a cura di LA L∴ “CARLO PISACANE” DI PONZA (Anno 1931–1932 dell’E∴ V∴) Che la Massoneria continui la sua esistenza e la sua opera in ogni tempo e in ogni circostanza è cosa da non mettersi in dubbio; solo cecità di spiriti vuoti può presumere di interrompere e, ancor meno, di porre termine a quelle Istituzioni universali così feconde di bene spirituale, che accompagnano e illuminano il cammino della civiltà. La Massoneria è forse la più caratteristica di tali istituzioni, sia per la sua antichità, sia per il disinteresse dei membri che la compongono, sia per la struttura e il modo dei suoi lavori nell’interno dei Templi e nel mondo profano, sia infine per la disposizione al sacrificio che una saggia e libera educazione imprime e, direi quasi, impone. Non è da stupire che sistemi politici di regresso tentino sopprimerne la voce accusatrice e ribelle, ma, ripeto, la Massoneria continua a vivere serena, laboriosa e benefica: vive dappertutto nei Paesi che per tradizione e per educazione civile godono l’inestimabile beneficio della libertà; dove questa manca, vive nelle manifestazioni e nelle riunioni ristrette, saltuarie e alquanto pericolose che si tengono in un caffè, in un locale della periferia, nella casa ospitale di un Fr.; vive soprattutto nei nostri cuori, ardenti di passione, avidi più che mai di fraternità; tesi con tutta la fiducia verso il fatale domani. Assai più difficile è la vita sostanziale e formale di essa, quando il sospetto della tirannide e gli occhi polizieschi di un regime violento e liberticida vigilano per sorprendere, per comprimere, per soffocare; difficilissima, per non dire impossibile, una qualsiasi attività massonica in un ambiente di confino, dove sospetto, prepotenza, malvagità assumono le forme più acute e più perfide. Non è mia intenzione di accentuare l’impressione di difficoltà e di asprezza del confino, se dico che a sorvegliare 250-300 confinati stavano circa 100 militi di varie armi; che tutt’intorno, ai limiti di confine, erano militi armati di baionetta; che questi limiti si riducevano di quando in quando, senza che un logico motivo giustificasse il provvedimento; che la censura più intollerante si esercitava su tutta la corrispondenza in arrivo e in partenza; che ogni movimento, ogni passo, ogni incontro erano notati da occhi malevoli e potevano essere causa di duri provvedimenti disciplinari, di trasferimento e talvolta anche di azione giudiziaria; che ad aggravare terribilmente questa situazione era il contrasto insanabile tra le due autorità, la Direzione di P. S. e la Milizia coi suoi ciechi, feroci, ignoranti gerarchi e subalterni. Occorrono pertanto circostanze eccezionalmente favorevoli perché in un simile ambiente possa costituirsi e funzionare una L. M.: la presenza di una figura grande ed autorevole, come quella di Domizio Torrigiani; la presenza dì alcuni Fr. già appartenuti all’Istituzione in varii Or.; la presenza di alcuni elementi predisposti ad apprendere e praticare i nostri principi e più assetati della nostra luce per le sofferenze patite, che ne han fatto delle vittime e per l’attuale più aspra limitazione delle libertà, che ne faceva dei martiri. Occorre anche una certa forza di carattere ed una certa disposizione a nuove sofferenze per una fede tutta ideale e nobilissima della dignità umana. Io che mi astenni sempre da quelle agitazioni assai frequenti che trovavano pronti i confinati militanti nei partiti politici più accentuati, non ho esitato, appena si è intravvista la possibilità di dare la mia modesta collaborazione, a rendere attuabile quello che pareva sogno irrealizzabile. La figura più eminente tra quante furono al confino nel periodo della mia vita a Ponza fu senza dubbio quella di DOMIZIO TORRIGIANI; ancora a tanta distanza di anni vedo bensì alcune belle intelligenze, qualche insigne e distinto ufficiale superiore della prima guerra mondiale, ma in verità non potrei ora ripetere di essi il giudizio favorevole di quei tempi. Di Torrigiani sono ben sicuro che né ambizioni politiche