VENERDÌ 11 FEBBRAIO 2005 LA REPUBBLICA 47 DIARIO DI DI VIAGGIO DENTRO IL PARADOSSO DEL COMUNISMO L’Europa dibatte se abolirlo perché equiparabile alla svastica o provare a conservarlo Per milioni di persone è stato prima emblema di libertà poi di terrore e dispotismo FALCE BANDIERA Una bandiera del Psi dei primi anni Venti. Falce e martello entrarono nel ’19 nel simbolo del Psi evo subito dire di trovare la pratica o anche solo l’intenzione di vietare per legge in sistemi democratico-liberali l’esposizione di simboli o la diffusione di idee improntate a questo o a quel credo politico in nessun modo condivisibile. Non condivisibile in via di principio, perché quali che siano le intenzioni, il ricorso a forme di censura politica obbedisce ad una logica per cui si richiede al “braccio secolare” di assumere un indebito ruolo di potere ideologico. E non condivisibile anche per quanto attiene all’efficacia, perché le idee e i valori, sublimi o perversi che siano o li si giudichi, hanno la natura dell’aria, dell’acqua e del fuoco: si infiltrano ovunque, a meno che non si costruiscano barriere invalicabili, le quali però non sono allora in grado di nulla distinguere. Ho sempre ammirato, a proposito, la costituzione americana, la quale lascia piena libertà ad ogni espressione di simboli ed idee e al contempo impone la repressione degli atti che minacciano la convivenza civile, sulla base del presupposto che, quando le istituzioni considerano come un dovere consentire la circolazione di queste ma non di quelle idee, non si sa mai come si finisce; in quanto basta che ad una maggioranza ne succeda un’altra perché ai simboli e valori accettati come legittimi se ne sostituiscano di diversi magari di segno del tutto opposto. Verità è, infatti, che, come l’esperienza dovrebbe insegnare, la saldezza dei valori della libertà, della tolleranza, della convivenza civile poggia sempre e soltanto sul consenso che tali valori effettivamente ottengono nella coscienza comune. E’ nel foro interiore di questa coscienza che essi vincono o perdono la loro battaglia. Reprimere per legge un simbolo e un’ideologia, anche i più turpi, induce i loro seguaci ad atteggiarsi a perseguitati, li spinge a quel camuffamento unicamente esteriore che nessuna legge è in grado di impedire, rende in ultima analisi più difficile a chi non li condivide combatterli e a chi li condivide abbandonarli. Sono portato a fare queste considerazioni non già da motivi teorici astratti, ma in relazione all’invito rivolto al Parlamento europeo da parlamentari lituani e ungheresi di prendere in considerazione unitamente al divieto dell’esibizione della svastica nazista quello della falce e del martello, in quanto simboli equiparati del dispotismo totalitario. Dopo aver già espresso i motivi per cui personalmente non ritengo opportuno che si vieti per legge qualsivoglia simbolo, vorrei svolgere alcune riflessioni su questa equiparazione. La svastica fu il simbolo di un movimento e di una forma di potere che dagli inizi alla fine e programmaticamente si propose come scopo il dominio assoluto del- D eMARTELLO Cosanascondeunsimbolopolitico MASSIMO L. SALVADORI la razza ariana sulle altre, alcune da sterminarsi e altre da ridurre ad uno stato di schiavitù o di servaggio, il potere dittatoriale di una élite di padroni su masse amorfe soggiogate, la guerra come legge della vita dei popoli fino all’an- nientamento di ogni nemico. La svastica non ebbe altri seguaci se non coloro che lottarono per il trionfo del nazismo e trovò nelle SA e nelle SS i suoi più tipici portabandiera. Orbene, domando, chi, non spinto da un sordo risenti- ERIC J. HOBSBAWM FALCE E MARTELLO NATURALMENTE è vero, come vedremo, che il vecchio simbolismo viene ora a essere sostituito da semplici stenogrammi simbolici di natura più politica che sindacale: la stessa bandiera rossa, il sole sorgente del socialismo, la falce e il martello (di gran lunga il più conosciuto), e talvolta versioni mutilate di vecchie immagini, come il simbolo antimilitarista della spada spezzata sulle bandiere del movimento operaio italiano. Ma ciò non toglie che si stia entrando in un mondo rituale diverso e meno riccamente dotato. Come spesso accade per le pratiche del movimento operaio, la trasformazione è accelerata dalle fluttuazioni economiche e politiche. Il declino della grande era degli stendardi venne accelerato dalla disfatta e dalla crisi – la loro produzione crollò bruscamente dopo il 1930 e, nonostante una certa ripresa postbellica, ha continuato a declinare. La ditta George Tutill, produttrice di circa i tre quarti di tutti gli stendardi che si conoscono, non ne confezionò neanche uno nel 1967. “ “ mento pur reso comprensibile dalle violenze patite ad opera delle dittature comuniste, può affermare ragionevolmente qualcosa di simile a proposito della falce e del martello? Chi può non vedere e tener conto del fatto che, mentre i nazisti non furono altro che nazisti, nelle correnti del movimento operaio e nei partiti che alzarono il vessillo della falce e del martello – il quale non fu solo dei comunisti - vi furono tanti uomini che non solo non ebbero nulla a che fare con gli uomini di Stalin e dei suoi consimili, ma che, restando fedeli a quel vessillo, lottarono per ideali e scopi del tutto diversi, si opposero agli Stalin e ne furono le vittime più odiate e vilipese? Chi può assimilare i milioni di operai e contadini che lottarono per una maggiore giustizia sociale levando la falce e il martello, i comunisti dell’antifascismo e della Resistenza alle schiere agitanti la svastica? La svastica fu dunque sempre e soltanto un simbolo di oppressione e di morte; la falce e il martello un simbolo di speranza e di emancipazione stravolto e tradito dal dispotismo comunista. Chiunque analizzi la storia del comunismo moderno non può non scontrarsi con la sua complessità, le sue plurivalenze, le sue ambiguità e profonde antinomie. Esso è stato al tempo stesso un movimento di liberatori e di oppressori, di chi è morto per alti obiettivi umani e per servire utopici ideali di liberazione totale e di chi ha messo in atto le più ignobili sopraffazioni, di chi, insomma, ha operato per dare un senso e un futuro alle più grandi speranze e di chi quelle speranze ha spento. Certo, e qui sta un nodo che non è dato ignorare, molti sono stati i comunisti che hanno incarnato l’uno e l’altro ruolo, che hanno inteso servire la loro utopia mettendo in atto o sostenendo pratiche del potere che il fine contraddicevano frontalmente. Tirate le somme, nessuno può e deve negare per un verso che il significato della svastica è opposto a quello della falce e del martello, per l’altro che il comunismo è stato il movimento che ha promosso lotte nobili e generose, ma che là dove è andato al potere, ha assunto il volto tragico del totalitarismo. Vietare il simbolo della falce e del martello al pari della svastica equivale a compiere una reductio ad unumdel significato del comunismo moderno che non ha giustificazioni né storiche né umane. Chi lo fa si assume la responsabilità di assimilare Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, Gramsci, Terracini, l’eroe della Resistenza italiana Giambone, schiere di operai e contadini probi e coraggiosi in lotta per il miglioramento della loro esistenza, non solo a Stalin ma anche a Hitler e a Goebbels. Chi lo fa indurrà – ed è questo un aspetto da considerare attentamente - i comunisti dell’Unione Europea che continuano a portare nelle loro bandiere la falce e il martello, avendo rigettato il comunismo dei dittatori, a sentirsi dei perseguitati, additati come paria politici. Non sentono il peso e non colgono le implicazioni di una simile operazione i deputati europei dei paesi dell’Est che invocano questa reductio ad unume Frattini che li incoraggia e sostiene? DIARIO 