Guerriglia alla prigionia dell'Informazione. Contro la corruzione dell'industria mediatica, il bigottismo dei ceti medi, l'imperdonabile assopimento della coscienza civile. La brama di Verità prima di ogni anelito, l'abrasiva denuncia, verso la dissoluzione di ogni soluzione precostituita, L'infanticidio di ogni certezza indotta. La polvere nera della coercizione entro le narici di una crisi di rigetto. L'abbuffata di un pasto nudo, crudo amaro quanto basta per non poter esser digerito. Dal blog di Vittorio guerrillaradio.iobloggo.com Un giorno senza un sorriso è un giorno perso, diceva Charlie Chaplin Gaza: pioggia di fuoco - 10/04/2011 “Ho lasciato le mie cugine che stavano lavando i panni nel cortile di casa, quindi mi sono avviato verso la moschea per la preghiera di mezzogiorno. Non avevo ancora camminato per 500 metri quando ho sentito il boato, e giratomi di scatto ho visto il fumo salire sopra la nostra casa”. Mentre ci offrono il caffè e i datteri rituali sotto la tenda della veglia funebre, Nidal continua il suo racconto. “Sono precipitato indietro con alcuni familiari e appena varcata la soglia di casa la scena raccapricciante: tutte 4 le donne stavano stese a terra, Najah era già cadavere mentre sua figlia Nidal è spirata fra le mie braccia. Abbiamo caricato le altre 2 sorelle, Nida e Fida su 2 auto e siamo corsi incontro alle ambulanze”. Ad Al-Farahin, Est di Khan Younis un drone UAV israeliano, uno di quegli velivoli senza pilota comandati a distanza che qui a Gaza chiamano !zannana”, ha mirato e fatto centro su un gruppo di donne. Il missile è esploso a mezzo metro da Najah Harb Qdeah, 45 anni, uccidendola sul colpo. Nidal Ibrahim Qdeah di 20 anni, è morto poco dopo, Fida di anni 15 è rimasta seriamente ferita ad una gamba mentre Nida Qdeah, un’altra bambina di 12 anni, sta lottando in questo momento fra la vita e la morte all’ospedale Europa di Khan Younis. La giornata di oggi era cominciata seguendo lo stesso copione di morte e terrore di quella di ieri: elicotteri Apache, caccia bombardieri f 16 e droni concentrati nel loro fuoco da nord a sud della Striscia. Questa mattina, prima dell’attacco alla famiglia Qdeah, sempre a Est di Khan Younis, durante un bombardamento venivano uccisi 2 guerriglieri di Hamas e contemporaneamente a Rafah 3 civili venivano feriti gravemente. A Qarara, nel centro della Striscia di Gaza, moriva sotto le bombe Talal Abu Taha, un civile di 55 anni. Verso sera, le sofisticate apparecchiature israeliane tornavano a puntare sui civili e precisamente un gruppo di bambini che stava giocando a calcio nei pressi di Shujaiyeh: 2 bambini uccisi e feriti un’altra decina di minori di diciotto anni. Uno dei corpi dei piccoli, non ancora identificati è arrivato all’ospedale Al Shifa decapitato. All’ora in cui sto scrivendo, le 22:30 locali, gli ospedali sono in stato di allerta, e molti letti sono già occupati da feriti gravi, per la maggioranza civili. Fra questi, due donne colpite da schegge di proiettile a Zeitoun, quartiere est di Gaza city e un paramedico palestinese, rimasto seriamente ferito mentre cercava di evacuarle dalla zona dei bombardamenti. Gli sporadici lanci di razzi artigianali dei guerriglieri palestinesi, oggi non hanno provocato feriti in Israele, ne tantomeno sostanziali danni alle cose. Sotto la tenda funebre allestita per raccogliere il cordoglio per le donne assassinate ad Al Fahraeen, Nidal non trattiene la sua rabbia: “la comunità internazionale dovrebbe prendersi cura dei civili oppure no? Dov’è ora? Dove stanno? Tutti in Libia? Uccidono i nostri bambini, fanno a pezzi le nostre mogli e le nostre figlie e dove sta l’ONU?” Maheer, un altro cugino delle vittime incalza: “dopo l’attentato a Gerusalemme, l’opinione pubblica israeliana è assetata di sangue , e anche se noi gazawi non c’entriamo niente, ecco che il governo di Tel Aviv li tieni buoni compiendo questi massacri a Gaza. Tanto per dimostrare quanto polso hanno, che controllano la situazione”. Comunico loro che il portavoce dell’esercito israeliano dopo le molte vittime civili di questi due giorni ha espresso il suo dispiacere, ma allo stesso tempo ha accusato Hamas di utilizzare i civili come scudi umani. Nidal e Maheer quasi non si trattengono sulle sedie. Nidal: “hanno apparecchiature così sofisticate da riuscire dal cielo a leggere l’ora sul display del tuo orologio, e come è possibile che abbiano commesso un errore così marchiano da bombardare un cortile di una casa dove alcune donne stendevano dei panni?” Le ultime notizie parlano di bombardamenti via terra a Zaitoun e via area a Nord di Gaza city. Mi immagino quel soldato che è al posto di comando del drone che ucciderà anche questa notte, come se stesse vivendo una realtà virtuale, e gli omicidi punti accumulati sullo schermo di una mortifera playstation. Il governo della Striscia è tornato anche oggi a chiedere una tregua, ma la sensazione è che siamo ancora distanti dal game over di terrore e omicidi. Ahmed mi ha appena chiamato al telefono: “Victor, hai del pane in frigo? Dai usciamo, conviene fare scorte”. Restiamo Umani Vik da Gaza city Il diritto alla difesa israeliano, che in realtà è un diritto all’offesa e alla pulizia etnica 26/03/2011 - Il mio racconto di ieri per Peacereporter: L’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra parla chiaro, quando afferma che “nessuna persona può essere punita per un’infrazione che non ha commesso personalmente. Le pene collettive, come pure qualsiasi misura d?intimidazione o di terrorismo, sono vietate”. In una Gaza strangolata da un feroce assedio medioevale, le punizione collettive promosse da Israele a più un milione e mezzo di persone si accavallano e sovrappongono. Questa notte, la Striscia veniva bombardata in seguito alla bomba esplosa nella stazione dei autobus di Gerusalemme Ovest che ha provocato 30 feriti e il decesso di una donna, sebbene nessuna prova al momento faccia intendere il coinvolgimento di un solo palestinese di Gaza con l’attentato. La giornata era iniziata nel peggiore dei modi: Mouhamed Talal Al-Helu, 6 anni, con il corpo ricoperto da schegge di esplosivo, in fil di vita per le ferite rimediate il giorno prima, riusciva ad ottenere un coordinamento per essere ricoverato in un ospedale israeliano solo dopo molte ore di burocratica attesa. A detta dei dottori palestinesi a questo punto le speranze che si possa salvare sono remote. Nel cimitero, 4 nuove lapidi si affiancano a quelle dei 2 bambini uccisi sabato sera, sono: Muhammad Jihad Al-Helo, 11 anni, Yasser Ahed Al-Helo, 16 anni, Muhammad Saber Harara, 20 anni eYasser Hamer Al-Helo di 50 anni. Martedç pomeriggio stavano allegramente giocando a calcio dalla parti di Shejaeya, a Est di Gaza city, quando un carro armato posto a 2 chilometri di distanza da loro ha iniziato a cannoneggiare. Risultato del bombardamento: 5 morti, 11 feriti, compresi 8 bambini, tutti civili, da quello che il portavoce dell'esercito israeliano ha ammesso essere stato un increscioso errore di puntamento. Quando mi sono recato per scattare delle foto all’obitorio dell'ospedale Al Shifa, quei corpi nei frigoriferi spalancati conservavano ben poco delle sembianze umane, a causa di “un errore” per il quale nessuno pagherà mai. Il Segretario alla Difesa statunitense Robert Gates ieri ha colto una nuova occasione per mettere a nudo l’ipocrisia USA, denunciando l’attacco a Gerusalemme Ovest come orrifico e non spendendo alcuna parola per le numerose vittime civili di Gaza. Il belligerante premio Nobel per la Pace Obama è andato ancora oltre dichiarando che i "razzi" artigianali lanciati dai Palestinesi nel deserto del Negev sono inaccettabili senza fare cenno ai bombardamenti israeliani, come se i missili da una tonnellata sparati dai Caccia f16 su centri densamente abitati invece fossero dei cotillon. Razzi palestinesi, per lo più artigianali, che nel 2011 hanno provocato zero vittime fra gli israeliani, come zero vittime ne avevano provocate in tutto il 2010. Missili israeliani, made in USA, che nel giro di pochi giorni hanno fatto a pezzi 10 palestinesi, 5 dei quali bambini, e 40 feriti. Cifre qui citate per vanificare il ventilato diritto alla difesa israeliano, che in realtà è un diritto all’offesa e alla pulizia etnica. Ieri, verso le 2 e mezza di notte, dopo che per tutto il giorno drone israeliani avevano sorvolato a bassa quota i cieli di Gaza, elicotteri Apache e caccia f16 facevano la loro entrata in scena bombardato il centro della Striscia, i tunnel al confine di Rafah, e una centrale di energia elettrica a Gaza city, gettando buona parte della città nella completa oscurità, creando il panico mentre i missili continuavano a colpire. Nessuna vittima fortunatamente, ma per alcuni lunghissimi minuti, l'atmosfera di terrore avvertibile nella Striscia era la stessa del 27 dicembre 2008, l'inizio della devastante operazione militare Piombo Fuso che si concluse col massacro di più di mille civili, 320 dei quali bambini. Questa mattina