I.I.S.S. “PIETRO VERRI” - MILANO 27 GENNAIO 2014 GIORNATA DELLA MEMORIA per non dimenticare REALIZZATO A CURA DELLA BIBLIOTECA “CARLO STEINER” Pagina 1 Dieter Schlesak (Schäβburg (Transilvania – Romania) 1934) Poeta di madrelingua tedesca, saggista e romanziere, dopo gli studi universitari in Germanistica a Bucarest ha subito la persecuzione del regime di Ceauşescu per la sua attività di redattore della rivista “Neue Literatur”. Nel 1969 si è trasferito a Stoccarda, in Germania, e dal 1973 vive in Toscana, ad Agliano, sopra Camaiore (Lucca). Socio del PEN Club, ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi letterari. Victor Capesius era farmacista a Schäβburg, buon vicino di casa della famiglia Schlesak. Anni dopo, Capesius si trova ad Auschwitz, a inviare tanti di questi suoi vicini nelle camere a gas, selezionandoli personalmente e dicendo loro di spogliarsi per andare a prendere un bagno. Dalla farmacia del Lager distribuisce le dosi di Zyklon B, il gas letale. Capesius, condannato a nove anni di carcere nel 1965, è poi vissuto e morto serenamente. Il possente libro di Schlesak ha un unico personaggio immaginario, il deportato Adam, che tuttavia riferisce fatti oggettivi e parole realmente dette da vittime e da boia e in cui il narratore è solo un impersonale protocollo di eventi, deposizioni e dichiarazioni raccolte. dalla Prefazione di Claudio Magris Pagina 2 DIETER SCHLESAK IL FARMACISTA DI AUSCHWITZ prefazione di Claudio Magris Pagina 3 Nel momento in cui risorgono tesi negazioniste sulla Shoah, a dieci anni dalla risoluzione O.N.U. n. 60/7 del 1 novembre 2005 ed a 14 anni dalla Legge n. 211 del 20 luglio 2000 che dichiara il 27 gennaio “Giornata della memoria” in ricordo delle vittime della Shoah, la Biblioteca “Carlo Steiner” dell’I.I.S.S. “Pietro Verri” produce la decima pubblicazione della serie “per non dimenticare”, corredandola per la prima volta di un inserto fotografico. E’ di questi giorni (“Corriere della Sera” di Giovedì 9 gennaio 2014) la notizia che nel 2015 verrà proiettato il documentario realizzato da Alfred Hitchcock nel 1945, mai pubblicato, ricorrendo il 70° anniversario della liberazione dell’Europa dal Nazismo. Ci sembrano maturi i tempi perché le giovani generazioni sappiano, anche con la drammaticità delle immagini, quel che è accaduto 70 anni addietro, e che nemmeno i loro nonni hanno, ormai, la possibilità di raccontare loro: i grandi testimoni, reduci dai campi di sterminio, ci stanno, uno per uno, lasciando e non sono comunque più in grado di portare la loro testimonianza nelle classi dei giovani d’oggi, ma resta alla nostra generazione l’impegno morale di tramandare i documenti “per non dimenticare”. Alessandro Moro Pagina 4 Potremo forse sopravvivere alle malattie e sfuggire alle scelte, forse anche resistere al lavoro e alla fame che ci consumano: e dopo?... Noi abbiamo viaggiato fin qui nei vagoni piombati; noi abbiano visto partire verso il niente le nostre donne ed i nostri bambini; noi fatti schiavi abbiamo marciato cento volte, avanti e indietro alla fatica muta, spenti nell’anima prima che dalla morte anonima. Noi non ritorneremo. Nessuno deve uscire di qui, che potrebbe portare al mondo, insieme col segno impresso nella carne, la mala novella di quanto, ad Auschwitz, è bastato animo all’uomo di fare dell’uomo Primo Levi Se questo è un uomo Einaudi Pagina 5 Adam aveva descritto il suo imprigionamento nel bunker sui suoi rotolini di carta e anche dopo ha continuato a scriverne sulla base dei ricordi: “ Nel blocco, agosto 