un ambito maggiormente conservatore rispetto allo sviluppo di modelli interni. Uno dei costi che potrebbe realizzarsi per queste compagnie è da valutare in termini di aumento dei capitali richiesti se esse operano nell’ambito di rischi elevati. D’altra parte, si potrebbe argomentare che i costi dello sviluppo di migliori sistemi e processi interni, dovrebbero essere considerati indipendentemente da Solvency II, come voci del normale esercizio dell’attività. Le compagnie piccole e medie che affronterebbero costi significativi se fossero obbligate a sviluppare modelli interni da sottoporre ad approvazione esterna, usando l’approccio standard, potranno adeguarsi al nuovo framework gradualmente. Le compagnie che non investiranno in tali sistemi e processi, infatti, dovranno lottare per rimanere competitive, in quanto i loro sistemi di allocazione dei capitali non sono risk-based e comunque inefficienti. Il principale vantaggio per i consumatori sarà sicuramente quello di una miglior protezione contro il rischio di fallimento delle compagnie, assicurando che il capitale accantonato sia appropriato ai rischi sottoscritti, e promuovendo migliori pratiche di risk management. 9 Un secondo vantaggio verrà dalla migliore e più efficiente allocazione dei capitali all’interno del mercato, che si rifletterà nella riduzione dei costi per i consumatori. Infine, una miglior realizzazione dei prodotti, unita ad una attenta tariffazione creerà le condizioni per un’accresciuta concorrenza tra le imprese e una maggior trasparenza. Il sistema di regole è stato basato su principi economici, ed esso si applicherà uniformemente nell’UE. Una precondizione per un efficiente mercato unico dei servizi assicurativi è che gli standard di supervisione (inclusi e requisiti di solvibilità) sono gli stessi per tutti i paesi. Il CEIOPS, maggior organo consultivo addetto dalla Commissione allo sviluppo di Solvency II, ha recentemente operato il secondo Quantitative Impact Study (QIS 2). All’interno di questo studio, un’ampia selezione di compagnie assicurative sono state interrogate per ottenere un calcolo degli effetti delle varie proposte del primo e secondo pilastro sul loro business. Ciò ha una doppia finalità. Prima di tutto esso provvede dati realistici per calibrare il nuovo sistema. Secondariamente, e forse ciò ha maggiore importanza, ingenera nelle compagnie assicurative una maggiore consapevolezza riguardo la struttura di Solvency II e le aiuta ad iniziare a prepararsi al meglio per la sua introduzione. Parallelamente la Commissione Europea ha iniziato a lavorare su un Impact Assessment da allegare al lancio della Direttiva. L’impatto da tenere in considerazione è quello che si ripercuote sull’economia in generale e sulla stabilità finanziaria, sulle compagnie assicurative e sulle autorità di supervisione, sui prodotti assicurativi e sul mercato stesso, ed infine sui consumatori. La Commissione si sta avvalendo della collaborazione del CEIOPS e della CEA. Vi sono elementi che potrebbero rallentare e diminuire il potenziale di Solvency II. Un grande numero di parti, in molti paesi europei, dovranno aderire al progetto: a volte, la necessità di ottenere consensi porta con se il bisogno di scendere a compromessi. 9 Questi compromessi non devono però essere infedeli al principio di un approccio economico coerente. Se questo venisse sostituito da un sistema misto che sia carente in coerenza tra le varie giurisdizioni, gli obiettivi originali di Solvency II verrebbero totalmente snaturati. Un sistema misto potrebbe facilmente incorporare un “doppio conto” dei rischi, che aumenterebbe i costi sia per le compagnie che per i consumatori. Un’altra obiezione è che, se i requisiti patrimoniali esulano dalle regole dettate dai principi economici, si possono creare condizioni adatte ad escamotage. Per esempio, le compagnie cercherebbero di evitare gli onerosi requisiti patrimoniali spostando i rischi all’estero, distorcendo in questo modo il mercato. Potenzialmente Solvency II dovrebbe avere un importante impatto sul comportamento dell’industria assicurativa a livello di investimenti. Introducendo un sistema basato sul rischio, Solvency II enfatizza l’importanza di una buona pratica di risk-management. Alcune obiezioni sono state sollevate riguardo la possibilità che il progetto possa modificare le linee di investimento delle compagnie, causando repentini movimenti di capitali che potrebbero deprimere il mercato. Non è ancora chiaro se Solvency II possa alterare l’attrattività di una particolare classe di 9 3.9 L’attività di CEA e CEIOPS Solvency II, l’ambizioso progetto avviato dalla Commissione Europea allo scopo di creare un nuovo sistema di solvibilità per le compagnie assicurative europee ha compiuto passi significativi tra il 2005 e il 2006, e nel 2007 sta entrando in una fase di grandissima importanza. Il CEIOPS ha finalizzato il proprio processo di consultazioni e pubblicato i risultati nel primo Quantitative Impact Study, che è stato prontamente seguito, nel maggio del 2006, dall’avvio di un secondo studio quantitativo, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati. L’industria assicurativa e riassicurativa ha mostrato un fronte comune sulle istanze chiave, che ha direzionato non poco il processo regolatorio verso la giusta direzione. Solvency II continuerà a dominare l’agenda dell’industria assicurativa con sempre maggiore intensità, mentre il nuovo sistema di solvibilità prende forma, fino alla pubblicazione della direttiva UE che è attesa per la metà dell’anno 2007. Il contributo del CEA è basato su due pilastri chiave. Prima di tutto, il CEA ha concentrato i proprio sforzi sulle fondamenta del nuovo sistema di solvibilità: lavorando a soluzioni tecniche, e ricercando consenso politico dell’industria con l’obiettivo principale di assicurarsi il supporto delle piccole e delle grandi compagnie. Secondariamente, CEA ha contribuito alla discussione e alla cooperazione con gli altri soggetti parte del progetto, incrementando la conoscenza di Solvency II ed intensificando il dialogo riguardo gli argomenti tecnici e politici. Facendo ciò, CEA, ha sviluppato un eccellente grado di cooperazione sia con la Commissione che con il CEIOPS. La posizione dell’industria assicurativa è basata su un set di chiari principi economici. Questi principi chiave, sui quali Solvency II dovrebbe basarsi, sono presentati in due documenti guida, CEA Building Blocks for the Solvency II Project (Maggio 2005) e Solutions to Major Issues for Solvency II –Joint Paper- 9 (Febbraio 2006): pietre miliari del periodo 2005/2006, durante il quale la CEA ha partecipato alla richiesta di consultazioni da parte del CEIOPS, così come è stato parte attiva del Quantitative Impact Study I, e della preparazione del QIS2. Il Joint Paper è il prodotto di una fruttuosa cooperazione tra CEA e forum CRO, in esso sono contenute delle proposte di soluzione alle sei principali istanze su Solvency II: 1. Ai fini della solvibilità il Minimum Capital Requirement (MCR) e il Solvency Capital Requirement (SCR), dovrebbero riflettere margini prudenziali addizionali rispetto alle canoniche riserve tecniche. 2. L’approccio standardizzato per il calcolo dell’SCR dovrebbe essere basato sugli stessi principi economici che caratterizzano i modelli interni, ma semplificati il più possibile. 3. La diversificazione dovrebbe essere riconosciuta sia nei test individuali, sia nei test multipli, perché, ignorandola, si potrebbe giungere ad un eccessivo accantonamento di capitali. 4. Un approccio all’ammissibilità degli strumenti di mitigazione del rischio basato sui principi, assicurerà che alcune forme di mitigazione non vengano arbitrariamente preferite ad altre. La mitigazione del rischio dovrebbe essere riconosciuta appieno nel calcolo dei requisiti patrimoniali. 5. Solvency II dovrebbe basarsi su principi, non su regole, creando adesione ai principi economici e non istituendo restrizioni arbitrarie e non necessarie. 6. Dovrebbero essere chiarite le competenze dei supervisori, per garantire l’adeguata armonizzazione dell’applicazione della disciplina di Solvency II e per mantenere la struttura pratica, coerente, ed efficiente. La sinergia tra CEA e CEIOPS ha anche permesso di recepire al meglio, mediante le consultazioni, le istanze sollevate dall’industria assicurativa e riassicurativa europea. Alcune soluzioni proposte dal CEIOPS, però, sono fonte di perplessità: ad esempio la possibilità di sviluppare un sistema misto, oppure l’idea di un approccio a Solvency II molto prudente e graduale, quasi conservatore. 9 Cionondimeno, sarà essenziale che le consultazioni tra organi di supervisione e mercato assicurativo continuino incessantemente, e si rinforzino ad ogni stadio del progetto. Il Joint Paper ha preparato la strada per i lavori di implementazione del, più volte citato, European Standard Approach (ESA) per la determinazione dei requisiti patrimoniali. L’argomento ESA ha sicuramente aiutato la prosecuzione del dibattito tecnico, e direzionato costruttivamente le proposte del CEIOPS. I principi economici alla base dell’ESA sono allineati a quelli applicati nei modelli interni, offrendo così una solida e funzionale alternativa alle compagnie che decideranno di non sviluppare i propri modelli. L’ESA è anche stato sfruttato per aumentare il grado di consapevolezza dell’importanza di Solvency II nell’industria assicurativa, ad esempio sensibilizzando le compagnie riguardo l’importanza del risk-management. CEIOPS, oltre alle suddette attività ha dedicato molto spazio ai propri Consultation Papers, dei quali si parlerà più approfonditamente nei paragrafi successivi (3.13). 9 3.10 Quantitative Impact Study I La Commissione Europea ha richiesto al CEIOPS di acquisire dati approfonditi sul possibile impatto quantitativo del nuovo sistema di solvibilità mediante studi di impatto quantitativo (QIS). I risultati dei QIS sono un elemento chiave del rapporto della Commissione a riguardo di Solvency II. Il CEIOPS ha condotto un primo QIS (QIS1) durante l’autunno / inverno del 2005, con l’obiettivo di testare il livello di prudenza nelle riserve tecniche in diverse condizioni. Il documento redatto dal CEIOPS mette in evidenza le tendenze generali degli organi di supervisione nazionale, e mira a dare una visione chiara e concisa dei risultati della ricerca. Nel QIS1 si sottolinea che solamente i rapporti dei singoli Stati membri possono dare un’immagine completa di quella che è la realtà di essi. Di conseguenza il CEIOPS ha richiesto ad ogni organo di supervisione nazionale che intendesse partecipare al QIS1 di invitare un range abbastanza ampio di compagnie a rispondere al questionario che era sto predisposto per riassumere i risultati. In totale, 150 compagnie attive nel ramo vita, 190 attive nel ramo danni, e 4 riassicuratori57, hanno inviato i suddetti dati ai rispetti organi di supervisione nazionale. I numeri del QIS1 forniscono alcuni dati interessanti. Ad esempio il fatto che i paesi che avrebbero dovuto partecipare al rapporto erano più numerosi di quelli che poi effettivamente hanno inviato i rapporti: ciò è dovuto al fatto che la complessità delle operazioni di calcolo sulla base dei dati forniti, non ha permesso ad alcuni paesi di rispettare la deadline prevista. Rispetto alle aspettative iniziali, invece, il numero di piccole e medie imprese partecipanti è stato superiore, così come è stata superiore al numero atteso, la partecipazione delle compagnie operanti nel ramo vita. Diciannove supervisori nazionali hanno inviato i loro rapporti, tre dei quali hanno coperto solo l’assicurazione non-vita. Non tutti i report forniscono dati o risposte qualitative a tutte le domande espresse. 57 Poiché molte compagnie sono attive in più rami, il totale delle imprese che hanno partecipato al QIS1 è di 312. 9 Il CEIOPS ha chiesto, altresì, ai supervisori nazionali che hanno deciso di non partecipare, le ragioni di questa decisione. Tra le motivazioni addotte vi sono state la mancanza di esperienza, di risorse, e di tempo. Ma, come ha menzionato uno dei supervisori, alcune delle compagnie partecipanti sono sussidiarie di grandi gruppi internazionali, di modo che è possibile imparare dagli studi anche senza esserne parte attiva. La struttura del report richiama fedelmente la struttura dei country reports inviati dai supervisori nazionali. 1. il primo capitolo presenta le osservazioni generali e le conclusioni. Aspira a presentare un quadro riassuntivo conciso dei risultati, e a dare le conclusioni che possono essere tratte dall’intero QIS1; 2. nel secondo capitolo vengono mostrati i risultati quantitativi di tutti i country reports; 3. il terzo capitolo mette a fuoco la metodologia utilizzata dalle compagnie, 4. il quarto capitolo mette in luce le risorse richieste alle compagnie per calcolare le riserve tecniche e i margini di rischio; 5. infine, il quinto capitolo, riassume ogni commento addizionale o studio presentato dai supervisori nazionali e dalle compagnie assicurative partecipanti. 9 3.10.1 QIS1: osservazioni generali Il primo capitolo del report pubblicato dal CEIOPS contiene osservazioni generali e conclusioni. Ecco un estratto delle osservazioni generali di maggior interesse. 1. Gli obiettivi del QIS1 erano duplici. Prima di tutto il QIS1 poneva attenzione sul livello di prudenzialità delle attuali riserve tecniche, eseguendone un monitoraggio. Questo potrebbe dare una rozza indicazione sull’impatto delle delle regole proposte sulle riserve. In più, il CEIOPS sperava che l’esercizio di questo monitoraggio potesse garantire informazioni riguardo la praticabilità delle relative operazioni di calcolo, e per questo motivo l’organo comunitario ha invitato tutte le compagnie vita e non-vita a partecipare. Benché delle indicazioni precise non siano arrivate dal QIS1, le approssimazioni possono dare indicazioni utili, e le informazioni qualitative ricevute riguardo i metodi ed i modelli usati dai partecipanti sono considerate di grande importanza. Paradossalmente, anche gli studi incompleti sono stati ben accetti dal CEIOPS, che ha ritenuto utile assumere tutti i dati possibili. 2. Il CEIOPS ha riconosciuto che il primo studio sull’impatto quantitativo ha delle limitazioni, dovute sia alle stringenti deadlines, sia alla novità degli approcci oggetto di studio. 3. La percentuale di mercato coperta dai paesi partecipanti al QIS1 è di circa il 44% dell’intero mercato vita, e del 43% per il non-vita. Questo dato è comunque relativo in quanto le percentuali sono variabili all’interno di ogni singolo paese. 4. Poiché alcuni paesi non hanno partecipato, il CEIOPS non è stato in grado di raggiungere conclusioni e sviluppare un modello che potesse rappresentare l’intera area economica europea. Solo cinque supervisori nazionali hanno considerato il rapporto valido per l’intero mercato nazionale, mentre nove lo hanno ritenuto rappresentativo solo per le grandi 9 imprese, quattro, invece, hanno considerato il modello proposto inadeguato per il rispettivo mercato interno. 5. Il trend generale riguardo le compagnie partecipanti sembra essere quello di aver completato solo in parte i test e le domande poste dal QIS1. Naturalmente la percentuale e il tipo di risposte subisce molte variazioni a seconda dello Stato Membro e soprattutto degli interventi di guida e collaborazione eseguiti dai singoli supervisori nazionali. 6. Una generica mancanza di tempo, risorse ed esperienza è stata addotta come principale motivo di difficoltà nell’interpretare ed eseguire i test richiesti. Nei country reports si incontrano richieste esplicite di un superiore framework di linee guida e comunque di deadline meno stringenti. 7. Un’ampia discussione si è sviluppata riguardo la contemplazione dei rischi finanziari nel calcolo delle riserve, oggetto di maggior attenzione per le imprese operanti nel ramo vita, scarsa invece l’attenzione dedicata ad essi dalle compagnie operanti nell’assicurazione non-vita. Tra le motivazioni addotte riguardo la non contemplazione dei rischi finanziari, spicca quella secondo la quale non è corretto inserirli nel calcolo delle riserve poiché essi incidono solamente sui capitali posseduti dalla compagnia e non sulle riserve. 8. Altro elemento di discussione del QIS1 è stata la quantità di risorse addizionali necessarie per eseguire i calcoli richiesti, seguendo i principi e la metodologia proposta. Questo è sicuramente un elemento chiave per il successo del progetto Solvency II, in quanto andrà ad incidere sul bilancio delle compagnie operanti nel mercato che dovranno decidere quale approccio scegliere. Il QIS1, a riguardo, è stato un fallimento in quanto pochissime compagnie sono state in grado di calcolare precisamente la quantità di capitali necessari. Ciò non ha permesso di giungere ad un quadro generale. 9. In generale è stata espressa soddisfazione, sia dalle autorità di supervisione nazionale, sia dalle compagnie, riguardo la qualità e la plausibilità dei metodi e degli approcci proposti. Nonostante ciò sono state espresse anche 1 numerose riserve riguardo l’adeguatezza dei sample proposti, e questo non deve far dimenticare che il progetto è ancora ad uno stadio primitivo. 1 3.10.2 QIS1: conclusioni generali Il primo Quantitative Impact Study ha dato al CEIOPS considerevoli quantità di dati relativi al possibile impatto del best estimate e dei margini di rischio sul calcolo delle riserve tecniche, che erano due dei principali obiettivi dello studio. La prima conclusione generale è quella che il best estimate sommato al margine di rischio tende ad essere inferiore alle riserve calcolate sulla base attuale, e che i margini di rischio tendono ad essere piccoli per la maggior parte delle compagnie. Queste osservazioni mostrano che le proposte inserite in Solvency II avranno un significativo impatto, fermo restando che l’effetto totale può solamente essere valutato dopo l’esercizio definitivo del QIS2, che include anche gli effetti dei requisiti di solvibilità. L’Impact Study fornisce anche una buona visione delle metodologie di lavoro che i calcoli richiedono. Per quel che riguarda l’assicurazione vita, le metodologie sono state differenti da compagnia a compagnia, diversificandosi soprattutto a livello nazionale. Per di più è stato dimostrato che è proprio questo tipo di compagnie ad affrontare le maggiori difficoltà nel completare le rilevazioni richieste. Un dato notevolmente diverso proviene dall’analisi delle metodologie utilizzate dagli assicuratori non-vita, che, nonostante l’utilizzo di approcci totalmente differenti, hanno ottenuto risultati tendenzialmente simili. Comunque, come si è detto, i risultati non possono essere considerati rappresentativi per l’intera l’area economica europea. Non tutti gli Stati membri hanno deciso di partecipare, mentre all’interno dei paesi che hanno scelto la partecipazione allo studio quantitativo sembra esserci una notevole differenziazione dei dati a seconda della grandezza delle compagnie stesse. Ci si aspetta che specialmente le piccole compagnie siano quelle che inglobano una maggior componente nazionale: cosicché le informazioni sull’impatto dei calcoli richiesti sulle loro riserve tecniche, dovrebbe dare una migliore indicazione sugli effetti per un mercato nazionale, rispetto alle informazioni ricevute dalle grandi compagnie, per loro stessa natura maggiormente internazionali. 1 3.11 Quantitative Impact Study II Il 06/12/2006 il CEIOPS ha pubblicato il suo Report58 riguardante i risultati del Quantitative Impact Study II (QIS2). Basato su una maggior partecipazione dell’industria (23 paesi coperti, con una percentuale superiore al 50% del mercato), esso ha dato al CEIOPS importanti dati per redire la propria opinione sul progetto. In generale, l’esercizio ha mostrato che l’impatto sulla solvibilità delle compagnie assicurative sembra differenziarsi in modo eterogeneo, esso sembra sicuramente dipendere da una combinazione di fattori contrastanti. Mediamente, le riserve tecniche sembrano decrescere, il SCR aumentare, e così anche il capitale disponibile. La percentuale di solvibilità sembra invece decrescere. A questo stadio però, ogni valutazione sull’impatto della solvibilità, così come ogni comparazione con il sistema vigente, dev’essere fatta in maniera molto cauta. I dati e i parametri usati nel QIS2 erano solamente preliminari e di prova. Per di più, Solvency II si basa su una struttura completamente diversa da Solvency I: mettere in paragone i requisiti di capitale senza confrontare l’intero sistema, potrebbe essere assolutamente fuorviante. Le lezioni imparate dal QIS2 saranno utilissime per i futuri studi, ed in particolare, per la realizzazione del QIS3, che dovrebbe condurre il CEIOPS a finalizzare il proprio parere sui requisiti di capitale. L’esperienza ha oltretutto insegnato che i futuri Impact Studies dovranno essere semplificati in metodologia e procedimento, essere cioè, maggiormente user friendly. Come si è accennato in precedenza, un numero sostanzioso di compagnie europee hanno partecipato a questo secondo studio sull’impatto quantitativo, di molto superiore alla percentuale di partecipazione ottenuta dal QIS1. Ciò rende i risultati del QIS2 decisamente più rappresentativi dello status quo. Il numero totale di compagnie rispondenti è stato di 514, un incremento del 65% rispetto al QIS1, che aveva avuto 312 rispondenti. Di queste 514, 161 esercitano il ramo vita, 22 esercitano il mercato salute, e 237 esercitano il ramo non-vita. 58 CEIOPS-SEC 71/06S QIS2 – Summary Report 1 Altre 81 compagnie esercitano entrambi i rami, sia perché si tratta di compagnie composite, sia perché si tratta di gruppi contenenti imprese attive nei rispettivi rami. Infine, 13 riassicuratori hanno partecipato al QIS2. Il numero dei paesi partecipanti si è incrementato dai 19 paesi del QIS1 ai 23 presenti del QIS2. Le statistiche mostrano che tutti i tipi di compagnia, dalla piccola alla grande sono stati rappresentati abbastanza sostanzialmente dai partecipanti allo studio. Ma, mentre per le compagnie medie e grandi, il modello può essere considerato rappresentativo dell’intero mercato, per le piccole compagnie il numero dei partecipanti è stato ancora troppo ridotto per essere sufficiente. I risultati, quindi, riguardo quest’ultima tipologia di imprese può essere considerato semplicemente indicativo. Si è accennato che la percentuale di mercato coperta dal secondo studio sull’impatto quantitativo è sostanziale sia per il ramo vita che per quello non-vita. Nella la maggior parte dei paesi partecipanti è stata raggiunta una quota media di mercato superiore al 50%. L’analisi delle statistiche, infine, mostra come non tutte le compagnie hanno risposto ai quesiti posti dal QIS2, ed alcune hanno addirittura fornito solamente dati qualitativi, rispecchiando in parte il fenomeno verificatosi nell’esercizio del QIS1. 1 3.11.1 QIS2: obiettivi e contenuti Il QIS2, ha i seguenti obiettivi: 9 verificare l’adeguatezza e l’affidabilità di vari approcci utilizzabili come formula standard per il calcolo del Solvency Capital Requirement (SCR); 9 verificare la disponibilità presso le imprese dei dati ritenuti necessari; 9 ottenere una prima stima dell’impatto quantitativo, in termini di patrimonio richiesto, delle formule proposte; 9 non rientra, invece, fra gli scopi dello studio testare la calibrazione. La calibrazione proposta in QIS2 è, pertanto, da ritenersi meramente indicativa. I contenuti del QIS2 vertono su quattro elementi fondamentali: 1. La valutazione delle poste di bilancio Per gli attivi si considerano i valori di mercato; ove tali valori non siano disponibili, si ricercano possibili approcci alternativi purché coerenti con le informazioni desumibili dai mercati. Per le riserve tecniche si utilizzano valori market consistent per i rischi hedgeable (ad esempio i rischi finanziari), il best estimate59 sommato al risk margin60 per tutti gli altri rischi (ad esempio i rischi assicurativi). 2. Gli elementi ammessi alla copertura dei requisiti Da considerare nella determinazione del capitale disponibile sono: plus e minusvalenze latenti degli attivi, differenze tra valori di bilancio delle riserve tecniche e loro valore secondo lo standard Solvency II (best estimate + risk margin). Per l’assicurazione vita, gli utili futuri da riconoscere agli assicurati su base discrezionale (differenza tra le riserve attuali e riserve calcolate al 59 Best Estimate: valore attuale dei cash flows netti, calcoltato utilizzando un approccio market consistent che catturi i rischi hedgeable e includa anche i costi delle garanzie e delle opzioni implicite. 60 Risk Margin: margine prudenziale su tutto il run off del portafoglio, che serve a far fronte ai rischi non hedgeable. La metodologia di calcolo del Risk Margin è basata su metodi diversi: i percentili, il cost of capital, e metodi alternativi. 1 minimo garantito) possono essere considerati come elementi del capitale disponibile, se utilizzabili per far fronte a “general losses”, oppure come fattore di mitigazione del capitale richiesto, se utilizzabili per far fronte a perdite solo entro certi limiti. In tal caso l’ammontare delle riserve per utili futuri utilizzabile come “risk mitigant” è definito dall’applicazione di un coefficiente (k-factor), dipendente dal gradi di discrezionalità di cui godono le imprese nel riconoscere gli utili ai propri assicurati. Per l’assicurazione danni, analoga funzione è svolta dagli utili attesi per l’esercizio successivo. 3. La formula standard e i modelli interni per il calcolo del SCR Il calcolo del SCR tiene conto dei due “risk mitigants” sopra menzionati. Nel calcolo vengono considerati tutti i rischi: 9 rischi di mercato; 9 rischio di credito; 9 rischio operativo; 9 rischio assicurativo vita; 9 rischio assicurativo danni; 9 rischio assicurativo malattia; 4. Il calcolo del MCR E’ previsto che le imprese partecipanti: 9 calcolino un MCR transitorio, basato sulle regole di Solvency I; 9 calcolino un MCR post-transizione, basato sulla formula standard SCR; 9 forniscano informazioni sulle spese aggiuntive che si sosterrebbero in caso di run-off. 1 3.11.2 QIS2: valutazione dell’esercizio Per comprendere al meglio quanto siano stati complessi i risultati forniti dal QIS2 è necessario analizzare in profondità i dati presenti nel report pubblicato dal CEIOPS. In esso vengono discussi, punto per punto gli elementi focali dell’intero studio. Il potenziale impatto sull’intero sistema assicurativo differenzia il ramo vita da quello non vita. Il cambiamento medio della solvibilità per le sottoscrizioni vita può variare sostanzialmente da compagnia a compagnia. E non è facile tirare le somme su quali siano i cambiamenti effettivi apportati dal nuovo sistema rispetto al vecchio. Più semplice sembrano le conclusioni relative al ramo non-vita, che vede una generica diminuzione delle riserve tecniche, e di conseguenza un aumento dei capitali disponibili. Il report di molti paesi però dimostra come vi sia ancora un’alta percentuale di compagnie che abbiano comunque avuto un risultato di solvibilità superiore al 100%, sebbene inferiore a Solvency I. Alcuni supervisori nazionali hanno identificato specifiche tipologie di compagnie che dovrebbero accantonare quantità significative di nuovi capitali per riscontrare i parametri del SCR: le piccole compagnie attive nel ramo non-vita, principalmente attive in un’unica linea e/o mutue assicuratrici. Un elemento di discussione è stata la ricerca del margine tra il MCR e il SCR, di modo che una compagnia che sfora i requisiti del SCR, non sia immediatamente in pericolo di superare anche il MCR. Per far ciò si è cercato di creare una statistica, grazie all’aiuto dei supervisori nazionali, di compagnie con un rapporto SCR/MCR del 75%. Anche in questo caso i risultati sono stati molto variegati, soprattutto tra paesi diversi. Il QIS2 però, non puntava specificamente a tirare conclusioni specifiche su questo punto, rimandando approfondimenti in materia al QIS3. Il report si occupa di differenziare l’impatto quantitativo a secondo dal tipo di compagnia. I supervisori nazionali sono stati interrogati sugli effetti del nuovo SCR ed MCR a seconda della “grandezza” e del “tipo” di compagnia 1 Le differenziazioni in materia però non possono essere che indicative, visto il dinamismo del mercato e l’incompletezza dei dati ricevuti da molti partecipanti. Per quel che riguarda la grandezza, l’impatto sembra essere maggiore nelle compagnie più piccole, e principalmente in quelle attive nel ramo non-vita. Un supervisore nazionale ha evidenziato come ci sia una relazione tra la struttura della compagnia e il mercato finanziario: le entità indipendenti subiscono un maggior impatto rispetto alle compagnie appartenenti a dei gruppi. Questo potrebbe essere collegato alla forte correlazione tra la grandezza delle compagnie e la struttura di esse, dato che le compagnie indipendenti tendono ad essere piccole. Tre supervisori nazionali non hanno trovato differenze nell’impatto su compagnie basate su strutture legali diverse. Altri tre supervisori invece hanno fornito dati su questo tipo di impatto, sottolineando un maggior impatto nei confronti delle entità mutualistiche. Il dato però non è certo, in quanto i fattori in campo potrebbero fuorviare, ad esempio potrebbe essere stata la grandezza o il tipo di ramo esercitato a determinare differenze. Sei supervisori nazionali hanno trovato prove di un effetto delle linee commerciali sull’impatto nel QIS2. Questi supervisori sottolineano un maggior effetto sulle compagnie monolinea, specialmente non-vita. Il modello di business applicato non sembra aver avuto alcun effetto per alcuni supervisori nazionali, mentre per altri vi sono stati dei rilievi degni di attenzione ma probabilmente influenzati da altri fattori. Sembra evidente quindi che, in generale, il QIS2 abbia fornito risultati abbondanti, ma non interpretabili in maniera univoca. Il QIS2 ha anche messo a nudo una serie di elementi positivi e alcune criticità preoccupanti. Innanzitutto ha destato soddisfazione che: 9 sia stato considerato anche l’approccio di tipo cost of capital, che è un approccio decisamente più semplice, robusto e verificabile; 9 si tenga pienamente conto della riassicurazione61; 61 In materia si discute molto su come risolvere il problema creato dal poter disporre di dati al lordo della riassicurazione. 1 9 si tenga conto della correlazione dei rischi62; 9 si preveda che la differenza tra le riserve statutory e quelle solvency non sia ammessa a copertura del capitale; 9 si preveda un trattamento di riduzione del requisito per le gestioni separate63. Parallelamente, ha destato notevole preoccupazione la mancanza di chiarezza sulla ripartizione tra riserve e capitale e il ruolo del MCR, e su quale livello di capitalizzazione si punti ad imporre. 62 Riguardo la correlazione dei rischi vanno testate le matrici di correlazione proposte. Si pone il problema di come realizzare questo elemento in Italia. Dal punto di vista teorico K è più alto quando in una gestione ricorrano i seguenti elementi: gli assicurati hanno tutti lo stesso minimo garantito, gli attivi sono obbligazioni e non azioni, il consolidamento dei rendimenti non avviene anno per anno. 63 1 3.12 Alcune criticità di Solvency II Gli studi sull’impatto quantitativo hanno sollevato alcune criticità, temi sicuramente di rilievo, anche per il mercato italiano. Innanzitutto la problematica delle partecipazioni discrezionali agli utili futuri nell’assicurazione vita (K-factor). Se Solvency II è destinata a fondarsi su principi economici, deve tener conto della capacità di tutti gli strumenti a disposizione dell’impresa per assorbire perdite in caso di shock. Un aspetto importante deriva dalla presenza di prodotti vita con partecipazione agli utili, che riconoscono agli assicurati – oltre ad un rendimento minimo garantito – un rendimento aggiuntivo che dipende dai risultati ottenuti dall’assicuratore gestendo i fondi raccolti64. Nei vari paesi, gli assicuratori normalmente hanno un certo grado di discrezionalità nel riconoscere agli assicurati la parte di utile eccedente il minimo garantito; discrezionalità che varia in base alle caratteristiche dei prodotti, al quadro giuridico di riferimento, alle regole contabili applicate. Di tali fattori occorre tenere conto nel valutare i requisiti di capitale. In Italia elementi di discrezionalità derivano dal fatto che: 9 gli assicuratori decidono, nel rispetto dei limiti di legge, il mix di investimenti che fa parte della gestione separata; 9 gli attivi della gestione sono valutati, ai fini del calcolo del rendimento da riconoscere agli assicurati, secondo il criterio del costo storico, per cui l’assicuratore può decidere il momento in cui realizzare eventuali plus o minusvalenze di portafoglio. Grazie a tali aspetti, la volatilità dei rendimenti delle gestioni separate è drasticamente ridotta: nessun rendimento sul mercato finanziario è smooth come quello delle gestioni separate. Ogni paese presenta le proprie specificità in materia. In Germania le compagnie di assicurazione possono decidere, per le polizze with profit, quale livello di rendimento riconoscere ogni anno a ciascun assicurato. Possono utilizzare i proventi della gestione per far fronte a general losses della 64 In Italia si tratta delle polizze rivalutabili collegate a gestioni separate, che rappresentano circa il 60% del mercato vita. 1 compagnia. Naturalmente si tratta solo di una facoltà, ma ciò determina che l’apposita riserva contabile per future profit sharing non si configuri come un debito, ma possa essere utilizzata come elemento di copertura di capitale, anche nel sistema Solvency I. In Francia, se le compagnie vendono un titolo e realizzano una plusvalenza, questa plusvalenza viene contabilizzata come una riserva che deve essere attribuita agli assicurati entro otto anni. Essa può però essere assorbita da una minusvalenza registrata successivamente. Non è chiaro se questa caratteristica sia tale da far ritenere che la riserva possa assorbire general losses. Certamente è una situazione molto diversa da quella italiana, in cui la plusvalenza deve essere attribuita agli assicurati nell’anno in corso. Il QIS2 ha cercato di misurare la capacità degli utili futuri di assorbile perdite, distinguendo due casi: 9 se la riserva per utili futuri può essere usata per coprire general losses della compagnia, allora tutta la riserva viene considerata come elemento di capitale; 9 se invece la riserva ha una capacità limitata di assorbire perdite, viene introdotto il cosiddetto “fattore k”, originariamente proposto dal CEA, che rappresenta la parte di riserva utilizzabile per ridurre il requisito patrimoniale. Il QIS2 ha evidenziato l’esistenza di una molteplicità di situazioni e una estrema diversita di approcci, sia in generale nel considerare le riserve per utili futuri sia nell’applicazione del “fattore k”. La sfida, al momento, è di individuare, a livello europeo, criteri oggettivi che consentano di stimare, nei vari paesi e nelle singole imprese, la quota delle riserve per utili futuri che può essere utilizzata come fattore di assorbimento delle perdite in presenza di shock. Per l’assicurazione italiana si tratta di veder riconosciuta la loss absorbing quality di parte di tali riserve, che discende dalle specificità delle polizze rivalutabili. Qualunque sia la natura riconosciuta ai fini di solvibilità alle riserve per partecipazioni discrezionali agli utili (fattore di riduzione del requisito 1 patrimoniale o elemento del capitale disponibile) occorre che, a parità di assorbimento dei rischi, il trattamento sia analogo. Se così non fosse, vi sarebbe un forte incentivo alla modifica delle caratteristiche dei prodotti. In Italia diventerebbero troppo costose una serie di tutele per gli assicurati che sino ad oggi hanno dimostrato di essere molto apprezzate. Un secondo profilo rilevante attiene al trattamento degli investimenti azionari nel calcolo del Solvency Capital Requirement (SCR). Al momento attuale, l’impostazione del CEIOPS (applicata nel QIS2) prevede il calcolo del requisito tramite la valutazione dell’impatto di shock azionari su un orizzonte temporale di un anno. L’applicazione di tale approccio ha evidenziato alcuni problemi: 9 la dimensione dello shock applicato (40%) è troppo elevata; 9 il considerare una dimensione annuale non tiene conto delle strategie di asset-liability management delle imprese di assicurazione, ossia del fatto che gli assicuratori gestiscono i propri investimenti (e fare essi anche le azioni) con una logica di medio-lungo termine, in coerenza con passività, specie nel vita, anch’esse di lungo termine; 9 l’inclusione degli attivi detenuti a fronte del patrimonio libero, in aggiunta a quelli a copertura delle riserve tecniche, fra quelli assoggettati a shock risulta oltremodo penalizzante, con l’effetto paradossale di imporre requisiti più elevati alle imprese più patrimonializzate. Le azioni detenute a fronte del patrimonio libero sono quasi sempre costituite da partecipazioni, tipicamente gestite con logiche di lungo periodo, per le quali, dunque, shock annuali non avrebbero molto senso. E’ ovvio che Solvency II avrà un impatto sull’attività di investimento degli assicuratori europei, così come l’introduzione del Risk Based Capital, all’inizio degli anni ’90, lo ha avuto su quelli statunitensi, ma le nuove regole devono essere coerenti con l’economicità dell’attività assicurativa e tener conto delle logiche di gestione finanziaria tipicamente orientate al lungo periodo. 1 L’assicurazione si fonda sulla diversificazione dei rischi, per cui è essenziale che le regole di solvibilità tengano conto delle capacità delle imprese di diversificare, ma senza penalizzare indebitamente quelle che, per dimensione, non sono in grado di farlo (ma magari mitigano i rischi ricorrendo alla riassicurazione). L’incidenza del size-factor nel non-life underwriting risk, un fattore dipendente dalla dimensione dell’impresa che si ipotizza incidere sulla volatilità dei risultati tecnici dei singoli rami, ha evidenziato l’esistenza di un problema di calibrazione. CEIOPS, nel Consultation Paper n.20, propone alcune modifiche in vista del QIS3. Molti altri punti sollevano perplessità, ad esempio la scarsa attenzione rivolta ad una realtà in forte espansione, i gruppi di imprese, oppure la prospettiva di un lead supervisor. Oggetto di discussione è anche il contenuto della direttiva stessa, che, secondo la procedura Lamfalussy, dovrebbe contenere i principi essenziali e generali del futuro regime. La questione è cosa si debba intendere per principi essenziali e in particolare se essa debba includere la definizione del requisito, le questioni di vigilanza cross-border sui gruppi, la previsione di specificità nazionali (ad esempio nel Pillar II). Più in generale la questione è quanto debba essere lasciato alle implementing measures di Livello II. 1 3.13 I Consultation Papers del CEIOPS CEIOPS, come si è detto in precedenza, oltre all’importante attività svolta nei Quantitative Impact Study, è molto attivo nella pubblicazione di frequenti Consultation Papers, sulle tematiche e sugli elementi di discussione di Solvency II. Seguono alcuni dei principali pareri espressi dal CEIOPS. CP17: Draft advice to the European Commission in the framework of the Solvency II project on Pillar II capital add-ons for solo and group undertakings” Riguarda il potere dell’Autorità di vigilanza di imporre alle imprese requisiti patrimoniali aggiuntivi (“capital add-ons”) rispetto a quelli derivanti dall’utilizzo della formula standard o di un modello interno. Il CEIOPS si dichiara a favore dell’introduzione, nella Direttiva “quadro”, di principi generali relativi all’esercizio di tale potere. Al fine di promuovere l’armonizzazione delle pratiche di vigilanza, il CEIOPS propone un approccio strutturato, per gradi, nell’applicazione degli eventuali requisiti aggiuntivi. Ulteriore tema trattato nel Paper è quello dell’imposizione di “capital add-ons” nell’ambito dei gruppi di imprese. CP18: Draft advice to the European Commission in the framework of the Solvency II project on Supervisory powers – further advice” Contiene alcuni pareri aggiuntivi in materia di poteri della vigilanza. Vengono ribaditi alcuni principi che dovranno guidare l’attività dei supervisors e sono elencati alcuni fra i più importanti poteri di cui essi dovranno disporre. Si sottolinea l’obiettivo della maggiore armonizzazione anche per quanto riguarda il 2°pilastro, il che significa che tutti i supervisors europei dovranno avere gli stessi poteri, esercitabili alle medesime condizioni. In particolare, il potere di consentire deroghe ai requisiti generalmente previsti da Solvency II sarà assoggettato a condizioni pienamente armonizzate. 1 CP19: “Draft advice to the European Commission in the framework of the Solvency II project on safety measures (limits on assets)” E’ dedicato al tema della disciplina degli investimenti delle imprese di assicurazione. Come è noto, nel passaggio ad un regime di solvibilità basato sul rischio, il CEIOPS prevede di adottare, sul piano degli investimenti ammessi, l’approccio definito come “prudent person plus”. Tale approccio consiste nella statuizione di alcuni principi generali che dovrebbero guidare l’attività di investimento (sicurezza, redditività, liquidità), con l’aggiunta di pochi limiti quantitativi finalizzati a circoscrivere quei rischi di investimento di cui non si riesce a tenere conto nella determinazione dei requisiti patrimoniali (ad esempio, rischi di concentrazione e di liquidità). L’ipotesi formulata dal CEIOPS è di limitare l’applicazione dei limiti quantitativi ad un periodo transitorio (esempio: 5 anni), nel quale testare la capacità della Standard Formula di riflettere efficacemente i rischi di investimento. CP20: “Draft advice to the European Commission in the framework of the Solvency II project on Pillar I issues – further advice” Di particolare rilievo il Consultation Paper n.20, perché contiene ulteriori pareri tecnici su temi del primo pilastro. Fa seguito alle risposte alla “second wave of calls for advice” dello scorso anno. I principali elementi del Consultation Paper n.20 sono: 9 criteri di valutazione; 9 criteri di ammissibilità degli elementi patrimoniali; 9 SCR (standard formula e modelli interni totali e parziali); 9 MCR; 9 safety measures e casi particolari (piccole imprese, assicurazione malattia, riassicurazione). Riguardo i criteri di valutazione il CP20 si occupa degli hedgeable e nonhedgeable risks, e sostiene un ampliamento dei poteri dei supervisori nel richiedere un rafforzamento delle riserve tecniche nell’ambito delle procedure di secondo pilastro. 1 Riguardo il SCR, viene radicalmente mutato il framework della Commissione, che si amplia rispetto al progetto originario. CEIOPS sostiene anche novità relative alla Formula Standard, rimandandone il testing alla fase del QIS3. Relativamente ai modelli interni CEIOPS raccomanda che l’approvazione di essi venga subordinata ad una serie di requisiti: 9 qualità statistica; 9 calibrazione; 9 use test. Il CP20 contiene anche un’ammissione di problemi di metodo ed approccio nell’esercizio del QIS2. 1 Capitolo IV IL RAMO VITA Sommario: 4.1 In generale, l’assicurazione sulla vita – 4.2 L’attività delle imprese di assicurazione sulla vita nell’ambito del sistema finanziario - 4.3 La disciplina: direttiva 2002/83/CE – 4.4 La disciplina in Italia: Circolare Isvap 551/D “le norme di trasparenza nelle polizze vita” – 4.5 La disciplina in Italia: il Codice Civile – 4.6 La disciplina in Italia: D.Lgs. 209 07/09/05 “la tutela del consumatore nel nuovo codice delle assicurazioni” – 4.7 Un confronto europeo sui conti economici delle imprese di assicurazione del ramo vita – 4.8 Alcune osservazioni: il mercato vita nel contesto sociale 4.1 In generale, l’assicurazione sulla vita In assicurazione per rischio65 si intende la probabilità che si verifichi un evento in un determinato momento. Il rischio assicurato dal ramo vita è “il verificarsi di un evento attinente alla vita umana” (art. 1882 C.C.). Tradotto in pratica si può assicurare: 9 la morte dell’assicurato entro una certa data 9 la permanenza in vita dell’assicurato a una certa data. Per determinare il giusto prezzo da pagare per assicurare la vita di una persona è necessario stabilire: la sua probabilità di vita ad un certo momento [ipotesi demografica], il rendimento finanziario delle somme via via incassate [ipotesi finanziaria], il costo di acquisizione e di gestione del contratto da parte dell’impresa [ipotesi di spesa]. La probabilità di vita di una persona è determinata da fattori demografici che possono essere ricavati dai censimenti della popolazione che si tengono ogni 10 anni (l’ultimo è del 2001). 65 Il Rischio è la probabilità che un certo evento si verifichi e l’entità dei danni che ne possono derivare. Nell’assicurazione Vita, l’alea dipende dalla durata della vita umana; questa, a sua volta, dipende dall’evento morte o dal suo non verificarsi entro un dato momento (sopravvivenza). 1 Dai dati rilevati si è notato che i fattori da considerare sono: 9 l’età (più si invecchia più elevate sono le probabilità di morte); 9 il sesso (le donne vivono più a lungo degli uomini e il divario tende ad allargarsi); 9 lo stato di salute (la presenza di determinate malattie eleva la probabilità di morte); 9 il tipo di lavoro (alcune professioni espongono ad alti rischi); 9 alcuni comportamenti (ad es. il fumo: un fumatore vive mediamente meno di un non fumatore). Da tutte queste analisi si realizzano le tavole di mortalità che sono lo strumento base per la determinazione del giusto premio. Le tavole di mortalità66 vengono costruite sulla base delle elaborazioni statistiche applicate a una popolazione campione di 100.000 individui in età zero di cui viene seguita tutta la vita. I dati esprimono: la speranza di vita (quanti anni si prevede vivrà una persona ad una certa età), la probabilità di morte (deceduti sul totale dell’anno), la probabilità di sopravvivenza (probabilità di sopravvivere nell’anno), il numero di viventi, dei morti, la frequenza di morte, la vita media, per ogni età. L’assicuratore utilizza questi dati come base di partenza per calcolare le proprie tariffe. I dati vengono poi elaborati dall’assicuratore tenendo conto dell’andamento del rischio per la popolazione dei propri assicurati (esempio: una Compagnia che assicuri prevalentemente impiegati non fumatori avrà un andamento del rischio diverso da chi assicura operai edili fumatori). Per determinare l’esatto ammontare del premio è necessario tenere conto anche delle: 9 regole finanziarie – per determinare qual è il rendimento delle somme incassate a titolo di premio (più alto è il rendimento ottenibile più basso sarà il premio di base) (ipotesi finanziaria); 9 spese necessarie – per gestire l’attività assicurativa vita (dall’emissione del contratto alla gestione dei capitali accumulati, sino alle spese necessarie per pagare i sinistri) (ipotesi di spesa). 66 Sono tavole numeriche elaborate dall’ISTAT, in occasione dei censimenti della popolazione italiana che partenda da una popolazione teorica iniziale di 100.000 individui in età zero, indicano per ogni età: il numero dei viventi, dei morti, la frequenza di morte, la vita media. 1 In questo modo si può determinare il premio per tutti i rischi che rientrano nella statistica delle tavole di mortalità. Vi possono essere situazioni che sono talmente più gravi della media da non poter essere assicurate o da poter essere assicurate solo a condizioni particolari (ad es. un infartuato oggi conduce una vita pressoché regolare ma la sua probabilità di morte è molto più alta di quella di un individuo sano). Per determinare il rischio si utilizzano due sistemi: il questionario sanitario che fa parte delle dichiarazioni dell’assicurato, le visite mediche che prevedono esami diagnostici via via più approfonditi man mano che la somma assicurata diventa più elevata o, in certi casi, cresce l’età dell’assicurato. Le dichiarazioni dell’assicurando vengono rilasciate su un apposito questionario anamnestico e riguardano il suo stato di salute attuale e pregresso. L’assicurando deve sottoscrivere tali dichiarazioni attestando la veridicità di tutto quanto dichiarato e esprimendo la consapevolezza delle conseguenze in caso di dimostrata non veridicità delle dichiarazioni. Le visite mediche e gli ulteriori accertamenti sanitari possono essere richiesti dall’assicuratore in base alla gravità del caso. L’assicuratore, in presenza di particolari situazioni sanitarie (ad es. portatori di particolari malattie) può addirittura indicare presso quali strutture sanitarie o medici, di sua fiducia, far visitare l’assicurando. Così come l’assicuratore può richiedere documentazione o cartelle cliniche relative a interventi chirurgici cui è stato sottoposto l’assicurando in passato. Quando la compagnia richiede unicamente le dichiarazioni scritte ed emette la polizza “senza visita medica” il contratto conterrà una clausola detta di carenza67, che limita per i primi 180 giorni la prestazione. In sostanza la compagnia, a fronte di una situazione di rischio della quale non ha la rappresentanza esatta, si tutela con questo periodo di tempo entro il quale limita ad alcuni soli casi il pagamento della prestazione. 67 Nel caso di assunzione del rischio senza visita medica, se il decesso dell’assicurato avviene nei primi 180 giorni ed è causato da infortunio o da malattia indicata specificamente in polizza (malattie a decorso estremamente rapido) l’assicuratore liquiderà il capitale assicurato. Altrimenti qualora il decesso dell’assicurato dipenda da altre cause/malattie in virtù della condizione di carenza l’assicuratore corrisponderà una somma pari ai soli premi versati dal contraente. 1 In contratto rimangono inoltre convenute diverse modalità di affrontare il problema del decesso dovuto alla sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) in funzione del tempio e degli accertamenti effettuati. Dalle risposte del questionario sanitario o dalla visita medica per la stipula della polizza possono emergere delle condizioni di salute che aggravano pesantemente il rischio. In questi casi o in caso di professioni particolarmente pericolose, si parla di rischi tarati68 che comportano un maggior rischio di mortalità e una difficoltà di valutazione. Le imprese di assicurazione chiedono dei soprapremi pari alla differenza tra il premio derivante dalle tavole di mortalità di rischi tarati (elaborate in Italia dal Consorzio Italiano Rischi Tarati - CIRT69) e quello delle tavole di rischi normali. 