Gaza si risveglia con le borse sotto gli occhi e l’animo in disordine. L’entusiasmo dettato dalle manifestazioni dei giovani per la fine delle divisioni sembra lontano, cosi come si allontana l’annunciata visita nella Striscia di Abu Mazen. Chi ha lanciato i colpi di mortaio nel deserto settimana scorsa e chi massacra i civili oggi stanno vincendo: Hamas e Fatah che erano sul punto di tornare a parlarsi si richiudono progressivamente nelle loro inconciliabili posizioni, e in mezzo milioni di incolpevoli subiscono ogni giorno l’unico articolo presente nelle convenzioni non scritte d’Israele: punizione collettiva contro una popolazione inerme. Restiamo Umani. Vittorio Arrigoni da Gaza city L'esercito di occupazione israeliana uccide altri 2 bambini palestinesi a Gaza 23/03/2011 - Il mio racconto di ieri per Peacereporter: In Libia bombardamenti umanitari targati ONU, in Yemen gas nervino e cecchini contro i manifestanti, in Bahrein carri armati sauditi con licenza di strage suscitano il biasimo generale, mentre in Palestina l?ennesimo bagno di sangue perpetrato dalla cosiddetta unica democrazia del medio oriente scivola ordinariamente in secondo piano. Ieri notte massicci bombardamenti lungo la Striscia a Gaza city, Rafah e Khan Younis, hanno causato secondo fonti mediche 18 feriti, 7 dei quali bambini e 2 donne. Queste ultime vittime si sommano ai 5 feriti di sabato mattina, fra i quali un infante di 3 anni colpito alla testa da schegge di esplosivo a Rafah, sud della Striscia e soprattutto si aggiungono all’uccisione di 2 bambini sabato sera. Attacchi indiscriminati contro la popolazione civile di Gaza in seguito al lancio nel deserto del Negev, in territorio israeliano, sempre nella giornata di sabato, di una cinquantina di colpi di mortaio da parte delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, lancio che aveva provocato 2 feriti lievi. Hamas che non sparava più un colpo contro obbiettivi israeliani da mesi, che in pratica aveva disarmato la sua resistenza e continuamente tramite il premier Ismail Hanye invitava le altre fazioni a fare altrettanto, decideva questo nuovo attacco mentre a Gaza city la sua polizia reprimeva nel sangue le manifestazione pacifiche dei giovani di Gaza per la fine delle divisioni, assalendo brutalmente anche i giornalisti di testate straniere come Reuters, France Television e Associated Press (secondo quanto denunciato dall’autorevole PCHR), e soprattutto, contemporaneamente ai primi contatti fra rappresentanti del governo di Gaza e Fatah col preciso intento di avvicinare le parti verso l?unità nazionale. Evidentemente, questi eventi concatenati dimostrano come vi è una forte frangia all’interno di Hamas che lavora assiduamente affinchè le divisioni interpalestinesi restino così come sono. Oggi che l’oppressione israeliana a Gaza si sta mostrando con tutta la sua spietatezza, ecco che Hamas è tornato a chiedere responsabilmente a viva voce, un coprifuoco. Fino all’ultimo ho avuto il dubbio se scaricare le foto delle ultime vittime dell’occupazione e inviarle a Peacereporter. Sono ciò che rimane di Mohammed Issa Faraj Allah 16 anni e Qasem Salah Abu Uteiwi, 15 anni, uccisi sabato sera mentre stavano giocando a Est del villaggio di Juhr Addik, circa a 300 metri dal confine nel centro della Striscia di Gaza. Un carro armato israeliano ha sparato contro di loro più di venti missili. Mi sono recato ieri a portare le condoglianze alle famiglie dei 2 bambini nel campo profughi di Nuseirat. “Non sono tornati a casa la sera, eravamo tutti in pena, specie dopo che abbiamo udito i bombardamenti. Quando la mattina seguente ci è arrivata la notizia che all’ospedale al Shifa avevano portato 2 corpi di civili, sono corso immediatamente e nel frigorifero dell’obitorio ho riconosciuto Qasem. O quello che restava di lui, senza più un braccio, senza più un dente in bocca.” Cosç Khaled, un cugino della vittima. I Faraj Allah sono una famiglia poverissima, e a Khaled durante Piombo Fuso l?esercito israeliano ha distrutto la casa e circa 3 dunum di terra. Sua sorella, Ayat, è stata colpita al torace da un cecchino agli inizi di gennaio 2009. Sotto il tendone che raccoglie parenti e amici in una veglia funebre, il padre di Mohmmed si è rivolto verso di me: “Non hanno coscienza, non hanno leggi, possono fare di noi quello che vogliono. L’Onu che ha prontamente approvato una risoluzione per attaccare la Libia, ha messo il veto contro la condanna a Israele per il crimine delle sue colonie in Palestina, e questo ha esacerbato gli animi. La chiamano guerra al terrorismo, ma dovrebbero rinominarla guerra al terrorismo arabo, perché il terrorismo israeliano non si tocca.” Continua il padre del bambino ucciso: “Ho lavorato 12 anni in Israele, e questa è la gratifica. I fratelli di Mohammed hanno visto le foto del suo cadavere in quello stato, e chiedono vendetta. Sono queste le ragioni del conflitto”. Mentre uno dei ragazzini che mi circondano aziona il suo bluetooth per passarmi sul cellulare quelle terribili foto, leggo nei suoi occhi e in tutti gli occhi dei bambini che mi scrutano quello che il padre della vittima mi ha appena spiegato, quel fuoco che un domani potrebbe ardere Israele se a questa gente non viene restituita libertà e giustizia. Restiamo Umani. Vittorio Arrigoni da Gaza city I giovani della Striscia di Gaza e le loro speranza violentate 17/03/2011 - Il mio racconto dell'attacco ai giovani del movimento 15 marzo per Peacereporter: Ieri la Striscia di Gaza si era svegliata sotto un sole splendente, segnale di una nuova stagione alle porte. Stagione politica, più che meteorologica. Quando la sera è andata a dormire si è contata le ossa rotte. A Gaza city, un ghetto martoriato da bombardamenti israeliani un giorno si e uno no, sovrappopolato come pochi luoghi sul pianeta, è difficile fare una stima di quante migliaia di persone si sono riversate nelle strade della città ballando, urlando e cantando una sola univoca richiesta: la fine delle divisioni fra Fatah e Hamas. I media locali hanno azzardato la cifra di 300 mila persone, proporzionatamente come se in Italia, in piazza, ne fossero scese dodici milioni. I problemi non hanno tardato a verificarsi. Nonostante l’accordo sottoscritto da tutte le fazioni politiche di presentarsi all’appuntamento senza alcuna altra bandiera se non quella palestinese, i ragazzi del movimento 15 marzo che lunedì si sono coricati nelle tende in piazza del monumento al Milite Ignoto, in Jundi, nel centro di Gaza city, al risveglio ieri mattina si sono trovati attorniati da migliaia di militanti con bandiere di Hamas inneggianti al governo della Striscia. Le provocazioni sono continuate per alcune ore, con alcuni scontri, finché il coordinamento del movimento dei giovani palestinesi ha deciso di lasciare la principale piazza di Gaza city ad Hamas per convogliare in massa a Katiba, dinnanzi all’università Al Azhar. Migliaia di ragazzi si sono recati ordinatamente nel grosso spiazzo di terra battuta adiacente l’università con l’intenzione di accamparsi per la notte, a oltranza, in attesa dell’impegno di Gaza e Ramallah per soddisfare queste loro richieste: 1 rilascio di tutti i detenuti politici nelle prigioni dell’Autorità Palestinese e di Hamas 2 fine delle campagne mediatiche contro le altre fazioni 3 dimissioni dei governi di Haniyeh e Fayyad per dare vita ad un governo palestinese di unità nazionale che sia l'espressione di ogni fazione politica e rappresenti il popolo palestinese tutto 4 ristrutturazione dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) in modo da renderla inclusiva di tutti i partiti affinchè torni a battersi per lo scopo originario: la liberazione della Palestina 5 congelamento dei negoziati finché non si raggiunga un accordo tra le varie fazioni su un programma politico comune 6 la fine di ogni forma di collaborazione con il nemico sionista 7 l’organizzazione in contemporanea di elezioni presidenziali e parlamentari nei tempi concordati da tutte le fazioni Per tutta la giornata di festa, dai giovani del 15 marzo non ho udito altre parole se non un forte richiamo all’unità nazionale, e l?ormai famoso inno ?il popolo chiede la fine delle divisioni? Se l’icona della rivoluzione tunisina è stato Mohamed Bouaziz, giovane disoccupato che si è dato fuoco davanti al palazzo del suo comune, e il simbolo della rivoluzione egiziana è Khaled Said, ucciso dalle forze di polizia di Mubarak, la foto emblema dell’anima del movimento 15 marzo palestinese è quella che ritrae Yasser Arafat, leader e martire di Fatah, che versa del te? per Ahmed Yassin, il rais paraplegico e martire di Hamas. Verso le 14 15 e poi verso le 15 locali, di nuovo militanti pro governativi hanno cercato di infiltrarsi fra la folla pacifica di giovani, armati di bastoni e lanciando sassi. Ne è nato per alcuni minuti un furibondo parapiglia che ha visto alcuni feriti, finché i ragazzi sono riusciti a ricacciare indietro i facinorosi di Hamas dalla manifestazione. Alle 19 