LIBERTÀdal Popolo Anno 2010 - Numero 1 Supplemento al numero 1/2010 dell’aprile 2010 de “L’ELMETTO” Aut. del tribunale di Cuneo n° 110 del 18 febbraio 1957 - Sped. in a.p. art. 2 comma 20/C legge 662/96 filiale di Cuneo - Dir. resp. Aldo Benevelli Realizzazione GRAPHEDIT - stampa TIP. BOVESANA Boves (CN) Nostra Madre Terra, finalmente libera, unita, gioiosa ha accolto nella sua piazza i ragazzi di mezzo mondo, folla ordinata, di lingue, divise, Paesi diversi ma fattisi magicamente unica famiglia: Primavera di nuovo fraterna! (Nella foto una di queste piazze del nord Italia (P.zza Galimberti - Cuneo)) Dopo 65 anni... Ci avviciniamo oramai al 65° anniversario della Liberazione, ma ancora non vedo lo sviluppo o la maturazione di un reale pensiero democratico. Sento sempre parlare dei diritti di questo o di quello: e i doveri di chi sono? Forse solo dei nostri Caduti ai quali avevamo promesso di creare un mondo più giusto, più morale, più onesto, più rispettoso dell’essere umano? E’ giusto cercare l’accordo con tutte le genti; però, a distanza di 65 anni dalla fine della guerra, mi pare, per esempio, che questo Friuli Venezia Giulia rimanga sempre estraneo ed estraniato da quelli che sono gli interessi che lo Stato italiano considera importanti. Eppure sono state fatte numerosissime pubblicazioni di storia non solo da parte di associazioni, forse in sospetto di parzialità, ma anche da parte di studiosi italiani e stranieri, lontani da interessi e passioni locali. Oltre alla lunga lista delle opere pubblicate dall’Associazione Volontari della Libertà di Trieste e dalla “Osoppo” del Friuli (che abbiamo cercato di far conoscere anche attraverso l’invio alle Associazioni consorelle, ma che non sembrano aver migliorato la conoscenza dei gravi problemi di questa regione dalla anomala frontiera) in questi ultimi anni sono uscite due opere molto interessanti. In particolare, una riguarda l’origine e la storia della cosiddetta Gladio e si intitola , infatti: “Gladio”:Storia di finti complotti e di veri patrioti”. I giovani studiosi, che ne sono gli autori, hanno studiato il caso, esaminato ogni possibile archivio e intervistato persone per dieci buoni anni. Ne è uscito un lavoro interessante anche per la rapida, precisa ed obiettiva presentazione dei precedenti storici, fondamentali per rendere comprensibili le ragioni del problema. Segue la storia delle Formazioni locali sorte per iniziativa di alcuni coraggiosi, sempre a difesa del territorio italiano (e che tale voleva rimanere), che successivamente ottennero anche un silenzioso appoggio da apparati pubblici ed infine, dopo la firma del trattato di pace e l’entrata dell’Italia a far parte della N.A.T.O., la nascita della struttura europea “Stand Behind” (ovverossia “Gladio”). Molto interessanti ed importanti sono naturalmente i documenti riportati in copia alla fine del volume. Perché soltanto in Italia ci fu tanto baccano attorno a questa struttura difensiva europea? Perché qualcuno si servì della sua esistenza per depistare le indagini su stragi e delitti? Perché furono messi sotto indagine i nomi di 622 persone, le quali erano state vincolate da assoluto segreto da parte dello Stato, segreto che queste persone avevano osservato con piena lealtà? Perché dopo lunghe e offensive inchieste durate anni e tanto baccano mediatico, non si è provveduto a sottolineare con altrettanto chiasso la completa onestà e lealtà di questo 622 patrioti? In ultima analisi, essi ora domandano allo Stato, che hanno servito gratuitamente e con massima serietà, che il servizio da loro prestato risulti sul loro foglio matricolare come servizio militare. La grandissima parte dei nostri Reggitori si professa europeista e la Stand Behind era una struttura difensiva europea a difesa della pace e della sicurezza dell’Europa occidentale. E’ chiaro che c’è chi rema contro, forse per i timore di mettere in luce la propria pochezza oppure perché ritiene che “passata la festa, gabbato lo santo”. L’unico ad avere il coraggio della lealtà fu il sen. Francesco Cossiga, già Presidente della Repubblica , che ringraziamo per il suo esempio. L’altro importante testo di storia è “L’Italia e il confine orientale” di Marina Cattaruzza, professore ordinario di Storia Contemporanea generale nell’Historisches Institut dell’Università di Berna. Nel corso della storia d’Italia il confine orientale fu sempre una zona di frizione e di scontro, perché confine tra due mondi e tra diverse concezioni politiche ed ideologiche, specialmente negli anni della guerra fredda, ed anche per i problemi che la fine dell’impero Austro-Ungarico lasciò in eredità. Le dittature – rosso o nere oppure di colore indefinito che fossero e che caratterizzarono il secolo scorso – non potevano che aggravare la situazione, come ci fa osservare l’accurata ricerca e la obiettività dello studio della prof. Cattaruzza, la quale sottolinea anche quali gravi conseguenze nella storia della vita delle genti, che qui vivevano, abbia avuto la sistematica debolezza dei governi italiani. Proprio per questa particolare ragione ritengo che quanto è stato indagato con accuratezza in questo testo sia di interesse per la formazione di un’opinione pubblica italiana conscia del significato di una pacificazione in una Democrazia responsabile e non schiava della demagogia, che continua ad avvelenare la nostra vita nazionale e che non corrisponde certo alle speranze che ci guidarono nella Resistenza fino alla Liberazione. Paola Del Din Carnielli, Medaglia d’oro alla Resistenza (già Presidente della FIVL) Con gli auguri per il prossimo 8 Maggio, il nostro GRAZIE A L L E PAT R I OT E D ’ I TA L I A ! DA CARRARA Chi salvò la città furono le donne ….”Ma chi volendo ricordare la storia della Resistenza apuana si limitasse a ricordare soltanto le gesta dei partigiani sui monti, non racconterebbe tutto: e dimenticherebbe forse la parte più sorprendente e più degna di passare in leggenda di questa epopea apuana, che non fu soltanto un’epopea cittadina, un’epopea di ragazzi scamiciati e di povere donne scalze, che mentre i loro uomini combattevano in montagna contro i tedeschi, combattevano in pianura contro la fame. E la battaglia per la libertà e per il pane fu una sola battaglia….” i profughi di Massa e di tutto il territorio Massese si riversarono a Carrara, dove in un certo periodo fu concentrata, tra Carraresi, Massesi e Spezzzini, una popolazione di otre centomila persone, presa nella trappola delle linee di combattimento: di fronte agli Alleati immobili che alla zona affamata non potevano inviare da lontano altro aiuto che le cannonate; intorno i tedeschi con le loro atroci rappresaglie e le loro razzie; e dietro, sulle montagne, i partigiani attaccati alla roccia. Tagliate le vie della pianura; e le cave davano marmo e non pane. Allora, CHI SALVO’ LA CITTTA’ FURONO LE DONNE. Una prima volta la salvarono il 7 luglio 1944, quando di fronte al proclama del comandante tedesco, che ordinava a tutta la popolazione civile di trasferirsi entro due giorni in provincia di PARMA come una immensa mandria di centomila capi e voleva ridurre la città di CARRARA ad un deserto di rovine saccheggiate, furono le donne, le donne inermi, che si ribellarono come furie all’ordine spietato, e, trascinandosi dietro tutta la popolazione, costrinsero il comando tedesco, atterrito dalla insurrezione, a revocare l’ordine di sgombero. Ma questa non fu la sola impresa delle donne Carraresi. Quando tra cinquecento o mille anni la nostra storia sarà passata in leggenda, la battaglia apuana che durò diciannove mesi sarà raccontata come quella in cui da una parte c’erano i tedeschi alleati con lo sterminio e con la morte, e dall’altra accanto ai partigiani della libertà, c’erano le donne instancabili e la loro pietà operosa di mogli e di madri e accanto ai partigiani e alle donne si era messo anche, come se avesse un’anima, tutto questo paesaggio, questo mare, queste strade, questi sentieri di montagna, queste pinete. Fu il mare che dette alle donne il sale, la preziosa moneta di scambio per andare ad acquistare la farina al di là dei monti… “pinete e mare si prestarono per aiutare questo popolo a sopravvivere: e le donne col loro carico di sale, si arrampicavano per gli impervi sentieri delle montagne, spesso a piedi nudi, sulle taglienti schegge di marmo e andavano in Garfagnana, in cerca di viveri….” Dopo una settimana tornavano (quelle che tornavano) sfinite, sanguinanti, dimagrite, trasfigurate, ma riportavano il loro carico di farina: quelle che tornavano; perché le vie erano mitragliate e bombardate, piene di pericolo e di disagi e di trabocchetti, e molte rimanevano per la strada, abbattute dai proiettili o dallo sfinimento, o dal gelo della montagna, o derubate al ritorno del loro carico dai predoni fascisti…..” e il pane grazie a loro arrivava alla città affamata e se questa si salvò lo si dovè all’abnegazione di queste file di formicolline umane che andavano al di là dei monti e tornavano a riportare ognuna una pagliuzza per la comunità. Per questo, anche per questo, la Provincia di Apuania ha la MEDAGLIA D’ORO……” “Staffette è un lungometraggio realizzato da Paola Sangiovanni presentato a Roma nella Giornata della Memoria il 27.1.2006. Un documento che incrocia quattro vite di ragazze di diciotto anni, soggetto di un'epopea sconosciuta riscoperta dal prezioso film.” Le donne cadute, torturate, le vedove, le mamme, le umili valligiane che ci vestirono, alloggiarono... 