né estremismi di concezioni e di attività né mediocri esibizionismi avrebbero fatto declinare o inquinare il carattere adamantino. Di lui scrivevo nel 1941: «Gran Maestro della Massoneria nel periodo più turbinoso, che vide l’interruzione dell’attività di questa Istituzione, aveva della vita interna italiana e dei rapporti coll’estero una così vasta e profonda conoscenza che, se avesse raccolto materiale per la storia di quell’epoca colla notizia della parte che egli vi ebbe, avrebbe scritto pagine del più vivo interesse. Questa parte mancherà, io credo, ai futuri narratori e sarà un vuoto ben grave dal punto di vista della documentazione. Avvocato facondo, intelletto vivo ed aperto, portato e confermato nella carica suprema dell’Ordine con largo consenso e con dirette e generali simpatie; non solo in Italia, ma anche in America ebbe molteplici attestazioni di stima ed era uomo che in altre circostanze di vita nazionale avrebbe potuto fare molto bene, contribuendo ad incanalare l’Italia nelle grandi e più moderne correnti della vita internazionale. «Queste possibilità che io ho intuito, ma delle quali egli mai non fece cenno, furono impedite, quando egli cadde vittima della sua posizione, e, per aver conservato integro il carattere e pura la coscienza, non trovò indulgenza. «Purtroppo io lo conobbi in periodo di decadimento e di esaurimento; il lungo confino lo aveva reso irascibile, pessimista, poco propenso a confidenza e, direi, stanco della lotta, se non addirittura della vita, a cui pochi affetti lo legavano. Finiti i cinque anni di confino, parte a Lipari, parte a Ponza, nel giugno del 1932 ritornò in Toscana nella sua villa, donde pochi saluti e scarsissime notizie ci pervennero. Poco tempo dopo, mi pare nel mese di agosto, i giornali davano, in un breve trafiletto, la notizia della morte, flebilis multis bonis. «Se verrà giorno, in cui qualcuno lo possa e lo sappia degnamente commemorare, è probabile che a nuovi compiti nella storia dell’umanità la patria sia chiamata». Quando io scrivevo queste parole (ripeto, era l’anno 1941 ed io era ancora in luogo di internamento) esse significavano: quando saremo liberati dal fascismo. Ora dal fascismo siamo liberati; commemorazioni di Domizio Torrigiani sono state fatte e veramente magnifiche, non ancora quella che io auspico e che spero non sia lontana, coll’augurio che l’Italia partecipi libera e fraternamente concorde alla storia del mondo civile e vi porti quel contributo di forze intellettuali e morali che abbondantemente possiede. Quando dunque, sotto una tal guida, dietro i suoi suggerimenti e col suo incitamento credemmo opportuno di accingerci all’opera, ci preparammo con entusiasmo, non senza una certa trepidazione, all’inaugurazione della L. “Carlo Pisacane”, alla presenza del Gr. Maestro, che vi aggiungeva la più austera solennità. L’opera fu intrapresa: non fu difficile identificare come Fr. quelli che più da vicino frequentavano Torrigiani; sebbene egli fosse dei pochi confinati, che avevano il privilegio di essere sempre seguiti a passeggio o vigilati in casa giorno e notte da agenti, tuttavia le relazioni erano stabili e le conversazioni liberamente intime. Gli altri si aggiunsero per conoscenza e apprezzamento personale, quale il contatto quotidiano in un ambiente, così ristretto, permetteva. Pertanto, previe tutte le considerazioni di ogni ordine che si possono immaginare, nel mese di giugno o luglio del 1931, nell’alloggio tenuto in affitto dal Fr. B. (n.d.c.: Bolelli), in una bellissima località prospiciente il mare, fu inaugurata la L. con acconce parole del Gr. Maestro, di chi scrive queste note e di altri. Non è facile né a me esprimere né forse a chi legge immaginare la commozione che ci pervase tutti in quell’occasione. Se in questi tempi ci turba intimamente l’inaugurazione dei nostri Templi, che ci trova riuniti dopo più di venti anni, densi di tanti allontanamenti e di tante vicende, si pensi che cosa poteva significare un fatto consimile in quell’isola, che ricordava il colpo di