circa, quando ho lasciato Katiba square, la nuova Tahrir palestinese, la situazione era tranquilla: manifestanti e paramedici della mezza luna rossa avevano montato le tende e si preparavano per la notte. Molte famiglie con bimbi al seguito si susseguivano in visita l'accampamento dei giovani portando cibo, bevande calde e coperte. Meno di un’ora dopo Hamas decideva di terminare la festa a modo suo: centinaia di poliziotti e agenti in borghese hanno accerchiato l?area, e armati di bastoni hanno assaltato brutalmente i manifestanti pacifici,dando alle fiamme le tende e l?ospedale da campo. Circa 300 i ragazzi feriti, per la maggior parte donne, una decina con fratture. Per tutta la notte di ieri fuori dall'ospedale Al Shifa, nel centro di Gaza city, poliziotti arrestavano i contusi mano a mano che venivano rilasciati dal pronto soccorso. Molti gli attacchi ai giornalisti, ai quali sono stati confiscati telecamere e macchine fotografiche. Ad Akram Atallah, giornalista palestinese è stata spezzata una mano. Samah Ahmed, giovane collega di Akram, è stata colpita da un fendente di coltello alle spalle. Asma Al Ghoul, nota blogger della Striscia è stata ripetutamente percossa dagli agenti in borghese mentre cercava di soccorrere l’amica ferita. Le forze di sicurezza di Hamas hanno convogliato l?attacco nel centro della piazza Katiba, dove si concentrava il presidio delle donne, figlie e madri di una Gaza che hanno conosciuto la gioia della speranza di un cambiamento, per poi risvegliarsi alla cruda realtà dopo un breve sogno. Restiamo Umani Vittorio Arrigoni da Gaza city Il 15 marzo esplode la rivoluzione palestinese 09/03/2011 - Il mio pezzo di ieri per Peacereporter: Dopo il vaffanculo ad Hamas, Israele, Fatah, ONU, UNWRA e il vaffanculo USA!, incipit del primo documento dei GYBO, i ragazzi di Gaza desiderano mandare a quel paese anche tutti quei media occidentali che in queste settimane hanno strumentalizzato il loro manifesto, il cyberurlo di rabbia di una generazione di giovani palestinesi oppressa da un nemico esterno e soffocata all’interno da governi a corto di lungimiranza e poco rappresentativi. Nel caffè degli artisti di Gaza city dove sono solito incontrarli, ho cercato di spiegare come molti giornalisti europei e americani sbarcano a Tel Aviv ed oltrepassano il valico di Erez con già il pezzo scritto in testa, e nella Striscia vanno a caccia di conferme contro il governo di Gaza. E in effetti, dal Guardian fino a recentemente La Stampa, il loro primo urlo di sfogo, magari ingenuo ma certamente genuino, è stato dipinto come un attacco diretto ad Hamas. Questa mistificazione, è stata poi raccolta ancora più ingenuamente e rilanciata da molti attivisti in Europa e nel mondo, specie da coloro che insistono a sostenere una fazione a scapito dell’altra ignorando che di fatto la rabbia della maggior parte dei ragazzi palestinesi non ha al momento alcuna rappresentanza politica. Addirittura alcuni da fuori dalla Striscia hanno accusati i GYBO di essere a libro paga di Abu Mazen e la sua cricca di collaborazionisti; intellettuali e attivisti seduti nei loro confortevoli salotti che non si sono mai sporcati mai le mani del sangue e della sofferenza di un popolo in perenne lotta contro l?occupazione,e che non si scomodano neanche di approfondire le questioni sui qui discettano con la protervia dell’onniscenza... Dopo tutto, per sciogliere ogni dubbio sulla assoluta buona fede e autenticità del movimento GYBO non è necessaria un’indagine investigativa da premio Pulitzer, ma basta digitare sulla tastiera l’indirizzo del loro sito e leggersi il loro secondo messaggio, pubblicato ben 2 mesi fa, nel quale con forza rispedivano al mittente le strumentalizzazioni e le accuse di chi li ha additati di parteggiare per questa o quella fazione: Non distorcete il nostro messaggio! Molti attivisti rifiutano il nostro movimento e ci considerano come una macchina sionista perché nel manifesto, abbiamo denunciato Hamas - tra gli altri. E’sempre sorprendente vedere quanto le persone sono brave a condannare senza nemmeno provare a capire. Vorremmo ricordare a tutti il nostro obiettivo: se siamo frustrati e stanchi di essere oppressi, uccisi, umiliati, ci è impedito persino di partire per studiare in altri paesi, se, tutto ciò ci spinge a denunciare i partiti politici che ci governano, perché non ci aiutano in niente, noi denunciamo tutti i capi, non SOLO HAMAS. Siamo stanchi di questo status quo, da tutti i lati. Tutti i partiti politici hanno avuto il tempo e la possibilità di PROPORRE il cambiamento, ma non abbiamo ancora visto nulla. Non stiamo chiedendo un colpo di stato, cerchiamo di essere chiari su questo. Noi siamo giovani che vogliono lavorare per il popolo, noi denunciamo la miseria in cui viviamo, che ci spinge a denunciare la divisione delle fazioni, e di rifiutare la loro lotta, perché non ci stanno aiutando. Ma più di Fatah e Hamas, che sono palestinesi come noi, soprattutto, noi denunciamo l'occupante e il suo burattino , la comunità internazionale che non riesce, giorno dopo giorno, a compiere il suo dovere di imporre sanzioni a Israele. I nostri sostenitori, i lettori, e quelli che non ci stanno sostenendo devono ricordare questo messaggio: abbiamo un unico nemico che è il sionista occupante. Speriamo che questo invito scuota i nostri leader politici, gli svegli e ricordi loro che sono responsabili di noi ! Spero che capiscano che ciò che vogliamo è l'unità e non più' la divisione, perché ciò rende peggiore l'impatto terroristico israeliano sulle nostre vite. Il nostro appello è un appello alla solidarietà, un invito ad agire pacificamente; ci teniamo tutti per mano e vi aspettiamo per completare il legame. Aiutateci a lavorare per una soluzione migliore, AIUTACI a farlo! E per favore notate che , il team GYBO è stato bannato da qualsiasi intervento nella pagina facebook, vogliamo che tu vada lì e inondare la pagina con il tuo amore per la Palestina in modo che coloro che interpretano male il nostro messaggio ci abbandonino. Amore e rispetto da Gaza - Abu Yazan Oggi i GYBO sono colonna portante del movimento 15 marzo, che si propone di portare sulle piazze della Palestina e nel mondo migliaia di persone, in una giornata che è stata battezzata non della collera, ma bensì della riconciliazione, con una forte e sensata richiesta di “End of division”, la fine della divisione fra Fatah e Hamas. “Gaza, Ramallah, Jenin , Nablous, ma anche in molte città” della Palestina del ‘48 come Haifa e Tel Aviv, ci saranno manifestazioni e sit in, oltre che in tutto il mondo arabo e in Brasile, in Italia, in Francia e in Italia” mi conferma Abu Yazan. Gaza è in fermento, e mentre i ragazzi mi aggiornano sui preparativi, a Sud della Striscia, a Khan Younis e Rafah volantinaggi stanno informando la popolazione dell’evento. Buona parte delle famiglie beduini è dalla nostra parte, e in generale, non crediate si riverseranno in piazza solo giovani, ma bensì padri madri e nonni, continua Abu Yazan, abbiamo colloqui stretti con tutti i leader delle varie fazioni e sono i benvenuti con noi il 15 marzo, a patto che non espongono alcuna bandiera se non quella palestinese, e non intonino altri slogan se non quello che richiamino all’unità nazionale. I ragazzi sono ancora più motivati e certi della riuscita del loro evento, nonostante l’oppressione e l’intimidazione che a Gaza come a Ramallah inibisce la libertà di espressione: nella striscia negli ultimi 2 giorni, la polizia di Hamas ha arrestato 12 giovani che distribuivano depliant e adesivi sull’evento. Continua Abu Yazen: “la croce rossa ci ha fornito delle tende e l’idea è quella di restare accampati dal 15 marzo giorno e notte senza sosta (a dormire in piazza rimarrebbero solo gli uomini per non scandalizzare i dettami del governo della Striscia) fin quando Gaza e Ramallah non si siedano ad un tavolo comune. Alcune famiglie benestanti ci hanno promesso forniture di cibo e bevande, ai narghilè provvederemo noi”, continua,”ci stiamo accordando con la polizia di Hamas e abbiamo predisposto un nostro servizio di sicurezza interna affinché ogni atto di violenza o il semplice inneggiare contro il senso della nostra giornata sia inibito. Chiunque creerà? disordine verrà allontanato dalla piazza”. La rivoluzione dei giovani egiziani brucia nei loro occhi, e contagia la loro convinzione che fra una settimana il centro di Gaza city possa tramutarsi una Tahrir Square gemella. Che fanno sul serio non ci sono più dubbi, questo il loro documento: 15 Marzo "End the Division" - Giornata della riconciliazione in nome del popolo arabo palestinese, dei martiri, delle vedove, degli orfani e dei familiari di quanti sono morti, delle migliaia di prigionieri nelle carceri israeliane e di tutti i palestinesi della diaspora, chiediamo a tutte le fazioni politiche di unirsi sotto la bandiera della Palestina per una riforma del sistema politico palestinese che si basi sugli interessi e le aspirazioni del popolo