24 e 25 2005 aprile in Valle Pesio Il Comandante Sacchetti a Certosa ricorda le donne della “Resistenza” Per donne della Resistenza non mi limito alle attiviste, ma mi rivolgo anche alle centinaia di madri, di spose, di sorelle che furono travolte dalla ferocia nazi-fascista direttamente e indirettamente. Sono infinitamente grato alle umili donne delle nostre campagne e vallate che offrirono casa, vestiario, cibo, cure fisiche e morali a noi giovani impegnati in una impari lotta. Desidero ricordare innanzi tutto le “nostre donne che diedero la loro vita, o che furono imprigionate e torturate perché presero parte attiva alla lotta di liberazione come Staffette o Agenti del Servizio X, e le infiltrate nel nemico, particolarmente votate al sacrificio, ma rammento anche le meritevoli madri, spose e sorelle che dovettero trepidare e molte volte piangere i loro cari caduti in battaglia o catturati da un nemico feroce che non si peritò di torturare a morte i loro prigionieri. Ricordare i nomi di tutte queste eroine a sessant’anni dagli avvenimenti? Spero mi si voglia perdonare se accennerò a qualcheduna per tutte. Fra queste in primo luogo Anna Luisa Alessi fucilata a Cuneo davanti la Stazione ferroviaria nel novembre ’44 insieme al nostro Agente Garelli, Suor Carla di Villanova, ferita e decorata, Anna Maria Comandù che volle seguire nelle prigioni fasciste il marito 22enne Attilio Martinetto valoroso nostro Agente infiltrato nella Federazione Fascista di Cuneo, scoperto, imprigionato e fucilato a Cuneo il 25 2 aprile ’45; Tiziana Venturini vedova Bracciale che ebbe il coraggio con una figlioletta in braccio di 4 mesi, di cercare il suo Rocco, malgrado il divieto dei fascisti, per poi trovarlo giustiziato con un colpo alla nuca, abbandonato dietro il muro di cinta del cimitero di Cuneo; la giovane staffetta Teresa Pozzi che non dimentica l’arresto e le torture subite dal papà Luigi, estraneo alla clandestinità, ma ritenuto reo dai fascisti di avere un figlio ed una figlia tra i partigiani. La signora Piasco di Caraglio che, con un maschietto in grembo che non conobbe mai il padre, fu testimone della fucilazione del marito Damiano, nostro valoroso Agente X. La vedova Bongiovanni di Morozzo che non seppe mai il luogo di sepoltura del suo uomo “Lolli” torturato e fucilato a seguito di delazione il 9 aprile ’45 a Cavallermaggiore. Mi sia concesso di ricordare, anche se furono più fortunate perché con noi oggi festeggiano la Liberazione, le donne che operando nella clandestinità attivamente, rischiarono la propria e la vita dei loro cari, tutti i giorni, svolgendo un lavoro di intelligence che si dimostrò indispensabile per l’attività e la sopravvivenza del movimento partigiano impegnato contro un nemico super organizzato e feroce, che disponeva anche di un nutrito gruppo di spie infiltrate nelle nostre vallate. Se non avessimo potuto contare sul nostro controspionaggio, molti di noi oggi non saremmo qui ad onorare i nostri Caduti. Penso a Maria Ugliengo, a Donadio Capo Grupo di Caraglio, alla mamma di Dino Giacosa,ispettrice del Centro Mobile di Torino, a Lucia Botto che curò il collegamento con il C.L.N. di Torino, non disdegnando il trasporto di esplosivo per gli atti di sabotaggio, alla signora Revelli agente “Zasù” di San Lorenzo di Peveragno, alla qualche chi vi parla deve la vita per averlo salvato da una retata della Brigata Nera. E quante altre che catturate e offese da insulti e percosse sono testimoni viventi di rara audacia femminile, come Anita Barbero, staffetta di Formazioni consorelle (G.L.) che subì carcere e tortura, la sig.ra Cirio ved. Perlo, la prof.ssa Elsa Donadei capogruppo Q rilevata poi dall’amico Aldo Benevelli ecc.ecc.. Tornando a casa date un abbraccio da parte mia alle vostre nonne. Aldo Sacchetti Il Movimento Vicentino ha pubblicato questo opuscolo che rivela l'identità femminile nella Resistenza del territorio di Vicenza. Opera tutta da leggere! DA MONDOVÌ Con l’eroe Gigi Mellano LE DUE RAGAZZE del mese di marzo 1945 Non ci sarà facile dimenticare quelle ore angosciose che portarono alla morte l’eroe Gino Mellano, le due ragazze prigioniere delle brigate nere a Roccaforte e gli altri martiri che il piccolo paese della Valle Ellero diede alla Resistenza, come Unia di Baracco, Boffredo di Rastello, Botto di Lurisia e Bongiovanni di Roccaforte. Da oltre un mese gli uomini della brigata nera di Cuneo angariavano in ogni modo la popolazione e specialmente le famiglie dei volontari della Libertà di tutta la Valle: minacciavano e non soltanto a parole, rubavano nelle case, sottoponevano a minacce adulti e ragazzi, rastrellavano chi a loro parere era a favore dei partigiani; la vita per tutta la zona era diventata difficilissima. Il coprifuoco limitava quasi completamente lo spostamento degli abitanti con conseguente arresto di ogni commercio. Il Comando della V Divisione Vall’Ellero prese la decisione di intervenire pur calcolando i rischi che l’intervento comportava ma il Cap. Gigi sapeva che dei suoi uomini poteva fidarsi. La sera del 3 marzo l’attacco fu deciso, dopo il calar della sera, alla casa trasformata in caserma in Roccaforte. Si sapeva che, nelle cantine, i brigatisti neri tenevano prigioniere due ragazze appena diciottenni, la Biscia di ViIlanova, sorella di un partigiano, e la Martini di Roccaforte, una ragazza che aveva sempre dimostrato le sue simpatie per il lavoro dei volontari della libertà. Dalla parte anteriore della casa veniva piazzato il bren manovrato da quell’eroe indimenticabile e ammirato per il suo coraggio ed il suo sprezzo del pericolo e per il suo sorriso accattivante, che rispondeva al nome di Gino Mellano. Dalla parte posteriore, che si affacciava su un giardino, doveva attaccare un gruppetto al mio comando dopo essersi portato su un balcone del primo piano. All’ora convenuta cominciò la battaglia e i partigiani stavano per aver la meglio quando si senti uno scoppio: era quello di una bomba a mano che colpi in pieno petto Gino. Tacque il bren, la notte si fece più oscura, la partita era persa, bisognava portare in salvo il ferito e non mettere in difficoltà gli altri combattenti. Mentre a braccia si portava via Gino che perdeva molto sangue dalla ferita sul petto, pur mantenendo intatto il suo sorriso scanzonato e cercando di fare coraggio ai suoi soccorritori, cercai di far scendere nel giardino i miei uomini e aggirando la casa studiai il modo di raggiungere i miei compagni avviati verso le case di S. Lucia; sotto un portico trovai una scala, vi adagiammo il povero Gino che si lamentava debolmente: non avevamo di meglio e certamente il lungo cammino fino a S. Caterina di Villanova fu una lunghissima Via Crucis per il povero ferito poiché la mulattiera era stretta e piena di ostacoli. Gino mori in quelle ore e la medaglia d’oro al V. M. che gli venne conferita non era che la conferma di un eroismo dimostrato, in tante occasioni al mio fianco, come a Pogliola, come a Mondovi in occasione della burla del sale, ecc.. Purtroppo la strage e la sete di sangue dei neri non era terminata né soddisfatta con la morte di Gino e delle due ragazze; da parte nostra avevamo ottenuto che il distaccamento di brigatisti lasciasse Roccaforte ma la strage continuò: allontanandosi da Roccaforte portavano sui loro mezzi le due ragazze che, giunte a Magliano, si sentirono dire che erano libere e che scendessero pure dal mezzo. I brigatisti le lasciarono allontanare qualche metro in un prato quando una sventagliata di mitragliatrice le abbatteva tutte due fra l’erba. Gianni Reineri Nella notte del 25 aprile 1945 Lettera di Attilio alla moglie Anna Maria “...sono sereno, lo sarò anche davanti ai carnefici.” 