NICCOLÒ MACHIAVELLI
E
L’IDEA DI UNA MILIZIA
Sogno umanistico o esercito efficace?
Sweder Schellens
9859241
[email protected]
Università di Utrecht - Dipartimento d’italianistica
Corso di laurea in studi rinascimentali
Relatore: Prof.dr. H.A. Hendrix
1 dicembre 2006
2
Indice
Introduzione...................................................................................................................... 5
1. Gli eserciti in Europa fra Medioevo e Rinascimento. .................................................. 7
1.1 Introduzione............................................................................................................ 7
1.2. Europa.................................................................................................................... 7
1.3. Italia. .................................................................................................................... 10
2. Il giudizio di Machiavelli sui mercenari..................................................................... 17
2.1. Introduzione......................................................................................................... 17
2.2. Il parere degli umanisti del Trecento sui mercenari. ........................................... 17
2.3. Il parere di Machiavelli sui mercenari................................................................. 18
2.3.1. Gli scritti di Machiavelli............................................................................... 18
2.3.2. Conclusione. ................................................................................................. 25
2.4 I commenti sul parere di Machiavelli. .................................................................. 25
2.5. Il parere di altri scrittori rinascimentali sui mercenari. ....................................... 27
3. Maturarsi dell’idea di una milizia cittadina in Machiavelli........................................ 29
3.1 Introduzione.......................................................................................................... 29
3.2. La relazione fra la vita di Machiavelli e le sue opere. ......................................... 29
3.2.1. La giovinezza................................................................................................ 29
3.2.2. L’epoca di Giralomo Savonarola.................................................................. 31
3.2.3. Niccolò Machiavelli, il segretario fiorentino................................................ 32
3.2.3.1. Le prime missioni diplomatiche. ........................................................... 32
3.2.3.2. La milizia fiorentina. ............................................................................. 35
3.2.3.3. Le missioni presso Cesare Borgia. ........................................................ 38
3.2.3.4. La missione presso l’imperatore Massimiliano I................................... 41
3.2.3.5. La perdita di Prato e il rientro dei Medici. ............................................ 43
3.2.3.6. Dopo le attività pubbliche...................................................................... 45
3.3. Conclusione. ........................................................................................................ 46
4. Verso una teoria della milizia: Dell’arte della guerra................................................. 47
4.1. Introduzione......................................................................................................... 47
4.2. La milizia nei libri Dell’arte della guerra........................................................... 50
4.2.1. I pensieri fondamentali. ................................................................................ 50
4.2.2. Il reclutamento.............................................................................................. 53
4.2.3. L’organizzazione. ......................................................................................... 56
4.2.4. L’armamento. ............................................................................................... 58
4.2.5. L’addestramento. .......................................................................................... 59
4.2.6. Commento finale. ......................................................................................... 60
4.3. Conclusione. ........................................................................................................ 62
5. La milizia e la pratica. ................................................................................................ 63
5.1. Introduzione......................................................................................................... 63
5.2. L’opinione dei contemporanei............................................................................. 63
5.3. Il cittadino ideale. ................................................................................................ 64
5.4. Il reclutamento..................................................................................................... 66
5.5. L’autorità sulla milizia......................................................................................... 68
5.6. L’addestramento. ................................................................................................. 70
5.7. Conclusione. ........................................................................................................ 74
Conclusione. ................................................................................................................... 77
Bibliografia..................................................................................................................... 85
3
4
Introduzione.
Nel corso di numerosi viaggi in Italia, ho avuto modo di ammirare le opere dell’arte
figurativa rinascimentale e ciò ha fatto nascere in me un crescente interesse per la lingua
e la cultura italiana e il desiderio di dedicarmi a studi specifici sul Rinascimento. Ho
iniziato quindi a leggere libri ed altre pubblicazioni sull’argomento in cui – fatto che mi
ha molto colpito - veniva prestata molta attenzione al ruolo dei condottieri nello
sviluppo militare, politico e culturale del paese. In particolar modo, da un articolo dello
storico Michael Mallett risultava che il famoso scrittore politico del Rinascimento
Niccolò Machiavelli non stimava questi comandanti, anzi appariva chiaramente
favorevole alla creazione di una milizia in sostituzione degli eserciti mercenari.1 A
prima vista mi era sembrato un po’ strano che Machiavelli scegliesse un tipo di esercito
del passato per la guerra del futuro, ed anche Mallett pareva dubitarne. Per me, che sono
un ufficiale in pensione, questi elementi costituirono il punto di partenza e la ragione
per approfondire lo studio delle idee di Machiavelli sulla milizia.
Per una migliore comprensione di queste idee, è opportuno collocarle nella storia
degli eserciti europei del Medioevo e del Rinascimento. Il primo capitolo della mia tesi
sarà quindi un resoconto della storia militare dell’Europa e specialmente italiana, che ho
elaborato soprattutto in base agli scritti di Mallett e di Pieri. Mentre il primo è uno
storico che ha studiato specialmente i condottieri, il secondo ha dedicato un suo libro
alla crisi militare in Italia nel Rinascimento.2 Al termine risulterà chiara la causa per la
quale Machiavelli voleva creare una milizia: l’invasione da parte di Carlo VIII.
Nel secondo capitolo cercherò di trovare, nelle opere di Machiavelli, la ragione
per cui voleva sostituire gli eserciti mercenari con una milizia, e per far questo prenderò
in considerazione il suo parere sui condottieri e sui loro eserciti. Secondo Mallett,
Machiavelli era influenzato dalle idee degli umanisti del quattordicesimo secolo,
pertanto seguirò anche qui un approccio storico, coinvolgendo nell’indagine l’opinione
degli umanisti del Trecento.
1
Michael Mallett, ‘De condottiere’ De wereld van de Renaissance.Vertaling door Babet Mossel. Eugenio
Garin red.( Amsterdam: Agon, [1991]), 43-68.
2
Piero Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana ( Torino: Giulio Einaudi editore, [1952 ]). Michael Mallett, Mercenaries and their masters; Warfare in Renaissance Italy ( London: The Bodley Head
Ltd., [1974]).
5
Per una comprensione migliore dei pensieri di Machiavelli indagherò nel terzo
capitolo se esiste una relazione fra la vita di Machiavelli come funzionario
amministrativo della repubblica di Firenze e le sue opere.
Nel quarto capitolo studierò le idee di Machiavelli sulla milizia. Ho scelto per
questo scopo il trattato Dell’arte della guerra perché , essendo la sua ultima opera di
argomento militare, vi si trova presumibilmente il suo parere definitivo. Metterò a
confronto le idee esposte nell’Arte della guerra con quelle dei suoi scritti sulla milizia
relativi al periodo 1505-1512.
Fino a questo punto, la tesi tratterà di idee e pensieri. La milizia però era
destinata alla pratica guerresca e ciò porta al quesito principale della mia indagine:
soddisfaceva la milizia di Niccolò Machiavelli le condizioni per l’impiego efficace nella
guerra del Cinquecento o era solo un concetto idealistico? La risposta a questa domanda
forma il contenuto del quinto ed ultimo capitolo, in cui utilizzerò sia gli scritti di
Machiavelli stessi sull’argomento sia lo studio di Martin Hobohm.3
3
Martin Hobohm, Machiavellis Renaissance der Kriegskunst, Erster Band (Berlin: Carl Curtius,[1913]).
6
1. Gli eserciti in Europa fra Medioevo e Rinascimento.
1.1 Introduzione.
Il nucleo dell’esame fatto per questa tesi è formato dalle idee di Machiavelli per quanto
riguarda la milizia cittadina com’esercito ideale per la Firenze del suo tempo.
Per capire e per esaminare un fenomeno, occorre in genere la conoscenza dello
sviluppo precedente. Questa mia idea è sostenuta da Mallett, quando afferma che c’è
stato un lento trapasso dagli eserciti feudali del Medioevo alle forze professionali del
tempo moderno. Non ci sono stati rivoluzioni militari come dicono alcuni storici. Non
c’è stata una rottura fra il Medioevo e il Rinascimento nel campo culturale o
intellettuale e neanche nel campo militare.4 Anche Pieri scrive che per valutare la
pratica di guerra nell’Italia della seconda metà del secolo XV è necessario osservare le
guerre dei secoli precedenti.5
Importante è anche studiare lo sviluppo europeo al di là delle Alpi. L’arte della
guerra italiana non si è sviluppata separatamente da quella del resto dell’Europa.
Durante il quindicesimo secolo soldati italiani hanno combattuto dappertutto
nell’Europa e capitani stranieri hanno guidato i loro eserciti in Italia.
1.2. Europa.
Nel Medioevo un esercito era formato dai nobili feudali con i loro paggi. Non c’era un
comando centralizzato. Non esistevano studi o conoscenza della tattica militare. Non
c’era l’attenzione per aspetti come il rifornimento, la conoscenza del campo di battaglia
o i movimenti dell’avversario e le sue possibilità.6 Le principali attività guerresche
erano gli assedi dei castelli e delle città fortificate. Gli eserciti medievali però erano
piccoli (fra i tremila e i quindici mila uomini) e constavano soprattutto di cavalleria.
Non erano quindi molto adatti per gli incarichi più importanti. Non si può parlare di un
vero assedio, ma di un blocco di una città insieme con la devastazione del territorio.
Inoltre i cavalieri erano sotto le armi soltanto per un periododialcuni mesi l’anno. Nella
battaglia in campo aperto non c’era comando centrale o coordinamento. Si vedevano
4
Mallett, Mercenaries, 4-5.
Pieri, 206.
6
Richard Preston, , e.a. Men in arms, A history of warfare and its interrelationship with western society
(London: Atlantic Press,[1956]), 80-81.
5
7
soltanto lotte di un cavaliere con un altro. Importante era soltanto il coraggio personale.
Raramente si vedeva una battaglia decisiva.7 La soluzione era una fanteria in grado di
combattere in campo aperto. Un tal esercito non si può formare soltanto di propri
cittadini. La conseguenza è che nella prima metà del Trecento vediamo i primi piccoli
gruppi di mercenari per solvere il problema militare.8
L’Europa conosce dalla metà del Trecento uno sviluppo quasi rivoluzionario
dell’economia. Il traffico mercantile, l’artigianato e il settore bancario crescono
rapidamente e forniscono risorse finanziarie a nuovi e grandi stati. Gli stati unitari
quindi potevano espandere la loro attività militare in un modo quasi illimitato. In
Francia e in Inghilterra aumentava il potere monarchico.
Fra il 1337 e il 1453 ebbe luogo la guerra dei Cent’anni fra la Francia e
l’Inghilterra. La causa più importante di questa guerra era che gli inglesi pretendevano il
trono francese. Noi siamo adesso soprattutto interessati alle conseguenze della guerra
per gli eserciti europei.9 Questo conflitto è stato l’origine di un cambiamento nella
formazione e nell’organizzazione degli eserciti, fra l’altro tramite l’introduzione
dell’arco da parte degli inglesi. Durante la guerra dei Cent’anni risultò che la fanteria
leggera con quest’arma nuova si poteva misurare con la cavalleria feudale dell’Europa
continentale. Esempi ne sono le battaglie di Crécy (1346), Poitiers (1356) e Azincourt
(1415) nelle quali la cavalleria francese subì una sconfitta scacciante.
L’uso dell’arco portava ad un’armatura più pesante della cavalleria e una
riorganizzazione del seguito. Il numero di soldati che sosteneva il cavaliere aumentò e
l’armamento venne migliorato. In questa guerra vediamo l’inizio di uno sviluppo in cui
la fanteria diventa la parte più importante dell’esercito. L’arco e la balestra (un arco
lungo più di un metro) richiedevano un esercizio duro e proprio in questo tempo, nel
1300 circa, vediamo nell’Inghilterra lo sviluppo verso un esercito più professionale.
L’importanza della nobiltà diminuisce e i comandanti delle truppe sono nominati e
pagati dal re. Gli inglesi invece non riuscirono ad approfittare della situazione per via
d’instabilità politica e di problemi logistici.
La vittoria finale della Francia si basò soprattutto sulla fine del sistema militare
feudale e sulla formazione di un esercito professionista e permanente. Nel 1439 entrò in
7
Pieri, 206-210.
Preston, 81.
9
Ibidem, 82-92. Pieri, 222-226 e 229-231. Michael Mallett, ‘The art of war’ Handbook of European
history 1400-1600, Late Middle Ages, Renaissance and Reformation.Brady, Thomas & Oberman, Heiko
& Tracy, James, eds. (Leiden: E.J. Brill,[1994]): 536-38.
8
8
vigore una legge che dava soltanto al re il diritto d’imporre tasse per il mantenimento di
truppe permanenti e quello di nominare gli ufficiali. Questo significava la fine delle
compagnie di ventura e una consistente diminuzione del potere della nobiltà. Nel 1445
Carlo VII aveva un esercito permanente di ‘compagnies d’ordonnance’ con un totale di
6000 uomini circa. Ogni compagnia, comandata da un nobile, constava di cento
cavalieri con il loro seguito di picchieri, armati con un’asta con punta di ferro, e di
arcieri. C’era anche la possibilità di rafforzare le compagnie con una milizia mobile,
costituita di tiratori dei ceti medi e inferiori. Questi erano chiamati ‘franc-archers’,
perché nel tempo di pace erano esentati dal pagamento delle tasse. Le ‘compagnies
ordonnance’ erano note per la loro disciplina e per il loro patriottismo.
Accanto al cambiamento della struttura e della guida degli eserciti in quel
periodo c’era anche un progresso nell’uso e nella tecnica dell’artiglieria. Già nel 1294
Roger Bacon aveva scoperto la polvere nera. L’utilizzo di armi da fuoco invece non si
sviluppò velocemente.10 Fino al 1520 le armi da fuoco portabili non risultavano
superiori ad archi e balestri. Prendeva molto tempo ricaricarle e durante quest’azione i
soldati erano senza protezione. Nella pratica vediamo dunque una combinazione di armi
tradizionali e armi da fuoco. L’importanza della polvere nera si deve cercare soprattutto
presso l’artiglieria d’assedio. Vediamo dal 1480, specialmente in Francia, un progresso
nella capacità di quest’artiglieria. La velocità di fuoco, la forza di penetrazione e la
portata aumentavano. La nuova artiglieria diminuiva l’importanza dei castelli e delle
altre fortificazioni tradizionali e richiedeva una trasformazione dell’arte della guerra
anche in questo campo.
In sintesi, si può affermare che durante la guerra dei Cent’anni la feudalità è
sostituita dalla professionalità. In senso tattico l’accento sulla cavalleria è cambiato in
una combinazione di tutti tipidiarma. Le possibilità di fare la guerra sarebbero state
basate, nel futuro, sul potere politico e finanziario dei nuovi stati unitari.
Come abbiamo appena visto, la composizione degli eserciti era influenzata
dalle condizioni economiche e politiche e dall’armamento. In questo contesto un altro
paese è ancora degno di nota: la Svizzera.11 Era un paese povero. Una gran parte degli
uomini faceva il pastore. Questa situazione forniva la possibilità di chiamare molti
uomini alle armi senza danneggiare le altre attività del paese. La Svizzera era composta
di cantoni che per la maggior parte erano circondati da montagne. Questa situazione
10
11
Preston, 96-97. Pieri, 251-253.
Pieri, 235-237. Preston, 92-94. Mallett, The art of war, 543-544.
9
favoriva il patriottismo. Inoltre c’era la minaccia continua da parte degli austriaci.
Questi fatti portavano ad un addestramento permanente degli uomini dall’età di sedici
anni.
Mentre nel resto dell’Europa era in corso uno sviluppo della fanteria leggera
con l’uso dell’arco, gli svizzeri cercavano la soluzione nell’utilizzo della picca e lo
schieramento della falange. La picca era un’asta di legno, lunga più di tre metri e quindi
adoperata con ambedue le mani. La picca aveva una punta di ferro, lunga un metro
circa. Quest’ arma era usata in combinazione con l’alabarda, un tipo di picca che aveva
non solo una punta ma anche sotto ad un lato una scure. La forza dell’esercito svizzero
risiedeva nella formazione della falange. Adoperata con gran disciplina, questa
formazione di picca portava ad una forza d’urto in grado sia di difendersi dalla
cavalleria nemica sia di offenderla.
L’epoca degli anni settanta del quindicesimo secolo fu un periodo di gloria per
gli svizzeri. Il loro successo più noto fu la sconfitta di Carlo il Temerario, duca della
Borgogna, nel 1477. Proprio questo duca era noto per il suo esercito moderno e
professionale. I mercenari svizzeri diventarono una parte indispensabile per tutti i grandi
eserciti. In Francia i ‘franc archers’, erano sostituiti da picchieri svizzeri e in Germania
erano replicati sotto il nome di ‘Landsknechte’ (lanzichenecchi).
1.3. Italia.
Il modo di fare la guerra nell’Italia medioevale non si differenziava molto da quello nel
resto dell’Europa.12 La milizia era importante per la difesa delle città e si vedeva
occasionalmente un rinforzo di mercenari a pagamento individuale. Nel sud dell’Italia
gruppi di feudali costituivano la parte più importante degli eserciti, accanto alla milizia
e ai mercenari.
Nel Trecento vediamo un aumento delle truppe mercenarie.13 Le ragioni di
questo sviluppo furono soprattutto di carattere economico: crebbe l’economia delle
città, nacque un nuovo ceto di cittadini ricchi e diminuì l’importanza dei nobili. La
crescita dell’economia causava concorrenza e ostilità fra le città. Quando le città si
estendono e ingrandiscono il loro territorio fino al livello di un vero stato, la minaccia
quasi permanente richiede una protezione professionista. La discordia frequente fra le
12
13
Mallett, Mercenaries, 15-16.
Ibidem, 16-19. Preston, 95.
10
varie fazioni nella città rendeva la milizia un mezzo meno adatto per azioni militari.
Inoltre una milizia comunale avrebbe danneggiato l’economia. Era meglio e anche più
facile spendere soldi per una compagnia mercenaria che sottrarre i cittadini dal lavoro.
Non era difficile trovare i mercenari. Nel sud dell’Italia si trovavano soldati francesi,
ungheresi e tedeschi e non c’erano più le crociate e durante i vari armistizi della guerra
dei Cent’anni un gran numero di soldati era venuto in Italia cercando un’altra guerra o
la possibilità di saccheggiare. Nel Trecento si formarono le compagnie di ventura,
soprattutto composte di stranieri e guidate da capitani stranieri.
Il quindicesimo secolo è caratterizzato da famosi condottieri italiani che
guidavano compagnie che avevano addirittura parzialmente un carattere permanente.
La base del sistema condottiero era la condotta.14 In teoria ogni soldato, che aveva
segnato una condotta, era un condottiero. Dal 1400 erano soltanto i capitani delle grandi
compagnie che segnavano una condotta al livello dello stato. Nelle grandi compagnie
c’erano anche contratti interni, cioè fra il capitano e i comandanti di reparti minori della
compagnia. Un esempio di questo sistema è la compagnia di Michelotto Attendolo nel
periodo dal 1425 al 1448. C’erano 512 condottieri che avevano sottoscritto un contratto
con Michelotto.15 In seguito parlerò di condottieri nel senso di capitani, che avevano
una condotta con uno stato.
Nella condotta erano stabilite fra l’altro le cose seguenti: il compenso, il
numero e la qualità dei soldati, gli armamenti e la durata del rapporto di servizio.
Con “numero e qualità dei soldati” è intesa la composizione della compagnia da fanti,
cavalleria, arcieri, eccetera. Queste particolarità scompaiono dalle condotte alla fine del
quindicesimo secolo. È il condottiero che stabilisce in qual modo vuol portare a termine
il suo incarico. Anche le clausole riguardanti la durata della condotta cambiano nei
secoli. Nel Trecento la durata era adeguata ad una campagna specifica e, determinata
dalla stagione, non era più di sei mesi. Nel quindicesimo secolo è inserita nelle condotte
una possibilità di rinnovo. Le condotte hanno allora due parti, una parte fissa per il
primo periodo e una parte ‘di rispetto’.16 Alla fine del primo periodo di sei mesi circa il
committente aveva la possibilità di rinnovare la condotta o congedare il condottiero.
Vediamo durante questo secolo una tendenza a prorogare i periodi di servizio e alla fine
del Quattrocento una gran parte dei condottieri aveva un rapporto di servizio fisso.
14
Mallett, Mercenaries, 81-87. Mallett, De condottiere, 46-52.
Mallett, Mercenaries, 80-81.
16
Ibidem, 82.
15
11
Le condotte davano allo stato la possibilità di diminuire le truppe e quindi di abbassare i
costi dell’esercito durante l’inverno o durante un periodo di pace. D’altra parte una tale
condotta forniva al condottiero una garanzia per il suo futuro. Così sorgeva in alcuni
stati, per esempio a Venezia e a Milano, una situazione di uno stato con i propri
condottieri. Firenze invece quasi non conosceva relazioni solide con condottieri
affidabili e fino al 1440 non usò condotte con una durata di più di sei mesi.17 Devo
anche menzionare le condotte ‘in aspetto’.18 Un condottiero con un tale contratto aveva
la sua libertà, ma nello stesso tempo aveva l’obbligo di servizio, quando era chiamato.
La condotta in aspetto era preferita da condottieri con un proprio principato. Un
esempio di questo tipo di condottiero è Federico II da Montefeltro (1442-1482), Duca di
Urbino: quasi tutti conoscono il suo ritratto, dipinto da Justus van Ghent, che raffigura il
duca nella sua biblioteca, mentre indossa l’armatura.
Questo esempio mi porta all’argomento seguente riguardante i condottieri:
quale tipo di uomo era il condottiero italiano?19 La maggior parte dei condottieri era di
sangue nobile. La nobiltà di campagna era l’unico ceto con un proprio territorio e una
tenuta e quindi aveva l’opportunità di un’educazione militare. Il territorio gli dava la
possibilità di reclutare gli uomini. Inoltre c’era il diritto di primogenitura e la vita
militare offriva ai figli minori delle famiglie nobili una possibilità di acquistare
ricchezza e prestigio in un altro modo. C’erano stirpi famose dei condottieri come quella
dei Gonzaga, Este, Malatesta e Montefeltro. Non di rado un condottiero di nascita
nobile ma abbastanza povero era ricompensato dal committente con la gestione di una
città o con un feudo. Così Fabrizio Colonna, Antonio Malaspina ed altri entrarono nel
mondo di condottieri potenti. Naturalmente c’erano anche delle eccezioni. Erasmo da
Narni, noto sotto il nome Gattamelata, era figlio di un fornaio e anche Niccolò Piccinino
era di nascita umile. L’esempio più importante in questo contesto è quello della famiglia
Attendolo. Era una famiglia con un proprio territorio, ma non di nascita nobile. Muzio
Attendolo, chiamato Sforza, era il primo condottiero della famiglia, suo figlio Francesco
diventò il primo duca di Milano e fu fondatore della dinastia milanese.
Tratti caratteriali militari come il coraggio o la prudenza erano importanti, ma
questo valeva anche per il senso politico e la capacità di reclutare buoni soldati. Mallett
17
Ibidem.
Ibidem, 84.
19
Mallett, De condottiere, 52-54.
18
12
cita in questo contesto una relazione fiorentina del 1450 che tratta della concessione di
una condotta importante a Sigismondo Malatesta:
Sarebbe di grandissimo momento condurre Sigismomdo a comuni spese et per
le genti che ha, per la perizia nelle armi, et per l’autorità che gode presso tutti.20
Il condottiero, essendo in origine un guerriero, diventa durante il quindicesimo secolo
sempre di più un uomo d’affari. La capacità di mantenere una compagnia fedele e ben
addestrata con un accampamento per l’inverno e per i periodi di pace era indispensabile.
Una compagnia era, di fatto, un’azienda e in questo modo una parte della società.
Peraltro ci si può immaginare che i condottieri fossero disposti sempre di meno
all’esporre le loro truppe a pericoli inutili. Per un condottiero la compagnia era il suo
capitale e quindi la garanzia per il proprio futuro.
Essenziale per il ruolo dei condottieri era la relazione con i loro committenti.21
Nel Trecento si poteva ancora parlare di una posizione di potere del condottiero,
indipendente dalla signoria di uno stato. Nel Quattrocento il condottiero diventò sempre
di più una parte dell’organizzazione stabilita dello stato. Nondimeno c’era sempre un
rapporto di tensione fra le due parti di una condotta. Un mezzo di controllo da parte
dello stato era l’ufficiale civile, il collaterale, affiancato al condottiero, ma questo aveva
soltanto la possibilità di fare rapporto sulle vicende osservate. 22 Abbastanza presto si
vede formarsi un apparato amministrativo responsabile per reclutamento,
remunerazione, rifornimento, acquartieramento, eccetera. Ci si può immaginare che per
l’effetto del lavoro del collaterale fosse importante una certa permanenza dell’incarico.