68 E’ il rischio che presenta, per ragioni sanitarie e/o extra sanitarie, una sopramortalità che si traduce in un presumibile maggior costo delle prestazioni garantite dall’assicuratore, comportante la richiesta del premio superiore. 69 Organismo costituito fra le imprese opranti in Italia nel Ramo Vita. Ad esso viene delegato il compito della tariffazione dei rischi vita anomali sotto il profilo sanitario per consentire l’atto di previdenza alla maggior parte di coloro cui verrebbe altrimenti rifiutata l’assicurazione sulla vita. 1 4.2 L’attività delle imprese di assicurazione sulla vita nell’ambito del sistema finanziario Con il contratto di assicurazione sulla vita, l’assicuratore, in corrispettivo di un premio unico o periodico si obbliga a pagare un determinato capitale o a corrispondere una determinata rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana. Il rischio che grava sull’assicuratore è dunque in funzione della durata della vita dell’assicurato, e la relativa delimitazione è quella che risulta dalla precisazione degli eventi che influiscono sulla durata stessa (età, stato di salute, professione dell’assicurato). Tale tipologia di rischio (demografico) viene considerata nella fissazione del premio da parte dell’impresa attraverso la definizione di apposite ipotesi demografiche che vengono effettuate sulla base di tavole di mortalità e consentono all’impresa di determinare una parte di premio che può essere definita come “premio di rischio”. Nella fissazione della propria prestazione (relativa alle somme che verranno versate al beneficiario del contratto al verificarsi dell’evento) l’impresa di assicurazione dovrà anche tenere in considerazione il fatto che il contraente verserà i premi in anticipo rispetto al verificarsi dell’evento e che tali premi saranno in grado di produrre un incremento finanziario. Nella determinazione del premio si considererà anche un’ipotesi finanziaria attraverso la quale verrà determinato il tasso di rendimento che si prevede di ricavare dell’investimento finanziario dei premi corrisposti dagli assicurati (cd. tasso tecnico di tariffa). Tale parte di premio viene comunemente definita come “premio di risparmio”. Il premio puro è perciò composto dalla somma del premio di rischio e del premio di risparmio. Normalmente l’assicuratore riconosce all’assicurato un rendimento minimo garantito sulle somme da questi versate, garantendo in sostanza anche la 1 corresponsione di un tasso di interesse70, inferiore ai tassi correnti di mercato. Tuttavia esso viene definito al momento della stipula del contratto e rimane in vigore per tutta la durata contrattuale e perciò per un lasso di tempo generalmente lungo. In periodi di stabilità dei tassi di interesse la corresponsione di un tasso garantito minimo non costituiva un problema per le imprese di assicurazione e negli anni caratterizzati da tassi di interesse in ascesa, ciò consentiva loro di beneficiare dei rendimenti maggiori che potevano essere ottenuti dalle stesse sul mercato dei capitali. Ciò comportava, dal lato della domanda, una mancanza di competitività del prodotto assicurativo rispetto ad impieghi alternativi di investimento del risparmio. Intorno agli anni ottanta le imprese di assicurazione affiancarono ai prodotti tradizionali altre forme di assicurazione sulla vita, in grado di valorizzare maggiormente la componente finanziaria al fine di garantire agli assicurati prestazioni il cui potere di acquisto fosse difeso, almeno in parte, nel tempo. Si diffusero le polizze rivalutabili, con le quali l’assicurato partecipa ai risultati finanziari ottenuti dall’impresa attraverso l’investimento delle riserve. Nelle polizze rivalutabili le prestazioni dell’assicuratore sono ancorate al reddito degli investimenti che confluiscono in una gestione separata delle riserve matematiche, esse prevedono unitamente ad un rendimento minimo garantito anche una partecipazione agli utili della gestione che aumenta il capitale assicurato senza la richiesta di ulteriori premi ai contraenti71. In tali tipologie di polizze la garanzia di rendimento minimo può avvenire su base annua o al momento della liquidazione del capitale. In ogni caso, il sottoscrittore della polizza ha diritto al massimo tra il valore del capitale ottenuto attraverso la gestione separata e l’ammontare del capitale garantito a scadenza. 70 Al fine di evitare che una diminuzione dei tassi di interesse possa determinare l’impossibilità o la difficoltà per l’impresa di adempiere le proprie obbligazioni il d.lgs. 174/1995 stabilisce che “ …. L’Isvap fissa con proprio provvedimento, per tutti i contratti da stipulare che contengono una garanzia di tasso di interesse un tasso di interesse massimo che non potrà superare il 60% del tasso medio dei prestiti obbligazionari dello Stato”. I relativi provvedimenti dell’Isvap sono il n. 79/1995 e il n. 1036 del 1998. 71 A. Floreani, S. Rigamonti (1999). La vigilanza e le garanzie finanziarie 1 L’impresa con la garanzia di rendimento minimo assume, quindi, un rischio legato alla circostanza che negli anni successivi alla stipulazione del contratto essa non riesca ad investire sul mercato dei capitali in attività che le consentano di realizzare rendimenti uguali o superiori a quelli garantiti; e tale circostanza, può realizzarsi concretamente, ad esempio, nei momenti in cui i mercati finanziari sono caratterizzati dalla discesa dei tassi di interesse, potendosi determinare una riduzione nei flussi futuri e nei valori di mercato degli attivi sottostanti, o nei momenti in cui un rialzo dei tassi di interesse possa generare delle minusvalenze sul valore degli attivi. In tale ambito, un peso importante assume la verifica degli strumenti operativi e gestionali utilizzati dalle imprese di assicurazione per misurare e gestire i rischi finanziari connessi al loro portafoglio, sia dal lato degli investimenti sia dal lato degli impegni. In tale ottica si avverte anche l’importanza dell’uso da parte delle imprese di assicurazione di tecniche di gestione integrata dell’attivo e del passivo, in cui le tecniche di asset-liability management rivestono un ruolo centrale. Ai rischi normalmente connessi all’attività assicurativa, definiti rischi tecnici72 o attuariali (quali il rischio di sottotariffazione, di sovrasinistralità e di insufficienza delle riserve tecniche) si aggiungono i rischi legati agli investimenti compiuti dalle imprese di assicurazione, che sono gli stessi rischi cui sono esposti gli intermediari finanziari. Essi sono legati al fatto che le attività e le passività degli intermediari finanziari scadono in tempi differenti e risultano, perciò, esposte a tutte le tipologie di rischio collegate alle fluttuazioni dei mercati finanziari. In sostanza, le imprese sono esposte al rischio di conseguire rendimenti diversi, ed eventualmente anche inferiori, rispetto al rendimento atteso al momento dell’assunzione dell’impegno, oppure rispetto ad un rendimento minimo ritenuto accettabile. 72 Una classificazione e descrizione dei rischi cui è esposta l’impresa assicurativa è riportata nel Quaderno Isvap n.6, (1999) ove vengono indicate anche le misure di prevenzione previste dalla normativa comunitaria per i medesimi rischi. 1 Una classificazione generale dei rischi cui è esposta una impresa di assicurazione, ai fini delle tecniche di risk management, è proposta da D. Babbel e A. Santomero (1999), che riportano sia la classificazione dei rischi proposta dalla Society of Actuaries’ Commitee on Valuation and Related Problems, sia la classificazione normalmente proposta dall’industria assicurativa. Babbel e Santomero (1999) distinguono quattro macroclassi di rischio ed indicano i rimedi più comunemente utilizzati dalle imprese per gestirli : 9 Rischio attuariale, derivante dall’inadeguatezza delle basi tecniche sulle quali è stato costruito il premio puro. Si tratta, in sostanza delle assunzioni circa le probabilità degli eventi sinistrosi e del tasso tecnico utilizzato nel calcolo del premio. Tale tipologia di rischio consiste nella probabilità di una modificazione dei fattori demografici o finanziari attuariali utilizzati nella stima iniziale; 9 rischio di mercato, inteso come la componente di rischio “non diversificabile” all’interno dell’attività assicurativa. Esso si riferisce alla probabilità che il valore dell’attivo e del passivo dell’impresa cambino in relazione a fattori esterni, quali possono essere le variazioni dei tassi di interesse, dei valori dei titoli, ed in generale, delle condizioni di reinvestimento. Può manifestarsi in modi differenti ed essere relativo ai tassi di interesse, al valore delle azioni, all’andamento dei cambi, all’inflazione; 9 rischio di credito, collegato al rischio di insolvenza del proprio debitore il quale potrebbe non essere in grado di adempiere alle proprie obbligazioni. Tale rischio è difficile che possa essere eliminato completamente in quanto può nascere da fattori sistemici; 9 rischio di liquidità che fa sì che l’impresa non possa trasformare gli investimenti in liquidità nei tempi previsti senza sopportare perdite in conto capitale. La conoscenza del proprio profilo di rischio è indispensabile per le imprese di assicurazione sia sotto il profilo commerciale, per le strategie di pricing che sotto quello gestionale, per orientare concretamente il processo decisionale. 1 All’interno dell’area del risk management l’analisi dei rischi di mercato ha acquisito negli anni un’importanza crescente da parte delle imprese assicurative, come già accaduto nel passato nel settore bancario che ha sviluppato propri modelli. Altrettanta importanza viene riconosciuta dagli organismi di Vigilanza in ordine agli strumenti utilizzati dalle imprese per la valutazione dei rischi finanziari. Le tecniche di misurazione e valutazione di questo rischio nell’ambito di un portafoglio integrato di attività e passività delle imprese di assicurazione è stata la base su cui si sono costruiti modelli di gestione volti alla determinazione del composizione ottimale rischio/rendimento. Attraverso tali modelli muta la visione manageriale delle imprese collegando strettamente la determinazione dei premi, le politiche di investimento, la strategia di crescita dell’impresa. Dal punto di vista della Vigilanza ciò che rileva in tale sede è soprattutto che l’impresa disponga di un portafoglio ottimale di attività a copertura delle riserve tecniche, che sia coerente con il principio del close matching tra flussi dell’attivo e del passivo, ma che tenga anche conto della dinamica dei flussi futuri. L’interesse delle imprese di assicurazione sulla vita alla valutazione dell’esposizione al rischio di mercato (ed in particolare ai rischi connessi alla discesa dei tassi di interesse) si è sviluppato negli Stati Uniti a partire dagli anni ’70, quando l’aumento dell’inflazione fece crescere i tassi di interesse e indusse i risparmiatori a cercare investimenti con rendimenti superiori all’inflazione. Il mercato assicurativo statunitense fu interessato da questo fenomeno in quanto gli assicurati presero in prestito capitali dalle proprie polizze vita ed investirono i proventi in investimenti più redditizi. I risparmiatori indirizzarono i loro risparmi nei money market mutual funds (fondi del mercato monetario che corrispondevano rendimenti superiori a quelli massimi corrisposti dagli istituti di credito). Le imprese di assicurazione furono costrette a progettare e commercializzare nuovi prodotti sensibili ai tassi di interesse, assumendo un elevata esposizione al rischio di credito, senza considerare i necessari allineamenti tra l’attivo e il passivo. Il risultato fu che nel 1987 fallirono 19 imprese, nel 1989 40, nel 1991 furono 58 (Brys de Varenne, 1996). 1 Fino ad allora gli assicuratori avevano indirizzato le proprie scelte nella convinzione che i tassi di interesse rimanessero stabili ed erano state sottovalutate le opzioni insite (embedded options) nei contratti. In virtù di tale opzioni l’assicurato può scegliere la forma di pagamento preferita alla scadenza del contratto (rendita o capitale), contrarre un prestito con il capitale accumulato nella polizza, versare premi più elevati rispetto a quanto stabilito, ottenere il riscatto del contratto o la proroga dello stesso alla scadenza. Un ulteriore opzione insita può essere considerata la previsione di un rendimento minimo garantito nel contratto. In particolare, nei contratti di assicurazione con rendimento minimo garantito si può ritenere che l’assicurato detenga un portafoglio di attivi (costituito dalla partecipazione alla gestione separata) di cui l’impresa è gestore e su cui esiste di fatto un’opzione put a favore degli assicurati esercitabile ad un prezzo di esercizio, pari al valore del capitale minimo garantito. Al momento della liquidazione (o annualmente) l’assicurato ha diritto al massimo tra il valore del portafoglio di investimenti e l’ammontare del capitale minimo maturato (A. Floreani, S. Rigamonti, 1999). In altri termini, il tasso minimo garantito può essere considerato come un’opzione il cui valore deve tener conto delle aspettative sui tassi e dovrebbe essere incorporato nel prezzo del premio, come elemento finanziariamente distinto dalle altre componenti. Studi specifici hanno dimostrato che gli assicurati esercitano più frequentemente le opzioni di riscatto o di prestito su polizza quando i tassi di interesse aumentano (D. F. Babbel, 1997). Al contrario, se i tassi di mercato scendono i consumatori tendono a rimanere più a lungo nei contratti assicurativi, in quanto i tassi di interesse riconosciuti dalle imprese di assicurazione risultano, di norma, più attraenti rispetto alle altre opportunità del mercato. Tale tipologia di rischi (legati alla variabilità dei tassi di interesse e all’esercizio delle opzioni insite da parte degli assicurati) non era stata sufficientemente considerata negli anni precedenti caratterizzati da una sostanziale stabilità dei tassi di interesse. 1 La presenza di un rischio di interesse si è manifestata anche in area europea in questi ultimi anni caratterizzati da una discesa dei tassi, con particolare riguardo all’opzione relativa al rendimento minimo garantito. In Italia, ad esempio, la repentina discesa dei tassi ha reso più stringente il vincolo di bilancio per le imprese vita il cui portafoglio era caratterizzato in passato dalla presenza di tassi minimi garantiti e partecipazione ai risultati della gestione finanziaria, la cui portata economica era irrilevante al momento della loro vendita, dato il contesto di elevati rendimenti e la quasi totale assenza di rischio sulla parte preponderante degli investimenti costituita da titoli di Stato. La discesa dei tassi di interesse, avvenuta negli anni seguenti, ha determinato la presa di coscienza del problema connesso alla presenza nel portafoglio di prodotti che assicuravano alla scadenza un rendimento superiore a quello che si poteva ottenere in quel momento sul mercato finanziario. A partire dal 1997 le imprese vita hanno progressivamente aumentato la quota degli attivi a copertura costituita da titoli obbligazionari a tasso fisso, con una tendenza ad un allungamento delle scadenze; alcune imprese, hanno fatto ricorso per la prima volta a titoli strutturati, caratterizzati da lunga durata, rendimento minimo garantito, e rendimenti variabili basati sui tassi swap a lungo termine, allo scopo di immunizzare i rischi del tasso minimo presente nelle polizze rivalutabili già emesse. E’, inoltre, aumentata l’offerta di strumenti assicurativi nei quali il rischio derivante dall’andamento delle variabili di mercato viene di fatto ad essere trasferito in tutto o in parte sull’assicurato, come nel caso delle polizze unit linked e index linked. L’attenzione delle imprese si è focalizzata su una più attenta gestione degli attivi a copertura e sulla strutturazione di nuovi prodotti assicurativi. E’ emersa, inoltre, sempre più la consapevolezza che la sola rappresentazione in bilancio delle riserve e degli investimenti posti a loro copertura non fornisce strumenti informativi circa i rischi derivanti dagli effetti dell’evoluzione delle variabili finanziarie, a seconda della dimensione temporale delle poste sia dell’attivo che del passivo. 1 In tale contesto, le tecniche di Asset Liability Management (ALM) si sono sviluppate per far fronte al rischio di tasso di interesse, l’evoluzione successiva ha permesso di comprendere anche rischi diversi da quelli di tasso ed i modelli di ALM si sono trasformati in uno strumento utile per la gestione integrata dei rischi finanziari cui è esposta l’impresa. Si è passati da modelli sostanzialmente statici di allineamento dei cash flows a modelli dinamici, che si basano su una serie di scenari possibili delle diverse condizioni economiche sia generali che dell’azienda, in grado di valutare, attraverso apposite statistiche, diverse alternative strategiche. Da queste si può arrivare a creare una funzione, cd. frontiera efficiente, che rappresenta le strategie in grado di realizzare il massimo rendimento finanziario per un dato livello di rischio. Partendo perciò dalla semplice ottica di misurazione del rischio di tasso di interesse i modelli elaborati costituiscono uno strumento in grado di orientare le scelte strategiche in funzione non solo della solvibilità, ma anche degli obiettivi di crescita, delle dimensioni del capitale impiegato e del controllo del valore dell’azienda nel tempo. 1 4.2.1 L’asset liability management per le imprese vita I modelli ALM sono fondamentali nel verificare la solvibilità prospettica, e non solo immediata, di una compagnia (il che rappresenta un obiettivo importante tanto per il management e gli azionisti della compagnia, che per l’Autorità di Vigilanza),ma il loro possibile utilizzo in chiave gestionale va anche oltre tale finalità. La capacità di modellare e di simulare la possibile dinamica futura delle poste dell’attivo e del passivo può consentire di compiere in maniera più consapevole molte delle scelte chiave che spettano al management. Si consideri, ad esempio, la necessità di valutare l’impatto sui periodi futuri di determinate scelte nella gestione del portafoglio titoli, dell’adozione di ipotesi più pessimistiche o ottimistiche nella dinamica dei riscatti e dei nuovi ingressi, del possibile brusco modificarsi del portafoglio di attivi a copertura e di passivi di singole gestioni separate a seguito di operazioni di fusione, acquisizione o scorporo di società del gruppo o esterne ad esso e delle relative reti distributive. Sarebbe quindi riduttivo confinare i modelli di ALM a strumenti per il puro adempimento di un pur fondamentale obbligo da parte dell’Autorità di Vigilanza; infatti, una significativa parte del valore aggiunto del ricorso a simili modelli risiede proprio in una più consapevole assunzione delle scelte di gestione (non solo finanziaria) che caratterizzano tipicamente una impresa vita73 Sotto il profilo gestionale, un modello di ALM fornisce, come è intuibile, il suo maggiore contributo nel caso delle gestioni di ramo primo, sia per gli impegni in termini di rendimento minimo che caratterizzano tali prodotti, sia per il loro peso all’interno dei bilanci delle imprese. In generale, quindi, l’asset e liability management di una impresa vita può essere considerato come l’insieme delle metodologie e dei processi a supporto delle scelte gestionali volte a configurare la combinazione dell’attivo e del 73 Swiss Re (2000). 1 passivo dell’impresa (considerata sia nel suo complesso che limitatamente a specifici sottoinsiemi di attività e passività) secondo il profilo di rendimento atteso e rischio ritenuto ottimale, sulla base delle informazioni e delle ipotesi di scenario disponibili, avendo particolare riferimento al profilo dei rischi finanziari sopportati. È utile evidenziare come la definizione fornita vuole sottolineare in particolare cinque aspetti: (a) l’ALM fa riferimento non solo alle metodologie di misurazione e controllo dei rischi finanziari, ma anche ai processi organizzativo-gestionali attraverso i quali tale attività si realizza; (b) le metodologie e i processi di ALM possono essere riferiti a un duplice livello, e cioè sia a livello dell’impresa nel suo complesso (livello che definiamo come “macro”) che a livello di una singola porzione specifica di attività e passività, rappresentata tipicamente dalla singola gestione separata (livello “micro”). Per quanto forte sia l’esigenza di giungere a una visione integrata a livello di tutta l’impresa dei rischi complessivi sopportati, le tecniche di ALM devono anche supportare alcune importanti scelte a livello della singola gestione separata. Anche in questo senso l’ALM di una impresa vita risulta radicalmente differente da quello di altri intermediari finanziari quali tipicamente le banche, in cui il livello di analisi definito come micro è di fatto inesistente in quanto non esiste un legame strutturale tra andamento di alcune poste del passivo e dell’attivo, cosa che invece caratterizza i prodotti rivalutabili di ramo primo: l’ammontare di riserve varia in funzione del rendimento realizzato dalle attività a loro copertura; (c) l’ALM non ha necessariamente l’obiettivo di annullare i rischi finanziari, immunizzando completamente l’impresa dalle variazioni dei fattori di mercato, ma piuttosto quello di far ottenere il profilo di rischio-rendimento ritenuto pro tempore ottimale; è quindi necessario da un lato identificare una variabile obiettivo espressiva del rendimento atteso, e dall’altro una corrispondente misura di rischio; 1 (d) la valutazione delle strategie ritenute “ottimali” è sempre compiuta sulla base delle informazioni disponibili, e subordinata alla correttezza delle ipotesi adottate non solo sul possibile andamento dei mercati, ma anche sulle scelte in tema di trattamento contabile delle attività a copertura delle riserve (assegnazione al comparto durevole o meno), sulla dinamica del passivo (ad esempio, andamento dei riscatti e dei versamenti aggiuntivi) e sulle strategie commerciali messe in atto dall’impresa (ad esempio, introduzione di nuovi prodotti che potrebbero ridurre la percentuale di mantenimento dei premi ricorrenti collegati ai prodotti in essere), sulle possibili operazioni di M&A (ad esempio scorporo di parte della rete distributiva), e così via. La selezione delle strategie non è quindi un esercizio meccanico, ma il risultato di una attenta valutazione delle alternative perseguibili che richiede il pieno coinvolgimento di numerosi attori, ognuno dei quali dovrà contribuire a fornire i dati di input necessari a modellare congiuntamente la dinamica dell’attivo e del passivo; (e) l’ALM fa riferimento prevalente, ma non esclusivo, ai rischi di natura finanziaria; ciò significa che benché la gestione dell’esposizione al rischio finanziario complessivo derivante dalla combinazione dell’attivo e del passivo rappresenti il cuore dell’asset e liability management, esso deve necessariamente sia considerare attentamente l’impatto in termini finanziari dei rischi di altra natura (quali quelli demografici), sia giungere a proporre soluzioni che possono anche coinvolgere una ridefinizione delle caratteristiche e del mix dei prodotti offerti, finendo così talora per influenzare anche le altre tipologie di rischio assunte dall’impresa. Il tentativo di sviluppare l’Asset-Liability Management per le imprese di assicurazione come strumento di gestione richiede non solo di compiere le scelte metodologiche circa le misure obiettivo e le misure di rischio da adottare, ma anche di definire o ridefinire i processi organizzativi attraverso i quali le scelte di gestione integrata dell’attivo e del passivo devono essere assunte. L’enfasi 1 sull’importanza dei processi organizzativi è decisiva, in quanto è chiaro il rischio che in assenza di un’adeguata attenzione rivolta a questo aspetto anche il più valido fra i possibili modelli di ALM finisca con l’essere di fatto non adeguatamente utilizzato e quindi improduttivo. Sotto il profilo dei processi, peraltro, è difficile pretendere di voler definire una sola soluzione tipo adattabile a qualsiasi impresa. Troppo rilevanti, almeno in questa fase, sono le differenze che vi possono essere da impresa sotto almeno quattro profili: le dimensioni, il peso delle diverse linee di prodotto (e in particolare il peso delle linee di ramo primo) sullo stock di riserve e sui flussi di nuova produzione, le eventuali scelte di delega parziale o totale all’esterno della gestione del portafoglio titoli a copertura delle riserve, e infine il livello di sofisticazione del modello di ALM adottato. E’ comunque possibile svolgere alcune brevi considerazioni di natura generale. In primo luogo, l’introduzione di modelli e di processi di gestione integrata dell’attivo e del passivo richiede di rendere condivise e sottoposte a un vaglio collegiale numerose scelte (si pensi alla definizione delle politiche di retrocessione o delle strategie di investimento di lungo termine) che toccano funzioni diverse. Nell’introdurre quindi un modello di ALM che guidi le decisioni aziendali nel lungo periodo, è importante che tutte le funzioni coinvolte si riconoscano e condividano il modello adottato, visto che esse dovranno da un lato fornire gli input al modello per le parti di propria competenza (definendo chi i tassi di mortalità, di proroghe e di riscatto, chi le previsioni sui tassi di crescita della nuova produzione, chi le ipotesi sull’andamento dei mercati), e dall’altro lato accettare gli output forniti dal modello come un realistico aiuto nella scelta fra diverse decisioni alternative. Il coinvolgimento delle diverse funzioni può essere faticoso, e può richiedere l’intervento dell’alta direzione nel caso si manifestino delle resistenze all’innovazione da parte di alcuni degli attori in gioco, ma è probabilmente uno degli elementi chiave per il successo dell’introduzione di un nuovo modello e di un nuovo processo di ALM. La seconda considerazione è che la ridefinizione del processo di asset e liability management non può essere fatta coincidere tout court con la creazione di 1 un Comitato ALM. Tale condizione può essere in molti casi necessaria, ma certamente non è sufficiente al fine di garantire un efficace processo decisionale nelle scelte che coinvolgono l’intera struttura attivo-passivo dell’impresa. E’ del resto esperienza comune che la qualità delle decisioni assunte da un’impresa non è di per sé direttamente proporzionale al numero di funzioni aziendali coinvolte nella decisione stessa, specie se non sono state definite con chiarezza le responsabilità di ciascuna di esse. Ciò vale a maggior ragione in quanto la necessità in alcuni casi di assumere collegialmente, e in altri casi di sottoporre in modo organico al vaglio di altre funzioni alcune delle decisioni chiave della strategia aziendale, non significa espropriare della loro autonomia decisionale i responsabili delle singole funzioni, né, al tempo stesso, consentire loro di sfuggire alle proprie responsabilità per le scelte che sono loro specifiche. Se quindi è importante costituire un Comitato ALM, è altrettanto importante quali debbano essere le decisioni (verosimilmente poche, infrequenti e strategiche) che ricadono sotto la responsabilità congiunta e collegiale dei membri del Comitato, e quali le decisioni che, pur potendo o dovendo essere discusse all’interno del Comitato stesso, rimangono sotto la responsabilità individuale dei singoli soggetti coinvolti. Anche il modello di ALM adottato, quindi, dovrebbe essere visto come uno strumento volto a garantire che l’impresa assuma decisioni organiche sulla base di un insieme di ipotesi di partenza condivise fra le diverse funzioni aziendali, sebbene il modello potrà talora essere utilizzato in alcune sue parti anche solo da singole funzioni come supporto per le scelte (di breve periodo e di natura tattica) che rientrano nella specifica sfera di competenza. Come terza e ultima osservazione, è inevitabile che la modifica dei processi aziendali possa richiedere del tempo per diventare realmente efficace, come del resto anche l’esperienza del settore bancario nell’introduzione dei modelli di ALM insegna. Anche per questo è importante che l’alta direzione sia pienamente convinta della rilevanza del contributo che i modelli e i processi di ALM possono dare nel perseguire insieme la stabilità dell’impresa e la creazione di valore per l’azionista. Solo in questo modo, infatti, l’alta direzione potrà garantire in modo continuativo il suo supporto e il suo pungolo allo sviluppo dei processi di ALM, 1 evitando il rischio di accontentarsi di soluzioni di facciata (la scelta di un modello di ALM magari operativamente non utilizzato, la costituzione di un Comitato di ALM puramente formale o troppo burocratico) che non riuscirebbero realmente a incidere sulla qualità delle decisioni tattiche e strategiche assunte dall’impresa. 1 4.2.2 La vigilanza e le garanzie finanziarie nelle imprese del ramo vita, in chiave solvibilità Il rischio di investimento nel sistema normativo europeo è considerato sia nel calcolo del margine di solvibilità74 sia nelle disposizioni che presiedono all’accantonamento delle riserve tecniche ed alla relativa copertura. In particolare, è previsto, per le imprese di assicurazione sulla vita che il calcolo delle riserve debba essere effettuato in base ad una prudente valutazione, intendendo per tale “una valutazione che comprenda un margine ragionevole per variazioni sfavorevoli dei fatti pertinenti”. In sostanza, deve essere previsto nell’accantonamento delle riserve tecniche un margine di sicurezza destinato a far fronte a probabili eventi sfavorevoli. Ciò comporta che anche nel calcolo delle riserve si debba tenere conto del matching tra impegni ed investimenti. Il miglior allineamento tra riserve tecniche ed attivi a copertura, in termini di durata e di rendimenti, riduce infatti la necessità di disporre di un margine di sicurezza. A tal fine sono possibili vari modelli per stimare tali rischi, ma i più comuni utilizzati nei paesi europei sono basati su stress test in relazione a scenari predefiniti. Il paese che dispone di una specifica regolamentazione è il Regno Unito, dove è previsto che le imprese vita debbano effettuare annualmente il Resilience test al fine di valutare se possibili variazioni avverse dei tassi di interesse possano rendere insufficiente il valore degli attivi a coprire gli impegni. La misura si rende particolarmente necessaria nell’ordinamento inglese in quanto, come è noto, la valutazione degli attivi in bilancio avviene non in base al valore storico (d’acquisto), ma in base al valore di mercato. 74 Vedi il capitolo precedente riguardante il progetto Solvency II 1 L’applicazione del Resilience test non è priva di problemi ed ambiguità evidenziate da uno studio di D.E. Purchase et al. (1989), tuttavia non evidenzia particolari difficoltà nell’applicazione pratica. In particolare, si suppone che dopo la chiusura dell’esercizio i tassi di interesse, che possono essere ottenuti sul mercato dei titoli a reddito fisso, cambino secondo valori stabiliti dall’autorità di controllo e che, nello stesso tempo, anche il valore delle azioni degli immobili e di altri investimenti si riducano secondo diversi parametri. Il test deve essere effettuato da un attuario e richiede, in sostanza, che venga considerata l’adeguatezza delle riserve e delle relative attività a copertura in un contesto di improvvisa discesa del valore degli attivi di una percentuale stabilita (azioni o investimenti simili inclusi quelli immobiliari) e nel cambiamento del valore dei titoli di miglior standing e degli altri titoli a reddito fisso derivante da un innalzamento o una diminuzione dei tassi di interesse. Si può notare che il mismatching è qui usato in uno specifico contesto, che tende a valutare il saldo netto tra il valore aggregato degli attivi e dei passivi derivante dal cambiamento del livello dei tassi di interesse. Questo test può essere anche definito come big bang mismatching per distinguerlo dal cash flow (mis)matching usato nella tradizionale teoria attuariale. Attualmente vengono utilizzate differenti ipotesi: 1 aumento dei tassi di rendimento di tre punti percentuali per i titoli a reddito fisso e diminuzione del valore degli investimenti in azioni e beni immobili del 25%; 2 diminuzione dei tassi di rendimento del 20% per i valori a reddito fisso e diminuzione del valore degli investimenti in azioni ed immobili del 10%; 3 diminuzione dei tassi di rendimento del 10% per i titoli a reddito fisso e diminuzione del valore degli investimenti del 25%. Il valore delle riserve matematiche viene invece modificato applicando alle riserve il tasso di interesse massimo fissato dall’autorità di vigilanza in funzione 1 del rendimento degli attivi, previa deduzione di un margine di sicurezza fissato anch’esso dalla medesima autorità75. Se emerge un disallineamento tra il valore modificato dell’attivo rispetto a quello del passivo (ottenuto applicando i differenti parametri) l’impresa deve provvedere ad un accantonamento supplementare, mediante la costituzione di una apposita riserva, cd. riserva per il test di resilience, necessaria a coprire l’eventuale deficit. In sostanza il test di resilience misura l’elasticità del passivo rispetto all’attivo in funzione della correlazione temporale dei cash flows: maggiore è il grado di correlazione, minore sarà la riserva integrativa da costituire. Il sistema suggerito consiste nella ripartizione degli attivi in relazione alle varie categorie di passivo (seguendo l’abituale suddivisione di sottoportafogli omogenei), secondo i valori risultanti dai principi contabili in vigore. Normalmente il valore degli attivi sarà determinato in base al valore di mercato è sarà più elevato rispetto al passivo (comprensivo delle riserve matematiche, di eventuali bonus concessi agli assicurati, tasse e capital gains). In tale sede dovrà essere posta particolare attenzione alla allocazione delle poste dell’attivo a seconda delle classi del passivo al fine di minimizzare il grado di mismatching avuto riguardo alla loro volatilità . Successivamente, sui valori dell’attivo e del passivo si applicano i parametri di riduzione o di aumento stabiliti dalle regole sul test di resilience; ciò consente di capire quale parte del portafoglio contribuisce maggiormente a creare eventuali squilibri ed in quale direzione vanno i movimenti. La soluzione finlandese considera i rischi cui è esposta l’impresa di assicurazione nell’ambito della costituzione di apposite riserve denominate di equilibrio o di “fluttuazione”. Esse assolvono il compito di ammortizzare le oscillazioni del risultato di economico configurandosi come fondi che si alimentano con una parte degli utili tecnici, negli anni in cui si registrano risultati favorevoli, e dai quali si effettuano prelievi negli anni in cui i risultati sono invece sfavorevoli. 75 ai sensi dell’art. 18 della direttiva 92/96/CEE. 1 Il modello impiegato si basa sul criterio di “probabilità di rovina”, largamente usato nella teoria del rischio. Vengono individuati due livelli di riserva: una minima che garantisca una probabilità di non rovina pari al 99% nel primo esercizio, e una massima che garantisca la medesima probabilità di non rovina nei successivi cinque esercizi. La riserva di equilibrio, così come formulata, tiene in sufficiente considerazione i rischi tecnici, specie nei rami danni, caratterizzati anche da rilevanti fluttuazioni, ma non si adatta perfettamente alle imprese vita dove le fluttuazioni di risultati sono meno evidenti e non considera sufficientemente i rischi di investimento. A tal fine è obbligatorio in Finlandia che il consiglio di amministrazione dell’impresa definisca un piano di investimenti che prenda posizione sul matching tra riserve ed attivi a copertura in termini di durata e di rendimenti e di rischio di credito. Sulla base di ciò può ritenersi che l’attuale regolamentazione finlandese tiene in considerazione il rischio di investimento nella misura in cui esso è pianificato e gestito dall’impresa. Tuttavia in Finlandia sono in corso degli approfondimenti per verificare la necessità di estendere i requisiti richiesti, ai fini del controllo della solvibilità, ai rischi di investimento sulla base di indicatori matematici di tipo early warning. Pur non essendovi al riguardo un preciso obbligo di legge, l’autorità di controllo richiede alle imprese di comunicare la loro situazione sulla base dei modelli matematici adottati. La Francia, con decreto dell’agosto 1999 e con successivo provvedimento attuativo del dicembre 2000, ha introdotto l’obbligo per le imprese di monitorare l’esposizione ai rischi finanziari effettuando apposite simulazioni dell’impatto delle variazioni dei livelli dei tassi di interesse, dei corsi azionari e dei tassi di cambio sugli attivi e sugli impegni verso gli assicurati. In proposito, è previsto che le imprese debbono valutare i rischi finanziari in via permanente, effettuando apposite simulazioni secondo la metodologia indicata nel decreto attuativo. Inoltre, trimestralmente le imprese devono trasmettere alla Commissione di controllo i risultati delle simulazioni ed un prospetto riportante 1 la situazione dell’attivo e del passivo sulla base sia del valore contabile, che del valore di mercato. Gli scenari ipotizzati, riguardano l’effetto di un aumento o di una diminuzione del tasso di rendimento dei Titoli di Stato a 10 anni, e di una diminuzione del valore di realizzo delle azioni, delle quote di fondi o dei valori immobiliari e dei tassi di cambio. Il decreto attuativo prevede i criteri in base ai quali devono essere condotte le simulazioni e lascia alla Commissione di controllo la possibilità di chiedere alle imprese l’effettuazione delle simulazione sulla base di altre ipotesi. Il prospetto che le imprese sono tenute a trasmettere trimestrale alla Commissione non appare rappresentativo di una gestione integrata di attivo passivo quanto piuttosto una valutazione di impatto (stress test) su singole classi di attivo e di passivo. Gli strumenti della vigilanza in materia di garanzia finanziaria previsti dalla normativa italiana sono articolati su un primo livello che opera a priori ed attiene alla fase di determinazione della garanzia in materia di tasso di interesse prima dell’emissione contrattuale ed un secondo livello che interviene nel periodo di vigenza della garanzia, attraverso un meccanismo che impone alle imprese un monitoraggio periodico tra impegni assunti in termini di tasso di interesse e rendimento degli attivi rappresentativi delle riserve tecniche. Nel primo livello, sebbene le ipotesi sottostanti alla determinazione delle tariffe spettino all’attuario incaricato, la base finanziaria deve essere fissata nel limite della garanzia massima da stabilire secondo le regole individuate dalla Vigilanza nel 1998. Le imprese sono tenute a confrontare periodicamente i livelli delle garanzie finanziarie presenti nei prodotti assicurativi con l’evoluzione del livello massimo di tasso di interesse che può essere venduto sul mercato e, qualora necessario, a rivedere i contenuti della garanzia sui contratti di nuova emissione. Il meccanismo di determinazione del tasso massimo da applicare ai contratti di assicurazione sulla vita ed alle operazioni di capitalizzazione espressi in lire, che per i contratti con generica provvista di attivi non può, in ogni caso, superare il 1 4%, viene determinato mensilmente con riferimento ad un benchmark rappresentato dal tasso di rendimento lordo a scadenza del Btp decennale, previa deduzione di un margine prudenziale del 40%. Tuttavia, al fine di evitare che variazioni nella curva dei tassi di natura non strutturale si ripercuotano sul livello massimo di garanzia attraverso la rilevazione periodica del benchmark, le norme prevedono l’adeguamento solo se le ultime tre rilevazioni si discostano, nello stesso segno ed in misura superiore ad una banda di oscillazione prefissata, dal tasso massimo in vigore. E’ stata, in sostanza, delineata una cornice regolamentare che si pone l’obiettivo di incorporare una parte dell’alea afferente la garanzia finanziaria in fase di costruzione delle tariffe. Naturalmente i margini di prudenza impliciti nell’articolazione appena descritta trovano i loro limiti nella dinamica dei mercati finanziari e nella situazione reddituale degli attivi detenuti dall’impresa a fronte degli impegni tecnici. 1 4.3 La disciplina: Direttiva 2002/83/CE La direttiva 2002/83/CE del 5 Novembre 2002 contiene la disciplina vigente dell’assicurazione vita, ed è il retaggio della lunga serie di direttive che, dal 1979 in poi, hanno provato a dare maggior chiarezza alla disciplina. Essa è parte del corpus normativo relativo all’assicurazione sulla vita che include la direttiva 91/674/CEE del Consiglio, del 19 Dicembre 1991, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione. Principi generali Tra le considerazioni iniziali contenute nella direttiva 2002/83/CE, il Parlamento Europeo, sostiene la necessità di eliminare le divergenze esistenti tra le legislazioni nazionali in materia di controllo. Al fine di realizzare questo scopo e nel contempo assicurare una protezione adeguata degli assicurati in tutti gli Stati membri, viene ritenuto opportuno coordinare, in particolare, le disposizioni relative alle garanzie finanziarie richieste alle imprese di assicurazione vita76. Sempre nella parte introduttiva è presente il principio77 secondo il quale il completamento del mercato interno, nel settore dell’assicurazione diretta sulla vita, deve essere completato sotto il duplice profilo della libertà di stabilimento e della libertà di prestazione di servizi negli Stati membri. La direttiva rappresenta perciò una tappa importante verso il ravvicinamento dei mercati nazionali in un unico mercato integrato, e l’impostazione che viene adottata consiste nell’attuare le forme di armonizzazione essenziali, necessarie e sufficienti, a rendere possibile il rilascio, negli Stati membri, di un’autorizzazione unica valida in tutta la comunità. Di conseguenza, l’accesso all’attività assicurativa e l’esercizio della stessa sono subordinati alla concessione di un’autorizzazione amministrativa unica, rilasciata dalle autorità dello Stato membro in cui 76 Nello specifico ci si riferisce al progetto Solvency II, di cui si è trattato nel capitolo precedente. 77 Di cui si è parlato più specificamente nel primo capitolo, relativo al Financial Services Action Plan. 1 l’impresa assicurativa ha la propria sede sociale. Grazie a tale autorizzazione, l’impresa può svolgere le proprie attività ovunque nella Comunità. Ampio spazio viene dedicato alla figura del supervisore, e vengono indicati i margini che delineano una “non imparzialità” dell’autorità stessa, con il concetto di stretti legami. Si auspica la collaborazione tra gli organi di vigilanza e le istituzioni europee, e viene prevista la possibilità di predisporre un regime di sanzioni uniforme. Riguardo le compagnie viene formalizzato il principio secondo il quale l’esercizio dei rami vita e danni non possano essere cumulabili, e per questo motivo le imprese multiramo dovranno scindersi in due imprese. Viene spronata la concorrenza fra compagnie per garantire i migliori standard di prodotto e di prezzo, e vengono puntualizzati alcuni paletti relativamente alla pubblicità ed all’informazione contrattuale. Argomento di scottante importanza è la tutela degli assicurati, che viene perseguita mediante diverse linee guida, prima fra tutte la costituzione di sufficienti riserve tecniche. Si auspica la necessità di coordinare le norme concernenti il calcolo delle riserve tecniche, le cui differenziazioni all’interno degli Stati membri potrebbero diminuire il livello di sicurezza degli assicurati. Nel capitolo precedente si è dato ampio spazio al margine di solvibilità, altro elemento di spicco della tutela degli assicurati stessi. La direttiva dispone che le imprese di assicurazione siano in possesso, oltre che di riserve tecniche sufficienti a far fronte agli impegni contratti, di una riserva complementare, detta appunto margine di solvibilità, rappresentata dal patrimonio libero e, con l’accordo dell’autorità competente, da elementi impliciti del patrimonio, destinata ad ammortizzare gli effetti di eventuali variazioni economiche favorevoli. Questo requisito, recita la direttiva, costituisce un elemento importante del sistema di vigilanza prudenziale mirante a proteggere gli interessi degli assicurati. Viene dedicata attenzione anche alla costituzione di un fondo di garanzia, costituito da elementi impliciti del patrimonio, e aggiornabile in maniera 1 dinamica in parallelo all’evoluzione dell’indice europeo dei prezzi al consumo. Definizioni e campo di applicazione La direttiva definisce il concetto di impresa di assicurazione (art.1): ogni impresa che abbia ottenuto l’autorizzazione amministrativa conformemente al principio di autorizzazione. L’autorizzazione deve essere richiesta alle autorità dello Stato membro di origine, e vengono elencate le condizioni per l’ottenimento della stessa: le forme societarie78, l’esclusività dell’attività assicurativa, la presentazione di un programma di attività conformi al disposto della direttiva, il possesso del fondo di garanzia minimo, il rispetto dei requisiti di onorabilità e professionalità degli operatori. Il programma di attività è una condizione necessaria per l’ottenimento dell’autorizzazione e deve contenere alcuni elementi fondamentali: la natura degli impregni che l’impresa si propone di assumere, i principi in materia di riassicurazione, gli elementi che costituiscono il fondo minimo di garanzia, le previsioni circa le spese e i mezzi finanziari destinati a farvi fronte. Inoltre per i primi tre esercizi sociali l’impresa ha l’obbligo di esporre le previsioni relative al bilancio, alla tesoreria, e ai mezzi finanziari destinati alla copertura degli impegni e del margine di solvibilità. L’autorizzazione viene accordata per ramo, e, una volta ottenuta, è valida per l’intera Comunità. Ogni decisione di rifiuto dell’autorizzazione deve essere adeguatamente motivata e notificata all’impresa interessata. Condizioni di esercizio dell’attività assicurativa 78 Per quanto riguarda la Repubblica italiana le forme societarie previste sono “società per azioni”, “società cooperativa”, “mutua di assicurazione”. Viene prevista la possibilità di utilizzare la forma della società europea. 1 La vigilanza finanziaria su un’impresa di assicurazione, rientra nella competenza esclusiva dello Stato membro d’origine. Essa comprende in particolare la verifica dello stato di solvibilità e della costituzione delle riserve tecniche, comprese le riserve matematiche, e delle altre attività esercitate in conformità delle norme comunitarie. Riguardo le succursali, vige il principio che le autorità competenti dello Stato membro di orgine possano eseguire controlli ed indagini nello Stato della succursale, e che quest’ultimo possa a sua volta partecipare alla verifica. Gli Stati membri impongono alle imprese di assicurazione la presentazione di un resoconto annuale, per tutte le operazioni, relativo alla loro situazione finanziaria e al loro stato di solvibilità. Gli Stati membri devono altresì consentire alle competenti autorità di vigilanza di informarsi dettagliatamente circa la situazione delle imprese di assicurazione e le sue attività complessive, e di prendere nei confronti dell’impresa di assicurazione e dei suoi rappresentanti le misure necessarie per garantire che le attività dell’impresa siano conformi alla legislazione, ed, infine, di assicurare l’applicazione delle leggi, se necessario mediante esecuzione coattiva. Gli articoli 14 e seguenti della direttiva si occupano di disciplinare dettagliatamente l’esercizio del trasferimento del portafoglio (art.14), la partecipazione qualificata (art.15), il segreto d’ufficio (art.16), gli obblighi dei revisori (art.17) e l’esercizio cumulativo (art.18) e la gestione distinta delle attività di assicurazione vita e non vita. Riguardo quest’ultima (art.19) la direttiva precisa che le gestione distinta deve essere organizzata in modo tale che le attività disciplinate siano separate affinché non si rechi pregiudizio ai rispettivi interessi degli assicurati dei rami danni e vita, ed affinché gli obblighi finanziari minimi, in particolare il margine di solvibilità, non siano sostenute dall’altra attività. 