24 aprile 1945 ore 24 circa dall’UPI Amore mio diletto, è mezzanotte e ancora stiamo chiacchierando allegramente. Siamo tutti cinque assieme e si scherza quasi allegramente. Come già ti ho detto è stato qui don Monge a cui ho consegnato il portafogli e gli indumenti, don Oggero, parroco di S.Ambrogio (Cappellano delle Carceri) e don Panori. Ci siamo confessati e speriamo quest’ultimo ci porti ancora la Comunione domattina. Anna Maria cara, forse tu piangerai a leggere questa mia. Se piangi per te, per il tuo avvenire troncato, passi, lo comprendo, ma se piangi per me, no! Ti sbagli. Anna Maria, nella tua ultima mi esortavi ad avere fede in Dio; non credi quanto mi senta vicino a Lui in questi momenti! La morte? Eterno spauracchio di noi mortali! Spauracchio? Si, ma per la materia, che m’importa! E cosa può la materia? Tante volte ho pensato al momento di morire. Quanto ero sciocco! Solo ora lo comprendo. Sai Anna Maria cosa rimane all’ultimo di tutto? Solo quello che è santo e puro della vita. L’affetto dei genitori (in essi tua madre), l’affetto di quanti mi vollero bene e che ora avvalori sotto un’altra luce; la luce che ti proviene dall’affetto per Dio. Amore mio, ti ho sempre amata tanto, tu lo sai, ora ti amo più che mai perché ora maggiormente si accostano i due amori, per te e per Dio. Anna Maria, forse mi dirai che potevo ben dirti altre parole di maggior conforto, lo so, ma quale conforto può essere maggiore per te se non il sapere con quanta serenità tuo marito si prepara a vedere Dio. Sono solo contento che Dio ha avuto pietà di me e ancora all’ultimo momento mi ha mandato un sacerdote. Anna Maria sapessi mai cos’è la vita vista dalla soglia dell’eternità, quale miseria, te lo posso ben dire io con quale orrore si guarda al nostro passato! Se non fosse quella stessa fede che ci fa provare simile orrore, a sostenerci, che si farebbe mai? La fede ci fa provare orrore ma nell’istante stesso, ci dice che Dio è infinitamente grande. E allora si implora la sua misericordia. Quando finalmente hai provato la sensazione della misericordia e l’hai provata con maggior fede delle altre volte, poiché sai che è l’ultima volta che Dio ti dice: “Ego te absolvo”, ecco che guardi sicuro davanti a te e non temi più! Sono sicuro che tu e mamma alle 7 pregherete quasi certamente per me, per il mio ritorno, rassegnatevi al volere di Dio, io a quell’ora penserò a voi che pregherete per me e morirò sereno. Amore mio, dal portafogli ho trattenuto la tua fotografia e quell’immagine in cartapecora che mi desti quando eri anche tu in carcere. Le ho nella tasca interna della giacca, sul cuore, saranno simbolo dell’immenso affetto per te, che mi porto nella tomba. Al dito la fede, la porto con me come ricordo di quella fede promessati quasi un anno fa e che mai ho tradito. Anche tu conservami nel cuore e soprattutto nell’anima. Prega, prega, prega tanto per me, non dubitare che io pregherò tanto per te, perché Dio ti conceda quella felicità che purtroppo io non ti ho potuto dare. Vedi che io sono sereno, spero di esserlo anche tra poco davanti ai miei carnefici, sii forte anche tu nel tuo dolore e rendi forti anche i nostri genitori. Domani forse conoscerò tuo papà. Se Dio mi vorrà con Lui, con tuo papà veglierò su te. Non ti dico addio… perché come già ti ho detto fra noi non vi è addio, resta e sii la consolazione dei nostri genitori, specie di tua madre che è sola e poi…arrivederci, il tuo Attilio QUESTI: Partigiani, deportati, internati, massacrati a Cefalonia, in Grecia, Albania... HANNO PAGATO: Libertà, Unità e Pace Grazie, Presidente Gatti Una resistenza troppo dimenticata Ha guidato la F.I.V.L. per due mesi con stile vigoroso, schivo e ottimista E’ morto una domenica di dicembre, Verdi”, al cui vertice fondativo – lo ri600.000 internati Ermes Gatti, nella sua casa di Bre- corda il nostro Statuto – stanno, L'appello del Presidente Vicario Michele Montagano da prendere sul serio. I diari e le lettere degli IMI (Internati Militari Italiani, denominazione voluta da Hitler per sottrarli alla Convenzione di Ginevra e sfruttarli liberamente) scanditi da una introduzione storica e da una prefazione di Giorgio Rochat, vanno dal viaggio verso i lager al ritorno a casa dei sopravvissuti, con un'appendice di foto e disegni. Uno spaccato tanto netto quanto duro nella misera vita nei campi di concentramento nazisti. Emerge inoltre come la scelta di non aderire - compiuta in massa da una generazione nata e cresciuta sotto il Fascismo - fu un vero atto di resistenza che contribuì al riscatto dell'Italia e degli italiani verso la democrazia e la libertà. "Per servire la Patria - scrive dal lager lo storico Vittorio Emanuele Giuntella - sono rimasto e rimarrò tra i reticolati". Quel senso di ironia che attraversa tante lettere degli internati, lo si ritrova intatto nella persona di Michele Montagano nonostante il suo status di IMI, deportato politico, schiavo di Hitler ed invalido di guerra. Il Presidente Vicario dell'Anrp,nel suo intervento, ha posto decisamente l'accento sulla volontarietà della scelta fatta dagli IMI. L'Anrp sollecita da tempo, per superare i limiti angusti della semplice rievocazione storica ed evitare di cadere in uno scadente "reducismo", l'approfondimento e la rilettura delle testimonianze dei prigionieri. "Spero soprattutto - ha detto Montagano - che una pagina di onorevole comportamento, al limite dell'eroismo, possa influire sulla educazione dei giovani e indicare loro la via dell'onore e della dignità, raggiunti a prezzo di estremi sacrifici. "II mio appello ai due storici presenti è quello di evitare che si continui a sollecitare una pruriginosa compassione per i maltrattamenti, la fame, il freddo, e le tante avversità che sono cose implicite in una prigionia e da noi volontariamente sopportate. "lo desidero che finalmente si comprenda che gli IMI non sono stati normali prigionieri, ma dei veri e propri Resistenti contro il Nazifascismo, forse i primi. Essi hanno operato un continuo sabotaggio con la determinata decisione personale, quotidiana, volontaria di soffrire nei lager e sopportare lo schiavismo hitleriano, piuttosto che aderire e collaborare" - ha concluso con orgoglio il Componente la Direzione Nazionale Anmig. scia, dove per molti anni aveva vissuto a fianco dell’amatissima moglie Gina. Faceva freddo, quella domenica, ma non nel cuore delle sue Fiamme Verdi. A riscaldarle, il ricordo e la riconoscenza che si prova per un padre, per un fratello, per uno di famiglia. “Protagonista e testimone”. Così aveva scelto di auto-definirsi, pubblicando nel 2006 il suo libro-biografia: e pochi come lui sono stati davvero protagonisti e testimoni della società bresciana, per la quale è stato certamente una guida della vita civile e un modello di concreta vocazione democratica. Da partigiano, da amministratore pubblico, ma soprattutto da presidente dell’Associazione “Fiamme Verdi”, ha condotto una vita esemplarmente ispirata ai valori per i quali aveva combattuto, con il cugino Ledi, che in quella tragedia trovò la morte, insieme a tanti “fratelli”: Milanese di nascita ma intimamente e pienamente bresciano, Ermes Gatti è stato prima di tutto uno dei giovani che, saliti sulle montagne bresciane per rispondere all’appello delle coscienze che si opponevano al fascismo e all’orrore della dittatura, combatté sul Mortirolo, in quell’eroica e durissima battaglia che vide poco più di duecento Fiamme Verdi opporsi e resistere, vittoriose, ad oltre duemila fascisti, coadiuvati dai mortai tedeschi, nella primavera del 1945. Da giovane Fiamma Verde, Ermes di impegnò nella lotta, aspra e dura, combattuta nel freddo e nelle privazioni, uno tra i tanti che, sulle montagne d’Italia, combattevano per la dignità e la libertà di tutti, sostenuti dalla solidarietà e dall’aiuto umano e cristiano delle popolazioni locali: da uomo libero, impegnò tutto se stesso perché l’Italia giungesse al perdono, ma senza l’oblio: solo la storica verità dei fatti, il riconoscimento – e finanche la denuncia – delle responsabilità del regime fascista potevano consentire all’Italia una pacificazione che era nella ragione stessa della nascita delle “Fiamme primi fra tutti, i Caduti per la Libertà. Ermes non è caduto: ma sulle sue spalle sentiva tutta la responsabilità di parlare –da protagonista e da testimone – anche in nome di quei giovani che non erano più tra noi, che avevano sacrificato ogni cosa nella speranza di un mondo nuovo, di una società migliore, di un’Italia più giusta. Egli non era, come si è detto da molte parti, solo una “instancabile voce della memoria della Resistenza”; egli era, soprattutto e prima di tutto, la testimonianza di un’urgenza non ancora del tutto risolta: l’urgenza dell’educazione alla Vita Civile e democratica di un popolo che non può – non deve – dimenticare da dove viene. L’urgenza – l’emergenza della storia del nostro più recente passato lo ha accompagnato nel suo infaticabile impegno: tra i giovani, tra gli studenti, tra le donne, tra le madri, le sorelle, gli amici e gli avversari; parlava a tutti, Ermes, portatore della sua storia e della sua testimonianza , ma anche paradigma e monito affinchè essa non si ripresentasse negli errori e meglio orrori del Fascismo e della guerra. La sua voce ci esorta ancora, sulla via della storia e della memoria. Ascoltiamolo. Agape Nulli Quilleri Presidente FF.VV. Brescia Primavera a Chiusa Pesio (CN) I tre ragazzi fucilati al cimitero rifiutaro no la benda sugli o cch i La primavera stava per finire nella natura in fiore. Ma a Chiusa Pesio qualcosa di mesto pesava sui cuori, lasciando un vuoto indicibile. Tre diciannovenni erano stati incolpati di reato militare, di