LIBERTÀdal Popolo
Anno 2010 - Numero 1
Supplemento al numero 1/2010 dell’aprile 2010 de “L’ELMETTO”
Aut. del tribunale di Cuneo n° 110 del 18 febbraio 1957 - Sped. in a.p. art. 2 comma 20/C legge 662/96 filiale di Cuneo - Dir. resp. Aldo Benevelli
Realizzazione GRAPHEDIT - stampa TIP. BOVESANA Boves (CN)
Nostra Madre Terra, finalmente libera, unita, gioiosa ha accolto nella sua piazza i ragazzi di mezzo mondo, folla ordinata, di lingue, divise, Paesi diversi ma fattisi magicamente unica famiglia: Primavera di nuovo fraterna! (Nella foto una di queste piazze del nord Italia (P.zza Galimberti - Cuneo))
Dopo 65 anni...
Ci avviciniamo oramai al 65° anniversario della Liberazione, ma ancora
non vedo lo sviluppo o la maturazione
di un reale pensiero democratico.
Sento sempre parlare dei diritti di
questo o di quello: e i doveri di chi
sono? Forse solo dei nostri Caduti ai
quali avevamo promesso di creare un
mondo più giusto, più morale, più
onesto, più rispettoso dell’essere
umano?
E’ giusto cercare l’accordo con tutte
le genti; però, a distanza di 65 anni
dalla fine della guerra, mi pare, per
esempio, che questo Friuli Venezia
Giulia rimanga sempre estraneo ed
estraniato da quelli che sono gli interessi che lo Stato italiano considera
importanti. Eppure sono state fatte
numerosissime pubblicazioni di storia non solo da parte di associazioni,
forse in sospetto di parzialità, ma
anche da parte di studiosi italiani e
stranieri, lontani da interessi e passioni locali.
Oltre alla lunga lista delle opere pubblicate dall’Associazione Volontari
della Libertà di Trieste e dalla
“Osoppo” del Friuli (che abbiamo cercato di far conoscere anche attraverso
l’invio alle Associazioni consorelle,
ma che non sembrano aver migliorato
la conoscenza dei gravi problemi di
questa regione dalla anomala frontiera) in questi ultimi anni sono uscite
due opere molto interessanti. In particolare, una riguarda l’origine e la
storia della cosiddetta Gladio e si intitola , infatti: “Gladio”:Storia di finti
complotti e di veri patrioti”. I giovani
studiosi, che ne sono gli autori,
hanno studiato il caso, esaminato
ogni possibile archivio e intervistato
persone per dieci buoni anni. Ne è
uscito un lavoro interessante anche
per la rapida, precisa ed obiettiva presentazione dei precedenti storici, fondamentali per rendere comprensibili
le ragioni del problema.
Segue la storia delle Formazioni locali
sorte per iniziativa di alcuni coraggiosi, sempre a difesa del territorio
italiano (e che tale voleva rimanere),
che successivamente ottennero anche
un silenzioso appoggio da apparati
pubblici ed infine, dopo la firma del
trattato di pace e l’entrata dell’Italia a
far parte della N.A.T.O., la nascita della
struttura europea “Stand Behind” (ovverossia “Gladio”). Molto interessanti
ed importanti sono naturalmente i documenti riportati in copia alla fine del
volume. Perché soltanto in Italia ci fu
tanto baccano attorno a questa struttura difensiva europea? Perché qualcuno si servì della sua esistenza per
depistare le indagini su stragi e delitti? Perché furono messi sotto indagine i nomi di 622 persone, le quali
erano state vincolate da assoluto segreto da parte dello Stato, segreto che
queste persone avevano osservato con
piena lealtà? Perché dopo lunghe e
offensive inchieste durate anni e tanto
baccano mediatico, non si è provveduto a sottolineare con altrettanto
chiasso la completa onestà e lealtà di
questo 622 patrioti? In ultima analisi,
essi ora domandano allo Stato, che
hanno servito gratuitamente e con
massima serietà, che il servizio da
loro prestato risulti sul loro foglio matricolare come servizio militare. La
grandissima parte dei nostri Reggitori
si professa europeista e la Stand Behind era una struttura difensiva europea a difesa della pace e della
sicurezza dell’Europa occidentale. E’
chiaro che c’è chi rema contro, forse
per i timore di mettere in luce la propria pochezza oppure perché ritiene
che “passata la festa, gabbato lo
santo”. L’unico ad avere il coraggio
della lealtà fu il sen. Francesco Cossiga, già Presidente della Repubblica ,
che ringraziamo per il suo esempio.
L’altro importante testo di storia è
“L’Italia e il confine orientale” di Marina Cattaruzza, professore ordinario
di Storia Contemporanea generale nell’Historisches Institut dell’Università
di Berna. Nel corso della storia d’Italia il confine orientale fu sempre una
zona di frizione e di scontro, perché
confine tra due mondi e tra diverse
concezioni politiche ed ideologiche,
specialmente negli anni della guerra
fredda, ed anche per i problemi che la
fine dell’impero Austro-Ungarico lasciò in eredità. Le dittature – rosso o
nere oppure di colore indefinito che
fossero e che caratterizzarono il secolo scorso – non potevano che aggravare la situazione, come ci fa
osservare l’accurata ricerca e la obiettività dello studio della prof. Cattaruzza, la quale sottolinea anche quali
gravi conseguenze nella storia della
vita delle genti, che qui vivevano,
abbia avuto la sistematica debolezza
dei governi italiani. Proprio per questa
particolare ragione ritengo che quanto
è stato indagato con accuratezza in
questo testo sia di interesse per la formazione di un’opinione pubblica italiana conscia del significato di una
pacificazione in una Democrazia responsabile e non schiava della demagogia, che continua ad avvelenare la
nostra vita nazionale e che non corrisponde certo alle speranze che ci guidarono nella Resistenza fino alla
Liberazione.
Paola Del Din Carnielli, Medaglia d’oro
alla Resistenza (già Presidente della FIVL)
Con gli auguri per il prossimo 8 Maggio, il nostro GRAZIE
A L L E PAT R I OT E D ’ I TA L I A !
DA CARRARA
Chi salvò la città furono le donne
….”Ma chi volendo ricordare la
storia della Resistenza apuana si
limitasse a ricordare soltanto le
gesta dei partigiani sui monti,
non racconterebbe tutto: e dimenticherebbe forse la parte più
sorprendente e più degna di passare in leggenda di questa epopea
apuana, che non fu soltanto
un’epopea cittadina, un’epopea di
ragazzi scamiciati e di povere
donne scalze, che mentre i loro
uomini combattevano in montagna contro i tedeschi, combattevano in pianura contro la fame. E
la battaglia per la libertà e per il
pane fu una sola battaglia….” i
profughi di Massa e di tutto il territorio Massese si riversarono a
Carrara, dove in un certo periodo
fu concentrata, tra Carraresi,
Massesi e Spezzzini, una popolazione di otre centomila persone,
presa nella trappola delle linee di
combattimento: di fronte agli Alleati immobili che alla zona affamata non potevano inviare da
lontano altro aiuto che le cannonate; intorno i tedeschi con le
loro atroci rappresaglie e le loro
razzie; e dietro, sulle montagne, i
partigiani attaccati alla roccia. Tagliate le vie della pianura; e le
cave davano marmo e non pane.
Allora, CHI SALVO’ LA CITTTA’
FURONO LE DONNE.
Una prima volta la salvarono il 7
luglio 1944, quando di fronte al
proclama del comandante tedesco, che ordinava a tutta la popolazione civile di trasferirsi entro
due giorni in provincia di PARMA
come una immensa mandria di
centomila capi e voleva ridurre la
città di CARRARA ad un deserto
di rovine saccheggiate, furono le
donne, le donne inermi, che si ribellarono come furie all’ordine
spietato, e, trascinandosi dietro
tutta la popolazione, costrinsero
il comando tedesco, atterrito
dalla insurrezione, a revocare
l’ordine di sgombero.
Ma questa non fu la sola impresa
delle donne Carraresi. Quando tra
cinquecento o mille anni la nostra storia sarà passata in leggenda, la battaglia apuana che
durò diciannove mesi sarà raccontata come quella in cui da
una parte c’erano i tedeschi alleati con lo sterminio e con la
morte, e dall’altra accanto ai partigiani della libertà, c’erano le
donne instancabili e la loro pietà
operosa di mogli e di madri e accanto ai partigiani e alle donne si
era messo anche, come se avesse
un’anima, tutto questo paesaggio, questo mare, queste strade,
questi sentieri di montagna, queste pinete. Fu il mare che dette
alle donne il sale, la preziosa moneta di scambio per andare ad acquistare la farina al di là dei
monti… “pinete e mare si prestarono per aiutare questo popolo a
sopravvivere: e le donne col loro
carico di sale, si arrampicavano
per gli impervi sentieri delle montagne, spesso a piedi nudi, sulle
taglienti schegge di marmo e andavano in Garfagnana, in cerca di
viveri….” Dopo una settimana
tornavano (quelle che tornavano)
sfinite, sanguinanti, dimagrite,
trasfigurate, ma riportavano il
loro carico di farina: quelle che
tornavano; perché le vie erano
mitragliate e bombardate, piene
di pericolo e di disagi e di trabocchetti, e molte rimanevano per la
strada, abbattute dai proiettili o
dallo sfinimento, o dal gelo della
montagna, o derubate al ritorno
del loro carico dai predoni fascisti…..” e il pane grazie a loro arrivava alla città affamata e se
questa si salvò lo si dovè all’abnegazione di queste file di formicolline umane che andavano al di
là dei monti e tornavano a riportare ognuna una pagliuzza per la
comunità.
Per questo, anche per questo, la
Provincia di Apuania ha la MEDAGLIA D’ORO……”
“Staffette è un lungometraggio realizzato da Paola Sangiovanni presentato a Roma
nella Giornata della Memoria
il 27.1.2006. Un documento
che incrocia quattro vite di
ragazze di diciotto anni, soggetto di un'epopea sconosciuta riscoperta dal prezioso
film.”