1 In caso di insufficienza di uno dei margini di solvibilità, le autorità competenti applicano all’attività in cui si riscontra tale insufficienza le misure previste dalla corrispondente direttiva, a prescindere dai risultati ottenuti nell’altra attività. Le riserve tecniche, margine di solvibilità e fondo di garanzia All’articolo 20 la direttiva dispone la prescrizione a carico delle imprese di assicurazione di costituire riserve tecniche sufficienti, delineandone l’ammontare in base ad una serie di principi. Innanzitutto, nel calcolo delle riserve tecniche, deve essere utilizzato un metodo attuariale prospettivo sufficientemente prudente, tenendo conto di tutti gli obblighi futuri conformemente alle condizioni stabilite per ciascun contratto in corso. La prudenza viene intesa come valutazione che comprenda un margine ragionevole per variazioni sfavorevoli dei vari fattori pertinenti. Le riserve tecniche devono essere calcolate separatamente per ciascun contratto, ma ciò non impedisce la costituzione di riserve per rischi generali che non sono riferibili ad elementi singoli. L’impresa deve mettere a disposizione del pubblico i metodi e le basi utilizzati per la valutazione delle riserve tecniche, compreso l’accantonamento della partecipazione agli utili. All’articolo 22 la direttiva dispone che gli attivi a copertura delle riserve tecniche devono tener conto del tipo di operazioni effettuate dall’impresa di assicurazione in modo da assicurare la sicurezza, il rendimento e la liquidità degli investimenti dell’impresa, che provvederà all’adeguata diversificazione e dispersione di tali investimenti. L’articolo 23 disciplina quali sono le categorie di attivi che lo Stato membro può autorizzare a copertura delle riserve tecniche, diversificandoli in: investimenti, crediti, altri attivi. Lo Stato membro non deve 1 necessariamente autorizzare questi attivi, ed in ogni caso l’impresa deve farne una valutazione prudenziale al netto dei debiti contratti per acquisire gli attivi stessi. L’articolo 24 impone determinati paletti relativi alla diversificazione degli investimenti e delega gli Stati membri a legiferare più dettagliatamente in materia di attivi consentiti. Nel capitolo precedente si è parlato approfonditamente del progetto Solvency II, il quale innoverà profondamente la disciplina del margine di solvibilità. Il margine di solvibilità, nella definizione della direttiva, è costituito dal patrimonio dell’impresa di assicurazione, libero da qualsiasi impegno prevedibile, comprendente: il capitale sociale versato, le riserve libere, gli utili o le perdite al netto dei dividendi da pagare, gli utili che figurano nello stato patrimoniale. La direttiva prevede un’esaustiva elencazione di elementi che, eventualmente, possono diventare voci del margine di solvibilità, e all’articolo 28 predispone gli elementi per il calcolo del margine di solvibilità richiesto. Il fondo di garanzia corrisponde ad un terzo del margine di solvibilità, e non può essere inferiore a tre milioni di Euro. Imprese di assicurazione in difficoltà Un elemento assicurazione in qualificante difficoltà è per individuare certamente quella un’impresa della di mancata conformazione all’articolo 20 della direttiva, quello dedicato alla costituzione delle riserve tecniche. Questo principalmente perché un’impresa che non rispetta le regole prudenziali su riserve tecniche, margine di solvibilità e fondo di garanzia è un potenziale rischio per tutte le parti che vengono in contatto con essa, soprattutto per gli assicurati. 1 L’autorità competente dello Stato membro deve esigere dall’impresa un piano di risanamento da sottoporre ad esame, qualora ritenga che i diritti degli assicurati siano a rischio. Il piano di risanamento devo contenere quantomeno la seguente documentazione: previsioni relative alle spese di gestione, un piano che esponga dettagliatamente le previsioni di entrata e di spesa, sia per le operazioni dirette e per le operazioni di riassicurazione, la situazione probabile di tesoreria, previsioni relative ai mezzi finanziari destinati alla copertura degli impegni e del margine di solvibilità richiesto, la politica di riassicurazione nel suo complesso. Al fine di garantire gli assicurati da rischi, le autorità competenti possono disporre alle imprese di assicurazione la costituzione di un margine di solvibilità più elevato, determinato sulla base del piano di risanamento. L’autorizzazione accordata all’impresa di assicurazione dall’autorità competente può essere revocata da questa quando l’impresa: non ne fa uso espressamente entro dodici mesi, non soddisfi più le condizioni di accesso, non ha potuto realizzare le misure previste dal piano di risanamento, manca gravemente agli obblighi che le incombono in virtù della normativa vigente. Qualsiasi decisione di revoca, naturalmente, deve essere adeguatamente motivata e notificata all’impresa di assicurazione. L’autorità competente dello Stato membro si attiva per informare della revoca dell’autorizzazione le autorità competenti degli altri Stati membri, in modo da evitare che l’impresa di assicurazione interessata possa iniziare attività in essi. Libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi Un’impresa di assicurazione che decida di iniziare ad operare in un altro Stato membro deve darne notizia all’autorità competente dello Stato membro originario. In questa notifica devono essere contenuti tutti gli elementi qualificanti dell’attività che l’impresa sta per intraprendere, in 1 modo tale da permettere all’autorità di valutare il progetto. Qualora non si verifichino problemi entro tre mesi l’autorità competente dello Stato membro di origine deve comunicare tutti gli elementi contenuti nella notifica allo Stato membro della succursale e ne informa l’impresa interessata. Una volta ricevuta una notifica dall’autorità competente dello Stato membro della succursale, la succursale stessa può stabilirsi ed iniziare l’attività. Riguardo invece la libera prestazione di servizi, l’impresa è tenuta ad informare preventivamente l’autorità competente dello Stato membro precisando la natura dei rischi che si propone di coprire. Allo scopo di controllare il rispetto delle disposizioni nazionali relative ai contratti di assicurazione, lo Stato membro della succursale o della prestazione di servizi può esigere da ogni impresa che intenda effettuare sul suo territorio operazioni assicurative, la comunicazione non sistematica delle condizioni o degli altri documenti che essa intende applicare, senza che tale esigenza possa costituire per l’impresa di assicurazione una condizione preliminare per l’esercizio della sua attività. Un’impresa che non ottemperi alla normativa vigente viene invitata a porre rimedio alle criticità evidenziate; se essa non ottempera all’invito l’autorità competente dello Stato membro di origine si interessa di informare la autorità degli Stati dove l’impresa opera in regime di stabilimento o di libera prestazione di servizi, che applicano le misure da essi ritenute adeguate. Altre disposizioni Un elemento fondamentale per la gestione dell’attività assicurativa nell’Unione è sicuramente la cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione. Questo stretto rapporto si estrinseca nella comunicazione costante delle anomalie e delle criticità incontrate dalle autorità competenti a vigilare sul 1 mercato assicurativo, e sull’emissione di un rapporto di attività da sottoporre periodicamente al monitoraggio della Commissione79. 79 La relazione sull’evoluzione del mercato delle assicurazioni e delle operazioni esercitati in regime di libera prestazione di servizi è stato trasmesso per la prima volta il 20 Novembre 1995. 1 4.4 La disciplina in Italia. Circolare ISVAP 551/d: Le norme di trasparenza delle polizze vita L’assicurazione sulla vita è un importante collettore del risparmio. Per questo motivo la stipula del contratto richiede grande attenzione da parte del cliente ed estrema chiarezza e completezza d’informazione da parte dell’intermediario. L’obiettivo è quello di far sì che il cliente acquisti con consapevolezza un prodotto che risponda nel migliore dei modi alle sue esigenze potendo confrontare diverse offerte con criteri univoci. Questo è il senso dell’evoluzione normativa degli ultimi anni: aumentare il grado di trasparenza per far evolvere e crescere anche quantitativamente il mercato. L’attuale punto di arrivo della normativa di trasparenza è la circolare ISVAP 551/d del 01/03/2005 che costituisce “il nuovo testo unitario in materia di trasparenza dei prodotti di assicurazione sulla vita”. La stessa circolare fissa in maniera molto chiara le modalità di redazione della documentazione prescrivendo la dimensione minima del testo, i limiti di utilizzo di parole come “garanzia, garantito e capitale protetto”, impone l’uso di un linguaggio chiaro e comprensibile, proibendo i messaggi pubblicitari. A partire dal 1 Ottobre 2004, l’ISVAP ha obbligato le imprese di assicurazione a pubblicare sui propri siti Internet le note informative e le condizioni di polizza dei loro prodotti (circolare n.533 del 4/06/2004). La circolare 551 prescrive che prima della sottoscrizione della proposta al potenziale cliente venga consegnato un fascicolo informativo contenente: 9 nota informativa e progetto esemplificativo; 9 scheda sintetica; 9 condizioni di assicurazione comprensive di: regolamento del fondo interno (per i contratti Unit Linked), regolamento per la gestione interna separata (per i contratti a prestazioni rivalutabili); 9 glossario; 9 modulo di proposta. 1 La nota informativa contiene tutte le informazioni preliminari per sottoscrivere con consapevolezza la proposta e il contratto (D.Lgs.n.174/1995 art.109). Le informazioni precontrattuali sono suddivise in : 9 informazioni relative all’impresa (denominazione sociale, forma giuridica); 9 informazioni relative al contratto (definizione di ciascuna garanzia e opzioni possibili, modalità di esercizio e di calcolo del diritto di recesso, indicazioni generali relative al regime fiscale applicabile al contratto). Le informazioni in corso di contratto devono contenere la variazione delle informazioni relativamente all’impresa e al contratto, in particolare le modifiche intercorse alle informazioni fornite prima della conclusione del contratto, come garanzia, durata, modalità di scioglimento, ecc.. La compagnia di assicurazione ha l’obbligo di consegnare la nota informativa al contraente, e la consegna di essa deve essere attestata da apposita dichiarazione contenuta nella proposta. Il progetto esemplificativo deve essere consegnato insieme alla nota informativa per i contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione e presenta lo sviluppo del capitale o della rendita assicurati e dei premi nel corso della durata contrattuale con l’evidenza, ad ogni ricorrenza annuale, dei valori di riscatto e di riduzione. La scheda sintetica descrive le caratteristiche essenziali del contratto – le tipologie di prestazioni assicurate, le garanzie di rendimento, i costi e i dati storici di rendimento delle gestioni separate o dei fondi a cui sono collegate le prestazioni – in termini facilmente percepibili dal potenziale contraente. Tale documento informativo sintetico redatto secondo un preciso schema previsto dall’ISVAP, deve essere consegnato dalla Compagnia al potenziale contraente prima della conclusione del contratto. Il dovere di trasparenza da parte delle Compagnie di Assicurazione non si esaurisce nel momento della conclusione del contratto ma si manifesta durante tutto il corso del contratto stesso. Vi sono vari tipi di informativa in corso di contratto. 1 La lettera di conferma di investimento dei premi per i contratti unit linked. Per comunicare l’ammontare del premio lordo versato e di quello investito, la data di decorrenza della polizza, il numero delle quote attribuite al contratto, il loro valore unitario, nonché il giorno cui tale valore si riferisce (data di valorizzazione). Per i premi successivi al primo, la comunicazione avviene entro 10 giorni lavorativi dalla data di valorizzazione delle quote. Un altro elemento importante è la pubblicazione su quotidiani e siti Internet di dati relativi al contratto e all’impresa. Vige l’obbligo di pubblicare giornalmente almeno su un quotidiano a diffusione nazionale e sul sito Internet dell’impresa le caratteristiche salienti delle polizze index e unit linked e quelle degli eventuali nuovi prodotti. Altri elementi relativi alla trasparenza sono: l’estratto conto annuale che contiene tutte le caratteristiche salienti dell’investimento effettuato dal cliente, la comunicazione in caso di perdite (per i contratti unit e index linked per variazioni di circa il 30% del controvalore e del valore di riscatto), la variazione del tasso di interesse garantito per i contratti a premi unici ricorrenti le imprese comunicano preventivamente per iscritto al contraente la variazione del tasso, comunicazioni in caso di esercizio di opzioni contrattuali, al massimo 60 giorni prima dalla data di possibilità di esercizio dell’opzione l’impresa deve fornire per iscritto all’avente diritto una descrizione di tutte le opzioni esercitabili. 1 4.5 La disciplina in Italia: il Codice Civile La disciplina dell’assicurazione sulla vita contenuta nel Codice Civile Italiano è contenuta nel Libro IV Titolo III Capo XX Sezione III “Dell’assicurazione sulla vita”. Art. 1919 Assicurazione sulla vita propria o di un terzo L'assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un terzo. L'assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida se questi o il suo legale rappresentante non dà il consenso alla conclusione del contratto. Il consenso deve essere provato per iscritto (2725). Art. 1920 Assicurazione a favore di un terzo E' valida l'assicurazione sulla vita a favore di un terzo (1411 e seguenti). La designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata all'assicuratore, o per testamento (587 e seguente, 649); essa e efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamente. Equivale a designazione l'attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a favore di una determinata persona. Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione (1411, 1923). Art. 1921 Revoca del beneficio La designazione del beneficiario è revocabile con le forme con le quali può essere fatta a norma dell'articolo precedente. La revoca non può tuttavia farsi dagli eredi dopo la morte del contraente, né dopo che, verificatosi l'evento, il beneficiario ha dichiarato di voler profittare del beneficio (1411). 1 Se il contraente ha rinunziato per iscritto al potere di revoca, questa non ha effetto dopo che il beneficiario ha dichiarato al contraente di voler profittare del beneficio. La rinuncia del contraente e la dichiarazione del beneficiario devono essere comunicate per iscritto all'assicuratore (att. 188). Art. 1922 Decadenza dal beneficio La designazione del beneficiario, anche se irrevocabile, non ha effetto qualora il beneficiario attenti alla vita dell'assicurato (801). Se la designazione e irrevocabile ed è stata fatta a titolo di liberalità, essa può essere revocata nei casi previsti dall'art. 800 (att. 188). Art. 1923 Diritti dei creditori e degli eredi Le somme dovute dall'assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare (Cod. Proc. Civ. 491 e seguenti, 670 e seguenti). Sono salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori (2901 e seguenti) e quelle relative alla collazione (737 e seguenti), all'imputazione (747) e alla riduzione (555 e seguenti) delle donazioni. Art. 1924 Mancato pagamento dei premi Se il contraente non paga il premio relativo al primo anno, l'assicuratore può agire per l'esecuzione del contratto nel termine di sei mesi dal giorno in cui il premio è scaduto. La disposizione si applica anche se il premio è ripartito in più rate, fermo restando il disposto dei primi due commi dell'art. 1901; in tal caso il termine decorre dalla scadenza delle singole rate. 1 Se il contraente non paga i premi successivi nel termine di tolleranza previsto dalla polizza o, in mancanza, nel termine di venti giorni dalla scadenza, il contratto è risoluto di diritto (1453 e seguenti), e i premi pagati restano acquisiti all'assicuratore, salvo che sussistano le condizioni per il riscatto dell'assicurazione o per la riduzione della somma assicurata. Art. 1925 Riscatto e riduzione della polizza Le polizze di assicurazione devono regolare i diritti di riscatto e di riduzione della somma assicurata, in modo tale che l'assicurato sia in grado, in ogni momento, di conoscere quale sarebbe il valore di riscatto o di riduzione dell'assicurazione. Art. 1926 Cambiamento di professione dell'assicurato I cambiamenti di professione o di attività dell'assicurato non fanno cessare gli effetti dell'assicurazione, qualora non aggravino il rischio in modo tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito al tempo del contratto, l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione (1898). Qualora i cambiamenti siano di tale natura che, se il nuovo stato di cose fosse esistito al tempo del contratto, l'assicuratore avrebbe consentito l'assicurazione per un premio più elevato, il pagamento della somma assicurata è ridotto in proporzione del minor premio convenuto in confronto di quello che sarebbe stato stabilito. Se l'assicurato dà notizia dei suddetti cambiamenti all'assicuratore, questi, entro quindici giorni, deve dichiarare se intende far cessare gli effetti del contratto ovvero ridurre la somma assicurata o elevare il premio. Se l'assicuratore dichiara di voler modificare il contratto in uno dei due sensi su indicati, l'assicurato, entro quindici giorni successivi, deve dichiarare se intende accettare la proposta. 1 Se l'assicurato dichiara di non accettare, il contratto e risoluto, salvo il diritto dell'assicuratore al premio relativo al periodo di assicurazione in corso e salvo il diritto dell'assicurato al riscatto. Il silenzio dell'assicurato vale come adesione alla proposta dell'assicuratore. Le comunicazioni e dichiarazioni previste dai commi precedenti possono farsi anche mediante raccomandata (att. 187). Art. 1927 Suicidio dell'assicurato In caso di suicidio dell'assicurato, avvenuto prima che siano decorsi due anni dalla stipulazione del contratto, l'assicuratore non è tenuto al pagamento delle somme assicurate, salvo patto contrario. L'assicuratore non è nemmeno obbligato se, essendovi stata sospensione del contratto per mancato pagamento dei premi (1901), non sono decorsi due anni dal giorno in cui la sospensione e cessata. 1 4.6 La disciplina in Italia: D.Lgs. 209 07/09/05 “la tutela del consumatore nel nuovo codice delle assicurazioni” Il Nuovo codice delle assicurazioni, introdotto con il decreto legislativo 7 Settembre 2005 n.209, ha innovato il piano normativo in materia di assicurazioni, sostituendo oltre mille norme vigenti, con soli 335 articoli. La volontà del legislatore, dunque, è stata quella di semplificare l’assetto normativo, abrogando completamente norme vetuste come due regi decreti, quello del 23 marzo 1922 n. 387 “istituzione di un casellario centrale generale per la raccolta e la conservazione delle schede relative a casi di infortunio sul lavoro, i quali importino invalidità permanente”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, del 6 aprile 1922, n. 81 e il regio decreto 4 gennaio 1925, n. 63, “regolamento per la esecuzione del R.D.L. 29 aprile 1923, n. 966, concernente l’esercizio delle assicurazioni private, pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 12 febbraio 1925 n. 35. Il decreto legislativo introduce una nuova disciplina volta a rafforzare il ruolo della Isvap, abrogando alcuni articoli della legge 12 agosto 1982 n. 576 detta “riforma della vigilanza sulle assicurazioni”. Il Nuovo codice ha, inoltre, introdotto alcune importanti tutele volte a rafforzare la posizione del contraente debole, il consumatore – assicurato. Il codice delle assicurazioni si prefigge, in conformità al nuovo codice del consumo, di rimediare ad una situazione asimmetria contrattuale, assicuratore da un lato (contraente forte) e assicurato dall’altro (contraente debole), attraverso una corretta informativa pre-contrattuale al fine di realizzare una situazione di parità tra i contraenti e consentire così il libero esplicarsi dell’autonomia contrattuale. Queste tutele risultano essere necessarie non solo perché vi è uno squilibrio giuridico ed economico delle due parti contrattuali, ma perché il contratto di assicurazione è un contratto di massa ove l’uniforme disciplina dei singoli rapporti contrattuali viene attuata attraverso la predisposizione da parte delle imprese, del contenuto contrattuale, delle tariffe, dei premi, delle condizioni generali di contrattuale, elaborate sulla base di un calcolo statistico, il quale tiene 1 conto del fabbisogno finanziario occorrente per predisporre l’operazione, per ciascuna annualità assicurativa, al fine di far fronte agli obblighi contrattuali assunti. Il consumatore si trova di fronte ad una variegata tipologia di contratti che offrono vari servizi, fino ad oggi, proposti senza considerare se erano effettivamente idonei ai bisogni e alle necessità degli assicurati. Ad oggi, il nuovo codice delle assicurazioni impone all’intermediario assicurativo di illustrare i vantaggi della polizza proposta in modo esauriente e di proporre quella che maggiormente si conforma alle esigenze del consumatore. Vi è dunque, un obbligo di informativa precontrattuale del consumatore, obbligo che nel nostro ordinamento rappresenta la tipica forma di tutela del consumatore nei contratti di massa. A dimostrazione di quanto detto, a contrario, si osservi che le tutele poste a favore del consumatore non operano nel caso in cui le condizioni contrattuali siano state oggetto di effettiva trattativa individuale ( ex art. 1469 – ter comma 4 c.c., trasfuso nel codice del consumo). La legge a tutela del consumatore, in buona sostanza, si preoccupa di assicurare in modo spesso imperativo la conoscenza preliminare da parte del contraente debole, in questo caso l’assicurato, delle clausole contrattuali ( art. 1469 quinquies comma 2, n. 3 c.c. ecc. trasfuso nel codice del consumo o la legge sulla multiproprietà) per consentire una consapevole stipulazione del contratto. In precedenza, il legislatore non imponeva un obbligo tassativo di informazione in materia assicurativa. Il nuovo codice attribuisce invece, rilevanza giuridica alla fase pre contrattuale, conferendo all’ISVAP il compito di regolamentazione della materia informativa, pre-contrattuale al fine di assicurare una minore disparità fra le parti contraenti e un rafforzamento della posizione del contraente debole ossia l’assicurato. Del resto, qualora l’intermediario e dunque, la compagnia assicurativa per il tramite della quale opera offra un prodotto, illustrato pre - contrattualmente in un determinato modo, che in seguito si dimostri diverso da quello proposto incorrerà 1 nella responsabilità ex art. 1337 c.c., responsabilità ancor più rilevante giuridicamente, di quanto non fosse in passato, per i motivi sopra indicati. Il codice delle assicurazione tenta di tutelare un interesse primario che è quello dell’esatta conoscenza dei termini del contratto, sulla base dell’informazione offerta, secondo i regolamenti emessi dall’ISVAP. A dimostrazione di quanto detto si legge che l’art. 120 rubricato “informazione pre - contrattuale e regole di comportamento” che impone all’intermediario assicurativo di informare, in caso di conclusione del contratto o di modifiche rilevanti o di rinnovo sulle base delle indicazioni stabilite dall’ISVAP con regolamento. In relazione al contratto proposto gli intermediari sono tenuti a fornire consulenze fondate su un analisi imparziale offrendo il prodotto migliore per l’utente ossia “idoneo a soddisfare le richieste del contraente”. Inoltre, se viene proposto all’assicurato un determinato prodotto, al contraente dovrà indicare l’impresa con cui avrà a che fare. In ogni caso, anche dopo la conclusione del contratto di assicurazione, l’assicurante dovrà proporre all’assicurato anche in base alle informazioni fornite al contraente un prodotto adeguato alle sue esigenze, previamente illustrando le caratteristiche essenziali del contratto e le prestazioni alle quali è obbligata l’impresa di assicurazione. L’ISVAP ha un ruolo chiave in quanto dovrà regolamentare a seconda delle esigenze degli assicurati, delle categorie di rischio, delle cognizioni e della capacità professionale degli addetti all’intermediazione le regole di comportamento e di presentazione nei confronti del contraente con riferimento agli obblighi di informazione relativi all’intermediario medesimo e ai rapporti con l’impresa assicurativa, alle caratteristiche del contratto proposto in relazione all’eventuale prestazione di servizio di consulenza fondata su un’analisi imparziale o dell’esistenza degli obblighi assunti per la promozione e l’intermediazione con una o più imprese di assicurazione. L’Isvap può regolamentare le modalità con le quali è fornita l’informazione al contraente prevedendo i casi nei quali può essere effettuata su richiesta, di regola, 1 l’uso della lingua italiana e la comunicazione su un supporto accessibile e durevole al più tardi subito dopo la stipula del contratto, le modalità di tenuta della documentazione concernente l’attività svolta, violazioni alle quali si applicano le sanzioni disciplinari previste dall’art. 329, sono esclusi gli intermediari che operano nei grandi rischi o nel settore riassicurativo. Quanto detto sin ora, dimostra che il legislatore ha voluto inserire nella materia assicurative quelle tutele tipiche che il nostro ordinamento prevedeva in materia di vendite, di intermediazione e di finanziamento a garanzia del contraente più debole ossia il consumatore. Il legislatore ha continuato ad innovare il panorama legislativo recependo la normativa di diritto del consumatore nelle vendite a distanza in caso di contratti assicurativi stipulati on line. In particolare, l’Art. 121 “informazione precontrattuale in caso di vendita a distanza”, impone l’obbligo all’intermediario a fine della chiamata di indicare l’identità della persona in contatto con il contraente e il suo rapporto con l’intermediario assicurativo, nonché una descrizione delle principali caratteristiche del servizio o prodotto offerto, nonché il prezzo totale comprese le imposte che il contraente dovrà corrispondere. In ogni caso l’informativa è fornita al cliente prima della conclusione del contratto di assicurazione. Può essere fornita verbalmente solo a richiesta del contraente o qualora sia necessaria una copertura immediata del rischio, con supporto informativo subito dopo la conclusione del contratto. Anche in questo caso l’ISVAP può regolamentare le modalità di informazioni sulle caratteristiche del contratto. Il nuovo codice prevede l’obbligo specifico per le imprese di assicurazione di scrivere le condizioni del contratto in modo chiaro ed esauriente (art. 166 I comma codice delle assicurazioni), imponendo inoltre, una specifica evidenza delle clausole che riportano la limitazione delle garanzie ( art. 166 II comma del codice delle assicurazioni). 1 L’art. 167 del codice stabilisce che è nullo il contratto di assicurazione stipulato con un’impresa non autorizzata o con un’impresa alla quale sia fatto divieto di assumere nuovi affari. La nullità in questo caso può essere fatta valere solo dal contraente e dall’assicurato. La nullità impone la restituzione dei premi pagati. In ogni caso non sono ripetibili gli indennizzi e le somme eventualmente corrisposte o dovute dall’impresa agli assicurati ed agli altri aventi diritti. L’art. 167 del codice delle assicurazioni introduce una norma c.d. di protezione del contraente debole, prevedendo, come rimedio nei casi elencati, la nullità relativa esperibile dal solo assicurato. La norma ha, quindi, natura inderogabile e non può essere valido oggetto di autonoma trattativa o transazione fra le parti. La norma dell’art. 167 del nuovo codice ricorda quella introdotta dal legislatore in tema di nullità del contratto ad oggetto l’obbligo di fideiussione in tema di vendite immobiliari sulla carta ex art. decreto legislativo n. 122 del 2005. 1 4.7 Un confronto europeo sui conti economici delle imprese di assicurazione del ramo vita Confrontare i risultati economici delle imprese di assicurazione che operano esclusivamente nel ramo vita nei principali paesi dell’area dell’Euro non è attività agevole, soprattutto in luce della diversificazione delle fonti. I dati relativi a singole compagnie assicurative che esercitano esclusivamente il ramo vita sono tratti dal database ISIS commercializzato da Bureau van Dijk che raccoglie le informazioni messe a disposizione dalla società di ratin Fitch-IBCA sullo stato patrimoniale e sui conti economici delle imprese di assicurazione. Per quel che riguarda il periodo che va dal 1998 al 2002 le principali conclusioni sono: 9 il mercato vita si è sviluppato in Italia più rapidamente rispetto agli altri paesi, anche perché all’inizio del periodo era più contenuta la diffusione dei prodotti assicurativi; 9 in Italia è molto più ampia la diffusione dei prodotti unit-linked, prodotti con caratteristiche finanziarie assimilabili ai fondi comuni di investimento; 9 gli utili lordi in rapporto al capitale (ROE lordo) sono scesi in Italia, Francia e Germania tra il 1998 e il 2002 in corrispondenza con la caduta dei mercati finanziari; c’è una dispersione molto forte nei risultati delle singole imprese italiane: nel 2002 a fronte di un ROE lordo per l’impresa mediana pari al 5,7%, un quarto delle imprese hanno avuto utili lordi superiori al 17,5% del capitale; ma un quarto delle imprese ha invece sopportato perdite per oltre il 5% del capitale; 9 il rapporto tra spese complessive (inclusive delle provvigioni di acquisizione e delle spese di amministrazione) e i premi netti contabilizzati (indicatore che approssima il costo delle polizze) è sceso per l’impresa mediana italiana dall’8,9% nel 1998 al 7,1% nel 2002, il valore più basso nel confronto con l’impresa mediana in Francia, Germania e Spagna. Vi è una forte dispersione tra le imprese del valore di questo indicatore 1 (expense ratio): un quarto delle imprese ha un rapporto tra costi e premi inferiore al 3,8%, mentre un altro quarto ha un rapporto superiore all’11%. Nel 2002 le imprese di assicurazione che esercitano esclusivamente l’assicurazione vita censite su ISIS sono 319, di cui 45 operano in Francia, 188 in Germania, 44 in Italia, 42 in Spagna. La crescita dei premi è stata molto più forte in Italia che negli altri paesi riflettendo un grado di diffusione dell’assicurazione vita molto più limitato all’inizio del periodo di osservazione. Tra il 1996 e il 2002 il rapporto tra premi e PIL è salito dall’1,4% al 4,4%: l’ammontare dei premi pro-capite è passato da 238 a 96080. Per l’impresa mediana italiana la crescita annuale dei premi è stata pari al 50,7% nel 1998, al 21,1 nel 1999, all’8,1 nel 2000, al 15,1 nel 2001 all’8,8 nel 2002. La dispersione dei tassi di crescita è molto ampia. Nel 2002 un quarto delle imprese ha incrementato i premi di oltre il 33% rispetto al 2001, ma un altro quarto delle imprese ha avuto una riduzione di oltre il 9%. Una caratteristica del mercato italiano è stato il forte sviluppo delle polizze unit e equity linked, contratti a fronte dei quali sono accantonate riserve pari al 46% delle riserve complessive (sempre per l’impresa mediana). La quota è molto più bassa in Francia (13,9%) e in Spagna (4,4%) mentre è pressoché nulla in Germania. L’indicatore sintetico per misurare la redditività delle imprese è il rapporto tra l’utile prima delle tasse e i mezzi patrimoniali (definito come la somma del capitale sociale sottoscritto, delle riserve per azioni proprie, delle riserve di perequazione, delle altre riserve e dell’utile/perdita di esercizio). Nei tre paesi più grandi gli utili in rapporto ai mezzi patrimoniali sono scesi tra il 1998 e il 2002. Per l’impresa mediana, in Francia sono scesi dal 10,1% al 3,1%, in 80 Secondo i dati pubblicati dal CEA, in Francia l’incidenza dei premi sul PIL è passato tra il 1996 e il 2002 dal 5,9% al 5,6%, in Germania dal 2,6% al 3,1%, in Spagna dal 2,2% al 3,7%. Nello stesso periodo l’ammontare dei premi pro-capite è salito in Francia da 1.216 a 1.450, in Germania da 583 a 796, in Spagna da 259 a 667. 1 Germania dal 14,2% al 5,7%, in Italia dal 10,2% al 5,7%, in Spagna gli utili in rapporto al matrimonio sono rimasti sostanzialmente costanti. La dispersione dei risultati tra le imprese è molto forte in Italia. Un quarto delle imprese hanno avuto nel 2002 utili superiori al 17,5% del capitale; ma un quarto del sistema ha invece sopportato perdite per oltre il 5% del capitale. Solo in Spagna si ha una dispersione dei risultati accentuata come quella registrata in Italia. L’expense ratio (definito come la somma delle spese di acquisizione e di quelle di amministrazione in rapporto ai premi netti contabilizzati) è sceso in Italia, sempre per l’impresa mediana, dall’8,9% nel 1998 al 7,1% nel 2002. Nel 2002 si collocava sul valore europeo più basso: in Francia era pari al 7,5%, in Spagna all’8,2%, in Germania al 15,2%. Per un’analisi riferita a tutte le imprese che esercitano il ramo vita (anche quelle che operano contemporaneamente al ramo danni, cosiddette imprese composite), relativa a un periodo più lungo e dettagliata secondo la tipologia di compagnia di assicurazione sulla base dei canali di vendita, ecco uno stralcio della Relazione della Banca d’Italia 2003: “Secondo le statistiche dell’ISVAP relative alle compagnie di assicurazione del ramo vita, nel 2001 l’incidenza dei costi complessivi sull’ammontare dei premi lordi era pari al 6,6%. Essa risultava pari al 10% per le compagnie che operano prevalentemente attraverso agenzie proprie, rispetto all’8,7% e al 4,1% rispettivamente, per quelle che effettuano la raccolta mediante SIM o sportelli bancari. Per il complesso delle compagnie tra il 1993 e il 2001 l’incidenza dei costi sui premi è scesa sensibilmente, dal 19,7% al 6,6%; la riduzione ha riflesso soprattutto la diminuzione dei costi commerciali oltre che quella delle spese di amministrazione”81. La riduzione dei costi per gli assicurati vita è quindi avvenuta in concomitanza con l’aumento dei collocamenti attraverso gli sportelli bancari e i promotori finanziari e le SIM, la cui quota collocata nel complesso sale dal 34,4% nel 1995 al 70,6% nel 2002. 81 Relazione della Banca d’Italia, anno 2003, pag.300 1 La distribuzione delle polizze vita in Italia, per canale di collocamento sta subendo un progressivo ed importante cambiamento, anche repentino. A metà degli anni novanta il mercato vita era retaggio principalmente di agenti e broker, mentre lo scenario che si è delineato negli ultimi anni è il progressivo predominio sulla vendita di prodotti vita da parte degli sportelli bancari, la cosiddetta esplosione del modello di bancassicurazione. Si è anche modificata di molto la composizione delle quote di mercato dei singoli gruppi di compagnie. Con riferimento ai gruppi di imprese che 2002 detenevano almeno lo 0,5% del mercato, tra il 1998 e il 2002 è passato di mano il 26% del mercato. Infine, il mercato assicurativo italiano del ramo vita non risulta essere particolarmente concentrato nel confronto internazionale, soprattutto se si tiene conto delle sue dimensioni. 1 4.8 Alcune osservazioni: il mercato vita nel contesto sociale Nei capitoli precedenti si è analizzato approfonditamente il modo in cui l’Unione Europea sta progettando e realizzando un unico mercato assicurativo, e l’impatto che questo potrebbe avere (ed ha) sull’attività assicurativa stessa. Parallelamente a questa importante rivoluzione del modo di concepire il mercato si deve necessariamente tenere conto degli eventi storici e delle modificazioni sociali che in maniera più o meno indiretta hanno effetti sul mercato stesso. Nei capitoli uno e tre si è più volte osservato quanto l’introduzione dell’Euro abbia dato propulsione all’europeizzazione dell’attività assicurativa stessa, e questo va considerato un passo importante di un grande e lungo processo in via di realizzazione. Ma la domanda: “come reagisce il mercato assicurativo vita ad eventi storici o a momenti di crisi economica?” non è di così facile liquidazione in quanto i pilastri stessi sui quali esso si fonda sono necessariamente particolari. Il ramo vita si basa innanzi tutto su un bisogno, il quale si concretizza soprattutto nelle società più evolute. In maniera un po’ semplicistica possiamo osservare che la coscienza e la necessità di protezione del tenore di vita, pilastro del ramo vita stesso, si manifesta esclusivamente nelle società con un livello culturale adeguato e con un tenore di vita medio / alto. L’osservazione potrà risultare abbastanza ovvia, ma è sicuramente questo uno dei motori propulsivi dell’intero mercato vita: esso può attecchire dove il suddetto bisogno si concretizza. In Italia quindi, analizzando il cavalcante sviluppo del mercato vita possiamo osservare che l’esigenza assicurativa ha preso piede soprattutto negli ultimi anni, rispetto, ad esempio, ad un mercato già molto avanzato come quello americano. La scarsissima diffusione dei prodotti assicurativi in Italia ha fatto sì che, quando il momento fosse stato propizio, un boom vero e proprio potesse realizzarsi. La diffusione di prodotti Index Linked, simili ai fondi comuni di investimento, sono un segnale importante, così come lo è la, seppur ancora non determinante, crescita 1 dei prodotti long term care, a testimoniare una netta presa di coscienza dell’utente italiano della necessità di proteggere il proprio tenore di vita. Ma la risposta al quesito iniziale è ancora lontana. In effetti analizzando i grafici della raccolta premi vita nel mercato italiano, soprattutto in chiave crescita, possono essere fatte alcune considerazioni. Dal 1999 al 2005 si notano alcuni picchi negativi che comunque non inficiano un cammino di progressiva crescita. Uno di essi, intorno all’anno 2000 potrebbe essere un effetto secondario del flop della new economy che ha portato a gonfiare, e successivamente ad un crollo vertiginoso, determinate imprese basate sulle tecnologie [in Italia il caso Tiscali]. L’immediata perdita di fiducia dei mercati, riportata in maniera globale dai mass media, e il successivo periodo di recessione, avrebbero potuto incidere in qualche maniera sulla crescita del ramo vita? I fatti dell’11 Settembre 2001 aiutano sicuramente a valutare l’impatto di grandi eventi storici sul mercato assicurativo, in particolare vita. Sicuramente, gli attentati dell’11 Settembre hanno segnato una svolta nel mercato assicurativo. Non solo perché il comparto si è trovato a gestire il più grande sinistro catastrofale della sua storia82, ma anche perché le ricadute dell’attacco terroristico agli Stati Uniti hanno cambiato il modo di fare e di intendere l’assicurazione. Anche se le compagnie italiane sono state interessate solo marginalmente alla massa di risarcimenti, il settore assicurativo italiano ha subito l’impatto derivante dalla riduzione della redditualità degli investimenti, e dall’aumento dei premi di riassicurazione, causando il consequenziale aumento dei premi assicurativi in generale. Tutti i settori sono stati interessati da questo fenomeno, compresa l’assicurazione marittima, e l’assicurazione obbligatoria per la circolazione dei veicoli. Secondo i dati diffusi dall’Isvap, però, la raccolta premi vita non ha subito particolare decremento, anzi, ha continuato un progressivo periodo di crescita. Ciò suggerisce che gli eventi del 2001 non abbiano inciso in maniera particolarmente 82 La stima è valutata intorno agli 80 miliardi di dollari. 1 negativa sul mercato vita italiano. Una considerazione che si potrebbe fare è che il pilastro stesso del ramo vita, cioè la tutela del tenore di vita possa rispondere in maniera del tutto particolare a determinati eventi. Un’ipotesi interessante potrebbe essere appunto quella che il ramo vita, importante collettore del risparmio privato, riesca a controbilanciare i momenti di crisi economica con una crescente esigenza di tutela del risparmio stesso e del tenore di vita dei consumatori. Fenomeno che si è verificato sicuramente in Italia nell’ultimo quinquennio grazie ad un progressivo aumento del livello culturale e del reddito pro-capite della popolazione. Ciò ha portato il paese a diventare uno dei più importanti mercati vita mondiali. Gli studi effettuati sulla portata dell’impatto dell’11 Settembre nel convegno “Come superare Ground Zero” organizzato da Assinform confermano che i fatti di New York hanno avuto un impatto decisamente diverso sul ramo vita e sul property. Le conseguenze sono state sicuramente meno devastanti per il ramo vita, dove solo le grandi polizze collettive hanno subito dei limiti. Il problema per il ramo è certamente il danno indiretto dovuto al bilancio delle compagnie. 1 Capitolo V LE PROSPETTIVE DI INTEGRAZIONE EUROPEA IN MATERIA DI PREVIDENZA COMPLEMENTARE Sommario: 5.1 L’importanza della previdenza complementare nel quadro comunitario - 5.2 Normativa comunitaria – 5.3 Previdenza complementare: perché? – 5.4 Il ruolo del settore privato – 5.5 La libera circolazione dei lavoratori – 5.6 Sistemi pensionistici nei principali paesi dell’Unione Europea – 5.7 “A simpler way to better pension”: il rapporto Pickering – 5.8 La previdenza complementare in Italia – 5.9 Il settore assicurativo e il suo valore per la crescita, osservazioni dell’Ania 5.1 L’importanza della previdenza complementare nel quadro comunitario Fino a qualche decennio fa, il modello previdenziale dei Paesi appartenenti all’Unione Europea è stato quello della previdenza pubblica gestita direttamente dallo Stato e basata sul metodo a ripartizione per il finanziamento delle pensioni: la ripartizione prevede che i contributi siano pagati direttamente per finanziare le prestazioni ai pensionati attuali. Un simile sistema di protezione sociale ha garantito e garantisce un elevato livello di solidarietà, anche generazionale, una tutela delle fasce di lavoratori più deboli ed un tenore di vita rispettabile per i pensionati. Tuttavia, gli Stati membri si trovano oggi a fronteggiare gravi problemi di finanziamento del sistema pubblico dovuti soprattutto all’invecchiamento della popolazione europea, agli alti tassi di disoccupazione e all’aumento della scolarizzazione, che diminuiscono la popolazione attiva e causano l’aumento dei contributi con gravi ripercussioni economiche sul costo del lavoro. A ciò si aggiunge in alcuni Paesi la cattiva gestione degli enti previdenziali di Stato. 1 Contrariamente, la liberalizzazione dei mercati mondiali impone una riduzione dell’onere di finanziamento della spesa sociale che grava sulle imprese in modo tale da non mettere a rischio la competitività dei loro prodotti in un’ottica globale. Nei costi per la spesa sociale, la previdenza costituisce nei Paesi Europei circa il 30% del PIL e si stima83 che continui a crescere nei prossimi decenni a causa dell’invecchiamento della popolazione. Per questo motivo tutti gli Stati sono alla ricerca di eque soluzioni volte a garantire il livello di prestazioni pensionistiche raggiunto e nello stesso tempo far fronte al crescere del loro costo. Tra gli studiosi è stata avanzata la tesi che il modo migliore per raggiungere gli obiettivi appena enunciati è quello di dar vita a piani di previdenza integrativa basati sul metodo di finanziamento cosiddetto “a capitalizzazione” (i contributi sono accantonati ed investiti per poi finanziare la pensione del contribuente stesso). I fondi pensione potranno consentire una riduzione dell’incidenza delle prestazioni fornite dal sistema previdenziale pubblico sull’intera pensione, frenare la crescita dei contributi, garantire livelli di pensione pari o migliorativi rispetto a quelli attuali ed infine assicurare la sostenibilità dello Stato sociale84. Per la Commissione Europea85, i fondi pensione rappresentano già oggi un valido strumento di integrazione degli schemi pensionistici pubblici e coprono attualmente il 25% della popolazione attiva degli Stati Membri. La crescita della previdenza complementare, basata sulla capitalizzazione dei contributi, e lo sviluppo del mercato dei capitali sono strettamente correlati e possono dar vita ad una serie concatenata di conseguenze senza dubbio favorevoli per la crescita economica dell’ UE. La creazione di nuovi strumenti di intermediazione finanziaria contribuisce infatti ad accrescere lo spessore dei mercati finanziari consentendo alle imprese di reperire capitali per investimenti a lungo termine e allo stesso tempo diminuire l’indebitamento bancario. In tale contesto, le piccole e medie imprese potranno 83 Si rinvia al “Libro Verde sulle pensioni integrative nel Mercato Unico”. Ferri E., Preto A., “Un quadro normativo comunitario per le pensioni complementari”, Diritto ed Economia dell’Assicurazione,1999, fasc.1 85 Libro Verde sulle pensioni integrative nel Mercato Unico 84 1 più facilmente accedere ai mezzi finanziari necessari per lo sviluppo, mentre le grandi imprese avranno a disposizione un ulteriore mezzo di finanziamento. Da questo sintetico quadro emerge che i fondi pensione apportano dei vantaggi non solo perché comportano una riduzione, o al limite un contenimento, della spesa previdenziale, ma anche per una serie di benefici economici in termini di finanziamento di investimenti a medio e lungo termine che i regimi pensionistici pubblici attuali non garantiscono. 1 5.2 Normativa comunitaria Per le regioni che abbiamo enunciato nel paragrafo precedente, emerge, nel panorama europeo, la tendenza degli Stati al trasferimento di parte dei carichi previdenziali a forme di previdenza integrativa basate sui fondi pensione. L’assenza di un quadro di riferimento normativo a livello comunitario ha determinato il diffondersi di una varietà di schemi di previdenza complementare e di conseguenza ha determinato il sorgere di nuove problematiche legate all’effettiva realizzazione di un Mercato Unico del lavoro e dei capitali86. Va del resto ricordato che l’applicazione del principio di sussidiarietà, attribuendo ad ogni Stato membro il compito di definire il regime previdenziale più adeguato al suo sistema economico, limita fortemente l’intervento comunitario in materia di previdenza complementare. Un’armonizzazione comunitaria delle norme di previdenza complementare, delle agevolazioni fiscali ad esse connesse e della disciplina in materia di libera circolazione dei capitali è resa oggi difficile dalla ripartizione di competenze tra le istituzioni dell’Unione Europea e i singoli Stati Membri, nonché dalle procedure di decisione per l’adozione di atti normativi comunitari in materia tributaria e di previdenza sociale. Le basi giuridiche per la regolamentazione di tali aspetti divergono tra di loro. Gli articoli 56, 77 o 100 A del trattato prevedono la procedura di codecisione e costituiscono il fondamento giuridico per l’adozione di norme di armonizzazione della gestione transfrontaliera dei fondi pensione87; gli art. 51 e 235 prevedono una decisione unanime degli Stati in seno al Consiglio ed hanno costituito la base giuridica dell’adozione della Direttiva 98/49/CE in materia di “salvaguardia dei diritti a pensione integrativa dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi che si spostano all’interno dell’Unione Europea”; l’armonizzazione fiscale è 86 87 COM(1999) 134 , 11.05.1999 in base a tale procedura è stata recentemente adottata la proposta di direttiva volta a disciplinare le attività transfrontaliere dei fondi pensione ( Com. 507/2000). 1 infine possibile soltanto attraverso l’applicazione dell’art. 100 che comunque prevede una deliberazione unanime degli Stati membri. Il dibattito sulla regolamentazione della previdenza integrativa a livello comunitario ha fondamentalmente ad oggetto i seguenti principi: 1. la garanzia di un libero mercato di capitali dei fondi pensione, con conseguente possibilità di gestione transfrontaliera, rispettando e realizzando i principi in materia di libertà di prestazione di servizi e di stabilimento all’interno dei Paesi dell’Unione Europea; 2. la garanzia di una sostanziale libertà di spostamento dei lavoratori da un Paese all’altro dell’Unione Europea, rimuovendo gli ostacoli giuridici che la impediscono, primo su tutti l’assenza di una tutela dei diritti già acquisiti presso un regime di previdenza complementare. Per quanto riguarda la pensione di base statale, esiste il regolamento 1408/71 che detta una normativa di raccordo e coordinamento tra i diversi sistemi pensionistici degli Stati Europei. In materia di previdenza complementare è stata approvata la Direttiva 98/49/CE. 3. la parità di trattamento fiscale verso forme previdenziali offerte da istituzioni situate in altri Stati Membri; tale questione è strettamente connessa ai primi due punti. 1 5.3 Previdenza complementare: perché? Alla base dell’intera discussione sull’importanza e sul potenziale della previdenza complementare vi è un elemento imprescindibile: la sua inevitabilità. L’analisi dei dati che seguiranno dimostra in maniera abbastanza incontrovertibile che i vecchi regimi di previdenza non possono più soddisfare la domanda di previdenza odierna e futura. Il punto di partenza del ragionamento è l’aumento dei tassi di dipendenza della popolazione anziana (Tavola 1), derivante dall’allungamento della vita attesa e dalla riduzione della natalità88. Dopo il 2010, secondo i paesi, le pensioni pubbliche saranno più basse, in rapporto alle retribuzioni, di quelle attuali, a meno di gravare le future generazioni di oneri molto elevati. I giovani di oggi devono quindi risparmiare di più. Questo sembra essere un punto fermo e condiviso. Tavola 1 Tassi di dipendenza degli anziani (*) nei vari paesi dell’Unione Europea. Proiezioni al 2050. Austria Belgio Danimarca Finlandia Germania Grecia Francia Irlanda Italia Olanda Portogallo Spagna Regno Unito Unione Europea 2000 2050 22.9 25.5 22.2 22.1 23.8 25.5 24.4 16.8 26.6 20.0 22.6 24.5 23.8 24.2 54.0 45.0 36.0 44.0 49.0 54.0 46.0 40.0 61.0 41.0 46.0 60.0 42.0 49.0 (*) Numero di persone di età superiore ai 65 anni in percentuale del numero di persone di età compresa fra 15 e 66 anni. 88 CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, 2003. Sulle dinamiche della longevità, si veda MACCHERONI C., 2002. Per un inquadramento dei sistemi pensionistici nell’ambito della più ampia evoluzione socioeconomica, si veda LINDBECK A., 2000. 1 Fonte: COMMISSIONE EUROPEA, 2003. TAVOLA 2 INCIDENZA PERCENTUALE PRESTAZIONI PENSIONISTICHE DI I E II PILASTRO SUL PIL IN ALCUNI PAESI EUROPEI(*) BELGIO DANIMARCA GERMANIA SPAGNA FRANCIA ITALIA OLANDA PORTOGALLO SVEZIA REGNO UNITO 2,2 0,7 0,5 1,1 0,6 0,5 5,1 0,8 1,0 5,5 11,1 10,7 12,1 9,1 12,5 13,7 10,9 9,2 12,4 12,3 (*) L’incidenza delle pensioni pubbliche sul PIL è relativa all’anno 2000; quella delle pensioni complementari si riferisce al 1997. Fonte: EUROSTAT e ASSICURAZIONI GENERALI, 2001. Incidenza prestazioni pensioni complementari (II pilastro) sul PIL (%) Incidenza pensioni pubbliche sul PIL (%) In tutti i paesi il punto di partenza delle proposte di riforma è l’aumento dei tassi di dipendenza della popolazione anziana, derivante dall’allungamento della vita attesa e dalla riduzione della natalità89. Dopo il 2010, secondo i paesi, le pensioni pubbliche saranno più basse, in rapporto alle retribuzioni, di quelle attuali, a meno di gravare le future generazioni di oneri molto elevati. I giovani di oggi devono quindi risparmiare di più. Questo sembra essere un punto fermo e condiviso. Chi afferma che le “riforme sono già state fatte” ritiene che gli oneri che verranno addossati alle future generazioni siano sostenibili o comunque equi rispetto a quelli che gravano sulla generazione presente. Chi invece afferma che le riforme debbano ancora essere completate ritiene che la distribuzione degli oneri sia ancora squilibrata a sfavore delle generazioni future90. Entrambi, a maggior 89 CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, 2003. Sulle dinamiche della longevità, si veda MACCHERONI C., 2002. Per un inquadramento dei sistemi pensionistici nell’ambito della più ampia evoluzione socioeconomica, si veda LINDBECK A., 2000. 