diserzione. Ed il destino crudele e la morte avevano ormai segnato in fronte quei giovani entusiasti e ferventi di amor patrio. E quel mattino i tre condannati a morte, fra insulti e minacce, venivano avviati al cimitero. Guardavano il cielo che ad essi splendeva serenamente; poi chinarono il capo.... Condannati, condannati per aver tentato di sottrarsi, di ribellarsi con tutto il loro cuore di fervidi patrioti a quello che i fascisti chiamavano "ideale". Il cielo pareva sorridere loro e il canto degli uccelli dava ad essi l'ultimo addio di questa italica terra. Videro il cimitero; nei loro occhi splendenti di lacrime e tormentati dal dolore e dallo spasimo della morte passavano alcune visioni: altri giovani, figli di quest'alpe nevosa e indoma li avevano preceduti sulla strada del martirio. A quella visione conobbero la vita con tutti i suoi tormenti, le sue passioni, i suoi sacrifici. Chinarono il capo e, come quel martire del Risorgimento, dissero:- Tirem innanz-. Non vollero bende agli occhi perché non trema il giusto davanti alla condanna. Avevano una grande fede in Dio e nella patria. Fu così schierato il plotone di esecuzione; i tre martiri si guardarono negli occhi, mormorarono ancora qualche parola, forse l'ultima preghiera. E davanti al cimitero di Chiusa caddero per insegnare a qual punto di terrore è giunta la Rivoluzione odierna. Quando si sparse di tanto lutto il nome tutti chinarono la fronte e piansero amaramente. Fu pubblicato un bando che li diceva traditori. Ma chi aveva tradito? Fu negato loro l'estremo saluto, doloroso ma anche confortevole: la sepoltura. Non erano dunque essi figli d'Italia? Non erano anch'essi fiamma di redenzione e di riscossa? Per l'Italia sì. Per questa Italia divisa e calpestata, derisa e martoriata essi avevano giurato di combattere, ma caddero colpiti dai loro fratelli. Ma è forse il fascismo l'Italia? Non si può fraintendere un partito con un tutto organico, compatto, amato e sorretto che si chiama nazione. BLUOTTO, CRAVESANO, DALMASSO davanti al vostro generoso sacrificio gli Italiani gridano Presente - Voi siete caduti mentre la vita nel fulgore di sua gioventù vi attraeva e vi spingeva ad amarla. Ma la nazione, gli Italiani, i veri Italiani non hanno dimenticato il vostro olocausto. Voi non avete chiesto fiori, ma le vostre tombe ne sono continuamente adornate, non avete chiesto lacrime, ma quanti ho visto, col volto chino, scuotere il capo e lacrimare pensando a voi. Non avete chiesto preghiere, ma davanti a voi, fiori recisi dall'implacabile spada della vendetta, tutti, anche quelli che non credono in Dio, hanno pregato e pianto. Ben degni ne siete di questa prova d'onore. Non vi dimenticheremo perché siete vivi nel nostro cuore come allora, più di allora! Un osservatore dell'Alpe invitta IN T UTTA L’APUANIA TERRORE ED ATROCI STORIE MA NAS CE L’ESERCITO DEL POPOLO Immagini poetiche, storie atroci, gesti eroici della gente della nostra provincia di Massa Carrara (medaglia d’oro al valor militare), nella memoria di un grande uomo di cultura ed umanesimo prof. PIERO CALAMANDREI, poeta epico del riscatto nazionale. GUERRA DI LIBERAZIONE 1943-1945 …”In quei giorni terribili io ero qui, vicino a Marina di Massa. Questo paesaggio apuano,voi lo sapete che ci siete nati, è uno dei più belli d’Italia:forse dei più belli del mondo. Soltanto qui queste alpi di marmo, che in certi tramonti sembrano fatte di roseo fiato, si spingono a picco così vicino al mare che quasi lo toccano: e tra il mare azzurro e le montagne rosee le pinete col loro verde cupo fanno da ponte. E’ un paesaggio dal quale, in ognuno di questi componenti, spira un senso non solo di bellezza ma anche di purezza e di lindura: un quadro fatto di colori semplici e puliti, come se fossero creati appena. Ora, quando qui cominciammo a vedere arrivare i tedeschi, questo ci dette l’impressione istintiva di uno spregio fatto a questo paesaggio, come di una infezione, come di una sozzura. Voi lo ricordate quando su queste strade, lungo questo mare, cominciò a riversarsi la invasione: con quelle divise color fango, coi carri armati mimetiz- zati di macchie verdastre, parevano un’orda di batraci o rettili immondi….” …”.NASCE LA LOTTA ARMATA, TUTTA LA POPOLAZIONE VI PARTECIPA” ….”proprio pareva che tutto fosse finito. E invece tutto ricominciava: tutto ricominciava….nelle montagne un nuovo esercito si adunava, l’esercito del popolo, l’esercito partigiano: e uomini oscuri, borghesi fino a ieri, ne prendevano il comando e diventavano eroici capi. Pareva una fine , ed era un inizio: cominciava quello che da principio parve un miracolo, questo ridestarsi, questo ritrovarsi, questo esame di coscienza, questo riscatto, questa chiusura dei conti della vergogna di un ventennio. Cominciava o cittadini apuani, LA RESISTENZA…..nell’agosto del 1944 si stabilizzò proprio qui sul CINQUALE la LINEA GOTICA, tutto questo impose a questa zona terribili problemi strategici e logistici che altre zone non conobbero eguali, e dette alla RESISTENZA APUANA un volto che fra tutte la distingue, perché qui gli eroismi e i sacrifici non furono soltanto dei partigiani in armi, ma furono di tutta la popolazione civile, rinserrata tra le linee di combattimento, come in un immenso campo di concentramento, tra le mine e le cannonate, nella desolata terra di nessuno. Per questo alla Pro- vincia, unica tra le Province d’ Italia, è stata data la medaglia d’oro: a tutta la Provincia Apuana, partigiana tutta, che seppe per diciannove mesi colle sole sue forze, difendere e riconquistare giorno per giorno la sua libertà ed il suo pane….” Elogio del Comandante alleato V.R. Miller Nel grande mosaico storico del Risorgimento Italiano una “tessera” risplende luminosissima: il piccolo Stato di Massa-Carrara. Un pugno di gente laboriosa, semplice, leale, amante, più di ogni altra cosa, della libertà. Da questo minuscolo centro scoccò la scintilla che divampò in tutto il Paese portando una voce nuova, uno spirito profondo di rinnovamento che consentì, oltre un secolo fa, di iniziare e concludere trionfalmente la battaglia per l’Unità d’Italia. La gente di questo Stato, pur operando nella modestia e nell’oscurità dell’anonimo, nulla ha da invidiare, sul piano del contributo sostanziale alla lotta unitaria, alle grandi figure luminose, giganteggianti degli artefici del Risorgimento. Quello stesso afflato di ribellione ad ogni forma di oppressione quella ondata di spontaneità, quell’amore per l’Italia nel quale non si sentì mai seconda al altre Genti e ad altre terre, sono tornati più che mai vividi a risplendere nel “Secondo Risorgimento”. Nella lotta di liberazione dall’oppressore tedesco, la popolazione Apuana (unica Provincia d’Italia decorata di medaglia d’oro al V.M.) portò un contributo decisivo al successo finale. Questa piccola terra di cavatori, di lavoratori semplici e modesti fu parte determinante nella lotta contro i nazi-fascisti. Tanto che il comandante alleato V.R: Miller del Quartier Generale 442D reggimento di combattimento e di attacco AFO, 782, esercito S.U. 001-A rilasciò la seguente dichiarazione: “…. desidero replicare la dichiarazione che ho già da tempo fatta, ed è questa: non furono le truppe americane a liberare la Vostra Città: non può essere negato che la liberazione fu resa possibile solamente per lo spirito combattivo e per la organizzazione clandestina dei Partigiani Apuani; certamente se le truppe non avessero avuto l’assistenza e la preparazione del terreno dei vostri leali cittadini sarebbe stato costoso e probabilmente impossibile per le nostre truppe di avanzare lungo la costa ligure contro il nemico…..” 