C’era anche in questo campo una differenza fra Firenze e stati come Venezia e Milano.
Firenze conosceva un commissario temporaneo, scelto a sorteggio. Un esempio c’è
fornito dal diario del collaterale fiorentino Luca di Maso degli Albizzi. Nel 1432 egli
venne aggiunto all’esercito di Niccolò da Attendolo nei dintorni d’Arezzo.23 Per tre
settimane si occupò di affari come l’organizzazione dell’artiglieria, il reclutamento di
genieri e sostituì perfino il condottiero durante un certo periodo. Dopo tre settimane
tornò a Firenze e fu sostituito da un altro ufficiale temporaneo. La sfiducia reciproca
rimaneva un tratto caratteristico della relazione fra il condottiero e lo stato. Non parlo
20
Ibidem, 54.
Ibidem, 56-62.
22
Mallett, Mercenaries, 123-129.
23
Ibidem, 181-186.
21
13
qui soltanto di cose evidenti come il compenso o la disciplina, le due parti erano anche
spesso in disaccordo quanto su questioni fondamentali come la strategia o
l’organizzazione dell’esercito. Mi riferisco al momento per cominciare una campagna o
alla scelta del territorio d’accampamento. Sempre secondo Mallett non sarebbe giusto
affermare che il successo o il fallimento di una campagna erano soltanto la
responsabilità dei condottieri. Le decisioni importanti erano spesso il risultato di
trattative fra la signoria e un condottiero.
Tutti quelli che hanno studiato la cultura italiana, conoscono i palazzi ducali di
Ferrara, Mantova e Urbino. Questi palazzi sono non soltanto esempi dell’architettura del
Rinascimento, ma contengono anche famose opere d’arte figurativa. Nel Rinascimento
un tale palazzo era la residenza di un principe condottiero insieme con la sua famiglia;
si tratta qui d’Ercole d’Este, Ludovico Gonzaga e Federico da Montefeltro. Questi
palazzi sono le prove della ricchezza dei condottieri più famosi. I guadagni non erano
costituiti da proventi del loro rispettivo piccolo stato. Nel Cinquecento il mestiere di
condottiero conosceva una buona paga e gli artisti e i letterati quindi volevano volentieri
entrare nella corte di un gran condottiero. A parte un vero interesse del condottiero per
la cultura e per la letteratura, il mecenatismo gli forniva la possibilità d’ingrandire il suo
prestigio personale.
Dal 1380 circa con l’espansione del territorio e delle possibilità finanziarie
degli stati italiani sorge l’idea di un potere militare permanente come in Francia.24
Vediamo adesso anche comandanti nel servizio dello stato. Questo vale soprattutto per
Milano ed entro certi limiti anche per Venezia.
La situazione a Firenze era completamente differente. Non c’era più una
nobiltà guerriera e la signoria temeva l’influenza di condottieri stranieri. Inoltre il
governo aveva un atteggiamento titubante per quanto riguardava il pagamento di spese
militari nei periodi tranquilli. La situazione economica non era favorevole alla
formazione di una milizia di cittadini o contadini. Inoltre la forza militare di una tale
milizia non era paragonabile a quella di professionisti stranieri. In sintesi, Firenze era
uno stato debole che non aveva un proprio potere militare.
Nello Stato pontificio vediamo un gran numero di mercenari, guidati dalla
nobiltà romana e da condottieri della Romagna, Marche e Umbria. A Napoli troviamo
ancora una situazione feudale. Il re non si può fidare dei suoi baroni e quindi è costretto
24
Pieri, 258-264.
14
appoggiarsi a condottieri della nobiltà romana e lombarda. In conclusione si può
affermare che in quest’epoca in Italia ci sono ancora poche forze permanenti e tutti gli
stati ricorrono ai condottieri.
Voglio ancora fare qualche osservazione sulla possibilità di armare i sudditi.25
Nell’Italia di quell’epoca il problema non è l’ostilità della popolazione. La vera
difficoltà consiste nel trovare soldati istruiti e allenati. La maggior parte degli uomini
lavora nell’artigianato o vive nel contado. Fanno una vita tranquilla e senza il desiderio
di qualche attività militare, mentre i governi hanno bisogno di truppe ben addestrate e
tecnicamente capaci. Quando i contadini sono obbligati in alcuni casi a difendere la
propria terra, molti non si presentano o disertano. Non hanno buone armi e gli manca il
richiesto spirito militare. Soltanto nella Serenissima c’era una situazione migliore. Fanti
reclutati nel contado e nel ceto medio della città facevano parte dell’esercito veneziano
ed erano addestrati nello stesso modo. Inoltre Venezia poteva disporre di volontari su
larga scala.
Ed allora nel 1494 Carlo VIII, re di Francia, invase la penisola con un esercito
di 30.000 uomini. Gli stati italiani erano divisi sul campo politico, ai soldati mancava lo
spirito patriottico e l’esercito francese era armato in modo superiore.26 L’elemento
decisivo dell’esercito di Carlo VIII era l’artiglieria moderna che era in grado di marciare
insieme con la fanteria. Senza incontrare resistenza considerevole i francesi raggiunsero
Napoli in sei mesi. Durante i seguenti quaranta anni, l’Italia sarebbe stata il teatro delle
guerre fra la Francia e la Spagna per il predominio europeo.
Dopo la presa di Napoli, per gli scrittori italiani contemporanei si pose la
domanda principale: come era stato in grado Carlo VIII di rompere la resistenza degli
stati italiani entra sei mesi? Nei capitoli seguenti di questa tesi esaminerò aspetti della
risposta di Niccolò Machiavelli e della sua soluzione per prevenirlo nel futuro.
25
26
Pieri, 265-269.
Preston, 98-99. Mallett, Mercinaries, 231.
15
16
2. Il giudizio di Machiavelli sui mercenari.
2.1. Introduzione.
Nel capitolo precedente ho scritto che la maggioranza degli stati italiani alla fine del
Quattrocento ricorreva ancora ai condottieri e alle loro truppe per la difesa del territorio
o per la sua espansione. Altrove nell’Europa, per esempio in Francia e in Borgogna,
c’erano già eserciti nazionali, spesso nella forma di forze armate permanenti. Nei libri
che ho letto per descrivere il contesto storico dei pensieri di Machiavelli sul campo
militare tutti gli storici menzionano in un modo o nell’altro questo famoso fiorentino.
Preston afferma che lui è stato il primo scrittore sulla guerra moderna.27 Secondo Pieri
sarebbe stato‘il maggior teorico militare del Rinascimento’.28 Nel libro di Michael
Mallett l’influenza delle idee di Machiavelli è l’argomento principale di Capitolo X. 29In
tutti i libri appare chiaramente la critica dura di Machiavelli sui mercenari in genere e
sui condottieri in modo particolare.
2.2. Il parere degli umanisti del Trecento sui mercenari.
Quando adesso tratterò l’opinione di Machiavelli sull'uso degli eserciti mercenari, mi
sembra giusto usare, anche qui, un approccio diacronico. In questo modo posso
accertare se esiste una possibile relazione fra il parere degli umanisti fiorentini
dell’epoca intorno al 1400 e quello di Machiavelli all’inizio del Cinquecento.
A parte il problema dei costi e della diffidenza verso i capitani, la crescita delle
truppe mercenarie durante il quattordicesimo secolo non piacque agli umanisti
fiorentini, perché questa soluzione per l’organizzazione della difesa era in contrasto con
le idee dell’antichità classica. Secondo Platone i mercenari mostravano spesso un
grande coraggio personale, ma li accusava anche di bruttezze e d’ingiustizia. Aristotele
considera i mercenari uno strumento nelle mani di tiranni per opprimere i suoi sudditi.
Entrambi i filosofi sono dell’avviso che l’abilità militare non compensa la mancanza di
coinvolgimento ediaffidabilità. 30 Nel quarto secolo AC. Flavius Vegetius Ronatus
27
Preston, 99.
Pieri, 525.
29
Mallett, Mercenaries,257-260.
30
C.C.Bayley, War and society in Renaissance Florence, The De Militia of Leonardo Bruni. (Toronto:
University of Toronto Press, [1961]), 178-182.
28
17
scriveva la sua Epitomma Rei Militaris, un trattato di grande influenza specialmente fra
il 1400 e il 1600. Egli era un grande ammiratore degli eserciti della repubblica romana e
preferiva i civili armati ai mercenari.31
Guardando adesso alla Firenze del Trecento vediamo che anche Petrarca era un
convinto avversario dei condottieri. A suo parere erano ladri e assassini, soltanto
interessati al denaro e per loro la sicurezza personale era più importante della sconfitta
del nemico. Per lui lo scopo della guerra era la pace e quindi non una cosa da fare da
partediuomini che sono solo interessati alla guerra. Nella sua critica Petrarca si
concentra specialmente sugli stranieri, invocando un rinnovo della virtù militare
italiana.32
Come già scritto nel primo capitolo, alla fine del Trecento la maggior parte dei
condottieri era di origine italiana. Molto importante e riuscito in questo periodo era
Alberigo di Barbiano con la sua Compagnia di San Giorgio, che era onorato come il
fondatore della rinascita militare italiana.33 In questo tempo l’umanista Coluccio
Salutati (1331-1406) era cancelliere di Firenze. Benché anche lui lodasse Alberigo,
Salutati in genere era un grande avversario dei condottieri. Considerava i mercenari
emarginati, che cospiravano continuamente contro l’ordine e la pace. Non voglio
anticipare la discussione sulla milizia cittadina, ma sono dell’opinione che non si può
scrivere su Salutati senza menzionare la sua idea del patriottismo civico. L’affezione ai
concittadini e alla patria dovrebbero condurre secondo lui ad una devozione completa
dei cittadini agli affari militari della repubblica.34
2.3. Il parere di Machiavelli sui mercenari.
2.3.1. Gli scritti di Machiavelli.
Machiavelli, essendo prima di tutto un uomo politico, aveva grande interesse per le
questioni militari. Considerando gli avvenimenti in Italia fra il 1400 e il 1500, per lui
questa relazione era logica. Non è da meravigliarsi quindi che nei suoi scritti politici e
storici si trovino sempre brani che trattano degli eserciti o dell’arte della guerra. Esempi
31
John, R. Hale, Dictionary of the Italian Renaissance, 1981 (London: Thames and Hudson Ltd. [1997]),
328.
32
Bayley, 187-189.
33
Ibidem, 190-192.
34
Ibidem, 192-195.
18
noti sono Il Principe, I Discorsi e Istorie Fiorentine, accanto all’Arte della Guerra in
cui gli affari militari formano l’argomento principale.35All’inizio del paragrafo
precedente ho parlato della dura critica di Niccolò Machiavelli sulle truppe mercenarie e
specialmente sui condottieri, che formavano un fenomeno tipico italiano.Tenterò in
questo capitolo di limitarmi allo scrivere sulla critica e non già discutere le soluzioni di
Machiavelli. Prima citerò alcuni testi di Machiavelli su questo argomento e poi tratterò i
commentidialcuni storici.
Il primo testo che vorrei citare si trova nel Principe, in origine chiamato De
principatibus. Questa è la sua opera più letta e discussa, scritta nel 1513 e dedicata a
Lorenzo de’ Medici, Duca di Urbino. Quattro anni dopo la cacciata di Piero de’ Medici,
nel 1494, Machiavelli era stato nominato segretario della seconda cancelleria della
repubblica e poi anche segretario dei Dieci di libertà e pace. Con il ritorno al potere dei
Medici nel 1512 fu destituito dai suoi incarichi pubblici. Da allora viveva senza lavoro a
Sant’Andrea in Percussina, qualche chilometro a sud di Firenze nella speranza di un
nuovo incarico ufficiale. Lo scopo del libro era mostrare ai nuovi signori della famiglia
de’Medici le sue idee sul governo di un principato e certamente anche la sua propria
competenza politica.36 Il libro finisce con un’esortazione a liberare l’Italia dagli
stranieri. In una lettera del 10 dicembre 1513 a Francesco Vettori, ambasciatore
fiorentino a Roma, Machiavelli scrive sul contenuto del libro:
[…] un opuscolo De principatibus, dove io mi profondo quanto io posso nelle
cogitationi di questo subbietto, disputando che cosa è principato, di quale
spetie sono, come e’ si acquistono, come e’ si mantengono, perché e’ si
perdono.37
In primo luogo quindi è un libro politico, ma come detto prima si potrebbe anche
aspettare qualche osservazione sull’aspetto militare del potere principesco. Infatti, nei
Per conoscere il parere di Machiavelli sulle truppe mercenari si deve
soprattutto leggere capitoli XII-XIV lo scrittore espone le sue idee sugli eserciti e sui
mercenari.38 il capitolo XII, ‘Quot sint genera militiae et de mercinariis militibus.’ I due
capitoli seguenti trattano rispettivamente degli eserciti ausiliari, misti e propri (XIII) e
della relazione fra un principe e l’arte della guerra (XIV). Dopo aver discusso nel primo
35
John, R.Hale, Renaissance war studies. (London : Hambledon Press, [1983]), 381.
Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana (Torino: Einaudi, [1992]), 265-266.
37
Niccolò Machiavelli, Tutte le opere, a cura di Mario Martelli (Firenze: Sansoni editore, [1971]), 1160.
38
Niccolò Machiavelli, Il Principe, a cura di Marella Vasconi (Colognala ai Colli: Demetra S.r.l.,
[1999]), 84-103.
36
19
paragrafo le buone leggi e un buon esercito come basi fondamentali di ciascun
principato, Machiavelli dà nel secondo paragrafo il suo parere sugli eserciti mercenari in
un tale modo che mi sembra meglio citare per esteso.
Le mercenarie e ausiliarie sono inutile e periculose: e se uno tiene lo stato suo
fondato in sulle arme mecenarie, non starà mai fermo né sicuro; perché le sono
disunite, ambiziose, sanza disiplina, infedele; gagliarde fra gli amici; fra e’
nemici, vile; non timore de Dio, non fede con gli uomini; e tanto si differisce la
ruina quanto si differisce lo assolto; e nella pace se’ spogliato da loro, nella
guerra da’ nimici. La cagione di questo è che le non hanno altro amore né altra
cagione che le tenga in campo, che uno poco di stipendio, il quale non è
sufficiente a fare che vogliono morire per te. Vogliono bene essere tuoi soldati
mentre che tu non fai guerra; ma, come la guerra viene, o fuggirsi o
andarsene.39
Queste sono parole che vengono dal cuore, ma poco argomentate. Mi sembra quindi
saggio discutere l’opinione di Machiavelli dopo aver letto altri testi nei quali lo scrittore
si concretizza. Nel terzo paragrafo afferma che il successo di Carlo VIII è provocato dal
fatto che già da tanto tempo gli italiani si sono affidati ai mercenari. Poi scrive sulla
persona che deve guidare le truppe. Il principe deve essere il capitano del proprio
esercito e nel caso di una repubblica tocca ad uno dei cittadini, perché un condottiero
aspira solo al suo successo personale. Così si può, a suo parere, prevenire che uno
straniero assuma il potere di uno stato. Nel quinto paragrafo Machiavelli ci dà alcuni
esempi. Menziona i cartaginesi e i Tebani, che ambedue persero la libertà perché si
affidavano a mercenari. Roma e Sparta invece sono sempre rimaste armate e quindi
libere per secoli. È tipico per l’umanista Machiavelli che comincia con esempi di popoli
antichi. Machiavelli però non era un umanista nel senso stretto di filologo. Studiando gli
antichi voleva conoscere e capire le loro idee. Nella sua lettera a Vettori, già menzionato
prima, scrive che nel Principe ha notato che ha capito dalla ‘conversazione’ con gli
antichi.40 Come esempi dell’inaffidabilità dei condottieri menziona Francesco Sforza e
suo padre Attendolo Sforza.
E’ Milanesi, morto il duca Filippo, soldorono Francesco Sforza contro a’
Viniziani: il quale, superati gli inimici a Caravaggio, si congiunse con loro per
opprimere e’ Milanesi sua patroni. Sforza, suo padre, sendo soldato della
39
40
Ibidem, 84.
Machiavelli, Tutte le opere, 1160.
20
regina Giovanna di Napoli, la lasciò in un tratto disarmata; onde lei, per non
perdere il regno, fu costretta gittarsi in grembo al re di Aragona.41
Una breve spiegazione mi sembra qui appropriata. Francesco Sforza, figlio del
condottiero Muzio Attendolo, prese nel 1450 la supremazia sulla repubblica di Milano
tramite il suo passaggio al nemico.42 Muzio Attendolo si rivolse nel 1426 contro il suo
committente, Joanna di Napoli, che poi cercava l’aiuto del condottiero Braccio da
Montone.43
Dopo aver dato un breve resoconto storico riguardante l’origine del sistema
condottiero, Machiavelli tratta ancora di alcuni altri condottieri come Giovanni Aucut (il
condottiero inglese John Hawkwood), che servì Firenze dal 1377 fin al 1393.
Nell’ultimo paragrafo del capitolo Machiavelli parla della composizione degli eserciti
mercenari edialcuni aspetti del loro modo di fare la guerra.
L’ordine che egli hanno tenuto è stato, prima, per dare reputazione a loro
proprii, avere tolto reputazione alle fanterie. Feciono questo, perché, sendo
sanza stato e in su la industria, e’ pochi fanti non davano loro reputazione, e li
assai non potevono nutrire; e però si ridussono a’ cavalli, dove con numero
sopportabile erano nutriti e onorati. Ed erano ridotte le cose in termine, che in
uno esercito di ventimilla soldati non si trovava dumila fanti. Avevano, oltre a
questo, usato ogni industria per levare a sé e a’ soldati la fatica e la paura, non
si ammazzando nelle zuffe, ma pigliandosi prigioni e sanza taglia. Non
traevano la notte alle terre; quelli delle terre non traevano all tende; non
facevano intorno al campo né steccato né fossa; non campeggiavano il verno. E
tutte queste cose erano permesse ne’ loro ordini militari, e trovate da loro per
fuggire, come è detto, e la fatica e li pericoli: tanto che gli hanno condotto
stiavia e vituperata.44
Esaminiamo ora i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, chiamati anche I
Discorsi. In questo lavoro, scritto fra il 1515 e il 1517, Machiavelli dà un’analisi dei
primi anni dell’impero romano a base ai libri scritti da Livio sulla storia di Roma. Egli
utilizza gli avvenimenti dell’antica Roma come spunto per considerazioni sull’attualità
politica italiana. Per Machiavelli la soluzione per la debolezza politica (quindi anche
41
Ibidem, 86.
John, R. Hale, Dictionary of the Italian Renaissance, 1981 (London: Thames and Hudson Ltd. [1997]),
299.
43
Geoffrey Trease, De huurlingen. Avontuur en hartstocht van de Condottieri. Traduzione di E.A.M.
Scheltema-Vriesendorp, (Bussum: Fibula-van Dishoeck [1974]), 169.
44
Machiavelli, Principe, 90.
42
21
militare) si trova nell’imitazione degli antichi.45 Lo scrittore si lamenta e scrive nel
proemio del primo libro:
Nondimanco, nello ordinare le republiche, nel mantenere li stati, nel governare
e’ regni, nello ordinare la milizia ed amministrare la guerra, nel iudicare e’
sudditi, nello accrescere l’imperio, non si truova principe né republica che agli
esempli delli antiqui ricorra.46
Sebbene il secondo libro dei Discorsi tratti gli eserciti e l’arte della guerra, ho trovato
alcuni brani sugli eserciti mercenari anche nel primo libro, che tratta in genere
l’ordinamento statale e i modi di governare.
Considerasi ancora, per il soprascritto trattato, quanta differenzia è, da uno
esercito contento e che combatte per la gloria sua, a quello che è male disposto
e che combatte per l’ambizione d’altrui. Perché, dove gli eserciti romani
solevano sempre essere vittoriosi sotto i Consoli, sotto i Decemviri sempre
perderono. Da questo esemplo si può conoscere, in parte, delle cagioni della
inutilità de’ soldati mercenari; i quali non hanno altra cagione che gli tenga
fermi, che un poco di stipendio che tu dài loro. La qual cagione non è né può
essere bastante a fargli fedeli, né tanto tuoi amici, che vogliono morire per te.
Perché in quegli eserciti che non è un’affezione verso di quello per chi e’
combattono, che gli faccia diventare suoi partigiani, non mai vi potrà essere
tanta virtù che basti a resistere a uno nimico un poco virtuoso.47
Per concludere i testi nei Discorsi, cito ancora una volta Machiavelli quando scrive nel
terzo libro, parlando della mancanza di coraggio e di disciplina: ‘come sono gli eserciti
italiani de’ nostri tempi, i quali sono al tutto inutili’.48
Ho trovato anche nelle Istorie Fiorentine qualche esempio dell’opinione di
Machiavelli sui mercenari. Questo libro è stato scritto dal 1519 al 1525 per incarico del
cardinale Giulio dei Medici. Non è diventato un lavoro in cui si legge la storia di
Firenze con elencazione dei fatti diplomatici, militari ed economici. Machiavelli ci dà in
questo libro la sua interpretazione politica della storia fiorentina che in gran parte è
basata sull’antichità. Nel capitolo XXXIX del primo libro lo scrittore descrive la
45
Ferroni, 273.
Machiavelli, Tutte le opere, 76.
47
Ibidem, 126.
48
Ibidem, 245.
46
22
situazione politica nell’Italia nella prima metà del Quattrocento. Scrive che ‘tutti questi
principali potentati erano di proprie arme disarmati’49 e prosegue
Erano adunque l’armi di Italia in mano o de’ minori principi o di uomini sanza
stato: perché i minori principi, non mossi da alcuna gloria ma per vivere o più
ricchi o più sicuri, se le vestivano; quegli altri, per essere nutricati in quelle da
piccoli, non sapiendo fare altra arte, cercavono in esse con avere o con potenza
onorarsi50
Parlando del modo di fare la guerra da parte dei condottieri scrive:
[…] e infine la (guerra, SS) ridussono in tanta viltà che ogni mediocre capitano
nel quale fusse alcuna ombra della antica virtù rinata gli arebbe con
ammirazione di tutta Italia, la quale per sua poca prudenza gli onaorava,
vituperati.51
Interessante è anche leggere il suo giudizio sull’importanza e sul carattere delle
battaglie. Sulla battaglia di Forlì fra Milano e Firenze nel 1424 scrive, che ‘Nondimeno
in una tanta rotta, celebrata per tutta Italia, non morì altri che Lodovico degli Obizzi
insieme con duoi altri suoi, i quali cascati da cavallo affogorono nel fango.’52 Un brano
paragonabile si trova nel quinto libro, quando tratta la battaglia d’Anghiari e scrive:
Né furono mai tempi che la guerra che si faceva ne’ paesi d’altri fusse meno
pericolosa per chi la faceva, che in quegli. E in tanta rotta e in sì lunga zuffa
che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì altri che uno uomo: il
quale non di ferite o d’altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto
espirò.53
In questa battaglia le truppe di Milano guidate dal condottiero Niccolò Piccinino furono
sconfitte dai fiorentini il 29 giugno del 1440. Dopo aver narrato del comportamento
indisciplinato dei vincitori, Machiavelli scrive, che è ‘da meravigliarsi come in uno
esercito così fatto fusse tanta virtù che sapesse vincere, e come nello inimico fusse tanta
viltà che da sì disordinate genti potesse esser vinto.’54
49
Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine e altre opere storiche e politiche, a cura di Alessandro
Montevecchi, (Torino: UTET, [1971]), 340.
50
Ibidem, 341.
51
Ibidem.
52
Ibidem, 475.
53
Ibidem, 575.
54
Ibidem, 576 .
23
Il libro più importante di Machiavelli per quanto riguarda l’esercito è senz’altro
L’arte della guerra, pubblicato nel 1521. In questo libro lo scrittore presenta le sue idee
sull’organizzazione degli eserciti, della tattica, delle armi e di molti altri aspetti dell’arte
della guerra. Il libro è scritto in forma di dialogo e l’opinione di Machiavelli è
presentata dal condottiero Fabrizio Colonna. Mallett afferma a ragione che questo è un
esempio di dicotomia nell’attitudine degli italiani rispetto ai soldati. 55 In questo capitolo
tratterò soltanto la critica di Machiavelli sulle truppe mercenarie. Nel primo libro del
trattato gli interlocutori parlano del problema fondamentale, cioè la costituzione di un
esercito. Qui si possono trovare alcune osservazioni sulle compagnie di ventura e sul
comportamento di alcuni condottieri. Nella seguente citazione descrive l’origine e
quindi la mentalità delle compagnie di ventura.