90 Per una valutazione degli effetti delle riforme attuate in Italia negli anni ’90, si veda MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, 2001. Per una sintesi del dibattito e delle opzioni di riforma, SARCINELLI M., 2001. 1 ragione i secondi, si debbono porre il problema di come garantire un tenore di vita adeguato a coloro che andranno in pensione nei prossimi decenni. La via maestra per affrontare questo problema è di aumentare il risparmio aggregato da oggi ai prossimi decenni. Non si tratta dunque di scegliere in astratto se sia meglio un sistema a ripartizione o uno a capitalizzazione. Come è stato ampiamente dimostrato91, il beneficio netto del passaggio alla capitalizzazione è zero anche quando il rendimento dei mercati finanziari sia di molto superiore al tasso di crescita del prodotto nazionale. Ciò perché il miglioramento di benessere a regime, ossia per le future generazioni, è esattamente uguale, in valore attuale, al sacrificio che la transizione impone alle generazioni di mezzo, che vengono gravate dal doppio onere di sostenere gli attuali pensionati della ripartizione e di risparmiare per il proprio futuro. Il passaggio, almeno parziale, a sistemi a capitalizzazione non è dunque una scelta, ma deriva invece essenzialmente dalla necessità, di cui si è detto sopra, di aumentare oggi il tasso di risparmio. Dal punto di vista macroeconomico, l’operazione ha senso se il maggiore risparmio si traduce in accumulazione di capitale e dunque in un livello più elevato dell’output in futuro. 91 DIAMOND Peter A.,1999. Sul punto, si veda anche SINN H.W., 2000. 1 5.4 Il ruolo del settore privato In linea di principio, non ha importanza se il maggiore risparmio sia pubblico o privato. Come ha messo in luce la Commissione insediata dall’amministrazione Clinton92 a metà degli anni novanta, lo Stato potrebbe: a) risparmiare per conto dei privati (ad esempio con conti ad accumulazione presso le istituzioni della sicurezza sociale), oppure anche, e in un certo senso più semplicemente, b) contenere il proprio disavanzo, con riduzioni di spese o aumenti di imposte (o contributi sociali). Il minor onere che ne conseguirebbe in futuro per il servizio del debito pubblico potrebbe essere poi distribuito nel modo che si ritiene più appropriato fra le diverse generazioni (lavoratori e pensionati) nel periodo della cosiddetta “gobba” pensionistica. E’ opinione generalmente condivisa che lo Stato “debba fare la sua parte” attraverso il contenimento dei disavanzi pubblici (nell’assunto implicito che non vi sia perfetta equivalenza ricardiana fra risparmio pubblico e risparmio privato). Si discute molto se sia opportuno un intervento dello Stato per conto dei privati (punto a). Alcuni93 ritengono che questa sia la soluzione migliore perché: a) sarebbero più contenuti i costi di gestione grazie alle economie di scala. b) Lo Stato sarebbe in grado di offrire garanzie più credibili, in termini, ad esempio, di rendimento minimo (mutualità dovuta alle maggiori dimensioni del fondo pubblico e alla possibilità di ricorrere allo strumento fiscale). 92 93 ADVISORY COUNCIL ON SOCIAL SECURITY,1997. Ad esempio, MUNNELL A. H., 2002; AARON H. J., REISCHAUER R.D., 1998. 1 c) La previdenza privata sarebbe meno in grado, rispetto a quella pubblica, di resistere alla tentazione di offrire vie d’uscita anticipate (ad esempio, in caso di malattia o perdita del posto di lavoro), il che vanificherebbe almeno in parte la natura pensionistica del risparmio. L’opinione prevalente, non solo negli Stati Uniti, è che il mercato, opportunamente regolato, potrebbe fare meglio dello Stato. Gli argomenti sono: a) è inopportuno che lo Stato intervenga sul mercato finanziario e in particolare su quello azionario. Anche se è possibile immaginare rigorose regole di governance, è difficile evitare interferenze politiche nell’uso dei fondi. Su questo punto, un intervento molto influente, probabilmente risolutivo, è stato quello di Alan Greenspan che ha criticato gli attuali investimenti in azioni da parte dei fondi pensione dei dipendenti pubblici. b) Sarebbe molto forte la tentazione di utilizzare il surplus accumulato dalla previdenza pubblica per coprire disavanzi correnti o quantomeno per rinviare gli aggiustamenti che sono necessari al bilancio pubblico. c) La previdenza privata è meglio in grado di soddisfare le diverse esigenze degli individui, comprese quelle che portano ad uscite anticipate. In effetti, i problemi del welfare non riguardano solo le pensioni, ma anche la sanità, la precarietà del lavoro ecc. d) La concorrenza fra istituzioni finanziarie private che offrono strumenti previdenziali migliorerebbe l’allocazione del portafoglio, a beneficio degli iscritti, nonché l’utilizzo complessivo delle risorse e dunque la crescita economica. e) Politicamente, è molto difficile obbligare le persone a risparmiare di più, perché un contributo ad un fondo pubblico, anche se a capitalizzazione, 1 verrebbe percepito come una tassa. Questo argomento è stato utilizzato dal Presidente della Commissione Clinton, Edward Gramlich, ed è da molti considerato l’argomento decisivo a favore della previdenza complementare privata, facoltativa o anche obbligatoria. Vi è inoltre il rischio che, essendo percepito come una tassa, il contributo aggiuntivo induca le persone a ridurre altre forme di risparmio. In conclusione è vero, in questo caso come in generale, che “un pianificatore illuminato” potrebbe conseguire l’ottima allocazione delle risorse, ma ci sono forti argomenti a favore di un ruolo centrale del mercato, opportunamente regolato. 1 5.5 Libertà di circolazione dei lavoratori Uno dei principi fondamentali dettati dal Trattato è la libertà di circolazione dei lavoratori all’interno del mercato UE per motivi di lavoro. L’assenza di un sistema normativo coordinato in materia di previdenza complementare costituisce un serio ostacolo per l’esercizio di tale libertà. Problemi analoghi aveva creato l’iscrizione obbligatoria di tutti i lavoratori ai regimi pensionistici pubblici di base degli Stati Europei. Per questo motivo, le Istituzioni comunitarie hanno sin dall’inizio cercato di creare un sistema di norme volte a raccordare la disciplina pensionistica pubblica degli Stati Membri. Sulla base dell’art.42 del Trattato CE è stato adottato il Regolamento comunitario 1408/71 (e successive norme di attuazione con Reg.574/72) con lo scopo di creare una cornice comunitaria di coordinamento dei sistemi pensionistici obbligatori. Va sottolineato che si tratta di una disciplina di coordinamento e non di armonizzazione in quanto il quadro normativo comunitario non interferisce affatto con la libertà degli Stati membri di organizzare liberamente i propri schemi pensionistici obbligatori, ma è finalizzato a garantire il mantenimento dei diritti pensionistici acquisiti attraverso il cumulo delle contribuzioni effettuate dal lavoratore a favore dei regimi pensionistici dei diversi Stati in cui egli ha prestato il suo lavoro. Il regolamento comunitario in materia di pensioni pubbliche non si applica agli schemi di previdenza complementare, ne si potrebbe applicare in ragione delle profonde diversità strutturali che in tal materia sussistono tra gli Stati Membri. Più volte la Commissione94, analizzando la situazione europea in materia di previdenza sociale, ha affermato la necessità di rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e giuridico che impediscono ai lavoratori di godere a pieno delle fondamentali libertà garantite dal trattato. 94 Comunicazione del 1991; Proposta di direttiva del 1993 successivamente ritirata per il dissenso di alcuni Stati ed infine il “Libro verde per un Mercato Unico per le pensioni complementari”. 1 La stessa Corte di Giustizia con la sentenza Shumacher95 ha stabilito che qualsiasi impedimento, diretto o indiretto, all’esercizio della libertà di spostamento dei lavoratori contrasta con l’efficacia diretta ed immediata dei principi fondamentali del Trattato. Nel libro verde sul Mercato Unico delle pensioni complementari la Commissione ha evidenziato quelle che sono le cause di maggiore ostacolo per creare un sistema pensionistico complementare uniforme in tutti gli Stati dell’UE: 9 periodi lunghi e diversi per l’acquisizione dei diritti pensionistici; 9 trasferimento dei diritti pensionistici acquisiti; 9 diverso trattamento fiscale dei contributi, rendimenti e prestazioni dei fondi pensione. Un primo passo verso l’eliminazione di tali ostacoli è rappresentato dalla direttiva 98/49/EC del 29 giugno 1998 la quale prevede in via di principio che i lavoratori che si spostano all’interno dello spazio UE siano messi nella condizione di continuare a contribuire allo schema pensionistico integrativo del Paese di origine in modo tale da avere lo stesso trattamento dei lavoratori che si spostano all’interno di un unico Stato membro. Ciò permetterebbe ai lavoratori di evitare i trasferimenti da uno schema all’altro e non perdere i diritti pensionistici eventualmente maturati. Va comunque detto che un simile meccanismo di raccordo è di difficile attuazione pratica perché richiederebbe una serie di deroghe alla disciplina sulle condizioni di lavoro dei singoli Stati membri, nonché un reciproco riconoscimento dei diversi sistemi fiscali che stanno alla base di ogni schema di previdenza integrativa. Il Libro Verde approfondisce i principali ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori nell’Unione. 95 Caso C-27/93, Finanzmt Koln-Alstadt v. Shumacher del 14/02/1995. 1 Appurato che lunghi e diversi periodi di acquisizione dei diritti pensionistici con conseguente possibilità di riscatto o trasferimento della posizione individuale costituiscono un ostacolo reale ed un’indiretta discriminazione tra lavoratori che si spostano all’interno del loro stesso Stato e lavoratori che si spostano all’interno dell’UE, la questione più delicata da risolvere per garantire un effettiva esistenza della libera circolazione dei lavoratori comunitari è quella del come trasferire le situazioni pensionistiche individuali da uno Stato membro all’altro. Da una recente comunicazione della Commissione96 emerge che a causa della varietà dei regimi pensionistici complementari adottati dagli Stati UE e dal loro diverso regime fiscale il trasferimento dei diritti pensionistici è attualmente impossibile. Schemi di previdenza integrativa come quello basato sulle “books reserves” (Germania) o sul metodo a ripartizione rendono tecnicamente inattuabile lo spostamento della situazione pensionistica del singolo lavoratore. Ciò sarebbe invece possibile se la previdenza complementare si diffondesse all’interno di tutti gli Stati UE attraverso lo schema dei fondi pensione a capitalizzazione. Inoltre, anche tra schemi di fondi pensione a capitalizzazione, il trasferimento non è possibile se nel loro interno gli Stati non adottano norme di coordinamento basate su principi comunitari comuni, soprattutto nel determinare il valore del capitale trasferito da uno Stato all’altro. Ad esempio, attualmente, il trasferimento all’estero di un lavoratore italiano, aderente ad un regime di previdenza complementare, risulterebbe sfavorevole rispetto ad un mero trasferimento nel territorio nazionale proprio a causa dell’assenza di una disciplina degli spostamenti transfrontalieri. L’alternativa al trasferimento di capitale da un fondo all’altro dell’UE sarebbe invece quella di garantire la conservazione dei diritti acquisiti nei diversi fondi pensione dei diversi Stati e coordinarli al momento della prestazione pensionistica in modo tale da assicurare un equo trattamento per i beneficiari. 96 COM (1999) 134, 11/05/1999. 1 Le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, garantite dal Trattato e specificate dalla Corte di Giustizia97, si risolvono, in materia di fondi pensione nella garanzia di una serie di attività quali la libertà di gestione transfrontaliera degli investimenti, la libertà di investimenti transfrontalieri, la libertà di appartenenza transfrontaliera alle istituzioni pensionistiche. In tal modo, una sana concorrenza dei fondi pensione garantisce in via indiretta la libertà dei lavoratori di scegliere lo schema pensionistico più vantaggioso ed adatto alla loro attività. E’ giurisprudenza consolidata che i provvedimenti nazionali in grado di derogare legittimamente alle libertà di stabilimento, prestazione di servizi e circolazione dei capitali possano farlo solo in presenza di determinati presupposti: esistenza di un interesse pubblico da tutelare, idoneità dei provvedimenti a garantire la tutela di tale interesse senza andare oltre, adozione di provvedimenti non discriminatori. Va comunque detto che non ci sono ancora norme specifiche che disciplinano e garantiscono l’applicazione di tali libertà. Per evitare che la concorrenza tra fondi pensione in campo comunitario sia falsata da legislazioni diverse che prevedono differenti requisisti di costituzione ed azione, la Commissione, nel Libro Verde, ha manifestato l’esigenza di adottare una disciplina comunitaria di indirizzo e coordinamento volta a raggiungere i seguenti obiettivi: a. dettare una serie di norme prudenziali a tutela dei lavoratori aderenti ai fondi pensione; b. garantire ai fondi pensione il miglior profitto possibile non ponendo troppe restrizioni agli investimenti all’interno del Mercato Unico in modo tale da non renderli più svantaggiosi rispetto ai piani di risparmio individuali offerti dalle compagnie di assicurazione; 97 Causa C-70/95, sent.17/06/1995; Causa C-55/94 con sent. del 30/10/1995. 1 c. garantire in ogni Stato membro un eguaglianza di trattamento dei fondi pensione attraverso un mutuo riconoscimento dei regimi prudenziali ed un riavvicinamento dei sistemi fiscali. Attualmente, un fondo pensione non può avere aderenti in più di uno Stato a causa delle diversità strutturali dei sistemi di previdenza complementare. La partecipazione transnazionale a fondi pensione non può dunque che essere un obiettivo di lungo periodo. In realtà, le enormi differenze in materia di disciplina dei fondi pensione rendono molto difficile la realizzazione concreta delle libertà di stabilimento, di prestazione di servizi e di circolazione dei capitali. Allo stato attuale delle cose, è possibile solamente l’adozione di una direttiva volta a fornire un quadro armonico delle garanzie e dei requisiti minimi che i fondi pensione devono avere. In questo senso va la proposta di direttiva della Commissione (com.507/2000) i cui principali contenuti sono: 9 la predisposizione di regole prudenziali basilari per la costituzione e la gestione dei fondi pensione: è prevista perfino l’istituzione di autorità di vigilanza con lo scopo di un continuo controllo coordinato in tutti gli Stati Membri; 9 la previsione di una serie di principi in materia di investimenti dei contributi, volti a diversificare e quindi tutelare gli aderenti ai fondi; 9 l’obbligo di prestare una serie di garanzie patrimoniali e di informazione a tutela del mercato e dei lavoratori. 1 5.6 Sistemi pensionistici nei principali paesi dell’Unione Europea In campo internazionale, la dottrina98 che esamina i sistemi pensionistici adottati dagli Stati è solita suddividere la loro struttura in tre pilastri. Quando si parla dei tre pilastri, ci si riferisce in linea di principio ad una suddivisione tra un trattamento pensionistico di base, una previdenza collettiva integrativa del primo ed infine una previdenza supplementare di tipo individuale. Per meglio chiarire la suddivisione, per “Primo Pilastro” s’intende un regime pensionistico pubblico ed obbligatorio che garantisca a tutti una pensione di base: le pensioni di vecchiaia gestite e garantite dallo Stato attraverso il metodo cosiddetto a ripartizione. Il “Secondo Pilastro” comprende invece i piani pensionistici di previdenza integrativa, gestiti dallo stato o da società (soprattutto compagnie d’assicurazione ed istituti bancari) attraverso la costituzione di fondi pensione occupazionali o collettivi e finalizzati a garantire un trattamento pensionistico che, insieme alla pensione base, si avvicini all’ultima (o alla media degli ultimi anni) retribuzione. Gli schemi di previdenza integrativa sono essenzialmente basati su un sistema a capitalizzazione (fatta eccezione per la Francia, in cui tali sistemi sono finanziati col metodo della ripartizione e gestiti direttamente dallo Stato)99 ed hanno forma nei seguenti modi: 9 creazione di partecipazioni in fondi pensione non gestiti da datori di lavoro; il fondo riceve i contributi, li investe ed eroga la pensione in base a contributi e rendimenti. I fondi possono essere “chiusi” ( quando solo un’impresa od un gruppo d’imprese appartenenti allo stesso settore possono aderire ad essi) o “aperti” (quando imprese appartenenti a diversi settori economici possono aderirvi); inoltre possono essere a “prestazioni definite”(viene garantito un determinato 98 livello di prestazione STEVENS L., DRABBE H., DIETVORST G., KAVELAARS P., Pension systemin the Europen Union, Kluwer, 1999; SCIFONI G., SACRESTANO A., La riforma della disciplina fiscale del secondo e terzo pilastro del sistema pensionistico nazionale, Il Fisco, fasc.23, 2001. 99 Per questo motivo è in discussione una proposta di riforma francese volta a comprendere nel regime pensionistico di base anche gli attuali piani previdenziali integrativi pubblici 1 pensionistica) od a “contribuzione definita” (la prestazione pensionistica in questo caso varia a seconda dei rendimenti degli investimenti); 9 sottoscrizione di una polizza vita di gruppo da parte di un’impresa: la parte contraente è il datore di lavoro, i beneficiari sono i lavoratori, i contributi vengono versati alla compagnia d’assicurazione, la quale li investe e paga alla fine del piano la prestazione pensionistica; 9 accantonamenti mediante riserve di bilancio (“book reserves”): il datore di lavoro gestisce le riserve accantonate e s’impegna a pagare il trattamento pensionistico in base al piano pattuito. Il “Terzo Pilastro” consiste invece nella sottoscrizione di polizze vita individuali da parte dei lavoratori con compagnie d’assicurazione. Fatte queste premesse d’ordine generale, saranno di seguito analizzati i sistemi pensionistici di principali Stati dell’Unione Europea. 1 5.6.1 Francia I Pilastro: pensioni pubbliche di base Il sistema pensionistico francese prevede una pensione di base generale ed obbligatoria ed è fondato sul metodo di finanziamento a ripartizione. Accanto ad un regime generale (“Regime general d’assurance vieillesse”) sussistono alcuni regimi speciali in determinati settori economici. Il sistema pensionistico pubblico francese è composto attualmente da 26 regimi di base per l’assicurazione della vecchiaia100. Tra i diversi regimi pensionistici, esiste comunque un sistema di compensazione finanziaria finalizzato a mantenere gli equilibri di bilancio. L’età pensionabile del Regime Generale è di 60 anni sia per gi uomini sia per le donne. Pensioni d’anzianità sono previste per quei lavoratori che hanno totalizzato 40 anni di contribuzione e che hanno raggiunto l’età di 58 anni. I contributi per la pensione di vecchiaia sono a carico sia del lavoratore sia del datore di lavoro (50% e 50%), mentre l’erogazione della prestazione viene calcolata in relazione ai 10 migliori salari percepiti dal lavoratore, fermo restando comunque un tetto massimo (circa 1100 euro mensili) ed un tetto minimo (circa 500 euro) predisposto dalla legge. Vi è da aggiungere che i contributi devono essere versati per almeno 37,5 annualità: ogni anno in meno determinerà una diminuzione della pensione di vecchiaia. E’ attualmente in discussione una proposta di riforma che prevede l’aumento dell’età pensionabile da 60 a 65 anni e l’inserimento dei regimi di previdenza complementare ARRCO e AGIRC nell’ambito del coordinamento europeo dei regimi di base di cui al regolamento 1408/71. Per quanto riguarda la tassazione delle erogazioni, queste vengono trattate come reddito di lavoro dipendente ed assoggettate a tassazione secondo le regole per tale categoria dettate. II Pilastro: previdenza complementare In Francia, a differenza di molti altri Stati, la previdenza complementare è obbligatoria101 100 101 PERACCHI F., Le pensioni in Italia e in Europa, Padova, 2000 I dati per la ricostruzione degli schemi di previdenza complementare di seguito riportati si basano sull’analisi e le tabelle contenute nel Libro Verde sulle Pensioni complementari nel Mercato Unico pubblicato dalla Commissione Europea, COM (97) 283; sul documento della European federation for 1 Il 90% delle pensioni integrative sono gestite da istituzioni federali, l’ARRCO e l’AGIRC, nate da accordi stipulati dalle confederazioni sindacali e le associazioni di categoria dei datori di lavoro. Solo il 10% dei lavoratori è coperto da una previdenza complementare collettiva volontaria, affidata ai piani aziendali ed interaziendali gestiti da fondi pensione o compagnie d’assicurazione. L’ARRCO e l’AGIRC sono federazioni di fondi pensionistici complementari strettamente correlati tra di loro in quanto si basano su una reciproca compensazione finanziaria per far fronte ad eventuali deficit di bilancio. Alla gestione del fondo partecipano in via paritetica le parti sociali che l’hanno istituito. Gli schemi di previdenza complementare francese sono basati su un sistema di finanziamento a ripartizione, per cui i contributi versati nell’anno vanno a finanziare le pensioni erogate nell’anno stesso, mentre i lavoratori acquisiscono punti in base all’ammontare dei contributi versati a loro beneficio: tali punti determinano il livello della prestazione pensionistica da erogare alla fine del piano. L’aliquota di contribuzione è del 6% del salario lordo ( è previsto che in via graduale arrivi ad essere del 16% entro il 2003). Il contributo è a carico del datore di lavoro per il 60%, mentre grava sul lavoratore per il restante 40%. Il lavoratore acquista da subito i diritti pensionistici e non è previsto alcun periodo di maturazione (vesting period). Se il rapporto di lavoro cessa prima del raggiungimento dell’età pensionabile, il lavoratore ha diritto alla conservazione dei diritti acquisiti ed all’erogazione della prestazione al momento del raggiungimento dell'età pensionabile. Per quanto riguarda il trattamento fiscale102, i contributi ai fondi di previdenza complementare sono deducibili dal reddito del lavoratore dipendente fino ad un certo limite, mentre da quello del datore di lavoro per intero. Non vi è invece alcuna deducibilità per le riserve di bilancio accantonate a fini pensionistici. I rendimenti dei fondi pensione privati, sebbene questi ultimi esistano in via del tutto residuale, non sono soggetti ad imposizione. Le prestazioni erogate (che insieme alla pensione base costituiscono generalmente l’80% dello stipendio finale) sono Retirement Provision (EFRP), European Pension Funds, 1996; sull’indagine della CEA, System of occupational pension provision and the tax treatment thereof, 1997 riportato in parte in DIETRVOST G., Pension Systems in the European Union, op.cit. 102 I dati circa il trattamento fiscale dei piani di previdenza complementare della Francia e degli altri Stati, sono ripresi da uno studio della European Federation for Retirement Provision (EFRP), condotto nel Giugno del 2000 e pubblicato in EIORP, A single License to enable Multinationals to pool their pension liabilities and assets on a tax neutral basis, 2000, 18 e da un rapporto sui regimi impositivi delle pensioni complementari negli Stati Europei elaborato dall’OCSE nel 1998, contenuto in European Round Table of Industrialists, European Pension. An Appeal for Reform, 2000, 47. 1 interamente tassate. Il metodo di tassazione utilizzato può essere schematizzato nella formula EET103 III Pilastro: Polizze vita Nel terzo pilastro sono inseriti i piani di risparmio individuale che il lavoratore costituisce con compagnie d’assicurazione. Dal 1997 sono deducibili i premi delle polizze vita pagati periodicamente. Il limite massimo deducibile è di 1000 franchi per ogni famiglia, più 250 franchi per ogni bambino facente parte della famiglia. Un imposta del 3.4 per cento che grava sui premi di polizza è destinata ai fondi per la sicurezza sociale. 5.6.2 Germania104 I Pilastro Il sistema pensionistico tedesco è basato su una pluralità di fondi, gestiti o controllati dallo Stato, e obbligatori per tutti i lavoratori: gli schemi pensionistici di base variano a seconda della categoria di lavoratori e dei settori in considerazione. 103 Nella fiscalità internazionale, gli studiosi dei regimi impositivi dei sistemi previdenziali, al fine di meglio evidenziare le modalità di tassazione delle pensioni, analizzano il trattamento fiscale nei tre momenti principali dello schema pensionistico: la contribuzione, gli eventuali rendimenti finanziari degli investimenti e le prestazioni pensionistiche erogate. Ne deriva che la formula EET (exemption, exemption, taxation) significa esenzione dei contributi dall’imposizione, esenzione dei rendimenti e tassazione della prestazione pensionistica; ETE (exemption, taxation, exemption) indica che vengono tassati i soli rendimenti finanziari; TEE che l’imposizione avviene esclusivamente al momento della contribuzione. Tale schema di analisi è stato applicato anche nel rapporto OCSE, ’98, op.ult. cit. 104 Prima di passare alla trattazione del sistema pensionistico tedesco, è doveroso richiamare l’attenzione sulla riforma approvata dal Parlamento (Maggio 2001) entrata in vigore a Maggio 2002. Tale riforma ha lo scopo di garantire la sopravvivenza del sistema pubblico delle pensioni attraverso l’introduzione e l’incentivazione dei fondi pensione aziendali finanziati col metodo della capitalizzazione. L’adozione di tale schema ha come conseguenza la graduale sostituzione degli accantonamenti di bilancio (il metodo maggiormente diffuso nella previdenza complementare tedesca) con i fondi pensione. Per un’analisi della riforma, si rinvia a RICHARD F., Fonds de pension à l’allemande, Le Monde, 11 Maggio 2001. 1 Il sistema è finanziato a ripartizione con un contributo pari a circa il 20% della remunerazione mensile lorda ed i contributi sono per metà a carico del lavoratore e per metà a carico del datore di lavoro. L’età pensionabile, sia per gli uomini sia per le donne è di 65 anni con un periodo di contribuzione minima pari a 5 anni. Resta comunque la possibilità di un prepensionamento a 60 anni per le donne e 63 per gli uomini: in tal caso, la pensione viene ridotta del 3.6% per ogni anno. Le prestazioni pensionistiche erogate, calcolate in rapporto all’ammontare dei contributi pagati, sono soggette a tassazione come reddito di lavoro dipendente con aliquote ridotte, ferma restando la soglia d’esenzione che è di circa 6.500 euro annui. II Pilastro Il sistema di previdenza pubblica tedesco, teso a garantire al lavoratore un reddito adeguato allo standard raggiunto durante la vita lavorativa, non ha consentito lo sviluppo di un regime di previdenza complementare obbligatorio per i lavoratori105. La previdenza complementare tedesca è dunque di tipo volontario e occupazionale, ed è disciplinata dall’ “Atto sulle pensioni occupazionali” (betrAVG) del 1974, nel quale vengono fissati i requisiti minimi per dar vita ad un sistema pensionistico occupazionale di tipo integrativo. La costituzione dei piani previdenziali avviene attraverso accordi tra rappresentanze sindacali, tra il sindacato dei lavoratori ed il datore di lavoro ovvero tra datori di lavoro e lavoratori dipendenti. Gli schemi possono avere diversa natura: possono consistere in accantonamenti di riserve contabili nel bilancio aziendale e dunque essere gestiti direttamente dai datori di lavoro (books reserves); possono essere costituiti fondi pensione, ed in tal caso saranno gestiti dai rispettivi consigli d’amministrazione (per i quali la legge prevede la presenza obbligatoria di almeno due rappresentanti delle parti sociali); infine possono essere affidati a compagnie d’assicurazione attraverso la sottoscrizione di un contratto assicurativo di gruppo o individuale. Gli schemi di previdenza complementare vengono finanziati attraverso il metodo della capitalizzazione, sono per la maggior parte a prestazioni definite e prevedono un indicizzazione delle pensioni106. 105 Per una descrizione del sistema pensionistico tedesco in generale e delle sue tendenze evolutive, si rinvia a AXEL BORSCH-SUPAN, “Social Security Reform in Germany”, lavoro presentato nel Convegno “Social Security Reforms: International Comparison”, Roma, 16 e 17 Marzo, 1998 (disponibile sul sito del Ministero del lavoro www.minlavoro.it). 106 La BetrAVG del 1974 prevede che ogni tre anni la pensione sia adeguata all’andamento dei prezzi. 1 I “book reserves” prevedono contributi esclusivamente o in gran parte a carico del datore di lavoro, mentre per i fondi pensione, un terzo dei contributi grava sui lavoratori. Nonostante ciò, il sistema di previdenza complementare più diffuso è il primo. Comunque, va sottolineato che circa il 50% dei lavoratori aderisce ad un piano di previdenza complementare107, la cui prestazione pensionistica rappresenta circa il 10% della retribuzione lorda108. I diritti pensionistici si considerano acquisiti dopo che il lavoratore abbia raggiunto l’età di 35 anni ed abbia partecipato al fondo pensione per almeno 10 anni. Anche per quanto riguarda il trattamento fiscale, bisogna fare dei distinguo in base allo schema previdenziale adottato: 9 gli accantonamenti a riserva del datore di lavoro sono deducibili e i lavoratori non possono contribuire. Le prestazioni pensionistiche costituiscono reddito imponibile al momento dell’erogazione ma parte di esse sono tassate con un’aliquota inferiore; 9 per quanto riguarda i fondi pensione, i contributi del datore di lavoro sono interamente deducibili, ma costituiscono reddito imponibile per il lavoratore se superano il tetto dei 3000 marchi; i rendimenti derivanti dagli investimenti sono tassati con un’imposta fissa del 10%. La prestazione pensionistica è soggetta ad imposizione e le aliquote applicabili sono le stesse agevolate del sistema pensionistico di base pubblico (sistema impositivo ETT); III Pilastro Il terzo pilastro è composto essenzialmente da polizze vita. A condizione che il piano previdenziale individuale sia di almeno dodici anni, i premi di polizza sono interamente deducibili. I proventi derivanti dagli investimenti sono tassati, mentre la prestazione erogata è soggetta alla normale imposta sui redditi. La prestazione erogate in seguito alla morte dell’assicurato o in seguito alla assicurazione di un capitale non è soggetta ad imposta. 107 In una statistica ufficiale del 1993 risultava che le forme di previdenza complementare erano così suddivise tra i lavoratori: il 56% aderiva al sistema del “book reserves”, il 32% ai fondi pensione, ed infine, il 12% aveva una polizza assicurativa. Tali dati sono forniti dal Federal Statistics Office e riportati in WINFRIED SCHMAHL, The public-private mix in pension provision in Germany, 1997, 100. 108 La pensione erogata mediante gli schemi di previdenza complementare è così bassa, perché il sistema pensionistico pubblico tedesco riesce a garantire una pensione di base che varia tra il 70 ed il 90% dell’ultima retribuzione. 1 5.6.3 Paesi Bassi I Pilastro Il sistema previdenziale olandese è in linea di principio fondato su uno schema pubblico universale, la cui gestione spetta alla “Sociale Verzekeringsbank” (SVB), obbligatorio per tutti i lavoratori residenti e che fornisce una prestazione minima di base. Lo schema pensionistico pubblico è finanziato dagli stessi assicurati attraverso un contributo pari al 18% circa della loro retribuzione. Il massimo reddito imponibile annuo è pari a 22.000 euro. L’età pensionabile è di 65 anni per uomini e donne e non sono richiesti periodi minimi di anzianità contributiva. L’ammontare massimo della pensione, che va da un minimo di 530 euro ad un massimo di 950 a seconda del nucleo famigliare, si raggiunge con 50 anni di contribuzione. Per ogni anno in meno di contribuzione, l’ammontare della pensione erogata è diminuita del 2%. Le erogazione sono soggette a tassazione come reddito da lavoro. Un sistema così concepito, offre una pensione ai limiti del sostentamento. Per questo motivo, l’iscrizione ad un piano di previdenza integrativa è resa obbligatoria dagli accordi collettivi stipulati tra le rappresentanze sindacali. La pensione erogata viene assoggettata a tassazione come reddito percepito. II Pilastro La legge olandese non prevede l’obbligo di datori di lavoro e lavoratori di partecipare a piani di previdenza complementare. Prevede comunque la possibilità che un fondo pensione possa essere reso obbligatorio per un intero settore109. In quest’ultimo caso, sebbene i datori di lavoro non sono tenuti ad offrire un piano di previdenza complementare110, nel momento in cui decidessero di farlo, dovrebbero 109 Wet van 17 maart1949 houdende vaststelling van en regelingbetreffende verplichte deelneming in een bedrijfspensioenfonds (legge 17 Maggio 1949 che stabilisce le regole relative all’iscrizione obbligatoria ad un fondo pensione di categoria) e Wet van 15 mei 1962 houdende regelen betreffende pensioen-en spaarvoorzieningen (legge 15 Maggio 1962 sui fondi pensione e sui fondi risparmio, così come modificata anche recentemente). 110 E’ anche vero che, se l’obbligo di predisporre piani di previdenza complementare non è sancito dall’ordinamento olandese, viene generalmente inserito nei contratti collettivi dalle parti sociali. Su questo tema si rinvia a ERIC LUTJENS, “International perspectives on supplementary pensions”, Emmanuel Reynaud, Bryn Davies, GerardHughes, 1997, 18. 1 aderire a quello settoriale. I fondi pensione olandesi, miranti a garantire un regime di previdenza complementare in grado di fornire un reddito che si avvicini all’ultimo salario, sono istituiti secondo due modalità: una prima modalità, la più diffusa, consiste nella partecipazione dei datori di lavoro e dei loro dipendenti ad un fondo occupazionale (o di settore) istituito attraverso la contrattazione collettiva delle parti sociali a livello settoriale. I contratti collettivi vengono recepiti con un provvedimento del Ministero degli affari sociali il quale ne rende obbligatoria l’adesione a tutti i lavoratori e datori di lavoro appartenenti alla categoria111. In caso di assenza di piani pensionistici occupazionali, il datore di lavoro può scegliere lo schema di previdenza integrativa o aderendo ad un fondo pensione esistente, o creando un fondo aziendale o interaziendale, ovvero sottoscrivendo un contratto assicurativo individuale o collettivo per i lavoratori. Di qualsiasi tipo essi siano, i piani previdenziali devono essere approvati dal Ministero degli affari sociali e devono garantire una presenza paritetica dei lavoratori e dei datori di lavoro nella loro gestione. Tra le due forme di previdenza complementare, sono molteplici gli argomenti a favore dei fondi occupazionali resi obbligatori: la solidarietà tra tutti i lavoratori del settore, in quanto l’adesione ed il trattamento non varia ne per ragioni di età ne di salute; i lavoratori che cambiano impresa all’interno dello stesso settore continuano nel loro piano senza alcun problema di trasferimento o conservazione dei diritti pensionistici; infine, l’esistenza di un fondo pensione occupazionale obbligatorio elimina quel tipo di competizione tra imprese basata sul risparmio nella predisposizione dei piani di previdenza complementare. Il problema di un ingiustificato monopolio a favore dei fondi pensione settoriali creati con appositi accordi delle rappresentanze sindacali, del resto, è stato giudicato inesistente dalla Corte di Giustizia112. Il metodo di finanziamento comunemente adottato è la capitalizzazione, mentre, per quel che riguarda le modalità organizzative, i fondi pensione presentano, nel 90% dei casi, schemi previdenziali a prestazioni definite legate al salario finale o alla media salariale degli ultimi anni di retribuzione; la restante percentuale di schemi previdenziali è a contribuzione definita. 111 Una volta creato un fondo pensione di settore, recepito e reso obbligatorio con decreto del Ministero del lavoro e degli affari sociali, il datore di lavoro può essere esentato dall’obbligo di adesione dal Ministero stesso, qualora ne faccia richiesta e presenti un piano pensionistico alternativo almeno uguale a quello settoriale reso obbligatorio. 112 Corte di Giustizia del 21 settembre 99 C-115/97/C-117/97. 1 Le contribuzioni possono essere a carico del datore di lavoro o del lavoratore a seconda di quanto pattuito nei contratti collettivi: generalmente, il lavoratore contribuisce per la metà o per un terzo al finanziamento. L’età pensionabile è di 65 anni, mentre con una legge entrata in vigore nel 1999 si è stabilito che il periodo minimo di contribuzione per avere una pensione prima dei 65 anni è di 10 anni. Va precisato che il lavoratore ha diritto alla pensione integrativa in quanto abbia acquisito anche il diritto alla pensione di base. Per quanto riguarda il regime di tassazione, i contributi versati dal datore di lavoro sono interamente deducibili qualora ricorrano le seguenti condizioni: il piano pensionistico deve garantire il lavoratore esclusivamente per la vecchiaia, la morte e l’invalidità; la prestazione pensionistica non deve superare i limiti fissati dalla legge113; il piano pensionistico deve essere costituito mediante un fondo pensione o un contratto d’assicurazione. I contributi dei lavoratori sono deducibili fino ad una certa somma. I rendimenti del fondo pensione sono esentasse e le prestazioni erogate ricevono lo stesso trattamento fiscale delle pensioni di base ( sistema impositivo EET). III Pilastro Nella legislazione olandese, non vi è nessuna norma favorevole verso i piani di previdenza individuale, fermo restando che, in caso di assenza di fondi occupazionali, la stipula di contratti di assicurazione individuali o di gruppo, alle condizioni e con le garanzie poste dalla legge adempie ad una funzione di secondo pilastro e quindi gode degli stessi benefici previsti per i fondi pensione. 5.6.4 Gran Bretagna I Pilastro Il sistema pensionistico pubblico consiste in uno schema di base statale volto a garantire una pensione minima, universale ed obbligatoria: il “Basic State Retirement Pension”(BSP). Proprio per la precipua finalità di garantire un trattamento pensionistico minimo, la prestazione pensionistica non viene correlata alla retribuzione dei lavoratori. 113 La Wet op de loombelasting (legge relativa all’imposta sulle retribuzioni) prevede che, ai fini della deducibilità dei contributi, la pensione rogata non sia superiore al 70% del trattamento individuale di fine carriera. 1 Esiste inoltre un sistema pubblico di previdenza complementare, il SERPS (“State EarningsRelated Pension Scheme), il quale è obbligatorio per tutti i lavoratori dipendenti, mentre i datori di lavoro non possono in alcun modo aderire a tale schema di previdenza integrativa. Il sistema pensionistico pubblico di base si fonda sul metodo a ripartizione. L’età pensionabile è di 65 anni per gli uomini e di 60 per le donne (l’età pensionistica per queste ultime dovrà comunque raggiungere gradualmente i 65 anni entro il 2020). Il prepensionamento è consentito a determinate condizioni, mentre per ogni anno di lavoro in più rispetto all’età pensionabile è previsto un incremento della pensione del 7,5% per ogni anno. I contributi per lo schema base delle pensioni di vecchiaia vanno dall’8 al 10% della retribuzione e sono a carico del lavoratore. La pensione minima di base varia da circa 65 a 105 sterline settimanali. II Pilastro Come accennato nel paragrafo precedente, in Gran Bretagna, lo Stato gestisce due piani: il piano pensionistico pubblico di base e un piano di previdenza integrativa a favore dei lavoratori dipendenti, in modo tale da garantire un adeguato livello di reddito. I lavoratori dipendenti vengono automaticamente assicurati al SERPS114 (State ernings-related pension scheme), il quale garantisce una prestazione pensionistica pari al 25% del salario massimo previsto dalla legge. Al lavoratore viene comunque data la facoltà di optare per la previdenza privata, purché queste offra condizioni almeno uguali a quelle delle pensioni integrative pubbliche. Gli schemi pensionistici complementari privati sono costituiti o a livello occupazionale, interaziendale o su iniziativa di un’unica impresa, la quale da vita ad un fondo pensione chiuso per i suoi dipendenti. Nel primo caso, il fondo deve essere separato dalle imprese che lo costituiscono e deve essere gestito in maniera del tutto autonoma. Sia che scelgano il sistema pubblico che quello privato, i lavoratori hanno a disposizione due schemi: quello a prestazioni definite e quello a contribuzioni definite. Per i lavoratori, è inoltre possibile spostare la loro posizione individuale da un fondo all’altro senza alcuna penalizzazione e mantenendo i diritti acquisiti. La contribuzione è a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori e varia dal 9 al 12% della retribuzione. Il metodo di finanziamento utilizzato è la capitalizzazione. 114 I lavoratori autonomi non possono aderire al SERPS, neanche se ne fanno espressamente domanda. Su questo argomento, Gerry Dietvorst, Pension Systems in the European Union, Kluwer, op.cit., 32. 1 In linea generale, per l’acquisto dei diritti pensionistici, al lavoratore sono sufficienti due anni di partecipazione al piano. Se la cessazione del rapporto di lavoro avviene prima della maturazione di tali diritti, il lavoratore può richiedere il rimborso dei contributi versati115. Se, viceversa, il rapporto di lavoro si interrompe dopo la maturazione di tali diritti, ma prima del pensionamento, il lavoratore ha due opzioni: aspettare l’erogazione differita della prestazione pensionistica, oppure trasferire la propria posizione nell’eventuale fondo costituito dall’impresa con la quale da vita al nuovo rapporto di lavoro. Le condizioni di partecipazione ai piani integrativi variano da piano a piano, ma in ogni caso l’età pensionabile è di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne116. Per quanto riguarda il trattamento fiscale della pensione erogata, la legislazione britannica prevede che i contributi del datore di lavoro siano deducibili e non superino il 18% dello stipendio lordo del lavoratore; i contributi dei lavoratori sono deducibili fino al 15% del salario; i rendimenti derivanti dall’attività d’investimento sono esenti dall’imposizione, fatta eccezione per i dividendi che vengono assoggettati ad un’imposta del 25%. E’ infine tassata la prestazione pensionistica ( sistema impositivo EET, tenendo conto dell’imposta sui dividendi). 5.6.5 Gli schemi di previdenza complementare all’interno del mercato UE Dall’analisi dei sistemi pensionistici nei principali paesi europei, emerge che la Francia ed il Regno Unito si caratterizzano per l’obbligatorietà legale alla previdenza complementare, con la differenza però che nel Regno Unito, alla copertura pubblica obbligatoria, è dato facoltà al lavoratore di sostituire quella privata, sia attraverso l’adesione a piani occupazionali, sia a piani personali. Nei Paesi Bassi vige invece un sistema di piani occupazionali contrattualmente obbligatori in quanto istituiti attraverso accordi conclusi tra le parti sociali. Del tutto volontaria è invece la previdenza complementare in Germania, Italia e Spagna, dove la scelta è lasciata al singolo lavoratore. In via generale, sono presenti in tutti i paesi le agevolazioni fiscali per la partecipazione a forme di previdenza integrativa piuttosto che ad altre forme di risparmio od investimento. 115 Per un approfondimento di tale tema si rinvia a VINCENZO ANDRIETTI, Le pensioni in Italia e in Europa, op.ult.cit.,226 116 Nel 1995 è stata varata una legge che prevede l’equiparazione graduale dell’età pensionabile tra uomini e donne. Tra il 2010 e il 2020, anche per le donne, l’età pensionabile sarà di 65 anni. Si rinvia a LYNES TONY, The British Case, in Enterprise and Welfare State, Martin Rein and Eskil Wadensjo, 1997, 332. 1 Per quanto riguarda il regime di tassazione, emerge che le agevolazioni fiscali sono, in tutti i paesi esaminati, basate su una deducibilità dei contributi destinati al piano di previdenza integrativa, i rendimenti degli investimenti dei fondi non sono soggetti a tassazione (o soggetti a tassazione ridotta) e le prestazioni finali vengono tassate o con aliquote agevolate, o attraverso l'applicazione delle generali norme fiscali. Il terzo pilastro, ossia la costituzione di piani previdenziali individuali attraverso contratti stipulati con compagnie di assicurazione, viene in linea generale penalizzato rispetto alla gestione collettiva ed occupazionale della previdenza integrativa, in quanto sono resi deducibili solo i premi pagati dal lavoratore o dal datore di lavoro, senza alcun provvedimento agevolativo nella fase di tassazione dei rendimenti finanziari e dell’erogazione della prestazione pensionistica. Va comunque evidenziato che, sia nei Paesi Bassi che in Inghilterra (così come in Italia), l’istituzione di piani di previdenza integrativa individuale che prevedono condizioni minime e prestazioni equivalenti o migliorative rispetto ai piani di previdenza occupazionali hanno lo stesso trattamento fiscale agevolativo dei fondi pensione pubblici e privati. 1 5.7 “A simpler way to better pension”: il rapporto Pickering L’industria dei fondi pensione privati nel Regno Unito è certamente la più importante e sofisticata tra quelle operanti in ambito europeo. Il peso relativo del sistema previdenziale integrativo in tale Paese, o, per meglio dire, il livello di copertura pensionistica che esso è chiamato ad assicurare, non è imputabile esclusivamente alla presenza di un vasto e articolato mercato finanziario e di intermediari interessati allo sviluppo del settore o alla propensione dei datori di lavoro inglesi a proporre schemi pensionistici ai propri dipendenti allo scopo di fidelizzarli all’azienda (fattori certamente concomitanti); esso in larga misura è anche il risultato di una scelta politica operata alla fine degli anni Settanta di riequilibrare la componente pubblica e quella privata del sistema pensionistico attraverso la creazione del c.d. SERPS (State Earnings Related Pension Scheme, sostituito dall’aprile 2002 dallo State Second Pension Scheme) e, soprattutto, la previsione del meccanismo di contracting-out dal Second Pension in virtù del quale i lavoratori possono trasferire parte dei propri contributi previdenziali dal sistema obbligatorio agli schemi pensionistici promossi dai datori di lavoro. Negli anni Ottanta la riforma del sistema previdenziale fu bruscamente modificata dai Governi conservatori attraverso il ridimensionamento della copertura pensionistica assicurata dallo stesso SERPS117. Occorre, peraltro, ricordare che i fondi pensione rappresentavano già prima degli anni delle citate riforme una realtà significativa del sistema previdenziale inglese: il picco massimo di adesioni agli schemi occupazionali era stato raggiunto, infatti, nel 1967 con 12,2 milioni di iscritti Nel difficile percorso di riforma le autorità inglesi hanno, dunque, potuto ancorarsi a strutture ad esperienze gestionali consolidate. Alcune cifre costituiscono di per sé evidenza dell’importanza della previdenza privata nel Regno Unito. Nell’anno 2000, su un totale di 21,4 milioni di lavoratori 117 Per una analisi del sistema previdenziale inglese si veda D. Blake, The United Kingdom Pension System: key issues, Discussion Paper PI-0107, in The Pensions Institute, Birkbeck College, University of London, giugno 2002. 1 dipendenti, 13,5 milioni aderivano a forme previdenziali private. Di questi, 10,1 milioni erano iscritti a schemi pensionistici occupazionali118. Nello stesso anno, il valore degli asset di tali schemi era pari a 860 miliardi di sterline119, oltre l’80 per cento del prodotto interno lordo; gli schemi a prestazione definita, che garantiscono ai partecipanti l’erogazione di una rendita pensionistica commisurata all’ammontare del salario (attraverso un meccanismo di calcolo di cui si dirà in seguito) contavano, sempre nel 2000, 9,1 milioni di aderenti, pari al 90 per cento del totale degli iscritti agli schemi pensionistici aziendali. La sostenibilità di lungo periodo della promessa previdenziale affidata ai fondi pensione privati è però attualmente messa in discussione dall’insorgere di criticità, in parte legate a fattori strutturali, in parte determinate dalla congiuntura dei mercati finanziari. Negli ultimi venti anni, durante i quali la maggior parte degli schemi a prestazione definita registrava ingenti surplus, numerose aziende sponsor si sono orientate a ridurre la loro contribuzione agli stessi. Nello stesso periodo, gli schemi pensionistici inglesi hanno investito massicciamente in azioni, prima patendo la crisi del 1987, successivamente godendo dei forti rialzi degli anni Novanta e, da ultimo, subendo i contraccolpi dell’andamento negativo dei mercati iniziato nell’anno 2000. La conseguenza più rilevante di tale processo è stata la crescita del fenomeno dell’underfunding degli schemi a prestazione definita che per il 2002 è stato stimato in 65 miliardi di sterline120 118 Secondo i dati pubblicati dall’Opra, al 31.3.2002 gli iscritti agli schemi occupazionali sarebbero oltre 25 milioni (il dato risulta superiore rispetto a quello sopra indicato dal momento che molte persone sono iscritte a più schemi). Al 31 marzo 2002 vi erano circa 103.000 occupational pension schemes e 437 personal pension schemes attivi, in regime di contribuzione definita, con oltre 15 milioni di iscritti. 