3 Carissimo Direttore come ben sai , a causa di una carente distribuzione libraria (il male – purtroppo – della nostra editoria), non è stato possibile, a suo tempo, divulgare il volume “Il Servizio X nella Resistenza “ che avrebbe dovuto rendere il doveroso riconoscimento ai nostri compagni la cui partecipazione, non armata ma parimenti rischiosa, alla lotta di Liberazione, poteva perdersi nel nulla grazie anche ad un inqualificabile grave silenzio voluto da coloro che vantano una inesistente “privativa” sulla Resistenza. Nel corso di quella “piacevole fatica letteraria” ci siamo spesso chiesti – con l’amico Costagli – le ragioni dei frequenti e fastidiosi “intoppi” che incontravamo, giungendo ad una comune conclusione, che pare anche la più plausibile: sino a quando a Cuneo ci sarà una gestione troppo “personalistica” del vasto patrimonio documentale sulla Resistenza, non si potranno mai sviluppare approfondite ricerche storiche sull’argomento. Non si può che auspicare, anche a Cuneo, un rapido superamento di una gestione troppo elitaria dell’importante documentazione sul movimento cuneese della Resistenza, che dovrebbe diventare, realmente, patrimonio comune da condividere con tutti coloro che hanno interesse ad accedervi. Si tratta di valorizzare il risultato di un lungo lavoro di ricerca, che si è anche giovato di donazioni private, che non può rischiare se non di essere disperso – quanto meno di restare dormiente o, comunque, di essere sottratto alla conoscenza di chi, studioso o anche semplicemente studente, con pari dignità e merito, vogliano contribuire alla ricostruzione storica del nostro passato. Resistenza non fu e non è sempre e solo Nuto Revelli, come ormai da decenni, con retorica (e noia) è ampiamente “imposta” dall’Istituto Storico ai distratti cuneesi, alle scuole e quotidiani.. Resistenza fu anche Giacosa, gli agenti del Servizio X cui lo stesso Revelli e le formazioni G.L. devono moltissimo, ma nessuno ne parla. Perché, caro Aldo? Resistenza fu anche Aceto, Dunchi, Cosa, Quaranta, Felici, Rosa, Scamozzi, Verzone, Testori, tanto per fare solo alcuni dei tanti nomi. E molti di questi hanno uguali o ben superiori meriti e Tu lo sai! Resistenza furono anche le missioni inglesi, ma nessuno ne parla. Perché? Ritengo non sia troppo tardi per rievocare una gloriosa pagina di storia – di cui anche Tu sei stato degno protagonista – per cui Ti sarei grato se pubblicassi sul tuo giornale questo mio breve intervento che ripropone in sintesi il contenuto del libro che tratta la storia del “SERVIZIO X” l’unico reparto inquadrato nel C.V.L. che ha svolto attività di Intelligence nella guerra di Liberazione, (volutamente) ignorato, purtroppo, dalla nutrita bibliografia partigiana di questi ultimi 60 anni preoccupata solo di creare falsi “miti”, travisando così gli ideali e l’autentico volto della nostra Resistenza. Con affettuosa amicizia Aldo Sacchetti NON È MAI TROPPO TARDI! “Il Servizio X, un servizio di “intelligence” che continua ad essere sconosciuto, perché?” Accogliamo la lettera dell’amico Aldo Sacchetti e gli offriamo volentieri spazio per il suo intervento. Con l’esperienza acquisita nei primi mesi di lotta nella Banda “Italia Libera” di Duccio Galimberti, all’amico Dino Giacosa apparve evidente la inderogabile necessità di creare un reparto clandestino con il preciso compito di acquisire notizie sulla consistenza militare nemica, sui rastrellamenti in programma, sulla presenza di spie e nel contempo cooperare con gli Alleati riferendo informazioni sulla dislocazione dell’esercito tedesco e sugli obiettivi militari. Il 14 gennaio del ‘44 in Cavalligi di Caraglio, durante una breve sosta del rastrellamento in Valgrana, Dino mi sottopose la sua idea. Ne fui entusiasta ed insieme redigemmo lo schema organizzativo del reparto, cui demmo il nome di SERVIZIO X. Inizialmente raccogliemmo intorno a noi i pochi amici della Valgrana che operavano di già con la Banda “Italia Libera” di Galimberti. Con il nostro successivo trasferimento in Val Pesio, il Servizio X , inquadrato nell’organico militare della Formazione del Cap. Cosa e riconosciuto dalla Missione Alleata, giunta in vallata, ramificò la propria rete di Agenti, Staffette e recapiti clandestini nel cuneese per poi estendersi rapidamente a La Segreteria, con tali stratagemmi, poteva disporre in abbondanza di timbri, carte intestate, permessi di lavoro ed autorizzazioni alla libera circolazione delle biciclette, altrimenti severamente vietata da decreti prefettizi. Particolare il contributo delle donne, sia per la consistente e valida partecipazione nel campo informativo, sia per il lavoro svolto sul piano umano nel soccorrere e curare i partigiani feriti o nell’ospitarli nei periodi di sbandamento. La maggioranza delle donne ricoprivano il delicato e rischioso ruolo di staffette recapitando messaggi e Fogli X ai destinatari attraverso posti di blocco e controlli saltuari del nemico. Altre, distintesi per coraggio e acuta percezione , assunsero posti di responsabilità, come per la signora Donadio di Caraglio che ricoprì il ruolo di Capo Gruppo ottenendo tali risultati da fare invidia agli stessi colleghi uomini. Altre donne, che non possiamo dimenticare, pur non essendo inquadrate nel Servizio, conobbero anzitempo la vedovanza in tragiche circostanze come per la Martinetto, la Piasco e la Bracciale. Purtroppo, ogni organizzazione militare, per giunta clandestina, è soggetta a subire tradimenti; ed il Servizio X non ne è rimasto immune. ad un posto di blocco per un semplice controllo subito denunciò il proprio contatto con il Cancelliere Ettore Garelli Capo gruppo di Fossano, che venne arrestato e fucilato con la conseguente cattura di Attilio Martinetto, infiltrato nell’UPI che subì analoga sorte. Le riservate relazioni personali che intercorrono in una organizzazione, specie se impegnata in una attività segreta sono particolarmente difficili e delicate, considerato l’ambiente in cui si manifestano. Dalla documentazione riportata integralmente si evidenzia oltre al cordiale ma rispettoso rapporto gerarchico, la serenità di giudizio che traspare in ogni decisione e che sta a dimostrare con quale spirito, sia pur determinato, i responsabili seppero mantenere tali rapporti. Le pagine dedicate ai Caduti sono le più toccanti. Gli avvenimenti descritti che portarono questi nostri Eroi al sacrificio supremo sono reali e comprovati da documentazione. Non vi è nulla di leggendario. A Ettore Garelli, Damiano Piasco, Sebastiano Bongioanni, Giovanni Ciocca, Attilio Martinetto, Rocco Bracciale e Marco Evangelista che affrontarono dignitosamente la morte per la Causa va tutto il nostro riconoscimento e imperitura gratitudine. Da Cantalupo Ligure La storia del soldato russo Fiodor Poletaev ucciso nella battaglia di Val Borbera Cantalupo Ligure, in Val Borbera, ha reso omaggio, come ogni anno, a Fiodor Poletaev – il partigiano “Toscano” - soldato russo morto il 2 febbraio 1945 durante la battaglia omonima. Il giovane partigiano della Pinan Cichero è l’unico straniero insignito della medaglia d’oro al valor militare e a sessantacinque anni dalla battaglia di Cantalupo, sotto la neve come nel 1945, c’è stata la commemorazione con la deposizione di una corona di fiori al monumento a lui dedicato, anche in ricordo di tutti i caduti. Tra le tante autorità presenti al palazzetto dello sport del paese da segnalare, ospiti del Sindaco di Cantalupo, il nuovo Console gen er ale della Feder azion e Russa, Evgeny Boykov, una delegazione russa capeggiata dal nipote di Fiodor, l’assessore di Riazan Elena Psareva, il Prefetto Cataldo. Ha tenuto l’orazione ufficiale l’assessore regionale Daniele BORIOLI. Le delegazione russa ha omaggiato i presenti con un dvd sulla storia di Fiodor, sul museo presente nella sua terra e le iniziative a lui dedicate. Al termine della cerimonia è stata presentata la mostra bilingue “Alpi in guerra – Alpes en guerre 1939 – 1945, realizzata nell’ambito del progetto Memoria delle Alpi e del progetto Musée de la Resistence et de la Dèportation. La mostra, in sei sezioni, mette in luce gli eventi e la memoria della guerra, dallo scoppio della Guerra tra Italia e Francia nel 1940 fino alla Resistenza, con foto e postazioni video, oltre a un documentario e un film di sei minuti. Una sezione è dedicata alla riappacificazione tra italiani e francesi con la ridefinizione delle frontiere. 4 La mostra, assai suggestiva, utilizza pannelli dal colore scialbo, proprio a voler evidenziare la dura vita delle montagne durante il periodo bellico. Il Tenente Aldo Sacchetti a colloquio con il Comandante Piero Cosa La storia del partigiano“Toscano” soldato russo morto nel 1945. Fiodor Poletaev era nato nella regione di Ryazan, in Russia, nel 1940. Operaio in un Kolchoz, nel 1939 andò in guerra nell’armata rossa e, dopo l’invasione nazista del suo paese, venne catturato dai tedeschi e mandato in Italia in un campo di concentramento, a Tortona, da dove fuggì dopo aver preso contatti con esponenti della Resistenza. Qui cominciò la sua avventura di partigiano conclusa tragicamente quel giorno di 65 anni fa, quando venne ucciso nella Battaglia di Cantalupo, poi vinta dai suoi compagni, Fiodor venne poi sepolto nel cimitero di Staglieno, a Genova. Già dall’anno seguente venne eretto un cippo in suo ricordo a Cantalupo e alcuni ex comandanti partigiani si riunirono a Serravalle per proporre la medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Ma il cognome venne letto male, e rese difficile rintracciare la sua famiglia in Russia. Solo nel 1957, grazie a Giovanni Serbantini ex compagno di Fiodor, la storia del partigiano russo venne resa nota in Unione Sovietica e fu possibile rintracciare la famiglia, invitata a Genova il 2 febbraio 1963. Da allora, ogni anno, delegazioni russe arrivano a Cantalupo per commemorare Fiodor Poletaev e dove nel 1978 venne eretto un monumento alla sua memoria. Torino ed in Liguria, raggiungendo ben presto un organico di oltre duecento affiliati. L’organico prevedeva un Comando Collegiale che si firmava Dinaldo (dalla fusione dei nostri nomi di battesimo), una Direzione composta da Aldo Viglione, Giuseppe Tosello e Amos Garelli ed una Segreteria, il cuore dell’unità, curata e diretta brillantemente da