[…] e se pure la pace viene, spesso occorre che i capi, sendo privi degli
stipendi e del vivere, licenziosamente rizzano una bandiera di ventura e sanza
alcuna piatà saccheggiano una provincia. Non avete voi nella memoria delle
cose vostre come, trovandosi assai soldati in Italia sanza soldo per essere finite
le guerre, si ragunarono insieme più brigate e andavano saccheggiando il paese,
sanza che vi si potesse fare alcuno remedio.56
Poi Colonna dà il suo parere sul comportamento alcuni condottieri come Francesco
Sforza e Braccio da Montone, narrando la storia che abbiamo già letto nel Principe e
aggiunge: ‘Simili disordini non nascono da altro che da essere stati uomini che usavano
le esercizio del soldo per loro propria arte.’57
L’ultimo libro in cui ho cercato brani sul parere di Machiavelli sui condottieri,
è la Vita di Castruccio Castracani. Castracani fu un famoso condottiero lucchese (12811328) che dopo un periodo da guerriero si fece nominare nel 1317 capitano e difensore
di Lucca. Questo libro invece si è rivelato una biografia umanistica di un uomo illustre.
L’immagine che emerge dalla biografia è quella di un feroce condottiero che non evita
spargimento di sangue, inganno e corruzione. Ma nello stesso tempo è un eroe con
grande comprensione della tattica e un uomo di grande disciplina, ‘giudicando lo officio
d’uno buono capitano essere montare il primo a cavallo e l’ultimo scenderne’.58
Machiavelli considera Castracani prima uno statista e poi un condottiero.
55
Mallett, Mercenaries, 257-258.
Machiavelli, Tutte le opere, 305.
57
Ibidem,306.
58
Ibidem, 625.
56
24
Anche qui si può forse parlare di dicotomia nel giudizio di Machiavelli. Mi sembra che
per Machiavelli questo condottiero sia il modello del principe nuovo, cioè uno che ha
acquistato il principato e non regna su di un principato a titolo ereditario.
Il suo giudizio positivo su Castracani mi fa anche pensare al suo apprezzamento di
Cesare Borgia, 59 un condottiero temuto e violento per via delle sue qualità militari e
l’uso di Colonna come protagonista nell’Arte della Guerra. Forse abbiamo qui a che
fare con la stima delle virtù militari dell’antichità secondo l’esempio di Salutati nel caso
di Alberigo di Barbiano.
2.3.2. Conclusione.
Machiavelli, giudicando i condottieri e i loro eserciti, si basava sulla storia degli antichi
e idealizzava le milizie romane. Considera i mercenari pericolosi e inutili. Il suo parere
mostra una chiara corrispondenza con quello degli umanisti del Trecento. È notevole
che tutti gli esempi usati per argomentare il suo parere, risalgano al periodo prima del
1450. Quando parla dell’inaffidabilità dei condottieri e dalla loro mancanza di
motivazione, sembra verosimile che abbia presente soprattutto la situazione fiorentina,
perché nel suo tempo Firenze maneggiava ancora condotte con una breve scadenza e
con vari condottieri. Anche la composizione degli eserciti come presentata da
Machiavelli non mi sembra senz’altro applicabile alle truppe italiane di quest’epoca. Il
suo giudizio su determinati condottieri è meno comprensibile. Vince la sua avversione
per i mercenari in genere, mentre egli stima il coraggio e le qualità militari dei
condottieri. Esempi sono Castruccio Castracani e Cesare Borgia.
2.4 I commenti sul parere di Machiavelli.
In questo paragrafo voglio discutere prima i commenti degli storici del secolo scorso sul
parere di Machiavelli per quanto riguarda i condottieri e i mercenari in genere. Poi
menzionerò le idee di altri scrittori del Rinascimento su questo argomento. Secondo
Mallett la critica di Machiavelli, scritta nel periodo fra il 1510 e il 1530, sembra basata
sulle idee che avevano gli umanisti all’inizio del Quattrocento. Come loro Machiavelli
59
Mallett, Mercenaries, 196.
25
disprezzava tutti i mercenari e professionisti e seguendo i romani antichi cercava la
soluzione in una milizia civile. 60 Machiavelli parla dell’inaffidabilità, della cupidigia e
degli altri vizi dei mercenari. Alla fine di quel secolo invece c’era un tipo di condottiero
diverso da un Alberico da Barbiano nel 1400. C’era anche lo sviluppo verso gli eserciti
permanenti e professionisti di cui facevano parte anche condottieri e il modo di fare la
guerra era diverso in confronto a quello del 1400. 61 Pieri scrive che soltanto a Firenze
esisteva ancora in quel momento il sistema delle condotte.62 Si può concludere che la
visione che aveva Machiavelli era limitata alla situazione fiorentina. Gli scrittori citati
vedono anche differenze fra la composizione degli eserciti come presentata da
Machiavelli e la realtà. Mentre egli critica il fatto che si vede soltanto un totale di
duemila fanti in un esercito di ventimila soldati, troviamo fra l’altro in Mallett
l’esempio delle truppe fiorentine composte da 10.000 fanti e 2000 cavalieri all’assedio
di Volterra nel 1472. Mallett ammette altrove che la cavalleria grave era in genere il
nucleo delle compagnie di mercenari, ma queste compagnie combattevano sempre
insieme con fanti e cavalleria leggera.63
Machiavelli parla delle battaglie senza spargimento di sangue, per esempio
quella d’Anghiari (1440), con un solo uomo morto. In Mallett invece si legge che il
numero di morti da entrambi le parti era 900 circa. Mallett menziona anche altre
battaglie con centinaia di morti già nella prima metà del Quattrocento. Lui cerca la
possibile ragione delle cifre di Machiavelli nello scopo politico delle Istorie
Fiorentine.64 Si può anche pensare ad un modo d’esagerazione letteraria dello scrittore
per accentuare le sue idee. Ciò che colpisce è che Preston, discutendo l’agire dei
condottieri anche rispetto a questo argomento, segue il Machiavelli.65
L’importanza degli scritti di Machiavelli è giudicata in modo vario. Pieri scrive:
Del resto, le idee del Machiavelli non esercitarono che ben scarsa influenza
sullo sviluppo contemporaneo e posteriore della prassi guerresca: i suoi scritti,
pur rappresentando il primo serio sforzo di studiare scientificamente e
storicamente, in tutta la sua ampiezza, il grande problema della guerra e delle
istituzioni che ad essa si collegano, si risolvevano in realtà, soprattutto in una
60
Pieri, 533. Preston, 100.
Mallett, De condottiere, 68.
62
Pieri, 533.
63
Mallett, Mercenaries, 146-147.
64
Mallett, Mercenaries, 197. Michael Mallett, ‘The art of war’ Handbook of European history,541-542.
65
Preston, 99.
61
26
continua critica negativa, mal compensata da un parziale, poco felice ritorno
alle forme dell’esercito della Roma repubblicana.66
Mallett invece ha un’opinione più moderata e, sostenendo l’idea di Pieri rispetto alla
prassi, parla della sua influenza finale tramite la sua passione nello scrivere sulla guerra
e anche Preston loda Machiavelli (nonostante i suoi errori) come il primo scrittore sulla
guerra moderna. 67
2.5. Il parere di altri scrittori rinascimentali sui mercenari.
Non voglio finire questo capitolo senza menzionare anche le opinioni di altri scrittori
del Rinascimento sui condottieri e comincio con Francesco Guicciardini (1483-1540),
fiorentino come Machiavelli e suo amico, noto specialmente come storico e politico.
Mallett scrive che nel 1494, dopo l’invasione francese, la critica ai condottieri arriva al
culmine negli scritti di Machiavelli e Guicciardini.68 Nella sua Storia d’Italia
Guicciardini dà il suo parere sui condottieri:
alcuni sono ignari d’ogni scienza militare, altri codardi, e quasi tutti hanno
tanto a cuore la propria fama e sono così gelosi di quella dei colleghi, da
preoccuparsi assai più di impedire che la reputazione dei rivali si faccia più
grande, che non di sconfiggere il nemico comune.69
Mallett menziona anche Paulo Giovio (1483-1552) e Baldassare Castiglione (14781529). Questi due scrittori esagerano secondo lui i meriti dei condottieri come faceva
Machiavelli per quanto i loro difetti.70 Loro invece danno un’immagine ideale del
condottiero come l’uomo meritevole ed esemplare che combina in sé le qualità militari e
quelle dell’uomo educato. Castiglione lo fa nel Libro del Cortegiano e Giovio negli
Elogia virorum bellica virtute illustrum e nelle biografiedialcuni condottieri come
quella di Muzio Attendolo Sforza e quella d’Alfonso d’Este.
66
Pieri, 534.
Mallett, Mercenaries, 259. Preston, 99-100.
68
Mallett, De condottiere, 44.
69
Felix Gilbert, Machiavelli e Guicciardini, Pensiero politico e storiografia a Firenze nel Cinquecento,
Traduzione di Franco Salvatorelli (Torino: Giulio Einaudi editore[1970]), 240.
70
Mallett, De condottiere, 44.
67
27
28
3. Maturarsi dell’idea di una milizia cittadina in Machiavelli.
3.1 Introduzione.
Niccolò Machiavelli è conosciuto in tutto il mondo come lo scrittore del Principe.
Questo lavoro ed altri suoi libri sono stati tradotti in molte lingue. Varie lingue
conoscono addirittura parole come ‘machiavellismo’, per indicare una interpretazione
negativa del suo pensiero politico. Le sue idee politiche e militari sono tuttora
argomento di studio e tema di discussioni. Per ottenere un’impressione dell’origine di
queste idee, vorrei qui prestare attenzione alla vita di Niccolò Machiavelli in relazione
ad alcune sue opere. Ho scelto Il Principe, I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e
Dell’arte della guerra perché questi libri sono i più conosciuti come lavori polemici sul
campo politico e militare. Mi sembra verosimile che io in queste opere possa trovare un
rapporto fra le esperienze di Machiavelli e le sue idee. Questo vale certamente per Il
Principe, perché la sua situazione personale dopo il ritorno dei Medici a Firenze nel
1512 e la sua preoccupazione del futuro dell’Italia formano lo spunto per questo saggio.
Questo capitolo non sarà una biografia. Tratterò soprattutto aspetti che mi
servono per accertare una relazione fra la vita di Machiavelli e i suoi libri. Ho scelto
alcune esperienze, missioni e altre attività che hanno a che fare con la nascita delle sue
idee politiche e militari. Non parlerò molto di cose private come il suo matrimonio, la
sua situazione finanziaria o le sue amicizie.
3.2. La relazione fra la vita di Machiavelli e le sue opere.
3.2.1. La giovinezza.
Niccolò Machiavelli nasce il 3 maggio 1469 a Firenze da Bernardo e da Bartolomea
Nelli, vedova di Niccolò Benizzi. Niccolò è secondogenito e ha due sorelle, Primavera e
Ginevra, e un fratello, Totto.
La famiglia discende dalla stirpe degli antichi signori di Montespertoli, fra la
Val d’Elsa e la Val di Pesa. La Maclavellorum familia è nota in Firenze sino dal secolo
1300 fra gli aderenti di parte guelfa, sostenitori delle vedute teocratiche del papa.
29
Durante i due secoli successivi la famiglia ha dato alla repubblica fiorentina alcuni
gonfalonieri e priori, cioè governanti dello stato.71
L’apparente importanza della famiglia Machiavelli non corrispondeva alla sua
situazione economica. Il padre era un giureconsulto con uno stipendio modesto e quindi
non viveva senza preoccupazioni finanziarie. Niccolò scriverà dopo in una lettera a
Francesco Vettori ‘che nacqui povero, et imparai prima a stentare che a godere’.72
Conosciamo la situazione economica e altre cose della famiglia tramite la scoperta del
Quaderno di ricordanze di Bernardo Machiavelli, che va dal 1474 al 1487.
Così sappiamo che nella biblioteca di Bernardo non c’erano soltanto libri di
legge, ma anche libri degli antichi, per esempio un Tito Livio. Certamente abbiamo qui
un segno dell’origine dell’interesse di Niccolò per gli antichi, che appare dai suoi libri.
Ha avuto una formazione classica e conosceva i grandi classici latini e i grandi italiani
come Dante, Petrarca e Boccaccio.73 Non è un caso che finisce Il Principe con i versi
della canzone Italia mia di Petrarca:
Virtù contra furore
Prenderà l'arme; e fia el combatter corto,
Ché l’antico valore
Nell’italici cor non è ancor morto.74
Nella dedica del Principe Machiavelli scrive:
Desiderando io adunque offerrirmi alla Vostra Magnificenzia con qualche
testimone della servitù mia verso di quella, non ho trovato, intra la mia
suppellettile, cosa quale io abbi più cara o tanto esístimi, quanto la cognizione
dell azioni delli uomini grandi imparata da me con una lunga esperienza delle
cose moderne e una continua lezione delle antique: 75
In quasi tutti i capitoli del Principe parla degli antichi offrendo esempi per il tempo
moderno.
I Discorsi sono completamente basati sulla Prima deca di Tito Livio. Inoltre
Machiavelli esprime in quest’opera alcune volte la sua idea di una evoluzione ciclica
della storia, come nel primo libro:
71
Federico Chabod, Scritti su Machiavelli, 1964, (Torino: Einaudi, [1993]), 256-257.
Machiavelli, Tutte le opere, 1129.
73
Chabod, 257-259.
73
Ibidem, 10.
74
Machiavelli, Principe, 178.
75
Ibidem, 10.
72
30
E’ si conosce facilmente, per chi considera le cose presenti e le antiche, come
in tutte le città ed in tutti i popoli sono quegli medesimi desiderii e quelli
medesimi omori, e come vi furono sempre. In modo che gli è facil cosa, a chi
esamina con diligenza le cose passate, prevedere in ogni republica le future, e
farvi quegli remedi che dagli antichi sono stati usati; o, non ne trovando degli
usati, pensarne de’ nuovi, per la simultudine degli accidenti.76
In tutti i capitoli dell’Arte della guerra parla degli esempi dei romani e nel proemio
afferma:
E giudicando io, per quello che io ho veduto e letto, ch’e’ non sia impossibile
ridurre quella negli antichi modi e renderle qualche forma della passata virtù,
diliberai, [...] di scrivere [...] della arte della guerra quello che io ne intenda.77
La cultura classica mi sembra davvero la base del pensiero di Machiavelli.
3.2.2. L’epoca di Giralomo Savonarola.
Prima di parlare dell’entrata di Machiavelli negli uffici della Repubblica, voglio ancora
trattare il suo parere del frate dominicano Girolamo Savonarola. Questo frate aveva
fondato in Firenze, dopo la morte di Lorenzo il Magnifico (1492), una repubblica del
tipo teocratico. Predicava contro il papa e i Medici e condannava la vita lussuosa e
libertina del suo tempo.
Machiavelli non era un sostenitore di Savonarola. In una lettera del 9 marzo
1498 a Ricciardo Becchi, ambasciatore presso il papa, Machiavelli scrive: ‘et così,
secondo el mio iudicio, viene secondando e tempi, et le sua bugie colorendo’.78 Qui
sono già in grado di mostrare un primo esempio della relazione fra la vita di Niccolò e i
suoi libri citando dal capitolo VI del Principe:
Di qui nasce che tutti e’profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorono.[…]
Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbono possuto fare osservare loro
lungamente le loro costituzioni, se fussino stati disarmati: come ne’ nostri
tempi intervenne a fra’ Girolamo Savonarola; il quale ruinò ne’ sua ordini
76
Machiavelli, Tutte le opere, 122.
Ibidem, 301-302.
78
Ibidem, 1011.
77
31
nuovi, come la moltitudine cominciò a non credergli; e lui non aveva modo a
tenere fermi quelli che aveveno creduto, né a far credere e’ discredenti.79
3.2.3. Niccolò Machiavelli, il segretario fiorentino.
Il 19 giugno 1498 Machiavelli fu nominato capo della seconda Cancelleria della
Signoria di Firenze e poi il 14 luglio segretario dei Dieci di Libertà e di Pace, detti
anche I Dieci di Balia. Gli affari interni della repubblica erano di competenza della
seconda Cancelleria e gli affari esteri di quella della prima Cancelleria.80 Nella pratica
questa divisione non era così rigorosa. Inoltre le competenze dei Dieci di Balia e quelle
della prima Cancelleria si sovrapponevano, perché esisteva sempre un nesso fra affari
esteri e affari militari.
Alla guida del governo della repubblica di Firenze c’era la signoria,
compostadiotto priori che eleggevano il loro proprio presidente, chiamato gonfaloniere.
C’era anche un tipo di parlamento, il Consiglio Maggiore, che contava mille membri.
Ottanta di loro formavano una commissione permanente, il Consiglio degli Ottanta.
Esistevano inoltre alcuni consigli minori come i Dieci di Balia. Tutti i membri di questi
consigli ricoprivano la loro carica soltanto durante un breve periodo, variabile da due a
sei mesi. Questo non valeva per l’apparato amministrativo di cui faceva parte Niccolò
Machiavelli. Questi ufficiali disponevano quindi di molta coscienza ed esperienza, che
gli attribuivano un potere abbastanza forte e li rendevano i pilastri della signoria.81
Machiavelli era incaricato della scrittura delle lettere e dei rapporti per il gonfaloniere,
gli altri priori e i Dieci. L’incarico dei Dieci richiedeva una grande attività diplomatica,
considerata la situazione complicata nella penisola italiana. 82
Durante un periodo di quasi quindici anni, Machiavelli andò decine di volte in
missione diplomatica, non soltanto in Italia, ma anche in Francia e in Germania.
Cercando la relazione fra la vita di Machiavelli e le sue opere tratterò soprattutto alcune
delle missioni, che considero importanti per questo scopo.
3.2.3.1. Le prime missioni diplomatiche.
79
Machiavelli, Principe, 46.
Viroli è l’unico degli scrittori consultati, che menziona il trattamento dei ‘problemi relativi alla politica
estera’ il compito della Seconda Cancelleria. (Viroli, 30).
81
van Dooren, Niccolò Machiavelli-De heerser, (Amsterdam: Athenaeum[1976]), 21. Hobohm, 10-17.
82
Maurizio Viroli, Il sorriso di Niccolò. Storia di Machiavelli, ( Roma: Editori Laterza[1998]), 31-32.
80
32
Le prime due missioni forse non erano molto importanti, ma le menziono per via della
relazione con il problema di condotta. Nella prima missione presso il condottiero
Jacopo I.d’Appiano, signore di Piombino, Machiavelli deve fargli accettare il rifiuto
della Signoria di aumentare il suo stipendio. La seconda missione era presso Caterina
Sforza Riario. Firenze voleva che suo figlio, il condottiero Ottaviano Riario, avrebbe
guidato di nuovo le truppe contro Pisa senza aumento di paga. In ambedue i casi
vediamo che Firenze vuole i servizi dei condottieri, ma non è disposta a pagarli;
certamente un aspetto negativo del sistema condottiero così disapprovato da Machiavelli
come abbiamo visto nelle citazioni del capitolo precedente. L’atteggiamento della
contessa Caterina fa una forte impressione a Niccolò e lui descrive il suo coraggio nei
Discorsi (III, 6)83e nell’Arte della guerra parlando della difesa della fortezza di Forlì
contro Cesare Borgia:
Fece, dunque, la mala edificata fortezza e la poca prudenza di chi la difendeva,
vergogna alla magnanima impresa della contessa; la quale aveva avuto animo
ad aspettare un esercito, il quale né il re di Napoli né il duca di Milano aveva
aspettato.84
Entrambi i condottieri nominati prima avevano a che fare con la guerra di Firenze
contro Pisa. Questo mi porta ad uno dei problemi più importanti per i fiorentini nel
quale Machiavelli era coinvolto. Nel 1494 Piero de’ Medici aveva lasciato Pisa a Carlo
VIII, re di Francia, che gli aveva promesso di restituirla dopo la conquista di Napoli, ma
poi la vendette ai pisani. L’unica possibilità per riavere la città portuale, scrive
Machiavelli in un rapporto di giugno 1499, è la via militare. Firenze recluta delle truppe
e nomina il condottiero Paulo Vitello capitano. L’assedio di Pisa fallisce. La causa di
quell’avvenimento risiedeva nell’atteggiamento titubante del condottiero, che evitava
ogni azione decisiva. Vitello viene accusato di essere corrotto dal duca di Milano ed è
decapitato, benché non ci siano chiare prove.85 Machiavelli approvava questa pena a
causa dell’inganno per Firenze. Nel Decennale primo, un resoconto scritto in terzine
della storia fiorentina dal 1494 al 1504, avrebbe scritto nel 1504:
Poco di poi, del ricevuto inganno
vi vendicasti assai, dando la morte
83
Machiavelli, Tutte le opere, 208.
Ibidem, 378.
85
Viroli, 41-44.
84
33
a quel che fu cagion di tanto danno.86
Adesso i fiorentini cercano l’aiuto dei francesi, che sono tornati in Italia per conquistare
Milano e Napoli. Firenze deve pagare un esercito di 5000 svizzeri, che assisteranno
all’assalto contro Pisa sulla guida del francese Hugo de Beaumont. Gli svizzeri invece
prima saccheggiano Bologna e altre città della Romagna, devastano le terre di Pisa, si
ammutinano e imprigionano addirittura temporaneamente Luca degli Albizi, il
commissario fiorentino. Per la conquista di Pisa non fanno quasi niente e l’assedio
fallisce.87
Nel primo libro dei Discorsi si legge: ‘Io voglio dare di questo due altri
esempli, occorsi ne’ tempi nostri, nello stato della nostra città’ e poi Machiavelli scrive
sugli avvenimenti di Pisa:
Nel 1500 […] il re Luigi XII di Francia […] mandò gli sui eserciti verso Pisa,
capitanati da monsignore di Beumonte; benché francese, nondimanco uomo in
cui i Fiorentini assai confidavano.[…] Il quale partito fu da’ Fiorentini al tutto
rifiutato in modo che si segui nello andarvi e partirsene con vergogna.88
Quest’accaduto mi fa anche pensare al brano nel Principe in cui Machiavelli scrive sulle
truppe ausiliari che ‘sono molto più pericolose che le mercenarie.’89 Dedica anche nei
Discorsi un paragrafo (II, 20) al pericolo ‘della milizia ausiliare o mercenaria’.90 Forse
parla anche di questo avvenimento quando afferma nel Principe:
E’ Fiorentini, sendo al tutto disarmati, condussono diecimila Franzesi a Pisa
per espugnarla; per il quale partito portorono più pericolo che in qualunque
tempo de’ travagli loro.91
Quest’umiliazione sarebbe la ragione della prima missione di Machiavelli fuori l’Italia.
Insieme con Francesco della Casa fu mandato in Francia alla corte di Ludovico XII.
Machiavelli rimane circa cinque mesi in Francia e tornerà senza alcun risultato. Ha
invece tenuto idea come vanno le cose politiche al livello dei grandi stati.
86
Machiavelli, Tutte le opere, 944.
Viroli, 43-44.
88
Machiavelli, Tutte le opere, 121.
89
Machiavelli, Principe, 94.
90
Machiavelli, Tutte le opere, 176.
91
Machiavelli, Principe, 92.
