Inclusione e nuove professioni: il ruolo degli Informahandicap
(Intervista ad Andrea Pancaldi* su www.superando.it)
Riprendiamo il percorso che avevamo iniziato in estate, dedicato all'esplorazione delle
professioni nate attorno al processo di inclusione sociale delle persone con disabilità. Questa
volta il contributo che proponiamo riguarda la figura dell'operatore di Informahandicap. Ne
parliamo con Andrea Pancaldi, responsabile del CRH (Centro Risorse Handicap) del Comune di
Bologna.
Il processo di inclusione delle persone con disabilità porta alla nascita di nuove professioni
specifiche: sulla base di questa considerazione, nell'estate scorsa, Superando aveva avviato un
approfondimento per conoscere singolarmente ciascuna di tali specifiche professioni. Abbiamo
dunque incontrato la figura del consulente alla pari - una metodologia di counceling mirato,
maturata dalle esperienze di mutuo aiuto - attraverso una delle sue pioniere per l’Italia, Rita
Barbuto, direttore di DPI Europe (Disabled Peoples’International). Poi, in un dialogo con la
sua assistente personale, Giuseppina Mascaro, abbiamo avuto l’occasione di approfondire
anche quest’altra essenziale figura professionale legata al processo di inclusione e in
particolare derivata dai principi della Vita Indipendente. Ancora, avevamo intervistato un
docente universitario di Tecnologie per l’Autonomia, Andrea Micangeli.
Questa volta ci occupiamo di analizzare la funzione degli Informahandicap e di incontrare le
professionalità che si producono in relazione ad essi. Per farlo, chiediamo il contributo
di Andrea Pancaldi, che da molti anni si occupa di informazione e comunicazione nel settore
della disabilità e che dal 2001 è il coordinatore del CRH (Centro Risorse Handicap), lo sportello
Informahandicap del Comune di Bologna.
Iniziamo con una domanda personale. Gli chiediamo cioè di raccontarci il suo
percorso di formazione e professionale, per capire come sia arrivato a ricoprire oggi
un ruolo di responsabilità.
«Sono laureato in Fisioterapia e sono un giornalista pubblicista: mi muovo tra il mondo sociosanitario e quello dell’informazione. Ho lavorato per oltre vent’anni al CDH (Centro
Documentazione Handicap) di Bologna, dove nel 2001 abbiamo progettato e poi gestito il CRH,
lo Sportello Informahandicap del Comune di Bologna. Nel 2004 ho cessato la mia
collaborazione con il CDH, non condividendone più molte delle linee di sviluppo, e da allora
lavoro per il Settore Sociale e Salute del Comune di Bologna, come coordinatore del CRH e
responsabile della redazione degli sportelli sociali, previsti dalla Legge 328/00, che nel
frattempo sono stati aperti nei nove Quartieri di Bologna. Da tanti anni svolgo anche frequenti
attività di formazione e consulenza per enti e associazioni sui temi della documentazione e
informazione in campo sociale, oltre a scrive per riviste e siti internet».
In cosa consiste il suo ruolo nel CRH?
«Dal 2001 lo coordino e dal 2007 coordino la redazione degli sportelli sociali. Il mio lavoro
consiste soprattutto nel tenere le relazioni con i vari soggetti che interagiscono con gli
sportelli sociali, come i Settori del Comune, le neonate ASP (Aziende per i Servizi alla Persona),
l'Azienda USL, la Provincia e i nove Quartieri (Circoscrizioni). Poi, ancora, con la rete dei servizi
sociali, quelli sanitari, i Settori Comunicazione (URP, Ufficio Stampa) e i Servizi Informativi
(tecnologie) del Comune. Coordino il Comitato di Redazione, che è la struttura che dà gli
indirizzi al lavoro redazionale e, tecnicamente, mi occupo del sito internet, delle newsletter e
degli aggiornamenti periodici ai vari sportelli. Da buon esperto di documentazione, mi occupo
anche di fornire ai miei interlocutori servizi di aggiornamento sui temi oggetto del nostro
lavoro, tramite mailing list e rassegna stampa».
Come valuta lo stato dell'informazione sulla disabilità oggi in Italia?
«Quello della disabilità è stato senz’altro uno dei primi settori a sviluppare al suo interno
iniziative di informazione e, aggiungo, di documentazione, a partire dai primi anni Ottanta.