48 LA REPUBBLICA LE TAPPE LA BANDIERA ROSSA, 1848 Compare per la prima volta, simbolo delle lotte operaie, nelle barricate del febbraio ‘48, poi negli scioperi in Francia del 1871’90. È istituzionalizzata alla dimostrazione del I maggio 1889 LE MANI STRETTE, 1873 I lavoratori socialisti di Breslavia inaugurano una nuova bandiera rossa con due mani che si stringono, una corona di quercia e il motto “Libertà, eguaglianza, fraternità” VENERDÌ 11 FEBBRAIO 2005 IL SOLE SORGENTE, 1890 Da fine ‘800 l’iconografia operaia si arricchisce di nuovi simboli. Tra questi il sole sorgente del socialismo. Sulle bandiere del movimento operaio, l’icona antimilitarista della spada spezzata IL DISEGNO DI GUTTUSO, LA SVOLTA DI CRAXI, IL MALUMORE DI PERTINI E TOGLIATTI... LA SINISTRA DIVISA ANCHE SULLO STEMMA FILIPPO CECCARELLI I LIBRI VICTOR ZASLAVSKY Lo stalinismo e la sinistra italiana Mondadori 2004 RICHARD PIPES Comunismo. Una storia Rizzoli 2003 VITTORIO FOA, MIRIAM MAFAI, ALFREDO REICHLIN Il silenzio dei comunisti Einaudi 2002 ERIC J. HOBSBAWM I rivoluzionari Einaudi 2002 ALESSANDRO DE ANGELIS I comunisti e il partito Carocci 2002 GIUSEPPE BOFFA Memorie del comunismo Ponte alle Grazie 1998 GIOVANNI GOZZINI, RENZO MARTINELLI Storia del Partito Comunista Italiano Einaudi 1998 ERNST NOLTE Nazionalsocialismo e bolscevismo Rizzoli 1999 NELLO AJELLO Il lungo addio Laterza 1997 PAOLO SPRIANO I comunisti europei e Stalin Einaudi 1983 GIAMPAOLO PANSA Prigionieri del silenzio Sperling&Kupf er 2004 GIUSEPPE FIORI Uomini ex Einaudi 1993 ura ormai da quasi trent’anni, e non è ancora finita, la controversia allegorica che dal mondo abbagliante dei simboli ha ridotto la falce e martello prima a uno stemma, poi a un marchio e adesso a un semplice contrassegno grafico, però da mettere al bando. O forse in soffitta. Tipica controversia all’italiana, giocata fra bizzarre pignolerie e rimpicciolimenti furbastri, ricadute legali e blitz congressuali. La scena di partenza, o se si vuole l’inizio delle ostilità, la notte prima che inizi il 41° congresso del Psi, a Torino, nell’inverno 1978. C’è qui nella sala deserta un giovanotto svelto e dai lunghi capelli che sta facendo issare un enorme pannello dietro il palco. Si chiama Filippo Panseca, futuro scenografo della grandeur craxiana, e il pannello reca un garofano di metri 6 per 2. Di falce e martello neppure l’ombra. «Ma ecco — racconta Panseca — che arrivano Formica e Nesi. Si avvicinano, guardano e tutti incazzati mi dicono: “Non è che ti sei scordato il simbolo del partito?”». Già: il vecchio simbolo. E’ tardi, Panseca si attacca al telefono, chiama Bettino: «Ehi, guarda che questi non ci sentono proprio, vogliono bandiere rosse, falci, martelli, libri e soli dell’avvenire». Narra la leggenda pansechiana che anche quella volta Craxi non si scompose: «Mi dice: “Ah, è così? Allora tu sgnàccagli un tricolore, voglio proprio vedere se ci trovano da ridire”». In realtà l’ardente scenografo fa di più: oltre alla bandiera, sotto al garofanone pone «una falcetta e un martellino, così — spiega — per far contenti tutti quanti». Contenti fino a un certo punto, perché veramente è l’avvio della disfida. Durante l’intervallo del primo giorno alcuni militanti tradizionalisti riportano in sala tra gli applausi un cartellone con il vecchio emblema. Buona parte del partito non accetta il cambiamento. Sandro Pertini è nero. Dal palco il vecchio ex segretario Alberto Jacometti addirittura piange, e grida con tutto il fiato che gli resta in gola di voler morire sotto la falce e martello. Tristano Codignola prende di petto il garofano, indica con aria schifata il festone alle sue spalle: «Sembra la bomba atomica». E Craxi lo manda platealmente a quel paese. Ma è quasi fatta. Più che consapevole dissacrazione ai danni della falce e martello, quel mutamento passa in realtà come un golpe semantico e decisionista all’insegna del garofano, fiore