Le donne cadute, torturate, le vedove, le mamme, le umili
valligiane che ci vestirono, alloggiarono...
24 e 25 2005 aprile in Valle
Pesio Il Comandante Sacchetti
a Certosa ricorda le donne della
“Resistenza”
Per donne della Resistenza non mi
limito alle attiviste, ma mi rivolgo
anche alle centinaia di madri, di
spose, di sorelle che furono travolte
dalla ferocia nazi-fascista direttamente e indirettamente. Sono infinitamente grato alle umili donne delle
nostre campagne e vallate che offrirono casa, vestiario, cibo, cure fisiche e morali a noi giovani impegnati
in una impari lotta.
Desidero ricordare innanzi tutto le
“nostre donne che diedero la loro
vita, o che furono imprigionate e torturate perché presero parte attiva
alla lotta di liberazione come Staffette o Agenti del Servizio X, e le infiltrate nel nemico, particolarmente
votate al sacrificio, ma rammento
anche le meritevoli madri, spose e
sorelle che dovettero trepidare e
molte volte piangere i loro cari caduti in battaglia o catturati da un nemico feroce che non si peritò di
torturare a morte i loro prigionieri.
Ricordare i nomi di tutte queste
eroine a sessant’anni dagli avvenimenti? Spero mi si voglia perdonare
se accennerò a qualcheduna per
tutte. Fra queste in primo luogo
Anna Luisa Alessi fucilata a Cuneo
davanti la Stazione ferroviaria nel
novembre ’44 insieme al nostro
Agente Garelli, Suor Carla di Villanova, ferita e decorata, Anna Maria
Comandù che volle seguire nelle prigioni fasciste il marito 22enne Attilio Martinetto valoroso nostro
Agente infiltrato nella Federazione
Fascista di Cuneo, scoperto, imprigionato e fucilato a Cuneo il 25
2
aprile ’45; Tiziana Venturini vedova
Bracciale che ebbe il coraggio con
una figlioletta in braccio di 4 mesi,
di cercare il suo Rocco, malgrado il
divieto dei fascisti, per poi trovarlo
giustiziato con un colpo alla nuca,
abbandonato dietro il muro di cinta
del cimitero di Cuneo; la giovane
staffetta Teresa Pozzi che non dimentica l’arresto e le torture subite
dal papà Luigi, estraneo alla clandestinità, ma ritenuto reo dai fascisti
di avere un figlio ed una figlia tra i
partigiani. La signora Piasco di Caraglio che, con un maschietto in
grembo che non conobbe mai il
padre, fu testimone della fucilazione
del marito Damiano, nostro valoroso Agente X. La vedova Bongiovanni di Morozzo che non seppe mai
il luogo di sepoltura del suo uomo
“Lolli” torturato e fucilato a seguito
di delazione il 9 aprile ’45 a Cavallermaggiore.
Mi sia concesso di ricordare, anche
se furono più fortunate perché con
noi oggi festeggiano la Liberazione,
le donne che operando nella clandestinità attivamente, rischiarono la
propria e la vita dei loro cari, tutti i
giorni, svolgendo un lavoro di intelligence che si dimostrò indispensabile per l’attività e la sopravvivenza
del movimento partigiano impegnato contro un nemico super organizzato e feroce, che disponeva
anche di un nutrito gruppo di spie
infiltrate nelle nostre vallate. Se non
avessimo potuto contare sul nostro
controspionaggio, molti di noi oggi
non saremmo qui ad onorare i nostri Caduti. Penso a Maria Ugliengo,
a Donadio Capo Grupo di Caraglio,
alla mamma di Dino Giacosa,ispettrice del Centro Mobile di Torino, a
Lucia Botto che curò il collegamento con il C.L.N. di Torino, non
disdegnando il trasporto di esplosivo per gli atti di sabotaggio, alla signora Revelli agente “Zasù” di San
Lorenzo di Peveragno, alla qualche
chi vi parla deve la vita per averlo
salvato da una retata della Brigata
Nera.
E quante altre che catturate e offese
da insulti e percosse sono testimoni
viventi di rara audacia femminile,
come Anita Barbero, staffetta di Formazioni consorelle (G.L.) che subì
carcere e tortura, la sig.ra Cirio ved.
Perlo, la prof.ssa Elsa Donadei capogruppo Q rilevata poi dall’amico
Aldo Benevelli ecc.ecc.. Tornando a
casa date un abbraccio da parte mia
alle vostre nonne.
Aldo Sacchetti
Il Movimento Vicentino ha
pubblicato questo opuscolo
che rivela l'identità femminile
nella Resistenza del territorio
di Vicenza.
Opera tutta da leggere!
DA MONDOVÌ
Con l’eroe Gigi Mellano
LE DUE RAGAZZE
del mese di marzo 1945
Non ci sarà facile dimenticare quelle ore
angosciose che portarono alla morte
l’eroe Gino Mellano, le due ragazze prigioniere delle brigate nere a Roccaforte e
gli altri martiri che il piccolo paese della
Valle Ellero diede alla Resistenza, come
Unia di Baracco, Boffredo di Rastello,
Botto di Lurisia e Bongiovanni di Roccaforte.
Da oltre un mese gli uomini della brigata
nera di Cuneo angariavano in ogni modo
la popolazione e specialmente le famiglie dei volontari della Libertà di tutta la
Valle: minacciavano e non soltanto a parole, rubavano nelle case, sottoponevano a minacce adulti e ragazzi,
rastrellavano chi a loro parere era a favore dei partigiani; la vita per tutta la
zona era diventata difficilissima.
Il coprifuoco limitava quasi completamente lo spostamento degli abitanti con
conseguente arresto di ogni commercio.
Il Comando della V Divisione Vall’Ellero
prese la decisione di intervenire pur calcolando i rischi che l’intervento comportava ma il Cap. Gigi sapeva che dei
suoi uomini poteva fidarsi. La sera del 3
marzo l’attacco fu deciso, dopo il calar
della sera, alla casa trasformata in caserma in Roccaforte. Si sapeva che,
nelle cantine, i brigatisti neri tenevano
prigioniere due ragazze appena diciottenni, la Biscia di ViIlanova, sorella di
un partigiano, e la Martini di Roccaforte, una ragazza che aveva sempre dimostrato le sue simpatie per il lavoro
dei volontari della libertà.
Dalla parte anteriore della casa veniva
piazzato il bren manovrato da quell’eroe
indimenticabile e ammirato per il suo
coraggio ed il suo sprezzo del pericolo e
per il suo sorriso accattivante, che rispondeva al nome di Gino Mellano. Dalla
parte posteriore, che si affacciava su un
giardino, doveva attaccare un gruppetto
al mio comando dopo essersi portato su
un balcone del primo piano.
All’ora convenuta cominciò la battaglia
e i partigiani stavano per aver la meglio
quando si senti uno scoppio: era quello
di una bomba a mano che colpi in pieno
petto Gino. Tacque il bren, la notte si
fece più oscura, la partita era persa, bisognava portare in salvo il ferito e non
mettere in difficoltà gli altri combattenti.
Mentre a braccia si portava via Gino che
perdeva molto sangue dalla ferita sul
petto, pur mantenendo intatto il suo sorriso scanzonato e cercando di fare coraggio ai suoi soccorritori, cercai di far
scendere nel giardino i miei uomini e aggirando la casa studiai il modo di raggiungere i miei compagni avviati verso le
case di S. Lucia; sotto un portico trovai
una scala, vi adagiammo il povero Gino
che si lamentava debolmente: non avevamo di meglio e certamente il lungo
cammino fino a S. Caterina di Villanova
fu una lunghissima Via Crucis per il povero ferito poiché la mulattiera era
stretta e piena di ostacoli.
Gino mori in quelle ore e la medaglia
d’oro al V. M. che gli venne conferita non
era che la conferma di un eroismo dimostrato, in tante occasioni al mio
fianco, come a Pogliola, come a Mondovi in occasione della burla del sale,
ecc..
Purtroppo la strage e la sete di sangue
dei neri non era terminata né soddisfatta
con la morte di Gino e delle due ragazze;
da parte nostra avevamo ottenuto che il
distaccamento di brigatisti lasciasse
Roccaforte ma la strage continuò: allontanandosi da Roccaforte portavano sui
loro mezzi le due ragazze che, giunte a
Magliano, si sentirono dire che erano libere e che scendessero pure dal mezzo.
I brigatisti le lasciarono allontanare
qualche metro in un prato quando una
sventagliata di mitragliatrice le abbatteva tutte due fra l’erba.
Gianni Reineri
Nella notte del 25 aprile 1945
Lettera di Attilio alla moglie Anna Maria
“...sono sereno, lo sarò anche davanti ai carnefici.”
24 aprile 1945 ore 24 circa dall’UPI
Amore mio diletto,
è mezzanotte e ancora stiamo chiacchierando allegramente. Siamo tutti cinque assieme e si scherza quasi allegramente.
Come già ti ho detto è stato qui don Monge
a cui ho consegnato il portafogli e gli indumenti, don Oggero, parroco di S.Ambrogio
(Cappellano delle Carceri) e don Panori. Ci
siamo confessati e speriamo quest’ultimo
ci porti ancora la Comunione domattina.
Anna Maria cara, forse tu piangerai a leggere questa mia. Se piangi per te, per il tuo
avvenire troncato, passi, lo comprendo, ma
se piangi per me, no! Ti sbagli. Anna Maria,
nella tua ultima mi esortavi ad avere fede
in Dio; non credi quanto mi senta vicino a
Lui in questi momenti! La morte? Eterno
spauracchio di noi mortali! Spauracchio?
Si, ma per la materia, che m’importa! E
cosa può la materia?
