VENERDÌ 11 FEBBRAIO 2005
LA REPUBBLICA 47
DIARIO
DI
DI
VIAGGIO DENTRO IL PARADOSSO DEL COMUNISMO
L’Europa
dibatte se
abolirlo
perché
equiparabile
alla svastica
o provare a
conservarlo
Per milioni
di persone
è stato prima
emblema
di libertà
poi di
terrore e
dispotismo
FALCE
BANDIERA
Una bandiera del Psi dei
primi anni Venti. Falce e
martello entrarono nel
’19 nel simbolo del Psi
evo subito dire di trovare la
pratica o anche solo l’intenzione di vietare per legge in sistemi democratico-liberali
l’esposizione di simboli o la diffusione di idee improntate a questo
o a quel credo politico in nessun
modo condivisibile. Non condivisibile in via di principio, perché
quali che siano le intenzioni, il ricorso a forme di censura politica
obbedisce ad una logica per cui si
richiede al “braccio secolare” di
assumere un indebito ruolo di potere ideologico. E non condivisibile anche per quanto attiene all’efficacia, perché le idee e i valori,
sublimi o perversi che siano o li si
giudichi, hanno la natura dell’aria, dell’acqua e del fuoco: si infiltrano ovunque, a meno che non si
costruiscano barriere invalicabili,
le quali però non sono allora in
grado di nulla distinguere. Ho
sempre ammirato, a proposito, la
costituzione americana, la quale
lascia piena libertà ad ogni espressione di simboli ed idee e al contempo impone la repressione degli atti che minacciano la convivenza civile, sulla base del presupposto che, quando le istituzioni
considerano come un dovere
consentire la circolazione di queste ma non di quelle idee, non si sa
mai come si finisce; in quanto basta che ad una maggioranza ne
succeda un’altra perché ai simboli e valori accettati come legittimi
se ne sostituiscano di diversi magari di segno del tutto opposto.
Verità è, infatti, che, come l’esperienza dovrebbe insegnare, la saldezza dei valori della libertà, della
tolleranza, della convivenza civile
poggia sempre e soltanto sul consenso che tali valori effettivamente ottengono nella coscienza comune. E’ nel foro interiore di questa coscienza che essi vincono o
perdono la loro battaglia. Reprimere per legge un simbolo e un’ideologia, anche i più turpi, induce
i loro seguaci ad atteggiarsi a perseguitati, li spinge a quel camuffamento unicamente esteriore che
nessuna legge è in grado di impedire, rende in ultima analisi più
difficile a chi non li condivide
combatterli e a chi li condivide abbandonarli.
Sono portato a fare queste considerazioni non già da motivi teorici astratti, ma in relazione all’invito rivolto al Parlamento europeo da parlamentari lituani e ungheresi di prendere in considerazione unitamente al divieto dell’esibizione della svastica nazista
quello della falce e del martello, in
quanto simboli equiparati del dispotismo totalitario. Dopo aver
già espresso i motivi per cui personalmente non ritengo opportuno
che si vieti per legge qualsivoglia
simbolo, vorrei svolgere alcune riflessioni su questa equiparazione.