Mario Donadei, dove confluivano le informazioni destinate – dopo attento vaglio – agli interessati. Il territorio delle operazioni, suddiviso in zone chiamate Gruppi o Sotto Gruppi, erano coordinate e dirette da responsabili che gestivano la rete degli informatori, le staffette e i recapiti clandestini nel territorio di pertinenza. Per ovvi motivi di sicurezza sia le zone che gli Agenti venivano contraddistinti da pseudonimi. Gli Agenti e le staffette non si conoscevano tra di loro e contattavano i rispettivi superiori direttamente, mentre i Capi Gruppo si rivolgevano al Comando Dinaldo mediante staffette riservate a tale scopo. I documenti falsi di identità erano destinati ai partigiani che operavano in montagna, ma che dovendo svolgere contemporaneamente attività di intelligence in pianura, necessitavano di documenti da esibire ad eventuali controlli. Gli stampati autentici delle carte d’identità venivano trafugati nelle Prefetture e nei Comuni dai nostri Agenti o acquistati da Funzionari corrotti. Mondino di Margarita e Boasso di Maddalene, due personaggi di personalità diverse, il primo astuto e interessato, il secondo debole ed opportunista, riuscirono purtroppo ad inserirsi nella nostra organizzazione con tragiche conseguenze. Mondino, inquadrato ufficialmente nell’U.P.I. di Cuneo, dichiaratosi disposto a collaborare dietro compenso, riuscì in breve a conquistare la nostra fiducia, fornendo informazioni di prigionia e portando a termine due operazioni di notevole portata: la liberazione dalla prigionia della nostra staffetta Griseri ed il salvataggio di alcuni noti componenti del C.L.N. di Cuneo, destinati alla cattura. A fronte di tali servizi resi non era prevedibile il successivo tradimento del Mondino quando provocò la cattura della staffetta Bongioanni “Lolli”, poi torturato e trucidato e la denuncia di Aldo Benevelli. Capo gruppo di Cuneo, immediatamente imprigionato, malmenato e torturato , mettendo a repentaglio l’intera rete in provincia. La spiegazione di un così sconcertante comportamento del Mondino la si è avuta dalla sentenza del Tribunale di Cuneo, a fine guerra, che lo riconobbe malato di mente e lo condannò a vita nel Manicomio Militare di Aversa. Il caso Boasso si configura diversamente. Si trattava di uno squallido furfantello opportunista che mentre subiva il fascino paterno – convinto squadrista – si preoccupava di procurarsi alibi con i Patrioti in uno sporco doppio gioco. Fermato Non si possono sottacere gli episodi di ferocia dei militi della Repubblica Sociale denunciati dalle stesse autorità fasciste che tendevano a dare una parvenza di legalità al loro governo e l’episodio del Carcere Giudiziario di Alba dove vennero trucidati inermi prigionieri in attesa di giudizio ne è una prova. Tale ferocia ed illegalità sono ampiamente confermate dalle testimonianze di alcuni sopravvissuti rei per lo più di avere un congiunto in montagna o di mostrare simpatia per la Libertà. I Fogli X erano le così dette “veline”, con le quali venivano trasmesse, dopo attento vaglio, le informazioni politico-militari raccolte dagli Agenti, alle Formazioni Partigiane, al C.L.N. ed al Comando Alleato tramite le Missioni che operavano in vallata. Nei 14 mesi di attività il Servizio X ha emesso oltre 200 esemplari di detti Fogli X datati numerati e firmati, i cui contenuti danno la dimostrazione dei risultati ottenuti da questo Reparto di Intelligence d’altronde temuto ed apprezzato dallo stesso nemico ed elogiato ufficialmente dal Comando Alleato. Notizie sulla consistenza e le generalità dell’Esercito tedesco, piani di rastrellamenti predisposti dal nemico, postazioni e depositi nemici, obiettivi militari, denunce di spie e di infiltrati in zone di operazione, sono i risultati ottenuti da un pugno di volontari uomini, donne, anziani e giovani, privi di ogni professionalità spionistica, ma sostenuti da una incrollabile fede per la Causa. Aldo Sacchetti Antifascismo nell’Alto Vicentino Le genti delle vallate hanno pagato caro questo loro impegno La Divisione Partigiana Ortigara ha operato con serietà e rispetto di ogni ideologia politica Restringendo ad un territorio – campione la rigorosa e paziente ricerca del Comandate Giulio Vescovi, poi Presidente AVL Vicenza, risulta chiaro che popolazioni e formazioni resistenziali armate del succitato territorio rivelano un connubio culturale che portò le due componenti ad una alta percentuale di dignità o responsabilità patriottica. L’estensore della ricerca (pubblicata non ieri, ma nell’aprile 1976) ritiene siano accettabili nei “due periodi (antifascismo e Resistenza) sostanziali connessioni”. Passiamo decisamente al testo pubblicato, quasi come logica posfazione, in coda al volume. Resistenza nell’Alto Vicentino (prima opera storica del dott. Vescovi). RESISTENZA NELL’ALTO VICENTINO Dalla ricostruzione storica sono emersi non solo i meriti e i risultati militari conseguiti dai partigiani della Divisione “Ortigara”, ma anche le scelte ideologiche e politiche delle popolazioni montane e pedemontane vicentine, rimaste sempre fedeli ad una tradizione di vita civile, insofferenti di ogni forma di radicalismo ed estranee a qualsiasi atteggiamento fazioso. Si è pertanto ritenuto indispensabile estendere la ricerca ad un periodo che va oltre quello resistenziale per evidenziare elementi di un’opposizione sorta fin dal nascere del Fascismo e protrattasi in varie forme nel ventennale, in cui l’Italia subì la dittatura fascista. E’ risultato che i due periodi, antifascismo e Resistenza, pur distinti, hanno tra loro sostanziali nessi. L’uno si espresse come “attività prevalentemente politica prima nell’azione aperta finché furon liberi partiti e stampa, poi in quella clandestina e cospirativa”, mentre la Resistenza vera e propria fu fenomeno politico-militare, con prevalenza del secondo aspetto sul primo. Va rilevato che l’antifascismo fu quasi soltanto un fatto di élites, mentre la Resistenza ha avuto i caratteri di un movimento popolare nel senso più completo della parola. Si è riscontrato, che specie le classi più umili hanno partecipato alla lotta di Liberazione con una generosità e con uno spirito di sacrificio raramente riscontrabile in un popolo che non sia sorretto da un profondo bisogno di riscatto della propria dignità offesa e dalla volontà di recuperare quei valori umani e civili che le dittature soffocano ma non riescono a sopprimere. Per questo la Resistenza fu anche nel Vicentino un moto popolare nel senso più genuino del termine e raggiunse un alto grado di consensi e di impegno: la nuda cronaca dei fatti di quel tempo è sufficiente a metterli in risalto. Temerarie azioni di uomini, donne, giovanissimi e anziani hanno ampiamente dimostrato che gli ideali della Resistenza erano considerati patrimonio comune. Intorno alla minoranza che imbracciava il fucile, il consenso popolare espresse la sua solidarietà e la sua collaborazione in forme, che spesso superavano la generosità ed il rischio di chi viveva braccato sui monti o perseguitato nelle città e nelle campagne. Nella zona dell’ “Ortigara” le dure rappresaglie sofferte dalle popolazioni da cui potevano nascere risentimenti verso i partigiani, furono giudicate per la loro brutale logica e non come conseguenza di un comportamento dei patrioti noncurante dell’incolumità degli inermi: la difesa della Patria, quella dei beni e delle vite umane venivano considerati elementi inscindibili di un impegno globale. Gli inevitabili contrasti provocati dal confronto ideologico , sostenuto da una parte dal mondo Occidentale e dall’altra da quello Orientale, pur trasferendosi nell’ambito delle Formazioni, sono stati attenuati dal senso pratico delle genti vicentine. Se questi contrasti ebbero anche sul piano organizzativo e operativo e nella delimitazione delle zone d’influenza un certo peso, nell’interesse comune fu spesso ricomposto un equilibrio che trovava la sua ragione d’essere nei fini unitari della lotta al fascismo. Quando si afferma, da parte di certi storici, che della Resistenza soltanto gli operai ed i contadini sono stati gli artefici, si tenta di sublimarla oltre il reale. Si deve riconoscere che essa fu sostanzialmente un movimento generale, inevitabilmente composito, ideologicamente vario e quindi non monolitico, né classista. La Divisione “Ortigara” ha operato con serietà e chiarezza di intenti lungo tutto l’arco dei 20 mesi di lotta nel rispetto di ogni ideologia politica. Le genti dell’Alto Vicentino hanno pagato caro questo loro impegno. La posizione geografica del Ve- neto, la tenacia ed il coraggio dei suoi abitanti non potevano che determinarsi in uno scontro frontale con l’oppressione nazi-fascista. Le vie di accesso al territorio del terzo Reich passavano anche per il territorio vicentino. Nei piani tedeschi queste vie dovevano restare aperte per i rifornimenti del fronte italiano e per la inevitabile ritirata; i partigiani dovevano, nei piani alleati, renderle