Lemie Il paese di Lemie si trova in Val di Viù, la più meridionale delle Valli di Lanzo; la valle è attraversata dal ramo della Stura di Lanzo che, con altri torrenti più o meno importanti, la rende molto verde e ricca di acque. Le montagne che si possono vedere sono il Rocciamelone, la Torre d’Ovarda ed il Lera; il paesaggio è poi reso ancora più affascinante da estesi boschi di faggi e da diversi laghi. Di tutte le vallate questa ha la particolarità di essere stata la prima ad accogliere dei villeggianti già dal 1600 – 1700; è per questo motivo che nei paesi come Viù, Lemie, Usseglio e frazioni, sono state costruite ed ancora presenti prestigiose ville. In particolare, a Lemie, si possono ammirare la villa Pacotti, la villa Gerbino-Buzzi, la villa Albera e la villa Pereno. Lemie si trova dunque in provincia di Torino, a circa 60 km dal capoluogo piemontese, ad un’altezza di 960 m.s.l.m. ed ha nel suo territorio ben 14 frazioni. Leggendo alcuni opuscoli che mi sono stati donati dal sindaco, ho trovato molte notizie legate alle tradizioni, alle leggende popolari ed alle origini del posto (rif. Asterischi Lemiesi di Don Luigi Caccia, Le Masche ‘d Barma Fré di Bajetto Marilena e Toscano Paolo, Val di Viù edito dalla Comunità Montana Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone), quindi ho pensato di riportare di seguito alcuni cenni, lasciando ai più curiosi di reperire tali scritti per una lettura più attenta. Il suo nome ha origini curiose e misteriose: da “limes” cioè “linea di confine” in latino, in quanto, un tempo, nelle località di confine stazionavano le truppe di frontiera degli antichi romani (milites limienses) a “Lamiae” e cioè le fantasiose masche o fate; c’è anche chi sostiene invece che derivi dalla pronuncia del vecchio patois locale: quindi “limes” / “laimia”. Il tempo e le razzie dei barbari hanno fatto scomparire moltissime tracce della civiltà dei romani, ma non hanno però fatto dimenticare le lamiae o masche nei racconti fantasiosi della gente della valle. Ed ecco che nei freddi mesi invernali e nelle lunghe e calde giornate estive, la fantasia dei vecchi portò nelle case e tra la gente innumerevoli racconti e favole: le cointe o cunte. Ogni angolo di quei luoghi, dagli orridi, alle rocce, alle cascate, ai casolari, agli alberi, divennero così sede di ritrovo di masche, diavoli e mascùn con processioni notturne, masche volanti a cavalcioni di manici di scopa, diavoli, anime in pena ed addirittura neonati rapiti dalla culla incustodita; e se poi qualche masca si lasciava sorprendere dalla luce del giorno, questa si trasformava in gatto nero, in cagnaccio, in uccellaccio o addirittura in pecora o capretta. Solo successivamente ad una piacevolissima gita, accompagnato dal sindaco, ho capito cosa può significare tutto questo! Dopo qualche ora trascorsa a girovagare nell’abitato di Lemie, alla scoperta della cascata, di angoli “fotografici” e di sentieri confinanti con le varie proprietà private, nel pomeriggio siamo andati all’alpeggio su per l’Ovarda; percorrendo la strada che porta agli alpeggi, dopo aver superato le ultime case di una frazione di Lemie, ho cominciato ad assaporare il gusto di qualche cosa di particolare; poco a poco, i boschi di faggio hanno lasciato spazio a pascoli ed a case - alpeggi dislocate qua e là. Dopo esserci fermati nei pressi della suggestiva cappella di San Bartolomeo, ho visto il masso erratico di Barmafré (si dice che sia rotolato fino lì con la glaciazione) e, mentre il sindaco raccontava di come avrebbe voluto dare ancora più importanza a quel masso ed alla zona circostante, mi sono soffermato a pensare come quel luogo avesse qualche cosa di magico, senza sapere che nelle storie delle masche, si racconta che proprio in quel punto le streghe si fossero date appuntamento per organizzarsi a farlo rotolare giù per la valle, ma che una di loro fosse riuscita ad impedirlo. Da tutte queste fantasie popolari traspare la volontà moralistica d’inculcare a donne, giovani e bambini di non uscire di casa la sera ed alle giovani mamme di vegliare continuamente i propri bambini. Tutto ciò, però, non impediva ai ragazzi di andare “ampeschè” (n.d.r. andare nella stalla a far la corte alle ragazze) e così uscivano coraggiosamente la notte cingendosi i pantaloni con una cinghia benedetta, oppure infilandovi un affilato “trincet” ed alle mamme di assicurarsi la tranquillità, appendendo alla culla un’immagine benedetta ed esponendo sulla porta di casa un “siri pascà”. Un’antichissima tradizione vuole che verso la fine di giugno (oggi avviene il 24, giornata di San Giovanni) si appendano dei ramoscelli di noce alle porte ed alle finestre per ottenere protezione nell’annata agricola e come augurio di salute, fortuna e buoni affari. Un’altra usanza, come d’altronde anche in tanti altri paesi, era la benedizione pasquale delle case; ma con il passare del tempo e degli anni, la cosa divventava sempre più dura per il povero parroco! A questo proposito si racconta che, non riuscendo più a salire fino all’alpeggio, il prete avesse chiamato il margaro urlandogli: “Ehi, ti posso benedire da quaggiù?” e prontamente il margaro, alzando in alto una tumà, replicò: “Va bene, ma questa la più anche vedere da laggiù!”