NICCOLÒ MACHIAVELLI E L’IDEA DI UNA MILIZIA Sogno umanistico o esercito efficace? Sweder Schellens 9859241 [email protected] Università di Utrecht - Dipartimento d’italianistica Corso di laurea in studi rinascimentali Relatore: Prof.dr. H.A. Hendrix 1 dicembre 2006 2 Indice Introduzione...................................................................................................................... 5 1. Gli eserciti in Europa fra Medioevo e Rinascimento. .................................................. 7 1.1 Introduzione............................................................................................................ 7 1.2. Europa.................................................................................................................... 7 1.3. Italia. .................................................................................................................... 10 2. Il giudizio di Machiavelli sui mercenari..................................................................... 17 2.1. Introduzione......................................................................................................... 17 2.2. Il parere degli umanisti del Trecento sui mercenari. ........................................... 17 2.3. Il parere di Machiavelli sui mercenari................................................................. 18 2.3.1. Gli scritti di Machiavelli............................................................................... 18 2.3.2. Conclusione. ................................................................................................. 25 2.4 I commenti sul parere di Machiavelli. .................................................................. 25 2.5. Il parere di altri scrittori rinascimentali sui mercenari. ....................................... 27 3. Maturarsi dell’idea di una milizia cittadina in Machiavelli........................................ 29 3.1 Introduzione.......................................................................................................... 29 3.2. La relazione fra la vita di Machiavelli e le sue opere. ......................................... 29 3.2.1. La giovinezza................................................................................................ 29 3.2.2. L’epoca di Giralomo Savonarola.................................................................. 31 3.2.3. Niccolò Machiavelli, il segretario fiorentino................................................ 32 3.2.3.1. Le prime missioni diplomatiche. ........................................................... 32 3.2.3.2. La milizia fiorentina. ............................................................................. 35 3.2.3.3. Le missioni presso Cesare Borgia. ........................................................ 38 3.2.3.4. La missione presso l’imperatore Massimiliano I................................... 41 3.2.3.5. La perdita di Prato e il rientro dei Medici. ............................................ 43 3.2.3.6. Dopo le attività pubbliche...................................................................... 45 3.3. Conclusione. ........................................................................................................ 46 4. Verso una teoria della milizia: Dell’arte della guerra................................................. 47 4.1. Introduzione......................................................................................................... 47 4.2. La milizia nei libri Dell’arte della guerra........................................................... 50 4.2.1. I pensieri fondamentali. ................................................................................ 50 4.2.2. Il reclutamento.............................................................................................. 53 4.2.3. L’organizzazione. ......................................................................................... 56 4.2.4. L’armamento. ............................................................................................... 58 4.2.5. L’addestramento. .......................................................................................... 59 4.2.6. Commento finale. ......................................................................................... 60 4.3. Conclusione. ........................................................................................................ 62 5. La milizia e la pratica. ................................................................................................ 63 5.1. Introduzione......................................................................................................... 63 5.2. L’opinione dei contemporanei............................................................................. 63 5.3. Il cittadino ideale. ................................................................................................ 64 5.4. Il reclutamento..................................................................................................... 66 5.5. L’autorità sulla milizia......................................................................................... 68 5.6. L’addestramento. ................................................................................................. 70 5.7. Conclusione. ........................................................................................................ 74 Conclusione. ................................................................................................................... 77 Bibliografia..................................................................................................................... 85 3 4 Introduzione. Nel corso di numerosi viaggi in Italia, ho avuto modo di ammirare le opere dell’arte figurativa rinascimentale e ciò ha fatto nascere in me un crescente interesse per la lingua e la cultura italiana e il desiderio di dedicarmi a studi specifici sul Rinascimento. Ho iniziato quindi a leggere libri ed altre pubblicazioni sull’argomento in cui – fatto che mi ha molto colpito - veniva prestata molta attenzione al ruolo dei condottieri nello sviluppo militare, politico e culturale del paese. In particolar modo, da un articolo dello storico Michael Mallett risultava che il famoso scrittore politico del Rinascimento Niccolò Machiavelli non stimava questi comandanti, anzi appariva chiaramente favorevole alla creazione di una milizia in sostituzione degli eserciti mercenari.1 A prima vista mi era sembrato un po’ strano che Machiavelli scegliesse un tipo di esercito del passato per la guerra del futuro, ed anche Mallett pareva dubitarne. Per me, che sono un ufficiale in pensione, questi elementi costituirono il punto di partenza e la ragione per approfondire lo studio delle idee di Machiavelli sulla milizia. Per una migliore comprensione di queste idee, è opportuno collocarle nella storia degli eserciti europei del Medioevo e del Rinascimento. Il primo capitolo della mia tesi sarà quindi un resoconto della storia militare dell’Europa e specialmente italiana, che ho elaborato soprattutto in base agli scritti di Mallett e di Pieri. Mentre il primo è uno storico che ha studiato specialmente i condottieri, il secondo ha dedicato un suo libro alla crisi militare in Italia nel Rinascimento.2 Al termine risulterà chiara la causa per la quale Machiavelli voleva creare una milizia: l’invasione da parte di Carlo VIII. Nel secondo capitolo cercherò di trovare, nelle opere di Machiavelli, la ragione per cui voleva sostituire gli eserciti mercenari con una milizia, e per far questo prenderò in considerazione il suo parere sui condottieri e sui loro eserciti. Secondo Mallett, Machiavelli era influenzato dalle idee degli umanisti del quattordicesimo secolo, pertanto seguirò anche qui un approccio storico, coinvolgendo nell’indagine l’opinione degli umanisti del Trecento. 1 Michael Mallett, ‘De condottiere’ De wereld van de Renaissance.Vertaling door Babet Mossel. Eugenio Garin red.( Amsterdam: Agon, [1991]), 43-68. 2 Piero Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana ( Torino: Giulio Einaudi editore, [1952 ]). Michael Mallett, Mercenaries and their masters; Warfare in Renaissance Italy ( London: The Bodley Head Ltd., [1974]). 5 Per una comprensione migliore dei pensieri di Machiavelli indagherò nel terzo capitolo se esiste una relazione fra la vita di Machiavelli come funzionario amministrativo della repubblica di Firenze e le sue opere. Nel quarto capitolo studierò le idee di Machiavelli sulla milizia. Ho scelto per questo scopo il trattato Dell’arte della guerra perché , essendo la sua ultima opera di argomento militare, vi si trova presumibilmente il suo parere definitivo. Metterò a confronto le idee esposte nell’Arte della guerra con quelle dei suoi scritti sulla milizia relativi al periodo 1505-1512. Fino a questo punto, la tesi tratterà di idee e pensieri. La milizia però era destinata alla pratica guerresca e ciò porta al quesito principale della mia indagine: soddisfaceva la milizia di Niccolò Machiavelli le condizioni per l’impiego efficace nella guerra del Cinquecento o era solo un concetto idealistico? La risposta a questa domanda forma il contenuto del quinto ed ultimo capitolo, in cui utilizzerò sia gli scritti di Machiavelli stessi sull’argomento sia lo studio di Martin Hobohm.3 3 Martin Hobohm, Machiavellis Renaissance der Kriegskunst, Erster Band (Berlin: Carl Curtius,[1913]). 6 1. Gli eserciti in Europa fra Medioevo e Rinascimento. 1.1 Introduzione. Il nucleo dell’esame fatto per questa tesi è formato dalle idee di Machiavelli per quanto riguarda la milizia cittadina com’esercito ideale per la Firenze del suo tempo. Per capire e per esaminare un fenomeno, occorre in genere la conoscenza dello sviluppo precedente. Questa mia idea è sostenuta da Mallett, quando afferma che c’è stato un lento trapasso dagli eserciti feudali del Medioevo alle forze professionali del tempo moderno. Non ci sono stati rivoluzioni militari come dicono alcuni storici. Non c’è stata una rottura fra il Medioevo e il Rinascimento nel campo culturale o intellettuale e neanche nel campo militare.4 Anche Pieri scrive che per valutare la pratica di guerra nell’Italia della seconda metà del secolo XV è necessario osservare le guerre dei secoli precedenti.5 Importante è anche studiare lo sviluppo europeo al di là delle Alpi. L’arte della guerra italiana non si è sviluppata separatamente da quella del resto dell’Europa. Durante il quindicesimo secolo soldati italiani hanno combattuto dappertutto nell’Europa e capitani stranieri hanno guidato i loro eserciti in Italia. 1.2. Europa. Nel Medioevo un esercito era formato dai nobili feudali con i loro paggi. Non c’era un comando centralizzato. Non esistevano studi o conoscenza della tattica militare. Non c’era l’attenzione per aspetti come il rifornimento, la conoscenza del campo di battaglia o i movimenti dell’avversario e le sue possibilità.6 Le principali attività guerresche erano gli assedi dei castelli e delle città fortificate. Gli eserciti medievali però erano piccoli (fra i tremila e i quindici mila uomini) e constavano soprattutto di cavalleria. Non erano quindi molto adatti per gli incarichi più importanti. Non si può parlare di un vero assedio, ma di un blocco di una città insieme con la devastazione del territorio. Inoltre i cavalieri erano sotto le armi soltanto per un periododialcuni mesi l’anno. Nella battaglia in campo aperto non c’era comando centrale o coordinamento. Si vedevano 4 Mallett, Mercenaries, 4-5. Pieri, 206. 6 Richard Preston, , e.a. Men in arms, A history of warfare and its interrelationship with western society (London: Atlantic Press,[1956]), 80-81. 5 7 soltanto lotte di un cavaliere con un altro. Importante era soltanto il coraggio personale. Raramente si vedeva una battaglia decisiva.7 La soluzione era una fanteria in grado di combattere in campo aperto. Un tal esercito non si può formare soltanto di propri cittadini. La conseguenza è che nella prima metà del Trecento vediamo i primi piccoli gruppi di mercenari per solvere il problema militare.8 L’Europa conosce dalla metà del Trecento uno sviluppo quasi rivoluzionario dell’economia. Il traffico mercantile, l’artigianato e il settore bancario crescono rapidamente e forniscono risorse finanziarie a nuovi e grandi stati. Gli stati unitari quindi potevano espandere la loro attività militare in un modo quasi illimitato. In Francia e in Inghilterra aumentava il potere monarchico. Fra il 1337 e il 1453 ebbe luogo la guerra dei Cent’anni fra la Francia e l’Inghilterra. La causa più importante di questa guerra era che gli inglesi pretendevano il trono francese. Noi siamo adesso soprattutto interessati alle conseguenze della guerra per gli eserciti europei.9 Questo conflitto è stato l’origine di un cambiamento nella formazione e nell’organizzazione degli eserciti, fra l’altro tramite l’introduzione dell’arco da parte degli inglesi. Durante la guerra dei Cent’anni risultò che la fanteria leggera con quest’arma nuova si poteva misurare con la cavalleria feudale dell’Europa continentale. Esempi ne sono le battaglie di Crécy (1346), Poitiers (1356) e Azincourt (1415) nelle quali la cavalleria francese subì una sconfitta scacciante. L’uso dell’arco portava ad un’armatura più pesante della cavalleria e una riorganizzazione del seguito. Il numero di soldati che sosteneva il cavaliere aumentò e l’armamento venne migliorato. In questa guerra vediamo l’inizio di uno sviluppo in cui la fanteria diventa la parte più importante dell’esercito. L’arco e la balestra (un arco lungo più di un metro) richiedevano un esercizio duro e proprio in questo tempo, nel 1300 circa, vediamo nell’Inghilterra lo sviluppo verso un esercito più professionale. L’importanza della nobiltà diminuisce e i comandanti delle truppe sono nominati e pagati dal re. Gli inglesi invece non riuscirono ad approfittare della situazione per via d’instabilità politica e di problemi logistici. La vittoria finale della Francia si basò soprattutto sulla fine del sistema militare feudale e sulla formazione di un esercito professionista e permanente. Nel 1439 entrò in 7 Pieri, 206-210. Preston, 81. 9 Ibidem, 82-92. Pieri, 222-226 e 229-231. Michael Mallett, ‘The art of war’ Handbook of European history 1400-1600, Late Middle Ages, Renaissance and Reformation.Brady, Thomas & Oberman, Heiko & Tracy, James, eds. (Leiden: E.J. Brill,[1994]): 536-38. 8 8 vigore una legge che dava soltanto al re il diritto d’imporre tasse per il mantenimento di truppe permanenti e quello di nominare gli ufficiali. Questo significava la fine delle compagnie di ventura e una consistente diminuzione del potere della nobiltà. Nel 1445 Carlo VII aveva un esercito permanente di ‘compagnies d’ordonnance’ con un totale di 6000 uomini circa. Ogni compagnia, comandata da un nobile, constava di cento cavalieri con il loro seguito di picchieri, armati con un’asta con punta di ferro, e di arcieri. C’era anche la possibilità di rafforzare le compagnie con una milizia mobile, costituita di tiratori dei ceti medi e inferiori. Questi erano chiamati ‘franc-archers’, perché nel tempo di pace erano esentati dal pagamento delle tasse. Le ‘compagnies ordonnance’ erano note per la loro disciplina e per il loro patriottismo. Accanto al cambiamento della struttura e della guida degli eserciti in quel periodo c’era anche un progresso nell’uso e nella tecnica dell’artiglieria. Già nel 1294 Roger Bacon aveva scoperto la polvere nera. L’utilizzo di armi da fuoco invece non si sviluppò velocemente.10 Fino al 1520 le armi da fuoco portabili non risultavano superiori ad archi e balestri. Prendeva molto tempo ricaricarle e durante quest’azione i soldati erano senza protezione. Nella pratica vediamo dunque una combinazione di armi tradizionali e armi da fuoco. L’importanza della polvere nera si deve cercare soprattutto presso l’artiglieria d’assedio. Vediamo dal 1480, specialmente in Francia, un progresso nella capacità di quest’artiglieria. La velocità di fuoco, la forza di penetrazione e la portata aumentavano. La nuova artiglieria diminuiva l’importanza dei castelli e delle altre fortificazioni tradizionali e richiedeva una trasformazione dell’arte della guerra anche in questo campo. In sintesi, si può affermare che durante la guerra dei Cent’anni la feudalità è sostituita dalla professionalità. In senso tattico l’accento sulla cavalleria è cambiato in una combinazione di tutti tipidiarma. Le possibilità di fare la guerra sarebbero state basate, nel futuro, sul potere politico e finanziario dei nuovi stati unitari. Come abbiamo appena visto, la composizione degli eserciti era influenzata dalle condizioni economiche e politiche e dall’armamento. In questo contesto un altro paese è ancora degno di nota: la Svizzera.11 Era un paese povero. Una gran parte degli uomini faceva il pastore. Questa situazione forniva la possibilità di chiamare molti uomini alle armi senza danneggiare le altre attività del paese. La Svizzera era composta di cantoni che per la maggior parte erano circondati da montagne. Questa situazione 10 11 Preston, 96-97. Pieri, 251-253. Pieri, 235-237. Preston, 92-94. Mallett, The art of war, 543-544. 9 favoriva il patriottismo. Inoltre c’era la minaccia continua da parte degli austriaci. Questi fatti portavano ad un addestramento permanente degli uomini dall’età di sedici anni. Mentre nel resto dell’Europa era in corso uno sviluppo della fanteria leggera con l’uso dell’arco, gli svizzeri cercavano la soluzione nell’utilizzo della picca e lo schieramento della falange. La picca era un’asta di legno, lunga più di tre metri e quindi adoperata con ambedue le mani. La picca aveva una punta di ferro, lunga un metro circa. Quest’ arma era usata in combinazione con l’alabarda, un tipo di picca che aveva non solo una punta ma anche sotto ad un lato una scure. La forza dell’esercito svizzero risiedeva nella formazione della falange. Adoperata con gran disciplina, questa formazione di picca portava ad una forza d’urto in grado sia di difendersi dalla cavalleria nemica sia di offenderla. L’epoca degli anni settanta del quindicesimo secolo fu un periodo di gloria per gli svizzeri. Il loro successo più noto fu la sconfitta di Carlo il Temerario, duca della Borgogna, nel 1477. Proprio questo duca era noto per il suo esercito moderno e professionale. I mercenari svizzeri diventarono una parte indispensabile per tutti i grandi eserciti. In Francia i ‘franc archers’, erano sostituiti da picchieri svizzeri e in Germania erano replicati sotto il nome di ‘Landsknechte’ (lanzichenecchi). 1.3. Italia. Il modo di fare la guerra nell’Italia medioevale non si differenziava molto da quello nel resto dell’Europa.12 La milizia era importante per la difesa delle città e si vedeva occasionalmente un rinforzo di mercenari a pagamento individuale. Nel sud dell’Italia gruppi di feudali costituivano la parte più importante degli eserciti, accanto alla milizia e ai mercenari. Nel Trecento vediamo un aumento delle truppe mercenarie.13 Le ragioni di questo sviluppo furono soprattutto di carattere economico: crebbe l’economia delle città, nacque un nuovo ceto di cittadini ricchi e diminuì l’importanza dei nobili. La crescita dell’economia causava concorrenza e ostilità fra le città. Quando le città si estendono e ingrandiscono il loro territorio fino al livello di un vero stato, la minaccia quasi permanente richiede una protezione professionista. La discordia frequente fra le 12 13 Mallett, Mercenaries, 15-16. Ibidem, 16-19. Preston, 95. 10 varie fazioni nella città rendeva la milizia un mezzo meno adatto per azioni militari. Inoltre una milizia comunale avrebbe danneggiato l’economia. Era meglio e anche più facile spendere soldi per una compagnia mercenaria che sottrarre i cittadini dal lavoro. Non era difficile trovare i mercenari. Nel sud dell’Italia si trovavano soldati francesi, ungheresi e tedeschi e non c’erano più le crociate e durante i vari armistizi della guerra dei Cent’anni un gran numero di soldati era venuto in Italia cercando un’altra guerra o la possibilità di saccheggiare. Nel Trecento si formarono le compagnie di ventura, soprattutto composte di stranieri e guidate da capitani stranieri. Il quindicesimo secolo è caratterizzato da famosi condottieri italiani che guidavano compagnie che avevano addirittura parzialmente un carattere permanente. La base del sistema condottiero era la condotta.14 In teoria ogni soldato, che aveva segnato una condotta, era un condottiero. Dal 1400 erano soltanto i capitani delle grandi compagnie che segnavano una condotta al livello dello stato. Nelle grandi compagnie c’erano anche contratti interni, cioè fra il capitano e i comandanti di reparti minori della compagnia. Un esempio di questo sistema è la compagnia di Michelotto Attendolo nel periodo dal 1425 al 1448. C’erano 512 condottieri che avevano sottoscritto un contratto con Michelotto.15 In seguito parlerò di condottieri nel senso di capitani, che avevano una condotta con uno stato. Nella condotta erano stabilite fra l’altro le cose seguenti: il compenso, il numero e la qualità dei soldati, gli armamenti e la durata del rapporto di servizio. Con “numero e qualità dei soldati” è intesa la composizione della compagnia da fanti, cavalleria, arcieri, eccetera. Queste particolarità scompaiono dalle condotte alla fine del quindicesimo secolo. È il condottiero che stabilisce in qual modo vuol portare a termine il suo incarico. Anche le clausole riguardanti la durata della condotta cambiano nei secoli. Nel Trecento la durata era adeguata ad una campagna specifica e, determinata dalla stagione, non era più di sei mesi. Nel quindicesimo secolo è inserita nelle condotte una possibilità di rinnovo. Le condotte hanno allora due parti, una parte fissa per il primo periodo e una parte ‘di rispetto’.16 Alla fine del primo periodo di sei mesi circa il committente aveva la possibilità di rinnovare la condotta o congedare il condottiero. Vediamo durante questo secolo una tendenza a prorogare i periodi di servizio e alla fine del Quattrocento una gran parte dei condottieri aveva un rapporto di servizio fisso. 14 Mallett, Mercenaries, 81-87. Mallett, De condottiere, 46-52. Mallett, Mercenaries, 80-81. 16 Ibidem, 82. 