119 Secondo i dati forniti dall’Opra, al 31.3.2002 il valore degli asset degli schemi aziendali sarebbe sceso a 770 miliardi di sterline. 120 Secondo uno studio della Watson Wyatt il deficit previdenziale nel 2002 ammonterebbe a 130 miliardi di sterline se fosse contabilizzato in base al FRS 17 (metodo di contabilizzazione dei costi e dei ricavi, delle attività e passività degli schemi a prestazione definita nel bilancio dell’azienda sponsor; tale metodologia sostituisce la precedente a partire dal giugno 2003 e si caratterizza per l’immediato riconoscimento nel bilancio dell’azienda sponsor del valore attuale dei costi e dei ricavi mentre le attività e passività sono valutate alle condizioni attuali di mercato). 1 Molte tra le imprese sponsor degli schemi pensionistici a prestazione definita di fronte agli eventi descritti hanno operato la scelta di ridurre la generosità degli schemi, anche decurtando i benefici promessi. Secondo un recente studio condotto dalla Watson Wyatt circa il 55 per cento delle aziende sponsor che offrono schemi a prestazione definita ha operato, nel corso degli ultimi cinque anni, delle variazioni alle condizioni degli stessi, disponendone la chiusura ai nuovi entranti e introducendo nuovi schemi (56 per cento), solo in taluni casi è stata prevista la riduzione delle prestazioni (7 per cento) o dei contributi versati per i lavoratori già iscritti. Secondo Watson Wyatt, la maggioranza delle aziende che ha sospeso l’offerta di schemi a prestazione definita ha parallelamente istituito schemi a contribuzione definita. Il fenomeno della “fuga” dalla prestazione definita verso i regimi a contribuzione definita suscita apprensione tra i policy maker inglesi; infatti, da un lato, il rischio finanziario (che negli schemi a prestazione definita grava sui datori di lavoro) negli schemi a contribuzione definita è trasferito in capo ai lavoratori iscritti, dall’altro (ed è questo aspetto a suscitare le maggiori preoccupazioni), il contributo erogato dai datori di lavoro agli schemi a contribuzione definita risulta in media inferiore (4,3 per cento dello stipendio pensionabile) a quello (9,9 per cento) dagli stessi erogato agli schemi a prestazione definita. Di qui nasce il motivo di allarme: il minore apporto di risorse alla previdenza privata potrebbe accentuare nel medio-lungo periodo il fenomeno di undersaving121 che, per motivi riconducibili anche al progressivo invecchiamento della popolazione, già adesso influenza i risultati delle proiezioni riguardanti la sostenibilità del sistema di sicurezza sociale nei prossimi anni. Inoltre, la sospensione di nuove iscrizioni agli schemi a prestazione definita, nel far venir meno i flussi contributivi a valere sulle posizioni dei neo-assunti, rende 121 Il Green Paper, diffuso nel dicembre 2002 dal governo inglese, stima che il fenomeno dell’undersaving riguardi circa 3 milioni di lavoratori che potrebbero vedere il loro tasso di sostituzione scendere al di sotto del 50 per cento. In aggregato, l’undersaving annuale viene stimato in circa 27 miliardi di sterline (Association of British Insurers, 2002). Secondo uno studio dalla Oliver, Wyman & Company, la tendenza al passaggio dagli schemi a prestazione definita a quelli a contribuzione definita potrebbe portare il livello del saving gap a 33 miliardi di sterline, a causa della minore contribuzione dei datori di lavoro. 2 gli schemi più fragili finanziariamente, aggravando, per tale via, il fenomeno dell’underfunding. Il Governo inglese, allo scopo di analizzare gli effetti di lungo periodo che l’ undersaving potrebbe produrre sulla fiducia del pubblico nella componente privata del sistema previdenziale, ha promosso molteplici iniziative di studio (non tutte, peraltro, incentrate sulle problematiche dei fondi pensione) volte ad identificare i maggiori nodi strutturali che rendono problematica l’accumulazione del risparmio personale e ricercare soluzioni idonee a semplificare ed estendere l’accesso al sistema di previdenza complementare. Tra tali studi si segnalano: il Myners Report (pubblicato nel 2001), “L’investimento istituzionale nel Regno Unito”122; il Sandler Report (pubblicato nel 2002), “Il risparmio personale di medio-lungo periodo nel Regno Unito”123; la Review quinquennale della Occupational Pensions Regulatory Authority (pubblicata nel 2002); infine, lo studio della Inland Revenue “La semplificazione della tassazione sulle pensioni private”, pubblicato nel 2002. Un ulteriore studio (certamente il più rilevante tra quelli menzionati, per ciò che attiene specificamente ai fondi pensione) è stato commissionato all’ex Presidente della Associazione dei fondi pensione (Napf), Alan Pickering. Il Rapporto conclusivo del gruppo di lavoro coordinato da Pickering “A Simpler Way to Better Pension” è stato pubblicato nel luglio del 2002. Le misure di riforma suggerite nel documento mirano a rendere più efficiente il sistema previdenziale privato (sgravandolo da eccessivi oneri regolamentari) e a ridurre i costi che le imprese sponsor sostengono per il finanziamento degli schemi pensionistici a prestazione definita, disincentivando così la loro sostituzione con gli schemi a contribuzione definita. 122 HM Treasury (2001), Institutional Investment in the United Kingdom: A Review. Il rapporto del gruppo di lavoro, presieduto da Paul Myner, contiene una serie di principi riguardanti l’attività di investimento dei fondi pensione e, più in generale, degli investitori istituzionali. 123 HM Treasury (2002), Medium and Long-Term Retail Savings in the UK. Il gruppo di lavoro, coordinato da Sandler, ha formulato delle proposte al Governo e alla Financial Services Authority che mirano a rendere più efficiente l’industria del risparmio. Con riferimento al settore della previdenza privata il rapporto suggerisce l’introduzione degli stakeholder pension plans. 2 Il Rapporto Pickering riveste un’importanza particolare per lo sviluppo della riflessione in corso: esso ha, infatti, rappresentato il punto di riferimento per la elaborazione da parte del Ministero del Lavoro e delle Pensioni delle proposte di riforma del sistema di previdenza complementare contenute nel Green Paper124 (dicembre 2002) e nel c.d. Action plan125 (giugno 2003). Tali proposte, ispirate alla volontà di semplificare ed estendere l’accesso al sistema di previdenza complementare, recepiscono sostanzialmente le proposte contenute nel Rapporto Pickering. Tra le misure di riforma proposte nel Rapporto Pickering quelle che mirano a rendere meno onerosi per le imprese sponsor gli schemi pensionistici vertono principalmente su due aree: i benefici accessori, oggi offerti nel quadro degli schemi a prestazione definita, e la semplificazione del meccanismo di contracting-out. Con riguardo ai benefici accessori, misure di rilievo per il loro contenuto radicale sono quelle che prevedono la rimozione dell’obbligo in capo agli schemi pensionistici di rivalutare le rendite previdenziali in funzione dell’andamento dell’inflazione126 e la trasformazione da obbligo in facoltà della erogazione al coniuge superstite di parte della pensione dell’altro coniuge in caso di premorienza (c.d. reversibilità); importo e caratteristiche della pensione di reversibilità sarebbero determinate dal datore di lavoro, d’intesa con i lavoratori. 124 Department for Work and Pensions, Simplicity, security and choice: working and saving for retirement, Dicembre 2002. Il Green Paper presenta diverse proposte che riguardano, in sintesi, il miglioramento dell’informativa ai potenziali aderenti e agli iscritti a forme previdenziali; la riaffermazione del ruolo e della responsabilità dei datori di lavoro nella promozione del risparmio previdenziale; l’aumento del grado di tutela degli iscritti agli schemi occupazionali; la semplificazione dei prodotti al fine di agevolare il risparmio previdenziale; l’introduzione di misure volte ad incentivare la permanenza nel mondo del lavoro. 125 Department for Work and Pensions, Simplicity, security and choice: working and saving for retirement. Action on occupational pensions, giugno 2003. L’Action Plan, elaborato dal Governo sulla base dei pareri ricevuti in merito alle proposte contenute nel Green Paper, contiene gli interventi in materia di schemi pensionistici aziendali volti a semplificare gli adempimenti a carico dei datori di lavoro, rendere il sistema pensionistico più chiaro e comprensibile da parte degli interessati. 126 Le prestazioni pensionistiche erogate dagli schemi occupazionali sono indicizzate in linea con gli incrementi dei prezzi fino ad un massimo del 5 per cento (limite fissato al 3 per cento per la parte di pensione riferita a periodi di lavoro effettuati dall’aprile 1988 all’aprile 1997). 2 Quanto alla riduzione del costo strutturale della prestazione, l’intervento più rilevante proposto nel Rapporto attiene al meccanismo di contracting-out che incide sulle modalità di calcolo della prestazione. Attualmente, gli schemi a prestazione definita, per poter essere destinatari dei contributi previdenziali dei lavoratori che optino per il contracting-out, hanno l’obbligo di offrire, come minimo, un beneficio previdenziale iniziale calcolato moltiplicando il numero degli anni di iscrizione allo schema per una percentuale predefinita (1/80; c.d. accrual rate) del salario medio dei tre anni che precedono il pensionamento. Su tale base, un lavoratore iscritto per 40 anni matura il diritto a ricevere una pensione integrativa pari a circa la metà della media del salario percepito negli ultimi tre anni di lavoro (che, naturalmente, si somma alla rendita pensionistica di primo pilastro). Il Rapporto Pickering propone di ridurre a 1/100 il tasso di accumulo e suggerisce di considerare ai fini del calcolo del beneficio pensionistico la media delle retribuzioni percepite nel corso dell’intera carriera lavorativa. L’intervento produrrebbe un duplice effetto: per un verso la sensibile limitazione dell’esposizione finanziaria delle imprese sponsor, che dovrebbe, negli auspici dei proponenti, favorire la conservazione e l’espansione del numero degli schemi a prestazione definita offerti; per l’altro verso, la contrazione della copertura pensionistica, temperata soltanto in parte dal mantenimento della certezza in ordine all’ammontare della prestazione. L’obiettivo di preservare o, addirittura, incrementare il numero di lavoratori dipendenti iscritti agli schemi a prestazione definita, sarebbe in tal modo perseguito a costo di un sacrificio nient’affatto trascurabile imposto agli stessi lavoratori. Un’ulteriore tipologia di interventi individuata nel Rapporto mira ad accrescere il livello di tutela degli aderenti agli schemi. In tale contesto, si collocano misure quali il miglioramento della qualità delle informazioni fornite con riguardo alle singole posizioni previdenziali, l’incremento delle garanzie a favore degli aderenti prossimi al pensionamento, la semplificazione delle procedure per la liquidazione della posizione in caso di uscita dallo schema prima dell’età pensionabile o per il trasferimento della posizione in caso di adesione ad altro schema. 2 Da ultimo, occorre far cenno alla ipotesi prospettata nel Rapporto di vincolare l’assunzione in un posto di lavoro all’adesione al fondo aziendale, a condizione che il datore di lavoro vi versi un contributo pari almeno al 4 per cento dello stipendio pensionabile. La misura viene prospettata in combinazione con l’eliminazione del periodo minimo di vesting (attualmente, due anni) richiesto per il riconoscimento dei benefici pensionistici, in quanto tale meccanismo rende palesemente iniqua la clausola dell’obbligatorietà, soprattutto per i lavoratori (ad es. quelli dell’edilizia) che hanno un elevato tasso di mobilità. Come già si accennava nel precedente paragrafo, con il Green Paper e l’Action Plan il Governo ha prospettato, utilizzando largamente l’impianto di base e il materiale del Rapporto Pickering, talune proposta di riforma del sistema previdenziale privato (e, in particolare, degli schemi previdenziali occupazionali) . In particolare nell’Action Plan, il Governo delinea una serie di interventi volti a superare talune rigidità dell’attuale disciplina normativa; ad esempio sostituendo le regole riguardanti la costituzione delle riserve contabili (Minimum Funding Requirement), ed eliminando alcune restrizioni alla modificabilità dei diritti degli iscritti. Le raccomandazioni del Rapporto Pickering non sono, invece, state accolte per ciò che attiene alla revisione del meccanismo di indicizzazione delle prestazioni, dove viene prospettata una riduzione del livello massimo di rivalutazione dal 5 al 2,5 per cento annuo. Così pure sarà lasciato inalterato (diversamente da quanto suggerito nel Rapporto) il tasso di accumulo (1/80) fissato per il contracting out, sebbene si riconosca la necessità di semplificare il meccanismo. Anche l’attuale modo di funzionamento delle pensioni di reversibilità su base obbligatoria non sarà modificato. Tra le misure raccomandate nel Rapporto e riprese nei documenti dal Governo si segnalano: la razionalizzazione delle regole in merito alla comunicazione agli iscritti ed alla risoluzione delle controversie tra fondo e iscritti, il rafforzamento delle tutele a beneficio degli iscritti che lasciano lo schema pensionistico prima di aver maturato i diritti pensionistici; la revisione della normativa che disciplina l’ordine di riparto, tra gli aderenti, del patrimonio dello schema pensionistico in 2 caso di liquidazione dello stesso; l’introduzione di un nuovo sistema di supervisione. Infine, in analogia con l’esperienza americana (cfr. Public Benefit Guarantee Corporation) l’Action Plan del Governo prevede l’introduzione di un Pensions Protection Fund che riassicurerebbe obbligatoriamente gli schemi a prestazione definita contro il rischio di insolvenza delle aziende sponsor. Il Fondo, finanziato interamente dai soggetti vigilati, dovrebbe garantire il 100 per cento delle pensioni in pagamento e il 90 per cento delle prestazioni degli aderenti attivi, fino ad un massimo fissato in relazione allo stipendio degli aderenti. Nel Rapporto Pickering grande rilievo è attribuito alla efficacia degli strumenti di regolamentazione e vigilanza. Le riforme che esso propone in tale campo sono rivolte in primo luogo a modificare l’approccio della normativa che disciplina l’attività degli schemi pensionistici privati. Si pone in evidenza, in particolare, che ad una normazione di tipo prescrittivo, quale è quella attualmente vigente, sarebbe preferibile una legislazione per principi che statuisse con chiarezza gli obiettivi sottostanti alle norme piuttosto che disciplinare in modo dettagliato il procedimento attraverso il quale raggiungerli. Le Autorità di controllo sarebbero chiamate a dettare le linee guida per il comportamento degli operatori e a verificare, in ultima istanza, la corrispondenza tra gli obiettivi indicati nelle norme e le regole di condotta di cui si è dotato, anche attraverso l’autodisciplina, il sistema. Un’attenzione particolare è dedicata nel Rapporto al tema degli assetti organizzativi della vigilanza. In particolare, è rappresentata la necessità di un rafforzamento dei presidi di controllo sui fondi pensione. Attualmente tale funzione è attribuita ad un’autorità dedicata, la Occupational Pensions Regulatory Authority (Opra)127, che interviene essenzialmente rispondendo a sollecitazioni provenienti dagli 127 Per un approfondimento in merito si veda, Elena Moiraghi, “Autorita’ di vigilanza nel settore della previdenza complementare nel Regno Unito: l’Occupational Pensions Regulatory Authority (Opra)”. 2 iscritti, dagli attuari e dai revisori. Nel ribadire la necessità di prevedere per i fondi pensione un’autorità di vigilanza ad hoc, distinta dalla Financial Services Authority (FSA)128, il documento definisce una nuova configurazione delle funzioni e dei poteri della suddetta autorità di vigilanza. Ad essa sarebbero assegnati compiti di salvaguardia della stabilità del sistema, muovendo dal riconoscimento della peculiarità dei rischi previdenziali rispetto a quelli puramente finanziari. La nuova autorità di controllo (New Kind of Regulator - NKR) dovrebbe agire in modo maggiormente “pro-active” ed essere dotata di margini di discrezionalità e poteri d’intervento più estesi di quelli attualmente attribuiti all’Opra e tali da metterla in grado di isolare sul nascere i casi di potenziale pericolosità per il sistema. Per quanto riguarda le metodologie di vigilanza, nel Rapporto si raccomanda che l’Opra/NKR adotti le tecniche di monitoraggio del rischio (risk-based approach), elaborate dalla FSA. Il Rapporto propone, inoltre, di attribuire all’Opra/NKR il ruolo di advisor sia nei confronti degli operatori, per ciò che attiene all’elaborazione di codici di condotta, sia nei confronti del Governo, per l’elaborazione di proposte di riforma normativa. Già al momento della istituzione (nel 2000) della Financial Services Authority, era stato deciso di mantenere in vita l’autorità di settore (l’Opra fu l’unica istituzione confermata tra quelle preesistenti al processo di riforma). Significativo è che il Rapporto Pickering, come pure il Green Paper e l’Action Plan, suggeriscano di procedere al consolidamento e all’ampliamento dei poteri dell’Opra/NKR mantenendo un ruolo distinto per la FSA e per l’Opra/NKR, nel pur necessario coordinamento delle competenze che le due autorità esercitano nel settore della previdenza integrativa. 128 Per un approfondimento in merito si veda Elisabetta Giacomel, “Il riskbased approach nell’attività di regolamentazione e di vigilanza della Financial Services Authority (FSA)”. 2 In particolare, nell’Action Plan viene precisato che obiettivi e funzioni della nuova autorità dovrebbero essere definiti con estrema puntualità rafforzandone i poteri sanzionatori. La definizione di un approccio unitario nelle metodologie di vigilanza (attraverso l’adozione del risk-based approach da parte dell’Opra/NKR) non implica, nel modello suggerito nel Rapporto Pickering (e confermato nei successivi documenti del Governo), lo smarrimento della specificità della funzione di controllo sul rischio previdenziale. Appare implicita, sotto tale profilo, la sottolineatura della diversità dei fondi pensione rispetto ad altri investitori istituzionali di tipo collettivo, quali, ad esempio, i fondi comuni di investimento. Le proposte contenute nel Rapporto in tema di vigilanza hanno, inoltre, il denominatore comune di muovere dal riconoscimento delle funzioni che il risparmio previdenziale svolge in relazione all’obiettivo di garantire il soddisfacimento dei bisogni primari nell’età matura, funzioni alquanto diverse da quelle svolte dal risparmio finanziario non previdenziale (che ha, peraltro, anche diverse modalità di accumulazione e di liquidazione). Nel Regno Unito il sistema previdenziale privato fa leva in misura rilevante sulla consapevolezza del lavoratore/risparmiatore quanto ai propri diritti, obiettivo il cui perseguimento presuppone la messa a disposizione degli iscritti ai fondi pensione di tre distinti strumenti: trasparenza nei rapporti con i fondi, disponibilità di una rete di consulenza specialistica ed esistenza di adeguate strutture di formazione. Il Rapporto Pickering suggerisce alcune misure di miglioramento delle modalità di interazione tra i fondi e i loro iscritti. In particolare, viene raccomandata la messa a disposizione di questi ultimi di materiali informativi meno generici, facilmente consultabili e soprattutto funzionali alla assunzione di decisioni consapevoli. Secondo il Rapporto, le comunicazioni agli iscritti, oltre ad essere focalizzate e dedicate, dovrebbero essere redatte in modo sintetico – il Rapporto è molto critico nei confronti della prassi attuale che prevede la trasmissione agli iscritti di un materiale informativo troppo ampio e di difficile comprensione. Tenuto conto che non tutti gli iscritti o i potenziali aderenti agli schemi pensionistici hanno la possibilità di avere accesso alla consulenza finanziaria, il 2 Rapporto propone che le aziende sponsor siano chiamate a svolgere un ruolo di assistenza informativa nei confronti dei dipendenti, aiutandoli a comprendere i vantaggi derivanti dall’iscrizione alla forma pensionistica aziendale. Si tratterebbe di un’innovazione assai significativa in una realtà quale quella anglosassone molto sensibile al rischio di conflitti d’interesse. Le misure proposte in tema di razionalizzazione dei flussi informativi e di assegnazione alle imprese di un ruolo di consulenza si inseriscono in un contesto articolato in cui numerose entità pubbliche e private già svolgono un’ampia attività di assistenza informativa agli iscritti e ai potenziali aderenti agli schemi pensionistici. Si segnalano i servizi erogati in tale ambito da organi governativi quali il Pension Service (struttura del Department for Work and Pensions) e le già menzionate Autorità di supervisione (Opra e FSA). Compito del Pension Service è quello di favorire la consapevolezza dei lavoratori in ordine alle loro scelte previdenziali complessive. Il servizio più rilevante fornito al riguardo è la diffusione di informazioni sulla posizione previdenziale maturata nel settore pubblico nonché di previsioni (a richiesta dell’interessato) sull’ammontare ipotizzabile della pensione pubblica. Sulla base dei dati forniti dal Pension Service (che si avvale del Retirement Pension Forecasting Team), le aziende sponsor e i provider forniscono a loro volta previsioni sul reddito pensionistico complessivo ipotizzabile in capo ai lavoratori che potranno beneficiare sia di una pensione pubblica sia di una pensione integrativa privata. L’Opra si avvale per l’assistenza agli iscritti ai fondi di un’organizzazione privata, l’Opas (Pensions Advisory Service), di natura no-profit, cui assicura risorse finanziarie. L’Opas, presso la quale prestano servizio professionisti del settore previdenziale su base volontaria, fornisce informazioni generali in tema di previdenza pubblica e privata, ma non informazioni specifiche sulle singole posizioni previdenziali. Alla FSA è attribuita la competenza di promuovere la consapevolezza dei risparmiatori quanto a tutti gli aspetti della finanza personale. In tale quadro, la FSA ha impostato un programma di attività che prevede l’utilizzazione di 2 strumenti quali pubblicazioni divulgative, workshops, utilizzo della rete web, materiali di supporto all’insegnamento scolastico. Per quanto riguarda specificamente gli schemi stakeholder, la FSA ha elaborato uno strumento ad hoc (il decision tree) che facilita le scelte di coloro che intendono utilizzare tale tipologia di schema previdenziale. Quanto ai consulenti professionali, la disciplina di settore incentiva il ricorso ai servizi offerti da tali soggetti, dettando le regole del gioco (e modalità efficienti nella verifica della loro applicazione), nonché prevedendo interventi repressivi nel caso di violazioni di regole di condotta da parte degli stessi consulenti. In particolare, merita segnalare che una definizione normativa di consulenza è specificamente dettata nel Financial Services & Markets Act 2000. Inoltre, la regolamentazione prevede anche una tipizzazione dei consulenti129: ciò, naturalmente, facilita l’efficiente e corretto funzionamento del mercato. Infine, è da rilevare che nel Regno Unito l’insegnamento degli elementi essenziali della finanza personale è stato inserito come materia di studio non obbligatoria nella scuola pubblica dai cinque ai sedici anni di età. Le proposte contenute nel Rapporto Pickering, come si è appena visto, sono volte a consolidare la promessa previdenziale, proprio perché il sistema misto pubblico/privato in essere appare sempre più caratterizzato da elementi che ne mettono a rischio la certezza. D’altra parte, se è vero che nel Regno Unito la spesa pubblica pensionistica appare relativamente sotto controllo (circa il 5 per cento del PIL), è altrettanto vero che, nel lungo periodo, il fenomeno del saving gap pensionistico potrebbe, se non opportunamente governato, indurre conseguenze socialmente intollerabili, esponendo le autorità inglesi ai problemi politici e, in ultima analisi, anche finanziari, legati all’impoverimento della popolazione anziana. Il quadro delineato non sembra, peraltro, molto dissimile da quello con il quale ci si sta misurando da diverso tempo nel nostro Paese. A dispetto della opinione 129 I consulenti sono suddivisi in due categorie: Tied advisers e Independent financial advisers. L’attività di consulenza è subordinata al conseguimento di titoli professionali comunque di standard elevati - rilasciati da istituzioni legalmente riconosciute; i consulenti sono autorizzati preventivamente a svolgere la propria attività dalla Financial Services Authority. 2 corrente circa la unicità delle patologie che caratterizzano il sistema pensionistico italiano, almeno due aspetti, quello riguardante il livello di generosità del sistema previdenziale (e la correlata sostenibilità della spesa) e quello afferente la rischiosità della promessa previdenziale, sono comuni nell’esperienza dei due Paesi. 2 5.8 La previdenza complementare in Italia A oltre dieci anni dall’avvio del processo di riforma che ha introdotto gli strumenti e le norme della previdenza complementare, in Italia lo sviluppo dei fondi pensione registra ancora gravi ritardi rispetto ai paesi anglosassoni, sia alle economie a noi simili quanto a caratteristiche istituzionali e struttura finanziaria, quali Francia, Germania e Spagna. Sotto molti punti di vista lo sviluppo della previdenza integrativa rimane insoddisfacente. Le attività dei fondi pensione rappresentano meno del 2,8 per cento del PIL, un valore inferiore alla media dell’area dell’Euro e ben lontano dai livelli, assai elevati, che si registrano nel Regno Unito (66 per cento) e negli Stati Uniti (circa il 100 per cento). Per di più la lenta espansione dei fondi pensione procede in modo diseguale tra le diverse categorie di lavoratori. La diffusione della previdenza integrativa è infatti particolarmente bassa tra i giovani, le donne, i lavoratori autonomi e quelli addetti alle imprese di minori dimensioni. Si tratta di categorie che più di altre sono penalizzate dalla discontinuità e dalla variabilità dei redditi, per le quali la possibilità di accumulare risorse previdenziali lungo un orizzonte temporale esteso rappresenta un vantaggio particolarmente rilevante. Il ritardo nel campo della previdenza integrativa contribuisce a limitare l’articolazione del mercato dei capitali italiano. I paesi in cui i fondi pensione sono più sviluppati hanno infatti sistemi finanziari anch’essu particolarmente sviluppati sia nel comparto del capitale di rischio, sia in quello obbligazionario. Assai stratto risulta il legame tra fondi pensione e borsa: la presenza degli investitori istituzionali favorisce la quotazione anche di imprese di minore dimenione; stimola la concorrenza tra operatori in campi essenziali per il funzionamento del mercato, quali la raccolta di ordini, la negoziazione e il collocamento di titoli, l’attività di ricerca. Negli anni più recenti i fondi pensione hanno significativamente contribuito all’apertura del sistema finanziario alle innovazioni, fornendo risorse a operatori – ad esempio i fondi di private equity - e strumenti di finanziamento, quali le 2 obbligazioni societarie (corporate bonds), che in importanti paesi hanno stimolato la ristrutturazione del sitema produttivo anche attraverso il trasferimento della proprietà di aziende inefficienti. In Italia, il basso numero di imprese quotate e, più in generale, la scarsa articolazione del mercato privato dei capitali rischiano a loro volta di limitare le opportunità di diversificazione dei fondi pensione, che potrebbero indirizzare i loro investimenti prevalentemente verso i mercati esteri. E’ necessario sottolineare che i potenziali benefici dello sviluppo dei fondi pensione potranno affluire al nostro sistema finanziario solo se la loro crescita sarà accompagnata da una parallela espansione del sistema finanziario. Riguardo alle misure in grado di stimolare lo sviluppo della previdenza integrativa, le indagini campionarie indicano che, a distanza di oltre un decennio da interventi incisivi sul sistema previdenzaile obbligatorio, i lavoratori sono solo in parte consapevoli dei tagli apportati alle pensioni pubbliche e spesso sovrastimano le risorse di cui disporranno nella fase di pensionamento. Dai dati a disposizione emerge che ricorrono a pensioni integrative soprattutto i risparmiatori più istruiti, con dimestichezza con gli strumenti finanziari ed in possesso di consistenti risorse investite in attività rischiose: si tratta presumibilmente, dei nuclei familiari con elevata capacità di raccogliere, assimilare, ed elaborare informazioni. Questi dati confermano l’importanza di rafforzare l’impregno pubblico volto a fornire ai lavoratori informazioni e conoscenze adeguate, al fine di renderli consapevoli della loro condizione previdenziale (ad esempio rendendo disponibile il cosiddetto estratto conto previdenziale). Essi segnalano, altresì, l’esigenza di accrescere il tasso di alfabetizzazione finanziaria dei lavoratori; in più paesi l’innalzamento in campo economico-finanziario è oggetto di iniziative da parte del governo e delle autorità di supervisione, con interventi che vanno dalla diffusione di informazioni a campagne pubbliche di sensibilizzazione mediante i diversi mezzi di comunicazioni. 2 I lavoratori italiani sono stati finora riluttanti a rinunciare al Trattamento di fine rapporto (TFR), ritenendolo più flessibile e meno rischioso degli altri strumenti della previdenza integrativa. Sotto entrambi gli aspetti, tuttavia, i fondi pensione presentano vantaggi rispetto al TFR. Anche per effetto delle recenti modifiche normative, la disciplina in tema di riscatti, anticipazioni, erogazioni e portabilità conferisce alla ricchezza previdenziale accumulata nei fondi pensione una flessibilità di utilizzo considerevole, comparabile con quella del TFR. Sotto il profilo finanziario, le analisi svolte in questo lavoro indicano che al basso rischio del TFR si associa un rendimento anch’esso medio basso: in molte fasi del passato sarebbe stato preferibile per i lavoratori investire i risparmi previdenziali sul mercato finanziario. Per gli aderenti ai fondi pensione il beneficio derivante dalla possibilità di investire i contributi previdenziali in attività di mercato si associa a due ulteriori elementi di convenienza: la disponibilità della contribuzione aggiuntiva da parte del datore di lavoro; un trattamento vantaggioso. Affinché l’adesione ai fondi pensione offra benefici concreti ai lavoratori italiani è essenziale che i costi di gestione sopportati dai risparmiatori siano contenuti. In caso contrario, i vantaggi dei fondi pensione rischierebbero di riflettersi soprattutto in un aumento dei ricavi per gli intermediari che prestano servizi ai fondi, invece che in un miglioramento delle condizioni di vita dei futuri pensionati. I risultati di questo lavoro indicano che la riduzione dei costi che può derivare dalla crescita delle masse gestite e dalle conseguenti economie di scala può essere significativa. Il contenimento dei costi per i risparmiatori richiede, inoltre, la trasparenza e la confrontabilità delle commissioni applicate sulle diverse forme previdenziali e la piena possibilità per i lavoratori di spostarsi dagli schemi pensionisti più onersoi a quelli con costi più contenuti e in grado di offrire prodotti che meglio rispondono alle loro esigenze. Si tratta di elementi essenziali per stimolare la concorrenza tra fondi pensione, e che sarebbe dannoso limitare con vincoli di varia natura, quale ad esempio quello posto alla trasferibilità del contributo del datore di lavoro. 2 5.8.1 I fondi pensione in Italia In termini economici e normativi, l’istituzione della previdenza complementare in Italia è stata inserita all’interno di un più generale disegno di riforma dell’intero sistema pensionistico. L’evoluzione del quadro normativo non è sempre stata lineare. In alcuni casi essa è stata anzi tormentata, con false partenze, complicazioni eccessive che a volte hanno rappresentato un fattori di freno più che di sostegno allo sviluppo della previdenza integrativa. La legge delega n.421 dell’ottobre del 1992 indicò le linee di fondo che il Governo doveva seguire nella sua opera di revisione della normativa previdenziale. Non a caso, tale azione seguiva una delle più gravi crisi economiche e valutarie vissute dall’Italia, conseguenza inevitabile del tentativo di perseguire l’ideale europeo senza, al tempo stesso, fare proprie le regole dell’Europa unita. La forza potenzialmente disgregatrice emanata dalla crisi del sistema fu incanalata per creare il consenso necessario a una riforma di vasta portata – fatta anche, ma non solo, di tagli alle prestazioni e innalzamenti dei contibuti – su un tema socialmente assai rilevante come quello delle pensioni130. Le ragioni e gli obiettivi politici della riforma sono noti: il sistema pensionistico pubblico, basato sul regime retributivo (vale a dire su pensioni calcolate in base all’ultima retribuzione) e a ripartizione (ossia con prestazioni finanziate con i contributi pagati dai lavoratori attivi) stava accumulando squilibri crescenti, a causa della tendenza secolare all’allungamento della vita media e alla riduzione delle nascite, combinata con una bassa crescita dell’occupazione e, in Italia, con deficit e debito pubblico elevati, incompatibili con gli impegni europei. Il disegno innovatore perseguito dalla riforma è anch’esso noto: il passaggio da un sistema previdenziale incentrato su un unico regime obbligatorio pubblico (la pensione dell’INPS) a un sistema basato su tre pilastri: 130 La delega fu attuata con il decreto n.503 del dicembre del 1992 per le pensioni pubbliche e col decreto n.124 dell’aprile del 1993 per le pensioni complementari. La legge n.335 dell’agosto del 1995 e gli interventi previdenziali della legge n.449 del 27 dicembre 1997 completarono una prima fase riformatrice. 2 1. la pensione pubblica (il cosiddetto primo pilastro), ridefinita in modo da garantire una maggiore rispondenza tra i contributi versati dai lavoratori e le prestazioni da essi percepite negli anni di pensionamento; 2. la pensione integrativa di categoria o aziendale (secondo pilastro), accumulata mediante l’adesione su base collettiva ai fondi pensione; 3. la pensione integrativa individuale (terzo pilastro), lasciata alla scelta di risparmio previdenziale del singolo lavoratore (FIP, forme individuali pensionistiche). Un tale disegno che tuttora ispira il nostro sistema di previdenza integrativa, si caratterizza per la modernità dell’impianto, nel panorama dei sistemi pensionistici dei paesi industriali; per la sua rapida, sia pur graduale, introduzione nello jure condito della legislazione nazionale; per il suo contributo al riequilibrio del bilancio dello Stato. Accanto alla questione dei conti pubblici vi era e vi è ancora quella altrettanto rilevante dei conti privati. Per non peggiorare le condizioni economiche dei futuri pensionati occorreva assicurare, in parallelo con la riduzione delle prestazioni pensionistiche pubbliche, un adeguato sviluppo della previdenza integrativa. In caso contrario si sarebbe raggiunto l’illusorio successo di disinnescare la “bomba demografica”, rappresentata dagli effetti dell’invecchiamento della popolazione, innescando una non meno pericolosa “bomba sociale”: la prospettiva di una generazione che ha pagato pensioni generose ai padri, non ha fatto figli e va in quiescenza con un vero e proprio crollo del tenore di vita. La sola istituzione dei fondi pensione ad adesione “libera e volontaria” non è stata sufficiente a riequilibrare il bilancio intertemporale dei lavoratori italiani. Un primo tentativo per stimolare il risparmio previdenziale e l’adesione ai fondi pensione fu fatto col decreto legislativo n.47 del febbraio del 2000 (in attuazione della delega contenuta nella legge n.133 del maggio del 1999) che ha, da un lato, introdotto le polizze individuali pensionistiche (PIP), offerte dalle compagnie di assicurazione in concorrenza con i fondi aperti; dall’altro, ha uniformato il 2 trattamento fiscale degli strumenti della nuova previdenza – fondi pensione, polizze assicurative, trattamento di fine rapporto – e introdotto forme di agevolazione fiscale del risparmio previdenziale. Tuttavia, l’aliquota fiscale sugli interessi parri all’11 per cento, in luogo dell’usuale 12,5 per cento previsto per altre forme di risparmio finanziario non ha fornito un impulso apprezzabile allo sviluppo della previdenza complementare. Un nuovo intervento in favore della previdenza complementare è stato effettuato con la legge delega n.243 del 23 agosto del 2004 e col relativo decreto di attuazione n.252 del 5 dicembre 2005. Questa modifica legislativa può essere considerata una vera e propria seconda riforma della previdenza complementare, dopo quella iniziale degli anni novanta. Infatti affiancondosi agli interventi relativi al primo pilastro (quali revisioni delle pensioni di anzianità e di vecchiaia, liberalizzazione allungamento dell’età pensionabile col sistema degli incentivi-disincentivi, eliminazione dei divieti di cumulo tra pensione e reddito da lavoro) il decreto innova profondamente la previdenza complementare. In particolare esso prevede: 9 il conferimento del TFR maturando alle forme pensionistiche complementare salvo esplicito dissenso da parte del lavoratore (c.d. tacito conferimento); 9 l’introduzione di una tassazione agevolata delle prestazioni erogate in forma sia di capitale sia di rendita; 9 agevolazioni fiscali e contributive in favore delle imprese, al fine di compensarle per la perdita del TFR, che in precedenza rappresentava una forma di finanziamento a basso costo; 9 una serie di modifiche relative a contribuzioni, prestazioni, anticipazioni, riscatti e trasferimenti. L’entrata in vigore del decreto 252/05, anticipata di un anno al 1 gennaio 2006 ha determinato un ulteriore passo avanti nel processo di riforma. Occorre ora valutare se la normativa vigente riuscirà a fornire il necessario slancio alla 2 previdenza complementare. 2 5.8.2 Andamento delle adesioni, impatto della crisi subprime, prospettive per il futuro: un intervento del presidente di Covip, settembre 2007 L’analisi dell’andamento delle adesioni nel primo semestre del 2007 sconta inevitabilmente in questa fase un carattere di provvisorietà dei dati disponibili. In primo luogo, infatti, non è possibile in questa sede dare contezza del dato relativo alle adesioni dei lavoratori che entro il semestre non hanno espresso alcuna manifestazione di volontà circa la destinazione del TFR, cosiddetti lavoratori silenti. Si tratta infatti di dati ancora molto parziali, anche in ragione della differente tempistica di versamento prevista negli accordi collettivi istitutivi delle forme negoziali. Un quadro più completo potrà pertanto aversi soltanto con l’effettivo versamento delle quote di TFR, che, nella gran parte dei fondi è atteso nel corso del mese di ottobre. Al momento, è soltanto possibile anticipare che sulla base di alcune rilevazioni effettuate, anche consultando a tal fine i fondi pensione potenzialmente interessati, le aspettative in ordine al flusso delle possibili adesioni in via tacita si contengono entro il limite di pochi punti percentuali. L’aspetto positivo di tale fenomeno è del tutto evidente. La diffusione delle iniziative di informazione ha favorito una maggiore presa di coscienza da parte dei lavoratori, che si è tradotta in espresse manifestazioni di volontà. Per quanto riguarda invece le adesioni esplicite alle forme di previdenza complementare, va considerato che le stesse risultano essersi concentrate nella seconda parte del semestre, tant’è che sia i fondi pensione sia i datori di lavoro sono ancora impegnati nel processo di elaborazione e controllo dei relativi dati. Tuttavia, grazie allo sforzo compiuto per la raccolta delle informazioni e alla collaborazione fornita al riguardo dai fondi pensione nonché dall'INPS, la COVIP è in grado di fornire in questa sede prime indicazioni. 2 I dati attengono in particolare ai lavoratori dipendenti del settore privato, gli unici interessati dalla scadenza del periodo utile per la scelta sulla destinazione del TFR. A conclusione del semestre di avvio della riforma, i lavoratori dipendenti privati iscritti alle forme pensionistiche complementari sono circa 2,7 milioni rispetto al milione e 800 mila di fine 2006. Si registra dunque una crescita di circa 900 mila lavoratori, con un incremento di quasi il 50%. La ripartizione della crescita delle adesioni secondo le diverse tipologie di forme pensionistiche complementari mostra una larga prevalenza dei fondi pensione negoziali che, a seguito di un incremento nel semestre di circa 600 mila unità, sfiorano 1,7 milioni di aderenti. Incrementi rilevanti registrano i fondi pensione aperti e i PIP, rispettivamente con 190 mila e 110 mila nuove adesioni. I primi di fatto triplicano, rispetto al 2006, le iscrizioni di lavoratori dipendenti privati, che raggiungono 280 mila unità. Circa 210 mila risultano i lavoratori dipendenti privati iscritti ai PIP istituiti ai sensi della nuova normativa di settore, di cui quasi la metà già aderenti a piani “di vecchia generazione”. Sulla base degli esiti di un’apposita rilevazione condotta sull’insieme dei fondi di maggiore dimensione, registrano nuove iscrizioni anche i fondi pensione preesistenti, per i quali va oltretutto ricordato che i tassi di adesione già prima della riforma erano molto elevati. In tali fondi, appare inoltre significativo il fenomeno delle opzioni esplicite a favore del conferimento integrale del TFR, esercitate da soggetti già iscritti ma per i quali il versamento del TFR non era previsto o era previsto in misura parziale. Nel complesso, le iscrizioni raggiunte, se rapportate alla generale platea dei lavoratori dipendenti del settore privato destinatari della riforma, stimabile in circa 12,2 milioni, si traducono in un tasso di adesione che in termini di significatività potrebbe anche apparire alquanto limitato. L’analisi deve però necessariamente tenere conto delle difformi situazioni in cui la riforma ha operato con riguardo alle diverse tipologie di lavoratori. 2 E’ evidente infatti che la platea alla quale essa può dirsi più direttamente e incisivamente rivolta è quella costituita dai lavoratori dipendenti privati per i quali la contrattazione sindacale ha previsto il versamento di una contribuzione aziendale, che va ad aggiungersi al flusso di TFR. Ciò consente di apprezzare gli effetti della riforma su lavoratori che, in quanto interessati da fondi promossi dalle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro, è presumibile siano stati raggiunti con più facilità dalla campagna di informazione sull’argomento, in molti casi svolta direttamente sui luoghi di lavoro. Non possono peraltro essere inclusi in tale platea i bacini di riferimento di 4 fondi pensione negoziali istituiti nel corso del 2007, con un’area di potenziali aderenti di oltre 2 milioni e mezzo di lavoratori, per i quali è ragionevole assumere una capacità di intercettare efficacemente adesioni ancora piuttosto limitata. Di conseguenza, la platea cui è più opportuno riferirsi è quella relativa ai potenziali aderenti dei fondi pensione negoziali già operativi al 31 dicembre 2006 e dei fondi pensione preesistenti rivolti appunto ai lavoratori dipendenti. Nel complesso, si tratta di fondi che riguardano circa 8 milioni di potenziali aderenti. In rapporto a tale più realistico quadro di riferimento, le nuove iscrizioni, pari a poco meno di 600 mila, portano a un tasso di adesione di circa il 28 per cento, cui andranno ad aggiungersi i lavoratori silenti. Un esame più articolato dell’andamento delle adesioni esplicite, concentrato sui soli fondi pensione negoziali, può risultare utile a cogliere meglio la dinamica delle iscrizioni in questi mesi. Di questi fondi, meno di un terzo fa riferimento a una singola azienda o a un gruppo, mentre oltre i due terzi sono fondi di categoria, destinati a una pluralità di lavoratori appartenenti a uno o più settori produttivi. Prestando infine uno sguardo all’andamento della gestione finanziaria dei fondi pensione nel corso dei primi mesi del 2007, si osserva che sia i fondi pensione negoziali che i fondi pensione aperti hanno registrato rendimenti positivi. 2 Si ricorderà che dal mese di luglio i mercati finanziari sono stati interessati dalle insolvenze che hanno caratterizzato i mutui americani di tipo non primario, cosiddetti subprime, cioè mutui erogati a soggetti con scarso merito di credito. Tali insolvenze, come è noto, hanno originato consistenti perdite di valore nei titoli di debito direttamente emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione dei suddetti mutui o comunque ad essi collegati. Nello scorso mese di agosto, la COVIP ha chiesto a tutte le forme pensionistiche complementari di fornire dati e informazioni sull’eventuale esposizione, diretta e indiretta, al mercato di tali mutui. Da un primo riscontro relativo al flusso di informazioni pervenuto, è emerso che soltanto qualche fondo è risultato marginalmente interessato a tale fenomeno, essenzialmente in forma indiretta, mediante partecipazione a OICR a loro volta esposti. Le ricadute sul sistema sono state pertanto del tutto trascurabili. Alla luce di tale esperienza e ricordando anche l’irrilevante impatto sul sistema delle note crisi che hanno interessato in passato il mercato delle obbligazioni, si può concludere che la gestione del risparmio previdenziale viene attuata con particolare cautela e attenzione all’interesse dell’iscritto. Certamente, l’andamento non positivo dei mercati azionari in questo periodo costituisce un fattore di difficoltà per i lavoratori nel valutare l’effettiva convenienza ad aderire o meno alla previdenza complementare. Le forme pensionistiche complementari, per la loro stessa natura, vanno però guardate in un orizzonte di lungo termine, nel quale le turbolenze dei mercati risultano assolutamente fisiologiche. Inoltre le stesse modalità di funzionamento dei fondi tendono di per sé ad attenuare gli effetti delle oscillazioni di borsa, poiché prevedono flussi di versamento periodici e quindi distribuiti nelle varie fasi di mercato. La scelta di partecipare alla previdenza complementare deve poi fondarsi prioritariamente sulla possibilità di trovare in essa lo strumento attraverso il quale provvedere alla necessaria integrazione del reddito nell’età anziana, beneficiando di quei presidi di cui il sistema stesso è dotato in considerazione della funzione sociale alla quale è chiamato. 2 Da questo punto di vista, può guardarsi con fiducia all’apporto che le forme pensionistiche complementari possono offrire. Nella trascorsa delicata fase di transizione, l’affermazione, tramite una Autorità dedicata, di una vigilanza unitaria, in chiave omogenea, su forme con medesima finalità ma caratteristiche talvolta assai diverse (coesistono, ad esempio, attività profit e non profit) si è tradotta per gli operatori in una maggiore chiarezza di obiettivi, di regole, di processi e in una speditezza degli adempimenti, che diversamente sarebbe stato certo più complicato realizzare. La presenza di una Autorità unica di settore, alla quale sono state attribuite anche le competenze in materia di trasparenza, prima distribuite tra diverse Autorità, ha consentito di realizzare, con l’adozione degli schemi di statuto, di regolamento e di nota informativa, una azione integrata di razionalizzazione, semplificazione e omogeneizzazione dei documenti, a vantaggio tanto degli aderenti quanto degli operatori del sistema. Tale configurazione della vigilanza è risultata determinante anche per il conseguimento di un punto di equilibrio tra le varie sensibilità, in una realtà in cui il consenso delle forze sociali non meno che delle associazioni rappresentative degli intermediari bancari, finanziari e assicurativi appare irrinunciabile per perseguire l’obiettivo dello sviluppo della previdenza complementare, anche mediante il conferimento del TFR. Al tempo stesso si è dato riscontro alla necessità di evitare, per la diversa natura e finalità perseguite, ogni assimilazione tra prodotti di previdenza complementare e prodotti finanziari e assicurativi. L’ordinamento normativo vigente scandisce, d’altra parte, una chiara distinzione di compiti e funzioni tra fondi pensione e intermediari finanziari e assicurativi incaricati della gestione delle risorse, con un’obbligata ripartizione delle attribuzioni, cui è logico e coerente faccia riscontro una distinzione anche sotto il profilo del sistema dei controlli. Va oltretutto rilevato che il modello dei fondi pensione a contribuzione definita impedisce di realizzare una efficace distinzione della vigilanza tra i profili della 2 stabilità e della trasparenza, tipici invece del controllo sul risparmio finanziario tout court. Tale distinzione si rivelerebbe sostanzialmente arbitraria e implicherebbe inevitabilmente duplicazioni e costi aggiuntivi, nonché un complessivo ripensamento dell’intera normativa di settore. Concludendo questa prima ricognizione sulla operatività della riforma, è opportuno rilevare come, a fronte di un accrescimento delle adesioni e di una dinamica anche molto interessante che ha caratterizzato alcune realtà aziendali e di settore, rimane ancora una platea di lavoratori che, optando a favore del mantenimento del TFR presso l’azienda di appartenenza, è tuttora priva di un secondo pilastro previdenziale. Creare una vera e diffusa “cultura previdenziale” resta dunque il principale obiettivo al quale tendere. L’andamento osservato in questi mesi ha infatti confermato che, dove l’informazione è stata scarsa o di cattiva qualità, si è affermato un atteggiamento “attendista” da parte dei lavoratori, i quali in un prossimo futuro potranno pur sempre rivedere le loro preferenze a favore delle forme pensionistiche complementari. 