La svastica fu il simbolo di un
movimento e di una forma di potere che dagli inizi alla fine e programmaticamente si propose come scopo il dominio assoluto del-
D
eMARTELLO
Cosanascondeunsimbolopolitico
MASSIMO L. SALVADORI
la razza ariana sulle altre, alcune
da sterminarsi e altre da ridurre ad
uno stato di schiavitù o di servaggio, il potere dittatoriale di una élite di padroni su masse amorfe
soggiogate, la guerra come legge
della vita dei popoli fino all’an-
nientamento di ogni nemico. La
svastica non ebbe altri seguaci se
non coloro che lottarono per il
trionfo del nazismo e trovò nelle
SA e nelle SS i suoi più tipici portabandiera. Orbene, domando, chi,
non spinto da un sordo risenti-
ERIC J. HOBSBAWM
FALCE E MARTELLO
NATURALMENTE è vero, come
vedremo, che il
vecchio simbolismo viene ora a essere sostituito da
semplici stenogrammi simbolici di natura più politica
che sindacale: la stessa bandiera rossa, il sole sorgente del socialismo, la falce e il martello (di gran lunga il
più conosciuto), e talvolta versioni mutilate di vecchie
immagini, come il simbolo antimilitarista della spada
spezzata sulle bandiere del movimento operaio italiano. Ma ciò non toglie che si stia entrando in un mondo
rituale diverso e meno riccamente dotato. Come spesso accade per le pratiche del movimento operaio, la trasformazione è accelerata dalle fluttuazioni economiche e politiche. Il declino della grande era degli stendardi venne accelerato dalla disfatta e dalla crisi – la loro produzione crollò bruscamente dopo il 1930 e, nonostante una certa ripresa postbellica, ha continuato a declinare. La ditta George Tutill, produttrice
di circa i tre quarti di tutti gli stendardi che si conoscono, non ne confezionò neanche uno nel 1967.
“
“
mento pur reso comprensibile
dalle violenze patite ad opera delle dittature comuniste, può affermare ragionevolmente qualcosa
di simile a proposito della falce e
del martello? Chi può non vedere
e tener conto del fatto che, mentre
i nazisti non furono altro che nazisti, nelle correnti del movimento
operaio e nei partiti che alzarono
il vessillo della falce e del martello
– il quale non fu solo dei comunisti - vi furono tanti uomini che non
solo non ebbero nulla a che fare
con gli uomini di Stalin e dei suoi
consimili, ma che, restando fedeli
a quel vessillo, lottarono per ideali e scopi del tutto diversi, si opposero agli Stalin e ne furono le vittime più odiate e vilipese? Chi può
assimilare i milioni di operai e
contadini che lottarono per una
maggiore giustizia sociale levando la falce e il martello, i comunisti dell’antifascismo e della Resistenza alle schiere agitanti la svastica?
La svastica fu dunque sempre e
soltanto un simbolo di oppressione e di morte; la falce e il martello
un simbolo di speranza e di emancipazione stravolto e tradito dal
dispotismo comunista. Chiunque
analizzi la storia del comunismo
moderno non può non scontrarsi
con la sua complessità, le sue plurivalenze, le sue ambiguità e
profonde antinomie. Esso è stato
al tempo stesso un movimento di
liberatori e di oppressori, di chi è
morto per alti obiettivi umani e
per servire utopici ideali di liberazione totale e di chi ha messo in atto le più ignobili sopraffazioni, di
chi, insomma, ha operato per dare un senso e un futuro alle più
grandi speranze e di chi quelle
speranze ha spento. Certo, e qui
sta un nodo che non è dato ignorare, molti sono stati i comunisti
che hanno incarnato l’uno e l’altro ruolo, che hanno inteso servire la loro utopia mettendo in atto
o sostenendo pratiche del potere
che il fine contraddicevano frontalmente. Tirate le somme, nessuno può e deve negare per un verso
che il significato della svastica è
opposto a quello della falce e del
martello, per l’altro che il comunismo è stato il movimento che ha
promosso lotte nobili e generose,
ma che là dove è andato al potere,
ha assunto il volto tragico del totalitarismo.
Vietare il simbolo della falce e
del martello al pari della svastica
equivale a compiere una reductio
ad unumdel significato del comunismo moderno che non ha giustificazioni né storiche né umane.
