Provincia SS. Annunziata
Ser vi di Maria
Riflessioni su
S. ANTONIO M. PUCCI
Il presente fascicolo raccoglie alcune delle riflessioni che sono state proposte
negli ultimi anni in occasione della festa di S. Antonio Pucci celebrata dalla
Comunità provinciale a Viareggio.
Ci auguriamo che possano contribuire alla sempre maggiore conoscenza di
questo nostro fratello santo, alimentando la vita spirituale di ciascuno.
SOMMARIO
UN PROGETTO DA VIVERE:
L'ESEMPIO DI FR. ANTONIO MARIA PUCCI
(fr. Sergio Maria Ziliani, osm - Viareggio 11.01.2002) ..................................p. 3
SANT’ANTONIO PUCCI, PASTORE MISERICORDIOSO
(fr. Stefano M. Mazzoni, osm - Viareggio 11.01.2008) ...................................p. 13
SANT’ANTONIO M. PUCCI:
SERVO DI MARIA E SACERDOTE
(fr. Franco Azzalli, osm – Viareggio 12.01.2010)...........................................p. 19
SANT’ANTONIO PUCCI
SERVO DEL SUO POPOLO
(fr. Pier Giorgio M. Di Domenico, osm – Viareggio 12.01.2011) ..................p. 47
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UN PROGETTO DA VIVERE:
L'ESEMPIO DI FR. ANTONIO MARIA PUCCI
(fr. Sergio Maria Ziliani, osm - Viareggio 11.01.2002)
§ 1.1. Introduzione
"Chi sei tu?" (Gv 1,19) è questo l'interrogativo che è posto a Giovanni
Battista quando gli viene chiesta ragione della sua identità dai Giudei.
“Sei tu colui che deve venire?". È l'interrogativo che Giovanni Battista
ripropone a Gesù, al quale il Signore non risponde se non attraverso uno stile di
vita: “andate a riferire ciò che avete visto e udito...”.
Chi sei tu? È l’interrogativo che idealmente ci può accompagnare nel
ripercorrere, non tanto la via di S. Antonio M. Pucci ma il suo stile di essere
Servo di Maria, con una impronta che noi definiamo spiritualità, attraverso una
modalità – oserei dire pedagogica – che con il linguaggio del Capitolo Generale
dell'ottobre scorso, si direbbe progetto personale (comunitario/provinciale) di
vita.
Chi sei tu? È l'interrogativo che ciascuno dovrebbe porre a se stesso, e
reciprocamente all'altro in quanto fratello; è la domanda fondamentale che il
Priore Conventuale e/o Provinciale dovrebbe porre ad ogni fratello per il quale è
impegnato ad un servizio di Carità che è primariamente condurre il frate alla
pienezza di vita in Cristo (cfr. Cost art. 47.43 ["per accrescere fa vita nei suoi”]).
Chi sei tu? E' forse lo stesso cruccio che ha portato S. Antonio M. Pucci
nel discorso di inizio del suo mandato come Priore Conventuale ad affermare:
“Diamo ora uno sguardo al nostro modo di procedere e osserviamo di proposito
se nulla da riprendere vi sia in noi, e da riformare. Tutti, è vero, siamo Religiosi,
perché vincolati dai voti, perché di religioso ne portiamo l'abito. Ma le verità di
vero Religioso, ditemi, dove sono in noi? E incominciando da me... ".
Un incipit quello del Pucci non certo lusinghiero, diplomatico o fatto di
compromessi, bensì carico di un impegno a riproporre un itinerario "nuovo" non
nei contenuti, nelle modalità, nei valori della vita religiosa, ma piuttosto nella
sollecitudine e nella premura nel recuperare un cammino talvolta faticoso, o
interrotto per svariati motivi.
Già da queste prime parole del Pucci possiamo rileggere in filigrana la
Legenda de Origine, in cui troviamo espressioni simili – nel contenuto – che nel
quotidiano dovrebbero divenire stimolo, verifica, esame di coscienza, impegno a
reggere il nostro essere frati oggi.
"E così, come essi han lasciato modelli di vita a noi che veniamo dopo di
loro, anche noi, lasciando simili esempi a quelli che verranno dopo di noi nel
nostro Ordine, potremo spingerli in tal modo a far altrettanto verso i loro
successori e questi agli altri e così di seguito.
Se poi quel che abbiamo detto verrà compiuto da noi e anche da tutti i
frati che si succederanno l'uno all'altro nell'Ordine, ne risulterà un gran bene
per l'Ordine stesso (...). Oltre a ciò quelli che dal mondo verranno a questo
nostro Ordine come alla sesta città di rifugio, ritrovando sempre nei frati che ad
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esso appartengono tali parole e modelli di vita saranno in quest’Ordine
trattenuti dalla dolcezza del loro esempio e dal loro insegnamento (…)” (LO 2).
Un progetto di vita, dai Fondatori a Pucci fino a noi, che in prima istanza
chiede testimonianza che trova le sue radici in una rilettura costante della nostra
Tradizione.
Brevemente!
Il progetto di vita dei nostri Sette Padri, come tramandato dalla LO 1-2,
richiama a piccoli passaggi che non pongono in risalto cosa fare, bensì come
essere:
a. umiltà di cuore in tutte le azioni (modello è Gesù, "mite e umile di cuore" Mt
11,29) ["humilitas coraliter", come ci ricorda la Legenda, ma che non è umiltà di
cuore come tradotto, bensì umiltà vissuta coralmente/comunitariamente)];
b. scegliendo la via della Verità siamo vissuti secondo i precetti del Signore;
c. consacrando liberamente la nostra vita al Signore abbiamo reso nel nostro
tempo la nostra vita accetta a Dio;
d. accetti per le loro opere (...) gradito il loro volonteroso servizio;
e. assidui nella preghiera abbiamo ottenuto spiritualmente che l'Ordine si
conservasse nel futuro;
f. lasciando simili esempi a quelli che verranno dopo di noi (testimonianza),
Un’esigenza quella dei Primi Padri, a dare senso al nostro vivere la scelta
di consacrazione come impegno prioritario e personale (umiltà di cuore, via della
Verità, consacrando liberamente la nostra vita al Signore), che congiuntamente si
amplia nella linea comunitaria (assidui nella preghiera) per giungere
all'esperienza del servizio (accetti per le opere ... gradito il volonteroso servizio),
il tutto in funzione di una testimonianza che diviene 'impegno vocazionale'
(lasciando simili esempi).
§ 1.2. Il progetto di fr. Antonio M. Pucci
Considerando il nostro autore, possiamo rileggere la sua vita attraverso un
impegno a dare senso alla propria consacrazione senza perdere di vista nessun
elemento contingente che va dall’aspetto socio politico del suo tempo e della sua
città, Viareggio, fino ai valori umani religiosi che segnano un impegno nella
crescita dell'uomo e frate presbitero Pucci come anche dei frati della sua
comunità/Provincia e del popolo affidato alla sua cura pastorale.
Rileggendo la sua vita attraverso i suoi discorsi, omelie e lettere, si evince
quanto il progetto personale del Pucci sia stato improntato a tutti i livelli a partire
dal senso teologico della vita religiosa, che egli stesso attraverso delle immagini
bibliche quali (1) l'esperienza dell'Esodo, come cammino della vita religiosa in
tensione verso la Terra Promessa che è la pienezza di vita in Cristo, (2) Il deserto
come luogo della lotta, della tentazione, ma altresì dell'incontro con il Signore. Il
deserto per il Pucci è il Chiostro, dove l’uomo-frate, solo, vive questa realtà di
incontro con il Signore. La solitudine del Chiostro, non intesa come isolamento,
ma come incontro con se stessi e con il Signore, diviene lo spazio in cui si può e
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si deve offrire il sacrificio di lode, che è il sacrificio del cuore, quello spirituale,
sempre gradito a Dio. Da qui l'altro elemento importante per Pucci (3) l'habitus
in quanto stile di vita, come modalità interna che si rifà a delle scelte profonde.
L’habitus, raffigurato dall’abito esterno, deve portare, a dire del Pucci, alla
fedeltà perfetta agli impegni assunti non in quanto osservanza esteriore di una
disciplina bensì una trasformazione interiore che coinvolge tutto l'uomo nella sua
realtà umano-spirituale. Habitus, questo che ci guida ad assumere la perfetta
statura di Cristo, a rivestirci di Lui; conseguenza di tutto ciò, la Carità quale
essenza della vita comune, senza la quale tutto sarebbe parvenza (cfr. LO 19).
Con questa solida base sulla quale il Pucci ha fondato la sua vita,
possiamo ora riprendere il progetto che vediamo intriso di attenzione non solo
all'aspetto della vita religiosa in quanto tale, ma a questa in quanto modalità di
realizzazione dell'uomo-frate. E' l'aspetto – insieme – teologico e antropologico,
che definisce un progetto in funzione di un obiettivo chiaro, preciso ed
irremovibile: la pienezza di Vita in Cristo.
In un'epoca tipicamente massonica e quindi anti-cristiana, il Pucci si
inserisce nel delineare il suo programma di vita ribadendo alcuni elementi che
divengono quasi ripetitivi nel suo essere frate, priore conventuale, priore
provinciale e parroco.
Se vogliamo delinearli sinteticamente, possiamo affermare che per S.
Antonio M. Pucci, fondamentale nel suo programma di vita sono:
• preghiera;
• studio;
• vita regolare;
• servizio.
Nulla di nuovo, rispetto ai suoi predecessori e neppure per noi, ma forse
queste realtà sono da ribadire con sempre maggiore forza.
A – La preghiera è per il Pucci momento indiscusso della sua giornata,
come momento profondo di incontro con il Signore. È dalla preghiera che si ha la
forza interiore per affrontare un servizio, sia esso conventuale/provinciale e
pastorale, anche quando questo costa sacrificio. Preghiera che sostiene
l'obbedienza. A più riprese, infatti, il Pucci afferma di voler essere esonerato dal
servizio di Priore, di Parroco, ma in virtù di 'santa obbedienza', accoglie quel
peso che gli imporrà una responsabilità maggiore di fronte a Dio ai fratelli e agli
uomini.
Preghiera che anche per i suoi frati afferma non essere un 'optional' ma un
impegno. Si legge nel suo discorso programmatico come Priore Conventuale:
"Raccomando e ordino la frequenza e l'assiduità ai cori, nessuno eccettuato,
meno che per ragioni del suo uffìzio sia occupato contemporaneamente all'ora di
coro. Dei privilegiati fra noi non ne conosco. "
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B – Lo studio, nel cammino del Pucci è pietra miliare. Si ritrova
costantemente fin dall'inizio del suo ministero di frate e di parroco, e poi di
priore. Studio, per il Pucci non è solo l'aspetto teologico, ma anche la formazione
culturale generale che lo pone costantemente in rapporto con l'uomo del suo
tempo. La certezza di questa formazione culturale, la possiamo desumere dallo
stile pastorale che il nostro autore ha adottato nella sua parrocchia. Uno stile
nuovo e a continuo contatto con la realtà concreta. Non una cultura che scende
dall'alto, ma una cultura incarnata nella storia e nella società della Viareggio
della seconda metà dell'ottocento. Aspetto culturale – il suo – che lo porta in
virtù di un aggiornamento continuo, a chiedere la dispensa per poter accedere alla
lettura dei 'libri proibiti'. Uno studio che trova la sua radice nell'aggiornamento
continuo anche nell'ambito teologico, infatti dalla sua omiletica si può
comprendere quanto sia all'avanguardia nelle discipline teologiche: Sacra
Scrittura (molte citazioni a cui fa riferimento, senza estrapolarle dal proprio
contesto!), Padri della Chiesa (come Tradizione viva), dogma cattolico (per la
comunione e fedeltà alla Chiesa), sana morale.
C – Vita Regolare. Anche questo aspetto che caratterizza la vita nel nostro
Ordine, diviene per il Pucci momento forte che, oltre a vivere, propone alla sua
comunità senza mezze misure, ma richiamando elementi costitutivi che spesso si
danno per scontati, ma che è bene richiamare con assiduità! P. Antonio M. Pucci
– neo priore conventuale – ebbe a richiamare i suoi frati sottoponendo tutta la
comunità a ciò che noi oggi chiamiamo Capitolo di Verifica (cfr. Cost. O.S.M.
35/36). Attraverso una serie di interrogativi che toccano tutta l’esperienza
personale-comunitaria-pastorale, il Pucci invita a riflettere sul modo di vivere la
nostra consacrazione:
"dov'è quel ritiro, quella gravità, quella circospezione nel guardo
e nel tratto, nel conversare fuori del Chiostro quando lo richieda,
non la leggerezza e il proprio parere, ma la carità, l’urbanità, o
qualsivoglia ragionevol motivo? Ov’è quella fuga dai lusinghieri
oggetti e in modo speciale dalle persone di sesso diverso, tanto
necessaria per custodire illibato il giglio del candore, che anche
dalla più lieve genialità si offusca e si appanna? Dov’è quella
cieca obbedienza che rifugge gli esami, i raziocini, il proprio
giudizio, contenta solo di fare la volontà di Dio, nel seguire i
mandati del Superiore? Dov’è quel totale distacco dalla roba, dal
denaro che ci vien concesso per uso, quella povertà di affetti e di
desideri, indispensabile a ogni buon Religioso? E quella fraterna
carità che non si gonfia negl’onori, che non si turba nelle
umiliazioni, che non conosce gare e invidia, che non ricerca i
propri comodi, ma che sacrifica il privato interesse per il bene a
vantaggio comune; quella carità infine, che è benigna, che è
paziente, che tutto soffre, che tutto opera, che mai non vien meno,
anche nei più duri cimenti ove ritrovasi alla giornata (…) fra
coloro che giurarono ai piè del Santo altare di seguire più
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dappresso il Dio della pace e dell’eterna carità? Ah, miei fratelli,
se noi con pacatezza e senza passione ricerchiamo il proprio
cuore, troveremo, purtroppo di che rimproverarci, e molto, anzi
moltissimo di che umiliarci e confonderci!”
Se dovessimo usare espressioni nostre, ci chiederemmo quali sono le
nostre relazioni interpersonali in convento (cfr. Carità) e fuori convento? Quale il
senso di povertà nelle sue diverse sfaccettature; povertà intesa come distacco dai
beni e dal desiderio di possedere beni e dagli affetti (un equilibrio psicoaffettivo)? Quale tipo di obbedienza viviamo nel nostro tempo in cui,
giustamente, il dialogo diviene mezzo di confronto, di approfondimento, di
verifica, di scelta, di fronte ad una richiesta dei Priori/Provinciali/Generale?
Quale di conseguenza l'approccio alla volontà di Dio, quale momento costitutivo
della mia obbedienza, in cui la mia libertà si gioca solo nella mia scelta di
consacrato e non su ciò che potrebbe solamente piacermi?
La risposta del Pucci a questo impegno di Vita regolare, si trasforma in
raccomandazione che indubbiamente può essere accolta come progetto di vita
comunitario anche da noi; si legge;
“Raccomando il ritiro al Chiostro, e proibisco assolutamente di fermarsi
nelle Case dei secolari: e credete pure a me, che a familiarizzare coi secolari,
specialmente con le Donne, ce ne va del vostro decoro, e di quello di tutta la
Comunità. Il mondo mormora dei Religiosi, se a ragione, o a torto nol so (la
storia si ripete costantemente!) e sebbene esso sia perverso e pervertitore, i
Religiosi li vuol santi e perfetti. Raccomando e ordino la frequenza ai cori,
nessuno eccettuato, meno che per ragioni del suo uffizio sia occupato
contemporaneamente all’ora di coro. Dei privilegiati fra noi non ne conosco.
Nessuno fra voi ardisca di andare a riportare fuori quel che si fa o si dice
in Convento (come si nota la mormorazione e lo sfogo extra convento è sempre
stato rilevato!) altrimenti me ne renderà buon conto; e sia esso o Sacerdote o
Converso sarà punito con tutto rigore”.
D – Servizio. Anche l'aspetto del servizio per il Pucci diviene elemento
fondamentale del suo progetto di vita. Servizio accolto per 'santa obbedienza’, sia
esso il ministero di Parroco, di Priore conventuale che Priore Provinciale. Ciò
non toglie che all'interno di questo servizio emergano ancora con forza i punti
cardine del suo 'progetto di vita' che appaiono nelle scelte pastorali (per ciò che
riguarda il ministero parrocchiale). Tenendo sempre presente il suo calarsi nella
storia contemporanea, il Pucci sente la responsabilità incipiente nei confronti del
popolo di Dio a lui affidato che naviga in povertà materiale e morale. Partendo da
questa realtà, il nostro autore, realizza nel programma pastorale almeno cinque
punti essenziali:
a. formazione delle giovani generazioni (bambini, adolescenti, giovani).
Formazione che si preoccupa non solo di comunicare nozioni di catechesi, ma
un'interazione dì valori religioso-culturali. Il Pucci si preoccupa innanzitutto di
elevare, attraverso questa formazione, i bisogni e gli ideali dei giovani che gli
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sono affidati, e anche di aiutarli a prendere coscienza della dignità umana che
essi portano nella loro persona. Impegno questo che diviene sicuramente
elemento sociale in quanto vengono formate persone capaci di creare una realtà
socialmente e culturalmente nuova che può dare una svolta all'ambiente in cui si
vive.
b. Consapevolezza del Pucci della realtà dell'uomo del suo tempo e della
sua città. Il Pucci – diremmo noi – un fine antropologo che seppe mettersi in
dialogo con i bisogni primari dei suoi contemporanei, senza dimenticare il dovere
pastorale quale aiuto per elevare la loro condizione umana e religiosa.
c. Esperienza di Carità, vissuta da solo (basta leggere la sua vita!) o
attraverso associazioni di laici (per es. la Confraternita di Misericordia). Questo
mostra come il parroco non agisce solo, ma in relazione costante con i laici.
Popolo di Dio, responsabilizzati per una missione che è affidata a loro.
d. Pastorale condotta non come al suo tempo per distinzione sessuale, ma
per fasce di età.
e. Omiletica. Anche l'omiletica, sebbene rispecchi l'ambiente ottocentesco,
mostra come il Pucci sia un profondo conoscitore dei Padri della Chiesa e della
Scrittura. Ciò sottolinea il suo costante aggiornamento.
Non riprendo qui gli aspetti evidenziati nel progetto comunitario e
personale, ma come si può notare, ritornano alcuni elementi indiscussi, quali (a)
l’incontro con la propria storia, da accogliere e conoscere profondamente, che
porta alla necessità di una formazione costante in tutti gli aspetti, da quello
antropologico, a quello teologico e dottrinale [questo lo si trova anche per la
formazione dei frati], (b) Carità vissuta nella profondità della propria vita.
Questa per essere vera e non filantropica solidarietà, deve trovare il suo centro
propulsore nell'incontro con il Signore nella preghiera.
Circa la Carità, punto nevralgico del progetto di vita del Pucci, sia
personale, comunitario/provinciale e pastorale, il nostro Santo, ebbe modo di
richiamarla con forza alla propria comunità come fondamento della vita comune,
che trova poi il suo dipanarsi nella storia personale e pastorale. Una comunità, a
detta del Pucci, "in cui i frati vivono la carità è di per sé una comunità in cui si
realizza l'amore divino, quindi la pazienza e la libertà, la castità e l'ubbidienza,
l'umiltà e la mansuetudine". Questo valore grande, apre poi all'uomo e rende
disponibili al servizio nei suoi diversi aspetti. Continua il Pucci:
" Vedete ...anche alcuni Religiosi che la lingua hanno sempre imbrattata
delle maldicenze, che fanno di tutto per togliere l'amore, la stima ai prossimi
loro. Questi tali avranno la carità fraterna? No certamente perché la carità tutti
accoglie con amore, e con piacevolezza, non ha riguardo se poveri siamo, o
ricchi, se nobili o plebei (...). Ancora noi, fratelli in Cristo dilettissimi, se ad
imitazione di questi primi Sette Campioni dell'Ordine nostro ci ameremo
scambievolmente, e sapremo compatirci delle nostre debolezze, ed infermità,
alfine gusteremo quella pace gioconda ed interna, che è propria dei Giusti, se
potremo dire col Real Profeta: Oh quanto mai è cosa buona, e gioconda per noi
fratelli il vivere in pace e l'avere un cuore solo nel nostro buon Dio! (...). "
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§ 1.3. Il Progetto Provinciale di fr. Antonio M. Pucci
Eletto Priore Provinciale in una situazione di difficoltà per tutti gli Ordini
religiosi a seguito delle soppressioni, fr. Antonio M. Pucci si prodigò per la
ripresa dell'Ordine. Impostò il suo mandato di Priore Provinciale con chiarezza e
fermezza, mitigate da sensibilità umana personale, doti necessarie per il
governo. Questi elementi fondamentali furono affiancati da alcune scelte di
governo: (1) vicinanza costante ai diversi conventi e comunità, attraverso visite
frequenti; (2) presenza in ogni situazione difficile, per poter offrire il proprio
servizio di provinciale; (3) impegno costante anche nei servizi pastorali assunti.