Tante volte ho pensato al momento di morire. Quanto ero sciocco! Solo ora lo comprendo. Sai Anna Maria cosa rimane
all’ultimo di tutto? Solo quello che è santo
e puro della vita. L’affetto dei genitori (in
essi tua madre), l’affetto di quanti mi vollero bene e che ora avvalori sotto un’altra
luce; la luce che ti proviene dall’affetto per
Dio. Amore mio, ti ho sempre amata tanto,
tu lo sai, ora ti amo più che mai perché ora
maggiormente si accostano i due amori,
per te e per Dio. Anna Maria, forse mi dirai
che potevo ben dirti altre parole di maggior
conforto, lo so, ma quale conforto può essere maggiore per te se non il sapere con
quanta serenità tuo marito si prepara a vedere Dio. Sono solo contento che Dio ha
avuto pietà di me e ancora all’ultimo momento mi ha mandato un sacerdote. Anna
Maria sapessi mai cos’è la vita vista dalla
soglia dell’eternità, quale miseria, te lo
posso ben dire io con quale orrore si
guarda al nostro passato! Se non fosse
quella stessa fede che ci fa provare simile
orrore, a sostenerci, che si farebbe mai? La
fede ci fa provare orrore ma nell’istante
stesso, ci dice che Dio è infinitamente
grande. E allora si implora la sua misericordia. Quando finalmente hai provato la
sensazione della misericordia e l’hai provata con maggior fede delle altre volte, poiché sai che è l’ultima volta che Dio ti dice:
“Ego te absolvo”, ecco che guardi sicuro
davanti a te e non temi più! Sono sicuro
che tu e mamma alle 7 pregherete quasi
certamente per me, per il mio ritorno, rassegnatevi al volere di Dio, io a quell’ora
penserò a voi che pregherete per me e morirò sereno. Amore mio, dal portafogli ho
trattenuto la tua fotografia e quell’immagine in cartapecora che mi desti quando eri
anche tu in carcere. Le ho nella tasca interna della giacca, sul cuore, saranno simbolo dell’immenso affetto per te, che mi
porto nella tomba. Al dito la fede, la porto
con me come ricordo di quella fede promessati quasi un anno fa e che mai ho tradito. Anche tu conservami nel cuore e
soprattutto nell’anima.
Prega, prega, prega tanto per me, non dubitare che io pregherò tanto per te, perché
Dio ti conceda quella felicità che purtroppo
io non ti ho potuto dare. Vedi che io sono
sereno, spero di esserlo anche tra poco davanti ai miei carnefici, sii forte anche tu nel
tuo dolore e rendi forti anche i nostri genitori. Domani forse conoscerò tuo papà. Se
Dio mi vorrà con Lui, con tuo papà veglierò
su te. Non ti dico addio… perché come già
ti ho detto fra noi non vi è addio, resta e sii
la consolazione dei nostri genitori, specie
di tua madre che è sola e poi…arrivederci,
il tuo Attilio
QUESTI: Partigiani, deportati, internati,
massacrati a Cefalonia, in Grecia, Albania...
HANNO PAGATO: Libertà, Unità e Pace
Grazie, Presidente Gatti
Una resistenza
troppo dimenticata Ha guidato la F.I.V.L. per due mesi con stile vigoroso, schivo e ottimista
E’ morto una domenica di dicembre, Verdi”, al cui vertice fondativo – lo ri600.000 internati
Ermes Gatti, nella sua casa di Bre- corda il nostro Statuto – stanno,
L'appello del Presidente Vicario Michele Montagano da prendere sul
serio.
I diari e le lettere degli IMI (Internati Militari Italiani, denominazione voluta da Hitler per sottrarli
alla Convenzione di Ginevra e sfruttarli liberamente) scanditi da una
introduzione storica e da una prefazione di Giorgio Rochat, vanno
dal viaggio verso i lager al ritorno a
casa dei sopravvissuti, con un'appendice di foto e disegni. Uno spaccato tanto netto quanto duro nella
misera vita nei campi di concentramento nazisti.
Emerge inoltre come la scelta di
non aderire - compiuta in massa da
una generazione nata e cresciuta
sotto il Fascismo - fu un vero atto
di resistenza che contribuì al riscatto dell'Italia e degli italiani
verso la democrazia e la libertà.
"Per servire la Patria - scrive dal
lager lo storico Vittorio Emanuele
Giuntella - sono rimasto e rimarrò
tra i reticolati".
Quel senso di ironia che attraversa
tante lettere degli internati, lo si ritrova intatto nella persona di Michele Montagano nonostante il suo
status di IMI, deportato politico,
schiavo di Hitler ed invalido di
guerra.
Il Presidente Vicario dell'Anrp,nel
suo intervento, ha posto decisamente l'accento sulla volontarietà
della scelta fatta dagli IMI.
L'Anrp sollecita da tempo, per superare i limiti angusti della semplice rievocazione storica ed
evitare di cadere in uno scadente
"reducismo", l'approfondimento e
la rilettura delle testimonianze dei
prigionieri.
"Spero soprattutto - ha detto Montagano - che una pagina di onorevole comportamento, al limite
dell'eroismo, possa influire sulla
educazione dei giovani e indicare
loro la via dell'onore e della dignità,
raggiunti a prezzo di estremi sacrifici.
"II mio appello ai due storici presenti è quello di evitare che si continui a sollecitare una pruriginosa
compassione per i maltrattamenti,
la fame, il freddo, e le tante avversità che sono cose implicite in una
prigionia e da noi volontariamente
sopportate.
"lo desidero che finalmente si comprenda che gli IMI non sono stati
normali prigionieri, ma dei veri e
propri Resistenti contro il Nazifascismo, forse i primi.
Essi hanno operato un continuo
sabotaggio con la determinata decisione personale, quotidiana, volontaria di soffrire nei lager e
sopportare lo schiavismo hitleriano, piuttosto che aderire e collaborare" - ha concluso con orgoglio
il Componente la Direzione Nazionale Anmig.
scia, dove per molti anni aveva vissuto a fianco dell’amatissima moglie
Gina. Faceva freddo, quella domenica, ma non nel cuore delle sue
Fiamme Verdi. A riscaldarle, il ricordo e la riconoscenza che si prova
per un padre, per un fratello, per uno
di famiglia.
“Protagonista e testimone”. Così
aveva scelto di auto-definirsi, pubblicando nel 2006 il suo libro-biografia:
e pochi come lui sono stati davvero
protagonisti e testimoni della società
bresciana, per la quale è stato certamente una guida della vita civile e un
modello di concreta vocazione democratica. Da partigiano, da amministratore pubblico, ma soprattutto da
presidente dell’Associazione
“Fiamme Verdi”, ha condotto una vita
esemplarmente ispirata ai valori per
i quali aveva combattuto, con il cugino Ledi, che in quella tragedia trovò
la morte, insieme a tanti “fratelli”:
Milanese di nascita ma intimamente
e pienamente bresciano, Ermes Gatti
è stato prima di tutto uno dei giovani
che, saliti sulle montagne bresciane
per rispondere all’appello delle coscienze che si opponevano al fascismo e all’orrore della dittatura,
combatté sul Mortirolo, in quell’eroica e durissima battaglia che vide
poco più di duecento Fiamme Verdi
opporsi e resistere, vittoriose, ad
oltre duemila fascisti, coadiuvati dai
mortai tedeschi, nella primavera del
1945. Da giovane Fiamma Verde,
Ermes di impegnò nella lotta, aspra
e dura, combattuta nel freddo e nelle
privazioni, uno tra i tanti che, sulle
montagne d’Italia, combattevano per
la dignità e la libertà di tutti, sostenuti dalla solidarietà e dall’aiuto
umano e cristiano delle popolazioni
locali: da uomo libero, impegnò tutto
se stesso perché l’Italia giungesse al
perdono, ma senza l’oblio: solo la
storica verità dei fatti, il riconoscimento – e finanche la denuncia –
delle responsabilità del regime fascista potevano consentire all’Italia una
pacificazione che era nella ragione
stessa della nascita delle “Fiamme
primi fra tutti, i Caduti per la Libertà.
Ermes non è caduto: ma sulle sue
spalle sentiva tutta la responsabilità di
parlare –da protagonista e da testimone – anche in nome di quei giovani
che non erano più tra noi, che avevano
sacrificato ogni cosa nella speranza di
un mondo nuovo, di una società migliore, di un’Italia più giusta.
Egli non era, come si è detto da molte
parti, solo una “instancabile voce
della memoria della Resistenza”; egli
era, soprattutto e prima di tutto, la testimonianza di un’urgenza non ancora del tutto risolta: l’urgenza
dell’educazione alla Vita Civile e democratica di un popolo che non può
– non deve – dimenticare da dove
viene.
L’urgenza – l’emergenza della storia
del nostro più recente passato lo ha
accompagnato nel suo infaticabile
impegno: tra i giovani, tra gli studenti, tra le donne, tra le madri, le sorelle, gli amici e gli avversari; parlava
a tutti, Ermes, portatore della sua
storia e della sua testimonianza , ma
anche paradigma e monito affinchè
essa non si ripresentasse negli errori
e meglio orrori del Fascismo e della
guerra.
La sua voce ci esorta ancora, sulla via
della storia e della memoria.
Ascoltiamolo.
Agape Nulli Quilleri
Presidente FF.VV. Brescia
Primavera a Chiusa Pesio (CN)
I tre ragazzi fucilati al cimitero
rifiutaro no la benda sugli o cch i
La primavera stava per finire
nella natura in fiore. Ma a
Chiusa Pesio qualcosa di
mesto pesava sui cuori, lasciando un vuoto indicibile.
Tre diciannovenni erano stati
incolpati di reato militare, di
diserzione. Ed il destino crudele e la morte avevano ormai
segnato in fronte quei giovani
entusiasti e ferventi di amor
patrio. E quel mattino i tre
condannati a morte, fra insulti e minacce, venivano avviati al cimitero. Guardavano
il cielo che ad essi splendeva
serenamente; poi chinarono il
capo....