Chi lo fa si assume la responsabilità di assimilare Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, Gramsci,
Terracini, l’eroe della Resistenza
italiana Giambone, schiere di
operai e contadini probi e coraggiosi in lotta per il miglioramento
della loro esistenza, non solo a
Stalin ma anche a Hitler e a Goebbels. Chi lo fa indurrà – ed è questo
un aspetto da considerare attentamente - i comunisti dell’Unione
Europea che continuano a portare nelle loro bandiere la falce e il
martello, avendo rigettato il comunismo dei dittatori, a sentirsi
dei perseguitati, additati come
paria politici. Non sentono il peso
e non colgono le implicazioni di
una simile operazione i deputati
europei dei paesi dell’Est che invocano questa reductio ad unume
Frattini che li incoraggia e sostiene?
DIARIO
48 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
LA BANDIERA ROSSA, 1848
Compare per la prima volta, simbolo delle
lotte operaie, nelle barricate del febbraio
‘48, poi negli scioperi in Francia del 1871’90. È istituzionalizzata alla dimostrazione
del I maggio 1889
LE MANI STRETTE, 1873
I lavoratori socialisti di Breslavia
inaugurano una nuova bandiera rossa con
due mani che si stringono, una corona di
quercia e il motto “Libertà, eguaglianza,
fraternità”
VENERDÌ 11 FEBBRAIO 2005
IL SOLE SORGENTE, 1890
Da fine ‘800 l’iconografia operaia si
arricchisce di nuovi simboli. Tra questi il
sole sorgente del socialismo. Sulle
bandiere del movimento operaio, l’icona
antimilitarista della spada spezzata
IL DISEGNO DI GUTTUSO, LA SVOLTA DI CRAXI, IL MALUMORE DI PERTINI E TOGLIATTI...
LA SINISTRA DIVISA
ANCHE SULLO STEMMA
FILIPPO CECCARELLI
I LIBRI
VICTOR
ZASLAVSKY
Lo stalinismo e
la sinistra
italiana
Mondadori
2004
RICHARD
PIPES
Comunismo.
Una storia
Rizzoli 2003
VITTORIO
FOA, MIRIAM
MAFAI,
ALFREDO
REICHLIN
Il silenzio dei
comunisti
Einaudi 2002
ERIC J.
HOBSBAWM
I rivoluzionari
Einaudi 2002
ALESSANDRO
DE ANGELIS
I comunisti e il
partito
Carocci 2002
GIUSEPPE
BOFFA
Memorie del
comunismo
Ponte alle
Grazie 1998
GIOVANNI
GOZZINI,
RENZO
MARTINELLI
Storia del
Partito
Comunista
Italiano
Einaudi 1998
ERNST
NOLTE
Nazionalsocialismo e
bolscevismo
Rizzoli 1999
NELLO
AJELLO
Il lungo addio
Laterza 1997
PAOLO
SPRIANO
I comunisti
europei e Stalin
Einaudi 1983
GIAMPAOLO
PANSA
Prigionieri del
silenzio
Sperling&Kupf
er 2004
GIUSEPPE
FIORI
Uomini ex
Einaudi 1993
ura ormai da quasi trent’anni, e non è ancora finita, la
controversia allegorica che
dal mondo abbagliante dei simboli
ha ridotto la falce e martello prima a
uno stemma, poi a un marchio e
adesso a un semplice contrassegno
grafico, però da mettere al bando. O
forse in soffitta. Tipica controversia
all’italiana, giocata fra bizzarre pignolerie e rimpicciolimenti furbastri, ricadute legali e blitz congressuali.
La scena di partenza, o se si vuole l’inizio delle ostilità, la notte prima che inizi il 41° congresso del Psi,
a Torino, nell’inverno 1978. C’è qui
nella sala deserta un giovanotto
svelto e dai lunghi capelli che sta facendo issare un enorme pannello
dietro il palco. Si chiama Filippo
Panseca, futuro scenografo della
grandeur craxiana, e il pannello reca un garofano di metri 6 per 2. Di
falce e martello neppure l’ombra.
«Ma ecco — racconta Panseca —
che arrivano Formica e Nesi. Si avvicinano, guardano e tutti incazzati
mi dicono: “Non è che ti sei scordato il simbolo del partito?”».