Il progetto poi che la Provincia si diede, anche grazie all'impulso di fr.
Antonio M. Pucci, focalizzava per la ripresa dell'Ordine su due aspetti indiscussi:
(a) vita conventuale; (b) idealità dei frati.
Il programma, tenendo conto di questi aspetti già evidenziati
precedentemente, contemplava:
• Scelta di povertà. Non più proprietà personali, come durante le
soppressioni per motivi pratici; ogni frate doveva redigere il
proprio testamento; i beni della comunità dovevano essere intestati
al singolo (per motivi giuridici), ma questi non ne aveva
l'amministrazione pratica; vigilanza attenta e accurata del Priore
Provinciale sull'amministrazione conventuale.
• Formazione dei giovani. Questa era di pertinenza del Provinciale,
ma tutti ne erano coinvolti attraverso una responsabilizzazione, che
a livello pratico diveniva oltre che interessamento, anche
sostentamento economico dei giovani da parte delle comunità.
Formazione anche in funzione delle esigenze dell'Ordine:
preparazione dei Maestri in Teologia ed impegno nelle arti e
scienze secondo la tradizione. La scelta della scuola era dettata
dalla preparazione per gli studi e la formazione culturale e
teologica più aggiornata.
• Culto dei Santi. Fondamentale come modalità per riproporsi alla
Chiesa locale ed universale. Si impegna per le solenni celebrazioni
del centenario della morte di S. Filippo Benizi (1885) e per
giungere alla canonizzazione dei Sette Fondatori.
• Incremento e propagazione del Terz’Ordine.
§ 1.4. Il Progetto per noi oggi
Dopo aver diffusamente presentato gli elementi che per p. Antonio M.
Pucci
erano
fondamentali
nel
cammino
di
vita
religiosa
personale/conventuale/provinciale/pastorale, ci si può chiedere quale la novità dato che ci si aspetta sempre qualcosa di nuovo! – che dovremmo oggi
apportare?
Se partiamo dalle nostre Costituzioni, ritroviamo con forza gli stessi
elementi che già p. Pucci richiamava.
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• Vita comune. S. Antonio M. Pucci parlava di vita regolare; noi oggi
possiamo parlare di vita comune come momento fondamentale del
nostro progetto formativo, anche perché la scelta dell'essere Servi di
Maria, come ci ricordano le costituzioni osm, ci porta ad essere
"uomini riuniti nel nome del Signore Gesù" (art. 1) e inoltre afferma
anche che "le nostre comunità sono formate da persone che avendo
scelto la forma di vita dei Servi di Maria, vogliono vivere in
comunione fraterna (...)." (art. 8). Ma questa comunione ci sottomette
ad elementi ineludibili che ci richiamano profondamente a divenire
maestri nelle relazioni umane. Sarà l'aspetto antropologico della nostra
vita comune, che ci delineerà i punti cardine del progetto: [1] rispetto
dei valori di ciascuno in quanto persona (cfr. art. 8); [2] dono e
accettazione di ciascun fratello con le proprie qualità e i propri limiti
(cfr. art. 10); [3] riconoscimento dei valori delle diverse età ed indole
(cfr. art. 17); [4] rispetto della coscienza (rettamente formata alla luce
della Parola di Dio!) e delle opinioni di ciascuno (cfr. art. 17); [4]
tensioni comunitarie accolte come segno di vita e arricchimento
reciproco (cfr. art. 17); [5] ricerca dell'amicizia fraterna, ad immagine
dell'amicizia di carità dei nostri Sette santi Padri (cfr. art. 10); [6]
fraternità vissuta intesa come sostegno, appoggio, ambiente in cui
siamo aiutati a sviluppare armoniosamente la nostra persona e la
fedeltà della nostra scelta di perfetta castità (cfr. art. 11); [7]
Obbedienza alla Parola di Dio che anima la vita della comunità e
diviene il perno che ci aiuta a discernere la volontà di Dio su se stessi e
i fratelli (cfr. art. 12); [8] obbedienza alle costituzioni (cfr. art. 13); [9]
Servizio reciproco (cfr. art. 14). Come si può notare la vita comune
diviene basilare affinché il nostro progetto prenda quota. Senza questi
elementi fondamentali, dati troppo spesso per scontato, non si potrà
costruire nulla come frati singoli, come comunità o provincia. Il tutto
poi avvolto da quel valore grande, che anche a p. Pucci stava a cuore,
ossia la Carità, che anche nelle nostre costituzioni è vista come filo
conduttore che ricollega ogni aspetto della nostra vita. Basta scorrere le
costituzioni e ci troviamo di fronte immediatamente ad una esigenza
profonda, che se colta nel suo alveo più vero, diviene il fine da
raggiungere, ossia "portare a pienezza il comandamento della carità"
(artt. 2.52.154) che è accolto nell'impegnarci a vivere la conformazione
a Cristo. La carità, dunque diviene segno di unità all'interno delle
nostre comunità (cfr. art. 3). Ancora, la carità diviene base attraverso la
quale impariamo il servizio vicendevole (cfr. artt. 5 e 71), ma anche
segno della misericordia verso il fratello (cfr. art. 107) nonché di
accoglienza e di tensione per costruire insieme relazioni umane (cfr.
art. 107).
• Preghiera. Anche la preghiera, che distingue la vita religiosa per il suo
ritmo cadenzato, diviene mezzo e fermento per la crescita della
comunione, "una sorgente ed una espressione essenziale della nostra
vita comunitaria e personale" (art. 24). La preghiera – pertanto –
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contribuisce al mutuo perfezionamento, come ci ricordano le
costituzioni, e ci unisce maggiormente agli altri uomini oltre che fra di
noi, nella ricerca costante dell'esperienza di Dio, ed anche nella
comunione con l'uomo nostro fratello (cfr. art. 24). Da qui si può già
notare come la preghiera diviene fondamentale nell'esperienza di
servizio anche pastorale in quanto ci pone in questo dialogo profondo
con l'uomo contemporaneo, oggi bisognoso di una ricerca spirituale
profonda, basti vedere il pullulare di sette. Il Pucci ai suoi frati
richiamava il silenzio del Chiostro, in cui nella solitudine si fa
l'esperienza di Dio; le nostre costituzioni richiamano il "silenzio della
cella" in cui si impara a conoscerci, a liberarci dall'egoismo e ad
acquisire quell'atteggiamento di amore verso Dio e le creature (cfr. art.
31). Esperienza di silenzio e di preghiera che gli psicologi
chiamerebbero auto-accettazione, auto-introspezione, per una qualità
migliore della nostra vita accolta nella verità più profonda.
• Capitolo Conventuale. Il p. Pucci non parla del Capitolo conventuale
come elemento del progetto formativo, ma se teniamo conto del suo
discorso di inizio del suo mandato di Priore conventuale, sentiamo nel
tenore delle sue parole, l'importanza che questo momento ricopre.
Infatti il Capitolo è segno della comunione di vita in quanto in questo
si realizza la presenza del Signore (cfr. art. 34), ma anche come
momento di formazione permanente perché permette di approfondire
temi umani e religiosi che favoriscono non solo la comunione fraterna
(cfr. art. 35). Infine il Capitolo è luogo di verifica della fedeltà al
Vangelo e alle costituzioni (cfr. art. 36).
• Studio. Così recitano le costituzioni: “Ogni frate sia cosciente della
necessità della cultura per la propria vita e per il servizio alla Chiesa
e all’umanità. Pertanto consideri l’applicazione costante allo studio un
mezzo indispensabile per la sua formazione integrale. La comunità
locale, la Provincia e l’Ordine sostengono efficacemente il suo
impegno responsabile”. (art. 157). La formazione, come espresso nelle
costituzioni, non riguarda solo l'ambito teologico, – che è per tutti i
frati, secondo le capacità di ciascuno (cfr. art. 161) – ma anche la sfera
filosofica e tecnica, nonché una conoscenza umanistica e scientifica, il
tutto in vista anche di un servizio da svolgere a contatto con l'uomo
contemporaneo (cfr. artt. 159 e 160). Circa lo studio, le costituzioni
ribadiscono l'importanza, anche sottolineando l'esigenza di creare spazi
e tempi che favoriscano lo studio durante la giornata (cfr. artt. 16/a.
31/a).
• Servizio. Per ciò che concerne il servizio, le nostre costituzioni
delineano con una certa lucidità il servizio, che viene espresso nelle sue
diverse angolature. da quella più prettamente comunitaria, a quella
religiosa in cui si parla di servizio di Dio e alla Vergine, per approdare
al servizio all'uomo, espresso anche attraverso il servizio più
prettamente apostolico. Il servizio, come parte del nostro carisma (cfr.
art. 7) si esprime attraverso il nostro rapporto con l'uomo
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contemporaneo, cogliendo i valori evangelici e quelli mariani come
elementi conduttori. Il servizio in questa ottica diviene pertanto
disponibilità ad andare dove urge la nostra presenza (cfr. art. 3), ma
anche dedizione alla comunità nella fraternità (cfr. arti. 14.17.50.57/b)
e insieme una donazione a servizio dell'uomo (cfr. artt. 57/bc.73.132.154), m modo particolare ai più poveri (cfr. artt. 62.289/c) e
più bisognosi (cfr. art 90). Infine il servizio che ci caratterizza diviene
anche l'ospitalità, che come recitano le nostre costituzioni, "è uno dei
modi con cui realizziamo il nostro servizio e la nostra comunione con
gli uomini" (art 68). Per il servizio come aspetto più prettamente
pastorale rimando alla parte delle costituzioni dedicata al Servizio
Apostolico capitoli XI - XIV.
§ 1.5. Conclusione
A questo punto penso che vi sia poco da aggiungere, anche se molti
potrebbero essere gli aspetti ancora da trattare per stendere un progetto sia
personale che comunitario e provinciale, ma ritengo che se anche noi come il
Pucci impariamo a ri-impostare tutta la nostra vita religiosa sui valori
fondamentali che la caratterizzano, ogni altro aspetto diverrà una modalità pratica
per poter esprimere nient'altro che la nostra vocazione di Servi di Maria.
Faccio mio, e concludo, il desiderio del Pucci dì dare nuovo impulso
all'Ordine e alla Provincia, ma rifondando la nostra vita nella spiritualità
incarnata nel nostro tempo. Forse noi non siamo passati attraverso soppressioni,
ma le tante vicissitudini del nostro tempo, siano esse politiche-sociali-religiose,
hanno spesso portato a riformulare secondo canoni diversi il nostro stile di vita
per necessità contingenti. Ora è il tempo, direbbe il Pucci. di ripartire con
chiarezza e fermezza, per rifocalizzare in vista di una testimonianza sempre più
incisiva nella Chiesa e nella società, sulla vita conventuale e sull'identità dei frati,
recuperando il senso – fra l’altro – della formazione permanente.
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SANT’ANTONIO PUCCI, PASTORE MISERICORDIOSO
(fr. Stefano M. Mazzoni, osm - Viareggio 11.01.2008)
Ci troviamo anche quest’anno insieme per celebrare, come famiglia
provinciale, la festa di S. Antonio Pucci; ci prendiamo un momento di sosta dalle
nostre occupazioni quotidiane, per fare memoria della figura del santo Curatino,
per lasciare che ancora una volta parli alle nostre vite e continui a ispirare il
nostro essere frati Servi di Santa Maria.
Del curatino solitamente sottolineiamo il modo esemplare in cui ha
esercitato per tanti anni l’ufficio di parroco, proprio in questa comunità di
Viareggio, come vero pastore che si è preso cura con totale dedizione del gregge
a lui affidato; e, ancora, si ricorda il suo amore per i poveri, la carità che ha
esercitato in maniera concreata fino a consumare se stesso donandosi
completamente per gli altri. Oggi vogliamo riflettere insieme su un atteggiamento
che ha sostenuto tutta questa attività del Pucci, un atteggiamento che si inserisce
nel solco della tradizione dei Servi: la misericordia. Ma vogliamo rifletterci,
prima ancora che nel contesto dell’attività apostolica, in quanto atteggiamento
che dovrebbe segnare la nostra identità di Servi all’interno delle nostre comunità.
Lo stesso Pucci ci suggerisce in un’omelia questa attenzione ai nostri rapporti
interpersonali nella comunità e famiglia religiosa: “Fate, o fratelli, di conservare
fra voi inalterabile quella pace, quella unione tanto propria del vostro stato
religioso, e per riuscire siate pazienti, mansueti, e pieni di carità e di compassione
gli uni per gli altri”; e ancora “aiutiamoci a vicenda, sappiamoci compatire l’uno
con l’altro”. La compassione, la misericordia reciproca, stanno alla base
dell’unità della comunità e della famiglia.
Per la nostra riflessione vogliamo lasciarci guidare dalla Parola di Dio, e
trovare qui il fondamento di quella misericordia che i nostri padri e S. Antonio
hanno incarnato nella loro vita. Se partiamo dall’AT, vediamo che ci sono diversi
modi per esprimere questo concetto; il più comune fa uso del termine ebraico
raămîm, che è un plurale, e significa propriamente “viscere materne” (reem al
singolare è il grembo materno); sono queste il luogo in cui a livello sia
fisiologico che figurato ha sede il sentimento per cui uno nutre in sé e stabilisce
con un altro un rapporto di pietà, compassione, amore. Questo sentimento
tipicamente è quello della madre o anche del padre verso il figlio, è l’amore del
fratello o dell’amico sincero, di colui che ama appassionatamente e teneramente
ma anche in modo efficace, intervenendo con tutto l’impeto del cuore in favore
dell’altro. È quindi anche il sentimento che Dio nutre verso gli uomini e
seguendo il quale egli dona il suo amore, la sua protezione, la sua salvezza. Rm
contiene in sé l’idea di generosità, calore, totalità, ma soprattutto evidenzia il
legame profondo tra due persone, un legame quasi “fisiologico” e quindi
indissolubile. Questo attaccamento non è però chiuso in sé ma esige di proiettarsi
all’esterno, in una attività concreta caratterizzata da tenerezza e donazione: è il
dono perenne della vita. Con questo amore siamo chiamati ad amare il fratello: a
prendersi cura di lui, come fa una madre con il figlio, con tenerezza, con
passione, con piena disponibilità, per far crescere in lui la vita.
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Una seconda parola ebraica molto diffusa è esed; questa si distingue
dalla precedente perché indica un atteggiamento che non nasce da un sentimento
spontaneo, ma è piuttosto la conseguenza di una relazione che comporta diritti e
doveri, e in particolare è diretto da parte del superiore all’inferiore; è sinonimo di
bontà, compassione, benevolenza, e ha per fondamento la fedeltà a un impegno
che può derivare da vincoli di natura (parentela) o giuridici: tipico nella Scrittura
è il caso dell’alleanza.
La fonte stessa della misericordia, il misericordioso per essenza è Dio: Nel
libro dell’Esodo troviamo questa bella professione di fede: “Il Signore, il
Signore, Dio di pietà e misericordia, lento all’ira e ricco di grazia e di verità, che
conserva grazia per mille generazioni”. Questa è la certezza che anima la fede del
popolo di Israele, che Dio agisce con misericordia e pazienza, con compassione e
generosità,perché appunto “eterna è la sua misericordia”. C’è poi nel libro di Is
un’immagine molto bella che ci trasmette tutta l’intensità e la tenerezza
dell’amore di Dio, paragonandolo all’amore di una madre per il frutto delle sue
viscere: “Forse che la donna si dimentica del suo bambino, cessa dall’aver
compassione del figlio delle sue viscere? Se anche esse si dimenticassero, io non
ti dimenticherò”: così afferma il Signore (Is 49,15). La misericordia ha quindi dei
tratti materni, è il lato materno dell’amore.
Questa misericordia di Dio si riversa su tutte le creature, la Scrittura è
piena delle testimonianze della celebrazione della misericordia di Dio nei
confronti del creato, dell’uomo, della sua storia. Valgano come sintesi le parole
del libro della Sapienza: “Tu hai pietà di tutte le cose, perché sono tue, Signore
amante della vita, e perché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose”. (Sap
11,23-12,1). La misericordia di Dio supera ogni possibile approssimazione
umana, perfino l’amore di un padre e di una madre per il proprio figlio, perfino
l’amore dello sposo per la sposa: questa la sua intensità e fedeltà.
Nel NT Cristo diventa l’icona della misericordia del Padre. Tutta la vita
pubblica di Gesù infatti è caratterizzata dal suo chinarsi compassionevole sulle
miserie umane: Gesù impegna il suo potere di guarigione nei confronti dei
malati, di coloro che hanno bisogno di compassione, si sostegno,
comprensione… medico dei corpi e delle anime, si commuove davanti alle
necessità dei fratelli. Questo sentimento di compassione viene più volte
sottolineato dagli evangelisti, Gesù pur essendo figlio di Dio non si sottrae alla
durezza della sofferenza umana e ne è profondamente toccato. La misericordia di
Gesù traspare, oltre che dalle sua azioni, anche dalle sue parole: memorabili sono
alcuni suoi insegnamenti e parabole attraverso le quali egli rivela la misericordia
sconfinata del Padre. Basti pensare alle cosiddette “parabole della misericordia”
del vangelo di Lc, testimonianza della assoluta gratuità della misericordia divina.
Gesù in persona manifesta visibilmente questa misericordia, che culmina nel
dono di sé attraverso il quale si realizza l’opera della redenzione. Per dirla con le
parole paradossali di Paolo, “Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare
a tutti misericordia” (Rm 11,32). Non c’è nessuno che non sia bisognoso della
misericordia divina. La misura della misericordia di Dio diventa il metro di
misura con cui i cristiani devono confrontarsi per vivere i rapporti con i fratelli:
“Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36). Questa è
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l’idea di santità e perfezione che Gesù insegna ai suoi discepoli: non i sacrifici,
ma la misericordia, ci apre la strada all’incontro con il Signore. E questa
misericordia deve diventare concreta, espressione più alta dell’amore che siamo
chiamati a vivere: ripensiamo alla parabola del buon samaritano, a cosa significa
veramente avere compassione del fratello, chiunque esso sia, farsi prossimo,
prendersi cura della vita dell’altro, anche del nemico, perché Dio è buono “anche
verso gli ingrati e i cattivi”.
Il Curatino ha incarnato in sé questa figura del buon samaritano, si è speso
per i fratelli con tutto il suo impegno e le sue energie, senza risparmiarsi,
facendosi carico delle necessità di tutti coloro che incontrava. Ma questo
atteggiamento della misericordia appartiene in maniera speciale, come si è detto
all’inizio, alla tradizione e all’identità propria dei Servi: nella Legenda de
Origine leggiamo che i Sette primi padri “Cercavano di conoscere le necessità
del prossimo; prendendone compassione, con sentimenti di pietà provvedevano ai
bisognosi per quanto potevano, in tutti i bisogni dell’anima e del corpo; …Si
rallegravano con i giusti e soffrivano con i peccatori” (LO 37). La misericordia è
amore che Dio riversa su tutte le creature, bontà che supera ogni nostro limite e
dona vita in abbondanza. Sull’esempio del Padre, la parola evangelica ci chiama
a incarnare questa misericordia nella nostra vita, lasciando che trasfiguri le nostre
relazioni con tutto ciò che ci circonda.
La LO ci lascia un’altra bella immagine che esprime il modo di incarnare
questa misericordia nella nostra vita, quando parla dell’Ordine dei Servi come la
sesta città di rifugio: nel libro dei Numeri viene descritto come Dio stabilì nella
terra promessa sei città di rifugio, dove potesse trovare rifugio chiunque avesse
ucciso involontariamente. La LO ama considerare i conventi e le comunità
dell’Ordine come spirituali città di rifugio, dove i peccatori pentiti potevano
trovare il perdono e godere della pace di Dio; anzi, l’Ordine è la “sesta” di queste
città, cioè l’ultima, l’ultimo luogo dove chiunque può sperimentare l’amore e il
perdono di Dio. Ecco allora che ogni nostra comunità, ogni nostra fraternità
dovrebbe essere questo luogo di rifugio, in cui ognuno si stenta accolto, in cui
ognuno possa trovare comprensione e ascolto, e lasciare alle spalle i propri
fallimenti e i propri errori per guardare alla vita con occhi nuovi, per scoprire
l’amore trasformante di Dio che non cessa mai di cercare le sue creature per
ricondurle alla sua casa.