primigenio della tradizione socialista. Al congresso di Palermo (1981) la questione del simbolo non si pone; in quello di Verona (1984), che Panseca ha allestito come una grande discoteca a specchi, il già diminuitissimo emblema del lavoro sparisce del tutto dal campo visuale del socialismo italiano. Nel 1985 uno dei primi video-games (Craxi-runner s’intitola) raffigura Bettino in un labirinto alle prese con la falce e martello: più riesce a inghiottire dollaroni, più è in grado di distruggere il simboletto. Al congresso di Rimini (1987), infine — ma non è la vera fine della metaforica contesa —sotto le volte del tempio greco Craxi comincia a scagliare quei gloriosi attrezzi addosso agli odiati cugini comunisti. Anche i modi infatti contano: così, piuttosto che invitarli a togliere la falce e martello dal loro glorioso stemma, disegnato da Renato Guttuso con la consulenza di Antonello Trombadori sotto la supervisione di Togliatti, il leader socialista sembra chiedergli di vergognarsi di quell’uten- D ‘‘ ,, VIDEOGIOCHI Uno dei primi video-games si intitolava “Craxi-runner” raffigurava Bettino in un labirinto alle prese con la falce e martello sileria bolscevica. Non che abbia torto. Il Psi adottò in effetti la falce e martello al congresso di Bologna del 1919, con un ordine del giorno firmato da Nicolino Bombacci, quando tutto spingeva a fare «come la Russia». Ma questo non basta a chiudere una disputa di inusitata acribia e quasi maniacale sviluppo che coinvolge compulsatori di almanacchi, tessere, giornali, opuscoli, bandiere. Contro studiosi che sostengono che quegli strumenti ricorrono, insieme con la vanga, l’incudine, la ruota dentata, la zappa e perfino il piccone, nell’iconografia socialista dei primi anni del secolo scorso, si deve allo storico Piero Melograni la dimostrazione definitiva che la falce e il martello appaiono per la prima volta “incrociati” solo dopo la rivoluzione bolscevica, in Russia per giunta. Ma intanto gli anni passano, le ideologie s’indeboliscono e anche Craxi ha altro a cui pensare. All’inizio degli anni novanta la vera novità per la sinistra è la fine e in qualche modo anche lo sdoppiamento del Pci, con le dovute ripercussioni simboliche. Per cui Occhetto s’inventa la quercia, ma alla base del tronco, a mo’ di radici del neonato Pds, lascia un piccolo cerchio con falce e martello. Non è una grande trovata estetica: anzi, «è orribile — commenta il pubblicitario Gavina Sanna — come un vestito moderno da cui spuntano fuori le ghette». Rifondazione punta invece sull’usato sicuro ricalcando uno stemma quanto più simile a quello del vecchio partito comunista. Sembrerebbe la soluzione ideale, ma alle politiche del 1992 i dirigenti del Pds si convincono che i rifondatori del comunismo gli hanno sottratto, per via della confusione di falce e martello sulle schede, dai tre ai quattrocentomila voti. Entrano allora in azione squadre di avvocati, ma a quel punto i simboli, nella loro dimensione più profonda e perfino inesplicabile, rifuggono le aule dei tribunali. Si depotenziano, perdono l’anima, diventano altro: segni, indizi, bolli, timbri, griffe. E tuttavia , per quanto svuotati e immiseriti della loro energia, a volte si vendicano pure. Così, quando nell’autunno del 1998 Rifondazione comunista a sua volta si spacca dando vita al Partito dei comunisti italiani, il Pdci di Cossutta-Diliberto, anche la falce e martello si sdoppia, o meglio si dimezza fra le accuse, e di nuovo devono intervenire i legali, e i giudici, e le perizie, ma ormai esiste una giurisprudenza al riguardo, forse anche un codice rituale, se non addirittura una routine. E comunque: con salomonica decisione, la Corte di Cassazione stabilisce nel 2001 che nessuno dei due partiti può legittimamente rivendicare l’esclusività dell’uso. Ma Craxi non c’è più e ai ds non importa più. Anche le belle bandiere sono riposte. Ci sono gli stilisti trasgressivi. Falce e martello si fanno notare alle sfilate di moda. E diventano anche una spilla, che viene donata a D’Alema quando è presidente del consiglio. Il quale ringrazia: «La metterò al prossimo vertice della Nato». Chissà cosa ne direbbe Bombacci, che pure ha avuto una vita complicata. UMBERTO SABA Falce e martello e la stella d’Italia/ ornano nuovi la sala. Ma quanto/ dolore per quel segno sul muro!