2 5.9 Il settore assicurativo e il suo valore per la crescita, osservazioni dell’Ania Fattori demografici, sociali e macroeconomici hanno fatto lievitare a dismisura negli ultimi decenni la spesa pensionistica in rapporto al PIL: da un livello del 5% del PIL nel 1960, essa è passata negli ultimi anni dal 13% nel 1990 al 14,7% nel 2004. Un aumento della spesa pensionistica è avvenuto in tutti i paesi europei. Nel confronto internazionale il livello della spesa pubblica previdenziale del nostro Paese è superiore alla media europea (pari al 12,3% considerando l’UE15) ed è il dato più alto registrato rispetto ai principali Paesi europei: 13,3% in Germania, 13,1% in Francia, 10,7% nel Regno Unito e 9,2% in Spagna. Inoltre, l’Italia è di gran lunga il paese con il più elevato livello del debito pubblico nella Unione Europea. Per non compromettere la sostenibilità finanziaria dei conti pubblici, molti Governi europei, tra cui anche quello italiano, hanno realizzato nel corso degli ultimi quindici anni interventi correttivi dettati dalla necessità di contenere la spesa previdenziale pubblica. Gli interventi sono stati realizzati attraverso la progressiva modifica dei requisiti di accesso e/o delle prestazioni. Con l’obiettivo di garantire una tutela adeguata ai pensionati, molti paesi hanno anche perseguito politiche volte a favorire lo sviluppo della previdenza complementare, in modo che la pensione sia la somma di due componenti distinte: 9 la pensione pubblica; 9 la pensione complementare. Nonostante la riduzione del livello della pensione pubblica garantita dallo Stato e nonostante il fatto che l’età pensionabile sia stata elevata nel corso del tempo, le previsioni della Ragioneria Generale dello Stato formulate alla fine del 2 2006 indicano che la fine della crescita del rapporto tra spesa pensionistica e PIL avverrà solo dopo il 2040 (anno in cui essa toccherà il valore massimo di 15,1% del PIL), quando il sistema sarà quasi tutto contributivo e la spesa inizierà a scendere, ritornando al 13,8% del PIL nel 2050. La previsione della Ragioneria è fatta “a legislazione costante”, ossia tenendo conto che la legge in vigore prevede sia il c.d. “scalone” dal 1° gennaio 2008, ossia l’aumento generalizzato a 60 dell’età minima per il pensionamento, sia la revisione decennale dei coefficienti di trasformazione in rendita del montante maturato nel regime contributivo (prevista per il 2005 dalla legge 335/95). Non tiene conto degli interventi a favore delle pensioni più basse, sia di quelli decisi nel corso del 2007, sia di quelli che potranno essere decisi in futuro. È possibile che le previsioni andranno profondamente modificate se a seguito del negoziato con le parti sociali e dell’iter parlamentare le regole di pensionamento saranno cambiate, in particolare se non saranno effettivamente aggiornati i coefficienti di trasformazione. Secondo le previsioni di Eurostat (base 2004), i soggetti ultra 65enni sono diventati una quota consistente della popolazione: erano il 6% all’inizio del ’900, sono ora saliti quasi al 25% e, estrapolando le attuali tendenze, saranno circa il 29% del totale nel 2020 e il 47% nel 2050. Già oggi, per la prima volta nella storia, gli over 65 hanno superato il numero di tutti i giovani sotto i 20 anni e nel 2050 saranno più del triplo (25 milioni contro 8). Inoltre, la speranza di vita di un maschio di 65 anni è aumentata, secondo i dati dell’ISTAT, da 14,2 anni nel 1992 a 18,5 anni nel 2005. Per questi motivi nel futuro si prospetta uno scenario di spesa previdenziale pubblica ancora critico e gravoso per le finanze dello Stato. Le previsioni della Ragioneria dello Stato includono le pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (“IVS”) al netto delle prestazioni in capitale e le pensioni sociali. Al contrario dei dati utilizzati nel confronto internazionale (che Eurostat classifica in termini di funzione old age), la Ragioneria non include alcune prestazioni (che non sono pensioni) quali ad esempio benefici derivanti dall’interruzione del rapporto di lavoro. 2 In quest’ottica la previdenza complementare diventa quindi uno strumento “correttivo” imprescindibile, per integrare in modo sostanziale le prestazioni garantite dalla previdenza obbligatoria e continuare ad assicurare ai futuri pensionati un reddito pensionistico nel complesso soddisfacente. In una prospettiva più ampia, la previdenza integrativa rappresenta uno strumento fondamentale in grado di apportare benefici importanti e concreti per diversi soggetti. Negli ultimi anni la previdenza complementare è cresciuta in generale in tutta Europa in termini di masse gestite e numero di iscritti, modificando in modo lento, ma continuo la composizione dei portafogli delle famiglie. Nell’area Euro, la quota delle riserve assicurative (che comprendono sia le polizze vita vere e proprie che i fondi pensione) sul totale degli investimenti finanziari delle famiglie è passata dal 21,2% del 1997 al 25,5% del 2004. Secondo le stime della Banca Centrale Europea, nel 2006 gli investimenti in polizze vita e fondi pensione sono stati pari a circa il 6% del reddito disponibile delle famiglie. In Italia l’adesione alla previdenza complementare è volontaria e le condizioni per averne accesso sono fissate dalla legge. Il meccanismo di funzionamento è quello a capitalizzazione in cui il lavoratore e il datore di lavoro versano somme (contributi) che vengono investite da operatori specializzati sul mercato finanziario. Le “forme pensionistiche complementari”, sono riconducibili fondamentalmente a tre categorie: 9 i fondi pensione negoziali (ossia istituiti da accordi collettivi promossi dalle associazioni sindacali di riferimento o anche dagli accordi aziendali); 9 i fondi pensione aperti (ossia rivolti a tutti i lavoratori e promossi dalle istituzioni finanziarie abilitate, vale a dire banche, società di intermediazione mobiliare (SIM), società di gestione del risparmio (SGR) e compagnie di assicurazione); 9 i piani individuali pensionistici di tipo assicurativo. 2 L’adesione alle forme pensionistiche complementari può avvenire individualmente o, nel caso di fondi pensione, tramite partecipazione collettiva. La nuova normativa (d.lgs. 252/2005), la cui entrata in vigore è stata anticipata al 1° gennaio 2007131, prevede l’equiparazione delle diverse forme pensionistiche complementari. Nonostante il trend di crescita, documentato dalla figura seguente, le forme pensionistiche complementari non hanno ancora fatto registrare quel grado di diffusione e di sviluppo necessario per trasformare il sistema pensionistico italiano in un modello “multipilastro”. Secondo i dati della Covip, alla fine del 2006, la percentuale di adesione ai fondi pensione negoziali dei lavoratori dipendenti risulta pari al 13,9% del bacino dei potenziali iscritti. Alla base di uno sviluppo ancora contenuto della previdenza complementare vi possono essere molteplici motivazioni, tra cui: 9 la non adeguata consapevolezza dei radicali cambiamenti in atto soprattutto da parte dei lavoratori più giovani; 9 la scarsa conoscenza del sistema previdenziale in generale e della propria posizione pensionistica in particolare; 9 la maggiore fiducia nel datore di lavoro, rispetto all’investimento nei fondi pensione e nel mercato finanziario; 9 la forte patrimonializzazione delle famiglie italiane. I risparmi, il TFR, gli immobili e le rendite di vario tipo vengono considerati forme “improprie”, ma efficaci, di integrazione della previdenza di base. Pesa anche la scarsità di risorse destinabili alla previdenza complementare, dato il peso consistente dell’aliquota contributiva del sistema pensionistico obbligatorio, pari a circa il 33%, cui si somma il 6,91% del prelievo per l’accantonamento del TFR. 131 L’entrata in vigore del decreto, sia nei suoi aspetti generali sia per quanto riguarda la disciplina fiscale, era originariamente prevista per il 1° gennaio 2008. Il d.l. n. 279/2006, non convertito in legge, ha sancito, invece, l’anticipo al 1° gennaio 2007. I contenuti dello stesso decreto sono stati inseriti quindi nel testo della legge finanziaria 2007. 2 La nuova normativa (d.lgs. 252/2005) stabilisce la possibilità di conferire alla previdenza complementare il TFR. Il lavoratore può, con pronunciamento esplicito, conferire il proprio TFR maturando, senza facoltà di revoca, a una delle diverse forme delle previdenza complementare. Nel caso di silenzio del lavoratore, il conferimento avviene secondo le modalità previste da contratti o accordi collettivi, anche aziendali. Il lavoratore può scegliere di trasferire la propria posizione previdenziale presso qualsiasi forma pensionistica, senza però poter ritornare al TFR. Inoltre la libertà di scelta della forma pensionistica è vincolata, per quanto riguarda il contributo del datore di lavoro che spesso si aggiunge al TFR conferito, a limiti e modalità stabiliti da contratti o accordi collettivi. Per favorire il lavoratore sono previste misure di carattere fiscale che ampliano la deducibilità dei contributi e riducono la tassazione sulle prestazioni pensionistiche. Sulla base di una prima valutazione al 30 giugno 2007, le nuove adesioni esplicite ai fondi negoziali del settore privato sono state pari a poco meno di 400.000, ossia circa il 4% dei potenziali iscritti. La maggior parte dei lavoratori interessati - oltre i 3/4 di quelli che si sono espressi - hanno deciso di non aderire alla previdenza complementare. Secondo alcuni commentatori è molto difficile che, anche includendo le adesioni esplicite ai fondi aperti e ai piani individuali, si possa raggiungere l’obiettivo del 40% di adesioni esplicite entro fine anno. Lo scenario sinora descritto, relativo all’evoluzione del sistema previdenziale italiano e all’importanza fondamentale della previdenza complementare, induce a una riflessione più attenta circa il possibile ruolo che i soggetti privati, tra cui il mondo assicurativo, possono assumere in questo contesto, contribuendo positivamente a costruire un futuro sereno per i pensionati, attraverso la garanzia di una cospicua integrazione della pensione pubblica e di un tasso di sostituzione adeguato. In Europa, le imprese assicuratrici svolgono un ruolo importante e attivo sia attraverso l’offerta di polizze assicurative sia attraverso la gestione di fondi pensione. Le imprese di assicurazioni operanti in Italia hanno un peso rilevante nel sistema pensionistico, gestendo circa il 39% delle masse raccolte. 2 Già oggi e ancor più in prospettiva, le imprese di assicurazione avranno un ruolo e una responsabilità importante nell’attività di erogazione delle rendite della previdenza complementare. L’Ania propone alcune raccomandazioni indirizzate ai legislatori, tali da permettere al mercato assicurativo di esprimere appieno il proprio potenziale nel campo della previdenza: 9 Creare spazio per un ulteriore risparmio previdenziale privato. In tutti i sistemi nazionali con elevata contribuzione obbligatoria, come in Italia, il meccanismo previdenziale privato ha dimensioni ridotte. In questa logica, in Italia potrebbe quindi risultare lecito chiedersi se un prelievo obbligatorio del 33% per il finanziamento della previdenza pubblica, a cui si aggiunge il 6,91% di accantonamento TFR, non esauriscano lo spazio per eventuali ulteriori contributi a forme di previdenza privata. Come recentemente argomentato dal Prof. Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia, una soluzione potrebbe essere quella di dirottare, comparabilmente con l’equilibrio dei conti pubblici, una parte della contribuzione dal sistema previdenziale pubblico a quello privato132. 9 Fornire incentivi e armonizzare a livello europeo il sistema di imposizione fiscale, anche per favorire lo spostamento dal risparmio finanziario a breve termine al risparmio a lungo termine. Pur riconoscendo che lo schema ETT133 sia un primo passo verso una forma di incentivazione per lo sviluppo dei piani pensionistici privati in 132 “Compatibilmente con l’equilibrio dei conti pubblici, si può anche valutare lo spostamento verso la previdenza complementare, su base volontaria, di una quota limitata della contribuzione destinata alla previdenza pubblica, che è pari a 33 punti percentuali del salario, il valore di gran lunga più alto tra i maggiori Paesi europei.” Fonte: “Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia sul 2006”, Banca d’Italia, Assemblea Ordinaria dei Partecipanti, 31 maggio 20 133 Sistema in cui i premi corrisposti vengono dedotti dall’imponibile, mentre i guadagni di capitale e le prestazioni corrisposte sono sottoposte a tassazione. 2 Italia, il passaggio al sistema EET134, prevalente in Europa, costituirebbe una formula ancora più efficace di incentivo a livello fiscale. Più in generale, nell’ambito del risparmio finanziario hanno senso politiche volte a favorire il risparmio di lungo termine rispetto a quello speculativo di breve termine. 9 Allungare le scadenze del debito pubblico e favorire l’innovazione finanziaria. L’aumento dell’offerta da parte dello Stato di titoli a lunga scadenza (30 anni e oltre) e di titoli collegati all’inflazione potrebbe, dal lato dell’offerta, stabilizzare il costo del servizio del debito e, dal lato della domanda, sostenere lo sviluppo del mercato delle pensioni private. Inoltre, gli Stati che per pagare le pensioni sopportano il forte rischio derivante dall’aumento della durata della vita umana (longevity risk) dovrebbero studiare la possibilità di sviluppare il mercato dei longevity bonds, con l’obiettivo di ridistribuire, almeno in parte, il rischio sul mercato e di ampliare la gamma di strumenti a disposizione degli investitori istituzionali. Un mercato dei longevity bonds efficiente potrebbe anche determinare un aumento delle rendite della previdenza complementare. Può risultare interessante provare a stimare mediante un semplice modello il possibile contributo positivo della previdenza privata a sostegno dei consumi della popolazione italiana nel 2050, nell’ipotesi che questa diventasse parte integrante dell’architettura pensionistica italiana. Il dato stimato come contributo positivo della previdenza integrativa, può anche essere interpretato in un modo alternativo: se non vengono intraprese le politiche volte a sviluppare la previdenza complementare, esso rappresenta il costo per lo Stato, cui verrebbe verosimilmente chiesto di intervenire. Per stimare l’ammontare di risorse che la previdenza integrativa renderebbe disponibili occorre prima di tutto ricordare che col passare del tempo il tasso di 134 Sistema in cui i guadagni di capitale non sono tassati annualmente. 2 sostituzione garantito dal pilastro pensionistico pubblico diminuisce, mentre quello della previdenza privata tende ad aumentare. Secondo le stime contenute nel “Rapporto di strategia nazionale sulle Pensioni”, preparato nel 2002 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la pensione su cui potrà contare un dipendente del settore privato di 60 anni con 35 anni di contributi che andrà in pensione nel 2030 sarà pari al 64% dell’ultima retribuzione (tasso di sostituzione), composto da un 49,6% di pensione pubblica e da un 14,4% di pensione integrativa, per le quali è stato ipotizzato l’intero conferimento del TFR nonché una contribuzione aggiuntiva del 2,3%. Per un lavoratore che andrà in pensione dieci anni dopo, gli stessi valori saranno pari rispettivamente al 65,2%, di cui 48,5% di pensione pubblica e 16,7% di pensione integrativa. Nel 2050 il tasso di sostituzione della pensione pubblica di un neopensionato sarà pari al 48,1% mentre le forme previdenziali complementari gli garantiranno il 16,7%, per un tasso di sostituzione complessivo del 64,8%. Considerando l’insieme dei pensionati del settore privato in vita nel 2050, si può stimare che poco più dei quattro quinti del reddito pensionistico proverrà dal pilastro pubblico e un quinto da quello privato. Poiché nel 2050 la spesa pensionistica pubblica sarà pari al 14% del PIL, secondo le previsioni formulate dalla Ragioneria dello Stato nel dicembre 2006, è possibile stimare che la creazione di un solido sistema previdenziale “multipilastro” potrebbe determinare un flusso annuo di pensioni complementari che nel 2050 sarebbe pari al 3,5% del PIL. Le assicurazioni giocheranno un ruolo molto importante nell’attività di gestione del risparmio della previdenza integrativa (oggi esse intermediano circa il 40% delle masse accumulate) e, ancor più, in quella di erogazione delle rendite135. 135 La prestazione tipica e naturale dei piani pensionistici della previdenza complementare è costituita dalla rendita vitalizia. La legge vede con sfavore la liquidazione della prestazione pensionistica complementare in un’unica soluzione e pone un divieto alla liquidazione in capitale di un importo superiore al 50% di quanto maturato. Tuttavia, per evitare l’erogazione di rendite di importo modesto e gli oneri conseguenti, la legge consente l’erogazione in capitale dell’intero importo maturato qualora la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale risulti di ammontare inferiore al 50% dell’assegno sociale. 2 Le regole della previdenza complementare, tenuto conto che l’erogazione di rendite comporta l’assunzione di rilevanti rischi sul piano demografico e finanziario, prevedono in via di principio che la stessa venga effettuata dalle imprese di assicurazione vita con le quali i fondi pensione debbono stipulare apposite convenzioni. Ai fondi è tuttavia consentito di erogare direttamente le rendite, previa autorizzazione ministeriale subordinata alla sussistenza di diverse condizioni, tra le quali la stipulazione di una “convenzione di assicurazione contro il rischio di sopravvivenza in relazione alla speranza di vita oltre la media”. È necessario sottolineare che l’ipotesi fondamentale dell’esercizio di simulazione è che l’intero flusso del TFR sia destinato alla previdenza complementare e che a questo si aggiunga un contributo del 2,3% della retribuzione versato dal datore di lavoro e dai lavoratori. 2 Capitolo VI L’INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVA 6.1 Introduzione: cinque anni dopo la Direttiva 2002/92/CE – 6.2 Analisi della Direttiva 2002/92/CE - 6.3 L’implementazione della Direttiva in alcuni Stati Membri – 6.4 Analisi comparativa dell’implementazione dell’IMD – 6.5 Italia: osservazioni sul Nuovo Codice delle Assicurazioni – 6.6 Italia: regolamento ISVAP n. 5/2006 – 6.7 Regolamento ISVAP n.5/2006: tutela dell’assicurato nei casi di insolvenza dell’intermediario – 6.8 La fase delle trattative contrattuali: obblighi e responsabilità di intermediari ed assicuratori – 6.9 Il registro unico degli intermediari – 6.10 L’importanza dell’intermediazione all’interno del mercato assicurativo – 6.11 Osservazioni sull’impatto delle novità legislative sul mercato e sulla professione 6.1 Introduzione: cinque anni dopo la Direttiva 2002/92/CE La direttiva sull’intermediazione assicurativa136 (IMD) è stata adottata dall’unione europea nel 2002. Gli intermediari assicurativi giocano un ruolo centrale nella distribuzione e vendita dei prodotti assicurativi. Gli obiettivi della Direttiva erano chiari: 9 Introdurre un singolo passaporto per gli intermediari, così come è stato fatto per le compagnie assicurative e riassicurative. Tale singolo passaporto si realizza nella registrazione da parte dello Stato Membro originario che provvede ad informare lo Stato ospite che l’intermediario ha intenzione di offrire i propri servizi transfrontalieri o di stabilirvisi. 9 Un livello di protezione dei consumatori uniforme in tutta l’Unione. A tale scopo gli intermediari devono soddisfare determinati requisiti professionali, e i consumatori devono ricevere specifiche informazioni prima di concludere ogni contratto. Oltre a questo la Direttiva obbliga gli 136 Per una prima analisi del contenuto della direttiva 2002/92/CE, sull’intermediazione assicurativa si veda il capitolo 2 paragrafo 6 della tesi, ed il paragrafo 2 del presente capitolo. 2 Stati Membri a predisporre procedure di “lamentela” nei confronti delle compagnie a favore dei consumatori, assicurando in ogni caso che ad ognuna di esse venga data risposta. L’Unione Europea ha riposto particolare interesse in questo punto, soprattutto per quel che riguarda la divisione delle responsabilità da parte degli Stati d’origine e ospite. 9 Stabilire un connessione ottimale tra le autorità competenti degli Stati Membri. Riguardo questo obiettivo, è stato fatto molto dal 2002 ad oggi, e recentemente il CEIOPS ha pubblicato un protocollo sulla cooperazione. Il protocollo descrive il modo in cui le autorità competenti intendono cooperare per far funzionare il meglio la Direttiva Comunitaria. Un grande numero di dubbi e domande sono state sollevate dagli addetti ai lavori riguardo le previsioni della Direttiva. Ad esempio un problema interpretativo prioritario è stato quello di determinare quale dovesse essere il meccanismo per realizzare la comunicazione tra autorità competenti nelle attività transfrontaliere, e chi dovesse avviare le eventuali procedure di comunicazione. Un altro punto chiave è l’interpretazione relativa al rapporto tra IMD e MIFID137. E’ necessario stabilire una relazione ragionevole a livello nazionale in modo tale che gli intermediari offerenti servizi di investimento e assicurativi non siano soggetti ad un eccessivo carico di regole. Ad oggi lo stato di implementazione dell’ IMD è considerevolmente migliorato. Lo Stato Membro che ha implementato per ultimo la Direttiva è stato la Germania, con una legge entrata in vigore il 22 maggio 2007. 137 La Mifid è una Direttiva di armonizzazione massima che disciplina gli intermediari e i mercati finanziari. Essa si occupa di ridefinire il quadro istituzionale comunitario del mercato dei servizi e delle attività di investimento e dei mercati regolamentati, ed è articolata in tre atti normativi: 9 La direttiva di primo livello 2004/39/CE, c.d. Direttiva Mifid. 9 La direttiva di secondo livello 2006/73/CE, relativa ai requisiti di organizzazione delle imprese di investimento e alle modalità di svolgimento dei servizi e delle attività di investimento. 9 Il regolamento di secondo livello, 1287/2006, relativo alle operazioni di negoziazione, alla trasparenza dei mercati di negoziazione e all’ammissione di strumenti finanziari alle negoziazioni. 2 La Commissione ha inviato a tutti gli Stati Membri richieste di ulteriori informazioni e chiarificazioni relativamente all’implementazione. Una di queste richieste, ad esempio, è stata indirizzata all’Irlanda, e l’autorità competente dello Stato ha informato la Commissione che è in cantiere una revisione dell’attuale della Regolamentazione sulla Mediazione Assicurativa, in modo tale da migliorarne ulteriormente la portata. L’implementazione dell’IMD ha portato anche un piccolo numero di problemi pratici. In Germania ad esempio la situazione è abbastanza controversa, implicando un grandissimo dispendio di energie: la registrazione obbligatoria degli intermediari coinvolge un numero elevatissimo di soggetti, circa 500000. In altri Stati Membri, otto pagine del giornale ufficiale dell’ UE sono stati trasformati in centinaia di pagine di complesse regole locali, in modo tale da rendere la comprensione e le valutazioni su base locale decisamente complesse. La Commissione, però, non può avviare un periodo di valutazione che abbia consistenza e che produca risultati attendibili finché tutti gli Stati Membri non abbiano completato appieno l’implementazione dell’IMD, ed è comunque necessario attendere un periodo di tempo tale da permettere alle autorità e agli addetti di assimilare profondamente le modifiche. In pratica la Direttiva sarà oggetto di prove e valutazioni “in corsa”. Il CEIOPS ha già annunciato che il suo Working Party continuerà a funzionare, e che una delle cose che esso vorrebbe approfondire è il modo in cui la Direttiva potrà essere ulteriormente migliorata nel futuro. E’ programmato, per il 2008, un report che esporrà le opinioni degli esperti del CEIOPS in luce di quelle esposte dagli studi effettuati degli Stati Membri; naturalmente è necessario che anche gli addetti ai lavori diano il proprio apporto a questi studi: tutto ciò potrebbe portare ad un aggiustamento e ad un miglioramente progressivo della Direttiva. 2 6.2 Analisi della Direttiva 2002/92/CE La Direttiva sull’Intermediazione Assicurativa introduce i requisiti professionali minimi per tutti gli intermediari europei e richiede loro di registrarsi presso un’autorità competente nello Stato Membro d’origine. La Direttiva stabilisce anche il livello minimo di informazione che gli intermediari devono fornire ai consumatori prima di concludere qualunque contratto. Una volta riscontrati i requisiti richiesti nel paese d’origine, gli intermediari assicurativi possono operare in qualunque Stato Membro. Pubblicata nel dicembre del 2002, la Direttiva avrebbe dovuto essere implementata prima del 15 gennaio 2005 in tutti gli Stati Membri. La sua implementazione ha, però, subito numerosi ritardi in alcuni paesi; e per di più molti hanno osservato che la trasposizione nelle legislazioni nazionali, non è stata uniforme in tutta Europa. Diversi commentatori, questi fatti ostacolano la realizzazione del mercato assicurativo unico per l’intermediazione assicurativa e, oltre a questo, potrebbero produrre costi superiori per quegli intermediari operanti in paesi nei quali l’ IMD è stata implementata più velocemente, o dove i legislatori nazionali hanno interpretato erroneamente la Direttiva. Come si è detto (6.1) l’IMD ha l’obiettivo di permettere agli intermediari assicurativi (broker, agenti, operatori di bancassicurazioni, ecc..) di operare in tutta l’UE, sotto il regime di libertà di stabilimento o liberà prestazione di servizi, pur mantenendo un altissimo livello di protezione del consumatore. La Direttiva si applica solamente alle persone che forniscono servizi di mediazione assicurativa a terzi in cambio di una remunerazione138. Non si applica 138 L’articolo 2.3 della Direttiva dispone che l’intermediazione assicurativa include le attività: “le attività consistenti nel presentare o proporre contratti di assicurazione, o compiere altri atti preparatori o relativi alla conclusione di tali contratti, ovvero nel collaborare, segnatamente in caso di sinistri, alla loro gestione ed esecuzione. Sono escluse le attività esercitate dalle imprese di assicurazione nonché dagli impiegati di un'impresa di assicurazione che agiscono sotto la responsabilità di tale impresa. Sono altresì escluse le attività di informazione fornite a titolo accessorio nel contesto di un'altra attività professionale, sempre che l'obiettivo di questa attività non sia quello di assistere il cliente nella conclusione o nell'esecuzione di un contratto di assicurazione o la gestione di sinistri per un'impresa di assicurazione su base professionale o le attività di liquidazione sinistri e di consulenza in materia di sinistri”. Non viene perciò inclusa la vendita diretta, quando cioè questa venga effettuata direttamente dalla compagnia assicurativa o dai suoi impiegati. 2 alle persone che forniscono consulenza su coperture assicurative in maniera accessoria ad altre attività professionali (articolo 2.3 della Direttiva), o come attività non prevalente a condizioni molto stringenti139. Le principali previsioni dell’IMD riguardano: 9 La registrazione obbligatoria e i requisiti professionali degli intermediari assicurativi (capo II della Direttiva). 9 Gli obblighi di informazione degli intermediari a tutela dei consumatori (capo III della Direttiva). 6.2.1 Registrazione obbligatoria e requisiti professionali Le regole disciplinati nel Capo II della Direttiva sottopongono tutti gli intermediari assicurativi e riassicurativi di tutti gli Stati Membri alla registrazione presso un’appositamente designata autorità competente. La registrazione degli intermediari è subordinata al possesso di determinati e stringenti requisiti professionali e permette loro di operare in tutta l’UE, dopo previa notificazione all’autorità competente del paese di origine di volere operare la mediazione assicurativa in un altro Stato Membro. I requisiti professionali considerati dalla Direttiva riguardano la competenza, l’onestà, le capacità professionali e finanziarie, degli intermediari 139 L’articolo 1.2 della Direttiva dispone che: “La presente direttiva non si applica a soggetti che propongono servizi di intermediazione per contratti assicurativi ove siano soddisfatte tutte le condizioni seguenti: a) il contratto di assicurazione richiede soltanto conoscenze sulla garanzia assicurativa fornita; b) non si tratta di un contratto di assicurazione sulla vita; c) il contratto di assicurazione non copre i rischi di responsabilità civile; d) l'attività professionale principale del proponente il contratto non consiste nell'intermediazione assicurativa; e) l'assicurazione è complementare rispetto al prodotto o servizio fornito dall'intermediario e copre: i) i rischi di deterioramento, perdita o danneggiamento dei beni forniti dall'intermediario, o ii) danneggiamento o perdita del bagaglio e altri rischi connessi con il viaggio prenotato presso l'intermediario, anche se si tratta di un contratto che assicura il ramo vita o i rischi di responsabilità civile, purché la garanzia abbia natura accessoria rispetto alla garanzia principale relativa ai rischi connessi con tale viaggio; f) l'importo del premio annuale non eccede 500 EUR e la durata complessiva del contratto di assicurazione, compresi eventuali rinnovi, non è superiore a cinque anni.”. 2 assicurativi. Ad esempio l’articolo 4.1 della Direttiva dispone che “Gli intermediari assicurativi e riassicurativi devono possedere adeguate cognizioni e capacità, determinate dai rispettivi Stati membri d'origine”. Questi requisiti possono variare in base all’attività svolta (assicurazione, riassicurazione), ed ai prodotti distribuiti. Un altro elemento fondamentale è quello dell’onorabilità140, è necessario che l’intermediario abbia quantomeno la fedina penale pulita (soprattutto per quel che riguarda i crimini contro la propietà o oltri crimini relativi alle attività finanziari) e che non sia stato precedentemente dichiarato fallito e non riabilitato. Agli intermediari viene inoltre richiesto di contrarre una polizza assicurativa per la responsabilità professionale valida in tutta Europa con un massimale minimo di 1.000.000 di Euro per sinistro, e di 1.500.000 di Euro per anno assicurativo (articolo 4.3). L’articolo 4.4 dell’IMD richiede agli Stati Membri di adottare misure relative alle somme versate dai clienti, in modo tale da garantirli da eventuali insolvenze dell’intermediario. L’articolo 4.6 della Direttiva permette inoltre agli Stati Membri di adottare requisiti ulteriori e più stringenti rispetti a quelli previsiti dall’IMD, validi per gli intermediari che vogliano iscriversi all’interno della loro giurisdizione. L’articolo 5 della Direttiva introduce la possibilità di mantenere i diritti acquisiti. In altre parole, gli Stati Membri hanno la possibilità di decidere che gli operatori attivi nella mediazione assicurativa prima del giorno 1 settembre 2000 venissero inclusi nel registro degli intermediari mediante la presunzione che essi posseggano un livello di professionalità ed esperienza pari a quello richiesto dall’IMD. 140 Art 4.2 IMD “Gli intermediari assicurativi e riassicurativi devono possedere il requisito dell'onorabilità. Essi devono possedere almeno un certificato penale immacolato o analogo requisito nazionale in riferimento a gravi illeciti penali connessi con reati contro il patrimonio o altri reati in relazione ad attività finanziarie e non devono essere stati dichiarati falliti, salvo che sia intervenuta la riabilitazione a norma del diritto nazionale.”. 2 6.2.2 Obblighi di informazione degli intermediari L’articolo 12.1 della Direttiva (nel Capo III) descrive la quantità minima di informazioni che gli intermediari assicurativi devono fornire ai clienti prima della conclusione di qualunque contratto. Un intermediario deve specificare: 9 Nome, cognome ed indirizzo; il registro nel quale è iscritto; se detiene più del dieci per cento dei voti o del capitale di una data compagni assicurativa; se una compagnia assicurativa detiene più del dieci per cento dei voti e del capitale dell’intermediario; le procedure a disposizione dei clienti per presentare ricorso. 9 “se egli fornisca consulenze fondate sull'obbligo di cui al paragrafo 2 di fornire un'analisi imparziale; o se sia tenuto, in virtù di un obbligo contrattuale, a esercitare l'attività di intermediazione assicurativa esclusivamente con una o più imprese di assicurazione. In tal caso, egli comunica, su richiesta del consumatore, la denominazione di tali imprese; ovvero se non sia vincolato ad alcun obbligo contrattuale di esercitare attività di intermediazione assicurativa esclusivamente con una o più imprese di assicurazione e non fornisca consulenze fondate sull'obbligo di cui al paragrafo 2 di fornire un'analisi imparziale. In tal caso, egli comunica, su richiesta del consumatore, la denominazione delle imprese di assicurazione con le quali ha o potrebbe avere rapporti d'affari”. L’articolo 12.2 della Direttiva prevede che se un intermediario fornisce consulenza sulla base di un’analisi imparziale, egli ha l’obbligo di fornire un ventaglio sufficientemente ampio di prodotti disponibili sul mercato, così che la proposta che ha scelto sia motivatamente quella adeguata a soddisfare le esigenze del cliente. Per di più, in base all’articolo 12.3, prima della conclusione del contratto l’intermediario deve precisare le richieste e le esigenze di tale consumatore e le ragioni su cui si fonda qualsiasi consulenza fornita su un determinato prodotto. 2 Come previsto per il Capo precedente, la Direttiva permette agli Stati Membri di adottare requisiti maggiormente stringenti, applicabili a tutti gli intermediari operanti nella giurisdizione, anche registrati in altri paesi dell’UE. Infine, l’articolo 13.1 della Direttiva dispone che le informazioni debbano essere fornite in forma cartacea, ovvero in forma accessibile a qualunque cliente, ed in maniera chiara ed accurata, e, soprattutto, compensibile. Le informazioni, comunque possono essere fornite in forma orale su richiesta del cliente, o dove vi è una necessità di immediata copertura assicurativa. La deadline per la trasposizione dell’IMD nelle legislazioni degli Stati Membri è stata prevista per il giorno 15 gennaio 2005. Ciò nonostante, pochi paesi (Austria, Danimarca, Irlanda, Inghilterra) sono riusciti nell’implementazione prima della scadenza del termine. Nella maggior parte dei paesi Europei la Direttiva è stata implementata nel tardo 2005 oppure durante il 2006. Il fanalino di coda è la Germania che, nel 2007, non ha ancora completamente implementato l’IMD. 2 6.3 L’implementazione della Direttiva in alcuni stati membri 6.3.1 Austria L’IMD è stato implementato in Austria il 29 Novembre 2004 con la legge modificativa del precedente framework, entrata in vigore il 15 gennaio 2005, come richiesto dalla Direttiva. La legge sull’intermediazione dispone che gli intermediari debbano registrarsi preso le autorità distrettuali (Bezirksverwaltungsbehörde), che sono a loro volta supervisionati dal Ministero Federale dell’Economia e del Lavoro. Il Ministero Federale è anche autorità competente per il registro centrale degli intermediari assicurativi, poiché esso centralizza i dati inviati dalle autorità distrettuali. L’Autorità per i Mercati Finanziari (FMA) è l’autorità competente per quel che riguarda gli intermediari che sono impiegati presso gli istituti di credito. Lo statuto precedente richiedeva che agenti e broker si iscrivessero tutti presso un registro centrale, invece di prevedere uno specifico registro per intermediari assicurativi, mentre i requisiti professionali già previsti erano molto simili a quelli disciplinati successivamente dall’IMD. Tutto ciò ha permesso agli intermediari già iscritti ai registri austriaci di riscontrare appieno i requisiti richiesti dall’IMD sull’onorabilità e sulle qualifiche professionali. I requisiti della Direttiva sono comunque più stringenti per quel che riguarda la bancarotta. 6.3.2 Belgio Il Belgio ha implementato l’IMD il 15 marzo 2006, con l’entrata in vigore della nuova legge che è andata a sostituire il precedente framework risalente al 1995. L’autorità competente alla supervisione degli intermediari assicurativi in Belgio è la CBFA (Commission Bancaire, Financiere et des Assurances). Dal 1 gennaio 2004 l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni è stata assorbita da CBFA, che è quindi attualmente l’unica autority per l’intero settore dei servizi finanziari. 2 Prima dell’implementazione dell’IMD all’interno della legislazione belga, gli intermediari assicurativi (inclusi broker, agenti e subagenti) erano soggetti a regolamenti statutari, come descritto dalla legge 27 marzo 1995. L’impatto della Direttiva è stato abbastanza ridotto su questo sistema di norme, in quanto è stato osservato che “the IMD was prepared during the Presidency of Belgium and was therefore largely inspired by the existing Belgian legislation.”141 6.3.3 Francia La Francia ha implementato la Direttiva nella legislazione nazionale nel dicembre del 2005 con la legge n. 2005-1564 del 15 dicembre 2005, che è andata a modificare il libro quinto del Codice delle Assicurazioni. La regolamentazione statutaria della mediazione assicurativa era già esistente in Francia prima dell’implementazione dell’IMD. In particolare la mediazione assicurativa era regolamentata dal Codice delle Assicurazioni (Code des Assurances), pubblicato per la prima volta nel 1976. L’autority di vigilanza per il settore è attualmente l’ ACAM (Autorité de contrôle des assurances et des mutuelles). La registrazione degli intermediari, tuttavia, è sottoposta alla vigilanza di un’agenzia separata (ORIAS), che è andata a sostituire la vecchia autority competente, l’ ALCA (Association de la Liste des Courtiers d’Assurances). 6.3.4 Germania La Germania ha implementato solo recentemente l’IMD all’interno della legislazione nazionale: la legge è stata pubblicata dalla Gazzetta Federale il 22 dicembre 2006 ed è entrata in vigore il 22 maggio 2007. L’implementazione della Direttiva rappresenta un profondo cambiamento per il settore, poiché in Germania gli intermediari assicurativi (inclusi broker, agenti e subagenti) non erano sottoposti ad alcun obbligo di registrazione, né ad autorizzazioni. 141 C/M/S, IMD Guide – Selling Insurance Across Europe – January 2006, page 22 2 Dopo lunghe discussioni, la locale Camera dell’Industria e del Commercio è stata designata come autorità competente e responsabile per la predisposizione del registro degli intermediari. 6.3.5 Italia Nel settembre del 2005 il governo italiano ha pubblicato il Nuovo Codice delle Assicurazioni (d.lgs. 209/2005), che ha implementato l’IMD all’interno della legislazione italiana. Il Nuovo Codice è entrato in vigore il 1 gennaio 2006, ciò nonostante l’ISVAP (Istituto di Vigilanza Assicurazioni Private) ha ricevuto ulteriori 24 mesi da quella data per adottare i singoli provvedimenti. Nell’ottobre del 2006 l’ISVAP ha approvato il provvedimento relativo alla mediazione assicurativa (circolare n.5 del 16 ottobre 2006). Questa circolare introduce il RUI (Registro Unico degli Intermediari) che include agenti, broker, collaboratori, banche, impiegati, ecc. Il RUI è operativo dal 1 gennaio 2007. La mediazione assicurativa era già sottoposta a regolamentazione dal 1984 con la legge 792/1984, quando fu creato un registro di intermediari assicurativi obbligatorio. Il registro originario, comunque, includeva solo 2 categorie, rispetto alle 5 inserite all’interno del nuovo registro. L’ISVAP è l’autorità di vigilanza del settore assicurativo ed è indimendente dalla CONSOB, l’autorità Italiana dei servizi finanziari. Il Nuovo Codice delle Assicurazioni dispone altresì che tutte le competenze relative all’intermediazione assicurativa fossero trasferite completamente all’ISVAP. 6.3.6 Paesi Bassi L’IMD è stato inserito inizialmente nella legge olandese mediante il “Financial Services Act” (Wet financiële dienstverlening – Wfd) del 12 maggio 2005 che è entrato in vigore il 1 gennaio 2006. Il Wfd è successivamente stato integrato dall’ “Act on Financial Supervision” (Wet op het financieel toezicht – Wft) del 26 settembre 2006 che è entrato in vigore il 1 gennaio 2007. 2 L’autorità di vigilanza è l’AFM (Autority Financial Markets), che è competente alla supervisione di tutti i servizi finanziari nei Paesi Bassi. La mediazione assicurativa, così come la consulenza (all’interno di un’attività professionale che sfoci nella raccomandazione di uno specifico prodotto) è stata oggetto del Financial Services Act, implementativo dell’IMD, e della sua successiva integrazione. Gli intermediari erano già soggetti all’obbligo di registrazione prima della Direttiva. I precedenti requisiti per la registrazione includevano la prova di esperienza e competenza mediante certificati di formazione, e il requisito dell’onorabilità comprendente nessun precedente penale e nessuna bancarotta. 6.3.7 Spagna La Spagna ha implementato l’IMD il 17 luglio 2006 con l’approvazione e pubblicazione della legge 26/2006 sulla mediazione delle assicurazioni e riassicurazioni private (Ley de mediación de seguros y reaseguros privados, in Spanish). Prima dell’implementazione della Direttiva, il framework legislativo sulla mediazione assicurativa in Spagna era contenuto nella legge 9/1992. La nuova legge è costruita intorno a tre principi fondamentali: 9 l’introduzione di nuovi intermediari (come gli agenti assicurativi connessi a più compagnie assicurative); 9 uguaglianza di trattamento di tutti gli intermediari, inclusa l’uguaglianza dei requisiti professionali; 9 istituzione di requisiti di trasparenza a protezione dei consumatori. L’autorità competente è il Direttorato Generale delle Assicurazioni e dei Fondi Pensione (Dirección General de Seguros y Fondos de Pensiones, DGS). Il DGS è una divisione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ed è separato dall’autority competente per i servizi finanziari in genere, il CNMV. Il precedente framework prevedeva che solo i broker fossero soggetti ad obbligo di registrazione, poiché gli agenti assicurativi erano formati e registrati 2 presso le rispettive compagnie assicurative. Le compagnie assicurative organizzavano i propri registri di agenti e si assumevano la responsabilità amministrativa per essi. Come risultato, alle compagnie assicurative non veniva richiesto di essere registrate o autorizzate nel caso operassero mediazione assicurativa mediante vendita diretta ai consumatori. Il nuovo regime richiede a tutti gli intermediari di registrarsi presso il supervisore, in rispetto del principio dell’uguaglianza di trattamento. 6.3.8 Regno Unito Il Regno Unito ha implementato la Direttiva il 14 gennaio 2005. Dal dicembre del 2001 il ministero del tesoro ha designato l’FSA come l’autorità competente all’implementazione dell’IMD. La trasposizione dell’IMD all’interno della legislazione britannica ha rappresentanto un importante cambiamento nella regolamentazione della mediazione assicurativa, poiché l’industria non era soggetta ad alcuna regolamentazione statale prima dell’IMD. Nel periodo pre-IMD il GISC (General Insurance Standards Council), un’organizzazione indipendente autonomamente creata dall’industria assicurativa, predisponeva gli standard per i suoi oltre 6000 membri, circa un terzo dell’intero mercato. 2 6.4 Analisi comparativa dell’implementazione dell’IMD In questo paragrafo si esamina in maniera maggiormente approfondita l’implementazione della Direttiva in Francia, Germania, Olanda e nel Regno Unito. L’analisi dimostra che esistono un ampio numero di differenze tra i vari paesi, alcune delle quali si spiegano mediante il tipo di regolamentazione in vigore precedentemente all’implementazione dell’IMD, oppure mediante l’approccio scelto dal legislatore per l’implementazione stessa. Queste differenze si traducono anche in costi diversi che gli intermediari sono costretti ad affrontare nei vari paesi. I punti cardine dell’analisi sono: 9 lo scopo del legislatore nazionale nell’implementazione; 9 il mantenimento dei diritti preacquisiti (grandfathering); 9 l’orientamento regolatorio dell’autorità competente; 9 i requisiti in materia di competenza ed onorabilità; 9 l’assicurazione sulla responsabilità professionale, la protezione dei capitali dei clienti, e i margini di solvibilità; 9 la quantità minima di informazione da fornire ai consumatori; 9 i costi per adeguare la mediazione assicurativa dopo l’implementazione. 6.4.1 Scopo del legislatore nazionale nell’implementazione dell’IMD La Direttiva non si applica alla vendita diretta di prodotti assicurativi da parte delle compagnie, e oltre a questo fornisce una lista di esenzioni, come ad esempio quelle relative all’assicurazione dei veicoli, e alle assicurazioni di viaggio. Lo scopo dell’IMD e la lista delle esenzioni risultano essere diverse nei quattro paesi selezionati. Per esempio, le compagnie assicurative che vendono direttamente i loro prodotti devono seguire le regole dell’IMD nei Paesi Bassi e nel Regno Unito (dove l’attività di vendita di prodotti assicurativi è 2 regolamentata, indipendentemente dal canale di vendita), mentre in Germania e Francia la vendita diretta non rientra nell’ambito dell’IMD. Le legislazioni nazionali in Francia, Germania e nei Paesi Bassi seguono pedissequamente l’elencazione fornita dall’art.1 della Direttiva, con alcune differenze trascurabili. In Gran Bretagna invece, la legislazione supera addirittura i requisiti minimi richiesti dall’IMD, dato che persino le coperture assicurative relative a veicoli a motore, con premi inferiori ai 500 Euro sono comprese nell’ambito della legge. 6.4.2 Mantenimento di diritti acquisiti (grandfathering) L’articolo 5 dell’IMD permette esplicitamente agli Stati Membri di includere nei nuovi registri persone che: esercitavano la mediazione assicurativa prima del 1 Settembre 2000, oppure erano già iscritte a registri preesistenti, o erano in possesso di competenza ed esperienza simili a quella richiesta dalla Direttiva. Questo è un esempio di “grandfathering”, mediante il quale gli intermediari in possesso di esperienza prima dell’introduzione della Direttiva potessero ritagliarsi il loro posto all’interno del registro. Tre dei paesi selezionati per l’analisi hanno fatto uso di questo metodo, previsto dalla Direttiva. In Francia, ad esempio, i broker che erano già iscritti nel registro tenuto dall’ALCA sono stati automaticamente registrati in quello nuovo, creato dall’ORIA, dopo pagamento della quota di iscrizione annuale. Oltre a questo, gli intermediari attivi nella vendita di prodotti assicurativi per due anni prima del gennaio 2007 sono stati automaticamente inclusi nel registro dell’ORIAS senza dover compiere ulteriore formazione o ricevere alcun diploma. Sorprendentemente, in Germania, dove non vi era alcuna legislazione statale in vigore prima dell’IMD, il grandfathering è stato implementato in ugual maniera. Gli intermediari attivi dall’agosto del 2000 non devono sottoporsi ad alcun esame se decidono di iscriversi al registro entro il 2009. Un regime simile è stato predisposto nei Paesi Bassi, dove gli intermediari già attivi ed in possesso di una certa quantità di esperienza, o di un diploma, hanno 2 ricevuto automaticamente una licensa dall’AFM, se ne avessero fatto richiesta entro tre mesi dalla legge del 2005. Nel Regno Unito questo fenomeno non è stato considerato, nonostante i partecipanti al GISC rappresentassero circa un terzo del numero totale di intermediari attivi nel mercato. 6.4.3 La scelta, e lo stile regolatorio dell’autorità competente Vi sono chiare e significative differenze tra i tipi di istituzioni selezionate come autorità competenti nei paesi in oggetto. Anche lo stile regolatorio si differenzia molto. L’analisi focalizza il tipo di processo di consultazione utilizzato e il modo in cui l’industria assicurativa è stata monitorata. Sia in Gran Bretagna che nei Paesi Bassi le autorità preesistenti, responsabili per l’intero settore finanziario (rispettivamente FSA, e AFM), sono state designate come autorità competenti alla regolamentazione dell’intermediazione assicurativa. In entrambi i paesi la scelta del FSA e dell’AFM rappresenta un significativo cambiamento rispetto al regime preesistente. L’FSA in Gran Bretagna è andato a sostituire un regime completamente volontario implementato dal GISC, e così è stato nei Paesi Bassi, dove l’AFM ha rimpiazzato la supervisione del SFD, che era incaricata di registrare gli intermediari e non svolgeva alcuna effettiva attività di supervisione. Entrambe l’autorità hanno istituito delle consultazioni pubbliche con l’industria ed hanno partecipato alla progettazione delle regole per gli intermediari assicurativi. Dai dati disponibili sembra che questo processo di consultazioni sia stato maggiormente lungo ed elaborato nei Paesi Bassi, dove sono state istituite diverse commissioni per definire le nuove regole. Vi è stata comunque una grandissima differenza nell’approccio al cambiamento. Nei Paesi Bassi, un incremento del numero degli intermediari così repentino è stato visto come potenzialmente problematico e il legislatore ha supportato l’idea di creare l’organo SFTD, il quale assiste gli intermediari nei vari adempimenti obbligatori annuali. 