Sant'Anatolia, Cartore e dintorni Appendici, tradizioni e documenti Febbraio 1984 - Asini - Campagna di Sant'Anatolia - Fotografia di Roberto Tupone Roberto Tupone – 2001/2011 Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 1/126 Appendice I – Le famiglie Spera e Luce - piccole storie a S. Anatolia – Pag. 4 Gli Spera - I Bravi delle Ville - L'altare di San Giovanni - Spera Pietro fu Filippo fu Francescangelo fu Bonifacio - D'Ascenzo Maria e Piccinelli Pietrantonio - Preludio all'incontro - I Luce - Notizie Settecentesche - Dalla metà del '700 ai primi del '900 - Gli Spera e i Luce - Terremoto del 1915 e Prima guerra mondiale - Il Barone Masciarelli - Il Capitano e suo figlio Pietro - La cambiale avallatata - Fra il 1920 e il 1934 - Spera Domenico e la seconda guerra mondiale - I rifugiati stranieri e l'arrivo dei Tedeschi - La fine della Guerra Appendice II – Racconti e Tradizioni Orali – Pag. 22 Vita della Santa Martire Anatolia - Invasione degli zingari e formazione del paese antico - L'invasione dei serpenti e la fuga dalle Case Vecchie - Fuga da Cartore alle Case Vecchie - Gli Zingari - I serpenti e gli Zingari alle 'Case Vecchie' - La zona Scannacavagli - Pitti a Catasto - Zacchè il falsario - Il terremoto del 1915 - La rivolta del luglio 1944 - Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero Appendice III – Descrizioni Topografiche – Pag. 34 Sant'Anatolia - La chiesa della Madonna Addolorata e il cimitero - La chiesa di Santa Maria del Colle - Il Santuario di S. Anatolia - La casa dei Placidi vicina al Santuario - Le Case Vecchie - Fontana del paese di sotto - La pietra scritta - La Via del Trainello e l'Ara della Turchetta - La Via Equicola - La Via dei Marsi e l'ara Placidi - Via del Terrone, Palazzo Placidi e Castrum S.Anatolia - La chiesa di S.Nicola di Bari - Le famiglie a S.Anatolia - Valle Cantu Riu e le tre grandi Aie - Monte del Dente, Macerine e Pinchi - Zona Calecara - Cartore e suoi abitanti - Vita popolare a Cartore - Strade - La duchessa - Colle Pizzuto - Grotta de' Gessi, di S.Anatolia, del Palazzo e Fontanelle - La Città di Tora e ritrovamenti archeologici - Zona Dentre Tore Zona Castiglione - Il Santo Sepolcro - Grotte di S. Costanzo e S. Leonardo - Chiesa di S. Lorenzo a Cartore - Chiesa di San Nicola a Cartore - La denominazione delle terre di Cartore Appendice IV – Documenti Bibliografici dal 1666 al 1953 – Pag. 50 Luca Holstenio 'Annotationes in Italiam Antiqua' - Muzio Febonio 'Historiae Marsorum' - P. A. Corsignani 'Reggia Marsicana' - Pierluigi Galletti 'Memorie di tre antiche chiese' - Mons. Saverio Marini 'Memorie di S. Barbara' - F. P. Sperandio 'Sabina Sagra e profana' - Giancolombino Fatteschi 'Memorie istorico diplomatiche' - Felice Martelli 'Le antichità de' Sicoli' - Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica - Annali dell'Istituto di Corrisponedenza Archeologica - Carlo Promis 'Le antichità di Alba Fucense negli Equi' - Michele Michaeli 'Memorie storiche della città di Rieti' Teodoro Bonanni 'Stemmi e Catasti Antichi' - Giuseppe Colucci 'Gli Equi' - Teodoro Bonanni 'Le antiche industrie dell'Aquila' - Enrico Abate 'Guida dell'Abruzzo' - Domenico Lugini 'Memorie Storiche' - P. A. Cremonini 'La ricerca di Tora' - Domenico Federici "La leggenda di S.Anatolia' Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 2/126 Appendice V – Visite Pastorali – Pag. 60 Visita di mons. Gaetano Carletti nell'anno 1850-1851 - Visita di mons. Egidio Mauri nell'anno 1874 - Visita di mons. Quintarelli nell'anno 1897-1900 Appendice VI – Cronologia – Pag. 83 Elenco cronologico dei documenti riguardanti S. Anatolia, Cartore e Dintorni dal 706d.C. al 1712: 706 ca.: La chiesa di S. Anatolia de Turano e Corvaro - 1048: Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta - 1084: Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta - 1115: Confini della Diocesi dei Marsi - 1153: Bolla di Anastasio IV° - 1182: Bolla di Lucio III° - 1183: Catalogo dei Baroni - 1218: Bolla di Onorio III° - 1250: Registro delle Rendite - 1398: Registro delle chiese della Diocesi di Rieti - 1418: Lorenzo Colonna Conte di Alba - 1423: La Contea di Alba confermata a Odoardo Colonna - 1445: La Contea di Alba confermata a Giovanni Orsini - 1497: Fabrizio Colonna conte di Albe e Tagliacozzo - 1587: Elenco delle chiese del Vicariato del Corvaro - 1712: Il Parroco di S. Anatolia risponde a dei quesiti Appendice VII – La martire Anatolia – Pag. 97 "La leggenda di Sant'Anatolia - Vergine e Martire del Cicolano" Domenico Federici - Roma, 22 maggio 1953 Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 3/126 Appendice I - Le famiglie Spera e Luce - piccole storie a S. Anatolia Gli Spera - I Bravi delle Ville - L'altare di San Giovanni - Spera Pietro fu Filippo fu Francescangelo fu Bonifacio - D'Ascenzo Maria e Piccinelli Pietrantonio - Preludio all'incontro - I Luce - Notizie Settecentesche - Dalla metà del '700 ai primi del '900 - Gli Spera e i Luce - Terremoto del 1915 e Prima guerra mondiale - Il Barone Masciarelli - Il Capitano e suo figlio Pietro - La cambiale avallatata - Fra il 1920 e il 1934 - Spera Domenico e la seconda guerra mondiale - I rifugiati stranieri e l'arrivo dei Tedeschi - La fine della Guerra Gli Spera Gli uomini della famiglia Spera erano da generazioni dediti alla vita contadina; essi vivevano di pastorizia, allevamento e agricoltura; per i viaggi usavano l’asino e per coltivare ed arare le terre usavano le mucche ed i buoi. Essi campavano con i prodotti della terra e con i prodotti animali. Per scaldarsi d’inverno e per cucinare avevano in casa come in tutti i paesi un caminetto e quasi giornalmente, partivano con l’asino ed andavano a far legna; per tagliarla usavano l’accetta e, ancor più, la Ronga . Chi aveva almeno un gregge di pecore o di mucche le portava per tutta l’estate in montagna e ogni componente della famiglia, a turno, doveva andare in montagna per stare attento ad esse. Sulle montagne i pastori si costruivano delle capanne in pietra e dal tetto in lamiera. Non esisteva il cemento e non si usava la calce. Per ogni capanna c’era un caminetto (un semplice buco in cima al tetto nella parte dove si era deciso di fare il fuoco) che serviva per scaldarsi, per cuocere e per fare il formaggio. D’inverno, specie sulle montagne, cade la neve e, per il troppo freddo, le bestie debbono scendere in paese; in inverno le pecore e gli altri animali da pastorizia debbono essere portate al pascolo giornalmente e il lavoro diventa ancor più faticoso. Poi, quando c’è il periodo della riproduzione, il gregge, con tutti gli agnelli, diventa molto numeroso ed il pastore è costretto a volte a rimanere anche dalla mattina alla sera a soccorrere quelle partorienti. La vita dell’agricoltore invece è più faticosa ma meno impegnativa; tutte le stagioni sono occupate da qualche lavoro, c’è l’aratura, la semina e la raccolta; per il grano c’è la mietitura e la macina; per l’uva c’è la vendemmia e la fabbricazione del vino; non tutte le giornate però sono occupate ma quando c’è lavoro esso è spesso molto faticoso. Le donne normalmente badavano all’educazione dei bambini, aiutavano l’uomo nei lavori della terra, col telaio tessevano i vestiti, li lavavano e preparavano i pasti alla famiglia. Gli Spera sono sempre stati molto bonaccioni . Fisicamente fra essi si elencano spesso uomini alti, biondi e dagli occhi azzurri e da ciò si può dedurre che siano gente venuta dal nord. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 4/126 I Bravi delle Ville Non vi sono molte notizie di data anteriore al 1800: un aneddoto tramandatoci oralmente riguardante la famiglia Spera, risalibile al 1650-1700, ci racconta: "Qualche secolo fa’ in paese c’era una brutta usanza per la quale, quando due persone si sposavano, venivano da Villerose "i Bravi delle Ville" che per provocare scandalo alzavano la gonna delle spose. Si racconta che questi appartenessero tutti ad una famiglia ma forse non erano altro che una semplice banda di delinquentelli. Era il tempo in cui una ragazza "de quissi degli Spera" si doveva sposare. Qualche giorno prima il padre di questa andò a Villerose dai bravi e disse loro: "Faciatevi i fatti vostri" e li intimò a non venire in paese. Il giorno del matrimonio i bravi delle Ville vennero ugualmente. Senonchè, appena uno di essi si avvicinò alla sposa per alzargli la gonna, il padre di ella uscì dalla casa con un fucile a tromba in mano, lo caricò e con una schioppettata lo stese a terra morto. Gli altri bravi fuggirono. Da quel giorno la brutta usanza dei Bravi delle Ville sparì" (1). L’Altare di San Giovanni Nell’anno 1606 la famiglia Spera fece costruire, nella chiesa di San Nicola a Sant’Anatolia, un altare dedicato a San Giovanni Battista. In quel tempo era una usanza comune costruire altari nelle chiese a spese dei privati. Gli altari rimanevano intestati ed ereditati dai discendenti del primo fondatore e questa operazione veniva denominata Jus patronato . Di solito insieme all’altare il patrono dava in dote allo stesso delle terre di cui poi beneficiavano i sacerdoti per il mantenimento; i sacerdoti beneficiati venivano obbligati a ricambiare il servizio soddisfando delle messe in onore del fondatore. L’altare di S. Giovanni Battista era quindi di jus patronato della famiglia Spera ed il sacerdote usufruitore delle terre ed addetto al mantenimento venne vincolato con il dovere di soddisfare dodici messe all’anno. Nel 1712 il beneficio era goduto dall’abate don Giacomo Silvy. Il 27 aprile 1828 l’altare, allora senza pietra sacra , era beneficio dell’abate don Pietro Placidi. Il 7 luglio 1835 l’altare era ancora di beneficio di don Pietro Placidi ed il valore della dote (beni immobili) veniva calcolato in 4 ducati annuali (?). L’altare veniva mantenuto dal cappellano; Il 22 maggio 1851 il beneficio veniva considerato dal Vesc. Carletti Cappellania manuale ; il 17 giugno del 1874 era goduto da don Franco Giorgi di Sante Marie della Diocesi de’ Marsi; nel 1881 morì don Franco Giorgi ed essendo il beneficio rimasto nullatenente nessuno ne’ fu più investito. Cosa era successo ? Il 22 agosto 1897 Ms. Quintarelli nelle memorie della visita nella sua diocesi scriveva: "Beneficio o cappellania di S. Giovanni Battista, eretto in altare omonimo nella parrocchiale, bollar.anno 1606 pag.42: è juspatronato della famiglia Spera. Questo diritto dagli Spera sembra sia andato in Giuseppe Scafati e sorella. Il patrono (o patroni) ha svincolato i beni (parte di questi furono venduti nel principio del secolo) per £.250; dunque i beni rimasti valevano perlomeno £.800; dopodiché li alienarono; e le messe 12 di cui era gravato il beneficio non sono state applicate dal 1881, epoca in cui morì l’ultimo investito, Sig. Francesco Giorgi extra diocesano." Nel 1897 nell’altare era dipinto un affresco (raffigurante sicuramente S. Giovanni Battista) quasi del tutto rovinato e per questo motivo al suo posto davanti era stata posta una tela con cornice dorata e molto grande raffigurante la SS. Immacolata, con S. Agnese vergine e martire ed alcune fanciulle (le figlie di Maria). In quel tempo nessuno pensava più a mantenerlo. L’ultima notizia che si ha di questo altare è del 26 agosto 1903 quando Ms. Quintarelli scriveva: "Legati a carico del beneficio di S. Giovanni Battista: La famiglia Spera deve far celebrare 12 messe annue pel detto beneficio. Dice il sig. Abate (Don Giambattista Panei) che queste messe non si celebrano più da molti anni e non vi è più speranza che si soddisfi più perché il patrone ha venduto i beni, e se ne è andato in America." Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 5/126 Spera Pietro fu Filippo fu Francescangelo fu Bonifacio Il 27 agosto 1826 a S. Anatolia, dal padre Bonifacio e dalla madre Santa (2), nasceva Spera Francescangelo. Circa nel 1857 Francescangelo (3) (chiamato Franciscagnu), agricoltore e pastore, si sposava con Innocenzi Angelica; questa coppia molto serena ebbe tre bambini: nel 1858 nacque Filippo, nel 1863 circa nacque Santa (4) e nel 1869 nacque Erasmo. Filippo, verso il 1885, sposò Piccinelli Giovanna (5). Il 30 dicembre del 1886 ebbero il primo figlio a cui misero nome Pietro Antonio (a ricordo del padre di Giovannina). Egli aveva i capelli e occhi castani: "somigliava soprattutto alla madre." D’Ascenzo Maria & Piccinelli Pietrantonio D’Ascenzo o D’Ascensis Maria ebbe una discendenza un poco complessa dal fatto di aver avuto un amante e più mariti. Per questo motivo voglio narrare la storia della sua vita per chiarire una volta per tutte la divisione delle sue figliolanze. Spulciando fra gli Archivi della chiesa parrocchiale di San Nicola di Bari in Sant’Anatolia di Borgorose (RI) trovai il suo nome come D’Ascensis Maria: ella nacque a Corvaro il 24 febbraio 1829 dal padre Franco e dalla madre Antonia. Verso il 1855 ella fu al servizio come cameriera tuttofare dell’abate-parroco (forse non lo era ancora abate) don Costantino Placidi, figlio dei più ricchi e potenti signori di Sant’Anatolia. Mariuccia sicuramente in quei tempi era molto attraente, giovane e forse ingenua, fatto sta che ebbe una tresca coll’abate e dalla relazione ne rimase incinta di un figlio maschio. La famiglia Placidi si impose sulla scena e per evitare lo scandalo obbligò Mariuccia a mantenere il segreto sulla paternità del bambino. Quest’ultimo fu dichiarato illegittimo e gli fu dato il nome di circostanza di Esposito Antonio (6). Ma in un paese tanto piccolo, dove la gente si conosce tutta, la notizia della vera paternità del bimbo è difficile da nascondere e difatti essa si sparse e volò veloce di bocca in bocca; poi, il fatto che Antonio già da bambino, veniva accolto dal vero padre molto affettuosamente e veniva invitato a giocare con i figli del sig. Placidi, era un motivo ancor più valido per far capire ai maligni la vera indentità paterna del figlio di Maria. Esposito Antonio sin da bambino venne così soprannominato dagli amici e dai nemici: "Antoniuccio de’ Costantino", nome col quale i vecchi di oggi si ricordano di lui. Circa nel giugno del 1859 Mariuccia D’Ascenzo (allora ragazza-madre) di circa 30 anni, ebbe una relazione con Piccinelli Pietrantonio di Sant’Anatolia (7). Pietrantonio era il garzone di Costantino Placidi e probabilmente fu quest’ultimo a spingere per fare quel matrimonio. C’è un ricordo sul padre di Pietrantonio Gabriele ora tramandato in forma di barzelletta che dice: "Un giorno c’era stata una lite fra Gabriele ed un altro signore a me sconosciuto. A Sant’Anatolia c’era un’usanza che, quando venivano i missionari, essi, al termine del cerimoniale, chiamavano ad uno ad uno gli uomini del paese che avevano dei contrasti con altri e cercavano di portare la pace. Alla fine della messa, allora, il missionario cominciò a chiamare i litiganti. Per i paesi le notizie girano facilmente ed egli, sapendo della lite che era in corso fra Piccinelli Gabriele e l’altro, lo chiamò all’altare dicendo: Gabrielone, ti Chiama il Signore !!!. E Gabriele, che assolutamente non voleva far la pace con l’altro, rispose: Dingi che non ci stenghe !!! e uscì dalla chiesa fra le risa della gente." Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 6/126 Pietrantonio e Mariuccia si sposarono legalmente e il 26 marzo 1860 ebbero la prima figlia Anatolia. Quel periodo fu abbastanza sereno per Maria e prospero di figliolanza: il 27 agosto 1861 nacque loro il secondo figlio a cui fu posto il nome di Luca Antonio. Il 25 febbraio 1863 nacque finalmente Piccinelli Giovanna (la mia vecchia bisnonna). Giovanna fu battezzata il 27 di febbraio dal Reverendo Canonico J: Scafati e non da Costantino Placidi e ciò fa capire il rapporto strano che c’era fra l’abate e la famiglia Piccinelli. Madrina di Giovanna fu Angela Maria figlia di Antonio Colabianchi della terra di Rosciolo (8). Nella notte fra il 7 e l’8 giugno 1863 una banda di circa trenta briganti "la banda di Cartore" bussò alla porta del palazzo di don Costantino Placidi chiedendo del pane; questi ordinò al garzone Pietrantonio Piccinelli di aprire il cancello e di dare il pane ai briganti. Era invece una trappola poiché i briganti, entrati, misero a sacco il palazzo e rubarono tutto quello che poterono. Dopo il sacco i briganti della "comitiva", che scorrazzavano sul monte di Cartora, presero la strada che conduceva a Rosciolo. Tenevano sequestrati il parroco Placidi ed i suoi garzoni Pietrantonio Piccinelli e Domenicantonio Luce. Dopo aver percorso circa un miglio di strada, i briganti rilasciarono il Placidi e il Piccinelli mentre il Luce, portato a spalla fin sul monte di Cartora un sacco contenente cacio, fu rilasciato la mattina dell’8 giugno. Costantino Placidi fu rilasciato a condizione che avesse sborsato entro 24 ore ducati 1.000 e che non avesse fatto denunzia del sacco sofferto. Il Placidi si rifugiò a Luco e lì ricevette i biglietti che qui sotto riportiamo: "Gendilissimo signiore D. Costantino, sono a precarvi amandare tutto ciò che avete promesso. Se volete riavere tutto ciò, che avemo presso di noi, vi preco di non mangare, appena ricevete il spetito. Se: non mi corrispontete subbite; quello che è stato fatto non è niente. Penngate per la venire -adio" Costantino Placidi ricevette questo primo biglietto scritto ad inchiostro per mezzo di Candido D’Ascenzo. Al D’Ascenzo il biglietto era stato dato da Pietrantonio Piccinelli, che l’aveva ricevuto da Gaetano di Cristoforo, porcaro. Dal biglietto si arguisce che i 1.000 ducati pretesi dai briganti all’atto del rilascio del parroco Placidi dovevano servire per riscattare la refurtiva. Ma, era molto da dubitare sulla volontà di restituzione degli oggetti rubati, prontamente divisi fra i componenti della banda brigantesca. "Stimatissimo amico, non appena o ricevuto il bigleitto, mi sono carrmato il sague, perché mi era esposto a farvvi un grosso tispiacere. Basta che voi corispontete a tutto ciò che sie tette, agora si erano esposti per uccitere le quindici giumente che stavano lo vostro casino, ma jo non ho fatte tochare per ora e per sempre, atteso la vostra parola. Voi mi dite che vi dica il posto dove ci troviamo. Io non posso assicurare il posto preciso ma vi assicuro a una ora fatto giorno dovete mandare lo spetito abbocca di Teve, non trovantoci al tetto posto, si porrta al vostro casino, e là deve attentere, e sia una perrsono sicura che ve ne potete fitare. Non mangare, sia subbito per riavere li vostri ogetti." Il bigliettino è scritto ad inchiostro della stessa mano che ha compilato il primo biglietto. Anche il biglietto in questione fu recapitato al parroco Placidi da Candido D’Ascenzo, che lo aveva avuto da Pietrantonio Piccinelli. Il biglietto in questione mostra che il prete Placidi aveva iniziato approcci con i briganti per ottenere la restituzione degli oggetti rubatigli. E’ possibile che il Placidi avesse iniziato tali approcci semplicemente per acquistar tempo, e, così evitare danni alle proprietà. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 7/126 "Il Capobricante Guivanni Colauti. Carissimo abate, la vostra parola è stasta mancante. Noi avemo aspettato da jo avanti per sapere la vostra risposta. Fanne asapere se è di si, o di no, come voi mandasti adire, senò pezeremo noi altri asari e riceverete altri asari, di dispaceri, noi siamo cotenti che avete messala forza al casino. Ciricortevi della promessa quando tirilascesimo". ll bigliettino è stato scritto ad inchiostro da mano diversa da quella che ha compilato i primi due biglietti. Il biglietto fu recapitato al parroco Placidi verso la fine del giugno 1863 da Pietrantonio Piccinelli, che l’aveva avuto da Carlo Giuseppe Luce. Questi aveva avuto il biglietto da Antonio Peduzi, cavallaro comunale di S. Anatolia. Il biglietto rappresenta la conferma che il parroco non inviò il denaro richiesto dai briganti per ottenere la restituzione della refurtiva. Così, solo in tal senso, bisogna accettare la noncuranza completa che il parroco asserì aver avuto nei confronti dei biglietti pervenutigli. Le autorità giudiziarie guardavano alle cronache brigantesche come a storia delle malvagità che individui riuniti in banda armata, delinquendo contro le proprietà e le persone. commettevano in obbrobrio della legge !, e, con l’intento di isolarne il fenomeno, tendevano ad arrestare al semplice sospetto di connivenza o di favoreggiamento. Pietrantonio Piccinelli il 27/06/1863, fu arrestato, con mandato di cattura spiccato dal giudice istruttore presso il tribunale del circondario di Aquila, sotto l’imputazione di associazione a banda armata, e grassazione. Il motivo in particolare dell’arresto fu che egli avrebbe aperto il cancello ai briganti per permettere loro di saccheggiare il palazzo Placidi. Il 04/07/1863, Mariuccia allora era incinta del quinto figlio, durante il viaggio di traduzione dal carcere di Fiamignano a quello di Cittaducale, Pietrantonio Piccinelli morì per apoplessia cerebrale nel "Casale Pallante". Nelle tasche della giacca gli fu rinvenuta la seguente lettera: Stimatissimo signore D. Costantino, vi fo conoscere lottimo stato di mia buona salute come spero che si di voi e di tutta la nostra famiglia. Vi fo conosciere che in carcere io ci soffrisco assai, dunque lo prego di fare limposibele di aiutarmi. Signore, io per fare sempre la vostra volontà mi ratrovo dentro a queste prigioni, dunque adesso è il tempo di spentere il denaro, perché colle denaro si fa tutto. Voi ne imprestate tanto quasi senza custo, adesso, se ne spentete pochi perme, credo che ci sia un poco di custo; e per la coscienza, se voi conziderate che io non ci sto per corba mia, ma bensì per corba vostra, che, se voi non mi ordinavi di carcilo, io certe sie che non saria caduto in questa desgrazia. Nella sua dichiarazione del 21 aprile del 1864 Costantino Placidi asseriva: "Simili precisioni non furono date ad arte nelle precedenti dichiarazioni pel solo riflesso di non inciampare io nei rigori della legge Pica; e mi misi di accordo col detto garzone Piccinelli, onde dichiarasse egli di aver da sé aperto il portone ai briganti, mentre con mio desiderio che si menasse il pane dalla finestra" (9) Il 10/02/1864 dopo circa di sette mesi dalla morte di Pietrantonio Mariuccia partoriva il suo quinto figlio (quarto di Pietrantonio) a cui diede il nome di Ettore. Verso il 1865-8 Mariuccia risposò il fratello di Pietrantonio più giovane di lei, Domenico Antonio Piccinelli (n.3/9/1832). Da quest’ultimo ebbe due figli: Pietro e Raffaella (nati fra il 1865-’71). Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 8/126 Verso l’anno 1873 Maria D’Ascenzo, protagonista di questa storia, moriva fra i pianti dei suoi sette figli (uno dell’abate, 4 di Pietrantonio, 2 di Domenico). Più tardi, a complicare ancor più questo intrigo di figliolanze, intervenne una donna forse del Corvaro, Gentile Maria; ella si innamorò di Domenicantonio Piccinelli ed i due, alcuni anni dopo la morte di Maria, si risposarono (ca.1875). Fra gli anni 1875-’84 ebbero tre figli Vittoria, Cesira e Giovanni Piccinelli. Il 12/08/1885 con la nascita dell’ultima figlia Berardina si concludeva quella pazza strana storia. Da Berardina, l’unica che ho conosciuta, con cui ho parlato nell’estate del 1981 quando aveva ben 96 anni, da mia nonna Luisa, da mia madre, dai parenti, dalle note del libro di Luciano Sarego "Reazione e brigantaggio nel Cicolano, e dalle testimonianze dell’archivio di S.Anatolia di Borgorose (RI), nella parrocchia di S. Nicola di Bari, ho saputo tutte le sopraddette notizie. Documenti della divisione dell'eredità: 1936: Eredità di Pietrantonio Piccinelli e Mariuccia D'Ascenzo > ai nipoti 1917: Eredità di Filippo Spera > alla moglie Giovanna Piccinelli ed ai figli Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 9/126 Preludio all'incontro Nei primi mesi del 1897, Giovanna era incinta, Spera Filippo ebbe una violenta lite con un uomo del paese. I due si trovavano in campagna. Filippo che non era abituato a queste arrabbiature si sentì male e tornò a casa: aveva avuto un attacco cardiaco. Erasmo il fratello più giovane corse per vendicarlo ma l’altro era già fuggito. Filippo morì poco dopo all’età di 39 anni. Pietrantonio aveva assistito all’età di dieci anni a questa tragedia. Il 9 maggio dell’anno 1897 Piccinelli Giovanna figlia di Mariuccia e di Pietrantonio partorì e diede alla luce un secondo figlio maschio a cui fu posto nome Filippo a ricordo del padre. Giovanna aveva 37 anni. Erasmo era alto, biondo e dagli occhi azzurri. Veniva chiamato Rasimuccio. Egli risposò Giovanna, più grande di lui, e da lei ebbe un figlio che morì appena nato (c. 1900). La casa della famiglia Spera si trovava nella piazza in cui si trova la chiesa nel paese di sopra (in via della fonte al n° civico 2, di piani 1 vani 2) ; vicina alla loro casa abitava la famiglia Luce composta dal padre Domenico (10) , dalla madre Peduzzi Vincenza (11) , e dalle figlie Luisa ed Angelina. Fra le due famiglie c’era un rapporto di reciproca amicizia. I Luce Gli uomini della famiglia Luce erano da generazioni dediti alla vita contadina. Essi vivevano coi prodotti della terra ed allevavano alcune specie di animali. Il compito delle donne era normalmente quello di educare i bambini, aiutare l’uomo nei lavori della terra, tessere e lavare i vestiti, preparare i pasti alla famiglia, e, spesso, specie nelle famiglie di pastori in cui l’uomo doveva stare per mesi sulla montagna, la donna doveva dirigere anche la contabilità come le vendite di puledri, di formaggi, di latte, di grano, ecc... La gente dei Luce è sempre stata molto bonaria, ma anche molto testarda (quando si impuntavano su qualcosa in cui credevano, era difficile smuoverli). Pare, ma da fonti non troppo certe, che essi provengano dalla vicina regione delle marche. Notizie settecentesche Non vi sono molte notizie in data anteriore al 1800; si sa solo che, da documenti esistenti presso la Diocesi di Rieti, i Luce vivevano a S.Anatolia per lo meno dai primi anni del ‘700: infatti, nell’anno 1712, ms. Guinigi vescovo di Rieti, elencando i sacerdoti della parrocchia di S. Anatolia, scriveva: "... XVI) In detta parrocchia vi sono sei Sacerdoti con l’abbate e due chierici cioè: don Giovanni Antonini abbate; don Leonardo Placidi, e don Franco Antonio Luce canonici; don Alessio Innocenzi e don Tomasso Luce sacerdoti senza beneficio; e Bernardino Luce e Vincenzo Innocenzi chierici. Tutti vanno in abito e tonsura e servono alla medesima chiesa eccettuato don Tomasso Luce ch’è fuor di Diocesi ... Più avanti, elencando la situazione generale nel villaggio di S. Anatolia, soprattutto i problemi di natura ecclesiastica, scriveva: " ... XXIII) La mamma [= l’ostetrica] è stata esaminata et in caso di bisogno è prattica della forma del battesimo si chiama Margarita Fracassi e sono da otto anni che esercita. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 10/126 XXIIII) Amico Di Federico e Beatrice Luce solamente non si sono comunicati fin hora ... - Il 25 agosto 1783 ms. Marini, vescovo di Rieti, scriveva: " ... il curato o abbate è in oggi don Germano Amanzi. Li preti sono .... don Agapito Placidi d’anni 84 canonico .... Don Gennaro Luce d’anni 70 canonico come sopra .... Don Urbano Innocenzi d’an. 50 di poco buoni costumi, e ignoranza, e ..... Don Arcangelo Amanzi dedito al vino, ... anche i costumi sono cattivi. Luigi Placidi chierico di anni 18. Francesco Maria Luce e Carlo Scafati nuovissimi inabili ..." Quindi di Luce nel 1712 ce n’erano abbastanza a S. Anatolia visto che ben tre di essi erano ecclesiastici, ma, la dicitura "fuor di diocesi" , che nel 1712 definiva don Tommaso Luce, ci potrebbe far supporre che fu in quel periodo che i Luce vi giunsero, venendo forse, come dice la tradizione, dalle marche. Dalla metà del ‘700 ai primi del ‘900 A Sant’Anatolia circa nel 1750 nacque Luce Maurizio di cui i più vecchi ricordano solo il nome. Egli sposò Luce Vincenza ed ebbe due figli: il 13 aprile 1774 nacque Pietropaolo ed il 21 febbraio 1784 Antonio; essi sposarono due sorelle figlie di Luce Vincenzo e di Innocenzi Giovanna, e cioè Luce Michelina (nata il 30 aprile 1783) e Luce Giacinta (nata il 15 agosto 1786). Pietropaolo e Michelina fecero figli e figlie. Antonio e Giacinta, ebbero tre figli: il 15 febbraio 1816 nacque Raffaele, il 5 aprile 1823 nacque Maurizio e il 29 aprile 1825 nacque Francesco. Raffaele sposò Rubeis Francesca e Maurizio sposò Federici Gemma (nata il 5 marzo 1823); i festeggiamenti per le nozze di quest'ultimi furono maestosi ed ancora oggi si ricordano. Infatti è stato tramandato il detto, usato soprattutto per intromettersi quando si sentono discutere delle persone animatamente ed a lungo: "che state parlando delle nozze di Maurizio ???" (12). Ambedue le coppie fecero figli e figlie. Verso il 1855 Luce Francesco sposò Spera Giovannagata (13); essi ebbero cinque figli: il 27 febbraio 1856 nacque Antonio (14); il 5 dicembre 1857 Maria (15) ; il 29 settembre 1860 Caterina; circa nel 1861 Giacinta; e il 7 giugno 1863 Domenico. Nella primavera del 1892 Luce Domenico sposò Peduzzi Vincenza figlia di Angelantonio e di Cimini Chiara (16). Essi andarono ad abitare (ereditando la casa) nella piazza in cui si trova la chiesa di S. Nicola di Bari (nel paese alto). Il 30 aprile del 1893 nacque loro la prima bambina a cui misero nome Luisa; sette anni dopo, nel 1900, nacque loro una seconda figlia, a cui misero nome Angela rallevando il padre di Peduzzi Vincenza. Vicina alla loro si trovava la casa della famiglia Spera, composta da Spera Erasmo (Rasimuccio), da Piccinelli Giovanna (la moglie) e dai figli Pietrantonio e Filippo. Circa nel 1910 Domenico assieme a Pietrantonio Spera, emigrarono in America per poter lavorare. Domenico vi rimase per sempre: per alcuni anni continuò a mandare denari alla famiglia, poi le sue notizie si fecero sempre più rare. Negli anni fra il 1910-13 in cui alla famiglia Luce mancava un uomo che le aiutasse nel mantenimento, le figlie di Vincenza ed anche lei stessa, si arrangiavano come potevano, e fra l’altro, vendevano delle calzette che loro stesse nelle lunghe notti solitarie facevano con i ferri. Gli Spera & i Luce Pietrantonio nel 1913 tornò a Sant’Anatolia; aveva fatta fortuna con molti sacrifici. Egli, nel febbraio del 1914 sposò la figlia più grande di Luce Domenico, Luisa, che aveva allora 20 anni. Le loro nozze furono molto rinomate: Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 11/126 Luce Giovanni, cugino di Luisa, tornò persino dall’America per assistere al matrimonio, e, sempre lui per festeggiare, gettò, non come normalmente delle semplici manciate di confetti, ma sacchi e sacchi di questi dolci. Con i soldi riportati dall’America, Pietrantonio si costruì una palazzina a tre piani, con scale esterne, stalle, fienile, molte camere e terrazzi. Il 30 dicembre 1914 nacque loro una figlia a cui misero nome Angela (rallevando Angelica ed il marito Francescangelo genitori di Filippo ed inoltre il padre di Vincenza, Peduzzi Angelantonio). Terremoto del 1915 e prima guerra mondiale Però la fortuna non era ancora dalla loro parte: Nel 1915 vi fu il famoso terremoto che distrusse tutta la zona circostante al lago Fucino e che fece circa 25.000 vittime. Chi conosce la zona sa che S.Anatolia si trova a soli 15 Km. dal Fucino. La palazzina di Pietrantonio era molto resistente ma non abbastanza per una simile scossa sismica. Tutte le scalinate ed i terrazzi caddero ma fortunatamente nella famiglia non vi furono morti. Questa palazzina, come molte altre, fu considerata pericolante e venne abbattuta da operai del comune. Da allora la famiglia, con anche Rasimuccio, Giovannina e Vincenza si rifugiò in baracche e tendaggi. Nel 1921-22 il comune fabbricò varie case antisismiche in cui loro poterono entrarvi solo nel 1924 occupandole abusivamente. A S.Anatolia a causa del terremoto vi furono circa 86 vittime. Sempre nel 1915 scoppiò la prima guerra mondiale e Pietrantonio dovette arruolarsi. Egli partecipò alla guerra e fu nominato Cavaliere all’Ordine di Vittorio Veneto. In particolare Pietrantonio partecipò alla campagna Italo-Tedesca e A.O.I. (Africa Orientale Italiana) col grado di C.N.S. Nel 1918 tornò a S. Anatolia e l’11 maggio 1919 gli nacque il primo figlio maschio che chiamò Francesco a ricordo di Francescangelo e del padre di Luce Domenico Francesco. Nel 1919-20 giunse dall’America la notizia dell’infelice morte di Domenico che tolse alla moglie la speranza di rivederlo. L’anno dopo (1921) nacque il secondo figlio maschio a cui si volle dare il nome del padre di Luisa, Domenico. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 12/126 Francesco Spera di Pietrantonio e Luisa Luce Il Barone Masciarelli Sebbene l’ignoranza presso i paesani era molto intensa, si citano dei fatti che ci fanno molto pensare: c’era gente che ad ogni costo, con modi spesso violenti ed organizzati, cercava di ribellarsi alla volontà dei Signori ed alle ingiustizie dei Governanti. Questi paesani venivano sempre messi da parte nei problemi della Provincia e venivano ricordati solo quando c’era da andare in guerra o c’era da pagare le tasse. Durante gli anni del dopoguerra circa 1919-20 la fame in quei paesi era molto intensa e non c’era abbastanza fieno per sfamare il bestiame. I paesani allora, per risolvere questi problemi, mandavano le mucche (tutte quelle del paese assieme) in terreni più fertili anche se non di loro proprietà. Il più grande proprietario, in quei dintorni, era il Barone Masciarelli. Egli possedeva, da Magliano de’ Marsi fin presso Torano (lungo il corso del fiume Salto), quasi tutti i terreni più fertili della zona. La sua fattoria stava a S. Biagio vicino alla valle della Maddalena. Un giorno le mucche di S. Anatolia, pascolando, giunsero nelle sue terre. Era una mandria molto numerosa ed il barone, con la scusa che si trovava nelle sue terre, la portò nelle sue stalle a Magliano. Quella mandria era la primaria fonte di sostentamento per il paese: dalle vacche si ricava il latte, dal latte il formaggio, il burro, la ricotta; senza vacche l’aratro è inservibile e inoltre la carne dei vitelli e buoi è molto nutriente. Quando seppero del furto i paesani, molti dei quali erano appena tornati dalla guerra, si organizzarono: presero bastoni, forconi, ed armi simili, si misero in sella ad asini e cavalli, e partirono verso S. Biagio decisi a riprendersi il bestiame. Rasimuccio era fra i capi di questa banda: "...Era alto, biondo e aveva un bastone in mano". A S. Biagio tutti per paura si erano nascosti. Quando i paesani videro che nelle stalle non c’erano bestie si misero a cercare il barone gridando minacce: lo cercarono in casa, persino sotto il letto, nelle stalle, ecc. ma non c’era. Le guardie del barone, impaurite, dissero subito loro dove si trovavano le vacche e questo per evitare che si facesse del male a Masciarelli. Tutti i paesani lasciarono S. Biagio ed andarono verso Magliano de’ Marsi. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 13/126 Lì la notizia dell’imminente arrivo di quella banda si era già propagata e fra i maglianesi si sentivano delle urla impaurite come: "... Currate, arrivano quissi de’ Sant’Anatoglia !!!". Riprese le bestie, i paesani tornarono verso il paese fieri di ciò che avevano fatto; a metà strada però, contandole, si accorsero che mancava un asino e tutti, tranne alcuni che rimasero di guardia alla mandria, tornarono di nuovo a Magliano per prendere l’unica bestia rimasta. Tutti insieme per aiutare uno solo di loro (Fra i tanti che parteciparono a questa scorribanda vi furono: Rubeis Vincenzo, Spera Pietrantonio, Spera Filippo, etc.) Il Capitano e suo figlio Pietro Una sera il sindaco di S. Anatolia, Giuseppe Panei, invitò Rasimuccio in casa sua. Gli aveva preparata una piccola sorpresa; il Sindaco, ricordandogli delle sue piccole imprese, lo nominò, (scherzando) fra la gioia dei paesani, "Comandante di Sant’Anatolia" . Rasimuccio già veniva chiamato Il Capitano e da allora questo appellativo si rinforzò e gli fu dato per tutta la vita. Il 1 gennaio del 1921 Pietrantonio Spera si iscrisse alla Associazione Nazionale Combattenti, lo stesso anno il fascismo andava al potere. Nel 1940 (anno fascista XVIII°) Pietrantonio rinnovava il tesserino e questo col n.323184 ancora oggi si possiede. Il rinnovo avvenne ancora nel 1946 (tessera n.378724) nel 1961 (tessera n.869426 Associazione Nazionale Combattenti e Reduci). Nel 1959, il 18 marzo, Pietrantonio si iscrisse o rinnovò l’iscrizione all'Associazione Nazionale Famiglie, Caduti e Dispersi in Guerra' nella qualità di Padre del caduto Spera Domenico (di cui parlerò oltre) con tessera n.332802 che ancora si possiede. Nel 1969 sempre Pietrantonio si iscrisse alla Comunità di Lavoro con tessera n.31398. La Cambiale avallata Verso l’anno 1925 successe un fatto molto sfortunato per la famiglia: Maddalena (17), cugina di Pietrantonio, si sposò con un certo Amedeo Fortuna. Essi volevano emigrare in America, ma non avevano abbastanza soldi per il viaggio. Allora chiesero un prestito al fratello di Amedeo che volle però in garanzia una cambiale avallata (l’avallo è una garanzia per il pagamento della cambiale; se la cambiale non viene pagata dal debitore, l’avallante dovrà pagare per esso). Essi andarono allora da Pietrantonio e chiesero a lui di fare da avallante. Pietrantonio non ne voleva saper nulla di metter la firma sulla cambiale, ma con varie scuse ed insistenze, ed ignaro di ciò che poteva succedere, accettò in buona fede con la cugina. Appena firmata la cambiale, il fratello di Amedeo disse (con aria ironica): "...Eh’ Pietruccio mio, se non paga Amedeo, pagherai tu !!!". A queste parole Pietrantonio capì di essere stato ingannato, e lo picchiò, ma ormai il danno era stato fatto. C’è un documento che io conservo datato 12/10/1925 che sembra avere qualche relazione col fatto accaduto e qui di seguito lo riporto anche se non se ne capisce bene il significato: “Lanno 1925 il giorno 12 Ottobre in S. Anatolia. Il Sottoscritto Ameteo Fortuna fu Francesco Riceve la scrittura fatta e firmata da tutti tre i sù convenuti copagni cioè Spera Pietro e Rubeis Francesco atutte loro la richietono il Fortuna la deve presendare a i copagni. Fortuna Amedeo, Spera Pietro, Francesco Rubeis, Antonio Luce testimonio.” Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 14/126 Maddalena ed Amedeo emigrarono ma lì non ebbero fortuna; Pietrantonio non ricevette mai quei soldi e dovette vendersi le bestie ed alcuni terreni per pagare. Quel periodo fu molto triste. Egli dovette far molti debiti. Piccinelli Luca per ripagarsi del male che aveva fatto la figlia, diede a Pietrantonio alcuni terreni che per eredità dovevano toccare a Maddalena, non bastanti però ad estinguere il debito. Infine Pietrantonio riuscì a sdebitarsi e la sua famiglia a poco a poco si riprese. Fra il 1920 e il 1934 Nel 1920-’24 il fratello di Pietrantonio, Filippo si sposò con la sorella di Luisa, Angelina; essi ebbero cinque figli. Il 10 ottobre del 1924 nacque a Pietrantonio e Luisa la seconda figlia che, per devozione verso la santa del paese, fu chiamata Anatolia. Intanto Angela, la primogenita, aveva smesso di andare a scuola e già aiutava la mamma nei lavori di casa. Francesco invece aveva iniziato le elementari che avrebbe smesso dopo pochi anni. In quel tempo, poter andare a scuola, era un lusso solo per i ricchi ed era già molto se un contadino mandasse i propri figli alle elementari. Per questo motivo l’ignoranza era trionfante. Il 14 novembre 1926 nacque la terza figlia che per metter un po’ d’allegria alla casa fu chiamata Gioconda. Il 17 gennaio 1929 nacque il terzo figlio maschio che rallevò Rasimuccio col nome Erasmo (chiamato Remo). Il 24 luglio 1932 nacque la quarta figlia che rallevò la madre di Luisa col nome Vincenza. Il 13 novembre 1934 nacque la quinta figlia (mia madre) che rallevò la madre di Piccinelli Giovannina col nome di Maria. In tutto, Pietrantonio e Luisa, ebbero otto figli. Cinque femmine e tre maschi. Nel 1934 Angela, la maggiore, si sposò con Rubeis Vincenzo, e l’anno dopo ebbe il primo figlio a cui mise nome Piero. Verso il 1926 Peduzzi Vincenza (la madre di Luisa) ebbe una paralisi che poi guarì; 8 anni dopo, nel 1934 morì di morte naturale (aveva 75 anni). 1937 Carta d'identità di Pietrantonio Spera Nel febbraio del 1939 alla vigilia della guerra Pietrantonio e Luisa festeggiavano le loro nozze d’argento dopo 25 anni di matrimonio, in cui si erano alternati momenti di felicità e di dolore, ma il peggio doveva purtroppo ancora venire. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 15/126 Spera Domenico e la seconda guerra mondiale Nel 1939 anno scoppiò la II° guerra mondiale (1939-1945). Spera Domenico figlio di Pietrantonio si arruolò, aveva appena 18 anni. Egli era un soldato semplice e fu mandato a svolgere il suo servizio nei confini fra l’Italia e la Iugoslavia. Battaglione Carabinieri - Domenico Spera Nell’intervallo di tempo fra il 1939-1945, Domenico scrisse molte lettere a cui la famiglia rispondeva. Di queste lettere ne sono rimaste cinque che recitano così: 1) - Fiume lì 12-1-’43. Miei carissimi. - Sono veramente felice riguardo i Nostri scritti, ma un po’ di timore provo per la situazione che ora ci troviamo, specialmente per Voi cari. Solo Iddio, oh! miei familiari, ci potrà aiutare, di resto tutto si spera in lui. Come ripeto mi congrado con grande piacere alla vostra salute, che mi fate noto nella lettera, altrettanto vi faccio nota del mio stato che si trova in perfetta salute grazie a Dio. Carissimi mi fate sapere qualche cosa di nuovo ? Almeno sottinteso ? Qui si sta tranquilli, meglio di qualche altro posto fin’ora. Non ho cose da dirvi, solo mi auguro una buona salute acciocché un giorno felice ci possiamo rabbracciarsi, sarà quel giorno ? Lo spero. Saluti a tutti i parenti. 2) - Fiume 6-3-’43 XXI°. Carissimi - Son già parecchi giorni che aspettavo le Vostre amate notizie, per dirvi più di tutto qualche novità molto interessante: Sentite cari, come sapete, che da molto tempo la mia idea si dirigeva al suo avvenire, per soddisfarsi quanto pensava. Quinti ora posso comunicarvi, che io sto raggiungento le mie famose idee, cioè quello di (studiare) ora ne sono al corrente, spero che tutto mi vada bene. Voglio dirvi però miei cari, che me se ne vanno parecchi soldi e non so se potrò tirare avanti con i miei, io spero che se ne ho bisogno, mi aiutate anche voi cari. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 16/126 Sappiate pure, che solo per comperare i libri c’è voluto 300 lire ora potete immaginarvi quanto sto a fare al meglio possibile, per altro soldi non ne sciupo, non faccio altro, che andare di servizio e studiare, voglio dirvi tutto, il maestro che mi fa scuola mi viene a costare 200 lire al mese, quanto di più e quanto di meno a secondo le volte che vado; la mia paga normalmente è di £. 370 al mese. Così dicendovi tutto vi regolate anche voi, la vita che faccio io. Altro non ci ho da dirvi, per il fatto di Gina mi ha scritto ancora 5 cartoline ed una lettera ma io non ci ho risposto a nessuna. Voglio esser tranquillo per il momento. Spero solo che il buon Dio ci aiuti e ci mantenca la salute bene conservata a sé. Vi saluto affettuosamente chi vi vuole bene vostro figlio aff.mo Domenico (Rispondete subito) (Non date tanto la voce di questo che vi ho detto) 3) - Fiume lì 9-2-’44. Carissimi.