/ Entra sorretto dalle grucce, il Prologo,/ Saluta al pugno... Teatro degli Artigianelli 1944 BEPPE FENOGLIO È quella bandiera rossa con falce e martello dirimpetto alla sua chiesa, la vedrai domattina, che lo farà morire. Ma a cose finite, vengano a dirmi che sono comunista! Il partigiano Johnny 1968 LA TESTIMONIANZA DEL VIOLONCELLISTA ROSTROPOVICH SOTTO QUELL’EMBLEMA LA MIA VITA FU TERRIBILE LEONETTA BENTIVOGLIO a falce è il simbolo del lavoro dei contadini, che nel regime sovietico vivevano tragicamente male. Quanto al martello rappresenta gli operai, per i quali la dittatura comunista in Urss fu un’esperienza spaventosa. Riflessi astratti di esistenze e contesti, i simboli hanno un peso e un valore molto concreti. Per questo il mio rapporto con l’emblema può essere solo negativo». Si esprime così, senza mezzi termini, il leggendario violoncellista Mstislav Rostropovich a proposito del dibattito sul bando dei simboli comunisti dai paesi dell’Unione europea. D’altra parte il grande musicista, che diede asilo a Solgenitzyn nell’èra Breznev, che protestò pubblicamente contro le restrizioni imposte dal governo agli intellettuali, e che negli anni ’70 subì in patria una censura feroce su tutte le sue attività musicali, «L non ha mai fatto mistero sulla propria avversione nei confronti del regime sovietico, da cui nel ’74 fu costretto all’esilio: «Mi buttarono fuori e persi cose importanti: la cittadinanza e il contatto con le persone a me più care, come David Ojstrakh, che non avrei mai più rivisto». Amico dei massimi compositori russi del Novecento, ne rammenta con angoscia le vite devastate: «Prokofiev mi ospitò nella sua dacia, e ogni mattina lo vedevo piangere dalla fame. Sciostakovich soffriva orribilmente: i comunisti fecero una legge contro di lui, criticandone il formalismo, e finirono per proibire tutte le sue sinfonie. Viveva nel terrore, temendo sempre ritorsioni sui suoi figli». Per questo e altro, quando cadde il Muro di Berlino, Rostropovich volle festeggiare l’evento con un concerto estempora- DIARIO VENERDI 11 FEBBRAIO 2005 IL PUGNO CHIUSO, 1917 Il colore rosso completa la conquista dei movimenti socialisti dopo la rivoluzione del ‘17. Nello stesso periodo appare il gesto del saluto col pugno chiuso LA REPUBBLICA 49 LA FALCE E MARTELLO 1919 Il partito dei lavoratori fondato da Andrea Costa (1892) sceglie come simbolo la falce e martello nel 1919, dopo la rivoluzione d’Ottobre. L’emblema è sulla bandiera dell’Urss IL CASO L’ex presidente lituano Vytautas Landsbergis e l’ungherese Joszef Szajer (Ppe) chiedono la messa al bando della falce e martello, equiparata alla svastica nazista PARLA LO STORICO POLACCO BRONISLAW GEREMEK MA IO DALL’EST DICO NON CANCELLIAMO ANDREA TARQUINI Berlino er Bronislaw Geremek, massimo intellettualepolitico polacco e artefice della transizione alla democrazia, vietare la falce e martello non avrebbe senso. Quel che conta è che l’Europa si dica chiaramente antitotalitaria. Senza dimenticare né il ruolo dei movimenti dei lavoratori nella sua Storia, né la deformazione patologica imposta alle loro tradizioni dal totalitarismo comunista. Professor Geremek, lei proibirebbe la falce e martello? «In generale non sono fautore dei divieti di simboli esteriori. Credo che l’Europa dovrebbe piuttosto dirsi chiaramente antitotalitaria e dimostrare nel discorso e nella pratica che la libertà quale valore europeo è strumento del rifiuto del totalitarismo. I divieti possono scaturire effetti opposti al desiderato. Il