2 Nel Regno Unito, invece, è stato deciso di eliminare totalmente il GISC nel momento in cui FSA ha ricevuto la completa responsabilità della regolamentazione del settore. In Francia, l’implementazione dell’IMD non rappresentava un particolare strappo con il passato, poiché gli intermediari (in particolar modo i broker) erano già soggetti alla regolamentazione statale. Per quel che riguarda lo stile di regolamentazione, le fonti provenienti dall’industria sostengono che l’ACAM, l’autorità competente Francese, è stata sicuramente un interlocutore meno proattivo nel richiedere feedback ed interazioni con l’industria stessa, quantomeno rispetto a quello che si è visto con le autority FSA e AFM. Va notato, comunque, che l’ACAM è stata creata nel 2005 e che non vi sono ancora elementi sufficienti per formulare un giudizio preciso. L’ACAM non è responsabile della creazione e del mantenimento del nuovo registro degli intermediari, che è sottoposto alla responsabilità dell’ORIAS, ciò nonostante il legislatore si attende un’ampia collaborazione e scambio di informazioni tra i due organi istituzionali. Dopo un lungo dibattito, la legge tedesca di implementazione dell’IMD ha disposto che la Camera di Commercio (IHKN) fosse responsabile sia dell’autorizzazione che della registrazione degli intermediari, sotto la supervisione del Ministero dell’Economia. Questo processo è tutt’ora in corso, ed anche in questo caso non sembra opportuno effettuare valutazioni sulla base delle informazioni in possesso a riguardo dello stile regolatorio adottato dall’IHKN. 6.4.4 Requisiti relativi alla competenza ed all’onorabilità L’articolo 4.1 della Direttiva richiede che gli intermediari assicurativi e riassicurativi siano in possesso di appropriate conoscenze e competenze, determinate dallo Stato Membro dell’intermediario. L’articolo 4.2 dispone altresì che gli intermediari debbano avere il requisito dell’onorabilità, così come visto nei paragrafi precedenti. Nella Direttiva, la formulazione di questi requisiti è generica, ed è stata implementata in modalità differente negli Stati Membri. 2 Nel Regno Unito l’FSA ha richiesto agli intermediari assicurativi di superare un determinato test personale che riguarda: 9 l’onestà, l’integrità e la reputazione; 9 la competenza e le capacità; 9 la stabilità finanziaria. Gli intermediari nel Regno Unito hanno un grado di flessibilità superiore in questo campo rispetto a quelli degli altri paesi, poiché non vi è nessun requisito di ammissione specifica alla professione. Viceversa, le legislazioni di altri Stati Membri sono molto più stringenti in materia. Ad esempio nei Paesi Bassi gli intermediari devono dimostrare di essere “adeguati” solamente per ricevere la licensa ad esercitare. Per fare ciò devono produrre un certificato di buona condotta e non devono essere stati dichiarati falliti nel passato. La legislazione richiede anche che, nella maggioranza dei casi, gli intermediari perseguiscano uno specifico diploma. Per di più, la legge integrativa del 2006 introduce anche l’obbligo dell’aggiornamento costante, in funzione del quale gli intermediari devono frequentare specifici corsi e seminari (e superare determinati esami). In Francia i requisiti per l’operatività seguono la stessa falsariga, ma sono preesistenti all’implementazione della Direttiva, ne è un esempio l’articolo L3222 del Libro V del Codice delle Assicurazioni (condition d’honorabilité)142. I requisiti di competenza, comunque, variano a seconda della categoria dell’intermediario. I Broker, ad esempio, ed i manager delle compagnie di brokeraggio (rispettivamente courtiers e dirigeants) devono completare una formazione di 150 ore, avere un’esperienza professionale di almeno due anni nel management, o quattro anni di esperienza presso compagnie assicurative, o infine aver conseguito uno specifico diploma. Gli agenti sono una categoria differente e devono semplicemnte completare la formazione di 150 ore. 142 Il vigente Codice delle Assicurazioni Francese dispone che le persone condannate per determinati crimini (incluso omicidio, furto, frode, riciclaggio, corruzione) o dichiarate fallite, non possano esercitare la professione di agente o broker. La legge di implementazione dell’IMD ha introdotto ulteriori tipi di crimini ed infrazioni che conducono all’incapacità di esercitare la professione, ed è probabilmente più severa della stessa Direttiva. 2 La legge Tedesca di implementazione ha istituito requisiti molto simili a quelli previsti dal testo della Direttiva. Un’osservazione analitica dell’implementazione degli articoli 4.1 e 4.2 dell’IMD mostra che solo la Germania ha mantenuto l’impostazione prevista dalla Direttiva, alcuni paesi sono sembrati maggiormente flessibili (come l’Inghilterra), altri (come la Francia) sicuramente più approfonditi nell’elencazione dei requisiti. 6.4.5 Obblighi relativi alla responsabilità professionale, alla protezione dei capitali dei clienti, al margine di solvibilità L’IMD introduce, all’articolo 4.3, l’obbligo per gli intermediari assicurativi di possedere una polizza di responsabilità professionale con un massimale minimo di 1.000.000 di Euro per sinistro ed 1.500.000 di Euro per anno assicurativo. Per di più, l’articolo 4.4 richiede agli Stati Membri di adottare misure adeguate per proteggere il denaro dei clienti. L’obbligo di possedere una polizza di indennità professionale è stato implementato in maniera praticamente identica negli Stati Membri, con alcune differenze riguardanti il massimale richiesto. Nel Regno Unito gli intermediari assicurativi, per garantire e proteggere i capitali dei clienti, possono trasferire il rischio ad una compagnia assicurativa. Per di più gli intermediari devono possedere una somma minima di capitale (10.000 Sterline o il 5% delle entrate annuali se maggiori), e riscontrare specifici requisiti di solvibilità. Oltre a questo le regole previste da FSA riguardo il management dei capitali dei clienti sono maggiormente stringenti rispetto a quelle previste dalla Direttiva. Nei Paesi Bassi il legislatore ha fatto sì che i premi pagati dal cliente all’intermediario vengano trattati come se pagati direttamente alla compagnia, mentre i soldi pagati dall’assicuratore all’intermediario non vengono considerati pagati al consumatore finché esso non ne entri in possesso; questa previsione era parte del Codice Civile prima ancora dell’implementazione dell’IMD. 2 In Francia e Germania si assiste a regolamentazioni molto simili, ad esempio in Francia gli intermediari devono garantire una capacità finanziaria minima di 15.000 Euro. 6.4.6 Requisiti minimi di informazione da fornire ai consumatori L’articolo 12 della Direttiva descrive la quantità minima di informazioni che gli intermediari devono fornire ai clienti prima della conclusione di un qualunque contratto. Questi requisiti sono state generalmente rispettati nei paesi oggetto di analisi, ma significativamente espansi sotto alcuni punti di vista, al punto che gli intermediari sono obbligati a fornire una quantità di informazioni sicuramente superiore a quella prevista dalla Direttiva. Nel Regno Unito, ad esempio, ulteriormente alla quantità minima di informazioni richiesta dalla Direttiva, è stata prevista un’elencazione completa dell’informativa relativamente alla polizza. Nei Paesi Bassi, i requisiti specificati dal legislatore nazionale seguono pedissequamente il testo della Direttiva. L’intermediario, comunque, ha anche l’onere di comunicare il proprio livello remunerativo, elemento non presente nelle previsioni dell’IMD. Per quel che riguarda le polizze maggiormente complesse, come le polizze vita, gli intermediari devono tenere un registro delle caratteristiche del cliente (es. posizione finanziaria, precedenti investimenti, propensione al rischio, ecc..) e delle proprie consulenze, da conservare per almeno un anno. L’intermediario deve, inoltre, fornire ai clienti un “risk sheet”, una descrizione standardizzata del rischio presente nel prodotto assicurativo acquistato. Dall’ottobre del 2009, l’intermediario dovrà informare inoltre il cliente riguardo l’ammontare delle commissioni, e su specifica richiesta del cliente stesso, su quanto di queste commissioni spettino all’intermediario per la transazione. Il rinnovato Codice delle Assicurazioni Francese riproduce il testo originale della Direttiva abbastanza fedelmente. Ma anche in questo caso sono stati inseriti ulteriori requisiti. Ad esempio, l’intermediario deve dichiarare in ogni 2 caso il nome della compagnia assicurativa che ha generato una quota superiore al 33% dei suoi affari e delle sue entrate. L’intermediario è altresì soggetto all’obbligo di motivazione scritto delle ragioni per le quali propone uno specifico prodotto assicurativo, nel caso di rischi complessi (grandes risques). Regole speciali si applicano anche alla manifestazione della propria remunerazione; in particolare il broker deve informare i clienti, su loro richiesta, riguardo la remunerazione che egli riceve se il contratto copre rischi professionali (risques professionnels) e il premio annuo supera i 20.000 Euro. Anche in Germania i requisiti di informazione, seppur abbastanza fedeli all’IMD, presentano delle specificazioni143. Una delle differenze più marcate è quella per la quale in Germania gli intermediari hanno bisogno di documentare la loro consulenza in forma scritta, a meno che il cliente non preferisca riceverla in forma orale, oppure la compagnia non si assuma la responsabilità per l’intermediario. La legge Tedesca dispone altresì che l’intermediario debba informare il cliente che non richiedendo documentazione scritta possa venir meno un elemento probatorio in caso di successive richieste di danni per insorta responsabilità dell’intermediario stesso. Gli addetti ai lavori hanno duramente criticato questi ulteriori requisiti, argomentando che si tratta più che altro di elementi burocratici, non presenti in altri Stati Membri. In definitiva, i requisiti extra rispetto al testo della Direttiva sono stati introdotti in quasi tutti gli Stati Membri, particolarmente appunto nel Regno Unito e nei Paesi Bassi. I requisiti extra nella maggior parte dei casi riguardano l’informativa sui costi e sulle commissioni, e spesso si applicano a rischi particolarmente complessi. Valutare l’effettiva utilità di queste informazioni, data anche la relativa novità delle implementazioni, è molto difficile. Nei Paesi Bassi gli addetti ai lavori asseriscono che i consumatori ora possono assumere decisioni maggiormente consapevoli, migliorando di gran lunga la 143 Ad esempio, prima della conclusione del contratto, l’intermediario deve fornire il proprio nome e il nome della compagnia assicurativa, quest’ultimo non richiesto dalla Direttiva. 2 situazione preesistente. L’opinione sull’argomento, nel Regno Unito, è completamente diversa, il Rapporto Davidson ad esempio, commenta che: “much of the extra, non-directive required information is unnecessary and is not read by the consumer and results in consumers shopping around less than they otherwise would. It is expensive for firms to produce and adds to the amount of records that they are required to keep”. 6.4.7 I costi di implementazione E’ opportuno distinguere tra costi diretti (es. tasse e contributi), e costi derivati o di conformità (es. dovuti alla necessità di creare risorse apposite, ulteriori documenti da conservare, ecc..). E’ dimostrato, e confermato dagli addetti ai lavori, che il nuovo framework istituito dall’IMD è sicuramente più costoso del passato. In genere quindi si può affermare che l’attuale regime ha aumentato i costi, ma questo è un dato che comunque va letto anche in chiave di “costi/benefici”. Nel Regno Unito gli intermediari pagano una tassa annuale al FSA e contemporaneamente contribuiscono mediante il Financial Services Compensation Scheme (FSCS) e mediante il Financial Ombudsman Service (FOS). L’ammontare delle tasse da pagare al FSA e dei contributi al FSCS dipende dal rendiconto annuale dell’intermediario. Nel 2006 le tasse al FSA si sono aggirate approssimativamente intorno ai 587 Euro per gli intermediari più piccoli, fino ai 42.697 Euro per quelli più grandi; mentre, i contributi al FSCS sono stati variabili tra i 9 Euro e i 728 Euro. Il FOS invece ha istituito un contributo fisso di 75 Euro, ma gli intermediari devono pagare una certa somma per ogni controversia nella quale incorrano. Nei paesi bassi le tasse annuali per il 2006 sono state tra i 420 Euro e i 14.780 Euro, a seconda della grandezza e dell’attività dell’intermediario. Di gran lunga inferiori i costi in Francia e Germania. In Francia ad esempio la registrazione all’ORIAS costa, nel 2007, fino a 50 Euro, con l’importo 2 non dipendente dal giro di affari dell’intermediario. In Germania le tasse annuali dovrebbero essere tra i 50 e i 100 Euro all’anno. Per quel che riguarda i costi di conformità, molti addetti ai lavori hanno affermato che l’IMD produce una crescita non trascurabile dei costi, sebbene questi costi non siano facilmente quantificabili. Nel Regno Unito, ad esempio, il FSA ha pubblicato numerose analisi costibenefici in allegato alle sue proposte legislative riguardanti la mediazione assicurativa. Ad esempio, nel valutare i costi delle nuove regole sulla vendita e amministrazione di contratti assicurativi, FSA ha stimato che i partecipanti al mercato avrebbero speso approssimativamente 300 milioni di Euro una tantum, e 240 milioni di Euro all’anno (solo relativamente ai costi di conformità). Per di più, il costo dei requisiti addizionali imposti dall’IMD agli intermediari assicurativi ammonterebbe approssimamente a 85 milioni di Euro una tantum, più una somma variabile tra i 106 milioni di Euro e i 310 milioni di Euro. I dati forniti dall’ABI, a riguardo del Regno Unito, asseriscono che l’implementazione dell’IMD abbia portato a costi indiretti per l’adeguamento di circa 400 milioni di Euro. Per di più, l’impatto finanziario del nuovo sistema regolatorio è sembrato essere proporzionalmente più pesante per le compagnie più piccole. Ad esempio il British Insurance Brokers’ Association (BIBA) ha calcolato che gli intermediari con un’entrata annuale di meno di 100.000 Sterline si troverebbero a pagare circa il 5,20% del loro rendiconto, mentre un intermediario che guadagna più di 100 milioni di Sterline pagherebbe solamente l’ 1,13%. Nei Paesi Bassi, i costi amministrativi risultanti dall’introduzione del Financial Services Act sono anch’essi considerevoli. Il governo Olandese stima che gli intermediari dovrebbero spendere ulteriori 21 milioni di Euro all’anno per adeguamento e conformità alle nuove leggi. Non vi sono dati sufficienti per valutare i costi di conformità in Francia e Germania. Le fonti provenienti dall’industria hanno manifestato che il costo di predisposizione del nuovo database predisposto dall’ORIAS in Francia dovrebbe aggirarsi intorno agli 1.600.000 Euro, mentre in Germania le spese per gli esami 2 di qualificazione saranno intorno ai 350 Euro per intermediario, e il costo dell’assicurazione professionale andrebbe a costare circa 1500 Euro all’anno. L’impressione confermata dai dati è quella che sia i costi diretti che quelli di conformità sembrino essere di gran lunga più elevati in Gran Bretagna che in qualunque altro Stato Membro. 2 6.5 Italia: osservazioni sul nuovo Codice delle Assicurazioni Nel settembre 2005 è stato approvato il nuovo Codice delle Assicurazioni Private che recepisce la Direttiva comunitaria 2002/92 sull’intermediazione assicurativa. Il Titolo VIII del nuovo Codice delle Assicurazioni Private dedicato agli intermediari comporta: 9 il superamento del sistema degli Albi professionali; 9 l’obbligo per tutti gli intermediari di iscrizione alle sezioni dell’istituendo registro; 9 il possesso dei requisiti di onorabilità e di professionalità per tutti gli intermediari; 9 l’obbligo della formazione preventiva e continua con precise responsabilità a carico di imprese e intermediari. La nuova normativa comunitaria è stata parzialmente anticipata nella sua attuazione dalla Circolare ISVAP 533/D, in vigore dal 1 ottobre 2004. Il Codice delle Assicurazioni Private, disciplina l’attività di intermediazione assicurativa, definendola e stabilendo le condizioni di accesso e di esercizio: “L’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa consiste nel presentare o proporre contratti di assicurazione e di riassicurazione o nel prestare assistenza e consulenza finalizzate a tale attività e, se previsto dall’incarico intermediativo, nella conclusione, nella gestione o nell’esecuzione dei contratti stipulati” (Art.140). Tutti coloro che svolgono queste attività sono soggetti a tale disciplina e devono essere obbligatoriamente iscritti al Registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi. Sono escluse dalla disciplina unicamente le attività dirette esercitate dalle imprese di assicurazione o di riassicurazione e dai loro dipendenti, le attività di sola informazione svolte da altri professionisti non assicurativi e attività marginali di intermediazione non professionale relativa a prodotti assicurativi non vita e non 2 RC, di importo e durata limitati, accessori ad altri servizi e che richiedano soltanto conoscenza delle coperture fornite (per esempio la vendita di polizze di assistenza nelle agenzie di viaggio, coperture infortuni e scippo sul conto corrente, ecc.). Oltre ai requisiti di onorabilità e, limitatamente agli agenti e broker, alla stipula di una polizza di assicurazione della responsabilità civile professionale, l’iscrizione al Registro è per tutti gli intermediari subordinata a precisi requisiti di competenza professionale, che implicano obblighi di formazione a carico delle imprese: per agenti e broker “l’intermediario … deve possedere adeguate cognizioni e capacità professionali, che sono accertate dall’ISVAP tramite una prova di idoneità, consistente in un esame su materie tecniche, giuridiche ed economiche determinate” (Art.144 co.2); per i produttori diretti “le imprese… provvedono ad impartire una formazione adeguata in rapporto ai prodotti intermediati e all’attività complessivamente svolta” (Art.145 co.2); per i collaboratori di agenti, broker, banche, sim, intermediari finanziari e poste “i soggetti posseggono cognizioni e capacità professionali adeguate all’attività ed ai prodotti sui quali operano, da acquisire mediante la frequenza a corsi di formazione professionale a cura delle imprese o dell’intermediario interessato” (Art.145 co.4). Infine sono definite regole di comportamento relative a doveri e responsabilità verso gli assicurati e alle informazioni precontrattuali da fornire ai clienti. E’ molto importante l’introduzione del principio per il quale l’intermediazione deve basarsi sulla analisi dei bisogni affinché la copertura offerta sia adeguata alle esigenze del cliente: “In ogni caso, prima della conclusione del contratto, l’intermediario assicurativo…, anche in base alle informazioni fornite dal cliente, propone o consiglia un prodotto adeguato alle sue esigenze, previamente illustrando le caratteristiche essenziali del contratto e le prestazioni alle quali è obbligata l’impresa di assicurazione” (Art.151 co.3). E’ inoltre stabilito che l’ISVAP disciplina gli obblighi informativi che “coloro che sono a contatto con il cliente” devono rispettare, nonché la loro modalità di comunicazione su supporto accessibile e durevole. Il recepimento della Direttiva viene anticipato dalla Circolare ISVAP 533/D, in vigore dal 1 ottobre 2004. 2 La professionalità, al pari di correttezza, trasparenza e diligenza, viene definita come un dovere la cui violazione “… costituisce, per i soggetti iscritti ai relativi albi, comportamento valutabile sotto il profilo disciplinare” (Art.1). L’ISVAP precisa l’obbligo delle imprese al “costante controllo e all’adeguata formazione delle reti commerciali, con la finalità di garantire l’efficace applicazione dei principi” sopra indicati (Art.2 co.1). In particolare impone “una preventiva attività di formazione del personale incaricato della distribuzione, compresi gli agenti ed i suoi collaboratori, affinché lo stesso raggiunga un livello di preparazione adeguata prima della distribuzione dei prodotti, nonché un livello di affidabilità professionale nei rapporti con gli assicurati”. Gli accordi distributivi con imprese di altri settori (il caso più tipico è la bancassurance), per i quali l’ISVAP ribadisce che devono in ogni caso limitarsi alla distribuzione di prodotti standardizzati, devono “…prevedere modalità e tempi in base ai quali dette imprese garantiscono la corretta e puntuale formazione del proprio personale per la distribuzione dei prodotti assicurativi. Per gli accordi già in essere, le compagnie provvedono alla loro necessaria integrazione alla prima scadenza utile degli stessi” (Art.2 co.2). Molto importante è l’innalzamento delle responsabilità e dei controlli al livello degli organi amministrativi dell’impresa: “Le iniziative attuate e le verifiche sull’adeguatezza della formazione e sull’osservanza delle regole di correttezza, trasparenza e professionalità devono risultare da un rapporto annuale trasmesso dall’unità organizzativa a ciò delegata al responsabile dell’internal auditing il quale la sottopone, con eventuali osservazioni di merito, agli organi amministrativi della società che lo inoltrano all’ISVAP entro sessanta giorni dalla fine dell’anno solare” (Art.2 co.3). In sintesi, vengono superati gli attuali albi Agenti e Broker, estendendo l’obbligo di iscrizione al registro e i relativi requisiti etici e professionali a tutti coloro che a diverso titolo svolgano attività di intermediazione assicurativa. Le imprese sono tenute alla formazione “adeguata” e al controllo dei requisiti su tutta la rete e, nel caso di accordi distributivi, a concordare con i partner i piani di formazione. La normativa sull’intermediazione apre una fase nuova nel mercato assicurativo 2 italiano, nella quale la tutela dei consumatori si focalizza sulla professionalità degli intermediari a tutti i livelli. Sarebbe un grave errore adeguarsi al Codice e alla Circolare ISVAP con meri adempimenti formali, non raggiungendo la finalità della Direttiva: la riqualificazione del rapporto con i consumatori attraverso la formazione e la verifica costante della qualità professionale degli intermediari e di tutti i collaboratori delle reti distributive. Per le imprese e per gli intermediari questa è una grande opportunità. Certificare le competenze significa non solo adeguarsi alle disposizioni dell’Autorità di controllo ma anche rendere consapevoli i clienti della qualità professionale della propria offerta. Le imprese e gli intermediari possono gestire lo sforzo formativo richiesto ottenendo il vantaggio di qualificare le reti realmente e in modo riconoscibile dai clienti. Per realizzare questo obiettivo è necessario definire standard professionali riconosciuti e condivisi dai protagonisti del mercato: 9 le competenze necessarie ai diversi livelli e per i diversi profili dell’intermediazione assicurativa; 9 i contenuti e i programmi di formazione che permettono di conseguire tali competenze; 9 i percorsi di formazione continua e le modalità di aggiornamento; 9 le modalità e i criteri che permettono di verificare le competenze acquisite e di certificarle pubblicamente. 2 6.6 Italia: regolamento ISVAP n.5/2006, quadro generale L’anno 2006 è stato per il settore dell’intermediazione assicurativa un importante periodo di transizione in quanto, in attuazione della Direttiva 2002/92/CE del 9 dicembre 2002 sull’intermediazione assicurativa, si è istituito, a partire dal 1° gennaio 2007 il Registro Unico Elettronico degli intermediari di assicurazione e di riassicurazione. L’Autorità competente, ISVAP, è stata pertanto impegnata, oltre che dalla ordinaria attività di tenuta degli albi, le cui norme hanno avuto vigenza fino a tutto il 2006, e di gestione delle notifiche trasmesse da parte di Autorità di vigilanza di altri Stati membri dell’UE relative agli intermediari che intendono operare nel territorio della Repubblica italiana, anche da quella straordinaria di emanazione della normativa secondaria d’attuazione del codice, nonché di realizzazione dei sistemi informatici per la gestione e la tenuta del nuovo Registro Unico Elettronico. Il 24 ottobre 2006 è entrato in vigore il regolamento ISVAP n. 5/2006 concernente la disciplina dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa in attuazione del codice delle assicurazioni private, con conseguente istituzione, a partire dal 1° febbraio 2007, del registro degli intermediari assicurativi e riassicurativi. Gli interessati all’iscrizione e al trasferimento dagli albi al registro intermediari hanno potuto beneficiare, in funzione di un provvedimento legislativo, di una proroga del termine originariamente fissato al 31/12/2006 dalle norme transitorie del regolamento ISVAP n. 5/2006 al 28 febbraio 2007. L’impatto organizzativo delle nuove norme per l’ISVAP è risultato notevole con riferimento a tre principali aspetti: 9 implementazione del nuovo Registro unico elettronico e dell’elenco annesso relativo agli intermediari dell’Unione Europea operanti in via transfrontaliera nel territorio della Repubblica italiana; 9 istruttoria delle domande di iscrizione nel RUI ai sensi delle disposizioni transitorie del regolamento n.5; 2 9 gestione e inserimento nell’elenco annesso delle notifiche, effettuate ai sensi dell’art. 116 del Codice delle assicurazioni, dalle Autorità di vigilanza degli altri Stati membri, relative all’intenzione di oltre 5.000 intermediari di operare nel territorio della Repubblica italiana in regime di stabilimento o in libertà di prestazione di servizi. Alla data del 28 maggio 2007 risultano iscritti circa 180.000 soggetti (sia persone fisiche sia società) nelle cinque sezioni del Registro e 5.456 nell’elenco annesso. L’ISVAP inoltre assicura l’aggiornamento dei dati contenuti nel Registro sulla base delle comunicazioni inviate dalle imprese e dagli intermediari, nonchè delle risultanze dei controlli e delle verifiche effettuate. Assicura altresì il pubblico accesso al registro e ne garantisce la consultazione sul proprio sito internet. La struttura della Circolare è particolarmente complessa, e copre tutti i campi dell’intermediazione assicurativa, dall’accesso all’attività, all’aspetto sanzionatorio. La parte II della circolare disciplina l’accesso all’attività di intermediazione, ed al capo I si occupa della disciplina del registro, e delle iscrizioni di persone fisiche e società al RUI. E’ interessante osservare come a differenti sezioni del registro (corrispondenti a diversi tipi di intermediario) vengano assegnati diversi tipi di requisiti per l’accesso. In particolare per quel che riguarda broker ed agenti è provista una prova di idoneità davanti ad una commissione esaminatrice. Comune alle sezioni A,B,E del registro è una delle caratteristiche presenti nella Direttiva, la richiesta appunto di una polizza sulla responsabilità civile professionale per gli operatori del settore dell’intermediazione. La parte III della circolare è dedicata all’esercizio dell’attività di intermediazione. In particolare è da valutare con attenzione la sezione relativa alla informativa minima da fornire ai clienti nel momento della trattativa e della conclusione del contratto. Insieme alla circolare, ISVAP ha pubblicato due allegati (allegato 7A ed 2 allegato 7B) nei quali, come richiesto dalla Direttiva, si possono conoscere le informazioni relative all’intermediario con il quale si sta trattando, a tutela del consumatore. La pubblicazione della circolare ISVAP ha rappresentato un importante momento di rottura per gli addetti ai lavori, vuoi per i cambiamenti repentini che essa ha apportato all’intermediazione assicurativa, vuoi per i costi di adeguamento, vuoi per la non sempre facile interpretazione del regolamento. ISVAP in proposito ha pubblicato, il 20 giugno 2007, una serie di FAQ (frequently asked question) per facilitare l’interpretazione del regolamento. Segue un estratto, dal quale si evince la volontà dell’autority di semplificare la comprensione di determinati punti critici, in particolare in materia di informativa precontrattuale, ed intermediari comunitari. Art. 49 - Informativa precontrattuale Quale deve essere il contenuto della dichiarazione prevista dall’art. 49, comma 3, del Regolamento? L’art. 49, comma 3, del Regolamento ISVAP n. 5/2006, pone a carico degli intermediari che entrano in contatto con i contraenti l’obbligo di predisporre una dichiarazione, da far sottoscrivere al contraente stesso, volta ad attestare l’avvenuta consegna a quest’ultimo della documentazione prevista dal medesimo articolo (in particolare: il documento sul riepilogo dei principali obblighi di comportamento, conforme al modello di cui all’allegato 7A, il documento sui dati essenziali degli intermediari e della loro attività, conforme al modello di cui all’allegato 7B e la documentazione contrattuale e precontrattuale). La disposizione impone altresì agli intermediari di conservare la documentazione atta a comprovare l’adempimento dei predetti obblighi di consegna, quale copia della suddetta dichiarazione ovvero copia dei documenti consegnati, firmati dal contraente. Tale ultima previsione, che ha l’obiettivo di garantire l’effettività della consegna della documentazione concernente l’informativa e di quella contrattuale, nonché di rendere possibile l’effettuazione di verifiche sull’avvenuta consegna, può 2 consentire anche all’intermediario di prevenire contestazioni sull’adempimento di detti obblighi. L’obiettivo di prevenire eventuali contestazioni, tuttavia, non può essere conseguito attraverso la predisposizione di dichiarazioni non conformi alle citate disposizioni regolamentari. In particolare, non si ritengono in linea con le norme del Regolamento dichiarazioni, da far sottoscrivere al contraente, il cui contenuto non sia limitato alla semplice attestazione di avvenuta ricezione della documentazione prevista dal citato art. 49, ma consista in affermazioni specifiche rese dal contraente con le quali quest’ultimo dichiara di aver avuto conoscenza di una serie di informazioni che, in base alla normativa, l’intermediario è tenuto a fornirgli e attesta, anche con l’espressione di giudizi, l’osservanza da parte dell’intermediario di alcuni obblighi di correttezza ai quali lo stesso è del pari tenuto, con particolare riferimento a quelli relativi alla valutazione di adeguatezza del contratto offerto. In tal modo, in contrasto con lo scopo delle summenzionate disposizioni, si verrebbe infatti a ribaltare sul contraente una responsabilità che le norme pongono in capo all’intermediario, quale soggetto a cui è richiesto di svolgere l’attività di intermediazione con professionalità. Iscrizione nel registro di collaboratori di intermediari comunitari Se gli intermediari aventi residenza o sede legale in altri Stati Membri iscritti nell’elenco annesso al registro intendono operare in Italia avvalendosi, per l’attività fuori sede, di collaboratori italiani, questi ultimi devono essere iscritti nella sezione E del registro? Ai sensi dell’art. 109, comma 2, lett. e), del Codice delle Assicurazioni e dell’art. 4 del Regolamento ISVAP n. 5/2006, sono da iscrivere nella sezione E del registro gli addetti all’attività di intermediazione al di fuori dei locali degli intermediari, iscritti nelle sezioni A, B o D. In base al tenore letterale delle menzionate disposizioni, sembrerebbe che gli intermediari di cui alla sezione E possano operare solo per soggetti iscritti nel registro e, dunque, solo per intermediari con residenza o sede legale in Italia. Conseguentemente, gli intermediari UE, abilitati ad operare in Italia a seguito del 2 regime di notifiche previsto dall’art. 116, comma 2, del Codice delle Assicurazioni e dall’art. 33 del Regolamento ISVAP n. 5/2006, potrebbero avvalersi, per l’operatività fuori sede sul territorio italiano, esclusivamente di collaboratori appartenenti allo Stato membro d’origine. Tuttavia, al fine di non frapporre ostacoli al regime di libera circolazione degli intermediari previsto dalla Direttiva 2002/92/CE e di evitare disparità di trattamento rispetto ad intermediari italiani ai quali, sulla base della normativa di altri Stati membri, potrebbe essere consentito di operare in detti Stati attraverso collaboratori ivi iscritti e residenti, è possibile ritenere che all’intermediario comunitario abilitato ad operare in Italia attraverso il sistema di notifiche sia consentito di avvalersi per l’attività fuori sede di collaboratori con residenza o sede legale in Italia, i quali, in quanto tali, dovranno essere iscritti alla sezione E del registro e saranno pertanto tenuti all’integrale rispetto della normativa italiana. Tale possibilità trova fondamento nella considerazione che la formulazione dell’art. 109, comma 2, lett. e) del Codice delle assicurazioni (che riconduce letteralmente l’iscrizione nella sezione E ai soli collaboratori degli iscritti nelle sezioni A, B o D) è legata alla circostanza che tale norma disciplina la struttura del registro italiano e dunque degli intermediari aventi residenza o sede legale in Italia. Non potendosi, per le motivazioni succitate, precludere agli intermediari comunitari di avvalersi di collaboratori italiani, è da riconoscere in capo ai primi ai fini della sussistenza della legittimazione a richiedere l’iscrizione dei collaboratori italiani - una posizione sostanzialmente equivalente a quella degli iscritti nelle sezioni A, B e D. L’obbligo di iscrizione dei collaboratori italiani nella sezione E, anche se in qualità di collaboratori di un intermediario UE, continua a trovare fondamento nell’art. 108, comma 1 del Codice, che riserva l’esercizio dell’attività di intermediazione assicurativa in Italia da parte di soggetti residenti in Italia ai soli iscritti nel registro. In considerazione di quanto sopra, l’operatività degli intermediari comunitari attraverso collaboratori italiani potrà pertanto avvenire alle seguenti condizioni: 2 9 l’intermediario comunitario che intende stabilirsi in Italia ed avvalersi di collaboratori italiani, fermo restando che lo stesso può in ogni caso operare decorsi 30 giorni dalla notifica (art. 116, comma 2 del Codice delle Assicurazioni), deve presentare domanda di iscrizione nella sezione E del registro per i collaboratori italiani, con conseguente attesa del termine per il completamento dell’istruttoria; a tal fine possono essere utilizzati gli schemi di domanda allegati al Regolamento opportunamente modificati nella parte relativa ai dati dell’intermediario richiedente; 9 l’intermediario deve attestare, nella domanda di iscrizione, che l’attività del collaboratore è coperta dalla polizza di r.c. professionale o da analoga forma di garanzia ai sensi dell’art. 4, par. 3 della Direttiva 2002/92/CE; 9 l’intermediario comunitario dovrà assumersi, con atto adeguatamente formalizzato e conservato, la piena responsabilità dell’attività posta in essere dal collaboratore, analogamente a quanto previsto dall’art. 119, comma 3 del Codice per gli intermediari italiani iscritti nelle sezioni A, B e D; 9 i collaboratori dovranno, al pari di tutti gli iscritti in E, rispettare le condizioni di iscrizione, di esercizio e le regole di comportamento previste dal Codice e dal Regolamento; 9 in caso di esito positivo dell’istruttoria, nella sezione E del registro verrà data evidenza del rapporto intercorrente con l’intermediario comunitario a fini di trasparenza nei confronti del consumatore. 2 2 Nonostante la volontà chiarificatoria da parte dell’ISVAP, manifestata nella pubblicazione della lunga serie di frequently asked questions, e la decisione di slittare la deadline per gli adempimenti richiesti dal 1 gennaio 2007, al 28 febbraio, vi è stato un forte ostracismo in Italia da parte dell’industria assicurativa. Le parti interessate hanno presentato ricorsi al TAR del Lazio contro l’entrata in vigore del Regolamento ISVAP, e soprattutto per ottenerne il suo annullamento. Ricorsi separati sono stati effettuati dall’Ania e dalle imprese assicuratrici, dai broker, e dagli agenti. In particolare viene contestata all’ISVAP, probabilmente a ragione ma il TAR ha respinto i ricorsi, la mancata osservanza degli obblighi di consultazione, e la prescrizione di termini troppo ristretti. Riguardo questo argomento ISVAP ha in realtà operato tenendo conto anche dei pareri giunti all’organo successivamente al termine, senza contare che il tribunale giudicante dei ricorsi ha visto di “buon occhio” la fretta regolamentativa dell’autority, in luce anche del preoccupante ritardo manifestato nell’implementazione della direttiva 2002/92/CE. Un altro punto di contestazione è stato sicuramente quello relativo alla mancata pubblicazione da parte di ISVAP di un adeguato studio sull’impatto, soprattutto in luce di metodi che permettono valutazioni abbastanza veritiere ex ante. Effettivamente, a tutt’oggi, non è stato messo a disposizione nessuno studio ufficiale relativamente all’impatto quantitativo della regolamentazione. Un elemento sicuramente controverso all’interno dei ricorsi al Regolamento ISVAP è quello dell’impossibilità, per gli intermediari, di iscriversi a più sezioni del registro, doglianza alla quale attualmente è stata data risposta negativa ma che probabilmente susciterà ulteriori discussioni in futuro. 2 6.7 Regolamento ISVAP n.5/2007: tutela dell’assicurato nei casi di 144 insolvenza dell’intermediario . L’art.4 della Direttiva n. 92/2002 sollecita i legislatori nazionali a recepire importanti modifiche in un momento topico dell’attività assicurativa e intermediativa: laddove l’intermediario, entra in possesso di somme di denaro pagate dall’assicurato come premio, o a lui spettanti come risarcimento di un sinistro. Le sollecitazioni della Direttiva Europea riguardo la separazione patrimoniale hanno portato, in Italia, alla progettazione all’interno del Codice delle Assicuazioni, e alla successiva attuazione mediante il Regolamento ISVAP n.5/2006. L’articolo 54 del Regolamento ISVAP attinge a piene mani dall’indirizzo dettato dalla Direttiva, i risarcimenti dovuti e i pagamenti effettuati dagli assicurati debbono essere versati dall’intermediario su un conto separato di cui può essere titolare l’intermediario espressamente in tale qualità; tali somme (premi e risarcimenti e/o altri importi dalle compagnie agli assicurati) costituiscono un patrimonio autonomo, distinto da quello “personale”. Su tale “conto separato” non sono ammesse azioni esecutive che non siano quelle contro l’assicurato o le Compagnie a fronte di debiti propri; allo stesso modo, non sono neppure ammesse compensazioni, quale la fonte, volte ad intaccare la separatezza degli specifici movimenti contabili qui presi in esame. La ratio della norma dettata dal legislatore è quella di fornire maggiori garanzie all’assicurato adottando tutte le misure necessarie contro l’incapacità finanziaria dell’intermediario assicurativo che incidesse sul trasferimento dei premi (versati dall’ assicurato) all’impresa di assicurazione e/o le somme dovute dall’assicuratore agli aventi diritto in adempimento degli obblighi “risarcitori”. 144 Per un’analisi approfondita dell’argomento in tutte le sue sfaccettature, vedere ”L’APPLICAZIONE DELLE NUOVE REGOLE SULL’INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVA REGOLAMENTO ISVAP N. 5/2006 – Art. 54 “SEPARAZIONE PATRIMONIALE”, Avv. Michele Roma (Studio legale Roma Lepri & Partners) 2 Per questi motivi, con l’art. 54 del Regolamento il legislatore persegue l’obiettivo di colmare una lacuna normativa esistente nel nostro ordinamento, prima dell’entrata in vigore del Codice, prevedendo così una precisa regolamentazione del rapporto tra intermediario e assicurato, nonché del rapporto tra intermediario e impresa preponente, in caso di crisi economico-finanziaria dell’intermediario. L’art. 54 del Regolamento attua le disposizioni dell’art. 117 del Codice. Va considerato, inoltre, l’Allegato n. 7B al Regolamento (“Informazioni da rendere al contraente prima della sottoscrizione della proposta o, qualora non prevista, del contratto, nonché in caso di modifiche di rilievo del contratto o di rinnovo che comporti tali modifiche”) il quale specifica ulteriormente l’applicabilità della regola della separazione nella Parte III – Informazioni sugli strumenti di tutela del contraente sub lett. a) “ i premi pagati dal contraente agli intermediari e le somme destinate ai risarcimenti o ai pagamenti dovuti dalle imprese, se regolati per il tramite dell’intermediario, costituiscono patrimonio autonomo e separato”. In entrambi i casi, il tema della separazione patrimoniale è inserito nella parte che concerne le “Regole di comportamento” degli intermediari, quasi a rimarcare l’ essenzialità del dovere giuridico che ne scaturisce esponendo l’intermediario stesso, in caso di mancato rispetto, a sanzioni civili e amministrative. In applicazione del principio di separazione patrimoniale, sulle somme costituenti “il patrimonio autonomo e separato” (rispetto al patrimonio personale dell’intermediario) non sono ammesse azioni, sequestri o pignoramenti da parte di creditori diversi dagli assicurati e dalle imprese di assicurazione. Su tali somme, inoltre, non operano le compensazioni legali e giudiziali e non può essere pattuita la compensazione convenzionale rispetto ai crediti vantati dall’istituto (bancario o postale) nei confronti dell’intermediario. Ne scaturisce, a ben vedere, una intangibilità “globale”, di tipo anche contabile e non solo esecutiva. La ratio della disciplina è quella di sottrarre tali somme, nell’interesse dell’assicurato, ad eventuali azioni esperite da soggetti terzi ed estranei al rapporto assicurativo, ancorché creditori dell’ intermediario, poiché sono ammesse, come anticipato, le sole azioni da parte dei creditori degli assicurati e 2 delle imprese di assicurazione, nei limiti della somma rispettivamente spettante al singolo assicurato o alla singola impresa di assicurazione. Tale peculiare conseguenza giuridica identifica, appunto, un’applicazione delle regole in tema di separazione patrimoniale ad una fattispecie considerata “meritevole” di tutela dal legislatore: trattasi quindi di una deroga alla regola generale prevista dall’art.2740 cc. I risultati pratici sono rilevantissimi perché anche prima della modifica introdotta dall’ art. 117 del Codice, come attuata dall’ art. 54 del Regolamento, il rapporto trilatero tra Compagnia, Intermediario, Assicurato poggiava, di regola, su di un conto corrente, ma in assenza del vincolo di destinazione, detto conto, anche se intestato all’intermediario nella sua qualità, rendeva problematici gli interventi di tutela ad opera della Compagnia o dello stesso assicurato, dovendo questi, in sede esecutiva, far valere i propri diritti sulle somme attraverso l’ opposizione di terzo (cfr. art. 619 cpc) e con tutte le difficoltà probatorie connesse all’ accertamento giudiziale. Rispetto all’impianto precedente, quindi, la separazione dei patrimoni risulta essere un importante passo avanti nella tutela dell’assicurato. A livello operativo-pratico la separazione stessa non sembra essere un elemento di facilissima realizzazione per l’intermediario. L’intermediario appena inizia l’attività di intermediazione ha l’obbligo di aprire presso un istituto bancario un conto corrente intestato a se stesso “nella qualità di intermediario” all’interno del quale verserà tutti i premi incassati, e che rimetterà periodicamente tramite bonifico all’assicuratore. Il primo punto da affrontare è quello del versamento: sebbene i pagamenti da parte degli assicurati, ex Regolamento 5/2006 dell’ISVAP, debbano essere effettuati mediante assegno (o moneta elettronica), vi sono delle deroge per l’RCA e per il ramo danni, e quindi pagamenti in contanti. Ciò, in pratica, potrebbe minare almeno marginalmente l’efficacia della legislazione in tutela degli assicurati. Un altro punto dolente della disciplina è che la complessità delle operazioni bancarie stesse non sono state prese in considerazione. I conti correnti separati infatti sottostanno, salvo episodi di convenzioni stipulate tra banche e compagnie 2 assicurative, alle comuni regole correntistiche. Ciò implica l’addebito dei costi di tenuta, delle operazioni (bonifici, versamenti), e delle tasse governative, direttamente sul conto corrente protetto, inficiando anche in questo caso, ma per importi normalmente ridotti, la regola generale prevista dall’impianto legislativo. Ulteriore complicazione proviene dall’eventuale necessità di affidamenti, indispensabili per coprire eventuali scoperti di valuta, pagamenti insoluti, andando a causare costosi sconfinamenti gravanti sui premi versati dall’intermediario. Infine, la disciplina non è chiara per quel che riguarda gli agenti plurimandatari, coloro i quali, perciò, hanno a che fare con più assicuratori. La locuzione presente nel secondo comma dell’ art. 54 per cui “…Gli intermediari che operano per più imprese adottano procedure idonee a garantire, anche in sede di procedimenti esecutivi…..” pone diverse questioni. Ad un’analisi della legge sembrerebbe implicito che l’intermediario debba aprire un conto corrente separato per ogni assicuratore per conto del quale effettua pagamenti. Queste osservazioni pratiche aiutano ad asserire che, sebbene il linea di principio vi siano stati degli importanti cambiamenti nella gestione dei capitali movimentati dall’intermediazione, la piena realizzazione della tutela del consumatore deve essere ulteriormente perfezionata mediante interventi specifici. Si può comunque asserire che la costituzione di un conto separato da quello dell’intermediario per il transito dei soli premi e delle sole somme destinate al risarcimento produce il cd. “effetto segregazione”, salvaguardando gli importi versati da eventuali azioni esecutive dirette verso l’intermediario. Di conseguenza, gli importi versati sul conto separato non potranno essere pignorabili o sequestrabili da parte di creditori diversi dagli assicurati e dalle imprese di assicurazione. La violazione dell’obbligo di separazione patrimoniale da parte degli intermediari, ossia l’inadempimento all’obbligo di versare in un conto separato “i soli premi e le sole somme destinate al risarcimento”, legittima l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso fra i mille ed i diecimila euro (art. 324 Codice); tale importo è duplicabile nei casi più gravi o in ipotesi di ripetizione dell’illecito. Alle sanzioni amministrative pecuniarie sono 2 cumulabili le sanzioni disciplinari come disposto dagli artt. 329 del Codice e 62 del Regolamento. L’art. 325 del Codice delle Assicurazioni individua quali destinatarie della attività sanzionatoria le imprese e gli intermediari responsabili della violazione in piena coerenza con la regola generale di solidarietà del debito fissata dall’art. 6 L. n. 689/1981 in tema di sanzioni amministrative pecuniarie. 2 6.8 La fase delle trattative contrattuali: obblighi e responsabilità di intermediari ed assicuratori. Nei paragrafi precedenti si è sottolineato quanto l’impulso della Direttiva 2002/92/CE sia stato importante nell’indirizzare i legislatori nazionali al perseguimento dell’insieme degli obiettivi in essa contenuti. L’intermediazione assicurativa è un tassello di tale importanza all’interno dell’intero mercato assicurativo, da rendere necessari approfonditi interventi legislativi, come è avvenuto in Italia. Il principio di fondo che muove l’intera legislazione di ultima generazione è quello di incrementare in maniera sostanziale la trasparenza nell’attività di intermediazione a tutela, come si è detto, del consumatore. Una fase importantissima dell’attività di intermediazione è sicuramente quella precontrattuale, durante la quale è necessaria la massima trasparenza, ponderazione, informazione. La regola generale in materia di responsabilità precontrattuale è quella dettata dall’art.1337 del Codice Civile, che detta l’obbligo di comportamento secondo buona fede durante le trattative. Nell’ambito dell’intermediazione assicurativa, però, è stato necessario approfondire questo concetto con una legislazione ad hoc. A ciò provvede il Codice delle Assicurazioni, il Regolamento ISVAP 5/2006, la Circolare ISVAP 1° marzo 2005 n. 551/D (recante “Disposizioni in materia di regole di trasparenza delle polizze di assicurazione sulla vita”) per quel che riguarda il ramo vita, e la Circolare ISVAP 2 giugno 1997 n.303 per i soli contratti di assicurazione danni. Gli obblighi precontrattuali previsti da questo blocco normativo possono essere distinti, sia pur non senza interferenze e sovrapposizioni, in cinque grandi categorie: 9 obbligo di correttezza; L’obbligo di correttezza è posto dall’art. 183, comma 1, lettera (a), cod. ass. a carico sia delle imprese che degli intermediari. Tale obbligo si esplica pertanto nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi 2 dell'altra, anche a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o legali145. L’obbligo di comportarsi correttamente nelle trattative precontrattuali si sostanzia dunque per l’assicuratore (o gli intermediari) nel dovere di attivarsi, sino ai limiti di un apprezzabile sacrificio, per evitare che il contratto riesca inutile o dannoso per la controparte. Inteso in questi termini, il principio di correttezza appare necessariamente intrecciato con l’obbligo di acquisire dall’assicurando le informazioni necessarie a valutare quale sia il tipo di “prodotto assicurativo” a lui più confacente (artt. 120, comma 3, e 183, comma 1, lettera (b), e comma 2, cod. ass.; cfr. infra). In pratica, l’intermediario, per rispettare questo obbligo deve comportarsi in maniera pedissequa a quello che il suo dna stesso di professionista gli prescrive. Assumendo le informazioni sulle esigenze del cliente, le coperture desiderate, per fornirgli un prodotto adeguato. Contemporaneamente nella presentazione del prodotto non deve sottacere eventuali caratteristiche che potrebbero rendere il prodotto inadeguato e svantaggioso. Essenzialmente, in un’ottica di “servizio al cliente” e non di “vendita” il comportamento secondo correttezza è da sempre elemento fondamentale del lavoro di intermediario assicurativo. 9 obbligo di diligenza; L’art. 183, comma 1, lettera (a) cod. ass. pone altresì a carico di imprese ed intermediari l’obbligo di diligenza. La norma reitera un principio già imposto dall’art. 1176 c.c.. L’assicuratore e l’intermediario potranno essere ritenuti in colpa se la loro condotta sarà stata negligente, e la loro condotta sarà stata negligente se difforme dal comportamento che avrebbe tenuto nella stessa situazione un ideale assicuratore (o intermediario) “medio”, cioè zelante e rispettoso delle norme (si tenga peraltro presente che, nei giudizi aventi ad oggetto l’accertamento dell’inadempimento la 145 Cass. civ., sez. I, 05-11-1999, n. 12310, in Società, 2000, 303, con nota di FUSI, nonché in Dir. e pratica società, 2000, fasc. 1, 59, con nota di NISIVOCCIA. 2 colpa si presume ai sensi dell’art. 1218 c.c., ed è onere del convenuto dimostrare che inadempimento non vi è stato, ovvero che esso non è dipeso da propria colpa146). Analizzando quindi questo punto è valido il discorso fatto in precedenza riguardo l’obbligo di correttezza: l’intermediario può liberarsi da qualunque colpa dimostrando di aver operato in maniera “perfetta”, vale a dire pienamente rispettosa dei canoni professionali. 