Già: il vecchio simbolo. E’ tardi,
Panseca si attacca al telefono, chiama Bettino: «Ehi, guarda che questi
non ci sentono proprio, vogliono
bandiere rosse, falci, martelli, libri e
soli dell’avvenire». Narra la leggenda pansechiana che anche quella
volta Craxi non si scompose: «Mi dice: “Ah, è così? Allora tu sgnàccagli
un tricolore, voglio proprio vedere
se ci trovano da ridire”». In realtà
l’ardente scenografo fa di più: oltre
alla bandiera, sotto al garofanone
pone «una falcetta e un martellino,
così — spiega — per far contenti tutti quanti».
Contenti fino a un certo punto,
perché veramente è l’avvio della disfida. Durante l’intervallo del primo
giorno alcuni militanti tradizionalisti riportano in sala tra gli applausi
un cartellone con il vecchio emblema. Buona parte del partito non accetta il cambiamento. Sandro Pertini è nero. Dal palco il vecchio ex segretario Alberto Jacometti addirittura piange, e grida con tutto il fiato
che gli resta in gola di voler morire
sotto la falce e martello. Tristano
Codignola prende di petto il garofano, indica con aria schifata il festone alle sue spalle: «Sembra la bomba atomica». E Craxi lo manda platealmente a quel paese.
Ma è quasi fatta. Più che consapevole dissacrazione ai danni della
falce e martello, quel mutamento
passa in realtà come un golpe semantico e decisionista all’insegna
del garofano, fiore primigenio della
tradizione socialista. Al congresso
di Palermo (1981) la questione del
simbolo non si pone; in quello di Verona (1984), che Panseca ha allestito come una grande discoteca a
specchi, il già diminuitissimo emblema del lavoro sparisce del tutto
dal campo visuale del socialismo
italiano. Nel 1985 uno dei primi video-games (Craxi-runner s’intitola) raffigura Bettino in un labirinto
alle prese con la falce e martello: più
riesce a inghiottire dollaroni, più è
in grado di distruggere il simboletto.
Al congresso di Rimini (1987), infine
— ma non è la vera fine della metaforica contesa —sotto le volte del
tempio greco Craxi comincia a scagliare quei gloriosi attrezzi addosso
agli odiati cugini comunisti. Anche i
modi infatti contano: così, piuttosto che invitarli a togliere la falce e
martello dal loro glorioso stemma,
disegnato da Renato Guttuso con la
consulenza di Antonello Trombadori sotto la supervisione di Togliatti, il leader socialista sembra chiedergli di vergognarsi di quell’uten-
D
‘‘
,,
VIDEOGIOCHI
Uno dei primi video-games si
intitolava “Craxi-runner”
raffigurava Bettino in un labirinto
alle prese con la falce e martello
sileria bolscevica.
Non che abbia torto. Il Psi adottò
in effetti la falce e martello al congresso di Bologna del 1919, con un
ordine del giorno firmato da Nicolino Bombacci, quando tutto spingeva a fare «come la Russia». Ma questo non basta a chiudere una disputa di inusitata acribia e quasi maniacale sviluppo che coinvolge compulsatori di almanacchi, tessere,
giornali, opuscoli, bandiere. Contro
studiosi che sostengono che quegli
strumenti ricorrono, insieme con la
vanga, l’incudine, la ruota dentata,
la zappa e perfino il piccone, nell’iconografia socialista dei primi anni
del secolo scorso, si deve allo storico Piero Melograni la dimostrazione definitiva che la falce e il martello appaiono per la prima volta “incrociati” solo dopo la rivoluzione
bolscevica, in Russia per giunta.