palestinese tutto, sia quello che vive in terra di Palestina che i profughi. Il grave momento attuale che vede le continue incursioni di coloni israeliani, la sottrazione continua di terra palestinese nella città sacra di Gerusalemme e il perdurare del feroce assedio di Gaza ci obbliga ad essere ancora più uniti contro la brutale occupazione israeliana. Abbiamo sentito il popolo palestinese chiedere elezioni legislative e presidenziali per porre fine alle divisioni. Certo, noi tutti vogliamo la riconciliazione di tutte le forze politiche ma desideriamo anche una ricostruzione completa dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), che comprenda tutte le fazioni, inclusa Hamas, e in questo nuovo assetto torni a lottare per la liberazione della Palestina, così come stabilito sin dalla sua fondazione. Noi popolo palestinese (sia coloro che vivono in nella Palestina storica che i profughi) da sempre ascoltiamo ripetere che le azioni pacifiche basteranno a farci guadagnare la vittoria e a restituirci la terra, ma finora 20 anni di negoziati non sono serviti a farci ottenere la benché minima richiesta. La nostra gente vive sotto una occupazione brutale ed oppressiva, che sottrae la terra, viola i luoghi sacri, uccide i nostri figli. E tutto questo avviene mentre il mondo che ascolta e osserva continua a ripetere che la democrazia è al sicuro e i diritti umani sono rispettati! D?altro canto la resistenza non fa passi avanti, mentre più di un milione e mezzo di palestinesi vive sotto un un'occupazione così feroce che ai malati (compresi i figli dei leader della resistenza) sono precluse le cure mediche. E' necessario trovare un accordo: una riconciliazione è indispensabile per tutti i palestinesi di qui e per i sei milioni di profughi palestinesi che ancora sognano di tornare alle loro case sottratte loro dalla forza occupante, occupanti che comprendono soltanto il linguaggio della forza! Dobbiamo essere determinati, fare dell'unità il nostro punto di forza e concordare su una dirigenza indivisa che ci guidi sulla strada della liberazione, con orgoglio e dignità! Ci appelliamo a coloro che governano in Cisgiordania e Gaza affinché rispondano alle legittime richieste del popolo che sono: 1 rilascio di tutti i detenuti politici nelle prigioni dell’Autorità Palestinese e di Hamas 2 fine delle campagne mediatiche contro le altre fazioni 3 dimissioni dei governi di Haniyeh e Fayyad per dare vita ad un governo palestinese di unità nazionale che sia l'espressione di ogni fazione politica e rappresenti il popolo palestinese tutto 4 ristrutturazione dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) in modo da renderla inclusiva di tutti i partiti affinché torni a battersi per lo scopo originario: la liberazione della Palestina 5 annuncio del congelamento dei negoziati finché non si raggiungerà un accordo tra le varie fazioni su un programma politico comune 6 fine di ogni forma di collaborazione con il nemico sionista per quanto riguarda la sicurezza 7 organizzazione in contemporanea di elezioni presidenziali e parlamentari nei tempi stabiliti da tutte le fazioni insieme Ci mobiliteremo a partire da martedì 15/03/2011 alle 11:30 e andremo avanti finché non saranno accolte tutte le nostre richieste. Restiamo Umani Vittorio Arrigoni da Gaza city Gli occhi del mondo su Gheddafi, i missili israeliani su Gaza 26/02/2011 - Il mio pezzo di ieri per Peacereporter: Mentre Barack Obama condanna “con forza” le violenze in corso in Libia, definendole "oltraggiose ed inaccettabili", e il segretario di Stato Hillary Clinton si precipita a Ginevra per denunciare il Gheddafi al Consiglio per i Diritti Umani dell'Onu, nessuno pare indispettirsi per i bombardamenti israeliani che mietono vittime civili a Gaza. D’altronde, durante l’offensiva Piombo Fuso del 2009, quando l’esercito israeliano sterminava tranquillamente più di 320 bambini palestinesi, Obama si trovava alle Hawaii a giocare a golf, e la Hillary probabilmente avrebbe fatto carte false per godere dello scenario di una Gaza arsa dal fosforo bianco dalla vista panoramica delle colline di Sderot. Il recente veto degli USA alla risoluzione ONU che condannava l?estensione delle colonie illegali in Palestina, in realtà è un visto per Israele a continuare la sua pulizia etnica. L'escalation di queste ultime ore è cominciata mercoledì mattina poco dopo le 8, con una incursione di 4 carri armati e 4 bulldozers israeliani all’interno del territorio palestinese a Juhor Ad Dik , nel centroEst della Striscia. Queste invasioni di bulldozers con l’appoggio dei tank sono pressoché quotidiane a Gaza e hanno lo scopo di distruggere ettari di campi coltivabili all’interno del confine palestinese (esempio: http://www.youtube.com/watch?v=DYIGysIr7_8 ). Quando qualche ora dopo i blindati si sono poi spostati verso il quartiere di Al Zaytuon, a est di Gaza city, un gruppo di guerriglieri delle brigate Al-Quds, il braccio armato della Jihad islamica, ha cercato di respingerli. Verso le 12:50 i carri armati israeliani hanno iniziato a bombardare. Risultato, secondo fonti mediche: 11 feriti, 4 guerriglieri e 7 civili, 3 dei quali sono bambini. Adel Jeniyeh, uno dei miliziani delle brigate Al-Quds è deceduto all’ospedale Shifa per le ferite subite. Nella serata, per vendicare questo omicidio, mentre il Fronte Popolare sparava alcuni colpi di mortaio oltre il confine la Jihad Islamica riusciva a lanciare 2 missili Grad contro Israele colpendo, per la prima volta dal gennaio 2009, la città di Be'er Sheva. Solo danni materiali e nessuna vittima. A questo seguivano nella notte ripetute incursioni delle forze aree israeliane e una decina di bombardamenti lungo tutta la Striscia. Caccia F16 ed elicotteri Apache hanno colpito ad Est di Gaza city, e ripetutamente Khan Younis. Nel quartier Zayton di Gaza city, nei pressi della moschea Rantisi, sono rimasti feriti dai missili due guerriglieri delle Brigate Al Quds. Complessivamente, contando 2 contadini feriti dal fuoco dei cecchini nel pomeriggio a Beit Lahia, nelle ultime 24 ore il fuoco delle forze di occupazione israeliane ha provocato 14 feriti e un ucciso fra i palestinesi. Nessun ferito israeliano dai razzi palestinesi. Dal gennaio 2010, secondo dati dell'ONU, 65 palestinesi sono stati uccisi dai soldati di Tel Aviv. Zero le vittime civile israeliane per mano dei guerriglieri di Gaza. Nonostante Hamas stia da tempo cercando di convincere le altre fazioni a sospendere la resistenza per timori degli attacchi israeliani, la Jihad Islamica e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina non vogliono desistere dal cercare di difendere i confini della Striscia di Gaza. Così si sono espresse ieri in un comunicato le Brigate Ali Mustafa, braccio armato del Fronte: “confermiamo la nostra volontà ad aderire alla resistenza e continueremo a combattere il nemico sionista per rispondere ai crimini degli occupanti”. Anche ieri mattina tutte le centrali di polizia e i palazzi governativi rimanevano evacuati, mentre sul cielo di Gaza continuava la tirannia di caccia f16 a volo radente. Nella notte, un missile sparato da un elicottero Apache ha centrato un'automobile che transitava dalle parti di Khan Younis. I due uomini a bordo hanno fatto appena in tempo a gettarsi fuori dall'abitacolo prima dell'esplosione: sono feriti ma vivi. Secondo testimoni gli uomini, a bordo di un'automobile di proprieta' del governo di Hamas, stavano trasferendo un grosso quantitativo di denaro, ora ridotto in cenere. Restiamo Umani Vittorio Arrigoni da Gaza city 15 march in Palestine: End Of Division 25/02/2011 - Il mio pezzo di mercoledi' per Peacereporter: Tunisia, Egitto, Yemen, Bahrein, Algeria, Libia, con tutto il loro impetuoso scorrere di sangue e di speranza non hanno lasciato certo intaccati gli argini degli animi dei giovani palestinesi di Gaza. Il fermento è in piena e traboccherà a breve: il 25 gennaio palestinese sarà il 15 marzo. In vista di questa data infatti, decine di gruppi giovanili stanno lavorando alacremente per scendere in migliaia nelle piazze di Ramallah e di Gaza, in una giornata che è stata battezzata non della collera, ma bensì della riconciliazione. La lezione impartita in particolare dalla rivoluzione egiziana dove forze laiche, musulmane, cristiane e di diverse classi sociali compatte sono riuscite a scacciare un potente dittatore che pareva inchiodato al trono, ha ritemprato l?orgoglio dei giovani gazawi pronti a esplodere in una forte e sensata richiesta di “End of division”, la fine della divisione fra Fatah e Hamas. “Abbiamo scelto il 15 marzo perché per noi palestinesi è una data priva di significati politici o di particolari commemorazioni. La base della nostra iniziativa popolare è assolutamente apolitica, indipendente da tutte le fazioni politiche. Non accettiamo gruppi che si identificano anche lontanamente con qualche partito”, mi fa Assad 22 anni. Quando incontro Assad Saftawy , Mohammed Shamallakh , e Mohammed Al Sheikh al caffè