1944. Il giorno dopo: la cella è piena. Di nuovo la commissione. La stessa procedura. Solo tre persone restano in cella. Improvvisamente diventa buio. Hanno sistemato una coperta sul pozzo di ventilazione. Passi, uno sparo, e ancora, e ancora, sempre di nuovo. Oggi sono molti. Corrono in fretta, prima che si senta lo sparo soffocato. Devono spogliarsi nudi nel locale docce, poi uno dopo l’altro vengono accompagnati al Muro Nero da Jakob e dal bel polacco. Passi, uno sparo. Non una parola. Non un grido. Nel buio della cella un’atmosfera sinistra. Come se la coperta sulla finestra ci avesse tolto anche l’aria. Un quarto d’ora fa, qui eravamo ancora in nove. Molto sangue. Scorre a rivoli sulla pavimentazione di cemento. Per un giorno restiamo in tre nella cella, ma il giorno dopo è peggio, ne sbattono dentro uno nuovo. Poi di nuovo un altro. In breve in questo buco siamo di nuovo in dieci. L’aria è irrespirabile. Senso di soffocamento. Torpore. Cervello fuori uso. La finestra minuscola. Il secchio è senza coperchio. E tuttavia si parla. Quante spie possono esserci? Forse questo con la faccia da culo, un criminale. Io non dico nulla. Nessuna ragione. Senza motivo. Dice di essersi ubriacato a Birkenau e aver fatto un po’ di baccano. Figuriamoci! “Ripulire tutto! Arriva la commissione!” E’ Jakob a dirlo, il Blockälteste qui. Puliamo il pavimento con della carta e del cartone. Poi loro arrivano. Viviamo con gli orecchi. Noi, in fila, la faccia rivolta alla porta. La chiave stride. Mi sento il cuore in gola. Davanti Grabner, il capo della Sezione Politica, accanto a lui come aiutante l’Untersturmführer transilvano Draser, Hoffmann, Obersturmführer delle SS, vicecomandante del lager, poi il Rapportführer Lachmann. E anche Jakob. Mi presento. Mi mettono da parte. All’interrogatorio! Jakob mi porta fuori. “Non ti succede niente”, mi sussurra mentre mi rifila una sberla. Lachmann mi segue su una bicicletta. Fiori nell’ospedale delle SS. Poi l’edificio della Sezione Politica, della Gestapo. Debbo attendere in una stanzetta. Per ore. Infine l’interrogatorio. Ma viene interrotto da una telefonata. Uno Sturmmann mi riporta in cella. Davanti alla porta che conduce al cortile vi è un automezzo ricoperto con un telone. Jakob mi fa entrare nella cella. E’ vuota. Giacciono rigidi, pallidi e sanguinanti sotto il telone. Anche il criminale tedesco? Anche il ragazzo polacco che oggi all’alba piangeva e invocava sua madre?” Pagina 6 Imputato Boger al processo: “E’ esatto che ad Auschwitz hanno avuto spesso luogo fucilazioni di prigionieri e di altre persone che ancora prima dell’ esecuzione erano state consegnate come prigionieri. Queste fucilazioni, per quel che ne so, furono eseguite tutte senza eccezioni davanti al cosiddetto Muro Nero tra il Blocco 10 e il Blocco 11. Io non so se ci siano state fucilazioni anche al di fuori della recinzione del lager, nella cava della ghiaia. A questa domanda non posso rispondere né si né no. L’unica cosa che ho sentito è che, prima del mio arrivo ad Auschwitz, un buon numero di commissari russi sarebbe stato fucilato fuori dal lager. Ma ignoro il luogo dell’esecuzione e non so neppure chi abbia eseguito queste fucilazioni. Nel caso in cui avvenivano fucilazioni, queste di regola erano precedute da condanne a morte da parte di corti marziali o quanto meno per un ordine superiore. Non conosco un solo caso in cui un membro della Sezione Politica o un qualsiasi soldato delle SS abbia ucciso di sua iniziativa un prigioniero. Eccettuati, ovviamente, i casi di