C’è un’altra sottolineatura che come Servi di Maria non possiamo non
cogliere: i sette santi padri hanno imparato a vivere questi sentimenti soprattutto
dalla Madre del Signore, S. Maria; da lei hanno imparato come si vive in
atteggiamento di ascolto, di accoglienza, di comprensione, come si ama in
maniera tenera e forte al tempo stesso; e ci invitano a fare altrettanto, a essere
segno e prolungamento nel mondo di oggi della misericordia della madre; a
vivere le nostre relazioni – troppo stesso così fredde, distaccate, artificiali – con il
suo stile fatto di ascolto, rispetto, partecipazione, attenzione, tenerezza; direi
quasi con atteggiamento “materno”, come lei, la Madre per eccellenza,
imparando a custodire la vita dell’altro.
C’è un altro aspetto riguardante la misericordia che vogliamo prendere in
considerazione: il perdono. Perdono è una parola abusata, e una realtà che invece
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è difficile da vivere in pienezza. Partiamo ancora una volta dalla Scrittura.
Nonostante le numerose infedeltà e le trasgressioni di Israele nei confronti
dell’alleanza, Dio non ha mai cessato di mostrare la sua misericordia perdonando
il suo popolo, offrendogli sempre una possibilità tornare a lui e ristabilire la
relazione infranta. Dio infatti “non vuole la morte del peccatore ma che si
converta e viva”; Dio agisce sempre come un padre che vuole il bene dei suoi
figli, richiamandoli alle loro responsabilità ma sempre pronto ad accoglierli
nuovamente. Abbiamo tutti ben presente l’atteggiamento di Gesù nei confronti
dei peccatori, il suo “cercare chi si è perduto”, per ricondurlo alla casa del Padre;
e lui stesso a chiesto il perdono per coloro che lo hanno messo a morte, cercando
i giustificarli perché “non sanno quello che fanno”.
Eppure sappiamo bene che perdonare non è così facile, quando riceviamo
un torto, un’offesa, la prima reazione è quella del rancore, il desiderio di rifarsi
sull’altro, di veder riconosciuto il proprio diritto. Coviamo dentro di noi questi
sentimenti negativi che ci portano a vedere nell’altro il nemico, l’avversario da
combattere. A questo proposito, mi viene in mente un’altra parabola di Gesù:
Gesù la racconta a Pietro che gli ha appena chiesto “Se il mio fratello pecca
contro di me, quante volte dovrò perdonare?” e poi presenta la logica del regno,
quella logica paradossale del vangelo: “Il regno dei cieli è simile a un re che
volle fare i conti con i suoi servi”. Ricordiamo certo tutti come prosegue la
parabola: il padrone condona il debito a quel servo che gli deve diecimila talenti,
impietosito dalla sua supplica, dalla sua richiesta di clemenza. Ma appena
ricevuto il condono, questo servo uscendo incontra un altro servo, che gli doveva
canto denari. Nonostante la supplica del poveretto, il servo si rifiuta di usare
clemenza, e lo fa gettare in carcere finché non gli abbia restituito tutto il debito.
Certo dal punto di vista umano il servo non fa nulla di strano, è nel suo diritto, la
legge è dalla sua parte, il debitore è giusto che paghi. Ma questa non è la logica
del regno: non è la misura che il padrone ha usato nei suoi confronti: e per questo
sarà punito dal padrone, perché non ha saputo perdonare al suo fratello. Qui c’è
una grande verità: non c’è nessuno che non sia in qualche misura “debitore”,
bisognoso di perdono da parte di Dio. Eppure quante volte ci sentiamo in diritto
di condannare, di scagliare sulle persone giudizi pesanti come macigni, di negare
non dico il perdono ma anche un po’ di comprensione agli altri? Allora quanto
siamo lontani dallo spirito del vangelo, dall’insegnamento di Gesù! Vorrei che
riascoltassimo insieme le parole straordinarie di Gesù:
27
Ma a voi che mi ascoltate io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a
quelli che vi odiano. 28 Benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro
che vi fanno del male. 29 Se qualcuno ti percuote su una guancia, pòrgigli anche
l' altra; se qualcuno ti leva il mantello, lasciagli prendere anche la tunica. 30 Da'
a chiunque ti chiede; e se qualcuno ti ruba ciò che ti appartiene, tu non
richiederlo. 31 Come volete che gli altri facciano a voi, così fate loro. 32 Se
amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo
stesso. 33 Se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete?
Anche i peccatori fanno lo stesso. 34 Se fate dei prestiti a coloro da cui sperate di
ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori
per riceverne altrettanto. 35 Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate
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senza sperare alcunché e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'
Altissimo. Egli infatti è buono anche verso gl' ingrati e i cattivi. 36 Siate
misericordiosi come Dio, vostro Padre, è misericordioso. 37 Non giudicate e non
sarete giudicati. Non condannate e non sarete condannati. Perdonate e vi sarà
perdonato. 38 Date e vi sarà dato: ne riceverete in misura buona, pigiata, scossa
e traboccante, perché con la stessa misura con cui misurate, sarà misurato anche
a voi» (Lc 6,28-38).
Questa è la logica del vangelo, che rovescia le nostra categorie così rigide
e senza pietà. Queste parole di Gesù e tutta la Scrittura in genere ci svelano una
verità che siamo chiamati a tradurre nella nostra esistenza concreta: che è
possibile sconfiggere il male solo con il bene. Se contrapponiamo al male
ricevuto un nuovo male, se rispondiamo all’offesa con la vendetta, con il rancore,
con l’odio, creiamo una spirale di violenza che ci distrugge: distrugge le nostre
relazioni, la nostra serenità interiore, la nostra speranza. Ma se rispondiamo con
il perdono, allora le cose possono cambiare. Il perdono è liberante per chi lo offre
e per chi lo riceve. Per chi lo offre, perché lo libera dal risentimento, dalla
volontà di rivalsa, dalla rabbia, donando al cuore una nuova pace e serenità. E
libera chi lo riceve perché non lo imprigiona nel proprio peccato, nel male
commesso, nell’errore, non gli fa pesare la propria colpa: il che non vuol dire
dimenticare, fare come nulla fosse accaduto, perché magari le conseguenze
dell’offesa rimangono, ci vuole tempo per assorbirle. Ma vuol dire concedere al
fratello un’opportunità per riscattarsi: dirgli “hai sbagliato, mi hai fatto male, ma
possiamo ricominciare, possiamo tornare fratelli, possiamo insieme ricostruire
qualcosa di bello”. Vuol dire saper rinunciare anche ai propri diritti, alla
“giustizia”, perché più importante di questo è la vita del fratello: perdonare è
offrire una vita nuova, trasformata. Pensiamo alla parabola stupenda del Padre
misericordioso: non rinfaccia nulla al figlio, sa che ha sbagliato, che lo ha ferito,
ma quando torna gli corre incontro e gli si getta al collo, perché più importante di
tutto è che sia tornato, che sia di nuovo nella sua casa insieme con lui. E se poi
pensiamo al perdono che Dio ci offre continuamente, come possiamo negare il
nostro perdono al fratello? È l’impegno che ci prendiamo ogni giorno, ogni volta
che preghiamo con la preghiera di Gesù: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li
rimettiamo ai nostri debitori”. Come a Pietro anche a noi il Signore dice “Non
fino a sette, ma fino a settanta volte sette”: cioè sempre dovete perdonare, perché
così fa il Padre, perché amara vuol dire questo, perché il male si vince
rispondendo con il bene. Questa è la misura della misericordia divina!
Vediamo anche qui come la LO si esprime a proposito dei sette santi
padri: “Considerando il prossimo come fratello e venendo in suo soccorso come
avrebbero fatto a se stessi, perdonavano le offese ricevute” (LO 37). I Sette
attingono dalla Parola del Signore la norma del loro comportamento, il loro
amore per Dio è inscindibile dall’amore per il fratello, e la misericordia, il
perdono, sono la forma concreta in cui questo amore si manifesta. E su questo
fondano la loro unione, la loro fraternità, la loro amicizia.
Anche il Pucci vive intensamente questa realtà, all’interno della comunità
fuori; e ci esorta a “mantenere quella unione e quella pace” che dovrebbero
caratterizzare al nostra famiglia religiosa, vivendo pieni di mansuetudine e carità;
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fratelli per la grazia della stessa vocazione che ci unisce, fratelli perché tutti servi
e figli della Regina dei martiri.
Come questi nostri fratelli che ci hanno preceduto, raccogliendo la loro
eredità, vogliamo anche noi porci ai piedi della Regina del cielo, sotto il manto
della Madre della Misericordia, per imparare a vivere da Servi “che continuano
nella loro vita l’esempio della Madre di Dio” (Cost. 52), “avendo verso le
creature solo rapporti di misericordia, di giustizia e di amore costruttivo” (Cost.
319). Sant’Antonio Pucci, Servo pieno di misericordia e di carità fraterna,
continui a ispirarci e ci sostenga sempre nel nostro cammino.
18
SANT’ANTONIO M. PUCCI
SERVO DI MARIA E SACERDOTE
(fr. Franco Azzalli, osm – Viareggio 12.01.2010)
Breve profilo biografico
La vita di sant’Antonio M. Pucci dei Servi di Maria (il Curatino, come
affettuosamente era chiamato dalla gente di Viareggio) è nota per le molte
pubblicazioni che si sono succedute in questi quasi centoventi anni dalla sua
morte, particolarmente in occasione della beatificazione e della canonizzazione di
cui la Chiesa ha insignito questo frate dei Servi, per cui verranno dati brevi cenni
biografici.
Eustachio Pucci nacque a Poggiole di Vernio (Pistoia) il 16 aprile 1819,
come secondo di nove figli di una povera famiglia contadina. Il papà Agostino,
sacrestano della chiesa parrocchiale, e la mamma, Maria Uliva Macchi,
adottarono pure una bambina. Avviato agli studi dal suo parroco, a diciotto anni
entrò nell’Ordine dei Servi di Maria alla Santissima Annunziata di Firenze. Con
il noviziato mutò il nome in Antonio. Dal 1839 al 1843 compì la sua formazione
religiosa e teologica a Monte Senario. Al venticinquesimo anno di età emise la
professione solenne (31 maggio 1843) e ricevette l’ordinazione sacerdotale (24
settembre 1843).
Il 29 maggio 1844 venne destinato alla comunità di Viareggio, parrocchia
costituita da appena quattro anni, come vice parroco del padre Sostegno Conti.
Il capitolo provinciale del 1847 segnò una tappa decisiva per il Pucci, che
superò l’esame per ottenere il titolo di baccelliere in teologia e venne nominato
parroco di Sant’Andrea di Viareggio, succedendo al padre Conti, eletto priore
provinciale.
Tutta la vita del Pucci si svolse come parroco di Sant’Andrea, convento del
quale fu anche priore dal 1859 al 1883. Visse il passaggio di Lucca al granducato
di Toscana, il colera del 1854 e 1855, il periodo delle leggi di soppressione
statale delle corporazioni religiose.
Nel maggio del 1883 il Pucci scriveva al priore generale Pier Francesco
Testa per chiedere di essere esentato dalla partecipazione al capitolo provinciale,
il primo dopo il lungo periodo delle soppressioni. La richiesta del Pucci non
venne probabilmente accolta dal grande Priore generale Francesco Testa; non
solo, ma il Curatino di Viareggio nel capitolo provinciale del 1883 fu eletto
priore della provincia Toscana.
L’attività come provinciale assorbirà sette anni della sua vita, con questioni
riguardanti lavori alle strutture (ad esempio quelli per il nuovo noviziato di
Monte Senario sopra il refettorio e la “galleria”), la considerazione di proposte
per nuove presenze servitane (al santuario di Castelpetroso) e la difesa delle
comunità, minacciate più volte – e soprattutto nel 1889 - di espulsione e confisca
dei beni da parte del governo italiano. Fu anche coinvolto nelle questioni
riguardanti l’erezione della nuova parrocchia di Viareggio (San Paolino) e nella
possibile venuta dei Salesiani nella città della Versilia.
19
In particolare il Pucci fu protagonista in prima persona ed a vari livelli (dalla
segnalazione del miracolo, al processo, fino alla partecipazione al rito) per la
canonizzazione dei Sette santi Fondatori del suo Ordine, avvenuta il 15 gennaio
1888. Ebbe anche ruolo di primo piano nella celebrazione del sesto centenario
della morte del grande santo fiorentino della seconda generazione dei Servi,
Filippo Benizi (1285), come pure nella preparazione dei due capitoli provinciali
del 1886 (con la sua conferma) e del 1890. Partecipò al capitolo generale del
1888, cui seguì la repentina morte del priore generale confermato, Pier Francesco
Testa, e la nomina di Andrea Corrado come suo successore per la quale, come
Provinciale, votò per scheda. Scaduto da provinciale, venne eletto – come
tradizione – definitore generale
Interessante, anche se appena accennato nell’Epistolario, il rapporto con fra
Agostino Morini (1826-1909) e fra Pérégrine Soulier (1852-1924) in riferimento
alla ricerca storica che in quegli anni stava riprendendo importanza per l’Ordine.
Cessato il suo servizio come priore provinciale, rimase in carica come
parroco, morendo il 12 gennaio 1892.
Sepolto nel camposanto comunale di Viareggio, il corpo del Curatino fu
traslato nella chiesa di Sant’Andrea il 20 aprile 1920, in prossimità del
presbiterio, vicino alla sacrestia vecchia. Dopo i processi canonici venne
dichiarato beato da Pio XII il 22 giugno 1952, mentre Giovanni XXIII, al termine
della prima sessione del concilio Vaticano II, lo ascrisse nell’albo dei santi il 9
dicembre 1962.
Sant’Antonio Pucci, sacerdote dei Servi di Maria
Questa breve riflessione emerge quasi totalmente dallo studio
dell’Epistolario1 del Curatino, pubblicato qualche anno fa: si tratta di una vera e
propria miniera di notizie, che potrebbe anche portare a una biografia aggiornata
e ancora più documentata del santo parroco di Viareggio.
In questa circostanza non tratterò quasi per nulla dell’azione del Pucci come
Priore provinciale (1883-1890) ma solo come parroco e sacerdote (i due fatti
quasi coincidono nella vita del Pucci); all’azione del Curatino come Provinciale
accennerò solamente riguarda alla causa di canonizzazione dei Sette santi: il 15
gennaio 1888, in Vaticano, c’era infatti un santo tra i santi!
Cercherò di analizzare l’attività di Antonio Pucci, sacerdote e parroco, per
poi tentare di scoprire il fondamento di questa attività.
a. Breve descrizione della parrocchia
La parrocchia, costituita nel 1843, non ebbe fonte battesimale fino al 1915.
Nel descrivere la situazione della parrocchia alcune risposte alle autorità
civili (oltre alle visite pastorali) sono interessanti.
1
Epistolario di s. Antonio M. Pucci, O.S.M., (1847-1891). A cura di Franco M. Azzalli, Pacifico M.
Branchesi, Franco A. Dal Pino, Odir J. Dias, Roma 2001-2006, 2 tomi (Monumenta Ordinis Servorum
sanctae Mariae, nova series, II).
20
Nel 1861 il Pucci, rispondendo al Gonfaloniere di Viareggio, affermava che
il numero complessivo delle case di questa mia parrocchia di Sant’Andrea
apostolo, non esclusi i conventi e gli altri stabilimenti, ascende alla cifra di
620 (103).
Nel 1872 la comunità religiosa parrocchia assisteva
una popolazione che in media conta seimila anime e ne’ due mesi delle
bagnature arriva anche a diecimila (203)
La situazione non era facile, soprattutto dopo le leggi eversive del 1866 (di
cui avrò occasione di parlare ancora). Periodicamente la presenza della comunità
religiosa era minacciata: ad esempio come ricordava il quotidiano cattolico Il
fedele in data 1 novembre 1872: «Sono stati richiamati alla delegazione i frati di
Sant’Antonio e di Sant’Andrea. A questi ultimi è stato intimato di vestirsi da
preti, e due sacerdoti e un laico di presso a 90 anni sono stati espulsi dal
convento, come eccedenti il numero segnato dalle vigenti leggi della libertà» (Il
fedele, numero 31, 1 novembre 1872, p. 3).
Già in quei tempi il Pucci scriveva al socio provinciale Filippo Ricciardi
(come prima aveva chiesto al provinciale ora Generale Giovannangelo Mondani)
È del tempo assai che io pregava il reverendissimo padre generale a
volermi dare un giovine che fosse al caso di tirarlo su per curato qua a
Viareggio, perché io son vecchio [il Pucci aveva 53 anni] e, con tanti
incomoducci che ho, potrò più per poco disimpegnare questa carica, e di
quelli che abbiam qui attualmente nessuno vi è idoneo a ciò; ma egli
ultimamente mi disse che combinassi col padre provinciale (204).
Il Curatino era gravato da molti impegni, e non di rado si doveva scusare con
le autorità ecclesiastiche di Lucca per non aver adempiuto a suoi compiti
burocratici. Scriveva ad esempio all’arcivescovo di Lucca nel 1864:
Sì, lo conosco e lo confesso di aver mancato di ricompilare le liste dei
ragazzi e ragazze che sono obbligati a intervenire alla dottrina, per poter
fare le debite richieste in tutte le classi e sezioni diverse, come ho fatto per
molti anni in addietro. È già qualche tempo che io volea far ciò, ma da una
domenica all’altra, sempre incalzato da tante altre occupazioni di
parrocchia, non l’ho fatto ancora. Adesso subito in Quaresima nel redigere
il nuovo stato dell’anime farò anche le nuove liste dei fanciulli e fanciulle
della dottrina; e così riusciranno più precise, perché allora vedrò quali
famiglie siano emigrate dalla parrocchia e quali di recente vi siano venute
ad abitare; e in seguito mi uniformerò in tutto e per tutto a quanto mi si
prescrive dalla precitata veneratissima sua (138)
21
Non raramente il Pucci, come priore, ma anche come parroco, si trovava
nella necessità di chiedere ai superiori personale per la parrocchia:
noi abbiamo estremo bisogno di un converso: ma bisognerebbe che fosse
abile a tutto, per la chiesa, per casa, per fare un boccon da mangiare ecc.
(263)
Qui ho bisogno estremo di un altro sacerdote (…). Creda che fra la
parrocchia e la provincia io mi trovo sgomento, e non posso riparare a tutto.
Solamente i matrimoni e la istruzione, in una popolazione così numerosa e
lontana dalla curia ecclesiastica, mi assorbono tutto il tempo. Aggiunga poi
il confessionale tutti i giorni, e diverse ore tutti i giorni, i malati che vogliono
il parroco, e veda come possa reggere, con 65 anni sulle spalle per giunta!
(280)
b. Le realtà presenti nella parrocchia
La parrocchia di sant’Andrea, retta dal Pucci come parroco dal 1847 al 1892,
era una comunità composta da varie realtà ecclesiali. Queste esperienze vedevano
l’appoggio e non di rado la partecipazione diretta del Curatino, il quale pur non
avendo dato vita ad alcuna di loro, le sosteneva vigorosamente.
Senza voler dare un elenco in base alla importanza, si devono ricordare nella
parrocchia due comunità religiose femminili: la comunità delle Serve di Maria
(che erano state fondate nel 1853 da suor Maria Giuliana Lenci (1830-1895) e dal
Servo di Maria fra Filippo Gori (1824-1857) e nel 1910 confluiranno nella
congregazione delle Mantellate Serve di Maria di Pistoia), delle quali troviamo
una interessante descrizione in una lettera a fra Agostino Morini nel 1886:
le nostre suore di Viareggio si dicono suore di Maria Addolorata; hanno
come noi la Regola di sant’Agostino; hanno costituzioni speciali, foggiate
sul regolamento dell’Ordine nostro, Terzo, pei secolari, con particolari
disposizioni per ciò che riguarda la scuola; fanno voti semplici da potersi
dispensare dal superiore o direttore; finquì non erano riconosciute
dall’Ordinario e dipendevano dal superiore nostro, ma adesso hanno
consegnato il loro regolamento nelle mani dell’arcivescovo per essere da lui
approvate; vivono colle proprie rendite, col lavoro delle proprie mani; dalla
scuola poco ci ritraggono, perché le paganti sono pochissime, e le alunne
povere che tengono gratis et amore Dei passano le quattrocento. Queste
nostre suore si ritirarono in una casuccia, che presero a pigione il dì 31
dicembre 1852, ed erano quattro sole povere ragazze. Ora, grazie a Dio,
sono in numero di diciassette ed hanno da vivere discretamente (374)
e la comunità delle suore Camilliane (296).