87
34
Il giudizio di Machiavelli sull’apparato statale e sul governo della Francia è molto
positivo. Niccolò, che sarebbe tornato ancora in Francia nel 1504 e nel 1510, tratta
questo argomento nel settimo paragrafo del capitolo XIX del Principe:
Intra regni bene ordinati e governati, a’ tempi nostri, è quello di Francia: e in
esso si trovano infinite costituzione buone, donde depende la libertà e sicurtà
del re. Delle quali la prima è il parlamento e la sua autorità;.92
Durante la prima missione Machiavelli capisce che i francesi disprezzano il piccolo
stato di Firenze. Rispettano soltanto armi e denaro. I fiorentini al contrario dei francesi
non hanno un proprio esercito e non vogliono pagare.93
3.2.3.2. La milizia fiorentina.
Il proprio esercito è uno dei più importanti argomenti per Machiavelli nelle sue attività
di funzionario pubblico e poi nei suoi libri. Un esempio per lui è il sistema di Cesare
Borgia, Duca di Valentino, osservato da Machiavelli durante la sua seconda missione
presso questo duca: ‘cosí operò il duca Valentino nel 1501, e comandò un uomo per
casa nelle sue terre, con un grande ordine, e dove si abbino a trovare come.’94 Nel
Principe Machiavelli scriverà dopo:
Uno principe, pertanto, savio, sempre ha fuggito queste arme (cioè truppe
mercenarie e ausiliarie, SS), e voltosi alle proprie; e ha volsuto piuttosto
perdere con li sua che vincere con gli altri, iudicando non vera vittoria quella
che con le armi aliene si acquistassi. Io non dubiterò mai di allegare Cesare
Borgia e le sue azioni. Questo duca intrò in Romagna con le armi ausiliarie,
conducendovi tutte genti francesci; e con quelle prese Imola e Furlì; ma non li
parendo poi tale arme secure, si volse alle mercenarie, iudicando in quelle
manco periculo; e soldò gli Orsini e Vitelli; le quali poi nel maneggiare
trovando dubie e infedeli e periculose, le spense, e volsesi alle proprie. E
puossi facilmente vedere che differezia è infra l’una e l’altra di queste arme,
considerato che differenzia fu dalla reputazione del duca, quando aveva e’
Franzesi soli e quando aveva gli Orsini e Vitelli, a quando rimase con li soldati
suoi e sopra se stesso: e sempre si troverrà accresciuta; né mai fu stimato assai,
se non quando ciascuno vidde che lui era intero possessore delle sue armi.95
92
Machiavelli, Principe, 128.
Viroli, 45.
94
Chabod, 331.
95
Machiavelli, Principe, 94.
93
35
Questa idea di Machiavelli sembra un poco esagerata. Secondo Chabod i contadini
armati di Cesare avevano soltanto funzioni di ‘guastatori’ e non di veri combattenti.96 In
Mallett si può inoltre leggere che Machiavelli aveva torto considerando il gran numero
di soldati propri la forza dell’esercito del duca, perché la maggior parte delle sue truppe
era formata da mercenari.97 L’opinione di Machiavelli si rafforzò nel 1507 durante le
sue missioni in Germania e in Svizzera. Si mostrava impressionato scrivendo nel suo
Rapporto delle cose della Magna che i tedeschi ‘tengono gli uomini loro armati ed
esercitati.’98
Durante una missione presso il papa, nel 1504, Machiavelli parla dell’idea di
una milizia fiorentina con il cardinale Francesco Soderini, fratello del gonfaloniere
Piero Soderini, e nel Decennale primo scrive: ‘ma sarebbe il cammin facil e corto, se
voi il tempio riaprissi a Marte’.99 Il cardinale condivide l’idea di una milizia e scrive in
una lettera del 29 maggio 1504:
La scusa de l’ordinanza non è bona in re tam necessaria e salubri; né si pò
suspettare de vi, que non paretur ad commodum privatum sed publicum: non
restate, ché forsi un dì serà data la gratia se non se dà l’altro.100
A Firenze i pareri sono diversi. Il gonfaloniere Piero Soderini sostiene l’idea del
segretario, ma gli artigiani, mercanti e banchieri non sanno come fare la guerra e non
sono in nessun modo bellicosi. Ci sono anche quelli che sospettano che Soderini voglia
prendere la potenza assoluta con l’aiuto della milizia di Machiavelli. Inoltre ci sono
quelli che vedono la possibilità di una ribellione di contadini armati contro la città.101
Dopo la sconfitta di Firenze da parte dei pisani nel 1505 il gonfaloniere consente il
reclutamento di una milizia rurale come un primo passo nella direzione di una milizia
cittadina e Machiavelli si reca al Mugello e al Casentino per reclutare i fanti.102 Non
voglio anticipare l’argomento del capitolo seguente e quindi menziono qui soltanto che
Machiavelli spiega la scelta del Mugello e del Casentino nel suo scritto La cagione
dell’ordinanza, dove la si truovi et quel si bisogna fare.103
96
Chabod, 332.
Mallettt, Mercenaries, 196.
98
Machiavelli, Tutte le opere, 66.
99
Ibidem, 950.
100
Ibidem, 1062.
101
John, R. Hale, Machiavelli and Renaissance Italy, 1961 (London: The English Universities Press
[1966]), 90.
102
Viroli, 81-82.
103
Machiavelli, Tutte le opere, 37.
97
36
Il 15 febbraio 1506 sfilano quattrocento fanti dal Mugello in piazza della
Signoria, vestiti ‘di un farsetto bianco, un paio di calze alla divisa bianche e rosse, e una
berretta bianca, e le scarpette, e un petto di ferro e le lance e a chi scoppietti’ applauditi
dai cittadini.104 Il 6 dicembre 1506 il Consiglio Maggiore crea un nuovo magistrato per
soprintendere alla riorganizzazione dell’esercito, I Nove ufficiali dell’ordinanza e
milizia fiorentina. Il cancelliere di questo comitato è Machiavelli.105
Durante gli anni 1507 e 1508 Niccolò Machiavelli va ancora in missione presso
il papa e presso l’imperatore tedesco Massimiliano. Intanto Firenze organizza il blocco
di Pisa. Tornato a Firenze nel febbraio 1509 Machiavelli si occupa del rifornimento e
del pagamento delle truppe, che sono divise in varie guarnigioni. Ventimila soldati, 60
per cento dell’esercito, fanno parte della milizia.106 Durante l’assedio della città
vengono anche condotte trattative con un ruolo importante per Machiavelli. Dopo la
sconfitta dell’alleata Venezia da Agnadello i pisani si arrendono il 4 giugno 1509 e
quattro giorni dopo Machiavelli entra nella città con la sua milizia.107 Machiavelli è
lodato da tutti. Filippo da Casavecchia, lui stesso un commissario di guerra, gli scrive:
Mille buon pro’ vi faccia del grandissimo acquisto di cotesta nobile città, che
veramente si può dire ne sia suto cagione la persona vostra et grandissima
parte, non però per questo biasimando nessuno di cotesti nobilissimi comessari
né di prudentia né etiam di solecitudine.108
Ci si deve invece rendere conto che le truppe della milizia non avevano combattuto.
Pisa era stata conquistata da un blocco e non da un assalto. Da un punto di vista
oggettivo ci si può chiedere se ci fosse una ragione per una grande fiducia alle truppe di
non professionisti.109 Mi sorprende nondimeno che nei tre libri esaminati non ho trovato
una singola parola di gioia o almeno di soddisfazione su questa prima azione della
milizia fiorentina.
Voglio adesso considerare la relazione con i libri di Machiavelli per quanto
riguarda la milizia. Nel Principe scrive:
104
Chabod, 205.
Ibidem.
106
Ibidem, 332. Hale, Machiavelli and Renaissance Italy,110.
107
Viroli, 105. Hale, Machiavelli and Renaissance Italy, 112.
108
Machiavelli, Tutte le opere, 1108.
109
Hale, Machiavelli and Renaissance Italy, 113.
105
37
In somma, nelle mercenarie è più pericolosa la ignavia, nelle ausiliarie la virtù.
Uno principe, pertanto, savio, sempre ha fuggito queste arme, e voltosi alle
proprie; e ha volsuto piutosto perdere con li sua che vincere con gli altri,
iudicando non vera vittoria quella che non le arme aliene si acquistassi.110
Nei Discorsi lui parla anche del suo ideale. Il titolo del paragrafo 21 del Libro I recita
così: ’Quanto biasimo meriti quel principe e quella republica che manca d’armi
proprie.’ Il paragrafo comincia con la frase:
Debbono i presenti principi e le moderne republiche, le quali circa le difese ed
offese mancano di soldati propri, vergognarsi di loro medesime; e pensare, con
lo esemplo di Tullo, tale difetto essere, non per mancamento di uomini atti alla
milizia, ma per colpa sua, che non han saputo fare i suoi uomini militari.111
Poi dà anche un esempio del suo tempo, parlando del re d’Inghilterra, e uno della Grecia
antica. Nel Libro II ho letto nel paragrafo 43, che in eserciti mercenari ‘ non è un
affezione verso di quello per chi e’ combattono, che gli faccia diventare suoi
partigiani’[…] ’è necessario, a volere tenere uno stato, o volere mantenere una republica
o un regno, armarsi de’ sudditi suoi.’112 Nell’Arte della guerra Machiavelli parla del
reclutamento e della formazione della milizia, della tattica, dello schieramento in
battaglia, del ruolo della fanteria in confronto alla cavalleria e di quasi tutti gli altri
aspetti militari, ma l’argomento principale è la necessità di una milizia civile invece di
un esercito professionista.113 Nel proemio ho letto:
E se in qualunque altro ordine delle cittadi e de’ regni si usava ogni diligenza
per mantenere gli uomini fedeli, pacifici e pieni del timore d’Iddio, nella
milizia si raddoppiava; perché in quale uomo debbe ricercare la patria
maggiore fede, che in colui che le ha a promettere di morire per lei?114
Mi sembra senz’altro giusto affermare, che ci sia una chiara relazione fra l’esperienza
militare di Machiavelli come segretario fiorentino e questo libro.
3.2.3.3. Le missioni presso Cesare Borgia.
110
Machiavelli, Principe, 94
Machiavelli, Tutte le opere, 105.
112
Ibidem, 126.
113
Machiavelli, Dell’Arte della Guerra, XVI.
114
Machiavelli, Tutte le opere, 301.
111
38
Nel 1502 vediamo Machiavelli in missione presso Cesare Borgia.115 Chi era questo
Borgia e perché era necessario secondo la Signoria mandargli una delegazione? Cesare
Borgia era figlio del cardinale Rodrigo Borgia, in seguito papa Alessandro VI. Fu
nominato duca di Valentinois dal re di Francia e quindi detto ‘il Valentino’. Con il
sostegno di suo padre s’impadroniva fra il novembre 1499 e l’aprile 1501 d’Imola e
Forlì (dopo la forte resistenza di Caterina Sforza Riario, menzionata da Machiavelli
nell’Arte della guerra), Pesaro, Rimini e Faenza e fu nominato dal papa duca di
Romagna. Poi conquista Piombino e il governo di Firenze si sente gravemente
minacciato, soprattutto perché già nella primavera di 1501 il Valentino aveva devastato
una gran parte delle terre dello stato di Firenze durante la sua marcia a Roma.
Dopo la ribellione d’Arezzo contro Firenze con il verosimile aiuto del
Valentino, lui fa sapere che vuole trattare con Firenze. I priori mandano Niccolò
Machiavelli e Francesco Soderini, che incontrano il Valentino ad Urbino, appena
conquistata. Machiavelli è impressionato dal duca e scrive a Firenze:
Questo Signore e molto splendido e magnifico, et nell armi è tanto animoso,
che non è sí gran cosa che non li paia piccola, et per gloria et per acquistare
stato mai si riposa né conosce fatica o periculo: giunge prima in un luogo, che
se ne possa intendere la partita donde si lieva: fassi ben volere a’ suoi soldati;
ha cappati e’ migliori uomini d’Italia; le quali cose lo fanno vittorioso et
formidabile, agguonto con una perpetua fortuna.116
Cesare Borgia conosce la debolezza di Firenze, divisa fra repubblicani antimedicei e
partigiani dei Medici e senza un esercito. Il duca, amico dei Medici fuoriusciti, offre un
pattodiamicizia e richiede in cambio la mutazione del governo di Firenze. Spiega che
senza questo accordo la repubblica di Firenze è perduta, perché non può contare
sull’appoggio della Francia. Firenze rifiuta il patto e Machiavelli e Soderini tornano a
casa.
Dopo tre mesi vediamo Machiavelli di nuovo presso il Valentino, questa volta
solo.117 Incontra il duca in una situazione del tutto diversa da quella della prima
missione. Questa volta il Borgia ha bisogna dell’aiuto di Firenze. Dopo la ribellione
d’Urbino i suoi condottieri hanno congiurato contro di lui. Penso che questo
avvenimento per Machiavelli costituisca una ragione di più per condannare il sistema
115
Chabod, 289-297.
Chabod, 296.
117
Viroli, 57-65.
116
39
condottiero. L’argomentazione più importante del duca a favore di un trattato è che
questi suoi nemici sono anche i nemici di Firenze.
Machiavelli, seguendo il Valentino con il suo esercito per tre mesi da Imola a
Cesena e Siena, è convinto che questo alla fine vincerà e consiglia il governo di
prendere le parti del duca. Il 13 ottobre 1502 scrive alla signoria che ‘si ha ad fare qui
con un principe che si governa da sé.’118 Firenze invece anche questa volta non vuole un
patto con il duca e preferisce aspettare la caduta del suo stato.
Alla fine del 1502 e all’inizio del 1503 il Valentino si libera in modo crudele e
traditore dei suoi condottieri rivoltosi. Poi propone di nuovo un patto e questa volta
seguendo il consiglio di Machiavelli Firenze manda Iacopo Salviati, ambasciatore con la
facoltà di concludere un accordo. Nello stesso anno muore il papa Alessandro VI e il
potere del Valentino è finito.
Trattando l’idea della milizia ho già citato il parere di Machiavelli, scritto nel
capitolo XIII del Principe, sull’uso da parte di Cesare Borgia di soldati propri. Anche
una gran parte del capitolo VII tratta di Cesare Borgia e soprattutto della sua conquista
della Romagna con il sostegno del padre, il papa Alessandro VI. Qui Machiavelli ci
mostra la sua ammirazione verso il duca, quando lo cita ad esempio scrivendo:
Chi, adunque , iudica necessario nel suo principato nuovo assicurarsi de’
nimici, guadagnarsi degli amici, vincere o per forza o per fraude, farsi amare e
temere da’ populi, seguire e reverire da’ soldati, spegnere quelli che ti possono
o debbono offendere, innovare con nuovi modi gli ordini antiqui, essere severo
e grato, magnamino e liberale, spegnere la milizia infedele, creare della nuova,
mantenere le amicizie de’ re e de’ principi in modo che ti abbino o a beneficare
con grazia o offendere con respetto, non può trovare e’ più freschi esempli che
le azioni di costui.119
Nel capitolo XVII del Principe Machiavelli scrive sulla crudeltà e sulla clemenza e
ancora l’esempio da seguire è Cesare Borgia.
Scendendo appresso alle altre prealleggate qualità, dico che ciascuno principe
debbe desiderare di essere tenuto pietoso e non crudele: nondimanco debbe
avvertire di non usare male questa pietà. Era tenuto Cesare Borgia crudele;
nondimanco quella sua crudeltà aveva racconcia la Romagna, unitola, ridottola
in pace e in fede.120
118
Viroli, 61.
Machiavelli, Principe, 58.
120
Ibidem, 112.
119
40
Anche nei Discorsi un brano tratta il rapporto fra Firenze e Cesare Borgia, cioè prima
della missione di Niccolò Machiavelli. Lui scrive sull’atteggiamento di Firenze nel
1501, quando il duca chiede il permesso di marciare attraverso lo stato di Firenze.
Machiavelli rimprovera alla signoria debolezza e indecisione con il risultato negativo di
danni gravi per la popolazione.121
3.2.3.4. La missione presso l’imperatore Massimiliano I.
L’ultimo viaggio diplomatico di Machiavelli che voglio trattare in questo capitolo è
quello in Germania dal 17 dicembre 1507 al 17 giugno 1508.122 Chabod considera
questa missione presso Massimiliano I d’Asburgo ‘assai più importante, per l’influsso
generale sul pensiero machiavelliano.’123 La ragione della missione era che c’erano voci
di una possibile invasione da parte dell’imperatore in Italia per cacciare i francesi dalla
Lombardia e farsi incoronare dal papa. Firenze voleva conoscere se le voci erano vere e
quale era la forza dell’esercito imperiale.
A Firenze c’era una controversia fra Soderini, amico dei francesi, e
l’aristocrazia che voleva un trattato con l’imperatore; quindi nel giugno 1501 fu
mandato Francesco Vettori, uomo degli avversari di Soderini, ma nel dicembre
quest’ultimo mandò con un pretesto anche Machiavelli in Germania. Attraversando la
Svizzera Machiavelli giunge il 11 gennaio 1508 a Bolzano, dove incontra Vettori e dove
inizia una stretta collaborazione e amicizia.
Molto importanti sono i rapporti che Machiavelli ha scritto, subito al ritorno a
Firenze nel giugno 1508: Rapporto delle cose della Magna e Discorso sopra le cose
della Magna e sopra l’imperatore. In questi scritti Machiavelli disegna un ritratto
dell’imperatore, che troviamo in gran parte anche nel Principe:
Io voglio a questo proposito addurre uno esemplo moderno. Pre’ Luca, uomo di
Massimiliano, presente imperadore, parlando di sua maestà disse come e’ non
si consigliava con persona, e non faceva mai di alcuna cosa a suo modo; il che
nasceva dal tenere contrario termine al sopradetto. Perché lo imperadore è
uomo secreto, non comunica li sua disegni con persona, non ne piglia parere;
ma, come nel metterli ad effetto, si cominciono a conoscere e scoprire, li
cominciono ad essere contradetti da coloro che lui ha d’intorno; e quello, come
facile, se ne stoglie. Di qui nasce che quelle cose che fa uno giorno, destrugge
121
Machiavelli, Tutte le opere, 121.
Viroli, 97-102. Chabod, 344-349.
123
Ibidem, 344.
122
41
l’altro; e che non si intenda mai quello si voglia o disegni fare; e che non si può
sopra le sua deliberazioni fondarsi.124
Questa descrizione ci mostra un principe con un carattere volubile.
Un altro difetto conosciamo dal Discorso, dove si legge che ‘è un uomo
gittatore del suo sopra tutti gli altri che a’ nostri tempi o prima sono stati.’125 Nel
Rapporto Machiavelli spiega le conseguenze di questo tratto caratteriale:
Potrebbe pertanto, se fusse un re di Spagna, in poco tempo far tanto
fondamento da sé, che gli uscirebbe ogni cosa; perché con un capitale di
ottocento o novecentomila fiorini, l’imperio non sarà sì poco, ed il paese suo
non farebbe sì poco, che non facesse assai augumento, e avendo comodità di
muover la guerra subita, per aver gente da guerra in ogni luogo, potrebbe,
trovandosi provvisto di denari, muover guerra subito, e trovar colle armi
ognuno sprovvisto.126
Ritroviamo questo parere di Machiavelli nel Principe, dove scrive che ‘Uno principe
[…] debbe [...] non si curare del nome del misero’ e poi: ‘ Ne’ nostri tempi noi non
abbiamo veduto fare gran cose se non a quelli che sono stati tenuti miseri; gli altri
essere spenti.’127 E dà gli esempi del papa Giulio II, Luigi XII di Francia en Fernando il
Catolico di Aragona.128
Machiavelli vede un’altra differenza nel modo di vivere della Germania. Nelle
regioni che ha visitato questa volta, le alpine, ha visto un modo di vivere abbastanza
duro, rozzo e povero. Scrive dei tedeschi:
In soldati non spendono, perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li
giorni delle feste tali uomini in cambio delli giuochi, chi si esercita collo
scoppietto, chi colla pica e chi con una arme e chi con un altra, giocando tra
loro onori et similia, e quali tra loro poi si godono.129
Chabod pensa, ed io condivido il suo parere, che Machiavelli qui abbia un intento
polemico. Conosceva anche regioni ricche e lussuose della Germania. Qui invece vuole
contrapporre l’esempio di una Germania dura alla sontuosa Italia rinascimentale e
124
Machiavelli, Principe, 158,160.
Machiavelli, Tutte le opere, 68.
126
Ibidem, 64-65.
127
Machiavelli, Principe, 108.
128
Ibidem, 108,110.
129
Machiavelli, Tutte le opere, 69.
125
42
certamente ha in mente di fornire un esempio del suo sistema dell’ordinanza
fiorentina.130 Il riferimento nel capitolo VII dell’ Arte della guerra è ovvio:
Credevano i nostri principi italiani, prima ch’egli assaggiassero i colpi delle
oltramontane guerre, che a uno principe bastasse[…]ornarsi di gemme e d’oro,
dormire e mangiare con maggiore splendore che gli altri, tenere assai lascivie
intorno[…].131
Nel Ritratto Machiavelli parla anche della situazione politica in Germania, in cui egli
vede tre forze politiche: l’imperatore, i principi e le libere comunità. Nelle ultime si
trovano i soldi e l’ordine. L’imperatore si trova quindi in una posizione dipendente e per
le comunità la loro libertà è più importante dell’impero. 132
Nel Principe Machiavelli esprime quest’osservazione così: ’Le città di Alamagna sono
liberissime, hanno poco contado, e obediscano allo imperadore quando le vogliono, e
non temono né quello né altro potente che le abbino intorno;’133
Nei Discordi Machiavelli esprime un concetto ideale della Germania e
contrappone questo all’ Italia ‘corrotta’.
Vedesi bene, nella provincia della Magna, questa bontà e questa religione
ancora in quelli popoli essere grande; la quale fa che molte republiche vi
vivono libere, ed in modo osservano le loro leggi che nessuno di fuori né di
dentro ardisce occuparle.134
Tornato a Firenze, nell’estate del 1508, Machiavelli si occupa con l’assedio di Pisa e l’8
giugno 1509 la città si arrende ai fiorentini. Negli anni seguenti la situazione politica per
Firenze diventa sempre più minacciosa. Il papa conclude un patto con la Venezia e la
Spagna, la Lega Santa, per cacciare i francesi e quindi lo stato di Firenze, alleato della
Francia, si trova in una posizione isolata.
3.2.3.5. La perdita di Prato e il rientro dei Medici.
Nel 1512 gli spagnoli marciano dal nord verso Firenze. L’ultimo ostacolo è Prato. In
questa città c’era una forza armata, composta di una milizia di 3000 uomini e 100 altri
130
Chabod, 346-347.
Machiavelli, Tutte le opere, 388.
132
Ibidem, 68-71.
133
Machiavelli, Principe, 74.
134
Machiavelli, Tutte le opere, 137.
131
43
soldati. Il comandante spagnolo, il viceré Raimondo di Cardona, offre un accordo, ma
Soderini rifiuta. Gli Spagnoli aprono una breccia nel muro ed entrano nella città.
I fiorentini si danno immediatamente alla fuga. Gli Spagnoli saccheggiano la città e
ammazzano 4000 soldati e cittadini.135
Ci si può immaginare che molti fiorentini consideravano questa sconfitta della
città anche una sconfitta dell’idea della milizia. Quale era la reazione di Niccolò
Machiavelli? Nei Discorsi parla dettagliatamente della perdita di Prato, ma si cerca
invano la parola ‘milizia’. Machiavelli tratta questo avvenimento completamente come
una cosa politica e scrive:
Non possono, pertanto, i principi, che sono assaltati, fare il maggiore errore,
quando lo assalto è fatto da uomini di gran lunga più potenti di loro, che
recusare ogni accordo, massime quando e’gli è offerto: perché non sarà mai
offerto sì basso, che non vi sia dentro in qualche parte il bene essere di colui
che lo accetta, e vi sarà parte della sua vittoria136.
Rimprovera alla signoria di aver rifiutato un accordo con gli spagnoli. Questo errore è
secondo lui la causa della sconfitta: ‘di che insuperbito il popolo di Firenze, non lo
accettò; donde ne nacque la perdita di Prato, e la rovina di quello stato.’137 Nell’Arte
della guerra Fabrizio Colonna afferma che il modo ideale per mantenere la libertà di
una città è l’armare i cittadini. In questo brano dice anche:
Pertanto questi vostri uomini savi non deono misurare questa inutilità dallo
avere perduto una volta, ma credere che, così come e’ si perde, e’ si possa
vincere e remediare alla cagione della perdita. E quando ei cercassero questo,
trovorebbono che non sarebbe stato per difetto del modo, ma dell’ordine che
non aveva la sua perfezione; e come ho detto, dovevano provvedervi, non con
biasmare l’ordinanza, ma con ricorreggerla;138
Non menziona Prato, ma a buon intenditor poche parole. Mi sembra che Machiavelli qui
difenda l’idea della milizia nonostante la perdita di Prato.
La sconfitta di Prato decide il futuro di Firenze. Con l’aiuto della Lega Santa i
Medici rientrano in Firenze. Il gonfaloniere Piero Soderini fugge a Siena. Il giudizio di
Machiavelli su Soderini si legge nei Discorsi :
135
Viroli, 128-129.