mano di Pisacane, che fu sempre luogo di deportazione per martiri di ogni nobile ideale, che raccoglieva anche allora dei ribelli, capaci di soffrire la miseria e la fame, ma insofferenti della schiavitù morale, sociale e politica. In quella seduta erano riunite le nostre persone, modeste per sé, ma che tuttavia esprimevano l’eterna aspirazione dell’uomo alla libertà del pensiero, che confermavano col nostro sacro giuramento la fede eterna nei principi da noi professati, che infine rappresentavano, in pochissimi, migliaia di altri Fr. o profughi in terra straniera o fermi al loro posto in patria, tutti legati da quel filo sottile, invisibile, ma infrangibile, che unisce indissolubilmente i migliori di noi, che non si fanno spergiuri. In quella prima seduta io ebbi l’onore di essere eletto ad assumere il Maglietto. Desidererete forse conoscere quale fu la nostra opera in un anno di vita della L. “Pisacane”. A questo proposito mi occorre anzitutto di chiarire che chi attende risultati concreti e tangibili dell’attività Massonica come da una Società profana o da un partito politico, è fuori strada. Noi vogliamo, sì, sempre, partecipare alla vita profana e apportarvi il contributo della nostra esperienza, della nostra moderazione, della nostra coltura e dell’educazione, che nei Templi veniamo via via acquistando, dobbiamo anche colla parola e soprattutto coll’opera essere esempio di virtù e di austerità, di serietà e di integrità nella famiglia e nella società. Ma ben più grande, sebbene meno rapido e meno appariscente, quel risultato che otteniamo, tendendo senza interruzione a perfezionarci e perfezionare, opera dello spirito, che nessun metro misura, ma che tuttavia ravviva la nostra vita di una luce sempre nuova. Ebbene anche a Ponza questo fu il primo compito: vincere nei Fr. vecchi e nuovi la tendenza alla delusione, al pessimismo, all’insofferenza, all’intolleranza. all’irascibilità, che l’Isola per sé e tutte le miserie congiunte facilmente generavano nella maggior parte e, attraverso i Fr., compiere il medesimo lavoro verso quegli altri fratelli di vita, che l’amicizia o la varietà di rapporti, a passeggio o nel camerone, nelle lunghe ore inerti o in quelle più serene del lavoro e dello studio mettevano a più diretto e continuo contatto. Un anno è stato troppo breve perché i risultati apparissero larghi e tangibili, ma io ho fiducia che essendo dei più anziani, abbia lasciato allora e in seguito qualche efficace stimolo a vincersi per vincere. L’istruzione propriamente Massonica è stata per necessità alquanto superficiale; tutto era affidato alla memoria, mancando ogni possibilità di procurarci e di tenere presso di noi opuscoli o manuali o libri di adatto insegnamento. Se noi risentiamo anche ora la deficienza di quelle pubblicazioni, di quelle notizie storiche, di cui siamo tuttavia assetati, ma che ci mancano, perché il tempo e la malvagità umana hanno distrutto tesori di dottrina, che avevamo raccolto con tanto gelosa cura, è facile pensare come questa deficienza fosse più sentita a Ponza. Eppure abbiamo fatto il possibile perché i neofiti sapessero e seguissero quelle forme che sono tanta parte della nostra convinzione e della nostra formazione spirituale. Un’altra opera non meno urgente e continua si rendeva necessaria in riferimento alla situazione politica: eravamo tutti vittime del fascismo, ci eravamo spesso illusi che quel colosso gonfiato su piedi di creta stesse ad ogni momento per crollare ed essere distrutto; per contro le manifestazioni della sua potenza erano tali da scombussolare e la propaganda falsa e bugiarda era assordante, cosicché non è da stupire se non tutti conservavano in sé la certezza che non crolla. Ecco dunque la necessità di un intervento sereno, ma fermo, ora per negare valore a fatti strombazzati, ora per opportuni richiami alla storia, che non conosce arresti, insomma per alimentare il fuoco dell’entusiasmo, la persuasione del ragionamento, la serenità dell’attesa che non conosce il dubbio, ed, in ogni caso, la