Mi pare che da alcuni anni sia però calata la capacità di innovare; ci troviamo davanti a un
paradosso che meriterebbe approfondimento, ma che qui potrei riassumere in una fuga
nell'azione: progettare e immettere nel mercato a ciclo continuo novità, prodotti, nuove
ricette è più importante che non dedicare tempo ed energie all’elaborazione di processi nuovi.
Provo a elencare alcuni dei motivi che fanno da sfondo a ciò nell’ambito della disabilità:
- il dipanarsi definitivo del tema del cosiddetto "handicap adulto", che è sostanzialmente
una cultura prodotta nel solco dell’associazionismo e del volontariato e nella quale, proprio per
quell'"adulto", stentano a rientrare e a essere ricomprese le persone con disabilità intellettiva,
troppo "bambine" agli occhi di un osservatore superficiale;
- le logiche del sistema dell’informazione e dei media che, soprattutto dopo il 2003, Anno
Europeo della Persona con Disabilità, non possono che raccontare di disabili che ce la fanno,
che riescono, grazie a loro stessi e all’attenzione di una "società buona";
- la sovraesposizione della disabilità fisica rispetto a quella intellettiva, legata al fatto che
il discorso sull'handicap tende oggi a porre la questione in termini di "diritti civili", tendendo a
escludere chi appare poco in grado di fruire di questi diritti di cittadinanza, per non dire chi ne
è legalmente escluso;
- l'assenza nell'informazione di esperienze legate ai servizi pubblici territoriali, sia per
motivi ideologico-culturali (malasanità, servizi pubblici inefficienti ecc.) che per intrinseca
difficoltà comunicativa dovuta all’organizzazione gerarchica e alla necessità di referenza al
mondo politico; ed è ai servizi pubblici che si rivolgono le tante realtà familiari segnate dalla
presenza più che altro di limiti e non tanto di possibilità;
- l'adesione di molte strutture informative nate nell’ambito dell’associazionismo a un
modello informativo che associa la disabilità a un altro elemento trainante o
insolito («Disabile scrive al papa», «Jovanotti saluta il suo fan in carrozzina», «Ragazzi down
in barca a vela», «Moliére con attori disabili», «Disabili al Rifugio Duca degli Abruzzi»). Di
questo modello potremmo dire, scherzosamente, che è affetto dalla cosiddetta "Sindrome di
Lavazza": "tira su" il disabile, facendolo entrare in una sfera di normalità o di protagonismo,
ma "lo manda anche giù", dichiarando l’effimero di questi momenti, che non sono certo la
quotidianità. La televisione ci propina personaggi famosi e contesti di divertimento e
l’informazione sulla disabilità a volte si adegua. Si spendono più righe sul fatto che sia giusto o
meno che un disabile partecipi al Grande Fratello piuttosto che sui tagli degli insegnanti di
appoggio a scuola o sulla loro mancata specializzazione.
Insomma, a mio avviso, erano più interessanti gli anni Ottanta e Novanta, in cui si
cercava di fare uscire i temi dal chiuso dei libri e dei convegni per gli addetti ai lavori, di creare
una pubblicistica sulla disabilità, un linguaggio più accessibile, di dare spazio a tematiche che
non fossero solo la scuola, l’assistenza o la riabilitazione. Anni in cui si aveva una idea, la si
approfondiva e poi si cercavano le risorse per sostenerla. Ora accade il contrario: data una
linea di finanziamento (bandi vari, progetti europei, Centri di Servizio Volontariato, fondazioni
bancarie), ci si chiede cosa si possa presentare, possibilmente riciclando cose già fatte. Anche
qui - come in generale in questa età di transizione non solo da un millennio all’altro ma da un
modello economico ad un altro, da un sistema politico ad un altro - spesso i mezzi
prevalgono sui fini e l'agire organizzativo su quello relazionale. Ma è anche, in parte,
una questione generazionale. Chi, giovane obiettore di coscienza a cavallo tra gli Anni Ottanta
e Novanta (penso al Gruppo Abele, alla Comunità di Capodarco, al CDH di Bologna, alla
UILDM), aveva tempo e spazio per inventare esperienze informative a fianco della fase di
sviluppo dei servizi sulla disabilità e ora, a cavallo del Duemila, a trentacinque o
quarantacinque anni, se non fa altro di lavoro, non può comunque più tornare indietro. Ha da
pensare a mutuo, rata dell’auto, uno straccio di futura pensione…».
Questo tipo di informazione quale cultura promuove?