15 11 Le condotte davano allo stato la possibilità di diminuire le truppe e quindi di abbassare i costi dell’esercito durante l’inverno o durante un periodo di pace. D’altra parte una tale condotta forniva al condottiero una garanzia per il suo futuro. Così sorgeva in alcuni stati, per esempio a Venezia e a Milano, una situazione di uno stato con i propri condottieri. Firenze invece quasi non conosceva relazioni solide con condottieri affidabili e fino al 1440 non usò condotte con una durata di più di sei mesi.17 Devo anche menzionare le condotte ‘in aspetto’.18 Un condottiero con un tale contratto aveva la sua libertà, ma nello stesso tempo aveva l’obbligo di servizio, quando era chiamato. La condotta in aspetto era preferita da condottieri con un proprio principato. Un esempio di questo tipo di condottiero è Federico II da Montefeltro (1442-1482), Duca di Urbino: quasi tutti conoscono il suo ritratto, dipinto da Justus van Ghent, che raffigura il duca nella sua biblioteca, mentre indossa l’armatura. Questo esempio mi porta all’argomento seguente riguardante i condottieri: quale tipo di uomo era il condottiero italiano?19 La maggior parte dei condottieri era di sangue nobile. La nobiltà di campagna era l’unico ceto con un proprio territorio e una tenuta e quindi aveva l’opportunità di un’educazione militare. Il territorio gli dava la possibilità di reclutare gli uomini. Inoltre c’era il diritto di primogenitura e la vita militare offriva ai figli minori delle famiglie nobili una possibilità di acquistare ricchezza e prestigio in un altro modo. C’erano stirpi famose dei condottieri come quella dei Gonzaga, Este, Malatesta e Montefeltro. Non di rado un condottiero di nascita nobile ma abbastanza povero era ricompensato dal committente con la gestione di una città o con un feudo. Così Fabrizio Colonna, Antonio Malaspina ed altri entrarono nel mondo di condottieri potenti. Naturalmente c’erano anche delle eccezioni. Erasmo da Narni, noto sotto il nome Gattamelata, era figlio di un fornaio e anche Niccolò Piccinino era di nascita umile. L’esempio più importante in questo contesto è quello della famiglia Attendolo. Era una famiglia con un proprio territorio, ma non di nascita nobile. Muzio Attendolo, chiamato Sforza, era il primo condottiero della famiglia, suo figlio Francesco diventò il primo duca di Milano e fu fondatore della dinastia milanese. Tratti caratteriali militari come il coraggio o la prudenza erano importanti, ma questo valeva anche per il senso politico e la capacità di reclutare buoni soldati. Mallett 17 Ibidem. Ibidem, 84. 19 Mallett, De condottiere, 52-54. 18 12 cita in questo contesto una relazione fiorentina del 1450 che tratta della concessione di una condotta importante a Sigismondo Malatesta: Sarebbe di grandissimo momento condurre Sigismomdo a comuni spese et per le genti che ha, per la perizia nelle armi, et per l’autorità che gode presso tutti.20 Il condottiero, essendo in origine un guerriero, diventa durante il quindicesimo secolo sempre di più un uomo d’affari. La capacità di mantenere una compagnia fedele e ben addestrata con un accampamento per l’inverno e per i periodi di pace era indispensabile. Una compagnia era, di fatto, un’azienda e in questo modo una parte della società. Peraltro ci si può immaginare che i condottieri fossero disposti sempre di meno all’esporre le loro truppe a pericoli inutili. Per un condottiero la compagnia era il suo capitale e quindi la garanzia per il proprio futuro. Essenziale per il ruolo dei condottieri era la relazione con i loro committenti.21 Nel Trecento si poteva ancora parlare di una posizione di potere del condottiero, indipendente dalla signoria di uno stato. Nel Quattrocento il condottiero diventò sempre di più una parte dell’organizzazione stabilita dello stato. Nondimeno c’era sempre un rapporto di tensione fra le due parti di una condotta. Un mezzo di controllo da parte dello stato era l’ufficiale civile, il collaterale, affiancato al condottiero, ma questo aveva soltanto la possibilità di fare rapporto sulle vicende osservate. 22 Abbastanza presto si vede formarsi un apparato amministrativo responsabile per reclutamento, remunerazione, rifornimento, acquartieramento, eccetera. Ci si può immaginare che per l’effetto del lavoro del collaterale fosse importante una certa permanenza dell’incarico. C’era anche in questo campo una differenza fra Firenze e stati come Venezia e Milano. Firenze conosceva un commissario temporaneo, scelto a sorteggio. Un esempio c’è fornito dal diario del collaterale fiorentino Luca di Maso degli Albizzi. Nel 1432 egli venne aggiunto all’esercito di Niccolò da Attendolo nei dintorni d’Arezzo.23 Per tre settimane si occupò di affari come l’organizzazione dell’artiglieria, il reclutamento di genieri e sostituì perfino il condottiero durante un certo periodo. Dopo tre settimane tornò a Firenze e fu sostituito da un altro ufficiale temporaneo. La sfiducia reciproca rimaneva un tratto caratteristico della relazione fra il condottiero e lo stato. Non parlo 20 Ibidem, 54. Ibidem, 56-62. 22 Mallett, Mercenaries, 123-129. 23 Ibidem, 181-186. 21 13 qui soltanto di cose evidenti come il compenso o la disciplina, le due parti erano anche spesso in disaccordo quanto su questioni fondamentali come la strategia o l’organizzazione dell’esercito. Mi riferisco al momento per cominciare una campagna o alla scelta del territorio d’accampamento. Sempre secondo Mallett non sarebbe giusto affermare che il successo o il fallimento di una campagna erano soltanto la responsabilità dei condottieri. Le decisioni importanti erano spesso il risultato di trattative fra la signoria e un condottiero. Tutti quelli che hanno studiato la cultura italiana, conoscono i palazzi ducali di Ferrara, Mantova e Urbino. Questi palazzi sono non soltanto esempi dell’architettura del Rinascimento, ma contengono anche famose opere d’arte figurativa. Nel Rinascimento un tale palazzo era la residenza di un principe condottiero insieme con la sua famiglia; si tratta qui d’Ercole d’Este, Ludovico Gonzaga e Federico da Montefeltro. Questi palazzi sono le prove della ricchezza dei condottieri più famosi. I guadagni non erano costituiti da proventi del loro rispettivo piccolo stato. Nel Cinquecento il mestiere di condottiero conosceva una buona paga e gli artisti e i letterati quindi volevano volentieri entrare nella corte di un gran condottiero. A parte un vero interesse del condottiero per la cultura e per la letteratura, il mecenatismo gli forniva la possibilità d’ingrandire il suo prestigio personale. Dal 1380 circa con l’espansione del territorio e delle possibilità finanziarie degli stati italiani sorge l’idea di un potere militare permanente come in Francia.24 Vediamo adesso anche comandanti nel servizio dello stato. Questo vale soprattutto per Milano ed entro certi limiti anche per Venezia. La situazione a Firenze era completamente differente. Non c’era più una nobiltà guerriera e la signoria temeva l’influenza di condottieri stranieri. Inoltre il governo aveva un atteggiamento titubante per quanto riguardava il pagamento di spese militari nei periodi tranquilli. La situazione economica non era favorevole alla formazione di una milizia di cittadini o contadini. Inoltre la forza militare di una tale milizia non era paragonabile a quella di professionisti stranieri. In sintesi, Firenze era uno stato debole che non aveva un proprio potere militare. Nello Stato pontificio vediamo un gran numero di mercenari, guidati dalla nobiltà romana e da condottieri della Romagna, Marche e Umbria. A Napoli troviamo ancora una situazione feudale. Il re non si può fidare dei suoi baroni e quindi è costretto 24 Pieri, 258-264. 14 appoggiarsi a condottieri della nobiltà romana e lombarda. In conclusione si può affermare che in quest’epoca in Italia ci sono ancora poche forze permanenti e tutti gli stati ricorrono ai condottieri. Voglio ancora fare qualche osservazione sulla possibilità di armare i sudditi.25 Nell’Italia di quell’epoca il problema non è l’ostilità della popolazione. La vera difficoltà consiste nel trovare soldati istruiti e allenati. La maggior parte degli uomini lavora nell’artigianato o vive nel contado. Fanno una vita tranquilla e senza il desiderio di qualche attività militare, mentre i governi hanno bisogno di truppe ben addestrate e tecnicamente capaci. Quando i contadini sono obbligati in alcuni casi a difendere la propria terra, molti non si presentano o disertano. Non hanno buone armi e gli manca il richiesto spirito militare. Soltanto nella Serenissima c’era una situazione migliore. Fanti reclutati nel contado e nel ceto medio della città facevano parte dell’esercito veneziano ed erano addestrati nello stesso modo. Inoltre Venezia poteva disporre di volontari su larga scala. Ed allora nel 1494 Carlo VIII, re di Francia, invase la penisola con un esercito di 30.000 uomini. Gli stati italiani erano divisi sul campo politico, ai soldati mancava lo spirito patriottico e l’esercito francese era armato in modo superiore.26 L’elemento decisivo dell’esercito di Carlo VIII era l’artiglieria moderna che era in grado di marciare insieme con la fanteria. Senza incontrare resistenza considerevole i francesi raggiunsero Napoli in sei mesi. Durante i seguenti quaranta anni, l’Italia sarebbe stata il teatro delle guerre fra la Francia e la Spagna per il predominio europeo. Dopo la presa di Napoli, per gli scrittori italiani contemporanei si pose la domanda principale: come era stato in grado Carlo VIII di rompere la resistenza degli stati italiani entra sei mesi? Nei capitoli seguenti di questa tesi esaminerò aspetti della risposta di Niccolò Machiavelli e della sua soluzione per prevenirlo nel futuro. 25 26 Pieri, 265-269. Preston, 98-99. Mallett, Mercinaries, 231. 15 16 2. Il giudizio di Machiavelli sui mercenari. 2.1. Introduzione. Nel capitolo precedente ho scritto che la maggioranza degli stati italiani alla fine del Quattrocento ricorreva ancora ai condottieri e alle loro truppe per la difesa del territorio o per la sua espansione. Altrove nell’Europa, per esempio in Francia e in Borgogna, c’erano già eserciti nazionali, spesso nella forma di forze armate permanenti. Nei libri che ho letto per descrivere il contesto storico dei pensieri di Machiavelli sul campo militare tutti gli storici menzionano in un modo o nell’altro questo famoso fiorentino. Preston afferma che lui è stato il primo scrittore sulla guerra moderna.27 Secondo Pieri sarebbe stato‘il maggior teorico militare del Rinascimento’.28 Nel libro di Michael Mallett l’influenza delle idee di Machiavelli è l’argomento principale di Capitolo X. 29In tutti i libri appare chiaramente la critica dura di Machiavelli sui mercenari in genere e sui condottieri in modo particolare. 2.2. Il parere degli umanisti del Trecento sui mercenari. Quando adesso tratterò l’opinione di Machiavelli sull'uso degli eserciti mercenari, mi sembra giusto usare, anche qui, un approccio diacronico. In questo modo posso accertare se esiste una possibile relazione fra il parere degli umanisti fiorentini dell’epoca intorno al 1400 e quello di Machiavelli all’inizio del Cinquecento. A parte il problema dei costi e della diffidenza verso i capitani, la crescita delle truppe mercenarie durante il quattordicesimo secolo non piacque agli umanisti fiorentini, perché questa soluzione per l’organizzazione della difesa era in contrasto con le idee dell’antichità classica. Secondo Platone i mercenari mostravano spesso un grande coraggio personale, ma li accusava anche di bruttezze e d’ingiustizia. Aristotele considera i mercenari uno strumento nelle mani di tiranni per opprimere i suoi sudditi. Entrambi i filosofi sono dell’avviso che l’abilità militare non compensa la mancanza di coinvolgimento ediaffidabilità. 30 Nel quarto secolo AC. Flavius Vegetius Ronatus 27 Preston, 99. Pieri, 525. 29 Mallett, Mercenaries,257-260. 30 C.C.Bayley, War and society in Renaissance Florence, The De Militia of Leonardo Bruni. (Toronto: University of Toronto Press, [1961]), 178-182. 28 17 scriveva la sua Epitomma Rei Militaris, un trattato di grande influenza specialmente fra il 1400 e il 1600. Egli era un grande ammiratore degli eserciti della repubblica romana e preferiva i civili armati ai mercenari.31 Guardando adesso alla Firenze del Trecento vediamo che anche Petrarca era un convinto avversario dei condottieri. A suo parere erano ladri e assassini, soltanto interessati al denaro e per loro la sicurezza personale era più importante della sconfitta del nemico. Per lui lo scopo della guerra era la pace e quindi non una cosa da fare da partediuomini che sono solo interessati alla guerra. Nella sua critica Petrarca si concentra specialmente sugli stranieri, invocando un rinnovo della virtù militare italiana.32 Come già scritto nel primo capitolo, alla fine del Trecento la maggior parte dei condottieri era di origine italiana. Molto importante e riuscito in questo periodo era Alberigo di Barbiano con la sua Compagnia di San Giorgio, che era onorato come il fondatore della rinascita militare italiana.33 In questo tempo l’umanista Coluccio Salutati (1331-1406) era cancelliere di Firenze. Benché anche lui lodasse Alberigo, Salutati in genere era un grande avversario dei condottieri. Considerava i mercenari emarginati, che cospiravano continuamente contro l’ordine e la pace. Non voglio anticipare la discussione sulla milizia cittadina, ma sono dell’opinione che non si può scrivere su Salutati senza menzionare la sua idea del patriottismo civico. L’affezione ai concittadini e alla patria dovrebbero condurre secondo lui ad una devozione completa dei cittadini agli affari militari della repubblica.34 2.3. Il parere di Machiavelli sui mercenari. 2.3.1. Gli scritti di Machiavelli. Machiavelli, essendo prima di tutto un uomo politico, aveva grande interesse per le questioni militari. Considerando gli avvenimenti in Italia fra il 1400 e il 1500, per lui questa relazione era logica. Non è da meravigliarsi quindi che nei suoi scritti politici e storici si trovino sempre brani che trattano degli eserciti o dell’arte della guerra. Esempi 31 John, R. Hale, Dictionary of the Italian Renaissance, 1981 (London: Thames and Hudson Ltd. [1997]), 328. 32 Bayley, 187-189. 33 Ibidem, 190-192. 34 Ibidem, 192-195. 18 noti sono Il Principe, I Discorsi e Istorie Fiorentine, accanto all’Arte della Guerra in cui gli affari militari formano l’argomento principale.35All’inizio del paragrafo precedente ho parlato della dura critica di Niccolò Machiavelli sulle truppe mercenarie e specialmente sui condottieri, che formavano un fenomeno tipico italiano.Tenterò in questo capitolo di limitarmi allo scrivere sulla critica e non già discutere le soluzioni di Machiavelli. Prima citerò alcuni testi di Machiavelli su questo argomento e poi tratterò i commentidialcuni storici. Il primo testo che vorrei citare si trova nel Principe, in origine chiamato De principatibus. Questa è la sua opera più letta e discussa, scritta nel 1513 e dedicata a Lorenzo de’ Medici, Duca di Urbino. Quattro anni dopo la cacciata di Piero de’ Medici, nel 1494, Machiavelli era stato nominato segretario della seconda cancelleria della repubblica e poi anche segretario dei Dieci di libertà e pace. Con il ritorno al potere dei Medici nel 1512 fu destituito dai suoi incarichi pubblici. Da allora viveva senza lavoro a Sant’Andrea in Percussina, qualche chilometro a sud di Firenze nella speranza di un nuovo incarico ufficiale. Lo scopo del libro era mostrare ai nuovi signori della famiglia de’Medici le sue idee sul governo di un principato e certamente anche la sua propria competenza politica.36 Il libro finisce con un’esortazione a liberare l’Italia dagli stranieri. In una lettera del 10 dicembre 1513 a Francesco Vettori, ambasciatore fiorentino a Roma, Machiavelli scrive sul contenuto del libro: […] un opuscolo De principatibus, dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitationi di questo subbietto, disputando che cosa è principato, di quale spetie sono, come e’ si acquistono, come e’ si mantengono, perché e’ si perdono.37 In primo luogo quindi è un libro politico, ma come detto prima si potrebbe anche aspettare qualche osservazione sull’aspetto militare del potere principesco. Infatti, nei Per conoscere il parere di Machiavelli sulle truppe mercenari si deve soprattutto leggere capitoli XII-XIV lo scrittore espone le sue idee sugli eserciti e sui mercenari.38 il capitolo XII, ‘Quot sint genera militiae et de mercinariis militibus.’ I due capitoli seguenti trattano rispettivamente degli eserciti ausiliari, misti e propri (XIII) e della relazione fra un principe e l’arte della guerra (XIV). Dopo aver discusso nel primo 35 John, R.Hale, Renaissance war studies. (London : Hambledon Press, [1983]), 381. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana (Torino: Einaudi, [1992]), 265-266. 37 Niccolò Machiavelli, Tutte le opere, a cura di Mario Martelli (Firenze: Sansoni editore, [1971]), 1160. 38 Niccolò Machiavelli, Il Principe, a cura di Marella Vasconi (Colognala ai Colli: Demetra S.r.l., [1999]), 84-103. 36 19 paragrafo le buone leggi e un buon esercito come basi fondamentali di ciascun principato, Machiavelli dà nel secondo paragrafo il suo parere sugli eserciti mercenari in un tale modo che mi sembra meglio citare per esteso. Le mercenarie e ausiliarie sono inutile e periculose: e se uno tiene lo stato suo fondato in sulle arme mecenarie, non starà mai fermo né sicuro; perché le sono disunite, ambiziose, sanza disiplina, infedele; gagliarde fra gli amici; fra e’ nemici, vile; non timore de Dio, non fede con gli uomini; e tanto si differisce la ruina quanto si differisce lo assolto; e nella pace se’ spogliato da loro, nella guerra da’ nimici. La cagione di questo è che le non hanno altro amore né altra cagione che le tenga in campo, che uno poco di stipendio, il quale non è sufficiente a fare che vogliono morire per te. Vogliono bene essere tuoi soldati mentre che tu non fai guerra; ma, come la guerra viene, o fuggirsi o andarsene.39 Queste sono parole che vengono dal cuore, ma poco argomentate. Mi sembra quindi saggio discutere l’opinione di Machiavelli dopo aver letto altri testi nei quali lo scrittore si concretizza. Nel terzo paragrafo afferma che il successo di Carlo VIII è provocato dal fatto che già da tanto tempo gli italiani si sono affidati ai mercenari. Poi scrive sulla persona che deve guidare le truppe. Il principe deve essere il capitano del proprio esercito e nel caso di una repubblica tocca ad uno dei cittadini, perché un condottiero aspira solo al suo successo personale. Così si può, a suo parere, prevenire che uno straniero assuma il potere di uno stato. Nel quinto paragrafo Machiavelli ci dà alcuni esempi. Menziona i cartaginesi e i Tebani, che ambedue persero la libertà perché si affidavano a mercenari. Roma e Sparta invece sono sempre rimaste armate e quindi libere per secoli. È tipico per l’umanista Machiavelli che comincia con esempi di popoli antichi. Machiavelli però non era un umanista nel senso stretto di filologo. Studiando gli antichi voleva conoscere e capire le loro idee. Nella sua lettera a Vettori, già menzionato prima, scrive che nel Principe ha notato che ha capito dalla ‘conversazione’ con gli antichi.40 Come esempi dell’inaffidabilità dei condottieri menziona Francesco Sforza e suo padre Attendolo Sforza. E’ Milanesi, morto il duca Filippo, soldorono Francesco Sforza contro a’ Viniziani: il quale, superati gli inimici a Caravaggio, si congiunse con loro per opprimere e’ Milanesi sua patroni. Sforza, suo padre, sendo soldato della 39 40 Ibidem, 84. Machiavelli, Tutte le opere, 1160. 20 regina Giovanna di Napoli, la lasciò in un tratto disarmata; onde lei, per non perdere il regno, fu costretta gittarsi in grembo al re di Aragona.41 Una breve spiegazione mi sembra qui appropriata. Francesco Sforza, figlio del condottiero Muzio Attendolo, prese nel 1450 la supremazia sulla repubblica di Milano tramite il suo passaggio al nemico.42 Muzio Attendolo si rivolse nel 1426 contro il suo committente, Joanna di Napoli, che poi cercava l’aiuto del condottiero Braccio da Montone.43 Dopo aver dato un breve resoconto storico riguardante l’origine del sistema condottiero, Machiavelli tratta ancora di alcuni altri condottieri come Giovanni Aucut (il condottiero inglese John Hawkwood), che servì Firenze dal 1377 fin al 1393. Nell’ultimo paragrafo del capitolo Machiavelli parla della composizione degli eserciti mercenari edialcuni aspetti del loro modo di fare la guerra. L’ordine che egli hanno tenuto è stato, prima, per dare reputazione a loro proprii, avere tolto reputazione alle fanterie. Feciono questo, perché, sendo sanza stato e in su la industria, e’ pochi fanti non davano loro reputazione, e li assai non potevono nutrire; e però si ridussono a’ cavalli, dove con numero sopportabile erano nutriti e onorati. Ed erano ridotte le cose in termine, che in uno esercito di ventimilla soldati non si trovava dumila fanti. Avevano, oltre a questo, usato ogni industria per levare a sé e a’ soldati la fatica e la paura, non si ammazzando nelle zuffe, ma pigliandosi prigioni e sanza taglia. Non traevano la notte alle terre; quelli delle terre non traevano all tende; non facevano intorno al campo né steccato né fossa; non campeggiavano il verno. E tutte queste cose erano permesse ne’ loro ordini militari, e trovate da loro per fuggire, come è detto, e la fatica e li pericoli: tanto che gli hanno condotto stiavia e vituperata.44 Esaminiamo ora i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, chiamati anche I Discorsi. In questo lavoro, scritto fra il 1515 e il 1517, Machiavelli dà un’analisi dei primi anni dell’impero romano a base ai libri scritti da Livio sulla storia di Roma. Egli utilizza gli avvenimenti dell’antica Roma come spunto per considerazioni sull’attualità politica italiana. Per Machiavelli la soluzione per la debolezza politica (quindi anche 41 Ibidem, 86. John, R. Hale, Dictionary of the Italian Renaissance, 1981 (London: Thames and Hudson Ltd. [1997]), 299. 43 Geoffrey Trease, De huurlingen. Avontuur en hartstocht van de Condottieri. Traduzione di E.A.M. Scheltema-Vriesendorp, (Bussum: Fibula-van Dishoeck [1974]), 169. 44 Machiavelli, Principe, 90. 42 21 militare) si trova nell’imitazione degli antichi.45 Lo scrittore si lamenta e scrive nel proemio del primo libro: Nondimanco, nello ordinare le republiche, nel mantenere li stati, nel governare e’ regni, nello ordinare la milizia ed amministrare la guerra, nel iudicare e’ sudditi, nello accrescere l’imperio, non si truova principe né republica che agli esempli delli antiqui ricorra.46 Sebbene il secondo libro dei Discorsi tratti gli eserciti e l’arte della guerra, ho trovato alcuni brani sugli eserciti mercenari anche nel primo libro, che tratta in genere l’ordinamento statale e i modi di governare. Considerasi ancora, per il soprascritto trattato, quanta differenzia è, da uno esercito contento e che combatte per la gloria sua, a quello che è male disposto e che combatte per l’ambizione d’altrui. Perché, dove gli eserciti romani solevano sempre essere vittoriosi sotto i Consoli, sotto i Decemviri sempre perderono. Da questo esemplo si può conoscere, in parte, delle cagioni della inutilità de’ soldati mercenari; i quali non hanno altra cagione che gli tenga fermi, che un poco di stipendio che tu dài loro. La qual cagione non è né può essere bastante a fargli fedeli, né tanto tuoi amici, che vogliono morire per te. Perché in quegli eserciti che non è un’affezione verso di quello per chi e’ combattono, che gli faccia diventare suoi partigiani, non mai vi potrà essere tanta virtù che basti a resistere a uno nimico un poco virtuoso.47 Per concludere i testi nei Discorsi, cito ancora una volta Machiavelli quando scrive nel terzo libro, parlando della mancanza di coraggio e di disciplina: ‘come sono gli eserciti italiani de’ nostri tempi, i quali sono al tutto inutili’.48 Ho trovato anche nelle Istorie Fiorentine qualche esempio dell’opinione di Machiavelli sui mercenari. Questo libro è stato scritto dal 1519 al 1525 per incarico del cardinale Giulio dei Medici. Non è diventato un lavoro in cui si legge la storia di Firenze con elencazione dei fatti diplomatici, militari ed economici. Machiavelli ci dà in questo libro la sua interpretazione politica della storia fiorentina che in gran parte è basata sull’antichità. Nel capitolo XXXIX del primo libro lo scrittore descrive la 45 Ferroni, 273. Machiavelli, Tutte le opere, 76. 