Gallery, nel centro di Gaza city, la tensione si taglia con un coltello. Poco prima della mio arrivo, al caffè i ragazzi hanno ricevuto una spiacevole visita, quella della polizia in borghese di Hamas, che ha sequestrato loro computer e telefoni cellulari. “perché Hamas ha così tanto timore di voi?” domando loro. “Nonostante siamo stati chiari fin dal primo istante che i nostri intenti sono esclusivamente per un invito a ricomporre la frattura fra Ramallahe Gaza, che cosç tante sofferenze comporta, evidentemente sospettano che fra noi ci sia qualcuno collegato alla “The Revolution of Honor”, la giornata della collera indetta qualche settimana fa da Fatah e disertata in massa. Oltre a questo orami tutti leader arabi temono le manifestazione spontanee dei giovani. Il buffo è che alti esponenti del governo di qui, come il deputato di Hamas Ahmed Yousef, si erano dichiarati pubblicamente a favore della nostra iniziativa”, afferma Mohammed Al Sheikh, 22 anni. La politica delle parole veste i doppiopetti, quella dei fatti le divise scure del mukabarat, e l’irruzione di oggi in un caffè affollato delle forze di sicurezza di Hamas sono una minaccia esplicita per chiunque desideri aggregarsi all’iniziativa del movimento 15 marzo. “Pensate che anche a Ramallah abbiano gli stessi problemi”?, continuo l”intervista. Risponde Mohammed Shamallakh 24 anni :”Certamente. E come noi anche loro sono disposti a finire in prigione. Non ci nascondiamo, scrivi pure i nostri veri nomi. Davanti alle telecamere i politici si spendono in mille buoni propositi circa una possibile riconciliazione, ma sappiamo bene che in realtà molti di essi godono di privilegi in questa situazione di stallo. I giovani sono stanchi di stare alla finestra a osservare la vita passargli davanti. Io per via della faida fra Hamas e Fatah ho perso 3 borse di studio, la possibilità di viaggiare e di lavorare, di farmi una famiglia. Ogni giorno che passa è come un anno, e non voglio incominciare a vivere a 40 anni, o a 50. Se i nostri leader sono così poco lungimiranti da non avere il polso sulla situazione, sui bisogni della gente, il 15 marzo mostreremo loro che è ora di mettere da parte i dissidi interni e lavorare tutti assieme per la fine dell’assedio e dell’occupazione”. Non solo nel centro di Gaza city e nella piazza Manara di Ramallah si prevede una grossa mobilitazione di ragazzi, ma anche i palestinesi in Israele e in diverse città europee e del mondo sono pronti a scendere nelle strade. “Abbiamo bisogno di tutto il supporto internazione possibile affinchè un evento importante come quello che desideriamo attuare per il bene di tutta la Palestina, non venga represso nella violenza dalla polizia della Striscia o in West Bank “, riprende la parola e continua Mohammed Al Sheikh “a differenza dei nostri fratelli tunisini ed egiziani, non vogliamo rompere il sistema, bensì ricomporlo. Poi potranno essere indette nuove elezioni, sarà possibile ricostruire l’OLP anche con la presenza di Hamas e allora arriveranno certamente migliori salari e migliori condizioni di vita, diminuirà la disoccupazione, e riotterremo quella libertà di espressione e quei diritti civili che adesso sono soffocati sia da Fatah che da Hamas.” Faccio presente a Mohammed il problema delle ingerenze esterne nelle scelte delle leadership palestinesi, e gli ultimi scandali dei cables pubblicati da Al Jazeera che evidenziano quanto sia stretto il collaborazionismo della dirigenza dell’OLP con Israele. “Se saremmo così in gamba da muoverci come i ragazzi di Tahrir square ci hanno insegnato, chi ci governa non avrà scelta. Ed è questo il nostro intento, inchiodare Hamas e Fatah in un angolo, e in quell’angolo costringerli a dialogare, a lavorare per la gente e contro l?occupazione israeliana. Lo implorano anche i 6 milioni di profughi fuori dalla Palestina”. Chiedo loro cosa ricordano di quel sanguinoso 14 giugno 2007 quando a Gaza palestinesi contro palestinesi si scannarono senza pietà. I volti entusiasti si fanno cupi, nonostante tutti e tre i ragazzi hanno perso amici e parenti nel corso degli anni per mano dell’esercito israeliano, tutti e tre concordano nel dire che quella giornata di guerra civile è stata la pagina più drammatica della storia recente palestinese. “C’erano cecchini ovunque e raffiche di mitra per tutta la Striscia. Era impossibile distinguere chi stesse ammazzando chi. Da allora è certamente morto il nostro futuro”, spiega con angoscia Assad Saftawy. Prima di offrire loro una shisha, chiedo come hanno presa l’iniziativa i genitori: Mohammed Shamallakh: “Mio padre mi ha consigliato di desistere dall’idea. Devi sapere che soffro di una condizione particolare: a Ramallah sono convinti che io sia un militante di Hamas, qui a Gaza che appartengo a Fatah. Ma io non parteggio ne per l’uno ne per l’altro, così come l’iniziativa del 15 marzo non si fa strumentalizzare da nessuno. Chiediamo solo a gran voce la fine delle divisioni.” Assad: “Mio padre lo sto convincendo, mentre i miei fratelli e le mie sorelle le ho già portate dalla mia parte.” Mohammed Al Sheikh: “Mio padre è già dei nostri e mi ha promesso che parteciperà alla manifestazione. E non da solo, verrà anche mia madre. Il problema è che sospetto vogliano partecipare solo per difendermi!” Mentre una coltre fumo si leva dai narghilè sulle nostre teste meditabonde, ho la quasi certezza matematica che i genitori di Mohammed non hanno torto. Restiamo Umani Vittorio Arrigoni da Gaza city L'esercito israeliano bombarda un magazzino di medicinali a Gaza: catastrofe sanitaria 14/02/2011 - Il mio ultimo pezzo per Peacereporter Sotto l’effetto dell’ipnosi collettiva dell’intifada egiziana che Al Jazeera instancabilmente proietta da giorni in tutti i caffè della Striscia assediata, ho sognato ad occhi aperti 6 milioni di arabi nella Palestina storica, marciare all'unisono compatti e pacifici verso una Gerusalemme liberata, per riprendersi i diritti umani violati da un Mubarak che parla ebraico. Mentre condivido questa visione con alcuni amici, Hussein giochicchia a lungo con l’accendino fra le dita prima di accendersi la paglia fra le labbra, come a farla durare di più: dopo 2 settimane di blocco del mercato nero dei tunnel se i distributori di benzina sono a secco, il prezzo delle sigarette è già lievitato di un quarto. “Hai visto che strage di vittime ha mietuto Mubarak? E pensa che ha dovuto limitarsi perché è la sua gente. Israele stenderebbe migliaia palestinesi in un solo giorno, se solo innescassimo una rivolta del genere”. Hussein così razionalizza il mio auspicio di una rivoluzione palestinese sull’onda di quella non ancora doma in Egitto. Mahmoud, studente universitario come Hussein, incalzato da me, continua: “Già ci sono ribellioni non violente contro i nostri dittatori, a Nil'in e Bil'in, e anche qui a Gaza. E ogni volta finisco stroncate nel sangue con assoluta nonchalance. Con la scusa della lotta al terrorismo, del diritto alla difesa, guarda in che macerie hanno ridotto Gaza, e ancora ci strangolano”. Jamal è il più maturo seduto al nostro tavolo in un caffè del centro e condivide la tesi dei compagni di studio: “Netanyahu, a differenza di Mubarak, è riuscito a vendere a buona parte delle cancellerie internazionali e a rendere ineludibile ai grossi media la nostra oppressione, l’occupazione della Palestina e la pulizia etnica, come un male necessario per la sicurezza dello Stato d’Israele. Obama che adesso chiede le dimissioni di Mubarak, non muoverebbe un dito dinnanzi allo sfociare di fiumi di sangue innocente palestinese, puoi scommetterci”. Quando in tv trasmettono il discorso dell’attivista Wael Ghoneim in piazza Tahrir ribattezzata piazza Liberazione , contagiato dall’entusiasmo contesto il pessimismo dei tre amici palestinesi, ma da li a poche ore saranno degli spaventosi boati sopra la città a confermare la loro tesi a scapito della mia ingenuità. Qualche minuto dopo la mezzanotte di martedì cacciabombardieri f 16 israeliani hanno colpito 3 aeree della Striscia: i tunnel di Rafah al confine dell’Egitto, un campo d’addestramento delle Brigate al Quds, braccio armato della Jihad Islamica, a Khan Younis, causando due feriti, e il quartiere Tuffah, nel Nord della Striscia, alle porte del campo profughi di Jabalia, esplosione che a causato il ferimento di dieci civili, fra i quali due donne e un bambino. Nel bombardamento di Tuffah, è rimasta seriamente danneggiata una fabbrica tessile, una scuola e soprattutto è stato ridotto in cenere un magazzino di medicinali del Ministero della Sanità. Il magazzino, costruito su di una superficie di 700 metri quadrati, conteneva grandi quantitativi di medicinali e forniture mediche, molte della quali sopraggiunte all’interno della striscia di Gaza grazie alle donazioni delle delegazioni internazionali come Viva Palestina e Road to Hope. Munir al-Barsh, direttore generale del dipartimento di farmacologia presso il ministero il Ministero della Sanità ha spiegato come la distruzione