tranquillità della coscienza. Progetti di varia natura furono ventilati ed anche lungamente discussi nelle nostre riunioni: creare una biblioteca a completamento di quella già esistente, con raccolta di volumi di più elevata cultura; costituire una cooperativa per acquisto e vendita di generi di prima necessità a condizioni di favore, naturalmente per i confinati; aiutarli nelle pratiche da svolgere a Roma o presso la Direzione o di qualsiasi altra natura, ed altre iniziative che non ricordo. Ma tutto questo era più facile pensare e proporre che attuare, data la fluidità e la mutevolezza di permanenza di tutti quanti. Quello che non ha mai cessato di funzionare è stato il Tr. della Ved.; non mi soffermo su questo punto, perché dovrei parlare delle difficoltà materiali là dove i più dovevano — oltre il vitto — far fronte a tutte le spese con cinque lire di sussidio giornaliero. I bisogni erano molti e se noi non abbiamo soddisfatto quanto richiedevano le necessità, non abbiamo tralasciato di intervenire in ogni caso più urgente o più pietoso con la maggior buona volontà. Quando il Gr. Maestro abbandonò Ponza, quando altri Fr. furono trasferiti, chi nell’isola di Ventotene, chi altrove, quando si preparava per l’amnistia del decennale il ritorno di altri alla propria residenza, la L. cessò di funzionare; continuarono i rapporti personali sempre più stretti tra i rimasti, continuarono i rapporti epistolari per lungo tempo densi della più fraterna cordialità, quando ci trovammo separati e sparsi per tutta Italia. Ritengo non opportuno trascrivere brani di lettere, di quelle poche che sono sopravvanzate alla dispersione di tante preziose reliquie distruttemi in questi ultimi anni. Ma, per dare un’idea dell’intima unione di spiriti, riporto un solo brano di una lettera che, dopo la mia partenza mi scrisse un giovane ….. neofita, purtroppo destinato a orribile morte, vittima della barbarie nazifascista: «Quante cose vorrebbe esternare il mio animo! ma purtroppo la circostanza speciale in cui mi trovo me lo proibisce e, mio malgrado, bisogna che mi inchini agli eventi, rimandando quanto è mio desiderio a miglior tempo e luogo. ..… E sono usciti vincitori, ma mi auguro che sia una vittoria di Pirro e che la giustizia di un domani più degno per gli uomini, cancellerà l’infamia di certe vendette vili; questo pensiero e la coscienza tranquilla mi rendono sereno di spirito e di carattere. «..... Se il mio buon f. vorrà superare i limiti angusti dello stile e scandagliare un po’ nella mia anima, si accorgerà che il suo giovane amico nutre per lei un affetto veramente forte e sentito e che — questa volta la dico grossa — lo rimpiange. ….. Sì, non si può non rimpiangere chi ha diviso con noi il pane ed il sale, portando sempre e dovunque la serenità del suo volto e la bontà del suo animo. …..». Poi anche la corrispondenza si interruppe e fu quando una disciplina più rigida impose ai confinati di non corrispondere più, se non coi parenti strettissimi. Quel che non interrompemmo fu sempre la ferma persuasione che il regime di violenza e di assolutismo aveva i giorni o i mesi o gli anni contati e che quelli che sopravvivevano avrebbero avuto la gioia di cantare il peana della vittoria. Purtroppo a parecchi dei nostri Fr. questa gioia fu negata: taluni passarono all’eterno Or. per debito di natura, taluni morirono immaturamente, due furono tra i martiri delle Fosse Ardeatine, barbaramente trucidati dal furore teutonico. Quelli che sopravvissero non dubito che nei giorni della lotta per la liberazione, se l’età lo consentiva, si trovarono al loro posto di combattimento e spero che ulteriori ricerche mi mettano in grado di saperli vivi e felici a dividere con Fr. di tutta Italia la gioia della riconquistata libertà e, così spero, rientrati regolarmente nell’Istituzione a continuare l’opera così nobilmente cominciata a Ponza. Se si fosse voluto costituire artificialmente una L., difficilmente si potevano scegliere in modo migliore e più perfetto i Fr. che risultavano i più adatti