vietato diventa tentazione». La falce e martello va equiparata alla svastica? «Se si chiede di vietare la svastica, posso capire che ci si domandi perché non vietare anche la falce e martello quale simbolo di un altro regime totalitario. La svastica ha origini ben più antiche del nazismo. E la falce e martello evoca tradizioni che vanno oltre il quadro del sistema totalitario comunista e sovietico. Insisto: bisogna dichiarare la scelta antitotalitaria dell’Europa, non accanirsi contro i simboli». I politici dei paesi baltici vedono nella falce e martello un significato di oppressione totalitaria. Molti, nella sinistra europea, non sono d’accordo. Il dibattito fa riesplodere uno scontro sulla natura dei due sistemi? «I problemi non vengono dai simboli. È giusto, come chiedono i baltici, ricordare che nel 1939 non ci fu solo l’aggressione nazista ma anche l’invasione di paesi indipen- P GLI AUTORI LE IMMAGINI Bronislaw Geremek, storico, intellettuale e politico polacco, è membro del Parlamento europeo. Massimo L. Salvadori insegna Storia delle dottrine politiche a Torino. Il Sillabario di Hobsbawm è tratto da “Gente che lavora - La trasformazione dei rituali operai”, Rizzoli 2001. La falce e il martello hanno fatte parte dell’iconografia del movimento operaio dalla fine dell’Ottocento insieme all’aratro, la spiga, il sole nascente, il libro e tanti altri. Ma sono i bolscevichi russi a intrecciarli nel simbolo che diventerà celebre nel Ventesimo secolo. ‘‘ ,, CONFRONTI La svastica ha origini ben più antiche del nazismo e la falce e martello evoca tradizioni che vanno oltre il totalitarismo sovietico denti da parte dell’Armata rossa: i tre paesi baltici, e poi la Polonia in virtù del Patto segreto Molotov-Ribbentrop. Non dimentichiamolo quando si parla dello scoppio della seconda guerra mondiale, o si celebrano gli accordi di Jalta, o la fine del conflitto. È molto importante rispettare la Verità. Darle il posto giusto nel futuro d’Europa. Sarebbe pericoloso se lo spirito europeo si fondasse anche sull’amnesia, o sulla deformazione della Verità». Ma non le pare che molti vedano nella falce e martello anche un simbolo dell’emancipazione dei lavoratori, o di un’Armata rossa protagonista della guerra? «Io non vieto a chi vuole dir- RUSSIA Nella foto grande un manifesto russo della Seconda guerra mondiale. Sopra, iconografia ufficiale cinese. Nella pagina a fianco, illustrazione dell’Avanti del 1912 e un manifesto del Pci del 1959. GIORGIO BASSANI Costretto all’esilio perse la cittadinanza sovietica e il contatto con le persone più care come David Ojstrakh neo, immortalato da una foto che girò il mondo: «Ero a Parigi, e la tivù diede la notizia. Impossibile resistere: partii subito, e all’aeroporto di Berlino presi un taxi per correre al Muro. Mi misi a suonare una Passacaglia di Bach per violoncello solo: non avevo neanche una sedia, e dovetti chiederla in prestito al portiere di un edifi- cio. Attorno a me si riunì una trentina di persone, ma io non suonavo per loro: suonavo per me stesso, per esprimere a Dio la mia gratitudine». Se gli si dice che oggi c’è chi dà battaglia al vessillo comunista equiparandolo alla svastica nazista, “Slava” spiega di trovare opportuno l’accostamento: «Detesto la svastica, emblema di una dittatura orrenda. Eppure di per sé, molti secoli prima dell’avvento del nazismo, aveva un significato ben diverso da quello attribuitogli dal regime dei lager: nell’antica cultura indiana la croce uncinata simboleggiava felicità e benessere. Allo stesso modo so quanto i principi fondanti del comunismo fossero diversi dal sistema che ha governato il mio paese. Ma il regime sovietico li ha deformati al punto da trasformarli nell’opposto. Per questo odio la falce e il martello». Una specie di strana tunica: rossa, e cosparsa di tante minuscole falci e martello nere. Così abbigliate, adesso figuravano quasi sacerdotesse del