Ci fu ad un certo punto anche la possibilità di accogliere i Salesiani (ancora
vivente il loro fondatore don Bosco) ed il Pucci si unì alla richiesta, che
purtroppo per la popolazione di Viareggio ebbe risposta negativa (296) da parte
22
di don Celestino Durando (16 ottobre 1884), all’arcivescovo, a nome di don
Bosco: «Certo che, se dipendesse da noi il poterla esaudire, non lasceremmo nulla
di intentato; ma imperiose circostanze ci costringono assolutamente per qualche
anno ancora ad abbandonare ogni pensiero di nuova incombenza. Ci troviamo con
un personale scarsissimo e pressoché insufficiente a disimpegnare gli obblighi già
assunti. Speriamo bensì di poterci fornire in questi anni di novelli operai
evangelici; ma per ora la leva militare dei chierici, l’aumento continuo di lavoro
nelle nostre case e le missioni d’America, per le quali partirà appunto in questi
giorni con monsignor Cagliero una numerosa schiera di preti e chierici, vanno
sempre più decimando le nostre file» (296, nota archivistica).
C’erano poi varie associazioni di laici, tra le quali vale la pena di ricordare
innanzitutto la Confraternita dell’Addolorata, citata molte volte nell’Epistolario
e per la quale favorì la costruzione dell’oratorio di San Giuseppe; quella della
Carità cristiana o della Misericordia, che era stata fondata a Viareggio nel 1826
con il nome di “confraternita del santissimo Sagramento e Carità cristiana”; nel
1838, costituitasi a parte la confraternita del santissimo Sacramento, l’antica
compagnia passò a chiamarsi della Carità Cristiana, “sotto l’invocazione ed
auspici del santissimo Crocifisso e di Maria santissima Addolorata”. In questo
modo, “diversi anni prima che il culto dell’Addolorata venisse introdotto
ufficialmente a Viareggio dai padri Servi di Maria [...] i confratelli di quella che
sarà poi la Misericordia si mettono sotto la protezione della Madonna dei
Dolori”. Passato qualche anno, la confraternita cominciò a funzionare nel proprio
oratorio2. Con questa confraternita il Pucci, anche se era iscritto alla
confraternita, ebbe non raramente da dire difendendo i suoi diritti di pastore,
come vedremo. Da ricordare infine la non fortunata vicenda della Conferenza di
san Vincenzo, che il Pucci volle nella sua parrocchia interessandosi direttamente:
si iscrivette personalmente nell’ottobre del 1853, aggregandosi a quella di Prato
(34), A Viareggio la conferenza di san Vincenzo verrà fondata il 29 giugno 1854
ma non decollò mai e l’ultima notizia che ne abbiamo è in una lettera del 6
febbraio 1865 al Presidente del Consiglio superiore toscano della Conferenza,
nella quale il Pucci affermava tra l’altro:
Mi dice il signor Casani che […] non è possibile far qui rivivere l’estinta
conferenza, e che perciò codesto consiglio superiore ne può pronunziare
definitivamente la cessazione e che egli benvolentieri resterebbe socio
corrispondente della vincenziana società. (142).
Bisogna ricordare inoltre altri gruppi che sorsero nell’ambito della
parrocchia, istituiti direttamente dal Curatino: la Pia Unione dei Figli di san
Giuseppe (224), nell’oratorio omonimo vicino alla parrocchia; la Pia unione
contro la bestemmia (243) [questione del crocefisso, da riprendere]; la
confraternita delle madri cristiane (250-251).
2
DI GRAZIA C. A., I 150 anni della Misericordia a Viareggio.1826-1976, Viareggio 1976, in particolare
pp. 11-50 e 173-177.
23
c. Principali attività della parrocchia
La parrocchia di Sant’Andrea in Viareggio era impegnata in varie attività di
culto, di cultura e di formazione religiosa, e di carità.
I. Attività di culto. Il Pucci chiedeva ed otteneva ogni triennio di poter
esporre nella prefata mia chiesa l’augustissimo sacramento de’ nostri altari
in tutte le feste dell’anno, nelle novene, ottavari, tridui, esposizioni solite
farsi, o che si richiedono da benefattori o dalla pietà dei fedeli (134).
Durante l’anno si svolgevano regolarmente alcune processioni, soprattutto in
occasione della solennità della beata vergine Addolorata, per la quale ogni terza
domenica del mese si faceva la “ritornata” (159), come prescrivevano le Regole e
Costituzioni de’ fratelli e sorelle della compagnia de’ Sette Dolori di Maria
Vergine all’articolo 63 e la terza domenica di settembre la solenne processione;
per queste processioni, dopo il 1866, il parroco doveva chiedere il permesso per
tempo al Prefetto di Lucca. In occasione della solennità dell’Addolorata di
settembre il Pucci impartiva al popolo la “benedizione papale”: si trattava di una
concessione stabilita dal decreto Ad humillimas preces di Benedetto XIV,
emanato il 12 aprile 1747, noto al tempo del Pucci anche tramite i più diffusi
manuali devozionali dell’Ordine: «[...] che in tutte le chiese dell’Ordine fuori di
Roma si potesse in un giorno dell’anno da destinarsi dal superior provinciale dare
la benedizione papale dal superiore del convento o da altro sacerdote da eleggersi
dal medesimo padre provinciale, [...] con la licenza in iscritto degli Ordinari de’
luoghi»4.
Una lettera di richiesta al Prefetto di Lucca del 1873 ci chiarisce le
processioni che si tenevano annualmente in parrocchia:
Il sottoscritto parroco di Sant’Andrea apostolo di Viareggio rende noto
all’Eccellenza vostra illustrissima che nel corrente anno 1873 ricorrono
nella sua chiesa parrocchiale le consuete processioni come segue, cioè:
processione di Rogazione nei giorni 19, 20 e 21 maggio nelle prime ore di
mattina; processione del Corpus Domini nel dì 15 giugno nelle ore
pomeridiane; processione di Maria santissima Addolorata nel dì 21
settembre nelle ore pomeridiane (206).
Il Pucci faceva anche la processione in occasione della festa di san Luigi
3
«Nella terza domenica del mese, o in altra, ma specialmente nella domenica terza di settembre, nella
quale si farà la processione dell’Abito, devono lasciare ogni altra cosa e trovarsi presenti per
accompagnare l’immagine della B. Vergine, onde conseguire l’indulgenza plenaria» (cf. PECORONI F. M.,
OSM, Breve notizia dell’abito e corona de’ sette dolori…, Roma 1838, p. 59; Napoli 1852, p. 51).
“Ritornata” dovrebbe dunque significare la processione che “ritornava” con scadenza fissa ogni mese
(“consueta”, scrive il Pucci).
4
Cf. PECORONI, Breve notizia dell’abito, Roma 1838, p. 165, e Napoli 1852, p. 165; anche Pratiche
divote in onore di Maria SS. Addolorata e di alcuni santi e beati dell’Ordine dei Servi di Maria. Raccolte
dal p. F. M. Pecoroni dell’istess’Ordine… Roma, 1859, p. 221.
24
Gonzaga, almeno nei primi anni del suo incarico come parroco (159). La
processione era legata alla congregazione della Dottrina cristiana e la
processione, alla quale partecipavano «i giovinetti della Dottrina vestiti di cappa
celeste», si svolgeva «entro i limiti della parrocchia» (16, nota 2). Per questa
devozione il Pucci stesso (che sembra molto legato alla figura del giovane santo)
nel 1855 scrisse un opuscolo dal titolo Direzione cristiana per la gioventù
protetta da san Luigi Gonzaga (47).
Il Curatino era anche attento alle celebrazioni ecclesiali che scandivano la
vita del popolo di Dio. Per questo solennizzava adeguatamente alcuni centenari.
Valorizzava le ricorrenze della Chiesa universale, ad esempio il secondo
centenario della rivelazione del Sacro Cuore, per la quale scriveva al vicario
generale della diocesi di Lucca nel 1875:
In questa mia chiesa, ove tutto il corrente mese di giugno è esposto alla
pubblica venerazione il quadro rappresentante il sacro Cuore di Gesù,
vorrei nel giorno 16 fare un poco di festa per solennizzare il secondo
centenario della rivelazione del medesimo sacro Cuore e pregare insieme
per i presenti bisogni della santa Chiesa con comunione generale la
mattina ed esposizione del santissimo Sacramento la sera recitando
pubblicamente in chiesa l’atto di consacrazione approvato dalla
Congregazione dei Riti il dì 22 aprile 1875 e chiudendo la sacra funzione
coll’inno ambrosiano e benedizione (219).
Il Curatino dava grande importanza anche alle ricorrenze dell’Ordine, come
nell’occasione del centenario della morte di san Filippo Benizi (1885) e della
canonizzazione dei Sette santi Fondatori (15 gennaio 1888). A Viareggio, per il
VI centenario della morte di san Filippo, tra l’altro venne dato alle stampe
l’opuscolo Manifesto per il VI centenario di san Filippo Benizzi fiorentino,
propagatore dell’Ordine dei Servi di Maria, che sarà celebrato nella chiesa
parrocchiale di Sant’Andrea di Viareggio il dì 23 agosto di quest’anno 1885,
Viareggio 1885, nel quale si legge: «A tale solennità si darà principio il giorno 14
del corrente mese di agosto con un settenario in onore del santo, e il giorno 21 e
22 saranno solennizzati con messa e vespri cantati; il giorno 23 poi vi sarà messa
solenne in musica e alla sera vespro cantato con orazione panegirica e terminerà
con la benedizione della sacra reliquia» (p. 5).
In occasione della canonizzazione dei Sette santi Fondatori, alla quale il
Pucci, come sappiamo, partecipò personalmente come Priore provinciale, si
unirono in qualche modo il settenario per la festa di san Filippo (16-23 agosto
1888) e il triduo per la canonizzazione (24-26 agosto). Per questa duplice
circostanza il Pucci invitò il Priore generale fra Pier Francesco Testa, che non
poté partecipare. Della festa per i Sette santi abbiamo una ampia ed interessante
cronaca: «Il giorno 24, 25 e 26 di agosto di quest’anno 1888 sono state celebrate
solennissime feste nella chiesa di Sant’Andrea apostolo in Viareggio in onore de’
Sette santi Fondatori, canonizzati dal sommo pontefice Leone XIII ne’ primi
giorni del mese di gennaio del corrente anno. La chiesa, uffiziata dai religiosi
detti de’ Servi di Maria, era splendidamente addobbata, moltissime lumiere e un
25
numero grandissimo di ceri erano posti sui cornicioni della chiesa, che accesi
tutti questi lumi la sera del 26 dalle ore 5 alle 9 ½ produssero una illuminazione
di un effetto incantevole. Il giorno 24 cantò messa solenne il padre provinciale e
curato di Sant’Andrea [aggiunto da altra mano: che era il padre Antonio M.
Pucci], assistito dai suoi religiosi; il 25 cantò messa solenne il reverendissimo
signor canonico Luigi Frosini, da pochi giorni nominato arciprete della
metropolitana, e fu assistito nella sua messa pontificale da tre sacerdoti diocesani,
mentre in coro si cantò una messa in canto figurato. Il giorno 26 pontificò
monsignor Niccola Ghilardi nostro arcivescovo, assistito da cinque canonici della
nostra chiesa metropolitana. La sera pure pontificò al vespro la stessa sua
Eccellenza e chiuse la sacra funzione col canto dell’inno ambrosiano e colla
benedizione dell’augustissimo Sacramento. La musica, sì la mattina del 26 alla
messa, come la sera al vespro, e poi il Te Deum e il Tantum ergo alla benedizione
era del reverendo signor Antonio Del Fiorentino nostro beneficiato e fu dal
medesimo maestrevolmente diretta con applauso generale5».
Il Pucci organizzava anche la predicazione degli esercizi spirituali per il
popolo, per i quali generalmente provvedeva con alcuni religiosi Gesuiti (ad es.
183).
II. Attività di cultura e formazione religiosa. Nella parrocchia, la consueta
Dottrina si teneva in giorni determinati, come esponeva il Curatino
all’arcivescovo nella Relazione in preparazione alla visita pastorale del 1856:
Tutte le domeniche si insegna la dottrina cristiana ai fanciulli e fanciulle e
si spiega il catechismo agl’adulti, ad eccezione delle domeniche di
Quaresima nelle quali siamo impediti a far ciò dalla predica; ma si insegna
però allora nei giorni feriali invece mattina, giorno e sera. [...] Tutta la
Quaresima è il tempo destinato per istruire i nuovi comunicandi e i ragazzi
e ragazze che si han da confessare. I nuovi comunicandi si seguita a
istruirli e prepararli anche per altri giorni 15 dopo Pasqua di Risurrezione6.
Vennero anche istituite dal Pucci dal 1855 –
su sollecitazione
dell’arcivescovo – le scuole serali della Dottrina cristiana, per i ragazzi che
durante il giorno lavoravano (155)
Dal punto di vista scolastico, le Terziarie Serve di Maria conducevano una
scuola per le ragazze povere, come ricorda il Curatino all’arcivescovo di Lucca
in una lettera del 1879:
Per la povera gente di questo paese le scuole delle nostre terziarie, dette le
monache, sono più che sufficienti; stante che son bene ordinate, ben
condotte e numerose assai; ma per tener convitto non sono al caso (242);
inoltre, nel gennaio 1880 venne aperta, con il consenso del Pucci – ma senza
5
Lucca, Archivio Arcivescovile, Libro delle cronache del cerimoniere, anno 1888, p. 313.
Firenze, Archivio Conventuale della Santissima Annunziata (=AC), Scripta servi Dei, IV, Visita
pastorale, f. 171v.
6
26
successo purtroppo, perché venne chiusa nel mese di febbraio 1880 – un
educandato per fanciulle «di agiata condizione» fondato da un sacerdote di La
Spezia (242).
III. Attività pastorale. Giunto a Viareggio il 20 agosto 1844 come vice
parroco, Antonio Pucci sostenne l’esame di baccellierato in teologia durante il
capitolo provinciale, celebrato a Firenze nei giorni 5-8 maggio 1847. La risposta
all’inchiesta promossa nel 1849 sull’opportunità di definizione dogmatica
dell’Immacolata Concezione di Maria (9) rivela una buona preparazione
teologica. Negli anni successivi, oberato dal lavoro pastorale come spesso
confessa nelle lettere è da supporre che, come non raramente capita anche ai
giorni nostri, il Curatino abbia vissuto in qualche modo “di rendita”: anche le
omelie, sebbene non datate, sono molto probabilmente frutto della riflessione dei
primi anni di attività pastorale e venivano poi adattate negli anni successivi.
Interessante comunque una sua frase scritta a fra Sostegno Guglielmi, della
Santissima Annunziata di Firenze, nei primi mesi del suo provincialato:
Le rimetto l’obbedienza per Monte Senario a mezzo di cotesto padre priore
Diani, e non posso misurarle il tempo da restare lassù. In seguito il Signore
ci provvederà, e allora potrò darle altra destinazione. Per studiare son certo
che riesce più a Monte Senario che a Firenze, perché lassù vi è più tempo e
vi è aria migliore. Per dirgliene una: io fui mandato a Viareggio il primo
anno che dissi Messa; non avea ancora ben compito il corso di dogmatica;
dovei far subito da curato, e può immaginarsi se mi mancava da fare! Pure
coll’aiuto di Dio studiai, e ho sempre studiato da me. E l’avrò fatto male; ma
posso dirle che in quarant’anni ho fatto molto, e ho faticato molto a
Viareggio. Sicché Ella si rassegni a far l’obbedienza, e il Signore l’aiuterà
(276).
La giornata del Curatino era molto intensa: in una lettera scritta
all’arcivescovo di Lucca per giustificarsi dell’accusa di assentarsi troppo dal
convento affermava:
Io non mi assento mai e tutto questo popolo può farmi testimonianza che
la mattina mi alzo alle quattro, celebro la santa Messa e vado in
confessionale ove mi trattengo finché vi sono penitenti, dipoi me ne sto
nella mia stanza parrocchiale fino all’ora del coro; e che il dopo pranzo lo
passo in stanza, in coro, nel confessionale e dalle ore ventiquattro7 fino a
un’ora di notte me la passo coi ragazzi a istruirli nel catechismo. Dico
questo per giustificarmi dall’addebito che io mi assento dal convento
(193).
Le confessioni delle donne, secondo una direttiva dell’arcivescovo del 20
dicembre 1852, potevano essere fatte solo dal levare fino al tramonto del sole.
7
Le ore ventiquattro indicavano allora il tramonto del sole, per cui nell’inverno corrispondevano all’incirca a un
arco di tempo tra le 17,00 (dicembre) e le 18,30 (marzo) del computo attuale.
27
Contro questa restrizione il Pucci scriveva dopo qualche settimana dal decreto
arcivescovile:
Creda pure, monsignore, che seguitando si allontanerebbero i fedeli dalla
frequenza dei santi sacramenti, a motivo della scarsezza dei confessori che
qui siamo e della molta popolazione che abbiamo; e poi tante contadine e
tante serve hanno bisogno di essere sbrigate allorché si leva il sole. Sicché
sono con la presente a supplicare l’Eccellenza vostra illustrissima e
reverendissima a volersi degnare di accordarci di poter ascoltare le
confessioni delle donne dalla prima Messa, che nell’inverno è sempre
prima di giorno, fino a ventiquattro ore e mezzo della sera (nel qual tempo
vi è in chiesa molta gente), ponendo lumi ai confessionali come sempre si
è usato (27).
Che il parroco di Sant’Andrea non si assentasse dal convento è
clamorosamente sconfessato dalle testimonianze dei parrocchiani ai processi di
beatificazione e canonizzazione. Anche se non sono da escludere “idealizzazioni”
sull’onda della santità che il popolo gli riconosceva, sono interessanti alcune
dichiarazioni concordi:
Dopo pranzo, quasi ogni giorno, si recava dalle suore Serve di Maria, le
quali gli offrivano una tazzina di caffè perché era delicato di stomaco; a
loro diceva: “Il tale è miserabile, ha bisogno di una coperta” e così di altre
cose, e le invitava a soccorrerli. Andava anche spesso nelle scuole delle
suore raccomandando sempre lo studio, la disciplina e specialmente
l’istruzione religiosa. […] Aveva molta premura per i suoi parrocchiani e
se non bastava il giorno, vi andava anche la notte. […] Tutte le sere
visitava i malati, i quali lo ricevevano molto volentieri. Si recava nelle
famiglie, anche di notte, per portarvi la pace, quando sapeva che questa
era venuta a mancare, e vi riusciva. […] Anche quelli che non volevano
altri sacerdoti, quando stavano per morire mandavano a chiamare lui. Se
andava in qualche casa, vedeva da sé il bisogno, senza essere richiesto
pensava subito da sé ad aiutare8.
A un santo una innocente bugia si può perdonare!
L’attività pastorale era molto intensa, e il Pucci confessava a un confratello,
quando ancora si trovava nel vigore delle forze, all’età di 46 anni:
Mi dite che non potete dormire, e io per lo contrario non mi levo mai il
sonno, e quando mi chiamano la mattina se avessi tempo dormirei altre
due orette (145).
8
Il padre dei poveri: sant’Antonio Maria Pucci. A cura della Federazione Italia España Servi (FIES),
[s.d.], pp. 20-22.
28
Certamente buona parte delle energie del Curatino erano spese per affrontare
e tentare di risolvere i non pochi casi matrimoniali che si presentavano e che,
molte volte, rinviava per la soluzione alla curia arcidiocesana. Possiamo dire in
generale che l’atteggiamento del parroco di Sant’Andrea era da una parte
“garantista” e dall’altra parte “pastorale”. Alcuni esempi ci possono aiutare a
capire la sua condotta. Ad esempio il caso nel quale la donna, per le sevizie di
suo marito vorrebbe far divorzio;
ma non so se sarà per essere peggiore il rimedio del male, poiché ha detto
il medesimo suo marito che se si arriva al punto del divorzio vuole
ammazzare o la moglie o qualchedun altro. Creda pure – scriveva il Pucci
al vicario generale dell’arcidiocesi – che il suddetto Francesco Casentini è
un’anima perduta, bestemmiatore ereticale e pietra di scandalo a’ tre suoi
figliuoli e a tutto Viareggio: coi suoi discorsi osceni insegna la malizia alla
gioventù, e poi strapazza la moglie, la batte e in presenza di tutti la carica
dei titoli i più infami; e per giunta non ha ancora soddisfatto al precetto
pasquale. Io più e più volte l’ho richiamato, l’ho pregato, esortato,
sgridato, l’ho fatto mettere in carcere, ma tutto invano. Sicché per levare
questo scandalo di parrocchia, crederei ben fatto che vostra Signoria
illustrissima e reverendissima chiamasse a cotesta curia arcivescovile i
suddetti coniugi e, dietro le ragioni di ambedue udite e esaminate da Lei,
rilasciasse alla donna la carta di divorzio e rimettesse l’uomo al tribunale
civile perché lo punisca anche coll’esilio, quando non vi sia altro mezzo di
farlo emendare e di porre riparo a tanti inconvenienti che hanno luogo per
causa di questo figuro (24).