insicure. I grandi rastrellamenti del settembre 1944 non solo miravano a distruggere il potenziale operativo partigiano ma altresì a proteggere le spalle delle truppe germaniche: da qui lo scontro cruento e le tragiche conseguenze. I partigiani dovevano impedire che, rotto il fronte del Po, i tedeschi si attestassero sulla linea fortificata delle prealpi venete. Questo obiettivo fu raggiunto anche per merito dei combattenti dell’Ortigara schierati dall’Astico al Brenta. L’attrezzatura economica della zona rimase pressoché intatta; gli alleati raggiunsero i centri più importanti senza difficoltà trovandovi già in funzione i C.L.N. che fungevano da organi amministrativi e politici. Fu dato un rilevante apporto allo sforzo militare alleato, per riconoscimento concorde delle stesse missioni alleate che vissero con i partigiani dell’Alto Vicentino per lunghi mesi, dall’estate del ’44 alla Liberazione. Gli scopi generali della lotta furono perciò conseguiti. Giulio Vescovi A Ponte di Brenta (PD) sarà ricordato il 2 maggio 2010 l’anniversario della fucilazione di Boschiero Riccardino, medaglia d’oro al valor militare, fucilato il 2/5/1944 presso il cimitero di Borgo S. Dalmazzo. L’audace missione al sud di Bessone-Astengo Sono arrivati così i primi aiuti al Nord dagli Alleati La resistenza ed in particolare le Associazioni dei Combattenti della Libertà non permetteranno mai che sia dimenticato o sottovalutato il generoso apporto di genialità organizzativa e di contributi in fatiche e rischi quotidiani del compianto Prof. Giovanni Bessone nella rocambolesca “missione al Sud” con il collega Augusto Astengo, ambedue designati dal C.L.N. Piemonte su richiesta del Comando Alleato. Gli abbondanti documenti storici della “missione” annotano oltre le difficoltà dello sconfinamento (partenza da Rastello il 27 settembre 1944 accompagnati da una scorta scelta personalmente dal Cap. Piero Cosa e composta dai giovani partigiani Nino Micheletti (capo gruppo) Aldo Clerico, Luigi Mondino e Giacomo Macalli) per la presenza di numerose postazioni tedesche, anche “una certa diffidenza e dalla Special Force di Mentone, e poi di Bari. Fu la pazienza e la saggezza del Prof. Bessone a vincere le incomprensibili soste, gli interrogatori, i sospetti sul noto irrequieto giornalista canadese P.Morton associato in qualche modo alla Missione. I laboriosi contatti con decine di personaggi dei Comandi Alleati, della alta nuova dirigenza politica italiana portarono frutti concreti alla III^ Divisione Alpi del Cap. Cosa e di altre Formazioni con i primi lanci di armi, vestiario, viveri. Altri compiti di grande responsabilità furono in seguito affidati al Prof. Bessone dal P.W.B in zona francese. I disagi continui rincrudirono le sue precarie condizioni fisiche. Ma egli rifiutò l’offerta di un trasferimento immediato in U.S.A. per appropriate cure e assi- curazione di rapide riprese. Gli pareva di tradire i compagni abbandonati nel pieno della lotta. Il rientro in Italia dalla Francia , attraversando le Alpi su pericolosi sentieri di alta montagna segnò un’ altra gravosa e dolorosa avventura. L’affrontò coerente a quanto aveva scritto il 4 agosto 1944: “…al di sopra di tutte le idee e di tutte le opinioni c’è una sola bandiera…il tricolore antico dei nostri padri, il vessillo del primo Risorgimento”. Una frase forte di valore incisivo e attualissimo testamento di un personaggio schivo e umile di primissimo piano risorgimentale italiano. Giovedì 29 Aprile alle ore 20,30, presso la biblioteca, Villanova Mondovì ricorderà l’illustre concittadino il Prof. Giovanni Bessone a 100 anni dalla nascita. Castelnovo Monti ricorda i l Te n e n t e P o l l a r a comandante partigiano severo, diligente e perfino puntiglioso Essendo la sua posizione sempre più delicata, e anche minacciato di una deportazione in Germania, il 1° agosto 1944 Pollara abbandonò appena in tempo il servizio zioni partigiane” , ed in particolare presso “Eros”, “proprio per la sua dedizione alla legalità e per l’invincibile forza inquisitiva con la quale controllava interamente I due amici Tenente Pollara e il fotografo internazionale Crotti e si rifugiò presso la Villa del Conte Carlo Calvi e indi a Villa Cella, presso la canonica di don Pallai, originario di Collagna , per poi raggiungere in montagna i partigiani. In sua vece gli ultrasessantenni genitori vennero arrestati, tenuti in carcere per un mese e la loro abitazione a Campeigne venne saccheggiata. Pollara raggiunse la montagna e fu naturale la sua collocazione, per volontà e suggerimento di Marconi e Galli, al Comando della neo costituita Polizia partigiana, in cui affluirono di regola i carabinieri che avevano abbandonato la Rsi e raggiunto i partigiani. Formalmente la sua appartenenza alla Resistenza come “partigiano combattente” (nome di battaglia “Valori”) iniziò il 12 agosto 1944, e nell’ottobre dello stesso anno assunse il comando del Corpo di Polizia partigiana delle Brigate “Garibaldi” di Reggio Emilia. I problemi che doveva affrontare la Polizia partigiana erano sostanzialmente due: individuare e neutralizzare gli infiltrati e le spie che le autorità fasciste inviavano in montagna per acquisire notizie e informazioni sul movimento partigiano; individuare e reprimere delinquenti comuni che spaccandosi per partigiani, armati e talvolta mascherati, si presentavano nelle abitazioni prelevando denaro e generi alimentari, ed anche controllare singoli partigiani che, senza autorizzazione dei comandi da cui dipendevano, operavano nelle abitazioni prelievi illegali di denaro e beni. Il secondo compito era ancor più delicato e fu oggetto di scontri accesi tra le diverse anime del movimento partigiano, ed in particolare tra Pasquale Marconi (“Franceschini”) e Didimo Ferrari (“Eros”). Il primo, da montanaro autentico qual’era, recepiva in merito i malumori della gente locale, mentre Eros, estraneo alla montagna, riteneva che le superiori esigenze della Resistenza consentissero, come scrisse su La Nuova Penna Giorgio Morelli, di bussare alle porte con il calcio del fucile. Le rigorose , ma corrette metodiche di comando di Pollara suscitarono reazioni “da parte degli esponenti comunisti nelle forma- il comportamento dei reparti”. “Eros” però insisteva perché Pollara si dimettesse dal Comando della Polizia Partigiana sicché con una lettera del Comando Unico a firma di “Aldo” data 15 febbraio 1945 “Valori” venne sollevato dalla stessa data dal Comando , che venne assegnato a “Fiorello” (il vice brigadiere dei carabinieri Fioravante Ceretti di Castelnovo Monti). Il 13 marzo 1945, con nota 1.023 a firma congiunta di “Eros” e “Monti”, Pollara veniva nominato presidente della Commissione permanente di disciplina. Il 31 dello stesso mese, ad ordine “Aldo”, capo di stato maggiore delCorpo volontari della Libertà, gli venne rilasciato un “lasciapassare” al fine di passare il fronte, allora attestato sulla Linea Gotica. Il ten. Pollara era latore di un delicato documento politico, tuttora inedito e non conosciuto dai biografi di Giuseppe Dossetti, né dagli storici della DC. Il documento è dattiloscritto in cinque pagine, è datato 1° aprile 1945 ed è firmato da Giuseppe Dossetti (“Benigno”) nella sua qualità di “Delegato della DC nel Comitato di liberazione di Reggio Emilia e Pollara lo deve recapitare a Roma, come in effetti farà, ad Alcide De Gasperi. Danilo Morini ADDIO A MARIO CROTTI, FOTOGRAFO DEL NOSTRO TEMPO (D.A.) Fino a pochi mesi fa, prima di essere colpito dal male che lo ha sopraffatto nelle prime ore del 14 gennaio scorso, pur avvicinandosi a ottant’anni, ha assicurato la sua generosa e disinteressata presenza a tante manifestazioni civiche, patriottiche e del mondo cattolico. Il grande afflusso di amici e compaesani che ha caratterizzato il rito religioso di commiato celebrato nella chiesa di San Gaetano , nella sua Albinea, è stata la più evidente manifestazione della stima che ovunque Mario godeva. Vale la pena di concludere questo essenziale ricordo di Mario Crotti con le parole pronunciate da Sua Eminenza il Cardinale Coppa: “Egli rimane vivo in mezzo a noi, lasciandoci una ricchezza di esempi che non tramonteranno mai.” 5 CRONACHE E LIBRI Vittorio Arietti da Verona Da Gorizia Ci ha lasciato modesto e nell’ombra Un aprile con mostre, cerimonie ed incontri con gli studenti Gran parte dei giovani degli anni ’30 del secolo scorso era “fagocitata” ed inquadrata dalla fabbrica del consenso mussoliniana. Vittorio Arietti, nato a Garda (Verona) il primo luglio 1916 era tra questi. Volontario nella Divisione Camicie Nere “Tagliamento” in Africa Orientale, ebbe, in combattimento, una ferita da pallottola dum dum, che non si rimarginò mai completamente. Fu riconosciuto invalido di guerra e rimpatriato. Tornato a Verona si impiegò in Municipio. Alla fine degli anni ‘30 l’alleanza con la Germania di Hitler e le relative conseguenze gli fecero riconsiderare la propria posizione politica. Cominciò ad esporsi