9 obbligo di trasparenza; L’obbligo di trasparenza è imposto ad imprese ed intermediari dall’art. 183, comma 1, lettera (a), cod. ass.. Secondo la dottrina per “trasparenza” deve intendersi l’obbligo, da osservare nella fase delle trattative, della formazione e della redazione del contratto, di predisporre clausole contrattuali intelligibili e chiare, sulla base delle quali possano compiere le proprie scelte negoziali parti pariteticamente informate.147 In questo senso, trasparenza diventa sinonimo di “conoscibilità”. Pertanto dire che l’assicuratore o l’intermediario debbono comportarsi con trasparenza equivale a dire che debbono comportarsi in modo da garantire la conoscibilità sia della propria posizione personale rispetto al mercato assicurativo, sia di tutte le caratteristiche dell’affare che propone di concludere: in questo senso, l’obbligo di trasparenza si intreccia con l’obbligo di informazione. In materia diventano quindi essenziali le informazioni fornite dall’intermediario mediante l’Allegato 7B al Regolamento, e il contratto di assicurazione in ogni sua parte. Corollario dell’obbligo di trasparenza è quello di esprimersi, oralmente o per iscritto, in modo chiaro: tale obbligo è ora imposto dall’art. 166 cod. ass., alla stregua del quale tutti i documenti consegnati all’assicurando vanno redatti in modo “chiaro ed esauriente”. 146 Cass., sez. un., 30-10-2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, 769. Gli esempi in tal senso possono essere numerosissimi: si pensi alle norme in tema di trattamento dei dati personali, in tema di trasparenza del bilancio, in tema di trasparenza delle operazioni infragruppo, ecc.; si veda anche l’art. 21 d. lgs. 24.2.1998 n. 58 (TUIF). 147 2 La norma ovviamente non dice quando un documento possa ritenersi “chiaro”; l’art. 3 della Circolare Isvap 551/D (che, come ricordato, si applica solo all’assicurazione sulla vita), detta al riguardo un criterio teleologico di valutazione: il documento predisposto dall’assicuratore deve essere tale da consentire al contraente di comprendere il contenuto del contratto. Purtroppo però non esiste un solo “tipo sociale” di contraente, sicché quel che può apparire lampante all’uno, potrebbe essere oscuro ad un altro. Per questo motivo è sufficiente che il testo predisposto dall’assicuratore sia comprensibile all’uomo medio. Ove, poi, il contraente fosse persona dalle capacità di orientamento e comprensione inferiori alla media, soccorrerà il disposto degli artt. 1175 c.c. e 183 cod. ass., in virtù del quali l’intermediario sarà tenuto ad integrare i documenti forniti e ad illustrarli in modo conveniente ed adeguato al livello dell’interlocutore. In questo senso vi è ancora molto lavoro da svolgere da parte del legislatore: è sufficiente un’analisi generica delle note informative di molti prodotti assicurativi per rendersi conto di quale grado di difficoltà essi presentino nella maggior parte dei casi. Non essendovi in Italia una grande cultura assicurativa, l’obbligo di trasparenza è compito assai difficile da rispettare per l’intermediario, nei confronti dell’assicurando medio che normalmente ignora i concetti base dell’assicurazione. Ad esempio, per permettere al consumatore di conoscere appieno le caratteristiche di una polizza relativa al property, sarebbe necessaria una presentazione assai complessa. Concetti come “valore intero” e “primo rischio assoluto”, “massimale annuo”, “regola proporzionale”, ecc., non appartengono alla cultura media del consumatore italiano. Fino a che punto si spinge l’obbligo di trasparenza dell’intermediario e dell’assicuratore in un paese dove la cultura assicurativa è relativamente bassa? Tali concetti vengono approfonditi nell’ambito dell’obbligo di informazioni. 9 obbligo di informazione; 2 L’obbligo di informazione è sicuramente il più rilevante tra quelli precontrattuali gravanti sull’assicuratore e sugli intermediari, ai quali è imposto dall’art. 183, comma 1, lettera (b), cod. ass.. Per i soli intermediari, esso è ribadito dall’art. 120 cod. ass.. Norme specifiche per l’adempimento di tale obbligo sono dettate dalla Circolare Isvap 303 del 1997 per l’assicurazione danni, e dalla Circolare Isvap 551/D del 2005 per l’assicurazione sulla vita. Soggetto passivo dell’obbligo di informazione è tanto l’impresa quanto l’intermediario. Trattandosi di un obbligo disgiuntivo, l’adempimento dell’uno non esonera l’altro dall’osservanza. Tuttavia è ovvio che l’assicurato il quale sia stato debitamente informato dall’impresa non potrà certo dolersi della condotta renitente dell’intermediario, e viceversa. L’obbligo di informazione precontrattuale assume di fatto contenuto diverso per l’assicuratore e per l’intermediario: il primo infatti non ha di norma contatto diretto con l’assicurando, e quindi il suo principale obbligo è quello di predisporre documenti chiari ed intelligibili. Gli intermediari invece, rappresentando l’ “interfaccia” con l’assicurando, dovranno modulare forma e contenuto delle informazioni rispetto alle caratteristiche intellettive del cliente che hanno dinanzi. Soggetto attivo del diritto di essere informato è il contraente (art. 183, comma 1, e 120, comma 1, cod. ass.)148. Il contenuto dell’obbligo di informazione è regolato a due livelli: da norme di legge e da norme regolamentari. Le prime sono rappresentate dagli artt. 120, commi 1 e 4; 183, comma 2, e 185, commi 3 e 4, cod. ass., i quali, nel demandare all’Isvap il compito di determinare con proprio regolamento le norme di dettaglio circa il contenuto dell’obbligo di informazione, ne fissano il contenuto minimo, e dettano alcuni princìpi cui i regolamenti dell’Isvap dovranno attenersi. In particolare, sono previsti contenuti diversi degli obblighi di informazione gravanti sugli intermediari rispetto a quelli gravanti sulle imprese. 148 ALPA, Quando il segno diventa comando: la "trasparenza" dei contratti bancari, assicurativi e dell'intermediazione finanziaria, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2003, 2, 465 2 I primi hanno l’obbligo di fornire all’assicurando due distinti gruppi di informazioni: (a) informazioni sui propri rapporti con l’assicuratore preponente (art. 120, comma 2, cod. ass.); e dunque se sia un agente o un mero procacciatore d’affari, se sia pluri- o monomandatario, se abbia o meno il potere di rappresentanza; (b) informazioni sulle “caratteristiche essenziali” del contratto (art. 120, comma 3, cod. ass.), e dunque sui costi, sul rischio assicurato, sui rischi non compresi o esclusi. Più dettagliato è il contenuto dell’obbligo di informazione gravante sull’impresa. Quest’ultima infatti è tenuta a consegnare al contraente, prima della conclusione del contratto ed unitamente alle condizioni generali di assicurazione, una “nota informativa” contenente tutte le informazioni necessarie “affinché il contraente e l'assicurato possano pervenire a un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi contrattuali e, ove opportuno, sulla situazione patrimoniale dell'impresa” (art. 183 cod. ass.). La nota informativa dovrà contenere, in particolare, le informazioni relative: o alle garanzie prestate ed alle obbligazioni assunte dall'impresa; o alle nullità, alle decadenze, alle esclusioni e alle limitazioni della garanzia e alle rivalse; o ai diritti e agli obblighi in corso di contratto e in caso di sinistro; o alla legge applicabile ed ai termini di prescrizione dei diritti; o alla procedura da seguire in caso di reclamo all'organismo o all'autorità eventualmente competente. L’elenco che precede, contemplato dall’art. 183, comma 3, cod. ass., non sembra possa ritenersi tassativo. L’obbligo di informazione è infatti un necessario corollario degli obblighi di correttezza e diligenza. Tali ultimi obblighi hanno carattere generale (in quanto previsti dagli artt. 1175 e 1176 c.c.), e non possono essere circoscritti da un regolamento amministrativo. Ne consegue che ove l’impresa ometta di fornire nella nota informativa le informazioni prescritte dall’Isvap ha sicuramente 2 violato l’obbligo di informare, ma non è vero il contrario: e cioè che l’impresa la quale abbia fornito tutte le indicazioni suddette abbia per ciò solo correttamente adempiuto l’obbligo di informare. Per stabilire dunque se e quando l’obbligo di informazione sia stato correttamente adempiuto, occorre muovere dalla ratio degli artt. 120 e 185 cod. ass., che è consentire al cliente di scegliere con piena cognizione di causa il “prodotto assicurativo” più consono ai suoi desiderata. Dunque le informazioni da fornire all’assicurando sono tutte quelle utili e necessarie per l’esercizio del diritto di valutazione e scelta della polizza da sottoscrivere. Se così è, deve concludersi che la legge impone alle imprese assicuratrici di ottenere dall’assicurando un “consenso informato”, cioè fondato su una previa e completa valutazione di tutte le caratteristiche del caso concreto. Insomma, l’assicurando ha diritto di essere informato non solo su cosa preveda il contratto, ma anche su quanto sia utile quel contratto, in relazione alle proprie condizioni soggettive ed all’interesse che intende assicurare. La nota informativa va consegnata, dice l’art. 185, comma 1, cod. ass., prima della conclusione del contratto. Tale norma non può essere intesa in senso meramente formale: non avrebbe infatti senso la consegna di un ponderoso tomo di centinaia di pagine pochi istanti prima della sottoscrizione della polizza. La nota deve quindi essere consegnata in tempo utile perché l’assicurando possa prenderne visione e studiarla, e quindi almeno alcuni giorni prima della sottoscrizione. Quest’ultima previsione legislativa trova scarsa applicazione pratica nella quotidiana attività di intermediazione. Tornando al concetto di consumatore medio visto nell’ambito dell’obbligo di trasparenza, l’ipotesi di realizzare un’adeguata informazione mediante la consegna preventiva del fascicolo informativo è puramente illusoria. Sarebbe necessario, a mio parere, che l’ISVAP prevedesse l’obbligo, in carico agli assicuratori, di pubblicazione di schede informative riassuntive di particolare incisività e comprensività, riportanti gli aspetti principali della polizza. Attualmente, il 2 linguaggio giuridico caratterizzante i fascicoli informativi di tutte le compagnie assicurative, rende la comprensione inaccessibile ai più. 9 obbligo di adeguatezza. Stabilisce l’art. 183, comma 2, cod. ass., che l’attività dell’impresa di assicurazione deve svolgersi in modo “adeguato rispetto alle specifiche esigenze dei singoli”; di rincalzo, l’art. 120, comma 3, cod. ass., impone agli intermediari di proporre o consigliare prodotti “adeguati alle esigenze del cliente”. Il quadro normativo è completato dall’art. 28 Circolare Isvap 551/D, il quale prevede l’obbligo per gli intermediari di proporre al cliente soltanto polizze per lui effettivamente utili. Queste norme esprimono un principio generale, che si è convenuto di definire principio di adeguatezza, in virtù del quale sia l’intermediario che l’impresa assicuratrice debbono attivarsi, nei limiti di un apprezzabile sacrificio, affinché la controparte si determini ad “acquistare” solo il prodotto assicurativo di cui ha bisogno, e non altri (c.d. suitability rule). Così, ad es., vìola il principio di adeguatezza l’agente il quale suggerisca al pensionato con modesto reddito, il quale intenda investire i propri risparmi, di stipulare una polizza linked con rischio di capitale. Questa pratica, la stipulazione cioè di contratti inadeguati alle esigenze del cliente, è tutt’oggi tristemente diffusa. L’assicuratore in realtà tende a considerare esaurito il proprio compito nel momento in cui richiede agli intermediari di compilare il c.d. questionario di adeguatezza del prodotto offerto. Tali questionari, a mio parere, sono, nella maggior parte dei casi, estremamente superficiali. Appurate, ad esempio, le esigenze di tutela previdenziale del cliente, è cosa ben diversa proporre la stipula di un piano pensionistico individuale, o l’adesione ad un fondo pensione. L’impressione generale è che, sebbene l’enunciazione dei principi sia di grande impatto emotivo, il legislatore abbia ancora molto lavoro da fare per scoraggiare le malpratiche di compagnie assicurative ed intermediari, che in molte occasioni tendono a massimizzare il profitto non garantendo al consumatore il miglior prodotto possibile. 2 Il principio di adeguatezza si intreccia sia col dovere di correttezza, sia con quello di informazione, perché occorre correttamente informare il cliente sulle caratteristiche delle polizze per fargli scegliere quella più adeguata. Obbligo di informazione ed obbligo di adeguatezza differiscono però sul piano della condotta, perché quello di informare impone all’intermediario di trasmettere informazioni, mentre quello di adeguatezza gli impone di acquisire informazioni. L’obbligo di offrire polizze “adeguate” pone a carico dell’intermediario un complesso e delicato onere di intervista dall’assicurando, al fine di acquisire le informazioni utili a comprendere quale sia il prodotto più adeguato. Si tratta di una attività complessa, perché le informazioni da acquisire sono molteplici; si tratta, nello stesso tempo, di una attività delicata, in quanto può esporre l’intermediario a responsabilità nei confronti del cliente. In luce delle considerazioni poc’anzi effettuate, sembrerebbe che la responsabilità per inadeguatezza possa addossarsi sull’intermediario con maggior facilità. Sarebbe auspicabile quindi un maggior controllo riguardo le politiche assuntive delle compagnie assicurative. La violazione degli obblighi precontrattuali gravanti sull’assicuratore può riverberare effetti su due versanti, amministrativo e civilistico. Sul piano amministrativo, la violazione di uno qualsiasi dei precetti di cui all’art. 183 cod. ass. (diligenza, correttezza, trasparenza, adeguatezza, informazione) può comportare: a. per l’impresa, la sospensione cautelare od il divieto definitivo di commercializzare i prodotti assicurativi (art. 184 cod. ass.); b. per l’intermediario, la sanzione amministrativa da 1.000 a 10.000 euro, ovvero da 2.000 a 20.000 euro nei casi di particolare gravità o di recidiva (art. 324 cod. ass.). Più delicato è stabilire quali siano le conseguenze della violazione degli obblighi precontrattuali sul piano civilistico. La risposta a questo problema esige l’esame di due diversi profili, e cioè: 2 a. stabilire se la violazione degli obblighi sin qui esaminati, ed in particolare di quelli d’informare, abbia natura contrattuale od aquiliana; b. nel caso si opti per la tesi della natura aquiliana dell’illecito, stabilire quali siano le conseguenze sul contratto (nullità, annullabilità, od altro). Al primo quesito sembra debba rispondersi che la violazione degli obblighi di diligenza, trasparenza, informazione, correttezza, nella fase delle trattative, da parte dell’intermediario o dell’assicuratore costituisce un illecito aquiliano. E’ impossibile infatti concepire un “inadempimento” contrattuale prima che il contratto sia venuto ad esistenza; né è possibile attribuire natura contrattuale ad un obbligo (quello di correttezza o di informazione, ad esempio) che preesiste al contratto, ed è imposto dalla legge. Pacifica, del resto, è nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. abbia natura aquiliana149. Conseguenza di quanto esposto è che la violazione dei doveri di correttezza, trasparenza ed informazione durante le trattative, da parte dell’assicuratore, non può mai legittimare una domanda di risoluzione del contratto per inadempimento. La Cassazione su questo punto è stata molto chiara, affermando che in tanto può invocarsi la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., in quanto si dimostri, in primis, l'esistenza di un contratto a prestazioni corrispettive; in secondo luogo, la presenza di una condotta, da parte di uno dei contraenti, che possa qualificarsi "inadempimento" al contratto stesso. Ne deriva che non può dichiararsi la risoluzione di un contratto per "inadempimento" se si assume che quest’ultimo è stato anteriore alla conclusione del contratto: infatti in tanto taluno può essere dichiarato inadempiente agli obblighi che fanno capo a lui in virtù del regolamento negoziale, in quanto esista un regolamento negoziale, cioè un contratto che lo astringa a tenere una determinata condotta, il che non si verifica durante le trattative150. 149 Ex multis, Cass. [ord.], sez. un., 19-11-2002, n. 16319, in Foro it. Rep. 2002, Giurisdizione civile, n. 155; Cass., 11-05-1990, n. 4051, in Foro it., 1991, I, 184, con nota di CARUSO. 150 Cass. 19.11.1994, n. 9802, in Rass. loc. cond., 1995, 65. 2 E’ ovvio che a soluzione opposta deve pervenirsi nel caso in cui l’assicuratore o l’intermediario vengano meno agli obblighi di correttezza od informazione non già prima della stipula del contratto, ma nel corso di esso (ad es., in occasione del rinnovo: cfr. artt. 11-21 Circolare Isvap 551/D del 2005). In questi casi la negligenza o l’omessa acquisizione del consenso informato costituiscono inadempimento, il quale legittima sempre la domanda di risarcimento del danno, ex art. 1218 c.c., e nei casi in cui sia grave la domanda di risoluzione del contratto, ex art. 1453 c.c.. Posto dunque che la violazione degli obblighi precontrattuali costituisce un illecito aquiliano, occorre ora esaminare quali effetti esso riverberi sul contratto, ove questo sia comunque concluso. Per dare soluzione a questo problema, è necessario distinguere due ipotesi, a seconda che il consenso dell’assicurato si sia formato in modo integro o viziato. Non sempre, infatti, la violazione degli obblighi precontrattuali da parte dell’assicuratore o dell’intermediario incide sulla formazione della volontà contrattuale della controparte. Si pensi alle ipotesi in cui l’informativa precontrattuale venga fornita in modo esaustivo e chiaro, ma non per iscritto; ovvero al caso in cui la nota informativa sia consegnata diverso tempo dopo la conclusione del contratto, ma il contraente sia stato comunque debitamente informato sui contenuti di questo. In queste ipotesi si ha un deficit solo formale di informazione. In questi casi, la condotta dell’assicuratore o dell’intermediario non può riverberare effetti sul contratto. Quel che rileva a fini sostanziali, infatti, è che l’assicurando sia informato, non certo il modo in cui lo sia. Può dunque affermarsi che la violazione dei doveri precontrattuali non produce effetto alcuno sul piano civilistico, quando il contratto che l’assicurando avrebbe altrimenti concluso, se fosse stato correttamente informato o comunque se l’assicuratore si fosse comportato con correttezza, diligenza e trasparenza, non sarebbe stato in alcun modo diverso da quello effettivamente stipulato. 2 Diversa è l’ipotesi in cui la violazione dei doveri precontrattuali si traduca in un deficit sostanziale di informazione, o comunque induca l’assicurando a stipulare un contratto che avrebbe altrimenti rifiutato, ovvero un contratto diverso da quello cui avrebbe altrimenti aderito. In tutti gli altri contratti (quelli cioè stipulati con qualsiasi modalità da non consumatori, ovvero quelli stipulati da consumatori ma attraverso canali “tradizionali") deve escludersi che l’assicurato possa invocare la nullità del contratto per omessa informazione precontrattuale. Le cause di nullità sono infatti tassative, e nessuna norma - ad eccezione dell’art. 16 d. lg. 190/05, cit. - consente di includere tra esse l’ipotesi del deficit di informazione dell’assicurato. Né certamente può dirsi che il contratto stipulato in violazione dell’obbligo di informare abbia causa od oggetto illeciti151. Omettere una adeguata informazione alla controparte non snatura la causa del contratto, che resta lecita, né rende illecito l’oggetto del negozio. Aggiungasi che appare arduo sostenere che le norme di condotta imposte agli intermediari assicurativi costituiscano “norme imperative” ai sensi dell’art. 1418 c.c.. Le “norme imperative” la cui violazione produce la nullità del contratto sono le norme violate dal contratto in sé, non dalla condotta tenuta dalle parti durante le trattative. Diversamente argomentando, infatti, si perverrebbe all’assurdo di ritenere nullo il contratto di vendita quando il venditore abbia sottaciuto all’acquirente i vizi della cosa, abrogando implicitamente l’art. 1490 c.c.. Di nullità del contratto potrebbe forse parlarsi nella sola ipotesi in cui l’omessa informazione, oppure l’erronea informazione, siano state di tale gravità da avere scusabilmente lasciato intendere all’assicurando che stava per concludere un contratto del tutto diverso da quello effettivamente concluso. In questo caso, però, il contrario sarebbe nullo non già per contrarietà alla legge, ma per mancanza del consenso. Si potrebbe parlare quasi di “assicurazione di aliud pro alio”. L’assicurato potrà invece invocare, nella ricorrenza dei presupposti di legge: (a) l’annullamento del contratto per errore (art. 1429 c.c.); (b) l’annullamento del contratto per dolo (art. 1439 c.c.), ovvero la reductio ad aequitatem dello stesso, nel caso di dolo incidente (art. 1440 c.c.). 151 Così Trib. Roma 25 maggio 2005, in Contratti, 2005, 796, con riferimento ad una ipotesi di omessa informazione del risparmiatore da parte dell’intermediario finanziario. 2 La prima ipotesi può ricorrere allorché la reticenza (colposa) dell’assicuratore o dell’intermediario abbia indotto in errore scusabile l’assicurando, facendogli ritenere che il programma contrattuale fosse diverso da quello effettivo. In questo caso, perché l’errore dell’assicurato possa condurre all’annullamento del contratto, è necessario che esso sia riconoscibile dalla controparte, ed essenziale: che verta, cioè, su alcuno degli elementi di cui all’art. 1429 c.c.. Sarà, così, annullabile per errore il contratto di assicurazione sulla vita a contenuto finanziario, se l’assicuratore sapeva che l’assicurato aveva erroneamente creduto che il rendimento garantito come annuale fosse in realtà mensile. In tema di annullamento del contratto per errore, nel caso di omissione delle prescritte informazioni all’assicurando, si pone quando l’assicurato abbia sottoscritto il contratto (o la proposta) recante tutte le indicazioni sufficienti e necessarie, ma in una veste grafica diversa da quella imposta dalla legge (ad esempio, nella quale non siano state debitamente evidenziate per colore e dimensione del carattere le clausole previste dall’art. 166 cod. ass.). A me pare che se l’informazione è stata fornita, è completa ed è chiara, vanamente si pretenderebbe l’annullamento del contratto per errore, sol perché non sono state rispettate le disposizioni regolamentari sull’ “evidenza” da dare ad alcune clausole. Colui il quale sottoscrive un testo contrattuale lascia presupporre per ciò solo di averlo letto, e se non l’ha fatto imputet sibi. Mi sembra, insomma, eversivo di alcuni princìpi basilari del diritto civile sostenere che la firma di un atto non vale niente, se il contenuto dell’atto non sia stato scritto con particolari caratteri tipografici. Se così fosse, dovrebbe concludersi che per la validità del contratto o di alcune clausole di esso non basta il consenso validamente manifestato, ma è necessario un ulteriore requisito formale. Se invece l’omissione, l’incompletezza o l’erroneità delle informazioni fornite dall’assicuratore nella fase precontrattuale non siano colpose, ma volute, troveranno applicazione non già le norme sull’errore, ma quelle sul dolo (art. 1439 e ss. c.c.). Si verte, in questo caso, nell’ipotesi di dolosa induzione a contrarre, che 2 è anch’essa causa di annullamento del contratto, se il dolo è stato determinante del consenso. Il dolo è causa di annullamento del contratto sia quando provenga dall’assicuratore (ad es., nel caso di capziosa redazione della nota informativa), sia quando provengano dall’intermediario: in quest’ultimo caso, però, è necessario che l’assicuratore ne fosse a conoscenza, ovvero che l’intermediario fosse munito di potere rappresentativo (art. 1439, comma 2, c.c.). Se l’assicuratore non era a conoscenza del dolo dell’intermediario il contratto resta perciò valido, ma l’intermediario sarà tenuto a rispondere del danno patito dall’assicurato. In tutti i casi di annullamento del contratto per vizio del consenso indotto da errore o dolo della controparte, sarà onere dell’assicurato dimostrare: (a) il proprio l’errore o l’altrui dolo; (b) la natura determinante della falsa rappresentazione della realtà. In particolare, nel caso l’assicurato invochi l’annullamento per errore, egli dovrà dimostrare che questo era essenziale e riconoscibile. Ciò vuol dire che l’assicurato non può limitarsi ad affermare la qualità essenziale del vizio, ma ha l’onere di provare che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, l’errore verteva proprio sull’identità ovvero su una qualità dell’oggetto della prestazione (art. 1429, n. 2, c.c.), e non già sulla maggiore o minore convenienza economica dell’affare, che è ipotesi estranea alla previsione degli artt. 1427 ss. c.c.152. Nel caso in cui l’assicurato invochi l’annullamento per dolo, dovrà provare gli altrui artifici o raggiri, che non possono consistere nel mero silenzio, a meno che questo non si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno153. In tutti e due i casi, poi, l’attore ha l’onere di provare che, qualora avesse ricevuto le informazioni dovute al momento della contrattazione, non avrebbe stipulato il contratto. 152 Ex multis, Cass., sez. III, 03-04-2003, n. 5139, in Foro it., 2003, I, 3047; Cass., sez. un., 01-07-1997, n. 5900, in Foro it., 1997, I, 3217, con nota di LAGHEZZA; Cass., sez. I, 21-061996, n. 5773, in Foro it., 1996, I, 3382, con nota di VASQUES. 153 Cass., sez. II, 15-03-2005, n. 5549, in ***. 2 Una volta fornite dall’attore tali prove (che possono essere raggiunte anche col ricorso a presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.; fatti notori, ex art. 115 c.p.c., massime di esperienza, come l’id quod plerumque accidit), sarà onere dell’assicuratore dimostrare di avere tenuto una condotta diligente, ed in special modo di avere correttamente ed esaustivamente informato l’assicurando sulle caratteristiche e sul contenuto del contratto. Secondo la giurisprudenza prevalente, formatasi in materia di responsabilità dell’intermediario finanziario, quel che rileva ai fini della prova di avere informato il cliente non è la mera forma scritta, ma la esaustività e la chiarezza dell’informazione. Ciò vuol dire che la suddetta prova non può ritenersi fornita attraverso la produzione di un semplice modulo prestampato, quando il contenuto di questo non dia debito conto che il contraente sia stato informato in modo completo, puntuale e comprensibile sulla natura, sul contenuto e sui rischi del contratto che si accingeva a stipulare154. Ulteriore conseguenza della violazione dei doveri precontrattuali da parte dell’assicuratore è il risarcimento del danno, che come accennato ha natura aquiliana. Per quanto attiene alla determinazione del danno risarcibile, nelle assicurazioni contro i danni esso sarà di norma agevole. Se non si sia verificato alcun sinistro, il danno da responsabilità precontrattuale sarà pari alle spese sostenute per le trattative e la stipula della polizza; se invece il sinistro si verifica prima che l’assicurato abbia avuto il tempo di rivolgersi ad altro assicuratore, il danno sarà pari all’indennizzo che il danneggiato avrebbe potuto ottenere dall’assicuratore, qualora questi si fosse comportato correttamente. 154 Da ultimo, in tal senso, Trib. Roma, 25 maggio 2005, in Contratti, 2005, 796, secondo cui “l’intermediario finanziario ha il preciso obbligo contrattuale, ex art. 1374 c.c., di informare sempre il cliente sulle caratteristiche e sui rischi specifici e concreti dell’investimento, e ciò sia al momento della stipula, sia durante la vigenza del contratto; tale obbligo va adempiuto con modalità diverse, a seconda della preparazione e della competenza del risparmiatore, ed ai fini della prova dell’adempimento non riveste rilievo decisivo la circostanza che il cliente abbia sottoscritto il foglio informativo predisposto dalla banca, se questo abbia contenuto del tutto generico; sostanzialmente nello stesso senso si vedano Trib. Taranto, 27 ottobre 2004, in Contratti, 2005, 174; Trib. Brindisi, 26-02-2004, in Foro it., 2004, I, 1561; Trib. Roma, 18-02-2002, in Danno e resp., 2003, 291; Trib. Biella 3.1.2001, in Contratti, 2001, ***. 2 Meno agevole è la aestimatio del danno da violazione dei doveri precontrattuali nel caso di vendita di prodotti misti assicurativi-finanziari. Anche in questo caso, è d’obbligo fare riferimento alla giurisprudenza consolidata in tema di violazione degli obblighi di informazione gravanti sul promotore finanziario, la quale ha fissato i seguenti princìpi. Non è configurabile alcun danno risarcibile quando l’informazione omessa era tale che, se fornita, non avrebbe verosimilmente dissuaso l’investitore dalla stipula del contratto. In questi casi, infatti, viene meno il nesso causale ex art. 1223 c.c. tra il lamentato pregiudizio e la condotta ascritta all’assicuratore o all’intermediario. Non così, invece, nell’ipotesi in cui il contraente, se avesse conosciuto la notizia o le informazioni che gli sono state sottaciute, non avrebbe stipulato il contratto, ovvero lo avrebbe stipulato a condizioni diverse. In questo caso, tuttavia, il danno risarcibile non può essere pari al rendimento atteso dal contraente, od a quello suggerito dall’intermediario (magari con millanteria) al momento della stipula. Il danno rappresentato dalla violazione della libertà contrattuale (essere indotti a stipulare un contratto che si sarebbe altrimenti rifiutato) è un danno differenziale, pari allo scarto tra quanto il contraente ha ricavato dal contratto effettivamente stipulato, e quanto avrebbe ricavato se avesse investito la medesima somma in altre attività, possibili e note al momento della conclusione del contratto non andato a buon fine. Così, ad es., se una polizza linked, stipulata da persona tratta in errore dall’intermediario, ha reso all’assicurato il 2%, mentre nel medesimo periodo altre forme ordinarie di investimento hanno reso il 5%, il danno da lucro cessante patito dall’assicurato sarà pari al 3% del capitale investito. 2 6.9 Il Registro Unico degli Intermediari Tutti gli intermediari assicurativi in base alla Direttiva 2002/92/CE sono soggetti ad obbligo di registrazione. Questo obbligo mette in luce due finalità precise: 9 la libera circolazione degli intermediari all’interno dell’UE; 9 la protezione dei consumatori. Si assiste quindi ad una nuova concezione della figura di intermediario, la cui registrazione produce uno status nuovo rispetto all’impianto normativo precedente degli Stati Membri. Ad un’analisi approfondita, però, non sempre il legislatore nazionale ha realizzato appieno il disposto della Direttiva155, proponendo soluzioni apparentemente ostative al modello dell’intermediario “unico”. Il legislatore italiano, dopo aver previsto la creazione del Registro Unico degli intermediari assicurativi (art.109 del decreto legislativo 109 del 7 settembre 2005 n.109 – Codice delle Assicurazioni Private), ne prevede la suddivisione in cinque autonome sezioni, con divieto di contemporanea iscrizione a più sezioni da parte del medesimo soggetto (persona fisica o giuridica). La soluzione è funzionalmente identica nella Ley 26/2006 spagnola ma differisce nettamente in altri sistemi. Il recepimento della Direttiva in Italia coincide con l’approvazione del Decreto Legislativo 7 settembre 2005 n.209 recante il riassetto delle disposizioni in materia di assicurazioni private - Codice delle Assicurazioni Private. Il Titolo IX del Codice delle Assicurazioni Private è dedicato agli intermediari di assicurazione e riassicurazione, ed, all’interno di esso si evincono particolari contraddizioni dovute all’esigenza di comporre le problematiche interne al mondo intermediatizio nazionale e l’adeguamento al modello comunitario. Partendo dall’assunto che l’obiettivo della registrazione è quello di creare un modello di intermediario unico, l’idea stessa di articolare il registro in cinque sezioni è sicuramente contraddittoria. In effetti, in questo modo si realizza una tipizzazione di differenti figure di intermediario, sottolineate dal divieto espresso di iscrizione a più sezioni del registro. Riguardo questo argomento si è accennato in 155 Sull’argomento si veda D.Cerini, Professore Associato di Diritto Privato Comparato, Università degli Studi di Milano Bicocca. 2 precedenza (par. 6.8) la contrarietà di maggior parte degli addetti ai lavori, manifestata in maniera esplicita mediante un ricorso al TAR del Lazio, ritenuto da quest’ultimo infondato. E’ la Direttiva stessa che consente agli Stati Membri “più registri per gli intermediari assicurativi e riassicurativi, purchè siano stabiliti i criteri in base ai quali gli intermediari devono essere iscritti (…)” e semprechè si preveda il funzionamento di uno “sportello unico che consenta di accedere agevolmente e velocemente all’informazione proveniente dai diversi registri istituiti elettronicamente (…)” (art.3,2 dir.2002/92/CE). In base a tale apertura, l’art.109 del Codice delle Assicurazioni Private distingue cinque sezioni del Registro Unico. a. gli agenti di assicurazione, ossia gli “intermediari che agiscono in nome o per conto di una o più imprese di assicurazione o di riassicurazione (sez. A); b. i mediatori di assicurazione o di riassicurazione o broker, quali “intermediari che agiscono su incarico del cliente e senza poteri di rappresentanza di imprese di assicurazione o di riassicurazione” (sez. B); c. i produttori diretti, i quali, anche in via sussidiaria rispetto all’attività svolta a titolo principale, “esercitano l’intermediazione assicurativa nei rami vita e nei rami infortuni e malattia per conto e sotto la piena responsabilità di un’impresa di assicurazione e che operano senza obblighi di orario o di risultato esclusivamente per l’impresa medesima” (sez. C); d. le banche autorizzate, gli intermediari finanziari inseriti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del testo unico bancario, le società di intermediazione mobiliare autorizzate, la società Poste Italiane – Divisione servizi di bancoposta (sez. D); e. i soggetti addetti all’intermediazione, “quali i dipendenti, i collaboratori, i produttori e gli altri incaricati degli intermediari iscritti alle sezioni di cui alle lettere a), b) e d) per l’attività di intermediazione svolta al di fuori dei locali dove l’intermediario opera” (sez. E). 2 L’articolo in esame, che consente altresì l’iscrizione di agenti e broker persone fisiche, “abilitati ma temporaneamente non operanti, per i quali l’adempimento dell’obbligo di copertura assicurativa […] è sospeso sino all’avvio dell’attività” (3° comma), sancisce inoltre un generale divieto di “contemporanea iscrizione dello stesso soggetto in più sezioni (2° comma, cpv.). E’ appunto quest’ultimo l’elemento controverso che tante critiche ha mosso da parte degli addetti ai lavori in Italia. Non tanto la separazione quindi, ma il divieto espresso di iscrizione a più sezioni crea discussioni: la formulazione dell’ultimo comma dell’art. 109 del Codice delle Assicurazioni Private ove si prevede che “non è consentita la contemporanea iscrizione dello stesso intermediario in più sezioni del registro”. L’osservazione che, quindi, può essere avanzata è che in Italia, alla volontà unificante di estrazione comunitaria, sembra contrapporsi una certa resistenza probabilmente proveniente dal mondo stesso dell’intermediazione. 2 6.10 L’importanza dell’intermediazione all’interno del mercato assicurativo Gli intermediari assicurativi facilitano la vendita e l’acquisto di prodotti assicurativi e forniscono importanti servizi alle compagnie ed ai consumatori. Tradizionalmente, gli intermediari vengono divisi in due categorie: gli agenti assicurativi e i broker. Questa distinzione riguarda semplicemente il modo in cui essi operano all’interno del mercato assicurativo. Gli agenti assicurativi sono, generalmente, autorizzati a concludere affari per nome e in conto di compagnie assicurative. L’agente rappresenta l’assicuratore nel processo assicurativo, e principalmente opera sulla base di un contratto di agenzia. Il rapporto assicuratore-agente può assumere diverse forme. In alcuni mercati, gli agenti sono indipendenti e lavorano con più di una compagnia assicurativa (normalmente un piccolo numero di compagnie); in altri, gli agenti operano esclusivamente, rappresentando una singola compagnia in un’area geografica, o trattando una solo tipologia di affari per ogni diversa compagnia. Gli agenti possono operare in molte forme differenti: indipendente, esclusiva, dipendente, autonoma. I broker tipicamente lavorano per il contraente, all’interno del processo assicurativo, ed operano indipendentemente dalle compagnie. I broker assistono i clienti nella scelta della loro assicurazione, presentando loro una gamma di alternative in termini di assicuratori e prodotti. In alcuni mercati ci sono distinzioni tra broker, a seconda del tipo di assicurazioni che sono autorizzati a intermediare, delle tipologie di clienti che servono, e del modo in cui si pongono nella negoziazione, ad esempio facendo da tramite per agenti e broker nei confronti delle compagnie, non trattando direttamente con il cliente (wholesale brokers). Tecnicamente parlando, il ruolo del broker può cambiare durante la mediazione assicurativa, in quanto in alcuni casi può comportarsi quasi come “un agente” dell’assicuratore, ed in altri casi come “broker tout court”. Ad esempio il broker agisce come tramite del cliente nella negoziazione del contratto e conclusione della polizza. Quando un broker fornisce servizi che invece sarebbero gestiti 2 direttamente dalla compagnia assicurativa, come il pagamento del premio e la gestione dei sinistri, il broker sta agendo essenzialmente come un agente. In pratica, indipendentmente dal ruolo che il broker sta assumendo, la funzione che egli copre è quello di intermediario tra un cliente ed una compagnia, per facilitare il processo di assicurazione. Detto questo, non è sempre facile determinare quando siamo davanti ad un agente o ad un broker. Essendo elementi in possesso sia di ampie conoscenze del mercato assicurativo, inclusi prodotti prezzi e compagnie, sia di una profonda conoscenza del “bisogno assicurativo” gli intermediari hanno un ruolo fondamentale all’interno dell’economia. Il ruolo dell’assicurazione all’interno dell’economia è conosciuto: senza la protezione dai rischi che l’assicurazione garantisce, le attività commerciali ed industriali si rallenterebbero notevolmente, così come il tenore di vita delle persone. Il ruole dell’intermediario nell’economia globale è, essenzialmente, quello di rendere fruibile e facilmente accessibile il mondo delle assicurazioni in ogni sua sfaccettatura. Vi sono diversi fattori che permettono agli intermediari di assumere questo rilevante ruolo all’interno del mercato assicurativo. Gli intermediari assicurativi apportano progressivamente innovative strategie di markerting al mercato. Questo permette di aumentare la consapevolezza e la conoscenza dei mercati dei consumatori, soprattutto in termini di coperture possibili, di pluralità di opzioni, di modalità di accesso alle coperture. Gli intermediari forniscono ai consumatori l’informazione necessaria per comprendere al meglio i prodotti e compiere scelte ponderate; possono spiegare al cliente quali sono le sue esigenze assicurative (magari non ancora percepite) e quali sono le opzioni in termini di assicuratori, polizze e prezzi. Un altro elemento importante della figura dell’intermediario è sicuramente quello dell’esperienza e della conoscenza delle esigenze e delle problematiche dei consumatori. Egli è perciò un soggetto chiave per l’evoluzione dei prodotti 2 assicurativi in funzione dei consumatori, e per l’apertura di mercati nuovi. Per di più l’espansione delle conoscenze e dei mercati può attirare ulteriori investimenti e l’espansione dell’industria stessa. Infine, le accresciute conoscenze dei consumatori aiutano sicuramente ad aumentare la domanda assicurativa. Con queste premesse è perciò evidente quanto l’intermediazione assicurativa possa incidere sui mercati e sull’economia. 2 6.11 Osservazioni sull’impatto delle novità legislative sul mercato e sulla professione La storia dell’assicurazioni testimonia numerosi esempi negativi di attività intermediativa, a discapito della figura professionale, e della fiducia dei consumatori. In Italia, dove l’assicurazione vita, sta in questi anni diventando un importante collettore di capitali privati, e protagonista nel campo della previdenza, si è assistito a tristemente celebri casi di intermediazione, nei quali l’intermediario (e, alle volte, la compagnia) si limitava a massimizzare il proprio profitto senza valutare le esigenze e i bisogni dell’assicurato. La spiegazione a tali negatività è semplice: l’assenza di stringenti requisiti per l’accesso alla professione. E’ per questo motivo che i paletti inseriti nel 2002 dalla Direttiva Europea, e successivamente implementati negli Stati Membri, stanno realizzando un profondo cambiamento in positivo della professione di intermediario assicurativo. In primo luogo si valorizza la professionalità stessa dell’intermediario. Nel momento in cui il consumatore entra in contatto con esso, può avere la tranquillità e la certezza di trovarsi davanti ad uno o più professionisti di provata esperienza, competenza e professionalità. Le novità legislative in materia di requisiti, quindi, oltre a garantire maggior tranquillità dei consumatori, valorizzano chi nel settore opera quotidianamente, mettendolo al sicuro da coloro che, in precedenza, si improvvisavano intermediari anche per periodi di tempo brevi. I requisiti professionali dell’IMD garantiscono aggiornamento costante. In questo modo, mediante una formazione continua degli intermediari, essi possono restare costantemente al passo con i tempi ed informati riguardo le innovazioni legislative e del mercato, a tutto vantaggio dell’intermediario stesso e del consumatore. Altro punto fondamentale per intermediari e consumatori è l’informazione. Questo è stato sicuramente un punto dolente dell’attività pre-IMD. Ad esempio l’intermediario in cattiva fede, spesso riusciva a portare a termine contratti sicuramente vantaggiosi per lui stesso, ma non per il cliente, sottacendo i 2 caricamenti, o, nel caso di broker, scegliendo i prodotti con il tornaconto più elevato. La presenza di informativa precontrattuale, permette ai clienti di valutare con assoluta trasparenza la figura stessa dell’intermediario, così come di valutare al meglio il prodotto assicurativo che viene proposto. E’ sicuramente di grande importanza il questionario di adeguatezza, che permette a tutti i soggetti “in gioco” di comprendere al meglio il bisogno assicurativo. Questi elementi, non esaustivi, permettono di valutare con assoluta favorevolezza l’impianto normativo che, a partire dalla Direttiva sull’Intermediazione Assicurativa, si sta costruendo all’interno del nascente mercato unico Europeo. Come si è visto in precedenza non vi è stata una implementazione completamente uniforme tra gli Stati Membri, e questo è un punto sicuramente problematico, il cui impatto è ancora in fase di valutazione. Nonostante ciò non vengono inficiati i benefici di una legislazione sicuramente più rivolta ai soggetti deboli del rapporto assicurativo, cioè i consumatori. Uno dei punti dolenti delle riforme, stando ai dati poc’anzi presentati, e alle testimonianze dirette assunte durante il 2007 presso le compagnie assicurative italiane è stato sicuramente l’incremento dei costi e della burocrazia. In Italia156 l’implementazione non ha causato un forte aumento dei costi per intermediari e compagnie, quantomeno rispetto a paesi come Regno Unito e Olanda. I maggiori costi sono stati probabilmente quelli affrontati per “mettersi in conformità” in tempi brevi dopo l’uscita del Regolamento n.5/06 dell’ISVAP. In particolare le compagnie, dovendo affrontare termini relativamente brevi, hanno dovuto formare le risorse addette alla gestione degli intermediari, formare gli intermediari (es. agenti, subagenti, produttori), approntare gli uffici appositi, predisporre e diffondere la nuova modulistica, adempiere agli obblighi di legge. Gli intermediari hanno affrontato i costi di registrazione, quelli di aggiornamento professionale, e, l’approntamento degli strumenti necessari per operare in conformità. Si tratta però, secondo la mia opinione, di costi abbastanza contenuti in relazione ai benefici che le novità legislative garantiranno ai professionisti del settore. 156 Per un’analisi dei costi diretti e di conformità in alcuni Stati Membri, si veda il paragrafo 6.4.7 2 L’aumento burocratico, inoltre, è abbastanza evidente poiché l’intermediario per operare conformemente ha l’obbligo di assumere e fornire una quantità di informazioni decisamente superiore. Così come sono aumentati gli oneri di certificazione (anche a livello formativo) per poter riscontrare i requisiti. Numerosi intermediari intervistati hanno manifestato opinioni negative su questo aspetto, obiettando che non sempre l’informazione al contraente fatta nei tempi e nei modi previsti dalla legge è garanzia di trasparenza. La sovrabbondanza di informazioni in effetti può diventare controproducente. Questa osservazione, seppur non completamente smentibile, va bilanciata con la presenza dei requisiti professionali e di onorabilità dell’intermediario, in modo tale da raggiungere un livello di trasparenza tale da garantire al cliente un’assoluta tranquillità che gli permetta di effettuare scelte completamente ponderate, nella coscienza di aver davanti a sé un soggetto volto alla fornitura di un servizio. Infine, parlando dell’impatto che le novità legislative possono avere sul mercato assicurativo Europeo, a prima vista le conclusioni possono sembrare più “entusiasmanti” di quanto non siano in realtà. Va detto innanzitutto che questa evoluzione dell’attività di intermediazione assicurativa era un passo necessario, senza il quale non si può pensare ad un mercato unico di livello davvero alto. Era necessario cioè garantire che gli intermediari a livello europeo fossero tutti sullo stesso piano, oppure quantomeno, riscontrassero dei requisiti minimi di competenza e profesionalità, tali da garantire ai consumatori dell’Unione un’uniforme fiducia nel mercato e nei suoi protagonisti. La libera circolazione dei professionisti è anche un elemento chiave per il trasferimento di know how, di professionalità e competenze che comunque rimarranno diverse e frammentate, perché al suo interno l’Unione conosce realtà assicurative estremamente diverse, che, col tempo, potrebbero muoversi verso l’omogeneità. Detto ciò, bisogna valutare l’impatto sulla base della considerazione che questo passo non era evitabile. Le dichiarazioni entusiastiche dei membri delle Commissioni Europee, non devono trarre in inganno: il cambiamento, a livello Europeo, è stato percepito ancora in maniera troppo lieve, nel senso che sia 2 gli intermediari, sia i consumatori, sia le compagnie, non hanno ancora del tutto assimilato la direzione verso la quale il mercato assicurativo deve e vuole muoversi. L’opinione è quella che probabilmente, attualmente, stiamo valutando l’inizio di un lungo percorso il cui obiettivo finale potrebbe essere quello di accrescere ad un livello adeguato ed omogeneo la consapevolezza del bisogno assicurativo all’interno dell’Unione Europea. Questo obiettivo si può perseguire mediante la continua e progressiva professionalizzazione degli intermediari, mediante l’aumento della concorrenza a livello di mercato unico tra le compagnie in modo tale da garantire prodotti sempre più competitivi, mediante campagne di informazione atte ad accrescre la cultura assicurativa di tutti, per garantire il proprio tenore di vita, le proprie attività commerciali, in definitiva, il proprio futuro. 2 BIBLIOGRAFIA Siti internet http://www.allianz.it/ Allianz Spa http://generali.it/ Assicurazioni Generali SpA http://www.aida.org.uk/ Association Internationale de Droit des Assurances http://www.aisam.org Association Internationale des Societes d’Assurance Mutuelle http://www.aida-italia.org/ Associazione Internazionale di Diritto delle Assicurazioni http://www.axa-italia.it/ AXA Assicurazioni e Investimenti http://www.bipar.org/ BIPAR, the European Federation of Insurance Intermediaries http://www.cityoflondon.gov.uk/ City of London, sito ufficiale http://www.covip.it/ Commissione vigilanza fondi pensione http://www.ceiops.org/ Committee of European Insurance and Occupational Pensions Supervisors http://fsa.gov.uk/ Financial Services Authority – The Insurance Standing Group http://www.generali.com/generalicom/ Generali, stampa e comunicazione http://www.genevaassociation.org/ International Association for the study of insurance economics 3 http://www.iaisweb.org/ International Association od Insurance Supervisors http://www.unidroit.org/ International Institute for the Vigilanza sulle Unification of Private Law http://www.isvap.it/ Istituto per la Assicurazioni Private e di Interesse Collettivo http://www.lloyds.com/ Lloyd’s of London http://www.oecd.org/ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico http://www.solvency-2.com/ Portale internazionale Solvency II http://tfr.gov.it/ Riforma delle previdenza complementare, Ministero del lavoro e della previdenza sociale http://europa.eu/ Sito ufficiale dell’Unione Europea http://www.cea.assur.org/ The European Insurance and Reinsurance Federation http://gcactuaries.org/ The Groupe Conultatif http://solvencyii.co.uk/ The International Underwriting Association Testi A.M.BEST "Best's key rating", in Property&Casualty Oldwic Guide 1994, New York (U.S.A.), 1994. 3 AA.VV.. – Bruxelles “Financial supervision in Europe: do we need a new architecture?“: European League for Economic Cooperation, 2006. 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