Frequenti i casi gravidanza prima del Matrimonio, e spesso non era facile
trovare una soluzione, perché le situazioni si ingarbugliavano:
Fino dal prossimo passato mese di luglio un certo giovine […] di questa
città si presentò a me dicendomi che temeva di avere ingravidata una
fanciulla mia parrocchiana […] e che volea sposarla all’insaputa de’ suoi
genitori, i quali certamente sarebbero stati contrari a questo matrimonio. Io
gli risposi allora che mi era proibito assistere ai matrimoni che vogliono
contrarsi di celato e contro la volontà dei genitori, e intanto feci ricorso a
vostra Signoria illustrissima e reverendissima per sentire come dovea
contenermi. Ella mi rispose che prima se ne facesse parte ai genitori
medesimi e che, se erano dissenzienti, adducessero le ragioni del loro
dissenso, quali ragioni si attendessero, se giuste, altrimenti non se ne
facesse caso. Il prefato […] però non volle che io ne parlassi, né farne
parlare a chi di ragione, perché temea di essere allontanato dal bastimento
in che navigava, di proprietà del padre della fanciulla; e siccome dové
partire subito per Marsiglia mi disse che io invigilassi sulla fanciulla
istessa e che, se mai si fosse avverata la gravidanza, lo rendessi avvisato
per lettera, che sarebbe subito ritornato. Non vi fu questo bisogno, perché
non si è avverato ciò che si temeva; ma ritornato egli vorrebbe adesso
29
sposare la più volte enunziata fanciulla, e lo ha fatto sapere al di lei padre,
che è contrarissimo a un tal matrimonio, per la ragione, dice egli, che il
giovine non è capace a far le spese alla moglie e alla famiglia che potrebbe
venire; che ha poco giudizio, che non è costumato e per conseguenza non
vuole sacrificare una figlia, la quale prima che fosse tormentata da questo
secondo, avea promesse sponsalizie con altro giovine onesto e dabbene; ed
ora anch’essa è pentita di essersi imbarazzata col secondo. Questi ora
strepita, vuole intentar causa contro la fanciulla adducendo che egli ritiene
una scritta di obbligazione di futuro matrimonio firmata da essa e
testimoniata ancora da altre persone. Bonariamente non si persuadono né
gli uni né gli altri, ed è perciò che mi rivolgo a vostra Signoria
illustrissima e reverendissima e la supplico umilmente del suo savio
consiglio onde vedere se si possano terminare queste vertenze (62).
È interessante immaginare il Pucci alle prese con queste situazioni, cercando
di parlare con l’uno e con l’altra per cercare una via di uscita…
Dietro la veneratissima sua dei 23 stante non ho mancato di informarmi
sull’affare dei coniugi Bernardini e Buchignani ed ho potuto verificare che
l’esposto nell’istanza qui acclusa in parte è vero e in parte è un poco
esagerato. Questa Rosa Buchignani, moglie del Bernardini, è di carattere
un po’ furioso, ma anche il di lei marito, un poco debole di testa, qualche
volta la provoca a sdegno, la minaccia e l’ha anche percossa. Sono però
come i ladri di Pisa9, che il giorno si percuotono e la notte vanno a rubare
insieme. Per tal motivo io avea detto al Bernardini che lasciasse correre e
che sul passato si tirasse un velo e seguitasse a convivere colla moglie, ma
egli non ne vuol sapere e dice che vuole il divorzio ancorché fosse per
breve tempo ad correctionem muliebri (166).
Il Pucci vedeva anche favorevolmente il divorzio10 per la correzione di uno o
di entrambi i coniugi, come troviamo non raramente nelle sue lettere alla curia
arcivescovile:
Le rimetto il processino degl’esami da me fatto sulla condotta morale della
mia parrocchiana Maria di Niccola Moriglioni, moglie di Pietro Falorni.
Vostra Signoria illustrissima e reverendissima faccia come meglio
9
«Essere o fare come i ladri di Pisa: fingersi in disaccordo e nello stesso tempo intendersi subdolamente
per lo più con intenti malvagi»: BATTAGLIA S., Grande dizionario della lingua italiana, vol. 8, p. 687.
10
Il diritto canonico prevedeva anche allora la separazione matrimoniale, la quale poteva essere definitiva
o temporanea, e ne specificava i motivi e le procedure. Tale istituto giuridico si chiamava divorzio, senza
ovviamente alcuna implicazione con il significato che ha attualmente. «Il divorzio è la legittima
separazione di un marito e moglie decretata dal competente giudice ecclesiastico [...]. Il divorzio è di due
sorti: cioè il divorzio quanto al commercio ed alla coabitazione, che dicesi a thoro et mensa e consiste
nella separazione de’ corpi, ma non scioglie il vincolo del matrimonio; ed il divorzio quanto al legame,
che lo rompe e lo scioglie interamente [...]. Per rapporto al divorzio di commercio e coabitazione, questo
può essere temporaneo o perpetuo [...]. Le ragioni generali per sciogliere il matrimonio quanto al letto e al
domicilio sono l’eresia, l’apostasia, la cattiva condotta, la minaccia della vita, la malattia contagiosa, la
demenza o follia. Le ragioni particolari [...] sono i cattivi trattamenti, gli umori incompatibili, la povertà,
la lontananza, l’impiego d’uno dei coniugi, e quelle altre riportate dai trattatisti»: MORONI G., Dizionario
di erudizione storico-ecclesiastica, vol. 19, Venezia 1843, pp. 147-148; vol. 43, Venezia 1847, p. 283.
30
giudicherà nel Signore. Se a riguardo della prefata donna si transige, non
si correggerà mai né dal vizio della lingua, né da quello dell’ubriachezza;
e il di lei marito sarà rovinato affatto; e però ad correctionem io sarei di
parere che per quattro o sei mesi si dasse a Pietro Falorni il permesso di
vivere separato dalla moglie; allora questa, vedendosi per i suoi vizii
discacciata dal marito, potrebbe emendarsi e venire a più savi consigli
(128).
Interessanti, anche per la storia del sacramento i due casi di Matrimonio di
sorpresa che videro coinvolto il Curatino, novello don Abbondio…
Un certo giovine Antonio di Giacomo Cinquini, della cura di
Sant’Antonio di questa città, e una certa fanciulla Rosa di Domenico
Revel, mia parrocchiana, mi si sono presentati oggi ed hanno fra loro
contratto matrimonio per sorpresa. Dubito però della validità di questo
matrimonio perché io solamente ho veduto lo sposo che ha presa per la
mano la fanciulla e ho sentito che ha detto: «Questa è la mia sposa». Ma
non ho veduto fare alcun cenno alla sposa, meno che ho sentita in confuso
la di lei voce senza intendere che parole abbia essa proferite. I testimoni
non gl’aveano, ma nel tempo della sorpresa passavano di lì, ove eravamo,
i miei religiosi che uscivan di coro, ed anch’essi han veduta questa
faccenda. Questi religiosi, interrogati da me se aveano veduto e sentito,
uno mi ha risposto che ha veduto i suddetti sposi prendersi per la mano ed
ha sentito dire allo sposo: «Questa è la mia sposa», ma della sposa ne ha
sentita la voce solamente in confuso senza poter distinguere le parole che
ha dette; un’altro religioso mi ha risposto che ha veduto questi sposi presi
per la mano fra loro e li ha sentiti borbottare, ma non ha inteso cosa
dicessero; gl’altri poi han veduto questi due giovani prendersi per mano,
ma non hanno inteso cosa alcuna (84).
Stamattina alle ore 5 mentre celebrava la santa Messa e precisamente
all’Orate fratres mi son sentito dire: «Questa è mia moglie», «Questo è
mio marito», «Questi sono i testimoni». Erano un certo giovine Pasquale
di Fortunato Palmieri, di Capraia a Santo Stefano, diogesi di Pistoia, ed
una certa fanciulla Cesira del fu Andrea Viacava, di Livorno; e i testimoni
erano Valeriano del fu Iacopo Pucci e Ugo di Perfetto Fazio. Questi non
sapendo di aver fatto un atto nullo hanno aspettato che terminasse la
Messa, mi hanno seguitato in sagrestia e pretendeano da me il certificato
di contratto matrimonio, e ci è voluta tutta a levarmeli di torno e a fargli
capire che io non essendo lor parroco non potea assistere al loro
matrimonio e che col sorprendermi aveano fatto un atto clandestino. Mi
han risposto aver fatto questo, di sorprendermi, perché non hanno trovato
chi gli sposasse. Io ne ho reso intesa questa Delegazione di Pubblica
sicurezza e ne informo la Signoria vostra illustrissima e reverendissima
onde prenda quelle misure che crederà opportune. Questo successo ha
destato gran diceria nel paese e si dicea stamane: «Ora abbiamo imparato
31
il modo di sposare, quando i preti e i frati non ci vogliono sposare per le
buone» (199).
Altro grande impegno quotidiano del Curatino, come ho già accennato, è la
disponibilità per il sacramento della Penitenza (e io sono convinto, dopo
venticinque anni di sacerdozio, che la disponibilità del sacerdote per il
sacramento della Penitenza sia strettamente legato alla consapevolezza e quindi
alla esperienza che il sacerdote vive – o no – personalmente del sacramento).
Scriveva al priore generale pochi mesi dopo la sua elezione a Priore provinciale:
Creda che fra la parrocchia e la provincia io mi trovo sgomento, e non posso
riparare a tutto. Solamente i matrimoni e la istruzione, in una popolazione
così numerosa e lontana dalla curia ecclesiastica11, mi assorbono tutto il
tempo. Aggiunga poi il confessionale tutti i giorni, e diverse ore tutti i giorni,
i malati che vogliono il parroco, e veda come possa reggere, con 65 anni
sulle spalle per giunta! (280).
Ho già accennato alla fioritura di associazioni e confraternite nella
parrocchia di Sant’Andrea. Questo fatto, se da una parte era positivo perché
permetteva ai molti parrocchiani di trovare la loro modalità di seguire
l’esperienza cristiana, porta non di rado anche a incomprensioni, difficoltà,
talvolta litigi tra i gruppi (come accade nelle nostre parrocchie…) di cui vale la
pena riportare un episodio che è tra il comico ed il grottesco:
Sono a supplicare vostra Signoria illustrissima e reverendissima a volersi
degnare di dirmi se morendo un confratello appartenente a più compagnie
tocchi a portarne il cadavere a quella a cui appartiene da maggior tempo, o
no. E supplico la Signoria vostra illustrissima e reverendissima di tal
grazia perché non si abbiano a rinnovare gl’inconvenienti che mi
accaddero in parrocchia iersera. Sappia – scriveva nel 1856 al vicario
generale dell’arcidiocesi – che ieri morì un certo Luigi Larini mio
parrocchiano, che da dieci o dodici anni era confrate della compagnia de’
Dolori, e questa compagnia com’era di dovere fu invitata perché
associasse il detto defunto alla chiesa e al camposanto. La famiglia però
del medesimo, per far la cosa più decorosa, lo fece ascrivere dopo morte
anche alla compagnia di Carità cristiana, la quale pure fu invitata
all’associazione. Io mi trovai allora in un gran labirinto, poiché la
compagnia de’ Dolori stava sulle sue pretese dicendo che volea portare il
cadavere del suo confratello e che era di suo diritto; l’altra pure venne
colla bara dicendo che toccava a lei il cadavere, perché levava il diritto a
tutte le altre compagnie per speciale privilegio, sicché si andò a prendere il
defunto con due cataletti. Come piacque a Dio prima d’arrivare al posto
11
Viareggio dista 24 chilometri da Lucca, ma a quell’epoca ci volevano anche due ore e mezzo per
arrivarvi; non esisteva ancora la ferrovia Lucca-Viareggio, che iniziata nel 1886 verrà terminata alla fine del
1890. Cf. LUCARINI R., Viareggio tra Settecento e primo Novecento. Turismo e cantieri. Prefazione di T.
Fanfani [Lucca 1990], p. 34; BERGAMINI F., Le mille e una… notizia di vita viareggina. 1169-1940,
[Viareggio] 1995, p. 223.
32
destinato mi riuscì di persuadere la confraternita dei Dolori a retrocedere
colla bara, e così si poté evitare maggiori inconvenienti, che sarebbero
successi in caso diverso. Alcuni confratelli poi della compagnia di Carità
cristiana si fecero permesso di dire delle impertinenze e delle villanie a
me, al mio vice-curato mentre era vestito dei sacri paramenti e ad altri
religiosi in chiesa e fuori; e creda pure che tutte le volte che la prefata
compagnia di Carità cristiana viene ad associare cadaveri, siamo alle solite
impertinenze e vogliono fare a loro modo. Io è gran pezza che tollero, ma
ora non ne posso più, e per l’onore della chiesa e del sacro carattere e
ministero son costretto a ricorrere a chi di ragione, perché si prendano
pronto riparo. E siccome la più volte enunciata compagnia di Carità
cristiana non riconosce né vuol riconoscere superiori ecclesiastici, perché
non istituita canonicamente, penserei di reclamare presso il governo,
qualora mel consenta vostra Signoria illustrissima e reverendissima (60).
Apro una breve parentesi per evidenziare i non sempre idilliaci rapporti tra il
Pucci e la confraternita della Carità cristiana o della Misericordia: il parroco di
Sant’Andrea si mostrò sempre molto deciso a difendere i diritti della parrocchia
rispetto a quelli di una associazione particolare, anche se benemerita e alla quale
egli stesso era iscritto fin dal 1849. Scriveva ad esempio all’arcivescovo nel
1852:
Domenica passata 10 stante, nell’oratorio della compagnia della
Misericordia esistente in questa mia parrocchia di Sant’Andrea apostolo
nella città di Viareggio, fu fatta la festa di Maria santissima Addolorata
senza mia saputa; e si fecero lecito di suonare alla Messa nel tempo stesso
che la chiesa parrocchiale suonava alla spiegazione del santo Vangelo,
motivo per cui io ebbi una diminuzione notabilissima di popolo ad
ascoltare la parola di Dio. Contro tale inconveniente intendo protestare,
come realmente protesto colla presente; e giacché è sempre usato e me
l’accordano le nostre sinodali costituzioni, non voglio che si celebri la
santa Messa nel suddetto oratorio prima di quella parrocchiale; e quando
in esso voglion far feste e cantar Messe, lo voglio sapere ancor io. Sicché a
scanso di scandali e di ulteriori contestazioni mi rivolgo a vostra Signoria
illustrissima e reverendissima e la prego a volersi degnare di dare gl’ordini
opportuni a chi si spetta su tal proposito, perché non si abbiano a rinnovare
tali disordini. (25)
Anche rispetto all’altra parrocchia di Viareggio, quella di Sant’Antonio
affidata ai Francescani si registrano, insieme a rapporti di buon vicinato, alcune
“frizioni”: ed il Curatino non si mostra così remissivo come potrebbe far pensare
l’immagine che spesso abbiamo (disincarnata!) di un santo:
Nella domenica precedente il 13 giugno prossimo decorso [siamo nel
1854] alla Messa parrocchiale annunziai al popolo la festa di sant’Antonio
da Padova e dissi che era festa di devozione. Risaputosi nell’altra
33
parrocchia di questa città, si incominciò a dire che io avea sbagliato,
perché a Viareggio era stato sempre solito di far festa nel giorno di
sant’Antonio, tenuto per protettore di tutta la città medesima; e non
contenti di questo dissero ancora le più impertinenti villanie contro di me,
perché forse trovarono eco presso di alcuni che, invece di spengere,
accendevano il fuoco della discordia. Io allora il giorno della suaccennata
domenica in piena chiesa alla fine del catechismo feci intendere
all’udienza: «Che se la mattina avea chiamata festa di divozione la festa di
sant’Antonio, l’avea fatto per distinguerla dalle feste di assoluto precetto
messe da Chiesa santa; e che io non aveva autorità e non mel permetteva
la coscenza di obbligare i miei parrocchiani, sotto pena di peccato, a una
festa venuta e introdotta dalla semplice devozione del popolo». Soggiunsi
però: «Che a scanso di scandali si regolassero come avean praticato
negl’anni passati e che se facevano festa operavano benissimo». Queste
mie parole non valsero e si seguitò a screditarmi e a dire il maggior male
contro di me. Quel che più mi dispiacque si fu che parve ad alcuni aver io
agito per astio e per invidia e per far nascere sussurri; e mi dispiacque
ancora che vi prendesse parte la polizia col fare delle contravvenzioni. Mi
si dirà avere io commessa un’imprudenza; ma d’altronde, se volevano
intendere, mi parve di essermi spiegato abbastanza al catechismo quando
dissi che si regolassero sul tenore delli scorsi anni e che facevano bene a
far festa. E poi: perché si devono onerar le coscienze, quando non esiste il
precetto? E perché non si devono liberar dal peccato coloro che in detto
giorno per qualche causa avrebbero lavorato contro coscienza? I peccati
mi pare che si debbano diminuire e non accrescerli. Mi si dirà ancora che
in Viareggio ex antiqua consuetudine si è introdotta la festa di
sant’Antonio e che però in detto giorno bisogni astenersi dalle opere
servili e santificarlo. Questo sarebbe vero se la volontà del popolo fosse
valevole a introdurre consuetudine in cose spirituali, senza l’espressa
autorizzazione del vescovo; ma ciò viene proibito, se non sbaglio, da
Urbano VIII nella sua bolla del 1642: Monentur in Domino episcopi..., e
specialmente nel capitolo Ad nostram, 3, et capitulo finali: De
consuetudine. Le nostre leggi diocesane pure il vietano penes Synodum
Colloredi, p. 22 et p. 25. Sebbene potrei dire che anche negl’anni scorsi
non tutti i viareggini facevano festa nel dì di sant’Antonio, quando
specialmente quella si rimetteva alla domenica infra octavam. E potrei
soggiungere che non tutti erano persuasi dell’obbligo di essa festa, poiché
io l’ho saputo da persona di Viareggio che non vi era autorizzazione né da
Roma, né dall’Ordinario. Si opporrà parimente: «Che vi sono decreti di
sua Maestà la Regina di Etruria, allora duchessa di Lucca, deliberazioni
del magistrato di Viareggio e voto fatto da tutti i capi di casa del 1830 con
cui si eleggeva sant’Antonio da Padova a protettore di questa città». Cose
tutte buone e sante. Ma da quando in qua le potestà secolari, senza il
consenso del vescovo, possono introdurre feste precettive? Chi gliel’ha
data la giurisdizione circa le cose spirituali ed ecclesiastiche? E i voti del
popolo qual forza hanno di obbligare i successori a riconoscere per
34
protettore un santo senza l’approvazione di Roma? Dice pure il citato papa
Urbano VIII nel decreto dei 23 marzo 1630 sopra l’elezioni dei santi in
patroni: “...causae electionis novorum patronorum debeant in sacra
Congregatione deduci et ab ea examinari ac demum, causa cognita, ab
eadem Congregatione approbari et confirmari”. Sicché a me sembra di
non aver detto un errore quando chiamai la festa di sant’Antonio festa di
divozione e che non avessi meritati certi titoli che mi hanno regalato non
pochi viareggini. Prego pertanto vostra Signoria illustrissima e
reverendissima a decidere se io abbia sbagliato o no: se ho sbagliato son
pronto a ritrattarmi pubblicamente e a subire la meritata pena; se no,
rivoglio quell’onore che godeva in avanti da coloro che me lo hanno tolto,
essendo questo indispensabile a una persona che è alla testa del popolo.
(38)
Questa difesa dei diritti si estendeva anche alle associazioni legate alla
parrocchia di Sant’Andrea, che il Pucci difendeva come “sue”:
Ieri all’associazione funebre di sua altezza reale Carlo Lodovico [siamo
nel 1883] furono invitate tutte le compagnie di questa città. Alle altre fu
dato il posto che lor perveniva, ma alla mia confraternita dei Dolori no, e
le fu assegnato dal parroco di Sant’Antonio l’ultimo posto e dovè cedere il
suo luogo alla compagnia di Sant’Antonio, nata ieri; con qual diritto poi
non lo so. Io son trentanove anni che faccio il curato e ho sempre visto che
nelle processioni, funzioni ecc. le confraternite più antiche hanno la
precedenza. Intanto iermattina ci volle tutta a tener buoni i confrati e a
persuaderli a limitarsi a una protesta verbale, che fu fatta dal loro priore al
suddetto parroco di Sant’Antonio; che poi ne avrebbemo informata
l’Eccellenza vostra onde volesse degnarsi dare gl’opportuni ordini, perché
in seguito non si rinnovino simili arbitri, e che ogni contenzione e litigio
stia sempre lontano da noi a scanso di scandali nel popolo. (264)
Il Pucci si trovò anche a difendere i suoi religiosi (in quanto priore della
comunità) da calunnie che giunsero fino alle orecchie dell’arcivescovo:
L’altro addebito che vien fatto a questi miei religiosi [scriveva nel 1862],
quello cioè di girovagare per la città e per le case dei secolari, è falso;
poiché essi la mattina non escono mai di convento per passeggiare, e se la
sera, o per motivi di salute o per prendere una boccata d’aria, escono, non
posso impedirglielo, molto più che non abbiamo orto ove fare due passi.