47 Ibidem, 126. 48 Ibidem, 245. 46 22 situazione politica nell’Italia nella prima metà del Quattrocento. Scrive che ‘tutti questi principali potentati erano di proprie arme disarmati’49 e prosegue Erano adunque l’armi di Italia in mano o de’ minori principi o di uomini sanza stato: perché i minori principi, non mossi da alcuna gloria ma per vivere o più ricchi o più sicuri, se le vestivano; quegli altri, per essere nutricati in quelle da piccoli, non sapiendo fare altra arte, cercavono in esse con avere o con potenza onorarsi50 Parlando del modo di fare la guerra da parte dei condottieri scrive: […] e infine la (guerra, SS) ridussono in tanta viltà che ogni mediocre capitano nel quale fusse alcuna ombra della antica virtù rinata gli arebbe con ammirazione di tutta Italia, la quale per sua poca prudenza gli onaorava, vituperati.51 Interessante è anche leggere il suo giudizio sull’importanza e sul carattere delle battaglie. Sulla battaglia di Forlì fra Milano e Firenze nel 1424 scrive, che ‘Nondimeno in una tanta rotta, celebrata per tutta Italia, non morì altri che Lodovico degli Obizzi insieme con duoi altri suoi, i quali cascati da cavallo affogorono nel fango.’52 Un brano paragonabile si trova nel quinto libro, quando tratta la battaglia d’Anghiari e scrive: Né furono mai tempi che la guerra che si faceva ne’ paesi d’altri fusse meno pericolosa per chi la faceva, che in quegli. E in tanta rotta e in sì lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì altri che uno uomo: il quale non di ferite o d’altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto espirò.53 In questa battaglia le truppe di Milano guidate dal condottiero Niccolò Piccinino furono sconfitte dai fiorentini il 29 giugno del 1440. Dopo aver narrato del comportamento indisciplinato dei vincitori, Machiavelli scrive, che è ‘da meravigliarsi come in uno esercito così fatto fusse tanta virtù che sapesse vincere, e come nello inimico fusse tanta viltà che da sì disordinate genti potesse esser vinto.’54 49 Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine e altre opere storiche e politiche, a cura di Alessandro Montevecchi, (Torino: UTET, [1971]), 340. 50 Ibidem, 341. 51 Ibidem. 52 Ibidem, 475. 53 Ibidem, 575. 54 Ibidem, 576 . 23 Il libro più importante di Machiavelli per quanto riguarda l’esercito è senz’altro L’arte della guerra, pubblicato nel 1521. In questo libro lo scrittore presenta le sue idee sull’organizzazione degli eserciti, della tattica, delle armi e di molti altri aspetti dell’arte della guerra. Il libro è scritto in forma di dialogo e l’opinione di Machiavelli è presentata dal condottiero Fabrizio Colonna. Mallett afferma a ragione che questo è un esempio di dicotomia nell’attitudine degli italiani rispetto ai soldati. 55 In questo capitolo tratterò soltanto la critica di Machiavelli sulle truppe mercenarie. Nel primo libro del trattato gli interlocutori parlano del problema fondamentale, cioè la costituzione di un esercito. Qui si possono trovare alcune osservazioni sulle compagnie di ventura e sul comportamento di alcuni condottieri. Nella seguente citazione descrive l’origine e quindi la mentalità delle compagnie di ventura. […] e se pure la pace viene, spesso occorre che i capi, sendo privi degli stipendi e del vivere, licenziosamente rizzano una bandiera di ventura e sanza alcuna piatà saccheggiano una provincia. Non avete voi nella memoria delle cose vostre come, trovandosi assai soldati in Italia sanza soldo per essere finite le guerre, si ragunarono insieme più brigate e andavano saccheggiando il paese, sanza che vi si potesse fare alcuno remedio.56 Poi Colonna dà il suo parere sul comportamento alcuni condottieri come Francesco Sforza e Braccio da Montone, narrando la storia che abbiamo già letto nel Principe e aggiunge: ‘Simili disordini non nascono da altro che da essere stati uomini che usavano le esercizio del soldo per loro propria arte.’57 L’ultimo libro in cui ho cercato brani sul parere di Machiavelli sui condottieri, è la Vita di Castruccio Castracani. Castracani fu un famoso condottiero lucchese (12811328) che dopo un periodo da guerriero si fece nominare nel 1317 capitano e difensore di Lucca. Questo libro invece si è rivelato una biografia umanistica di un uomo illustre. L’immagine che emerge dalla biografia è quella di un feroce condottiero che non evita spargimento di sangue, inganno e corruzione. Ma nello stesso tempo è un eroe con grande comprensione della tattica e un uomo di grande disciplina, ‘giudicando lo officio d’uno buono capitano essere montare il primo a cavallo e l’ultimo scenderne’.58 Machiavelli considera Castracani prima uno statista e poi un condottiero. 55 Mallett, Mercenaries, 257-258. Machiavelli, Tutte le opere, 305. 57 Ibidem,306. 58 Ibidem, 625. 56 24 Anche qui si può forse parlare di dicotomia nel giudizio di Machiavelli. Mi sembra che per Machiavelli questo condottiero sia il modello del principe nuovo, cioè uno che ha acquistato il principato e non regna su di un principato a titolo ereditario. Il suo giudizio positivo su Castracani mi fa anche pensare al suo apprezzamento di Cesare Borgia, 59 un condottiero temuto e violento per via delle sue qualità militari e l’uso di Colonna come protagonista nell’Arte della Guerra. Forse abbiamo qui a che fare con la stima delle virtù militari dell’antichità secondo l’esempio di Salutati nel caso di Alberigo di Barbiano. 2.3.2. Conclusione. Machiavelli, giudicando i condottieri e i loro eserciti, si basava sulla storia degli antichi e idealizzava le milizie romane. Considera i mercenari pericolosi e inutili. Il suo parere mostra una chiara corrispondenza con quello degli umanisti del Trecento. È notevole che tutti gli esempi usati per argomentare il suo parere, risalgano al periodo prima del 1450. Quando parla dell’inaffidabilità dei condottieri e dalla loro mancanza di motivazione, sembra verosimile che abbia presente soprattutto la situazione fiorentina, perché nel suo tempo Firenze maneggiava ancora condotte con una breve scadenza e con vari condottieri. Anche la composizione degli eserciti come presentata da Machiavelli non mi sembra senz’altro applicabile alle truppe italiane di quest’epoca. Il suo giudizio su determinati condottieri è meno comprensibile. Vince la sua avversione per i mercenari in genere, mentre egli stima il coraggio e le qualità militari dei condottieri. Esempi sono Castruccio Castracani e Cesare Borgia. 2.4 I commenti sul parere di Machiavelli. In questo paragrafo voglio discutere prima i commenti degli storici del secolo scorso sul parere di Machiavelli per quanto riguarda i condottieri e i mercenari in genere. Poi menzionerò le idee di altri scrittori del Rinascimento su questo argomento. Secondo Mallett la critica di Machiavelli, scritta nel periodo fra il 1510 e il 1530, sembra basata sulle idee che avevano gli umanisti all’inizio del Quattrocento. Come loro Machiavelli 59 Mallett, Mercenaries, 196. 25 disprezzava tutti i mercenari e professionisti e seguendo i romani antichi cercava la soluzione in una milizia civile. 60 Machiavelli parla dell’inaffidabilità, della cupidigia e degli altri vizi dei mercenari. Alla fine di quel secolo invece c’era un tipo di condottiero diverso da un Alberico da Barbiano nel 1400. C’era anche lo sviluppo verso gli eserciti permanenti e professionisti di cui facevano parte anche condottieri e il modo di fare la guerra era diverso in confronto a quello del 1400. 61 Pieri scrive che soltanto a Firenze esisteva ancora in quel momento il sistema delle condotte.62 Si può concludere che la visione che aveva Machiavelli era limitata alla situazione fiorentina. Gli scrittori citati vedono anche differenze fra la composizione degli eserciti come presentata da Machiavelli e la realtà. Mentre egli critica il fatto che si vede soltanto un totale di duemila fanti in un esercito di ventimila soldati, troviamo fra l’altro in Mallett l’esempio delle truppe fiorentine composte da 10.000 fanti e 2000 cavalieri all’assedio di Volterra nel 1472. Mallett ammette altrove che la cavalleria grave era in genere il nucleo delle compagnie di mercenari, ma queste compagnie combattevano sempre insieme con fanti e cavalleria leggera.63 Machiavelli parla delle battaglie senza spargimento di sangue, per esempio quella d’Anghiari (1440), con un solo uomo morto. In Mallett invece si legge che il numero di morti da entrambi le parti era 900 circa. Mallett menziona anche altre battaglie con centinaia di morti già nella prima metà del Quattrocento. Lui cerca la possibile ragione delle cifre di Machiavelli nello scopo politico delle Istorie Fiorentine.64 Si può anche pensare ad un modo d’esagerazione letteraria dello scrittore per accentuare le sue idee. Ciò che colpisce è che Preston, discutendo l’agire dei condottieri anche rispetto a questo argomento, segue il Machiavelli.65 L’importanza degli scritti di Machiavelli è giudicata in modo vario. Pieri scrive: Del resto, le idee del Machiavelli non esercitarono che ben scarsa influenza sullo sviluppo contemporaneo e posteriore della prassi guerresca: i suoi scritti, pur rappresentando il primo serio sforzo di studiare scientificamente e storicamente, in tutta la sua ampiezza, il grande problema della guerra e delle istituzioni che ad essa si collegano, si risolvevano in realtà, soprattutto in una 60 Pieri, 533. Preston, 100. Mallett, De condottiere, 68. 62 Pieri, 533. 63 Mallett, Mercenaries, 146-147. 64 Mallett, Mercenaries, 197. Michael Mallett, ‘The art of war’ Handbook of European history,541-542. 65 Preston, 99. 61 26 continua critica negativa, mal compensata da un parziale, poco felice ritorno alle forme dell’esercito della Roma repubblicana.66 Mallett invece ha un’opinione più moderata e, sostenendo l’idea di Pieri rispetto alla prassi, parla della sua influenza finale tramite la sua passione nello scrivere sulla guerra e anche Preston loda Machiavelli (nonostante i suoi errori) come il primo scrittore sulla guerra moderna. 67 2.5. Il parere di altri scrittori rinascimentali sui mercenari. Non voglio finire questo capitolo senza menzionare anche le opinioni di altri scrittori del Rinascimento sui condottieri e comincio con Francesco Guicciardini (1483-1540), fiorentino come Machiavelli e suo amico, noto specialmente come storico e politico. Mallett scrive che nel 1494, dopo l’invasione francese, la critica ai condottieri arriva al culmine negli scritti di Machiavelli e Guicciardini.68 Nella sua Storia d’Italia Guicciardini dà il suo parere sui condottieri: alcuni sono ignari d’ogni scienza militare, altri codardi, e quasi tutti hanno tanto a cuore la propria fama e sono così gelosi di quella dei colleghi, da preoccuparsi assai più di impedire che la reputazione dei rivali si faccia più grande, che non di sconfiggere il nemico comune.69 Mallett menziona anche Paulo Giovio (1483-1552) e Baldassare Castiglione (14781529). Questi due scrittori esagerano secondo lui i meriti dei condottieri come faceva Machiavelli per quanto i loro difetti.70 Loro invece danno un’immagine ideale del condottiero come l’uomo meritevole ed esemplare che combina in sé le qualità militari e quelle dell’uomo educato. Castiglione lo fa nel Libro del Cortegiano e Giovio negli Elogia virorum bellica virtute illustrum e nelle biografiedialcuni condottieri come quella di Muzio Attendolo Sforza e quella d’Alfonso d’Este. 66 Pieri, 534. Mallett, Mercenaries, 259. Preston, 99-100. 68 Mallett, De condottiere, 44. 69 Felix Gilbert, Machiavelli e Guicciardini, Pensiero politico e storiografia a Firenze nel Cinquecento, Traduzione di Franco Salvatorelli (Torino: Giulio Einaudi editore[1970]), 240. 70 Mallett, De condottiere, 44. 67 27 28 3. Maturarsi dell’idea di una milizia cittadina in Machiavelli. 3.1 Introduzione. Niccolò Machiavelli è conosciuto in tutto il mondo come lo scrittore del Principe. Questo lavoro ed altri suoi libri sono stati tradotti in molte lingue. Varie lingue conoscono addirittura parole come ‘machiavellismo’, per indicare una interpretazione negativa del suo pensiero politico. Le sue idee politiche e militari sono tuttora argomento di studio e tema di discussioni. Per ottenere un’impressione dell’origine di queste idee, vorrei qui prestare attenzione alla vita di Niccolò Machiavelli in relazione ad alcune sue opere. Ho scelto Il Principe, I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e Dell’arte della guerra perché questi libri sono i più conosciuti come lavori polemici sul campo politico e militare. Mi sembra verosimile che io in queste opere possa trovare un rapporto fra le esperienze di Machiavelli e le sue idee. Questo vale certamente per Il Principe, perché la sua situazione personale dopo il ritorno dei Medici a Firenze nel 1512 e la sua preoccupazione del futuro dell’Italia formano lo spunto per questo saggio. Questo capitolo non sarà una biografia. Tratterò soprattutto aspetti che mi servono per accertare una relazione fra la vita di Machiavelli e i suoi libri. Ho scelto alcune esperienze, missioni e altre attività che hanno a che fare con la nascita delle sue idee politiche e militari. Non parlerò molto di cose private come il suo matrimonio, la sua situazione finanziaria o le sue amicizie. 3.2. La relazione fra la vita di Machiavelli e le sue opere. 3.2.1. La giovinezza. Niccolò Machiavelli nasce il 3 maggio 1469 a Firenze da Bernardo e da Bartolomea Nelli, vedova di Niccolò Benizzi. Niccolò è secondogenito e ha due sorelle, Primavera e Ginevra, e un fratello, Totto. La famiglia discende dalla stirpe degli antichi signori di Montespertoli, fra la Val d’Elsa e la Val di Pesa. La Maclavellorum familia è nota in Firenze sino dal secolo 1300 fra gli aderenti di parte guelfa, sostenitori delle vedute teocratiche del papa. 29 Durante i due secoli successivi la famiglia ha dato alla repubblica fiorentina alcuni gonfalonieri e priori, cioè governanti dello stato.71 L’apparente importanza della famiglia Machiavelli non corrispondeva alla sua situazione economica. Il padre era un giureconsulto con uno stipendio modesto e quindi non viveva senza preoccupazioni finanziarie. Niccolò scriverà dopo in una lettera a Francesco Vettori ‘che nacqui povero, et imparai prima a stentare che a godere’.72 Conosciamo la situazione economica e altre cose della famiglia tramite la scoperta del Quaderno di ricordanze di Bernardo Machiavelli, che va dal 1474 al 1487. Così sappiamo che nella biblioteca di Bernardo non c’erano soltanto libri di legge, ma anche libri degli antichi, per esempio un Tito Livio. Certamente abbiamo qui un segno dell’origine dell’interesse di Niccolò per gli antichi, che appare dai suoi libri. Ha avuto una formazione classica e conosceva i grandi classici latini e i grandi italiani come Dante, Petrarca e Boccaccio.73 Non è un caso che finisce Il Principe con i versi della canzone Italia mia di Petrarca: Virtù contra furore Prenderà l'arme; e fia el combatter corto, Ché l’antico valore Nell’italici cor non è ancor morto.74 Nella dedica del Principe Machiavelli scrive: Desiderando io adunque offerrirmi alla Vostra Magnificenzia con qualche testimone della servitù mia verso di quella, non ho trovato, intra la mia suppellettile, cosa quale io abbi più cara o tanto esístimi, quanto la cognizione dell azioni delli uomini grandi imparata da me con una lunga esperienza delle cose moderne e una continua lezione delle antique: 75 In quasi tutti i capitoli del Principe parla degli antichi offrendo esempi per il tempo moderno. I Discorsi sono completamente basati sulla Prima deca di Tito Livio. Inoltre Machiavelli esprime in quest’opera alcune volte la sua idea di una evoluzione ciclica della storia, come nel primo libro: 71 Federico Chabod, Scritti su Machiavelli, 1964, (Torino: Einaudi, [1993]), 256-257. Machiavelli, Tutte le opere, 1129. 73 Chabod, 257-259. 73 Ibidem, 10. 74 Machiavelli, Principe, 178. 75 Ibidem, 10. 72 30 E’ si conosce facilmente, per chi considera le cose presenti e le antiche, come in tutte le città ed in tutti i popoli sono quegli medesimi desiderii e quelli medesimi omori, e come vi furono sempre. In modo che gli è facil cosa, a chi esamina con diligenza le cose passate, prevedere in ogni republica le future, e farvi quegli remedi che dagli antichi sono stati usati; o, non ne trovando degli usati, pensarne de’ nuovi, per la simultudine degli accidenti.76 In tutti i capitoli dell’Arte della guerra parla degli esempi dei romani e nel proemio afferma: E giudicando io, per quello che io ho veduto e letto, ch’e’ non sia impossibile ridurre quella negli antichi modi e renderle qualche forma della passata virtù, diliberai, [...] di scrivere [...] della arte della guerra quello che io ne intenda.77 La cultura classica mi sembra davvero la base del pensiero di Machiavelli. 3.2.2. L’epoca di Giralomo Savonarola. Prima di parlare dell’entrata di Machiavelli negli uffici della Repubblica, voglio ancora trattare il suo parere del frate dominicano Girolamo Savonarola. Questo frate aveva fondato in Firenze, dopo la morte di Lorenzo il Magnifico (1492), una repubblica del tipo teocratico. Predicava contro il papa e i Medici e condannava la vita lussuosa e libertina del suo tempo. Machiavelli non era un sostenitore di Savonarola. In una lettera del 9 marzo 1498 a Ricciardo Becchi, ambasciatore presso il papa, Machiavelli scrive: ‘et così, secondo el mio iudicio, viene secondando e tempi, et le sua bugie colorendo’.78 Qui sono già in grado di mostrare un primo esempio della relazione fra la vita di Niccolò e i suoi libri citando dal capitolo VI del Principe: Di qui nasce che tutti e’profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorono.[…] Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbono possuto fare osservare loro lungamente le loro costituzioni, se fussino stati disarmati: come ne’ nostri tempi intervenne a fra’ Girolamo Savonarola; il quale ruinò ne’ sua ordini 76 Machiavelli, Tutte le opere, 122. Ibidem, 301-302. 78 Ibidem, 1011. 77 31 nuovi, come la moltitudine cominciò a non credergli; e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che aveveno creduto, né a far credere e’ discredenti.79 3.2.3. Niccolò Machiavelli, il segretario fiorentino. Il 19 giugno 1498 Machiavelli fu nominato capo della seconda Cancelleria della Signoria di Firenze e poi il 14 luglio segretario dei Dieci di Libertà e di Pace, detti anche I Dieci di Balia. Gli affari interni della repubblica erano di competenza della seconda Cancelleria e gli affari esteri di quella della prima Cancelleria.80 Nella pratica questa divisione non era così rigorosa. Inoltre le competenze dei Dieci di Balia e quelle della prima Cancelleria si sovrapponevano, perché esisteva sempre un nesso fra affari esteri e affari militari. Alla guida del governo della repubblica di Firenze c’era la signoria, compostadiotto priori che eleggevano il loro proprio presidente, chiamato gonfaloniere. C’era anche un tipo di parlamento, il Consiglio Maggiore, che contava mille membri. Ottanta di loro formavano una commissione permanente, il Consiglio degli Ottanta. Esistevano inoltre alcuni consigli minori come i Dieci di Balia. Tutti i membri di questi consigli ricoprivano la loro carica soltanto durante un breve periodo, variabile da due a sei mesi. Questo non valeva per l’apparato amministrativo di cui faceva parte Niccolò Machiavelli. Questi ufficiali disponevano quindi di molta coscienza ed esperienza, che gli attribuivano un potere abbastanza forte e li rendevano i pilastri della signoria.81 Machiavelli era incaricato della scrittura delle lettere e dei rapporti per il gonfaloniere, gli altri priori e i Dieci. L’incarico dei Dieci richiedeva una grande attività diplomatica, considerata la situazione complicata nella penisola italiana. 82 Durante un periodo di quasi quindici anni, Machiavelli andò decine di volte in missione diplomatica, non soltanto in Italia, ma anche in Francia e in Germania. Cercando la relazione fra la vita di Machiavelli e le sue opere tratterò soprattutto alcune delle missioni, che considero importanti per questo scopo. 3.2.3.1. Le prime missioni diplomatiche. 79 Machiavelli, Principe, 46. Viroli è l’unico degli scrittori consultati, che menziona il trattamento dei ‘problemi relativi alla politica estera’ il compito della Seconda Cancelleria. (Viroli, 30). 81 van Dooren, Niccolò Machiavelli-De heerser, (Amsterdam: Athenaeum[1976]), 21. Hobohm, 10-17. 82 Maurizio Viroli, Il sorriso di Niccolò. Storia di Machiavelli, ( Roma: Editori Laterza[1998]), 31-32. 80 32 Le prime due missioni forse non erano molto importanti, ma le menziono per via della relazione con il problema di condotta. Nella prima missione presso il condottiero Jacopo I.d’Appiano, signore di Piombino, Machiavelli deve fargli accettare il rifiuto della Signoria di aumentare il suo stipendio. La seconda missione era presso Caterina Sforza Riario. Firenze voleva che suo figlio, il condottiero Ottaviano Riario, avrebbe guidato di nuovo le truppe contro Pisa senza aumento di paga. In ambedue i casi vediamo che Firenze vuole i servizi dei condottieri, ma non è disposta a pagarli; certamente un aspetto negativo del sistema condottiero così disapprovato da Machiavelli come abbiamo visto nelle citazioni del capitolo precedente. L’atteggiamento della contessa Caterina fa una forte impressione a Niccolò e lui descrive il suo coraggio nei Discorsi (III, 6)83e nell’Arte della guerra parlando della difesa della fortezza di Forlì contro Cesare Borgia: Fece, dunque, la mala edificata fortezza e la poca prudenza di chi la difendeva, vergogna alla magnanima impresa della contessa; la quale aveva avuto animo ad aspettare un esercito, il quale né il re di Napoli né il duca di Milano aveva aspettato.84 Entrambi i condottieri nominati prima avevano a che fare con la guerra di Firenze contro Pisa. Questo mi porta ad uno dei problemi più importanti per i fiorentini nel quale Machiavelli era coinvolto. Nel 1494 Piero de’ Medici aveva lasciato Pisa a Carlo VIII, re di Francia, che gli aveva promesso di restituirla dopo la conquista di Napoli, ma poi la vendette ai pisani. L’unica possibilità per riavere la città portuale, scrive Machiavelli in un rapporto di giugno 1499, è la via militare. Firenze recluta delle truppe e nomina il condottiero Paulo Vitello capitano. L’assedio di Pisa fallisce. La causa di quell’avvenimento risiedeva nell’atteggiamento titubante del condottiero, che evitava ogni azione decisiva. Vitello viene accusato di essere corrotto dal duca di Milano ed è decapitato, benché non ci siano chiare prove.85 Machiavelli approvava questa pena a causa dell’inganno per Firenze. Nel Decennale primo, un resoconto scritto in terzine della storia fiorentina dal 1494 al 1504, avrebbe scritto nel 1504: Poco di poi, del ricevuto inganno vi vendicasti assai, dando la morte 83 Machiavelli, Tutte le opere, 208. Ibidem, 378. 