Ma intanto gli anni passano, le
ideologie s’indeboliscono e anche
Craxi ha altro a cui pensare. All’inizio degli anni novanta la vera novità
per la sinistra è la fine e in qualche
modo anche lo sdoppiamento del
Pci, con le dovute ripercussioni
simboliche. Per cui Occhetto s’inventa la quercia, ma alla base del
tronco, a mo’ di radici del neonato
Pds, lascia un piccolo cerchio con
falce e martello. Non è una grande
trovata estetica: anzi, «è orribile —
commenta il pubblicitario Gavina
Sanna — come un vestito moderno
da cui spuntano fuori le ghette».
Rifondazione punta invece sull’usato sicuro ricalcando uno stemma
quanto più simile a quello del vecchio partito comunista.
Sembrerebbe la soluzione ideale,
ma alle politiche del 1992 i dirigenti
del Pds si convincono che i rifondatori del comunismo gli hanno sottratto, per via della confusione di
falce e martello sulle schede, dai tre
ai quattrocentomila voti. Entrano
allora in azione squadre di avvocati, ma a quel punto i simboli, nella
loro dimensione più profonda e
perfino inesplicabile, rifuggono le
aule dei tribunali. Si depotenziano,
perdono l’anima, diventano altro:
segni, indizi, bolli, timbri, griffe. E
tuttavia , per quanto svuotati e immiseriti della loro energia, a volte si
vendicano pure.
Così, quando nell’autunno del
1998 Rifondazione comunista a sua
volta si spacca dando vita al Partito
dei comunisti italiani, il Pdci di Cossutta-Diliberto, anche la falce e
martello si sdoppia, o meglio si dimezza fra le accuse, e di nuovo devono intervenire i legali, e i giudici,
e le perizie, ma ormai esiste una giurisprudenza al riguardo, forse anche un codice rituale, se non addirittura una routine.
E comunque: con salomonica
decisione, la Corte di Cassazione
stabilisce nel 2001 che nessuno dei
due partiti può legittimamente rivendicare l’esclusività dell’uso. Ma
Craxi non c’è più e ai ds non importa più. Anche le belle bandiere sono
riposte. Ci sono gli stilisti trasgressivi. Falce e martello si fanno notare
alle sfilate di moda. E diventano anche una spilla, che viene donata a
D’Alema quando è presidente del
consiglio. Il quale ringrazia: «La
metterò al prossimo vertice della
Nato». Chissà cosa ne direbbe Bombacci, che pure ha avuto una vita
complicata.
UMBERTO SABA
Falce e martello e la stella
d’Italia/ ornano nuovi la
sala. Ma quanto/ dolore per
quel segno sul muro!/ Entra
sorretto dalle grucce, il
Prologo,/ Saluta al pugno...
Teatro degli Artigianelli
1944
BEPPE FENOGLIO
È quella bandiera rossa con
falce e martello dirimpetto
alla sua chiesa, la vedrai
domattina, che lo farà morire.
Ma a cose finite, vengano a
dirmi che sono comunista!
Il partigiano Johnny
1968
LA TESTIMONIANZA DEL VIOLONCELLISTA ROSTROPOVICH
SOTTO QUELL’EMBLEMA
LA MIA VITA FU TERRIBILE
LEONETTA BENTIVOGLIO
a falce è il simbolo del lavoro dei
contadini, che nel regime sovietico vivevano tragicamente male. Quanto al martello rappresenta gli operai, per i quali la dittatura comunista in
Urss fu un’esperienza spaventosa. Riflessi
astratti di esistenze e contesti, i simboli
hanno un peso e un valore molto concreti.
Per questo il mio rapporto con l’emblema
può essere solo negativo». Si esprime così,
senza mezzi termini, il leggendario violoncellista Mstislav Rostropovich a proposito
del dibattito sul bando dei simboli comunisti dai paesi dell’Unione europea. D’altra parte il grande musicista, che diede asilo a Solgenitzyn nell’èra Breznev, che protestò pubblicamente contro le restrizioni
imposte dal governo agli intellettuali, e
che negli anni ’70 subì in patria una censura feroce su tutte le sue attività musicali,
«L
non ha mai fatto mistero sulla propria avversione nei confronti del regime sovietico, da cui nel ’74 fu costretto all’esilio: «Mi
buttarono fuori e persi cose importanti: la
cittadinanza e il contatto con le persone a
me più care, come David Ojstrakh, che non
avrei mai più rivisto». Amico dei massimi
compositori russi del Novecento, ne rammenta con angoscia le vite devastate:
«Prokofiev mi ospitò nella sua dacia, e ogni
mattina lo vedevo piangere dalla fame.