coloro a cui le guardie hanno sparato mentre tentavano la fuga. Personalmente non ho mai avuto occasione di impiegare le armi ad Auschwitz e non ho fucilato nessuno. Per la fucilazione erano disponibili due Mauser di piccolo calibro, che venivano custoditi nel Blocco 11. Si trattava di fucili normalissimi, muniti però di un caricatore inseribile di dieci, dodici colpi”. Filip Müller, compagno di sventure di Adam nel Sonderkommando, al processo dichiara: “Ma in quei luoghi pensati per l’annientamento non si uccideva solo con lo Zyklon B. Le SS non ritenevano necessario mettere in funzione la camera a gas per gruppi di vittime inferiori alle duecento persone. Nei Crematori I e II si eseguivano fucilazioni. Uomini, donne e bambini dovevano spogliarsi nel locale docce, accanto all’atrio con i forni crematori, poi cinque per volta dovevano disporsi con la faccia rivolta al muro. Noi eravamo costretti a intervenire durante queste fucilazioni, tenendo per le orecchie questi candidati alla morte. Le SS stavano con fucili di piccolo calibro dietro di loro e puntavano la canna alla nuca; il colpo esplodeva e riesplodeva e donne, bambini, persino bambini molto piccoli, e uomini, spesso molto vecchi, cadevano sul pavimento di cemento nel sangue. Molti pregavano e spesso cantavano. Pagina 7 Pianta del campo di Auschwitz II – Birkenau A – entrata del campo B I a – campo delle donne B I b – campo degli uomini; dopo il 1943 altro campo delle donne B II a – settore per la messa in quarantena B II b – campo delle famiglie ebree provenienti da Terezin B II c – campo degli ebrei ungheresi B II d – campo degli uomini B II e – campo degli Zigani B II f – ospedale B III – settore in costruzione C – quartier generale e baracche delle SS D – il “Kanada” – deposito vestiti e oggetti dei deportati E – rampa di sbarco dai treni e di selezione G – fosse e luogo per i roghi H – fosse comuni per i prigionieri di guerra sovietici I e J – camere a gas provvisorie K II, K III, K IV, K V – camere a gas e crematori L – il “boschetto” Pagina 8 Sbarco di ebrei ungheresi il 26 maggio 1944 Pagina 9 appena sbarcati Pagina 10 La selezione sulle rampe. Sullo sfondo, al di là dei binari, una colonna di deportati, già selezionati, si avvia verso il crematorio II Pagina 11 Il Krematorium III I “torrini” da cui veniva immesso il Zyklon B nella camera “delle docce”. Sullo sfondo la ciminiera dei forni crematori. Pagina 12 Lo schema del collegamento dei forni all’unica ciminiera I cinque gruppi da tre forni ciascuno Pagina 13 Un gruppo di prigioniere rasate a zero I cadaveri nelle fosse comuni, dopo la liberazione di Bergen-Belsen nel 1945. Pagina 14 Auschwitz II, fotogramma della ripresa aerea del Servizio Informazioni USA (Oswiecim, 21 dicembre 1944) Pagina 15 Qualche volta, nonostante l’impiego massiccio della violenza, le SS non riuscivano a pigiare nelle camere a gas tutte le persone destinate a morire, arrivate con un trasporto organizzato dalla RSHA. Alcuni uomini, donne o bambini risultavano allora in “soprannumero” e, nudi come tutti gli altri, venivano portati a questo muro che vedevano per l’ultima volta. Le canne dei fucili diventavano presto roventi… Colpo su colpo”. Capesius: “Ma si verificavano anche casi in cui le SS perdettero la testa. Molti dovettero essere allontanati dai loro posti di servizio perché avevano crisi nervose e uno rimase addirittura volontariamente nella camera a gas e morì con quei disgraziati, nudi”. Adam: “Nudi, in piedi davanti al muro, molti restavano silenziosi. Ma molti