Nelle case dei secolari non vi vanno senza mia licenza, e questa io non la
do, se non si tratti o di assistere infermi o di dare benedizioni o di affari di
chiesa e di convento12. Se chi ha riferito è restato scandalizzato dal vedere
12
Sui richiami del Pucci ai suoi religiosi, in occasione di capitoli conventuali (databili tra il 1859 e il
1865), contro il «girovagare per la città e per le case dei secolari», cf. SUÁREZ P. M., OSM, Parole di un
padre e pastore. Prediche scelte del Curatino di Viareggio…, Roma 1962, pp. 18: «proibisco
assolutamente il fermarsi nelle case dei secolari»; 26: «state lontani dalle case dei secolari»; e 27: contro
lo «sgonnellare per le case dei secolari».
35
forse entrare qualche religioso nelle case è segno che non sa le nostre
attribuzioni, diversamente non potrebbe scusarsi dallo scandalo farisaico;
ma e allora perché non ricorrere al superiore locale per avere
soddisfazione, prima di infamare tutta una comunità religiosa, che alla fin
fine non è poi, per grazia di Dio, tanto rilasciata e perduta quanto si vuol
fare apparire? Perdoni, Eccellenza, queste mie espressioni, poiché partono
da un cuore amareggiato al sommo non solo dalla causa in discorso, ma
anche da altre moltissime che qui non posso manifestare. (112)
Qualche anno dopo scriveva allo stesso arcivescovo:
Che io sia indulgente purtroppo sarà vero e ne temo per quando dovrò
comparire al tribunale di Dio e più volte ho pregato i miei superiori a
liberarmi dai pesi che mi opprimono e ridonarmi alla quiete del primo
anno del mio sacerdozio in forza appunto di questo mio timore, ma finquì
non sono stato esaudito e mi conviene obbedire. Mi pare però di aver fatto
e di fare meglio che posso. (193)
Il rapporto con la curia diocesana, comunque, era molto buono: il Pucci
venne infatti incaricato molte volte a fornire informazioni circa situazioni anche
delicate in diocesi o nella sua parrocchia. Troviamo ad esempio informazioni
sull’economo spirituale di Torre del Lago, del quale fornisce notizie molto
dettagliate «prese da diverse persone probe e degne di fede»:
[…] ho conosciuto che il medesimo, sì, è un po’ severo, ma è molto
zelante; e non esser vero che ei abbia disgustata la maggior parte della
popolazione, ma soltanto la feccia del popolo malcostumata; e la morale
influenza non l’ha perduta presso i buoni, ma presso i cattivi. Ho
conosciuto parimente che il suddetto economo non è molto propenso per
la pia congregazione della Buona morte e per quella del terz’Ordine di san
Francesco, perché sono estranee alla sua parrocchia, e pare che egli sia più
propenso per quelle istituzioni nate ivi e da lui presiedute e guidate, o da
lui fondate e dirette. Nel resto mi dicono che fa del bene e che ha
introdotte molte divozioni, che prima non vi erano. (235)
Informazioni vengono fornite alla curia dal Pucci anche rispetto ad altri
sacerdoti, ex sacerdoti, a chierici e a parrocchiani, a volte con note di ironia
toscana, come nella lettera all’arcivescovo nella quale informa sulle voci circa un
ministro del censo:
Sono a dirle che la donna di servizio del signore cancelliere Occhini
ritornò subito in casa con lui e seguita tutt’ora a starvi in qualità di serva,
come prima. A me non è noto che vi sia scandalo del paese al presente,
non avendone più sentito parlare; mentre che il padre curato di
Sant’Antonio mi disse una volta che tutta Viareggio ne parla; ma io,
ripeto, non ne sento parlare. Dalle indagini da me fatte su tal proposito
36
risulterebbe che quando la donna si allontanò di qui non andò per
isgravarsi, ma che invece andò a casa sua a far visita a suoi parenti
com’era solita andarvi per lo innanzi e che la voce che corse in quei pochi
dì fosse stata opera di uno che, per vendetta contro del predetto ministro
del censo, andasse vociferando avere egli ingravidata la serva. D’altronde
questa serva è di età piuttosto avanzata, gobba, storta, cisposa e
bruttissima, sicché par poco credibile che il suo padrone, persona pulita e
proba e di età matura, perdesse il giudizio a cadere in simil miseria con lei.
(57)
Il Curatino viene anche consultato rispetto al cimitero nuovo della città (256)
e a una sala protestante aperta in città nel 1880, e della quale il Pucci dice esser
frequentata da diversi per mera curiosità e da alcuni, benché pochi di
numero, per malizia, miscredenza e perché imbevuti degl’errori del giorno
e dediti al vizio e al mal costume; che vi si insegnano i soliti errori contro
la presenza reale di Gesù Cristo nel santissimo sacramento, contro la
sacramental confessione, contro la verginità di Maria santissima, contro il
culto dei santi, contro il papa, contro il clero cattolico; e che per causa di
detti insegnamenti vi sono state in paese dimostrazioni contro i predicanti,
a sedar le quali è intervenuta la polizia, e qualcheduno vi è restato
compromesso. (244)
Naturalmente, dopo le leggi eversive del 1866 la situazione della comunità
religiosa che officiava la parrocchia si fece più difficile, in quanto
periodicamente venivano minacciate sanzioni contro i religiosi, che non erano
riconosciuti tali. Come già ho accennato, nel 1872 il Pucci, come priore
conventuale, si trovò ad affrontare la minaccia di allontanamento di alcuni frati
dalla comunità:
Dalla regia prefettura di Lucca col mezzo di questa delegazione mi è stato
intimato lo sfratto immediato dalla casa parrocchiale e dall’uffiziatura
della chiesa di tutti quelli individui che non furono designati all’epoca
della soppressione; e più fu ordinato sì a me che ai miei compagni qui
rilasciati di deporre l’abito religioso e indossare le vesti di sacerdote
secolare, o in caso diverso sloggiare tutti da questa casa canonica. Ridotto
a tal posizione io mi trovo sgomento: non so che farmi. Con tre soli
sacerdoti non posso assistere una popolazione che in media conta seimila
anime e ne’ due mesi delle bagnature arriva anche a diecimila, né tampoco
proseguire la uffiziatura della chiesa, che è gravosissima e richiede
individui molti. Clero secolare qui non ne abbiamo e poi mancano anche i
mezzi per soddisfarlo. Dietro le suddette intimazioni e ordini ho avanzata
una memoria o istanza al signore Prefetto di Lucca facendogli conoscere
che gli individui che mi si tolgono mi sono indispensabili per la chiesa e
per la parrocchia. Ora mi raccomando all’Eccellenza vostra
reverendissima e la prego umilmente, se credesse bene, a volersi adoprare
37
presso codesta Prefettura, perché mi si lascino i cinque sacerdoti che ho
avuti meco fin qui e il converso di sagrestia e un altro povero vecchio di
ottantacinque anni, esso pure converso e non ci obblighino a deporre
l’abito religioso. (203)
Si riuscì ad ottenere quanto richiesto dal Curatino. La situazione però si
ripeté nel 1877 (225), mentre nel novembre 1886 venne dall’autorità civile
l’accusa di aver ricostituito la comunità religiosa, insinuazione alla quale il Pucci,
sebbene anziano e non in buona salute, rispose con estremo vigore:
In replica alla officiale sua dei 9 stante numero 190 di posizione e numero
2179 di protocollo, debbo significarle che io son curato parroco di
Sant’Andrea apostolo di Viareggio fino dal dì 13 luglio 1847, come da
lettere patenti della reverenda curia arcivescovile di Lucca; e che nell’anno
1866, alla presa di possesso di questo ex convento, già dei padri Serviti, [fui]
qui lasciato parroco, e mi furon lasciati anche tre cappellani e un sacrestano.
In seguito poi, dopo alcuni anni, attesa la mia età senile, i miei incomodi di
salute e l’aumento di duemila e più anime di popolazione nella parrocchia, di
concerto coll’autorità ecclesiastica e con questo municipio, presi un altro
sacerdote in mio coadiutore. Sicché al presente sono io, un coadiutore, un
vice curato o primo cappellano, due altri cappellani, e un sagrestano. Tutti
questi sacerdoti mi prestano servizio in chiesa e per la parrocchia, senza
retribuzione veruna, e più pel vitto, che loro somministro, mi pagano
puntualmente la dozzina [!]. Tengo inoltre altri tre individui in qualità di
domestici o servi, tanto per chiesa come per casa, ma questi non sono né
religiosi, né sacerdoti: do a loro vitto e salario, ed essi mi servono. Non è poi
vero che nel quartiere del parroco siasi ricostituita la soppressa casa religiosa
dei padri Serviti per fare vita comune e osservare le discipline dell’Ordine13;
ma vi sono all’unico scopo di assistere la popolazione numerosissima, e
disimpegnare tutte quante le funzioni parrocchiali, come ne possono far fede
a questo municipio, e tutta questa mia parrocchia. (397)
La situazione era veramente drammatica, ed il Pucci non escludeva la fine della
presenza dei Servi a Viareggio: scriveva infatti pochi giorni dopo al Priore generale:
Qui già l’economato per ordine superiore ha voluto sapere chi siamo, quanti
siamo e quante stanze occupiamo, e temo che ci abbiano a fare sfrattare i due
baccellieri e i due conversi che abbiam presi per religiosi dopo la
soppressione. Se questo accada, qui non si può andare avanti, e intesi
coll’arcivescovo direi fosse meglio andarsene tutti. Per pigliare una casa a
pigione e metterli da sé non abbiamo mezzi. (398)
Ancora alla fine di luglio del 1889 si ripresenterà una situazione drammatica
(461, 462), questa volta giungendo – come pare da altre ricerche ancora in atto –
a minacciare la stessa presenza in Italia del Santo Padre Leone XIII.
13
Se ad affermarlo è il Priore provinciale stesso...
38
Erano tempi difficili ed il Pucci, conoscendo bene i rischi che stava correndo
tutta la Chiesa e la vita religiosa in particolare, scriveva a un confratello di Firenze:
E poi, caro padre maestro, siamo in certi tempi, che facilmente ci è da essere
portati su pei giornali e bistrattati; peggio, perché frati; e vi è rischio che tutta
la broda sia ributtata addosso a noi. Basta! Iddio, la Madonna e san Giuseppe
ci aiutino. (400)
IV. Attività caritativa. Già nel 1852, dopo pochi anni di presenza a Viareggio,
affermava in una lettera:
Alle lunette rappresentanti la vita di san Filippo, che costì si incidono, non
posso associarmi, poiché, se Ella vuol credermi, non mi trovo un soldo e i
poveri mi tormentano da mattina a sera, essendo qui una gran miseria a
motivo delle cattive stagioni, dei tristi guadagni e delle imposte
gravosissime che si pagano per gl’anni della passata libertà, dalla quale
Iddio sempre ci scampi e liberi. (32)
Molto significativa l’attività del Pucci durante il periodo del colera nei mesi
di luglio e agosto del 185414: Sebbene nelle prime settimane vi sia stata una grave
incomprensione da parte delle autorità civili, che molto probabilmente portò il
Priore provinciale del tempo ad allontanare da Viareggio il Curatino, il
successivo riconoscimento della innocenza del Pucci (come attesta una lettera del
Ministero degli Interni al Prefetto di Lucca in data 20 agosto 185415) e la
successiva azione caritativa del parroco di Sant’Andrea venne riconosciuta dal
Consiglio comunale della città che, nel verbale della seduta straordinaria
convocata il giorno stesso della morte del santo affermava che il Pucci:
meritò lodi ed encomi quando giovane ancora negli anni 1853 [!]-54-55 e
nel 1866 con selo esemplare si prestava alla cura dei colpiti dal morbo
colerico16.
Da una parte, non raramente il Curatino si trovava a dover sottoporre
all’arcivescovo casi di povertà che gli capitava di incontrare, chiedendo venisse
fatta giustizia:
Il reverendo sacerdote don Placido Bucchianeri, economo di San Marco a
Borgo a Mozzano, ha qui in parrocchia mia due nipotini, figli di un suo
14
FILIPPO M. BERLASSO, OSM, I Servi di Maria e fra Antonio nell’azione assistenziale ai colerosi
nell’epidemia del 1854-55, in storia e profezia nella memoria di un frate santo, Roma 1994, pp. 421-465;
FRANCO M. AZZALLI, OSM, Sant’Antonio Pucci durante le prime settimane del colera a Viareggio
(luglio-agosto 1854, in Studi Storici osm 49 (1999), pp. 85-96.
15
«Il Ministero, dispiacente che a carico del Parroco di Sant’Andrea venisse in termini positivi annunziata
una contravvenzione, di cui la giuridica sussistenza poteva invece essere, com’è riuscita, dubbia per
l’andamento del fatto relativo, ritorna all’Eccellenza Vostra per l’uso opportuno i documenti che in
proposito gli ha comunicati colla ufficiale del giorno decorso» citata in: AZZALLI, Sant’Antonio Maria
Pucci durante le prime settimane del colera a Viareggio, p. 94.
16
BERLASSO, I Servi di Maria e fra Antonio nell’azione assistenziale ai colerosi, p. 421.
39
fratello defunto, ai quali non si danno gli alimenti dalla famiglia
Bucchianeri, come sarebbe di dovere, ma sono del tutto a carico degl’avi
materni miei parrocchiani. Anche la madre (vedova) di queste creature, che
sta verso Sesto, è abbandonata dai parenti del defunto suo marito senza poter
avere cosa alcuna da vivere essa e un altro piccolo figlio che tiene con sé, e
neppure le danno i frutti della sua dote, che sarebbero almeno cinquanta
scudi all’anno. Si sono messi tanti mezzi per richiamare ai sensi di umanità
verso questi infelici i detti parenti, ma fin qui tutto indarno. Mi raccomando
pertanto all’Eccellenza vostra illustrissima e reverendissima e la supplico
umilmente a volersi degnare di adoprarsi presso il prefato sacerdote don
Placido, affinché ei cogl’altri di sua famiglia passino a questi nipoti e
cognata ciò che vuole la giustizia e la carità verso persone sì astinenti. (372)
Dall’altra parte, il Pucci si trovava a dover rispondere alle richieste dei
poveri, e per questa ragione chiedeva annualmente al Priore generale la facoltà di
poter fare delle elemosine, specificando anche come venivano utilizzate le offerte
che dava alla povera gente. Nel 1883, per esempio, scriveva al Testa:
Io, come parroco, per aiutare qualche famiglia povera o per toglier di
mezzo qualche scandalo o inconveniente, dovrò metter fuori le 10, le 20,
le 40, le 60 ed anche le 100 lire, colla promessa anche di restituirmele, ma
poi il più delle volte niente mi rendono. Inoltre tanto io che i miei sudditi
qualche volta o due all’anno siamo importunati da altri poveri (alcuni
anche parenti) e bisogna darli o le 10, o le 20, o le 30 lire. Per quiete di
coscienza io tutti gl’anni son solito di chiedere al padre reverendissimo
generale questa licenza. (258)
Sei anni dopo scriveva al Priore generale Andrea Corrado:
Ho ancora una sorella povera, avanzata in età e malaticcia, ed anche alcuni
nipoti poveri; chiederei di poter fare qualche elemosina ancora a questi, ben
si intende sempre del mio peculio, e non del convento. (476)
A questo proposito è interessante la testimonianza di una nipote del Curatino,
Emilia figlia della sorella Monica, la quale nel 1923 affermava al processo di
beatificazione: «Essendo io rimasta vedova con tre figli piccoli, mentre il servo di
Dio era sempre vivo, gli scrivevo qualche volta per essere soccorsa, essendo
poverissima; ed egli protestandosi che era povero e che doveva pensare a tanti
poveri di Viareggio, pure mi mandava ogni tanto quando cinque, quando dieci lire,
ma però mi diceva che non lo dicessi a nessuno, nemmeno a mia madre e agli altri
parenti perché non avrebbe potuto aiutarli17».
A testimonianza dell’estrema carità del Curatino, il fatto che l’ultima lettera
17
Positio super virtutibus. Summarium. Sacra Rituum Congregatione […] Lucen. in Italia. Beatificationis et
canonizationis Servi Dei p. Antonii Mariae Pucci, sacerdotis professi Ordinis Servorum Mariae. Positio
super virtutibus. […] Summarium, Roma 1944, p. 209.
40
in nostro possesso, scritta al priore generale pochi giorni prima della morte, nella
quale, oltre agli auguri natalizi affermava:
Al tempo stesso torno a chiederle umilmente la facoltà e licenza di poter fare
le solite spesarelle per me e di poter fare le solite elemosine ai poveri, fra i
quali vi ho anche una sorella e diversi nipoti bisognosi. (494)
Sant’Antonio Pucci, Priore provinciale dei Servi di Maria in Toscana
(1883-1890)
Quando il capitolo provinciale della toscana elesse il Pucci alla carica di
priore provinciale Antonio Pucci aveva 64 anni. Si aggiungeva un nuovo
impegno (e di quale portata!) a quelli parrocchiali che il Curatino stava
sostenendo avanti da quasi trentasei anni.
Non raramente il Pucci si lamentò di essere oberato dagli impegni: già alla
vigilia del capitolo provinciale dell’83 chiese al priore generale di essere
dispensato dalla partecipazione al Capitolo o almeno di poter giungere in ritardo,
a causa della amministrazione del sacramento della Cresima da parte
dell’arcivescovo di Lucca ai bambini della parrocchia di Sant’Andrea (265).
Pochi mesi dopo l’elezione scriveva al Testa:
Mi perdoni i tanti disturbi e noie che le arreco e mi sappia compatire, poiché
in tante occupazioni di parrocchia e di provincia ho perso la testa e mi trovo
sgomento, e non so se potrò tirare innanzi. (274)
Questi primi mesi del provincialato del Pucci dovevano in effetti costituire per
lui un momento proprio faticoso, tanto che il suo confratello padre Sostegno
Biagiotti gli scriveva il 25 novembre 1883 a proposito di alcune situazioni difficili
nella formazione dei giovani: «Creda che mi duole importunarla, sapendo e
pensando a quanti gravi pensieri e occupazioni l’aggravano, ma confidandomi
come a padre lo faccio perché la Religione non debba poi pentirsi di avere tali
soggetti18».
Giunto al termine del primo triennio, scriveva a fra Agostino Morini:
Mi consolo, che io ho finito il mio provincialato col 18 del prossimo venturo
maggio e penserà il nuovo provinciale a chiudere i buchi. (374)
Ma toccherà ancora al Curatino di Viareggio, confermato Priore provinciale
con 23 voti su 26, “chiudere i buchi” in provincia, facendo i conti con gli impegni
della parrocchia e con l’età che avanzava.
A volte il Pucci si vedeva costretto a rinunciare ad alcune possibilità legate
al suo ufficio di Priore provinciale per impegni legati alla parrocchia, come nel
maggio del 1887, quando scriveva al suo socio provinciale fra Sostegno Biagiotti:
18
Firenze, AC, cartella Siena, 1.
41
Il padre reverendissimo nostro generale mi invitò per sua commissione a
venire seco fino a Siena; ma io non potei accettare il grazioso invito, perché
devo qui preparare per la visita pastorale del mio arcivescovo e disporre
un’infinità di ragazzi alla Cresima, che sarà verso la metà del prossimo
giugno. Sicché fino dopo il 20 di detto mese io non posso assentarmi di qua.