Sciostakovich soffriva orribilmente: i comunisti fecero una legge contro di lui, criticandone il formalismo, e finirono per
proibire tutte le sue sinfonie. Viveva nel
terrore, temendo sempre ritorsioni sui
suoi figli».
Per questo e altro, quando cadde il Muro di Berlino, Rostropovich volle festeggiare l’evento con un concerto estempora-
DIARIO
VENERDI 11 FEBBRAIO 2005
IL PUGNO CHIUSO, 1917
Il colore rosso completa la conquista
dei movimenti socialisti dopo la
rivoluzione del ‘17. Nello stesso
periodo appare il gesto del saluto col
pugno chiuso
LA REPUBBLICA 49
LA FALCE E MARTELLO 1919
Il partito dei lavoratori fondato da
Andrea Costa (1892) sceglie come
simbolo la falce e martello nel 1919,
dopo la rivoluzione d’Ottobre.
L’emblema è sulla bandiera dell’Urss
IL CASO
L’ex presidente lituano Vytautas
Landsbergis e l’ungherese Joszef
Szajer (Ppe) chiedono la messa al
bando della falce e martello,
equiparata alla svastica nazista
PARLA LO STORICO POLACCO BRONISLAW GEREMEK
MA IO DALL’EST DICO
NON CANCELLIAMO
ANDREA TARQUINI
Berlino
er Bronislaw Geremek,
massimo intellettualepolitico polacco e artefice della transizione alla democrazia, vietare la falce e martello non avrebbe senso. Quel
che conta è che l’Europa si dica chiaramente antitotalitaria. Senza dimenticare né il
ruolo dei movimenti dei lavoratori nella sua Storia, né la
deformazione patologica imposta alle loro tradizioni dal
totalitarismo comunista.
Professor Geremek, lei
proibirebbe la falce e martello?
«In generale non sono fautore dei divieti di simboli esteriori. Credo che l’Europa dovrebbe piuttosto dirsi chiaramente antitotalitaria e dimostrare nel discorso e nella pratica che la libertà quale valore
europeo è strumento del rifiuto del totalitarismo. I divieti
possono scaturire effetti opposti al desiderato. Il vietato
diventa tentazione».
La falce e martello va equiparata alla svastica?
«Se si chiede di vietare la
svastica, posso capire che ci si
domandi perché non vietare
anche la falce e martello quale
simbolo di un altro regime totalitario. La svastica ha origini
ben più antiche del nazismo. E
la falce e martello evoca tradizioni che vanno oltre il quadro
del sistema totalitario comunista e sovietico. Insisto: bisogna dichiarare la scelta antitotalitaria dell’Europa, non accanirsi contro i simboli».
I politici dei paesi baltici vedono nella falce e martello un
significato di oppressione totalitaria. Molti, nella sinistra
europea, non sono d’accordo.
Il dibattito fa riesplodere uno
scontro sulla natura dei due
sistemi?
«I problemi non vengono
dai simboli. È giusto, come
chiedono i baltici, ricordare
che nel 1939 non ci fu solo l’aggressione nazista ma anche
l’invasione di paesi indipen-
P
GLI AUTORI
LE IMMAGINI
Bronislaw Geremek,
storico, intellettuale e
politico polacco, è
membro del Parlamento europeo. Massimo L.
Salvadori insegna Storia delle dottrine politiche a Torino. Il Sillabario di Hobsbawm è tratto da “Gente che lavora
- La trasformazione dei
rituali operai”, Rizzoli
2001.