85 Viroli, 41-44. 84 33 a quel che fu cagion di tanto danno.86 Adesso i fiorentini cercano l’aiuto dei francesi, che sono tornati in Italia per conquistare Milano e Napoli. Firenze deve pagare un esercito di 5000 svizzeri, che assisteranno all’assalto contro Pisa sulla guida del francese Hugo de Beaumont. Gli svizzeri invece prima saccheggiano Bologna e altre città della Romagna, devastano le terre di Pisa, si ammutinano e imprigionano addirittura temporaneamente Luca degli Albizi, il commissario fiorentino. Per la conquista di Pisa non fanno quasi niente e l’assedio fallisce.87 Nel primo libro dei Discorsi si legge: ‘Io voglio dare di questo due altri esempli, occorsi ne’ tempi nostri, nello stato della nostra città’ e poi Machiavelli scrive sugli avvenimenti di Pisa: Nel 1500 […] il re Luigi XII di Francia […] mandò gli sui eserciti verso Pisa, capitanati da monsignore di Beumonte; benché francese, nondimanco uomo in cui i Fiorentini assai confidavano.[…] Il quale partito fu da’ Fiorentini al tutto rifiutato in modo che si segui nello andarvi e partirsene con vergogna.88 Quest’accaduto mi fa anche pensare al brano nel Principe in cui Machiavelli scrive sulle truppe ausiliari che ‘sono molto più pericolose che le mercenarie.’89 Dedica anche nei Discorsi un paragrafo (II, 20) al pericolo ‘della milizia ausiliare o mercenaria’.90 Forse parla anche di questo avvenimento quando afferma nel Principe: E’ Fiorentini, sendo al tutto disarmati, condussono diecimila Franzesi a Pisa per espugnarla; per il quale partito portorono più pericolo che in qualunque tempo de’ travagli loro.91 Quest’umiliazione sarebbe la ragione della prima missione di Machiavelli fuori l’Italia. Insieme con Francesco della Casa fu mandato in Francia alla corte di Ludovico XII. Machiavelli rimane circa cinque mesi in Francia e tornerà senza alcun risultato. Ha invece tenuto idea come vanno le cose politiche al livello dei grandi stati. 86 Machiavelli, Tutte le opere, 944. Viroli, 43-44. 88 Machiavelli, Tutte le opere, 121. 89 Machiavelli, Principe, 94. 90 Machiavelli, Tutte le opere, 176. 91 Machiavelli, Principe, 92. 87 34 Il giudizio di Machiavelli sull’apparato statale e sul governo della Francia è molto positivo. Niccolò, che sarebbe tornato ancora in Francia nel 1504 e nel 1510, tratta questo argomento nel settimo paragrafo del capitolo XIX del Principe: Intra regni bene ordinati e governati, a’ tempi nostri, è quello di Francia: e in esso si trovano infinite costituzione buone, donde depende la libertà e sicurtà del re. Delle quali la prima è il parlamento e la sua autorità;.92 Durante la prima missione Machiavelli capisce che i francesi disprezzano il piccolo stato di Firenze. Rispettano soltanto armi e denaro. I fiorentini al contrario dei francesi non hanno un proprio esercito e non vogliono pagare.93 3.2.3.2. La milizia fiorentina. Il proprio esercito è uno dei più importanti argomenti per Machiavelli nelle sue attività di funzionario pubblico e poi nei suoi libri. Un esempio per lui è il sistema di Cesare Borgia, Duca di Valentino, osservato da Machiavelli durante la sua seconda missione presso questo duca: ‘cosí operò il duca Valentino nel 1501, e comandò un uomo per casa nelle sue terre, con un grande ordine, e dove si abbino a trovare come.’94 Nel Principe Machiavelli scriverà dopo: Uno principe, pertanto, savio, sempre ha fuggito queste arme (cioè truppe mercenarie e ausiliarie, SS), e voltosi alle proprie; e ha volsuto piuttosto perdere con li sua che vincere con gli altri, iudicando non vera vittoria quella che con le armi aliene si acquistassi. Io non dubiterò mai di allegare Cesare Borgia e le sue azioni. Questo duca intrò in Romagna con le armi ausiliarie, conducendovi tutte genti francesci; e con quelle prese Imola e Furlì; ma non li parendo poi tale arme secure, si volse alle mercenarie, iudicando in quelle manco periculo; e soldò gli Orsini e Vitelli; le quali poi nel maneggiare trovando dubie e infedeli e periculose, le spense, e volsesi alle proprie. E puossi facilmente vedere che differezia è infra l’una e l’altra di queste arme, considerato che differenzia fu dalla reputazione del duca, quando aveva e’ Franzesi soli e quando aveva gli Orsini e Vitelli, a quando rimase con li soldati suoi e sopra se stesso: e sempre si troverrà accresciuta; né mai fu stimato assai, se non quando ciascuno vidde che lui era intero possessore delle sue armi.95 92 Machiavelli, Principe, 128. Viroli, 45. 94 Chabod, 331. 95 Machiavelli, Principe, 94. 93 35 Questa idea di Machiavelli sembra un poco esagerata. Secondo Chabod i contadini armati di Cesare avevano soltanto funzioni di ‘guastatori’ e non di veri combattenti.96 In Mallett si può inoltre leggere che Machiavelli aveva torto considerando il gran numero di soldati propri la forza dell’esercito del duca, perché la maggior parte delle sue truppe era formata da mercenari.97 L’opinione di Machiavelli si rafforzò nel 1507 durante le sue missioni in Germania e in Svizzera. Si mostrava impressionato scrivendo nel suo Rapporto delle cose della Magna che i tedeschi ‘tengono gli uomini loro armati ed esercitati.’98 Durante una missione presso il papa, nel 1504, Machiavelli parla dell’idea di una milizia fiorentina con il cardinale Francesco Soderini, fratello del gonfaloniere Piero Soderini, e nel Decennale primo scrive: ‘ma sarebbe il cammin facil e corto, se voi il tempio riaprissi a Marte’.99 Il cardinale condivide l’idea di una milizia e scrive in una lettera del 29 maggio 1504: La scusa de l’ordinanza non è bona in re tam necessaria e salubri; né si pò suspettare de vi, que non paretur ad commodum privatum sed publicum: non restate, ché forsi un dì serà data la gratia se non se dà l’altro.100 A Firenze i pareri sono diversi. Il gonfaloniere Piero Soderini sostiene l’idea del segretario, ma gli artigiani, mercanti e banchieri non sanno come fare la guerra e non sono in nessun modo bellicosi. Ci sono anche quelli che sospettano che Soderini voglia prendere la potenza assoluta con l’aiuto della milizia di Machiavelli. Inoltre ci sono quelli che vedono la possibilità di una ribellione di contadini armati contro la città.101 Dopo la sconfitta di Firenze da parte dei pisani nel 1505 il gonfaloniere consente il reclutamento di una milizia rurale come un primo passo nella direzione di una milizia cittadina e Machiavelli si reca al Mugello e al Casentino per reclutare i fanti.102 Non voglio anticipare l’argomento del capitolo seguente e quindi menziono qui soltanto che Machiavelli spiega la scelta del Mugello e del Casentino nel suo scritto La cagione dell’ordinanza, dove la si truovi et quel si bisogna fare.103 96 Chabod, 332. Mallettt, Mercenaries, 196. 98 Machiavelli, Tutte le opere, 66. 99 Ibidem, 950. 100 Ibidem, 1062. 101 John, R. Hale, Machiavelli and Renaissance Italy, 1961 (London: The English Universities Press [1966]), 90. 102 Viroli, 81-82. 103 Machiavelli, Tutte le opere, 37. 97 36 Il 15 febbraio 1506 sfilano quattrocento fanti dal Mugello in piazza della Signoria, vestiti ‘di un farsetto bianco, un paio di calze alla divisa bianche e rosse, e una berretta bianca, e le scarpette, e un petto di ferro e le lance e a chi scoppietti’ applauditi dai cittadini.104 Il 6 dicembre 1506 il Consiglio Maggiore crea un nuovo magistrato per soprintendere alla riorganizzazione dell’esercito, I Nove ufficiali dell’ordinanza e milizia fiorentina. Il cancelliere di questo comitato è Machiavelli.105 Durante gli anni 1507 e 1508 Niccolò Machiavelli va ancora in missione presso il papa e presso l’imperatore tedesco Massimiliano. Intanto Firenze organizza il blocco di Pisa. Tornato a Firenze nel febbraio 1509 Machiavelli si occupa del rifornimento e del pagamento delle truppe, che sono divise in varie guarnigioni. Ventimila soldati, 60 per cento dell’esercito, fanno parte della milizia.106 Durante l’assedio della città vengono anche condotte trattative con un ruolo importante per Machiavelli. Dopo la sconfitta dell’alleata Venezia da Agnadello i pisani si arrendono il 4 giugno 1509 e quattro giorni dopo Machiavelli entra nella città con la sua milizia.107 Machiavelli è lodato da tutti. Filippo da Casavecchia, lui stesso un commissario di guerra, gli scrive: Mille buon pro’ vi faccia del grandissimo acquisto di cotesta nobile città, che veramente si può dire ne sia suto cagione la persona vostra et grandissima parte, non però per questo biasimando nessuno di cotesti nobilissimi comessari né di prudentia né etiam di solecitudine.108 Ci si deve invece rendere conto che le truppe della milizia non avevano combattuto. Pisa era stata conquistata da un blocco e non da un assalto. Da un punto di vista oggettivo ci si può chiedere se ci fosse una ragione per una grande fiducia alle truppe di non professionisti.109 Mi sorprende nondimeno che nei tre libri esaminati non ho trovato una singola parola di gioia o almeno di soddisfazione su questa prima azione della milizia fiorentina. Voglio adesso considerare la relazione con i libri di Machiavelli per quanto riguarda la milizia. Nel Principe scrive: 104 Chabod, 205. Ibidem. 106 Ibidem, 332. Hale, Machiavelli and Renaissance Italy,110. 107 Viroli, 105. Hale, Machiavelli and Renaissance Italy, 112. 108 Machiavelli, Tutte le opere, 1108. 109 Hale, Machiavelli and Renaissance Italy, 113. 105 37 In somma, nelle mercenarie è più pericolosa la ignavia, nelle ausiliarie la virtù. Uno principe, pertanto, savio, sempre ha fuggito queste arme, e voltosi alle proprie; e ha volsuto piutosto perdere con li sua che vincere con gli altri, iudicando non vera vittoria quella che non le arme aliene si acquistassi.110 Nei Discorsi lui parla anche del suo ideale. Il titolo del paragrafo 21 del Libro I recita così: ’Quanto biasimo meriti quel principe e quella republica che manca d’armi proprie.’ Il paragrafo comincia con la frase: Debbono i presenti principi e le moderne republiche, le quali circa le difese ed offese mancano di soldati propri, vergognarsi di loro medesime; e pensare, con lo esemplo di Tullo, tale difetto essere, non per mancamento di uomini atti alla milizia, ma per colpa sua, che non han saputo fare i suoi uomini militari.111 Poi dà anche un esempio del suo tempo, parlando del re d’Inghilterra, e uno della Grecia antica. Nel Libro II ho letto nel paragrafo 43, che in eserciti mercenari ‘ non è un affezione verso di quello per chi e’ combattono, che gli faccia diventare suoi partigiani’[…] ’è necessario, a volere tenere uno stato, o volere mantenere una republica o un regno, armarsi de’ sudditi suoi.’112 Nell’Arte della guerra Machiavelli parla del reclutamento e della formazione della milizia, della tattica, dello schieramento in battaglia, del ruolo della fanteria in confronto alla cavalleria e di quasi tutti gli altri aspetti militari, ma l’argomento principale è la necessità di una milizia civile invece di un esercito professionista.113 Nel proemio ho letto: E se in qualunque altro ordine delle cittadi e de’ regni si usava ogni diligenza per mantenere gli uomini fedeli, pacifici e pieni del timore d’Iddio, nella milizia si raddoppiava; perché in quale uomo debbe ricercare la patria maggiore fede, che in colui che le ha a promettere di morire per lei?114 Mi sembra senz’altro giusto affermare, che ci sia una chiara relazione fra l’esperienza militare di Machiavelli come segretario fiorentino e questo libro. 3.2.3.3. Le missioni presso Cesare Borgia. 110 Machiavelli, Principe, 94 Machiavelli, Tutte le opere, 105. 112 Ibidem, 126. 113 Machiavelli, Dell’Arte della Guerra, XVI. 114 Machiavelli, Tutte le opere, 301. 111 38 Nel 1502 vediamo Machiavelli in missione presso Cesare Borgia.115 Chi era questo Borgia e perché era necessario secondo la Signoria mandargli una delegazione? Cesare Borgia era figlio del cardinale Rodrigo Borgia, in seguito papa Alessandro VI. Fu nominato duca di Valentinois dal re di Francia e quindi detto ‘il Valentino’. Con il sostegno di suo padre s’impadroniva fra il novembre 1499 e l’aprile 1501 d’Imola e Forlì (dopo la forte resistenza di Caterina Sforza Riario, menzionata da Machiavelli nell’Arte della guerra), Pesaro, Rimini e Faenza e fu nominato dal papa duca di Romagna. Poi conquista Piombino e il governo di Firenze si sente gravemente minacciato, soprattutto perché già nella primavera di 1501 il Valentino aveva devastato una gran parte delle terre dello stato di Firenze durante la sua marcia a Roma. Dopo la ribellione d’Arezzo contro Firenze con il verosimile aiuto del Valentino, lui fa sapere che vuole trattare con Firenze. I priori mandano Niccolò Machiavelli e Francesco Soderini, che incontrano il Valentino ad Urbino, appena conquistata. Machiavelli è impressionato dal duca e scrive a Firenze: Questo Signore e molto splendido e magnifico, et nell armi è tanto animoso, che non è sí gran cosa che non li paia piccola, et per gloria et per acquistare stato mai si riposa né conosce fatica o periculo: giunge prima in un luogo, che se ne possa intendere la partita donde si lieva: fassi ben volere a’ suoi soldati; ha cappati e’ migliori uomini d’Italia; le quali cose lo fanno vittorioso et formidabile, agguonto con una perpetua fortuna.116 Cesare Borgia conosce la debolezza di Firenze, divisa fra repubblicani antimedicei e partigiani dei Medici e senza un esercito. Il duca, amico dei Medici fuoriusciti, offre un pattodiamicizia e richiede in cambio la mutazione del governo di Firenze. Spiega che senza questo accordo la repubblica di Firenze è perduta, perché non può contare sull’appoggio della Francia. Firenze rifiuta il patto e Machiavelli e Soderini tornano a casa. Dopo tre mesi vediamo Machiavelli di nuovo presso il Valentino, questa volta solo.117 Incontra il duca in una situazione del tutto diversa da quella della prima missione. Questa volta il Borgia ha bisogna dell’aiuto di Firenze. Dopo la ribellione d’Urbino i suoi condottieri hanno congiurato contro di lui. Penso che questo avvenimento per Machiavelli costituisca una ragione di più per condannare il sistema 115 Chabod, 289-297. Chabod, 296. 117 Viroli, 57-65. 116 39 condottiero. L’argomentazione più importante del duca a favore di un trattato è che questi suoi nemici sono anche i nemici di Firenze. Machiavelli, seguendo il Valentino con il suo esercito per tre mesi da Imola a Cesena e Siena, è convinto che questo alla fine vincerà e consiglia il governo di prendere le parti del duca. Il 13 ottobre 1502 scrive alla signoria che ‘si ha ad fare qui con un principe che si governa da sé.’118 Firenze invece anche questa volta non vuole un patto con il duca e preferisce aspettare la caduta del suo stato. Alla fine del 1502 e all’inizio del 1503 il Valentino si libera in modo crudele e traditore dei suoi condottieri rivoltosi. Poi propone di nuovo un patto e questa volta seguendo il consiglio di Machiavelli Firenze manda Iacopo Salviati, ambasciatore con la facoltà di concludere un accordo. Nello stesso anno muore il papa Alessandro VI e il potere del Valentino è finito. Trattando l’idea della milizia ho già citato il parere di Machiavelli, scritto nel capitolo XIII del Principe, sull’uso da parte di Cesare Borgia di soldati propri. Anche una gran parte del capitolo VII tratta di Cesare Borgia e soprattutto della sua conquista della Romagna con il sostegno del padre, il papa Alessandro VI. Qui Machiavelli ci mostra la sua ammirazione verso il duca, quando lo cita ad esempio scrivendo: Chi, adunque , iudica necessario nel suo principato nuovo assicurarsi de’ nimici, guadagnarsi degli amici, vincere o per forza o per fraude, farsi amare e temere da’ populi, seguire e reverire da’ soldati, spegnere quelli che ti possono o debbono offendere, innovare con nuovi modi gli ordini antiqui, essere severo e grato, magnamino e liberale, spegnere la milizia infedele, creare della nuova, mantenere le amicizie de’ re e de’ principi in modo che ti abbino o a beneficare con grazia o offendere con respetto, non può trovare e’ più freschi esempli che le azioni di costui.119 Nel capitolo XVII del Principe Machiavelli scrive sulla crudeltà e sulla clemenza e ancora l’esempio da seguire è Cesare Borgia. Scendendo appresso alle altre prealleggate qualità, dico che ciascuno principe debbe desiderare di essere tenuto pietoso e non crudele: nondimanco debbe avvertire di non usare male questa pietà. Era tenuto Cesare Borgia crudele; nondimanco quella sua crudeltà aveva racconcia la Romagna, unitola, ridottola in pace e in fede.120 118 Viroli, 61. Machiavelli, Principe, 58. 120 Ibidem, 112. 119 40 Anche nei Discorsi un brano tratta il rapporto fra Firenze e Cesare Borgia, cioè prima della missione di Niccolò Machiavelli. Lui scrive sull’atteggiamento di Firenze nel 1501, quando il duca chiede il permesso di marciare attraverso lo stato di Firenze. Machiavelli rimprovera alla signoria debolezza e indecisione con il risultato negativo di danni gravi per la popolazione.121 3.2.3.4. La missione presso l’imperatore Massimiliano I. L’ultimo viaggio diplomatico di Machiavelli che voglio trattare in questo capitolo è quello in Germania dal 17 dicembre 1507 al 17 giugno 1508.122 Chabod considera questa missione presso Massimiliano I d’Asburgo ‘assai più importante, per l’influsso generale sul pensiero machiavelliano.’123 La ragione della missione era che c’erano voci di una possibile invasione da parte dell’imperatore in Italia per cacciare i francesi dalla Lombardia e farsi incoronare dal papa. Firenze voleva conoscere se le voci erano vere e quale era la forza dell’esercito imperiale. A Firenze c’era una controversia fra Soderini, amico dei francesi, e l’aristocrazia che voleva un trattato con l’imperatore; quindi nel giugno 1501 fu mandato Francesco Vettori, uomo degli avversari di Soderini, ma nel dicembre quest’ultimo mandò con un pretesto anche Machiavelli in Germania. Attraversando la Svizzera Machiavelli giunge il 11 gennaio 1508 a Bolzano, dove incontra Vettori e dove inizia una stretta collaborazione e amicizia. Molto importanti sono i rapporti che Machiavelli ha scritto, subito al ritorno a Firenze nel giugno 1508: Rapporto delle cose della Magna e Discorso sopra le cose della Magna e sopra l’imperatore. In questi scritti Machiavelli disegna un ritratto dell’imperatore, che troviamo in gran parte anche nel Principe: Io voglio a questo proposito addurre uno esemplo moderno. Pre’ Luca, uomo di Massimiliano, presente imperadore, parlando di sua maestà disse come e’ non si consigliava con persona, e non faceva mai di alcuna cosa a suo modo; il che nasceva dal tenere contrario termine al sopradetto. Perché lo imperadore è uomo secreto, non comunica li sua disegni con persona, non ne piglia parere; ma, come nel metterli ad effetto, si cominciono a conoscere e scoprire, li cominciono ad essere contradetti da coloro che lui ha d’intorno; e quello, come facile, se ne stoglie. Di qui nasce che quelle cose che fa uno giorno, destrugge 121 Machiavelli, Tutte le opere, 121. Viroli, 97-102. Chabod, 344-349. 123 Ibidem, 344. 122 41 l’altro; e che non si intenda mai quello si voglia o disegni fare; e che non si può sopra le sua deliberazioni fondarsi.124 Questa descrizione ci mostra un principe con un carattere volubile. Un altro difetto conosciamo dal Discorso, dove si legge che ‘è un uomo gittatore del suo sopra tutti gli altri che a’ nostri tempi o prima sono stati.’125 Nel Rapporto Machiavelli spiega le conseguenze di questo tratto caratteriale: Potrebbe pertanto, se fusse un re di Spagna, in poco tempo far tanto fondamento da sé, che gli uscirebbe ogni cosa; perché con un capitale di ottocento o novecentomila fiorini, l’imperio non sarà sì poco, ed il paese suo non farebbe sì poco, che non facesse assai augumento, e avendo comodità di muover la guerra subita, per aver gente da guerra in ogni luogo, potrebbe, trovandosi provvisto di denari, muover guerra subito, e trovar colle armi ognuno sprovvisto.126 Ritroviamo questo parere di Machiavelli nel Principe, dove scrive che ‘Uno principe […] debbe [...] non si curare del nome del misero’ e poi: ‘ Ne’ nostri tempi noi non abbiamo veduto fare gran cose se non a quelli che sono stati tenuti miseri; gli altri essere spenti.’127 E dà gli esempi del papa Giulio II, Luigi XII di Francia en Fernando il Catolico di Aragona.128 Machiavelli vede un’altra differenza nel modo di vivere della Germania. Nelle regioni che ha visitato questa volta, le alpine, ha visto un modo di vivere abbastanza duro, rozzo e povero. Scrive dei tedeschi: In soldati non spendono, perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li giorni delle feste tali uomini in cambio delli giuochi, chi si esercita collo scoppietto, chi colla pica e chi con una arme e chi con un altra, giocando tra loro onori et similia, e quali tra loro poi si godono.129 Chabod pensa, ed io condivido il suo parere, che Machiavelli qui abbia un intento polemico. Conosceva anche regioni ricche e lussuose della Germania. Qui invece vuole contrapporre l’esempio di una Germania dura alla sontuosa Italia rinascimentale e 124 Machiavelli, Principe, 158,160. Machiavelli, Tutte le opere, 68. 126 Ibidem, 64-65. 127 Machiavelli, Principe, 108. 128 Ibidem, 108,110. 129 Machiavelli, Tutte le opere, 69. 125 42 certamente ha in mente di fornire un esempio del suo sistema dell’ordinanza fiorentina.130 Il riferimento nel capitolo VII dell’ Arte della guerra è ovvio: Credevano i nostri principi italiani, prima ch’egli assaggiassero i colpi delle oltramontane guerre, che a uno principe bastasse[…]ornarsi di gemme e d’oro, dormire e mangiare con maggiore splendore che gli altri, tenere assai lascivie intorno[…].131 Nel Ritratto Machiavelli parla anche della situazione politica in Germania, in cui egli vede tre forze politiche: l’imperatore, i principi e le libere comunità. Nelle ultime si trovano i soldi e l’ordine. L’imperatore si trova quindi in una posizione dipendente e per le comunità la loro libertà è più importante dell’impero. 132 Nel Principe Machiavelli esprime quest’osservazione così: ’Le città di Alamagna sono liberissime, hanno poco contado, e obediscano allo imperadore quando le vogliono, e non temono né quello né altro potente che le abbino intorno;’133 Nei Discordi Machiavelli esprime un concetto ideale della Germania e contrappone questo all’ Italia ‘corrotta’. Vedesi bene, nella provincia della Magna, questa bontà e questa religione ancora in quelli popoli essere grande; la quale fa che molte republiche vi vivono libere, ed in modo osservano le loro leggi che nessuno di fuori né di dentro ardisce occuparle.134 Tornato a Firenze, nell’estate del 1508, Machiavelli si occupa con l’assedio di Pisa e l’8 giugno 1509 la città si arrende ai fiorentini. Negli anni seguenti la situazione politica per Firenze diventa sempre più minacciosa. Il papa conclude un patto con la Venezia e la Spagna, la Lega Santa, per cacciare i francesi e quindi lo stato di Firenze, alleato della Francia, si trova in una posizione isolata. 3.2.3.5. La perdita di Prato e il rientro dei Medici. Nel 1512 gli spagnoli marciano dal nord verso Firenze. L’ultimo ostacolo è Prato. In questa città c’era una forza armata, composta di una milizia di 3000 uomini e 100 altri 130 Chabod, 346-347. Machiavelli, Tutte le opere, 388. 132 Ibidem, 68-71. 133 Machiavelli, Principe, 74. 134 Machiavelli, Tutte le opere, 137. 131 43 soldati. Il comandante spagnolo, il viceré Raimondo di Cardona, offre un accordo, ma Soderini rifiuta. Gli Spagnoli aprono una breccia nel muro ed entrano nella città. I fiorentini si danno immediatamente alla fuga. Gli Spagnoli saccheggiano la città e ammazzano 4000 soldati e cittadini.135 Ci si può immaginare che molti fiorentini consideravano questa sconfitta della città anche una sconfitta dell’idea della milizia. Quale era la reazione di Niccolò Machiavelli? Nei Discorsi parla dettagliatamente della perdita di Prato, ma si cerca invano la parola ‘milizia’. Machiavelli tratta questo avvenimento completamente come una cosa politica e scrive: Non possono, pertanto, i principi, che sono assaltati, fare il maggiore errore, quando lo assalto è fatto da uomini di gran lunga più potenti di loro, che recusare ogni accordo, massime quando e’gli è offerto: perché non sarà mai offerto sì basso, che non vi sia dentro in qualche parte il bene essere di colui che lo accetta, e vi sarà parte della sua vittoria136. Rimprovera alla signoria di aver rifiutato un accordo con gli spagnoli. Questo errore è secondo lui la causa della sconfitta: ‘di che insuperbito il popolo di Firenze, non lo accettò; donde ne nacque la perdita di Prato, e la rovina di quello stato.’137 Nell’Arte della guerra Fabrizio Colonna afferma che il modo ideale per mantenere la libertà di una città è l’armare i cittadini. In questo brano dice anche: Pertanto questi vostri uomini savi non deono misurare questa inutilità dallo avere perduto una volta, ma credere che, così come e’ si perde, e’ si possa vincere e remediare alla cagione della perdita. E quando ei cercassero questo, trovorebbono che non sarebbe stato per difetto del modo, ma dell’ordine che non aveva la sua perfezione; e come ho detto, dovevano provvedervi, non con biasmare l’ordinanza, ma con ricorreggerla;138 Non menziona Prato, ma a buon intenditor poche parole. Mi sembra che Machiavelli qui difenda l’idea della milizia nonostante la perdita di Prato. La sconfitta di Prato decide il futuro di Firenze. Con l’aiuto della Lega Santa i Medici rientrano in Firenze. Il gonfaloniere Piero Soderini fugge a Siena. Il giudizio di Machiavelli su Soderini si legge nei Discorsi : 135 Viroli, 128-129. Machiavelli, Tutte le opere, 187. 137 Ibidem, 187. 138 Ibidem, 31.1 136 44 E questo è Piero Soderini, il quale si credeva superare con la pazienza e bontà sua quello appetito che era ne’ figlioli di Bruto, di ritornare sotto un altro governo e se ne ingannò[…]; giudicava […] che, a volere gagliardamente urtare le sue opposizioni, e battere i suoi avversari, gli bisognava pigliare istraordinaria autorità, e rompere con le leggi la civile equalità: […] Ma lo ingannò la prima opinione, non conoscendo che la malignità non è doma da tempo né placata da alcuno dono. Tanto che, per non sapere somigliare Bruto, e’ perdé, e insieme con la patria sua, lo stato e la reputazione.139 3.2.3.6. Dopo le attività pubbliche. Il 7 novembre 1512 Machiavelli è esonerato dal suo incarico e nel febbraio 1513 è addirittura imprigionato e torturato perché sospettato di partecipazione ad una congiura antimedicea. Dopo la sua liberazione si ritira a Sant’Andrea in Percussina presso San Casciano nella tenuta della sua famiglia.140 Là scrive nello stesso anno Il Principe e comincia I Discorsi, che finisce entro il 1519.141 Poi scrive i sette libri Dell’arte della guerra, che sono pubblicati nell’augusto 1521 a Firenze da Filippo di Giunta.142 Quest’opera è accolta molto positivamente. Il cardinale Giovanni Salviati scrive a Machiavelli in una lettera del 6 settembre 1521: […] el libro vostro, il quale, quanto più l’ho considerato, tanto più mi piace, parendomi che al perfettisimo modo di guerreggiare antico habbiate agiunto tutto quello che è di buono nel guerreggiar moderno, e fatto uno composizione di esercito invincibile.[…] Ringraziovi adunque molto che, per la comune utilità degl’Italiani, habbiate mandato fuora questo libro, il quale, per i tempi che verranno, sarà almanco, se non operà altro, buon testimonio che in Italia non è mancato a’ tempi nostri chi habbia conosciuto quale è il vero modo di militare.143 L’Arte della guerra sarebbe stato lo spunto per l’incarico da parte di Giulio de’ Medici di scrivere la storia di Firenze e nel 1525 Machiavelli presentò gli otto primi libri delle Istorie fiorentine a papa Clemente VII.144 139 Ibidem, 198-199. Chabod, 210. 141 Ibidem, 216. 142 Viroli, 213. 143 Machiavelli, Tutte le opere, 1207. 144 Chabod, 225-226. 140 45 In questo periodo Machiavelli si occupava d’altronde anche di teatro. Scrisse le commedie Mandragola e Clizia.145 Negli anni venti Machiavelli assolveva ancora qualche missione per i Medici e per il papa, ma non fu mai reintegrato nelle sue funzioni. Nel maggio 1527, dopo il sacco di Roma da parte delle truppe dell’imperatore Carlo V, scoppiava a Firenze una ribellione contro i Medici, che erano cacciati. Questo avvenimento fu la fine per le attività politiche di Niccolò Machiavelli.146 Il 10 giugno 1527 Machiavelli si ammalava e il 21 dello stesso mese morì. Fu sepolto in Santa Croce a Firenze.147 3.3. Conclusione. C’è una chiara relazione fra la vita di Niccolò Machiavelli e il contenuto dei tre libri che ho esaminato. Il più delle volte Machiavelli non menziona soltanto i fatti, ma ci dà anche il suo parere sulla causa e sull’effetto, mentre collega frequentemente l’attualità all’antichità classica. In alcuni casi utilizza gli avvenimenti del suo tempo per esprimere idee, che secondo lui hanno una validità generale, come nel caso di Cesare Borgia o della sconfitta di Prato. Nel campo militare è chiaro che Machiavelli ha fatto esperienze negative con condottieri e con truppe ausiliari, mentre la sua milizia fiorentina dava un contributo importante all’assedio di Pisa. Egli biasima quindi le truppe mercenarie e esprime più volte la sua preferenza per la milizia civile. Usa la sua conoscenza dell’ordinamento statale e del sistema militare all’estero per dare un buon esempio a Firenze. 145 Ibidem, 224-225. Ibidem, 229-230. 147 Viroli, 254. 146 46 4. Verso una teoria della milizia: Dell’arte della guerra. 4.1. Introduzione. Finora abbiamo visto che Machiavelli detestava gli eserciti mercenari e quelli ausiliari. Mostrava una chiara preferenza per armi proprie, cioè per una milizia. Quali erano però le sue idee di una milizia? Per trovare la risposta a questa domanda ho scelto di esaminare in primo luogo L’arte della guerra. Fra i tre libri già scelti per il capitolo precedente questo è l’unico in cui Machiavelli scrive, infatti, solo su affari militari. Lo scrittore spiega le sue idee su tutti gli aspetti dell’opera militare. Mi sembra importante che lo abbia scritto nel 1519-20. Si può quindi presumere che in questo libro troviamo il suo parere definitivo e ben ragionato. Le sue esperienze con la milizia fiorentina nel 1509 a Pisa e nel 1512 a Prato non gli avevano dato motivo per desistere dall’idea della milizia. Queste esperienze invece erano, a quanto pare, per lui, lo spunto per elaborare un manuale sull’istituzione, il mantenimento e l’utilizzo della milizia. Paragonerò le idee di Machiavelli nell’Arte della guerra in senso generale con i suoi scritti sulla milizia nel periodo durante il quale era segretario della cancelleria, soprattutto La cagione dell’ordinanza, dove la si trovi, et quel che bisogna fare Post Res Perditas e Provvisioni della repubblica di Firenze per istituire il magistrato de’ nove ufficiali dell’Ordinanza e Milizia fiorentina, dettate da Niccolò Machiavelli, nei quali ha fornito anche i dettagli per l’applicazione pratica nella situazione fiorentina.148 A paragone degli altri scritti di Machiavelli colpisce il fatto che l’argomento del trattato Dell’arte della guerra non sia la storia, neanche la situazione attuale; ci dà invece consigli per il futuro. L’importanza del libro si può forse dedurre anche dal fatto che sia l’unica opera pubblicata durante la vita dello scrittore. Prima di trattare il contenuto del libro per quanto riguarda la milizia machiavelliana vorrei parlare della forma letteraria che lo scrittore ha adottato. Machiavelli ha usato il dialogo come modo di esprimere le sue idee. Qui ci mostra il suo detto atteggiamento umanistico, perché questo modo di scrivere è adottato da Platone nei suoi dialoghi filosofici. Il dialogo è un genere letterario che si può applicare per la 148 Machiavelli, Tutte le opere, 37-50. 47 discussione di vari problemi. Un argomento, spesso teorico, è trattato tramite dialoghi in prosa fra diverse persone, che si trovano spesso in un luogo particolare.149 Nel caso dell’Arte della guerra, i giardini con il nome ‘Orti Orinerai’ formano l’ambiente in cui si svolge il dialogo. Questi giardini sono stati costruiti da Bernardo Rucellai, aristocratico fiorentino legato ai Medici non soltanto tramite il suo matrimonio con Nannina de’ Medici ma soprattutto per via del suo sostegno della repubblica oligarchica. In origine i giardini formavano un luogo d’incontro per un gruppo d’intellettuali e politici, che erano interessati alla letteratura antica. Nel 1494, dopo la caduta della famiglia de’ Medici, Bernardo fu esiliato. Dopo la sua morte, nel 1514, il nipote Cosimo fungeva da ospite degli ‘orti’.150 Adesso il circolo era formato soprattutto da giovani scrittori e filosofi, membri dell’alta borghesia. Niccolò Machiavelli frequentava dal 1517 gli ‘Orti Oricellari’ e discuteva con gli altri di affari politici e militari, naturalmente sulla base della sua ammirazione degli antichi e delle sue recenti esperienze. Ma l’atmosfera era cambiata e una gran parte del gruppo appoggiava l’idea di una repubblica senza i Medici.151 Si potrebbe affermare che in questi orti sono nati I Discorsi, la perorazione di Machiavelli per la repubblica come forma ideale di governo. Machiavelli sceglie questi giardini come teatro del dialogo sull’argomento militare. Nell’introduzione del primo dei sette libri leggiamo che il famoso condottiero Fabrizio Colonna, tornando dalla Lombardia, passa per Firenze ed è invitato nei giardini: Donde che a Cosimo parve convitarlo ne’ suoi orti, non tanto per usare la sua liberalità, quanto per avere cagione di parlar seco lungamente, e da quello intendere ed imparare varie cose, secondo che da un tale uomo si può sperare, parendogli avere occasione di spendere un giorno in ragionare di quelle materie che allo animo suo sodisfacevano. Venne adunque Fabrizio, secondo che quello volle, e da Cosimo insieme con alcuni altri suoi fidati amici fu ricevuto; tra’ quali furono Zanobi Buondelmonti, Batusta della Palla e Luigi Alamanni, giovani tutti amati da lui e de’ medesimi studi ardentissimi, le buone qualità de’quali, perché ogni giorno ed ad ogni ora per se medesime si lodano, ommettereno.152 149 Ferroni, LIII. Niccolò Machiavelli, Art of war.Translated and edited by Christopher Lynch (Chicago and London: The University of Chicago Press, [2003]), 8, note 5. 151 Viroli, 216-217. 152 Machiavelli, Tutte le opere, 303. I Discorsi sono dedicati a Zanobi Buondelmonti e Cosimo Rucellai, ibidem 75. 150 48 Machiavelli è presente, ma non fa parte della discussione. Il protagonista è Fabrizio Colonna. La scelta di questo Fabrizio sembra un po’ strana, perché è nota l’avversione di Machiavelli per i condottieri. Inoltre c’è una gran discrepanza fra le attività di Fabrizio come condottiero e il suo ruolo nell’Arte della guerra, in cui - come vedremo – si mostra un difensore della milizia. Quest’aspetto mi sembra abbastanza interessante da prestargli attenzione. Diversi storici hanno tentato di spiegare la scelta di Fabrizio. Mallett pensa, secondo quanto scrive Colish nel suo articolo in Renaissance Quarterly, che Machiavelli per qualche motivo volesse fare una caricatura di Fabrizio.153 Questa affermazione di Colish non è giusta. Mallett parla invece di un esempio della dicotomia nell’atteggiamento degli italiani rispetto ai soldati.154 Nello stesso articolo Colish scrive che Fredérique Verrier è dell’opinione che lo scrittore volesse accentuare il contrasto fra teoria e pratica e che secondo Bernard Guillemain Machiavelli considerava Fabrizio il capitano di un futuro esercito italiano. Carlo Dionisotti, sempre secondo Colish, cerca il motivo in una direzione del tutto diversa: egli considera la scelta di Fabrizio un gesto anti-Medici da parte di Machiavelli. 155 Colish sostiene quest’idea analizzando le relazioni fra i Colonna, gli Orsini e i Medici. Conclude questo ragionamento con la constatazione che Machiavelli ha criticato i Medici in scritti prima e dopo L’arte della guerra, cioè I Discorsi e le Storie fiorentine. Tralascia però di menzionare che Il Principe fu dedicato a Lorenzo dei Medici, e anche il fatto che dopo la pubblicazione dell’Arte della guerra sono stati Giovanni de’ Medici (Papa Leone X) e il cardinale Giulio de’ Medici che gli hanno commissionato le Storie fiorentine.156 Nell’ultima parte del settimo libro dell’Arte della guerra Fabrizio afferma: Se vi ricorda bene, Cosimo, voi mi dicesti che, essendo io dall’uno canto esaltatore della antichità e biasimatore di quegli che nelle cose gravi non lo imitano, e, dall’altro, non la avendo io nelle cose della guerra, dove io mi sono affaticato, imitata, non ne potevi ritrovare la cagione; a che io riposi come gli uomini che vogliono fare una cosa, conviene prima si preparino a saperla fare, per potere poi operarla quando l’occasione lo permetta. Se io saprei ridurre la melizia ne’modi antichi o no, io ne voglio per giudici voi che mi avete sentito sopra questa materia lungamente disputare; donde voi avete potuto conoscere 153 Marcia L. Colish, ‘Machiavelli’s Art of war: A reconsideration’ Renaissance Quarterly 51 (1998): 1153-54 154 Mallett, Mercinaries, 257-258. Capitolo 2, 22. 155 Colish, 1153-1154. 156 Viroli, 217. 49 quanto tempo io abbia consumato in questi pensieri, e ancora credo possiate immaginare quanto disiderio sia in me di mandargli ad effetto.157 Possiamo considerare questa presa di posizione la ragione della concessione del ruolo di protagonista, che difende la milizia, ad un condottiero come Fabrizio Colonna. Egli, condottiero ed esperto della guerra, sostiene le idee di Machiavelli e così aiuta a convincere i lettori. Questa è la conclusione di Colish e a mio parere la più verosimile. 4.2. La milizia nei libri Dell’arte della guerra. 4.2.1. I pensieri fondamentali. Alla fine dell’Arte della guerra troviamo la risposta alla domanda sul perché Machiavelli ha scritto questo trattato: egli voleva fornire un modo di prevenire nel futuro un disastro come l’invasione di Carlo VIII nel 1494. Credevano i nostri principi italiani, prima ch’egli assaggiassero i colpi delle oltramontane guerre, che uno principe bastasse sapere negli srittoi pensare una acuta risposta, scrivere una bella lettera, mostrare ne’ detti e nelle parole arguzia e prontezza, sapere tessere una fraude, ornarsi di gemme e d’oro, dormire e mangiare con maggiore splendore che gli altri, tenere assai lascivie intorno, governarsi co’ sudditi avaramente e superbamente, marcirsi nello azio, dare i gradi della milizia per grazia, disprezzare se alcuno avesse loro dimostro alcuna lodevole via, volere che le parole loro fussero responsi di oraculi; né si accorgevano i meschini che si preparavano ad essere preda di qualunque gli assaltava. Di qui nacquero poi nel mille quattrocento novantaquattro i grandi spaventi, le sùbite fughe e le miracolose perdite; e così tre potentissimi stati che erano in Italia, sono stati più volte saccheggiati e guasti. Ma quello che è peggio, è che quegli ci restano stanno nel medesimo errore e vivono nel medesimo disordine, en non considerano che quegli che anticamente volevano tenere lo stato, facevano e facevano fare tutte quelle cose che da me si sono ragionate, e che il loro studio era preparare il corpo a’ disagi e lo animo a non temere pericoli.[…] E io vi affermo che qualunque di quelli che tengono oggi stati in Italia prima entrerrà per questa via, fia, prima che alcuno altro, signore di questa provincia; [...] Colui adunque che dispregia questi pensieri, s’egli è principe, dispregia il principato suo; s’egli è cittadino, la sua città.158 Quali erano ‘le cose ragionate’ e ‘questi pensieri’? Formare una milizia e usarla nel modo descritto in questo trattato. Nel proemio e in una parte del primo libro troviamo 157 158 Machiavelli, Tutte le opere, 387. Ibidem, 388-389. 50 analizzata razionalmente la necessità di formare una milizia. Poi Machiavelli descrive nel libro I e II il reclutamento, l’armamento, l’organizzazione e l’addestramento. Nei libri dal III al VII incluso troviamo fra l’altro argomenti come la tattica, l’accampamento e i fortificazioni. Nel contesto di questa tesi tratterò la scelta della milizia come esercito ideale e gli altri argomenti dei libri I e II. Nel proemio Machiavelli pone un pensiero che si può considerare il nucleo dell’idea della milizia civile.159 Afferma che in fondo non c’è gran differenza fra la vita militare e la vita civile. L’idea dell’inconvenienza considera un errore del suo tempo, con la conseguenza che si vedono grandi differenze fra queste due nel comportamento generale e nel modo di vestirsi o quello di parlare. Per un giudizio corretto si deve guardare l’antichità e ‘[…] se si considerassono gli antichi ordini, non si troverebbono cose più unite, più conformi e che, di necessità, tanto l’uno amasse l’altra, quanto queste;’ 160 I soldati devono essere stimati e lodati per causa delle virtù militari. Machiavelli giudica che è possibile riportare nel suo tempo questo modo di vivere e di pensare e soprattutto ‘qualche forma della passata virtù’.161 Fabrizio elabora l’idea d’introdurre di nuovo alcune cose nella società italiana. Onorare e premiare le virtù, non dispregiare la povertà, stimare i modi e gli ordini della disciplina militare, costringere i cittadini ad amare l’uno l’altro, a vivere sanza sètte, a stimare meno il privato che il publico, e altre simili cose che facilmente si potrebbono con questi tempi accompagnare.162 Fabrizio spiega l’idea fondamentale per una milizia. Non si rivolta soltanto, come ci si aspetta, contro i mercenari, ma contro qualsiasi forma di professionismo militare. Per lui non è possibile che la professione dell’arma sia un mestiere e dice: Perché buono non sarà mai giudicato colui che faccia uno esercizio che, a volere d’ogni tempo trarne utilità, gli convegna essere rapace, fraudolento, violento e avere molte qualitadi le quali di necessità lo facciono non buono.163 Continua dicendo che in una repubblica o in un regno non si può mai consentire ai sudditi di fare il militare come mestiere. Fare la guerra deve essere un’attività temporanea dopo la quale ognuno deve tornare a casa. Se no, gli uomini si riuniscono 159 Ibidem, 301-302. Ibidem, 301. 161 Ibidem, 301-302. 162 Ibidem, 304. 163 Ibidem, 305. 160 51 come nelle compagnie di ventura, e conosciamo le conseguenze dalla storia. Fabrizio menziona l’esempio di Francesco Sforza e quello dei cartaginesi, che Machiavelli ha ambedue anche descritto nel Principe e quanto ai cartaginesi inoltre nei Discorsi.164 Fabrizio dà esempi del tempo della repubblica romana e parla di ‘questi uomini buoni, e che nono usano la guerra per loro arte, non vogliono trarre di quella se non fatica, pericoli e gloria, quando e’ sono a sufficienza gloriosi disiderano tornarsi a casa e vivere dell’arte loro.’165 Egli presenta addirittura se stesso come esempio di un tale uomo in un brano non convincente. E perché voi allegasti me, io voglio esemplificare sopra di me; e dico non aver mai usata la guerra per arte, perché l’arte mia è governare i miei sudditi e defendergli, e, per potergli defendere, amare la pace e saper fare la guerra. Ed il mio re non tanto mi premia e stima per interdermi io della guerra, quanto per sapere io ancora consigliarlo nella pace.166 Questa presa di posizione contro ogni forma di professionalismo non l’ho mai letta prima negli scritti di Machiavelli. Cesare Borgia, così lodato da lui, aveva un esercito formato da una parte di professionisti e da una di milizia. L’esercito fiorentino ci mostra una mescolanza di professionisti e milizia, sia al riuscito assedio di Pisa sia alla sconfitta di Prato.Questa disapprovazione del professionalismo militare non ha proprio niente a che fare con l’antimilitarismo. Nei suoi scritti Machiavelli sottolinea molte volte l’importanza della guerra. Vorrei dare qui soltanto un singolo esempio. Nel Principe afferma: Debbe, adunque, uno principe non avere altro obietto né altro pensiero, né prendere cosa alcuna per sua arte, fuora della guerra e ordini e disciplina di essa; perché quella è sola arte che si espetta a chi comanda;167 Machiavelli stima le virtù militari. Egli mira ad un cittadino ideale che accumuli in sé le virtù militari e quelle civili. La conseguenza logica è armare i sudditi dello stato in qualsiasi modo.168 Troviamo questa convinzione nella risposta di Fabrizio, quando 164 Ibidem, 239-240. Ibidem, 306-307. 166 Ibidem, 309. 167 Machiavelli, Principe, 98. 168 Mallett, Michael, ‘The theory and practice of warfare in Machiavelli’s republic’ in Machiavelli and republicanism, Gisela Bock, Quentin Skinner, Maurizio Viroli, eds.(Cambridge: Cambridge U.P., 1990): 177. 165 52 Cosimo gli chiede come avrebbe voluto tenere ‘le genti d’arme’: ‘Per via di ordinanza’.169 Più tardi nel dialogo Cosimo dice: Ma io ho fatto troppa grande digressione, e forse sono uscito del proposito mio; pure lo ho fatto per rispondervi e dimostrarvi che non si può fare fondamento in altre armi che nelle proprie, e l’armi proprie non si possono ordinare altrimenti che per via d’una ordinanza, né per altre vie introdurre forme di eserciti in alcuno luogo, né per altro modo ordinare una disciplina militare.170 Chabod vede nel ragionamento di Machiavelli un grande errore, poiché crede di poter creare un forte organismo militare a Firenze soltanto con una riorganizzazione militare. Secondo Chabod la base di quest’idea risiede nella supposizione che il mercenarismo militare fu l’unica causa della rovina d’Italia, mentre ci furono anche cause politiche.171 Anche a mio parere, infatti, ci deve essere una relazione logica fra la struttura politica e le forze armate di uno stato. Machiavelli stesso lo dice, quando scrive nel Principe: E’principali fondamenti che abbino tutti li stati, cosí nuovi come vecchi o misti, sono le buone legge e le buone arme: e, perché non può essere buone legge dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene sieno buone legge, io lascero indietro el ragionare delle legge e parlerò delle arme.172 Nell’Arte della guerra Machiavelli scrive solo di un cambiamento militare. Parla pure delle virtù dei cittadini, ma descrive soltanto un uomo ideale e non ci fornisce un concetto pratico. 4.2.2. Il reclutamento. Il primo aspetto della milizia che vorrei trattare è il reclutamento. Dove cerchiamo gli uomini, quale numero di soldati vogliamo e come facciamo una scelta? Una domanda a cui rispondere per Fabrizio Colonna è: ‘ […] donde giudicate voi sia meglio trarli, o della città o del contado?’173 Fabrizio si riferisce al Vegetius e afferma che è meglio prendere gli uomini dal contado, perché sono ‘avvezzi a’ disagi, nutriti nelle fatiche, consueti stare al sole, fuggire l’ombra, sapere adoperare il ferro, cavare una fossa, 169 Machiavelli, Tutte le opere, 308. Ibidem, 312. 171 Chabod, 337. 172 Machiavelli. Principe, 84. 173 Machiavelli, Tutte le opere, 310. 170 53 portare un peso,’ e poi aggiunge ‘ ed essere sanza astuzia e sanza malizia’.174 Finisce la risposta dicendo che i fanti devono essere scelti nel contado e i cavalieri nella città. Dopo nel dialogo dice che […] i contadini che sono usi a lavorare la terra, sono più utili che niuno; perché di tutte l’arti questa negli eserciti si adopera più che l’altre. Dopo questa sono i fabbri, legnaiuoli, maniscalchi, scarpellini; de’ quali è utile avere assai, perché torna bene la loro arte in molte cose, sendo cosa molta buona avere uno soldato del quale tu traga doppio servigio.175 In La cagione dell’ordinanza, dove la si truovi, et quel che bisogni fare si leggono altre ragioni. In questo testo, scritto nel 1506, Machiavelli non parla delle capacità dei contadini e certamente non dell’assenza di ‘astuzia e malizia’. Leggiamo che non è sensato cominciare contemporaneamente nella città, nel contado e nel distretto, perché la milizia è una cosa nuova e complicata. Inoltre ci sono diverse parti nella milizia: quella che obbedisce e va a piedi e poi quella che comanda e va a cavallo. La popolazione della città è compostadiuomini che comandano e vanno a cavallo. Comandare è un aspetto difficile della guerra. È più facile obbedire ed andare a piedi. Si deve cominciare quindi con la formazione di una milizia di fanti. Gli uomini per la fanteria, dice Machiavelli, si possono trovare nel contado.176 Considero accettabile che lui giudichi più facile guerreggiare come fante che come cavaliere. Machiavelli invece non spiega quando e come i fiorentini dovrebbero imparare a comandare la milizia.177 Tutto il ragionamento in questo scritto non convince. Machiavelli lusinga i fiorentini scrivendo che sono loro a comandare nel futuro la milizia. La vera ragione per reclutare la milizia nel contado si trova nell’Arte della guerra, quando Fabrizio afferma che i contadini sono ‘sanza astuzia e sanza malizia’. A mio parere Machiavelli è dell’opinione che la divisione politica nella città sia troppo grande per cominciare lì l’esperimento della milizia e non gli pare saggio scrivere la verità e offendere in questo modo i suoi concittadini. Così metterebbe in pericolo il suo progetto. Anche nel distretto Machiavelli non vuole reclutare la fanteria. In questo caso afferma chiaro la sua opinione in La cagione dell’ordinanza: 174 Ibidem, 310. Machiavelli, Arte della guerra, Pieri, XXI. Machiavelli, Tutte le opere, 313. 176 Ibidem, 38. 177 Hobohm, 70. 175 54 Né parse piglare el distrecto, anchora che in quello si possa introdurre militia ad piè, perché non sarebbe suto securo partito per la città vostra, maxime in quelli luoghi del distrecto dove sieno nidi grossi, dove una provincia possa fare testa, perchè li humori di Toschana sono tali che, come uno conoscessi potere vivere sopra di sé, non vorrebbe più padrone, trovandosi maxime lui armato, et il padrone disarmato.178 Quando esaminiamo la scelta o leva si presenta una questione di principio, cioè la volontarietà. Descrivendo la milizia romana Fabrizio ha detto che ‘tra’primi privilegi che dava il popolo romano a un suo cittadino, era che non fusse constretto fuora di sua volontà a militare.’179 Nel caso dello stato fiorentino capisce che questa volontarietà non è una soluzione fattibile. Ammette che una milizia sarà sempre formata da volontari e non volontari. Quando si scelgono solo i volontari, esiste il pericolo che siano pochi e certamente non i migliori, ma una leva di soldati obbligati avrà anche effetti cattivi. Però si debbe prendere una via di mezzo dove non sia né tutta forza né tutta volontà ma sieno tirati da uno rispetto ch’egli abbiano al principe, dove essi temano più lo sdegno di quello, che la presente pena; e sempre occorrerà ch’ella fia una forza in modo mescolata con la volontà.180 Anche nello scritto Sul modo di ricostituire l’ordinanza, indirizzato al magistrato dei Nove Ufficiali dell’Ordinanza, Machiavelli parla di questo problema: […] et prima, quanto al venire volentieri, se voi volessi tòrre chi al tucto non può o non vuole venire, che la sarebbe una pazia; et così, se voi volessi scrivere solamente quegli ch vogliono venire,voi non adgiungeresti ad 2 mila in tucto, el paese vostro.181 Machiavelli ci dà la stessa soluzione come nell’Arte della guerra, parlando di ‘quella autorità et reverentia che ha ad havere el principe ne’ subditi sua;’182 Questa risposta mi sembra un poco evasiva e astratta. Pieri giudica così: Il principio del Machiavelli poteva trovare una discreta applicazione in uno stato politicamente saldo, ove fosse concordia degli animi e sincero e 178 Machiavelli, Tutte le opere, 38. Ibidem, 307. 180 Ibidem, 311. 181 Ibidem, 52. 182 Ibidem, 52. 179 55 profondamente sentito il culto delle virtù civili: questo ambiente non esisteva.183 Per quanto riguarda l’età, Fabrizio afferma che i romani sceglievano gli uomini in una fascia d’età fra diciotto e trentacinque anni. Poi, per prevenire il pericolo che una parte dei soldati rimanesse a lungo diventando così un reparto di professionisti, mantenevano un sistema di rotazione.184 Per la milizia fiorentina, Machiavelli fissa un’età di reclutamento fra diciassette e quaranta anni. La rotazione si trova nel fatto che per completare un contingente nel caso di congedo si scelgono i giovani dell’età di diciassette anni.185 Nella Provvisione prima per le fanterie, del 6 dicembre 1506 , prima parte dei Provvisioni della repubblica di Firenze, Machiavelli parla dell’età di quindici anni e di cinquanta anni, perfino con la possibilità di sessanta anni in caso di necessità. Nel suo libro Machiavelli non fornisce una ragione per il cambiamento dell’età, ma potrebbe esserci una relazione con il numero delle reclute. Nell’Arte della guerra Machiavelli si mostra in favore di una grande milizia. 4.2.3. L’organizzazione. Per la fanteria della milizia, Fabrizio sceglie un’organizzazione paragonabile a quella dei romani, ma con altri nomi. ‘Legione’ e ‘coorto’ diventano ‘battaglione’ e battaglia’. Un battaglione conta dieci battaglie. Una battaglia della milizia conta quattrocentocinquanta uomini, in parte fanteria pesante e in parte fanteria leggera. La battaglia viene guidata da un conestabile, quattro centurioni e quaranta ‘capidieci’.186 Per comunicare e comandare, ogni conestabile ha la bandiera e la musica.187 questa organizzazione è paragonabile con quella che troviamo nella Provvisione prima.188 Parlando dei comandanti Fabrizio menziona una misura per la limitazione della loro autorità. A volere che i capi non facciano disordine, è necessario avere cura che non acquistano sopra di loro troppa autorità. E avete a considerare che questa autorità si acquista o per natura, o per accidente. E quanto alla natura, conviene 183 Machiavelli, Dell’arte della guerra, a cura di Piero Pieri, XXI. Machiavelli, Tutte le opere, 307. 185 Ibidem, 310. 186 Nella terminologia moderna si parla di una brigata composta di dieci battaglioni. 187 Ibidem, 324-325. 188 Ibidem, 44. 184 56 provvedere che chi è nato in un luogo, non sia preposto agli uomini descritti in quello, ma sia fatto capo di quelli luoghi dove non abbia alcuna naturale convenienza. Quanto alla accidente, si debbe ordinare la cosa in modo, che ciascuno anno i capi si permutino da governo a governo; perché la continua autorità sopra i medesimi uomini genera tra loro tanta unione, che facilmente si può convertire in preiudizio del principe.189 In questo modo indebolisce dall’inizio la milizia, perché proprio un tale esercito trae la sua forza e la sua disciplina dall’autorità personale del comandante. Anche qui Fabrizio si basa sugli antichi, ma mi sembra chiaro che Machiavelli avesse in mente la situazione fiorentina e certamente non a caso leggiamo in La provvisione prima per le fanterie: Non si possa eleggere per conestabile, o per governatore, di dette bandiere alcuno che sia natìo di quel vicariato, capitanato o potesteria, donde fussino gli uomini che gli avessino ad essere dati in governo, o che in detto luogo o luoghi avesse casa o possessione. Debbino dettti ufficiali ogni anno in calendi novembre, pigliando ancora venti dì innanzi e venti dì dipoi, permutare tutti i conestabili, facendo tutti mutare governo di bandiere e provincia, come a loro parrà e piacerà.190 Per quanto riguarda la cavalleria, è chiaro che Machiavelli non la considera molto importante. Per lui ‘il nervo e la importanza dello esercito è la fanteria’.191 Sul numero di cavalli segue l’esempio dei romani e afferma che non sarebbe stato utile inquadrare più di trecento cavalli in ogni ‘battaglione’ e poi scrive che la cavalleria leggera e quella grave avrebbero dovute essere divise in parti uguali, ognuna con la propria bandiera e musica. Nella Provvisione seconda per le milizie a cavallo del 30 di marzo 1512 il tono è un poco più positivo. Machiavelli parla della necessità di accrescere e fortificare l’ordinanza e scrive: ‘Ma non si potendo fare tal cosa se non con aggiungnerli numero di cavalli,[…]’ Anche il numero dei cavalli è più grande; ‘[...] cinquecento cavalli almeno,[…] 192 189 Ibidem, 316. Ibidem, 43. 191 Ibidem, 333. 192 Ibidem, 47. 190 57 4.2.4. L’armamento. Nel contesto di questa tesi non voglio dilungarmi troppo sugli aspetti tattici come l’armamento, la formazione di combattimento e l’uso del terreno. Per via del rapporto comune degli elementi diversi, tratterò brevemente l’armamento della milizia. Fabrizio si fonda anche in questo caso sugli antichi: ‘Io credo che sia necessario, trovati che sono gli uomini, armargli; volendo fare questo, credo sia cosa necessaria esaminare che arme usavano gli antichi, e di quelle eleggere le migliori.’193 Descrive le armi dei fanti e quelle dei cavalieri nel al tempo dei romani e finisce con la tesi: ‘Con queste armi, così di piede come di cavallo, occuparono i mei Romani tutto il mondo; ed è credibile, per il frutto che se ne vide, che fussono i meglio armati eserciti che fusero mai.’194 Descrive anche l’armamento della fanteria del suo tempo nel modo tedesco. Per lui gli svizzeri sono anche tedeschi e descrive l’armamentodiorigine svizzero. La loro arma più importante era la lancia di una lunghezza di nove braccia insieme con una spada. C’era un complemento di scoppiettieri, che con le loro armi da fuoco sostituivano i balestrieri con gli archi. Mancandodiarmatura, la fanteria tedesca era, al contrario di quella romana, meno adatta per un combattimento corpo a corpo. Fabrizio non risolve questo problema con un’armatura pesante per la fanteria, ma preferisce una combinazione dell’armamento: Prenderei delle armi romane e delle tedesche, e vorrei che la metà fussero armati come i Romani e l’altra metà come i Tedeschi. Perché, se in seimilla fanti, come io vi dirò poco di poi, io avessi tremila fanti con gli scudi alla romana e dumila picche e mille scoppiettieri alla tedesca, mi basterebbono;195 Questi elementi dell’armamento vediamo anche nella Provvisione prima per le fanterie, ma ancora con una sopravvalutazione delle lance.196 Parlando dell’armamento della cavalleria, Fabrizio mostra poca stima per le armi da fuoco. 193 Ibidem, 317. Ibidem, 318. 195 Ibidem, 320. 196 Ibidem, 44. 194 58 Ma i cavagli leggeri vorrei che fussero tutti balestrieri con qualche scoppiettiere tra loro; i quali, benché negli altri maneggi di guerra sieno poco utili, sono a questo utilissimi: di sbigottire i paesani e levaragli di sopra uno passo che fusse guardato da loro, perché più paura farà loro un scoppetiere che venti altri armati.197 4.2.5. L’addestramento. Anche per l’addestramento della fanteria Fabrizio consiglia prima di tutto di studiare le esercitazioni dei romani. Distingue tre aspetti essenziali. l’uno, per indurare il corpo e farlo atto a’ disagi e più veloce e più destro; l’altro, per imparare ad operare l’armi; il terzo, per imparare ad osservare gli ordini negli eserciti, così nel camminare, come nel combattere e nello alloggiare.198 Quanto all’allenamento fisico, menziona la velocità, la destrezza e la forza. Per imparare l’uso della spada i romani usavano bastoni pesanti invece di vere spade e naturalmente c’erano anche gli esercizi con l’arco e con la balestra e – da non dimenticare- con l’arma nuova, lo scoppietto. Fabrizio è dell’opinione che queste esercitazioni siano importanti per tutti i giovani e che debbano essere fatte durante i giorni festivi. Per la cavalleria consiglia il volteggio con cavalli di legno, anche questo secondo l’esempio romano.199 Nell’Arte della guerra non si trova un vero programma d’addestramento. Nella Provvisione prima per le fanterie invece ho letto, per il periodo di pace, un programma per l’addestramento molto più dettagliato. Gli uomini devono essere raggruppati una volta al mese e durante l’inverno, almeno tre volte in tutto, e anche in alcuni giorni festivi. Nei giorni stabiliti deve tenersi una rassegna e gli uomini devono essere esercitati tutto il giorno. Nei giorni festivi, in cui i battaglioni non sono raggruppati, gli uomini devono esercitarsi nel loro comune.200 A prima vista sembra un programma abbastanza impegnativo.Per quanto riguarda l’addestramento della cavalleria, parla soltanto dell’esercitazione insieme con il battaglione e afferma: 197 Ibidem, 333. Ibidem, 322. 199 Ibidem, 323-324. 200 Ibidem, 43. 198 59 […] si potrebbero qualche volta mettere insieme, quando si raggunassono le battaglie, e fare che tra loro facessero qualche vista d’assalto; il quale fussi più per riconoscersi insieme, che per altra necessità.201 4.2.6. Commento finale. Rimane ancora una questione che vorrei discutere alla fine di questo paragrafo. Quale tipo di milizia era la milizia di Machiavelli? Possiamo parlare della rinascita della milizia romana o di quella della milizia comunale del Medioevo? Nell’Arte della guerra troviamo un abbondante numero di punti di riferimento a sostegno dell’idea di una milizia romana. Già all’inizio del primo libro Fabrizio afferma: ‘Io non mi partirò mai, con lo esemplo di qualunque cosa, da’ miei Romani.’202 Detti di questo tipo hanno certamente portato al rimproverodialcuni studiosi che Machiavelli sarebbe stato accecato dalla lucentezza dell’antichità romana.203 È vero che cita sempre i romani ad esempio; menziono qui soltanto l’organizzazione, l’armamento e l’addestramento. Non segue invece ciecamente le loro idee come abbiamo visto nel paragrafo del reclutamento e in quello dell’armamento. Nondimeno si ottiene l’impressione di un’imitazione della milizia romana. Infatti Fabrizio afferma che vuole ‘fare una ordinanza simile a quella che è ne’paesi nostri.’204 Qui intende certamente la milizia fiorentina del 1506, ricostituita da Lorenzo de’ Medici nel 1514.205 A quanto pare Machiavelli qui non vede un contrasto con la milizia romana. Nei suoi scritti del 1505 e del 1512 pero non fa parola dei romani.206 Non è da meravigliarsi quindi che Francesco Guicciardini (1483-1540) nelle sue Storie fiorentine scriva: Ne’ medesimi tempi si cominciò a dare principio alla ordinanza de’ battaglioni; la quale cosa era stata anticamente nel contado nostro, che si facevano le guerre non con soldati mercenari e forestieri, ma con cittadini e sudditi nostri; di poi era stata intermessa da circa dugento anni in qua, nondimeno si era, innanzi al 94, qualche volta pensato di rinnovarla; e doppo el 94, in queste nostre avversità molti avevano qualche volta detto che e’ sarebbe bene tornare allo antico costume, pure non si era mai messo in consulta, né datovi né disegnatovi 201 Ibidem, 333-334. Ibidem, 304. 203 Viroli, 255. 204 Machiavelli, Tutte le opere,310. 205 Machiavelli, Art of war, 22, nota 72. 206 Una eccezione è forse ‘tutte le repubbliche, che pe’ tempi passati si sono mantenute ed accresciute’ nella Provvisione del 1506, Tutte le opere, 40. 202 60 principio alcuno. Volsevi di poi l’animo el Machiavello, e persuasolo al gonfaloniere, veduto che gli era capace, cominciò a distinguergli particularmente e’ modi […]207 Dalle parole di Guicciardini risulta che i fiorentini del suo tempo consideravano la milizia di Machiavelli una restaurazione della milizia medioevale. Lo storico militare Martin Hobohm afferma che la creazione della milizia fiorentina da parte di Machiavelli fu certamente basata sull’esempio romano. Egli pensa che Machiavelli non parli dei romani perché per realizzare le sue idee si adatta ai pensieri dei dirigenti politici.208 In un articolo sulla milizia del 1506 Mikael Hörnqvist invece afferma che Hobohm è dell’opinione che Machiavelli in questo periodo non era stata ancora influenzata dal modello romano e quindi non ne parla negli scritti ufficiali.209 Hörnqvist stesso cerca la ragione dell’assenza dei romani nei sentimenti antiromani nella repubblica di Soderini.210 Questo mi sembra giusto perché l’interesse in senso positivo per l’antichità e specialmente per quella dei romani era qualcosa dell’epoca dei Medici. È noto che i Medici e un gruppo di persone della loro cerchia erano molto interessati allo studio degli antichi. A palazzo risiedevano filosofi, letterati e artisti che si occupavano dello studio degli antichi. Dopo la cacciata dei Medici tutto quello che li ricordava, era sospetto e sbagliato. Dopo il ritorno dei Medici nel 1512 Machiavelli presentò francamente i romani come il grande esempio.Hörnqvist conclude a ragione che Machiavelli era riuscito a costituire un esercito basato sul modello romano dall’introduzione graduale e dalla minimizzazione dell’importanza dell’ esempio romano.211 Soprattutto Piero Pieri si rivolge contro l’idea della restaurazione della milizia medioevale. Scrive che questa era una milizia cittadina, picchieri e cavalleria, e che gli elementi del contado erano soprattutto impiegati come guastatori e 'foraggiatori'. Il contado aveva una funzione accessoria. La milizia di Machiavelli invece era una milizia composta da un gran numero di fanti, integrato con alcuni cavalieri, tutti sudditi 207 Chabod, 334. Hobohm, 51. 209 Mikael Hörnqvist,‘Perché nono si usa allegare i Romani: Machiavelli and the Florentine Militia of 1506’, Renaissance Quarterly 55 (2005): 149-150. 210 Ibidem, 164-171. 211 Hörnqvist, 186-188. 208 61 inquadrati dai dominatori cittadini. Pieri considera giustamente un grande errore credere che la milizia del 1506 sarebbe stata un ripristino delle vecchie milizie comunali.212 4.3. Conclusione. Machiavelli considera la milizia il modo migliore per istituire e mantenere un esercito. Non biasima soltanto gli eserciti mercenari, ma condanna ogni forma di professionalismo militare. Nell’Arte della guerra tratta fra l’altro del reclutamento, dell’organizzazione, dell’armamento e dell’addestramento della milizia. Si fonda quasi sempre sugli esempi dei romani, ma la sua milizia non è un’imitazione acritica. Così rigetta l’armatura pesante per la fanteria in favore di un rafforzamento delle difese proprie, realizzato variando l’armamento nello schieramento. Dell’arte della guerra è l’ultima opera di Machiavelli scritta sulla milizia e il contenuto corrisponde in generale a quello degli altri scritti come La cagione dell’ordinanza, dove la si trovi, et quel che bisogna fare Post Res Perditas, Provvisioni della repubblica di Firenze per istituire il magistrato de’ nove ufficiali dell’Ordinanza e Milizia fiorentina, dettate da Niccolò Machiavelli e Sul modo di riscostruire l’ordinanza. Gli ultimi scritti ci danno i dettagli per la realizzazione. Un esame più approfondito dovrà mostrare se la milizia di Machiavelli è più di una teoria idealistica. 212 Pieri, Il Rinascimento, 440. Machiavelli, Arte della guerra, XXI-XXII. 62 5. La milizia e la pratica. 5.1. Introduzione. Abbiamo visto che Machiavelli considerava la sua milizia la soluzione per rafforzare lo stato di Firenze e quindi prevenire nel futuro un disastro come l’invasione di Carlo VIII nel 1494. In questo capitolo voglio esaminare se la milizia fiorentina è stata lo strumento giusto. È difficile giudicare l’adeguatezza della milizia. La milizia di Machiavelli è stata usata soltanto due volte, cioè a Pisa e a Prato. Nel caso di Pisa questi soldati sono stati adoperati solo per fare un blocco e in quello di Prato per la difesa delle mura che finiva nella perdita della città. Non hanno mai ingaggiato la lotta contro un nemico in campo aperto. Inoltre le prestazioni di un esercito possono essere influenzate nella pratica da fattori che non dicono niente sulla qualità di un tipo d’esercito, per esempio informazioni false. Per la valutazione della milizia rimangono solo le fonti scritte. Esaminerò alcune condizioni, importanti per l’utilizzo della milizia come strumento militare nella situazione fiorentina del sedicesimo secolo. Nel mio giudizio prenderò anche in considerazione l’opinione degli storici militari. Siccome non abbiamo a che fare con la scienza, la mia presa di posizione sarà soggettiva. 5.2. L’opinione dei contemporanei. Come fondo del mio parere voglio prima citare l’opinionedialcuni fiorentini sulla milizia. Il gonfaloniere Piero Soderini sosteneva l’idea di Machiavelli e questo certamente non era strano, perché egli era disperato riguardante la riconquista di Pisa e abbiamo visto che anche il fratello del gonfaloniere, il cardinale Francesco Soderini, era in favore di una milizia fiorentina.213 C’erano invece anche altre opinioni. Francesco Guicciardini scrive che gli aristocratici guardavano l’idea con freddezza e con sospetto o addirittura con ostilità e aggiunge, che anche il popolo di Firenze era avverso a quella. L’aristocrazia avrebbe paura che Piero Soderini avesse voluto farsi tiranno con l’aiuto della milizia.214 Francesco Vettori, amico di Machiavelli, ha citato una sua conversazione con un tale Anselmo di Ser Bartolo, oste nei dintorni di Barberino. L’oste non è convinto 213 214 Capitolo 3, 31 Viroli, 81. 63 che la milizia sia la giusta soluzione. Riferendosi alla relazione fra i signori della città e i contadini dice: Ma io non so già allora come noi Fiorentini staremo sicuri; né so in che modo li uomini armati et essercitati vorranno ubidire a’ disarmati et inesperti. […] E se abbiamo paura delli insulti esterni, è meglio pensare redimersi da quelli che vengano de’ quattro o sei anni una volta con denari, che temere di questi che possono venire ogni giorno.215 Il cambiamento dei pareri è sorprendente quando Pisa si arrende. Jacopo Nardi adduce l’arresa di Pisa come la prova per l’utilizzabilità della milizia e Francesco Guicciardini scrive che dopo la resistenza iniziale quest’esercito fiorentino viene approvato da tutti.216 Sembra, che nessuno non voglia conoscere che a Pisa la milizia non ha combattuto e non è stata coinvolta in una vera battaglia. Con la stessa velocità gli scrittori cambiano opinione alla sconfitta di Prato. Guicciardini menziona come difetti importanti la mancanza di esperienza guerresca dei soldati e l’incapacità degli ufficiali. Paolo Giovio parla all’occasione del sacco di Prato di’una grande, ma disordinata moltitudine di contadini armati.’217 È chiaro che non si può trarre conclusioni da questi pochi pareri riguardanti la milizia. Ho l’impressione però che si può parlare di un atteggiamento critico da parte dei fiorentini quanto al valore del nuovo esercito. 5.3. Il cittadino ideale. Esaminando il valore della milizia fiorentina si può parlare come fanno molti storici dei dettagli dell’organizzazione, dell’addestramento e altri aspetti pratici. Prima di tutto si deve però considerare la base delle idee di Machiavelli come esposta nell’Arte della guerra. Machiavelli stava cercando di introdurre di nuovo l’idea della virtù collettiva e questo per lui voleva dire la virtù romana. Egli sognava cittadini che amavano lo stato e volevano servirlo sia come civile sia come militare. Parlo di “sognava”, perché quest’aspirazione dell’umanesimo civile non si confece più alla società del suo tempo e specialmente non alla società fiorentina. I cittadini di Firenze erano corrotti dalla pace e dal lusso. La guerra non era il loro compito; per loro contavano solo gli affari. Inoltre 215 Ibidem, 85-86 Hobohm, 419. 217 Ibidem. 216 64 esisteva nella città una gran diffidenza fra le varie frazioni.218 Machiavelli conosceva la situazione nella sua città e quindi sceglieva una milizia contadina. Anche nel contado invece non risedeva l’uomo che amava prima di tutto il suo stato. La repubblica era odiata a causa dei tributi che infliggeva ai contadini, mentre la stessa repubblica non gli consisteva gli stessi diritti come ai cittadini e non li proteggeva contro le scorrerie da parte degli eserciti nemici.219 Machiavelli nondimeno continuava nella realizzazione del suo progetto. Egli sperava introdurre le virtù antiche negli uomini di Firenze tramite la milizia e così considerava possibile guarire lo stato corrotto di Firenze con l’aiuto di una buona milizia. Non è casuale che cominci il suo libro sulla milizia con i suoi pensieri del ristabilimento delle virtù antiche nella società del suo tempo. questa idea è anche stata elaborata da parte di Hale nel suo articolo sulla relazione fra la guerra e l’opinione pubblica.220 Vediamo qua un Machiavelli con una concezione ottimista degli uomini. Questa sembra in contrasto con la concezione che ci offre nel Principe, quando scrive: Perché degli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e dissumalatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua, offeronti el sangue, la roba, la vita, e’ figliuoli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto; ma, quando ti si appresa, e’ si rivoltano.221 Machiavelli qui descrive la realtà nel 1513 come egli la vedeva e vuole rendere palese che l’Italia abbia bisogno di un principe potente. Invoca altrove in questo libro anche un esercito proprio con l’argomentazione che ‘non si può avere né più fidi, né più veri, né migliori soldati.’222 Nel pensiero di Machiavelli nel 1513 un principe di talento fu l’unico che era in grado di suscitare le virtù militari e l’amore per la patria nei suoi uomini. Prima di tutto Machiavelli era un pragmatista. L’idea della reintroduzione delle virtù romane era il suo ideale. Capiva invece che a Firenze i tempi non erano ancora maturi per realizzarla. Negli scritti sulla milizia non ne parla abbandonando il concetto di un esercito di veri volontari e reclutando gli uomini nel contado. Machiavelli non era un pessimista. Egli considerava la società e lo stato fattibili. Ne leggiamo la 218 Virolio, 81-81. Ibidem, 85. 220 John, R. Hale, Renaissance war studies (London: The Hambledon Press, [1983]), 383-386. 221 Machiavelli, Principe, 114. 222 Ibidem, 176. 219 65 testimonianza nella Cagione: ‘Questo ordine, bene ordinato nel contado, de necessità conviene ch’entri ad poco ad poco nella città, et sarà facilissima cosa ad introdurlo.’223 Il Machiavelli pragmatista troviamo anche nel campo politico. Egli favorisce la repubblica, ma capisce che non è sempre possibile realizzare questa forma di governo. Nei Discorsi scrisse: E si può fare questa conclusione, che, dove la materia non è corrotta, i tumulti ed altri scandoli non nuocono: dove la è corrotta, le leggi bene ordinate non giovano, se già le non sono mosse da uno che con una estrema forza le faccia osservare, tanto che la materia diventi buona.224 Mi chiedo se l’idea idealistica di Machiavelli offre una base stabile e pratica per una milizia nella realtà fiorentina all'inizio del Cinquecento, così corrotta e instabile. 5.4. Il reclutamento. Nelle Provvisioni il magistrato dei Novi era stato incaricato di ‘tenere sempre scritti, armati ed ordinati sotto le bandiere [...] almeno diecimila uomini; [...] e debbino detti primi ufficiali avere adempiuto il numero di diecimila uomini infra sei mesi, [...].’225Alla fine del 1506 la milizia contò 5000 uomini e questo numero crescerebbe ancora a circa 20.000.226 Queste cifre giustificano un esame del reclutamento. Guardiamo prima la questione della volontarietà. Abbiamo visto che Machiavelli sapeva che non era possibile reclutare soltanto volontari.227 Nello stesso tempo si rendeva certamente conto dell’odio dei contadini verso i signori a Firenze. Da un lato Machiavelli consiglia prudenza e parla di ‘[...] né levare da casa chi ha honesta cagione di starvi,[...]’, dall’altro lato succedeva anche che il magistrato di Firenze ordinava il vicario avvalersi di ogni mezzo per costringere gli uomini.228 I risultati erano molti diversi, ma soprattutto all’inizio le esperienze di Machiavelli erano incoraggianti e quindi si reclutava quasi solo volontari.229 223 Machiavelli, Tutte le opere, 40. Ibidem, 102. 225 Machiavelli, Tutte le opere, 42. 226 Hobohm, 57. Chabod, 205. 227 Capitolo 4, 50. 228 Machiavelli, Tutte le opere, 39. Hobohm, 111. 229 Ibidem, 105-108. 224 66 Devo qui menzionare che i soldati godevano di vari privilegi che infatti li convincevano di arruolarsi. Ottenevano grazia per le condanne pecuniarie inflitte per delitti o cause criminali. Inoltre avevano il diritto di essere sempre armati ed erano vestiti a spese della comunità.230 Ci si può chiedere quale era la vera motivazione dei soldati, l’amor di patria o il godimento di privilegi. Ovviamente devo anche dare qualche attenzione al reclutamento in relazione con la questione principale della virtù collettiva. Nel capitolo precedente ho scritto che Machiavelli reclutò i soldati della prima milizia nel contado a causa della divisione politica nella città. Certamente per lui fu anche chiaro che per i cittadini gli affari erano più importanti della guerra. Ammetto che il contado era il male minore dei tre, ma era noto che i contadini odiavano la repubblica. Richiamo alla memoria la citazione di Ser Bartolo. Questo problema non si risolve con bandiere ‘con un segno medesimo del Lione, adciò che tucti li huomini vostri sieno affectionati di una medesima cosa, et non habbino altro per obiecto che ’l segno publico, et per questo ne diventino partigiani.’231 Il risultato fu un reclutamento influenzato di vari fattori che certamente non erano sempre vantaggiosi per quanto riguarda la motivazione dei soldati. Pieri scrivendo sul reclutamento afferma che ‘la questione fondamentale, quella del reclutamento, si rivolveva in un terribile compromeso colla realtà.’232 Un’ indicazione della motivazione dei soldati si ottiene leggendo nello scritto Sul modo di ricostruire l’ordinanza, dove Machiavelli scrive parlando di veterani: ‘et in questo caso voi non ve ne varrete, perché, come e’sentiranno sonare un tamburo, egli andranno via, et così voi crederresti havere 6 mila fanti, et voi non ne haresti nessuno.’233 Nei Giribizi d’ordinanza scrive: ‘Dipoi, per molte cose che fanno scemare li scripti altrui fra le mani, non sarà mai che voi vi vagliate della metà, de’ dua terzi di loro.’234 Queste citazioni hanno secondo Hobohm a che fare con soldati che si schierano con altri eserciti. Un esempio troviamo in una lettera di Biaggio Buonacorsi, amico di Machiavelli e collega nella cancelleria: ‘Ma questa voce di darsi danari a Bologna et in Romagna ha facto che qualcuno di quelli del vicariato di Firenzuola vi sono andati.’235 230 Chabod, 333. Machiavelli, Tutte le opere, 38. 232 Machiavelli, Arte della guerra, LXVII. 233 Machiavelli, Tutte le opere, 53. 234 Ibidem, 37. 235 Ibidem, 1081. 231 67 La reazione del governo non è chiara. All’inizio si cerca di impedire lo schieramento tramite il rifiuto del congedo. Dopo si minaccia di pena, ma anche promette un rapido compenso di guerra.236 Machiavelli stesso ha una soluzione originale, quando scrive: ‘[...] e dell’armi basta dare loro solamente lance, che è una favola mantenerle loro, perché l’altre armi si possono tenerle in munitioni, et darle loro a’ tempi, et metterle loro in conto.’237 ll colmo dell’ambivalenza nel comportamento del governo fiorentino vediamo, quando nell’autunno del 1506 è consentito al papa reclutare soldati dalla milizia fiorentina. In questo modo nel futuro sarebbe stato troppo difficile combattere la diserzione. 5.5. L’autorità sulla milizia. In questo paragrafo voglio considerare il modo di governare la milizia e le sue conseguenze. Nella gestione della milizia dobbiamo distinguere due livelli, quello dello stato e quello dei comandanti militari, e il rapporto fra di loro. A Firenze esisteva sempre la paura per una nuova dittatura. Guicciardini esprime il timore così: ‘alcuni dubitavano che el gonfaloniere non gli (i nuovi soldati, SS) adoperassi un dí a occupare la libertà o a spacciare e’ cittadini nimici sua.’238 Abbiamo già visto che questa paura aveva portato ad un apparato statale molto complicato con una frammentazione dell’autorità. La stessa frammentazione che indeboliva l’efficienza politica vediamo adesso nel governo della milizia. Nella Cagione dell’ordinanza Machiavelli scrive: Et perché e’ sarebbe periculoso che riconoscessino tucte queste autorità in uno solo superiore, sarebbe bene che questo magistrato nuovo (i Nove ufficiali dell’Ordinanza, SS) li tenessi ordinati ad casa, e Dieci dipoi li comandassino nella guerra, ed e Signori, Collegi, Dieci et nuovo magistrato li premiassi et remunerassi; et così verrebbono sempre ad havere in confuso el loro superiore, et riconoscere un pubblico et non un privato.239 Una tale organizzazione crea mancanza di chiarezza, nuoce la disciplina e mina l’efficienza della milizia. Un esercito ha bisogno di essere guidato da un superiore e non 236 Hobohm, 143-146 Machiavelli, Tutte le opere, 52. 238 Chabod, 338. 239 Machiavelli, Tutte le opere, 39-40. 237 68 da una persona confusa. Questo parere lo ritroviamo in Hobohm e Chabod.240 L’ultimo persino afferma che il governo soderiano non voleva una milizia troppo forte, ‘temendo ch’ essa potesse poi diventar strumento nelle mani del partito avverso, e diffidasse specialmente degli ufficiali di mestiere, ch’erano pertanto ridotti e di numero e di autorità: […]’.241 Questa frase mi porta al livello dei comandanti. Il conestabile era nominato dal magistrato dei Novi e lui era l’unico professionista.242 Come abbiamo visto nel capitolo precedente Machiavelli voleva limitare l’autorità militare sulla milizia tramite il divieto d’avere propri comandanti e il loro mutamento annuale. Qui si tratta di una regolamentazione che troviamo sia nell’Arte della guerra sia negli scritti sulla milizia. Ci si può chiedere che cosa era per Machiavelli più importante: l’esempio degli assiri e romani o la situazione a Firenze. Era comunque una misura disastrosa per la disciplina e per lo spirito di corpo. Sembra, che il governo fiorentino facesse tutto il possibile per minare l’efficienza della milizia. Chabod lo afferma cosi: Come questo mutare continuo degli ufficiali, allontanati non appena si fossero affiati con i loro uomini, potesse accordarsi con le esigenze militari, che richiedono, invece, profondo affiatamento, stima reciproca fra ufficiali e soldati, questo rimaneva un mistero.243 Pieri giudica questa regolamentazione per il comandante assurda e spiega che la schietta fiducia fra i comandanti e i soldati sarebbe stata un mezzo importante per compensare ‘la minor disciplina formale e la più difettosa istruzione e capacità fisica’ di questa milizia.244 Pieri scrive che, quando infine anche i cittadini del distretto furono armati, a queste milizie non era consentito avere ufficiali propri, ma unicamente dati da Firenze.245 Mi riesce difficile immaginare che Machiavelli non vedesse le contraddizioni della realizzazione del suo progetto. Mi pare che fosse così convinto della necessità di un proprio esercito per la posizione dello stato fiorentino sulla scena politica internazionale che spinto dalla sua avversione per ogni tipo di mercenarismo accettò queste misure infelici. 240 Chabod, 337-338. Hobohm, 88. Chabod, 207. 242 Ibidem, 205. Machiavelli, Tutte le opere, 43. 243 Chabod, 338. 244 Machiavelli, Arte della guerra, XXIV. 245 Pieri, 438-439. 241 69 Fino a qui ho trattato le prerogative delle autorità civili e la nomina degli ufficiali militari, ma per un giudizio sull’efficienza della milizia certi aspetti dell’esercizio del potere non sono meno importanti. Guardiamo l’assenteismo. Nelle Provvisioni tutto sembra disciplinato in modo efficace. Leggiamo che ‘le cagioni legittime dell’assenza (alle mostre, SS) sieno quando fussero malati, o quando fussero assenti con licenza de’ Novi ufficiali:’246 Ci sono anche descritte le pene: Qualunque degli scritti […] non comparirà alle mostre ordinate […] s’intenda essere e sia, per ogni volta che sarà trovato assente sanza legittima cagione, condannato in soldi venti, e essendo uno medesimo trovato assente sei volte in un anno […] diventi el peccato suo criminale, e sia gastigato ad arbitrio di detti Novi Ufficiali, […].247 Hobohm afferma che secondo il suo studio queste regole erano applicate non rigorosamente. Nella pratica si poteva addirittura a posteriori presentare una scusa ragionevole.248 I soldati erano impegnati a far sapere la loro assenza alle mostre. Non c’era l’obbligo di chiedere congedo; bastava segnalare che per un certo periodo non sarebbe stato a casa. Il comandante quindi non aveva nessuna possibilità di far valere la propria autorità.249 In rassegna vorrei affermare che l’autorità civile sulla milizia era distribuita in modo inefficace, le regole per la nomina dei comandanti impedivano il rapporto necessario con i loro soldati e nel campo della partecipazione alle mostre gli mancava l’abbastanza autorità. 5.6. L’addestramento. Accanto ad una guida stimolante e ad una disciplina forte ci vuole un addestramento buono per fare un esercito impiegabile. Nell’Arte della guerra Machiavelli tratta per esteso l’addestramento e differenzia l’allenamento personale e l’esercitazione dei gruppi tattici. Egli batte sempre sull’importanza dell’ultima. Basta qui una singola citazione: 246 Machiavelli, Tutte le opere, 46. Ibidem. 248 Hobohm, 197. 249 Ibidem, 197-199. 247 70 Deonsi adunque, come in prima vi dissi né ora mi pare fatica replicarlo, fare esercitare i suoi uomini in queste battaglie, in modo che sappiamo tenere le file, conoscere i luoghi loro, tornarvi subito quando o nimico o sito gli perturbi; perché quando si sa fare questo, facilmente s’impara poi il luogo che ha a tenere una battaglia e quale sia l’ufficio suo negli eserciti.250 Machiavelli è dell’opinione che il battaglione (450-600 uomini) è la formazione di base per l’addestramento. Tutta la brigata si può radunare una volta o due l’anno.251 Non parla nel suo libro di un programma e quindi come già detto devo fondarmi sugli scritti del 1506 e 1512 per un esame più approfondito. Nella Cagione dell’ordinanza parla di ‘12 o16 mostre lo anno’ e della legge, che deve costringere i conestabili ‘ad provedere all’armi, ad far fare loro le mostre et vicitarli, ad rivederne ogni anno conto […] ad mescolarci qualche cosa di religione per farli più ubbidienti’252 Nella Provvisione prima per le fanterie, del dicembre 1506 si legge che due volte l’anno i Nove ufficiali dell’Ordinanza debbono ‘fare mostre grosse di tutte loro bandiere’ e quali sono le regole globali per l’esecuzione della mostra.253 In un altro paragrafo di questa legge Machiavelli ordina dettagliatamente il programma dell’addestramento. Nel capitolo precedente ne ho dato le linee essenziali, ma qui per l’esame più approfondito voglio citare il brano completamente. […] e ciascuno di detti conestaboli sia tenuto ed obbligato stare continuamente in su i luoghi appresso alle sue bandiere, e ragunare gli uomini che lui arà in governo, almeno una volta il mese, dal mese di marzo inclusive infino al mese di settembre inclusive, e dal mese d’ottobre inclusive infino al mese di febbraio inclusive di ciascuno anno: almeno tre volte in tutto, e in quelli dì di festa comandati, che deliberanno detti ufficiali (i Nove,SS); e detti uomini tenere tutto il giorno negli ordini e in esercizio, e dipoi rassegnarli uomo per uomo, […] e in quelli dì di festa che non gli ragunerà insieme, debba ciascuno di detti conestabili, con l’aiuto del magistrato di detti Nove ufficiali, comune per comune, o popolo per popolo, far loro fare qualche esercizio militare, come sarà giudicato convenirsi; e il conestabile sia obbligato cavalcare per detti luoghi, e rivedere detti esercizi.254 Chabod giudica l’addestramento della milizia come ‘qualche saltuaria esercitazione’ e Pieri lo considera ‘insufficiente sia per le vecchie sia per le nuove esigenze’ e afferma 250 Machiavelli, Tutte le opere, 330. Ibidem, 325. 252 Ibidem, 39. 253 Ibidem, 44-45. 254 Ibidem, 43. 251 71 che ‘l’esercitazione collettiva[…] mancasse del tutto.’255 Entrambi gli studiosi non trattano i dettagli dell’addestramento per sostenere il loro parere. Hobohm invece ha scritto un libro sul rinascimento machiavelliano dell’arte della guerra e nella prima parte, che tratta soltanto della milizia, troviamo nel settimo capitolo molti dettagli sulle attività militari dei fanti nel tempo di pace.256 Nel seguito utilizzerò qualche risultato del suo studio. Machiavelli parla nelle Provvisioni di ‘esercizio militare’ in giorni di festa oltre alle mostre. Il testo sembra giusto e sensato, ma vediamo la pratica. Prima di tutto ci si può chiedere se un giorno di festa sia adatto per esercizi militari. Vi sono sempre attività religiose, ma inoltre l’atmosfera è quella di una festa popolare. Non è semplice trovare in una tale situazione un luogo conveniente per l’esercizio e poi c’è il pericolo di colluttazioni. Ci sono però anche altre difficoltà pratiche. Il conestabile è l’unico ufficiale professionista e secondo le Provvisioni è obbligato ad assistere a tutti i luoghi dove ci sono esercizi e a rivedere le attività militari. Considerato che questo comandante guida un battaglione di 300- 800 uomini non è possibile applicare la legge. Per quanto riguarda la frequentazione delle mostre mensili Machiavelli stesso ha scritto dopo il 1506 che ‘Li connestabili dovevongli la state ragunare sotto le bandiere e tenerli nelli ordini una volta il mese, e il meno ogni dua mesi una volta.’257 Nel 1507 il numero delle grandi mostre fu ridotto da due l’anno ad uno. Anche qui vediamo quindi un’attenuazione dell’ordinanza del 1506. Anche quando si assume che dopo le mostre c’erano delle esercitazioni considero la frequentazione dell’addestramento al livello del battaglione e della brigata insufficiente per la preparazione di una guerra contro un esercito professionista. Ci deve essere un chiaro rapporto fra l’addestramento e l’utilizzo desiderato di un esercito. Nel caso della milizia fiorentina questo voleva dire dare un accento sulle esercitazioni del quadrato di centinaia di fanti armati di lanci e proprio il numero di quelli esercizi era relativamente ridotto. Un esercito composto di soldati da week-end si può usare solo per compiti semplici o per compiti complementari. Nell’ultimo caso si può parlare di una milizia territoriale. Nei Paesi Bassi esiste anche al giorno d’oggi una milizia territoriale (Nationale Reserve) e l’unico compito è la difesa territoriale, fra l’altro di porti 255 Chabod, 206. Pieri, 442. Hobohm, 184-219. 257 Ibidem, 188. 256 72 marittimi e aeroporti. Queste truppe hanno avuto altrove un addestramento iniziale di almeno qualche mese.258 L’addestramento minimale mi sembra altrove secondo lo spirito dell’ordinanza. Il governo non voleva suscitare l’avversione degli uomini. Nella Cagione Machiavelli ha scritto ‘et dando loro libera licentia d’andare dove voglono ad fare e facti loro’259 Ci si può anche chiedere se il governo era davvero interessato all’addestramento della milizia. Negli scritti di Machiavelli quasi tutti gli argomenti sono trattati in esteso, addirittura la bandiera, ma sull’esercitazione leggiamo soltanto ‘sotto[…] ordine de’ Tedeschi’.260 Quando il governo viene a conoscenza dell’utilizzazione di un bersaglio da parte di un comandante, l’unica reazione è una domanda riguardante i costi e Guicciardini afferma che la gran mostra a Firenze era destinata solo per influenzare l’opinione popolare quanto alla milizia.261 Mi sembra che il giudizio di Chabod e Pieri è sostenuto dallo studio di Hobohm. Le regole nelle Provvisioni del 1506 avevano soprattutto un valore teoretico e nella pratica risultavano insufficienti, specialmente in un tempo in cui, secondo Chabod, ‘l’adozione di nuovi corpi tattici e il mutamento generale nei sistemi bellici rendevano delicatissimo il funzionamento effettivo di un esercito e quanto mai necessaria una lunga, continua preparazione degli uomini.’262 Pieri afferma così: ‘Con un po’ d’addestramento, pensava l’arguto fiorentino, sarebbero potutti divenire dei completi soldati,[…]’.263 Per concludere questo paragrafo vorrei brevemente parlare di un argomento molto vicino all’addestramento, cioè l’armamento. Le armi di un esercito condizionano in modo importante le sue possibilità nella pratica della guerra. Nelle Provvisioni leggiamo che ‘Tutti […] abbino […] per affesa in ogni cento fanti settanta lance, e dieci scoppietti,[…]’.264 Per un giudizio sull’armamento della milizia mi baso sulle opinioni degli storici militari. Secondo Pieri quest’armamento ci ricorda specialmente i quadrati svizzeri della guerra borgognone. Questa tattica svizzera invece si trovava già in un incipiente stato di trasformazione ed erano introdotti soldati armati di spadone a due 258 J. Hoffenaar & B. Schoenmaker, Met de blik naar het Oosten, de Koninklijke Landmacht 1945-1990 (Den Haag: Sdu Uitgeverij,[1994]), 122, 174-181. 