- Giorni fà ho scritta un’altra lettera nella quale vi ho fatto nota dell’attesa dei vostri scritti, finalmente ora con massima gioia ho fra le mie mani una graditissima lettera da voi scritta, giorno 7-1-44. Solo in sostanza questa lettera è un po’ disaggiata, in quanto mi fate nota del vostro forte pensiero, ed inoltre, quel che impietosisce della notizia di Isaia, ma poi in verità l’avevo già immaginato, quel che poteva esser successo di lui, poiché tante volte ho scritto ai suoi di casa e non mi facevano risposta, appunto perché dovevano darmi cattiva notizia. Pazienza ! - Tutto ciò è quel che Dio vuole. Quinti io in complesso sono immensamente felice e tranquillo di aver ricevute le vostre notizie, speriamo che Iddio ci le conservi e mai ci faccia restare privi di esse. Quanto mi riscrivete mi fate sapere se fin’ora c’è stato nessuno che vi ha disturbati nel nostro paesello, se ci sono le mosche ingiro io spero di no; so bene però che ad Avezzano spesso spesso li risvegliamo ... Ora voglio assicurarvi la mia salute che è sempre in buono stato grazie al buon Dio, che tanto mi protegge, me e voi cari. Mi compiaccio poi all’amore del nostro fratello Francesco con la sig.na Quinta <<contentissimo>>. I vecchi come vanno ? Mi danno molto pensiero, a causa, se dovesse succede quel che non ce lo auguriamo; invio a loro i particolari saluti, e l’agurio che si mantengano forti. Saluti e baci a tutti in famiglia, saluti ancora a tutti i nostri più stretti parenti e compari, bacetti a tutti i piccoli. Particolarmente poi saluti a Francesco e sua amata, di nuovo bacioni a tutti il Vostro figlio Domenico. Buone cose auguri..... 4)- Fiume lì 2-3-44. - Carissimi, Grazie al buon Dio, mi trovo felicissimo d’aver ricevuti vostri nuovi scritti, dai quali ho trovato una sostanza dilettevole. La sostanza dilettevole, soprattutto è quello di sentire il vostro ottimo stato di salute, e poi, anche molto mi fa piacere, sentire che la commare si è fatta persuasa di ciò che non poteva accadere. Riguardo poi la formalità dell’uomo mi è indifferente, anzi le farete i miei migliori auguri. Per quanto riguarda quel che mi avete spiegato per Francesco io me ne congrato; però non vorrei che succedesse un avvenimento tale senza la mia presenza, perché me ne risentirei fortemente in quanto già due ne sono andate a male, e cioè quelle di Angela e quelle della baldanzosa Nicolina; ciò però, non sia per offesa ! Speriamo per il tempo che avete prestabilito che tutto sia in pace, ed io fra voi cari. Io sto benissimo grazie a Dio altrettanto mi auguro per voi tutti. Saluti a tutti, vi bacio a tutti in famiglia sono il vostro Domenico. Saluti particolari a Nicolina e al suo marito Angelino, la ringrazio dello scritto aggiunto alla vostra lettera. Una raccomandazione interessante. Cercherete il modo possibile di farvi rilasciare dalla signorina Agnesina, un altro nuovo mio certificato di studio, perché quello, che avevo è stato inoltrato con la domanda, per essere ammesso nei carabinieri, quindi non è più il caso di riaverlo. Ora, datosi che mi necessita molto, prego voi e quanto più la g. signorina, di assistermi alle mie richieste. Infiniti ringraziamenti a lei e voi tutti. Saluti Domenico Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 17/126 5) - Fiume lì 6-5-’44. Miei cari - Ho ben compreso la vostra buona volontà; ma pur troppo, di ciò che vi hanno informato, al nostro Comune, per il rilascio della carta di identità è impossibile in quanto bisogna risultare iscritti in questo Monicipio (di Fiume), Ed allora, datosi che io non posso iscrivermi, perché sono un militare, e per giunta non effettivo, mi è assolutamente escluso questo favore. Ebbene, ora vi rinvio di nuovo le fotografie, così voi vedrete, con preghiera e santa pazienza, di farvela rilasciare in un foglio provvisorio, del quale gl’impiegati sanno bene. Se vedete che è proprio impossibile, non state a prendervi pena, poiché se Iddio vuole saremo ben guardati. Io sto benissimo, attento i famosi documenti che vi ho chiesti, e torno di nuovo a pregarvi, che mi siano mandati al più presto. Sono molto contento delle Vostre notizie, grazie a Dio, specialmente sentento i vari nomi dei nostri cari parenti compari ecc. Non ci auguriamo altro, che un presto ritorno gioioso, per il momento vi giungano a voi tutti in famiglia e a tutti i parenti e compari, piccoli, e grandi i più distinti saluti e affettuosi bacioni. Il Vostro Domenico. Scrivete spesso non aspettate le mie lettere perché possono ritardare. saluti ciao Domenico. Caso mai le fotografie potete tenerle Voi. Nel 1945 i genitori chiesero notizie del figlio e con la lettera del 21 marzo 1946 il Comitato Cittadino della Croce Rossa lo dichiarava irreperibile. Domenico, come scriveva in alcune lettere, ci teneva molto ad essere istruito. Durante la guerra si iscrisse ad una scuola a pagamento e sostenne alcuni esami. Egli era ospite presso una famiglia che lo teneva molto in considerazione: da questi e veniva chiamato il principino . La signora che lo ospitava doveva essere una certa Stambulich Anna all'indirizzo della quale i miei nonni in seguito si rivolsero per avere notizie di Domenico. Nel 1945, quando giunsero a Fiume i partigiani, Domenico si vestì in borghese e si avviò, assieme ad un amico che poi ha raccontato questa storia, verso S. Anatolia. L’altro aveva gettato via tutti i documenti mentre Domenico, che ci teneva molto ai suoi diplomi, li tenne con sé. A Fiume i partigiani, al comando del maresciallo Jugoslavo Tito, lo fermarono. Il suo amico fu rilasciato ma Domenico, che con i suoi documenti si identificava come carabiniere, venne passato per le armi. Fiume in seguito divenne città Jugoslava. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 18/126 I rifugiati stranieri e l’arrivo dei Tedeschi A S. Anatolia in principio la guerra non fu molto sentita. L’unico pensiero che intristiva la gente era il fatto che molti ragazzi, parenti ed amici, si trovavano al fronte. Verso il 1942 alcuni stranieri, inglesi e polacchi, sfuggiti ai tedeschi, si rifugiarono, come in molti altri paesi e città d’Italia, a S. Anatolia. Pietrantonio e Luisa ne ospitarono tre. Questi dormivano nei pagliai, mangiavano in casa e si facevano capire a versi. Essi si affezionarono molto e divennero come altri membri della famiglia. Era inverno e la sera quando tutti si mettevano in circolo intorno al caminetto i tre raccontavano le loro storie e Maria, la figlia minore, spesso intonava delle canzonette allora molto conosciute; erano spesso canzoni contro l’Inghilterra e da lei cantate ingenuamente; a sentirla gli stranieri e tutta la famiglia ridevano. Passarono i mesi ed a S. Anatolia giunsero i Tedeschi. Nei primi mesi del 1943 i rifugiati stranieri di S. Anatolia dovettero fuggire. Pietrantonio e Luisa diedero ai tre dei vestiti, del cibo ed altre cose che potevano occorrere loro ed infine li salutarono. Fu un addio commovente. Ormai tutti nella famiglia si erano affezionati a loro ed essi si erano affezionati alla famiglia: Lanciotti Quinta, fidanzata con Francesco Spera, scambiò con loro gli indirizzi. Poi la notte partirono e di loro non si ebbe più notizia. Dopo alcune settimane dalla partenza degli stranieri, i tedeschi entrarono in S.Anatolia. Nel paese di sopra ed esattamente nella casa dove abita il parroco, vi fecero un piccolo comando, con pronto soccorso ed ospedale. Nel giugno del 1943 giunse la notizia che in quelle colline e per altre parti d’Abruzzo, vi sarebbe stata la guerra e già i tedeschi scavavano trincee, ergevano barricate in pietra e piazzavano i fili spinati. In quel tempo quasi tutti i paesani fuggirono in montagna e fra essi anche la famiglia Spera. Essi si rifugiarono in alcune grotte molto profonde che potevano proteggere oltre che dalle bombe, anche dalla pioggia e dai venti. La fine della guerra Con l’arrivo degli americani i tedeschi si diedero alla fuga e in paese la guerra non apportò più distruzioni. Ormai in Italia era la fine della II° Guerra Mondiale, la fine della Monarchia e del Fascismo, e nel 1946 la nascita della Repubblica. Nel 1944 Francesco Spera (il secondogenito) si era sposato con Lanciotti Quinta e due anni dopo nel 1946, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altra, morivano, dopo una vita molto serena, prima Spera Erasmo (Rasimuccio) a 77 anni, poi Piccinelli Giovanna la moglie all’età di 86 anni. Dal 1946 la vita per la famiglia cominciò ad essere più tranquilla. Ormai i figli si cominciavano a sposare e, uno dopo l’altro, lasciavano la casa paterna. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 19/126 Domenico era morto, Francesco ed Angela si erano sposati, e nella famiglia erano rimasti 5 figli ancora da sistemare. La guerra aveva apportato molto malessere, ma a loro, che vivevano coi prodotti della natura, non molto era cambiato al confronto dell’anteguerra, e con le leggi della nuova Repubblica, per essi la vita in parte migliorò. La fine della guerra aveva resi felici i bambini come Maria, allora 11 enne, o Vincenza, già signorina a 13 anni, ma per Remo 16 enne, ed i più grandi, aveva portato la tristezza per il ricordo dei parenti morti (Vincenza, Domenico, Giovannina e soprattutto Rasimuccio). Angela e Filippo rispettivamente sorella e fratello di Luisa e Pietrantonio ebbero cinque figli: Nicolina, Giovanna, Vincenzo, Giacomo e Mario. Nicolina nel 1945 ebbe il primo figlio dal marito Giampietri Angelo. Al figlio fu posto il nome Gino. Il 30 dicembre del 1946 Pietrantonio ancora triste per la morte dei genitori, festeggiava il suo 60° anno di età. Luisa ne aveva compiuti 53 il 30 di aprile. Note 1. Il fatto mi è stato raccontato da Domenico Spera fu Antonio (fu Lino < -- fratello di Francescangelo): era cugino in seconda di nonno Pietrantonio - Domenico Spera è morto nel 1981. 2. Bonifacio Spera era nato a S.Anatolia il 14 maggio 1782 e Santa il 1 novembre 1790. 3. Francescangelo ebbe tre fratelli Nicola, Lino e Angelantonio; 1) Nicola fu padre di Lino che sposò Paola ed ebbe tre figli: Rosa, Nicola (marito Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 20/126 di Sgrilletti Eufelia e padre di Luigina, Paolo e Lino) e Luigi (morto in guerra); 2) Lino nato il 17/2/1822 sposò dapprima Piccinelli Gio: Paola nata il 26/01/1824 poi alla morte di questa risposò D'Agostino Grazia nata il 26/10/1829: da Piccinelli Gio:Paola ebbe 4 figli: Antonio (marito di Zuccaretti Nicoletta e padre di Domenico, Mariagrazia, Giuseppe e Maddalena), Nicola (nato il 25/7/1855), Luigi (n. 4/11/1856) e Berardo (n. 16/3/1860 - marito di Maria e padre di Antonio e Vincenzo); 3) Angelantonio nato il 1/5/1820 sposò Luce Gaetana ed ebbe tre figli: Marta Felice (n.15/3/1852), Bonifacio (n.8/1/1855) e Maria Vittoria (n.21/11/1859) 4. Santa sposò Luigi Rosati 5. Giovanna, nata a S.Anatolia il 25/02/1863, era figlia di Pietrantonio Piccinelli e di Maria D'Ascenzo di Corvaro. 6. Esposito è un cognome napoletano che si dava ai figli illegittimi. Esposito = esposto, esposto al pericolo. 7. Pietrantonio Piccinelli, nato a S.Anatolia il 7/12/1826, era figlio di Gabriele "Gabrielone", n. a Grotti 6 nov. 1785, e di Vittoria Di Pietrantonio, n. 25 set. 1798; il padre di Vittoria, Luca Di Pietrantonio, era nato il 16 ottobre 1775. 8. Atto di battesimo in: parrocchia di S.Nicola di Bari a Sant'Anatolia - Borgorose (RI): "Anno Domini millesimo octincentesimo sexagesimo tertio die vigesima septima februarii R. Can. J. Scafati de mea licentia baptizavit infantem nudius tertius post solis ortum ex coniugibus Petro Antonio Piccinelli hujus pavecie et Maria D'Ascensis terre Corbarii natam cui nomen posuit Joanna, matrina fuit Angela Maria filia Antonii Colabianchi terre Roscoli. In quorum fidem. C. Placidi ab. cu.". 9. Alcune notizie sono tratte dal libro di Luciano Sarego: Reazione e Brigantaggio nel Cicolano (1860-67). 10.Da ricordare che Domenico era figlio di Francesco Luce e Giovannagata Spera (padre di Giovannagata fu Giovanni Spera) . 11.Vincenza Peduzzi fu figlia di Angelantonio e di Chiara Cimini. 12.Da un Racconto di Luisa Luce 13.Giovannagata Spera, nata il 20 novembre 1831, era figlia di Giovanni e di Luisa Fracassi. Giovanni era nato il 19 febbraio del 1800 e Luisa il 21 giugno 1803 o 6; Giovanni era figlio di Gio: Pietro Spera, nato il 29 giugno 1760, e di Giovannagata Amanzi; Luisa era figlia di Croce Fracassi, nato il 3 maggio 1772 e di Pasqua, di cui non si sa il cognome, nata il 13 marzo 1773. 14.Antonio Luce sposò Caterina Peduzzi e dei loro 5 figli, Giovanni sposò Rita Tupone mia zia. 15.Angela Maria Nicola Luce sposò Domenicantonio Passalacqua ed ebbe una figlia Vittoria. 16.Chiara Cimini, nativa di Castelmenardo, era sorella di Pasquarosa moglie di Giuseppe Spera. Angelantonio Peduzzi, il marito, era nato il 20 maggio 1820 ed era figlio di Francesco e di Berardina Fracassi. Francesco era nato il 4 ottobre 1794 mentre Berardina il 6 dicembre 1793. Francesco Peduzzi era figlio di Pasquale, nato il 17 maggio 1770, e di Vincenza Di Gasbarro, sorella di un certo Giovannantonio. Berardina Fracassi invece, sorella di Luisa (vedi sopra nota n. 12), era figlia di Croce Fracassi, nato il 3 maggio 1772 e di una certa Pasqua di cui non si sa il cognome, nata il 13 marzo 1773. Vincenza Peduzzi, moglie di Domenico Luce e figlia di Angelantonio e di Chiara Cimini, era nata il 27 dicembre 1861. 17.Maddalena Piccinelli era figlia di Luca un fratello di Giovanna. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 21/126 Appendice II - Racconti e Tradizioni Orali Vita della Santa Martire Anatolia - Invasione degli zingari e formazione del paese antico - L'invasione dei serpenti e la fuga dalle Case Vecchie - Fuga da Cartore alle Case Vecchie - Gli Zingari - I serpenti e gli Zingari alle 'Case Vecchie' - La zona Scannacavagli - Pitti a Catasto - Zacchè il falsario - Il terremoto del 1915 - La rivolta del luglio 1944 - Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero Vita della Santa Martire Anatolia Da un racconto di Vincenzo Rubeis di Pasquale e Lucrezia Peduzzi - 19/03/1986 Sant'Anatolia era figlia di un ricco di Subiaco che la voleva far sposare con alcuni conti o principi. Sant'Anatolia invece aveva giurato di rimanere casta e pura e soprattutto Vergine per Cristo, e così decise di darsi alla vita Cristiana; il padre allora la mise dentro una casettina con moltissimi serpenti per vendicarsi ed ucciderla; ma ella, quando dopo tante ore fu tirata fuori da questa casa, aveva tutte queste bestie attorcigliate intorno al corpo, e per miracolo nessuna l'aveva morsicata. A questo punto S. Anatolia scappò dal padre cioè da Subiaco ma quest'ultimo non si accontentò della prima prova e gli mandò due piccoli eserciti di uomini per riprenderla o ucciderla. Quando questi eserciti l'ebbero accerchiata, S.Anatolia fece un altro miracolo e cioè, disse alle nuvole di scendere sopra di lei e dell'esercito di modo che nessuno la poteva vedere; A quel punto da una parte e dall'altra i due eserciti fecero fuoco e si uccisero a vicenda. S. Anatolia andò allora a Tora. Lì incontrò due cacciatori di Rosciolo che le chiesero chi era e cosa stava facendo lì in quella valle. Allora S.Anatolia rispose loro: Sulla terra in cui spirerò, molte grazie io farò". Ella non disse più nulla ma, rotta dalle lunghe fatiche e tormenti, morì. La Santa spirò proprio in mezzo a degli spini, onde fu difficile per i due di Rosciolo riprenderne il corpo. Comunque con molta fatica presero il suo corpo e lo riportarono dal padre a Subiaco. Ma, queste sono le ultime parole di mio zio: a S. Anatolia in Tora, dov'è morta, essa fa molte grazie, mentre a Subiaco ella non farà mai nessuna grazia. Distruzione di Tora, invasione degli zingari e formazione del paese Da un racconto di Giovanni Sgrilletti, paesano - 01/09/1980 "La distruzione di Tora avvenne circa 700 anni fa' ed in questo modo: c'erano due imperatori in lite, uno di nome Corradini ed un altro di nome Carlo d'Escia. Con le loro battaglie avvenne la distruzione di Tora. I cittadini di Tora fuggirono nei paesi vicini e pochi rimasero fra i resti della città. Dopo alcuni anni, sui resti di Tora si era formata una folta vegetazione, giunsero nei pressi di Tora alcune carovane di zingari che, vistosi scacciate da tutti gli altri paesi e trovata l'acqua fra i resti della città, vi si accamparono. Qui dovettero litigare con la gente del luogo ma infine si stabilirono pacificamente e costruirono delle case nel posto ora chiamato "Case Vecchie". Così iniziò a sorgere il paese. Le rovine dell'antica città di Tora si possono guardare alle quattro strade vicine alla "Calegara", a Colle Pizzuto, a Cartore, alle Case Vecchie ed in alcuni terreni di Placidi in Cantu Riu." Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 22/126 L'invasione dei serpenti e la fuga dalle Case Vecchie Da un racconto di Giuseppe Tupone di Guglielmo e Filomena Di Gaetano - 27/11/1981 "Raccontano i vecchi, che anticamente il luogo "Case Vecchie" era abitato; anzi la maggior parte del paese si trovava in quei pressi. Però il luogo era frequentato da qualche famiglia di vipere e altri rettili. I paesani cominciarono a ritrovarsi a volte quei serpenti in casa e sempre più numerosi. Fu per questo motivo che alcune famiglie cominciarono a traslocare nelle parti più alte del paese e, come succede sempre nei piccoli paesi, quando uno comincia tutti lo seguono, e fu così che le Case Vecchie vennero gradatamente abbandonate trasformandosi poi in stalle." Fuga da Cartore alle Case Vecchie e spostamento sulla collina. Da un racconto di Vincenzo Rubeis di Pasquale e Lucrezia Peduzzi - 19/03/1986 "Dopo Cartore, il paese di S. Anatolia sorse alle Case Vecchie mentre poi, siccome lì era una zona troppo calda e piena di serpenti ed altri animali, preferirono, i paesani, spostarsi più in alto, e andarono al colle Noce di Cristo." Gli Zingari. Da un racconto del sig. Generoso De Sanctis di Torano - agosto 1986 "Pare che fra l'VIII e l'XI secolo (?), da una valle chiamata "Knosh" in Ungheria, si mosse una grande carovana di Zingari che, entrando in Italia, in parte si fermò nel nord vicino alla provincia odierna di Udine, ed in parte discese l'Italia stanziandosi fra l'altro nel paese della Valle del Salto chiamato oggi Sant'Anatolia. Vi è un paese molto piccolo in provincia di Udine in cui ci sarebbero i discendenti degli Zingari che si erano fermati nel nord-Italia e che parlano lo stesso dialetto che oggi si parla in Sant'Anatolia: il paese si chiama San Leopoldo e l'unica differenza che c'è con Sant'Anatolia è che a San Leopoldo sono state mantenute moltissime tradizioni ungheresi, mentre a S.Anatolia gli unici segni rimasti di tale colonizzazione di Zingari sono il dialetto parlato, i tratti somatici persistenti ed un tenuo ricordo nelle tradizioni orali tramandatoci nelle generazioni. I Santanatoliesi sarebbero in buona parte i discendenti di questa colonia di Zingari che vi fu stanziata dopo una grande moria de' vecchi abitanti del paese". I serpenti e gli Zingari alle 'Case Vecchie' Da un racconto di Alfredo Tupone di Erminio e Caterina Lanciotti - 24/03/1986 "Nel tempo antico, siccome il paese era stato infestato dalle "serpi", nessuno poteva viverci, per cui furono presi degli "Zingari", una colonia, e trapiantati a S. Anatolia, poichè solo essi sapevano, con le loro tecniche, uccidere i serpenti, per cui viverci a contatto. Gli zingari per cui inizialmente dovettero abitare vicini al Santuario poichè era in quella valle che erano stati visti tutti quei rettili". Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 23/126 La zona Scannacavagli Da un racconto di Vincenzo Rubeis di Pasquale e Lucrezia Peduzzi - 19/03/1986 "La zona "Scannacavalli" in paesano "Scannacavagli", è nominata in questo modo poichè: "Al tempo in cui c'erano le guerre civili e da Magliano doveva venire un esercito di centinaia di uomini a cavallo, i nostri per difendersi si appostarono e guardarono chi dalla Torre di Torano, chi dalla Torre di Guardia, chi da un altro punto verso Colle PizzoDente, e quindi quando il nemico si avvicinò al centro fra le tre torri, i padroni di queste ultime li circondarono e ne uccisero in molti. In quell'occasione, furono uccisi anche moltissimi cavalieri da cui "Scanna Cavalli o Cavalieri"; Pitti a Catasto Da un racconto di Maria Spera di Pietrantonio e Luisa Luce - 04/03/1986 "Se uno faceva lo sbruffone, ed era di famiglia povera, per smontarlo o prenderlo in giro, i paesani poco più ricchi gli dicevano: "Che parli, che parli !!! Tu non pitti nemmeno a catasto !!!" . 'Pitti a Catasto' significa iscritto al catasto e cioè possessore di terre. 'Non pitti a catasto' si diceva di solito alle persone povere che non avevano terre e che quindi non risultavano negli archivi catastali. (04/03/1986) Zacchè il falsario Da un racconto di Mario Tupone di Erminio e Caterina Lanciotti - 18/08/2002 Nel 1805 circa, quando Napoleone conquistò il Regno di Napoli e cacciò il borbone Franceschiello, uno de' quissi de Zaccheo venne a S. Anatolia con un bottino rubato forse durante la guerra, composto da una macchina stampatrice, con relative piastre originali d'argento, e tutto il materiale necessario a falsificare il denaro che allora era in circolazione: lo Scudo borbonico o napoletano. Zacchè nascose la refurtiva in una grotta sopra il colle Paco in modo che, ogni volta che ne aveva bisogno, andava e si stampava gli scudi necessari ma, non sapendosi trattenere dal fare lo spaccone, venne presto preso di mira dalla polizia locale. In quel tempo un certo Guglielmo, ricordato dai paesani come Guglieramo, era governatore di S. Anatolia e il palazzo del governo era l'antico palazzo dei Placidi al Terrone. Si dice che il palazzo era allora i proprietà dei monaci benedettini ma in quel periodo era stato confiscato dal governo Napoleonico. Guglieramo ordinò alle sue guardie di seguire Zacchè ma ogni volta che questi arrivava al colle Pago, spariva nella grotta e, essendo questa introvabile, l'inseguimento finiva sempre a vuoto. Dopo un paio di inseguimenti si decise di utilizzare i cani e in questa maniera alla fine Zacchè venne colto con le mani nel sacco. Nella grotta vennero trovati gli attrezzi da falsario e furono requisiti 1000 scudi freschi di stampa. Zacchè venne arrestato e gli scudi furono consegnati al governatore. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 24/126 Poco tempo dopo alcuni loschi individui di S.Anatolia decisero di derubare il governatore ed entrarono nel palazzo. Guglieramo dormiva su una sedia con le braccia incrociate e un tizio di S.Anatolia (in seguito il sospetto ricadde su Vincenzo Luce) con una accetta lo colpì con forza nel petto ma, invece di ucciderlo, gli recise di netto ambedue le braccia. Guglieramo ebbe il tempo di urlare e far fuggire i ladri ma morì comunque poco tempo dopo. Gli scudi rimasero nel palazzo e in seguito, dopo che Napoleone fu detronizzato e rientrò il re Franceschiello la chiesa riprese possesso del palazzo e, essendo allora abate uno dei Placidi, fu la sua famiglia ad impossessarsi dei 1000 scudi di Zacchè. Con i mille scudi i Placidi divennero molto ricchi e si comprarono sia il palazzo che molte terre. Alcuni anni dopo, quando i briganti, dopo il saccheggio del palazzo, chiesero a don Costantino Placidi un riscatto per la restituzione dei beni rubati, non fu un caso che la cifra richiesta fosse esattamente di 1000 scudi: erano gli scudi del falsario Zacchè. La grotta ancora esiste e viene chiamata "La grotta de Zaccheo". Essa è grande come una stanza e ancora oggi è introvabile perchè con una piccolissima entrata "coperta dagli macchiuni". Vincenzo Luce venne sospettato dell'omicidio del governatore perchè, si diceva a S.Anatolia, che solo lui era talmente forte e veloce da poter recidere con un sol colpo le braccia di un uomo. Quando Erminio Tupone decise di mettere al proprio figlio il nome di Guglielmo, la moglie Caterina Lanciotti, volle subito soprannominarlo col diminutivo di Memmo perchè aveva paura che gli altri di S.Anatolia lo chiamassero Guglieramo, nome che le risultava molto poco propizio vista la fine che aveva fatta il governatore. Antonio Placidi, a differenza di molte voci che raccontano che la sua famiglia non fosse di S.Anatolia, asserisce invece che la sua famiglia vive a S.Anatolia dal 1400 e cioè da quando essi fuggirono da Pisa in seguito alle lotte fra guelfi e ghibellini. Note • La storia del Falsario Zaccheo mi è stata raccontata da Mario Tupone (detto zizittu) figlio di Erminio e Caterina Lanciotti. A lui venne raccontata dal nonno materno Pietrantonio Lanciotti. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 25/126 Il terremoto del 1915 Da un racconto di Filippo Falcioni (detto Pippo) del 20 ottobre 1987 pubblicato su un opuscolo edito dalle Edizioni accademia città di Roma "Il Machiavello" nel 1990 ed inviatomi da Maria Teresa De Amicis Il mattino del 13 gennaio 1915 ero nella mia stalla in località Casevecchie, a stramare le mie bestie: due vacche ed una cavalla. Avevamo anche ottanta pecore in un’altra stalla in località Stallescure. Andavo quasi sempre io alla stalla, di mattina, ragazzo di quattordici anni, perché mio padre era malato di asma e tosse. Verso le ore sette, se ricordo bene, improvvisamente sentii un forte fragore: la cavalla scalpitava, il pavimento sussultava e ondulava. Preso da grande paura, corsi fuori e vidi Luce Raffaelluccia fu Luigi, anche lei uscita dalla sua stalla di fronte alla mia, che mi faceva segno con la mano verso la parte storica del paese di fronte, e, nello stesso tempo emise un forte grido e piangeva. Come ragazzo poco o nulla esperto di terremoti, impressionato, guardai anch’io, e vidi meravigliato e stupito, che la parte storica del paese era un ammasso di macerie e a mano a mano che la grande nube di polvere diradava, spazzata via dalla forte tramontana, vi apparivano punte di travi più o meno lunghe. La parte storica del paese sorgeva su una collina, che dal lato nord era ed è tutt’ora molto scoscesa; mentre le stalle erano tutte situate nella zona della fontana Valle Rio, sparpagliate, come sono tutt’oggi. Quasi nessuna delle stalle fu diroccata dal movimento sismico; solamente qualcuna lesionata. Santa Anatolia era l’unico paese del Cicolano fornita di fognature. Aveva una planimetria ben precisa: una via centrale detta La Terra, che partiva da piazza S. Nicola lunga circa cento metri, intersecata da cinque vicoletti, le cui fognature collegate con quella centrale situata sotto via La Terra. Il giorno del terremoto era fiera a Magliano de’ Marsi: molti abitanti si erano alzati presto per condurre il bestiame alla fiera; anzi, tanti erano già sulla via, costretti, poi dal terremoto a tornare subito in paese. Ritornando all’atto del terremoto, quelli che erano nelle stalle correvano tutti verso la parte terremotata per portare aiuto ai loro familiari. Corsi anch’io e presi l’accorciatoia per la viottola La Costa. Giunto alla casa di Di Gasbarro Giovanni, diroccata fino al pavimento del primo piano, sul quale Giovanni, già vecchio, nudo con addosso la sola camicia, tutto impolverato, andava avanti e indietro sul pavimento e ripeteva in continuazione: Poreglie mi, poreglie mi, come faccio mo… La parete della casa verso Valle Rio era rimasta intera: in essa vi era un balconcino con una piccola ringhiera di ferro: lì stava Di Cristofano Mariassunta, ragazza di circa vent’anni, a tre metri dal suolo, che gridava e chiedeva aiuto: Curri Felippu! Curri , Felippu, aiutami… In quel mentre arrivò Peppinuccio, figlio di Giovanni, tutto ansante dalla corsa che aveva fatta, mi guardò ansioso e mi disse: Io vado da mio padre, tu vedi di aiutare quella ragazza…. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 26/126 La famiglia Di Gasbarro aveva una bottega di generi alimentari. La ragazza era andata a comprare il pane: la bottega però non era ancora aperta e la moglie di Giovanni l’aveva fatta salire in cucina, al primo piano e fatta sedere vicino al focolare. In quell’istante avvenne la scossa di terremoto. La ragazza, sorpresa, corse al balconcino per accertarsi di quel rumore insolito, e mentre guardava fuori, la casa crollò, e lei rimase là, attaccata alla ringhiera. Io andai dalla ragazza che strillava e piangeva, e le dissi: Stai calma, adesso vedrò come farti scendere…. In quell’istante una nuova scossa, le fece cadere un pezzo di mattone sul capo : presa da una forte paura, si appese alla ringhiera e si lasciò cadere. Si fece un po’ male, ma cosa non grave. L’aiutai e la presi per un braccio e andammo a prendere la strada del Trainello, per poter arrivare a piazza S.Nicola, essendo per le altre strade impossibile passare. A piazza S. Nicola era uno spettacolo orrendo: quelli che erano potuti fuggire e mettersi in salvo, sanguinanti, impolverati, con macchie violacee sul viso e alle mani, qualcuno nudo, coperto con un lenzuolo, altri con una coperta e qualche altro seminudo: Lanciotti Luigione avvolto con una imbottita e con la faccia macchiata di sangue, Luce Sinibaldo ferito in più parti del corpo e seminudo, imbrattato di sangue sulla faccia e mani e sui calzoni, dalla paura e dal freddo non era più capace di parlare. I feriti erano tanti. Tutti si radunavano a Soprell'ara (il piazzale vicino alla fontana dell’acqua santa) dove furono accesi i fuochi da alcuni soccorritori per farli scaldare, perché il freddo era eccessivo, dovuto alla gelata ed alla forte tramontana. Inoltrandomi poi insieme ad altri soccorritori per via La Terra, giunto alla casa De Amicis, in una finestrella del pian terreno De Amicis Annachiara e sua sorella Virginia chiedevano aiuto con ripetuti strilli. In quel momento arrivò De Amicis Luigi, un giovane alto e robusto, cugino delle due ragazze, con una pietra piegò i due ferri a croce della finestrella e le fece uscire. Continuai per arrivare a casa mia in vicolo Falcioni, ma mi fu un po’ difficile, perché i soccorritori, scavando, buttavano pietre ed altro materiale con molta fretta, senza guardare dove andavano a finire. Finalmente giunto a casa mia, i miei genitori, mio fratello Alessandro e mia sorella Caterina di appena un anno erano già vestitie subito li accompagnai temporaneamente a Soprell'ara, dove erano i fuochi. La mia casa in un lato era crollata ed il resto molto lesionato. Ritornando a casa mia per prendere coperte ed altra roba, in piazza S. Nicola, Amanzi Giuseppe camminava qua e là a testa bassa e si lamentava: Povero me, o povero me ! Che disgrazia, che disgrazia ! Egli stava alla stalla a stramare le sua bestie ed era accorso come tutti gli altri, per poter salvare i suoi genitori, la sorella Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 27/126 Annina e l’altra sorella sposata con quattro figli, Mariuccia, il cui marito Luce Pietro, detto Mazzante, era negli USA. Purtroppo i suoi familiari erano tutti morti sotto le macerie delle loro case interamente crollate. De Santis Fedele era rimasto incastrato fra due travi ed altro materiale: i soccorritori riuscirono a liberarlo dopo cinque giorni, ma due ore dopo morì, per le lunghe ed estenuanti sofferenze. Peduzzi Antonio – detto Mastrantonio – e sua moglie Clotilde, ruzzolarono, avvolti nel loro letto, giù per il pendio in località Terrone, per ben cento e più metri fino a Valle Rio, uscendone incolumi, fortunatamente. Complessivamente i morti, se ricordo bene, furono ottantasette. Con legni vari e con le porte delle case crollate, subito cominciarono a sorgere baracchete un po’ dappertutto nelle vicinanze delle stalle. I più coraggiosi dormivano nei pagliai, gli altri si adattavano dentro baracchette provvisorie. Dopo pochi giorni arrivarono i militari e distribuirono molte tende, ciascuna per quattro persone, e coperte. I militari si erano accampati con le loro tende al prato detto Cimino, sopra la fontana Valle Rio: essi distribuivano ai terremotati il rancio e il pane. Un giorno mentre i soldati distribuivano il rancio ai terremotati, arrivò un’automobile dalla quale scesero un uomo bassotto accompagnato da un ufficiale e da un maresciallo dei carabinieri. Chi era quell’uomo bassotto? Era proprio il re Vittorio Emanuele III in in borghese. Luce Antonio, detto Antonio di Gemma, uomo anziano lo riconobbe e lo salutò, levandosi il cappello: Buon giorno Maestà. Il re quando si accorse di essere riconosciuto, montò subito in macchina insieme alla scorta e ripartì. Amanzi Augusto, aiutante di battaglia, in licenza per causa del terremoto, stava spesso insieme agli ufficiali e aiutava anche a distribuire il rancio ai terremotati. Ho ritenuto opportuno scrivere questo racconto del giorno del terremoto (13/1/1915), per tramandare ai posteri, soprattutto di Sant’Anatolia, notizie utili. Filippo Falcioni, addì 20 ottobre 1987. Note • Filippo Falcioni nato nel 1901 figlio di Giovanni e Anatolia Luce • Racconto inviato da Maria Teresa De Amicis (di Bruno e Maria Innocenzi): "Questo racconto, tratto da un libricino edito dalle Edizioni accademia città di Roma "Il Machiavello", 1990, è stato scritto da un vecchio signore di Sant'Anatolia, di nome Filippo (detto Pippo) Falcioni, classe 1901, marito della 'monaca' (quella che aveva la bottega vicino al forno del paese di sotto)." Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 28/126 La rivolta del luglio 1944 Fatti accaduti nel paese di Santa Anatolia (RI) - Racconto di Angelo Amanzi inviato dalla figlia Candida Un giorno del mese di luglio 1944, dopo la mietitura gli uomini stavano ritirando dai campi i “manoppi” (covoni di grano) per portarli nell’aia. Nello stesso momento le donne, rimaste a casa, senza i mariti che erano al lavoro, ricevettero la visita delle guardie comunali che chiedevano loro il pagamento della tassa del “focatico” (tassa sui terreni, sugli animali, sui fabbricati), lasciando un biglietto con il termine della scadenza. I contadini erano costretti a vendere i prodotti del raccolto, a discapito della sopravvivenza, per pagare questa tassa. Quando al termine del lavoro nei campi i contadini tornarono nelle proprie case, ciascuno di loro venne a conoscenza del fatto, e man mano la voce si diffuse in tutto il paese. Così gli uomini decisero di darsi appuntamento tutti alla piazza del paese alle ore 7,30 del mattino successivo, per andare a piedi a protestare fino al comune di Borgocollefegato (RI) (attuale Borgorose). Il gruppo formato da circa 500 persone era capeggiato da Antonio Amanzi (fu Giuseppe e Matilde Amanzi) e il portabandiera a cavallo di un somaro era Berardino Peduzzi invalido di guerra (mutilato durante la 1° Guerra Mondiale). Il gruppo si recò dapprima a Corvaro per chiedere altre adesioni alla rivolta e due persone si aggiunsero a loro. Giunti a Collefegato, poco prima di Borgocollefegato, il gruppo incrociò una pattuglia dei carabinieri che intimò “l’alt” per bloccare l’avanzata dei rivoltosi. Ma l’operazione non riuscì in quanto i carabinieri vennero immediatamente disarmati e costretti ad avanzare davanti al gruppo per fargli strada fino alla caserma. I rivoltosi giunsero davanti alla caserma con l’intento di disarmare il resto dei carabinieri che erano dentro, compreso il maresciallo, ma quest’ultimi, essendo stati avvertiti in tempo, se la dettero a gambe. A quel punto il gruppo proseguì verso l’esattoria, al fine di far restituire i soldi a coloro che avevano già pagato la tassa; ricordiamo che all’epoca lo Stato (provincia, regione) esentò la popolazione dalle tasse comunali per i danni subìti dalla guerra. Così riebbero i soldi, sigillarono le porte e le finestre dell’edificio per non far entrare nessuno. Così, il gruppo proseguì verso l’ufficio comunale ed appena vi giunse irruppè in tutte le stanze mettendole a soqquadro e facendo scappare tutti gli impiegati. A questo punto, con lo scopo di richiamare l’attenzione della Prefettura di Rieti, i rivoltosi cominciarono a sigillare tutte le porte e tutte le finestre dell’edificio inchiodandole con tavole di legno; iniziarono dal primo piano fino ad arrivare man mano al terzo ed ultimo piano. Una volta sigillato tutto l’edificio, l’unica persona rimasta all’interno, si calò dal terzo piano attraverso una corda. Detto fatto, il gruppo si diresse verso il magazzino che avrebbe dovuto contenere i viveri inviati dalla Provincia per essere distribuiti gratuitamente alla popolazione, tramite la “tessera annonaria” (tessera fornita dalla Provincia a ciascuna famiglia). Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 29/126 Da informazioni precedenti rilasciate dagli amministratori dei vari paesi, risultava che i magazzini erano vuoti poiché la Provincia non li riforniva. Giunti al magazzino (detto Consorzio) chiuso, i rivoltosi chiesero ad un addetto di aprire la porta per verificare l’esistenza o meno dei suddetti viveri. L’addetto dichiarò di non essere in possesso delle chiavi e quindi di non poter aprire il magazzino. Il rappresentante del gruppo, però, notò un mazzo di chiavi appeso alla cintura dell’addetto e chiese di provare quelle chiavi, promettendo che se avesse detto la verità l’avrebbe lasciato libero. A questo punto l’addetto al magazzino tentò di scappare, cercando di saltare un muretto circostante, ma fu subito bloccato, venne privato delle chiavi e messo dinanzi al gruppo insieme ai carabinieri. Quando provarono le chiavi una di queste era proprio quella che apriva la porta del magazzino e l’addetto venne preso a calci, a pugni e a schiaffi. Il magazzino era colmo di viveri che non venivano distribuiti alla popolazione disastrata dalla guerra, bensì venivano gestiti e venduti illegalmente dagli addetti al magazzino, a libero mercato. Il magazzino, come l’ufficio comunale e come l’esattoria, venne sigillato senza essere privato dei viveri in esso contenuti. Angelo Amanzi ricordò a tutti che la guardia comunale di Borgocollefegato, il cosiddetto Saturno, aveva fatto un sopruso alla sua famiglia come di seguito raccontato: “All’epoca la regola era che non si potevano macinare più di trenta chili di grano al mese; il grano veniva portato al mulino di Fido, che si trovava in località ‘quattro strade’, e solo dopo tre giorni si poteva ritirare la farina. Angelo Amanzi, facente parte di una famiglia numerosa (1 vedova e 9 figli), per esigenze di sostentamento familiare, tentò di macinarne di più (circa 1,27 quintali di grano di loro proprietà, in un solo giorno) quando andò a ritirarlo, di nascosto, lo caricò su di un mulo e passò per i campi con l’intento di non farsi vedere …purtroppo all’improvviso, e un po’ distante, apparvero due guardie comunali di Borgocollefegato (Saturno e il suo collega Fantauzzi) che subito gli corsero dietro per fermarlo. Angelo fece cadere i sacchi pieni di farina a terra per salvarsi dalla galera e scappò via senza farsi riconoscere. A quel punto le due guardie incontrarono i due fratelli Mario e Augusto Amanzi (fu Giuseppe e Matilde Amanzi) che stavano sulla groppa di un somaro, gli intimarono l’alt e li obbligarono a caricare i sacchi di farina che erano a terra per portarli presso la casa della guardia comunale di Santa Anatolia, il sig. Luce Vincenzo detto “Mandolino”. Dopo qualche giorno la farina fu portata alla casa di Saturno”. Detto questo, i rivoltosi si avviò verso la casa di Saturno, poco distante dal magazzino (il consorzio), che nel frattempo si era barricato dentro casa con la sua famiglia. Con l’intento di stabilire un primo dialogo con la guardia comunale, il gruppo fece avanzare i carabinieri disarmati ma questi fecero scappare dal retro gli uomini della famiglia. In quel momento, alcuni rivoltosi sfondarono le porte della casa ed entrarono dentro: trovarono e sequestrarono armi, bombe a mano e munizioni. Tornati a Sant’Anatolia, andarono da Scafati Edoardo che, d’accordo con i tedeschi, aveva creato un magazzino sotto la chiesa di San Nicola; essendo il paese sprovvisto di sale, il medesimo magazzino fu saccheggiato e svuotato: fecero suonare le campane e tutte le donne del paese accorsero a prendere il sale tanto sospirato, mettendolo addirittura anche nei grembiuli. Note • Testimonianza di Angelo Amanzi nato nel 1925 figlio di Ercole e di Candida Fracassi. • Racconto inviato da Candida Amanzi figlia di Angelo e Gioconda Spera Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 30/126 Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero Maria Felicita Luce racconta la storia orale tramandata dalla madre "Lisa" Elisabetta Sgrilletti (di Bonaventura e Cleonice Luce). Come ti ho già scritto il tuo sito mi piace veramente tanto, perchè mi ha fornito informazioni che non conoscevo e perché parla con amore del nostro paese che secondo me è un paese speciale. Per quanto riguarda il brigantaggio immagino che tu ti sia avvalso di fonti ufficiali, ma io ho sentito parlare di questo mio antenato fin dalla nascita, da mia madre, che era una affabulatrice meravigliosa. Stavo ore ed ore ad ascoltarla. Mia madre aveva un suo modo speciale di raccontare le cose, facendo rivivere epoche e personaggi come in un film, con particolari precisi e con un modo lento di dipanare la storia che a chi ascoltava, non restava altro da fare che godersi il racconto come se lo vivesse in prima persona. Lei mi ha influenzato moltissimo, io adesso scrivo favole per bambini e spesso attingo a quell'archivio pieno di meraviglie che sono le storie che lei mi raccontava accanto al fuoco (Le Bastocchie). Veniamo alla storia di Giuseppe Luce, famoso brigante. L'epoca è più o meno la seconda metà del 1800, dopo l'unità d'Italia. Giuseppe Luce e suo fratello, anche lui brigante, facevano parte di una famiglia numerosa con una preponderanza di persone di sesso femminile. La loro era una famiglia agiata, possedevano terreni che coltivavano con profitto, greggi di pecore e presumibilmente anche mucche. Le donne tessevano la canapa ed il lino, che coltivavano nei loro campi e che "raffinavano" nel fiume Salto. Avevano cantine piene di formaggi, grano, granturco e vino. Se la passavano, insomma, abbastanza bene. Siamo nel Regno di Napoli, i due giovani della famiglia, avevano già fatto due anni di servizio militare sotto i Borboni. Dopo l'unità d'Italia, il nuovo governo li richiamò alle armi. Come puoi immaginare non ne furono affatto felici. Loro erano fedeli ai Borboni per i quali avevano combattuto e non avevano nessuna intenzione di riconoscere il nuovo governo. Così, come molti altri nella loro situazione, si diedero alla macchia. Per primo Giuseppe poi, suo fratello , del quale non conosco il nome (forse me lo puoi dire tu). La storia del fratello è breve e tragica. Lo stesso giorno che si dette alla macchia morì. Si stava dirigendo verso Rosciolo insieme ad un gruppo di altri ragazzi come lui, passando per Malle Maiura (Valle Maggiore) che poi sarebbe la strada che dalla curva di Celesta sale verso la fonte Valoce. Verso mezzogiorno, assetati ed affamati (si era nel periodo estivo), videro una capanna di pastori e pensarono di fermarsi per rifocillarsi e riposarsi. Erano tranquilli, primo perchè si conoscevano tutti, secondo perchè era il primo giorno della loro latitanza e non pensavano di doversi preoccupare più di tanto, inoltre erano giovani e abbastanza incoscienti. Si avvicinarono, dunque, ridendo e scherzando, ma improvvisamente, dalla capanna uscirono dei gendarmi armati che senza profferire parola, puntarono loro addosso i fucili e fecero fuoco. I "Briganti" non ebbero neanche il tempo di reagire e, d'altronde, non avrebbero potuto perchè erano disarmati. Qualcuno morì, il mio antenato fu ferito gravemente. I soldati (mia madre diceva i carabinieri, però non sono sicura che lo fossero) lo presero e lo caricarono di traverso, come un sacco, sul dorso di un asino dopodichè, ripresero la via, diretti verso Santa Anatolia. Il brigante mancato e sfortunato, soffriva talmente tanto sul dorso di quell'asino che nonn potendone più disse ai gendarmi " O me cambiete posizione o m'accidete!". Uno dei gendarmi, senza pensarci un attimo, prese la mira e fece fuoco, mettendo fine alle sue sofferenze! Per quanto riguarda Giuseppe, la sua storia la conosci, ma la storia di mia madre differisce dai documenti ufficiali nella parte che parla del rapimento di Alessandro Panei. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 31/126 Nel gruppo dei Briganti, diciamo della banda di Cartore, ce n'era uno che si chiamava Baldassarre, parente de "Quissi de Mazzucchittu". Quando rapirono Alessandro Panei, lo portarono nel loro covo sulla Montagna della Duchessa. Un giorno Baldassarre dovette assentarsi per sbrigare vari affari. In sua assenza, Giuseppe Luce insieme agli altri, presi da timore e rimorso (forse anche perchè il prigioniero aveva promesso loro qualcosa) decise di liberare il prigioniero e lo stavano riaccompagnando giù, attraverso la strada di Fiui (val di Fua) quando, a metà strada, incontrarono Baldassarre che risaliva verso il loro covo. Vedendo Don Alessandro Panei in mezzo ai briganti disse: "Do ju portete quissu?!!" Giuseppe ripose: "Eh, ju seme liberatu, è meglie!" Baldassarre, allora, li guardò torvo e disse:" Camminate, reggiratevi e reportateju arrete. Quissu, appena arriva abballe, ci manna subbitu i carabbinieri e ci fannu fore tutti". Così lo riportarono indietro e poi fu ucciso in quella maniera orribile. Le ritorsioni per la famiglia di Giuseppe furono durissime. Tutti i loro beni furono confiscati. Si racconta anche che i carabinieri, o chi per loro, prendessero tutti i rotoli di tela tessuti dalle sorelle di Giuseppe e li sfettucciassero con le baionette, riducendoli a brandelli e facendoli rotolare lungo la strada insieme alle pezze di formaggio. La madre di Giuseppe, la chiamavano la Brigantessa, si racconta che avesse lunghe trecce di capelli corvini. Una volta, per sfuggire alla cattura da parte dei carabinieri, si infilò nel letto insieme alle sue figlie e i carabinieri, pensando che fosse una delle ragazze, la lasciarono andare. Poi, però, fu presa ed imprigionata nell'Isola del Giglio. Anche Giuseppe fu preso, processato e condannato. Dalla sua prigione, anche lui nell'isola del Giglio, scriveva lettere bellissime alla famiglia ridotta in povertà. Dopo qualche anno, ci fu una amnistia per la nascita di una figlia del Re d'Italia o per qualche altro motivo. Giuseppe scrisse felice alla madre, contento perchè di lì a poco sarebbe tornato a casa. Era allora sindaco uno di Santa Anatolia, si chiamava Luce Alfonso? non ne sono sicura, però faceva parte di quella famiglia. La moglie di costui, venne a conoscenza del fatto che con l'amnistia, Giuseppe Luce, sarebbe stato liberato e andò dalla famiglia Panei e disse loro: "Le sapete, mo liberanu Giuseppo (disse proprio Giuseppo, perchè non era originaria di Santa Anatolia) Luce!". I Panei si dettero subito da fare, misero in moto tutte le loro conoscenze, con la scusa che dopo la liberazione Giuseppe si sarebbe vendicato, ed a Giuseppe fu negata la libertà. Il colpo fu talmente duro per il pover'uomo che si ammalò e di lì a breve morì di crepacuore. Questa storia non mancava mai di commuovermi. Immaginavo il poveretto che dalla finestra della sua prigione guardava il mare con il viso solcato dalle lacrime e si disperava, agognando di rivedere il suo paese e la sua famiglia, e, piangevo anch'io, anche perchè la voce di mia madre, arrivata alla fine della triste storia, si faceva particolarmente accorata. Si dice anche, che una volta un brigante fu ferito in un conflitto a fuoco. I suoi compagni scesero, allora, nottetempo dalla montagna e andarono a bussare alla porta del medico di Corvaro. Il medico apri la porta assonnato, sbadigliando e si trovò la bocca di uno schioppo puntata sulla faccia, il che gli fece passare immediatamente il sonno. I briganti lo bendarono, lo fecero salire sulla groppa di un cavallo e, facendogli fare dei giri tortuosi affinché perdesse il senso dell'orientamento, lo portarono nel loro covo per fargli curare il loro compagno. Il medico fece del suo meglio e, una volta finito il suo compito, i briganti lo portarono in una grotta piena di oro e cose preziose e gli dissero di prendere quello che voleva. Poi lo bendarono di nuovo e facendogli rifare i soliti giri tortuosi lo riportarono a Corvaro. E' da allora, che ad intervalli più o meno lunghi, qualcuno decide di scoprire il luogo dove si trova la favolosa grotta. Ma fin'ora ogni sforzo è risultato vano! Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 32/126 Questa e la storia del “terribile” brigante Giuseppe Luce dal cuore tenero. Certo qualche particolare può non essere esatto, tipo il nome del sindaco, ma la storia è quella che si raccontava nella famiglia di mia madre che essendo una diretta discendente, doveva essere abbastanza plausibile. Peccato che di persone veramente anziane, ne siano rimaste poche. La storia e le storie di Santa Anatolia, rischiano di svanire nel nulla, sarebbe interessante, invece parlare con le poche persone che ancora possono ricordare cosa era la vita nel nostro paese nel secolo scorso o anche prima. Prima che l’oblio ricopra ogni cosa! Maria Felicita Luce - 15.01.2009 La famiglia di Gaetano Luce e Maria Peduzzi Pasquale Luce Ascenza D'Orazio | | ------------------- --- -------------------| Gaetano Luce Beniamino Peduzzi Caterina Spera 1790 1784 | | ------------------------ --- ------------------| Maria Peduzzi 1811-1878 1814-1897 | | ------------------------------------------ --- ---------------------------------------------| ------- - ------------- - ---------------- - -------------- - ------------------- - ----------- - ---------------- - ---------- - ----------- - --------------- - -------| | | | | | | | | | | Loreta Caterina Pasquale Domenica Giuseppe Bernardino Antonia Annunziata Angela Giacomo Carolina 18531834-1899 1836-1907 Rosa 1838 1840 1843-ca 1861 1846 1848 1850 1853-1893 1858-1888 1885 Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 33/126 Appendice III - Descrizioni Topografiche Sant'Anatolia - La chiesa della Madonna Addolorata e il cimitero - La chiesa di Santa Maria del Colle - Il Santuario di S. Anatolia - La casa dei Placidi vicina al Santuario - Le Case Vecchie - Fontana del paese di sotto - La pietra scritta - La Via del Trainello e l'Ara della Turchetta - La Via Equicola - La Via dei Marsi e l'ara Placidi - Via del Terrone, Palazzo Placidi e Castrum S.Anatolia - La chiesa di S.Nicola di Bari - Le famiglie a S.Anatolia - Valle Cantu Riu e le tre grandi Aie - Monte del Dente, Macerine e Pinchi - Zona Calecara - Cartore e suoi abitanti - Vita popolare a Cartore - Strade - La duchessa - Colle Pizzuto - Grotta de' Gessi, di S.Anatolia, del Palazzo e Fontanelle - La Città di Tora e ritrovamenti archeologici - Zona Dentre Tore Zona Castiglione - Il Santo Sepolcro - Grotte di S. Costanzo e S. Leonardo - Chiesa di S. Lorenzo a Cartore - Chiesa di San Nicola a Cartore - La denominazione delle terre di Cartore S. Anatolia e Cartore negli anni antecedenti e immediatamente posteriori alla distruzione del terremoto del 1915 Dai racconti di Luisa Luce (mia nonna) 18-19/11/1981 - Caterina Lanciotti (mia zia) 24/03/1986 - Adolfo Luce (paesano) Agosto 1986 e Settembre 1987 - Mario Tupone (mio cugino) 23/02/1986 e Agosto 1986 e 01/11/1995 - Angela Spera e Vincenzo Rubeis (miei zii) 19/03 e 27/04/1986 - Eusepio Di Carlo (paesano a Cartore) 04/04/1988 - Giuseppe Tupone (18-27/11/1981) e Maria Spera (1981/1986) (miei genitori) - ed altri Sant'Anatolia [Luisa Luce:] Anticamente, prima del terremoto del 1915, il paese si svolgeva totalmente sulla collina superiore... [Caterina Lanciotti:] ...fra il "Terrone" o "La Terra", la "Via dei Marsi" e la "Via della Fonte" o "U'Rapale". Poi quando molti emigranti tornarono dall'America piano piano furono costruite delle case "a'bballe pe' gliù Travineglie" (Via del Trainello), ma poi venne il terremoto che fece cadere a terra molte case. Al Terrone le case erano tutte raggruppate l'una accanto all'altra ed erano separate da alcuni archi di cui oggi ne è rimasto uno sotto la casa degli "Scafati". Di questi archi ve n'erano molti fra il "Terrone", "u'Rapale" e da "Nunzio". Caterina Lanciotti non si spiegava perchè, essendoci tante terre in S. Anatolia, tutti dovevano vivere così raggruppati. La chiesa della Madonna Addolorata e il cimitero Entrando in S. Anatolia, dalla parte di Torano, si incontrava inizialmente il cimitero [Luisa Luce:] allora molto più piccolo di quello odierno. Raccontavano i vecchi che anticamente il cimitero era inesistente e i morti venivano seppelliti nelle chiese; la chiesa della "Madonna Addolorata", soprattutto, con le sue 6 od 8 pile nascoste oggi dalla folta vegetazione di ortiche o spini, era prima utilizzata come fossa comune e difatti ancor oggi si Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 34/126 notano molti corpi scheletrici accumulati in essa. Queste pile mortuarie, ricorda mia nonna, erano otturate da appositi coperchi in pietra nel modo dei tombini. I non battezzati venivano seppelliti dinanzi il portone della chiesa ("sotte le lunziane"). [Caterina Lanciotti:] La chiesa della "Madonna Addolorata", prima del 1915, era com'è oggi. [Adolfo Luce:] Un po' di tempo fa' un pastore di nome Beniamino, trovandosi a far pascolare il suo gregge vicino al cimitero di Sant'Anatolia e Torano, incontrò alcuni signori che gli domandarono se vicino a quei paraggi (zona "Pizzodente") esistesse un cimitero militare; questi due sconosciuti sembravano del tutto convinti di ciò che affermavano e, poichè Beniamino non sapeva nulla di questo cimitero militare, essi insisterono e poi, dopo alcuni giorni, tornarono di nuovo e gli ridomandarono la stessa cosa. Beniamino riferì la strana cosa ad Adolfo, che dopo alcune riflessioni, concluse che, se quegli sconosciuti erano così convinti dell'esistenza di questo cimitero, forse in quei luoghi veramente vi si trovava. A Torano, nella zona verso "Pizzudente", esiste un posto in cui fu ritrovata la tomba di un generale dell'epoca di Corradino di Svevia e questa zona ancora oggi si chiama col nome del generale storpiato dal dialetto ("Terratuni"). Anche al Monte del Dente è stato trovato anni or sono il corpo di un altro generale della stessa epoca e sembra che "Dente" sia il cognome del generale stesso. Il cimitero di S.Anatolia e Torano pare sia stato costruito solo dopo il terremoto del 1915 e prima di allora i morti venivano sepolti ancora nelle 6 pile della chiesa della Madonna Addolorata. Allora le sei pile erano divise in modo che le donne sposate fossero sepolte tutte in una o due pile, gli uomini sposati in un'altra o due pile, gli scapoli uomini o donne in un'altra o due pile, i bambini ed i vecchi in altre ancora, ecc... i non battezzati venivano sepolti fuori della chiesa "Sotte le lunziane" (sotto le grondaie). Secondo Adolfo il fatto che, dopo il 1915, il cimitero venne costruito proprio vicino "Pizzodente", poteva avere un significato interessante rispetto al discorso di un possibile più antico cimitero militare. La chiesa di Santa Maria del Colle Passato il cimitero, il primo fabbricato che si poteva incontrare era la piccola antica chiesa di S. Maria del Colle. Oggi essa è inesistente ma il suo ricordo permane nel nome del territorio di "Colle S. Maria". [Luisa Luce:] Prima del 1915 di essa non rimaneva già nulla. Mia nonna non sapeva neanche che ivi vi fosse una chiesa ma ricorda, dato che ella possedeva un terreno in quei pressi, che durante le arature, spesso si rinvenivano pietre e pezzi di muro. Anche mio padre ricorda i ruderi ivi rimasti al tempo, ma mai nessuno, almeno di quelli a cui mi sono rivolto, si è interessato a questa chiesa. [Adolfo Luce:] Adolfo ricorda che i suoi nonni gli avevano detto che essa venne definitivamente distrutta (dopo il terremoto (?) dopo che sui suoi ruderi il Sig. Placidi decise di coltivarvi e quindi, con l'aratro, la demolì definitivamente. Solo le fondamenta forse scavando possono trovarsi ancora intatte ma il resto è completamente sparito. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 35/126 Proseguendo sulla via Equicola (che è quella che partendo da P.zza S.Nicola in S. Anatolia, attraversa Torano, Grotti e Villerose e si ricongiunge alla via Cicolana nei pressi di Borgorose; da Torano la via muta il nome), dopo Colle S. Maria (anticamente chiesa di S. Maria del Colle), il primo fabbricato si poteva trovare dopo circa 1 chilometro nella Chiesa-Santuario di S. Anatolia, anticamente adibita a parrocchia. Il Santuario di S. Anatolia [Caterina Lanciotti:] "La seconda chiesa importante che esisteva prima del 1915 era il "Santuario di Sant'Anatolia" nel villaggio omonimo. Essa, raccontavano i vecchi, anticamente non esisteva, ma c'era solo la cappellina che si trova ora dentro il Santuario. La chiesa fu costruita poi dai vecchi intorno alla cappellina. La chiesa di Sant'Anatolia si dice che era piena di "Pile" sotto il pavimento, e che poi, non si sa esattamente in che anno, fu rifatto il pavimento e furono ricoperte con la calce. Comunque, dopo alcuni anni, pian piano, sicuramente per i gas dei corpi che vi erano seppelliti sotto il pavimento, si rialzò e in alcuni punti fece grossi bozzi che ancora oggi ci sono. Si dice che un altro motivo di questo rialzo delle mattonelle è che sotto la chiesa scorre un fiume sotterraneo dimostrato da un pozzo odierno nella villa dei Placidi a Cantu-Riu". [Adolfo Luce:] La "Campana" che si trova oggi al Santuario di Sant'Anatolia fu tratta ai primi dell' '800 dal campanile ormai crollato della chiesa di San Lorenzo in Cartore. Essa, probabilmente trovatavi fra le macerie, fu di nuovo fusa e ricostruita, ma vi fu impressa, in memoria perpetua, la data di fusione "San Lorenzo 1815" con disegnate due lucertole. Data e nome che ancora oggi dovrebbero trovarvisi stampati. [Luisa Luce:] Il Santuario, raccontavano i vecchi, anticamente (verso il 1870) cadde in rovina e lo si dovette in parte demolire ricostruendolo più grande ed accogliente. I vecchi raccontano che per la ricostruzione si impiegarono tutte le genti di S. Anatolia che, con ceste e carriole, dovevano trasportare pietre e sassi da luoghi come "La cava de' Mastri" verso Rosciolo, fin nel luogo della ricostruzione. [Caterina Lanciotti:] Nel villaggio basso del paese c'era una zona chiamata "Sagnuanni" (San Giovanni), dove c'era un casaletto piccolo, come la cunetta di S.Anatolia, dedicata al santo. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 36/126 Sotto il Santuario, verso il centro di "Cantu Riu", ad una decina di metri dal lato posteriore della chiesa, si ergeva la grande muraglia romana in blocchi di pietra poligonali; oggi essa viene utilizzata per sostenere la terra sotto il Santuario e forse [Adolfo Luce:] anticamente veniva utilizzata, ingrandita ed innalzata, come Tempio di Marte nell'antica città romano-equicola di Tora. La muraglia oggi è stata rovinata dalla famiglia Placidi con l'innalzamento su di essa di un altro paio di metri di muro a blocchetti di cemento. Davanti l'entrata destra del Santuario, sopra la porta, vi è murata nell'intonaco, ben visibile, una lapide con una scritta romana dove si può leggere: PETRONIUS C. FAB. EX TEST. ST CCCC. La lapide è di forma tondeggiante in alto mentre in basso è squadrata a mo' di lapide da nicchia. La scritta è riportata dal Saletta nel suo libro su S.Anatolia. La casa dei Placidi vicina al Santuario [Luisa Luce:] Prima del terremoto, vicino al Santuario, c'era un casaletto con sotto la cantina per il vino. Lì abitavano alcuni Placidi, e fu lì che morì asfissiato il prete di Spedino Cremonini Pasquale. I Placidi abitavano anche il palazzo del Terrone. [Adolfo Luce:] Dopo il terremoto del 1915, quando i Placidi si stabilirono nel paese basso vicini al Santuario, e costruirono lì la loro abitazione, quando ne stavano scavando le fondamenta, trovarono sottoterra un pavimento a mosaico molto antico. Essi, come al solito, per paura delle Belle Arti, mandarono in frantumi quel mosaico cercando di tenere celata la cosa. Poi però la voce si sparse per S.Anatolia poichè qualche operaio ne parlò con qualche paesano; comunque in quei tempi nessuno ci teneva a queste cose per cui questi fatti, quasi all'ordine del giorno, passarono indisturbati. Questo mosaico fu trovato vicino al Santuario. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 37/126 In casa dei Placidi c'è un vecchio quadro dipinto prima del 1915 il cui autore è lo stesso della statua di gesso di S. Anatolia (Carlo Alberto Saff - sec.XIX); il pittore volle lasciare un ricordo di se alla famiglia Placidi che lo aveva ospitato e per questo volle dipingere il villaggio di Sant'Anatolia così com'era guardando soprattutto la zona dove sorgeva il vecchio palazzo Placidi. Non vi era cosa migliore che andare sul colle della Madonna Addolorata dal quale si poteva vedere una delle porte principali del paese, la torretta "Ruetta", cioè i ruderi del castello, la chiesa di San Nicola vista da un lato e alcune case del villaggio. Sopra la facciata della casa dei sigg. Placidi, vicina al Santuario, in alto a sinistra e murata nell'intonaco, vi è una loro iscrizione che ricorda l'epoca della prima costruzione di quella casa: PETRUS PLACIDI FECIT A.D. MDCCXXV (Pietro Placidi la costruì nell'anno del Signore 1725) Le Case Vecchie [Luisa Luce:] Passato il Santuario, che si trovava allora isolato fra il verde dei campi arati, proseguendo sulla via per altro 1/2 Km., senza incontrare altri fabbricati, la via si incurvava in basso in un piccolo dosso o cunetta. Al centro di questo dosso, era il luogo chiamato "Case Vecchie" e lì non si potevano notare altro che resti di vecchi muri e grotticelle. [Caterina Lanciotti:] Prima del 1915 le "Case Vecchie" erano come sono ora, con qualche stalletta e con qualche grotticella e muro: dopo il terremoto inizialmente i paesani si rifugiarono nelle grotte delle "Case Vecchie". Sovrastante le "Case Vecchie" vi era il colle Pago, una grande boscosa, silenziosa collina. [Luisa Luce:] In quel dosso la via si diramava in due parti: un ramo (via Equicola) continuava la sua via prima in piano poi in una ripida salita; l'altro ramo detto "Via del Trainello" conduceva alla fonte del paese, unica risorsa d'acqua allora esistente. Questa fonte (allora scoperta e senza alti muri come quelli odierni) era l'unica fonte del paese. Tutti, anche i più lontani paesani, per rifornirsi d'acqua, per lavare i panni, per far bere le bestie, dovevano andare in quella fonte. Essa era rigogliosa d'acqua fresca e buona, sempre abbondante sia d'inverno che d'estate. E' chiaro che anticamente essa non era incanalata, ma si presentava nella forma di ruscello come infatti ricorda il nome della valle che dovette bagnare: "Cantu Riu" (o Valle del Rio) = accanto al ruscello. Fontana del paese di sotto - La pietra scritta [Mario Tupone:] Circa nell'anno 1946, durante il primo dopoguerra, ci fu un guasto nelle tubazioni della fontana del paese di giù, e, per ripararlo, si dovette ricorrere allo scavo della sorgente, poichè si volevano rifare tutte le tubature. Quando gli operai riuscirono dopo molta fatica ad aprire il tombino, che si trovava al di sopra della sorgente, scoprirono che sotto di esso c'era una grossa pietra modellata molto bene e con una scritta incisavi sopra, minacciosa e poetica, che diceva "Se il masso voi spostate, tutta la valle voi affogate". Ora, se qualcuno avesse spostato il masso, l'acqua avrebbe affogata la valle del Rio, mentre se il masso non veniva spostato per niente dalla sua posizione giusta, il paese di S. Anatolia sarebbe rimasto senza acqua. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 38/126 I tecnici provarono a studiare un modo per poter incanalare tutta l'acqua con tubazioni normali, ma non potendo in nessun modo togliere quel masso per pericolo di allagamento, dopo molti studi capirono di dover lasciare tutti i loro problemi alle tecniche degli antichi, e lì lasciarono la pietra che regolava il flusso delle acque. Oggi la pietra dovrebbe stare ancora sotto la sorgente e molte sono le favole che girano intorno ad essa. [Mario Tupone:] Nella valle chiamata "Cantu Riu", la roccia si raggiunge ad una profondità di circa 13 metri e poi, scavando ancora un altro metro sotto la roccia scorre un fiume sotterraneo. Per questo le fondamenta della muraglia ciclopica che si trova sotto il santuario di Sant'Anatolia, nel mezzo della valle suddetta, se sono piantate come dovrebbero sopra la roccia, si trovano a circa 13 metri di profondità nel sottosuolo. [Adolfo Luce] Alcuni anni or sono fu fatto uno scavo sotto la casetta della sorgente sopra la "Vicenna" a "Cantu Riu" e questo scavo servì per verificare alcune cose che non andavano nelle condutture. Ebbene, ad otto metri di profondità, furono trovate delle pietre bruciate dal fuoco (nere di fuliggine) ed alcuni cocci di quelli che i paesani chiamano "pinchi". Questo dimostra che a quella profondità vi sono i resti di una qualche abitazione o eventuale forma di attività umana più remota. Sotto le scuole, alla "Vicenna" a "Cantu Riu", quando furono scavate le loro fondamenta, fu scoperta un'anfora, sempre in terracotta, che però si ruppe nello scavo ed andò perduta. [Caterina Lanciotti:] Anticamente, sotto la "Vicenna" (oggi Campo Sportivo), fu trovata sottoterra una cassetta di legno molto antica, con non so cosa dentro. La Via del Trainello e l'Ara della Turchetta La "Via del Trainello" proseguiva in salita molto ripida verso un lato del paese; essa ad un certo punto si divideva e da un lato andava a ricongiungersi alla via Equicola dopo un percorso sempre più erto, dall'altro, mutando il nome in "Via della Fonte", si appianava leggermente ricongiungendosi alla via Equicola. [Luisa Luce:] nel mezzo della piazza davanti alla chiesa di S. Nicola. La via Equicola, dopo il dosso delle "Case Vecchie", continuava il suo percorso per un centinaio di metri quasi in pianura; poi si divideva di nuovo: un ramo da S. Anatolia andava verso Rosciolo passando per "Fonte o Bocca Valoce"; su di esso, a circa 50 metri di lontananza dall'imbocco della via Equicola, si ergeva un'altra maestosa muraglia detta "Muraglia de' Turchi" o "Ara della Turchetta". Questa muraglia di epoca Romano-Equicola era fatta di pietre grandiose messe l'una sopra l'altra senza squadratura. [Luisa Luce:] Prima del 1915 essa si trovava isolata; in seguito, quasi a contatto col muro, furono costruiti due casolari, oggi adibiti a stalla, in decadenza. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 39/126 La Via Equicola La Via Equicola, superato il bivio con l'altra strada che va a Rosciolo, saliva rapidamente, attraverso stretti tornanti, sul colle su cui era situato tutto il paese di S. Anatolia. Nel punto più alto la via si divideva ancora: da una parte saliva ancora molto rapidamente raggiungendo un altro fabbricato e proseguendo poi anch'essa verso Marano e Rosciolo. [Luisa Luce:] La fabbrica era di proprietà dell'allora ricca famiglia Panei. Essa era adibita a rimessa per la vicina ara per il grano (uno spianato fatto a pallotte di ghiaia). Dopo il fallimento della casa Panei questo fabbricato andò in rovina. La via Equicola, passato questo punto, si appianava e, a pochi metri dal bivio anzidetto, essa incontrava di nuovo l'altro capo della "Via del Trainello" e continuava in un sali e scendi fin verso il centro del paese. La via Equicola finiva nella piazza di S. Nicola di Bari, proprio davanti la chiesa parrocchiale. La Via dei Marsi e l'ara Placidi Altre due vie partivano da Piazza S. Nicola e si riunivano fra loro nella Valle del Rio, dove si ricongiungevano alla Via Equicola. Una era la "Via dei Marsi" che partiva dal retro della parrocchia in un'ardua discesa passando fra case oggi quasi totalmente o spallate od adibite a stalle; essa proseguiva e si ricongiungeva in un punto alla via delle "Stalle Oscure". Questa discendeva ancora sempre fra stalle e case fino al centro della valle de Rio dove, risalendo per pochi metri sul colle Paco, si congiungeva alla via Equicola nel mezzo fra la chiesa di S. Maria del Colle e l'altra di S. Anatolia. L'altra via era quella delle "Stalle Oscure" che dal bivio con la "Via dei Marsi", andando verso il lato alto di S. Anatolia, correva per un Km. circa in salita e lì si divideva ancora: A destra camminava e poi si interrompeva nei pressi di una grande aia per il grano "Ara Placidi". Quell'aia, oggi è scomparsa totalmente a causa della costruzione su di essa di circa una decina di ville. Io la ricordo ancora quando era isolata. La via delle "Stalle Oscure" prosegue ancora forse mutando il nome in "Via dell'Addolorata" per molti Km. fino a "Pie' di Marano". Nel tragitto, a circa 1/2 Km. dalla "Ara-Placidi" o dal bivio suddetto, si incontrava e si incontra ancora l'antica chiesa della "Madonna Addolorata" da me già citata, perchè adibita a cimitero per i paesani sant'anatoliesi; la chiesa è ora diroccata, senza tetto, invasa da folta vegetazione e totalmente incurata. Via del Terrone, Palazzo Placidi e Castrum S.Anatolia Un'altra via che partiva da Piazza S. Nicola si chiamava via del "Terrone" ed era un prolungamento della via Equicola. La via del "Terrone" non era molto lunga e dividendosi si univa sia alla Via dei Marsi che alla via della Fonte. [Luisa Luce:] Su di essa a circa 200 metri di distanza dalla parrocchia si ergeva la grandiosa casa a tre piani della famiglia Placidi. Questo era forse il castello di S. Anatolia; grande, ampia, alta, con piccole torri, questa casa dominava assieme alla chiesa di S. Nicola tutta la parte alta del paese. Il palazzo Placidi oggi è distrutto per 2/3. Ne sono rimaste in piedi le grandi stalle, parte di una piccola torre e varie grandi grotte. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 40/126 Nella parte superiore della stalla, in cui prima potevano entrarvi i carri e i cocchi, è rimasto oggi un ampio rispianato in cemento su cui anni or sono si trovavano delle mattonelle. Questo spianato fu usato in seguito al terremoto come aia per battere l'orzo e il grano. La parte interna delle stalle è retta da una grande e piccola "volta"; l'entrata è a gradini che sembra debbano proseguire, ma si bloccano ad un muro in pietra di epoca recente. Si nota facilmente il fatto che la stalla prima era molto più lunga di quel che è ora; infatti, sicuramente dopo il terremoto, che l'ha devastata, le porte d'accesso verso la chiesa sono state murate. Forse anticamente un cunicolo poteva unire la chiesa al palazzo. [Luisa Luce:] Prima del terremoto la piccola torre era abitata da una famiglia molto povera [Caterina Lanciotti:] che erano i servi del parroco. La stradina che separava la torre dal palazzo Placidi si chiamava la "Ruetta"; e "Rue" erano in dialetto le stradelle. [Adolfo Luce:] Il paese, prima del terremoto del 1915, si svolgeva tutto intorno alla chiesa di S. Nicola di Bari ed al "Terrone" ed il nome "Terrone" era lo storpiamento dialettale di "Torrione", cioè il miscuglio fra quest'ultimo vocabolo e l'altro di "Terra" che era un'altra denominazione della zona. In quei tempi tutte le case erano unite fra loro da molti archi di cui ognuno aveva la sua porticina e ai lati del paesino c'erano le porte più grandi, le principali, che venivano chiamate "Le porte del paese". Il paese era sistemato molto bene e che, se si voleva, ci si poteva anche difendere chiudendo tutte le porte. Poichè la zona del "Terrone" sotto terra è tutta vuota, sicuramente lì vi doveva sorgere il Castello di Sant'Anatolia con i suoi sotterranei, passaggi segreti e magazzini. [Luisa Luce:] Andando più sotto, dominante su tutta la valle, si ergeva il palazzo-castello dei "Placidi" già più volte citato; il palazzo era formato dai seguenti piani: il piano seminterrato adibito allora a cantina per il vino, a rimessa per i carri, a ripostiglio; in quel tempo i carri entravano nel palazzo; le porte erano apribili sia tirando che spingendo, erano cioè a doppi cardini muniti di molla che faceva si che le porte si richiudessero sempre da sole. Entrati dalla porta centrale, si salivano alcuni gradini dritti avanti il naso, e, passato un piccolo archetto, si guardavano le rampe delle scale che salivano ai piani superiori. I piani superiori erano costruiti un po' indietro rispetto alla porta centrale per far sì che una grande terrazza rimanesse come balcone per il primo piano. La parte veramente abitata del palazzo si trovava allora sul terreno oggi per nulla toccato. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 41/126 [Adolfo Luce:] il Palazzo dei Placidi era disposto con il piano terra che esiste ancor oggi e, più dietro, con i piani superiori, più d'uno, con una terrazza che veniva ricavata dal soffitto del piano terra che era spostato più in avanti rispetto ai piani abitati veri e propri. [Luisa Luce:] Sempre da Piazza S. Nicola un'altra via passava in piccola salita al di sopra della chiesa (alle sue spalle), e toccava due grandi are per il grano: la prima era un'ara comunale molto grande che si trovava a sinistra della via ed è ora divenuta una piazza asfaltata chiamata dai paesani "Soprell'ara"; dopo quest'ara, la via svoltava bruscamente a destra giungendo, dopo un percorso totalmente in discesa, all'altra ara di cui ho già parlata: l' "Ara Placidi". L'ara Placidi è ora completamente invasa da case e villette. Si è mantenuto molto ben messo il gran casolare usato come rimessa per il grano. La chiesa di S.Nicola di Bari La chiesa di S. Nicola di Bari è la parrocchia di S. Anatolia. Essa, è scritto sul portale, venne restaurata l'anno 1749. Prima di quell'anno, e forse anche per qualche anno più tardi, parrocchia fu il Santuario di S. Anatolia. [Luisa Luce:] La parrocchia di S. Nicola venne in parte toccata dal terremoto del 1915. Il tetto cadde e dovette esser ricostruito con l'aiuto dei sant'anatoliesi. Intorno a questa parrocchia, prima del 1915, era attorniato tutto il paese di S.Anatolia. [Adolfo Luce:] Sotto il pavimento della Parrocchia di S. Nicola di Bari, anticamente dovevano trovarsi delle "Pile mortuarie". [Caterina Lanciotti:] La chiesa parrocchiale di Cartore era sempre quella di "S. Nicola di Bari" a Sant'Anatolia nella quale venivano battezzati gli abitanti di Cartore. La chiesa di S. Nicola, ricorda Caterina L., fu costruita (restaurata) dai suoi nonni e da tutti gli uomini antichi di Sant'Anatolia, e non era molto antica. Sotto il pavimento non vi erano le pile per i morti. Anticamente, quando lei era piccola, essa era piena di oggetti antichi che poi non si sa che fine fecero. [Spera Angela:] Prima del terremoto le case stavano vicine alla chiesa di S. Nicola e vicino ad essa c'era una pietra che si alzava e sotto c'era una cisterna o pozzo. Quando una casa andava a fuoco, in quel tempo erano spesso fatte in buona parte in legno, si sollevava quella pietra, si buttava giù una corda con un secchio e si prendeva così l'acqua per spegnere il fuoco. Ciò si faceva perchè allora la fonte più vicina era quella di giù sulla via del Trainello. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 42/126 Le famiglie a S.Anatolia [Luisa Luce:] La famiglia più importante e ricca era la "Placidi" poi c'erano i "Panei"; e in seguito gli "Scafati", i "Di Gasbarro", gli "Amanzi", gli "Spera", i "Luce", ecc...; i più poveri non avevano nulla, nè casa nè terreni; molti erano braccianti delle famiglie più ricche; altri servitori; altri erano modesti ma indipendenti perchè possidenti. Gli "Spera" ed i "Luce" facevano parte di questa categoria; essi avevano la loro casa, avevano alcune terre e non dovevano per forza lavorare sotto padrone. C'erano periodi per loro molto felici ma altri molto terribili. Essi non erano molto ricchi ma neanche troppo poveri. Non potevano metter soldi da parte ma riuscivano ugualmente, senza doversi sottomettere troppo ai padroni, a "Campare alla meglio". Essi si potevano permettere di comprare le bestie, le vacche, i buoi, le pecore, etc...; Gli Spera erano inizialmente un'unica grande famiglia e ciò si deduce dal fatto che le loro case si trovavano tutte raggruppate una vicina all'altra nella zona che ho già nominata nella piazza di fronte alla parrocchia. L'unica grande famiglia poi si moltiplicò ed il terreno si andò dividendo a poco a poco prima fra i figli e poi fra i nipoti del primo avo possidente. La famiglia "Luce" e quella "Spera" abitavano proprio di fronte all'entrata centrale della chiesa (ad una ventina di metri). Lì, come ho detto, vicino alla chiesa, si ergeva il grande palazzo forse castello della famiglia "Placidi". Sempre lì intorno abitavano i "Panei", gli "Scafati", i "Di Gasbarro", le altre diramazioni della famiglia "Spera" e "Luce", i "Di Cristofano", gli "Sgrilletti", gli "Amanzi", i "Fracassi", i "Peduzzi", gli "Innocenzi", i "Piccinelli", etc... Proprio di fronte alla parrocchia, un po' sulla sinistra, guardando verso l'entrata della chiesa, si trovavano le due case con muro in comune, di "Nonna Luisa" e "Nonno Pietro". La casa dei "Luce" apparteneva in antico a "Luce Francesco" dal quale la ereditarono i figli "Antonio e Domenico"; a sua volta fu abitata così dai figli di "Antonio" e dai figli di "Domenico", cioè da "Luisa e Angelina", e da "Giovanni" e fratelli. La casa degli "Spera" discesi da "Francescangelo" si trovava come la prima, comunicante quasi con quella dei "Luce". Dopo il terremoto i due siti furono ereditati da Angela Luce e Filippo Spera (moglie e marito); sui resti delle case spallate essi ricostruirono un'unica più grande casa. Davanti la casa verso il centro dell'odierna piazzola era la piccola cantina-garage delle due famiglie (ora non esiste più). Dietro queste case ve n'erano altre una attaccata all'altra e comunicanti coi muri. I paesani in quel tempo vivevano molto miseramente; alcuni avevano i tetti di frasche, muri divisori fatti in tavole, mobili in muratura; le case erano piccolissime con camere dove dormivano famiglie intere, con cucine in comune, senza bagni, etc...; le case erano nere di fuliggine, e si appoggiavano l'una all'altra per poter risparmiare la costruzione di qualche muro; le strade di divisione erano strette ed anguste. In questi ambienti in cui si conosceva ogni persona, e si viveva a contatto con tutto il paese, è facile capire il perchè dei grandi contagi di lebbra o peste che anni prima avvenivano. Vicino la chiesa, di fronte al suo lato sinistro, si trovava la casa degli "Amanzi" ("Nunzio"). Oggi è stata ricostruita ma porta tracce del passato. Al lato destro della chiesa, di fronte l'entrata principale, c'era l'altro gruppo di case comprendenti le famiglie degli "Scafati", "Amanzi", "Fracassi", "Peduzzi" (con la moglie "Cimini Chiara"), etc...; tornando al lato sinistro esso era comprensivo di altre case di "Spera" come quella di "Lino", di "Maria" (razza da cui è nato "Federici Bonifacio"), di "Federico" e fratelli, di "Pizzabella", di "Luce Bartolomeo", etc...; dritta di fronte alla chiesa, poco spostata alla destra si trovava la casa degli "Spera" (razza di "Zuccaretti") ora ricostruita ed in possesso ancora degli "Spera"; al lato destro della chiesa, dove ora si trova il campanile, si trovava la baracca dei "Piccinelli"; poi scendendo verso il Terrone si incontrava l'altra grande casa dei "Panei". Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 43/126 Il resto del paese, le stalle e le altre, che più che case si potevano definire capanne o baracche, si svolgeva ai lati delle vie più importanti: la Via del Trainello e la Via della Fonte, che conducevano all'unico posto di rifornimento di acqua; la Via dei Marsi e quella delle Stalle Oscure, importanti perchè comunicanti direttamente con la Via Equicola per andare verso Torano o per andare al Santuario. Valle Cantu Riu e le tre grandi Aie [Luisa Luce:] La valle "Cantu Riu" era totalmente coltivata ed una piccola via la passava nel mezzo congiungendo la Via del Trainello a quella delle Stalle Oscure. Nel paese vi erano tre grandi are o aie per il grano: l'Ara-Panei sul colle detto "la Cesa"; l'Ara Comunale in una grande area alla sinistra della chiesa; l'Ara-Placidi che si trovava giù fra il Terrone e la Madonna Addolorata. l'Ara-Placidi oggi è quasi totalmente sparita, l'Ara Comunale è stata asfaltata, l'Ara-Panei è andata in rovina col fallimento di quella famiglia. Monte del Dente, Macerine e Pinchi [Adolfo Luce:] Alcuni anni or sono, sopra il "Monte del Dente", fu ritrovata una tomba di un generale forse del periodo della battaglia di Corradino (1268). Per questo, molti sono coloro che suppongono che "Dente" sia il cognome di quel generale ivi sepolto. A Sant'Anatolia, i vecchi riportavano sempre una vecchia tradizione che diceva: "Dove ci sono le Macerine a forma di Croce, sotto c'è il Tesoro". Questo detto riguardava soprattutto la zona di "Colle Cicchitto", "Coremano" e zone adiacenti (le macerine erano cumuli di pietre, che si trovavano disposti soprattutto sui confini dei vari appezzamenti di terreno, che venivano tolte dalla terra del campo per renderla coltivabile). I "pinchi" (cocci), si potevano trovare in tutta la valle che da Torano e Collepizzuto va a Cartore e spesso si possono trovare persino nella "Bocca di Teva" sotto le montagne. A Marano, nella zona della "Selevetta", la terra è cosparsa di "pinchi" e probabilmente la zona fu in passato sede di un villaggio poichè è piena di reperti archeologici. Zona Calecara [Adolfo Luce:] Un tizio di Sant'Anatolia, forse il padre di Giovanni Sgrilletti, mentre scavava le fondamenta della sua casa, scoprì, a pochi centimetri dal sottosuolo, dei muri di fabbricazione antica di epoca incerta e, poichè questi muri si conservavano abbastanza intatti e solidi, decise di non romperli e vi costruì sopra la sua casetta. Poi, durante un altro scavo, scoprì, sempre nel sottosuolo, un forno intatto che a lui sembrò adatto e costruito apposta, in chissà quale epoca, per creare dall'argilla dei cocci o tegole di cui fra l'altro la zona è cosparsa abbondantemente. Quel forno fu poi da lui ristrutturato ed utilizzato per la casa, ma poi, dopo il terremoto del 1915, di tutto quel lavoro rimase poco o nulla. La casa comunque, per quanto riguarda le mura portanti, esiste ancor oggi anche se ridotta in maniera pietosa. Ancora oggi, se si ha buon occhio, si possono vedere le mura antiche su cui è poggiata la casa. La zona della "Calecara" (fabbrica di calce del secolo scorso di proprietà della famiglia Panei), è cosparsa di tegole rotte e cocci vari ("pinchi"). Ancora in quella zona furono ritrovati almeno due scudi antichi con delle spade arrugginite sempre di epoca incerta. Sempre nella zona della "Calecara", scavando nel sottosuolo, fu trovata una cucina quasi intatta con caminetto (?) etc... etc... Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 44/126 Cartore e suoi abitanti [Caterina Lanciotti:] A Cartore prima del terremoto del 1915 vivevano solo sette famiglie che erano coloni dei "Pacidi" poichè le terre di quel villaggio erano quasi tutte di quella famiglia; le famiglie che abitavano a Cartore erano le seguenti: 1) La famiglia di Luce Pasquale con il figlio Gaetano che poi andò in America e non si seppe più nulla di lui; 2) La famiglia di Luce Giacomo che era il fratello di Pasquale. 3) La famiglia di Panella Nicola con Pasquale il fratello che erano della Ciociaria. 4) La famiglia di Sgrilletti Simone col figlio Andrea da cui poi nacque la "Commare" Chiara. 5) La famiglia di Lanciotti Berardo che era lo zio di Caterina e il nonno di zia Quinta Lanciotti. 6) La famiglia di Lanciotti Pietrantonio fratello di Berardo e padre di zia Caterina. 7) La famiglia di Lanciotti Francesco padre di Gennaro da cui vennero "quissi de' Gennarella". Le case di Cartore erano presso a poco le stesse che ci sono oggi tranne alcune che furono ricostruite dopo il terremoto. Alcune case, prima del 1915, erano recintate da un antico muro con una grossa porta per accedervi a mo' di fortezza. Vita popolare a Cartore [Caterina Lanciotti:] Quando Caterina era piccola (inizi '900) la vita a Cartore era molto difficile e triste. Le giornate erano molto faticose poichè c'era sempre qualcosa da fare: a volte si dovevano pascolare le bestie ("a pasce e pecure"); a volte si doveva portare da mangiare al maiale; poi si doveva ogni tanto zappare la terra; si dovevano fare le faccende di casa; si doveva filare la lana o tessere i vestiti; ecc. Di solito i paesani avevano una cinquantina di pecore; un'asina ("la somara"); una mucca; un maiale; qualche gallina; a volte i conigli; qualche cane; a volte il cavallo o il mulo; ecc. Alcuni paesani non avevano gli animali o le terre e quindi dovevano sottomettersi ai signori servendoli. Durante la festa di S.Anatolia (il 9-10 luglio) si andava cantando una canzoncina che parlava della vita di Anatolia e che era scritta su dei fogli in dialetto. Ancora oggi, uno di questi fogli, è stato conservato da Filomena (?). Gli abitanti di Cartore erano tutti imparentati con quelli di Sant'Anatolia, e quando c'era la festa del 9-10 luglio, essi venivano tutti a S. Anatolia alla fiera, e Cartore si spopolava. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 45/126 Strade [Caterina Lanciotti: ] La strada che passava per Cartore, che ancora oggi esiste, iniziava dalla piana del Corvaro o da Collebreccioso e portava a Cartore; poi da lì proseguiva verso Rosciolo e Magliano passando per la "Bocca di Teve" e per "Santa Maria in Valle Porclaneta". Per andare a Rosciolo da Cartore, all'inizio la strada era molto ripida in salita, e quindi veniva chiamata nel suo punto più in alto "Straccasino" ("Stanca asino"). La gente da Cartore andava spesso a Sant'Anatolia e prima del terremoto la strada che normalmente si faceva per arrivarvi era quella della "Forcella" che era molto più ripida ma più veloce; solo quando si andava con le bestie e con la legna o altri carichi, si prendeva l'altra via che è più lunga ma meno ripida ("erta"). La duchessa [Caterina Lanciotti: ] Si diceva che anticamente tutte le terre di Cartore erano di una duchessa e che poi furono vendute ai signori Placidi; "Collepizzuto" invece fu venduto con le sue terre ai Panei. Le terre per cui erano quasi tutte dei signori Placidi o Panei, molte altre erano della chiesa, altre erano demaniali e poche erano dei paesani: così era a Cartore, a Collepizzuto e a Sant'Anatolia. Le montagne erano demaniali ed adibite al pascolo. Colle Pizzuto [Caterina Lanciotti:] A Colle-pizzuto c'erano, prima del 1915, i coloni dei "Panei" delle quali famiglie zia Caterina ricorda solo: 1) La famiglia di Luce Antonio col figlio Giovanni. Grotta de' Gessi, di S.Anatolia, del Palazzo e Fontanelle [Caterina Lanciotti:] Sotto "Colle pizzuto" o "Colle Pezzuto", c'era una grotta chiamata "Grotta de' Gessi" la quale dentro era piena di gesso. La gente ci andava a prendere i pezzetti di gesso per scrivere. [Adolfo Luce e Rubeis Vincenzo:] Vicino alla "Grotta di Sant'Anatolia" a Collepizzuto, vi è un'altra grotta chiamata "Rutta Palazzo" ed ancora più in valle, nell'alveo dell'ex fiume che ivi si trova, vicino alla "Cava", vi sono delle "Fontanelle" la cui acqua esce da sotto terra e forma una piccola palude. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 46/126 [Vincenzo Rubeis:] Non si conosce il motivo per cui la "Grotta di S. Anatolia" si chiamasse in questo modo, si sa solo che anticamente ci si andava ogni tanto e vi si mettevano le candele con i candelabri. La Città di Tora e ritrovamenti archeologici [Caterina Lanciotti:] "La Città di Tora" si diceva che stava verso Colle-Pezzuto e la piana del Corvaro e anche fra S.Anatolia e Torano anzi tutte queste zone venivano spesso chiamate col nome "Città di Tora". [Rubeis Vincenzo:] La città di "Tora" anticamente si trovava fra Colle Breccioso e Cartore e più precisamente presso Colle-Pizzuto, dove sono i casali, e dove un tempo la zona veniva chiamata proprio "Città di Tora". [Adolfo Luce:] L'antica "Città di Tora" si trovava soprattutto in Cartore che, prima, nei documenti antichi, veniva chiamato "CarTora". A "Colle Pizzuto" furono trovati, più di una volta, dei mosaici antichi, forse romani, ma, la maggior parte delle volte, furono persi o per caso o volontariamente per paura dell'intervento delle Belle Arti e della requisizione delle terre. [Eusepio Di Carlo:] Verso l'inizio della valle di Cartore (zona grotta di S.Anatolia) si trova un monumento sepolcrale fatto di calce, rena e pietre, costruito per un qualche generale importante ivi deceduto e sepolto. Il monumento per la sua durezza non sembra di calce ma di pietra naturale, tanto che a prima vista sembra quasi una formazione naturale. Qualcuno ha riferito che anche a Cappelle de' Marsi si trova un monumento simile e che comunque esso sicuramente risale a tempi molto antichi. Zona Dentre Tore [Caterina Lanciotti:] Vicino alla Bocca di Teve c'era una zona chiamata "Dentre-tore"; questo posto è uno spiazzo di terra fra la folta vegetazione che si trova in un piano fra la via di Teva e la valle sottostante. [Adolfo Luce:] Alcuni anni fa' in quel luogo fu trovato un sepolcro di un o una giovane coperto da tanti piccoli mattoncini di terracotta che si crede molto antico. [Eusepio Di Carlo:] Un giorno, un tizio, passando con la "somara" carica di legna in un posto vicino "Dentre Tore"< l'asino si infossò in una buca dove fu scoperta una tomba coperta di mattoncini. Nella tomba furono trovate due medagliette che poi con gli anni vennero perdute. Zona Castiglione [Eusepio Di Carlo:] Durante un'aratura, l'aratro si bloccò su dei cocci molto grossi che forse formavano un'anfora (zona "Castiglione") e sempre nello stesso frangente e nello stesso posto l'aratro si inceppò su di un "caldaro" di rame. In altre parti furono trovate (da Eusepio) delle monete che poi non sa più che fine fecero. Il Santo Sepolcro [Rosa Lanciotti:] Per quanto riguarda la chiesa del Santo Sepolcro a Cartore sembra che ci sia una zona, forse verso "Castiglione", che si chiama "U' Sepulcru". Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 47/126 Grotte di S. Costanzo e S. Leonardo [Caterina Lanciotti:] Nella "Grotta di San Costanzo" c'era l'eremo del santo, tutto il resto era com'è oggi. Nella "Grotta di San Leonardo" a volte ci si arrivava pascolando le pecore e a volte ci si riposava vicino alla grotta. Nella grotta, ai tempi di Caterina, c'era una statua di legno molto antica e ben fatta alta circa un metro e mezzo raffigurante San Leonardo con un libro in una mano e con un bastone nell'altra. La statua si diceva che fosse stata scolpita dallo stesso S. Leonardo. Ora la statua non c'è più e sembra che sia stata rubata. In quei tempi esisteva solo qualche muro vicino a questa grotta e si diceva che chi avesse rubato quella statua avrebbe avuti molti guai. [Vincenzo Rubeis:] Vicino alla "Grotta di S. Leonardo" che si trova sotto il "Pratone" omonimo, c'era un faggio chiamato: "Favo di S. Leonardo" che da generazioni nessuno tagliava. Quando si andava per la legna tutto si poteva tagliare tranne quel faggio poichè tagliarlo portava sventura. [Eusepio Di Carlo:] Vicino la grotta vi sono delle muraglie costruite con pietre molto grandi e non ci si spiega come gli antichi costruttori potessero averle portate a quell'altezza. Le mura erano alte circa 1 metro e 1/2 ma poi, i ragazzi, divertendosi a lanciare quelle pietre giù per il vallone di fua, distrussero in parte quei muri inconsapevoli del loro valore storico. Nella Grotta di S.Leonardo vi era una statuetta in legno raffigurante il Santo con una corona in testa ed un libro in mano; il legno della statua era molto rovinato dalle tarme e dalla vecchiaia. Si raccontava che un giorno, un tale di Spedino, voleva rubarla ma, quando uscì dalla grotta con la statua, venne giù fu un forte temporale con la grandine; egli dovette riportare la statua sul posto e fu solo allora che il temporale finì. La statua fu poi rubata da qualcuno forse di Avezzano ma tutti se ne disinteressarono nonostante che Eusepio avrebbe voluto chiamare i Carabinieri. Nei pressi della grotta di S. Leonardo, furono rinvenute le ossa di 5 persone; Queste ossa si trovano ancora intorno alla grotta e probabilmente si tratta del cimitero dell'antico monastero ed i cinque corpi ritrovati, probabilmente sono i corpi (ossa) di cinque monaci. Chiesa di S. Lorenzo a Cartore [Caterina Lanciotti: ] Della chiesa di "San Lorenzo", già negli anni precedenti al terremoto, non c'era nulla oltre la torre mozzata. Cioè era esattamente com'è ora. I vecchi dicevano che anticamente a Cartore i morti venivano seppelliti sotto la chiesa dove allora c'era una "pila" come quelle della "Madonna Addolorata". Ancora nei primi del '900 qualche famiglia vi seppelliva i suoi cari. Vicino all'ex chiesa di San Lorenzo c'erano delle case abitate. Non si sapeva che ivi vi fosse stata una chiesa, ma si ricordava che quella zona si chiamava ancora "S. Lorenzo" com'è denominata anche oggi. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 48/126 [Eusepio Di Carlo:] Nella chiesetta di San Lorenzo in Cartore vi era una pila dove si seppellivano i morti. Essa è posizionata in un modo molto diverso da come mi aspettavo e comunque si trova a circa 5 metri dal campanile. Le muragliette che si trovano di fronte alla torre campanaria, sono state quasi tutte costruite in tempi recenti da qualche signora che vi teneva le galline. Eusepio ricorda quando la chiesa era ancora in parte in piedi con le mura e il tetto ma mancava di molte tegole. La parte posteriore della chiesa era adibita a sagrestia e dalla sagrestia vi era l'ingresso al campanile. Nella pila mortuaria c'erano le ossa. L'ingresso al campanile venne murato non anticamente ed i ragazzi di Cartore e di S.Anatolia furono coloro che aprirono l'altro buco per accedere alla torre. Oggi la zona tutt'intorno alla chiesa viene chiamata col nome di "Campo Santo Lorenzo". Chiesa di San Nicola a Cartore [Caterina Lanciotti:] Non tutti sapevano che era esistita una chiesa di "S. Nicola" in Cartore tranne che per il fatto che il nome della zona su cui sorgeva si chiamava "Gliu'colle de Santo Nicola". [Eusepio Di Carlo:] Al "Colle Santo Nicola" l'aratro scavò altri resti umani; non si sapeva quasi nulla di questa chiesa, anzi si pensava che lì vi fosse stato un cimitero o un campo dedicato al Santo. Probabilmente in quell'aratura fu utilizzato il trattore, poichè, se si fosse usato l'aratro o la zappa, non sarebbe stata una novità: la zappa e l'aratro non scavano molto a fondo mentre il trattore si. Infine, sempre parlando di S.Nicola, forse ancor oggi vi si possono trovare i resti di qualche mura. La denominazione delle terre di Cartore Angelo Rubeis, marito di Spera Tecla mia cugina, mi ha voluto far scrivere i nomi delle terre di Cartore poichè a suo parere mi potevano essere utili: Cartore - Bocca di Teva - Croce Cellitu - Campo Santo Lorenzo - Rozza - Cerro - Fosse di Valle Tivola - Dentre Tore - Forca - La Chiusetta - Acquaro de Parrozze - Spinari - Colle Santo Nicola - Valle S. Leonardo - Le Marze - Troncatura del Fosso - Favo Acquaro - Vallell'Ircu - Vallone della Cesa Valle Amico - La Ruara - Piedi la Chiusa - Castiglione - Preda de Feliciotta - Morrecine - L'Are Capiacci - Marzetelle - Carpenete - Trattura a Capo Fraiale - Tracerna - Via Gnova - Colle Pezzuto - Rotta de' San Leonardo - Macchia de Via Gnova - La Fonticella - Fiui (Val di Fua) - Trattora a Capo Le Cave - Vignali - Forcella - Rotta de S.Costanzo - Treppiedicastello Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 49/126 Appendice IV - Documenti Bibliografici dal 1666 al 1953 Luca Holstenio 'Annotationes in Italiam Antiqua' - Muzio Febonio 'Historiae Marsorum' - P. A. Corsignani 'Reggia Marsicana' - Pierluigi Galletti 'Memorie di tre antiche chiese' - Mons. Saverio Marini 'Memorie di S. Barbara' - F. P. Sperandio 'Sabina Sagra e profana' - Giancolombino Fatteschi 'Memorie istorico diplomatiche' - Felice Martelli 'Le antichità de' Sicoli' - Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica - Annali dell'Istituto di Corrisponedenza Archeologica - Carlo Promis 'Le antichità di Alba Fucense negli Equi' - Michele Michaeli 'Memorie storiche della città di Rieti' Teodoro Bonanni 'Stemmi e Catasti Antichi' - Giuseppe Colucci 'Gli Equi' - Teodoro Bonanni 'Le antiche industrie dell'Aquila' - Enrico Abate 'Guida dell'Abruzzo' - Domenico Lugini 'Memorie Storiche' - P. A. Cremonini 'La ricerca di Tora' - Domenico Federici "La leggenda di S.Anatolia' Luca Holstenio - "Annotationes in Italiam Antiqua" Nel 1666 il geografo e storico Luca Holstenio nelle sue "Annotationes in Italiam antiquam Cluverii" scriveva: "In civitate Thora: Thorae, five Thoranae civitatis vestigia certa e indubitata extant ad Thoranum fl. (qui e ipse fine dubio nomen ab ea accipit) à regione Castel Vecchij e Antuni Paulo supra Colle Piccolo, ubi ecclesia celebris S. Anatoliae magna omnium vicinorum populorum religione colitur; quam vis corpus S. Virginis pridem inde a Sublacense monasterium traslatum fuerit. In ecclesia columnarum e inscriptionum vestigia visuntur, e ager sub ecclesia ad flumen usque ruderibus longe lateque oppletus cernitur. Distat autem Thora five Torana civitas Trebula Mutusca m.p. VII circiter; Reate autem XIII vel XIV circiter. Locum lustravi oculis 1645. die 13 may. Muzio Febonio - "Historiae Marsorum" Nel 1678 l'abate Mutio Phoebonio nativo della Marsica nella sua monografia "Historiae Marsorum" scriveva: "Sancta Anatolia: Eodem itinere M. P. est Sanctae Anatoliae Castrum in ditione Reatina situm, sanctae virginis auspicijs, quae martyrio pro Christi fide in civitate Thora, parum ab hinc longe felicier coronari meruit; five in persecutione aliquid ibidem passa posteris proprij nominis, passione illustratum locum Reliquerit, sine alia occasione inditum ignoratur. - Toranum: Inde Toranum M. P. a' Sanctae Anatoliae Oppido, quod a flumine nomen sumpsisse Cluverius suspicatur, cum id prope fluat, nomenq; Ei Toranus fit post Corradini aexercitus profligationem Exortum ex vicis, quos militaris furor vastavit coadunatum, quorum incole diruptis domibus, haustis substantijs, ut ne in posterum similia paterentur, eo devenerunt consilio, ut simul coalentes munitam stationes stabilirent; ficque locum quem Sabidius Taurus Iovi sacraverat declinarunt, e Faustis Sabini auspicijs de suo cognomine nomen loci dederunt, e ad haec nostra tempore basis, qua simulacrum Iovis sistebatur his literis notata inspicitur: IOVI MAXIMO SABIDIVS TAVRVS cuius etiam memoriam cum dignitatum titulis in lapide, quem mox relaturi simus, ostendemus." Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 50/126 P. A. Corsignani - "Reggia Marsicana" Nel 1737 Monsignor Pietro Antonio Corsignani, vescovo di Venosa, anch'esso marsicano, nella sua opera "Reggia Marsicana" scriveva: "S. Anatolia: Accosto alla menzionata terra [di Rosciolo], è posta l'altra di Sant'Anatolia sul confine della Diocesi per questa parte , perocchè la terra in oggi spetta alla giurisdizione del vescovo Rietino: ebbe tal nome dal suo antico templo di Sant'Anatolia martire , imperciocchè fu martirizzata per la fede cattolica , nella città di Tora, da cui la moderna terra di Torano col fiume di tal nome ebbe principio: benchè poi la mentovata città di Tora dal furore de' barberi rimanesse diroccata (Vide Cluver. in Geogr.) e che questa sia stata nei confini degli Equicoli, e de' Marsi, chiaramente apparisce negli atti de' Santi de' P.P. Bollandiani distesi dal Sollerio, e dal Pinio (Mens. Jul. Tom. 3 pag. 674) non rapportati dalla Febboniana. Si autentica dagli scrittori in detto glorioso martirio in tal luogo, o ne' descritti nostri confini per maggior lustro de' Marsi: e quivi anche al parer de' citati autori fu martirizzata Vittoria sorella della lodata Anatolia, ed il suo corpo fu indi trasportato a Subiaco (Chron. M. Sublacen. in Barberin. Urb.). Nelle vicinanze di quella terra si rinvenne l'antica iscrizione già franta di M. Aurelio Antonino Caracalla Imp.: ma il Febbonio (Hist. Mars. pag. 177) solamente ci rapporta poche parole esistenti nella base del simulacro che Sabidio Tauro consacrò a Giove: e sono: IOVI MAXIMO SABIDIVS TAVRVS Ond'è credibile che il detto Sabidio Tauro stanziando in que' colli, desse anticamente il nome alla menzionata vetusta città di Tora; imperocchè troviamo di lui un'altra memoria nella terra del Corvaio, di cui abbiamo di sopra favellato". Pierluigi Galletti - "Memorie di tre antiche chiese" Nel 1765 l'abate Cassinese don Pierluigi Galletti, nelle sue "Memorie di tre antiche chiese" scriveva: " Il Turano prende il nome dall'antica città di Tore da lungo tempo distrutta, pe'l cui mezzo passava. Il Cluverio malamente ha creduto, che sia lo stesso, che il fiume Telonio mentovato da Ovidio ne' Fasti lib. VI da Paolo Diacono, e da altri, poichè sono due fiumi distinti. Il Turano scorre parte per le terre degli Equi, e parte per quelle di Sabina; ed il Telonio passa per i Marsi, e per gli Equicoli, onde probabilmente è quel fiume, che ora è detto il Salto". Mons. Saverio Marini - "Memorie di S. Barbara" Nel 1788 monsignor Saverio Marini, vescovo di Rieti, nelle sue "Memorie di S. Barbara", scriveva: "155. Quanto alla decadenza delle parti di Scandriglia, abbiamo la testimonianza di fatto dalle ruine, e vestigie di antiche fabbriche, che si conoscono per ogni verso, ed anche non lungi dal sito, dove si venerava il corpo della nostra santa. Le storie poi assicurano l'esistenza negli antichi secoli di parecchie città della Sabina, che in oggi più non esistono, e di alcune si dibatte fra i critici dove erano fabbricate. - 156. Fra queste città dirute della Sabina il Ferraris nel suo dizionario geografico, ed alcuni altri collocano anche l'antica Tora, e la suppongono dove oggi dicesi Castel Vecchio, feudo dell'eccellentissima casa Borghese nella mia diocesi, e che la sua denominazione derivasse dal fiume Turano, che vi scorre sotto, e bagna gran parte di quel territorio, e del territorio di Colle Piccolo, altro feudo di detta casa, che gli sta di prospetto. Io non stento a credere, che il residuale vocabolo "Rocca Tura", che resta dentro Colle Piccolo, (e che forse sarà stato altro paese, o più antica fortificazione, che le geografie non ci ricordano) derivato sia dal fiume Turano, per quanto può valere l'argomento desunto dall'etimologia dei nomi. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 51/126 Ma l'antica Tora nè dal Turano prese la denominazione, nè presso il Turano esisteva. Anche questa città era compresa dentro la mia diocesi, ma ben lungi da CastelVecchio, ben lungi dall'origine e corso del fiume Turano. Stava questa nelle parti del regno sul confine degli Equicoli, e dei Marsi, come avvertì anche monsig. Corsignani nella sua "Regia Marsicana" presso la terra chiamata Torano, feudo Caffarelli, e presso l'altra terra, poco distante, detta S. Anatolia, feudo dell'eccellentissima casa Colonna. Colà di questa diruta città si riconoscono le vestigia, e nel declivio della montagna vicina le vecchie carte del mio archivio danno gli antichi titoli di "S. Anatolia in Tora", di "S. Lorenzo in Tora", di "San Leonardo in Tora", di "San Costanzo in Cartora"; ed ivi confessarono col martirio la fede in Gesù Cristo i Santi Audace, ed Anatolia. Ne restai maggiormente convinto nella sacra visita, che colà feci l'anno 1786., e riconobbi, che giustamente indicò il Baronio il luogo del detto martirio, col dire ai 9. di luglio: "In Civitate Thore apud lacum Velino", e in una sua pendenza vi resta il lago sempre perenne, che si chiama "Lago della montagna Velina". Riconobbi ancora nell'orto di casa dell'ab. Cattivera, parroco di Torano, l'avanzo dell'iscrizione, che stava al simulacro di Giove, eretto nei tempi della cieca gentilità da Sabidio Tauro, tal quale fu pubblicato dal riferito Corsignani: J O V I . MAX I M O . SAB I D I V S . TAV R V S e convengo col medesimo, che questo Sabidio Tauro, che dimorava in quelle parti, dasse il nome all'antica città di Tora. - 157. Non avendoglielo dato il fiume Turano, nè potendosi supporre questa città presso Castelvecchio, quantunque vi sia un antico titolo di S. Anatolia, dove in oggi vi è un convento de' P.P. Cappuccini, è totalmente falso ciò, che alcuni di quei contorni spacciano, cioè, che ivi la santa suddetta ebbe il martirio, che in quella chiesa del suo titolo restò per molti secoli il di lei sacro corpo, e che poi con frode i monaci benedettini lo levarono e trasportarono in Subjaco. Il sacro corpo di questa santa per più secoli restò dove patì, e precisamente nella chiesa parrocchiale di mia diocesi della terra detta di S. Anatolia presso i Marsi, dove i popoli vicini, e lontani concorrono ogni anno per la sua festa, e per i loro bisogni a venerare, ed invocare la santa, riconoscendo quella chiesa come luogo del suo trionfo, e per qualche tempo della gloriosa sua sepoltura. Se i monaci Benedettini di là, e non mai da Castelvecchio ne fecero la traslazione ad altra chiesa, e poi a Subjaco, la fecero in virtù dei diritti, che aveva il loro monistero sopra quella chiesa, come gli aveva sopra di altre anche dentro la mia diocesi, conforme costa da un vecchio registro del secolo XIV., che conservasi nel mio archivio. Essendo stata questa santa nella mia diocesi, i suoi titoli erano parecchj. Imperciocchè oltre Castelvecchio, altra chiesa della sua invocazione stava agli Staffoli, altra alle Piagge per la strada, che da Rieti mena a S. Salvator Maggiore, altre fra i due territorj di S. Benedetto, e Magliano vicino a Rieti, ne perciò deriva, che in quelle parti abbia patito, o abbia avuto luogo il suo sacro deposito. - 158. Io non so, se nella diocesi di Terni, e precisamente nel territorio di Piedilugo, che confina colla mia, vi sia memoria d'alcun titolo di questa santa. Mi si suppone, che non vi sia, ma quand'anche vi fosse stato, o vi fosse, è egualmente falsa la supposizione di alcuni di quel paese, che colà fosse edificata l'antica Tora, che colà patisse S. Anatolia, e che del lago di Piedilugo, perchè vi scorre il fiume Velino, intendesse parlare il citato Baronio. Come nota il Sollerio (in Usuard. 9.Jul.) S. Anatolia è stata reatina, e come reatina la dichiarò il Baronio; onde per lago Velino, non significò il lago di Piedilugo, ma bensì quello della montagna Velina. Le cose adotte convincono, e la distanza di Tora da Rieti, che assegnò Dionisio D'Alicarnasso (lib. I) di 40. miglia lo conferma. Questa non si verifica ne per Castelvecchio, ne' per Piedilugo; si verifica però a meraviglia per la riferita terra di S. Anatolia nei confini dei Marsi, dove la Sabina non arrivava. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 52/126 F. P. Sperandio - "Sabina Sagra e profana" Nel 1790 Francesco Paolo Sperandio nella sua opera "Sabina sagra e profana antica e moderna" scriveva: "Anatolia da noi lasciata nel suo esilio di Tora, ed in mezzo ad angustie niente minori di quelle, che soffrire facevansi a Vittoria di lei sorella in Trebola, dello stesso spirito di costanza, e di carità essendo animata, mirabilmente superate avendo diverse pene, che per rimuoverla dal santo impegno preparate le vennero dal giudice Faustiniano, con aiuto celeste liberata da un orribile serpente, e convertito alla fede il suo medesimo custode Audace, nel mentre orava colle mani al cielo elevate, trapassata anch'essa nel petto, la seguì nella corona il dì 9 luglio. Audace nel giorno medesimo preso ed incarcerato, unì ad una gloriosa confessione una beata morte, il suo capo intrepidamente lasciando sul palco per la fede di Gesù Cristo. Più chiese l'onore si arrogano di possedere le sagre spoglie de' Santi Anatolia ed Audace, o in tutto o in parte almeno, ed altrettante la gloria pretendono, d'essere state, come della sepoltura, così dell'esilio il luogo, e del martirio. Le principali, e che sembrano avere una maggior assistenza di fondamenti, sono Castelvecchio in Sabina sulla riva diritta di Turano, e Torano altro castello negli Equicoli. Il primo dimostra, o dimostrare intende, le ruine dell'antica Tora, dove s'erge il Convento de' PP. Cappuccini con un Tempio appunto dedicato alla Santa Vergine Anatolia, di cui, e di Sant'Audace venera alcune reliquie; l'altro cioè Torano riconosce le vestigie della diruta città di Tora in poca distanza da se e dal monte e lago chiamato Velino, e sono anche in quelle parti celebri, ed in una non recente venerazione i nomi de' Santi Anatolia ed Audace. Sebbene su tal questione Castelvecchio abbia per se il favore dei più, non mancano anche a Torano dei validi appoggi. Sono essi già stati rilevati prima da Monsignor Corsignani nella sua Regia Marsicana, ed ultimamente nella citata dissertazione di Santa Barbara da Monsignor Marini Vescovo di Rieti. Anche i rincontri, che se ne hanno in Dionigj, dovriano far concludere per Torano piuttosto, che per Castelvecchio. Dapoichè, descrivendo questo autore il sito di Lista, dice: che si trovava di contro a Tora, di qua dal fiume Velino, ed a tre miglia da Rieti, positura quanto distante e disadatta a quella di Castelvecchio, accomodabilissima però a Torano e di lui aggiacenze. Si decida ciò non pertanto di questa causa come si voglia; noi siamo sicuri, che dovunque piaccia di situare la Tora, di cui si parla, fu sempre una città appartenente ai Sabini, ed in conseguenza di gloria alla intiera nazione i di lei pregi. Se in Castelvecchio, non vi è chi il contrasti, e se in Torano degli Equi, forsechè questi, nel dividersi dai Padri loro per conquistarla come fecero, cessarono di esser Sabini ? Non già nel nome diverso delle contrade e popolazioni, nè nelle varie Diocesi ristringere si può ciò che è d'onore di tutta una Nazione." Giancolombino Fatteschi - "Memorie istorico diplomatiche" Nel 1801 don Giancolombino Fatteschi, abate Cisterciense della provincia romana, nelle sue "Memorie istorico-diplomatiche riguardante la serie de' duchi e la topografia de' tempi di mezzo del ducato di Spoleto" scriveva: "19. Uno de' Castaldati in vicinanza di Rieti era quello di Tora, costantemente dal Cluverio appellata Tiora, soggiungendo, che "distabat a Lista XIV. stad. dest. III. mill. pass. ad Velinum flumen", e cinque miglia era Lista distante da Rieti dalla parte del mezzogiorno al lago Velino. Anche sopra si rammentò altra Tora al lago medesimo, scrivendo perciò il padre Berretti, che queste Tore fossero due. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 53/126 Ma il Cluverio scrive schiettamente, che Tora fu al fiume Torano, dal quale prese essa il nome. Aggiunge, che Tora fu dirimpetto a Castel Vecchio, ch'è alla destra del Torano, ed in vicinanza di Colle Piccolo, che n'è alla sinistra, non molto lungi dalla chiesa di S. Anatolia, si frequentata da' popoli. Scrivono molti che il fiume Torano non sia diverso da quello, che gli antichi dissero Tolenus, o Telonius. Aveva Tora il suo Castaldato con esteso distretto, giungendo fino al castello di Vivaro, che da monumenti sappiamo, che apparteneva al castaldato di Torano. Nell'agro del medesimo castello di Bibaro, o Vivaro molti beni sono donati a' Farfensi da Trasmondo figlio di Gisone, e diconsi confinanti: "ab uno latere Petesa, ab alio Portica, ad tertio latere Vallem Frida, a quartio latere venit Turanum". Puzaglia talvolta si legge registrata in questo Castaldato di Torano, come in un testamento dell'anno 1010, che non occorre riferire, e talvolta n'è esclusa (come nel contratto di comprita riferito nell'appendice al num. LXXXI.). In questo Castaldato Lodovico II imperatore, l'anno 864, ad istanza di Pietro vescovo di Spoleto dona alla Badia Farfense i terreni che alla sua regia azienda appartenevano, situati nel campo, "Qui nominatur Brixianus" come dal diploma dell'appendice num. LV. Del Castaldato di Torano molte volte fassi menzione ne' monumenti Farfensi, nei quali son nominati varj castelli, chiese e contrade di quel territorio, che possono vedersi alla nota VIII. Nota VIII : Tora: della città di Tora, che attraversa il fiume, da cui prese il suo nome, e del suo circondario, e Castaldato detto Torano, e Massa Torana, più volte ne' occorre menzione ne' monumenti Farfensi, come anche nell'esposto fin qui abbiam veduto. Eccone però de' documenti anche più significanti: una vendita di Vairone del fù Protò dell'anno 885. Correndo il XXIII. dell'augusto Lotario (computato dalla sua coronazione romana del dì 5 aprile anno 823) e VI. di Lodovico II. suo figlio (preso dall'anno 849. nel quale dal padre fu associato all'impero nel maggio) scritto in Rieti da Ragichisio notaro il giorno 23. del mese di giugno dell'indizione III. abbiamo che l'istesso Vairone abitante nella massa Torana nel casale detto Cottigiano vende all'abate Ilderico "portionem meam de Gualdo exercitali qui est in Massa Torana que dicitur Puzalia il loco qui dicitur Vinea Porcarenis per mensuram pediis publici in longitudine pedes duo mill. e per latitud. pedes quinquaginta e est in congresso vestro. pedem tenente in rivo S. Petri de Roma in monte qui dicitur Cacunus cum pomis ec. actum in Reate (R. F. CCCXII)". Nell'anno medesimo 855 abbiamo il seguente contratto della Massa Torana: "Ego Baroncellus fil. ejusd. Agemundi habitator in Massa Torana ubi vocatur Stalplianus venditi... in monasterio S. Mariae... terram in eadem Massa Torana ubi vocatur ad Civitatem in loco qui dicitur ad illud Farto Fagum ec. actum in Tora. Galenarius notar." (R.F. CCCXI). L'espressione "Ubi dicitur ad Civitatem" pare, che accenni, che dell'antica città di Tora ve n'erano soltanto le rovine. Altri contratti di roba in questo Castaldato sono di piccola conseguenza, e bene scarse sono le notizie topografiche che somministrano." Felice Martelli - "Le antichità de' Sicoli" Nel 1830 lo storico Felice Martelli, nativo del Cicolano, nel suo libro "Le Antichità dei Sicoli" scriveva: "Tora: fu una delle città di remotissima origine, come si può conoscere dalla descrizione che ce ne ha lasciata Terenzio Varrone, esisteva prima la venuta de' Pelasgi in Italia, ed era celebberrima pel famoso tempio ivi eretto in onore del primo Giano appellato Marte come nume presidente alla pace ed alla guerra, ignorandosi nel Lazio altro Marte in que' tempi. Qui fu lo antichissimo oracolo di questo dio anteriore a quello di Dodona; un Pico sopra una colonna di legno vi dava le sue risposte e vaticinii, come in quello di Grecia le dava una colomba sopra una quercia: la parte più solida di questo tempio si vede ancora esistere sotto la chiesa di S. Anatolia nei gran macigni di travertino, opera ciclopica delle più belle. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 54/126 I monaci Benedettini vi fabbricarono sopra un monastero nei tempi del loro Istitutore, e diedero il nome della Santa ivi martirizzata alle reliquie di questa città appellandola Sant'Anatolia: essa fu detta ancora Matiera o Matiana, che se si volesse attendere al suo significato, verrebbe a farsi palese che un tal vocabolo sincopato altro non suonava se non Mater-Jana, a cui forse fu inaugurata la detta città nella sua fondazione, essendo probabile che il presente Giano per la venerazione che volea ispirare a favore della sua madre Giana, l'avesse consacrata al suo nome, e sotto i di lei auspici, come aveva consacrato il tempio e l'oracolo al suo genitore... Tora si pone, come dicemmo, nella bella e corretta edizione Greca di Dionisio fatta dallo Stefano nel 1549 pag. 2, lontana da Rieti 36 miglia, e così vien anche riportata dal Vermigliuoli e da altri. (Dionisio ediz. 1546 p. 2 "Apud Steph. ad CCC stadium Thora, quae et Matiera") è fuor dubbio perciò che essa fosse piantata dove ora è CAR-TORA sopra S. Anatolia. Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica Nel 1831 nel "Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica" si legge: "Ritornando verso il lago, sta Sant'Anatolia, dove si osserva, nel giardino dell'abbate Placidi, un pezzo di bel muro poligono e 200 passi più in sù l'Ara della Turchetta, ch'è la cella di un tempio costruita in larghi e rozzi poligoni appoggiati da rupi tagliate. Era questo probabilmente il tempio e l'oracolo di Marte presso Tiora. Vicino a quel luogo vi è il monte Cartora e un miglio distante il villaggio di Tora o Tiora consistente in 4 o 5 case". Annali dell'Istituto di Corrisponedenza Archeologica Nel 1832 negli "Annali" del medesimo Istituto si legge: "I monumenti del tempio e dell'oracolo di Tiora sono i due più importanti di tutto ciò che ci è stato segnalato da Varrone. Egli ne ha fissato le rovine a 300 stadi da Rieti e la situazione del villaggio di Sant'Anatolia corrisponde esattamente a questa distanza. Secondo la descrizione manoscritta del signor Simelli, il monumento dell'oracolo consiste in una roccia bruta, che non è stata tagliata se non per formare una terrazza di circa 40 metri di lunghezza per 10 di larghezza. Questa terrazza è limitata da un muro di costruzione pelasgica, ma meno curato di quello del tempio di Marte, che è uno dei più bei modelli di questo genere di costruzione. Questo muro ha uno sviluppo di 54 metri. La prospettiva teatrale di questa terrazza presenta un banco, tagliato in modo che il suo dorso sia nella roccia viva, ma la sua sopraelevazione di un solo metro... La sua lunghezza, compresa la base rimasta rozza alla sua estremità, è di 12 metri... La parte superiore della roccia che si estende su tutto il fondo di questa terrazza, forma un dorso che si eleva di 3 metri circa". Carlo Promis - "Le antichità di Alba Fucense negli Equi" Nel 1836 l'architetto Carlo Promis nel suo libro "Le antichità di Alba Fucense egli Equi" scriveva: "Io credo che la fondazione di Alba si debba attribuire ai Pelasgi che secondo Varrone presso Dionisio (lib. 1 cap. 14) fondarono le città che da Rieti, considerato come punto centrale, si diramano in vari sensi, e principalmente viene da lui mentovata Tiora Matiene distante da Rieti 300 stadi, cioè miglia 37 e mezzo, situata sulla strada che da questa città porta al lago Fucino ed alla via Latina. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 55/126 La distanza e la direzione nella quale Dionisio mette Tiora la fanno riconoscere nel villaggio di Sant'Anatolia, che in un diploma del 1153 è nominata 'Plebem Sanctae Anatoliae in Tore' (Ughelli tom. I. Questi riporta pure il diploma dell'istesso anno di Anastasio IV, nel quale il villaggio di Turano, ritiene già il nome Turanus. Varie prove dell'identicità di Sant'Anatolia con l'antica Tiora trovansi date dal signor Petit-Radel negli annuali dell'Istit. Vol. IV, pag. 10) - Ora dalla pianura Amiternina comincia un piano, più o meno inclinato, il di cui vertice è ad Ovindoli: sotto questo villaggio il monte è tagliato quasi perpendicolarmente ad un'enorme altezza: queste falde verticali cominciano da Celano ed estendendosi lungo i monti che sono fimbrie del gran Velino, tracciando una linea insuperabile sino al principio della valle Cicolana, nelle cui fauci è situata Sant'Anatolia, la cui identicità con la Tiora di Dionisio non soffre dubbio; ora negli atti di Sant'Anatolia (presso il sig. Petit-Radel loc. cit.) trovasi menzionato il lago ed il monte Velino presso Tiora come parti del suo territorio, onde l'agro Albense doveva terminare dove cominciano le aspre falde di questo" Michele Michaeli - "Memorie storiche della città di Rieti" Nel 1860 Il Dottor Michele Michaeli nelle sue "Memorie istoriche della città di Rieti e dei paesi circostanti" scriveva: "249-251: diffondendosi poi il cristianesimo nelle città e nelle campagne durante il terzo secolo, e facendo da esso vieppiù contrasto i fautori dell'antico culto, questa lotta durava ancor viva in Rieti e nella Sabina, come accennano i racconti relativi alla persecuzione dei cristiani sotto Decio. Durante il breve impero di questo, Anatolia ed Audace patirono il martirio presso il luogo, ove era stata la vetusta Thiora, cioè fra gli odierni castelli di Torano e di S. Anatolia e sul declive del monte Velino, presso il laghetto perenne da quella montagna denominato [Il luogo fu indicato con precisione dal Marini (Memorie di S. Barbara, p.177). Vedi pure il Fatteschi, Mem. del ducato di Spoleto, p.144, 226. La designazione 'Ad lacum Velinum' che si legge negli atti dei martiri Anatolia ed Audace (Bolland., Acta SS., IX julii, tom. II, p.671) aveva indotto in errore gli eruditi, tra i quali l'anonimo autore della tab. Chorogh. in Muratori (Rer. Ital. script. X, pag. 256), che indica Thiora presso il lago Velino, ora detto di Piedilugo] Teodoro Bonanni - "Stemmi e Catasti Antichi" Nel 1881 Teodoro Bonanni nel suo libro "Stemmi e Catasti antichi dei paesi appartenenti alla provincia del 2 Abruzzo Ulteriore" scriveva: "Descrizione degli Stemmi dell'antica Università della Provincia dell'Abruzzo Aquilano" ... 126. Borgo Collefegato: Uno scudo ovale col cuore e col fegato in campo d'argento. - Corvaro: Un corvo sopra una colonna in campo azzurro. - Castel Manardo: Una mano che si brucia sopra una fiaccola posta su di un candeliere in campo azzurro. Poggio di Valle: Una torre con una bandiera, ed un uccello sopra in campo di argento. - Torano: Un toro infuriato in campo azzurro. - S. Anatolia: La immagine di S. Anatolia con la palma in mano in campo azzurro. - Spedino: Una pianta di spino in campo azzurro. [parte 2 - pag.43] Giuseppe Colucci - "Gli Equi" Nel 1886 lo storico Giuseppe Colucci nel suo libro su "Gli Equi" scriveva: "Ricordisi inoltre che dalla più remota antichità fu in Tiora Matiena un oracolo di Marte, i cui responsi erano dettati da un Pico nell'alto di una colonna di legno, onde dallo stesso Dionigi fu notata la simiglianza di questa maniera di divinazione col pelasgico oracolo di Dodona. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 56/126 Vero è che quella città fu da molti scrittori compresa nella Sabina, ma se per poco si rifletta che i Sabini abitarono l'alto rispianato di Amiterno, e che Tiora sorse dopo Alba all'ingresso della valle Equana, non lungi dal monte Cartore, ove nel medioevo fu Tora (oggi Torano e Grotte di Torano), l'errore di quei topografi riesce manifesto. Scendendo i Sabini al piano contro gli Aborigeni, non sormontarono punto i gioghi di Noria, dell'Aquilente e del Velino, ma percorsero la via naturale dell'Interocrea, come più innanzi sarà detto; laonde nè per ragioni topografiche, nè per tradizioni antiche può credersi che una sacra primavera di Sabini abbia posta le fondamenta di Tiora Matiena, chiusa nella regione degli Equicoli e propria di quel popolo. Sanzachè il Marte o "Apns" dell'oracolo Tiorano non fu divinità Sabina o Greca, ma Tragica e Scitica, come la radice del vocabolo "Apns" appartiene propriamente alla lingua degli Sciti, popoli congiunti ai Medi, ai quali erano identici i Matieni; ed i Pelasgi, per giudizio de' più recenti etnologi ebbero lor prima sede nella Media o nell'Iran settentrionale, donde tutte uscirono le razze Indoeuropee". Teodoro Bonanni (2) - "Le antiche industrie dell'Aquila" Nel 1888 Teodoro Bonanni nel suo libro "Le antiche industrie della Provincia di Aquila" scriveva: "... 6. Antica industria della Corallina --- Nella regione Marsicana era questa industria molto estesa e proficua: coloro, che la esercitavano doveano avere una patente o licenza, che loro si rilasciava dal Protomedicato Romano: infatti leggo nel registro delle patenti ai medesimi rilasciate dal detto officio protomedicale dal 18 marzo 1547 al 1570, pubblicato dal mio chiarissimo amico signor Bertolotti, Direttore dell'Archivio di Stato di Mantova, i seguenti nomi dei Comuni di S. Anatolia e di Alba Fucense del nostro Abruzzo, che ottenuta aveano l'autorizzazione di un tale commercio: essi erano: col titolo di Maestri, Sintionio Antonio, Pietro Andrea, Pietro Agostino di Antonio, Allegruccio di Antonio, Fedele di Giuliano, Crispoldo Piermattei, Sinsonio, Dentista, Tommaso di Nanni di S. Anatolia, e Marco di Vitale di Alba Fucense. Enrico Abate - "Guida dell'Abruzzo" Nel 1903 Enrico Abate nella sua "Guida dell'Abruzzo" scriveva: "S.Anatolia e Cartore. (Alloggio in S. Anatolia presso Salvatore Ricci e in Cartore presso Angelina Panci; guida in Cartore Bernardino di Janni, in S. Anatolia Antonio Federici). Sia passando per la Badia descritta [S. Maria in Valle Porclaneta] (Km. 6 da Rosciolo) sia direttamente da Rosciolo (Km. 5) si può andare a S. Anatolia piccolo villaggio in bella posizione, ed anche a Cartore (Km. 2 1/2 da S.Anatolia) composto da poche case. Sono due graziosi paesi fra ondeggianti colline, alla base delle montagne della Duchessa. Le mura poligonali di un antico ieron di Tiora (v. pag.117) servirono di sostruzione alla chiesa dedicata a Santa Anatolia, che dicesi qui martirizzata sotto Decio imperatore per ordine del preside Faustiniano. Gli avanzi ritrovati han fatto supporre che nei tempi romani esistesse qualche villaggio che mutò poi il suo nome in S.Anatolia per la chiesa erettavi. Da S. Anatolia a Torano (Tiora) Km.5,4 (v. pag. 117) - ... - Torano, piccolo paese degno di menzione solo perchè si crede che qui sorgesse un'importante città sabina, Tiora, della quale ci ha lasciato notizia il solo Dionigi d'Alicarnasso sulle memorie di Varrone, situandola a 300 stadi, cioè miglia 37,5, da Reate e a 24 da Lista. Era Tiora una città antichissima degli Aborigeni; ma i Sabini se ne impadronirono colle città vicine, quando estesero il proprio dominio sulle circostanti contrade. Tiora con l'aggiunta di Matiena era celebre per un antico oracolo di Marte, quasi nella forma di quello di Dodona, oracolo che si rendeva da un Pico, venuto miracolosamente dal cielo, sopra una colonna di legno. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 57/126 L'epoca di questo monumento si fa risalire al 1520 prima di G. C. L'antica città conserva tuttora il suo nome nell'odierno villaggio di Torano, composto da poche case. Le mura di Tiora erano costrutte di piccoli ma ben aggiustati poligoni; il sito era atto alla difesa e con una pianura per le coltivazioni, circondata da montagne, fra le quali si eleva alto e maestoso il Velino. Dell'oracolo di Marte si vede tutt'ora la cella, detta Ara della Turchetta, costruita in larghi e rozzi poligoni, appoggiati da rupi tagliate e a brevi distanze da Torano e S.Anatolia. A 200 passi, e presso poche ruine di Tiora, si vede ancora un Ieron o tempio dedicato allo stesso nume, le cui antiche mura poligonali servirono , come si è detto, di sostruzione alla chiesa dedicata a S. Anatolia (v. pag. 116). - ... - La Magnolia e la Duchessa: Da Ovindoli o dal villaggio le Forme poco distante da Albe si può ascendere in circa 4 o 5 ore alla vetta più alta dei monti della Magnola (2223 m.). Un interesse maggiore però offre una escursione nei monti della Duchessa. Due sono le vette principali, il Morrone o meglio la Torretta o Torricella (2216) ed il Muro Lungo (2187). Per salire alla Torretta si parte da S. Anatolia o dal villaggio di Cartore, o dal villaggio di Corvaro (presso Borgocollefegato) non lontano dal principio della valle Amara. Da S. Anatolia si va al punto dove la strada per Borgocollefegato si accosta maggiormente a monte Morrone e precisamente dove sono le capanne dei carbonari; si sale per un sentiero nel vallone di Piedimonte, dove si trovano querce e faggi e si arriva in 3 ore e 1/2 ai Ginepri alla cima del detto vallone, e di qui in circa due ore alla punta della Torretta. Da Cartore si segue la valle di Fua, quindi quella del Cieco dove sono parecchie carbonare interessanti, ed in 5 ore si giunge alla vetta. Da Corvaro si sale per la ripida costa Le Ripi, ed il bosco di Cartore ed in 6 ore circa si arriva alla Torretta. Il Muro Lungo (2187 m.) che è separato dalla Torretta , dalla parte superiore del vallone del Cieco, formata da una bella cresta rocciosa si può ascendere da S. Anatolia passando per Cartore, pel vallone la Cesa, pel pratone S. Leonardo e la valle del Cieco, in circa 6 ore e mezzo. Volendo riunire le due ascensioni del Velino e del Muro Lungo o della Torretta, converrebbe da quello a questi scendere a pernottare a Capo di Teve portando seco la tenda. Dal Muro Lungo o dalla Torretta, in un'ora si scende dal Giaccio dei Mentuni e in un'ora e mezzo a Capo di Teve. Occorre però una guida pratica per trovare bene la via fra quei dirupi. La veduta dei monti della Duchessa , che offrono un aspetto tutto diverso da quello del Velino per i boschi pittoreschi, è bellissima su tutto l'Appennino centrale e sopra il colosso del Velino. In questi monti si stende il laghetto della Duchessa, che si scorge benissimo dalla vetta della Torretta. Domenico Lugini - "Memorie Storiche della Regione Equicola" Nel 1907 Lugini Domenico nelle sue "Memorie storiche della regione Equicola, ora Cicolano" scriveva: "Tiora: gli avanzi di questa vestutissima città, consistenti specialmente in mura pelasgiche, si osservano presso il villaggio di Torano, o meglio, tra questo e quello di S. Anatolia, non lungi dal monte Cartora e dove l'hanno riconosciuta il Bunsen (Annali dell'Ist. Archeol. 1834), il Martelli (Le antich. de' Sicoli tom. I, lib. I, cap. VII, p.59-60), il Colucci (Gli Equi p.15), il Michaeli (Note per la storia della città di Rieti p. 18, dove cita il Marini Memorie di S. Barbara, p.197) ed altri. Secondo la testimonianza di Terenzio Varrone, riferitaci dallo storico di Alicarnasso (lib. I, 14), essa distava da Rieti trecento stadi (Km. 55 e m. 425 circa) ed era nominata anche Matiena. In essa era l'antichissimo oracolo di Marte (donde il nome di Tiora, perchè il ricordato nume, da Omero 'Odissea', VIII, 361 è detto Tourio Ares) non dissimile da quello di Dodona, celebrato nelle favole. Un Pico sur una colonna dava i suoi responsi o vaticinii, come in quello di Grecia li dava una colomba sopra una quercia. Vincenzo Gioberti (Del buono e del bello, cap. 6, p. 197 e seg.) così descriveva tale oracolo: "Uno dei più antichi oracoli pelasgici, menzionati da Varrone e da Dionisio, è quello di Tiora, oggi Turano, nel territorio di Rieti, presso il villaggio di S. Anatolia, ai piè del monte Velino, dove Pico, uccello divino degli Aborigeni profetava". Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 58/126 Le mura pelasgiche che tuttora si osservano presso l'odierna chiesa di S. Anatolia, rappresentano forse gli avanzi del famoso tempio di Marte dal Pico vaticinante. Il Fatteschi (Memorie istorico-diplomatiche ecc. p. 152 e 226), il Galletti (Gabio, p. 162, n.4) ed altri scrittori, riposero questa città nella Sabina dirimpetto a Castelvecchio e Antuni, ma senza appoggio alcuno di validi documenti. Questa città si conservava ancora nel terzo secolo dell'era volgare, perchè durante il breve impero di Decio (249-251 d.C.) in essa appunto subirono il martirio i Santi Anatolia ed Audace, come si rileva dal martirologio romano ('Septimo idus julii. In civitate Thora apud lacum Velino passio Sanctorum Anatoliae et Audacis, sub Decio imperatore'). Le invasioni barbariche ne dovettero determinare la rovina." P. A. Cremonini - "La ricerca di Tora" Nel 1911 il sacerdote di Spedino Cremonini P.A. nel suo libro "Cenni di storia antica - La ricerca di Tora" scriveva: "Finalmente l'Archivio Episcopale di Rieti ci dà pienissima ragione. In quest'Archivio son certe carte vetuste, che dicono: Dal Santuario, che è nel declivio del monte Velino, si ebbero gli antichi titoli di S. Anatolia in Tora, di S. Lorenzo in Tora, di S. Leonardo in Tora, di S. Costanzo in Cartora; e in quello stesso declivio, aggiungono, confessarono col martirio la fede di Gesù Cristo i Santi Audace e Anatolia. Che si vuole di più ? Tora, dunque, fu qua veramente, e le terre in che sorse, come la città, così anch'esse furono Sabine" Domenico Federici - "La leggenda di S.Anatolia Vergine e Martire del Cicolano" Domenico Federici, frate nell'abbazia di Subiaco, fu autore di vari libri riguardanti la storia del suo monastero e luoghi adiacenti. • • • • 1938. Primordii benedettini e origini comunali in Subiaco - Subiaco (Tipografia dei monasteri) 1938 1940. Echi di giansenismo in Lombardia e l'epistolario Pujati-Guadagnini 1947. G. XVI tra favola e realtà - Rovigo 1947 1966. I Francescani visti in Anagni in una descrizione del 1219 - Roma 1966 Questi titoli li ho trovati su internet - forse ha scritto anche altri libri. Verso la metà del XX sec., sollecitato dalla fama che in quel periodo riscuoteva la nostra Santa (negli anni '50-'70 in occasione della festa di S.Anatolia giungevano nel nostro paese migliaia di pellegrini), fece delle ricerche e il 22 maggio del 1953 diede alla luce la prima stesura del libro "La leggenda di S. Anatolia V. e M. del Cicolano". Nell'estate del 1953 egli venne a S.Anatolia probabilmente in occasione della festa del 9-10 luglio. Portò con se l'unica (?) copia dattiloscritta del suo libro e la consegnò al nostro parroco che allora era don Giovanni di Gasbarro. Costui l'avrebbe dovuta correggere e poi restituire per la pubblicazione. Il nostro buon parroco ci mise molto impegno per correggere la bozza ma poi dovette attendere invano che il frate tornasse a riprenderla. Domenico Federici credo che non venne più a S. Anatolia e il libro non venne mai pubblicato. Io ne possiedo una fotocopia, avuta direttamente da don Giovanni Di Gasbarro, che ho riportato integralmente nel sito: Domenico Federici: La leggenda di Sant'Anatolia Vergine e Martire del Cicolano Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 59/126 Appendice V - Visite Pastorali Santuario di S.Anatolia - Antico affresco raffigurante un Santo Vescovo e S.Antonio abate Fotografia di Roberto Tupone 2004 Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 60/126 Visita di mons. Gaetano Carletti nell'anno 1850-1851 Ecc.za Rever.ma Mons. Gaetano Carletti - Prima visita pastorale nel Regno di Napoli - Anno 1850-1851 - Vicariati di: Petrella Marmosedio Baccarecce Castel Menardo Visita di mons. Egidio Mauri nell'anno 1874 Prima visita pastorale nel Cicolano Fatta nell'anno 1874 da Sua Ecc.za M.r Egidio Mauri Vescovo di Rieti Visita di mons. Bonaventura Quintarelli nell'anno 1897-1900 Sacra visita pastorale della sua Diocesi di M.r Bonaventura Quintarelli dell'anno 1897-1900 Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 61/126 Visita di mons. Gaetano Carletti nell'anno 1850-1851 Ecc.za Rever.ma Mons. Gaetano Carletti - Prima visita pastorale nel Regno di Napoli - Anno 1850-1851 Vicariati di: Petrella Marmosedio Baccarecce Castel Menardo SANCTA ANATOLIA S. Anatolia 21 maggio 1851. Disbrigati tutti gli affari in Torano, preso frugale ristoro in casa del vice-abate d. Matteo Latini, recitate le solite preci d'etinerario, montato a cavallo S. Ecc.ma R.ma, colla sua comitiva, e con più sacerdoti di accompagno, è partito alla volta di S. Anatolia. CHIESA RURALE DI "S. MARIA DEL COLLE": Sul piano tra Torano e S. Anatolia trovasi la chiesa di S. Maria del Colle. Accedette alla visita della medesima il convisitatore Jacoboni. La medesima ha un solo altare ed è a tetto. Riferì che ad eccezione del materiale dell'altare, e de' muri ben forti, ha bisogno di un restauro generale, e pronto deve esser quello del tetto che minaccia. Evvi eretto un beneficio semplice del titolo S. Maria del Colle patronato dei Principi Colonna, vacato per morte del fu Don Franco Fabrizi, ed ora amministrato dalla Diocesana. E' a carico del beneficiato il mantenimento della chiesa, per cui si scrisse al Preside della diocesana, onde pensasse seriamente e prontamente al restauro per ora del tetto, ammettendo dilazione il resto. CHIESA DEL SANTUARIO DI SANTA ANATOGLIA = Prima di salire al paese, è situata questa chiesa di natura filiale, di gran devozione del popolo e de' paesi circonvicini; che frequentemente vi accedono. S. Ecc. R.ma volle personalmente visitare questa chiesa. E' questa consagrata, antichissima, e la tradizione ricorda esservi stato una volta un monastero di benedettini. Ha gli altari disordinatamente disposti. Sono questi minutamente descritti nella visita del 1828. Qui sono ricordate alcune memorie scritte al muro, di pura devozione, che ora meno qualcuno non più si leggono, essendo state imbiancate e ricoperte. - All'altare della Pietà eranvi un Monte di Pietà, ora dissipato. Possiede alcuni fondi amministrati dall'Abate pro-tempore. Vi era l'obbligo celebrarvi ogni Mercoldì pel fu Fabio Di Domenico. Si celebrano dall'abate per due porzioni, per la terza dai canonici. Sono ridotte ad decennium a 14 per l'abate, ad otto per ciascuno dei canonici. La riduzione è fatta il dì [...] Nell'altare della Madonna di Loreto è eretto il beneficizio della Madonna di Loreto, che si possiede dal can.co sig. d. Angelo Falcioni. E' patronato della famiglia Colonna. (L'attuale altare in vista dell'umidità sarà asportato, a spese del possessore del beneficio in altro luogo decente, e ne ebbe rescritto facoltativo come a pag.a 31). Ha l'obbligo di messe dieci. L'attuale possessore can.co Falcioni documentò l'adempimento. Esaurì l'Ecc. S. R.ma tutti gli atti di Visita Reale e formale in detta chiesa, ed avendola trovata decentissima, si compiacque della decenza e della devozione. Di questa chiesa ha cura l'ab. pro-tempore, e vi è un eremita per custode. Mons. Vescovo Curoli nell'ultima sagra visita del 1839 emanò un decreto per la regolare distribuzione della elemosina delle messe, che manualmente s'introitano in questo santuario. Venne riconosciuto, e confermato in questa sacra visita. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 62/126 Giunta l'Ecc.za Sua R.ma nella terra di S. Anatolia, smontò innanzi la chiesa parrocchiale, orò innanzi al SS.mo sagramento, osservò la sagrestia, gli altari, il materiale della chiesa di bella forma, e quindi si diresse verso la casa del sig. can.co d. Giuseppe Placidi, ove gentilmente era stato chiamato con tutti i suoi, per alloggiare. Sull' Ave Maria recitato il mattutino, ed il Santo Rosario, preso un ristoro si andò a riposare. CHIESA DI S. NICCOLA - PARROCCHIALE S. Anatolia 22 Maggio 1851. Si premette che la terra di S. Anatolia è situata su di amena collina alle falde dell'Appennino. Conta circa 400 anime. E' parrocchia di patronato del principe Colonna vacante per la vertenza come si è detto della parrocchia di Torano. Il parroco pro-tempore ha il titolo di abate. Non ha sepolcri i quali sono nel Santuario di S. Anatolia. La parrocchia è sotto il titolo di S. Niccola, e a questo santo è dedicata la chiesa. Ha cinque altari, oltre il maggiore, fedelmente descritti nella visita del 1828, pag. 179, dopo la quale non ebbero cambiamento, con tutti i pesi annessi. Nel Maggiore conservasi il SS.mo sagramento che possiede alcuni beni, di cui l'amministratore rende conto alla beneficenza. Colle rendite si mantiene la lampada, si provvede la cera per le varie funzioni, si soddisfano le messe, che sono notate più sotto al titolo de' legati. Regolare è l'amministrazione. - Anche la Madonna del Rosario ha vari fondi che si amministrano come quelli del sagramento, e colle rendite si soddisfa ai vari pesi annessi. BENEFIZI NELLA PARROCCHIA Benefizio patronato Placidi all'altare della Vergine del Carmine coll'obbligo di messe tre al mese e tre fra l'anno. Si possiede dal vivente d. Giuseppe Placidi con bolla episcopale, che documentò l'adempimento. Fu eretto nel 1696, come al bollario di detto anno pag. 222. - Benefizio semplice all'altare de Rosario, fondato l'anno 1620 (Boll. 96 pag. 166) da Liberato De Angelis, esecutor testamentario di Teobaldo Rocchi di Magliano per gli atti di Giuseppe Rocchi di Magliano (Vedi anche il Bollario del 1627, alla pag. 189). Nella visita del 1828 si dice posseduto da d. Angelo Falcioni, ma risaputosi dal medesimo non possederlo, se ne diede notizia alla diocesana. - Benefizio patronato della famiglia Spera del titolo S. Giovanni Battista nell'altare di questo titolo con una messa al mese. Si possedeva dal fu ab. d. Pietro Placidi, e dalla nostra cancelleria apparisce fondato l'anno 1606. Si considera come cappellania manuale. Si documentò l'adempimento. Questa parrocchia si considera in qualche modo come collegiata, ed il capitolo composto dall'abate, e tre canonici, debbono per antica consuetudine assistere alle messe solenni, ai vesperi, alle processioni, alle altre funzioni, associando anche i cadaveri. Partecipano coll'abbate alle decime, e agli emolumenti de' funerali. Ora due soli sono pieni, uno vacante, tutti di nomina de' principi Colonna. Il vacante è amministrato dalla diocesana. (nota Questo terzo canonicato, come dalla memoria nella pagina seguente, del titolo di S. Niccola, e che possiedeva il fu can.co Amanzi col peso di messe dodici annue è riunito alla parrocchia). ALTRI BENEFIZI Oltre la prebenda abbaziale, e i tre descritti canonicati, e patronati vi sono altri benefizi; cioè: - Nella grotta di S. Leonardo con altare diruto benefizio semplice di detto titolo patronato Colonna, la di cui istituzione una volta la dava il S. abate di S. Paolo. Lo possiede l'attuale can.co d. Giuseppe Placidi. Ha il peso di num. 20 messe annue. - Benefizio semplice patronato Colonna nella chiesa rurale di S. Lorenzo in Cartora, col peso di una messa al mese, amministrato dalla diocesana, e si documentò l'adempimento (Riunito come sopra). Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 63/126 Visitata la detta chiesa, nuda col semplice altare ove si serbano i sacri arredi; si trovò atta ai divini uffizi. - Benefizio del titolo S.Costanzo patronato Colonna ritenuto dalla diocesana con messe 15 all'anno che documentò l'adempimento. Questo benefizio non ha chiesa propria (Memoria - Con Decreto Reale del 17 -7bre 1836 (vedi la copia pag. 461) furono riuniti a questa parrocchia a titolo di congrua i titoli - S. Lorenzo in Cartora - S. Costanzo - S. Niccola - di cui è in possesso già la parrocchia - dichiarata in quel decreto di Regia nomina). - Della chiesa di S. Atanasio, ci sono rimasti i ruderi. L'obbligo di messa una solenne e tre lette si adempie dalla Compagnia del Sagramento. ORATORIO PRIVATO In casa del Sig. can.co d. Giuseppe Placidi con breve pontificio di recente data ha il diritto la predetta famiglia Placidi dell'oratorio. E' ben fornito di sacri arredi e tutto decentissimo. CHIESA DELL'ADDOLORATA A devozione del popolo, su di un colle di fronte al paese, per una grazia di Maria Vergine, si diè principio vari anni dietro ad una chiesa. Mancarono i mezzi nel meglio, e tuttora resta incompleta. Si invitò il popolo al proseguimento, e soprattutto ad assegnare una dote al mantenimento, onde non vederla rovinare nel nascere. LEGATI PII RIEPILOGATI I Legati pii in questa parrocchia sono i seguenti: Nella chiesa parrocchiale a carico della Compagnia del sagramento: 1 Messe quattro annue pel sig. Antonio Placidi. - 2 Una annua pel sig. Francesco Gentili. - 3 Quattro annue per la sig. Antonia Amanzi. - 4 Una solenne, e tre lette annue, che si soddisferanno nella chiesa di S.Atanasio ora diruta. - A carico della Compagnia del Rosario: Messe due annue pel sig. Carlo Amanzi. A carico del benefizio patronato del Carmine messe due ogni mese, più tre infra annum. A carico del benefizio patronato Spera messa una al mese. Messe dodici annue pel canonicato riunito alla parrocchia, che godeva il fu' canonico Amanzi. Messe quindici pel beneficio di S. Costanzo riunito come sopra. Messe dodici pel beneficio di S. Lorenzo riunito come sopra. Messe dodici pel canonicato Falcioni. Messe dodici pel canonicato Placidi d. Giuseppe. Messe venti pel beneficio di S.Leonardo patronato già Colonna. - Nella chiesa del Santuario di S. Anatolia: - Nella cappella della Pietà messa una ogni mercoledì. Ridotte ad decennium a num. trenta. - Messe dieci annue al Altare di S. M.a di Loreto pel benefizio ivi eretto. - Nella chiesa di S. Maria del Colle - rurale: - Messe due annue a carico del benefizio. ECCLESIASTICI IN SANT'ANATOGLIA: – d. Francesco De Giorgio ab. economo da più anni dalla diocesi de' Marzi di anni 45; - de. Giuseppe Placidi di anni 83 canonico semplice; - d. Angelo Falcioni di anni 80 canonico come sopra; - Vi sono i chierici - Scafati e Panei, che dimorano in Sem.. ================ Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 64/126 S. Ecc. R.ma in questa stessa mattina recatasi in chiesa, ed ivi [...] vice. ab. d. Franco De Giorgio, pratico quanto proferiva il Pontificale Romano, ed amministrata la S. Cresima, visitato il Tabernacolo Santo, nonchè tutto il formale, e materiale della chiesa, si ritirò nella residenza, decretò come a pag. [...]. Il convisitatore, esaminò i libri parrocchiali, de' pii legati delle amministrazioni, ed ordinò un nuovo impianto ai legati per la retta soddisfazione, ed un libro per un'amministrazione più esatta dei "Pii. Nota - Questa parrocchia mai ebbe casa parrocchiale. Nel dopo pranzo si visitò - Spedino - qui appresso descritto. S. Anatolia Fedi di stato libero e verifica dell'impedimento che si passa tra: Giuseppe Rubeis figlio di Pietro e Domenica Peduzzi fu Niccola. Comparve testimonio Giovanni Rubeis fu Ubaldo di S. Anatolia il quale depose conoscere i predetti Giuseppe e Domenica, di conoscere la forza del giuramento fatto il quale vincolo intendeva essere esaminato. Depose che detto Giuseppe è parente in terzo, in quarto grado consanguinità, che visse sempre in libero stato dalla nascita fino al presente, che visse trattando con familiarità Domenica Peduzzi, che il luogo, ossia paese cioè S. Anatolia è tale da verificarsi la ristrettezza locale, che la donna è oltre gli anni venticinque, che ambedue nulla posseggono. - Comparve Angelo Di Cristoforo figlio del fu Alessandro, il quale interrogato come sopra in tutti gli articoli nominati, depose e ratificò quanto depose, e rettificò l'altro testimonio Giovanni Rubeis. S. Anatolia in atto di S. Visita il 22 maggio 1851 Ar.p.te Agostino Sepio di S. Visita, e cancelliere assunto a quest'atto. Beatissimo Padre - Giuseppe Rubeis e Domenica Peduzzi di S. Natolia nel Regno Diocesi di Rieti prostrati ai piedi della Santità Vostra umilmente espongono, che per togliere lo scandalo insorto pel tratta familiare avuto fra loro, per la ristrettezza del luogo e l'età della donna, desiderano unirsi in tanto matrimonio, ma perchè congiunti in terzo e quarto grado di consanguineità, implorano la dispenza di tale impedimento, e perchè poveri di non poter sostenere le spese della Pateria, se l'augurano per l'organo della Sacra Penitenziaria, che della grazia. FERDINANDO II per la grazia di Dio Re del Regno delle Due Sicilie di Gerusalemme Duca di Parma, Piacenza, Castro, ecc. ecc. Gran Principe ereditario di Toscana, ecc. ecc. Al diletto nostro Parroco della Regia chiesa di S. Niccola in S. Anatoglia, essendoci determinati ad accordare un aumento di congrua a codesta parrocchia di Nostro Regio Padronato ad oggetto che i parrochi vostri successori possate più agiatamente, e con maggior zelo soddisfare all'obbligazioni della cura delle anime abbiamo pertanto con decreto de' 25 luglio ultimo aggregato a codesta regia parrocchia med.a per sua sopraddotazione, i vacanti benefizi semplici anche di nostro regio padronato, e sotto i titoli di S. Lorenzo in Cartoro, e di S. Costanzo, e di S. Niccola nella stessa chiesa. Quindi vogliamo che tutti gl'ecclesiastici, ai quali spetti, tutti i magistrati, e le altre autorità constituite nei nostri reali dominii riconoscano, e garantiscano la Regia parrocchia med.a nel possesso degl'indicati beneficii. Ed affinchè poi rimanga perpetuo documento di questo tratto di nostra munificenza o riguardo di codesta parrocchia med.a, abbiamo ordinato di spedirne il presente diploma da noi sottoscritto, munito del nostro reale suggello, e riconosciuto dal Nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze incaricato del portafoglio degl'affari ecclesiastici. Napoli, 17 7bre 1836. Ferdinando = Marchese d'Andera = Reg. Pag. 49 n. 40. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 65/126 RISPOSTA alle domande di Monsignor Vescovo D. Gaetano Carletti per ciò che riguarda la chiesa di S. Nicola in S. Anatoglia L'anno 1851 ARTICOLI GENERALI 1. Anticamente la chiesa parrocchiale era S. Anatoglia; ma ora è S. Nicola. La chiesa di S. Anatoglia è consagrata e non si sa ne l'epoca ne il vescovo. Solo si celebra l'anniversario il dì 28 aprile per tradizione. Quella di S. Nicola non è consagrata. 2. La chiesa di S. Anatolia è anteriore al paese ne si sa da chi fu eretta. Quella di S. Nicola è stata eretta dai cittadini, ed ora è di Regio patronato. Il fine della sua rezzione rimonta ad un secolo, sebbene esisteva una piccola chiesa. 3. In uno stato mediocre, e si dovrebbe restaurare. 4. Vi sono otto altari, cioè: - L'altare Maggiore - l'Addolorata - SS.mo Rosario - S. Giovanni - Natività di Maria SS.ma - S. Luigi - S. ma Concezzione - Suffragio L'altare di S. Giovanni è di juspatronato della famiglia Spera, e l'altare della Concezzione è della famiglia Placidi. Il solo altare del Suffragio è privileggiato, come dalla iscrizione sopra il med.o ma non esiste breve alcuno. 5. Gl'altari propriamente non hanno dote alcuna. E si mantengono col sopravanzo de LL. Pii, se vi è. 6. Il tabernacolo è di legno. L'olio si prende colla vendita di esso. 7. Nella chiesa di S. Nicola non vi sono sepolchri, ed i defunti si seppellisco nella chiesa di S. Anatoglia dove sono sei sepolchri, e distano dagli altari quattro palmi circa le più vicine, e l'altre distano di più. Sono tutte comunali. 8. Evvi battistero, organo e campanile con due campane. 9. Non ci sono corpi de' Santi, ma alcune reliquie e sono le seguenti: S. Nicolò = S.Anatoglia = S. Dodici Apostoli = Velo di Maria SS.ma = S. Luigi Gonzaga = . 10.Gl'arredi sacri sono di mediocre qualità e sono due calici di rame uno argentato, ed uno indorato. Due Piside di rame aurato. Un'Ostensorio d'argento, fatto nello scorzo anno. Pianette sei. Tovaglie 26. Fiviale uno. Parato uno. Incensiere uno d'argento. 11.Vi sono sepolcri per i due sessi, e per i fanciulli ma non per gli ecclesiastici. 12.Non vi sono ne confraternite ne congregazioni. 13.[...] 14.[...] 15.Vi sono li beneficii semplici e sono: S. Leonardo = S. Giovanni = S. Maria del Colle = Maria SS.ma di Loreto = Cappella del Carmine =. Vi sono pure de' legati pii e sono: Messe 30 l'anno alla SS.ma Pietà nella chiesa di S. Anatoglia = Messe nella dedica della chiesa di S. Anatoglia, nel dì due maggio, nel dì del Corpo D.ni e S. Sebastiano. 16.Vaca il solo beneficio di S. Maria del Colle, ed è sotto la diocesana. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 66/126 17.Il Sig. d. Giuseppe Placidi oltre il canonicato possiede il beneficio di S. Leonardo e del Carmine. Il Sig. d. Angelo Falcioni oltre il canonicato possiede anche il beneficio di Maria SS.ma di Loreto, ed alla chiesa non vi sono altri inservienti. 18.La sagrestia è in uno stato mediocre, e si dovrebbe meglio accomodare. 19.Non vi è archivio. 20.Non vi è cimiterio. 21.Non vi sono indulgenze. 22.Oltre le feste tutte del Signore, che si fanno a spese della chiesa istessa, si fanno le feste di S. Luigi, di S. Anatoglia e di S. Nicola e tutte per mezzo dell'elargizione de' fedeli. 23.Non vi sono altri legati de' soprariferiti. Ne vi è tabella. 24.La chiesa propriamente non ha rendita, ma ad essa si è aggregata la rendita detta: SS.mo Sagramento = SS.ma Pietà = S. Sebastiano = SS. mo Rosario e S. Anatoglia, e con la rendita di questi LL. Pii si mantiene la chiesa. I detti LL. Pii sono amministrati da Giovanni Federici, e la sua rendita la farà conoscere nei conti che renderà innanzi a S. Ecc. R.ma. 25.La rendita consiste in fondi rustici, e non ci sono ne' censi o altri diritti. 26.La chiesa ha un debbito di D. 113 col campanaro per la campana da lui fusa nel 1849. Liti non ne ha. 27.Non vi sono rendite destinate per la fabbrica, ed il peso del mantenimento incombe alla Reale Corona. 28.Non vi è nessuno inventario ne' vi sono carte di fondazione ne' istrumenti. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 67/126 ARTICOLI DE' PARROCHI 1. 2. 3. 4. Il Santo titolare è S. Nicolò de' Bari, ed il paese intero è soggetto alla stessa parrocchia. Vi è la compagnia del SS.mo sagramento. Evvi il fonte battesimale, ma non si conosce l'epoca. La Badia è vacante, ed agisce in qualità d'economo curato d. Francesco Giorgi, che essendo stato posto in ajuto dell'ultimo possessore d. Pietro Placidi da monsignore d. Filippo Curoli. Fu poi dal medesimo confermato dopo la morte di detto Placidi 5. La congrua che ha non è sufficiente. 6. Non vi è casa parrocchiale. 7. La sud.a Badia ha due casi detti canonici coadiutori, cioè d. Giuseppe Placidi, e d. Angelo Falcioni. 8. Non vi sono altri sacerdoti. 9. Non vi è maestro di scuola pubblica. 10.Nella chiesa di S. Anatoglia vi è l'eremita, chiamato Giovanni D'Alfonso della diocesi di Sora di anni 70 e di moderati costumi. 11.Tre chiese trovansi nel recinto del parrochia cioè S. Anatoglia, S. Maria del Colle, e S. Lorenzo in Cartora. Altro non vi è. 12.La parocchia è composta d'anime 575 circa. Non vi sono scomunicati. Ne interdetti d'eresia sospetti, concubinarii, usuraii, sebbene si sente risonare qualche bestemmia semplice. 13.Non vi sono persone ascritte a sette, non vi sono libri proibiti. Vi sono quelli che non hanno adempito al precetto pasquale e sono Angelo Nicola Amanzi per anni 5. 14.Una sola è l'ostetrice cioè Domenica Pozzi, ed è di buona condotta, ed è stata più volte istruita sulla forma del battesimo. 15.Le feste non si osservano se non da pochi. Non vi sono altri abusi che l'ubbriachezze, ed il vedere sempre aperti i luoghi pubblici. 16.Il parroco suole predicare in tutti i dì festivi, eccettuati qualcuno in tempo di mietenza. 17.Non vi è stato mai predicatore. 18.La dottrina Cristiana s'insegna in tutti i dì festivi ed ogni giorno di Quaresima. 19.Nei dì festivi poco vi è concorso. Nella Quaresima assai. 20.Istruiti i fanciulli nelle cose necessarie si fanno fare ai medesimi gl'atti prattici, come deve far l'esame, come il dolore, come il proposito, come l'accusa, e come la penitenza al confessore. Per quelli poi che si ammettono alla prima Comunione dopo averli istruiti delle cose necessarie si portano in luogo separato dove dal parroco si fà un discorso facendogli conoscere = il nostro niente = l'amore che cosa ci ha portato = chi sà quello che si riceve = e cose simili. 21.Si fanno dall'economo curato. 22.La tassa de' funerali è di paoli sei con officio, e messa cantata. Vi erano alcuni abusi, ma si sono quasi eliminati. 23.Tutti i sagramenti vengono amministrati secondo il rituale romano. In occasione di matrimoni vi è il solo abuso che benedicendosi le nozze i sposi si communicano prima della messa e non già nella messa istessa. 24.Gli sposi sono esaminati sopra i misteri della fede e dottrina cristiana. 25.Le congregazioni si sono in tutto abbandonate. S. Anatolia risposte ai quesiti. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 68/126 Visita di mons. Egidio Mauri nell'anno 1874 Prima visita pastorale nel Cicolano Fatta nell'anno 1874 da Sua Ecc.za M.r Egidio Mauri Vescovo di Rieti Disbrigati tutti gli affari di S. Vis. nel villaggio di Torano, fatto l'ascolto all'abbate ed al coadiutore, accolti molti sacerdoti accorsi dai vicini paesi, M.S. Vescovo alle 9 1/4 di sera partiva co' suoi per S. Anatolia e vi giungeva alle 9 3/4. Scendeva di cavallo in casa dei Placidi, dove prese alloggio fino alla mattina del 18 giugno. S. Anatolia = SANCTA ANATOLIA = 16-17 giugno CHIESA PARR. DI S. NICCOLA S.Ecc.ma giunta appena in questo villaggio si recò dalla casa Placidi alla chiesa parrocchiale sotto il baldacchino, sostenuto dai fratelli del SS.mo Sacram., e preceduto da una processione di Figlie di Maria, al canto del Salmo Benedicty. Sull'ingresso della chiesa fu ricevuto dall'abb. locale don Costantino Placidi, vi eseguì, in mezzo ad una turba di popolo accorso alla chiesa, le funzioni ed assoluz.i prescritte. Predicò fervorosamente al popolo intenerito, lo benedisse colla S. Pisside, visitò il ciborio, assiste alla benedizione della novena di S. Luigi. Dopo la quale essendo l'ora tarda, rimise al dimani il resto della S. Visita in questa chiesa e preceduto come prima da tutta la schiera delle Figlie di Maria, cantando inni in lode della Vergine, si ritirò in casa dei sigg. Placidi. Il giorno seguente celebrato l'incruento sacrificio nell'oratorio privato dei Placidi, si recò di nuovo in chiesa parr. per continuarvi la S. Visita. Questa chiesa per altro di elegante struttura fu riconosciuta bisognevole di restauri fin dall'ultima nostra visita del 1851. In questo lasso di tempo si sono fatti sempre più urgenti e tutto il materiale di essa chiesa merita assolutamente di essere ripulita e guardata dall'umidità che quanto prima la farebbe rivinare. Dietro ciò M.r Vescovo si raccomandò vivamente per un sollecito restauro, come leggesi alla pag. 55. Quanto all'indicato restauro della chiesa Parr. d. abbate Placidi promise a M.r Vescovo far venire quanto prima un ingegnere dal lago Fucino per consultarlo in proposito e segnatamente per combinare il modo di impedire l'umidità della chiesa. CHIESA DEL SANTUARIO DI S. ANATOLIA Grande è la divozione che questo Santuario risquote tuttora dal popolo e dai paesi limitrofi. Le sue memorie sono ricordate nella vis. 1828-1851. Coll'andar del tempo questa chiesa era quasi ruinata. Da qualche anno si è incominciata a restaurare colle elemosine dei fedeli. Ma non sono ancora ultimati i restauri. Mr. vescovo raccomandò vivamente il sollecito proseguimento dei med. . Vi si continua a seppellire. Si spera però che si renda sepolcrale l'altra chiesa fuori del paese di "dell'Addolorata". Quanto agli oblighi di messe annessi a questa chiesa. .... vedi appresso. Ha la cura di essa l'abb. pro tempore e vi è tuttora eremita per custode. Quanto alla distribuzione dell'elemosina delle messe che manualmente si introitano in questo santuario, si osserva tuttora il decreto emanato in proposito da Mr. Curoli nel 1839. Mr. Vescovo visitato personalmente questo Santuario, ad onta dei restauri che vi si debbono ancora praticare, lo trovò atto ai divini uffici ed alla celebraz. della S. Messa. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 69/126 CHIESA DELL'ADDOLORATA: Si trovò tuttora incompleta la fabbrica di essa. Non se ne può sperare la continuazione. Si vuole rendere sepolcrale invece del Santuario. Non vi si è mai funzionato nè celebrato. CHIESA PAR. DI S. MARIA DEL COLLE: Ne esistono solo le pareti. Senza tetto, senza porta, senza altare. Quanto al beneficio erettovi vedi sotto S.Benefizio. CHIESA RURALE DI S. LORENZO: E' quasi ridotta ad usi profani. Dista mezz'ora dal paese. Non vi si celebra più. CHIESA DI S. COSTANZO: Non ne esiste più traccia alcuna; il S.mo Sacram. però fa ancora soddisfare i pesi annessi di messa una solenne e 3 lette. BENEFIZIO DI S. MARIA DEL COLLE: Questo perchè vacante lo amministrava la diocesana, da questa però nel 1865 passò all'economato (regio). ALTARE DELLA PIETA': Nella chiesa Santuario di S. Anatolia. Questopossedeva un monte frum. ma è disperso. I beni che possiede sono oggi soggetti alla congregazione di carità di Borgo Colle Fegato. Si amministrano però dall'abb. pro tempore. Si documenta il regolare adempimento di messe 14 a carico dell'abb. e di 8 per ciascuno a carico dei can.ci. Il peso originario era di messa una ogni mercoledì pel G.ri Fabio Di Donico. Si ottenne una riduz. come sopra ad decennium, che cessò col luglio del 1849. Si decretò come a pag. 56.s.2. Tanto più che fu qui alla congregaz. di carità si è fatto sempre apparire l'adempim. originario di messe 50. L'indulto di riduzione fù prorogato in questa s. visita ad un altro decennio.. BENEFIZIO DELLA MADONNA S.MA DI LORETO: Ha il peso di messe 10 all'anno. Da 60 anni fa fu riunito al canonicato Falcioni. Dal 1860 lo possiede l'economato reggio di Città Duc. che per assicurazione del sacerd.e Panei ne fa annualmente soddisfare il peso di messe 12 all'anno. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 70/126 BENEFIZIO PATRONATO PLACIDI: All'altare del Carmine col peso di messe 2 al mese e 3 all'anno. Lo possiede d. Costantino Placidi con bolla. Documenta, il regolare adempimento agli oblighi.. - BENEFIZIO SEMPLICE ALL'ALTARE DEL ROSARIO: Lo possiede ora la congregazione di carità di Borgo Colle Fegato. Non avendo esso natura di benefizio ma di beni annessi alla congregaz.e del Rosario non si comprende come sia caduta in mano della congeg.e rispettando almeno fin qui la legge ai beni delle compagnie. Questi però sono amministrati dall'abate pro tempore che rende conto alla congregaz.e. Pare non abbiano pesi di messe.. - BENEFIZIO PATRONATO DELLA FAMIGLIA SPERA: Del titolo di S. Gio. Battista il peso di messa 1 al mese. Lo possiede da lunghi anni d. Franco Giorgi di Sante Marie diocesi de' Marsi ora parroco in Oricola. Lo ottenne quando era abbate parr. in S. Anatolia. I sacerdoti di questo paese assicurarono che il Giorgi fa puntualmente soddisfare ogni anno l'obligo indicato.. - BENEFIZIO SEMPLICE DI S. LEONARDO: Ha il peso di 20 messe all'anno. Lo possiede d. Angelo Scafati, perchè riunito da circa 90 anni fà al S. Canonicato. Documentò la fedele soddisfazione. BENEFIZIO DI S. LORENZO, DI S. COSTANZO E DI S. NICCOLA: (Quest'ultimo benefizio primadella riunione formava il 3 canonicato). Questi 3 benefizi con regio decreto del 17 ottobre 1836 furono a titolo di congrua riuniti alla parr. di S. Anatolia dichiarata nello stesso decreto di nomina reggia. Il parroco abbate d. Costantino Placidi documentò il fedele adempimento dei pesi annessi ai 3 benefizi.. - CANONICATI: Dopo la riunione del 3 alla parr. 2 sono i canonicati presentemente del titolo di S. Nicola. - Il 1 che ha l'obligo di coadiuvare il parroco ha l'obligo di messe 18 all'anno. Attualmente lo possiede d. Angelo Scafati ns. vic. foraneo con Bolla vesc. del 1858. Documentò l'adempimento del peso. - Il 2 era vacante e nel 1860 passò al canon. regio. Il diritto di nomina dei caninicati dai Colonna passò al Re' di Popoli. Quindi sono di patronato regio. - Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 71/126 MESSE PRO POPULO: Soddisfatte legati: vedi il decreto apporto al relativo registro e riportato nel fascicoli decreti a pag. 56. - LIBRI PARR.: ovati regolari ed approvati con qualche piccola osservazione quanto ai cresimati. - CASA PARR.e: Non vi è stata mai. L'attuale abb. abita in casa propria. SACERDOTI IN S. ANATOLIA: D. Costantino Placidi parr.o abbate dal 1856. Questi nel gennaio di quest'anno (1874) ha spontaneamente rinunciato all'abbazia ed in sua vece dietro formale concorso ha ricevuto le bolle l'altro sacerd.e di S. Anatolia d. Gio. Batta. Panei paesano, il quale però non ha ottenuto ancora il Regio Regnatur. Ma non essendovi alcun ostacolo, si spera che lo avrà presto. Il Panei è di anni 37. Il 3 sacerd.e residente in S. Anatolia è d. Angelo Scafati paesano, nostro vic. foraneo e 1 canonico coadjutore dal 1858. Disbrigati gli affari di s. visita in S. Anatolia i convisitatori inoltrarono a S.Ecc. R.ma desiderio di visitare le vicine e storiche contrade de' Marsi e segnatamente il monumentale lavoro del prosciugamento del lago Fucino per opera ed a spese del Principe Torlonia. S. Ecc. annuì e vi si recarono di fatto. La sera del 16 trattenendovisi tutto il dì seguente rimanendosene Mr. Vescovo in S.Anatolia. La mattina del 18 giugno, Mr. vescovo celebrato di buon'ora l'incruento sacrificio nell'oratorio privato dei Sigg. Placidi, in compagnia del Vic. For., de' suoi, e di parecchi altri sacerd. dei paesi vicini si recò a Spedino. S. ANATOLIA: Avendo noi visitata la chiesa parr.e di S. Niccola nella terra di S. Anatolia abbiamo riconosciuto in tutto il suo materiale, il bisogno di un urgente e generale restauro. Quindi è che innanzi tutto vi raccomandiamo vivamente alla tanto devota popolaz. del villaggio, perchè colle sue caritatevoli largizioni voglia concorrere al desiderato restauro che vogliamo sperare si farà quanto prima, per non vedere più a lungo in cattivo stato una chiesa per altro di bella ed elegante forma e struttura. Pertanto abbiamo decretato: che tosto si ripulisca il tratto di parete presso la lampada del SS.mo; che si ristucchino gli altari di S. Luigi e del Carmine e si restauri il pavimento alla Cappella di S. Giovanni. Tranne l'altar maggiore si rinnovino in tutto gli altri altari i fiori, si fornisca il confessionale a destra di due [...] e delle imag. del Crocefisso. Si procuri maggior nettezza al fonte battesimale e si faccia una decente cassetta per conservarvi i vasetti. [...]. Sia interdetto l'altare della Natività finchè non vi si riporrà nuova pietra sacra essendo rotta la presente.Si restauri l'ombrellino; si fornisca di serratura e chiave l'armadio dei vasi sacri ed arredi e si ripongano alle finestre i cristalli mancanti. Si ripuliscano tutti i reliquiarj e si proibisce la pubblica esposizione delle 2 cassette e del reliquiario [...]. Da S. Anatolia in atto di S. Vis. lì 18 giugno 1874 - Frm. Fr. Egidio [...] Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 72/126 Visita di mons. Bonaventura Quintarelli nell'anno 1897-1900 Sacra visita pastorale della sua Diocesi di M.r Bonaventura Quintarelli dell'anno 1897-1900 Parrocchia di S. Anatolia lì 22-23 e 24 Agosto 1897 Ultima S.Visita lì 18 settembre Anno 1887 La mattina del 22 agosto 1897 monsignor vescovo celebrata la santa messa nella parrocchiale di Torano alle h. 10.00 partì alla volta di Santa Anatolia, ove giunse in legno dopo tre quarti circa di cammino. Fu ricevuto da un numerosissimo popolo e al suono delle campane. Appena giunto aprì subito la Sacra Visita. Alla porta di chiesa era ad attenderlo il parroco e vicario foraneo, don Giambattista Panei, che in cotta stola e pluirale gli porse a baciare il Santissimo Crocifisso. Premesse le altre cerimonie di rito, diede la duplice assoluzione ai defunti della parrocchia. Quindi ascoltò la santa messa celebrata dal reverendo abate, durante la quale si recitò il Santo Rosario. A mezzodì si andò in casa dei Sigg. Placidi, ove si ebbe generosa ospitalità per i 3 giorni che si rimase in Santa Anatolia. Nelle ore pomeridiane sua eccellenza tornò di bel nuovo in chiesa, ove innanzi tutto tenne al numeroso popolo un dotto discorso; quindi amministrò il sacramento della Cresima a circa 200 bambini dell'uno e dell'altro sesso. Visitò il SS.mo Sagramento e impartì al popolo la prima benedizione colla Pisside. Fece infine la visita degli altari, dei confessionali, del fonte battesimale, dei sacri arredi, e gli olii sacri. Ma di confessionale ve n'è uno solo, il quale ha bisogno di una piccola riparazione alla porticina, che si è detto di fare. Messe pro populo: Le messe pro populo si trovano applicate puntualmente. Registri parrocchiali: Esaminati i libri dei nati, dei cresimati, dei matrimonii, dei morti, e stato delle anime, sono stati approvati con qualche osservazione. Legati a carico del parroco e dei luoghi pii: I nove legati a carico del parroco e dei luoghi pii sono stati soddisfatti a tutto il 1896, eccettuate cinque messe per il legato di San Nicola, che il R.ndo sig. arciprete applicherà quemprimum. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 73/126 Legati del Canonicato minore: A questo canonicato vi è annesso l'onere di 12 messe annue, ed è stato soddisfatto tale legato fino a tutto il 1896. Legati del Canonicato maggiore: Siccome le rendite di questo canonicato per privilegio speciale, le godono gli eredi di don Angelo Scafati, et canonico, quindi costoro devono soddisfare il legato, e si è incaricato il sig. abate, perchè vegga se trovansi col dovere che loro incombe. Legato a carico dei particolari: La famiglia dei sigg. Placidi ha un legato di 27 messe annue, e detto legato trovasi soddisfatto fino a tutto il 1896, e di più, già ne ha fatte applicare 25 pel corrente anno 1897. Messe per le anime sante del Purgatorio: Non esiste registro per le anime sante del purgatorio, ma il R.do sig. abate asserisce di aver sempre soddisfatto puntualmente secondo il costume del paese. Gli si è però ingiunto di fare regolare registro, e in esso annotare tanto le messe cantate cogli ufficii quanto le messe lette. Torano: Per la fu' Margherita Giuliani messa 1 cantata e 4 lette il 12 luglio in S. Maria del Molino: a carico del parroco e del 1 coadiutore: questo legato si crede proveniva dal beneficio di S. Maria del Molino unito alla Colleggiata, V. Bollan. an. 1590 pag. 229. Questi ultimi due legati non sembrano essere in vigore da lungo tempo. Questua del Purgatorio: Dimenticammo occuparcene: sembra che seguiti a farsi; almeno si fa in chiesa. Campo Santo: A sud-est di Torano: è comune con S. Anatolia, ed è guidata dai due paesi. Fu' benedetto, ed è in buono stato. La S. Visita deve avere [..]4.80, pari a L.25,53. Si ignora come dovessero ripartirsi fra benefici e cappellanie e forse una parte era a carico del comune. Il parroco ha dato ricovero, cibarie, e vetture per S.Anatolia. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 74/126 S. Visita in S.Anatolia (terra S.Anatolia) 22, 23 e 24 agosto 1897 Parrocchia e parroco. Coadiutoria e coadiutore: Trovasi questa terra a Sud-Est di Torano, e ne dista un'ora di viaggio. E' una valle di non piccola estensione, che giace fra le due borgate; qual valle giusta la più accreditata opinione è l'agro Torense, dove fu deportata e successivamente martirizzata S. Anatolia Vergine Romana, sorella romana di S. Vittoria pure Verg. e Mart.. Nella nostra diocesi si fa l'ufficio dell'una e dell'altra; ai 24 luglio e 16 ottobre rispettivamente. La terra di S. Anatolia sta sopra una collina, poco meno che alle falde, ad Ovest di monte Velino che è una delle più alte montagne degli appennini. Fu per lungo tempo feudo di Casa Colonna: dalla soppressione di diritti feudali e frazione del comune e mandamento di Borgocollefegato, e però appartiene al circondario di Città Ducale, provincia di Aquila: conta una popolazione di circa 1000 anime e sta nel confine delle due regioni Cicolano e Marsica. La parrocchia è eretta sotto l'invocazione di S. Nicola di Bari. Durante il dominio feudale era juspatronato dei Colonna: abolito dal dominio di Gioacchino Murat; la ristorazione Borbonica, in base ad una sua ben nota disposizione in materia, invitò i Colonna a documentare che il juspatronato non era punto un diritto feudale, bensì un diritto su fondazione o dotazione: pare che i già feudatari non potessero esibire la prova richiesta e così il juspatronato fu devoluto alla Corona. Questa però rinunciò a tal diritto con decreto 12 dicembre 1832, visita di quell'anno pag. 179 (allegato): e così questa parrocchia o badia divenne di libera collezione dell'ordinario. Quanto alla concura è da notarsi che fino a mezzo secolo indietro v'era colà una specie di collegiata; la quale contava della parrocchia o badia, e di tre canonicati: questi ultimi li troviamo posseduti da d. Arcangelo Amanzi da d. Giuseppe Placidi e da d. Angelo Falcioni nel 1828. Il Placidi anzi ed il Falcioni erano canonici anche nel 1851: i 2 canonicati erano di juspatronato Colonna poi, vedi sopra, passarono ad esser di nomina della Corona con decreto reale 1836, 17 settembre, il canonicato posseduto dall'Amanzi (detto di S. Nicola) (in una ai benefici semplici di S. Costanzo e S.Lorenzo in Cartore; di juspatronato Colonna poi come sopra della Corona) fu unito in perpetuo alla parrocchia o badia di S. Anatolia: Il Jus Palatinum di cui facevano uso i sovrani fino a quel tempo era sto per dire un'equipollente del Jus Pontificals; quindi conveniva ritenere tali unioni come canonicamente fatte! Il Decreto Reale in copia, leggesi nella visita 1851 pag. 461. Il canonicato goduto dal Falcioni (detto oggi canonicato minore) sta da gran tempo in amministrazione presso l'economato. Finalmente il canonicato goduto dal Placidi (detto oggi il canonicato maggiore) è quello che oggi forma la concura, in una al beneficio di S. Leonardo in Cartora uniti ad esso con decreto reale (era di nomina Colonna, poi della Corona come retro) 17 luglio 1858, bollario an. 1858 pag. 294. Abbate parroco è il sig. don Giambattista Panei del luogo, di anni circa 60, fin dal 1874. Questi è vicario foraneo di Borgocollefegato; ma risiede, naturalmente, in S. Anatolia. Il medesimo gode le rendite della concura; dirò meglio, ne è l'economo curato con patente vescovile del febbraro ultimo, placitata dalla procura generale. A Carico del parroco (legati a carico del parroco e del coadjutore): 1) Messe 12 gravanti il canonicato di S. Niccola riunito alla parrocchia. 2) Messe 12 gravanti il beneficio di S. Lorenzo in Cartora riunito alla parrocchia, una al mese. 3) Messe 15 gravanti il beneficio di S. Costanzo riunito alla parrocchia. L'abbate parroco soddisfa, e pare che così si costumi da ben 45 anni, nel modo seguente pel 1 leg. messe 12, pel 2 messe 15, e pel 3 messe 10. E' dunque quistione di due messe che si applicano in meno: quanto a noi possiamo dire che la lista che qui poniamo è desunta dall'epilogo del labreo, dalla visita del 1851; e dagli appunti dell'ultima S. Visita, i quali pare l'abbiano alla loro volta desunta dalla tabella locale. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 75/126 A carico della Concura: 1) Messe 12 gravanti il canonicato già goduto da d. Giuseppe Placidi. 2) Messe 20 gravanti il beneficio di S. Leonardo in Cartora unito a detto canonicato. n.b. La Concura dal 1858, 20 luglio, bollar. pag. 294 fino al 1884 fu goduto dal fu' Sig. d. Angelo Scafati di S. Anatolia, il quale sui primi del 1884 divenne preposto di S. Michele Arcangelo in Rieti (Borgo): dal 1884 restò vacante fine al febbraro covv. anno, in cui ne fu investito con patente vescovile (come economo curato) l'abbate parroco Panei. Le rendite durante la vacanza detta furono percepite dalla famiglia dello Scafati; alla quale incombeva l'onere di soddisfare i legati: dovrà verificarsi se lo ha fatto. Chiesa Parrocchiale: Trovasi nel paese verso il lato sud-ovest. La facciata è volta ad est: ha una finestra in mezzo; nelle pareti laterali della chiesa altre 9 finestre simmetriche, la decima è finta perchè in quella parte, nord, v'è la torre campanaria attigua. La chiesa è lunga ca. 18 metri, compreso il presbiterio; larga 8, senza le 6 cappelle ove sono gli altari laterali: è coperta a volta a vari settori, formati da cerchi o fascioni che posano sopra pilastri addossati alle pareti laterali, i quali dividono fra loro le dette cappelle. Sotto la volta un discreto cornicione che gira intorno intorno la chiesa. Sopra l'ingresso decente orghestra con organo. Pianceto in mediocre stato. Il presbiterio si innalza sulla platea di due gradini in pietra, che corrono tutta la larghezza della chiesa. Dietro l'alt. magg., vi si entra da due porte laterali al med., v'è la sagrestia: bello e spazioso vano a volta; largo 10 metri; lungo 5: mattonato discreto; due finestre ad ovest che la illuminano più che a bastanza: due discreti armadi per gli arredi; qualche cassa, qualche panca. La torre campanaria è attigua alla parete nord del presbiterio, a cornu epistole dell'altare magg. Ha due buoni bronzi, che servono anche per l'orologio comunale: Vi si entra dalla chiesa. Gli Altari sono otto: L'alt. maggiore; dedicato a S. Niccola di Bari titolare della parrocchia, ed a S. Anatolia verg. e mart., è addossato nella parete in fondo al presbiterio. Questo non è che la continuazione della platea, quantunque si sollevi sopra di essa di due gradini, come si è detto; è profondo ca. 4 metri, largo 7, alto più che a sufficienza e coperto a volta: alle stremità laterali di esso due sfondi simetrici, ove sono collocati due altari i quali sfondi sono profondi 2 metri, larghi 3, alti a sufficienza e parimenti coperti a volta. All'Alt. Magg., (nel quale si conserva il SS. in un decente ciborio in legno) sovrasta un'ampio riquadro: quasi in mezzo ad esso, piuttosto in alto, una tela di forma rotonda con relativa cornice in stucco, rappresentante la vergine col SS. bambino, S. Niccola a destra e S. Anatolia a sinistra: ai lati della tela, piuttosto in basso ma sempre nel riquadro un affresco, rappresentante nella parte destra S. Antonio di Padova cui appare il SS. bambino, nella parte sinistra due correligiosi del Santo, che lo guardano da una portiera alquanto sollevata. (Sopra il riquadro, anzi sopra il cornicione vi è rappresentante la SS. Trinità). A destra e sinistra del riquadro, sopra le due porte della sagrestia, due nicchie coi simulacri in legno di S. Niccola e di S. Anatolia. Sugli [....avesitia ri...] di detta porta, alla base delle nicchie, due piccole tele, in cornici dorate, dei SS. Cuori. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 76/126 Gli altari collocati nei due detti sfondi laterali all'Alt. Magg. sono dedicati quello a cornu evang. a S. Antonio da Padova con mediocre simulacro del santo in una nicchia sovrastante la mensa; l'altro a cornu ep.lae è l'alt. del Suffragio, v'è dipinta in tela la Vergine col SS. Bambino, e le anime purganti in basso: prospettive piccole, ma non [....rudecenti....] . Gli altri cinque altari ed il battistero sono collocati in sei sfondi simmetrici, pratticati nelle pareti laterali della platea (relativamente remoti del presbitero): sono profondi un metro e settanta cent., larghi metri 2 1/2, alti a sufficienza e coperti a volta. Discrete le prospettive degli alt. Il 1 alt. a cornu evang. è dedicato alla S.ma Vergine del Rosario: la quale vi si venera, col SS. bambino, effigiata in un simulacro in legno decentemente vestito, collocato in una nicchia soprastante la mensa; con cornice in legno munita di cristalli, e più in fuori altra cornice in stucco: intorno la nicchia in piccoli ...... tale sono dipinti i 15 misteri. Il 2 alt. a cornu evang. è dedicato a S. Giovatti Battista, che v'è dipinto in un affresco quasi del tutto casso: davanti a questo una tela con bella cornice dorata, di tal grandezza, che può passare, o quasi, come quadro dell'alt., la quale rappresenta la SS. Immacolata, con S. Agnese Verg. e Mart., ed alcune fanciulle (le figlie di Maria). Questo alt. era di juspatronato della famiglia Spera; oggi è nullatenente; quindi non si pensa più a mantenerlo. Al luogo del 3 altare a cornu evang. sta il fonte battesimale, di vantaggiose proporzioni: fulcro e tasca di pietra, il di sopra in muratura; di lato sta la piscina. Il 1 alt. a cornu eplae è dedicato alla B.ma Vergine del Carmine: la quale vi si trova dipinta in tela col SS. bambino; il B. Simone Stock a destra, S. Teresa a sinistra. Al posto del sottoquadro la vergine del S. Cuore, col SS. bambino in plastica; il piccolo simulacro sta dentro campana di cristallo: ai lati due palme di fiori in giaconetta, entro campane di cristallo. Ai lati dell'alt. due quadretti in tela con cornici dorate, rappresentanti S. Antonio da Padova e S. Rocco di Mompellieri. Ai fianchi della volta dello sfondo o cappella altre due piccole tele, rappresentanti S. Giuda Taddeo ap. e S. Vincenzo Ferreri. L'alt. è di juspatronato della famiglia Placidi, oggi Sig. Giuseppe, la quale lo mantiene con decoro. Il 2 alt. a cornu eplae è dedicato a S. Luigi Gonzaga; che vi si trova effigiato in un simulacro in legno, collocato nella nicchia soprastante la mensa, cornice di legno con cristalli, più in fuori cornice in stucco. Il sottoquadro è un'oleografia di S. Giuseppe con bella cornice dorata. Il 3 alt. a cornu aplae è dedicato alla natività della SS. Vergine: la relativa tela è di ristrette dimensioni; al posto del sottoquadro v'è un vecchio e piccolo simulacro della SS. Immacolata. Questa chiesa, di solida e regolare struttura, comunque vasta a sufficienza, ormai non contiene più tutta la popolazione se non a disagio. Reclamerebbe qualche risarcimento, di poca entità, e soprattutto una ripulitura generale: il che per altro non è per ora possibile; attese le gravissime spese a cui s'è dovuto sobbarcare il popolo per edificare la chiesa di S. Anatolia, di cui or ora, non ancora al completo necessario. La suppellettile è in stato mediocre, gli arredi in sufficienti condizioni. L'universa manutenzione, venute meno le rendite dei luoghi pii è ormai a carico del parroco e del popolo. Casa parroch.: Non v'è canonica in questa parrocchia. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 77/126 Chiesa di S. Anatolia: Trovasi a nord est del paese in basso alla distanza di circa un chilometro. La facciata, che ha un disegno, è volta a nord-ovest: ha nel mezzo una finestra di forma circolare lavorata in pietra; ed in basso tre porte, corrispondenti alle tre navate della chiesa, la maggiore delle quali porte offre anche essa un lavoro in pietra degno di rimarco. La chiesa è a tre navate: sono lunghe un 17 metri (escluso il presbiterio per quella di mezzo); larghe la centrale 6 in 7 metri, le laterali 4 per ciascuna, senza calcolare lo spazio occupato dai pilastri e corrispondente agli archi soprapposti, che dividono esse navate. La navata centrale è coperta da svelta e bella volta divisa a settori da archi o fascioni, che poggiano sulle fronti dei pilastri già mensionati: sotto la volta 10 finestre simetriche, cinque cioè da ciascuna parte: bel cornicione a molte linee, che corre intorno l'intera navata. Sopra l'ingresso ampia e decente orghestra in legno, con eccellente organo, sostenuta dal bussolone: vi si entra da porta esterna pratticata da lato alla facciata, a nord-est. Le navate sui lati, ove finora non è costruito alcun altare, sono coperte da volte a settori, divisi da archi che poggiano sulle pareti laterali della chiesa, in pilastri a piccolo rilievo, e sui pilastri divisori più volte ricordati: vi sono sette finestre a semicerchio; tre da una parte, e quatro dall'altra; l'ottava è finta. Il pianceto sta in eccellenti condizioni. Il presbiterio o cappella, ove è collocato l'alt. maggiore, ed unico finora, non è che la continuazione della navata centrale; e si alza su questa di due gradini in pietra, a semicerchio, che corrono tutta la larghezza di essa navata e del presbiterio: questo è profondo metri 3 1/2 o 4, largo 6 in 7: l'altare è staccato dalla parete retrostante di circa un metro: la sua mensa è foggiata ad urna, e vi si ascende per due gradini in pietra: nella parte posteriore della mensa si innalza a mo' di postergale una edificazione larga quanto l'alt., alta circa 7 metri, e dello spessore di meno d'un metro; in essa edificazione quattro colonne con capitelli, cimasa e sopracimasa con intagli e fregi in stucco: in mezzo a questa edificazione o prospettiva si apre una capace nicchia, ove è collocato il simulacro in plastica di S. Anatolia, alto circa metri 2 1/2; fuori la nicchia cornice in stucco, e poi due pilastrini piani a spigolo; il simulacro è lavoro del prof. Odoardo Alberto Sciaff di Boemia, lavoro che colà pregiano molto, e che forse ha il suo valore. Ai lati dell'alt. si aprono due porte, che immetto in due discreti vani: Quello a cornu eplae è la sagrestia; coperta a volta, e bene illuminata; decente armadio pei S. arredi; qui pende la corda dell'unica campana, piuttosto piccola, sita in archetto sopra muro: l'altro vano, a cornu evang. dell'alt., non è ancora compito; non v'è che le mura ed il tetto. A circa 6 metri dall'ingresso, a destra di chi entra, v'è nella navata centrale un'edicola o tempietto isolato; a largo e lungo poco oltre 3 metri, ed alto 2 1/2; è coperto a volta: nel lato che guarda il presbiterio v'è il muro, al quale è addossato un'altarino, negli altri tre lati una cancellata di ferro battuto; ai quattro angoli quattro colonnette in materiale simetriche, che sostengono la piccola volta. Nell'altarino un antico affresco rappresentante S. Anatolia, difeso da cristallo in cornice di legno. Nella volticella le immagini pure a fresco, in seguito ritoccate anzi deturpate, della SS. Vergine a perpendicolo della mensa, e dei quattro evangelisti verso gli angoli. Questa edicola vanta una relativa antichità, ed è tenuta dai terrazzani e forastieri in molta venerazione. La bella e capace chiesa di cui parliamo è di recentissima costruzione: fu incominciata e condotta allo stato in cui si trova in 20 anni o poco più; della chiesa antica non furono utilizzate che le pareti laterali, ma solo in parte, rafforzandole ed innalzandole. Il disegno dell'attuale chiesa è dovuto al P. Luigi Ferrante, gesuita, zio materno dei sig. Placidi Giuseppe e fratelli: quanto il disegno in discorso valga in arte lo ignoriamo; quel che possiamo dire è che ci parve assai bello, e stiamo per dire grandioso; e fa la stessa impressione a tutti. Questa vasta e costosa edificazione fu tirata su con largizione ed elemosine di ogni genere sia dei nativali del luogo, in specie dei Sigg. Placidi su ricordati, sia dei paesi circonvicini, i quali anche essi professano grande devozione alla gloriosa santa. La chiesa è sfornita di suppellettile e di S. Arredi: non v'è che il necessario per funzionarla nelle solite ricorrenze, e per celebrarvi: ma tutto da a credere che fra non molti anni avrà quanto occorre sotto tutti i rapporti. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 78/126 La chiesa, sugli avanzi della quale fu edificata l'attuale, vantava un'antichità: si ritiene che il corpo della santa sia stato in essa conservato per più secoli, prima di essere trasportato nella chiesa dei benedettini in Subiaco, ove ora si venera: era anche essa assai capace, ed avea pure tre navate; appartenne per lunghi secoli ai benedettini, ed ancora si ...additano... i ruderi dell'attiguo convento ad essi appartenuto. La nuova chiesa, venute meno le retribuzioni esistenti nella vecchia delle quali a suo luogo, deve essere in tutto mantenuta con elemosine dei devoti. Chiesa della SS. Addolorata: Trovasi a sud-ovest del paese alla distanza di 7 od 8 cento metri. Fu fabbricata da circa 60 anni; e fino a pochi anni or sono, ossia fino a che fu costruito il camposanto fu la sepolcrale della parrocchia. Non ha, ne ebbe mai altro che mura e tetto. sta in cattivo stato, massime nel tetto: può ritenersi che tra non molti anni andrà in rovina; non se ne ebbe cura per lo passato, e così sarà per l'avvenire, atteso che il popolo è tutto impegnato nel compiere, ornare, e provvedere la chiesa di S. Anatolia. Benefici e Cappellanie: Sono ed erano i seguenti: a) Beneficio di S. Niccola, detto 2 canonicato: fu riunito alla parrocchia. V. pag. 635 infine. b) Beneficio, detto 3 canonicato ad oggi canonicato minore; da oltre 40 anni è vacante, e sta in amministrazione presso l'economato: a questo canonicato è unito, non si sa come ne quando il piccolo Beneficio della Madonna di Loreto in altare omonimo nella chiesa vecchia di S. Anatolia. Il canonicato è gravato di 12 messe; ed il beneficio di 6; e secondo gli appunti dell'ult. S. visita (la visita 1850, 51 pone messe 16: pag.85) l'economato fa celebrare sole 10 messe, non 12, pel canonicato. c) Beneficio o cappellania di S. Giovanni Battista, eretto in alt. omonimo nella parrocchiale, bollar. anno 1606 pag. 42: è juspatronato della famiglia Spera. Questo diritto dagli Spera sembra sia andato in Giuseppe Scafati e sorella. Il patrono (o patroni) ha svincolato i beni (parte di questi furono venduti nel principio del secolo) per L.250; dunque i beni rimasti valevano perlomeno L.800; dopodichè li alienarono; e le messe 12 di cui era gravato il beneficio non sono state applicate dal 1881, epoca in cui morì l'ultimo investito, Sig. Francesco Giorgi extra diocesano. d) Beneficio o cappellania della SS. Vergine del Carmine: se ne può leggere la bolla d'erezione nel nostro bollario anno 1698 pag. 222; v'è inserito il relativo testamento e la nota dei fondi. Era di juspatronato della famiglia Cherubini: in seguito questo diritto passò alla famiglia Placidi, oggi Sig. Giuseppe e fratelli. V'è l'onere di due legati; il 1 di 2 messe al mese, il 2 di 3 messe all'anno: sono in vigore. I predetti Sigg. fratelli Placidi, dopo la morte del loro zio paterno Sig. d. Costantino avvenuta nel 1888, svincolarono i beni sborzando L.800; il che mostra che il valore di essi si accerta alle L.3.000, se non più poichè in quei luoghi spesso una notevole parte dei fondi non risultano a catasto. Fu suggerito al prelodato Sig. Giuseppe, uomo facoltoso, di sborsare una somma che rappresenti la dote perpetua dei due legati di messe, ed una percentuale d'un'equa composizione: fece buon viso alla proposta, e chiese di essere informato sulla natura dell'istituzione in discorso; il che potrà farsi. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 79/126 e) Beneficio della SS. Vergine di Loreto, riunito al canonicato minore. V. lettera b). f) Beneficio di S. Marie del Colle, chiesa ora diruta, di giuspatronato Colonna. Se ne ignora l'erezione: l'ultimo investito fu d. Francesco Fabrizi di S. Stefano del Corvaro, il quale viveva nel 1828. L'epilogo del labreo pone una rendita di ducati 13.60, pari a L. 57.80. Onere, oltre la manutenzione della chiesa che più non esiste: Due processioni dalla parrocchiale a S. Maria del Colle, già sita fra S. Anatolia e Torano, con due messe cant.; elemosina all'abate parroco ducati 2.40, pari a L.10.20: queste processioni e messe avevano luogo il 25 marzo ed il 2 luglio. Nulla sapevamo di questa istituzione quando fummo colà; gli appunti delle due ultime sacre visite non ne parlano: il beneficio fu incamerato; o riunito per decreto reale (la corona, come cennammo si sostituì ai Colonna nel Juspatronato) a qualche parrocchia dei vicini paesi, se non di S. Anatolia; come è avvenuto per quasi tutti i benefici di nomina regia in quei luoghi. g) Beneficio di S. Costanzo in Cartora: fu unito alla parrocchia. V. pag.635 in fine. h) Beneficio di S. Lorenzo in Cartora: fu unito alla parrocchia. V. pag.635 in fine. i) Beneficio di S. Leonardo in Cartora: fu unito al canonicato maggiore o concura. V. pag.636. Luoghi Pii: I luoghi pii in questa parrocchia erano: 1) SS. Sacramento all'alt. maggiore nella parrocchiale. I legati che lo gravavano erano: a) Pel fu Antonio Placidi messe 4; b) Pel fu Francesco Gentili messa 1; c) Per la fu Antonia Amanzi messe 4; d) da celebrarsi nella chiesa di S. Atanasio, ora diruta, messa 1 solenne e 3 lette. 2) SS. Rosario all'alt. omonimo nella parrocchiale, lo gravava 1 legato di 2 messe pel fu Carlo Amanzi. n.b. le 15 messe gravanti i due suddetti luoghi pii si celebrano ed applicano colà nelle seguenti ricorrenze, 1 cant. dall'abate e 2 lette dai due canonici ogni volta il 20 gennaro, festa di S. Sebastiano Mart.: il 28 aprile, anniversario della sagra della chiesa vecchia di S. Anatolia: il 2 maggio, festa di S. Atanasio patriarca Alessandrino: nella solennità del Corpus Domini: e nella 1 domenica di 8bre, festa del SS. Rosario. Da ciò può argomentarsi che i legati in discorso gravavano anche i luoghi pii, dei quali or ora ai nn. 3 e 5. 3) Di S. Anatolia: ossia del Santuario cioè per l'intera chiesa, e non per la sola edicola; come sembra esser certo. 4) Della Pietà o SS. Addolorata nell'alt. magg. della vecchia chiesa di S. Anatolia. Era gravato di una messa ogni mercoledì pel fu Fabio Di Domenico: questo legato fu ridotto a decennio da Mr. Mauri ai 17 giugno 1874, poi 27 7bre 1882 (sempre i S. Visita) ad altro triennio a 30 messe all'anno: però nell'ultima S. Visita, 18 7bre 1887, si avvide che nel concedere queste riduzioni era partito da un errore di fatto, dall'esiguità della rendita cioè; mentre queste giungevano a L.200 nette al mese, ed egli ne supponeva solo 32: ritenendo quindi di niun valore le riduzioni ingiunse al parroco Panei e al fu d. Costantino Placidi di ricorrere a Roma per una sanatoria; e comandò al Panei di rimettere messe 28, tralasciate da lui, sulla parte che gli toccava delle 30 annue. Quanto alla sanatoria ci facciamo lecito osservare che essendosi altrimenti erogate, in buona fede, le rendite del luogo pio, non sembra fosse necessaria; a meno che i due ricordati sacerdoti, il che è incredibile, avessero ingannato il superiore, o almeno si fossero accorti che questi era in errore. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 80/126 Quanto a noi il Panei ci dichiarò che dall'ultima S. Visita questo luogo pio (ed anche gli altri) fu amministrato dal Placidi fino al 1888, e che lui fino al 1890; e che il legato fu puntualmente soddisfatto, ma non spiegò se in base alla riduzione di M.r Mauri, o meno: noi, che ignoravamo la cosa, non gli domandammo ne questo, nè se avea applicate le messe 28 di cui sopra. 5) Di S. Sebastiano mart. nell'alt. omonimo in chiesa (vecchia) di S. Anatolia. Non siamo in grado di indicare l'entità della dote di ciascun luogo pio: sappiamo solo che i beni in complesso, incamerati nel 1881 e venduti 6 o 7 anni dopo, furono messi all'asta per L.10.000; e che il demanio liquidò annue L.445; sappiamo ancora che la metà o poco meno di questa rendita, e relativi fondi, era del luogo pio della Pietà. Si volle colà sul principio acquistare i beni, che si sarebbero potuti avere per L.7.000, nell'interesse dei medi luoghi pii; ma o non si potè o non si volle: I fondi furono acquistati da altri; e la ricordata rendita fu percepita dai luoghi pii fino al 1890: il Sig. Panei ha deposto che questa fu amministrata dal fu Sig. Costantino Placidi fino a che visse, ossia fino al 1888; poi da lui fino al 1890: che l'uno o l'altro la esaurirono nella soddisfazione dei legati di messe (vedi però quanto si dice al n.4 circa medicena), e nelle spese di culto; senza peraltro notare cosa alcuna. Dal 1890 in poi le cartelle di rendita furono dal demanio consegnate alla congregazione di carità: questa generosamente dà da allora in poi annue L.40, che servono per la lampada perenne. Ignoriamo in che precisamente, oltre i legati dei quali retro e la lampada perenne, si dovessero erogare le rendite: Si può supporre che vi mantenessero gli alt. Nei quali i luoghi pii esistevano; e le due chiese, parrocchiale e di S. Anatolia, in ciò che occorreva pel culto (cera, suppellettile, ecc.). Elemosine in S. Anatolia: Abbiamo già notato che il Santuario, ossia chiesa di S. Anatolia, è luogo di gran devozione non solo pei naturali del luogo, ma anche pei paesi circonvicini: molte furono le elemosine raccolte per edificare la nuova chiesa, e non poche sono quelle che seguitano a collettarsi per compirla; nè per grazia di Dio cesseranno compite questa, come ve n'erano prima di incominciarla. M.r Mauri, come risulta dagli appunti dell'ult. sua S. Visita 1887, si astenne dal prenderne conto: il ricordato Sig. d. Costantino Placidi, la cui famiglia contribuiva generosamente alle spese della fabbrica della chiesa allora in costruzione, teneva tutto in mano; epperò quel prelato, a cui dovea aliunde constare che le elemosine si erogavano come si doveva, non credè opportuno molestare il Placidi; il quale avrà erogati in detta fabbrica, e così posteriormente il Sig. Panei, la più gran parte delle rendite dei luoghi pii anche dopo la liquidazione. Cessato ora il bisogno di usare tale riguardo; può esser del caso provvedere che si apra colà il registro dell'introito ed esito, per poi esibire il dovuto resoconto al R.mo ordinario; con che potrebbero le elemosine crescere di non poco, poichè è naturale che i devoti amano vedere cogli occhi e toccare colle mani: e sì che v'è il maggior bisogno di contarli al possibile, ite in dileguo le rendite dei luoghi pii. Questue pel Purgatorio: Suol farsi come una volta, e se ne erogano le elemosine giusta la consuetudine locale: non v'è registro, comunque sia stato ripetutamente ordinato. Camposanto: Vedi pag.633: è comune con Torano. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 81/126 Procurazioni: La S. Visita doveva avere a titolo di procurazioni in questa parrocchia D. 480 pari a L.25.53. Si ignora come dovesse ripartirsi questo importo fra il beneficio parrocchiale e gli altri benefici; sembra che anche il comune dovesse dare la sua parte. E' da lunghissimi anni, se non andiamo errati, che la S. Visita non ebbe cosa alcuna. Fummo ospitati dai Sig. Placidi Giuseppe e fratelli: il parroco provvide le cavalcature per andare a Spidino, donde si tornò la stessa mattina a S. Anatolia; ed il legno per andare a Corvaro. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 82/126 Appendice VI - Cronologia Elenco cronologico dei documenti riguardanti S. Anatolia, Cartore e Dintorni dal 706d.C. al 1712: 706 ca.: La chiesa di S. Anatolia de Turano e Corvaro - 1048: Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta - 1084: Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta - 1115: Confini della Diocesi dei Marsi - 1153: Bolla di Anastasio IV° - 1182: Bolla di Lucio III° - 1183: Catalogo dei Baroni - 1218: Bolla di Onorio III° - 1250: Registro delle Rendite - 1398: Registro delle chiese della Diocesi di Rieti - 1418: Lorenzo Colonna Conte di Alba - 1423: La Contea di Alba confermata a Odoardo Colonna - 1445: La Contea di Alba confermata a Giovanni Orsini - 1497: Fabrizio Colonna conte di Albe e Tagliacozzo - 1587: Elenco delle chiese del Vicariato del Corvaro - 1712: Il Parroco di S. Anatolia risponde a dei quesiti 706 ca.: La chiesa di S. Anatolia de Turano e Corvaro Foroaldo duca di Spoleto dona al mon. di Farfa vari territori e chiese presso Cliviano ... in Cliviano et per eius vocabula Foroaldus Dux dedit in hoc monasterio terras cultas modiorum milium quingentorum arabiles cum manentibus XII, usque Frontinum et usque Maclam Felcosam. et usque criptam Machelmi tertiam partem ex omnibus rebus cum ecclesia Sancti Sabini et ecclesia Sancti Sebastiani et ecclesia Sancte Anatholie de Turano. Abbas autem qui erat illis temporibus fecit concambium cum soldone et dedit illi Sanctam Anatholiam in Sancta Maria de Loriano. Alia omnia remanserunt ad opus Sancte Marie. ibi est edificatum Corvarium... [senza data] • Estratto da: Chronicon Farfense di Gregorio di Catino Tomo II pag.205 n.8 1048: Il Castello di Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta Il conte Berardo de' Marsi offre il castello di Rosciolo a Giovanni abate del monastero di Santa Maria in Valle Porclaneta ...Berardus comes filius quondam Berardi comitis de provincia Marsorum...... [offrì per redenzione dell'anima sua e dei suoi congiunti il castello] ... Fosculum [o Rosculum] cum pertinentiis suis ... [all'abate Giovanni del] ... monasterium S. Dei Genitricis et Virginis Mariae quae constructa est in loco ubi balle Porclaneci vocatur ... [nel luglio 1048] • Estratto da: Chronicon Cassinense a cura di Leone Ostiense Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 83/126 1084: Il Castello di Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta Il conte Berardo de' Marsi offre il monastero di S. Maria in Valle Porclaneta a Desiderio abate di Montecassino ... Anno 1084, Berardus etiam comes filius Berardi marsorum comitis, eo tempore obtulit B. Benedicto monasterium S. Mariae in valle Porclanesi, et castellum Rosciolum cum pertinentiis suis • Chronicon Cassinense a cura di Leone Ostiense 1115: Confini della Diocesi dei Marsi Bolla di Pasquale II a Berardo vesc. dei Marsi. Conferma dei confini della Diocesi ...qui videlicet fines a Furca Ferrati decurrunt in caput Carriti; inde per viam de Merso in Portellam de Valle Putrida per terram de Feresca, per Argatonem, per terram de Camno, per terram Formellae; inde ad Molinum Veterem, inde ad Furcam Acerae, per terram de Vivo, per terram de Troia, inde a Pesculum Canalis; inde per Pinnam Imperatoris, per terram de Cervara, inde a S.Britium per furcam de Auricola; inde ad arcum S.Georgii per flumen Sisarae, per turres de Ofrano, per Scalellas, per Tufum fluvii Remandi, per Trepontum; inde ad Vulpen Mortuam, per Buccam de Teba, per Campum de Pezza, per rivum Gambarorum, per terram de Candida, per Venetrinum. Et redeunt ad Furcam Ferrati ... • Antonio Pagliuca "Imperatori Germanici nell'altipiano delle Rocche" pag.125 1153: Bolla di Anastasio IV a favore della Diocesi Reatina ... Plebem sancti Antimi in Cassina, Plebem Sancti Thomae in Villano, Plebem Sancti Petri in Cornu, Plebem Sancti Euticii in Marana, Plebem Sancti Stephani in Clavano, Plebem Sancti Laurentii, et Sancti Leopardi in Cartoro, Plebem Sanctae Mariae in Mareri, et Sancti Pastoris, Plebem Sancti Petri in Canapinula, plebem Sancti Elpidii, ... [oltre] Et in eisdem plebibus Oratoria , quae monasteria dicuntur ...[oltre] Sancti Severi, et Sanctae Antiae in Amiterno, Sancti Ioannis Baptistae de Sancto Victorino, Sancti Leontii in Classina, Sancti Laurentii in Fano, Sancti ... in Nura, Sancti Mauri supra Castilione de Valle de Petra, Sancti Leopardi de Colle Fegati, Sancti Pauli de Cocotha.... • Michaeli Michele "Memorie Storiche della Città di Rieti" Vol. II pag.265-272 Documento originale presso Archivio Vescovile di Rieti Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 84/126 1182: Bolla di Lucio III a favore della Diocesi Reatina [confini della Diocesi:] ... inde per civitatem Forulae per viam de Ranuta per vallem Muscosam in montem Caprarium. Inde per Aquilam per furcam Flasonae per montem de Robella per Tabulam Cartonis Vulpem Mortuam in monte Lesa per pertusulum de Petra Sicca. Inde per montem de Cerru per roccam Salecis per Vallem Bonam per serram montis de Canemortuo. Inde per viam Porticam per vallem Manfrede per Tofum filij Arimanni ... [oltre - elenco delle chiese:] ... S.Antimi in Classina, S.Juliani in Foce, S.Donati in Forcella, S.Mariae in Terria, S.Petri in Pretoro, S.Valentini in Palluca, S.Thomae in Villato, S.Petri de Rocca Cornu, S. Laurentij in Cartoro, S.Mariae in Cornio, S.Martini ......, S.Stephani in Clavano, S.Elpidii, S.Mariae in Podio de Valle, S.Andreae in Pesco Roccano, S.Pauli Rocchae Vitiani, S.Pastoris, S.Nicolai in Rivo Torto, S.Petri in Cana pinula, S.Mariae in Mareri ... [oltre] et in plebatibus earundem plebium, Oratoria quae monasteria dicuntur, ... [oltre] S.Antiae, et S.Severi in Amiceno, S.Ioannis de Tricalloso, S.Ioannis Baptistae de Sancto Vittorino, S.Mariae in Civitate, S.Hilarij in Racolo, S.Leonardi in Acato, S.Laurentij in Fano, S.Leontij in Clasiano, S.Matthei in Canno, S.Beroti, S.Silvestri in Pietrabattida, S.Mauri de Fano in Valle de Petra, S.Leonardi in Selva, S. Anatoliae in Vilano, S.Leopardi, et S.Anastasiae in Collefecati, S.Nicolai in Traponso, S.Mariae in Pesclo, S.Ioannis in Colle Mazeonis, S.Pauli de Cateca ... • Michaeli Michele "Memorie Storiche della Città di Rieti" Vol. II pag.265-272 Documento originale presso Archivio Vescovile di Rieti 1183: Catalogo dei Baroni [pag.215] 1110 - Comes Rogerio de Albe dixit quod tenet in Marsi in demanio Albe quod est pheudum VII militum et castellum Novum in Marsi quod est I militis, et Paternum in Marsi quod est III militum, et Petram Aquarum in Marsi quod est pheudum V militum, et Tresacco, et hoc quod tenet in Luco sunt pheudum VI militum, et Capranicum quod est pheudum I militis, et Pesclum Canalem in Marsi quod est Pheudum II militum, et Carcerem in Marsi quod est pheudum VI militum una cum Podio Sancti Blasii, et Dispendium in Marsi quod est pheudum I militis et dimidii. (hii omnes predicti milites et prefata castella sunt in Marsi). Una de proprio pheudo predicti comitis Berardi de Albe sunt milites XL et cum augmento obtulit milites LXXX et servientes C. [pag.221] 1123 - Gentilis Vetulus dixit quod tenet in capite a domino rege Castrum Pescli quod est pheudum IIII militum, et Barim quod est II militum, et Macclatemonem quod est I militis, et Castellionem quod est I militis, et Roccam Melitum quod est I militis, et Castellum Mannardi quod est I militis, et Collem Fecatum quod est I militis, et Sanctum Johannem de Lapidio quod est III militum, et Roccam Randisi quod est I militis. Hec omnia castella Gentilis Vetuli sunt in Valle Petre in comitatu Reatino, et tenet in Amiterno Billanum quod est unius militis, et Roccam de Cornu et Castrum Piczoli I militis, et Sassan quod est I militis quod tenet Benegnata .... • "Catalogus Baronum di Guglielmo II Normanno" a cura di Evelyn Jamisan Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 85/126 1218: Bolla di Onorio III a favore del mon. di S. Paolo di Roma ... in Marsi ...[oltre] Sanctum Leonardum supra in Cartore cum cellulis, villis et molis, et aliis pertinentiis... • Trifone B. (Arch. R. Soc. Romana di Storia Patria 1908) vol. 36 pag. 294 doc. XVI 1250: Registro delle Rendite della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta ...[nel 1250 in un registro delle rendite della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta, il Preposto di quella chiesa] esiggeva da' preposti, e Rettori delle chiese di S. Lorenzo, di S. Anatolia, di S. Maria di Magliano, e di S. Luca nei giorni festivi di quei Santi pranzi in quelle chiese a sè, e a' suoi Chierici... • Giuseppe Di Girolamo "La chiesa di S.Lucia in Magliano dei Marsi" pag.9 -Tratto da A.L. Antinori "Annali" mss. sec.XVIII Bibliot. Prov. L'Aquila Vol.XI f.71 1398: Registro delle chiese della Diocesi di Rieti 357 - S. Maurus cum [S.Mauro, ch. dir. sopra Castelmenardo, unito a la parocchia di Collorso] 358 - S. Maria de Fano debet unam procurationem [E' un altro titolo] 359 - S. Stephanus de Corbario cum cappellis unam procurationem [Parrocchiale della villa (di S. Stefano di Corvaro)] 360 - S. Maria de Milio seu de Malito [Esiste la ch. nella montagna] 361 - S. Maria de Telio [ch. dir. e non si sa dove fosse. Molte ch. o cappelle nella montagna di Malito vi erano anticamente] 362 - S. Victorino [ch. dir. che stava presso la terra, il sito si dice la vigna di Ilario Massimi.] 363 - S. Petro [ch. dir., neppure di questa si trova memoria, nè si sa dove stasse nè quali beni avesse.] 364 - S. Maria [la parochiale ch'esiste dentro la terra et è stata rovinata.] 365 - S. Martino [ch. dir. che stava in una villa che dicevasi di S. Martino. Tutto dir. e il sito si dice Pratali, l'altare è nella parocchia et è iuspatronato della famiglia Gargani] 366 - S. Maria [ch. dir., facilmente il n. (qui 361)] Poi nel detto registro si segnano a parte: 367 - S. Angelus de Corbario cum cappellis suis unum statium [ch. dir. presso le pendici di Vallemare, il tit. è trasferito nella parochiale coi beni.] 368 - S. Sebastiano [ch dir. alle falde della montagna detta la Duchessa, il tit. è trasferito nella moderna ch. di S. Rocco] 369 - S. Sepulcro [ non si ricorda nè si sa dove fosse nè quali fondi avesse] 370 - S. Costantino [non si ricorda nè si sa dove fosse nè quali beni et obligazioni avesse] 371 - S. Martinus de Turano debet unam procurationem cum cappellis [Parochiale che sta fuori della terra (di Torano)] 372 - S. Petro [è il conv. degli Agostiniani dentro, dove vi è un solo religioso senza neppure un converso, lo che è di disordine e il popolo ne riclama] 373 - S. Maria de Collis [esiste e sta vicino a S. Anatolia, territorio promiscuo, iuspatronato Colonna, unito alla parocchia] Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 86/126 374 - S. Costantio [in Cartoro, ch. dir., beneficio, iuspatronato Colonna.] 375 - S. Iohanne [Parochiale delle Grotte (di Torano) insieme col tit. di S. Nicola] 376 - S. Paulo [Ch. ch'esiste nella terra di Torano, non ha beni, per la sua manutenzione si supplisce con la questua] 377 - S. Nicolau de Gripta non tribuit cum aliqua cappella ad procurationem [Fu fatta parochiale l'an. 1615, come nel bollario fol.90, coll'unione del beneficio di S. Giovanni Battista. Questo dev'essere il S.Giovanni di Vezzo (di cui al n.355).] Poi siegue come ch. Separata 378 - S. Thoma de Latusco debet mediam procurationem [ch. dir., il ter. spetta a Spedino e a quella parochiale sono stati dati li materiali della ch., il tit. è beneficio semplice che possiede l'e.mo Colonna, patronato della sua casa e padrone del feudo di Spedino.] 379 - S. Laurento de Cartola debet mediam procurationem [esiste la ch. a' piedi la montagna di S. Leonardo, vicini alla montagna detta Velino, fra Rosciolo e S. Anatoglia, ben. Vacante] 380 - S. Anatholia mediam procurationem, respondet monasterio S. Salvatoris in quibusdam [Esiste et è situata fuori la terra, è la parochiale di piena pertinenza del Vescovo di Rieti] 381 - S. Andreas et [parochiale di Spedino] 382 - S. Paulus de Spedino debent mediam procurationem [Ch. fuori del castello di Spedino, ben., iuspatronato Colonna] 383 - S. Maria de Brizza Secca [Ch. e ben. iuspatronato suddetto] 384 - S. Leonardus et [la ch. non esiste, ma esiste una grotta sopra mezza montagna detta di S. Leonardo, dove i fedeli concorrono nelle malattie articolari. (con ferri miracolosi)] 385 - S. Nicolaus respondet monasterio S. Pauli de Urbe per occupationem [Parochiale ch'esiste dentro la terra] [Ch. dir. nel ter. di S. Anatolia nel tenimento di Cartora, il tit. è trasferito nella terra di S.Anatoglia et è la moderna parochiale.] A parte: 386 - S. Leopardus de Collefegato debet mediam procurationem et dicitur respondere monasterio de Florentillo cum quibusdam (cappellis) [Abbadia antica [...] Si veggono da un lato le vestigia dell'antico mon. Sta in mezzo ad una macchia vicino il Borgo di Collefegato] 387 - S. Martino [ch. dir. nel tenimento di Borgocollefegato, che stava sopra un colle che si chiama Colle di S. Martino] A parte: 388 - S. Maria de Vallibus cum cappellis debet mediam procurationem [Ch. tuttavia esistente nella pianura sotto le Ville - In una macchia] 389 - S. Cruce de Villis [Parochiale delle Ville di Borgocollefegato - Ch. assai lurida e ruinosa.] 390 - S. Maria loci eiusdem [Esisteva presso le Ville di Borgocollefegato, in oggi è diruta] 391 - S. Thoma de Collefegato [E' tra Collefegato e il Corvaro - E' la ch. detta in oggi delle Grazie] A parte: 392 - S. Anastasia tenetur respondere episcopio et non alii(s) [Parochiale di Borgocollefegato] 393 - S. Nicolaus de Fano non respondet alicui nisi episcopo [et respondet VI carlenos - Ch. dir. [...], stava nel ter. del Corvaro, sui confini.] • V. Di Flavio "Il Registro delle chiese della Diocesi di Rieti del 1398" pag. 78-81 > estratto da: "Memorie del Vescovo Saverio Marini" (17791813) in Arch. Vesc.Rieti Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 87/126 1418: Lorenzo Colonna viene investito della Contea di Alba ...nobili Orlando de Orlandis de Ginnanzano procuratori illustris. et magnificorum Iordani ducis Venusii, et Rentii fratrum de Colupna comitis Albae magni Regni Siciliae camerarii domini nostri papae germanorum, promissio de attendentis dicto cimiti Albae omnia, quae ei pollicite sumus videlicet. Quod concedemus ei Comitatum Albae cum titulo Comitatus cum terris, et Castris videlicet Alba, S. Anatolia, Rissolo, Luco, Magliano, Castronovo prope Albam, Cappella, Aveczano, Transaquis, Capistrello, Pescocanali, Canistro, Meta, Civitella, Rendinara, Castronovo de Vallibus, Roccadevivo, et Civitantine. Sub mense Octobris. Anno 1418. • Camillo Minieri Riccio "Studi Storici su fascicoli Angioini" - pag.51 Estratto da Archivio di Napoli (?) "Fascicoli Angioini" pag. 476 fol. 58 Fasc. 74 1423: La Contea di Alba viene confermata a Odoardo Colonna La Regina Giovanna II conferma ad Odoardo Colonna, dopo la morte del padre Lorenzo, l'investitura di tutte le terre a lui appartenute. Ioanna, &c. Attendentes itaque fidelitatis constantiam, inconcussè, ac integerrime devotionis zelum, spectabilis, & magnifici viri Adhoardi de Columna Duci Martae, Albae, & Celani comitis, collateralis consiliary fidelis nostri dilecti, erga celsitudinem nostram hostensae, grataque, grandia, fructuosa, digna, & memorata servitia per eum maiestati nostre fideliter, e laudabiliter praestita apud nostram excellentiam ostendavit, eum dignum, eidem Adhoardo duci, & comiti, pro fe, & fuis utriusqfexus heredibus, ex suo corpore legiti me' descendentibus, natis iam, & in antea nascituris, in perpetuum civitate Marisiae cum titulo, & dignitate ducatus, nec non comitatum Celani, & subscriptas civitates, & terra dicti ducatui annexas, videlicet Celanum, Piscinam, Canullum, Collum Cerchium, Agellum, S.Petitum, Ovindellum, Roveram, S. Ionam, Paternum, Gallianum, Castrum Vetus, Castrum Deceri, Scinarium, Vendelum, Ortrechiam, Resignam, Archium, Speronasinum, S.Sebastianum, & Capistranum de provincia Aprutij Citra flumen Piscariae. Baroniam Caropelle, Castrum Vetus, S.Stephanum, Calanu, Roccam Calani. Licium, Ioyam de provincia Apruty ultra flumen Piscariae, Vasalanum, portam, & serram de provincia terrae Laboris, nen non, & Comitatum Albae, e usque terras castra loca, & fortellitia subscriptas, videlicet Albam, Sanctam Anastasiam, Risolum, Civitellam, Rendenariam, Castrum Novum de Vallibus, Roccamdenino, & Civitatem Anturae de dicta provincia Aprutiy ultra, & omnes alias terras, c. per nos quondam spectabili viro Laurentio de Columna Comiti Albae, & magno Camerario, dux vixit Regni nostri Siciliae. eiusdem Adhoardi patri. • C. Tutini"Discorso de' 7 offici ovvero de' 7 grandi del R. di Napoli" pag.180-181 - Estratto da Archivio della Zecca di Napoli (?) Fasc. de anno 1423 Sig.n.29 fol.53 Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 88/126 1445: La Contea di Alba viene confermata a Giovanni Orsini All'incoronazione del Re Alfonso viene imposta una nuova tassa -colletta e vengono in questo modo riconfermati tutti i Baroni con le terre a loro appartenute Tassam Collectarum in Provincia Apruty Ultra, Recolligenda a viris nobilibus, ultra terras demaniales ... Orsino 1445 - Comitis Tagliacozzi: Auricola, Rocca de Bucchi, Collefecato, Castrum Mainardi, Teraco, Spidinum, Tagliacotium, Circum Collum, Petra de Venula, Cappadocium, Rocca de Cerro, Alto, Sancta Maria, Castrum Vetus, Scanzanum, Sanctus Donatus, Podium Filippi, Castellum Paleaiae, Maranum, Scolcura, Collis de Luppa, Colle, Barrochia, Piccetum, Albae, Cappella, Tarascum, Patuvium, Corvara, cum Magliano, Sancta Natolia, Succem, Avezzanum, Canistrum, La Meta, Civitas Antoia, Civitella, Castrum Caroli, Castrum de Flumine, Cose, Rocca de Supra, Girgutum, Rocca Randisiu, Podum Sancti Ioannis, Radicaria, Turris de Taglia, Capradosso. Camillo Tutini "Discorso de' sette offici ovv. de' sette grandi del Regno di Napoli" "Capitolo de' Maestri Giustizieri" pag.93-94 estratto da Archivio di Napoli (?) "Tassam collectarumfelicis coronationis Regis Alphonsi noviter imposita ad recolligendam a' Baronibus Provinciaru Regni ultra terras demaniales" - Comune 4 Anno 1445 in Sumaria fol.156 1497: Fabrizio Colonna conte di Albe e Tagliacozzo Il Re Federico II investe Fabrizio Colonna della contea di Albe e Tagliacozzo Federicus, &c. considerantes servitia memorata, & digna per illustrem virum Fabritium tam dicto regi Ferdinando secundo, quam nobis praestita, & impensa, quae praestat ad praefens, & impus de bono semper in melius praestiturum speramus, qui cum idem rex Ferdinandus regnum hoc a manibus, & posse dicti reris Francorum, qui illud occupaverat, & occupatum tenebat, recuperare conaretur, essetque constitutus in maxima necessitate, & proceres, & magnates regni omnes, & populi eidem regi Francorum obedientiam praestitissent: prompteque occurrit eidem regi Ferdinando cum suiscopys, statu, & facultatibus contra dictum regem Francorum adhaerentes, & fautores eius in favorem, & sub sidium dicti domini regis Ferdinandi, strenuè ubique militando, & hostes debellando, eius personam, statum, & facultates omnes quasque ei deus largitur est sub fortunae periculo exponendo, adhuc quod regnum hoc a manibus hostium; & rebellium recuperatum extitit, & in pacis, & quietis amoenitatem, pulsis undique hostibus, ad obedientam redactum; ut autem idem dominus rex Ferdinandus nepos noster, eidem Fabritio pro acceptis ultro praestitis servitys, gratum se redderet, & benignum, urgente ad hoc statum ipsius D. Regis, & bono reipublicae huius regni, eidem Fabritio cum verba dedisse, & donasse recolimus, pro se, suisque haeredibas, & successoribus in perpetuum, terram Taleacozzi cum honore, & titulo Comitatus, terram Alba; cum honore, & titulo Comitatus, terr. Cellanum, terr. Criculae, Roccam de Brato, Perisi, Collis Intermontis, Rochiae de Cerro, Verrechiae, Capadotis, Petrellae, Paleanis, Castelli de Flumine, Curcumelli, Caesae, Scurculae, Pody, S. Donati, Scanzani, S. Mariae, Castelli Veteris, Marani, Terani, Tusely, Speriandidi, Corvary, Castelli Manandi, S. Anatoliae, Ricciolo, Magliani, Paterni, Avellani, Luci, Trasacchi, Caressi, Civite, Dantinae, & terram Cappellae de provincia Apruty Citra, &c. quae fueruni Virginy Ursini, devolutae curiae propter eius rebellionem.