Condannati, condannati per
aver tentato di sottrarsi, di ribellarsi con tutto il loro cuore
di fervidi patrioti a quello che
i fascisti chiamavano "ideale".
Il cielo pareva sorridere loro e
il canto degli uccelli dava ad
essi l'ultimo addio di questa
italica terra. Videro il cimitero; nei loro occhi splendenti
di lacrime e tormentati dal dolore e dallo spasimo della
morte passavano alcune visioni: altri giovani, figli di
quest'alpe nevosa e indoma li
avevano
preceduti
sulla
strada del martirio.
A quella visione conobbero la
vita con tutti i suoi tormenti,
le sue passioni, i suoi sacrifici. Chinarono il capo e, come
quel martire del Risorgimento, dissero:- Tirem innanz-. Non vollero bende agli
occhi perché non trema il giusto davanti alla condanna.
Avevano una grande fede in
Dio e nella patria. Fu così
schierato il plotone di esecuzione; i tre martiri si guardarono
negli
occhi,
mormorarono ancora qualche
parola, forse l'ultima preghiera. E davanti al cimitero
di Chiusa caddero per insegnare a qual punto di terrore
è
giunta
la
Rivoluzione
odierna. Quando si sparse di
tanto lutto il nome tutti chinarono la fronte e piansero
amaramente.
Fu pubblicato un bando che li
diceva traditori. Ma chi aveva
tradito?
Fu
negato
loro
l'estremo saluto, doloroso ma
anche confortevole: la sepoltura. Non erano dunque essi
figli d'Italia? Non erano anch'essi fiamma di redenzione
e di riscossa? Per l'Italia sì.
Per questa Italia divisa e calpestata, derisa e martoriata
essi avevano giurato di combattere, ma caddero colpiti
dai loro fratelli. Ma è forse il
fascismo l'Italia? Non si può
fraintendere un partito con un
tutto organico, compatto,
amato e sorretto che si
chiama nazione. BLUOTTO,
CRAVESANO, DALMASSO davanti al vostro generoso sacrificio gli Italiani gridano Presente - Voi siete caduti
mentre la vita nel fulgore di
sua gioventù vi attraeva e vi
spingeva ad amarla. Ma la
nazione, gli Italiani, i veri Italiani non hanno dimenticato
il vostro olocausto. Voi non
avete chiesto fiori, ma le vostre tombe ne sono continuamente adornate, non avete
chiesto lacrime, ma quanti ho
visto, col volto chino, scuotere
il capo e lacrimare pensando
a voi. Non avete chiesto preghiere, ma davanti a voi, fiori
recisi dall'implacabile spada
della vendetta, tutti, anche
quelli che non credono in Dio,
hanno pregato e pianto. Ben
degni ne siete di questa prova
d'onore.
Non vi dimenticheremo perché
siete vivi nel nostro cuore
come allora, più di allora!
Un osservatore
dell'Alpe invitta
IN T UTTA L’APUANIA TERRORE ED ATROCI STORIE
MA NAS CE L’ESERCITO DEL POPOLO
Immagini poetiche, storie atroci, gesti
eroici della gente della nostra provincia
di Massa Carrara (medaglia d’oro al
valor militare), nella memoria di un
grande uomo di cultura ed umanesimo
prof. PIERO CALAMANDREI, poeta
epico del riscatto nazionale.
GUERRA DI LIBERAZIONE 1943-1945
…”In quei giorni terribili io ero qui, vicino a Marina di Massa. Questo paesaggio apuano,voi lo sapete che ci siete
nati, è uno dei più belli d’Italia:forse dei
più belli del mondo. Soltanto qui queste alpi di marmo, che in certi tramonti
sembrano fatte di roseo fiato, si spingono a picco così vicino al mare che
quasi lo toccano: e tra il mare azzurro
e le montagne rosee le pinete col loro
verde cupo fanno da ponte. E’ un paesaggio dal quale, in ognuno di questi
componenti, spira un senso non solo
di bellezza ma anche di purezza e di
lindura: un quadro fatto di colori semplici e puliti, come se fossero creati appena.
Ora, quando qui cominciammo a vedere arrivare i tedeschi, questo ci dette
l’impressione istintiva di uno spregio
fatto a questo paesaggio, come di una
infezione, come di una sozzura. Voi lo
ricordate quando su queste strade,
lungo questo mare, cominciò a riversarsi la invasione: con quelle divise
color fango, coi carri armati mimetiz-
zati di macchie verdastre, parevano
un’orda di batraci o rettili immondi….”
…”.NASCE LA LOTTA ARMATA, TUTTA
LA POPOLAZIONE VI PARTECIPA”
….”proprio pareva che tutto fosse finito. E invece tutto ricominciava: tutto
ricominciava….nelle montagne un
nuovo esercito si adunava, l’esercito
del popolo, l’esercito partigiano: e uomini oscuri, borghesi fino a ieri, ne
prendevano il comando e diventavano
eroici capi.
Pareva una fine , ed era un inizio: cominciava quello che da principio parve
un miracolo, questo ridestarsi, questo
ritrovarsi, questo esame di coscienza,
questo riscatto, questa chiusura dei
conti della vergogna di un ventennio.
Cominciava o cittadini apuani, LA RESISTENZA…..nell’agosto del 1944 si
stabilizzò proprio qui sul CINQUALE la
LINEA GOTICA, tutto questo impose a
questa zona terribili problemi strategici e logistici che altre zone non conobbero eguali, e dette alla
RESISTENZA APUANA un volto che fra
tutte la distingue, perché qui gli eroismi e i sacrifici non furono soltanto dei
partigiani in armi, ma furono di tutta la
popolazione civile, rinserrata tra le
linee di combattimento, come in un immenso campo di concentramento, tra
le mine e le cannonate, nella desolata
terra di nessuno. Per questo alla Pro-
vincia, unica tra le Province d’ Italia, è
stata data la medaglia d’oro: a tutta la
Provincia Apuana, partigiana tutta, che
seppe per diciannove mesi colle sole
sue forze, difendere e riconquistare
giorno per giorno la sua libertà ed il
suo pane….”
Elogio del Comandante
alleato V.R. Miller
Nel grande mosaico storico del Risorgimento Italiano una “tessera”
risplende luminosissima: il piccolo
Stato di Massa-Carrara. Un pugno
di gente laboriosa, semplice, leale,
amante, più di ogni altra cosa, della
libertà. Da questo minuscolo centro scoccò la scintilla che divampò
in tutto il Paese portando una voce
nuova, uno spirito profondo di rinnovamento che consentì, oltre un
secolo fa, di iniziare e concludere
trionfalmente la battaglia per
l’Unità d’Italia. La gente di questo
Stato, pur operando nella modestia
e nell’oscurità dell’anonimo, nulla
ha da invidiare, sul piano del contributo sostanziale alla lotta unitaria, alle grandi figure luminose,
giganteggianti degli artefici del Risorgimento.
Quello stesso afflato di ribellione
ad ogni forma di oppressione
quella ondata di spontaneità, quell’amore per l’Italia nel quale non si
sentì mai seconda al altre Genti e
ad altre terre, sono tornati più che
mai vividi a risplendere nel “Secondo Risorgimento”. Nella lotta di
liberazione dall’oppressore tedesco, la popolazione Apuana (unica
Provincia d’Italia decorata di medaglia d’oro al V.M.) portò un contributo decisivo al successo finale.
Questa piccola terra di cavatori, di
lavoratori semplici e modesti fu
parte determinante nella lotta contro i nazi-fascisti. Tanto che il comandante alleato V.R: Miller del
Quartier Generale 442D reggimento di combattimento e di attacco AFO, 782, esercito S.U. 001-A
rilasciò la seguente dichiarazione:
“…. desidero replicare la dichiarazione che ho già da tempo fatta, ed
è questa: non furono le truppe
americane a liberare la Vostra Città:
non può essere negato che la liberazione fu resa possibile solamente
per lo spirito combattivo e per la organizzazione clandestina dei Partigiani Apuani; certamente se le
truppe non avessero avuto l’assistenza e la preparazione del terreno dei vostri leali cittadini
sarebbe stato costoso e probabilmente impossibile per le nostre
truppe di avanzare lungo la costa ligure contro il nemico…..”
3
Carissimo Direttore
come ben sai , a causa di una carente distribuzione libraria (il
male – purtroppo – della nostra
editoria), non è stato possibile, a
suo tempo, divulgare il volume “Il
Servizio X nella Resistenza “ che
avrebbe dovuto rendere il doveroso riconoscimento ai nostri
compagni la cui partecipazione,
non armata ma parimenti rischiosa, alla lotta di Liberazione,
poteva perdersi nel nulla grazie
anche ad un inqualificabile grave
silenzio voluto da coloro che vantano una inesistente “privativa”
sulla Resistenza.
Nel corso di quella “piacevole fatica letteraria” ci siamo spesso
chiesti – con l’amico Costagli – le
ragioni dei frequenti e fastidiosi
“intoppi” che incontravamo,
giungendo ad una comune conclusione, che pare anche la più
plausibile: sino a quando a Cuneo
ci sarà una gestione troppo “personalistica” del vasto patrimonio
documentale sulla Resistenza,
non si potranno mai sviluppare
approfondite ricerche storiche
sull’argomento. Non si può che
auspicare, anche a Cuneo, un rapido superamento di una gestione
troppo
elitaria
dell’importante documentazione
sul movimento cuneese della Resistenza, che dovrebbe diventare,
realmente, patrimonio comune
da condividere con tutti coloro
che hanno interesse ad accedervi.
Si tratta di valorizzare il risultato
di un lungo lavoro di ricerca, che
si è anche giovato di donazioni
private, che non può rischiare se non di essere disperso –
quanto meno di restare dormiente o, comunque, di essere
sottratto alla conoscenza di chi,
studioso o anche semplicemente
studente, con pari dignità e merito, vogliano contribuire alla ricostruzione storica del nostro
passato.