gridavano, piangevano, soprattutto i bambini. Spesso continuavano a tenersi per mano, un’intera famiglia, padre, madre e i bambini”. Dal diario di Adam: Uno dei miei compagni di sventura nel Kommando, David Nencel, è tormentato dal ricordo di un’esecuzione. E’ stata l’unica volta in cui le SS lo hanno costretto a immobilizzare le vittime durante la fucilazione. Nencel nel corso del tempo era riuscito a procurarsi alcuni privilegi, perché era un bravissimo orologiaio. Con le proprietà delle vittime uccise nel crematorio le SS si “organizzavano” preziosi orologi. E, per ripararli, Nencel ottenne gli attrezzi necessari e un banco da lavoro nella stanza del kapò del Crematorio I. Stava lavorando là quando una guardia delle SS gli ha ordinato di “assistere” a una fucilazione. Per Nencel è stato un trauma che solo a fatica e lottando con le parole è riuscito a raccontarmi. Pagina 16 David Nencel: “Ogni tanto succedeva che alcuni deportati riuscissero a nascondersi con i loro figli e venissero scoperti solo più tardi. Le SS non rimandavano la fine di queste persone alla gassazione successiva: le uccidevano con fucili di piccolo calibro. Quella volta io ero nella mia stanza e stavo lavorando ad un orologio da taschino e portarono dentro una donna con il suo bambino; lei teneva il bambino per mano. Avevano bisogno di qualcuno che li aiutasse. La donna dovette spogliarsi e loro la accompagnarono in un’altra stanza, non so più quale. Presero un fucile del tutto normale, penso uno di quelli che si usano anche nello sport, le poggiarono la canna sul collo e la pallottola se ne uscì fuori dal cervello. Mi ricordo che per primo hanno fucilato il bambino. Se mai qualcuno a questo mondo può descrivere il tormento di questa madre… oh, che destino crudele ha patito questa madre. Dunque, facevano così, se trovavano da qualche parte qualche ebreo nascosto”. Nell’agosto del 1944, da alcuni campi attigui ad Auschwitz furono ancora portati duecentocinquanta “musulmani” che non riuscivano neppure più a stare in piedi. Arriva subito il comandante del crematorio, l’Hauptscharführer Moll, e dice: “Niente gas per questi”. Li voleva uccidere personalmente. All’inizio ne finì alcuni colpendoli con delle sbarre di ferro che noi utilizzavamo per rompere le ossa non bruciate. Poi scese giù e si fece dare da un soldato un fucile e le pallottole. Cominciò a sparare. Dopo che ne aveva colpiti quattro o cinque, uno dei “musulmani” gridò: “Comandante!”. E Moll, che era realmente un sadico spietato, rispose: “Che c’è?”. “Ho una preghiera.” “Che vuoi?” Pagina 17 “Mentre lei spara ai miei amici, vorrei cantare il valzer del Bel Danubio blu.” “Prego, così è anche meglio. Sparare accompagnati dalla musica è anche meglio”, disse Moll. E il “musulmano” si mise a cantare lalala-lallà e Moll intanto sparò a tutti, fino a che la fila arrivò al cantore. L’ultima pallottola fu per lui. Schluss. Fine. Mi ricordo anche che una volta furono portati quaranta ragazzi, tra i tredici e i quattordici anni, che avrebbero benissimo potuto lavorare. Ne ho visto uno che non era ancora morto dopo cinque colpi. Ma li uccisero tutti e quaranta. Mi ricordo anche il caso delle centoquaranta, centocinquanta ragazze che erano state portate da noi. Si sedettero in giro e cominciarono a giocare e a ridere. Sicuramente pensavano di essere arrivate a Birkenau per fare una bella vita. Noi eravamo stupiti: cosa succedeva? Una mezz’ora, due ore erano già passate e nessuno le aveva ancora bruciate? Poi all’improvviso giunse l’ordine che le si riportassero