. Un’altra usanza antica e, direi anche un po’ particolare e …costosa è quella riguardante le nozze tra due giovani dove era previsto che, anziché ricevere regali, erano gli sposi che dovevano farne e così si regalavano scarpe per la suocera, cappello o camicia al suocero ed altri capi di vestiario agli zii e parenti. Purtroppo la continua e rilevante diminuzione di abitanti (nel 1848 il censimento contava 2230 abitanti mentre oggi sono meno di 200), la modernità con le discoteche, internet ecc. tendono a mettere in secondo piano molte tradizioni facendo sì che tutto ciò rimanga solo nei ricordi del passato. Ma allora cosa è rimasto a Lemie? Che particolarità ha questo paese? Lemie, nonostante sia il più piccolo della Val di Viù (Viù ed Usseglio hanno un’estensione territoriale all’incirca doppia) ha competenza territoriale variabile dai circa 900 m.s.l.m. ai circa 3.000 m.s.l.m. ed i principali corsi d’acqua che lo attraversano son: la Stura, l’Ovarda ed il Nanta di Vallorsera. Il territorio circostante, ricco di boschi di faggio, può essere esplorato percorrendo sentieri che portano alla scoperta delle borgate e dei laghi. Lungo i percorsi si possono poi trovare molte fontane ancora in funzione, ma che un tempo servivano, oltre che prelevare acqua, anche per costruirvi intorno la “crota”, nella quale si conservavano il latte, il burro ed i formaggi; naturalmente anche nell’abitato di Lemie si possono trovare molte fontane sparse qua e là. Un altro luogo famoso che rievoca una storica zuffa tra i confinanti paesi di Lemie e Mocchie (paese della Val di Susa), avvenuta nel lontano 2 agosto 1837, è l’altopiano del Colombardo; ancora oggi, l’evento è ricordato e festeggiato dagli abitanti dei due comuni con una festa sull’altopiano, a base di polenta, spezzatino, salsiccia ed il tutto accompagnato da ottimo vino. All’inizio sono state citate le ville costruite dagli aristocratici provenienti dalla città, ma occorre ricordare come il territorio sia ricco di chiese più o meno importanti, ma molte di queste, ricche di dipinti ed affreschi: tra queste ricordo appunto la cappella di San Bartolomeo sull’Ovarda o il Santuario degli Olmetti a Chiandusseglio. Per chi ha voglia di scoprire un capolavoro dell’arte degli scalpellini e muratori della valle, deve recarsi nella frazione Forno per vedere l’omonimo ponte in pietra; fu costruito nel 1477 su 2 arcate (una di 10 m. di luce e la seconda di 4 m.) ed è secondo per vetustà e bellezza soltanto al famoso “ponte del Roc” o più comunemente “Ponte del Diavolo” di Lanzo, risalente a 99 anni prima. Un’altra opera rilevante di Lemie è il campanile, costruito accanto alla chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo (patrono di Lemie, festeggiato l’ultima domenica di settembre) sopra un enorme masso che sovrasta il paese. Le origini risalgono al 1808 e, l’allora prevosto di Lemie, decise di costruirlo in sostituzione di quello esistente poiché ritenuto troppo piccolo e modesto per l’imponenza della chiesa. La costruzione è di forma quadrata di circa 5 m. per lato ed è alta 27 m. ed è sormontata da una croce. Nell’era odierna dei computer, delle fabbriche e del lavoro rivolto ai servizi, è interessante conoscere con quali mezzi le persone vivevano, quali lavori erano predominanti e quali erano gli strumenti di lavoro quotidiano. I libri raccontano che il lavoro principale di quasi tutte le famiglie era rivolto all’allevamento: bovini, capre, pecore e, naturalmente il maiale; questo fatto comportava anche il costruire le case in modo molto simile, composte quindi dall’abitazione, dalla stalla e dal fienile. Legata all’allevamento c’era anche la coltivazione dei prodotti della terra, principalmente la coltivazione dei prati per la produzione del fieno. Inoltre, molti lavoravano il legno, non solo per fare legna da ardere ma anche per costruirsi gli attrezzi da utilizzare nella vita quotidiana, quali sgabelli, gerle, slitte, ciotole, sporte, stampi per il burro e le tome, ecc. Come in altri luoghi dell’Italia, anche qui si era diffusa nei primi decenni del 1900 la coltivazione della canapa che occupava i membri delle famiglie, ma soprattutto, le donne, per molti mesi l’anno considerando che la semina avveniva in primavera, il raccolto in estate e, una volta terminato il raccolto, iniziavano la lavorazione. Termina qui la mia descrizione sommaria delle particolarità di Lemie e della vallata di Viù; il mio intento era semplicemente qiello di avvicinare il turista alla scoperta di quest’ angolo della valle; ringrazio il sindaco sig. Giacomo Lisa per la collaborazione e per aver fornito la documentazione che mi ha aiutato a trarre spunto per la stesura dello scritto. etätzÇtÇ| ctÉÄÉ Pubblicazioni consultate: Asterischi Lemiesi di Don Luigi Caccia, Le Masche ‘d Barma Fré di Bajetto Marilena e Toscano Paolo, Val di Viù edito dalla Comunità Montana Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone