Antonio Vitulli
Benedetto Croce e la Capitanata1
di Antonio Vitulli
1. La famiglia Croce e la Capitanata
Fra le province e le città italiane, la Capitanata e Foggia furono fra i siti nei
quali la frequentazione di Benedetto Croce fu certamente fra le più assidue ed
intense.
E questo non solo per motivi, come dire, economici, avendo qui Croce le
sue proprietà terriere più notevoli, ma per ragioni dovute all’antica frequentazione
da parte della sua famiglia.
In quegli ‘aurei libretti’, come si suol dire, che contengono le monografie
dei due paesi dell’Abruzzo, Montenerodomo e Pescasseroli, nei quali avevano
avuto origine le famiglie paterne e materne dei Sipari, c’è un preciso riferimento ai
rapporti che tali famiglie avevano avuto con la Puglia piana.
«La pastorizia formava l’esercizio principale della popolazione di Montenerodomo, discendendo in ogni autunno gli abitatori da questi “pecoroni
monti”, con le loro mandrie, giù pei “tratturi”, al Tavoliere di Puglia. Locavano, ossia tenevano in fitto pascoli in Puglia, nel seicento, i De Thomasis,
i Rossi, i Goletta, i Calabrese, e le cappelle del Rosario e di San Rocco. Più
tardi, la famiglia dei Croce — che era tra le antichissime del paese, trovandosi già nel 1447 segnata col suo pair familias, - che si chiamava Sancta Crux,
Santa Croce, — venne anch’essa in agiatezza e finì col sorpassare tutte le altre
della terra. Nel cinque e seicento, nei suoi vari rami, sembra composta, in
parte, di piccoli proprietari; in parte, di coltivatori e pastori. Ma nella seconda metà del seicento, un Angelo di Croce, nato nel 1636, — che era agrimensore diplomato della Regia Dogana di Foggia (“compassatone approbato”),
e uomo di qualche istruzione, e compilava nel 1691, per incarico del barone
e dell’università, la Platea delle terre su cui il barone esigeva censi — dette il
primo impulso all’innalzamento di quel ramo della famiglia, che diventò il
principale. I suoi tre figli, Donato, Martino e Michele (sacerdote quest’ulti1
La nostra rivista è lieta di pubblicare l’intervento di Antonio Vitulli tenuto a Foggia in occasione della
commemorazione di Benedetto Croce, per il cinquantesimo della morte, organizzata dall’Associazione Agorà. La relazione, finora inedita, fu letta il 20 novembre 2002.
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mo ed arciprete di Montenerodomo) in società tra di loro, acquistarono le
greggi possedute dalla Cappella di San Rocco di Lanciano; e nel 1720-21 capi
di bestiame, tra il 1732 e il 1740, si moltiplicarono e oscillarono intorno al
numero di settemila, e nel 1742-43 salirono a oltre undicimila».2
È certamente suggestiva l’immagine dei massari e dei famigli dei Croce
che “migrano”, come dice il poeta, dalle terre d’Abruzzo verso la lontana piana
del Tavoliere, avviandosi lungo le vie erbose del tratturo Pescasseroli-Castel Di
Sangro-Foggia, con le loro greggi, accompagnati dalle famiglie di pastori, butteri,
quadrari, con carovane di muli, asini, cavalli, cani da pastore, attrezzature per
vivere sei mesi lontano da casa, pali e reti per gli stazzi. La loro meta era Foggia e
poi le locazioni fittate di Castiglione e di Trinitapoli, certamente fra le migliori del
Tavoliere, perché più ricche di pastura.
Anche i Sipari di Pescasseroli erano locati della Dogana delle Pecore e Croce
ricorda nel suo saggio sulla cittadina abruzzese, il nome nell’anno 1656, di un
Marcantonio Siparo, tra coloro che conducevano pecore in Puglia nella locazione
di Salpi (locazione certamente meno pregiata, perché vicina al lago salmastro, ora
prosciugato e, quindi, paludosa) oltre che all’industria laniera, era anche interessato
al commercio di alcuni sottoprodotti.
«Costoro – ricorda il Croce – sono designati col nome di “bassettieri”, ossia
“negozianti delle pelli degli agnelli morti nel nascere, chiamate bassette”; e di
essi ‘principale occupazione” era “il girare per le varie poste del Real Tavoliere
di Foggia, per ricevere gli animali morti o non atti al vivere o a dare frutto,
per metterne in commercio le carni nelle varie città e terre di quelle provincie,
così pel comodo dei pastori e degli altri applicati a quella industria che per uso
comune de’ cittadini”; e le pelli delle pecore e capre vendevano agli artieri del
Regno, e quelle dei teneri agnelli ai forestieri, essendo molto usate “nelle isole
dell’Arcipelago ed in altri luoghi dell’Impero ottomano”: mestiere complementare della industria delle pecore e necessarissimo, e perciò protetto con
tutti i privilegi che spettavano ai pastori della mena delle pecore in Puglia.
Tra i “bassettieri” si annoverava, nel 1656, un Marcantonio di Siparo, che si
ritrova anche tra i rappresentanti del comune, e tra coloro che conducevano
pecore in Puglia alla locazione di Salpi».3
Va sottolineato il fatto che queste notizie Croce le ricavò dai documenti
dell’Archivio di Stato di Foggia (i cosiddetti squarciafogli, ben noti agli studiosi
foggiani, che frequentano gli accoglienti locali dell’Archivio e con soddisfazione.
Voglio sottolineare che Croce non manca di ringraziare l’archivista foggiano del
2
3
Benedetto CROCE, Due paeselli d’Abruzzo 1° Montenerodomo, Bari, Laterza, 1922.
Benedetto CROCE, Due paeselli d’Abruzzo 2° Pescasseroli, Bari, Laterza, 1922
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tempo, Manfredi Palumbo,4 un nome quindi da affiancare agli archivisti dei nostri
giorni i Caruso, i De Cicco, i Nardella ai quali mi sia consentito rivolgere, anche
noi, ricercatori di oggi, i nostri ringraziamenti.
Per tutto il 700 e la prima metà dell’800 quindi, nell’Antico Regno, i Croce
vissero e prosperarono nell’industria armentizia quali locati della Dogana di Foggia,
frequentando soprattutto la nostra città (Fovea ventris nostrae Neapolis) che, non
dimentichiamolo, era allora la seconda città del Regno per popolazione e consistenza
produttiva (con una parola di oggi, diremo, del PIL, il prodotto interno lordo). In
particolare è da ricordare la fiera, la più importante del Regno, che segnava il momento
finale dell’annata pastorale, durante la quale si procedeva alla commercializzazione
della produzione armentaria, con la vendita della lana, dei formaggi, delle carni, delle
pelli e di tutti gli altri sottoprodotti dell’allevamento ovino.5
Giorni quindi, quelli della fiera, durante i quali convenivano nella città i locati
della Dogana, gli acquirenti dell’industria laniera, quelli interessati alla produzione
4
Annota Croce «Questi dati sono tratti dai registri contabili o ‘squarciafogli’ dell’Archivio della Dogana
delle Pecore di Foggia consultati per me dall’archivista signor M. Palumbo al quale qui porgo i miei
ringraziamenti». Manfredi Palumbo fu – intorno agli anni 20 (epoca nella quale furono scritti i due saggi di Croce) – eccellente direttore del secolare archivio della Dogana, autore di numerosi testi sulla Dogana
di Foggia fra cui il ben noto saggio Tavoliere e sua viabilità, Napoli, Tipografia degli artigianelli,1923.
La conoscenza e la frequentazione di Croce degli archivi della Dogana di Foggia pone ancora più
in risalto la ‘disattenzione’ del Croce storico per quella che era stata l’istituzione più importante e singolare
del Regno di Napoli e che aveva condizionato le vicende non solo della Capitanata ma del Regno per oltre 4
secoli e oltretutto delle proprietà terriere della sua famiglia. Una spiegazione può essere data dalla ben note
diffidenza di Croce per l’economia agraria e dai motivi etico-politici della sua indagine storiografica. Del resto la “disaffezione” di Croce fu comune alla storiografia del tempo e bisognerà attendere il secondo, dopoguerra perché gli storici rivolgessero la loro attenzione alle, vicende della Dogana delle Pecore di Foggia.
5
Fra le personalità delle famiglie Croce-Sipari, un posto di riguardo, quale ‘uomo che conosceva a fondo la
montagna abruzzese e la pianura di Foggia’ (l’espressione è di Raffaele COLAPIETRA, La Dogana di
Foggia, Bari, Edizioni del Centro Librario, 1972) certamente spettava a Francesco Saverio Sipari di Pescasseroli, avo di Donna Adelina, moglie di Benedetto Croce, e padre di Erminio Sipari, che fu deputato radicale e
Sottosegretario alla Marina, cugino di Benedetto al quale egli dedicò il saggio su Pescasseroli.
Francesco Saverio Sipari intervenne in maniera vivace ed incisiva nella polemica pubblicistica sul malaugurato progetto Minghetti – nell’immediato periodo dopo l’Unificazione – che aboliva il secolare regime della
Dogana e del Tavoliere e prevedeva l’affrancamento della sua immensa proprietà (ai quali i Croce e i Sipari
erano interessati quali censuari). Sulla questione, egli pubblicò un prezioso opuscolo (stampato a Foggia nel maggio 1863 dal tipografo Salvatore Cardone intitolato Lettera ai censuari del Tavoliere) nel quale
palesa la sua approfondita conoscenza della storia economica del Tavoliere di Puglia, opera – aggiunge ancora
Colapietra – che andrebbe ripubblicata, quale esempio dell’intensità ed esattezza onde si avvertiva da parte di
molti spiriti illuminati, ancorché conservatori, del Mezzogiorno, la natura schiettamente sociale del malessere
che scuoteva in quel momento quelle regioni (l’Abruzzo e la Puglia). Francesco Saverio Sipari contestava, non
l’opportunità della legge affrancatrice ma le modalità con cui essa intendeva procedere, nociva e lontana dalla
grande riforma economica che si intendeva attuare.
Come sappiamo, le giuste osservazioni del Sipari furono disattese in quanto – fra il disinteresse della
maggior parte della rappresentanza politica meridionale alla Camera ed al Senato (compresa quella della
Capitanata, pur rappresentata da personalità quali Bonghi, Ricciardi, Zuppetta, Di Sangro etc.) - prevalse il
progetto governativo voluto da Minghetti, rigido difensore degli interessi del Tesoro – oberato dai debiti
di guerra – il che diede il via alla speculazione del Capitale finanziario sulla vasta proprietà del Tavoliere.
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casearia, delle carni, provenienti da ogni parte del Regno, dall’Italia e dall’estero,
ed infine i proprietari delle greggi per saldare, dopo la vendita dei prodotti, i debiti
con la Dogana per il fitto dei pascoli e partecipare all’assemblea dei locati che discuteva i comuni problemi e eleggeva i propri deputati.
Ed è simpatico pensare alla presenza, ogni anno, per secoli, qui a Foggia di
un Croce, come farà poi don Benedetto anche lui, ogni anno, nei mesi di luglio
e agosto alla chiusura dell’annata agraria. Tutto questo mondo della Dogana e
del regime del Tavoliere sarà spazzato via col vento, verrebbe di dire come dal
romanzo, dall’Unificazione.
Anche la situazione patrimoniale delle famiglie Croce e Sipari subì il generale cambiamento (da notare, quasi contemporaneamente alla nascita di Benedetto nel 1866) in conseguenza della Legge di affrancamento del Tavoliere del
1865, che modificava profondamente, dopo secoli di dominio della Dogana delle
Pecore, le strutture agrarie della Capitanata, dando un colpo mortale alla pastorizia ed alla transumanza, destinando alla proprietà privata l’immenso patrimonio demaniale del Tavoliere (nel modo - occorre dirlo - peggiore) per cui i
Croce dovettero modificare il proprio sistema di vita passando dall’allevamento
all’agricoltura.
Alla fine dell’800 comunque, le famiglie Croce e Sipari avevano alfine consolidato le loro proprietà in Capitanata anche se con difficoltà di natura burocratica e fiscale (nell’Archivio di Foggia nel Fondo Affrancamento del Tavoliere sono
presenti numerosi atti dei Croce riguardanti passaggi da enfiteuti a proprietari,
rivendiche di confini, di terre ‘salde’ a pascolo, di riscatto di zone tratturali etc.
etc.). Si tratta di proprietà che sono ancora oggi in loro possesso, salvo diminuzioni
per passaggi di proprietà e vendite.
Questa proprietà fu gestita, in un primo momento, se non vado errato, da
parenti di Don Benedetto, il fratello Alfonso col figlio Pasquale, e solo più tardi,
dopo la prima guerra mondiale, anche da Croce stesso, cinquantenne, coadiuvato
da Donna Adele, dal genero Raimondo Craveri, dalle figlie, e dai suoi referenti
foggiani, fra cui l’ingegnere Raffaele Tramonte che gli fu vicino negli anni in cui le
sue aziende furono coinvolte dalla bonifica integrale.
La famiglia Croce gestiva le sue aziende, non direttamente (sarebbe stato impossibile), ma col sistema della colonia e della fittanza ed è superfluo sottolineare
l’impegno occorrente per tale tipo di conduzione e pertanto non c’è dubbio come
tale impegno riuscisse gravoso per il senatore Croce. Per cui non possiamo non
domandarci: quale fu il rapporto che egli ebbe con tale proprietà?
In effetti esso deve essere stato alquanto ‘contrastante’. C’era in lui, certamente, considerazione ed attenzione per quelle sue terre di Puglia, ben meritate per
il lungo impegno di generazioni di suoi famigliari. Erano terre che oltretutto con il
loro reddito permettevano a lui ed alla sua famiglia una vita agiata e sicura. Ma non
c’è dubbio che esse erano anche fonte di disagio, di turbamento per il necessario e
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forte impegno che la conduzione delle terre comportavano.
Inoltre sappiamo quale fosse il principale, anzi unico, totale ed assoluto impegno di Croce: lo studio continuo, la ricerca attenta, bibliografica ed archivistica,
la riflessione pensosa che non lasciava spazio a nessun altra occupazione o distrazione, se non quella doverosa di senatore del Regno ed è ben noto (lo ricorda
la figlia Elena nel suo bel libro L’Infanzia Dorata)6, come egli trovasse addirittura
sollievo dai mali fisici solo sedendo alla sua scrivania e come egli amasse dire «con
la sua nota arguzia che come Catullo voleva essere totus nasus così io vorrei essere
tutto pensiero».
Per questo suo lavoro inoltre Croce era costretto a venire a Foggia (dove
alloggiava sempre all’Hotel Sarti, il ben noto vecchio, confortevole albergo vicino
alla stazione, tanto caro a noi vecchi foggiani)7 alla chiusura dell’annata agraria e
cioè in estate nei mesi di luglio ed agosto che noi foggiani conosciamo bene. Mi ricordano la storia del cafone all’inferno di Tommaso Fiore, del bracciante che finito
fra le fiamme, considerava quell’ambiente e quel clima confortevole se paragonato
a quello del nostro caro Tavoliere, d’estate.
L’eco di questo disagio è riscontrabile nella corrispondenza di Croce —
naturalmente quella edita — in quelle lettere scambiate con i suoi amici più intimi,
legati anche alle vicende di famiglia, quali Alessandro Casati dilectissimus inter
amicos e uno dei pochi ai quali Croce dava del tu, e Adolfo Omodeo suo giovane
ed amato discepolo morto prematuramente, le cui esistenze (ahimè) alla caduta del
fascismo ebbero a divergere per la nota questione, che coinvolse anche chi vi parla,
della diversa militanza politica fra partito liberale e partito d’azione.
Le lettere datate da Foggia o riferentesi alle cose foggiane sono numerose,
per le quali rimandiamo ai numerosi carteggi pubblicati.8
Ma fra queste alcune vanno riprese perché fanno riferimento ad un periodo
di grandi difficoltà che il senatore dovette affrontare nella conduzione delle sue
aziende foggiane. Si riferiscono al periodo di quella rivoluzione agraria della Capitanata che fu la bonifica integrale che sconvolse il tradizionale aspetto produttivo
agricolo del Tavoliere e che, bisogna sottolinearlo, dopo un primo momento di
sconforto, fu affrontato e risolto dal Croce con sagacia, aiutato dal suo amico foggiano che gli fu vicino, come ho ricordato, l’ingegnere Raffaele Tramonte.
Non è il caso di rifare qui le vicende di quegli anni e per i quali rimandiamo
6
Elena CROCE, L’infanzia dorata, Milano, Adelphi, 1966.
È noto (lo ricorda sua figlia Elena) la predilezione di Croce per gli alberghi vicino alle stazioni e la
preferenza per quelli piccoli ma dignitosi e silenziosi e nei quali si servivano cibi semplici e sani quale
era appunto l’Albergo Ristorante Sarti. Perciò Croce vi si tratteneva volentieri obbligando spesso il buon
Don Giovanni Laterza a raggiungerlo a Foggia.
8
Benedetto CROCE, Epistolario II. Lettere ad Alessandro Casati, Napoli, Istituto italiano degli studi storici, 1969. Benedetto CROCE, Carteggio Croce-Omodeo, Napoli, Istituto italiano degli studi storici, 1978.
7
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ai noti saggi di Raffaele Colapietra e di Franco Mercurio. Basti un cenno.9
Siamo negli anni dal 1934 al 1940 che ebbero come interprete principale
un grande agronomo, Arrigo Serpieri, un liberale prestato, come tanti altri, al
fascismo, che vide a Foggia il suo trionfo con l’approvazione della Legge sulla
Bonifica integrale nell’ottobre del 1934 e il suo fallimento, per l’ostilità di una parte
della proprietà agraria e per l’entrata in guerra.
L’obbligo, imposto dalla legge, di procedere all’appoderamento delle
proprietà coinvolse anche i terreni dei Croce in contrada Ricciardi, vicino Foggia.
Di queste difficoltà leggiamo dalla sua corrispondenza con Omodeo:
Napoli 17 agosto 1934
Mio Caro Omodeo...
Quest’anno tutti i miei disegni sono rotti.
Ho dovuto fare un precipitoso disastroso viaggio di qui in Puglia; dovrò
tornare colà fra giorni, e poi ancora più volte. Ho sofferto un danno gravissimo, una truffa enorme, nella mia amministrazione. Basti dirvi che ho
perso per due, e forse tre anni, i due terzi delle mie rendite: il che non solo
mi costringerà a una strettissima economia familiare (che sarebbe il minor
male), ma mi getta ora nel turbine delle azioni giudiziarie per liberare quelle
terre e fittarle ad altri, e nell’ansia di non riuscirvi in tempo utile per la seminagione. Come tutto ciò sia accaduto (e si poteva evitare) sarebbe lungo
a raccontare. Ma il fatto è che da otto giorni non leggo un rigo e non scrivo:
da otto notti quasi non chiudo occhio: alcune notti le ho passate contando i
tocchi dell’orologio.
Ciò mi toglie freschezza di mente e l’uso della giornata. Anche questa lettera
mi costa stento. A 69 anni, e dato che per 50 anni non mi ero più occupato di
affari per essermi dedicato tutto agli studia, mal si sopportano faticosi viaggi
per cose ingrate e contatti con persone ingratissime. E poi, io non ho fiducia
in me stesso come uomo pratico in affari, e ciò accresce il tormento.
Bisogna farsi animo, lo so. E io me lo farei certamente, se potessi riacquistare
il beneficio del sonno.
Saluti affettuosi. Scusate se vi ho parlato di queste tristezze. Ma era necessario per spiegarvi la stasi, che spero transitoria, nella mia attività di studioso.
Abbiatemi
Vostro Croce
E subito dopo:
Meana 31 agosto 1934
Mio caro Omodeo,
9
Raffaele COLAPIETRA, La Capitanata nel periodo fascista, Foggia, Amministrazione Provinciale, 1978.
Franco MERCURIO, Classi sociali e conflitti politici, in Piero BEVILACQUA, Il Tavoliere di Puglia. Bonifica e
Trasformazione tra XIX e XX secolo, Bari, Laterza, 1988.
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Antonio Vitulli
Ricevo la lettera e la cartolina nel tornare qui dopo un altro viaggio e un
nuovo soggiorno di dieci giorni in Puglia. Sono affaticatissimo e il peggio è
che mi perdura tormentosa l’insonnia. Quegli affari si sono complicati con
liti e atti giudiziaria, che mi tengono inquietissimo e mi costringono a continua vigilanza. Sarà quel che sarà: l’urgente ora è che io riacquisti l’equilibrio
fisiologico.
Meana di Susa 20 settembre 1934
Mio caro Omodeo,
Sono dovuto andare, la settimana scorsa, una terza volta di qui in Puglia,
faticoso viaggio col quale per altro ho dato un certo assetto agli affari che
m’inquietavano.
Ma mi perdurano insonnia e disaffezione dallo studio e vuoto mentale: era
una crisi che già si preparava in me da qualche tempo, e che la interruzione
e lo sconvolgimento prodottimi da quell’inatteso sconquasso, hanno accelerata. Poiché ne ho fatta un’esatta analisi, spero di tirarmene fuori, usando
pazienza.
Meana 27 settembre 1934
Mio caro Omodeo,
Il 1° ottobre andrò con Elena e Alda dai Casati e vi resterò alcuni giorni. Poi
penso di passare per Firenze e rivedere Russo. Io ho ripreso il sonno e riavviato un certo lavoro intellettuale; ma quei quaranta giorni di gite faticose e
di vita contro (mia) natura, che sono stato costretto a fare, mi hanno lasciato
assai stanco e come diminuito di forza vitale. Ma spero di rifarmi.
Si badi alle date. Le lettere sono tutte posteriori al settembre 1933, data con
la quale è stato costituito il Consorzio di Bonifica della Capitanata e approvato
il Piano Curato contro il quale si è scagliato l’ingegnere Tramonte e che sarà poi
modificato. Nei mesi successivi comunque, con l’aiuto dell’ingegnere Tramonte
l’ansia, anzi - come egli definisce il suo stato d’animo, all’amico Omodeo nelle
sue lettere del luglio ‘35 - l’angoscia ed il turbamento, che traspaiono nelle lettere
precedenti sono scomparse.
Napoli 9 luglio 1935
Mio caro Omodeo
Sono tornato ier sera dalla Puglia, dove mi sono cotto al sole e ho assorbito
un caldo e un bollore, che non ho ancor mandato fuori, tanto più che anche
Napoli, in fatto di caldo, non scherza. Purtroppo, dovrò tornare in Puglia fra
cinque o sei giorni, ma spero che mi sbrigherò di tutto.
[…] Basta: questo è ormai un passato. Nonostante le difficoltà, nonostante
le pene del passaggio dalla Poetica agli affittatori di terre e agli speculatori di
granaglie quest’anno me la sto cavando abbastanza bene, e, soprattutto, con
la tranquillità di chi opera direttamente e non si affida a nessuno.
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Benedetto Croce e la Capitanata
Deo favente, tra il 18 e il 20 vorrei partire per Meana, e immergermi nel lavoro alla cui preparazione ho atteso durante l’anno.
Croce presentò la sua domanda di appoderamento con alquanto ritardo, il
28 novembre 1938, domanda, come ho detto, che riguardava la ristrutturazione dei
terreni in contrada Ricciardi come è possibile vedere ancora oggi.
I lavori, certamente impegnativi delle costruzioni dei poderi e delle case
coloniche occuparono i due anni seguenti e furono complicati da ottemperanza
ed imposizioni di natura agronomica, tassative (superfici coltivabili, scelte
produttive, numero di capi di bestiame...) spesso mutevoli, dovute ai vari piani
di trasformazione del Tavoliere succedutisi in quegli anni (piano Curato, piano
Mazzocchi-Alemanni, Piano Medici-Perdisa), di natura impositiva. Era un vero
guazzabuglio che ad un liberale come Croce non poteva non apparire se non come
imposizione statalista.
A conoscere bene questi fatti sarebbe stato opportuno visionare tutta la
corrispondenza CroceTramonte. Di questa siamo venuti a conoscenza solo di
17 lettere, recuperate da Angelo Celuzza10 ottenute dall’editore Laterza e mai
pubblicate.11 Tali lettere riguardano il periodo successivo agli eventi narrati tranne
qualcuna di particolare importanza, perché segna la fine di quella tormentata
vicenda:
Bari 3 marzo 1940
Carissimo Comm. Tramonte
Ieri firmammo il contratto di appoderamento della masseria Ricciardi. Il testo del contratto, dopo preventivo accordo col Ministero dell’Agricoltura,
presentato in antecedenza all’Ispettorato Agrario di Foggia e da questi approvato ed elogiato.
Suo B. C.
Pollone (Vercelli) 12 agosto 1940
Gentilissimo amico
Eccomi qui in riposo e veramente avevo bisogno di aria fresca e pura... Anche Le ricordo di farmi avere la misura del perimetro della strada Ricciardi
per il calcolo da fare degli alberi da piantare.
Suo B. C.
10
Già Direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia e organizzatore delle celebrazioni per il centenario
della nascita di Benedetto Croce nella Mostra del 1966.
11
Una ricerca per recuperare il carteggio Croce-Tramonta allo scopo di approfondire una indagine sulla
gestione e la conduzione della proprietà terriera dei Croce in Capitanata, sarebbe opportuna interessando la
Casa Editrice Laterza e l’archivio di casa Croce.
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Antonio Vitulli
Napoli 18 ottobre 1940
Gent.mo Comm. Tramonte
... inoltre le sarò grato se Lei potesse informarmi di come procedono le cose
alla masseria Ricciardi, se le famiglie dei coltivatori sono a posto...
Suo B. C.
Per concludere comunque questa vicenda è bene ricordare una storia che ha
indubbiamente risvolti grotteschi.
Come è noto su tutte le case coloniche del tempo, il regime fascista aveva
imposto che fossero inserite, sulle pareti esterne, frasi del Duce o che facessero
riferimento ai programmi ‘ruralistici’ del fascismo come ad esempio il ben noto:
‘È l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende’. Ora immaginate simili
scritte sulle case coloniche di Croce!
Fu allora che il senatore trovò un escamotage, dando incarico all’ingegnere
Tramonte, che aveva curato per Croce le costruzioni, di comunicare ai funzionari
del Consorzio di Bonifica l’entusiasmo della proprietà all’iniziativa e la decisione
‘poiché Virgilio era il riconosciuto poeta della romanità e, nelle Georgiche, il più
grande poeta dei campi’, di inserire sulle case, frasi di Virgilio; e pertanto furono
consegnate agli stupefatti funzionari ben 18 epigrafi latine con la raccomandazione,
tuttavia, che esse fossero, in omaggio alla ‘romanità’ del regime, in latino.
Naturalmente non se ne fece niente.12
2. Croce e la Fiera di Foggia
Abbiamo parlato della Fiera di Foggia e della sua importanza per l’economia
dell’antico regno e per la città, importanza che era venuta a cessare dopo
l’unificazione, per la soppressione della Dogana e la fine dell’economia pastorale.
Tuttavia, negli anni 30, a seguito della politica fieristica intrapresa in Italia dal
fascismo e alle iniziative ‘ruralistiche’ del regime, che vedeva nelle fiere la migliore
occasione per la propaganda populistica di massa e nella rinascita della fiera di Foggia,
la migliore vetrina che evidenziasse, oltretutto, il grande impegno del regime nel
Tavoliere, fu istituito a Foggia l’Ente Fiera con il proposito di organizzare le Fiere
del Progresso Autarchico (sic) dell’Agricoltura. Come è noto, di tali manifestazioni
si svolsero due sole edizioni, nel 1938 e 1939, dopo le quali l’intervento in guerra
vanificò ogni proposito, in quanto il campo fiera fu sequestrato dall’esercito.
Passata la bufera bellica, agli inizi dell’anno 1945, il Ministero dell’Industria,
comunicava al commissario dell’Ente Vincenzo Bruno, liberale, la decisione ‘di
procedere alla soppressione dell’Ente Autonomo per la Fiera di Foggia’ in quanto
12
Cfr. «Il Foglietto» del 1 marzo 1951.
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Benedetto Croce e la Capitanata
‘creato per considerazioni di carattere politico’. Il Commissario Bruno pensò allora
di rivolgersi al senatore Croce.
Era una felice scelta. Infatti nessuno meglio di Croce era in grado di garantire
sulla storia della fiera, sul suo antico e glorioso passato e sul fatto che il fascismo, in
effetti, non aveva fatto che appropriarsi di tale istituzione ai fini di propaganda.
Croce infatti si rivolse al suo amico di Napoli, Renato Morelli, a quel tempo
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del Governo Parri che a sua volta
interessò il ministro dell’Industria Enzo Storoni, liberale, che non seppe dire di
no a Croce. Pertanto il Ministero si contentò di chiedere una modifica allo statuto
dell’Ente... togliendo alla fiera la denominazione di Progresso Autarchico.13
3. Gli amici foggiani di Croce
Non è comunque da pensare che i rapporti di Croce con la Capitanata si
limitassero solo ai fatti economici. Egli aveva nella nostra città estimatori e seguaci
sia fra i suoi coetanei che fra i giovani. Ricordiamone qualcuno.
Raffaele Tramonte
Abbiamo già detto di Raffaele Tramonte. Egli era un attento e valido studioso
dei problemi della bonifica e dell’irrigazione e aveva pubblicato da Laterza nel 1933
diversi volumi fra cui La Bonifica integrale del Tavoliere di Puglia. Tramite Laterza
appunto Croce aveva conosciuto Tramonte e non poteva trovare un tecnico più
adatto a consigliarlo nelle decisioni da prendere per la trasformazione fondiaria dei
suoi terreni.
Del resto Tramonte era quello che possiamo definire un conservatore
‘illuminato’ che credeva nel ‘privato’ ma era contro l’immobilismo degli agrari,
sottolineando nelle sue opere quelli che a suo avviso erano, i compiti dello Stato: la
lotta alla malaria ed alla siccità, la costruzione di dighe fra le quali quella di Occhito
e della quale egli non potè vedere la realizzazione venti anni dopo.
Queste sue idee certamente trovavano consenso e appoggio in Croce, che
lo gratificò della sua amicizia anche dopo la cessazione dell’incarico professionale,
come è attestato dalle lettere citate, fra cui quella nella quale il senatore si confidava
col Tramonte per i bombardamenti di Foggia dell’agosto del ‘43, durante i quali
erano anche state colpite alcune case coloniche della sua azienda.
Antonio Salandra
Fra i foggiani illustri va senza dubbio ricordata l’amicizia con il nostro
Antonio Salandra.
13
Per maggiori notizie sull’episodio cfr. il volume di Antonio VITULLI, Foggia mercantile e la
sua fiera, Foggia, Daunia Editrice, 1989.
100
Antonio Vitulli
La conoscenza fra Salandra e Croce era antica ed improntata, da parte del
Croce, a rispetto e considerazione, per essere lo statista di Troia più grande di
lui di oltre 10 anni (Salandra era nato il 1853) e dovuta anche alla sua giovanile
frequentazione di casa Spaventa.
Ambedue si erano poi occupati della figura di Silvio Spaventa per il quale
nutrivano una comune venerazione. Croce con i suoi due volumi pubblicati alla
fine del secolo e Salandra con un saggio sulla Nuova Antologia.
Nel carteggio Croce-Vossler (siamo nell’ottobre del 1914 nei giorni della
neutralità e Salandra aveva già assunto l’incarico di Presidente il Consiglio dei
Ministri) Croce aveva scritto: ‘il Salandra è un uomo coltissimo, assennato, serio...’.
E tale stima non era velata dal fatto che, come è noto, Croce era un giolittiano; anzi,
come aveva voluto scherzosamente ricordare allo stesso in una lettera alla caduta
del Governo Salandra nel 1916, di ‘neutralista e germanofilo’.
A dimostrazione di tale stima va ricordato che proprio in quell’anno 1914, il
senatore aveva aderito all’iniziativa di Laterza di pubblicare un volume di vari scritti
di Salandra (che per questo si era rivolto, insieme, a Croce e a Giustino Fortunato,
che accettarono di buon grado) l’invito, anche se con qualche perplessità da parte
di Croce. Il volume fu pubblicato nella Biblioteca di Cultura Moderna col titolo di
Politica e Legislazione.14
I rapporti comunque fra Salandra e Croce continuarono, come è noto, sia
pure con dissensi politici, amichevoli e rispettosi come ricorda il Croce nel suo
volume di Pagine Sparse, fino alla morte dello statista lucerino.
Nicola Zingarelli
L’amicizia o, per meglio dire, l’amichevole conoscenza fra Benedetto Croce e
il ‘piccolo e vivacissimo foggiano di Cerignola’15 fu certamente singolare in quanto
14
Ho rievocato recentemente questo evento – della pubblicazione del volume su Salandra a cura di Giustino Fortunato con la supervisione di Benedetto Croce, nella Biblioteca di Cultura Moderna di Laterza –,
in un saggio pubblicato sulla rivista “Quaderni di Capitanata” di San Severo (n. 1 anno 2001) per i riflessi
che tale iniziativa ebbe a Foggia con il coinvolgimento del Consiglio Provinciale (che come è noto era stato
presieduto da Salandra dal 1889 al 1894) il quale ambiva ad essere coinvolto nella pubblicazione in omaggio
al ‘comprovinciale’.
Il Consiglio Provinciale di quell’anno – 1914 – era composto da rappresentanti della classe politica
del tempo di notevole statura quali il sen. Emilio Perrone, l’on. Ettore Valentini e l’on. Castellino di Foggia,
Gaetano Gifuni e Giuseppe Canelli, allievo di Salandra e futuro Sottosegretario durante il fascismo e la pattuglia socialista Domenico Fioritto, Lufino, Mucci, Maitilasso... Ma il voto del Consiglio Provinciale trovò
uno sdegnato oppositore in Giustino Fortunato che espresse il suo irriducibile dissenso nelle sue lettere a
Croce e a Laterza (vedile nel Carteggio vol. 3 1912-22 edizione Laterza) usando frasi come: ‘giudicando il
desiderio, in fondo giustificabile dei vecchi colleghi di Salandra, pacchianate, volgarità, sfogo di misere vanità... La richiesta dei foggiani fu decisamente respinta con disappunto di Laterza e in questa diatriba il Croce
si guardò bene da intervenire.
15 ’
L espressione è di Michele DELL’AQUILA, Nicola Zingarelli e il Giornale Storico della Letteratura Italiana
in «La Capitanata», XVI (1978-79), nel quale si tratta anche del rapporto fra Croce e Zingarelli.
101
Benedetto Croce e la Capitanata
mai due personalità, per cultura, carattere ed esperienze di vita, furono più diverse
ed opposte.
Eppure, i ‘punti di contatto’ fra i due erano parecchi. Primo, l’età. Infatti
essi erano nati, Zingarelli nel ‘60 e Croce nel ‘66. Poi la ‘napoletanità’. Ambedue
provinciali di nascita e napoletani di studio, con la stessa ‘frequentazione’ del mondo
napoletano del tempo. (Zingarelli stringerà relazioni affettuose con Di Giacomo,
Ferdinando Russo, De Roberto). E, ancora, la comune intima amicizia con Giovanni
Gentile, collega di Zingarelli all’Università di Palermo agli inizi del ‘900, e infine, la
comune e proverbiale laboriosità e capacità ‘sedentaria’, al tavolo di studio.
Le difficoltà e le incomprensioni reciproche nascevano naturalmente sul
piano scientifico, l’essere Zingarelli chiuso nella sua appartenenza alla scuola
storica e al suo metodo erudito-filologico, che condivideva, del resto, con i Barbi,
gli Ancona, i D’Ovidio, i Rajna.
Tale distanza – sul piano personale – fu accentuato dalla pubblicazione della
sua opera più nota, il Dante, ‘la vasta e dotta monografia’ – come comunque la
chiamò Croce – che non mancò tuttavia di criticarla decisamente (insieme alle altre
cosiddette ‘storia letterarie’) per il suo contenuto di ‘classificazione degli affetti e
degli oggetti rappresentati’, ‘spogli filologici delle figure rettoriche’, ‘invece dello
studio estetico della poesia dantesca’.16
Basta del resto paragonare le due opere su Dante, quello di Zingarelli (di 800
e passa pagine oltre ai saggi ed articoli) e le 200 pagine di Croce, per comprendere
a fondo le profonde differenze culturali dei nostri due letterati.
Tutto questo comunque non inficiò fra i due – specie nei primi tempi – il
cordiale rapporto come è testimoniato dalla breve corrispondenza conservata nel
‘Fondo Zingarelli’ della Biblioteca Provinciale di Foggia, che risale tuttavia al solo
periodo dei primi del ‘900.
Le poche lettere conservate hanno un tono cordiale ed affettuoso. Croce
si rivolge a Zingarelli con il ‘voi’ e le lettere si aprono spesso con un ‘carissimo
Zingarelli’, ‘mio caro Zingarelli’ e sono firmate oltre che con la tradizionale
— per Croce — ‘stretta di mano’, con ‘saluti affettuosi’, ‘affettuosissimo’, a
dimostrazione della stima e considerazione che il filosofo aveva del nostro
comprovinciale.
Il contenuto delle lettere è molto vario; dalla prima — datata 18 gennaio
1901 — nella quale Croce chiede all’affermato ‘dantista’ il significato di un verso
dantesco, a quella del suo assenso a partecipare al volumetto Per Nozze curato da
Zingarelli per il comune amico Erasmo Percoco, nella quale, con simpatica ironia,
Croce chiede all’amico: ‘Ma faccio un obiezione preliminare: è negli usi festeggiare
le seconde nozze? Informatevi un po’ ’.
16
Cfr. su tale quesione il saggio di Carmela P RENCIPE D I D ONNA , Nicola Zingarelli: Carteggi, Foggia, Editrice Apulia, 1979.
102
Antonio Vitulli
Altrettanto simpatica e piena di humor la lettera con la quale Croce
accompagna, in omaggio, il primo numero della Critica. «...A proposito del mio
generoso mecenatismo, dovete sapere che io pagherei alcune centinaia di lire per
avere... abbonati paganti! Voglio dire che l’esperienza prova che non si leggono
se non i libri che si pagano. Questo però non è il vostro caso e perciò vi mando la
rivista, lietissimo che vi interessi».
Gian Battista Gifuni
Lucera fu certamente la cittadina di Capitanata che fu più cara a Croce, anche
questa volta per ricordi famigliari essendo stato il suo avo omonimo Benedetto
(1794-1854), nel 1821, giudice presso la Gran Corte Criminale di Lucera, uomo
di carattere forte, come ricordava suo nipote che nel citato saggio sulla sua patria
natia, ne tracciò un attento e amorevole profilo.
Tale frequentazione deve essere stata abbastanza assidua se trovo diverse
lettere nei suoi carteggi, datate da Lucera17 e una presenza nel 1929 per celebrare
un caduto lucerino. E di Lucera era il suo amico Gianbattista Gifuni che per tale
amicizia ebbe anche a soffrire da parte della sospettosa polizia fascista, che, come
sappiamo, seguiva passo passo, il senatore, addirittura una sospensione dalle
funzioni di direttore della antica biblioteca comunale di Lucera, per aver ospitato
Croce nella sua casa.
Tale amicizia - basata sulla stima per l’opera di attento ricercatore e storico
di Gifuni (certamente, il più autorevole storiografo dello statista lucerino Antonio
Salandra, e di Ruggero Bonghi anch’egli lucerino di adozione)18 - è stata rievocata
proprio in questi giorni, in occasione della celebrazione di questo cinquantenario,
dal figlio Gaetano, autorevole Segretario Generale del Quirinale, in un articolo
17
Cfr. il carteggio Croce-Casati citato.
Il giudizio su Bonghi fu, certamente, l’unico punto di disaccordo fra Croce e Gifuni. Conosciamo il
giudizio severo che Croce espresse su Bonghi in diverse occasioni. Nella Critica (VI-1908) aveva scritto, sulla
fama che lo aveva circondato in vita: «Il nome di Bonghi era dappertutto, i giornali in una stessa settimana
portavano ai lettori, il discorso o i discorsi di Bonghi alla Camera, una conferenza di Bonghi, un articolo di
Bonghi sopra un recente romanzo francese, l’annuncio della pubblicazione di un volume storico di Bonghi,
di un nuovo volumetto delle traduzioni di Platone con commento fatto dal Bonghi...». Quanto al giudizio
su Bonghi politico esso era stato addirittura ‘feroce’. Riferendosi al famoso articolo pubblicato sulla Nuova
Antologia del 15 gennaio 1893 ‘L’ufficio del Principe in uno stato libero’ aveva scritto (nel fascicolo II della
Critica del 1941) ‘Che il Bonghi il quale non fu nient’altro che un parlamentare, scrivesse simili sconcezze
contro uomini che il popolo italiano eleggeva suoi rappresentanti, è un caso spiccato di levità mentale’.
In realtà tale sprezzante giudizio negativo nasceva non solo da aver visto in quel saggio una denigrazione
di Giolitti ma soprattutto dalla discussa iniziativa presa in quel momento, fatta da Giovanni Gentile, di pubblicare l’Opera Omnia di Bonghi (quale precursore dello Stato forte) opera della quale scrisse Croce ‘proprio
non si sentiva il bisogno’. Gifuni scrisse allora – a difesa del “lucerino Bonghi” – un saggio Bonghi davanti
al Consiglio di Stato ed un giudizio ingiustificato di Benedetto Croce nel quale poneva in rilievo anche Bonghi autore e relatore della Legge sulle Guarantigie che lo stesso Croce e Arturo C. Jemolo giudicarono “un
capolavoro”. (Sul rapporto Bonghi-Croce cfr. il mio saggio, La rappresentanza politica della Capitanata al V
Parlamento Unitario in «Rassegna di Studi Dauni», 1, gennaio 1975.
18
103
Benedetto Croce e la Capitanata
sul Corriere della Sera19 che ha ricordato alcuni episodi dì questa frequentazione e
comunanza di idee, al quale articolo è giusto rinviare quale testimonianza diretta,
nei ricordi del figlio Gaetano.
La considerazione e il caro ricordo che la famiglia Croce aveva per Gifuni mi
fu confermata dall’iniziativa da me presa nel 1975, quale Presidente della Società
Dauna di Cultura, di celebrare l’ottantacinquesimo compleanno del venerando
bibliotecario di Lucera, al quale mi legava una affettuosa amicizia confortata da
una assidua frequentazione nello studio di Carlo Cavalli — eletta figura di grande
agricoltore e di liberale — pubblicando un volume di scritti in suo onore.
Scrissi allora a Donna Alda Croce chiedendo di collaborare al volume in
ricordo di suo padre. Gentilissima, ella aderì all’iniziativa e mi inviò cinque lettere
inedite del padre che pubblicammo.20 Erano cinque lettere scelte con acutezza,
volte a dare al lettore la vastità degli interessi del senatore. Infatti le lettere erano
indirizzate a Bartolomeo Capasso, nel 1883, da Siviglia, riguardante ricerche a
testimonianza di Croce studioso d’archivio; a Giovanni Bovio, da Napoli nel 1898,
riguardante i teatri di Napoli nei sec. XVII e XVIII, per Croce erudito; a Gabriele
D ‘Annunzio, da Napoli nel 1903, nella quale assicura il poeta che s’occuperà di
lui nel prossimo numero della Critica (il Croce fine letterato); ad Eduard Feuter, il
celebre autore del Dizionario di Storiografia, da Napoli nel 1914, con notizie sugli
storici italiani (Croce storiografo) ed infine da Napoli a Thomas Mann, nel 1931 al
quale avrebbe dedicato la Storia d’Europa (Croce politico).
Umberto Bozzini
Un altro lucerino, un letterato sensibile ed elegante autore teatrale apprezzato
dal Croce per una sua tragedia, Fedra (rappresentata al ‘Valle’ di Roma nel 1909),
colpito ‘dall’impeto col quale la tragedia è condotta, dalla forte passione che tutta
la investe’. Bozzini morì giovane nel 1921.
Pasquale Soccio
Fra i ‘fedeli’ crociani di Foggia certamente un posto preminente spetta a
Pasquale Soccio —tanto caro a noi foggiani e da poco scomparso — che fece della
dottrina del filosofo una costante guida spirituale, quale docente e poi preside del
Liceo Classico “R. Bonghi” di Lucera. Tale comunione di idee nacque dal ‘culto’,
se possiamo dire, di Gianbattista Vico del quale ambedue non mancarono mai di
occuparsi fino alla fine dei loro giorni.
E da Vico nacque la conoscenza del nostro Soccio con Croce, quando, studente di Magistero a Roma e allievo di Guido De Ruggiero, scrisse la sua tesi di
19
Cfr. l’articolo Mio padre e il Maestro in «Corriere del Mezzogiorno», mercoledì 20 novembre 2002.
Cfr. Società Dauna di Cultura, Studi in onore di Giambattista Gifuni per il suo 85° Genetliaco,
Foggia, Editrice Apulia, 1976.
20
104
Antonio Vitulli
laurea sulla Scienza Nuova, tesi che sottoposta a Croce ebbe da lui il placet per la
pubblicazione da Laterza nella Piccola Collana Filosofica.21
A prova dell’attenzione costante al pensiero crociano va ricordato il saggio
Dall’utile al vitale in B. Croce ed in alcuni suoi interpreti pubblicato nella rivista I
Problemi della pedagogia diretta da Luigi Volpicelli, nel dicembre del 1961, saggio
che prende in esame tutte le pubblicazioni sulla nota questione del concetto del
‘vitale’ in Croce che — secondo Soccio — riguardò il filosofo nell’ultima parte
della sua vita.
Quello poi dei suoi rapporti con Croce era una costante delle sue
conversazioni con gli amici che ora possiamo leggere nel volumetto dei suoi ricordi
da poco pubblicato, dopo la sua morte.22
Mario Sansone
È doveroso ricordare fra le personalità ‘crociane’ foggiane, il lucerino Mario
Sansone che, dalla sua cattedra di letteratura all’Università di Bari, fece conoscere
il pensiero crociano a numerose generazioni di docenti.
Romolo Caggese
In questo elenco di amici e conoscenti di Croce in Capitanata una nota a parte
spetta certamente (anche se non possiamo annoverarlo fra i suoi amici) a quella per
alcuni aspetti singolare figura - fra storico e politico - di Romolo Caggese, nativo
di Ascoli Satriano.
Il rapporto fra le due personalità fu infatti di totale dissenso non solo storico e
culturale (Caggese apparteneva a quella scuola economico-giuridica della storiografia,
della quale oltretutto facevano parte personalità eccellenti quali Salvemini, Pasquale
Villani, Anzilloti, Rodolico, ma con ben altra levatura) ma anche di militanza
politica. Caggese fu dapprima socialista (con possibile appartenenza alla Massoneria)
per finire poi ingloriosamente (ahimè!) con la sua adesione al fascismo. Anche se si
trattava di un’adesione tardiva e poco convincente per lui che era stato nel 1925 fra i
firmatari del manifesto crociano degli intellettuali antifascisti.
Non è il caso di riandare in questa sede alle travagliate vicende della sua
vita.23 Ci basti ricordare alcuni dei difficili rapporti con Croce, il quale ebbe ben
presto a valutare negativamente prima i presupposti metodologici del suo metodo
storiografico e poi le sue scelte politiche .
Tale dissenso ebbe inizio sin dal 191224 quando Croce recensì uno dei
21
Pasquale SOCCIO, G.B. Vico. La Scienza Nuova, Bari, Laterza, 1942.
Pasquale SOCCIO, Incontri memorabili a cura di Benito MUNDI, Foggia, Edizioni del Rosone, 2002.
23
Cfr. sull’argomento l’ottimo saggio di Antonio VENTURA, Romolo Caggese fra storiografia e politica in «Rassegna
di Studi Dauni», VII, 1980.
24
Cfr. «La Critica», 1912.
22
105
Benedetto Croce e la Capitanata
volumi più impegnativi dell’opera di Caggese, Firenze dalla decadenza di Roma
al Risorgimento sottolineando, pur con l’apprezzamento del lavoro svolto,
l’antistoricismo della “storia in negativo”, per il pessimismo che permeava tutta
l’opera di Caggese chiedendosi: “e la storia, la grande storia della civiltà fíorentina
ove se ne era andata?”
Successivamente Croce ebbe ancora ad occuparsi degli scritti di Caggese25
fino alla rottura di ogni rapporto dovuto essenzialmente al “passo fatale” dello
storico foggiano con la sua collaborazione per la sezione medievale e moderna,
all’Istituto dell’ “Enciclopedia Italiana” di Giovanni Gentile .
4. La congiura di Foggia
Questi alcuni nomi di conoscenti foggiani di Croce, ma c’era anche, nel
periodo fascista, una parte sommersa, più diffusa di quanto si creda, formata
da giovani, resa adulta e consapevole dell’immenso valore della libertà, specie
con l’inizio della guerra mondiale, dalla lettura dei libri di Croce che, come chi
vi parla, riusciva ad avere, da parte di amici compiacenti, anche dalle pubbliche
biblioteche.
In questa atmosfera avvenne un episodio poco noto ma significativo nella
nostra città: la presunta congiura liberal-socialista che l’OVRA fascista definì “di
ispirazione crociana” nei mesi di aprile-giugno 1942 che per Bari faceva capo a
Tommaso Fiore e a Vittore Fiore (con il quale avrei avuto poi un intenso fraterno
rapporto, nella comune milizia meridionalistica) ed un gruppo di formazione
liberale fra i quali Ugo Sipari, nipote di Erminio.26
I foggiani coinvolti furono i professori Antonio Vivoli e Francesco Perna,
l’avvocato Giovanni Pedone, “propagandista” – così lo definiva il rapporto
dell’OVRA, – “del noto senatore Croce”, il medico pediatra Francesco Pedone,
il libraio Giuseppe Pilone, Ugo Sipari “imparentato col senatore Croce” (diceva
sempre il rapporto dell’OVRA).
Le indagini, gli interrogatori, a Foggia e Bari, si protrassero per mesi con
comportamenti da parte degli indagati a volte dignitosi, altre volte (ahimé) pavidi
fino alla delazione.
Nel corso dell’indagine, intervenne direttamente il senatore Croce, specie in
difesa dell’amico Giovanni Laterza e soprattutto dei giovani (da Vittore e Graziano
Fiore, Cifarelli, Calvario...).
In una lettera al potente capo della Polizia Senise, dopo aver sottolineato
25
Cfr. La Critica, 1915 e 1928.
Raffaele COLAPIETRA, La Capitanata nel periodo fascista (1922-1943). Foggia, Amministrazione Provinciale, 1978.
26
106
Antonio Vitulli
che egli, andando a Bari per ragioni editoriali, era uso incontrare studiosi di storia,
letteratura e filosofia faceva presente che «So di agenti di questura appostati
dall’imbocco della stradetta che conduce alla Villa Laterza che hanno preso i nomi
di vari visitatori e tutti sono stati perciò diffidati. Io stimo superfluo commentare
questo fatto che si commenta da sé e che si riduce ad un tentativo di farmi il deserto
attorno. Egli perciò chiede di frenare l’eccessivo zelo degli agenti e disporre che si
tolgano le diffide che sono state intimate».27
Anche Laterza — per quanto riguarda Foggia — fa presente al capo della polizia
Senise, che egli aveva accompagnato il senatore Croce per consegnare all’ammasso
duemila quintali di grano e che non c’era nessun tentativo eversivo in questa sua
presenza a Foggia.28 L’intervento di Croce ebbe un esito positivo tanto è vero che egli
poteva scrivere all’amico Alessandro Casati in data 11 settembre 1942.
Mio caro Alessandro,
… Giacché tu vedrai il Laterza ti prego di comunicargli che dal Ministero
dell’Interno, in seguito alla mia lettera, mi è stato comunicato che è stata revocata
l’ammonizione e sostituita da un semplice avvertimento: cosicché tutti quei giovani sono portati ad una condizione migliore.
Queste vicende e le carte processuali trovati nell’Archivio dell’OVRA,
pubblicate nel volume di Colapietra, danno un quadro della vita cittadina di
rilevante interesse per la nostra città a dimostrazione della perdita di ogni consenso
al regime, ormai al tramonto e dal fatto che gli ambienti intellettuali e borghesi
identificassero l’antifascismo nel nome di Croce.
5. Croce e la generazione degli anni Venti
Concludo questo saggio sui rapporti fra Croce e la Capitanata con un
riferimento personale, non come individuo, ma come testimone di che cosa abbia
rappresentato il pensiero di Croce per quelli della mia generazione.
Si tratta della generazione nata intorno agli anni Venti, la quale ha attraversato
quasi per intero il secolo XX e che ha vissuto il fascismo, la guerra, il dopoguerra e
i grandi accadimenti politici e culturali di fine secolo.
Credo che nessun altra sia stata chiamata dalla storia a vivere uguali esperienze
fisiche e spirituali. Ebbene questa generazione è passata, tutta, attraverso il pensiero
di Croce, un pensiero accolto, respinto, avversato, modificato, ma che comunque
ha dovuto ‘fare i conti’ con Croce.
Che cosa ha significato per me essere stato ed essere ‘crociano’? Ha significato
27
28
Cfr. il testo completo della lettera di Croce nel volume citato di Colapietra, pag. 499.
Ivi, p. 500.
107
Benedetto Croce e la Capitanata
(riprendo da Girolamo Cotroneo) una scelta di libertà, senza compromessi, senza
riserve mentali; una libertà concreta, da attuare e difendere in ogni momento; senza
progetti astratti, da svolgersi in una precisa situazione storica, consapevoli dei limiti.
A me la ventura di riconoscermi, giovanissimo, al liceo, negli ultimi anni
del fascismo, nel suo pensiero e questo sia per l’ambiente famigliare (mio padre
era stato allievo a Bari di Giovanni Carano-Donvito e salveminiano) che ad opera
di alcuni illuminati insegnanti, fino al completo approdo alla sua concezione
laica e immanentistica della storia, allo storicismo assoluto, che fu per me come
il raggiungimento di un porto sicuro, lontano dai dubbi di filosofie negative e
fuorvianti, ingannevoli e niente affatto ‘rasserenanti’.
Chiuderò questo mio intervento con la lettura di quella mirabile pagina
che chiude la Storia del Regno di Napoli, una pagina che riguarda da vicino, noi,
meridionali, anche per la parte avuta in questi anni difficili, per rivendicare la
funzione degli uomini di cultura i quali – come diceva Filangieri – ‘preparano i
materiali a coloro che governano’.
Come la storia, dunque, è azione spirituale, così ogni problema pratico e
politico è problema spirituale e morale; e in questo campo va posto e trattato,
e via via, nel modo che si può, risoluto; ... il singolo avverte anche la propria
potenza e la propria responsabilità, e il dove di fare senza indugio quel che
gli spetta fare, farlo con molti o con pochi compagni o affatto solo, farlo pel
presente o farlo per l’avvenire. Che cosa importa che gli altri non seguano o
non seguano subito; che cosa importa che gli altri sragionino e folleggino, e,
concependo bassamente la vita, in simil modo la vivano?
Teniamo a niente la sarcastica risposta di re Carlo d’Angiò a quei ‘buoni
uomini di Napoli’, che gli vennero incontro a implorare misericordia per la
rivolta della città, dicendo che era stata opera di folli. ‘E che cosa facevano i
savi?’, interrogò quel severo sovrano. Ai savi e più particolarmente a coloro
che attendono all’opera degli studi, ad essi solamente ardisco di parlare, perché la mia ‘pratica’ (come diceva il Vico) si aggira non altrove che ‘dentro le
accademie’, nei circoli della scienza, della critica e della cultura. Ricercando
la tradizione politica nell’Italia meridionale, ho trovato che la sola di cui essa
possa trarre intero vanto è appunto quella che mette capo agli uomini di dottrina e di pensiero, i quali compirono quanto di bene si fece in questo paese,
all’anima di questo paese, quanto gli conferì decoro e nobiltà, quanto gli preparò e gli schiuse un migliore avvenire, e l’unì all’Italia. Benedetta sia sempre
la loro memoria e si rinnovi perpetua in noi l’efficacia del loro esempio.
Queste le parole di Croce che poniamo a suggello e che ci permettiamo di
parafrasare rivolgendoci alla sua memoria, questa sera a cinquant’anni dalla sua
dipartita: benedetta sia sempre la sua memoria e si rinnovi perpetua in noi l’efficacia
del suo esempio.
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Benedetto Croce e al Capitanata - Biblioteca Provinciale di Foggia