259 Machiavelli, Tutte le opere, 39. 260 Ibidem, 43. 261 Hobohm, 267-269. 262 Chabod, 207. 263 Pieri, 436. 264 Machiavelli, Tutte le opere,44. 73 mani.265 Mallett parla di un armamento sorpassato.266 Inoltre c’era una sottovalutazione della cavalleria e delle armi del fuoco portatili.267 Mi sembra quindi, che qualche dubbio sull’efficienza della milizia e il suo armamento sia legittimo. 5.7. Conclusione. Machiavelli non era soltanto dell’idea che l’istituzione e l’utilizzo di una milizia era la scelta migliore per il futuro di Firenze da un punto di vista militare, ma si aspettava anche di poter influenzare in modo positivo la mentalità dei fiorentini tramite la milizia. Considerando la situazione politica ed economica dello stato fiorentino, questi presupposti, e specialmente l’ultimo, erano poco realistici per la costituzione della milizia e comportavano il pericolodiadattamenti meno desiderabili per realizzare la sua idea a qualunque costo. Non è giusto valutare l’efficienza di un esercito soltanto dal rendimento in tempo di guerra. La base per un esercito motivato e utilizzabile viene creata fra l’altro dall’alta qualità della struttura di comando, del reclutamento, dell’addestramento e dell’armamento. Il reclutamento quanto a certi aspetti lasciava a desiderare. Il personale era una mescolanza di volontari e non volontari, da parte attirato da privilegi come grazia per certe condanne. Inoltre il reclutamento si svolgeva nel contado che si mostrava ostile ai potenti a Firenze. Non è verosimile quindi che questo reclutamento abbia portato ad una milizia con i soldati migliori. Ancora più importante del reclutamento considero la guida della milizia e l’addestramento. Difetti nella guida hanno conseguenze immediate per la disciplina e per il livello delle esercitazioni. Ambedue sono fattori decisivi per la qualità di un esercito. Firenze e Machiavelli scelgono una tripartizione dell’autorità civile sulla milizia: i Nove per il governo nel tempo di pace, i Dieci per la guida nel tempo di guerra e la Signoria per aspetti generali come la remunerazione. Tutto questo per prevenire, che un singolo organo dello stato avrebbe avuto in mano tutta la potenza, creando tuttavia per i soldati mancanza di chiarezza riguardante la responsabilità. Questa 265 Pieri, 441. Mallett, Machiavelli and republicanism, 179. 267 Pieri, 530-531. 266 74 fumosità era ancora aumentata dalla prescrizione che un conestabile non poteva essere originario della regione dei suoi soldati e inoltre doveva essere sostituito ogni anno. In questo modo la creazione di disciplina e spirito di corpo fu soffocata. Inoltre fu ostacolato nella pratica l’intervento da parte dei comandanti contro l’assenza illecita e questi non ebbero potere decisionale quanto al congedo dei soldati. Questi provvedimenti da parte del governo comportavano una minimizzazione del potere di combattimento della milizia. Gli scritti del 1506 parlano di circa dodici esercizi l’anno al livello di battaglione ediesercizi per comune o per popolo nei giorni di festa. Il numero dei grandi esercizi diminuiva con il passare del tempo e l’addestramento di molti piccoli gruppi non era realizzabile a causa della guida obbligatoria dal conestabile in persona. Questa prassi di nuovo dà l’idea che il governo di Firenze non fosse veramente interessato ad una milizia forte. Nella pratica l’addestramento era insufficiente. Si può affermare che l’esercitazione collettiva, necessaria per resistere agli eserciti professionisti, mancasse del tutto, mentre secondo Mallett e Pieri anche l’armamento non era adeguato ad un tale scontro. In conclusione sono del parere che la milizia di Machiavelli, argomentato per esteso nell’Arte della guerra come la rinascita del glorioso esempio romano, non era in grado di svolgere un ruolo nella pratica di guerra del Cinquecento. 75 76 Conclusione. Nel testo precedente ho tentato di dare un’immagine coerente della persona di Machiavelli e delle sue idee in campo militare, specialmente per quanto riguarda la sostituzione del sistema condottiero con una milizia. A tale scopo ho consultato, oltre alle opere di storici come Mallett, Pieri, Chabod e Hobohm, soprattutto gli scritti dello stesso Machiavelli. Esaminando l’utilizzabilità pratica della milizia di Niccolò Machiavelli è opportuno collocare questo esercito nel contesto dello sviluppo militare del Medioevo e del Rinascimento sia nell’Europa sia in Italia. È proprio la tendenza a costituire eserciti professionisti e permanenti di quel periodo, che desta stupore della soluzione di Machiavelli di adottare una milizia per la crisi militare di Firenze, e giustifica la questione dell’applicazione di questa idea. Dopo questa retrospettiva storica ho esaminato, nel secondo capitolo, il parere di Machiavelli sugli eserciti mercenari come risulta dalle sue opere e poi, nel terzo capitolo, ho trattato il resoconto delle esperienze da lui avute nella sua funzione di segretario fiorentino, così come appare nei suoi scritti. Le sue idee sulla milizia sono state esaminate sulla base del trattato Dell’arte della guerra nel quarto capitolo. L’ultimo capitolo fornisce una risposta alla domanda sull’utilizzabilità della milizia nella guerra del Cinquecento. Nel Medioevo vediamo quasi lo stesso scenario in tutta l’Europa: eserciti a carattere temporaneo, di solito piccoli e composti da nobili a cavallo assistiti dalla fanteria. Il loro compito più importante era l’assedio delle città nemiche, difese soprattutto dai soli cittadini. L’evoluzione verso vere battaglie richiese lo sviluppo della fanteria, non realizzabile con la popolazione locale, e quindi entrarono negli eserciti i primi mercenari. Durante la guerra dei Cent’anni ci furono in Francia e in Inghilterra degli sviluppi importanti: in conseguenza dell’introduzione dell’arco e della balestra da parte degli inglesi, l’importanza della fanteria aumentò. Queste armi richiedono infatti un addestramento che necessita dell’impiego di eserciti più professionistici. L’importanza della Francia in questo periodo risiede nello sviluppo di un esercito professionista e permanente. Una legge del 1439 porta infine alle ‘compagnies d’ordonnance’ di Carlo VII. Queste compagnie, guidate da nobili nella funzione statale, erano composte di cavalieri, picchieri e arcieri e si potevano ampliare con un rinforzo di milizia mobile, i cosiddetti ‘franc-archers’. La Svizzera prende durante il quindicesimo secolo una posizione speciale in quanto ricerca la propria forza militare nell’intervento 77 massiccio e disciplinato di fanti armati di lance. Questi risultano così affermati che i francesi sostituiranno i loro ‘franc-archers’ con quelli svizzeri. Nell’Italia del Trecento vediamo un rapido aumento del potere delle città. Questo sviluppo è accompagnato dalla crescita dell’alta borghesia e dalla diminuzione della forza della nobiltà. La concorrenza reciproca tra le città e l’espansione territoriale portano a molti scontri armati. Le truppe necessarie non possono essere composte di cittadini e contadini, perché entrambi sono essenziali per l’economia. Anche la discordia fra le varie fazioni nei comuni costituisce un ostacolo alla creazione di un esercito di propri sudditi. La soluzione viene trovata nell’utilizzo su larga scala di eserciti mercenari. I comandanti di questi eserciti, chiamati condottieri, diventarono nel corso del quindicesimo secolo un fattore di potere sempre più importante. La loro relazione con lo stato committente fu regolamentata in una condotta in cui furono stabiliti fra l’altro il numero dei soldati, il compenso e la durata del rapporto di servizio. Il potere del condottiero portava a tensione, diffidenza e dissenso fra le parti coinvolte. Non di rado si trattava di corrompere, di schierarsi con il nemico o evitare la battaglia. Specialmente a Venezia e a Milano si sviluppano allora condotte di lunga durata con un unico condottiero, una situazione paragonabile a quella della Francia. La situazione a Firenze era completamente differente. Questa città preferiva condotte brevi con condottieri stranieri. La situazione economica e politica non era infatti la migliore per creare un esercito di soli fiorentini, inoltre la nobiltà non svolgeva più un ruolo direttivo e il governo non voleva condotte di lunga durata per motivi finanziari e per timore d’influenze straniere. Questa retrospettiva storica finisce con l’invasione, nel 1494, di Carlo VIII, che giunge in sei mesi a Napoli senza resistenza considerevole da parte degli italiani. Per Machiavelli la causa di questo disastro è chiara: egli addossa la colpa totalmente al sistema militare, cioè il sistema condottiero, ed anche se nelle sue opere collega sempre ‘le legge’ e ‘le arme’, qui si concentra solamente sull’aspetto militare del problema. Chabod considera questa opinione di Machiavelli un grande errore. Nelle sue opere più notevoli - Il principe, I discorsi e L’arte della guerra -, Machiavelli non fa mistero della sua avversione per i mercenari ed i loro capitani. Il Capitolo XII del Principe è, di fatto, una scarica d’ingiurie contro i mercenari con il rimprovero duro che per loro conta soltanto il denaro. In generale leggiamo nei suoi libri che i condottieri sono inaffidabili e che ricercano soltanto il denaro e la propria sicurezza personale. I suoi esempi 78 risalgono altrove quasi sempre al passato, specialmente all’antichità, mentre la sua descrizione della realtà sembra limitarsi esclusivamente alla situazione fiorentina. Machiavelli concentra il suo sguardo specialmente sulla repubblica romana, verosimilmente in ragione della sua formazione classica e, per quanto riguarda la sua opinione sui mercenari, si mette al passo con gli umanisti del Trecento. Questi seguivano Platone ed Aristotele che pure apprezzavano i mercenari per le loro qualità militari, ma che per il resto li consideravano inaffidabili e non interessati. Gli umanisti si erano ispirati a Vegetius quanto alla sua ammirazione per gli eserciti della repubblica romana. Molto noti sono Francesco Petrarca e Coluccio Salutati. Questo ultimo, cancelliere di Firenze, era il gran fautore dell’idea dell’umanesimo civile, secondo cui l’uomo deve impegnarsi con i suoi talenti in tutti i campi per servire lo stato. Questa idea la ritroviamo all’inizio dell’Arte della guerra, in cui Machiavelli approfondisce l’idea del patriottismo civile che dovrebbe portare ad una devozione totale da parte dei civili per gli affari militari dello stato. L’approvazione per le qualità militari si trova nell’opinione di Machiavelli su Castruccio Castracani. Nella Vita di Castruccio Castracani Machiavelli descrive la combinazione della visione militare e politica di Castruccio. Apprezza chiaramente l’abilità e la disciplina personale di questo condottiero e per queste ragioni lo considera l’esempio di un uomo che ottiene il potere statale tramite le sue qualità speciali. Il suo parere su Castruccio Castracani assomiglia a quello su Cesare Borgia, sembra infatti che entrambi siano stati per Machiavelli modelli per ’il principe nuovo’ nel Principe. La maggior parte degli storici ha un atteggiamento critico nei confronti di Machiavelli quanto al suo parere sui mercenari, rinfacciandogli di avere un punto di vista limitato. Soltanto Preston condivide le sue idee sui condottieri e sulle truppe mercenarie. La mia opinione personale è che il suo parere, come risulta nei suoi libri, è limitato e poco ragionato. La trattazione di Machiavelli nei suoi libri della questione dell’accertamento della responsabilità dell’invasione francese mi ha portato a cercare in senso più esteso una relazione fra la sua vita e i suoi libri. A questo scopo ho scelto Il Principe, I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e Dell’arte della guerra. Nel 1498, dopo la morte di Girolamo Savonarola, Machiavelli fu nominato segretario della seconda cancelleria del governo fiorentino e anche del magistrato dei Dieci di balia. Le esperienze in queste funzioni hanno certamente contribuito alla formazione delle sue idee politiche e militari. 79 Già all’inizio della sua carriera è confrontato con gli aspetti negativi del sistema condottiero, quando svolge un ruolo diplomatico nei vani tentativi per ricuperare Pisa. Fra l’altro, nell’ambito di quest’attività, si reca in missione nel 1501 presso il re di Francia Ludovico XII. Riferimenti a queste missioni e commenti sulle vicende si ritrovano nei libri menzionati. Fin da questo momento si preoccupa dell’idea di un proprio esercito fiorentino per riprendere Pisa. Si ritrova questa idea nel Principe nel suo commento sull’esercito di Cesare Borgia, che aveva fatto effetto su Machiavelli per l’utilizzo di una milizia. Il resoconto delle sue missioni presso Cesare Borgia si può soprattutto ritrovare nel Principe e anche nei Discorsi. Lo descrive come un vero esempio, il principe di cui gli italiani e specialmente i fiorentini hanno bisogno. L’opinione di Machiavelli sulla milizia si rafforzò, nel 1507, durante le sue missioni in Germania e in Svizzera. Nel suo Rapporto delle cose della Magna si mostrava impressionato che i tedeschi ‘tengono gli uomini loro armati ed esercitati’. Dopo la sua missione presso Massimiliano I, però, si esprime su questo imperatore in modo non molto lusinghiero rimproverandogli, nel Principe e nei Discorsi, volubilità e spreco. Contrappone però il sistema politico ideale della Germania a questo corrotto dell’Italia. Intanto, nel 1505, il gonfaloniere Piero Soderini gli aveva consentito la formazione di una milizia e Machiavelli ci spiega ampiamente i retroscena del suo approccio nella Cagione dell’ordinanza, mentre nelle Provvisioni stabilisce l’applicazione della milizia fiorentina. Nei Discorsi si può leggere, in vari capitoli, una perorazione per la milizia, mentre Dell’arte della guerra è dedicato totalmente a questo tipo d’esercito, che è chiaramente da lui preferito. Nel contesto di questa tesi sono importanti specialmente il proemio e i capitoli I e II, in cui Machiavelli tratta prima la “filosofia” della milizia e poi il reclutamento, l’armamento, l’organizzazione e l’addestramento. Verso la fine della sua carriera politica, gli spagnoli avevano conquistato Prato. Come nel caso di Pisa, non menziona mai esplicitamente l’intervento della milizia in quell’occasione. Approfondisce invece ampiamente le cause politiche di questa sconfitta e il ruolo svolto da Soderini nei Discorsi, mentre nell’Arte della guerra fa una velata allusione all’intervento poco fortunato della milizia. Si può quindi affermare senza esagerazione che sia la vita sia le opere di Machiavelli sono pervase dell’ossessione dell’idea di una milizia fiorentina. La preferenza di Machiavelli per una milizia è chiara, ma quali erano le sue idee in proposito? È logico cercarne la risposta nell’Arte della guerra, perché qui tratta solo d’affari militari e soprattutto perché fu scritto nel 1520, e riporta quindi l’opinione 80 definitiva di Machiavelli. Inoltre è interessante paragonare il contenuto dell’Arte della guerra con quello degli scritti che risalgono alla creazione della milizia, perché intanto aveva acquisito esperienza presso Pisa e Prato. Mi riferisco a La cagione dell’ordinanza, dove la si trovi, et quel che bisogna fare e Provvisioni della repubblica di Firenze per istituire il magistrato de’ nove ufficiali dell’Ordinanza e Milizia fiorentina. Dell’arte della guerra fu scritto in forma di dialogo, in cui il condottiero Fabrizio Colonna esprime l’opinione di Machiavelli. In questo modo Machiavelli fornisce il suo trattato del sostegno di un esperto militare. Ha scritto il trattato, come si legge nel settimo libro, per prevenire la ripetizione di un disastro come l’invasione di Carlo VIII. Dopo aver spiegato la necessità di una milizia, nei libri I e II ne tratta argomenti riguardanti la costituzione e la manutenzione. Nei libri dal III al VII troviamo argomenti come la tattica, l’accampamento e le fortificazioni. All’inizio dell’opera si trova il pensiero principale che è alla base della milizia, cioè l’idea dell’umanesimo civile. L’ideale di Machiavelli era un cittadino che, come nell’antichità, amava lo stato in tal modo, che voleva servirlo sia come civile sia come militare, con la conseguenza che non sarebbe potuto più esistere un soldato di carriera. Machiavelli riteneva che la creazione di una milizia avrebbe contribuito alla realizzazione di questo ideale. Considerata però la situazione a Firenze, mi sembra che Machiavelli sia stato a questo riguardo più idealista che concreto. Per i cittadini contavano solo gli affari ed inoltre c’era una grande diffidenza fra le varie fazioni. I contadini diffidavano dei signori della città al punto di odiarli. Ci si può chiedere se in questa situazione l’idea dell’umanesimo civile formasse una base per la creazione di una milizia. Machiavelli altrove non ne parla nella Cagione né in altri scritti di quel tempo. Riguardo al reclutamento, Machiavelli si rifà all’opinione di Vegetius e sceglie i contadini, perché sono temprati. Nella Cagione invece dà un’altra motivazione, affermando che i cittadini sono soprattutto capaci di comandare e andare a cavallo. Il lavoro semplice quindi c’è per i contadini. Non parla della vera ragione, la corruzione dei cittadini. Evidentemente qui abbiamo a che fare con un ragionamento capzioso che mira a non offendere i cittadini. Nel reclutamento preferisce i volontari seguendo l’esempio romano, ma capisce che nel suo stato una mescolanza è inevitabile. Crede nondimeno che sia possibile reclutare uomini in base ad un presunto sentimento patriottico. 81 Quanto all’organizzazione, L’arte della guerra mostra grandi analogie con le Provvisioni. Machiavelli crea un notevole indebolimento dell’autorità personale del comandante stabilendo il divieto di nominare un conestabile che abbia rapporti personali con la regione del suo battaglione e l’obbligo di una sostituzione annuale. Anche la composizione dell’esercito è degna di menzione. Machiavelli chiama la fanteria ‘il nervo dell’esercito’ e ritiene che 300 cavalieri in una brigata di 6000 fanti sia un numero adeguato. Per quanto riguarda l’armamento non segue completamente l’esempio romano, ma – benché prodigo di lodi su quell’armamento – preferisce una mescolanza di armi tedesche e romane. Questa preferenza si trova anche nella Provvisione prima per le fanterie con una certa sopravvalutazione delle lance. Mostra invece scarso interesse per le armi da fuoco. Nell’Arte della guerra Machiavelli presta molta attenzione all’addestramento e sottolinea, accanto all’allenamento personale, la necessità di esercitazioni del grande gruppo tattico. Non si trovano però i dettagli di un programma d’addestramento, per i quali si devono leggere le Provvisioni. In conclusione, si può affermare che il contenuto dell’Arte della guerra corrisponda in generale agli scritti sulla milizia che precedono. In tutto il trattato però Machiavelli prende come esempio la milizia della repubblica romana, mentre negli scritti del periodo 1505-1512 non ne fa alcun cenno. A mio parere, così facendo egli si è adattato al sentimento antiromano che animava Firenze. Nei suoi scritti manca anche una chiara indicazione del suo concetto di uomo ideale devoto alla patria. Per giudicare, accanto all’idea del cittadino ideale, l’utilizzabilità pratica della milizia si devono studiare gli scritti sulla milizia nel periodo della sua costituzione, soprattutto le Provvisioni. Inoltre c’è lo studio importante sulla milizia di Machiavelli da parte di Martin Hobohm. Non è possibile esprimere un giudizio basandosi sul rendimento della milizia, perché questo esercito non è mai stato usato in una vera battaglia nel campo aperto. Inoltre, le prestazioni di un esercito sono sempre influenzate da fattori che non hanno niente a che fare con la sua qualità. Importanti parametri di giudizio sono la struttura di comando, il reclutamento, l’armamento e l’addestramento. Machiavelli cominciò il reclutamento nel contado, perché capì che la situazione nella città non era matura per l’applicazione del suo concetto, ma anche lì non fu possibile reclutare solo volontari per via dell’ostilità verso la città. Il problema fu risolto in parte con la concessione di privilegi ai soldati. In queste condizioni, però, la 82 milizia non era certamente costituita da soldati più motivati. La ripetuta diserzione può essere considerata un’indicazione della mentalità che si era creata. La mentalità di un esercito può essere influenzata in senso positivo dal buon comando, ma proprio in questo campo la milizia mostrò gravi difetti. L’autorità civile era caratterizzata da una tripartizione che non consentiva di agire energicamente e con chiarezza, quanto alla responsabilità. Oltretutto, era prescritto che il conestabile non potesse avere vincoli di proprietà o nascita con la regione del suo battaglione e doveva inoltre essere sostituito ogni anno. Insomma, sembra che il governo facesse tutto il possibile per indebolire la milizia. Ovviamente la disciplina e lo spirito di corpo ne vennero fortemente ostacolati. L’addestramento di un esercito non è soltanto dipendente da una buona guida e dalla disciplina - condizioni che non vennero soddisfatte nel caso della milizia - ma richiede anche un programma efficace. Il programma delle esercitazioni come descritto nelle leggi (le Provvisioni, SS) e nella Cagione sembrava abbastanza impegnativo, ma il numero d’esercitazioni dei grandi gruppi tattici fu troppo esiguo e sarebbe stato ancora minore nel corso degli anni successivi. Il programma di addestramento dei piccoli gruppi non fu davvero applicabile, soprattutto perché c’era la regola che il conestabile doveva guidare di persona anche le esercitazioni di poche decine di soldati. I difetti della milizia menzionati fino a qui e gli effetti negativi che ne derivano furono peggiorati da un armamento, che secondo gli esperti era inadeguato. In conclusione sono dell’opinione che la milizia di Niccolò Machiavelli, basata sull’idea dell’umanesimo civile e organizzato e guidato secondo il modello romano, non era in grado di svolgere un ruolo importante nella guerra del Cinquecento. 83 84 Bibliografia. Bayley, C.C. War and society in renaissance Florence. The De Militia of Leonardo Bruni. Toronto: University of Toronto Press, 1961. Chabod, Federico. Scritti su Machiavelli. 1964. Torino: Einaudi, 1993. Colish, Marcia. ‘Machiavelli’s Art of war: A reconsideration’ Renaissance Quarterly 51 (1998): 1151-68. 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