e più desiderabili. Due caratteristiche infatti si possono notare nella L. “Pisacane” di Ponza. Tutta l’Italia, si può dire, vi era rappresentata e questa unione aveva come un carattere simbolico di nazionalità, che dalle Alpi alla Sicilia si manifestava con un solo desiderio, con una sola aspirazione costante e bruciante, quella di vedere la nostra Patria rientrare un giorno tra le nazioni libere e civili, cancellando l’onta del regime antinazionale e antirisorgimentale. In secondo luogo, tutti i partiti vi erano rappresentati, quasi a dimostrare tangibilmente che in Massoneria tutte le ideologie politiche possono essere accolte, purché in buona fede professate e col rispetto delle opinioni altrui. Ecco l’indicazione dei Fr., che, parte entrati nella prima costituzione, parte iniziati successivamente, parte già inscritti all’Istituzione prima del forzato scioglimento, parte desiderosi della luce Massonica in ambiente di confino, appartennero alla L. CARLO PISACANE all’Or. di Ponza. DOMIZIO TORRIGIANI Gran Maestro Geom. Avv. Avv. Cap. Prof. Avv. Ing. Rag. Avv. B.(olelli) F.(ernando) Beltramini Andrea Campanile Silvio C. (non ricordo i dati personali) De S. A. F.(lorio) F.(oa) Martini Placido Mesefari Bruno P. M. P. I. Rittà Antonio (repubbl.) (social.) (comun.) Bologna Milano Roma (repubbl.) (democr.) (liber.) (social.) (repubbl.) (repubbl.) (liber.) Sicilia Torino Roma Reggio C. Parma Catanzaro Torino Campanile e Martini furono barbaramente trucidati alle Fosse Ardeatine. Dell’ideale della libertà questa nostra Istituzione ha sempre avuto gli apostoli, i difensori, i martiri; noi questo ideale abbiamo colle nostre modeste forze sostenuto e difeso; a Ponza, in mezzo alla più dura schiavitù fisica, abbiamo goduto la più alta libertà dello spirito. Io auguro che ancora e sempre, con forze unite, ci adoperiamo per difendere questo dono della libertà non solo dalla tirannide, ma dalle passioni, dal freddo calcolo, dall’avidità di lucro, dalla sterile ambizione, insomma da ogni gretto materialismo. Raggiungere la meta è opera superumana, ma il tentare di sostenere una degna lotta per salire un gradino sulla scala del perfezionamento, questa è la più semplice e più degna dell’uomo. (Orazione tenuta il 24 aprile 1946 nella seduta plenaria delle Logge dell’Oriente di Torino e riportata su L’Acacia Massonica, Anno II, Num. 1, Gennaio 1948). Appendice Grazie alla disponibilità dell’Illustre Fratello Carlo Ricotti, già Maestro Venerabile della Loggia Pisacane di Ponza - Hod n° 160 all’Oriente di Roma, è possibile integrare l’opera del Fratello Foa con alcune note storiche sulla “Loggia Clandestina”. «Sabato 12 novembre 2011 ho tenuto a Roma l’orazione celebrativa dell’ottantesimo della Loggia Garibaldi-Pisacane di Ponza Hod n. 160 all’Oriente di Roma. Trascrivo di seguito alcune delle fonti archivistiche da me rinvenute presso il Goi e da me utilizzate per la relazione. «ASGOI (Archivio storico del Goi, lettera del M.V. della R.L. Carlo Pisacane di Ponza di Rito Scozzese A e A., Valle del Tevere, Franco Miceli, al Gran Maestro Guido Laj, 24 marzo 1946, secondo anniversario delle Fosse Ardeatine: “Vi è noto infatti, ed è noto a gran parte dei fratelli, che il fratello Placido Martini, dopo il 25 luglio 1943, riprese a Roma i lavori della sua loggia, la Carlo Pisacane di Ponza; che essa al momento del di lui arresto - gennaio 1944 contava circa 60 fratelli; che dopo l’arresto e la fucilazione di Martini e di altri sette fratelli di loggia …….” «Il numero di Martiri della Loggia alle Ardeatine è confermato in una altra lettera di Miceli al Sovrano Gran Commendatore riguardo alla promozione nel rito scozzese di alcuni fratelli della Loggia, fra i quali Tullio Righetti del quale si ricorda la “solidissima prova di solidarietà fraterna nel tentativo di giovare ai 9 fratelli arrestati dalle S. S., ed all’unico superstite dopo la strage delle Fosse Ardeatine”. «I fratelli fucilati alla Ardeatine (appartenenti a Palazzo Giustiniani, n.d.c.) sono da me stati individuati, oltre