Machiavelli, Tutte le opere, 187.
137
Ibidem, 187.
138
Ibidem, 31.1
136
44
E questo è Piero Soderini, il quale si credeva superare con la pazienza e bontà
sua quello appetito che era ne’ figlioli di Bruto, di ritornare sotto un altro
governo e se ne ingannò[…]; giudicava […] che, a volere gagliardamente
urtare le sue opposizioni, e battere i suoi avversari, gli bisognava pigliare
istraordinaria autorità, e rompere con le leggi la civile equalità: […] Ma lo
ingannò la prima opinione, non conoscendo che la malignità non è doma da
tempo né placata da alcuno dono. Tanto che, per non sapere somigliare Bruto,
e’ perdé, e insieme con la patria sua, lo stato e la reputazione.139
3.2.3.6. Dopo le attività pubbliche.
Il 7 novembre 1512 Machiavelli è esonerato dal suo incarico e nel febbraio 1513 è
addirittura imprigionato e torturato perché sospettato di partecipazione ad una congiura
antimedicea. Dopo la sua liberazione si ritira a Sant’Andrea in Percussina presso San
Casciano nella tenuta della sua famiglia.140
Là scrive nello stesso anno Il Principe e comincia I Discorsi, che finisce entro
il 1519.141 Poi scrive i sette libri Dell’arte della guerra, che sono pubblicati nell’augusto
1521 a Firenze da Filippo di Giunta.142 Quest’opera è accolta molto positivamente. Il
cardinale Giovanni Salviati scrive a Machiavelli in una lettera del 6 settembre 1521:
[…] el libro vostro, il quale, quanto più l’ho considerato, tanto più mi piace,
parendomi che al perfettisimo modo di guerreggiare antico habbiate agiunto
tutto quello che è di buono nel guerreggiar moderno, e fatto uno composizione
di esercito invincibile.[…] Ringraziovi adunque molto che, per la comune
utilità degl’Italiani, habbiate mandato fuora questo libro, il quale, per i tempi
che verranno, sarà almanco, se non operà altro, buon testimonio che in Italia
non è mancato a’ tempi nostri chi habbia conosciuto quale è il vero modo di
militare.143
L’Arte della guerra sarebbe stato lo spunto per l’incarico da parte di Giulio de’ Medici
di scrivere la storia di Firenze e nel 1525 Machiavelli presentò gli otto primi libri delle
Istorie fiorentine a papa Clemente VII.144
139
Ibidem, 198-199.
Chabod, 210.
141
Ibidem, 216.
142
Viroli, 213.
143
Machiavelli, Tutte le opere, 1207.
144
Chabod, 225-226.
140
45
In questo periodo Machiavelli si occupava d’altronde anche di teatro. Scrisse le
commedie Mandragola e Clizia.145 Negli anni venti Machiavelli assolveva ancora
qualche missione per i Medici e per il papa, ma non fu mai reintegrato nelle sue
funzioni. Nel maggio 1527, dopo il sacco di Roma da parte delle truppe dell’imperatore
Carlo V, scoppiava a Firenze una ribellione contro i Medici, che erano cacciati. Questo
avvenimento fu la fine per le attività politiche di Niccolò Machiavelli.146 Il 10 giugno
1527 Machiavelli si ammalava e il 21 dello stesso mese morì. Fu sepolto in Santa Croce
a Firenze.147
3.3. Conclusione.
C’è una chiara relazione fra la vita di Niccolò Machiavelli e il contenuto dei tre libri che
ho esaminato. Il più delle volte Machiavelli non menziona soltanto i fatti, ma ci dà
anche il suo parere sulla causa e sull’effetto, mentre collega frequentemente l’attualità
all’antichità classica. In alcuni casi utilizza gli avvenimenti del suo tempo per esprimere
idee, che secondo lui hanno una validità generale, come nel caso di Cesare Borgia o
della sconfitta di Prato. Nel campo militare è chiaro che Machiavelli ha fatto esperienze
negative con condottieri e con truppe ausiliari, mentre la sua milizia fiorentina dava un
contributo importante all’assedio di Pisa. Egli biasima quindi le truppe mercenarie e
esprime più volte la sua preferenza per la milizia civile. Usa la sua conoscenza
dell’ordinamento statale e del sistema militare all’estero per dare un buon esempio a
Firenze.
145
Ibidem, 224-225.
Ibidem, 229-230.
147
Viroli, 254.
146
46
4. Verso una teoria della milizia: Dell’arte della guerra.
4.1. Introduzione.
Finora abbiamo visto che Machiavelli detestava gli eserciti mercenari e quelli ausiliari.
Mostrava una chiara preferenza per armi proprie, cioè per una milizia. Quali erano però
le sue idee di una milizia? Per trovare la risposta a questa domanda ho scelto di
esaminare in primo luogo L’arte della guerra. Fra i tre libri già scelti per il capitolo
precedente questo è l’unico in cui Machiavelli scrive, infatti, solo su affari militari. Lo
scrittore spiega le sue idee su tutti gli aspetti dell’opera militare.
Mi sembra importante che lo abbia scritto nel 1519-20. Si può quindi
presumere che in questo libro troviamo il suo parere definitivo e ben ragionato. Le sue
esperienze con la milizia fiorentina nel 1509 a Pisa e nel 1512 a Prato non gli avevano
dato motivo per desistere dall’idea della milizia. Queste esperienze invece erano, a
quanto pare, per lui, lo spunto per elaborare un manuale sull’istituzione, il
mantenimento e l’utilizzo della milizia. Paragonerò le idee di Machiavelli nell’Arte
della guerra in senso generale con i suoi scritti sulla milizia nel periodo durante il quale
era segretario della cancelleria, soprattutto La cagione dell’ordinanza, dove la si trovi,
et quel che bisogna fare Post Res Perditas e Provvisioni della repubblica di Firenze per
istituire il magistrato de’ nove ufficiali dell’Ordinanza e Milizia fiorentina, dettate da
Niccolò Machiavelli, nei quali ha fornito anche i dettagli per l’applicazione pratica nella
situazione fiorentina.148 A paragone degli altri scritti di Machiavelli colpisce il fatto che
l’argomento del trattato Dell’arte della guerra non sia la storia, neanche la situazione
attuale; ci dà invece consigli per il futuro. L’importanza del libro si può forse dedurre
anche dal fatto che sia l’unica opera pubblicata durante la vita dello scrittore.
Prima di trattare il contenuto del libro per quanto riguarda la milizia
machiavelliana vorrei parlare della forma letteraria che lo scrittore ha adottato.
Machiavelli ha usato il dialogo come modo di esprimere le sue idee. Qui ci mostra il suo
detto atteggiamento umanistico, perché questo modo di scrivere è adottato da Platone
nei suoi dialoghi filosofici. Il dialogo è un genere letterario che si può applicare per la
148
Machiavelli, Tutte le opere, 37-50.
47
discussione di vari problemi. Un argomento, spesso teorico, è trattato tramite dialoghi in
prosa fra diverse persone, che si trovano spesso in un luogo particolare.149
Nel caso dell’Arte della guerra, i giardini con il nome ‘Orti Orinerai’ formano
l’ambiente in cui si svolge il dialogo. Questi giardini sono stati costruiti da Bernardo
Rucellai, aristocratico fiorentino legato ai Medici non soltanto tramite il suo matrimonio
con Nannina de’ Medici ma soprattutto per via del suo sostegno della repubblica
oligarchica. In origine i giardini formavano un luogo d’incontro per un gruppo
d’intellettuali e politici, che erano interessati alla letteratura antica. Nel 1494, dopo la
caduta della famiglia de’ Medici, Bernardo fu esiliato. Dopo la sua morte, nel 1514, il
nipote Cosimo fungeva da ospite degli ‘orti’.150 Adesso il circolo era formato soprattutto
da giovani scrittori e filosofi, membri dell’alta borghesia. Niccolò Machiavelli
frequentava dal 1517 gli ‘Orti Oricellari’ e discuteva con gli altri di affari politici e
militari, naturalmente sulla base della sua ammirazione degli antichi e delle sue recenti
esperienze. Ma l’atmosfera era cambiata e una gran parte del gruppo appoggiava l’idea
di una repubblica senza i Medici.151 Si potrebbe affermare che in questi orti sono nati I
Discorsi, la perorazione di Machiavelli per la repubblica come forma ideale di governo.
Machiavelli sceglie questi giardini come teatro del dialogo sull’argomento militare.
Nell’introduzione del primo dei sette libri leggiamo che il famoso condottiero
Fabrizio Colonna, tornando dalla Lombardia, passa per Firenze ed è invitato nei
giardini:
Donde che a Cosimo parve convitarlo ne’ suoi orti, non tanto per usare la sua
liberalità, quanto per avere cagione di parlar seco lungamente, e da quello
intendere ed imparare varie cose, secondo che da un tale uomo si può sperare,
parendogli avere occasione di spendere un giorno in ragionare di quelle materie
che allo animo suo sodisfacevano. Venne adunque Fabrizio, secondo che
quello volle, e da Cosimo insieme con alcuni altri suoi fidati amici fu ricevuto;
tra’ quali furono Zanobi Buondelmonti, Batusta della Palla e Luigi Alamanni,
giovani tutti amati da lui e de’ medesimi studi ardentissimi, le buone qualità
de’quali, perché ogni giorno ed ad ogni ora per se medesime si lodano,
ommettereno.152
149
Ferroni, LIII.
Niccolò Machiavelli, Art of war.Translated and edited by Christopher Lynch (Chicago and London:
The University of Chicago Press, [2003]), 8, note 5.
151
Viroli, 216-217.
152
Machiavelli, Tutte le opere, 303. I Discorsi sono dedicati a Zanobi Buondelmonti e Cosimo Rucellai,
ibidem 75.
150
48
Machiavelli è presente, ma non fa parte della discussione. Il protagonista è Fabrizio
Colonna. La scelta di questo Fabrizio sembra un po’ strana, perché è nota l’avversione
di Machiavelli per i condottieri. Inoltre c’è una gran discrepanza fra le attività di
Fabrizio come condottiero e il suo ruolo nell’Arte della guerra, in cui - come vedremo –
si mostra un difensore della milizia. Quest’aspetto mi sembra abbastanza interessante da
prestargli attenzione.
Diversi storici hanno tentato di spiegare la scelta di Fabrizio. Mallett pensa,
secondo quanto scrive Colish nel suo articolo in Renaissance Quarterly, che
Machiavelli per qualche motivo volesse fare una caricatura di Fabrizio.153 Questa
affermazione di Colish non è giusta. Mallett parla invece di un esempio della dicotomia
nell’atteggiamento degli italiani rispetto ai soldati.154 Nello stesso articolo Colish scrive
che Fredérique Verrier è dell’opinione che lo scrittore volesse accentuare il contrasto fra
teoria e pratica e che secondo Bernard Guillemain Machiavelli considerava Fabrizio il
capitano di un futuro esercito italiano. Carlo Dionisotti, sempre secondo Colish, cerca il
motivo in una direzione del tutto diversa: egli considera la scelta di Fabrizio un gesto
anti-Medici da parte di Machiavelli. 155 Colish sostiene quest’idea analizzando le
relazioni fra i Colonna, gli Orsini e i Medici. Conclude questo ragionamento con la
constatazione che Machiavelli ha criticato i Medici in scritti prima e dopo L’arte della
guerra, cioè I Discorsi e le Storie fiorentine. Tralascia però di menzionare che Il
Principe fu dedicato a Lorenzo dei Medici, e anche il fatto che dopo la pubblicazione
dell’Arte della guerra sono stati Giovanni de’ Medici (Papa Leone X) e il cardinale
Giulio de’ Medici che gli hanno commissionato le Storie fiorentine.156
Nell’ultima parte del settimo libro dell’Arte della guerra Fabrizio afferma:
Se vi ricorda bene, Cosimo, voi mi dicesti che, essendo io dall’uno canto
esaltatore della antichità e biasimatore di quegli che nelle cose gravi non lo
imitano, e, dall’altro, non la avendo io nelle cose della guerra, dove io mi sono
affaticato, imitata, non ne potevi ritrovare la cagione; a che io riposi come gli
uomini che vogliono fare una cosa, conviene prima si preparino a saperla fare,
per potere poi operarla quando l’occasione lo permetta. Se io saprei ridurre la
melizia ne’modi antichi o no, io ne voglio per giudici voi che mi avete sentito
sopra questa materia lungamente disputare; donde voi avete potuto conoscere
153
Marcia L. Colish, ‘Machiavelli’s Art of war: A reconsideration’ Renaissance Quarterly 51 (1998):
1153-54
154
Mallett, Mercinaries, 257-258. Capitolo 2, 22.
155
Colish, 1153-1154.
156
Viroli, 217.
49
quanto tempo io abbia consumato in questi pensieri, e ancora credo possiate
immaginare quanto disiderio sia in me di mandargli ad effetto.157
Possiamo considerare questa presa di posizione la ragione della concessione del ruolo di
protagonista, che difende la milizia, ad un condottiero come Fabrizio Colonna. Egli,
condottiero ed esperto della guerra, sostiene le idee di Machiavelli e così aiuta a
convincere i lettori. Questa è la conclusione di Colish e a mio parere la più verosimile.
4.2. La milizia nei libri Dell’arte della guerra.
4.2.1. I pensieri fondamentali.
Alla fine dell’Arte della guerra troviamo la risposta alla domanda sul perché
Machiavelli ha scritto questo trattato: egli voleva fornire un modo di prevenire nel
futuro un disastro come l’invasione di Carlo VIII nel 1494.
Credevano i nostri principi italiani, prima ch’egli assaggiassero i colpi delle
oltramontane guerre, che uno principe bastasse sapere negli srittoi pensare una
acuta risposta, scrivere una bella lettera, mostrare ne’ detti e nelle parole
arguzia e prontezza, sapere tessere una fraude, ornarsi di gemme e d’oro,
dormire e mangiare con maggiore splendore che gli altri, tenere assai lascivie
intorno, governarsi co’ sudditi avaramente e superbamente, marcirsi nello azio,
dare i gradi della milizia per grazia, disprezzare se alcuno avesse loro dimostro
alcuna lodevole via, volere che le parole loro fussero responsi di oraculi; né si
accorgevano i meschini che si preparavano ad essere preda di qualunque gli
assaltava. Di qui nacquero poi nel mille quattrocento novantaquattro i grandi
spaventi, le sùbite fughe e le miracolose perdite; e così tre potentissimi stati che
erano in Italia, sono stati più volte saccheggiati e guasti. Ma quello che è
peggio, è che quegli ci restano stanno nel medesimo errore e vivono nel
medesimo disordine, en non considerano che quegli che anticamente volevano
tenere lo stato, facevano e facevano fare tutte quelle cose che da me si sono
ragionate, e che il loro studio era preparare il corpo a’ disagi e lo animo a non
temere pericoli.[…] E io vi affermo che qualunque di quelli che tengono oggi
stati in Italia prima entrerrà per questa via, fia, prima che alcuno altro, signore
di questa provincia; [...] Colui adunque che dispregia questi pensieri, s’egli è
principe, dispregia il principato suo; s’egli è cittadino, la sua città.158
Quali erano ‘le cose ragionate’ e ‘questi pensieri’? Formare una milizia e usarla nel
modo descritto in questo trattato. Nel proemio e in una parte del primo libro troviamo
157
158
Machiavelli, Tutte le opere, 387.
Ibidem, 388-389.
50
analizzata razionalmente la necessità di formare una milizia. Poi Machiavelli descrive
nel libro I e II il reclutamento, l’armamento, l’organizzazione e l’addestramento. Nei
libri dal III al VII incluso troviamo fra l’altro argomenti come la tattica,
l’accampamento e i fortificazioni. Nel contesto di questa tesi tratterò la scelta della
milizia come esercito ideale e gli altri argomenti dei libri I e II.
Nel proemio Machiavelli pone un pensiero che si può considerare il nucleo
dell’idea della milizia civile.159 Afferma che in fondo non c’è gran differenza fra la vita
militare e la vita civile. L’idea dell’inconvenienza considera un errore del suo tempo,
con la conseguenza che si vedono grandi differenze fra queste due nel comportamento
generale e nel modo di vestirsi o quello di parlare. Per un giudizio corretto si deve
guardare l’antichità e ‘[…] se si considerassono gli antichi ordini, non si troverebbono
cose più unite, più conformi e che, di necessità, tanto l’uno amasse l’altra, quanto
queste;’ 160 I soldati devono essere stimati e lodati per causa delle virtù militari.
Machiavelli giudica che è possibile riportare nel suo tempo questo modo di vivere e di
pensare e soprattutto ‘qualche forma della passata virtù’.161
Fabrizio elabora l’idea d’introdurre di nuovo alcune cose nella società italiana.
Onorare e premiare le virtù, non dispregiare la povertà, stimare i modi e gli
ordini della disciplina militare, costringere i cittadini ad amare l’uno l’altro, a
vivere sanza sètte, a stimare meno il privato che il publico, e altre simili cose
che facilmente si potrebbono con questi tempi accompagnare.162
Fabrizio spiega l’idea fondamentale per una milizia. Non si rivolta soltanto, come ci si
aspetta, contro i mercenari, ma contro qualsiasi forma di professionismo militare. Per lui
non è possibile che la professione dell’arma sia un mestiere e dice:
Perché buono non sarà mai giudicato colui che faccia uno esercizio che, a
volere d’ogni tempo trarne utilità, gli convegna essere rapace, fraudolento,
violento e avere molte qualitadi le quali di necessità lo facciono non buono.163
Continua dicendo che in una repubblica o in un regno non si può mai consentire ai
sudditi di fare il militare come mestiere. Fare la guerra deve essere un’attività
temporanea dopo la quale ognuno deve tornare a casa. Se no, gli uomini si riuniscono
159
Ibidem, 301-302.
Ibidem, 301.
161
Ibidem, 301-302.
162
Ibidem, 304.
163
Ibidem, 305.
160
51
come nelle compagnie di ventura, e conosciamo le conseguenze dalla storia. Fabrizio
menziona l’esempio di Francesco Sforza e quello dei cartaginesi, che Machiavelli ha
ambedue anche descritto nel Principe e quanto ai cartaginesi inoltre nei Discorsi.164
Fabrizio dà esempi del tempo della repubblica romana e parla di ‘questi
uomini buoni, e che nono usano la guerra per loro arte, non vogliono trarre di quella se
non fatica, pericoli e gloria, quando e’ sono a sufficienza gloriosi disiderano tornarsi a
casa e vivere dell’arte loro.’165 Egli presenta addirittura se stesso come esempio di un
tale uomo in un brano non convincente.
E perché voi allegasti me, io voglio esemplificare sopra di me; e dico non aver
mai usata la guerra per arte, perché l’arte mia è governare i miei sudditi e
defendergli, e, per potergli defendere, amare la pace e saper fare la guerra. Ed il
mio re non tanto mi premia e stima per interdermi io della guerra, quanto per
sapere io ancora consigliarlo nella pace.166
Questa presa di posizione contro ogni forma di professionalismo non l’ho mai letta
prima negli scritti di Machiavelli. Cesare Borgia, così lodato da lui, aveva un esercito
formato da una parte di professionisti e da una di milizia. L’esercito fiorentino ci mostra
una mescolanza di professionisti e milizia, sia al riuscito assedio di Pisa sia alla
sconfitta di Prato.Questa disapprovazione del professionalismo militare non ha proprio
niente a che fare con l’antimilitarismo. Nei suoi scritti Machiavelli sottolinea molte
volte l’importanza della guerra. Vorrei dare qui soltanto un singolo esempio. Nel
Principe afferma:
Debbe, adunque, uno principe non avere altro obietto né altro pensiero, né
prendere cosa alcuna per sua arte, fuora della guerra e ordini e disciplina di
essa; perché quella è sola arte che si espetta a chi comanda;167
Machiavelli stima le virtù militari. Egli mira ad un cittadino ideale che accumuli in sé le
virtù militari e quelle civili. La conseguenza logica è armare i sudditi dello stato in
qualsiasi modo.168 Troviamo questa convinzione nella risposta di Fabrizio, quando
164
Ibidem, 239-240.
Ibidem, 306-307.
166
Ibidem, 309.
167
Machiavelli, Principe, 98.
168
Mallett, Michael, ‘The theory and practice of warfare in Machiavelli’s republic’ in Machiavelli and
republicanism, Gisela Bock, Quentin Skinner, Maurizio Viroli, eds.(Cambridge: Cambridge U.P., 1990):
177.
165
52
Cosimo gli chiede come avrebbe voluto tenere ‘le genti d’arme’: ‘Per via di
ordinanza’.169 Più tardi nel dialogo Cosimo dice:
Ma io ho fatto troppa grande digressione, e forse sono uscito del proposito mio;
pure lo ho fatto per rispondervi e dimostrarvi che non si può fare fondamento
in altre armi che nelle proprie, e l’armi proprie non si possono ordinare
altrimenti che per via d’una ordinanza, né per altre vie introdurre forme di
eserciti in alcuno luogo, né per altro modo ordinare una disciplina militare.170
Chabod vede nel ragionamento di Machiavelli un grande errore, poiché crede di poter
creare un forte organismo militare a Firenze soltanto con una riorganizzazione militare.
Secondo Chabod la base di quest’idea risiede nella supposizione che il mercenarismo
militare fu l’unica causa della rovina d’Italia, mentre ci furono anche cause politiche.171
Anche a mio parere, infatti, ci deve essere una relazione logica fra la struttura politica e
le forze armate di uno stato. Machiavelli stesso lo dice, quando scrive nel Principe:
E’principali fondamenti che abbino tutti li stati, cosí nuovi come vecchi o
misti, sono le buone legge e le buone arme: e, perché non può essere buone
legge dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene sieno
buone legge, io lascero indietro el ragionare delle legge e parlerò delle arme.172
Nell’Arte della guerra Machiavelli scrive solo di un cambiamento militare. Parla pure
delle virtù dei cittadini, ma descrive soltanto un uomo ideale e non ci fornisce un
concetto pratico.
4.2.2. Il reclutamento.
Il primo aspetto della milizia che vorrei trattare è il reclutamento. Dove cerchiamo gli
uomini, quale numero di soldati vogliamo e come facciamo una scelta? Una domanda a
cui rispondere per Fabrizio Colonna è: ‘ […] donde giudicate voi sia meglio trarli, o
della città o del contado?’173 Fabrizio si riferisce al Vegetius e afferma che è meglio
prendere gli uomini dal contado, perché sono ‘avvezzi a’ disagi, nutriti nelle fatiche,
consueti stare al sole, fuggire l’ombra, sapere adoperare il ferro, cavare una fossa,
169
Machiavelli, Tutte le opere, 308.
Ibidem, 312.
171
Chabod, 337.
172
Machiavelli. Principe, 84.
173
Machiavelli, Tutte le opere, 310.
170
53
portare un peso,’ e poi aggiunge ‘ ed essere sanza astuzia e sanza malizia’.174 Finisce la
risposta dicendo che i fanti devono essere scelti nel contado e i cavalieri nella città.
Dopo nel dialogo dice che
[…] i contadini che sono usi a lavorare la terra, sono più utili che niuno;
perché di tutte l’arti questa negli eserciti si adopera più che l’altre. Dopo questa
sono i fabbri, legnaiuoli, maniscalchi, scarpellini; de’ quali è utile avere assai,
perché torna bene la loro arte in molte cose, sendo cosa molta buona avere uno
soldato del quale tu traga doppio servigio.175
In La cagione dell’ordinanza, dove la si truovi, et quel che bisogni fare si leggono altre
ragioni. In questo testo, scritto nel 1506, Machiavelli non parla delle capacità dei
contadini e certamente non dell’assenza di ‘astuzia e malizia’.
Leggiamo che non è sensato cominciare contemporaneamente nella città, nel contado e
nel distretto, perché la milizia è una cosa nuova e complicata. Inoltre ci sono diverse
parti nella milizia: quella che obbedisce e va a piedi e poi quella che comanda e va a
cavallo. La popolazione della città è compostadiuomini che comandano e vanno a
cavallo. Comandare è un aspetto difficile della guerra. È più facile obbedire ed andare a
piedi. Si deve cominciare quindi con la formazione di una milizia di fanti. Gli uomini
per la fanteria, dice Machiavelli, si possono trovare nel contado.176 Considero
accettabile che lui giudichi più facile guerreggiare come fante che come cavaliere.