«È una domanda difficile. Penso che, come per altre dinamiche, anche nell'ambito della
disabilità ci troviamo in una fase di transizione, sospesa tra "non più" (la stagione che ha
avuto per parola d'ordine "integrazione") e "non ancora". Un discorso a tutto tondo - in tempi
in cui la sicurezza (e le aree del disagio che evoca) e la crisi (tagli nazionali e locali) la fanno
da padrone - credo sia impossibile. Dobbiamo saper navigare a vista e in questa incerta
navigazione vedo rispettivamente come utili, ai fini di far sopravvivere un interesse culturale
alla disabilità di un certo spessore: la capacità di integrare gli aspetti sociali con quelli
sanitari nella definizione della disabilità, perché i secondi sono stati messi troppo in secondo
piano; l’attenzione agli aspetti relazionali legati alle vicende di singoli e famiglie; lo sviluppo
di una pubblicistica sul tema del lavoro delle persone disabili, grande assente dal panorama
della comunicazione; una rappresentazione della questione scolastica dove non prendano
sopravvento gli aspetti giudiziari; il ridimensionamento di questioni come barriere, turismo,
sport e teatro sociale, che hanno spopolato negli ultimi anni; il tentativo di allargare il
panorama delle voci, andando alla ricerca di nuove esperienze, senza aspettare quelle che
riescono a “bucare” e che alla fine corrono il rischio di essere sempre le stesse, competenti
di certo, ma che non aggiungono molto a quanto già detto e scritto. Insomma, anche il
giornalismo della disabilità ha finito col sedersi un po’, utilizzando molto le cose già in rete e
sentendo per pigrizia sempre gli stessi esperti e gli stessi disabili "eccellenti"».
A chi si rivolge l'informazione di uno Sportello Informahandicap e quali sono le
qualità principali di questa informazione?
«Si rivolge principalmente alle persone con disabilità. Al CRH si è passati dal 43% del 2002, al
65% del 2005 e al 72% del 2008 [si può cliccare qui per accedere al dettaglio dei dati,
N.d.R.]. Nella nostra esperienza (mi riferisco al Comune di Bologna e alla Cooperativa
Accaparlante, promossa dal Centro Documentazione Handicap Bologna, che gestisce il
servizio di sportello) le qualità che mi sembrano decisive sono:
- la capacità di ascolto;
- il fornire, oltre alle specifiche informazioni richieste, un quadro di riferimento, a
disposizione
nei
siti
del
servizio
e
nei
materiali
distribuiti;
- il saper integrare aree (scuola, lavoro, assistenza, trasporti, ausili...) e discipline, grazie a
operatori con una buona cultura sociale, sanitaria, legislativa, sociologica e psicologica;
- l’elaborazione e l’utilizzo di un linguaggio che faccia sintesi tra i vari attori della scena
della disabilità;
- la rapidità della risposta;
- l’organizzazione di un servizio dove è più l'informazione che raggiunge l'utente che non
viceversa, quasi prevenendo le domande attraverso servizi efficienti di informazione e
comunicazione (sito, bollettini, newsletter);
- l’attivazione di una rete di interlocutori pubblici e privati».
Quali sono le informazioni maggiormente richieste allo sportello?
«Nel tempo questo indicatore si è stabilizzato. Gli Informahandicap si confermano servizi
rivolti, almeno nelle attività di sportello, per lo più alla fascia degli adulti che, lasciata la
scuola e l'adolescenza, hanno perso in larga misura la "protezione" dei servizi socioassistenziali, socio-educativi e riabilitativi.
Le aree maggiormente gettonate sono quelle dell'autonomia (35%) della mobilità (20%) e
delle agevolazioni fiscali connesse (12%) .
Discreta richiesta per l'ambito turismo, cultura,spettacolo (6%) e sempre molto gettonati i
servizi informativi del CRH (newsletter e bollettino, 13%) e il tema pensioni (10%). Di contro,
come si accennava prima, basse le percentuali sui temi tipici dell'età evolutiva come scuola
(0,8%) e riabilitazione (1,3%). Proprio questi dati sono stati uno degli elementi che abbiamo
più considerato quando abbiamo deciso di trasformare il nostro servizio integrazione negli
Sportelli Sociali: infatti, il CRH come sportello chiuderà e gli operatori ruoteranno nei
vari Sportelli Sociali come presenza specializzata dei medesimi, anche al fine di
trasferire conoscenza agli operatori stessi, dato che i Quartieri a Bologna, storicamente, non si
sono mai occupati di disabilità».
Quali sono le persone con disabilità che si rivolgono allo sportello e quali quelle
senza disabilità?
«I disabili che si rivolgono allo sportello, direttamente o tramite familiari, hanno
generalmente deficit di tipo fisico, con una prevalenza di quelli acquisiti rispetto a quelli
congeniti. Tra i familiari predominano le donne (le mamme), mentre tra le persone disabili
prevalgono gli uomini. Su determinate tematiche, l'età media si abbassa (tecnologie, sport,
servizi informativi del CRH), mentre su altre si alza (barriere). Trasversale alle tipologie di
deficit
e
alle
età,
invece,
sono
le
necessità
di
trasporto.
Esclusi disabili e familiari e una quota abbastanza rilevante di contatti non classificati (quelli via
e-mail), rimane la parte di utenza degli operatori che si è sempre attestata tra il 12 e il 16%,
più presenti quelli dei servizi pubblici (assistenti sociali ed educatori) e una certa quota di
quadri od operatori di associazioni. Scarsi i contatti dalle cooperative sociali che, in ogni
indicatore riferito alle questioni informative o documentative, restano sistematicamente
fanalino di coda».
Il "back office", il "lavorio interno" di uno Sportello Informahandicap di che cosa si
occupa?
«Da noi, le attività di back office si sono rivolte per molti anni in tre direzioni:
- l'aggiornamento della base dati in formato web e cartaceo (guide, opuscoli, schede);
- la collaborazione con altri settori del Comune (Mobilità, Istruzione, Casa), con altri enti
territoriali (INPS, Agenzia Entrate, Provincia, ASL) e con la rete associativa che a Bologna
conta oltre ottanta sigle. Questo si è riflesso, ad esempio, nella qualità della newsletter che
ha fatto girare in otto anni di attività e 108 numeri usciti, oltre 2.400 notizie a 1.400 iscritti. La
ricerca di sinergie per alcuni anni è stata indirizzata anche agli altri servizi analoghi italiani,
tramite anche il primo Convegno Nazionale degli Informahandicap, svoltosi a Bologna nel
2002, ma la dinamica si è poi fermata;
- la produzione di strumenti informativi "in uscita". Oltre alla newsletter che permette a
circa quattro-cinquecento tra singoli e nuclei familiari di non doversi rivolgere allo sportello,
stante il livello informativo che ricevono mensilmente, abbiamo prodotto per sette anni anche
un giornalino, «Metropoli», diffuso a oltre 2.400 indirizzi, che permetteva di raggiungere chi
non aveva un computer.
Attualmente, il back office degli Sportelli Sociali segue più o meno la stessa filosofia di lavoro
e, in tema di aggiornamento della base dati, macina con continuità una cinquantina di riviste,
altrettante newsletter e una ventina tra siti e agenzie. Utilissimi anche i rapporti di scambio e
collaborazione con una decina di case editrici e i centri documentazione presenti su varie aree
a Bologna; insomma, cerchiamo di sfuggire al rischio di "rinchiuderci dentro a
internet" che è, forse, uno dei vizi che si possono riscontrare in giro».
Qual è l'apporto culturale di uno sportello informahandicap?
«È una domanda che mi sta a cuore. Tra le quattro funzioni che dovrebbero svolgere gli
Sportelli Sociali (informazione; accesso alla presa in carico da parte della rete dei
servizi;osservatorio tramite analisi della domanda; promozione sociale) è proprio quest'ultima
ad essere sempre dimenticata.
Che, nella nostra esperienza, sia stato un Centro Documentazione a progettare un
Informahandicap ovviamente ha inciso, e tanta parte dell’esperienza del CRH è stata dedicata
a produrre un’informazione che veicolasse anche cultura. Come si diceva in un opuscolo del
Gruppo Abele alla metà degli anni Settanta, «gli emarginati non sono la parte malata della
società, ma il prodotto di una società malata; in questo senso è necessario produrre non
solo servizi ma anche e soprattutto cultura». L'esperienza del CRH è segnata dalla ricerca e
dalla documentazione, anche se, negli ultimi due anni, abbiamo dovuto ridurre queste attività,
assorbiti nei meccanismi della complessa riorganizzazione del sistema dei servizi sociali
territoriali del Comune di Bologna.