Resistenza non fu e non è sempre
e solo Nuto Revelli, come ormai
da decenni, con retorica (e noia)
è ampiamente “imposta” dall’Istituto Storico ai distratti cuneesi,
alle scuole e quotidiani..
Resistenza fu anche Giacosa, gli
agenti del Servizio X cui lo stesso
Revelli e le formazioni G.L. devono moltissimo, ma nessuno ne
parla.
Perché, caro Aldo?
Resistenza fu anche Aceto, Dunchi, Cosa, Quaranta, Felici, Rosa,
Scamozzi, Verzone, Testori, tanto
per fare solo alcuni dei tanti
nomi. E molti di questi hanno
uguali o ben superiori meriti e Tu
lo sai!
Resistenza furono anche le missioni inglesi, ma nessuno ne
parla. Perché?
Ritengo non sia troppo tardi per
rievocare una gloriosa pagina di
storia – di cui anche Tu sei stato
degno protagonista – per cui Ti
sarei grato se pubblicassi sul tuo
giornale questo mio breve intervento che ripropone in sintesi il
contenuto del libro che tratta la
storia del “SERVIZIO X” l’unico
reparto inquadrato nel C.V.L. che
ha svolto attività di Intelligence
nella guerra di Liberazione, (volutamente) ignorato, purtroppo,
dalla nutrita bibliografia partigiana di questi ultimi 60 anni
preoccupata solo di creare falsi
“miti”, travisando così gli ideali e
l’autentico volto della nostra Resistenza.
Con affettuosa amicizia
Aldo Sacchetti
NON È MAI TROPPO TARDI!
“Il Servizio X, un servizio di “intelligence” che continua ad essere sconosciuto, perché?”
Accogliamo la lettera dell’amico
Aldo Sacchetti e gli offriamo volentieri spazio per il suo intervento.
Con l’esperienza acquisita nei
primi mesi di lotta nella Banda “Italia Libera” di Duccio Galimberti, all’amico Dino Giacosa apparve
evidente la inderogabile necessità
di creare un reparto clandestino
con il preciso compito di acquisire
notizie sulla consistenza militare
nemica, sui rastrellamenti in programma, sulla presenza di spie e
nel contempo cooperare con gli Alleati riferendo informazioni sulla
dislocazione dell’esercito tedesco e
sugli obiettivi militari.
Il 14 gennaio del ‘44 in Cavalligi di
Caraglio, durante una breve sosta
del rastrellamento in Valgrana,
Dino mi sottopose la sua idea. Ne
fui entusiasta ed insieme redigemmo lo schema organizzativo
del reparto, cui demmo il nome di
SERVIZIO X. Inizialmente raccogliemmo intorno a noi i pochi amici
della Valgrana che operavano di già
con la Banda “Italia Libera” di Galimberti. Con il nostro successivo
trasferimento in Val Pesio, il Servizio X , inquadrato nell’organico militare della Formazione del Cap.
Cosa e riconosciuto dalla Missione
Alleata, giunta in vallata, ramificò
la propria rete di Agenti, Staffette e
recapiti clandestini nel cuneese
per poi estendersi rapidamente a
La Segreteria, con tali stratagemmi,
poteva disporre in abbondanza di
timbri, carte intestate, permessi di
lavoro ed autorizzazioni alla libera
circolazione delle biciclette, altrimenti severamente vietata da decreti prefettizi.
Particolare il contributo delle
donne, sia per la consistente e valida partecipazione nel campo informativo, sia per il lavoro svolto
sul piano umano nel soccorrere e
curare i partigiani feriti o nell’ospitarli nei periodi di sbandamento.
La maggioranza delle donne ricoprivano il delicato e rischioso ruolo
di staffette recapitando messaggi e
Fogli X ai destinatari attraverso
posti di blocco e controlli saltuari
del nemico. Altre, distintesi per coraggio e acuta percezione , assunsero posti di responsabilità, come
per la signora Donadio di Caraglio
che ricoprì il ruolo di Capo Gruppo
ottenendo tali risultati da fare invidia agli stessi colleghi uomini.
Altre donne, che non possiamo dimenticare, pur non essendo inquadrate nel Servizio, conobbero
anzitempo la vedovanza in tragiche
circostanze come per la Martinetto,
la Piasco e la Bracciale.
Purtroppo, ogni organizzazione militare, per giunta clandestina, è
soggetta a subire tradimenti; ed il
Servizio X non ne è rimasto immune.
ad un posto di blocco per un semplice controllo subito denunciò il
proprio contatto con il Cancelliere
Ettore Garelli Capo gruppo di Fossano, che venne arrestato e fucilato
con la conseguente cattura di Attilio Martinetto, infiltrato nell’UPI
che subì analoga sorte.
Le riservate relazioni personali
che intercorrono in una organizzazione, specie se impegnata in
una attività segreta sono particolarmente difficili e delicate,
considerato l’ambiente in cui si
manifestano.
Dalla documentazione riportata integralmente si evidenzia oltre al
cordiale ma rispettoso rapporto gerarchico, la serenità di giudizio che
traspare in ogni decisione e che sta
a dimostrare con quale spirito, sia
pur determinato, i responsabili
seppero mantenere tali rapporti.
Le pagine dedicate ai Caduti sono
le più toccanti. Gli avvenimenti descritti che portarono questi nostri
Eroi al sacrificio supremo sono
reali e comprovati da documentazione. Non vi è nulla di leggendario.
A Ettore Garelli, Damiano Piasco,
Sebastiano Bongioanni, Giovanni
Ciocca, Attilio Martinetto, Rocco
Bracciale e Marco Evangelista che
affrontarono dignitosamente la
morte per la Causa va tutto il nostro riconoscimento e imperitura
gratitudine.
Da Cantalupo Ligure
La storia del soldato russo Fiodor Poletaev
ucciso nella battaglia di Val Borbera
Cantalupo Ligure, in Val Borbera,
ha reso omaggio, come ogni
anno, a Fiodor Poletaev – il partigiano “Toscano” - soldato russo
morto il 2 febbraio 1945 durante
la battaglia omonima. Il giovane
partigiano della Pinan Cichero è
l’unico straniero insignito della
medaglia d’oro al valor militare e
a sessantacinque anni dalla battaglia di Cantalupo, sotto la neve
come nel 1945, c’è stata la commemorazione con la deposizione
di una corona di fiori al monumento a lui dedicato, anche in ricordo di tutti i caduti.
Tra le tante autorità presenti al
palazzetto dello sport del paese
da segnalare, ospiti del Sindaco
di Cantalupo, il nuovo Console
gen er ale della Feder azion e
Russa, Evgeny Boykov, una delegazione russa capeggiata dal
nipote di Fiodor, l’assessore di
Riazan Elena Psareva, il Prefetto
Cataldo. Ha tenuto l’orazione ufficiale l’assessore regionale Daniele BORIOLI.
Le delegazione russa ha omaggiato i presenti con un dvd sulla
storia di Fiodor, sul museo presente nella sua terra e le iniziative a lui dedicate.
Al termine della cerimonia è stata
presentata la mostra bilingue
“Alpi in guerra – Alpes en guerre
1939 – 1945, realizzata nell’ambito del progetto Memoria delle
Alpi e del progetto Musée de la Resistence et de la Dèportation. La
mostra, in sei sezioni, mette in
luce gli eventi e la memoria della
guerra, dallo scoppio della Guerra
tra Italia e Francia nel 1940 fino
alla Resistenza, con foto e postazioni video, oltre a un documentario e un film di sei minuti. Una
sezione è dedicata alla riappacificazione tra italiani e francesi con
la ridefinizione delle frontiere.
4
La mostra, assai suggestiva, utilizza pannelli dal colore scialbo,
proprio a voler evidenziare la
dura vita delle montagne durante
il periodo bellico.
Il Tenente Aldo Sacchetti a colloquio con il Comandante Piero Cosa
La storia del partigiano“Toscano” soldato russo morto nel
1945.
Fiodor Poletaev era nato nella regione di Ryazan, in Russia, nel
1940. Operaio in un Kolchoz, nel
1939 andò in guerra nell’armata
rossa e, dopo l’invasione nazista
del suo paese, venne catturato
dai tedeschi e mandato in Italia in
un campo di concentramento, a
Tortona, da dove fuggì dopo aver
preso contatti con esponenti
della Resistenza.
Qui cominciò la sua avventura di
partigiano conclusa tragicamente
quel giorno di 65 anni fa, quando
venne ucciso nella Battaglia di
Cantalupo, poi vinta dai suoi
compagni, Fiodor venne poi sepolto nel cimitero di Staglieno, a
Genova.
Già dall’anno seguente venne
eretto un cippo in suo ricordo a
Cantalupo e alcuni ex comandanti partigiani si riunirono a
Serravalle per proporre la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
Ma il cognome venne letto male,
e rese difficile rintracciare la sua
famiglia in Russia.
Solo nel 1957, grazie a Giovanni
Serbantini ex compagno di Fiodor, la storia del partigiano russo
venne resa nota in Unione Sovietica e fu possibile rintracciare la
famiglia, invitata a Genova il 2
febbraio 1963.
Da allora, ogni anno, delegazioni
russe arrivano a Cantalupo per
commemorare Fiodor Poletaev e
dove nel 1978 venne eretto un
monumento alla sua memoria.
Torino ed in Liguria, raggiungendo
ben presto un organico di oltre
duecento affiliati.
L’organico prevedeva un Comando
Collegiale che si firmava Dinaldo
(dalla fusione dei nostri nomi di
battesimo), una Direzione composta da Aldo Viglione, Giuseppe Tosello e Amos Garelli ed una
Segreteria, il cuore dell’unità, curata e diretta brillantemente da
Mario Donadei, dove confluivano le
informazioni destinate – dopo attento vaglio – agli interessati.