socialismo! Gli ultimi anni di Clelia Trotti 1954 IAN McEWAN Vidi la bandiera rossa. Era legata a un’asta corta, forse un vecchio bastone da scopa, e a reggerla era un tipetto fragile. Proprio nel giorno del crollo del comunismo... Cani neri 1992 lo di dirlo. In queste affermazioni c’è anche Verità. Ma non accetterò mai di sentir parlare di un ruolo pacifico dell’Urss di Stalin, che assoggettò con la forza i paesi baltici, e si spartì la Polonia con i nazisti. Dimenticarlo è pericoloso. Ricordo l’inizio di Anna Karenina: Tolstoj scrive che tutte le famiglie felici si somigliano, mentre le famiglie infelici sono una diversa dall’altra, ognuna distinta dal suo dolore. Nelle esperienze dolorose subite dai popoli sottomessi a un regime o all’altro ci sono differenze, anche grandi. Dopo il settembre 1939, dopo l’annessione delle repubbliche baltiche, l’Urss ha stretto un’alleanza con le democrazie e il suo ruolo nella guerra contro il Reich è stato decisivo. Ma ciò non cancella la natura totalitaria del suo sistema e le sue conseguenze sui destini dei popoli europei. Nella Memoria dell’Europa di domani serve spazio al ruolo nefasto dei due totalitarismi. L’Olocausto è unico, ma non dimentichiamo le milioni di vittime del Gulag». L’Europa occidentale e l’Europa che fu sotto dominio sovietico hanno una memoria diversa, e danno un valore diverso ai simboli come la falce e martello? «Ho la sensazione che nella coscienza dell’Europa occidentale la verità sul sistema sovietico si faccia strada solo poco a poco. Eppure da Solgenitsyn in poi, la Verità si poteva leggere liberamente da decenni. Almeno da voi. Le premesse per un’unificazione delle coscienze d’Europa sulla natura del sistema sovietico ci sono, ma questa unificazione resta da fare». Con o contro i simboli quali la falce e martello? «L’attaccamento ai simboli come la falce e martello e alle tradizioni della sinistra è legato all’Urss. La preponderanza della sinistra nella vita intellettuale europea nella seconda metà del ventesimo secolo ha creato una tendenza moralmente inammissibile a perdonare gli errori del sistema sovietico». Ma non pensa che la falce e martello resterà come simbolo del movimento dei lavoratori, a prescindere dal totalitarismo comunista? «Certo, non dubito che l’Europa in cui viviamo sia stata forgiata anche dalle lotte e dalle conquiste del movimento operaio per una dimensione sociale dell’Europa. Non dubito che la sinistra abbia un posto enorme, e meritato. Ma se l’Europa è responsabile di tutta la sua eredità, compresi i totalitarismi, ha la libertà di dire sì ad alcune tradizioni e no ad altre. Stiamo discutendo dei simboli in un’Europa che è nella Storia un’avventura attorno alla libertà. Un’Europa in cui le tradizioni della sinistra hanno subìto una deformazione patologica col sistema sovietico, così come nazismo e fascismo sono una deformazione patologica delle tendenze di destra. È importante dirlo chiaramente quando l’Europa, anche dibattendo dei simboli, vuole forse darsi una dimensione politica». I FILM OTTOBRE La storia della rivoluzione russa. L’indecisione del governo Kerenskij, l’arrivo di Lenin alla Stazione Finlandia, la presa del Palazzo d’inverno, protagoniste le masse di Pietroburgo, nel capolavoro di Sergej M. Ejzenstein (1927). GOODBYE LENIN! Una convinta comunista della Germania Est entra in coma e quando si risveglia il muro è caduto. Ma i figli, per evitarle uno shock, le nascondono la verità. Regia di Wolfgang Becker, del 2002. REDS La vita di John Reed, il giornalista americano che partecipò alla Rivoluzione d’Ottobre e la raccontò nel celebre libro “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”. Di Warren Beatty, con Warren Beatty, Diane Keaton, Jack Nicholson. Del 1981. IL COMPAGN O DON CAMILLO Don Camillo accompagna Peppone in viaggio in Unione Sovietica, e semina dissenso. Con Gino Cervi e Fernandel, regia di Luigi Comencini, 1965.