indietro. Arrivò un autocarro e le condusse in un qualche stanzone accanto alla “sauna”. Mentre se ne ripartivano sane e salve dal crematorio, noi dicemmo loro: “Accendete una candela per il fatto di potervene andare via da qui”. Quando poi furono nello stanzone furono costrette a scrivere delle cartoline postali: “Siamo arrivate al lager. I tedeschi ci hanno accolte amorevolmente. Abbiamo ricevuto un buon pasto e stiamo bene”. Dopo due giorni furono di nuovo portate nel crematorio e adesso sì che urlavano e opponevano resistenza. Ora sapevano che erano venute a morire. E le si finirono presto. Pagina 18 Una volta portarono una ragazza ungherese con un bambino di soli due giorni, un vero neonato. Lei sapeva di dover morire. Quella notte non avevamo nulla da fare. Ci sedemmo intorno a lei, demmo una sedia anche a lei, le regalammo del cibo, sigarette. Prese a raccontarci che era una cantante. Parlò per un quanto d’ora, mezz’ora. Noi sedavamo davanti al forno. Accanto a noi vi era un soldato olandese delle SS, particolarmente gentile, un bravo ragazzo. Anche lui stava a sentire. Alla fine della storia si alza e dice: “Bene, non possiamo starcene qui seduti tutto il tempo, adesso è arrivato il turno di morire”. Noi le chiedemmo cosa preferisse: che uccidessimo prima lei o prima il bambino. Lei rispose: “Prima me. Non voglio vedere mio figlio morto”. A questo punto l’olandese si alza, imbraccia il fucile, le spara e la getta nel forno. Poi afferra il neonato: bum-bum. Due colpi. E’ finita così Kalendarium, 11 luglio 1944: “In un telegramma indirizzato al Ministero degli Esteri del Terzo Reich, il plenipotenziario tedesco in Ungheria, dott. Veesenmayer, comunica che la deportazione di 55.741 ebrei dalla Zona V, cioè dalla regione ad ovest del Danubio, nei dintorni di Budapest, è stata completata il 9 luglio. Il numero degli ebrei deportati da tutt’e cinque le zone ungheresi è di 437.402 persone”. Pagina 19 Trascrizione di alcune pagine tratte da “Il farmacista di Auschwitz” Garzanti - 2009 La veste grafica è stata curata da Alessandro Moro già Vice Preside dell’Istituto Pubblicazione interna ad esclusivo uso didattico distribuita su richiesta ai docenti ed agli alunni dell’Istituto di Istruzione Superiore Statale “Pietro Verri” Via Lattanzio, 38 – 20137 Milano MILANO 27 gennaio 2014 Le fotografie sono tratte dal testo originale e dal libro La Shoah – L’impossible oubli di Anne Grynberg Edizione Découverts Gallimard - 1995 Pagina 20 Gli opuscoli pubblicati negli anni precedenti 2005 – Liliana Segre Un’infanzia perduta - Testimonianza da “Voci dalla Shoah” La Nuova Italia - 1996 2006 – Loredana – operaia milanese Testimonianza da “L’erba non cresceva ad Auschwitz” a cura di Mimma Paulesu Quercioli Mursia - 1994 2007 – Nedo Fiano Oggi vi racconterò l’inferno Testimonianza da “Voci dalla Shoah” La Nuova Italia - 1996 2008 – Frediano Sessi Ultima fermata ad Auschwitz Copione teatrale inedito - 2006 2009 – Goti Herskovits Bauer Testimonianza da “Gli ebrei in provincia di Milano: 1943/1945 – Persecuzione e deportazione” a cura di Liliana Picciotto Fargion Provincia di Milano / CEDEC - 1992 2010 – Jona Oberski Due capitoli da “Anni d’infanzia. Un bambino nei lager” Editrice La Giuntina – 1989 2011 – Dacia Maraini Due capitoli da “Il treno dell’ultima notte” RCS Libri – 2008 2012 – Ilaria Pavan e Maria Cicambelli “Quei giorni sul Lago Maggiore” da “Il Comandante” Proedi Editore – 2001 2013 – Shlomo Venezia Estratti da “Sonderkommando Auschwitz” Rizzoli – RCS Editore - 2007 Pagina 21