del magazzino è destinata ad aggravare di molto il deficit del sistema sanitario della Striscia, già provato dalla carenza di 183 varietà di medicinali e 190 articoli di forniture mediche. I pompieri hanno cercato invano di domare le fiamme fino a tarda mattinata. La scuola adiacente al magazzino incenerito, frequentata da 625 studenti, ha dovuto chiudere per i danni subiti all’edificio. Nonostante le continue denuncie delle organizzazioni per i diritti umani Israele continua impunemente a violare il diritto internazionale in chiave di punizione collettive ad una popolazione civile, e con l’assedio imposto su Gaza a negare il diritto alla sanità sancito dell’articolo 56 della Quarta Convenzione di Ginevra. In comunicato del Ministero della Sanità si legge: “I pazienti continuano a morire per via dell’assedio: Hasan Hussein Bris, 52 anni, è l’ultimo malato di cancro deceduto perché Israele gli ha impedito ingiustificatamente di lasciare la Striscia per andare a curarsi in ospedali più attrezzati.? Il malato curabile n. 379, deceduto perché incurabile nell’assedio criminale che chiude come in una bara la Striscia di Gaza. La comunità internazionale che i primi giorni ha balbettato e ora si mobilita dinnanzi agli efferati crimini compiuti dalla polizia di Mubarak, appare sempre impegnata in una sorta di congiura del silenzio quando si tratta di marcare i crimini di guerra e contro l’umanità dell’esercito israeliano. Ora che per via della rivoluzione in corso in Egitto il valico di Rafah è sigillato indefinitamente (ogni mese circa 500 pazienti palestinesi uscivano per farsi ricoverare negli ospedali egiziani) e che una scorta vitale di medicinali è stata distrutta dalle bombe, una catastrofe sanitaria nella Striscia e? Prevedibile. Lunedì scorso il migliore amico israeliano di Roberto Saviano, il presidente Shimon Peres, si è complimentato pubblicamente con il comandante in capo dell’esercito Gabi Ashkenazi . Peres ha definito Ahsknazi, responsabile del massacro di Gaza “Piombo Fuso”, dell’assalto alla Freedom Flotilla e di innumerevoli altri crimini di guerra come il bombardamento di martedì notte: “Il migliore Capo di Stato Maggiore della storia d’Israele.” Il premio Nobel per la Pace assegnato al presidente israeliano non è Gomorra, è Sodoma. Restiamo Umani. Vittorio Arrigoni da Gaza city Se Mubarak non va alla montagna, la montagna va da Mubarak 12/02/2011 - E' ANDATO ALLA MONTAGNA! Ore 01:33 egiziane e di Gaza. A quanto pare l'attaccatutto sulle chiappe del vecchio dittatore non vuole saperne di mollare la presa. Il discorso di Mubarak nel quale dichiara al mondo l'intenzione di rimanere incollato alla poltrona almeno fino alle prossime elezioni, ä stato accolto in tutto le piazze d'Egitto con una levata di scarpe al cielo che neanche Bush a Baghdad nei suoi giorni peggiori: Chissà se fra qualche mese sapremo che ä successo questo pomeriggio, fra un golpe "dolce" annunciato dall'esercito e le notizie diramate dalle emittenti arabe che davano la mummia del faraone già in fuga verso l'aeroporto di Sharm el Sheikh. Chissà se con gli ultimi stravolgimenti dell'evoluzione della rivoluzione egiziana c'entrano qualcosa quelle navi da guerra USA in rotta verso il Suez, e il sempre pió consistente dispiegamento di truppe israeliane al confine sud. Comunque, se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto. Ed ecco che le prime centinaia di manifestanti questa notte si spostano da piazza Tahrir verso la sede della tv di stato simbolo del potere del dittatore e i palazzi presidenziali. In uno di questi, stanotte Mubarak farà fatica a prendere sonno, domani 20 milioni di egiziani sono pronti a erigersi montagna e per scaraventarlo via dal suo regno di sangue e terrore. Stay Human Vik da Gaza city Quando il quarto esercito del mondo bombarda dei bambini 22/01/2011 - Il mio articolo per Peacereporter di giovedì: Guernica gaza Un carretto al centro della desolazione, a lato un cavallo abbattuto, come il seguito mai dipinto di una Guernica palestinese. Sul luogo dell'ultimo massacro, a Tal Abu Safiya, a est di Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza, in un'area agricola una volta florida di frutteti e ora nient'altro che terreno triturato dai cingoli dei carri armati, a circa duecento metri dal confine, è rimasto il mezzo e il quadrupede in putrefazione di Amjad Sami Al Zaaneen, ragazzo di 18 anni ucciso martedì dall'esercito israeliano. Sin dalla mattina presto Amjad, con alcuni amici, si era recato nella zona per raccogliere materiale di riciclo come ferro e cemento. In una Gaza dove da quattro anni per via del blocco israeliano non entrano i materiali per ricostruzione, questi riciclatori, oltre a sfamare le loro poverissimi famiglie, svolgono una funzione sociale fondamentale. Quando verso le 8 e 30, sette carri armati e tre bulldozer israeliani hanno invaso il confine iniziando a devastare terreni coltivabili, i giovani palestinesi hanno mollato in fretta e furia il carretto e l'animale per darsi alla fuga. Verso le 14, a incursione finita, i ragazzi sono tornati indietro, inconsapevoli della presenza di un carro armato piazzato poco distante dal confine che li stava prendendo di mira. Sette colpi sono stati sparati nella loro direzione. Amjad, 18 anni, centrato all'addome, è morto dopo pochi minuti sul posto. Così i feriti ricoverati all'ospedale di Beit Hanoun hanno accontato l'attacco agli attivisti dell'International Solidarity Movement: "Quando siamo tornati per riprenderci l'animale e il carretto carico di pietre, il tank israeliano ha iniziato a spararci addosso. Sono rimasto ferito dalle schegge del primo missile, nonostante questo, ho continuato a correre. I missili cadevano in ogni direzione. Quando ho raggiunto la strada principale, mi sono accasciato al suolo, poi mi hanno trasportato in ospedale". Ismael Abd Elqader Al Zaaneen, 16 anni: "Dovunque fuggissimo, qualunque direzione prendessimo, ci sparavano proiettili dinnanzi. Ci hanno sparato contro una decina di missili, io ho schegge su tutta la schiena e sulle gambe". Lo zio di Sharaf: "I crimini come questo odierno sono ormai quotidiani. Israele impedisce a tutti i civili della zona di raggiungere la loro terra. La nostra vita è divenuta incredibilmente dura, specie nell'ultimo periodo assistiamo inermi ad una spaventosa escalation di brutalità israeliana contro contadini e pastori. Ci vogliono concime per i nostri campi". Tal Abu Safiya, dinnanzi al confine, è un ampio spiazzo di terra senza edifici, arbusti o altri ostacoli alla visibilità delle numerose telecamere israeliane che la monitorano palmo a palmo. C'è perfino un dirigibile che col suo occhio ciclopico spia maestoso ogni movimento dal cielo. Prima di azionare il cannone, i soldati avevano chiara l'identità delle loro vittime: civili disarmati, poco più che bambini. Oday Abdel Qader Al Zaanen, undici anni: "Quando Sharaf è rimasto ferito dal primo proiettile, Ajmad, mio cugino, si è mosso per soccorrerlo. Non ha fatto in tempo a fare due passi che un missile lo ha centrato direttamente nello stomaco, sventrandolo. Io sono stato fortunato a rimanere ferito solo di striscio al viso. Non so perché Israele ci ha fatto tutto questo". Quando il quarto esercito del mondo bombarda dei bambini per la colpa di esser nati dal lato sbagliato del confine, bambini costretti già dall'infanzia a lavori pesanti nei campi per aiutare le famiglie a sopravvivere, bambini che nella loro breve esistenza non hanno mai avuto altra esperienza che la miseria e la morte dei loro familiari e dei compagni di gioco, ebbene, quella che si autodefinisce "l'unica democrazia del medio oriente" dovrebbe fermarsi e riflettere in quali abissi di immoralità sta sprofondando, e così dovrebbero fare i suoi alleati. Nella stessa zona, a nord della Striscia di Gaza, il 23 dicembre i soldati israeliani avevano ucciso sangue freddo il pastore beduino Salama Abu Hashish e il 10 gennaio Mohammed Shaban Shaker Karmoot, anziano contadino al lavoro su sui campi. I cingoli dei carri armati dissodano e arano, i cannoni concimano, ma questo lembo di terra non rinuncia a chiedere di rifiorire. Restiamo Umani Vittorio Arrigoni Il mio ultimo articolo per Il Manifesto: pescatrice palestinese Gaza fisherwoman Ha occhi profondi come fondali inesplorati e una spinta subacquea da far supporre abbia piedi palmati, quando come una creatura marina sparisce sotto la superficie dell’acqua sembra far svanire anche l’ingombro del velo e dei vestiti pesanti, che la tradizione esige non si debbano levare neanche a nuotare. E’ Madeleine Kulab, 16 anni, la prima e unica ragazza-pescatrice che Gaza ricordi. Il padre Mohamed, rimasto invalido per una paralisi una decina di anni fa, ha dovuto appendere le reti al chiodo e ora la figlia ha preso il suo posto in mare. “Veniamo da una famiglia di pescatori, la passione per il mare e per la pesca si è tramandata da generazione a generazione. Vivevamo di pesca prima di essere scacciati nel ‘48 