Il territorio delle operazioni, suddiviso in zone chiamate Gruppi o
Sotto Gruppi, erano coordinate e
dirette da responsabili che gestivano la rete degli informatori, le
staffette e i recapiti clandestini nel
territorio di pertinenza.
Per ovvi motivi di sicurezza sia le
zone che gli Agenti venivano contraddistinti da pseudonimi.
Gli Agenti e le staffette non si conoscevano tra di loro e contattavano i rispettivi superiori
direttamente, mentre i Capi
Gruppo si rivolgevano al Comando Dinaldo mediante staffette
riservate a tale scopo.
I documenti falsi di identità erano
destinati ai partigiani che operavano in montagna, ma che dovendo
svolgere contemporaneamente attività di intelligence in pianura, necessitavano di documenti da
esibire ad eventuali controlli.
Gli stampati autentici delle carte
d’identità venivano trafugati nelle
Prefetture e nei Comuni dai nostri
Agenti o acquistati da Funzionari
corrotti.
Mondino di Margarita e Boasso di
Maddalene, due personaggi di personalità diverse, il primo astuto e
interessato, il secondo debole ed
opportunista, riuscirono purtroppo
ad inserirsi nella nostra organizzazione con tragiche conseguenze.
Mondino, inquadrato ufficialmente nell’U.P.I. di Cuneo, dichiaratosi disposto a collaborare
dietro compenso, riuscì in breve
a conquistare la nostra fiducia,
fornendo informazioni di prigionia e portando a termine due operazioni di notevole portata: la
liberazione dalla prigionia della
nostra staffetta Griseri ed il salvataggio di alcuni noti componenti del C.L.N. di Cuneo,
destinati alla cattura. A fronte di
tali servizi resi non era prevedibile il successivo tradimento del
Mondino quando provocò la cattura della staffetta Bongioanni
“Lolli”, poi torturato e trucidato e
la denuncia di Aldo Benevelli.
Capo gruppo di Cuneo, immediatamente imprigionato, malmenato
e torturato , mettendo a repentaglio l’intera rete in provincia.
La spiegazione di un così sconcertante comportamento del Mondino
la si è avuta dalla sentenza del Tribunale di Cuneo, a fine guerra, che
lo riconobbe malato di mente e lo
condannò a vita nel Manicomio Militare di Aversa.
Il caso Boasso si configura diversamente. Si trattava di uno squallido
furfantello opportunista che mentre subiva il fascino paterno – convinto squadrista – si preoccupava
di procurarsi alibi con i Patrioti in
uno sporco doppio gioco. Fermato
Non si possono sottacere gli episodi di ferocia dei militi della Repubblica Sociale denunciati dalle
stesse autorità fasciste che tendevano a dare una parvenza di legalità
al loro governo e l’episodio del Carcere Giudiziario di Alba dove vennero trucidati inermi prigionieri in
attesa di giudizio ne è una prova.
Tale ferocia ed illegalità sono ampiamente confermate dalle testimonianze di alcuni sopravvissuti
rei per lo più di avere un congiunto
in montagna o di mostrare simpatia per la Libertà.
I Fogli X erano le così dette “veline”, con le quali venivano trasmesse, dopo attento vaglio, le
informazioni politico-militari raccolte dagli Agenti, alle Formazioni
Partigiane, al C.L.N. ed al Comando
Alleato tramite le Missioni che operavano in vallata.
Nei 14 mesi di attività il Servizio X
ha emesso oltre 200 esemplari di
detti Fogli X datati numerati e firmati, i cui contenuti danno la dimostrazione dei risultati ottenuti
da questo Reparto di Intelligence
d’altronde temuto ed apprezzato
dallo stesso nemico ed elogiato ufficialmente dal Comando Alleato.
Notizie sulla consistenza e le generalità dell’Esercito tedesco, piani di
rastrellamenti predisposti dal nemico, postazioni e depositi nemici,
obiettivi militari, denunce di spie e
di infiltrati in zone di operazione,
sono i risultati ottenuti da un pugno
di volontari uomini, donne, anziani
e giovani, privi di ogni professionalità spionistica, ma sostenuti da una
incrollabile fede per la Causa.
Aldo Sacchetti
Antifascismo nell’Alto Vicentino
Le genti delle vallate hanno pagato caro questo loro impegno
La Divisione Partigiana Ortigara ha operato con serietà e rispetto di ogni ideologia politica
Restringendo ad un territorio –
campione la rigorosa e paziente
ricerca del Comandate Giulio Vescovi, poi Presidente AVL Vicenza,
risulta
chiaro
che
popolazioni e formazioni resistenziali armate del succitato
territorio rivelano un connubio
culturale che portò le due componenti ad una alta percentuale
di dignità o responsabilità patriottica.
L’estensore della ricerca (pubblicata non ieri, ma nell’aprile
1976) ritiene siano accettabili
nei “due periodi (antifascismo e
Resistenza) sostanziali connessioni”. Passiamo decisamente al
testo pubblicato, quasi come logica posfazione, in coda al volume.
Resistenza
nell’Alto
Vicentino (prima opera storica
del dott. Vescovi).
RESISTENZA NELL’ALTO VICENTINO
Dalla ricostruzione storica sono
emersi non solo i meriti e i risultati militari conseguiti dai partigiani della Divisione “Ortigara”,
ma anche le scelte ideologiche e
politiche delle popolazioni montane e pedemontane vicentine, rimaste sempre fedeli ad una
tradizione di vita civile, insofferenti di ogni forma di radicalismo
ed estranee a qualsiasi atteggiamento fazioso.
Si è pertanto ritenuto indispensabile estendere la ricerca ad un
periodo che va oltre quello resistenziale per evidenziare elementi di un’opposizione sorta fin
dal nascere del Fascismo e protrattasi in varie forme nel ventennale, in cui l’Italia subì la
dittatura fascista.
E’ risultato che i due periodi, antifascismo e Resistenza, pur distinti, hanno tra loro sostanziali
nessi.
L’uno si espresse come “attività
prevalentemente politica prima
nell’azione aperta finché furon liberi partiti e stampa, poi in quella
clandestina e cospirativa”, mentre la Resistenza vera e propria fu
fenomeno politico-militare, con
prevalenza del secondo aspetto
sul primo.
Va rilevato che l’antifascismo fu
quasi soltanto un fatto di élites,
mentre la Resistenza ha avuto i
caratteri di un movimento popolare nel senso più completo della
parola. Si è riscontrato, che specie le classi più umili hanno partecipato alla lotta di Liberazione
con una generosità e con uno spirito di sacrificio raramente riscontrabile in un popolo che non
sia sorretto da un profondo bisogno di riscatto della propria dignità offesa e dalla volontà di
recuperare quei valori umani e civili che le dittature soffocano ma
non riescono a sopprimere.
Per questo la Resistenza fu anche
nel Vicentino un moto popolare
nel senso più genuino del termine e raggiunse un alto grado di
consensi e di impegno: la nuda
cronaca dei fatti di quel tempo è
sufficiente a metterli in risalto.
Temerarie azioni di uomini,
donne, giovanissimi e anziani
hanno ampiamente dimostrato
che gli ideali della Resistenza
erano considerati patrimonio comune.
Intorno alla minoranza che imbracciava il fucile, il consenso popolare espresse la sua solidarietà
e la sua collaborazione in forme,
che spesso superavano la generosità ed il rischio di chi viveva
braccato sui monti o perseguitato
nelle città e nelle campagne.
Nella zona dell’ “Ortigara” le dure
rappresaglie sofferte dalle popolazioni da cui potevano nascere
risentimenti verso i partigiani, furono giudicate per la loro brutale
logica e non come conseguenza
di un comportamento dei patrioti
noncurante dell’incolumità degli
inermi: la difesa della Patria,
quella dei beni e delle vite umane
venivano considerati elementi inscindibili di un impegno globale.
Gli inevitabili contrasti provocati
dal confronto ideologico , sostenuto da una parte dal mondo Occidentale e dall’altra da quello
Orientale, pur trasferendosi
nell’ambito delle Formazioni,
sono stati attenuati dal senso
pratico delle genti vicentine.
Se questi contrasti ebbero anche
sul piano organizzativo e operativo e nella delimitazione delle
zone d’influenza un certo peso,
nell’interesse comune fu spesso
ricomposto un equilibrio che trovava la sua ragione d’essere nei
fini unitari della lotta al fascismo.
Quando si afferma, da parte di
certi storici, che della Resistenza
soltanto gli operai ed i contadini
sono stati gli artefici, si tenta di
sublimarla oltre il reale.
Si deve riconoscere che essa fu
sostanzialmente un movimento
generale, inevitabilmente composito, ideologicamente vario e
quindi non monolitico, né classista.
La Divisione “Ortigara” ha operato con serietà e chiarezza di intenti lungo tutto l’arco dei 20
mesi di lotta nel rispetto di ogni
ideologia politica.
Le genti dell’Alto Vicentino
hanno pagato caro questo loro
impegno.
La posizione geografica del Ve-
neto, la tenacia ed il coraggio dei
suoi abitanti non potevano che
determinarsi in uno scontro frontale con l’oppressione nazi-fascista.
Le vie di accesso al territorio del
terzo Reich passavano anche per
il territorio vicentino. Nei piani
tedeschi queste vie dovevano restare aperte per i rifornimenti del
fronte italiano e per la inevitabile
ritirata; i partigiani dovevano, nei
piani alleati, renderle insicure.
I grandi rastrellamenti del settembre 1944 non solo miravano a
distruggere il potenziale operativo partigiano ma altresì a proteggere le spalle delle truppe
germaniche: da qui lo scontro
cruento e le tragiche conseguenze.
I partigiani dovevano impedire
che, rotto il fronte del Po, i tedeschi si attestassero sulla linea
fortificata delle prealpi venete.
Questo obiettivo fu raggiunto
anche per merito dei combattenti
dell’Ortigara schierati dall’Astico
al Brenta.