La falce e il martello
hanno fatte parte dell’iconografia del movimento operaio dalla fine dell’Ottocento
insieme all’aratro, la
spiga, il sole nascente, il libro e tanti altri.
Ma sono i bolscevichi
russi a intrecciarli nel
simbolo che diventerà celebre nel Ventesimo secolo.
‘‘
,,
CONFRONTI
La svastica ha origini ben più
antiche del nazismo e la falce e
martello evoca tradizioni che vanno
oltre il totalitarismo sovietico
denti da parte dell’Armata
rossa: i tre paesi baltici, e poi la
Polonia in virtù del Patto segreto Molotov-Ribbentrop.
Non dimentichiamolo quando si parla dello scoppio della
seconda guerra mondiale, o si
celebrano gli accordi di Jalta, o
la fine del conflitto. È molto
importante rispettare la Verità. Darle il posto giusto nel
futuro d’Europa. Sarebbe pericoloso se lo spirito europeo
si fondasse anche sull’amnesia, o sulla deformazione della
Verità».
Ma non le pare che molti vedano nella falce e martello anche un simbolo dell’emancipazione dei lavoratori, o di
un’Armata rossa protagonista della guerra?
«Io non vieto a chi vuole dir-
RUSSIA
Nella foto
grande un
manifesto
russo della
Seconda
guerra
mondiale.
Sopra,
iconografia
ufficiale
cinese. Nella
pagina a
fianco,
illustrazione
dell’Avanti del
1912 e un
manifesto del
Pci del 1959.
GIORGIO BASSANI
Costretto all’esilio perse la
cittadinanza sovietica e il
contatto con le persone più
care come David Ojstrakh
neo, immortalato da una foto che girò il
mondo: «Ero a Parigi, e la tivù diede la notizia. Impossibile resistere: partii subito, e
all’aeroporto di Berlino presi un taxi per
correre al Muro. Mi misi a suonare una
Passacaglia di Bach per violoncello solo:
non avevo neanche una sedia, e dovetti
chiederla in prestito al portiere di un edifi-
cio. Attorno a me si riunì una trentina di
persone, ma io non suonavo per loro: suonavo per me stesso, per esprimere a Dio la
mia gratitudine».
Se gli si dice che oggi c’è chi dà battaglia
al vessillo comunista equiparandolo alla
svastica nazista, “Slava” spiega di trovare
opportuno l’accostamento: «Detesto la
svastica, emblema di una dittatura orrenda. Eppure di per sé, molti secoli prima
dell’avvento del nazismo, aveva un significato ben diverso da quello attribuitogli dal
regime dei lager: nell’antica cultura indiana la croce uncinata simboleggiava felicità
e benessere. Allo stesso modo so quanto i
principi fondanti del comunismo fossero
diversi dal sistema che ha governato il mio
paese. Ma il regime sovietico li ha deformati al punto da trasformarli nell’opposto. Per questo odio la falce e il martello».
Una specie di strana tunica:
rossa, e cosparsa di tante
minuscole falci e martello
nere. Così abbigliate, adesso
figuravano quasi
sacerdotesse del socialismo!
Gli ultimi anni di Clelia Trotti
1954
IAN McEWAN
Vidi la bandiera rossa. Era
legata a un’asta corta, forse
un vecchio bastone da scopa,
e a reggerla era un tipetto
fragile. Proprio nel giorno
del crollo del comunismo...