Combini pure il tutto col padre generale e poi mi riferisca il combinato, che
io mi rimetterò a ciò che fanno senza difficoltà. (414)
Pur con tutti gli impegni per il doppio ufficio che il Pucci ricopriva, si
propose personalmente per portare a Roma la documentazione relativa al processo
di canonizzazione dei Sette santi Fondatori dell’Ordine, che era ripreso nel
1884, dopo moltissimo tempo, grazie ad un miracolo avvenuto proprio nella
parrocchia di Sant’Andrea (257). Il Curatino seguì personalmente l’andamento del
processo istituito dall’arcidiocesi di Lucca, innanzitutto interessandosi per ottenere
una lettera scritta dall’arcivescovo di Lucca Niccola Ghilardi al Papa, per sostenere
la ripresa della causa (30 novembre 1883); poi facendo una relazione sul miracolo
avvenuto a una sua parrocchiana; relazione, come affermava lui stesso,
fatta alla meglio, perché posso poco applicarmi e perché mi manca anche il
tempo e mi trovo con la testa confusa e vacillante (305)
e indicando i testimoni che avrebbero potuto essere interrogati. Nel processo
diocesano venne interrogato il Pucci stesso che, circa il coinvolgimento di fra
Angelico Lorini nel fatto miracoloso, affermò:
So per avermelo detto essa guarita, ed anche il padre Angelico, che a
persuasione del padre Angelico stesso invocò i detti beati Fondatori, e fatta
questa invocazione si sentì guarita. E lo stesso padre Angelico le disse:
«Che, che! Non è vero che siate guarita». Ed essa rispose di nuovo: «Sì,
sono guarita». Allora il padre Angelico le disse: «Ebbene, se siete guarita,
mettetevi a sedere sul letto». Essa lo fece, e dimandò da mangiare, e il
giorno dopo o il successivo uscì dal letto. Credo che invocasse insieme tutti
i Sette beati Fondatori, perché così la esortò il padre Angelico19.
Quando le copie del Processo diocesano furono pronte (ultimi giorni di
maggio del 1885) il Pucci scriveva al Postulatore generale dell’Ordine
proponendosi come il portatore del prezioso testo:
Mi fa sapere il signore canonico Rossi [postulatore a Lucca] che le copie del
processo saranno in ordine nella corrente settimana, e che quanto prima
verrò avvisato di poter autorizzare un nostro religioso ad essere portatore a
Roma del processo medesimo. Se è possibile, il portatore sarò io, e però mi
farà grazia significarlo a cotesto nostro padre reverendissimo generale,
perché me ne dia l’opportuna licenza. (328)
19
Roma, Archivio Generale OSM (=AGOSM), Post. Caus. BB. et SS., I, 31, f. 197r.
42
Il Pucci si interessò anche della partecipazione e della ospitalità per alcune
persone di riguardo alla canonizzazione (alla quale partecipò personalmente).
Scriveva infatti al Priore generale il 7 dicembre 1887:
Mi dispiace il disturbarla con lettere, sapendo che ora specialmente è
occupatissimo; ma non posso farne a meno. Mi scrive da Lucca il nostro
terziario signore canonico Rossi [il postulatore in loco]: «Guardi se fosse
possibile che il padre reverendissimo generale trovasse per monsignore
arcivescovo e due suoi addetti un appartamento pulito e modesto; ben inteso,
che paga la curia». Prega anche il detto canonico per se stesso, e per non
spender tanto chiederebbe che si tenesse con noi a mangiare in convento,
venendo a Roma per la canonizzazione. Ella certamente non potrà occuparsi
di queste cose, e però sarei a pregarla a volerne dare ad altri la commissione.
La sanata Barsottelli non ha mai finquì manifestato a noi il desiderio di
venire a Roma; e poi non so se suo marito, e due figli di tenera età, e le sue
finanze economiche glielo permetterebbero. Sicché io direi di non cercarla,
se non siamo ricercati. (428)
Interessante l’appunto di fra Dourche (allora di comunità a Santa Maria in
Via) sulla canonizzazione:
Canonisation de 9 heures à 1 heure ¼ environ. Je porte le pain d’or à
l’offertoire. Reviens avec le père Pucci provincial. Puis on tire la
photographie de nous tous et tous allons au refectoire vers 2 heures ½.
Félicitations au père général en italien, latin, français, allemand, espagnol,
hongrois [...]. A 5½ solemnel Te Deum d’action de grâces [...]20.
Gli impegni provinciali portarono un’altra volta il Pucci a Roma, esattamente
dieci mesi dopo la canonizzazione dei sette santi, per il capitolo generale
celebrato nel convento romano di Santa Maria in Via dal 2 al 6 ottobre. Riporto
solamente un appunto dello stesso fra Dourche:
Octobre 1. Père [Agostino] Morini, [Antonino] Apolloni et [Niccolò]
Giannini arrivent le matin 6 heures ¾. Les pères [Carlo] Bayma et
[Bonfiglio] Giribaldi vers 7 heures ¾; puis [Pellegrino] Pautassi. Le soir
vers 3½ arrivent les pères Pucci, [Girolamo] Puccini, [Johann Paul] Moser
et le socius de l’Autriche [Severinus Swoboda] ainsi que le père [Sostegno]
Biagiotti. - Octobre 2. Messe du Saint Esprit chantée par le père Apolloni.
Moi et [Giuseppe] Angelucci ministres, le père [Alexis] Lépicier aux
orgues. […] Vers 10 heures ½ vient le cardinal [Giovanni] Simeoni pour
procéder à l’élection du nouveau général, et vers 11 heures ½ le
révérendissime père Testa réélu entonnait le Te Deum, et tous, avec les
pères de la maison, se rendent à la chapelle: Lépicier portait la croix, le père
Angelucci et moi faisions les acolytes. Puis le père général s’assit sur un
20
Roma, AGOSM, Personalia, Dourche.
43
tabouret à gauche du cardinal protecteur et tous en ordre nous allâmes
baiser la main d’abord du cardinal, puis la sienne. Dîner tous ensemble
excepté le cardinal [...]. - 6 samedi [...] Le soir à 4½ les pères signirent les
actes, et tous, avec les pères de Saint Marcel et de Sainte Marie [in Via]
avec la croix et les acolythes en tête, on se mit en marche pour l’église par
le grand escalier en chantant le Te Deum; le père général et les capitulaires
étaient dans le presbyterium, les autres dans le corps de l’église. Après les
prières, le père général s’assit sur un fauteuil sur la predella, le père
procureur [Sostegno Fassini] sur un tabouret, plus bas, et le père Pagliai lut
les actes (pendant environ une heure) puis le père général fit l’absolution
selon le cérémonial [...] - 7 dimanche. Tous les pères du chapitre vont dîner
à Saint Marcel, et vers 5 heures ont audience du Saint Père qui leur fit une
petite allocution. - 8. Départ du père Moser. - 9. Départ des pères Pucci,
Giannini, Biagiotti [...]21.
21
Roma, AGOSM, Personalia, Dourche.
44
ALCUNI SPUNTI DI RIFLESSIONE IN RELAZIONE
ALL’AZIONE PASTORALE DEL CURATINO DI VIAREGGIO
1. Quasi tutta la vita sacerdotale del Curatino è stata esercitata nel ministero di
parroco. Tenendo conto della diversità dei tempi, è inconciliabile la vita di
parrocchia con quella di una comunità religiosa? Cosa possiamo imparare
dall’esperienza pluridecennale del Pucci e della comunità di Viareggio?
2. Tutta la vita sacerdotale e religiosa del Curatino si è svolta in un unico luogo,
nella comunità di Viareggio. Cosa possiamo imparare rispetto al problema
di rapporto tra stabilità (necessaria per l’azione pastorale) e l’itineranza?
3. Il Pucci si coinvolse personalmente in alcune associazioni presenti nella sua
parrocchia, come la Misericordia e la San Vincenzo. È un fatto
riproponibile ai nostri tempi, o è inconciliabile, portando a una “doppia” o
“tripla” spiritualità? Quali esperienze abbiamo in proposito?
4. Nelle omelie, nelle celebrazioni per i fedeli della parrocchia, non raramente il
Pucci ha come orizzonte la Chiesa universale e l’Ordine intero (di cui
spesso chiede notizie). C’è questo orizzonte nella nostra vita personale,
nelle nostra comunità? Ad esempio solo nel 2009 sono stati chiusi alcune
presenze significative in Europa come Eger (Ungheria), Bruxelles
(Belgio), Vienna (Austria) e ci sono grandi difficoltà per mantenere la
presenza a Valona (Albania). Anche la vostra Provincia è stata coinvolta
in alcune recenti chiusure: sembra ad alcuni di essere su una china
irreversibile. Come accrescere il nostro orizzonte di interesse a tutto
l’Ordine e non correre il rischio di chiuderci nei nostri problemi di scarsità
di vocazioni e problemi economici?
5. Il problema degli studi nel prosieguo della vita sacerdotale: come mantenere
una vivacità spirituale e anche culturale, pur nell’assolvimento degli
impegni pastorali?
6. Il Pucci mostra uno spiccato interesse per i santi della nostra famiglia religiosa:
come curare questo aspetto, per la nostra vita personale e comunitaria e
per il popolo di Dio a noi affidato?
7. Il Pucci mostra una significativa attenzione alle devozioni e alle figure di santi
proposti dalla Chiesa a lui contemporanea: è presente questa attenzione
nelle nostre comunità, in particolar modo quelle con ministero
parrocchiale? Cosa possiamo fare in merito a questo?
8. Pare di cogliere uno stretto legame tra la assiduità ai sacramenti e l’azione
caritativa del Pucci. In una deposizione al processo di beatificazione un
teste affermava: « Frequentava spesso (credo settimanalmente) il
45
sacramento della Confessione. […] Si tratteneva tutte le sere per mezz’ora
a pregare davanti al santissimo sacramento, e ciò faceva immediatamente
prima di partire per andare a visitare gli infermi». Qual è la nostra
esperienza in proposito? (cfr. Lettera Frate Alessio, uno dei Sette, n. 17).
Inoltre: la pastorale degli infermi è curata nella nostra parrocchia? Si può
fare qualcosa di più e meglio?
46
SANT’ANTONIO PUCCI
SERVO DEL SUO POPOLO
(fr. Pier Giorgio M. Di Domenico, osm – Viareggio 12.01.2011)
Eustachio Pucci nasce il 16 aprile 1819 a Poggiole, frazione del comune di
Vernio, nella casa colonica che sorgeva poco distante dalla chiesa parrocchiale di
san Michele alle Poggiole (diocesi di Pistoia). Nello stesso giorno è battezzato
nella chiesa del paese di San Quirico di Vernio, perché Poggiole non aveva il
fonte battesimale. Il padre, Agostino, era sagrestano della chiesa di san Michele
e contadino nel podere parrocchiale.
Nel maggio del 1837, al ritorno da un pellegrinaggio al santuario di
Boccadirio, confida al proprio parroco, don Luigi Diddi – che era già stato suo
insegnante e direttore spirituale –, il desiderio di farsi religioso in un Ordine
consacrato alla Madonna. Accompagnato dallo stesso parroco, entra il 10 luglio
1837 come postulante alla Santissima Annunziata di Firenze. Il 23 dicembre
1837 inizia il noviziato e prende il nome di Antonio Maria; è a Monte Senario
per compiervi gli studi filosofici e teologici; il 31 maggio 1843 fa la professione
solenne.
Il 24 settembre 1843 è ordinato presbitero. Il 20 agosto 1844 dal priore
provinciale p. Gaetano Bensi (+1863) viene trasferito nel convento di Viareggio,
come vice parroco. Unico sbocco al mare del ducato di Lucca, Viareggio contava
allora 6.500 abitanti, a cui si aggiungevano in estate circa 2000 bagnanti. Nel
piccolo porto operavano 800 uomini tra marinai e pescatori. Era stata promossa
al rango di città dalla duchessa Maria Luisa di Borbone (+1824); suo figlio, Carlo
Ludovico di Borbone (+1883), fece costruire una nuova chiesa parrocchiale
dedicata a sant’Andrea apostolo, assegnandola ai Servi di Maria e disponendo la
costruzione di un convento capace di ospitare dodici frati22.
Nel capitolo provinciale dei Servi di Maria della Toscana, maggio 1847, il
parroco di sant’Andrea, p. Sostegno M. Conti, fu eletto priore provinciale; al suo
posto il capitolo nominò parroco Antonio Pucci, che il 25 luglio, ottenuta
l’approvazione dell’arcivescovo di Lucca, prese possesso formale della
parrocchia. Aveva 28 anni. Fu parroco ininterrottamente per 45 anni, fino alla
morte.
Nonostante gli impegni pastorali, continuò a studiare fino ad ottenere il
grado di maestro in teologia nel 1850. Fu anche per ventiquattro anni, dal 1859 al
1883, priore del convento di Viareggio.
Il 7 luglio 1866 furono promulgate le cosiddette “leggi inique” di
soppressione di tutti gli ordini e congregazioni religiose; i beni erano confiscati e
devoluti al Regio Demanio. Nel novembre 1866 fu occupato anche il convento di
sant’Andrea. Il Pucci, però, riuscì a mantenere unita la comunità e ad accogliere
altre vocazioni. Il 5 giugno 1883 fu eletto priore provinciale, carica che mantenne
per sette anni, vivendo sempre nella comunità di Viareggio. Gli fu confermata
22
Franco DAL PINO, Il nuovo convento di sant’Andrea di Viareggio e la figura del Curatino attraverso
i registri conventuali e parrocchiali dal 1841 al 1892, in Storia e profezia nella memoria di un frate santo
(Convengo di studio nel primo centenario della morte di sant’Antonio Maria Pucci dei Servi di Maria
organizzato dalla Pontificia Facoltà Teologica Marianum con la collaborazione dell’Istituto Storico,
Roma 14-16 ottobre 1992), a cura di Elio Peretto, ed. «Marianum», Roma 1994, p. 215-233.
47
per acclamazione, in capitolo, la cura d’anime della parrocchia di sant’Andrea.
Servì il suo popolo, in particolare i più poveri, fino al sacrificio della vita.
Un frate della comunità di Viareggio, fra Antonio Benvenuti, racconta: «una sera
d’inverno lo vidi tornare a casa senza mantello e interrogatolo dove lo avesse
lasciato, egli con semplicità rispose che l’aveva dato a un poverello che era
mezzo nudo e moriva di freddo»23. Questo povero era noto in città con il
soprannome di Nonno Sonno. Altri testimoni raccontano che una notte dei primi
di gennaio 1892 corse al capezzale di un morente mentre si abbatteva su
Viareggio un forte temporale, «senza cappotto, avendolo donato a un povero;
così diceva la gente»24. Il giorno dell’Epifania cantò la messa solenne e poi
dovette mettersi a letto per una broncopolmonite fulminante. Moriva il 12
gennaio 1892.
Del suo ministero di sacerdote e di parroco, vissuto nello spirito proprio
dei Servi di santa Maria, si pongono in rilievo tre modalità: il servizio della
parola, la dedizione al suo popolo, la pietà verso la Vergine Maria
Servizio della Parola
Sull’esempio di Gesù che, sentendo compassione per le folle disperse
come pecore senza pastore, insegnava loro molte cose (cfr. Mc 6, 34), il Pucci
vede nel servizio della parola una delle espressioni più alte della sua identità di
pastore. Commentando, la seconda domenica dopo pasqua, il vangelo di Gv 10,
11-16, ebbe a dire:
Ancor io son pastore, come parroco di questa chiesa, e voi
siete mie ben’amate pecorelle; sono vostro pastore, e perciò
obbligato pascere le vostre menti col cibo della parola di Dio,
senza di cui non potreste vivere lungamente nella grazia del
Signore; poiché quanto vi è necessario al corpo il mangiare e
il bere per conservare la vita temporale, altrettanto vi è
necessaria all’anima la divina parola per non ricadere in
peccato.25
Secondo la testimonianza di un suo confratello, p. Sostegno M. Guglielmi,
«preparava con cura la spiegazione dei Vangeli, facendo anche nottata per
impararli a mente»26. Le sue omelie sono prediche “all’apostolica”, come si
diceva allora27, cioè semplici; non contengono esegesi approfondite, ma toccano
23
Paolo ORLANDINI, Sant’Antonio Maria Pucci, Notizia biografica, in Sant’Antonio Maria Pucci, a
cura di I.M. Calabuig, Ed. «Marianum», Roma 2004, p. 52 (Communicantes. Nova Series. Memorie
liturgiche OSM – Studi e commenti, 4), p. 72.
24
ibidem.
25
Parole di un Padre e Pastore. Prediche scelte del Curatino di Viareggio, a cura di Pietro Maria Suárez,
Roma 1962 (Studia Historica Minora, IV), p. 82-83.
26
P. ORLANDINI, Sant’Antonio Maria Pucci, p. 52.
27
«Qui ha predicato il nostro padre Emmanuele Sevieri, di famiglia di questo convento, e ha fatto molto
bene, perché predicava all’apostolica, come piace a me» (lettera del 12 aprile 1853 a fra Costantino
Rocca, del convento di Bologna, in Epistolario di S. Antonio M. Pucci, O.S.M. (1847-1891), a cura di
48
problemi e comportamenti della vita pratica. A lui interessava che la gente
vivesse concretamente il cristianesimo. In una omelia su Mt 11, 2-10 (II
domenica di Avvento), egli spiega perché il Battista dal carcere avesse mandato a
chiedere se Gesù fosse davvero il Messia; lo fece, spiega il Pucci, non perché non
lo sapesse - egli lo aveva infatti additato come l’agnello di Dio che toglie i
peccati del mondo -, ma perché i due discepoli da lui inviati potessero poi
raccontare chi fosse veramente Gesù dai miracoli da lui compiuti. Dalle opere,
infatti, si riconosce l’identità di Gesù.
Sì, ... le opere son quelle che persuadono e convincono, e non le
semplici parole: le opere son quelle, le quali addimostrano chi
uno è, o non è, ma le semplici parole tante volte ingannano e
sono smentite dalle opere.
Veniamo alla pratica. Tutti colle parole dicono di esser cristiani,
ma pochi son quelli che lo sono davvero. Se io dimando a tutti
voi, siete cristiani? A una voce mi rispondete: siamo cristiani
per grazia di Dio. Ma dirsi cristiani colla lingua e poi non esser
tali di fatto è una cosa che non va d’accordo. E perciò ci vuole
una risposta simile a quella che diede Gesù Cristo agl’inviati di
Giovanni, vale a dire una risposta di opere, e di opere da buon
cristiano.
[...] Non mi venite fuori con le fedi del battesimo, che di quelle
non ne faccio caso; le fedi che vorrei da voi per credervi
cristiani, sono le buone opere.28
Il Pucci conosce già la risposta che possono dare i suoi parrocchiani: non
abbiamo mai rubato, non abbiamo ammazzato nessuno, andiamo a messa ...
Sarà vero tutto ciò che voi dite, ma […] io cerco di voi a tutti
quanti vi conoscono, ed essi mi dicono, che se non rubate
palesemente, rubate però di nascosto, perché non pagate i
debiti, non date la dovuta mercede agl’operai, usate frodi,
tessete inganni, commettete ingiustizie nel vendere e nel
comprare ...29
Legato al servizio della Parola è l’impegno della catechesi. Secondo la
testimonianza di p. Eugenio M. Poletti, «faceva il catechismo tutte le domeniche
agli adulti, mettendosi in mezzo alla chiesa, come pure preparava da sé i bambini
della prima Comunione. Faceva poi insegnare la Dottrina cristiana dai suoi
religiosi»30. I ragazzi andava a cercarli per la strada e a chiamarli. E «siccome i
bambini che si davano alla vita del mare non potevano frequentare l’istruzione
F.M. Azzalli, P.M. Branchesi, F.A. Dal Pino, Odir J. Dias, tomo I (1847-1883), Ed. Marianum, Roma
2001, p. 57). L’annalista dell’Ordine, fra Agostino Morini, ricorda «quel predicare alla buona ma tutto
cuore del padre Pucci » (in L’Addolorata, 2, 1889, p. 254).
28
Parole di un padre e pastore, p. 58.
29
ibidem, p. 60.
30
P. ORLANDINI, Sant’Antonio Maria Pucci, p. 52.
49
religiosa ordinaria, l’impartiva loro la sera privatamente»31.
La prima delle molte associazioni da lui fondate (o rinnovate) fu la
“Congregazione della Dottrina cristiana” (1849), che doveva continuare
l’istruzione dopo le lezioni preparatorie alla prima comunione. Quanti si
iscrivevano a una delle associazioni parrocchiali dovevano anche impegnarsi a
fare catechismo ai ragazzi. Ancora nel 1849 avviava la Compagnia di san Luigi
Gonzaga, per l’educazione dei bambini, e nel 1860 la Pia Unione dei Figli di san
Giuseppe, indirizzata all’assistenza della gioventù maschile, una vera e propria
anticipazione dell’Azione Cattolica (che sarà fondata a Bologna nel 1868).
Il primato dato dal Pucci al servizio della Parola è in linea con quanto, un
secolo dopo, insegnerà il concilio Vaticano II. Il decreto Presbyterorum ordinis,
in apertura del capitolo secondo che tratta del ministero dei presbiteri, colloca,
prima ancora dell’amministrazione dei sacramenti, il compito di annunciare la
parola di Dio: «Il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della
parola del Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei
sacerdoti. Dato infatti che nessuno può essere salvo se prima non ha creduto (cfr
Mc 16, 16), i presbiteri, nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno
anzitutto il dovere (primum habent officium) di annunciare a tutti il vangelo di
Dio. [...].il loro compito non è di insegnare una propria sapienza, bensì di
insegnare la parola di Dio e di invitare tutti insistentemente alla conversione e
alla santità».