dall’attuale Ashkelon, continuiamo a vivere di pesca qui a Gaza” racconta il padre. Un vivere più sinonimo di sopravvivenza, visto che l’assedio e il limite navigabile imposto da Israele (non oltre le tre miglia dalla costa) ha notevolmente impoverito i pescatori di Gaza. Secondo un recente rapporto della Croce Rossa circa il 90% dei 4000 pescatori della Striscia vive sotto la soglia di povertà, e la loro situazione è in costante deterioramento. I soli aiuti offerti dall’ONU non bastavano più per la famiglia Kulab, così da tre anni a questa parte Madeleine ogni mattina verso le 6, un’ora prima di recarsi a scuola, spinge a remi di poco al largo la sua minuscola imbarcazione e lancia le reti. Un rituale che si ripete quotidianamente anche al pomeriggio, poco dopo la fine delle lezioni: Madeleine nella cartella oltre ai libri tiene un ricambio di vestiti per gettarsi in acqua. Il coraggio di far prevalere la necessità alla tradizione, e la creatività di inventarsi un nuovo mestiere per sopravvivere rappresentano un paradigma all’interno di questa regione ed a Madeleine hanno conferito stima fra le sue amiche e notorietà anche fuori dalla prigione di Gaza: “Non c'è nulla di cui dovrei vergognarmi, cerco di portare a casa il necessario con cui sfamare la mia famiglia con dignità. Molte compagne di scuole sono invidiose quando esco in mare, a Gaza non ci sono molti svaghi per i giovani.” Il pescato quotidiano che non supera mai i tre chili, è rappresentato per lo più da sardine e granchi, un ricavo incomparabile ai rischi corsi se si considera che l’ultimo pescatore ucciso dalle mitragliatrici israeliane, il 24 settembre scorso, era solito pescare nello stesso tratto di mare di Madeleine. Quando la vado a trovare a sulla spiaggia già due troupe di emittenti arabe sono intente a riprendere i suoi preparativi per la pesca, ma Madeleine non si è montata la testa, i suoi sogni sono gli stessi di una qualunque altra adolescente: “Non mi allontanerò mai dal mare, il mio elemento, ma voglio diventare una stilista.” Quelle mani oggi cosi’ abili a sbrogliare matasse di reti e a liberare crostacei troppo insignificanti per finire in padella, già si esercitano sul telaio e chissà un domani non ricamino su tessuti pregiati i richiami di una vita e di un mare sotto assedio. Restiamo Umani Vittorio Arrigoni da Gaza city L'assedio di Gaza continua 27/02/2010 Ad un anno di distanza, nulla non è cambiato a Gaza. La Striscia continua a essere criminalmente assediata, come una porta blindata sprovvista di serratura, un'Alcatraz da cui evadono solo i morti. Le chiavi della prigione le ha ingoiate la nostra distinta indifferenza, e si celano ibernate nei nostri cuori polari. Che gesti eroici come la valorosa resistenza palestinese a più di sessant'anni di terribile repressione e occupazione, possano tramutare i nostri cuori in carillon e permetterci di non riuscire più vivere ascoltando inermi il requiem di ogni battesimo di sangue a Gaza. Restiamo Umani Vik sulla strada di Rafah E’ stato ferocemente giustiziato Vittorio Arrigoni uno dei nostri. Non il militante di una fazione, non solo o non tanto un pacifista o un sostenitore della causa palestinese ma un essere umano che conosceva il significato di questa parola. Essa implica un dovere animato da una passione irreprimibile. Il dovere di stare a fianco al povero, all’ oppresso, al perseguitato; i brutali esecutori dell’orrore sarebbero degli islamisti salafiti, vedremo. Ma i mandanti non sono loro. Il mandante della violenza è l’oppressione, l’ingiustizia, il privilegio, il razzismo. Vittorio era a fianco del popolo palestinese, dei suoi bambini, delle sue donne e dei suoi vecchi, come lo sono molti di noi pur senza la sua coraggiosa determinazione e la sua totale dedizione, perché la popolazione civile di quel popolo da 45 anni subisce la violenza di un’occupazione e di una colonizzazione illegale, ingiusta, violenta che per gli abitanti di Gaza oggi si è trasformata in un vero assedio che strangola in un diuturno stillicidio la sua economia, la sua vita, il futuro dei suoi fanciulli e dei suoi adolescenti. I mandanti morali di questo ennesimo orrore sono gli sgherri di questo status quo che si sottraggono alla giudicabilità grazie alla sconcia inerzia della vile comunità internazionale. E questo ignobile status quo, voluto per cancellare l’identità di un popolo, proseguirà il suo sporco lavoro. Intanto, in tv, ascolteremo i ributtanti discorsi di circostanza dei soliti soloni che ci spiegheranno che la colpa è tutta del fanatismo islamico che non vuole accettare la superiorità della democrazia di occupanti e di democratici coloni fanaticamente religiosi. Vittorio, uno dei nostri Moni Ovadia Non ce ne andiamo. Così ripetevi durante Piombo fuso, unico italiano rimasto lì, tra la tua gente, tra i volti straziati dei bambini ridotti a target di guerra. Così mi hai ripetuto pochi mesi fa prima di abbracciarmi: io obbedivo all’ultimatum dei militari al valico di Heretz che mi ordinavano di uscire dalla Striscia, ma tu restavi. Questa era la tua vita: rimanere. Sei rimasto con gli ultimi, caro Vittorio, e i tuoi occhi sono stati chiusi da un odio assurdo, così in contrasto, così lontano dall’affetto e dalla solidarietà della gente di Gaza, da tutta la gente di Gaza che non è “un posto scomodo dove si odia l’occidente”, come affermano ora i commentatori televisivi, ma un pezzo di Palestina tenuta sotto embargo e martoriata all’inverosimile. Immaginiamo i tuoi amici e compagni palestinesi ancora una volta inermi, ancora una volta senza una voce che porti fuori da quella grande prigione la loro disperazione, testimonianza della loro umanità ferita e umiliata. Non spendiamo parole per quelli che non hanno saputo essere, e per questo non sono restati, umani. La tua gente di Palestina non dimenticherà il tuo amore per lei. Hai speso la tua vita per una pace giusta, disarmata, umana fino in fondo. Anche a noi di Pax Christi mancherà la tua “bocca- cucita” che irrompeva in sala, al telefono, quando, durante qualche incontro qui in Italia, nelle città e nelle parrocchie dove si ha ancora il coraggio di raccontare l’ occupazione della Palestina e l’inferno di Gaza, denunciavi e ripetevi: “restiamo umani!” Tu quell’inferno lo raccontavi con la tua vita. 24 ore su 24. Perché eri lì. E vedevi, sentivi, vivevi con loro. Vedevi crimini che a noi nessuno raccontava. E restavi con loro. Abbracciamo Maria Elena, la tua famiglia e vorremmo sussurrare loro che la tua è stata una vita piena perché donata ai fratelli e che tutto l’amore che hai saputo testimoniare rimarrà saldo e forte come la voglia di vivere dei bambini di Gaza. Ci inchiniamo a te, Vittorio. Ora sappiamo che i martiri sono purtroppo e semplicemente quelli che non smettono di amare mai, costi quel che costi. Don Nandino Capovilla coordinatore nazionale di Pax Christi Italia Ci sono uomini che si è fieri di aver incrociato nel proprio cammino e ai quali si vorrebbe assomigliare almeno un po' e cercare ogni giorno di restituirgli la gratitudine per quello che fanno e per quello che sono. Ci sono uomini che entrano nella tua quotidianità perché leggi sempre il diario della loro vita. Ci sono uomini ai quali colpevolmente pensi non possa accadere nulla, perché stanno combattendo anche per te e allora no, non possono non continuare a farlo. Ci sono uomini che hanno negli occhi l'amore. Ci sono uomini che vanno avanti con la serenità di chi è dalla parte del giusto che, si sa, è sempre la parte più scomoda. Ci sono uomini che sono convinti che la pace si costruisca con la pace e su questo impostano la loro vita. Ci sono uomini che quando non ci sono più ti lasciano un vuoto incolmabile che cerchi di cancellare, ma che riaffiora sempre bussando alla porta della tua coscienza. Caro Vittorio tu fai parte di questa categoria di uomini ovvero quella dei giusti. Se è vero che sono beati gli assetati di giustizia e gli operatori di pace, allora in questo momento ci stai guardando da un angolo di paradiso con tutti gli angeli palestinesi che, purtroppo, come te hanno lasciato questo mondo. Dicono che col tempo il dolore si affievolisce ma spero di no. Vorrei solo che le lacrime di tutti ci dessero più forza per continuare a combattere per un popolo dimenticato e oppresso e per quella terra che tu hai scelto come ultima casa. Caro Vittorio il vuoto che ci hai lasciato è assordante, eppure riesco ad immaginarti sereno sulla nave dell'ultimo viaggio mentre sventoli la bandiera palestinese. Odetta Melazzini Vittorio Arrigoni è l’ennesima vittima civile della guerra e della logica della guerra. Da anni Vittorio era un testimone delle violazioni dei diritti umani nei Territori Occupati e lavorava per affermare il diritto della popolazione civile dei Territori a vivere, e a vivere con dignità. La sua uccisione ci lascia sgomenti. Quello che possiamo e dobbiamo fare, adesso, è non dimenticarci di lui e del suo lavoro, anche quando la notizia della sua morte sarà