con aperte critiche al fascismo, non solo fra i suoi conoscenti ma anche nell’ambiente di lavoro. Conseguenza immediata fu la perdita dell’impiego pubblico. Dopo l’otto settembre 1943 entrò in contatto con alcuni esponenti dell’antifascismo militante e della Resistenza, fra i quali i fratelli Spaziani, gli avvocati Mutinelli e Pollorin ed altri. Entrò nella resistenza attiva, dapprima alle dirette dipendenze del CLN (Comitato Liberazione Nazionale), svolgendo attività sia militare che organizzativa e di collegamento, in particolare con Milano e la Lombardia (i suoi documenti di invalido di guerra gli garantivano un minimo di sicurezza nelle rischiose trasferte). In Val Grande ebbe un incontro con Mario Muneghina (il “capitano Mario”) e in quell’occasione partecipò alla difesa da un attacco fascista. Salvò dalla deportazione il Rabbino Friedenthal di Verona e la relativa famiglia, che pose sotto la protezione del Cardinale Shuster per il tramite del suo segretario, che ben conosceva. Frattanto si aggregò alla Banda Aquila comandata da “Rostro” Ten. Alpino Tarcisio Benetti (poi Generale in s.p.e.), partecipando a diverse azioni di sabotaggio in zona Valpolicella. Passò poi alla Brigata “Pasubio” che era comandata da “Vero” Marozzin e – allo scioglimento di questa, alla Brigata Adige. Fra i suoi “capolavori di azioni partigiane” si ricorda la liberazione dall’Ospedale Militare (dove erano trasferiti dal Carcere degli Scalzi) del Prof. Alessandro Alessandri e di sua moglie – portandosi via anche una delle guardie che arruolò tra i suoi partigiani! Per la sua attività partigiana fu decorato di due Croci al Merito di Guerra, della Medaglia di Benemerenza per i Volontari di Guerra e della nomina a sottotenente dell’Esercito. Gigi Gronich Dalla Valle Pellice e da Torino Nel 66° Anniversario della Battaglia di Pontevecchio, il Sindaco di Luserna San Giovanni, Livio Bruera, il Presidente del Comitato Val Pellice, Lorenzo Tribaldo, il Presidente ANPI, Maria Ariaudo hanno invitato Autorità, amici ed ex partigiani a ricordare l’anniversario della battaglia di Pontevecchio. E’ stato realizzato un denso programma con gli studenti: - Al mattino del 20 marzo 2010 nella Palestra Comunale – Spettacolo “La Resistenza secondo i giovani”, canzoni, lettura di testi a cura degli studenti dell’Istituto “L.B.Alberti” di Luserna S.G. e Torre Pellice; canti e letture degli alunni Scuola Elementare di Bricherasio e Luserna fraz. S.Giovanni. - Alle 11, a Pontevecchio, dopo la deposizione d’una corona al monumento ai Caduti Partigiani e Civili, ha tenuto l’orazione ufficiale il Sen. Elvio Fassone. TORINO CITTÀ 25 Aprile ore 20,30 Piazza Arbarello, Piazza Castello: fiaccolata; oratori: il Sindaco di Torino Chiamparino e il Gen. Poli; ore 9,30 Cerimonia presso il Cimitero Monumentale; BRUSCASCO Corteo da P.za Roma a P.za San Pietro, ore 10,40; Santa Messa e Commemorazione A Gorizia, tre anni fa, è stato costituito il “COMITATO PROVINCIALE, permanente, PER LA PROMOZIONE DEI VALORI della RESISTENZA e della COSTITUZIONE REPUBBLICANA”, presieduto dal Presidente dell’Amministrazione provinciale di Gorizia e costituito dalle Associazione della Resistenza, dai Comuni decorati al valor militare per la Lotta di Liberazione e dagli Istituti Regionali per la storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia. Il Comitato ha organizzato o realizzerà, nel mese di aprile, le seguenti manifestazioni e cerimonie: - “TRENO DELLA MEMORIA” il convoglio parte da Trieste, poi Gorizia, Udine e Pordenone con 800 studenti delle scuole medie superiori, che, accompagnati da ex deportati nei lagher nazisti, si recano ad Auschwitz e Berkenau in visita ai luoghi dell’inferno della Shoah. - Visite guidate per gli studenti delle scuole medie, alla Risiera di S.Sabba Trieste, unico campo di concentramento nazista in Italia. - Inaugurazione della mostra “Quando morì mio padre”. Disegni e testimonianze dei bambini dai campi di concentramento del confine orientale (19421943) - Presentazione del libro “IL DUCE HA SEMPRE RAGIONE”, il fascismo in provincia di Gorizia e nella Bassa Friulana di Luciano Patat. - Incontro con gli studenti delle scuole medie superiori ed in particolare con quelli che hanno partecipato, con il Treno della memoria, alla visita dei due lagher nazisti; questi, diventati testimoni dell’orrore dei campi di sterminio nazisti, racconteranno la loro esperienza agli altri compagni. Mario Mernì Presidente Associazione Volontari Libertà Gorizia Ricordo del Col. Aldo Vandoni Fondatore del Gruppo di Torre Canavese Caro amico Aldo, adesso che sei giunto nel Paradiso di Cantore siamo sicuri che continuerai a guidare da lassù il nostro Gruppo che hai fortemente voluto affinché viva nel clima di alpinità, onestà e fratellanza che ci ha sempre distinti. Per tutti coloro che non ti conoscevano bene vogliamo ricordare chi eri e cos’hai fatto: i tuoi meriti militari, ma anche quelli civili che ti sei guadagnato sul campo. Diplomato geometra, Aldo frequentò l’Accademia Militare di Modena. Con la Cuneense partì con il grado di Tenente per la sfortunata campagna di Russia. Tornato sano e salvo in Patria si schierò con le Forze di Liberazione. Al termine della guerra si laureò in ingegneria civile al Politecnico di Torino. Lavorò prima con le Ferrovie dello Stato, poi con il grande Enrico Mattei, costruì tutte le stazioni di servizio Agip sull’autostrada Torino-Milano, quindi cominciò la carriera di libero professionista a Torino dove smise di lavorare solo pochi anni fa. Gli furono riconosciuti molti meriti: -“Certificato al Patriota” sottoscritto dal Gen.Alexander, Comandante Supremo delle Forze Alleate nel Mediterraneo centrale; - Medaglia di Bronzo al valor militare conferita dal Presidente della Repubblica per aver partecipato al Fronte Russo nel 1943; - Medaglia d’Argento al valor militare conferita dal Presidente della Repubblica per aver militato come Partigiano ed aver contribuito efficacemente alla Liberazione dell’Italia; - Conferimento, a titolo onorifico, del grado di tenente Colonnello da parte del Gen. Di Corpo d’Armata Antonio Tambuzzo (Ministero della Difesa 1995). Gianni Reineri Angelo Bianchi da Senago - Milano Elia Martin, presidente dell’Associazione di raggruppamento delle Brigate del Popolo, ricorda l’amico partigiano Angelo Bianchi, scomparso nel 2009. Lo stesso sindaco Enrico Chiesa lo ha commemorato durante le celebrazioni del 25 aprile dello scorso anno, menzionando la sua “rocambolesca fuga dalle guardie repubblichine, tra i tetti di Senago”. Un episodio che lo stesso Bianchi amava raccontare alle scolaresche nelle visite annuali alle Scuole: “Gli piaceva – racconta Martin – colorire la storia e renderla ancora più avvincente agli occhi dei ragazzi; ma si trattò davvero di un’avventura, in cui Bianchi passò con aria indifferente davanti alle guardie che lo cercavano, per poi fuggire dal suo appartamento attraverso tetti e muriccioli, inseguito dai repubblichini accortisi tardi dell’inganno”. Al di là degli episodi avventurosi, Bianchi è ricordato come comandante del gruppo partigiano, di cui entrò a far parte dopo l’esperienza militare in Albania e la degenza in un ospedale di Rimini. “Una persona – aggiunge Martin – sempre impegnata e coraggiosa, nelle testimonianze partecipava con entusiasmo”: Oltre a lui il sodalizio (circa 30 associati oggi, tra cui ancora una decina di partigiani) ha ricordato il 19 aprile altri compagni e collaboratori scomparsi, nell’annuale “Pellegrinaggio alle tombe dei sacerdoti, animatori e costruttori di Libertà”. Tre grandiosi libri dalla Liguria. Sulle montagne con i Partigiani. una figura leggendaria di giovane prete con gli operai di Bolzaneto e poi cappellano della Divisione Garibaldina “Mingo”. Mario Savoini (Benzolo), Cosa è rimasto. Un ragazzo del circolo giovanile di Finale Ligure, poi ribelle in quell’infernale estate del ‘44 ed ora ancora più ribelle e deluso. Il motivo? Lo scempio in corso dell’Italia destinata allo spezzatino! Sono testi eccezionalmente graffianti ed invitano a cercarli, leggerli, farli leggere. Fanno capire quanto è stata preziosa la vicenda “ribelle” per i ventenni inguaiati nella miracolosa avventura della guerra alla guerra, come paura, digiuno, coraggio, rabbia, fame di libertà, odio al nazismo abbiano fatto crescere le nostre generazioni. Quarto fresco di stampa, 150 tocchi sull’uscio, gruppo di ricerca di 150 caduti di tutte le guerre (Lelio Speranza FIVL, AVL Liguria, Savona). Dalla Sicilia al quinto posto, Il ragazzo di Cremona di Pasqualino Tallarico. Appello agli amici lettori di LIBERTÀ dal POPOLO Grazie per l’entusiasmo della vostra accoglienza e fervida simpatia al nostro Numero Zero! Preghiamo ora di aiutarci anche con un modesto contributo o abbonamento di 10 euro annuali. Agli amici collaboratori chiediamo più brevità nei loro apprezzati articoli, in parte rinviati al prossimo numero costretti dal tempo tiranno e dallo spazio. 6