Perché l’annuncio sia efficace c’è bisogno di preparazione e di studio.
Ricorda ancora il concilio che alla predicazione ci si prepara attraverso «la sacra
lettura assidua e lo studio accurato», perché – come dice sant’Agostino (cfr
discorso 179, 1) - «non diventi “vano predicatore della parola di Dio all’esterno,
colui che non l’ascolta di dentro”» (Dei Verbum, n. 25). La sacra lectio o lectio
divina costituisce l’impegno quotidiano dei presbiteri. «Essendo ministri della
parola di Dio, essi leggono e ascoltano ogni giorno questa stessa parola che
devono insegnare agli altri; e se si sforzano anche di realizzarla in se stessi, allora
diventano dei discepoli del Signore sempre più perfetti» (Presbyterorum ordinis,
13).
A sostenere la fedeltà del Pucci alla lectio contribuiva certamente la vita
conventuale con i suoi ritmi ordinati di preghiera, di studio, di silenzio, che egli,
pur tra i suoi impegni di parroco, osservava fedelmente. Uno scorcio significativo
della vita del Pucci in convento ci viene dato dalla testimonianza del fratello
“converso” Antonio Benvenuti: «all’ave Maria era sempre a casa, e appena
tornava si recitava il rosario al quale egli assisteva; dopo il rosario si ritirava in
camera a studiare e a pregare fino al tempo dell’ufficio e della cena»32.
«Si ritirava in camera a studiare», perché lo studio è tanto importante per il
rinnovamento della nostra vita religiosa. «All’interno della vita consacrata c’è
bisogno di rinnovato amore per l’impegno culturale, di dedizione allo studio
come mezzo per la formazione integrale e come mezzo ascetico,
31
Testimonianza di p. Ildefonso M. Francesconi, in P. ORLANDINI, Sant’Antonio Maria Pucci, p. 53.
32
Luigi M. DE CANDIDO, Il frate, in Storia e profezia nella memoria di un frate santo, p. 353.
50
straordinariamente attuale, di fronte alle diversità delle culture. Diminuire
l’impegno per lo studio può avere pesanti conseguenze anche sull’apostolato,
generando un senso di emarginazione e di inferiorità o favorendo superficialità e
avventatezza nelle iniziative. […] l’impegno dello studio non si può ridurre alla
formazione iniziale o al conseguimento di titoli accademici e di competenze
professionali. Esso è piuttosto espressione del mai appagato desiderio di
conoscere più a fondo Dio, abisso di luce e fonte di goni umana verità. Per
questo, tale impegno non isola la persona consacrata in un arido intellettualismo,
né la rinchiude nelle spire di un soffocante narcisismo; è invece sprone al dialogo
e alla condivisione, è formazione alla capacità di giudizio, è stimolo alla
contemplazione e alla preghiera, nella continua ricerca di Dio e della sua azione
nella complessa realtà del mondo contemporaneo»33.
La meditazione, il silenzio – il Pucci fu sempre uomo di poche parole (non
per questo scontroso; confratelli e altri attestano che era sempre di buon umore) -,
il continuo rapporto con Dio trasformarono la sua attività pastorale in un mezzo
di santificazione. È questa una intuizione spirituale che il concilio ha fatto
propria: i ministri «riconoscendo ciò che fanno e imitando ciò che amministrano,
anziché essere ostacolati dalle cure pastorali, dai pericoli e dalle tribolazioni,
ascendano piuttosto per mezzo di esse a una maggiore santità, nutrendo e dando
slancio con l’abbondanza della contemplazione alla propria attività, per il
conforto di tutta la chiesa di Dio» (Lumen gentium, 41). Santificarsi non
malgrado le cure pastorali, ma proprio per mezzo di esse: questo è possibile «con
l’abbondanza della contemplazione», con l’ascolto quotidiano della Parola che
nutre la preghiera e il lavoro pastorale. Davvero la Parola dà sapore a tutta la
nostra vita e a tutte le nostre attività.
Servizio alla gente
È stato il fedele servizio della Parola a dare al Pucci il modo autentico di
entrare profondamente nei problemi della gente, di parteciparvi come se fossero
propri e di portarvi la luce e il conforto di Dio. Ascolto della Parola, annuncio del
vangelo, condivisione delle preoccupazioni che assillano quotidianamente la
gente, sono intimamente legati. È la parola di Gesù, infatti, a suggerirci un
linguaggio nuovo, a trovare le parole giuste nei momenti difficili, a infondere
forza per accettare con pazienza le prove dolorose della vita. I gesti d’amore del
Curatino nascono dal contatto continuo con Dio. Interessante la testimonianza di
un suo confratello: «egli si tratteneva tutte le sere per mezz’ora a pregare davanti
al santissimo Sacramento e ciò faceva immediatamente prima di andare a visitare
gli infermi»34. Parola ed eucaristia sono state le fonti da cui il Pucci ha attinto
forza per farsi pane per tutti35, per visitare immancabilmente tutti i giorni i malati
33
Vita consecrata. Esortazione apostolica postsinodale di Giovanni Paolo II: La vita consacrata e la sua
missione nella Chiesa e nel mondo, 25 marzo 1996, n. 98.
34
Testimonianza di p. Gioacchino M. Ducceschi, citata in P. ORLANDINI, Sant’Antonio Maria Pucci, p.
68.
35
Un altro suo confratello attesta che «quando aveva tempo, stava molto davanti a Gesù Sacramentato,
tanto di giorno che a sera tardi» (cfr P. ORLANDINI, Sant’Antonio Maria Pucci, p. 68).
51
della sua parrocchia. Le sere erano in genere dedicate alla loro visita. «Non
conosceva né cibo, né sonno, li assisteva lungamente senza stancarsi mai, ma
pregando da solo o insieme ad essi, e li assisteva anche con pericolo della vita»36.
Altre testimonianze ricordano che «i malati stessi cercavano lui, perché ci
avevano una speciale fiducia» e che egli «era sempre pronto a tutte le ore,
lasciava il desinare a mezzo, stava lungamente presso di loro, qualunque malattia
avessero. Specialmente in tempo di colera del 1854-55, [...] non solo era pronto
ed assiduo ad assistere spiritualmente i colerosi, ma si recava nelle case anche la
sera dalle dieci alle undici a cercare del granturco per le famiglie bisognose
...»37. In verità, al tempo del colera tutta la comunità dei Servi di Maria si
prodigò nell’assistenza ai colerosi, con l’aiuto del priore provinciale p. Domenico
Guidi e di altri due frati venuti da Firenze; ma certamente infaticabile fu l’attività
del Curatino. Di notte dormiva vestito sopra una branda che aveva fatto mettere
in archivio parrocchiale, la stanza più vicina alla porta d’ingresso del convento,
per essere pronto ad ogni chiamata. Senza preoccuparsi di rimanere egli stesso
vittima del contagio, diceva: «Non è necessario aver vita lunga, ma necessario
approfittare dell’ora che Dio ci dà, per fare il proprio dovere». La sua morte è
stata il sigillo finale posto a una vita totalmente spesa per gli altri.
Nel suo impegno di carità il Pucci coinvolse i laici. Il 29 giugno 1854
fondava nella sua parrocchia la “Società di San Vincenzo de’Paoli” insieme a
Pergentino Caramelli, zelante membro della conferenza vincenziana di Prato. Il
Caramelli si era adoperato per iscrivere il Pucci alla conferenza pratese, molto
attiva. Si conserva la corrispondenza che il Pucci ebbe con la Conferenza pratese
e il suo presidente Martino Benelli 38.
Non si può non ricordare l’attenzione rivolta ai bambini allora detti
“scrofolosi”, colpiti cioè da adenite tubercolare (infezione delle ghiandole
linfatiche). Con l’aiuto delle Suore Serve di Maria di Viareggio (da lui fondate
con Caterina Lenci e poi confluite nel 1910 nella congregazione delle Serve di
Maria di Pistoia) istituì la prima colonia marina. La sua non fu la prima iniziativa
di assistenza (il primo esperimento terapeutico si era avuto a Pisa intorno al
1815), ma fu la prima realizzazione di una vera e propria colonia marina, con la
costruzione di un edificio costruito appositamente a questo scopo in riva al mare.
L’iniziativa del Pucci mostra come egli sapesse cogliere le intuizioni del suo
tempo e coinvolgersi in esse. Si iscrisse, per esempio, all’Arciconfraternita della
Misericordia, sorta a Viareggio una ventina di anni prima del suo arrivo.
Il Pucci si è calato nella povertà della gente anche attraverso la fedeltà al
ministero della riconciliazione, cui dedicava parte notevole della giornata. Un
compito sicuramente centrale del presbitero, uomo dell’ascolto della parola di
Dio e insieme dell’ascolto dei travagli della gente, come ha affermato il concilio:
i presbiteri dovrebbero esercitare «al massimo grado il ministero della
riconciliazione e del conforto per i fedeli penitenti o ammalati» (Lumen gentium
28; cfr anche Presbyterorum ordinis, 13) e, in particolare, «i parroci si ricordino
36
Testimonianza del farmacista Ulisse Michetti, in P. ORLANDINI, Sant’Antonio Maria Pucci, p. 57.
Testimonianze di Pietro Larini e Antonio Del Pistoia, in P. ORLANDINI, Sant’Antonio Maria Pucci, p.
57.
38
Epistolario, p. 62-63 (lettera del 31 agosto 1853); 68-69 (lettera del 4 gennaio 1854); 81-82 (lettera del
17 marzo 1855).
37
52
che il sacramento della penitenza contribuisce al massimo a sostenere la vita
cristiana: quindi si mostrino sempre pronti ad ascoltare le confessioni dei fedeli»
(Christus Dominus 30).
Il Curatino seppe condurre molti alla misericordia di Dio anche
perdonando chi l’avesse offeso e educando al perdono. Ingiuriato una volta, in
pieno giorno, da un massone, che gli diede anche un pugno, non ne volle mai
parlare. Riprendeva sempre chi parlava male del prossimo; neanche dei peccatori
voleva che si dessero giudizi. Accogliere, perdonare, curare le ferite come il buon
samaritano della parabola evangelica che egli spiegava così alla gente:
Le opere del samaritano […] dicono a ciascheduno di noi quello che
sta registrato nell’Ecclesiastico: «Aiuta il tuo prossimo nel miglior
modo che puoi» (Sir 29, 20), a seconda dei mezzi che ti ha dato la
divina provvidenza. E perciò, avete voi dei denari? Sollevate la miseria
dei bisognosi [...]. Avete voi credito e stima? Servitevene per difendere
l’innocenza e la pudicizia altrui, per salvare dalle mani dei prepotenti
la vedova, l’orfano e il pupillo. Non avete né ricchezze né autorità, ma
avete tempo, avete sapere abbastanza? Ebbene servitevi del tempo e
del sapere per insegnare agli ignoranti, per consolare gli afflitti, per
visitare gli infermi, per prestare insomma tutti quegli uffici di carità,
che sono in vostro potere. [...] Il ferito lungo la strada di Gerico era un
ebreo, e quello che gli fasciò le piaghe e lo curò con tanta carità era un
samaritano. Gli ebrei erano dichiarati nemici dei samaritani [...]; ma
appena il samaritano vide quel povero ebreo sì malamente trattato dai
ladri che tosto si mosse a compassione di lui come se fosse stato un
suo amico il più caro. Riflette sant’Agostino che appunto Gesù Cristo
portò al dottor della legge questa parabola per farci intendere che la
legge della carità fraterna deve essere universale. Prima cioè dobbiamo
amare, aiutare e soccorrere quelli che ci sono stretti per parentela e per
sangue e di poi tutti quanti, o siano barbari o colti, o cristiani o gentili,
o turchi o ebrei, o cattolici o scismatici, tutti dobbiamo amarli39.
Dobbiamo amare anche i nostri nemici, perdonare loro le ingiurie, e
quando essi si trovano in bisogno siamo obbligati a soccorrerli per
quanto ce lo permettono le nostre forze.40
Preghiera, studio, meditazione, partecipazione fedele alla liturgia
comunitaria, servizio parrocchiale, servizio all’interno dell’Ordine, cura dei
poveri e degli ammalati, assiduità al ministero della riconciliazione … La
39
Interessante questo passaggio dall’ampio respiro ecumenico, anche se il Pucci era molto attento a
possibili infiltrazioni di idee non ortodosse in mezzo al suo popolo (cfr lettera del 2 dicembre 1857
all’arcivescovo di Lucca, mons. Giulio Arrigoni, per informarlo che «molti dei nostri marinai viareggini,
trovandosi in Genova, sono andati e vanno ai convegni dei Protestanti [...] e ivi odono predicare l’eresia
[...]; di più ricevono dai predicanti l’errore libracci pieni zeppi di eresie e bibbie del Diodati e il tutto
portano a Viareggio» (Epistolarii, p. 122). Chiede al vescovo che faccia perquisizioni nei bastimenti e tra
le persone che sono a bordo. Cfr anche la lettera scritta il 18 gennaio 1858 al vicario generale di Lucca,
monsignor Andrea Giusti, perché prenda provvedimenti nei riguardi di un suo giovane parrocchiano,
Cesare Mallegni, che andava predicando teorie eterodosse (cfr Epistolario, p. 124).
40
Parole di un Padre e pastore, p. 93 e 95.
53
giornata del Pucci sembra non conoscere soste41. È l’attività di una persona
con doni eccezionali, che insegna anche a noi poveri come imprimere alla
nostra giornata un ritmo intenso, ma senza affanno perché è a Dio che
dedichiamo ogni giorno il nostro tempo migliore.
3. Come la Serva del Signore
La devozione alla Vergine è stata un’altra fonte importante di ispirazione
per il ministero sacerdotale del Pucci, oltre ovviamente che per la sua vita di frate
Servo di Maria. Il concilio ha indicato nella devozione alla Vergine santa uno dei
mezzi che favoriscono la vita spirituale del presbitero: la Vergine Maria è colei
che ci guida nella comprensione della parola divina e ci aiuta a divenire sempre
più pronti a corrispondere ad ogni esigenza della missione. «Sotto la guida dello
Spirito santo [Maria] si consacrò pienamente al mistero della redenzione umana.
Ella è la madre del sommo ed eterno sacerdote, la regina degli apostoli, l’ausilio
dei presbiteri nel loro ministero: essi devono quindi venerarla e amarla con
devozione filiale e con il culto» (Presbyterorum ordinis, 18).
Il Pucci ha venerato la Vergine specialmente sotto il titolo di Addolorata.
Pur con tutte le esagerazioni che possono esserci state nella storia dell’Ordine
riguardo a tale devozione, si tratta di una intuizione spirituale di grande
significato. I Servi, dalla partecipazione della Madre alla missione redentrice del
Figlio, imparano a «comprendere e sollevare le umane sofferenze» (Costituzioni
OSM, art. 6). Fin dalle origini il servizio che l’Ordine ha prestato agli infermi, ai
poveri e ai pellegrini, si è ispirato alla Mater dolorosa. «Ci chiamiamo Servi
della Vergine gloriosa, della cui vedovanza portiamo l’abito», spiega san Filippo
a chi gli chiede informazioni sull’identità dell’Ordine (Legenda “vulgata”, 8).
Vergine gloriosa e insieme addolorata, come appare nelle tavole duecentesche di
Coppo di Marcovaldo, la Madonna del bordone (Siena) e la Maestà dei Servi
(Orvieto): la Madre di Dio è seduta in trono, col Bambino sulle ginocchia,
assistita da angeli e santi, e rivestita di un manto nero ravvivato da pieghe
dorate, Madre gloriosa, avvolta dalla luce di Dio, e insieme Donna
contrassegnata dalla sofferenza. Ai piedi della croce con santa Maria i Servi sono
vicini a quelli che soffrono per aiutarli a scoprire la luce che splende anche nel
dolore. È in questa ottica che dobbiamo capire la devozione del Pucci
all’Addolorata42.
Un suo confratello testimonia che «la devozione alla Madonna,
specialmente Addolorata, è una cosa tutta speciale nella vita del Padre Pucci ...
41
Un’attività che gli costava comunque sacrificio e fatica. In una lettera a fra Costantino Cecchi, priore
del convento di Pisa, del 14 giugno 1865,il Curatino fa questa significativa confidenza: «Mi dite che non
potete dormire, e io per lo contrario non mi levo mai il sonno, e quando mi chiamano la mattina se avessi
tempo dormirei altre due orette» (Epistolario, p. 230).
42
Dal giorno del loro arrivo a Viareggio i Servi di Maria rivolsero il loro ossequio alla Vergine
Addolorata e fin dalla prima celebrazione pubblica, il 6 giugno 1841, ne esposero sull’altare una piccola
statua, promuovendo poi tra i fedeli la recita della corona dei sette dolori e l’iscrizione alla “Confraternita
dell’abito dei sette dolori di Maria vergine”. L’anno successivo, il 1842, l’artista Graziani di Faenza
scolpì una statua dell’Addolorata, collocata sull’altare del transetto destro della chiesa ed esposta alla
pubblica venerazione il 26 febbraio 1843.
54
nell’ultima malattia, nel delirio della febbre, ripeteva: Vi raccomando la
Madonna Addolorata»43. In una omelia ai frati il Pucci presenta l’Addolorata in
questo modo: «Sul Calvario il moribondo Gesù ci raccomandò a Maria sua
Madre nella persona del diletto Giovanni, e a lei ci lasciò come figli; ed ella ci
accettò in suoi figli e come tali ci ama, ci guarda, ci difende; e come tale da noi
ne allontana quanto ci può recar nocumento; mitiga le nostre pene e stilla ne’
cuori amareggiati il dolce balsamo delle celesti consolazioni»44.
Il Curatino si adoperò perché il culto dell’Addolorata fosse vivo non solo
nella sua comunità, ma anche per il popolo a lui affidato. Quando il mare era in
burrasca, faceva scoprire il simulacro dell’Addolorata e suonare le campane per
radunare il popolo a pregare. Propagò il culto anche nella classe marinara, «tanto
che molti ex-voto che si vedono nella cappella dell’Addolorata sono di marinai, i
quali hanno, anche a bordo, tutti quelli che conosco io e credo che siano
veramente tutti, l’immagine dell’Addolorata». Dice un confratello (Sostegno
Guglielmi) che «non si faceva in Viareggio alcun varo di navi o barche senza che
egli fosse chiamato a benedirle e a tenere scoperta in quel tempo la sacra
Immagine, la quale veniva pure scoperta quando vi era in mare qualche nave
pericolante»45. Grazie a lui Viareggio è diventata per eccellenza la Città
dell’Addolorata, come ebbe a ricordare papa Pio XII il 23 giugno 1952
nell’udienza ai Servi e ai pellegrini giunti a Roma per la beatificazione del Pucci.
La pietà mariana fu per il Pucci stimolo non solo per un’attenzione sempre
più generosa alle necessità della gente, ma anche per un’azione pastorale intensa
e nuova. Nel 1864 compose La riforma dei capitoli della ven. Compagnia di
Maria Santissima Addolorata e la rese un’associazione adattissima a collaborare
con il parroco in tutte le necessità della vita parrocchiale.
***
Sant’Antonio Pucci: un parroco che l’intera città ha sentito come suo,
come chiaramente attesta l’annuncio funebre che l’amministrazione comunale di
Viareggio, in maggioranza liberal-radicale, fece affiggere sui muri di tutte le
strade della città:
[…] tutti siamo stati testimoni dell’abnegazione, della
carità e dello zelo con cui fu da esso costantemente
esercitato. Anzi, Egli non dubitò di rinunziare a più alti e
onorevoli uffici per consacrare anche gli ultimi giorni della
sua vita apostolica al bene di questa città che riguardava
come sua patria.
[…] L’ingratitudine non è pianta che alligni nel nostro
suolo. Accorriamo, pertanto, ad accompagnare la Salma del
benemerito Estinto all’estrema dimora, ne sia questo
43
Testimonianza di p. Gioacchino M. Ducceschi, in P. ORLANDINI, Sant’Antonio Maria Pucci, p. 69.
In lode di sant’Antonio Maria Pucci, CLIOS, Ed. Marianum, Roma 1991, p. 106-107.
45
Testimonianza di Ulisse Michetti, in P. ORLANDINI, Sant’Antonio Maria Pucci, p. 71.
44
55
l’ultimo tributo del nostro dolore e del nostro affetto a chi
dobbiamo una riconoscenza imperitura.
Di fronte a un amore disinteressato e gratuito ogni barriera ideologica
cade. In questo amore, dato a tutti, la vocazione sacerdotale trova la sua vera e
profonda identità.
56
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Riflessioni su sant`Antonio Pucci