Cani neri
1992
lo di dirlo. In queste affermazioni c’è anche Verità. Ma non
accetterò mai di sentir parlare
di un ruolo pacifico dell’Urss
di Stalin, che assoggettò con la
forza i paesi baltici, e si spartì la
Polonia con i nazisti. Dimenticarlo è pericoloso. Ricordo l’inizio di Anna Karenina: Tolstoj scrive che tutte le famiglie
felici si somigliano, mentre le
famiglie infelici sono una diversa dall’altra, ognuna distinta dal suo dolore. Nelle
esperienze dolorose subite
dai popoli sottomessi a un regime o all’altro ci sono differenze, anche grandi. Dopo il
settembre 1939, dopo l’annessione delle repubbliche baltiche, l’Urss ha stretto un’alleanza con le democrazie e il
suo ruolo nella guerra contro il
Reich è stato decisivo. Ma ciò
non cancella la natura totalitaria del suo sistema e le sue
conseguenze sui destini dei
popoli europei. Nella Memoria dell’Europa di domani serve spazio al ruolo nefasto dei
due totalitarismi. L’Olocausto
è unico, ma non dimentichiamo le milioni di vittime del
Gulag».
L’Europa occidentale e
l’Europa che fu sotto dominio
sovietico hanno una memoria diversa, e danno un valore
diverso ai simboli come la falce e martello?
«Ho la sensazione che nella
coscienza dell’Europa occidentale la verità sul sistema
sovietico si faccia strada solo
poco a poco. Eppure da Solgenitsyn in poi, la Verità si poteva leggere liberamente da decenni. Almeno da voi. Le premesse per un’unificazione
delle coscienze d’Europa sulla
natura del sistema sovietico ci
sono, ma questa unificazione
resta da fare».
Con o contro i simboli quali la falce e martello?
«L’attaccamento ai simboli
come la falce e martello e alle
tradizioni della sinistra è legato all’Urss. La preponderanza
della sinistra nella vita intellettuale europea nella seconda metà del ventesimo secolo
ha creato una tendenza moralmente inammissibile a perdonare gli errori del sistema
sovietico».
Ma non pensa che la falce e
martello resterà come simbolo del movimento dei lavoratori, a prescindere dal totalitarismo comunista?
«Certo, non dubito che l’Europa in cui viviamo sia stata
forgiata anche dalle lotte e dalle conquiste del movimento
operaio per una dimensione
sociale dell’Europa. Non dubito che la sinistra abbia un
posto enorme, e meritato. Ma
se l’Europa è responsabile di
tutta la sua eredità, compresi i
totalitarismi, ha la libertà di dire sì ad alcune tradizioni e no
ad altre. Stiamo discutendo
dei simboli in un’Europa che è
nella Storia un’avventura attorno alla libertà. Un’Europa
in cui le tradizioni della sinistra hanno subìto una deformazione patologica col sistema sovietico, così come nazismo e fascismo sono una
deformazione patologica delle tendenze di destra. È importante dirlo chiaramente quando l’Europa, anche dibattendo dei simboli, vuole forse darsi una dimensione politica».
I FILM
OTTOBRE
La storia della
rivoluzione
russa.
L’indecisione
del governo
Kerenskij,
l’arrivo di
Lenin alla
Stazione
Finlandia, la
presa del
Palazzo
d’inverno,
protagoniste le
masse di
Pietroburgo,
nel capolavoro
di Sergej M.
Ejzenstein
(1927).
GOODBYE
LENIN!
Una convinta
comunista
della
Germania Est
entra in coma
e quando si
risveglia il
muro è
caduto. Ma i
figli, per
evitarle uno
shock, le
nascondono la
verità.
Regia di
Wolfgang
Becker, del
2002.
REDS
La vita di John
Reed, il
giornalista
americano che
partecipò alla
Rivoluzione
d’Ottobre e la
raccontò nel
celebre libro “I
dieci giorni che
sconvolsero il
mondo”.
Di Warren
Beatty, con
Warren Beatty,
Diane Keaton,
Jack
Nicholson. Del
1981.
IL
COMPAGN
O DON
CAMILLO
Don Camillo
accompagna
Peppone in
viaggio in
Unione
Sovietica, e
semina
dissenso.
Con Gino
Cervi e
Fernandel,
regia di Luigi
Comencini,
1965.
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