a Placido Martini in Silvio Campanile, Mario Magri, Carlo Zaccagnini, Giuseppe Celani, Teodato Albanese, Carlo Avolio, Fiorino Fiorini, con qualche dubbio relativamente solo all’ultimo Fiorino Fiorini. «Oltre alle fonti archivistiche, ho utilizzato testimonianze coeve e le memorie di Mario Magri con le testimonianze della moglie Rita. Al riguardo consiglio la lettura di due libri di Corvisieri sul confino a Ponza (Zi Baldone e La Villeggiatura di Mussolini) dove sono accennate le vicende della Loggia Pisacane a Ponza e le straordinarie storie d’amore di Silvio Campanile e Mario Magri con due ragazze di Ponza che sposeranno e che li seguiranno fino all’estremo sacrificio». Carlo Ricotti. Note del curatore Il confino era, nel periodo fascista in Italia, sinonimo di messa al bando dalla società civile e di reclusione in remote località della nazione, dove vi erano poche vie di comunicazione. Al confino finirono i più grandi intellettuali antifascisti, forzatamente isolati su minuscole porzioni di terra in mezzo al mare (Pantelleria, Ustica, Ventotene, Tremiti, Ponza, per citare le isole più utilizzate) o in paesi del Sud Italia (ad es. Roccanova, Eboli, Savelli), così da separarli fisicamente, moralmente e socialmente da qualsiasi contatto con il resto del Paese. Il confino aveva una durata massima di 5 anni, che tuttavia potevano essere rinnovabili. I confinati venivano tradotti in catene, assimilati ai delinquenti comuni. Il Gran Maestro Domizio Torrigiani fu costretto, con decreto del 22 novembre 1925, a sciogliere tutte le Logge all’obbedienza di Palazzo Giustiniani, ma riservando al Grande Oriente il compito di continuare la vita dell’Ordine Massonico. Così la fiaccola della Luce iniziatica poté continuare a rischiarare negli anni bui della dittatura. Al ritorno dalla Francia, dove si era recato dopo lo scioglimento delle Logge, fu arrestato senza un valido motivo e condannato a cinque anni di confino, dapprima nell’isola di Lipari e poi in quella di Ponza da dove, finalmente, poté far ritorno nella sua villa di San Baronto in Toscana ove, divenuto semicieco, si spense dopo pochi mesi, il 31 agosto 1932. Il 4 dicembre 1943 Placido Martini, proveniente da Palazzo Giustiniani, partecipò alla ricostituzione della Gran Loggia d’Italia degli ALAM e gli fu affidato il Maglietto di Gran Maestro. Morì trucidato il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine con altri 17 Massoni: Silvio Campanile, anch’egli tra i fondatori della Loggia Pisacane, Teodato Albanese, Carlo Avolio, Umberto Bucci, Salvatore Canalis, Giuseppe Celani, Renato Fabbri, Fiorino Fiorini, Manlio Gelsomini, Umberto Grani, Mario Magri, Attilio Paliani, Giovanni Rampulla, Umberto Scattoni, Mario Tapparelli, Angelo Vivanti e Carlo Zaccagnini, a rappresentare, senza distinzione, le Obbedienze di Palazzo Giustiniani e di Piazza del Gesù. Florio Foa, condannato al confino a Ponza dal 1930 al 1932 per la sua attività antifascista, in quanto pubblicava un foglio clandestino, e nuovamente dal giugno 1940 fino alla caduta del regime ad un secondo confino in Abruzzo che, per sua fortuna, nel 1943 lo mise fuori della portata dei tedeschi. Nel marzo 1946 entrò a far parte, con vari altri, della ricostituenda Loggia Madre Ausonia che così riprese il suo posto nella massoneria torinese, e ne fu il primo Maestro Venerabile. A riconoscimento dei suoi meriti massonici ebbe negli ultimi anni di vita il titolo di Gran Maestro onorario ad vitam. Sebbene non risulti aver fatto parte della Loggia Pisacane, è doveroso ricordare Giuseppe Meoni, Gran Maestro Aggiunto; rimasto solo al comando dell’Istituzione durante il periodo fascista, eroicamente tentò di salvare il salvabile, cercando anche di porre la sede massonica fuori d’Italia, ma giunse prima l’ammonizione e poi, anche per lui, il confino all’isola di Ponza che lo portò, povero, malato e senza lavoro, a morte prematura. (Guglielmo Adilardi, Giuseppe Meoni Un maestro di libertà, Angelo Pontecorboli Editore – Firenze) 18 novembre 2011 dell’e∴ v∴