L’attrezzatura economica della
zona rimase pressoché intatta;
gli alleati raggiunsero i centri più
importanti senza difficoltà trovandovi già in funzione i C.L.N.
che fungevano da organi amministrativi e politici.
Fu dato un rilevante apporto allo
sforzo militare alleato, per riconoscimento
concorde
delle
stesse missioni alleate che vissero con i partigiani dell’Alto Vicentino
per
lunghi
mesi,
dall’estate del ’44 alla Liberazione.
Gli scopi generali della lotta furono perciò conseguiti.
Giulio Vescovi
A Ponte di Brenta (PD) sarà ricordato il 2 maggio 2010 l’anniversario della fucilazione di
Boschiero Riccardino, medaglia d’oro al valor militare, fucilato il 2/5/1944 presso il
cimitero di Borgo S. Dalmazzo.
L’audace missione al sud di Bessone-Astengo
Sono arrivati così i primi aiuti al Nord dagli Alleati
La resistenza ed in particolare le
Associazioni dei Combattenti
della Libertà non permetteranno
mai che sia dimenticato o sottovalutato il generoso apporto di
genialità organizzativa e di contributi in fatiche e rischi quotidiani
del
compianto
Prof.
Giovanni Bessone nella rocambolesca “missione al Sud” con il
collega Augusto Astengo, ambedue designati dal C.L.N. Piemonte su richiesta del Comando
Alleato.
Gli abbondanti documenti storici
della “missione” annotano oltre
le difficoltà dello sconfinamento
(partenza da Rastello il 27 settembre 1944 accompagnati da
una scorta scelta personalmente
dal Cap. Piero Cosa e composta
dai giovani partigiani Nino Micheletti (capo gruppo) Aldo Clerico,
Luigi Mondino e Giacomo Macalli) per la presenza di numerose
postazioni tedesche, anche “una
certa diffidenza e dalla Special
Force di Mentone, e poi di Bari.
Fu la pazienza e la saggezza del
Prof. Bessone a vincere le incomprensibili soste, gli interrogatori,
i sospetti sul noto irrequieto giornalista canadese P.Morton associato in qualche modo alla
Missione.
I laboriosi contatti con decine di
personaggi dei Comandi Alleati,
della alta nuova dirigenza politica
italiana portarono frutti concreti
alla III^ Divisione Alpi del Cap.
Cosa e di altre Formazioni con i
primi lanci di armi, vestiario, viveri.
Altri compiti di grande responsabilità furono in seguito affidati al
Prof. Bessone dal P.W.B in zona
francese. I disagi continui rincrudirono le sue precarie condizioni
fisiche. Ma egli rifiutò l’offerta di
un trasferimento immediato in
U.S.A. per appropriate cure e assi-
curazione di rapide riprese.
Gli pareva di tradire i compagni
abbandonati nel pieno della lotta.
Il rientro in Italia dalla Francia ,
attraversando le Alpi su pericolosi sentieri di alta montagna
segnò un’ altra gravosa e dolorosa avventura. L’affrontò coerente a quanto aveva scritto il 4
agosto 1944: “…al di sopra di
tutte le idee e di tutte le opinioni
c’è una sola bandiera…il tricolore
antico dei nostri padri, il vessillo
del primo Risorgimento”.
Una frase forte di valore incisivo e
attualissimo testamento di un
personaggio schivo e umile di primissimo piano risorgimentale
italiano.
Giovedì 29 Aprile alle ore
20,30, presso la biblioteca,
Villanova Mondovì ricorderà
l’illustre concittadino il Prof.
Giovanni Bessone a 100 anni
dalla nascita.
Castelnovo Monti ricorda
i l Te n e n t e P o l l a r a
comandante partigiano severo, diligente e perfino puntiglioso
Essendo la sua posizione sempre
più delicata, e anche minacciato
di una deportazione in Germania,
il 1° agosto 1944 Pollara abbandonò appena in tempo il servizio
zioni partigiane” , ed in particolare presso “Eros”, “proprio per
la sua dedizione alla legalità e per
l’invincibile forza inquisitiva con
la quale controllava interamente
I due amici Tenente Pollara e il fotografo internazionale Crotti
e si rifugiò presso la Villa del
Conte Carlo Calvi e indi a Villa
Cella, presso la canonica di don
Pallai, originario di Collagna , per
poi raggiungere in montagna i
partigiani. In sua vece gli ultrasessantenni genitori vennero arrestati, tenuti in carcere per un
mese e la loro abitazione a Campeigne venne saccheggiata.
Pollara raggiunse la montagna e
fu naturale la sua collocazione,
per volontà e suggerimento di
Marconi e Galli, al Comando della
neo costituita Polizia partigiana,
in cui affluirono di regola i carabinieri che avevano abbandonato
la Rsi e raggiunto i partigiani.
Formalmente la sua appartenenza alla Resistenza come “partigiano combattente” (nome di
battaglia “Valori”) iniziò il 12 agosto 1944, e nell’ottobre dello
stesso anno assunse il comando
del Corpo di Polizia partigiana
delle Brigate “Garibaldi” di Reggio Emilia.
I problemi che doveva affrontare
la Polizia partigiana erano sostanzialmente due: individuare e
neutralizzare gli infiltrati e le spie
che le autorità fasciste inviavano
in montagna per acquisire notizie
e informazioni sul movimento
partigiano; individuare e reprimere delinquenti comuni che
spaccandosi per partigiani, armati e talvolta mascherati, si presentavano
nelle
abitazioni
prelevando denaro e generi alimentari, ed anche controllare
singoli partigiani che, senza autorizzazione dei comandi da cui
dipendevano, operavano nelle
abitazioni prelievi illegali di denaro e beni.
Il secondo compito era ancor più
delicato e fu oggetto di scontri accesi tra le diverse anime del movimento
partigiano,
ed
in
particolare tra Pasquale Marconi
(“Franceschini”) e Didimo Ferrari
(“Eros”). Il primo, da montanaro
autentico qual’era, recepiva in
merito i malumori della gente locale, mentre Eros, estraneo alla
montagna, riteneva che le superiori esigenze della Resistenza
consentissero, come scrisse su
La Nuova Penna Giorgio Morelli,
di bussare alle porte con il calcio
del fucile.
Le rigorose , ma corrette metodiche di comando di Pollara suscitarono reazioni “da parte degli
esponenti comunisti nelle forma-
il comportamento dei reparti”.
“Eros” però insisteva perché Pollara si dimettesse dal Comando
della Polizia Partigiana sicché
con una lettera del Comando
Unico a firma di “Aldo” data 15
febbraio 1945 “Valori” venne sollevato dalla stessa data dal Comando , che venne assegnato a
“Fiorello” (il vice brigadiere dei
carabinieri Fioravante Ceretti di
Castelnovo Monti).
Il 13 marzo 1945, con nota 1.023
a firma congiunta di “Eros” e
“Monti”, Pollara veniva nominato
presidente della Commissione
permanente di disciplina. Il 31
dello stesso mese, ad ordine
“Aldo”, capo di stato maggiore
delCorpo volontari della Libertà,
gli venne rilasciato un “lasciapassare” al fine di passare il
fronte, allora attestato sulla
Linea Gotica.
Il ten. Pollara era latore di un delicato documento politico, tuttora
inedito e non conosciuto dai biografi di Giuseppe Dossetti, né
dagli storici della DC. Il documento è dattiloscritto in cinque
pagine, è datato 1° aprile 1945 ed
è firmato da Giuseppe Dossetti
(“Benigno”) nella sua qualità di
“Delegato della DC nel Comitato
di liberazione di Reggio Emilia e
Pollara lo deve recapitare a Roma,
come in effetti farà, ad Alcide De
Gasperi.
Danilo Morini
ADDIO A MARIO CROTTI,
FOTOGRAFO DEL
NOSTRO TEMPO
(D.A.) Fino a pochi mesi fa, prima
di essere colpito dal male che lo
ha sopraffatto nelle prime ore del
14 gennaio scorso, pur avvicinandosi a ottant’anni, ha assicurato la
sua generosa e disinteressata presenza a tante manifestazioni civiche, patriottiche e del mondo
cattolico. Il grande afflusso di
amici e compaesani che ha caratterizzato il rito religioso di commiato celebrato nella chiesa di
San Gaetano , nella sua Albinea, è
stata la più evidente manifestazione della stima che ovunque
Mario godeva. Vale la pena di concludere questo essenziale ricordo
di Mario Crotti con le parole pronunciate da Sua Eminenza il Cardinale Coppa: “Egli rimane vivo in
mezzo a noi, lasciandoci una ricchezza di esempi che non tramonteranno mai.”
5
CRONACHE E LIBRI
Vittorio Arietti da Verona
Da Gorizia
Ci ha lasciato modesto e nell’ombra
Un aprile con mostre,
cerimonie ed incontri
con gli studenti
Gran parte dei giovani degli anni
’30 del secolo scorso era “fagocitata” ed inquadrata dalla fabbrica
del consenso mussoliniana.
Vittorio Arietti, nato a Garda (Verona) il primo luglio 1916 era tra
questi.
Volontario nella Divisione Camicie
Nere “Tagliamento” in Africa Orientale, ebbe, in combattimento, una
ferita da pallottola dum dum, che
non si rimarginò mai completamente. Fu riconosciuto invalido di
guerra e rimpatriato. Tornato a Verona si impiegò in Municipio.
Alla fine degli anni ‘30 l’alleanza
con la Germania di Hitler e le relative conseguenze gli fecero riconsiderare la propria posizione politica.
Cominciò ad esporsi con aperte critiche al fascismo, non solo fra i
suoi conoscenti ma anche nell’ambiente di lavoro.
Conseguenza immediata fu la perdita dell’impiego pubblico.
Dopo l’otto settembre 1943 entrò
in contatto con alcuni esponenti
dell’antifascismo militante e della
Resistenza, fra i quali i fratelli Spaziani, gli avvocati Mutinelli e Pollorin ed altri.