scomparsa dai giornali. La pratica dei diritti umani, violati ogni giorno nella maggior parte del mondo, è l’unico modo per uscire dalla logica della guerra. Quella logica che toglie vita e dignità ai cittadini del mondo, dai Gaza a Tel Aviv, da Kabul a Misurata, da Haiti a Lampedusa. La stessa logica che ha ucciso Vittorio. EMERGENCY “anarchists against the wall", in Memoria di Vittorio Arrigoni Noi piangiamo la perdita del nostro caro compagno VA. In considerazione del recente omicidio, gli Anarchici Contro il Muro sono scioccati e sgomenti per questa tragedia e per la terribile perdita. Porgiamo il nostro cordoglio e condividiamo la nostra profonda tristezza con la famiglia Arrigoni, con i nostri amici dell'ISM, con il popolo palestinese e con chiunque abbia lavorato e lottato fianco a fianco con Vittorio nel porre fine alla criminale e inumana occupazione di Gaza. Vittorio era un vero combattente per la libertà, che si faceva interprete degli oppressi, scegliendo di restare con la gente assediata di Gaza durante il massacro di Israele nel dicembre del 2008. Il ricordo di Vittorio continuerà con atti di profonda solidarietà, e noi, attivisti nella lotta palestinese per la libertà e per la fine della occupazione e dell'apartheid, ci assicureremo di proseguire sul suo cammino. E' un atto così orribile che dovrebbe essere contrastato da tutti e che rafforzerà la nostra battaglia contro qualsiasi nemico della libertà. Il lavoro di Vittorio non sarà vano. RESTIAMO UMANI! "La Rete-ECO è profondamente rattristata dall'assassinio di Vittorio Arrigoni, il coraggioso e generoso volontario che è rimasto a Gaza durante tutta la aggressione israeliana del dicembre 2008-gennaio 2009, prodigandosi nell'aiuto ai feriti e nella condivisione con gli abitanti di Gaza di tutte le loro sofferenze, guadagnandosi l'amicizia e la stima di tutti gli abitanti. Alla famiglia di Vittorio, alle sue amiche ed amici, in Palestina ed in Italia, esprimiamo la nostra simpatia ed amicizia. La assurda e criminale violenza contro chi dovrebbe essere molto apprezzato per la sua opera contro l'aggressione israeliana è solo l'ultimo esempio dell'irrazionale violenza insita in ogni fondamentalismo nazionalista e/o religioso" Il comunicato di rete - ECO Una morte che pesa come una montagna L’uccisione di Vittorio Arrigoni è uno di quei fatti che ti prende allo stomaco e ti lascia senza fiato: perché Vittorio era una bella persona, per le modalità in cui è avvenuta, per le tragiche conseguenze che avrà, oltre al fatto in sé, per la Palestina e i palestinesi. Vittorio è stata una presenza importante in questi anni, da quando aveva deciso di rimanere a Gaza (unico italiano) durante l’offensiva israeliana denominata “Piombo Fuso”, nel Dicembre 2008/Gennaio2009. Le sue testimonianze dalla Striscia di Gaza sottoposta ad un feroce e criminale bombardamento erano per noi una delle poche fonti “dal basso” che ci raccontavano la realtà della violenza che subisce quotidianamente la popolazione palestinese. La sua morte ci priva di tutto questo, ed è una perdita enorme […] A questo punto siamo noi che dobbiamo rispondere con forza che non ci faremo terrorizzare, che continueremo il nostro impegno al fianco della resistenza palestinese [...] Questo per noi è il tentativo di restare umani. Piero Maestri – portavoce Sinistra Critica Quando ci hanno riferito del sequestro di Vittorio non riuscivamo a crederci, ci sembrava impossibile che un palestinese potesse solo pensare di fargli del male… Quando poi durante la lacerante notte arrivò la notizia della sua morte capimmo che il nemico dei palestinesi aveva voluto quella fine, non i palestinesi. Gliela avevano giurata mille volte, spudoratamente come sempre compiono i loro crimini, per ora certi dell’impunità. Di Vittorio abbiamo tanti ricordi, quelli vissuti poco dopo la ferocia di “Piombo Fuso”, quelli vissuti nelle strade del Cairo durante la Gaza Freedom March, nelle tante iniziative in giro per l’Italia, la sua voce sempre chiara e serena ci aiutava a conoscere e capire la realtà di Gaza. I suoi racconti sull’occupazione sionista non erano semplice cronaca, ma ci portava direttamente nelle strade e nelle case di Gaza, i nomi, l’età, i visi dei bambini, delle donne, degli uomini assassinati da Israele, tutto ci raccontava, per farci capire la profondità di quei delitti. Ci mancherà tanto, ma come Stefano Chiarini, ci accompagnerà nell’impegno a sostenere con più convinzione la resistenza dei palestinesi. Che la terra ti sia lieve, amico, compagno, fratello Vittorio! Francesco Giordano, Rodolfo Greco e Francesco Stevanato Dopo aver perso un altro amico e compagno meno di due settimane fa, Juliano Mer-Khamis, mi tocca piangere e ricordare il mio compagno di viaggio di nave Free Gaza, Vittorio (Vik) Arrigoni, brutalmente assassinato ieri notte da estremisti religiosi a Gaza. In realtà Vik ricordava fisicamente Juliano, per la personalità esuberante e la sua insistenza nell’”esserci” quando gli oppressi avevano bisogno di lui. Vik era davvero una persona che non potevi non notare. Era così pieno di energia, un misto di gioia, goliardia e impazienza entro i confini di barche e prigioni come Gaza, che all’improvviso ti avrebbe sollevato in aria, o si sarebbe messo a fare la lotta con te – era un ragazzo grosso, forte, bello, vivace e sorridente anche nelle situazioni più pericolose e oppressive, come a dirti: Yaala! A noi e ai pescatori palestinesi, queste navi israeliane che ci sparano, non possono prevalere sulla solidarietà, indignazione e la giustizia della nostra causa! (Vik fu ferito in uno di questi scontri). Ti arrivava da dietro dicendoti: L’occupazione cadrà esattamente così! (lottando con te fino a gettarti a terra, ridendo e giocando con te mentre lo faceva). Vik, che come me ha ricevuto la cittadinanza palestinese e un passaporto quando abbiamo rotto l’assedio di Gaza salpando nel porto di Gaza nell’agosto 2008, era un esempio supremo di portatore di pace. Nonostante avesse una famiglia in Italia, si è dedicato ai palestinesi col cuore intero, come era solito fare. Sulla sua pagina facebook ha scritto: “Vive a Gaza”. Era conosciuto soprattutto perché accompagnava i pescatori che cercavano di fare il loro lavoro, nonostante gli spari quasi quotidiani della marina israeliana, che li confina alle acque già pescate fino all’esaurimento e sporche di fogna delle cose di Gaza. Almeno diciotto pescatori sono stati uccisi nell’ultimo decennio e circa 200 feriti, molte barche sono state distrutte e molto equipaggiamento danneggiato. Ma era intimamente coinvolto ovunque ci fosse bisogno di lui a Gaza, fra i contadini come fra i bambini traumatizzati, in tempi difficili – il suo libro, Gaza Stay Human, documenta le due esperienze fra la gente durante l’offensiva israeliana di tre settimane nel 2008-09 – e anche essendo semplicemente a contatto con la gente nelle caffetterie e nelle loro case. Quando è stato appreso che era stato rapito sono spontaneamente sorti centinaia di appelli non solo dalla comunità pacifista internazionale, ma soprattutto dalla popolazione palestinese affranta di Gaza. Un memoriale sarà tenuto oggi a Gaza City e altre parti dei territori occupati. Vik lavorava nella West Bank come a Gaza, ed è stato imprigionato tre volte prima di essere stato espulso da Israele. Ma il suo lavoro di pace non era solo sotto forma di attivismo. Vik era un maestro della comunicazione – fisica, verbale, scritta (il suo blog, Guerrilla Radio, era uno dei più seguiti in Italia), mischiando con naturalezza esperienze personali, reportage e analisi. Vik era quello che chiamiamo un “testimone”, qualcuno che fisicamente si mette dalla parte degli oppressi e condivide con loro trionfi, tragedie, sofferenze e speranze. Eppure era uno che attraverso l’azione sperava di influenzare dei veri cambiamenti. Lui, come Juliano, Rachel e molti altri che si sono sacrificati per la pace e la giustizia in Palestina e in tutto il mondo, lasciano un grande vuoto nei nostri cuori, le nostre vite e nella lotta. Mi mancherai, ragazzo mio. Ma ogni volta che mi sento stanco o scoraggiato, ti sentirò sollevarmi su in alto e sopra la tua testa e, col tuo enorme sorriso e la tua risata, minacciare di gettarmi fuori bordo se solo esito a coinvolgermi in una lotta. Tu eri e sei la forza terrena della lotta contro l’ingiustizia. Ci solleverai sempre su e ci ispirerai. Come i pescatori palestinesi che amavi tanto, noi e tutti gli altri che lottano per le fondamenta della vita in tutto il mondo ci impegneremo per realizzare la tua visione. Ciao, amico. Jeff Halper الرفات البشرية "Se io muoio non piangere per me, ma fai quello che facevo io e continuerò a vivere in te" (Che Guevara) Palestinesi sono i tuoi occhi, il tuo tatuaggio Palestinesi sono il tuo nome, i tuoi sogni i tuoi pensieri e il tuo fazzoletto. Palestinesi sono i tuoi piedi, la tua forma le tue parole e la tua voce. Palestinese vivi, palestinese morirai. (M. Darwish) Forum Palestina