Machiavelli invece non spiega quando e come i fiorentini dovrebbero imparare a
comandare la milizia.177
Tutto il ragionamento in questo scritto non convince. Machiavelli lusinga i fiorentini
scrivendo che sono loro a comandare nel futuro la milizia. La vera ragione per reclutare
la milizia nel contado si trova nell’Arte della guerra, quando Fabrizio afferma che i
contadini sono ‘sanza astuzia e sanza malizia’. A mio parere Machiavelli è
dell’opinione che la divisione politica nella città sia troppo grande per cominciare lì
l’esperimento della milizia e non gli pare saggio scrivere la verità e offendere in questo
modo i suoi concittadini. Così metterebbe in pericolo il suo progetto.
Anche nel distretto Machiavelli non vuole reclutare la fanteria. In questo caso
afferma chiaro la sua opinione in La cagione dell’ordinanza:
174
Ibidem, 310. Machiavelli, Arte della guerra, Pieri, XXI.
Machiavelli, Tutte le opere, 313.
176
Ibidem, 38.
177
Hobohm, 70.
175
54
Né parse piglare el distrecto, anchora che in quello si possa introdurre militia
ad piè, perché non sarebbe suto securo partito per la città vostra, maxime in
quelli luoghi del distrecto dove sieno nidi grossi, dove una provincia possa fare
testa, perchè li humori di Toschana sono tali che, come uno conoscessi potere
vivere sopra di sé, non vorrebbe più padrone, trovandosi maxime lui armato, et
il padrone disarmato.178
Quando esaminiamo la scelta o leva si presenta una questione di principio, cioè la
volontarietà. Descrivendo la milizia romana Fabrizio ha detto che ‘tra’primi privilegi
che dava il popolo romano a un suo cittadino, era che non fusse constretto fuora di sua
volontà a militare.’179 Nel caso dello stato fiorentino capisce che questa volontarietà non
è una soluzione fattibile. Ammette che una milizia sarà sempre formata da volontari e
non volontari. Quando si scelgono solo i volontari, esiste il pericolo che siano pochi e
certamente non i migliori, ma una leva di soldati obbligati avrà anche effetti cattivi.
Però si debbe prendere una via di mezzo dove non sia né tutta forza né tutta
volontà ma sieno tirati da uno rispetto ch’egli abbiano al principe, dove essi
temano più lo sdegno di quello, che la presente pena; e sempre occorrerà
ch’ella fia una forza in modo mescolata con la volontà.180
Anche nello scritto Sul modo di ricostituire l’ordinanza, indirizzato al magistrato dei
Nove Ufficiali dell’Ordinanza, Machiavelli parla di questo problema:
[…] et prima, quanto al venire volentieri, se voi volessi tòrre chi al tucto non
può o non vuole venire, che la sarebbe una pazia; et così, se voi volessi scrivere
solamente quegli ch vogliono venire,voi non adgiungeresti ad 2 mila in tucto,
el paese vostro.181
Machiavelli ci dà la stessa soluzione come nell’Arte della guerra, parlando di ‘quella
autorità et reverentia che ha ad havere el principe ne’ subditi sua;’182
Questa risposta mi sembra un poco evasiva e astratta. Pieri giudica così:
Il principio del Machiavelli poteva trovare una discreta applicazione in uno
stato politicamente saldo, ove fosse concordia degli animi e sincero e
178
Machiavelli, Tutte le opere, 38.
Ibidem, 307.
180
Ibidem, 311.
181
Ibidem, 52.
182
Ibidem, 52.
179
55
profondamente sentito il culto delle virtù civili: questo ambiente non
esisteva.183
Per quanto riguarda l’età, Fabrizio afferma che i romani sceglievano gli uomini in una
fascia d’età fra diciotto e trentacinque anni. Poi, per prevenire il pericolo che una parte
dei soldati rimanesse a lungo diventando così un reparto di professionisti, mantenevano
un sistema di rotazione.184 Per la milizia fiorentina, Machiavelli fissa un’età di
reclutamento fra diciassette e quaranta anni. La rotazione si trova nel fatto che per
completare un contingente nel caso di congedo si scelgono i giovani dell’età di
diciassette anni.185 Nella Provvisione prima per le fanterie, del 6 dicembre 1506 , prima
parte dei Provvisioni della repubblica di Firenze, Machiavelli parla dell’età di quindici
anni e di cinquanta anni, perfino con la possibilità di sessanta anni in caso di necessità.
Nel suo libro Machiavelli non fornisce una ragione per il cambiamento dell’età, ma
potrebbe esserci una relazione con il numero delle reclute. Nell’Arte della guerra
Machiavelli si mostra in favore di una grande milizia.
4.2.3. L’organizzazione.
Per la fanteria della milizia, Fabrizio sceglie un’organizzazione paragonabile a quella
dei romani, ma con altri nomi. ‘Legione’ e ‘coorto’ diventano ‘battaglione’ e battaglia’.
Un battaglione conta dieci battaglie. Una battaglia della milizia conta
quattrocentocinquanta uomini, in parte fanteria pesante e in parte fanteria leggera. La
battaglia viene guidata da un conestabile, quattro centurioni e quaranta ‘capidieci’.186
Per comunicare e comandare, ogni conestabile ha la bandiera e la musica.187 questa
organizzazione è paragonabile con quella che troviamo nella Provvisione prima.188
Parlando dei comandanti Fabrizio menziona una misura per la limitazione della
loro autorità.
A volere che i capi non facciano disordine, è necessario avere cura che non
acquistano sopra di loro troppa autorità. E avete a considerare che questa
autorità si acquista o per natura, o per accidente. E quanto alla natura, conviene
183
Machiavelli, Dell’arte della guerra, a cura di Piero Pieri, XXI.
Machiavelli, Tutte le opere, 307.
185
Ibidem, 310.
186
Nella terminologia moderna si parla di una brigata composta di dieci battaglioni.
187
Ibidem, 324-325.
188
Ibidem, 44.
184
56
provvedere che chi è nato in un luogo, non sia preposto agli uomini descritti in
quello, ma sia fatto capo di quelli luoghi dove non abbia alcuna naturale
convenienza. Quanto alla accidente, si debbe ordinare la cosa in modo, che
ciascuno anno i capi si permutino da governo a governo; perché la continua
autorità sopra i medesimi uomini genera tra loro tanta unione, che facilmente si
può convertire in preiudizio del principe.189
In questo modo indebolisce dall’inizio la milizia, perché proprio un tale esercito trae la
sua forza e la sua disciplina dall’autorità personale del comandante.
Anche qui Fabrizio si basa sugli antichi, ma mi sembra chiaro che Machiavelli avesse in
mente la situazione fiorentina e certamente non a caso leggiamo in La provvisione
prima per le fanterie:
Non si possa eleggere per conestabile, o per governatore, di dette bandiere
alcuno che sia natìo di quel vicariato, capitanato o potesteria, donde fussino gli
uomini che gli avessino ad essere dati in governo, o che in detto luogo o luoghi
avesse casa o possessione. Debbino dettti ufficiali ogni anno in calendi
novembre, pigliando ancora venti dì innanzi e venti dì dipoi, permutare tutti i
conestabili, facendo tutti mutare governo di bandiere e provincia, come a loro
parrà e piacerà.190
Per quanto riguarda la cavalleria, è chiaro che Machiavelli non la considera molto
importante. Per lui ‘il nervo e la importanza dello esercito è la fanteria’.191 Sul numero
di cavalli segue l’esempio dei romani e afferma che non sarebbe stato utile inquadrare
più di trecento cavalli in ogni ‘battaglione’ e poi scrive che la cavalleria leggera e quella
grave avrebbero dovute essere divise in parti uguali, ognuna con la propria bandiera e
musica. Nella Provvisione seconda per le milizie a cavallo del 30 di marzo 1512 il tono
è un poco più positivo. Machiavelli parla della necessità di accrescere e fortificare
l’ordinanza e scrive: ‘Ma non si potendo fare tal cosa se non con aggiungnerli numero
di cavalli,[…]’ Anche il numero dei cavalli è più grande; ‘[...] cinquecento cavalli
almeno,[…] 192
189
Ibidem, 316.
Ibidem, 43.
191
Ibidem, 333.
192
Ibidem, 47.
190
57
4.2.4. L’armamento.
Nel contesto di questa tesi non voglio dilungarmi troppo sugli aspetti tattici come
l’armamento, la formazione di combattimento e l’uso del terreno. Per via del rapporto
comune degli elementi diversi, tratterò brevemente l’armamento della milizia. Fabrizio
si fonda anche in questo caso sugli antichi: ‘Io credo che sia necessario, trovati che sono
gli uomini, armargli; volendo fare questo, credo sia cosa necessaria esaminare che arme
usavano gli antichi, e di quelle eleggere le migliori.’193 Descrive le armi dei fanti e
quelle dei cavalieri nel al tempo dei romani e finisce con la tesi: ‘Con queste armi, così
di piede come di cavallo, occuparono i mei Romani tutto il mondo; ed è credibile, per il
frutto che se ne vide, che fussono i meglio armati eserciti che fusero mai.’194
Descrive anche l’armamento della fanteria del suo tempo nel modo tedesco.
Per lui gli svizzeri sono anche tedeschi e descrive l’armamentodiorigine svizzero. La
loro arma più importante era la lancia di una lunghezza di nove braccia insieme con una
spada. C’era un complemento di scoppiettieri, che con le loro armi da fuoco
sostituivano i balestrieri con gli archi.
Mancandodiarmatura, la fanteria tedesca era, al contrario di quella romana,
meno adatta per un combattimento corpo a corpo. Fabrizio non risolve questo problema
con un’armatura pesante per la fanteria, ma preferisce una combinazione
dell’armamento:
Prenderei delle armi romane e delle tedesche, e vorrei che la metà fussero
armati come i Romani e l’altra metà come i Tedeschi. Perché, se in seimilla
fanti, come io vi dirò poco di poi, io avessi tremila fanti con gli scudi alla
romana e dumila picche e mille scoppiettieri alla tedesca, mi basterebbono;195
Questi elementi dell’armamento vediamo anche nella Provvisione prima per le fanterie,
ma ancora con una sopravvalutazione delle lance.196
Parlando dell’armamento della cavalleria, Fabrizio mostra poca stima per le
armi da fuoco.
193
Ibidem, 317.
Ibidem, 318.
195
Ibidem, 320.
196
Ibidem, 44.
194
58
Ma i cavagli leggeri vorrei che fussero tutti balestrieri con qualche
scoppiettiere tra loro; i quali, benché negli altri maneggi di guerra sieno poco
utili, sono a questo utilissimi: di sbigottire i paesani e levaragli di sopra uno
passo che fusse guardato da loro, perché più paura farà loro un scoppetiere che
venti altri armati.197
4.2.5. L’addestramento.
Anche per l’addestramento della fanteria Fabrizio consiglia prima di tutto di studiare le
esercitazioni dei romani. Distingue tre aspetti essenziali.
l’uno, per indurare il corpo e farlo atto a’ disagi e più veloce e più destro;
l’altro, per imparare ad operare l’armi; il terzo, per imparare ad osservare gli
ordini negli eserciti, così nel camminare, come nel combattere e nello
alloggiare.198
Quanto all’allenamento fisico, menziona la velocità, la destrezza e la forza. Per
imparare l’uso della spada i romani usavano bastoni pesanti invece di vere spade e
naturalmente c’erano anche gli esercizi con l’arco e con la balestra e – da non
dimenticare- con l’arma nuova, lo scoppietto. Fabrizio è dell’opinione che queste
esercitazioni siano importanti per tutti i giovani e che debbano essere fatte durante i
giorni festivi. Per la cavalleria consiglia il volteggio con cavalli di legno, anche questo
secondo l’esempio romano.199
Nell’Arte della guerra non si trova un vero programma d’addestramento. Nella
Provvisione prima per le fanterie invece ho letto, per il periodo di pace, un programma
per l’addestramento molto più dettagliato. Gli uomini devono essere raggruppati una
volta al mese e durante l’inverno, almeno tre volte in tutto, e anche in alcuni giorni
festivi. Nei giorni stabiliti deve tenersi una rassegna e gli uomini devono essere
esercitati tutto il giorno. Nei giorni festivi, in cui i battaglioni non sono raggruppati, gli
uomini devono esercitarsi nel loro comune.200 A prima vista sembra un programma
abbastanza impegnativo.Per quanto riguarda l’addestramento della cavalleria, parla
soltanto dell’esercitazione insieme con il battaglione e afferma:
197
Ibidem, 333.
Ibidem, 322.
199
Ibidem, 323-324.
200
Ibidem, 43.
198
59
[…] si potrebbero qualche volta mettere insieme, quando si raggunassono le
battaglie, e fare che tra loro facessero qualche vista d’assalto; il quale fussi più
per riconoscersi insieme, che per altra necessità.201
4.2.6. Commento finale.
Rimane ancora una questione che vorrei discutere alla fine di questo paragrafo. Quale
tipo di milizia era la milizia di Machiavelli? Possiamo parlare della rinascita della
milizia romana o di quella della milizia comunale del Medioevo?
Nell’Arte della guerra troviamo un abbondante numero di punti di riferimento
a sostegno dell’idea di una milizia romana. Già all’inizio del primo libro Fabrizio
afferma: ‘Io non mi partirò mai, con lo esemplo di qualunque cosa, da’ miei Romani.’202
Detti di questo tipo hanno certamente portato al rimproverodialcuni studiosi che
Machiavelli sarebbe stato accecato dalla lucentezza dell’antichità romana.203 È vero che
cita sempre i romani ad esempio; menziono qui soltanto l’organizzazione, l’armamento
e l’addestramento. Non segue invece ciecamente le loro idee come abbiamo visto nel
paragrafo del reclutamento e in quello dell’armamento. Nondimeno si ottiene
l’impressione di un’imitazione della milizia romana. Infatti Fabrizio afferma che vuole
‘fare una ordinanza simile a quella che è ne’paesi nostri.’204 Qui intende certamente la
milizia fiorentina del 1506, ricostituita da Lorenzo de’ Medici nel 1514.205
A quanto pare Machiavelli qui non vede un contrasto con la milizia romana.
Nei suoi scritti del 1505 e del 1512 pero non fa parola dei romani.206 Non è da
meravigliarsi quindi che Francesco Guicciardini (1483-1540) nelle sue Storie fiorentine
scriva:
Ne’ medesimi tempi si cominciò a dare principio alla ordinanza de’ battaglioni;
la quale cosa era stata anticamente nel contado nostro, che si facevano le guerre
non con soldati mercenari e forestieri, ma con cittadini e sudditi nostri; di poi
era stata intermessa da circa dugento anni in qua, nondimeno si era, innanzi al
94, qualche volta pensato di rinnovarla; e doppo el 94, in queste nostre
avversità molti avevano qualche volta detto che e’ sarebbe bene tornare allo
antico costume, pure non si era mai messo in consulta, né datovi né disegnatovi
201
Ibidem, 333-334.
Ibidem, 304.
203
Viroli, 255.
204
Machiavelli, Tutte le opere,310.
205
Machiavelli, Art of war, 22, nota 72.
206
Una eccezione è forse ‘tutte le repubbliche, che pe’ tempi passati si sono mantenute ed accresciute’
nella Provvisione del 1506, Tutte le opere, 40.
202
60
principio alcuno. Volsevi di poi l’animo el Machiavello, e persuasolo al
gonfaloniere, veduto che gli era capace, cominciò a distinguergli
particularmente e’ modi […]207
Dalle parole di Guicciardini risulta che i fiorentini del suo tempo consideravano la
milizia di Machiavelli una restaurazione della milizia medioevale.
Lo storico militare Martin Hobohm afferma che la creazione della milizia
fiorentina da parte di Machiavelli fu certamente basata sull’esempio romano. Egli pensa
che Machiavelli non parli dei romani perché per realizzare le sue idee si adatta ai
pensieri dei dirigenti politici.208 In un articolo sulla milizia del 1506 Mikael Hörnqvist
invece afferma che Hobohm è dell’opinione che Machiavelli in questo periodo non era
stata ancora influenzata dal modello romano e quindi non ne parla negli scritti
ufficiali.209
Hörnqvist stesso cerca la ragione dell’assenza dei romani nei sentimenti
antiromani nella repubblica di Soderini.210 Questo mi sembra giusto perché l’interesse
in senso positivo per l’antichità e specialmente per quella dei romani era qualcosa
dell’epoca dei Medici. È noto che i Medici e un gruppo di persone della loro cerchia
erano molto interessati allo studio degli antichi. A palazzo risiedevano filosofi, letterati
e artisti che si occupavano dello studio degli antichi. Dopo la cacciata dei Medici tutto
quello che li ricordava, era sospetto e sbagliato. Dopo il ritorno dei Medici nel 1512
Machiavelli presentò francamente i romani come il grande esempio.Hörnqvist conclude
a ragione che Machiavelli era riuscito a costituire un esercito basato sul modello romano
dall’introduzione graduale e dalla minimizzazione dell’importanza dell’ esempio
romano.211
Soprattutto Piero Pieri si rivolge contro l’idea della restaurazione della milizia
medioevale. Scrive che questa era una milizia cittadina, picchieri e cavalleria, e che gli
elementi del contado erano soprattutto impiegati come guastatori e 'foraggiatori'. Il
contado aveva una funzione accessoria. La milizia di Machiavelli invece era una milizia
composta da un gran numero di fanti, integrato con alcuni cavalieri, tutti sudditi
207
Chabod, 334.
Hobohm, 51.
209
Mikael Hörnqvist,‘Perché nono si usa allegare i Romani: Machiavelli and the Florentine Militia of
1506’, Renaissance Quarterly 55 (2005): 149-150.
210
Ibidem, 164-171.
211
Hörnqvist, 186-188.
208
61
inquadrati dai dominatori cittadini. Pieri considera giustamente un grande errore credere
che la milizia del 1506 sarebbe stata un ripristino delle vecchie milizie comunali.212
4.3. Conclusione.
Machiavelli considera la milizia il modo migliore per istituire e mantenere un esercito.
Non biasima soltanto gli eserciti mercenari, ma condanna ogni forma di
professionalismo militare. Nell’Arte della guerra tratta fra l’altro del reclutamento,
dell’organizzazione, dell’armamento e dell’addestramento della milizia. Si fonda quasi
sempre sugli esempi dei romani, ma la sua milizia non è un’imitazione acritica. Così
rigetta l’armatura pesante per la fanteria in favore di un rafforzamento delle difese
proprie, realizzato variando l’armamento nello schieramento. Dell’arte della guerra è
l’ultima opera di Machiavelli scritta sulla milizia e il contenuto corrisponde in generale
a quello degli altri scritti come La cagione dell’ordinanza, dove la si trovi, et quel che
bisogna fare Post Res Perditas, Provvisioni della repubblica di Firenze per istituire il
magistrato de’ nove ufficiali dell’Ordinanza e Milizia fiorentina, dettate da Niccolò
Machiavelli e Sul modo di riscostruire l’ordinanza. Gli ultimi scritti ci danno i dettagli
per la realizzazione. Un esame più approfondito dovrà mostrare se la milizia di
Machiavelli è più di una teoria idealistica.
212
Pieri, Il Rinascimento, 440. Machiavelli, Arte della guerra, XXI-XXII.
62
5. La milizia e la pratica.
5.1. Introduzione.
Abbiamo visto che Machiavelli considerava la sua milizia la soluzione per rafforzare lo
stato di Firenze e quindi prevenire nel futuro un disastro come l’invasione di Carlo VIII
nel 1494. In questo capitolo voglio esaminare se la milizia fiorentina è stata lo
strumento giusto. È difficile giudicare l’adeguatezza della milizia. La milizia di
Machiavelli è stata usata soltanto due volte, cioè a Pisa e a Prato. Nel caso di Pisa questi
soldati sono stati adoperati solo per fare un blocco e in quello di Prato per la difesa delle
mura che finiva nella perdita della città. Non hanno mai ingaggiato la lotta contro un
nemico in campo aperto. Inoltre le prestazioni di un esercito possono essere influenzate
nella pratica da fattori che non dicono niente sulla qualità di un tipo d’esercito, per
esempio informazioni false. Per la valutazione della milizia rimangono solo le fonti
scritte. Esaminerò alcune condizioni, importanti per l’utilizzo della milizia come
strumento militare nella situazione fiorentina del sedicesimo secolo. Nel mio giudizio
prenderò anche in considerazione l’opinione degli storici militari. Siccome non abbiamo
a che fare con la scienza, la mia presa di posizione sarà soggettiva.
5.2. L’opinione dei contemporanei.
Come fondo del mio parere voglio prima citare l’opinionedialcuni fiorentini sulla
milizia. Il gonfaloniere Piero Soderini sosteneva l’idea di Machiavelli e questo
certamente non era strano, perché egli era disperato riguardante la riconquista di Pisa e
abbiamo visto che anche il fratello del gonfaloniere, il cardinale Francesco Soderini, era
in favore di una milizia fiorentina.213
C’erano invece anche altre opinioni. Francesco Guicciardini scrive che gli
aristocratici guardavano l’idea con freddezza e con sospetto o addirittura con ostilità e
aggiunge, che anche il popolo di Firenze era avverso a quella. L’aristocrazia avrebbe
paura che Piero Soderini avesse voluto farsi tiranno con l’aiuto della milizia.214
Francesco Vettori, amico di Machiavelli, ha citato una sua conversazione con
un tale Anselmo di Ser Bartolo, oste nei dintorni di Barberino. L’oste non è convinto
213
214
Capitolo 3, 31
Viroli, 81.
63
che la milizia sia la giusta soluzione. Riferendosi alla relazione fra i signori della città e
i contadini dice:
Ma io non so già allora come noi Fiorentini staremo sicuri; né so in che modo li
uomini armati et essercitati vorranno ubidire a’ disarmati et inesperti. […] E se
abbiamo paura delli insulti esterni, è meglio pensare redimersi da quelli che
vengano de’ quattro o sei anni una volta con denari, che temere di questi che
possono venire ogni giorno.215
Il cambiamento dei pareri è sorprendente quando Pisa si arrende. Jacopo Nardi adduce
l’arresa di Pisa come la prova per l’utilizzabilità della milizia e Francesco Guicciardini
scrive che dopo la resistenza iniziale quest’esercito fiorentino viene approvato da
tutti.216 Sembra, che nessuno non voglia conoscere che a Pisa la milizia non ha
combattuto e non è stata coinvolta in una vera battaglia. Con la stessa velocità gli
scrittori cambiano opinione alla sconfitta di Prato. Guicciardini menziona come difetti
importanti la mancanza di esperienza guerresca dei soldati e l’incapacità degli ufficiali.
Paolo Giovio parla all’occasione del sacco di Prato di’una grande, ma disordinata
moltitudine di contadini armati.’217
È chiaro che non si può trarre conclusioni da questi pochi pareri riguardanti la
milizia. Ho l’impressione però che si può parlare di un atteggiamento critico da parte
dei fiorentini quanto al valore del nuovo esercito.
5.3. Il cittadino ideale.
Esaminando il valore della milizia fiorentina si può parlare come fanno molti storici dei
dettagli dell’organizzazione, dell’addestramento e altri aspetti pratici. Prima di tutto si
deve però considerare la base delle idee di Machiavelli come esposta nell’Arte della
guerra. Machiavelli stava cercando di introdurre di nuovo l’idea della virtù collettiva e
questo per lui voleva dire la virtù romana. Egli sognava cittadini che amavano lo stato e
volevano servirlo sia come civile sia come militare. Parlo di “sognava”, perché
quest’aspirazione dell’umanesimo civile non si confece più alla società del suo tempo e
specialmente non alla società fiorentina. I cittadini di Firenze erano corrotti dalla pace e
dal lusso. La guerra non era il loro compito; per loro contavano solo gli affari. Inoltre
215
Ibidem, 85-86
Hobohm, 419.
217
Ibidem.
216
64
esisteva nella città una gran diffidenza fra le varie frazioni.218 Machiavelli conosceva la
situazione nella sua città e quindi sceglieva una milizia contadina. Anche nel contado
invece non risedeva l’uomo che amava prima di tutto il suo stato. La repubblica era
odiata a causa dei tributi che infliggeva ai contadini, mentre la stessa repubblica non gli
consisteva gli stessi diritti come ai cittadini e non li proteggeva contro le scorrerie da
parte degli eserciti nemici.219 Machiavelli nondimeno continuava nella realizzazione del
suo progetto. Egli sperava introdurre le virtù antiche negli uomini di Firenze tramite la
milizia e così considerava possibile guarire lo stato corrotto di Firenze con l’aiuto di una
buona milizia. Non è casuale che cominci il suo libro sulla milizia con i suoi pensieri
del ristabilimento delle virtù antiche nella società del suo tempo. questa idea è anche
stata elaborata da parte di Hale nel suo articolo sulla relazione fra la guerra e l’opinione
pubblica.220
Vediamo qua un Machiavelli con una concezione ottimista degli uomini.