Entrò nella resistenza attiva, dapprima alle dirette dipendenze del
CLN (Comitato Liberazione Nazionale), svolgendo attività sia militare
che organizzativa e di collegamento, in particolare con Milano e
la Lombardia (i suoi documenti di
invalido di guerra gli garantivano
un minimo di sicurezza nelle rischiose trasferte). In Val Grande
ebbe un incontro con Mario Muneghina (il “capitano Mario”) e in
quell’occasione partecipò alla difesa da un attacco fascista.
Salvò dalla deportazione il Rabbino
Friedenthal di Verona e la relativa
famiglia, che pose sotto la protezione del Cardinale Shuster per il
tramite del suo segretario, che ben
conosceva.
Frattanto si aggregò alla Banda
Aquila comandata da “Rostro” Ten.
Alpino Tarcisio Benetti (poi Generale in s.p.e.), partecipando a diverse azioni di sabotaggio in zona
Valpolicella.
Passò poi alla Brigata “Pasubio”
che era comandata da “Vero” Marozzin e – allo scioglimento di questa, alla Brigata Adige.
Fra i suoi “capolavori di azioni partigiane” si ricorda la liberazione
dall’Ospedale Militare (dove erano
trasferiti dal Carcere degli Scalzi)
del Prof. Alessandro Alessandri e di
sua moglie – portandosi via anche
una delle guardie che arruolò tra i
suoi partigiani!
Per la sua attività partigiana fu decorato di due Croci al Merito di
Guerra, della Medaglia di Benemerenza per i Volontari di Guerra e
della nomina a sottotenente dell’Esercito.
Gigi Gronich
Dalla Valle Pellice e da Torino
Nel 66° Anniversario della Battaglia di Pontevecchio, il Sindaco
di Luserna San Giovanni, Livio
Bruera, il Presidente del Comitato Val Pellice, Lorenzo Tribaldo,
il Presidente ANPI, Maria Ariaudo
hanno invitato Autorità, amici ed
ex partigiani a ricordare l’anniversario della battaglia di Pontevecchio.
E’ stato realizzato un denso programma con gli studenti:
- Al mattino del 20 marzo 2010
nella Palestra Comunale – Spettacolo “La Resistenza secondo i
giovani”, canzoni, lettura di testi
a cura degli studenti dell’Istituto
“L.B.Alberti” di Luserna S.G. e
Torre Pellice; canti e letture degli
alunni Scuola Elementare di Bricherasio e Luserna fraz. S.Giovanni.
- Alle 11, a Pontevecchio, dopo la
deposizione d’una corona al monumento ai Caduti Partigiani e Civili, ha tenuto l’orazione ufficiale
il Sen. Elvio Fassone.
TORINO CITTÀ
25 Aprile ore 20,30 Piazza Arbarello, Piazza Castello: fiaccolata;
oratori: il Sindaco di Torino
Chiamparino e il Gen. Poli;
ore 9,30 Cerimonia presso il Cimitero Monumentale;
BRUSCASCO
Corteo da P.za Roma a P.za San
Pietro, ore 10,40; Santa Messa e
Commemorazione
A Gorizia, tre anni fa, è stato costituito il “COMITATO PROVINCIALE, permanente, PER LA
PROMOZIONE DEI VALORI della
RESISTENZA e della COSTITUZIONE REPUBBLICANA”,
presieduto dal Presidente dell’Amministrazione provinciale
di Gorizia e costituito dalle Associazione della Resistenza, dai
Comuni decorati al valor militare per la Lotta di Liberazione
e dagli Istituti Regionali per la
storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia.
Il Comitato ha organizzato o
realizzerà, nel mese di aprile, le
seguenti manifestazioni e cerimonie:
- “TRENO DELLA MEMORIA” il
convoglio parte da Trieste, poi
Gorizia, Udine e Pordenone con
800 studenti delle scuole medie
superiori, che, accompagnati
da ex deportati nei lagher nazisti, si recano ad Auschwitz e
Berkenau in visita ai luoghi dell’inferno della Shoah.
- Visite guidate per gli studenti
delle scuole medie, alla Risiera
di S.Sabba Trieste, unico campo
di concentramento nazista in
Italia.
- Inaugurazione della mostra
“Quando morì mio padre”. Disegni e testimonianze dei bambini
dai campi di concentramento
del confine orientale (19421943)
- Presentazione del libro “IL
DUCE HA SEMPRE RAGIONE”,
il fascismo in provincia di Gorizia e nella Bassa Friulana di Luciano Patat.
- Incontro con gli studenti delle
scuole medie superiori ed in
particolare con quelli che
hanno partecipato, con il Treno
della memoria, alla visita dei
due lagher nazisti; questi, diventati testimoni dell’orrore dei
campi di sterminio nazisti, racconteranno la loro esperienza
agli altri compagni.
Mario Mernì
Presidente Associazione
Volontari Libertà Gorizia
Ricordo del Col. Aldo Vandoni
Fondatore del Gruppo di Torre Canavese
Caro amico Aldo,
adesso che sei giunto nel Paradiso di Cantore siamo sicuri che
continuerai a guidare da lassù il
nostro Gruppo che hai fortemente voluto affinché viva nel
clima di alpinità, onestà e fratellanza che ci ha sempre distinti.
Per tutti coloro che non ti conoscevano bene vogliamo ricordare
chi eri e cos’hai fatto: i tuoi meriti militari, ma anche quelli civili
che ti sei guadagnato sul campo.
Diplomato geometra, Aldo frequentò l’Accademia Militare di
Modena. Con la Cuneense partì
con il grado di Tenente per la
sfortunata campagna di Russia.
Tornato sano e salvo in Patria si
schierò con le Forze di Liberazione. Al termine della guerra si
laureò in ingegneria civile al Politecnico di Torino. Lavorò prima
con le Ferrovie dello Stato, poi
con il grande Enrico Mattei, costruì tutte le stazioni di servizio
Agip sull’autostrada Torino-Milano, quindi cominciò la carriera
di libero professionista a Torino
dove smise di lavorare solo pochi
anni fa.
Gli furono riconosciuti molti meriti:
-“Certificato al Patriota” sottoscritto dal Gen.Alexander, Comandante Supremo delle Forze
Alleate nel Mediterraneo centrale;
- Medaglia di Bronzo al valor militare conferita dal Presidente della
Repubblica per aver partecipato
al Fronte Russo nel 1943;
- Medaglia d’Argento al valor militare conferita dal Presidente della
Repubblica per aver militato
come Partigiano ed aver contribuito efficacemente alla Liberazione dell’Italia;
- Conferimento, a titolo onorifico,
del grado di tenente Colonnello
da parte del Gen. Di Corpo d’Armata Antonio Tambuzzo (Ministero della Difesa 1995).
Gianni Reineri
Angelo Bianchi da Senago - Milano
Elia Martin, presidente dell’Associazione di raggruppamento delle
Brigate del Popolo, ricorda l’amico
partigiano Angelo Bianchi, scomparso nel 2009. Lo stesso sindaco
Enrico Chiesa lo ha commemorato
durante le celebrazioni del 25
aprile dello scorso anno, menzionando la sua “rocambolesca fuga
dalle guardie repubblichine, tra i
tetti di Senago”.
Un episodio che lo stesso Bianchi
amava raccontare alle scolaresche
nelle visite annuali alle Scuole: “Gli
piaceva – racconta Martin – colorire
la storia e renderla ancora più avvincente agli occhi dei ragazzi; ma
si trattò davvero di un’avventura, in
cui Bianchi passò con aria indifferente davanti alle guardie che lo
cercavano, per poi fuggire dal suo
appartamento attraverso tetti e muriccioli, inseguito dai repubblichini
accortisi tardi dell’inganno”. Al di
là degli episodi avventurosi, Bianchi è ricordato come comandante
del gruppo partigiano, di cui entrò
a far parte dopo l’esperienza militare in Albania e la degenza in un
ospedale di Rimini.
“Una persona – aggiunge Martin –
sempre impegnata e coraggiosa,
nelle testimonianze partecipava
con entusiasmo”: Oltre a lui il sodalizio (circa 30 associati oggi, tra
cui ancora una decina di partigiani)
ha ricordato il 19 aprile altri compagni e collaboratori scomparsi,
nell’annuale “Pellegrinaggio alle
tombe dei sacerdoti, animatori e
costruttori di Libertà”.
Tre grandiosi libri dalla Liguria. Sulle montagne con i Partigiani. una figura leggendaria di giovane prete con gli operai di Bolzaneto e poi cappellano della
Divisione Garibaldina “Mingo”. Mario Savoini (Benzolo), Cosa è rimasto. Un ragazzo del circolo giovanile di Finale Ligure, poi ribelle in quell’infernale estate del ‘44 ed ora ancora più ribelle e deluso. Il motivo? Lo scempio in corso dell’Italia destinata allo spezzatino! Sono testi eccezionalmente graffianti ed invitano a cercarli, leggerli, farli leggere. Fanno capire quanto
è stata preziosa la vicenda “ribelle” per i ventenni inguaiati nella miracolosa avventura della guerra alla guerra, come paura, digiuno, coraggio, rabbia, fame di libertà, odio al nazismo abbiano fatto crescere le nostre generazioni. Quarto fresco di stampa, 150 tocchi sull’uscio, gruppo di ricerca di 150 caduti di tutte le guerre (Lelio Speranza FIVL, AVL Liguria, Savona).
Dalla Sicilia al quinto posto, Il ragazzo di Cremona di Pasqualino Tallarico.
Appello agli amici lettori di LIBERTÀ dal POPOLO
Grazie per l’entusiasmo della vostra accoglienza e fervida simpatia al nostro Numero Zero!
Preghiamo ora di aiutarci anche con un modesto contributo o abbonamento di 10 euro annuali. Agli amici collaboratori
chiediamo più brevità nei loro apprezzati articoli, in parte rinviati al prossimo numero costretti dal tempo tiranno e dallo spazio.
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Giornale 210