«Gli emarginati non sono la parte malata della società, ma il prodotto di una società malata»
(da un opuscolo del Gruppo Abele degli anni Settanta)Tra le tante iniziative attivate, ricordo il
supplemento bibliografico bimestrale alla newsletter che ha recensito diverse centinaia di
volumi, il supplemento dedicato ai progetti di legge di Camera e Senato e le varie schede
informative spedite in allegato alla newsletter e dedicate a temi culturali o relazionali e
ancora consultabili nel sito. Per un certo periodo abbiamo anche tentato uno sportello
decentrato
della
Biblioteca
specializzata
del
CDH,
ma
non
ha
funzionato.
Con gli Sportelli Sociali... ci riproviamo, con un corso di formazione sui temi dell’informazione e
documentazione sociale, una rassegna stampa da riviste per il Comitato di Redazione sugli
stessi temi, il tentativo di un vero e proprio servizio di informazione e documentazione
dedicato all'intera rete dei servizi territoriali, per distribuire in maniera ragionata a circa 250
operatori e funzionari le mille informazioni e i mille documenti prodotti da siti, riviste,
newsletter, case editrici, centri documentazione, enti e organismi vari. Nel sito internet degli
sportelli puntiamo sull’utilizzo di video e documenti allegati alle schede per approfondire;
abbiamo anche approcciato qualche iniziativa di web 2.0, senza esagerare e senza demagogie:
i dati per ora sono buoni, considerando anche l'avvio nei mesi estivi. Vedremo se ci
sosterranno anche in futuro».
Quali caratteristiche e competenze deve avere l'operatore ideale?
«È una domanda difficile. Ci provo. Direi che dovrebbe avere buone competenze sui vari ambiti
della disabilità ed esperienza della realtà dei servizi pubblici e del Terzo Settore. Inoltre, buona
conoscenza del panorama informativo e documentativo nazionale, buone competenze
tecnologiche, giornalistiche, grafiche e legislative, con qualche rudimento di biblioteconomia e
archivistica e una buona conoscenza delle figure professionali operanti nell'ambito della
disabilità. Sono importanti anche una certa pignoleria e, come ho già detto prima, la capacità
di ascolto e di relazione».
Diventare operatore di uno Sportello Informahandicap è un obiettivo auspicabile per
un giovane che si immette nel mercato del lavoro, oppure è un'attività di passaggio,
svolta per lo più da chi è in cerca di qualcos'altro?
«Gli Sportelli Informahandicap in Italia sono un’ottantina: il mercato è di nicchia che più
nicchia non si può! La gestione è all’80% pubblica. Nel dettaglio, dei Comuni singoli per il 46%,
delle ASL per il 18%, (molti in Veneto), dei Consorzi per Servizi Sociali per il 16% (quasi tutti
in Piemonte, la regione con più sportelli e l'unica a dotarsi di un progetto regionale organico in
materia), delle associazioni per il 14% (per lo più piccole associazioni di carattere locale), delle
Cooperative per il 5%.
Non esistono dati, ma si può ipotizzare la presenza diffusa di personale amministrativo part
time (molti sportelli aprono due, tre mezze giornate e lo stesso nostro CRH apriva quindici ore
settimanali per una città di 380.000 abitanti e 20.000 disabili) e la presenza meno diffusa di
assistenti sociali ed educatori. In questi casi, molto dipenderà dall’integrazione tra questi
sportelli specializzati e gli sportelli sociali previsti dalla Legge 328/00 e dai modelli che
territorialmente si perseguiranno, se di reale integrazione o di semplice vicinanza.
Le strutture stesse, e non solo gli operatori, a volte sono "di passaggio", legate a progetti o a
fondi non di tipo strutturale. Il 2010 ci darà un quadro più definito dei tagli e potremo sapere
se le strutture più piccole e decentrate sono riuscite a sopravvivere».
In chiusura di questa lunga intervista, vuole aggiungere qualcosa?
«Se possibile, un ringraziamento a Valeria Alpi, Massimo Falcone e Annalisa Degli
Esposti, gli operatori del CRH, per l'ottimo lavoro fatto in questi anni».
Nell'ambito di questo ciclo di servizi il sito www.superando.it ha già pubblicato i seguenti testi:
- Se le persone con disabilità vengono incluse nella società, disponibile cliccando qui.
- Inclusione e nuove professioni: insegnare Tecnologie per l'Autonomia, disponibile
cliccando qui.
- Inclusione e nuove professioni: l'assistente personale, disponibile cliccando qui.
- Inclusione e nuove professioni: assumere un assistente personale, disponibile
cliccando qui.
- Inclusione e nuove professioni: il consulente alla pari, disponibile cliccando qui.
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