Questa sembra in contrasto con la concezione che ci offre nel Principe, quando scrive:
Perché degli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati,
volubili, simulatori e dissumalatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno;
e mentre fai loro bene, sono tutti tua, offeronti el sangue, la roba, la vita, e’
figliuoli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto; ma, quando ti si
appresa, e’ si rivoltano.221
Machiavelli qui descrive la realtà nel 1513 come egli la vedeva e vuole rendere palese
che l’Italia abbia bisogno di un principe potente. Invoca altrove in questo libro anche un
esercito proprio con l’argomentazione che ‘non si può avere né più fidi, né più veri, né
migliori soldati.’222 Nel pensiero di Machiavelli nel 1513 un principe di talento fu
l’unico che era in grado di suscitare le virtù militari e l’amore per la patria nei suoi
uomini.
Prima di tutto Machiavelli era un pragmatista. L’idea della reintroduzione delle
virtù romane era il suo ideale. Capiva invece che a Firenze i tempi non erano ancora
maturi per realizzarla. Negli scritti sulla milizia non ne parla abbandonando il concetto
di un esercito di veri volontari e reclutando gli uomini nel contado. Machiavelli non era
un pessimista. Egli considerava la società e lo stato fattibili. Ne leggiamo la
218
Virolio, 81-81.
Ibidem, 85.
220
John, R. Hale, Renaissance war studies (London: The Hambledon Press, [1983]), 383-386.
221
Machiavelli, Principe, 114.
222
Ibidem, 176.
219
65
testimonianza nella Cagione: ‘Questo ordine, bene ordinato nel contado, de necessità
conviene ch’entri ad poco ad poco nella città, et sarà facilissima cosa ad introdurlo.’223
Il Machiavelli pragmatista troviamo anche nel campo politico. Egli favorisce la
repubblica, ma capisce che non è sempre possibile realizzare questa forma di governo.
Nei Discorsi scrisse:
E si può fare questa conclusione, che, dove la materia non è corrotta, i tumulti
ed altri scandoli non nuocono: dove la è corrotta, le leggi bene ordinate non
giovano, se già le non sono mosse da uno che con una estrema forza le faccia
osservare, tanto che la materia diventi buona.224
Mi chiedo se l’idea idealistica di Machiavelli offre una base stabile e pratica per una
milizia nella realtà fiorentina all'inizio del Cinquecento, così corrotta e instabile.
5.4. Il reclutamento.
Nelle Provvisioni il magistrato dei Novi era stato incaricato di ‘tenere sempre scritti,
armati ed ordinati sotto le bandiere [...] almeno diecimila uomini; [...] e debbino detti
primi ufficiali avere adempiuto il numero di diecimila uomini infra sei mesi,
[...].’225Alla fine del 1506 la milizia contò 5000 uomini e questo numero crescerebbe
ancora a circa 20.000.226 Queste cifre giustificano un esame del reclutamento.
Guardiamo prima la questione della volontarietà. Abbiamo visto che
Machiavelli sapeva che non era possibile reclutare soltanto volontari.227 Nello stesso
tempo si rendeva certamente conto dell’odio dei contadini verso i signori a Firenze. Da
un lato Machiavelli consiglia prudenza e parla di ‘[...] né levare da casa chi ha honesta
cagione di starvi,[...]’, dall’altro lato succedeva anche che il magistrato di Firenze
ordinava il vicario avvalersi di ogni mezzo per costringere gli uomini.228 I risultati erano
molti diversi, ma soprattutto all’inizio le esperienze di Machiavelli erano incoraggianti e
quindi si reclutava quasi solo volontari.229
223
Machiavelli, Tutte le opere, 40.
Ibidem, 102.
225
Machiavelli, Tutte le opere, 42.
226
Hobohm, 57. Chabod, 205.
227
Capitolo 4, 50.
228
Machiavelli, Tutte le opere, 39. Hobohm, 111.
229
Ibidem, 105-108.
224
66
Devo qui menzionare che i soldati godevano di vari privilegi che infatti li convincevano
di arruolarsi. Ottenevano grazia per le condanne pecuniarie inflitte per delitti o cause
criminali. Inoltre avevano il diritto di essere sempre armati ed erano vestiti a spese della
comunità.230 Ci si può chiedere quale era la vera motivazione dei soldati, l’amor di
patria o il godimento di privilegi.
Ovviamente devo anche dare qualche attenzione al reclutamento in relazione
con la questione principale della virtù collettiva. Nel capitolo precedente ho scritto che
Machiavelli reclutò i soldati della prima milizia nel contado a causa della divisione
politica nella città. Certamente per lui fu anche chiaro che per i cittadini gli affari erano
più importanti della guerra. Ammetto che il contado era il male minore dei tre, ma era
noto che i contadini odiavano la repubblica. Richiamo alla memoria la citazione di Ser
Bartolo. Questo problema non si risolve con bandiere ‘con un segno medesimo del
Lione, adciò che tucti li huomini vostri sieno affectionati di una medesima cosa, et non
habbino altro per obiecto che ’l segno publico, et per questo ne diventino partigiani.’231
Il risultato fu un reclutamento influenzato di vari fattori che certamente non erano
sempre vantaggiosi per quanto riguarda la motivazione dei soldati. Pieri scrivendo sul
reclutamento afferma che ‘la questione fondamentale, quella del reclutamento, si
rivolveva in un terribile compromeso colla realtà.’232
Un’ indicazione della motivazione dei soldati si ottiene leggendo nello scritto
Sul modo di ricostruire l’ordinanza, dove Machiavelli scrive parlando di veterani: ‘et in
questo caso voi non ve ne varrete, perché, come e’sentiranno sonare un tamburo, egli
andranno via, et così voi crederresti havere 6 mila fanti, et voi non ne haresti
nessuno.’233 Nei Giribizi d’ordinanza scrive: ‘Dipoi, per molte cose che fanno scemare
li scripti altrui fra le mani, non sarà mai che voi vi vagliate della metà, de’ dua terzi di
loro.’234
Queste citazioni hanno secondo Hobohm a che fare con soldati che si schierano
con altri eserciti. Un esempio troviamo in una lettera di Biaggio Buonacorsi, amico di
Machiavelli e collega nella cancelleria: ‘Ma questa voce di darsi danari a Bologna et in
Romagna ha facto che qualcuno di quelli del vicariato di Firenzuola vi sono andati.’235
230
Chabod, 333.
Machiavelli, Tutte le opere, 38.
232
Machiavelli, Arte della guerra, LXVII.
233
Machiavelli, Tutte le opere, 53.
234
Ibidem, 37.
235
Ibidem, 1081.
231
67
La reazione del governo non è chiara. All’inizio si cerca di impedire lo schieramento
tramite il rifiuto del congedo. Dopo si minaccia di pena, ma anche promette un rapido
compenso di guerra.236 Machiavelli stesso ha una soluzione originale, quando scrive:
‘[...] e dell’armi basta dare loro solamente lance, che è una favola mantenerle loro,
perché l’altre armi si possono tenerle in munitioni, et darle loro a’ tempi, et metterle
loro in conto.’237 ll colmo dell’ambivalenza nel comportamento del governo fiorentino
vediamo, quando nell’autunno del 1506 è consentito al papa reclutare soldati dalla
milizia fiorentina. In questo modo nel futuro sarebbe stato troppo difficile combattere la
diserzione.
5.5. L’autorità sulla milizia.
In questo paragrafo voglio considerare il modo di governare la milizia e le sue
conseguenze. Nella gestione della milizia dobbiamo distinguere due livelli, quello dello
stato e quello dei comandanti militari, e il rapporto fra di loro.
A Firenze esisteva sempre la paura per una nuova dittatura. Guicciardini
esprime il timore così: ‘alcuni dubitavano che el gonfaloniere non gli (i nuovi soldati,
SS) adoperassi un dí a occupare la libertà o a spacciare e’ cittadini nimici sua.’238
Abbiamo già visto che questa paura aveva portato ad un apparato statale molto
complicato con una frammentazione dell’autorità. La stessa frammentazione che
indeboliva l’efficienza politica vediamo adesso nel governo della milizia. Nella Cagione
dell’ordinanza Machiavelli scrive:
Et perché e’ sarebbe periculoso che riconoscessino tucte queste autorità in uno
solo superiore, sarebbe bene che questo magistrato nuovo (i Nove ufficiali
dell’Ordinanza, SS) li tenessi ordinati ad casa, e Dieci dipoi li comandassino
nella guerra, ed e Signori, Collegi, Dieci et nuovo magistrato li premiassi et
remunerassi; et così verrebbono sempre ad havere in confuso el loro superiore,
et riconoscere un pubblico et non un privato.239
Una tale organizzazione crea mancanza di chiarezza, nuoce la disciplina e mina
l’efficienza della milizia. Un esercito ha bisogno di essere guidato da un superiore e non
236
Hobohm, 143-146
Machiavelli, Tutte le opere, 52.
238
Chabod, 338.
239
Machiavelli, Tutte le opere, 39-40.
237
68
da una persona confusa. Questo parere lo ritroviamo in Hobohm e Chabod.240 L’ultimo
persino afferma che il governo soderiano non voleva una milizia troppo forte, ‘temendo
ch’ essa potesse poi diventar strumento nelle mani del partito avverso, e diffidasse
specialmente degli ufficiali di mestiere, ch’erano pertanto ridotti e di numero e di
autorità: […]’.241
Questa frase mi porta al livello dei comandanti. Il conestabile era nominato dal
magistrato dei Novi e lui era l’unico professionista.242 Come abbiamo visto nel capitolo
precedente Machiavelli voleva limitare l’autorità militare sulla milizia tramite il divieto
d’avere propri comandanti e il loro mutamento annuale. Qui si tratta di una
regolamentazione che troviamo sia nell’Arte della guerra sia negli scritti sulla milizia.
Ci si può chiedere che cosa era per Machiavelli più importante: l’esempio degli assiri e
romani o la situazione a Firenze. Era comunque una misura disastrosa per la disciplina e
per lo spirito di corpo. Sembra, che il governo fiorentino facesse tutto il possibile per
minare l’efficienza della milizia. Chabod lo afferma cosi:
Come questo mutare continuo degli ufficiali, allontanati non appena si fossero
affiati con i loro uomini, potesse accordarsi con le esigenze militari, che
richiedono, invece, profondo affiatamento, stima reciproca fra ufficiali e
soldati, questo rimaneva un mistero.243
Pieri giudica questa regolamentazione per il comandante assurda e spiega che la schietta
fiducia fra i comandanti e i soldati sarebbe stata un mezzo importante per compensare
‘la minor disciplina formale e la più difettosa istruzione e capacità fisica’ di questa
milizia.244
Pieri scrive che, quando infine anche i cittadini del distretto furono armati, a queste
milizie non era consentito avere ufficiali propri, ma unicamente dati da Firenze.245
Mi riesce difficile immaginare che Machiavelli non vedesse le contraddizioni
della realizzazione del suo progetto. Mi pare che fosse così convinto della necessità di
un proprio esercito per la posizione dello stato fiorentino sulla scena politica
internazionale che spinto dalla sua avversione per ogni tipo di mercenarismo accettò
queste misure infelici.
240
Chabod, 337-338. Hobohm, 88.
Chabod, 207.
242
Ibidem, 205. Machiavelli, Tutte le opere, 43.
243
Chabod, 338.
244
Machiavelli, Arte della guerra, XXIV.
245
Pieri, 438-439.
241
69
Fino a qui ho trattato le prerogative delle autorità civili e la nomina degli
ufficiali militari, ma per un giudizio sull’efficienza della milizia certi aspetti
dell’esercizio del potere non sono meno importanti. Guardiamo l’assenteismo. Nelle
Provvisioni tutto sembra disciplinato in modo efficace. Leggiamo che ‘le cagioni
legittime dell’assenza (alle mostre, SS) sieno quando fussero malati, o quando fussero
assenti con licenza de’ Novi ufficiali:’246 Ci sono anche descritte le pene:
Qualunque degli scritti […] non comparirà alle mostre ordinate […] s’intenda
essere e sia, per ogni volta che sarà trovato assente sanza legittima cagione,
condannato in soldi venti, e essendo uno medesimo trovato assente sei volte in
un anno […] diventi el peccato suo criminale, e sia gastigato ad arbitrio di detti
Novi Ufficiali, […].247
Hobohm afferma che secondo il suo studio queste regole erano applicate non
rigorosamente. Nella pratica si poteva addirittura a posteriori presentare una scusa
ragionevole.248
I soldati erano impegnati a far sapere la loro assenza alle mostre. Non c’era
l’obbligo di chiedere congedo; bastava segnalare che per un certo periodo non sarebbe
stato a casa. Il comandante quindi non aveva nessuna possibilità di far valere la propria
autorità.249
In rassegna vorrei affermare che l’autorità civile sulla milizia era distribuita in
modo inefficace, le regole per la nomina dei comandanti impedivano il rapporto
necessario con i loro soldati e nel campo della partecipazione alle mostre gli mancava
l’abbastanza autorità.
5.6. L’addestramento.
Accanto ad una guida stimolante e ad una disciplina forte ci vuole un addestramento
buono per fare un esercito impiegabile. Nell’Arte della guerra Machiavelli tratta per
esteso l’addestramento e differenzia l’allenamento personale e l’esercitazione dei gruppi
tattici. Egli batte sempre sull’importanza dell’ultima. Basta qui una singola citazione:
246
Machiavelli, Tutte le opere, 46.
Ibidem.
248
Hobohm, 197.
249
Ibidem, 197-199.
247
70
Deonsi adunque, come in prima vi dissi né ora mi pare fatica replicarlo, fare
esercitare i suoi uomini in queste battaglie, in modo che sappiamo tenere le
file, conoscere i luoghi loro, tornarvi subito quando o nimico o sito gli perturbi;
perché quando si sa fare questo, facilmente s’impara poi il luogo che ha a
tenere una battaglia e quale sia l’ufficio suo negli eserciti.250
Machiavelli è dell’opinione che il battaglione (450-600 uomini) è la formazione di base
per l’addestramento. Tutta la brigata si può radunare una volta o due l’anno.251 Non
parla nel suo libro di un programma e quindi come già detto devo fondarmi sugli scritti
del 1506 e 1512 per un esame più approfondito.
Nella Cagione dell’ordinanza parla di ‘12 o16 mostre lo anno’ e della legge,
che deve costringere i conestabili ‘ad provedere all’armi, ad far fare loro le mostre et
vicitarli, ad rivederne ogni anno conto […] ad mescolarci qualche cosa di religione per
farli più ubbidienti’252
Nella Provvisione prima per le fanterie, del dicembre 1506 si legge che due
volte l’anno i Nove ufficiali dell’Ordinanza debbono ‘fare mostre grosse di tutte loro
bandiere’ e quali sono le regole globali per l’esecuzione della mostra.253 In un altro
paragrafo di questa legge Machiavelli ordina dettagliatamente il programma
dell’addestramento. Nel capitolo precedente ne ho dato le linee essenziali, ma qui per
l’esame più approfondito voglio citare il brano completamente.
[…] e ciascuno di detti conestaboli sia tenuto ed obbligato stare continuamente
in su i luoghi appresso alle sue bandiere, e ragunare gli uomini che lui arà in
governo, almeno una volta il mese, dal mese di marzo inclusive infino al mese
di settembre inclusive, e dal mese d’ottobre inclusive infino al mese di febbraio
inclusive di ciascuno anno: almeno tre volte in tutto, e in quelli dì di festa
comandati, che deliberanno detti ufficiali (i Nove,SS); e detti uomini tenere
tutto il giorno negli ordini e in esercizio, e dipoi rassegnarli uomo per uomo,
[…] e in quelli dì di festa che non gli ragunerà insieme, debba ciascuno di detti
conestabili, con l’aiuto del magistrato di detti Nove ufficiali, comune per
comune, o popolo per popolo, far loro fare qualche esercizio militare, come
sarà giudicato convenirsi; e il conestabile sia obbligato cavalcare per detti
luoghi, e rivedere detti esercizi.254
Chabod giudica l’addestramento della milizia come ‘qualche saltuaria esercitazione’ e
Pieri lo considera ‘insufficiente sia per le vecchie sia per le nuove esigenze’ e afferma
250
Machiavelli, Tutte le opere, 330.
Ibidem, 325.
252
Ibidem, 39.
253
Ibidem, 44-45.
254
Ibidem, 43.
251
71
che ‘l’esercitazione collettiva[…] mancasse del tutto.’255 Entrambi gli studiosi non
trattano i dettagli dell’addestramento per sostenere il loro parere.
Hobohm invece ha scritto un libro sul rinascimento machiavelliano dell’arte della
guerra e nella prima parte, che tratta soltanto della milizia, troviamo nel settimo capitolo
molti dettagli sulle attività militari dei fanti nel tempo di pace.256 Nel seguito utilizzerò
qualche risultato del suo studio.
Machiavelli parla nelle Provvisioni di ‘esercizio militare’ in giorni di festa oltre
alle mostre. Il testo sembra giusto e sensato, ma vediamo la pratica. Prima di tutto ci si
può chiedere se un giorno di festa sia adatto per esercizi militari. Vi sono sempre attività
religiose, ma inoltre l’atmosfera è quella di una festa popolare. Non è semplice trovare
in una tale situazione un luogo conveniente per l’esercizio e poi c’è il pericolo di
colluttazioni.
Ci sono però anche altre difficoltà pratiche. Il conestabile è l’unico ufficiale
professionista e secondo le Provvisioni è obbligato ad assistere a tutti i luoghi dove ci
sono esercizi e a rivedere le attività militari. Considerato che questo comandante guida
un battaglione di 300- 800 uomini non è possibile applicare la legge.
Per quanto riguarda la frequentazione delle mostre mensili Machiavelli stesso ha scritto
dopo il 1506 che ‘Li connestabili dovevongli la state ragunare sotto le bandiere e tenerli
nelli ordini una volta il mese, e il meno ogni dua mesi una volta.’257 Nel 1507 il numero
delle grandi mostre fu ridotto da due l’anno ad uno. Anche qui vediamo quindi
un’attenuazione dell’ordinanza del 1506. Anche quando si assume che dopo le mostre
c’erano delle esercitazioni considero la frequentazione dell’addestramento al livello del
battaglione e della brigata insufficiente per la preparazione di una guerra contro un
esercito professionista. Ci deve essere un chiaro rapporto fra l’addestramento e l’utilizzo
desiderato di un esercito. Nel caso della milizia fiorentina questo voleva dire dare un
accento sulle esercitazioni del quadrato di centinaia di fanti armati di lanci e proprio il
numero di quelli esercizi era relativamente ridotto.
Un esercito composto di soldati da week-end si può usare solo per compiti
semplici o per compiti complementari. Nell’ultimo caso si può parlare di una milizia
territoriale. Nei Paesi Bassi esiste anche al giorno d’oggi una milizia territoriale
(Nationale Reserve) e l’unico compito è la difesa territoriale, fra l’altro di porti
255
Chabod, 206. Pieri, 442.
Hobohm, 184-219.
257
Ibidem, 188.
256
72
marittimi e aeroporti. Queste truppe hanno avuto altrove un addestramento iniziale di
almeno qualche mese.258
L’addestramento minimale mi sembra altrove secondo lo spirito
dell’ordinanza. Il governo non voleva suscitare l’avversione degli uomini. Nella
Cagione Machiavelli ha scritto ‘et dando loro libera licentia d’andare dove voglono ad
fare e facti loro’259
Ci si può anche chiedere se il governo era davvero interessato all’addestramento della
milizia. Negli scritti di Machiavelli quasi tutti gli argomenti sono trattati in esteso,
addirittura la bandiera, ma sull’esercitazione leggiamo soltanto ‘sotto[…] ordine de’
Tedeschi’.260 Quando il governo viene a conoscenza dell’utilizzazione di un bersaglio
da parte di un comandante, l’unica reazione è una domanda riguardante i costi e
Guicciardini afferma che la gran mostra a Firenze era destinata solo per influenzare
l’opinione popolare quanto alla milizia.261
Mi sembra che il giudizio di Chabod e Pieri è sostenuto dallo studio di
Hobohm. Le regole nelle Provvisioni del 1506 avevano soprattutto un valore teoretico e
nella pratica risultavano insufficienti, specialmente in un tempo in cui, secondo Chabod,
‘l’adozione di nuovi corpi tattici e il mutamento generale nei sistemi bellici rendevano
delicatissimo il funzionamento effettivo di un esercito e quanto mai necessaria una
lunga, continua preparazione degli uomini.’262 Pieri afferma così: ‘Con un po’
d’addestramento, pensava l’arguto fiorentino, sarebbero potutti divenire dei completi
soldati,[…]’.263
Per concludere questo paragrafo vorrei brevemente parlare di un argomento
molto vicino all’addestramento, cioè l’armamento. Le armi di un esercito condizionano
in modo importante le sue possibilità nella pratica della guerra. Nelle Provvisioni
leggiamo che ‘Tutti […] abbino […] per affesa in ogni cento fanti settanta lance, e dieci
scoppietti,[…]’.264 Per un giudizio sull’armamento della milizia mi baso sulle opinioni
degli storici militari. Secondo Pieri quest’armamento ci ricorda specialmente i quadrati
svizzeri della guerra borgognone. Questa tattica svizzera invece si trovava già in un
incipiente stato di trasformazione ed erano introdotti soldati armati di spadone a due
258
J. Hoffenaar & B. Schoenmaker, Met de blik naar het Oosten, de Koninklijke Landmacht 1945-1990
(Den Haag: Sdu Uitgeverij,[1994]), 122, 174-181.
259
Machiavelli, Tutte le opere, 39.
260
Ibidem, 43.
261
Hobohm, 267-269.
262
Chabod, 207.
263
Pieri, 436.
264
Machiavelli, Tutte le opere,44.
73
mani.265 Mallett parla di un armamento sorpassato.266 Inoltre c’era una sottovalutazione
della cavalleria e delle armi del fuoco portatili.267 Mi sembra quindi, che qualche dubbio
sull’efficienza della milizia e il suo armamento sia legittimo.
5.7. Conclusione.
Machiavelli non era soltanto dell’idea che l’istituzione e l’utilizzo di una milizia era la
scelta migliore per il futuro di Firenze da un punto di vista militare, ma si aspettava
anche di poter influenzare in modo positivo la mentalità dei fiorentini tramite la milizia.
Considerando la situazione politica ed economica dello stato fiorentino, questi
presupposti, e specialmente l’ultimo, erano poco realistici per la costituzione della
milizia e comportavano il pericolodiadattamenti meno desiderabili per realizzare la sua
idea a qualunque costo.
Non è giusto valutare l’efficienza di un esercito soltanto dal rendimento in
tempo di guerra. La base per un esercito motivato e utilizzabile viene creata fra l’altro
dall’alta qualità della struttura di comando, del reclutamento, dell’addestramento e
dell’armamento.
Il reclutamento quanto a certi aspetti lasciava a desiderare. Il personale era una
mescolanza di volontari e non volontari, da parte attirato da privilegi come grazia per
certe condanne. Inoltre il reclutamento si svolgeva nel contado che si mostrava ostile ai
potenti a Firenze. Non è verosimile quindi che questo reclutamento abbia portato ad una
milizia con i soldati migliori.
Ancora più importante del reclutamento considero la guida della milizia e
l’addestramento. Difetti nella guida hanno conseguenze immediate per la disciplina e
per il livello delle esercitazioni. Ambedue sono fattori decisivi per la qualità di un
esercito.
Firenze e Machiavelli scelgono una tripartizione dell’autorità civile sulla
milizia: i Nove per il governo nel tempo di pace, i Dieci per la guida nel tempo di guerra
e la Signoria per aspetti generali come la remunerazione. Tutto questo per prevenire,
che un singolo organo dello stato avrebbe avuto in mano tutta la potenza, creando
tuttavia per i soldati mancanza di chiarezza riguardante la responsabilità. Questa
265
Pieri, 441.
Mallett, Machiavelli and republicanism, 179.
267
Pieri, 530-531.
266
74
fumosità era ancora aumentata dalla prescrizione che un conestabile non poteva essere
originario della regione dei suoi soldati e inoltre doveva essere sostituito ogni anno. In
questo modo la creazione di disciplina e spirito di corpo fu soffocata. Inoltre fu
ostacolato nella pratica l’intervento da parte dei comandanti contro l’assenza illecita e
questi non ebbero potere decisionale quanto al congedo dei soldati. Questi
provvedimenti da parte del governo comportavano una minimizzazione del potere di
combattimento della milizia.
Gli scritti del 1506 parlano di circa dodici esercizi l’anno al livello di
battaglione ediesercizi per comune o per popolo nei giorni di festa. Il numero dei grandi
esercizi diminuiva con il passare del tempo e l’addestramento di molti piccoli gruppi
non era realizzabile a causa della guida obbligatoria dal conestabile in persona. Questa
prassi di nuovo dà l’idea che il governo di Firenze non fosse veramente interessato ad
una milizia forte. Nella pratica l’addestramento era insufficiente. Si può affermare che
l’esercitazione collettiva, necessaria per resistere agli eserciti professionisti, mancasse
del tutto, mentre secondo Mallett e Pieri anche l’armamento non era adeguato ad un tale
scontro.
In conclusione sono del parere che la milizia di Machiavelli, argomentato per
esteso nell’Arte della guerra come la rinascita del glorioso esempio romano, non era in
grado di svolgere un ruolo nella pratica di guerra del Cinquecento.
75
76
Conclusione.
Nel testo precedente ho tentato di dare un’immagine coerente della persona di
Machiavelli e delle sue idee in campo militare, specialmente per quanto riguarda la
sostituzione del sistema condottiero con una milizia. A tale scopo ho consultato, oltre
alle opere di storici come Mallett, Pieri, Chabod e Hobohm, soprattutto gli scritti dello
stesso Machiavelli. Esaminando l’utilizzabilità pratica della milizia di Niccolò
Machiavelli è opportuno collocare questo esercito nel contesto dello sviluppo militare
del Medioevo e del Rinascimento sia nell’Europa sia in Italia. È proprio la tendenza a
costituire eserciti professionisti e permanenti di quel periodo, che desta stupore della
soluzione di Machiavelli di adottare una milizia per la crisi militare di Firenze, e
giustifica la questione dell’applicazione di questa idea. Dopo questa retrospettiva storica
ho esaminato, nel secondo capitolo, il parere di Machiavelli sugli eserciti mercenari
come risulta dalle sue opere e poi, nel terzo capitolo, ho trattato il resoconto delle
esperienze da lui avute nella sua funzione di segretario fiorentino, così come appare nei
suoi scritti. Le sue idee sulla milizia sono state esaminate sulla base del trattato
Dell’arte della guerra nel quarto capitolo. L’ultimo capitolo fornisce una risposta alla
domanda sull’utilizzabilità della milizia nella guerra del Cinquecento.
Nel Medioevo vediamo quasi lo stesso scenario in tutta l’Europa: eserciti a
carattere temporaneo, di solito piccoli e composti da nobili a cavallo assistiti dalla
fanteria. Il loro compito più importante era l’assedio delle città nemiche, difese
soprattutto dai soli cittadini. L’evoluzione verso vere battaglie richiese lo sviluppo della
fanteria, non realizzabile con la popolazione locale, e quindi entrarono negli eserciti i
primi mercenari. Durante la guerra dei Cent’anni ci furono in Francia e in Inghilterra
degli sviluppi importanti: in conseguenza dell’introduzione dell’arco e della balestra da
parte degli inglesi, l’importanza della fanteria aumentò. Queste armi richiedono infatti
un addestramento che necessita dell’impiego di eserciti più professionistici.
L’importanza della Francia in questo periodo risiede nello sviluppo di un esercito
professionista e permanente. Una legge del 1439 porta infine alle ‘compagnies
d’ordonnance’ di Carlo VII. Queste compagnie, guidate da nobili nella funzione statale,
erano composte di cavalieri, picchieri e arcieri e si potevano ampliare con un rinforzo di
milizia mobile, i cosiddetti ‘franc-archers’. La Svizzera prende durante il quindicesimo
secolo una posizione speciale in quanto ricerca la propria forza militare nell’intervento
77
massiccio e disciplinato di fanti armati di lance. Questi risultano così affermati che i
francesi sostituiranno i loro ‘franc-archers’ con quelli svizzeri.
Nell’Italia del Trecento vediamo un rapido aumento del potere delle città.
Questo sviluppo è accompagnato dalla crescita dell’alta borghesia e dalla diminuzione
della forza della nobiltà. La concorrenza reciproca tra le città e l’espansione territoriale
portano a molti scontri armati. Le truppe necessarie non possono essere composte di
cittadini e contadini, perché entrambi sono essenziali per l’economia. Anche la
discordia fra le varie fazioni nei comuni costituisce un ostacolo alla creazione di un
esercito di propri sudditi. La soluzione viene trovata nell’utilizzo su larga scala di
eserciti mercenari. I comandanti di questi eserciti, chiamati condottieri, diventarono nel
corso del quindicesimo secolo un fattore di potere sempre più importante. La loro
relazione con lo stato committente fu regolamentata in una condotta in cui furono
stabiliti fra l’altro il numero dei soldati, il compenso e la durata del rapporto di servizio.
Il potere del condottiero portava a tensione, diffidenza e dissenso fra le parti coinvolte.
Non di rado si trattava di corrompere, di schierarsi con il nemico o evitare la battaglia.
Specialmente a Venezia e a Milano si sviluppano allora condotte di lunga durata con un
unico condottiero, una situazione paragonabile a quella della Francia.
La situazione a Firenze era completamente differente. Questa città preferiva
condotte brevi con condottieri stranieri. La situazione economica e politica non era
infatti la migliore per creare un esercito di soli fiorentini, inoltre la nobiltà non svolgeva
più un ruolo direttivo e il governo non voleva condotte di lunga durata per motivi
finanziari e per timore d’influenze straniere.
Questa retrospettiva storica finisce con l’invasione, nel 1494, di Carlo VIII, che
giunge in sei mesi a Napoli senza resistenza considerevole da parte degli italiani.
Per Machiavelli la causa di questo disastro è chiara: egli addossa la colpa totalmente al
sistema militare, cioè il sistema condottiero, ed anche se nelle sue opere collega sempre
‘le legge’ e ‘le arme’, qui si concentra solamente sull’aspetto militare del problema.
Chabod considera questa opinione di Machiavelli un grande errore. Nelle sue opere più
notevoli - Il principe, I discorsi e L’arte della guerra -, Machiavelli non fa mistero della
sua avversione per i mercenari ed i loro capitani. Il Capitolo XII del Principe è, di fatto,
una scarica d’ingiurie contro i mercenari con il rimprovero duro che per loro conta
soltanto il denaro. In generale leggiamo nei suoi libri che i condottieri sono inaffidabili
e che ricercano soltanto il denaro e la propria sicurezza personale. I suoi esempi
78
risalgono altrove quasi sempre al passato, specialmente all’antichità, mentre la sua
descrizione della realtà sembra limitarsi esclusivamente alla situazione fiorentina.
Machiavelli concentra il suo sguardo specialmente sulla repubblica romana,
verosimilmente in ragione della sua formazione classica e, per quanto riguarda la sua
opinione sui mercenari, si mette al passo con gli umanisti del Trecento. Questi
seguivano Platone ed Aristotele che pure apprezzavano i mercenari per le loro qualità
militari, ma che per il resto li consideravano inaffidabili e non interessati. Gli umanisti
si erano ispirati a Vegetius quanto alla sua ammirazione per gli eserciti della repubblica
romana. Molto noti sono Francesco Petrarca e Coluccio Salutati. Questo ultimo,
cancelliere di Firenze, era il gran fautore dell’idea dell’umanesimo civile, secondo cui
l’uomo deve impegnarsi con i suoi talenti in tutti i campi per servire lo stato. Questa
idea la ritroviamo all’inizio dell’Arte della guerra, in cui Machiavelli approfondisce
l’idea del patriottismo civile che dovrebbe portare ad una devozione totale da parte dei
civili per gli affari militari dello stato.
L’approvazione per le qualità militari si trova nell’opinione di Machiavelli su
Castruccio Castracani. Nella Vita di Castruccio Castracani Machiavelli descrive la
combinazione della visione militare e politica di Castruccio. Apprezza chiaramente
l’abilità e la disciplina personale di questo condottiero e per queste ragioni lo considera
l’esempio di un uomo che ottiene il potere statale tramite le sue qualità speciali. Il suo
parere su Castruccio Castracani assomiglia a quello su Cesare Borgia, sembra infatti che
entrambi siano stati per Machiavelli modelli per ’il principe nuovo’ nel Principe.
La maggior parte degli storici ha un atteggiamento critico nei confronti di
Machiavelli quanto al suo parere sui mercenari, rinfacciandogli di avere un punto di
vista limitato. Soltanto Preston condivide le sue idee sui condottieri e sulle truppe
mercenarie. La mia opinione personale è che il suo parere, come risulta nei suoi libri, è
limitato e poco ragionato.
La trattazione di Machiavelli nei suoi libri della questione dell’accertamento
della responsabilità dell’invasione francese mi ha portato a cercare in senso più esteso
una relazione fra la sua vita e i suoi libri. A questo scopo ho scelto Il Principe, I
Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e Dell’arte della guerra.
Nel 1498, dopo la morte di Girolamo Savonarola, Machiavelli fu nominato
segretario della seconda cancelleria del governo fiorentino e anche del magistrato dei
Dieci di balia. Le esperienze in queste funzioni hanno certamente contribuito alla
formazione delle sue idee politiche e militari.
79
Già all’inizio della sua carriera è confrontato con gli aspetti negativi del
sistema condottiero, quando svolge un ruolo diplomatico nei vani tentativi per
ricuperare Pisa. Fra l’altro, nell’ambito di quest’attività, si reca in missione nel 1501
presso il re di Francia Ludovico XII. Riferimenti a queste missioni e commenti sulle
vicende si ritrovano nei libri menzionati. Fin da questo momento si preoccupa dell’idea
di un proprio esercito fiorentino per riprendere Pisa. Si ritrova questa idea nel Principe
nel suo commento sull’esercito di Cesare Borgia, che aveva fatto effetto su Machiavelli
per l’utilizzo di una milizia. Il resoconto delle sue missioni presso Cesare Borgia si può
soprattutto ritrovare nel Principe e anche nei Discorsi. Lo descrive come un vero
esempio, il principe di cui gli italiani e specialmente i fiorentini hanno bisogno.
L’opinione di Machiavelli sulla milizia si rafforzò, nel 1507, durante le sue missioni in
Germania e in Svizzera. Nel suo Rapporto delle cose della Magna si mostrava
impressionato che i tedeschi ‘tengono gli uomini loro armati ed esercitati’. Dopo la sua
missione presso Massimiliano I, però, si esprime su questo imperatore in modo non
molto lusinghiero rimproverandogli, nel Principe e nei Discorsi, volubilità e spreco.
Contrappone però il sistema politico ideale della Germania a questo corrotto dell’Italia.
Intanto, nel 1505, il gonfaloniere Piero Soderini gli aveva consentito la
formazione di una milizia e Machiavelli ci spiega ampiamente i retroscena del suo
approccio nella Cagione dell’ordinanza, mentre nelle Provvisioni stabilisce
l’applicazione della milizia fiorentina. Nei Discorsi si può leggere, in vari capitoli, una
perorazione per la milizia, mentre Dell’arte della guerra è dedicato totalmente a questo
tipo d’esercito, che è chiaramente da lui preferito. Nel contesto di questa tesi sono
importanti specialmente il proemio e i capitoli I e II, in cui Machiavelli tratta prima la
“filosofia” della milizia e poi il reclutamento, l’armamento, l’organizzazione e
l’addestramento. Verso la fine della sua carriera politica, gli spagnoli avevano
conquistato Prato. Come nel caso di Pisa, non menziona mai esplicitamente l’intervento
della milizia in quell’occasione. Approfondisce invece ampiamente le cause politiche di
questa sconfitta e il ruolo svolto da Soderini nei Discorsi, mentre nell’Arte della guerra
fa una velata allusione all’intervento poco fortunato della milizia. Si può quindi
affermare senza esagerazione che sia la vita sia le opere di Machiavelli sono pervase
dell’ossessione dell’idea di una milizia fiorentina.
La preferenza di Machiavelli per una milizia è chiara, ma quali erano le sue
idee in proposito? È logico cercarne la risposta nell’Arte della guerra, perché qui tratta
solo d’affari militari e soprattutto perché fu scritto nel 1520, e riporta quindi l’opinione
80
definitiva di Machiavelli. Inoltre è interessante paragonare il contenuto dell’Arte della
guerra con quello degli scritti che risalgono alla creazione della milizia, perché intanto
aveva acquisito esperienza presso Pisa e Prato. Mi riferisco a La cagione
dell’ordinanza, dove la si trovi, et quel che bisogna fare e Provvisioni della repubblica
di Firenze per istituire il magistrato de’ nove ufficiali dell’Ordinanza e Milizia
fiorentina.
Dell’arte della guerra fu scritto in forma di dialogo, in cui il condottiero
Fabrizio Colonna esprime l’opinione di Machiavelli. In questo modo Machiavelli
fornisce il suo trattato del sostegno di un esperto militare. Ha scritto il trattato, come si
legge nel settimo libro, per prevenire la ripetizione di un disastro come l’invasione di
Carlo VIII. Dopo aver spiegato la necessità di una milizia, nei libri I e II ne tratta
argomenti riguardanti la costituzione e la manutenzione. Nei libri dal III al VII troviamo
argomenti come la tattica, l’accampamento e le fortificazioni.
All’inizio dell’opera si trova il pensiero principale che è alla base della milizia,
cioè l’idea dell’umanesimo civile. L’ideale di Machiavelli era un cittadino che, come
nell’antichità, amava lo stato in tal modo, che voleva servirlo sia come civile sia come
militare, con la conseguenza che non sarebbe potuto più esistere un soldato di carriera.
Machiavelli riteneva che la creazione di una milizia avrebbe contribuito alla
realizzazione di questo ideale. Considerata però la situazione a Firenze, mi sembra che
Machiavelli sia stato a questo riguardo più idealista che concreto. Per i cittadini
contavano solo gli affari ed inoltre c’era una grande diffidenza fra le varie fazioni. I
contadini diffidavano dei signori della città al punto di odiarli. Ci si può chiedere se in
questa situazione l’idea dell’umanesimo civile formasse una base per la creazione di una
milizia. Machiavelli altrove non ne parla nella Cagione né in altri scritti di quel tempo.
Riguardo al reclutamento, Machiavelli si rifà all’opinione di Vegetius e sceglie
i contadini, perché sono temprati. Nella Cagione invece dà un’altra motivazione,
affermando che i cittadini sono soprattutto capaci di comandare e andare a cavallo. Il
lavoro semplice quindi c’è per i contadini. Non parla della vera ragione, la corruzione
dei cittadini. Evidentemente qui abbiamo a che fare con un ragionamento capzioso che
mira a non offendere i cittadini. Nel reclutamento preferisce i volontari seguendo
l’esempio romano, ma capisce che nel suo stato una mescolanza è inevitabile. Crede
nondimeno che sia possibile reclutare uomini in base ad un presunto sentimento
patriottico.
81
Quanto all’organizzazione, L’arte della guerra mostra grandi analogie con le
Provvisioni. Machiavelli crea un notevole indebolimento dell’autorità personale del
comandante stabilendo il divieto di nominare un conestabile che abbia rapporti
personali con la regione del suo battaglione e l’obbligo di una sostituzione annuale.
Anche la composizione dell’esercito è degna di menzione. Machiavelli chiama la
fanteria ‘il nervo dell’esercito’ e ritiene che 300 cavalieri in una brigata di 6000 fanti sia
un numero adeguato.
Per quanto riguarda l’armamento non segue completamente l’esempio romano,
ma – benché prodigo di lodi su quell’armamento – preferisce una mescolanza di armi
tedesche e romane. Questa preferenza si trova anche nella Provvisione prima per le
fanterie con una certa sopravvalutazione delle lance. Mostra invece scarso interesse per
le armi da fuoco. Nell’Arte della guerra Machiavelli presta molta attenzione
all’addestramento e sottolinea, accanto all’allenamento personale, la necessità di
esercitazioni del grande gruppo tattico. Non si trovano però i dettagli di un programma
d’addestramento, per i quali si devono leggere le Provvisioni.
In conclusione, si può affermare che il contenuto dell’Arte della guerra
corrisponda in generale agli scritti sulla milizia che precedono. In tutto il trattato però
Machiavelli prende come esempio la milizia della repubblica romana, mentre negli
scritti del periodo 1505-1512 non ne fa alcun cenno. A mio parere, così facendo egli si è
adattato al sentimento antiromano che animava Firenze. Nei suoi scritti manca anche
una chiara indicazione del suo concetto di uomo ideale devoto alla patria.
Per giudicare, accanto all’idea del cittadino ideale, l’utilizzabilità pratica della
milizia si devono studiare gli scritti sulla milizia nel periodo della sua costituzione,
soprattutto le Provvisioni. Inoltre c’è lo studio importante sulla milizia di Machiavelli
da parte di Martin Hobohm. Non è possibile esprimere un giudizio basandosi sul
rendimento della milizia, perché questo esercito non è mai stato usato in una vera
battaglia nel campo aperto. Inoltre, le prestazioni di un esercito sono sempre influenzate
da fattori che non hanno niente a che fare con la sua qualità. Importanti parametri di
giudizio sono la struttura di comando, il reclutamento, l’armamento e l’addestramento.
Machiavelli cominciò il reclutamento nel contado, perché capì che la
situazione nella città non era matura per l’applicazione del suo concetto, ma anche lì
non fu possibile reclutare solo volontari per via dell’ostilità verso la città. Il problema fu
risolto in parte con la concessione di privilegi ai soldati. In queste condizioni, però, la
82
milizia non era certamente costituita da soldati più motivati. La ripetuta diserzione può
essere considerata un’indicazione della mentalità che si era creata.
La mentalità di un esercito può essere influenzata in senso positivo dal buon
comando, ma proprio in questo campo la milizia mostrò gravi difetti. L’autorità civile
era caratterizzata da una tripartizione che non consentiva di agire energicamente e con
chiarezza, quanto alla responsabilità. Oltretutto, era prescritto che il conestabile non
potesse avere vincoli di proprietà o nascita con la regione del suo battaglione e doveva
inoltre essere sostituito ogni anno. Insomma, sembra che il governo facesse tutto il
possibile per indebolire la milizia. Ovviamente la disciplina e lo spirito di corpo ne
vennero fortemente ostacolati.
L’addestramento di un esercito non è soltanto dipendente da una buona guida e
dalla disciplina - condizioni che non vennero soddisfatte nel caso della milizia - ma
richiede anche un programma efficace. Il programma delle esercitazioni come descritto
nelle leggi (le Provvisioni, SS) e nella Cagione sembrava abbastanza impegnativo, ma il
numero d’esercitazioni dei grandi gruppi tattici fu troppo esiguo e sarebbe stato ancora
minore nel corso degli anni successivi. Il programma di addestramento dei piccoli
gruppi non fu davvero applicabile, soprattutto perché c’era la regola che il conestabile
doveva guidare di persona anche le esercitazioni di poche decine di soldati. I difetti
della milizia menzionati fino a qui e gli effetti negativi che ne derivano furono
peggiorati da un armamento, che secondo gli esperti era inadeguato.
In conclusione sono dell’opinione che la milizia di Niccolò Machiavelli, basata
sull’idea dell’umanesimo civile e organizzato e guidato secondo il modello romano, non
era in grado di svolgere un ruolo importante nella guerra del Cinquecento.
83
84
Bibliografia.
Bayley, C.C. War and society in renaissance Florence. The De Militia of Leonardo
Bruni. Toronto: University of Toronto Press, 1961.
Chabod, Federico. Scritti su Machiavelli. 1964. Torino: Einaudi, 1993.
Colish, Marcia. ‘Machiavelli’s Art of war: A reconsideration’ Renaissance Quarterly
51 (1998): 1151-68.
Dionisotti, Carlo. ‘Machiavelli, man of letters’ Machiavelli and the discourse of
literature, a cura di Albert Russell Ascoli & Victoria Kahn, traduzione di Olivia
Holmes. Ithaca: Cornell UP, 1993. 17-52.
Ferroni, Giulio. Profilo storico della letteratura italiana. 1992. Milano: Einaudi, 1997.
Gilbert, Felix. Machiavelli e Guicciardini, Pensiero politico e storiografia a Firenze nel
Cinquecento. Traduzione di Franco Salvatorelli. Torino: Giulio Einaudi, 1970.
Hale, John, R. Machiavelli and renaissance Italy. London: The English University
Press, 1961.
---. Dictionary of the Italian renaissance. 1981. London: Thames and Hudson Ltd.,
1997.
---. Renaissance war studies. London : Hambledon Press, 1983.
Guillemain, Bernard. Machiavel, L’anthropologie politique. 1972.Genève: Droz, 1977.
201-210.
Hobohm, Martin. Machiavellis Renaissance der Kriegskunst, Erster Band, Machiavellis
florentinisches Staatsheer. Berlin: Karl Curtius, 1913.
Hoffenaar, J. & Schoenmaker, B. Met de blik naar het Oosten, de Koninklijke
Landmacht
1945-1990.’s-Gravenhage: Sdu,1994.
Hörnqvist, Mikael. ‘Perché non si usa allegare i Romani: Machiavelli and the Florentine
militia of 1506’ Renaissance Quarterly 55 (2002): 148-191.
Machiavelli, Niccolò. Dell’arte della guerra, a cura di Piero Pieri. Roma: Edizioni
Roma-Anno XV, 1937.
---. Tutte le opere, a cura di Mario Martelli. Firenze: Sansoni, 1971.
---. Istorie fiorentine e altre opere storiche e politiche, a cura di Alessandro
Montevecchi. Torino: Unione tipografico, 1971.
---. De heerser, a cura di e traduzione di Frans van Dooren. Amsterdam: Athenaeum,
1976.
---. La vita di Castruccio Castracani da Lucca, a cura di Rieki Brakkee. Napoli:
Liguori, 1986.
---. Il principe. Politica e questione morale, a cura di Marcella Visconi. Colognola ai
Colli: Demetra, 1999.
85
---. Art of war, a cura di e traduzione di Christopher Lynch. Chicago: The University of
Chicago Press, 2003.
Mallett, Michiel. Mercenaries and their masters. Warfare in renaissance Italy. London:
The Bodley Head Ltd., 1974.
---. ‘The theory and practice of warfare in Machiavelli’s republic’ Machiavelli and
republicanism, a cura di Gisela Bock, Quentin Skinner & Maurizio Viroli. Cambridge:
Cambridge U P, 1990. 174-180.
---. ’De condottiere’ De wereld van de Renaissance, a cura di Eugenio Garin.
Traduzione di Babet Mossel. Amsterdam: Agon, 1991. 43-69.
---. ‘The art of war’ Handbook of European history 1400-1600, Late Middle Ages,
renaissance and reformation, a cura di Brady, Thomas, & Oberman, Heiko, & Tracy,
James. Leiden: E.J. Brill, 1994. 535-562.
Pieri, Piero. Il Rinascimento e la crisi militare italiana. Torino: Giulio Einaudi, 1952.
Prak, Maarten. ‘Burgers onder de wapenen, van de zestiende tot de achttiende eeuw’
Tijdschrift voor sociale geschiedenis 23 (1997): 1-10.
Preston, Richard, e.a. Men in Arms. A history of warfare and its interrelationship with
western society. London: Atlantic Press,1956.
Ridolfi, Roberto. Vita di Niccolò Machiavelli. 1954. Firenze: Sansoni, 1978.
Trease, Geoffrey. De huurlingen. Avontuur en hartstocht van de condottieri. Traduzione
di E.A.M. Scheltema-Vriesendorp. Bussum: Fibula –van Dishoeck, 1974.
Verrier, Frédérique. ‘Machiavelli e Fabrizio Colonna nell’Arte della guerra: il
polemologo sdoppiato’ Niccolò Machiavelli, politico storico letterato, a cura di JeanJacques Marchand. Roma: Salerno, 1996.
Viroli, Maurizio. Il sorriso di Niccolò. Storia di Machiavelli. 1998. Roma: Laterza,
2000.
86
Scarica

Milizia 7-12 - Utrecht University Repository