&c. Datum in Castello Novo civitatis nostre Neap.; per magnificum consiliarum nostrum I.V.D. & militem Antonium de Alexandro locumtenentem illustris Goffredi Borgia de Aragonia principis Squillacci, cariatuque comitis regni huius, logothetae, & prothonotary, & die sesta iuly 1497. regnor. nostrorum anno primo. C. Tutini "Discorso de' 7 offici ovvero de' 7 grandi del R. di Napoli" pag.182-183 - Estratto da Archivio di Napoli (?) Execut. I anno 1496 e 97 fol.78 Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 89/126 1587: Elenco delle chiese del Vicariato del Corvaro Il Vescovo di Rieti Ms. Malvaglia elenca tutte le chiese della Diocesi di Rieti. Vicariato del Corvaro VICARIATO DEL CORBARO : CORBARO S. Maria curato Canonicati in d.a chiesa Cappella dell'Annunziata Cappella di S. Gio. Bàtta Cappella di S. Martino VIANTI S. STEFANO S. Stefano curato Canonicati in d.a chiesa Cappella di S. Maria S. Roccho S. Angelo semplice S. Cruce oratorio d. Ottavio Amici dal Corbaro > d. Simone Costantio da Corbaro > d. Jacomo Pratioso > d. Alfonso Amici > d. Vitale Biancho M. Gio: Bàtta Elicona d. Angelo Antonio > da Corbaro d. Ottavio Amici > d. Simone Constantio dal Corbaro > d. Ottavio Amici > d. Angelo D'Ant. > d. Jacomo Pratioso > d. Francesco Ant. Amici > d. Biagio Di Gio. Fran.co > due altri canonic.ti il sem.pio d. Ottavio Amici li confrati d. Ottavio Amici la Conf.a del Corbaro Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 90/126 CASTEL MENARDO S. Tomasso semplice S. Maria semplice S. Paulo curato S. Lucia semplice S. Croce curato S. Maria del Colle S. Eutitio unito COLLE FEGATO S. Maria di Colle Fecato curato S. Tomasso semplice La cappella dell'altar grande Cappella di S. M. di Loreto S. Antonio di Vienna semplice S. Anastasia curato Cappella di S. Spirito Cappella di S. Caterina Cappella di S.Giacomo di S.Martino S. Gio. Leopardo curato Canonicati in d.a chiesa vacat d. Giorgio Casato da Castel Manardo d. Angelo Sancti da Castel Manardo d. Giorgio Casat d.............. d. Marco Casato da Castel Manardo > curato d. Giorgio Casato d............. > d. Bastiano Gainio da Colle Fecato d. Mattheo di Propertio da Colle Fecato d. Giorgio Mastrozzi da Lionessa d. Vespasiano Malaigi da Marscetello d. Martio Catino da Colle Fegato d. Bastiano Guirico da Colle Fecato > d. Martio Catino > il Sem.pio d. Mattheo di Prospero da Colle Fecato > d. Filitiano D'Amici da Poggiovalle > d. Cesare Fabio di Brasciano > d. Vitale Enca da Montereale > d. Jacomo da Belmonte > d. Alatio Vulpiano da Torre di Taglio > Il S. Semp.io Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 91/126 SPEDINO S. Andrea curato S. Paulo semplice Cappella di S. Angelo S. Maria di Brecciola semplice S. Liberatore d. Dom.co Natto da Turano d. Lelio Lelj da Spedino vacat d. Gio. Bàtta Elicona ognoratur fector LATUSCHOLO S. Tomasso curato d. Fabio Brancha da Magliano TURANO S. Martino curato Canonicati in d.a chiesa Cappella di S. Maria Cappella di S. Angelo Cappella di S. Jacomo Cappella di S. Gio Cappella di S. Gio Cappella di S. Martino S. Maria di Mola semplice d. Marcello Spina da Turano > d. Dom.co Nallo da Turano > d. Hercole Di Bartolomeo > d. .............. > d. Ovidio Vertotti da Turano > d. Joseppe Cannuccho - Veneziano d. Raffaele Pacchezzio d. Hercole Di Bartolomeo da Turano d. Dom.co Natto da Turano d. Hercole Di Bartolomeo d. Marcello Spina d. Gio. Ant. Di Tiberio d. Marcello Innocentio CARTORO S. Lorenzo ignoratur pretor Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 92/126 S. NATOGLIA S. Nicola di Cartoro curato S. Costantio semplice S. Paulo semplice S. Martino S. Maria di Colle semplice S. Natoglia curato Canonicati in d.a chiesa Cappella di S. Bastiano Cappella di S. Maria S. Niccola curato S. Liberatore d. Vincenzo Innocentio da S. Natoglia lettori d. Ber.no Mario d. Gio. Ant. di Not. Marco hospedale M. Bart. Alberti - Bolognese d. Vincenzo Innocentio da S. Natoglia > d. Ber.no Mario > d. Antonello di Gio.Marino da S.Natoglia > d. Ant. Di Gio. Bàtta li confrati vacat d. Vincenzo Innocentio Hospidale GROTTI S. Niccola delle Grotti Unito a S. Martino di Turano VILLE S. Croce curato S. Sebas.no S. Maria di Valle semplice S. Maria dentro al Poggio curato La cappella di S. Gio. Bàtta d. Felitiano Amici dal Poggio di Valle Unito a d.a chiesa d. Js. Ant. Di Not. Martino da Turano d. Michele Erasmo dal Porso d. Felitiano Amici d........... • Nota delle chiese sottoposte al Vescovato di Riete estratta dalla visita di Ms. Malvaglia visitat. ... aplico dell'Umbria nell'anno 1587 esist. nel Vaticano Archivio Diploma. - Estratto da: A.V.R. Cart.50 Visita Marini Anno: 1783-1788 "Visita città Montereale, Scai & Cicolano" (pag. 112 114) Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 93/126 1712: Il Parroco di S. Anatolia risponde a dei quesiti Il Vescovo di Rieti Ms. Guinigi visita il paese di S. Anatolia e pone dei quesiti all'abate-parroco Giovanni Antonini che risponde nel seguente modo 1. E' la chiesa parrocchiale sotto il titolo ed invocazione di Santa Anatolia V. vicariato foraneo di Borgo Collefegato sotto il dominio dell'Ecc.tmo Sig. Contestabile Colonna S (.) governatore Franco Cimoli di Ponticelli e detta chiesa è posseduta da me sottoscritto Gio: Antonino della terra di Turano di anni 61. 2. In detta chiesa non vi sono altri membri ne oratory, et è consacrata e non vi è memoria della consacrazione. 3. La detta chiesa ave bisogno di qualche riparazione, et, il popolo al quale spetta sta in procinto di ripararlo et i paramenti parte l'università i sacerdoti con le messe e parte le compagnie cosi per uso interessato. 4. Le sepolturu vi sono. Il fonte battesimale però è situato nella chiesa di San Nicola dentro la terra e in detta chiesa parrocchiale vi è il campanile con le campane. 5. Il venerabile Sacramento (.) vi si mantiene nella chiesa predetta di S. Nicola con Lampada a spesa della Compagnia del SS. (.) ed il procuratore ne ha la cura. 6. Li procuratori e Capitolo coll'entrate dalla chiesa mantiene la cera ed è i procuratori fanno imbiancare le suppellettili sacre. 7. Alcuni anni si predica la Quaresima. Se il popolo dimanda il predicatore e allora il popolo medesimo lo paga con forme con quelli si pattuisce. 8. Le Bolle si tengono dal parroco spedite da Monsig. Vincentini B.M. 9. Il Parroco gode un beneficio semplice unito con la cura. Sotto il titolo di San Leonardo che si spedisce da i (.) di S. Paolo di Roma et un altro in territorio del Latusco sotto il titolo di San Tomasso che si nomina dall'Ecc.jmo Sig. Contestabile. 10. Le dette chiese sono di presentazione dell'Ecc.jmo Sig. Contestabile Colonna. 11. Detta chiesa Parrocchiale e Beneficy come sopra consistono in terreni et un anno e l'altro se ne percepisce da salme undici di grano in circa et un scudo di prata e venti inventicinque carlini incirca d'incerti e trentacinque carlini di (.) vigna (.). 12. Il Parroco non ave obligo di tenere ne cappellano ne coadiutore. 13. Nella Chiesa Parrocchiale vi sono cinque altari cioè il capo altare con il titolo della Natività N.S.G.C. La Cappella della Pietà a latere destro e a latere sinistro la Cappella di San Sebastiano e nell'ingresso della chiesa la Cappella di Santa Anatolia. E Dall'altro lato l'altare della S.V. M. di Loreto e non vi à l'obligo di detta chiesa che ogni mercondì una messa all'altare della Pietà e si mantengono detti altari alle spese delle compagnie. 14. Detta chiesa fu visitata venticig. anni sono in circa dall'Ill.mo Mons. Vincentini li degreti furono eseguiti. 15. Non accada rispondere per esser stati eseguiti. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 94/126 16. In detta Parrocchia vi sono sei sacerdoti con l'abbate e due chierici cioè d. Gio: Antonini abb.e, d. Leonardo Placidi, d. Franco Ant. Luce canonici, d. Alesio Innocenzi, d. Tomasso Luce sacerdoti senza beneficio in detta chiesa, e Berardino Luce e Vincentio Innocentiy chierici (.) e tutti (vanno) in abito et tonsura e servono alla medesima chiesa eccettuato d. Tomasso Luce (chè fuor) di Diocesi. 17. Per la Pia grazia tanto sacerdoti che chierici tutti sono di buona (...forma...). 18. In detta parrocchia vi sono cinque benefici semplici cioè S. Lorenzo di Cartore che si gode dall'abb.e Giacomo (Silvy) ... S. Costanza si gode da un chierico nominato d. (Cesiddio) ... La Madonna di Loreto che lo gode d. Leonardo Placidi ... S. Maria del Colle che lo gode detto abb.e (Silvy) ... con la capella di S. Gio: jus patronato delli Spera ... il beneficio di S. Leonardo sul (camino) si gode (...) in quanto all'entrata quanto di dette. Infatti non si sà precisamente quanto si fruttino. 19. In detta parrocchia non vi sono meretrici ne persone scandalose e ne vi sono bestembie (ereticali). 20. Tutti i maritati abitano assieme. 21. Non vi sono ne usurari ne altre persone malefiche. 22. Le feste pare che poco si osservino et l'inosservanza deriva da i lavori che si fanno le censure e sbirri sarebbero l'opportuno rimedio. 23. La mamma è stata esaminata et in caso di bisogno è prattica della forma del battesimo si chiama Margarita Fracassi e sono da otto anni che esercita. 24. Amico Di Federico e Beatrice Luce solamente non si sono comunicati fin hora 25. Alcune volte dal Parroco si ammonisce il popolo provvedendo alla (.....) e le messe si celebrano dopo la messa parrocchiale. 26. La dottrina cristiana si celebra con concorso di fanciulli e fanciulle ed il carico lo passa il parroco. 27. Nei limiti della parrocchia non vi sono eremiti. 28. Gli istituti delle Compagnie non si fanno non essendoci la memoria et in quanto alle entrate ed uscite delle medesime con i loro nomi si mostreranno in foglio. 29. Non si fanno convitti ne alcuni rinfreschi a spese delle compagnie. 30. La compagnia della Pietà p. legato di Fabio Di Domizio fà celebrare ogni mercoledì una messa, e due messe l'anno. P. legato di d. Antonio Placidi il sanc.mo messe quattro l'anno il medesimo ed una messa per l'anno di Francesco Gentile ed i priori ne passano il loro (.....) bilanci. 31. L'elemosine l'amministrano i priori et il parroco ne ave la sopra-intendenza. 32. Gli offiziali delle compagnie hanno reso conto et i debitori si mostreranno in foglio quali e quanti siano e, tutti possiedono in bolis. 33. Le compagnie hanno crediti da esigere come si mostreranno. 34. Le compagnie di questa parrocchia non hanno liti di sorta nessuna. 35. Vi è il maestro di scuola et è di buoni costumi ma non ave fatta la professione della fede essendo scuola di semplici fanciulli e si chiama Claudio Cherubbini. 36. Non vi è medico assistente ma viene da fuori et adempie al suo ufficio. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 95/126 37. Non vi sono persone inosservanti e l'editto emanato si osserva con ogni esattezza. 38. Non vi è persona alcuna che tenga libri proibiti. 39. Non vi è persona che abbia usurpato beni ecclesiastici non essendone appresa la notizia. 40. In detta chiesa parrocchiale si canta il vespero le feste e si recitano il SS. Rosario ma non vi è altra esposizione ne buona morte solita a farsi. 41. Il parroco osserva il rituale romano e li fanciulli vengono istruiti nelle cose necessarie per ricevere la SS. Eucarestia. 42. Il parroco tiene alcuni libri di Teologia morale tra i quali vi è il (....). 43. Vi sono indulgenze ma ad rempus e si mostreranno i bremi. 44. Non vi è monte di pietà ma le compagnie imprestano grani e l'amministrazione nel capitolo XXVIII. 45. Già si è detto nel capitolo (XXXXIIII) ovvero non essendovi tali ministri di monti di pietà. 46. Non essendoci l'ospedale formale. 47. Essendoci abusi si diranno ad avve. 48. Si esibirà la tabella ma non è stato mai usato il libro di registro se nonchè da due anni a questa parte. 49. Si mostreranno ancora li terreni e fondi che si godono da detta chiesa. 50. Si mostrerà l'inventario delle suppellettili della chiesa. 51. Con ogni pompa possibile si porta i santissimo Viatico a gli infermi e vi sono tutte le cose espresse nel capitolo eccettuato che li fratelli non si mettono con sacchi et il parroco publica l'indulgentia di detta associazione. 52. Questo luogo non vi è conferenza di casi. 53. Non vi è alcuno confessore che il parroco. 54. Non vi sono oratoriy. 55. Si avvertiranno il patrone laico che è la famiglia di Spera l'Eccellentissimo Sig.re contestabile e, non si è fatta cosa alcuna. 56. Quelli che vorranno ricevere il sacramento della cresima sono istruiti e sono preparati. 57. Non vi sono ne monasteri ne conventi. - Si formi lo stato delle anime di ciascuna parrocchia, e annessi, come siegue. Nella Parochia di S. Anatolia: Famiglie n. 50 - Sacerdoti secolari n. 6 Chierici liberi n. 2 - Maschi al secolo da comunione n. 98 - Femmine al secolo da comunione n. 96 - Fanciulli che non si comunicano n. 58 - Fanciulle che non si comunicano n. 52 - Anime in tutto n. 304 - io Gio: Abbate Antonini • Estratto da Visita Guinigi - Anno 1712 - "Visita Vicariato Suburby Collis Fegati" Risposte dei parroci - Arch. Vescovile di Rieti - Cartella 17 Volume V, pag. 29-30 Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 96/126 Appendice VII - La martire Anatolia Domenico Federici, frate nell'abbazia di Subiaco, fu autore di vari libri riguardanti la storia del suo monastero e luoghi adiacenti. • 1938. Primordii benedettini e origini comunali in Subiaco - Subiaco (Tipografia dei monasteri) 1938 • 1940. Echi di giansenismo in Lombardia e l'epistolario Pujati-Guadagnini • 1947. G. XVI tra favola e realtà - Rovigo 1947 • 1966. I Francescani visti in Anagni in una descrizione del 1219 - Roma 1966 Questi titoli li ho trovati su internet - forse ha scritto anche altri libri. Verso la metà del XX sec., sollecitato dalla fama che in quel periodo riscuoteva la nostra Santa (negli anni '50-'70 in occasione della festa di S.Anatolia giungevano nel nostro paese migliaia di pellegrini), fece delle ricerche e il 22 maggio del 1953 diede alla luce la prima stesura del libro "La leggenda di S. Anatolia V. e M. del Cicolano". Nell'estate del 1953 egli venne a S.Anatolia probabilmente in occasione della festa del 9-10 luglio. Portò con se l'unica (?) copia dattiloscritta del suo libro e la consegnò al nostro parroco che allora era don Giovanni di Gasbarro. Costui l'avrebbe dovuta correggere e poi restituire per la pubblicazione. Il nostro buon parroco ci mise molto impegno per correggere la bozza ma poi dovette attendere invano che il frate tornasse a riprenderla. Domenico Federici credo che non venne più a S. Anatolia e il libro non venne mai pubblicato. Io ne possiedo una fotocopia, avuta direttamente da don Giovanni Di Gasbarro, che ho riportato integralmente qui di seguito: Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 97/126 La leggenda di S.Anatolia Vergine e Martire del Cicolano Domenico Federici - Roma, 22 maggio 1953 Introduzione Capitolo I - Voci nel Tempo Capitolo II - L'Era dei Martiri Capitolo III - Anatolia e Vittoria Capitolo IV - Deportazione a Tora Capitolo V - Il ritrovamento delle reliquie Capitolo VI - La Citta' di Tora Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 98/126 Introduzione Al lettore. La narrazione dei miracoli della Beata Vergine Maria ovvero dei Martiri comunemente si chiama leggenda (dal latino legenda, cose da leggere) e in questo senso il vocabolo è stato qui adoperato. Nella stesura della leggenda di S.Anatolia mi sono avvalso dei materiali apprestati esattamente un secolo fa', ma poco noti, da mons. Pietro Caponi, Canonico Teologo in Subiaco. Il suo opuscolo è per me il più organico tentativo d'orientamento in mezzo alla farragine di notizie sparse sulla Taumaturga del Cicolano. L'ho aggiustato chiarendo punti oscuri, tralasciando quelli meno sicuri, con aggiunta di scorci storici e di breve ragionamento circa l'identificazione della Città di Tora. So, a questo proposito, di non esser d'accordo con l'opinione corrente che ha trovato, e non se ne conoscono i motivi, questa città altrove. Ma il dissidio è antico e non parte da queste pagine. Peraltro tutto ciò è frangia e contorno. Anche quando la narrazione sembra distrarre o divagare il lettore, in realtà ubbidisce alla necessità di svolgere notizie un po' scucite e talora frammentarie. Spero di aver assolto il modesto compito di guida e in particolare di non aver tradito lo scopo essenziale prefisso che è quello di edificare i buoni cristiani mediante la ricostruzione di avvenimenti degni di esser letti, cioè di una leggenda così decisiva, come quella di S.Anatolia, per la vita contemplativa. Al lettore benevolo chiedo in cambio della mia fatica soltanto comprensione per le eventuali manchevolezze che egli troverà in questo scritto. Roma, 22 maggio 1953. D. F. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 99/126 Capitolo I - Voci nel Tempo La Sposa del Sangue Pio XII, parlando agli uomini di Azione Cattolica adunati a Roma il 7 novembre 1947, raggruppò in cinque punti l'esercizio della nostra attività; e cioè: 1. Cultura religiosa, contrapposta all'anemia della vita religiosa, dovuta alla quasi ignoranza in cose religiose. 2. Santificazione delle feste a gloria di Dio in lieto ritrovo nella famiglia. 3. Salvezza della famiglia cristiana rivendicando all'Italia il vanto di una primaria forza, la madre italiana. 4. Giustizia sociale per raggiungere una più giusta distribuzione di ricchezze. 5. Lealtà e veracità nella convivenza umana, con rinnovamento del sentimento e dello spirito di una responsabilità individuale. Il Pontefice proseguiva così: "la Chiesa è sempre giovane e tale rimarrà. è la sposa del sangue (Exod. 4,23) e nel sangue sono i suoi figli calunniati, imprigionati, uccisi. Vuol ritrovare l'immagine del suo Sposo divino per soffrire, per combattere, per trionfare con Lui. Maria Goretti e Contardo Ferrini, con l'intercessione della madre di Dio e dei Santi, vinceremo la Causa Santa !" Oltre un anno passato e, tornando a parlare ai giovani romani di Azione Cattolica celebranti il 35 anniversario della Federazione diocesana di Roma, Pio XII, il Papa della gioventù (com'egli stesso si era definito), ancorò i problemi dell'ora in tre capisaldi: 1. Chiari principi 2. Coraggio personale 3. Unione indissolubile tra religione e vita. La connessione evidente fra tali capisaldi e i cinque punti indicati agli uomini di Azione Cattolica, non rientra tra i fini di questo scritto dove invece preme di sottolineare il 2 caposaldo del Santo Padre così sviluppato: "Non vi meravigliate, diletti figli, se parlando del coraggio noi vogliamo sottolineare la parola personale unitiva di un blocco formato a doverosa e leale difesa dei più alti e sacri ideali e senza dubbio eccellenti. Gli uni sostengono gli altri mutuamente, fraternamente e in tal modo l'ardimento Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 100/126 diviene più facile. Ma questo coraggio deve mostrarsi anche se voi, in qualche luogo, in un determinato momento veniste a trovarvi per particolari circostanze in minoranza, in pochi, forse anche soli di fronte ad avversari più numerosi e audaci. Siete voi capaci a resistere, ma fino all'ultimo, contro di tutti nell'affermazione della legge di Dio, nella difesa della Fede e della Chiesa, dobbiamo anzi oggi di aggiungere, nella tutela dell'ordine del progresso e della pace sociale, ogni qual volta il bene comune richiedesse la vostra collaborazione? Guardate il protomartire Santo Stefano: uno contro tutti fino alla fine. Egli superava anche in intelligenza e in sapienza i suoi crudeli avversari, che non sapevano rispondere ai suoi argomenti e alle sue prove (Atti, VI, 10).Ecco gli uomini di cui ha bisogno la Chiesa e la società. Non si uccide il Cristianesimo senza sopprimere con lo stesso colpo il cittadino e l'onesto uomo ..." Non è mai lungo nè tedioso il discorso del Padre comune e ancor meno, la riproduzione delle sue toccanti parole, vuol significare un rimprovero per chi, volendo essere da lui guidato, l'avesse dimenticate oppure avesse svanita l'eco nel suo cuore. Invece potrebbe servire a stabilire, se ve ne fosse bisogno, la continuità e uniformità della dottrina insegnata da Pio XII ai nostri giorni e quella di San Fabiano (240=250) che governò la Chiesa quando, per la fede, patì il martirio la vergine Anatolia e di quella persecuzione fu tra le prime vittime. Una è la Fede, com'è unico il Battesimo e l'Eucarestia per tutti, e unico è l'Ovile ma vario con i suoi martiri, con i buoni e mediocri cristiani, con i soliti apostati e traditori. Il primo martire del cristianesimo, Santo Stefano, fu ucciso per la sua intelligenza e sapienza e per i servigi prestati in qualità di diacono ai poveri, alle vedove e ai derelitti della Chiesa. A lui succede una catena ininterrotta di martiri, testimoni della Fede, e anche una schiera di paurosi, di tiepidi traditori e anche di buoni cristiani che hanno assicurato la sopravvivenza della Chiesa. In questo vario succedersi di generazioni cristiane il nome di Maria Goretti, l'umile contadina marchigiana uccisa nei primi anni di questo secolo per aver difeso la propria verginità, è degnamente vicino a quello di Anatolia, dimostratasi zelante catechista e assunta a simbolo della verginità. I loro nomi assumono aspetti particolari, nella Sposa del sangue, dove trovano posto quei buoni che scoprono nel Cristianesimo la palestra idonea per santificarsi, come Contardo Ferrini, maestro del diritto ed esempio in ogni tempo per gli infelici che non sono riusciti ad imitarlo o ad emularlo. Dei cattivi e dei traditori se ne sono occupati fin troppo gli altri perchè possano trovar posto in questo profilo e del resto la carità suggerisce di mantenerli in silenzio Quasi Aurora rutilante I primi echi di un evento glorioso, che aveva scosso profondamente l'animo dei Cristiani del III secolo, prendono forme artistiche e insieme solennemente religiose. Tra lo sfolgorio degli ori e tra i vivaci colori dei mosaici dell'arco trionfale di Sant'Apollinare Nuovo, la basilica bizantina di Ravenna costruita nel VI secolo, è riprodotta una teoria di Vergini per rendere completo il corteo del Salvatore, il Pantocratore. Sant'Anatolia e Santa Vittoria, così strettamente unite nella leggenda, si ritrovano insieme nel trionfo di Gesù Cristo. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 101/126 Ancora oggi in Oriente, a indicare il corrispondente punto cardinale, si usa Anatolì ed è stato pensato che quel nome sia stato attribuito ad una fanciulla, forse plebea e straniera, se non di origine servile, così umile di fronte a quello squillante e romano di Vittoria. L'arte figurativa si era impadronita della sua immagine ed in seguito il calendario popolare, in base a precedenti scritti purtroppo perduti, ne aveva fissata la festa al 9 di luglio: "Nella città di Tyro il martirio dei santi Anatolia e Audace sotto l'imperatore Decio". Non fu difficile il passaggio del suo nome alla letteratura. Pietro Adelmo nel IX secolo impernierà su di lei l'Elogio della Verginità e, prima e dopo di lui, il nome di Anatolia passerà sulle bocche di Adone, Flodoardo, Vittricio, San Beda il Venerabile, Flodoardo, Notkero e Usuardo. Le gesta di questa Martire si propagheranno quindi in Italia e, al di là delle Alpi, soprattutto in Francia ed in Inghilterra. Ma da noi la fama di Anatolia rimase perennemente impressa soprattutto per merito dei monaci benedettini e specialmente di quelli delle Badie di Farfa e di Subiaco. Giunti per tempo in possesso della città di Tyro o Tora, i primi affidarono la memoria della loro venerazione per la Martire alle chiese dedicate a Sant'Anatolia in territorio Reatino: in Busiano, in territorio Sabino, in Tore in curtis Vallantis, in S. Maria di Loriano, in Turano, in Cliviano, in Antisiano e Pacciniano, in Usiano ovvero in Italiano. La ricordarono con una corte detta Taziano, con un campo, con un altro in Massa Capitanea e un terzo che si trovava juxta gualdus (bosco) delimitato dalla strada romana via publica e da un altro lato dal lago, in lacu. Al di fuori di quest'area, facilmente definibile quale territorio dei Reatini, Sabini, Marsi ed Equicoli, i monaci di Farfa propagarono il culto nelle Marche ed a Tivoli, dov'è rimasto fermo ad un modesto altare condiviso con Santa Vittoria nella Basilica di Santa Maria Maggiore da loro ufficiata fin verso l'anno 1250. Da qui, com'è verosimile, la devozione fu trapiantata, prima del 936, nella Valle Giovenzana, dove le proprietà della Chiesa si mescolavano con quelle del Vescovo di Tivoli, ordinario di quell'area fin verso il XVI secolo. La chiesa di Sant'Anatolia sorgeva in una curtis domnica, vale a dire in un centro agricolo con magazzini, ospizi e negozi cui patite ingiurie avevano portato rovina e costretto gli abitanti ad arrampicarsi per le coste dei monti dentro le più sicure mura di Cerreto e Gerano. In questa chiesa ormai campestre, nominata in molti privilegi pontifici, il 10 luglio di ogni anno, con un giorno di ritardo sul calendario ufficiale, si commemora il martirio di Sant'Anatolia. E' molto probabile che da essa abbia preso spunto Leone abate di Subiaco quando, non appena giunto in possesso (attraverso carte purtroppo perdute) di beni in Tora, si mise alla ricerca delle reliquie della martire Cicolana, ancor più faustamente conclusa con il ritrovamento anche di quelle di Sant'Audace, suo socio nel martirio, in passione socius. Rinvenute quelle spoglie, Leone il sanctissimus abbas, audacemente le riportò nei Monasteri di Subiaco riponendo quelle di Sant'Audace nella chiesa di Santa Scolastica, mentre quelle di Sant'Anatolia custodì nello Speco dove San Benedetto in rigorosissima austerità si era preparato alla promulgazione della Regola. E non è privo di significato che in quello Speco da secoli, il monaco che si accinge a legarsi in perpetuo al suo ordine, promette e giura, chiamando a testimonio Sant'Anatolia "di cui il corpo riposa in questa Chiesa" e colpisce inoltre trovare in quel luogo, dove fu meditata la Regola dei Monaci alla quale tutti gli ordini religiosi fanno riferimento, il nome di una Vergine anzi di quella presa quasi come modello di umana Verginità. Ai Benedettini infine spetta il vanto di aver saputo, con le scarse notizie sparse qua e là, costruire una biografia di Sant'Anatolia. La Badia di Montecassino fu il cantiere e architetto Giovanni Cassinese, prima di dedicarsi agli affari della Curia Pontificia e prima ancora di essere assunto al pontificato ove regnò col nome di Gelasio II (1119). All'organica disposizione dei materiali attesero nel XVII secolo i benemeriti Padri Bollandisti che lo pubblicarono nella loro collezione intitolata Acta Sanctorum. In quelli riguardanti la nostra Martire qualche punto non va ma non per le ragioni addotte dai critici sempre scontenti e onestamente a suo luogo se ne Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 102/126 terrà conto senza qui attardarsi. Vanno ricordati piuttosto gli autori che hanno appositamente trattato alcuni lati della vita di Sant'Anatolia che, disposti in ordine di tempo, sono: Iacobilli "Vite dei Santi e Beati dell'Umbria" (opera stampata nel 1656 a Foligno, tomo 3, volume II, pag. 14=19); mons. Marini, vescovo di Rieti, nelle "Memorie di Santa Barbara" (Fuligno 1796); mons. Caponi di Subiaco "Notizie storiche di S. Anatolia Vergine e Martire e di S. Audace martire" (Roma 1852); mons. Paschini, rettore dell'Ateneo Lateranense, "La passio delle Martiri Sabine Vittoria e Anatolia" (Roma 1919); chi scrive nell'ultima parte del suo studio intorno a "Leone il Gagliardo e gl'inizi della potenza del Sublacense" pubblicato negli Atti della Soc. Tiburtina di Storia Patria, 1937 e 1938 (da pag. 44 a pag. 67 della 2 puntata); e Carosi, benedettino della Badia di Subiaco, "Sant'Anatolia Vergine e Martire" (tipografia dei monasteri di Subiaco, senza data). Quanto è stato detto non è rivolto a dare una rassegna di opere e ancora meno a recensirle o a criticarle, per quanto, in sede di autocritica, è implicito il riconoscimento delle imperfezioni del precedente lavoro spiegabili in un raggio nel quale le notizie su Sant'Anatolia altro non erano che frangia. Resta inteso che quelle imperfezioni ed eventuali errori topografici (che ho cercato nel frattempo di correggere per amore di quella probità che ogni pubblicazione dovrebbe informare) saranno emendati del tutto in questa così impegnativa pubblicazione che ha per argomento unico Sant'Anatolia. Lo scopo prefisso da questa parte introduttiva è un altro: riflettendo su ciò che abbiamo scritto fin'ora spontaneamente veniamo spinti a porci due domande: per quale arcano disegno l'umile o plebea Anatolia è stata tratta dalle zolle della terra di Tora e, come candelabro risplendente, sovrapposta a quello Speco, sacro per le sofferenze e meditazioni di Benedetto da Norcia ? Fu un gesto inconscio o responsabile quello dei monaci di Subiaco che vollero illuminata per se e per altri da quell'Aurora la via tribolata di sacrifici, al servizio di Gesù, corona dei Vergini e insieme assiepato da cori di Vergini ? Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 103/126 Capitolo II - L'Era dei Martiri La Chiesa del Silenzio Dal giorno in cui il diacono Stefano fu lapidato a Gerusalemme da una folla aizzata dal giovane Saulo (che sulla via di Damasco rimarrà colpito dalla divina Grazia e trasformato in Paolo dottore delle genti) il Maligno ha continuato con i suoi infami attacchi contro la Chiesa, Sposa di Cristo. Con gli aguzzi suoi denti l'ha morsa, sia pure ad intervalli, ma nell'ostinato tentativo di sterminare il nome cristiano. Già al tempo dei Romani promosse la persecuzione dei fedeli, sia di carattere generale per tutto l'Impero e sia ristretta ad alcuni luoghi, mietendo sempre vittime umane. Il numero di esse non sarà calcolabile da mente umana e siccome l'olocausto era avvenuto in difesa della Fede, tutti i caduti furono chiamati martiri, ossia testimoni. Il lungo periodo, durato circa tre secoli, nel quale la strage di vittime umane, nel nome di Cristo, fu più intensa, fu detta Era dei Martiri. Per comodità, quella prolissa tragedia che ha per sfondo sangue cristiano, è stata scomposta in dieci episodi, quante furono le persecuzioni più violente, e ciascuno di essi è stato unito al nome dell'Imperatore maggiormente responsabile degli eccidi. Così da Nerone si denomina la prima, da Domiziano la II, la III da Traiano, la IV da Marc'Aurelio, la V da Settimio Severo, la VI da Massimino, la VII da Decio, l'VIII da Valeriano, la IX da Aureliano e la X da Diocleziano. Le persecuzioni cessarono con la promulgazione dell'Editto di Costantino (313), ma anche in seguito, cambiati i motivi ed i paesi in cui le persecuzioni si svolsero, invariato rimase lo scopo degli eccidi di Cristiani. A volta emulando e talora superando l'efferatezza dei Romani, i ministri del maligno si chiamarono Vandali, iconoclasti, riformati specialmente d'Inghilterra, Giapponesi, Francesi della rivoluzione (con strascichi in Germania della Kulturkampf o in Italia e in Spagna). Russi e Messicani e i seguaci del bolscevismo operanti in Ungheria e in Yugoslavia. Caddero e cadono ancora oggi martiri e confessori della fede e i caduti di null'altro erano e sono rei che della pretesa al rispetto della propria coscienza, del proprio pensiero, della propria fede religiosa. In un certo modo, l'oppressione fanatica e micidiale, trova una sua spiegazione nell'insegnamento del Divino Maestro che avvertiva i suoi seguaci a non credere ad una vita comoda e facile, ma ad una vita di lotta continua per raggiungere l'affrancamento dell'uomo dalla morsa degli istinti, attraverso i rimedi della vita soprannaturale, per balzare alla vera vita che non è di questo mondo. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 104/126 La Persecuzione di Decio La settima persecuzione contro la chiesa, com'è stato detto, fu dovuta all'imperatore Decio. Questi era peraltro un buon generale. La persecuzione durò un paio d'anni e finì solo con la morte in combattimento di chi l'aveva ordita e scatenata. Nonostante sia stata la più breve di tutte, fu la più cruenta e micidiale. Era giunta inaspettata e si abbattè sui cristiani come un vento impetuoso, sradicando e sparpagliando le comunità di fedeli. Condotta inoltre con astuzia e rigore inconsueti, mietè una gloriosa e abbondante messe di martiri. Ignoto rimane l'editto di promulgazione ma tristemente nota l'applicazione che ne seguì. Decio aveva imposto a tutti i cittadini una specie di censimento controllato da speciali commissioni. Ciascuno era tenuto a compiere pubblicamente un atto di culto idolatrico attraverso sacrifici rituali, libagioni e incensamenti degli altari pagani e consumazione, insieme con altri, delle carni sacrificate egli idoli. Chi non si fosse presentato per adempiere le prescrizioni imposte, doveva essere ricercato d'ufficio dai magistrati. Chi vi si fosse sottratto doveva essere sottoposto a processo criminale. Gli si doveva estorcere con tortura l'apostasia dalla fede e non bastando i tormenti il cristiano doveva venire condannato all'esilio o alla morte violenta con la confisca dei beni. I ministri attuali del maligno trovano, magari con più raffinata perfidia, applicabili quelle norme e quei criteri immutati per lo sterminio della chiesa. Ma torniamo ai tempi di Decio. Tra i gloriosi martiri della persecuzione scoccata qualche tempo dopo nell'Africa Proconsolare, corrispondente all'attuale Tunisia, San Cipriano, vescovo di Cartagine, celebre per la forza dei suoi scritti e molto più per l'eroico contegno conservato nel processo e nel supplizio al quale fu condannato. è pervenuto fino a noi il processo verbale del martirio e qui si riferisce soltanto per quel poco che può far comprendere la sorte toccata ad Anatolia i cui atti del martirio disgraziatamente sono andati smarriti. Nel settembre dell'anno 257 due scherani del proconsole andarono a catturare il vescovo in mezzo al suo gregge che, seguito da gran folla di cristiani, fu affidato in custodia ad un centurione. L'indomani Cipriano fu condotto davanti al proconsole e, espletate rapidamente le formalità, succintamente il magistrato gli contestò l'accusa, cui fu risposto senza tergiversazioni o esitazioni. Fu pronunziata la sentenza di condanna all'estremo supplizio, accolta da Cipriano con uno squillante Deo Gratias ! Venne subito condotto nel campo adiacente alla casa dove si era svolto il giudizio e, senza pronunciare parola, il vescovo si svestì degli indumenti esteriori e per brevi istanti si prostrò in preghiera. All'arrivo del carnefice, ingiunse ai suoi amici di corrispondere a costui un compenso di 25 aurei, si bendò gli occhi da sè e attese per poco il colpo. Dal tronco decapitato del Martire calò per terra sangue vermiglio nel quale il popolo astante inzuppò i lini. Il cadavere fu lasciato lì fino al tramonto e a notte inoltrata, al lume di torce, dai fedeli fu trasportato al cimiero. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 105/126 Fragilità umane Non avendo mai sperimentato una prova così dura e improvvisa, la chiesa fu colta impreparata. Non tutti i fedeli la sostennero con spirito cristiano. Moltissimi apostatarono in più modi ma tutti convergenti nel ripudio della religione professata. Alcuni si limitarono a bruciare granelli d'incenso (in latino "Thus") sulle are idolatriche e furono detti i thurificati, mentre altri compirono pienamente i riti pagani e venero chiamati <>sacrificati. Con mendicata attestazione di falsa adesione alla volontà dell'imperatore, talaltri si procurarono dalle commissioni di vigilanza (anche a quei tempi si vede non insensibili alla cupidigia del denaro) i certificati, libelli, del sacrificio compiuto contro ogni verità, e si dissero libellatici. In generale i fedeli, la sancta christiana plebe, quasi mossa da un fenomeno di psicosi collettiva, era rimasta schiacciata e aveva perduto tutti i benefici della vita comunitativa e soprattutto quelli della vita soprannaturale. Con lo stesso impeto versatile i caduti, lapsi, si misero a ricercare le vie per essere riammessi nella chiesa. Non era facile, data la rigorosa disciplina vigente nel III secolo, ma, per meglio appoggiare il proprio dolore ed ottenere misericordia dal Clero, ricorsero ad un espediente. Ciascuno si faceva rilasciare da coloro che avevano confessato o tuttavia confessavano in prigione la fede cristiana, un'attestazione, libellum. Il rilascio di questi certificati si era generalizzato ed essi avevano bozza così impegnativa per il clero da spingere qualche confessore a elargire in nome di altri confessori la pace per tutti gli sciagurati. Tutte queste notizie andrebbero pacatamente vagliate al lume degli avvenimenti recenti e recentissimi, che mostrano l'uomo facile preda degli istinti, meno dignitosi e monotono ripetitore d'infelici atteggiamenti. Lo spazio manca e, per quanto con rammarico, si deve ritornare a completare lo sfondo degli avvenimenti impresi a narrare in queste pagine. Più fortunati di tutti, molti cristiani riuscirono ad abbandonare le città, civitates, e a rifugiarsi nelle solitudini delle campagne meno sorvegliate, vagando per i boschi in compagnia delle fiere, meno pericolose per essi degli uomini. In mezzo alla massa grigia e informe, risaltano, impavidi testimoni della fede, i martiri. Primo tra i primi, il vescovo stesso di Roma, San Fabiano papa, morto il 20 gennaio 250. Era a capo di una fiorentissima comunità, come traspare da documenti appartenenti al periodo immediatamente successivo, i quali possono ritenersi il bilancio della persecuzione di Decio. Era composta da una massa incalcolabile di poveri e da più che millecinquecento tra vedove e orfani che, per grazia di Dio e carità di ricchi numerosi e ben provvisti, era interamente sostenuta e mantenuta. Oltre al vescovo attendevano al pascolo del gregge 46 sacerdoti (presbyteri), 7 diaconi, 7 suddiaconi, 42 accoliti, 52 esorcisti, lettori e ostiari. La violenza che la squassò dovette esser tale da impedire per circa sei mesi l'elezione del successore di San Fabiano. A Roma, in Italia e altrove, i martiri caddero nel proprio sangue per spada, per fuoco, per belve, per unghioni di ferro, per aculei, tormenti, patiboli e strumenti i più svariati che solo la perfidia umana riesce a inventare e a manovrare. Tra le vittime di quell'orribile persecuzione caddero appunto Anatolia e Vittoria, vergini, e Audace che della prima sarebbe stato il boia senza il prodigioso intervento di lei che egli volle intensamente imitare nei patimenti. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 106/126 Capitolo III - Anatolia e Vittoria Due 'Sorelle' Romane In quel tempo vivevano a Roma due fanciulle, Anatolia e Vittoria, entrambe di nobile stirpe e ricchissime, ed erano sorelle, sorores. Preso il vocabolo troppo alla lettera, esso non regge all'incalzare degli avvenimenti che tra poco racconteremo, e abbiamo dovuto pensare ad un significato diverso e veramente alquanto forzato. Affermeremo quindi che, anzichè di genitori comuni, si fosse trattato di un'unica nutrice e che le due fossero sorelle di latte, collactanee. Però se si insiste nel precisare la rispettiva parentela, naturale di sangue o artificiale di latte, le ragioni emergeranno in seguito. Non si è badato in questa sede ad una notizia contenuta in una lettera del II secolo diretta alle Vergini attribuita a S. Clemente nella quale il termine sorelle è usato per indicare quelle giovani cristiane che in verginità si dedicavano al servizio di Dio. Tali possono ritenersi Vittoria ed Anatolia e, precisata questa circostanza, neanche varrebbe la pena confutare quegli zelanti araldisti medievali che da loro fecero discendere alcune nobilissime famiglie romane come gli Anici e i Frangipane. Bastano al riguardo questi semplici rilievi: non si conoscono i nomi dei loro genitori, si ignora se avessero parenti ed entrambe furono uccise in stato verginale. Educate fin dalla culla alla fede da genitori cristiani Anatolia e Vittoria la custodivano gelosamente come un tesoro, attenendosi con ogni riservatezza all'osservanza dei divini precetti e alle pratiche di religione nell'intimità delle proprie case. Era una misura prudenziale dovutasi adottare a causa dei tempi contrari determinati dalla persecuzione contro i cristiani. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 107/126 La loro età presumibile era di vent'anni, avevano un aspetto decoroso e, a quanto si riferisce, erano molto ricche. Si trovavano nella condizione ideale per richiamare, molto per tempo, l'attenzione dei giovani coetanei, di uguale fortuna economica. Rapiti dal fascino delle fanciulle, due giovani amici se n'erano perdutamente innamorati. Eugenio, di famiglia illustre e potente, di Vittoria, Aurelio Tito, di stirpe regia e ricchissimo, di Anatolia. Alcune nobili matrone romane si prestarono a manifestare alle due verginelle i sentimenti amorosi dei giovani, sollecitandone corrispondenza e questi cominciarono ad avere qualche lieve speranza di future nozze. Specialmente Eugenio non aveva incontrato gravi ostacoli nel fidanzamento con Vittoria, al contrario di Aurelio Tito il quale aveva trovato Anatolia ritrosa già di per sè all'unione matrimoniale e quel che era peggio con un pagano. Ella con i più svariati pretesti tendeva a guadagnare tempo, prima di decidersi ad un passo così scabroso per la sua coscienza e il suo corteggiatore, deluso e insieme stimolato, sollecitava con calore l'amata a stendergli la mano per uscire dall'inferno in cui aveva adagiato il suo cuore. Elogio della Verginità Anatolia, ritenendosi incapace di resistere con le proprie forze all'impari cimento nel quale era stata trascinata, di giorno e di notte fervorosamente implorava Gesù Cristo di venire in suo soccorso ritenendola salda e stretta alla sua grazia e di stornare le paventate nozze. Al fine di meglio predisporre il divino aiuto, un giorno occultamente distribuì ai poveri quant'ella possedeva di oro, argento, gemme e vesti preziose per farne recapitare, il valore mediante le loro mani nei tesori del Cielo. Nella notte seguente Anatolia ebbe una visione. Un angelo le apparve coperto di vesti d'oro, con il capo cinto da un luminoso diadema ed con il volto eguagliante la luce stessa del sole. L'angelo benignamente fissandola con il proprio sguardo così le parlò: Santa e Beata Verginità !O sposa dell'eterno sposo, incapace di corruzione e di affanno, nè da morte soggetta, vicina a Dio ch'è vita immortale. Vero tesoro pieno e ricolmo d'oro e di ricchezze, che ladro non ruba, tarlo non rode, nè ruggine mangia. Grande è la gloria di che tu sei cinta, o Anatolia, per ciò, di quanti e quali ricchezze tu sovrabbondi, sollecita custodiscile, e gelosa conserva. Vigila su di esse per non esserne spoglia e priva della ricchissima gloria apparecchiata da Dio nei Cieli Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 108/126 Chi negherebbe la sovrana forza di una visione così stupenda ? La fiamma dell'amore e l'impazienza dell'indugio, fece sì che Aurelio Tito si mise a cercare qualunque strada, adoperando lusinghe, carezze e minacce, pur di rompere ogni ritardo. Venne così a sapere che la vera causa del rifiuto non era già la malattia, ma la religione di Cristo professata da Anatolia. La scoperta come un'aguzza spina penetrò nel cuore contrariato del giovane, che ne pianse, arse di sdegno, sbuffò di rabbia e, in mezzo a questa bufera di passioni, cercò la via giusta da seguire in quel frangente. "Svelerò al magistrato la fede di Anatolia - rimuginava tra sè e sè - Se la denunzio però come cristiana, Anatolia soffrirà inenarrabili pene e forse la morte ! Ed io ? Certo non potrei più sposarla. Tanto vale allora che continui con carezze e con lusinghe ad accattivarmi la sua simpatia per schiantare dal suo cuore la Fede Cristiana' E questi rimuginamenti, trepidazioni e speranze, esternò e confidò all'amico Eugenio, più fortunato dell'amico e persuaso almeno che la sua fidanzata gli corrispondesse in amore. Malinconico e addolorato, Aurelio Tito gli si presentò e tra i singhiozzi gli narrò che Anatolia ricusava di esser sua e con lacrime agli occhi a lui si raccomandò e lui scongiurò perchè lo soccorresse e lo aiutasse. Meravigliato e stupito, Eugenio, che per certi segni aveva già sperimentata e provata l'amicizia del suo interlocutore, lo dissuase dall'insistere con le lacrime e con le suppliche, rassicurando fermamente che lo avrebbe aiutato. Nè morte, nè ira di nessuno, lo avrebbe distolto dall'eseguire ogni comando dell'amico. A questo incoraggiante discorso, Tito Aurelio aggiunse: "Fa in modo, o Eugenio, che Vittoria tua sposa e sorella di Anatolia, a costei si presenti e adoperi lusinghe e carezze e ogni arte per indurla ad unirsi in matrimonio con me adempiendo la promessa'. "Nulla di più naturale " replicò Eugenio " di quanto tu mi chiedi. Io farò quel che desideri'. Subito recatosi da Vittoria le narrò il fatto e con ogni argomento la confortò, persuadendola a compiere l'incarico di piegare Anatolia alle richieste del suo caro amico. In vista del pericolo che sovrastava la vita della sorella colei premurosamente accettò l"incarico e si recò a trovarla e così le parlò: "Sono venuta, cara sorella, ad ora inaspettata e forse inopportuna. Mi ha spinto il vero amore che ho sempre nutrito per te e questo soltanto mi pone sulle labbra le parole che sto per dirti. Per quanto ricordi della tua vita passata, mai un'azione o una parola, sebbene insignificante, non è stata ispirata dal consiglio, regolata da prudenza e animata da quell'amabile ingenuità che così profondamente ti distingue da ogni altra fanciulla. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 109/126 Mi è giunta alle orecchie una novità che mi riempie di strana meraviglia e mi fa chiedere a me stessa con quale animo, per qual fine e da qual consiglio regolata, tu vai ricusando promesse nozze e rifiuti lo sposo. Accogli, te nè prego, accogli di buon grado il mio consiglio e arrenditi alle mie parole. Non restare ferma al tuo convincimento di eseguire quel che ti sei proposta. Abbandona quella tua risoluzione la quale, seguendo proprio di tua mano, ti daresti la morte: ascoltami. Se Gesù Cristo medesimo comandò di fuggire dai perseguitori e così ottenne scampo, perchè mai tu le persecuzioni desideri, anzi ad esse vai incontro ? Volgi, cara sorella, gli occhi alle crudeli sventure di questa misera età: scorgerai i guai dei nostri, le fughe, i nascondigli, gli spietati supplizi, le prigioni, gli esili. Porgi sollecito ascolto ai miei detti e a quell'Aurelio Tito, uomo illustre e sommamente potente ed al quale tu, richiesta, ai dato parola e promessa, concedi per il tuo bene finalmente la mano di sposa'. Vittoria parlava interrompendo il discorso con qualche acuto sospiro e bagnando le gote di lagrime mentre in Anatolia, l'amore di Gesù Cristo, aveva spento ogni amore profano. Benignamente guardandola e sorridendo ella così rispose: "Mia cara sorella, tu dottamente e prudentemente hai parlato e con argomenti di cristiana ti sei sforzata di persuadermi di andare a nozze pur col corruttore della mia fede. Ascoltami e di ciò che in segreto ti dirò fanne, te nè prego, nella tua mente tesoro. Il tuo stesso nome mi favorisce l'esordio. Tu sei veramente Vittoria e a dimostrazione del significato di esso io ti esorto a vincere il Demonio. Per mezzo del suo Verbo, Dio padre onnipotente, da principio, traendo tutte le cose dal nulla e avendo creati già gli altri animali, di fango dalla terra, formò l'uomo animale ragionevole e a lui conferì signoria e comando di tutte le altre irragionevoli creature. Lo collocò, avendo tutte le altre cose disposte nei propri luoghi, nel Paradiso terrestre. In seguito lo unì dandogli Eva per moglie. Ed essendo i due solitari e volendo Iddio che tutto il mondo si popolasse di uomini, impose alla prima coppia umana, di crescere e moltiplicare, di dare alla luce dei figli e di riempire la terra. Il Signore onnipotente Gesù Cristo, verbo del padre, per il quale ogni cosa fu fatta, si degnò di scendere dal cielo in terra per salvare noi uomini. Senza cessare di essere quel Dio ch'egli era, si degnò di prendere carne nostra dalle viscere dell'immacolata Vergine Maria cominciando ad esser uomo che prima non era. Egli fu vergine e sopra tutti amò chi vergine si mantenne. Così, come si legge nel Vangelo, a preferenza d'ogni altro discepolo amò Giovanni al quale accordò nella Cena riposo sul proprio petto. Nell'epoca anteriore a quella del Vangelo, se vuoi che io cominci da più lontano, erano piaciuti a Dio, Profeti e Patriarchi: ma Elia solo, siccome vergine, asportò e richiuse in cielo. Anche prima che Cristo nascesse dalla Verginità, agli occhi di Dio si cara fu la verginità che colui che vergine fu, volle rapito in cielo sopra un cocchio di fuoco. E Cristo una Madre ma sempre vergine si scelse. Quanto più gloriosa deve riputarsi adesso che è coronata regina del cielo medesimo e degli angeli e degli uomini ? In lei la gloria verginale fu elevata sopra gli angeli veramente, come fu collocata alla destra del Padre nella cena di Cristo'. Queste parole Vittoria interrompendola disse: "E che voi sole vergini dunque possederete il Cielo ? Le maritate e le vedove andranno perdute ?'. "No replicò Anatolia - anche per maritate e vedove è stabilito un posto in Cielo, e per esse vi è una propria palma e la luce e il glaudio e la corona. Però la gloria più bella e più luminosa sarà concessa solo a coloro che seguendo Cristo si manterranno vergini. Alle spose vergini è dato godersi lo stesso Verbo del Padre e a contemplare più da vicino il volto stesso del Padre. A te queste parole forse sembreranno al di là di ogni fede. Io invece, se lo desideri, ti preciserò come e dove le ho conosciute e apprese'. "Ma certo Vittoria si affrettò a soggiungere - ardentemente bramo apprendere tutte quelle cose'. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 110/126 "Dopo ch'io ebbi venduto - riprese Anatolia - ori, argenti, gioielli e vesti preziose e n'ebbi dispensato il prezzo ai poveri, ebbi un sogno. Nella notte seguente mi apparve un giovane coronato di un diadema d'oro, molto più risplendente di questo sole, ricoperto dal capo ai piedi di vestimenta d'oro, tempestato di gemme. Nella pienezza della sua luce a me si volgeva guardandomi con occhio fisso e cominciò ad elogiare la santa verginità, sposa del re e non soggetta a dolore e a corruzione. La chiamava luce che tenebre non varranno ad offuscare. Gloria che confusione non macchia, nè passione qualsiasi deturpa. Incapace di morte, fonte di vita, la verginità siede in cielo vicino alla vera ed eterna vita che è in Dio. Alla stupenda visione e a quelle meravigliose parole rallegrata io mi risvegliai. Però chi meco parlava, come un lampo sparì e presa da immensa malinconia, mi prostrai in terra e con singhiozzi e con lagrime scongiurai Dio perchè della visione sparita di nuovo mi confortasse. Quand'ecco, oh gioia !Quel caro giovane a me non più dormendo, ma desta, ricomparve e con vera voce cominciò a parlare. La verginità, mi andava ripetendo, è la porpora del vero Re, la gemma più bella della corona reale, l'eterno tesoro ricco d'oro e di gemme contro di cui nulla può frode verun dei ladri, nè può logorare vecchiezza nè ruggine. oggiungeva: queste sono le tue ricchezze, questa la tua gloria, che mai potranno esserti sottratte. A motivo della verginità sarai gloriosissima dinanzi a Dio. Più e più volte l'angelo mi rincuorò a custodirla gelosamente e prontamente. Fin d'allora, cara sorella, fui presa da amore si forte per la verginità, che bramerei perire di morte la più tormentosa, piuttosto che tralasciare il santo proposito di esser Vergine. Finito ch'ebbe Anatolia di parlare, Vittoria le cadde ai piedi e genuflessa implorò perchè le facesse vedere lo stesso giovane apparsole. A sua volta colei assecondando il desiderio dell'amica, s'inginocchio e fervorosamente supplicò Dio che si degnasse di rinnovare la visione e, nel mentre ambedue pregavano, ecco che l'Angelo del Signore comparve loro risplendente. A quella vista, prese da grande timore, ambedue le donzelle caddero a terra senza poter proferire parola. Ma l'angelo confortandole le disse: "Dio non vi ha preparato la corona se vergini non vi manterrete'. Vittoria, oltremodo lieta, preso coraggio, all'angelo domandò: "Qual è nel cielo la gloria delle vergini ? Com'è diversa da quella che ottengono le maritate e le vedove ?'. L'interpellato lo svelò benignamente, e alle sue parole raddoppiò nel cuore della giovane la fiamma dell'amore per Gesù Cristo. Attraverso la riproduzione quasi testuale di quanto si conosce intorno alle due giovani, viene chiara l'impossibilità fisica per esse di essere sorelle e il significato della parola sorella adottato nei loro confronti è quello genuinamente cristiano, indicato dalla lettera attribuita a S. Clemente, vale a dire di fanciulle votatesi alla verginità per meglio servire Dio. A questa splendida virtù la letteratura dei primi cristiani aveva tributato meritati elogi e ne avevano già scritto Origene, Tertulliano, lo stesso S.Cipriano oltre a S. Clemente nella sua menzionata lettera. Più matura di giudizio e in possesso di una dottrina limpida e di una fede incrollabile, Anatolia sta su un gradino lievemente superiore a quello che si intravede occupato da Vittoria. Chi oserebbe contestare che quella purezza di dottrina non sia conservata in quella dei nostri giorni ? E chi non vede nelle affermazioni di Anatolia intorno alla verginità il germe fecondatore della parte più bella della vita cristiana che è il monachismo ? Due sposi immaginari Tornata a casa Vittoria imitando l'esempio di Anatolia, distribuì oro, argento e vesti preziose ai poveri per essere vera sposa di colui che essendo ricco, come dice l'apostolo, si fece povero affinchè noi poveri diventassimo ricchi delle sue celesti ricchezze. Eugenio non tardò a risapere i particolari dell'episodio e mesto angosciato corse dall'amico Aurelio Tito, glieli narrò e insieme studiarono le misure da Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 111/126 adottare: "Se le accusiamo come cristiane ai Magistrati - andavano ragionando " le due fanciulle andrebbero messe a morte e i loro poderi sarebbero confiscati con esclusivo beneficio dello Stato. Toccherebbero invece a noi se, rifiutandosi Anatolia e Vittoria di acconsentire ai nostri desideri e sfinite dai patimenti, finissero di morte naturale'. I due nobili giovani trasportarono le immagini della rispettiva fanciulla dall'empito del cuore nel gelo di menti calcolatrici e, in questo loro brusco passaggio, si trovarono pienamente in accordo e solidali e si presentarono all'Imperatore. Gli chiederono, in via di grazia, di poter mettere sotto la propria potestà Anatolia e Vittoria, loro rispettive spose, con piena facoltà di trasferirle da Roma in campagna. Decio annuisce e, lietissimi per la grazia ottenuta, l'uno relegò Vittoria sua sposa in una villa situata nel territorio di Trebula Mutuesca, oggi corrispondente a Monteleone di Spoleto, mentre l'altro trasferì Anatolia nei pressi dei suoi poderi in vicinanza della città di Tora. Quando si incontra nelle antiche storie il nome di città, si galoppa con la mente alle odierne metropoli tentacolari e popolate da milioni di abitanti. Niente di meno preciso: le città romane erano un'accolta di cittadini ammessi al pieno godimento di diritti. Fuori di esse non esisteva che un insieme di campi, di pascoli e di selve non sempre e non completamente coltivati dalla mano dell'uomo, destinati all'allevamento del bestiame, a residenza dei coloni, di schiavi e di addetti alle aziende agricole e anche a luogo di piacere per i signori. Tora era una città appunto perchè i suoi abitanti erano cittadini romani. Aveva un territorio popolato di aziende agrarie e di ville dove i signori trascorrevano i propri ozi o, come oggi si direbbe, le vacanze. Basta per adesso sapere che stava in vicinanza del lago Velino (e anche qui bisogna fare attenzione per non sbagliare circa l'ampiezza del bacino) ed era di antichissima origine. Aveva un santuario funzionante fin dai tempi dei Pelasgi, una popolazione della quale gli archeologi non riescono ancora a svelare il mistero. Il suo santuario era celebre quasi come quello di Dodona (una città della Grecia) in cui una colomba, dall'alto di una quercia, dava il vaticinio. Questo incarico invece a Tora, era stato affidato al Pico, l'uccello sacro degli antichi (che poi dette il nome all'intera provincia che si chiamò il Piceno) il quale dalla sommità di una colonna, dava l'oracolo ai pellegrini. Nel tempio si prestava il culto a Marte, la divinità pagana dai greci chiamata Thirios Aris, che dette il nome alla città denominata appunto Tirios e nel medioevo Tiora. Per quanto esca fuori dello scopo principale di questa narrazione, bisogna, una volta accennatosi a questi particolari intorno a Tora, concludere la vicenda di Vittoria. La giovinetta costantemente soffrì tutto ciò che di più doloroso le imponeva il suo aguzzino, coadiuvato da scherani locali, e si mantenne fedele fino al supplizio. La sua beata morte venne esaltata nel Martirologio Romano sotto la data del 23 dicembre con queste parole: "Non volendo marito e neppure sacrificare agl'idoli, dopo aver fatti molti miracoli, con i quali aveva racolto a Dio moltissime vergini, finalmente, a istanza del barbaro ed ingrato suo sposo, con una stoccata al cuore fu uccisa dal carnefice a Roma". Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 112/126 Capitolo IV - Deportazione a Tora Dono e fama di miracoli Anatolia, esiliata da Roma e priva di ogni sollievo di parenti e di amici, lontana dalla patria e dalla casa, spogliata di ogni ricca proprietà toccatale come retaggio paterno e materno, appariva infelicissima agli occhi del mondo. Questa grande miseria e sventura però veniva abbondantemente compensata con la dolcezze del divino amore e con la certa speranza nei godimenti celesti. L'infelice prigioniera privata perfino, ad opera dei malvagi servi e ministri dell'iniquo Tito Aurelio, del necessario alla vita, si alimentava con la divina parola. Suo unico pane e cibo sufficente per la sua fame era Cristo. Cristo era la sua patria, e Cristo era l'indivisibile compagno che mai si staccava dal fianco della donzella sua sposa. Anatolia si consacrò ad una continua preghiera e, non contenta delle ore del giorno, trascorreva vegliando intere notti, reputando le sofferenze fisiche, da altri inflittele per causarle patimento e miseria, sua dolci consolazioni e sua vera gloria. In questo periodo apparentemente triste, Iddio che esalta gli umili, la rese per virtù di prodigi, splendida e gloriosa agli occhi del mondo. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 113/126 In quel tempo governava, come console, l'intera provincia Picena, un uomo nobilissimo di nome Teodoro o Diodoro, che aveva un figlio di nome Aniano che, invaso dal maligno, si lacerava le vesti e si strappava le carni e, urlando ferocemente quasi fosse una bestia, tutti muoveva a pietà. Questo giovane, o più veramente, lo spirito immondo, per sua bocca, con voce spaventosa simile a tuono, più e più volte andava gridando: 'O Anatolia, con le tue preghiere tu mi bruci!'. Teodoro, uomo tutto pagano e cieco idolatra, sperava di restituire a suo figlio la salute con le sporche pratiche del gentilesimo e, allo scopo, offriva incensi agli idoli e sacrificava vittime al Demonio mandando Aniano in pellegrinaggio per i diversi templi più famosi dei numi. Un giorno, stretto da catene e in folta compagnia diretto a Tora, dove sorgeva un tempio rinomatissimo dedicato a Marte, questi stava attraversando l'orrido deserto nel quale Anatolia, tutta assorta nelle preghiere, conversava con Dio. Non appena il maligno, che da lungo tempo lo andava agitando, presentì la santa fanciulla, rotti i ceppi e acutamente ruggendo, corse avanti e gettatosi ai piedi di lei, con voce più terribile del consueto, grido: 'Tu sei Anatolia ! Tu sei quella che con le fiamme delle tue preghiere mi bruci !' Quale non fu lo stupore dei presenti quando la santa vergine prima soffiando imperiosa sopra il fanciullo, poi volgendosi al maligno proferì queste parole: 'Io ti comando, immondo spirito, nel nome del mio Signore Gesù Cristo, esci fuori immantinentida quest'uomo !'. E all'istante il maligno uscì. Gli astanti videro liberato il fanciullo e sollecitamente portarono la notizia a Teodoro al quale Aniano stesso giulivo raccontò come e da chi avesse recuperata la pristina salute. Si fece una grande festa per tutta la provincia e da ogni parte veniva la gente a congratularsi con Teodoro e, nell'ammirazione del prodigio, dovunque il nome di Anatolia era portato in cielo. Teodoro non fu ingrato alla sua benefattrice, ma accompagnato dalla moglie e dai figli e da tutta la famiglia, andò a Tora a ringraziare Anatolia ed a offrirle ricchi e preziosi doni. Quando costei ebbe davanti tutti quanti, predicò la fede e la legge del Salvatore e ai propri ascoltatori raccomandò la salvezza delle loro anime. Volle pure che i ricchi regali offertile, venissero distribuiti ai cristiani poveretti dicendo, quanto a sè, di non aver bisogno di nulla. Gesù largamente la provvedeva del necessario su questa terra e nel secolo futuro le avrebbe dato un regno eterno in Cielo ed una eterna vita non più funestata nè da miserie, nè da sventure, ma ridondante di luce, di gaudio e di allegrezza. 'Tu poi - aggiunse rivolta a Teodoro - lascia il culto dei demoni, e credi al vero Dio onnipotente e ti salverai'. La ragion di stato avversa i miracoli Frattanto la fama del miracolo si era sparsa da per tutto ripetendosi il nome di Anatolia. A lei ricorrevano a frotte lunatici ed energumeni. A lei si conducevano infermi di ogni genere di malattia e dati già per spacciati dall'arte medica. A tutti quanti, con la preghiera in nome di Gesù Cristo, restituiva la sanità ed esortatili a credere li rimandava a casa. A tanto rumore di prodigi diffuso in tutta la provincia Picena e anche altrove, le genti si convertivano alla religione cristiana con tanta affluenza che ormai i templi degli idoli erano non curati e deserti. I sacerdoti pagani indispettiti rivolsero le più alte lagnanze all'imperatore Decio che, nemico giurato del cristianesimo, arse di sdegno. Chiamato a sè un uomo scelleratissimo di nome Festiano o Faustiniano, lo spedì come giudice a Tora, imponendogli rigorosamente di costringere Anatolia a forza di tormenti, a sacrificare ai numi o, al suo rifiuto, la condannasse pure a morire di spada. Il magistrato non ebbe indugi e, per mezzo dei suoi sgherri, fatta stringere Anatolia con ceppi e avutala dinanzi, guardandola con bieco sguardo, le disse: 'Tu sei quell'Anatolia che vai persuadendo i popoli a disprezzare la pietà e la religione dei Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 114/126 Numi e ad adorare invece come Dio un non so quale uomo già messo a morte dai suoi stessi compaesani ?' - 'Son io' rispose Anatolia. E Festiano : 'Sacrifica agli Dei che la manifesta divinità prova di esser dei'. 'Non sacrifico agli idoli - replicò Anatolia - i quali fabbricati dalla mano dell'uomo e privi di sentimenti, hano orecchie e non odono, hanno bocca e non parlano, hanno narici e non sanno odorare, hanno piedi e non camminano.' 'No ! gridò Festiano - con la tua alterigia non disprezzare i comandi degli Augusti a quali tutto il mondo è soggetto'. 'Ai tuoi Augusti - riprese Anatolia - e a tutti quelli che loro obbediscono è dovuto un fuoco eterno ed una pena senza fine nella quale saranno eternamente tormentati a causa delle loro scelleratezze'. A tali parole, divampando per la collera, Festiano gridò più forte: 'Tormenti perpetui e fuoco eterno, o ribalda, tu minacci agli Augusti, e a noi cui è merito obbedirli ? Sappi, sciagurata,.che se presto non sacrifichi e non obbedisci agli Imperatori, tu stessa per prima e tormenti e fuoco o incendio sul tuo corpo sperimenterai'. 'Fa quel che vuoi - rispose Anatolia - io non sacrificherò mai ai demoni, nè per minaccia nè per qualsiasi supplizio mi muoverò dal mio proposito' . Festiano allora comandò che la santa vergine venisse sospesa nell'eculeo e tormentata. Nè i barbari persecutori tardarono l'esecuzione dell'ordine anzi, crudelmente la straziarono e con fiaccola accesa andavano bruciando i nudi fianchi di lei e la schernivano gridando: 'Sacrifica ai Numi, secondo l'ordine del principe e poi te ne andrai libera dove vuoi'. Tutta lieta e serena Anatolia, quasi riposasse sopra un letto di rose, rispondeva loro: 'Miseri e infelici ! Per breve ora io sento il dolore nel corpo ma eternamente poi godrò con il mio Dio. Voi all'opposto se non vi convertirete alla fede del mio Signore brucerete, insieme con i vostri Numi in un incendio sempiterno !'. Una fermezza così eroica indispettì Festiano che si mostrò vile oltrechè disubbidiente agli ordini dell'Imperatore. Egli volendo punire la santa fanciulla con lo stesso supplizio al quale nell'antica Roma venivano soggetti i parricidi, la condannò ai veleni. Chiamato a sè un famoso mago che usava serpenti velenosi per ammaliare e uccidere le genti, gli affida l'incarico. Audace 'il Marso' Quell'uomo si chiamava Audace e apparteneva al paese dei Marsi, peritissimi e potentissimi nel'impiego di siffatte malie. 'Audace - gli dice - prendi tu questa empia strega incantarice che con i suoi prestigi porta ognuno all'errore, chiudila insieme con i tuoi più velenosi serpenti entro un sacco di cuoio e uccidila, ed io ti farò ricco di molto denaro e diventerai mio primo intrinseco amico'. 'Signore - rispose Audace - non occorrono molti serpenti, un solo serpente le aizzerò e la strega morrà senza fallo'. Avuta in suo potere la santa giovane e messo un serpente, il più micidiale che avesse, dentro un sacco di cuoio, ve la rinchiuse. E qui Dio dimostrò di nuovo la sua speciale assistenza verso i suoi santi e come egli sappia ammansire le bestie più feroci confondendo i suoi nemici e conducendo in tal modo alla fede gli idolatri più ciechi. Anatolia, chiusa in quel sacco, con quella bestia velenosissima, sciolse il labbro in un cantico di lode al Signore e nella preghiera trascorse l'intera notte senza che il serpente, divenuto domestico e mansueto, ardisse toccarla col venefico suo morso. Audace, che conosceva molto bene l'indole e la natura del suo strumento, ritenne che il serpente alla chiusura stessa del sacco avesse subito morsicata Anatolia uccidendola. Tuttavia indugiò fino all'alba del giorno Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 115/126 seguente, non tanto per assicurarsi che la suppliziata fosse morta, com'egli riteneva certissimo, quanto per recuperare con la luce del giorno il serpente micidiale. Dopo avere invocato i suoi demoni e i suoi dei, cioè Mercurio al quale nel cadduceo Giove aveva concesso il potere della vita e della morte e Pallade la quale ha per insegna la ferocissima Gorgone, perchè lo scampassero dal furore e dai morsi del serpente rinchiuso, aprì il sacco di cuoio. Qual non fu il suo stupore ! Ecco Anatolia piena di vita e sorridente. E qual terrore l'incolse allorchè il serpente, ridiventato ferocissimo, gli saltò al collo, glielo accerchiò e fieramente con i morsi lo lacerava. Se non fosse accorsa in suo aiuto Anatolia che prese in mano il serpente e gli disse : 'Io ti comando in nome di Gesù per il quale patisco queste cose, parti di qui e vattene al tuo posto !'. Mansuetissimo il rettile, quasi avesse intelligenza ed udito, se ne andò via e Audace, trasecolato e toccato nel cuore dalla grazia divina, incominciò a gridare ad alta voce: 'Veramente Gesù Cristo è Dio, nè esiste altro Dio fuorchè lui !'. Fu riferito questo mirabile avvenimento e la conversione di Audace a Festiano il quale, altamente meravigliato, a sè lo chiamò e gli disse: 'Cosa mai mi fai sentire ? Non mi avevi promesso che avresti tolta la vita a quella ribalda con i morsi dei tuoi serpenti ? Come va che, non solo non hai mantenuto la promessa, anzi hai abbandonato la religione dei Numi e sei diventato perfino compagno di lei nella follia ?. A queste parole Audace replicò: 'O Festiano, so quanta fierezza stia nel morso dei miei serpenti e di qual forza sia il veleno di essi e appunto per questo io confesso il nome di Gesù Cristo e adoro la sua maestà. E poichè il serpente da me usato era micidialissimo e non riuscì ad offendere la serva di Dio, mentre con il suo contatto avrebbe potuto dare morte anche in un attimo a qualunque animale avesse morsicato. Ebbene racchiuso con lei nel sacco di cuoio per tutta la notte, non ebbe ardire di toccarla. In più, senza il soccorso di Anatolia, avrebbe ucciso con i suoi morsi me stesso, che son solito con medicine e incantamenti medicarne la rabbia'. 'E che - rimbeccò Festiano - se con incantesimi più potenti dei tuoi smorzò l'ira del serpente, dovevi tu per questo uscire subito nelle grida ed invocare scelleratamente il nome di Cristo ?'. 'Credimi Festiano - ripigliò Audace - i nostri Dei, come dice la santa vergine, sono demoni. Sebbene li abbia serviti fin dall'infanzia, quand'io aprivo il sacco pur avendoli invocati, non vennero in mio aiuto e il serpente, irritato di più dalle mie invocazioni, come ho detto, si avventò a ad onta della mia arte magica, se non lo avesse raffrenato la santa verginella, mi avrebbe tolta la vita. Il vero Dio, il vero Dio è Cristo ! Alla cui servitù consacratasi Anatolia, nè potè essere offesa dal serpente, nè permise che altri ne restasse offeso'. 'Pazzo che sei Audace - replicò Festiano - per questo parli così ?' 'Fui pazzo veramente finora ! Adorai statue mute e sorde e prestai culto ad esse quasi dessero la vita ad altri che non l'hanno e ne implorai il soccorso. Ora che riconosco e credo e confesso il vero Dio, veramente sono savio'. 'Rinsavisci - disse Festiano - e rinnega il nome scellerato e perseguitato dagl'Imperatori. Affrettati a placare con sacrifici gli Dei perchè ti perdonino le ingiurie di cui li hai gratificati'. Audace però fermo e costante rispose: 'Fa' di me quel che vuoi. Mai sacrificherò agli idoli'. 'Abbi pietà almeno dei tuoi figli - incalzò Festiano - della tua moglie e di te stesso, che volontariamente condanni a morte'. 'Non esiste premura o pensiero veruno di moglie. O conosciuto il vero Dio e a lui mi sono consacrato, non lo abbandonerò più'. Festiano, accorgendosi così che nè per minacce nè per lusinghe rimuoveva Audace dall'amore e dalla confessione per Cristo, comandò di rinchiuderlo in una oscura prigione in compagnia di Anatolia. Di questo mezzo, Dio si servì perchè il valoroso prigioniero fosse istruito nelle pratiche e nella dottrina della Religione Cristiana. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 116/126 Il prezzo della follia della croce Giorno e notte la santa donzella lo ammaestrava e lo esortava alla pazienza e tanto grande riuscì la fiamma dell'amore di Dio che riuscì a suscitargli nel cuore da spronare il convertito Audace, giubilante insieme con lei del patire per il nome di Cristo, a far risuonare il carcere d'inni e di lodi di ringraziamento a Dio. Maggior odio crebbe nel cuore di Festiano, insofferente di più per tali cose, da portarlo a scrivere la sentenza di morte. Non dice l'antico scrittore con quale genere di supplizio l'atleta della fede fu fatto perire, limitandosi solo a dire che battezzato nel suo sangue Audace volò al Signore. Fa capire però due particolari: nella prigionia Audace, per mano di Anatolia non aveva ricevuto ancora il battesimo che a lui riservava dopo più ampia istruzione: può ritenersi che la sua morte fu dovuta a spada. Il Martirologio indica la data del martirio al 9 luglio, ma seguendo Pietro Adelmo, evidentemente ispiratosi agli Atti autentici della passione, è da ritenersi che la morte di Audace sia avvenuta poco prima di quella di Anatolia. I cittadini di Tora continuarono a raccomandarsi alle preghiere dell'incarcerata donzella e continuò per sua intercessione la serie di splendidi prodigi. Venivano condotti infermi e indemoniati da lei e tutti immediatamente venivano liberati da ogni male e moltissimi, abbandonati gli idoli, si facevano cristiani. Così grande era il numero dei convertiti da far temere a Festiano che la maggior parte del popolo abbandonasse la religione pagana. Ricominciò a smuovere Anatolia dal suo proposito e dalla fede ricorrendo alle carezze e alle più splendide promesse. Cercò di spaventarla mostrandole dinanzi agli occhi i tormenti più crudeli, ma invano, e disperando di vincerne la costanza, ne affrettò la condanna a morire per mezzo di spada. L'esecuzione doveva avvenire, per evitare la conversione dell'intera città, non in pubblico ma nella tetraggine della prigione. Era il 9 luglio del 252 e il crudele carnefice entrò nel carcere e trovò Anatolia dritta in piedi a braccia aperte, assorta in orazione. Il boia, tratta la spada dal fodero, gliela piantò nel fianco destro con tanta veemenza che la punta dell'arma passando il corpo da parte a parte, spuntò nel fianco sinistro. E così Anatolia, vergine e martire di Cristo, superate le sventure di questo mondo infelice, giunse in compagnia delle schiere dei martiri e delle vergini alla sempiterna allegrezza e si riunì eternamente nel cielo con quel suo caro sposo, Gesù, insistentemente cercato e calorosamente amato giorno e notte su questa terra. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 117/126 Nel mattino seguente, ciè il 10 luglio, alcuni cristiani di Tora, i quali avevano creduto a Cristo per mezzo della martire, entrati nella prigione, rapirono il suo corpo, forse custodito da soldati, per rendergli l'onore del sepolcro che, come si legge, veniva dato ad altri santi martirizzati. Dio stesso, assicura l'antico scrittore, aveva indicato il luogo dove essi spargendo amarissime lagrime lo seppellirono. L'indicato luogo si trovava nella vale Torana ed era il medesimo nel quale la moglie ed i figli di Audace avevano deposto le spoglie del loro caro, secondo i risultati del ritrovamento effettuato sette secoli dopo. I due atleti, uniti nel carcere e nel martirio, si ritrovarono uniti anche nella tomba. Può supporsi che il sepolcro di Anatolia, sebbene fosse una fonte perenne di grazie per quei fedeli, almeno durante le crudelissime persecuzioni seguite a quella di Decio, rimanesse incerto e sconosciuto. Non appena fu data la pace alla chiesa, nella valle Torana si costruì una chiesa in onore a Sant'Anatolia e il 9 luglio di ogni anno in folla vi accorrevano i popoli vicini a venerare la Taumaturga e a conseguire insigni prodigi per gli infermi che vi conducevano. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 118/126 Capitolo V - Il ritrovamento delle reliquie Leone il 'gagliardo' abate di Subiaco Sulla città di Tora, come su altri luoghi popolati della valle del Salto, che costituiscono il paese del Cicolano, si abbattè la furia delle invasioni dei barbari con la triste catena di stragi, d'incendi e di devastazioni. Con il tempo costoro si assuefecero agli sventurati italiani e sistemarono a modo loro il territorio. I Longobardi, una delle popolazioni straniere più fiere, compresero Tora nella circoscrizione amministrativa del Ducato di Spoleto e da allora Tora iniziò le relazioni con l'imperiale abbazia di Farfa ma sempre dipendente dal punto di vista religioso dal Vescovo di Rieti. Le condizioni del Cicolano divennero, come del resto in tutta l'Italia, piuttosto oscure e non vale la pena di affrontare la fatica d'inoltrarsi in un terreno così poco solido e incerto. Basterà accennare che tra gli anni 875 e il 926 non meno di undici re, di volta in volta italiani, francesi e tedeschi, cinsero la Corona d'Italia e da questa inettitudine a governare, si scivolò in una pericolosa anarchia resa più grave dall'imperversare dei pagani. Ungari da settentrione e Saraceni dalla parte opposta, avevano reso tristissime le condizioni di tuti i cristiani e quelle particolari della Diocesi di Rieti calpestata dai maomettani. Con vibranti lettere all'imperatore, il papa Giovani VIII e un altro papa, Stefano VI, ancor più pressamente lo invitarono a scendere in Italia per purgarla dalla faziosità dei cattivi cristiani e dalla molesta presenza dei pagani. In quell'atmosfera rovente, i monaci di Farfa furono costretti ad abandonare le fumanti rovine della loro badia ed a rifugiarsi nel Camerinense, sul monte Matenano ivi portando le reliquie di S.Vittoria. I Saraceni, istallati e fortificati alla foce del Garigliano, partivano per molestare il ducato di Spoleto e il patrimonio della Chiesa. Conquistarono Rieti e Antodoco e, come al solito, uccisero, incendiarono e devastarono e si fortificarono a Trebula Mutuesca, la città dove, come si ricorderà, S.Vittoria fu uccisa. La memoria del loro passaggio rimane affidata al nome delle contrade, quali 'Muro Saraceno in Framignano, Aia Saracena in Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 119/126 Alzano e in Castelmenardo' i quali nomi alimentano le nostre fantasie nella ricostruzione di episodi ignorati dalle cronache. Papa Giovanni X bandì contro gli infedeli una specie di crociata alla quale partecipò, insieme con altri, lo stesso duca di Spoleto e Camerino di nome Alberico I. Le forze coalizzate dei cristiani snidiarono i Saraceni da Trebula costringendoli alla fuga verso le loro basi e lungo il percorso li sconfissero in vicinanza di Tivoli e a Vicovaro, dove essi peraltro lasciarono delle pattuglie che nella valle dell'Aniene formarono Saracinesco Vecchio e Saracinesco nuovo. Con a capo lo stesso Pontefice, l'esercito cristiano si mosse ad attacarli nei munitissimi fortilizi delle loro basi e, in una memorabile battaglia campale, nel 926 sgominò i Saraceni sulle rive del Garigliano. In questa atmosfera di alleanze e mutue assistenze, Alberico duca di Spoleto fece inviare a Subiaco l'abate Leone per ripristinarvi la Comunità benedettina. Un vescovo di Rieti, mosso da una speciale devozione verso S. Benedetto, si indusse ad accrescere il patrimonio della ricostruita Badia col donarle la chiesa di S. Anatolia e la Valle Torana. Lo scritto che quel donativo accompagnava e perfezionava è andato smarrito ma esistono, come si vedrà, prove indirette della sua compilazione. L'abate Leone volle prendere possesso del graditissimo dono e con una grande comitiva di nobili, signori e famigliari, nell'anno 932 partì da Subiaco alla volta di Tora. Qui giunto volle realizzare ciò che in mente aveva lungamente concepito e cioè l'investigazione delle reliquie dei santi Anatolia e Audace che egli poco prima aveva saputo fossero nascoste nella Vallata. Il pio abate ordinò per svago una caccia durante la quale accadde un fatto miracoloso. All'avvicinarsi al luogo dove stavano nascosti i corpi dei santi, i cani non potevano penetrarvi e se ne sentivano respinti da forza arcana. Presi da folle spavento ritornarono indietro verso i cacciatori fieramente uggiolando e abbaiando come colpiti da rabbia. Tutti se ne meravigliavano fuorchè Leone il quale solamente sapeva nascoste nella Valle di Tora le sante reliquie dei martiri e ripeteva:'Non senza mistero accade tuto ciò !' S'investigò con ogni diligenza dapertutto ma non si trovarono tracce dei corpi ricercati e la partita di caccia terminò. Ciascuno si alontanò da quei luoghi insieme con il pio abate che si era messo di nuovo a cavallo dirigendosi alla volta di Subiaco. E qui rifulsero i disegni del Signore che volle manifestata al mondo la gloria dei suoi santi. Leone fu preso da grave sonno e, caduto quasi di sella, sentì il bisogno di dormire giacendo sul nudo terreno. Destatosi dopo poco cominciò a dire: 'Sono stato ristorato da un sonno salubre'. E, a quanti gli erano corsi a fianco, narrò per ordine e indicò il luogo, da Dio stesso mostratogli, nel quale da Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 120/126 molti secoli era racchiuso il tesoro dei santi corpi. Tutti si volsero verso la parte alla quale l'abate alludeva e tra esclamazioni e grida di giubilo si svolse una gara operosa che sassi e terra smuoveva. Furono scoperte due urne da cui usciva un soavissimo profumo e, scoperchiatele, in una trovarono il corpo di Sant'Anatolia e nell'altra quello di Sant'Audace. Ci fu grande giubilo e dolci lagrime tra i presenti per l'inaspettato e caro ritrovamento e fu felicissimo, oltre ogni dire, l'abate Leone. Questi stabilì, per conservare in un luogo più decente quelle sacre spoglie, di farle trasportare a Subiaco e, rivestitele pomposamente di nobili e preziosi panni, vennero caricate su un cavalo indomito che, al solo tocco delle urne, diventò mansueto e placidissimo. Giunte le spoglie a Subiaco, la cittadinanza accorse a riceverle alle porte e, tra lagrime di tenerezza e giubilo, trionfalmente le accompagnarono al monastero di Santa Scolastica dove furono esposte alla pubblica venerazione. Il cavallo indomito, appena scaricata la preziosa soma alla porta della chiesa, stramazzò morto in terra, per divina disposizione che impediva a ciò che era stato santificato dal contatto delle sacre reliquie di venir destinato ad usi profani. E i Torensi come accettarono il gesto di Leone ? Pare di leggere che essi a quello che a loro sembrava un rapimento ed un sorpruso reagirono e corsero per le vie di Rieti e per quelle di Subiaco esternando proteste e cerimonie. Il loro vescovo Anastasio (948-969) si fece eccellente mediatore con l'ardito, animosus, abate Leone. Questi sentiva di dover andare incontro alla popolazione menomata dalla sottrazione dei corpi dei Santi e fu raggiunto un accomodamento. L'abate avrebbe ceduto una spatola di Sant'Anatolia in cambio di qualche diritto, aliquantulum juris, che riceveva probabilmente dallo stesso vescovo Anastasio. Nell'anno 981 poi, allorchè il sommo pontefice Benedetto VII di propria mano consacrò la chiesa di Santa Scolastica fu deposto il corpo di S. Audace sotto l'altare maggiore. Nell'anno 1095 infine, Adamo, vescovo di Alatri, invitato dall'abate Giovanni, riverentemente pose le reliquie di S. Anatolia sotto l'altare maggiore del sacro Speco di San Benedetto in Subiaco. In questa circostanza l'abate spedì alcune reliquie di Sant'Anatolia a quella cospicua terra della Marca di Ancona, detta Esanatoglia e da allora è invalso l'uso di far invocare a testimonio, dai monaci del sacro Speco, nel fare la professione monastica, anche il nome di S.Anatolia 'il cui corpo riposa in questa chiesa'. Non solo nel giorno della sua festa che cade però il 10 (e non il 9) di luglio in quel luogo sacro venerano la Taumaturga i popoli vicini, ma in ciascun giorno si recano allo Speco del santo patriarca Benedetto pellegrini e visitatori di ogni lingua e nazione. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 121/126 S.Anatolia in Colonia Jubenzana Nella stessa abazia di Subiaco, in Gerano, S.Anatolia si venera come protettrice e se ne riguarda solennemente la festa, celebrata in una chiesa a lei dedicata, discosta circa un miglio dall'abitato del paese e contornata da un prato vasto e ameno. In questa chiesa rurale scaturiva una vera sorgente di grazie per zoppi, rattrappiti, indogliati e per sofferenti di altra infermità o imperfezione ribelle ad ogni rimedio dell'arte medica che vi si portavano in venerazione. Appena prostrati innanzi all'altare dov'ergesi la sua statua e supplici invocavano la martire cicolana, per lo più si vedevano liberati da ogni male con meraviglia e commozione insieme. Si vedevano poi allontanare con le proprie gambe dalla chiesa di S. Anatolia festosi e giulivi quelli che da altri sostenuti o portati a braccia o sorretti da grucce vi erano stati portati, dopo aver depositato i vani sostegni della guarità infermità. Ancora quella chiesa di Gerano il 10 luglio di ogni anno viene frequentata da una folla di remota provenienza e di numero difficilmente calcolabile in continuazione di quei pellegrinaggi, iniziati già dal X secolo se non prima. Difficilmente i pellegrini rimarranno commossi al compimento di una grazia taumaturgica e allo spettacolo che ne segue perchè alla intercessione riparatrice di Sant'Anatolia è stata sostituita la fede nei poteri di una magia più o meno nera ma sempre ipotetica. Il governatore Festiano invasato dall'idolatria e grato a modo suo a Sant'Anatolia, ha fatto scuola e proseliti numerosi. All'origine di questa devozione, a parere di chi scrive, sta la remota venerazione dei Benedettini per le sue martiri Vittoria e Anatolia. Ancora oggi sul timpano dell'altare maggiore di quella chiesa può leggersi in lettere greche il sublime titolo di madre di Dio. Theotokos e la città rivendica non ben precisate origini delle due martiri. Nella Valle Giovenzana, dove le proprietà della Chiesa si confondevano con quelle del vescovo di Tivoli dal quale allora essa dipendeva, esisteva la chiesa di Sant'Anatolia già nell'anno 936 come si rileva dal privilegio pontificio: 'praedicta colonia quae appellatur Iubenzana qui et Trellano (Gerano) vocatur, in ea antea fuit curte domnica et ecclesia sancte Anatoliae. Nel centro agricolo, curtis, impiantato lungo l'arcaica via di collegamento tra Roma e il paese degli Ernici, attraverso la città di Empoli e di Sassola e gli Altipiani di Arcinazzo, e costituito da negozi, magazzini, ospizi e chiese, tra queste si noverava già la chiesa dedicata a Sant'Anatolia. La curtis domnica era stata distrutta in antea dai Saraceni annidiati nella valle dell'Aniene e battuti, come si è detto, a Vicovaro (poco lontano dalla colonia Giovenzano) ma non completamente snidiati se le loro pattuglie poterono fondarvi Saracinesco Vecchio e Nuovo. Lo stesso centro, ridotto a colonia, passò nelle mani dei Benedettini di Subiaco poco prima dell'anno 936 e la natura dell'origine della venerazione di S.Anatolia in Gerano finora un po' nebulosa meriterebbe di essere corretta. Si era pensato che l'abate Leone, di ritorno dalla val di Tora, per raggiungere Subiaco, anzichè attraversare da Arsoli la val d'Aniene, da Vicovaro si sarebbe portato in Gerano e dall'affluenza di popolo mosso ad incontrare le reliquie, vi avrebbe decisa una sosta in un padiglione provvisorio. La gente avrebbe continuato ad accorrere in quel posto per venerarvi la Tammaturga cicolana trasformandolo in una chiesa. Quella sosta, che allungava notevolmente l'itinerario del viaggio, sembra capricciosa e pone una logica domanda: perchè il pio abate scelse proprio Trellano-Gerano e non per esempio Arsoli e Vicovaro che incontrava lungo il cammino diretto e più breve ? La risposta più spontanea e logica è appunto che doveva uno speciale riguardo a Trellano-Gerano a causa della chiesa di S.Anatolia, da cui forse era stato ispirato a compiere il viaggio. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 122/126 Capitolo VI - La Citta' di Tora "Passa est autem sancta sacratissima virgo Anatholia in loco ubi exuberant virtutes d. N.J.C. per oratione ejus usque in presentem diem..." (da una ms. dell'VIII secolo - già nella Badia di Farfa, oggi nella Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma) Protagonisti e coristi in questa narrazione hanno formato un groviglio non interamente districato. E' probabile che gli sposi nuncupativi si siano sistemati con altre due pulzelle, altrettanto giovani e belle di Anatolia e Vittoria e presto, senza rimpianti per i loro tesori, sarà loro passato di mente il sangue innocente fatto spargere sotto l'obrobriosa veste di spie. L'impagabile Festiano (che in qualche punto era chiamato Teodoro, dono di Dio), al termine dell'incarico svolto nel Piceno, sarà tornato in patria e, come era costume presso i romani, si sarà dedicato alla vita dei campi e al patronato dei rustici che contornavano la sua villa. Suo figlio Aniano somiglia troppo ai nove lebbrosi guariti da Gesù che si ritirarono senza un ringraziamento e la storia lo fa rientrare scialbamente nei ranghi idolatrici. Folgorato per intercessione di Anatolia, folgorato dalla Grazia, non tradisce come il decimo lebbroso, riconoscenza per la sua benefattrice e senza spingerla come fece il mago Audace, fino al martirio, neppure che si sappia, con l'adesione al cristianesimo. Subiaco, il Sacro Speco e i Benedettini e Gerano perdurano nel solco tracciato dalla vergine cicolana ancora sotto i nostri occhi e nello sfondo di tutti gli avvenimenti, la Chiesa Cattolica, Sposa del Sangue o Chiesa del Silenzio, ha ripetuto nei XVII secoli trascorsi da allora, uguale a se stessa, la vocazione a mantenere il Regno di Dio su questa tera sempre sofferendo, combattendo e sperando. I principi professati nel III secolo e affermati da S.Anatolia, con S. Vittoria e con S. Audace, non differiscono da quelli espressi da Pio XII agli uomini di Azione Cattolica e ai giovani, riferiti in principio. Dopo la lunga vacanza, causata dall'uccisione di San Fabiano, la chiesa riebbe il suo pastore in Cornelio (martirizzato il 14 settembre 255) e la serie dei pastori della chiesa, attraverso vicissitudini, eresie, scismi, errori, continua fino al pontefice gloriosamente regnante. Defezioni, tradimenti e persecuzioni (grazie a Dio) non sono mancate e non mancano. Ma neppure martiri, confessori, santi e buoni cristiani, come le stesse parole del santo Padre hanno indicato, più per esempio che non per rigore di numero, in Maria Goretti e Contardo Ferrini. Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 123/126 E Tora e i Toresi ? Colpiti da immeritata sorte sono spariti, essi, che pur erano stati così pietosi verso la martire prigioniera e anzi, neppure si conosce dove la città si trovasse. Rimane aperta la contesa tra Castelvecchio (oggi Castel di Tora) e Sant'Anatolia in teritorio di Borgocollefegato, trascurando Esanatoglia, arcidiocesi di Camerino, che per Jacobilli volentieri contenderebbe gli onori agli altri due paesi. La maggioranza dei fautori (tutti autorevoli) della prima ipotesi ragionano presso a poco così: Tora va identificata con Castelvecchio, oggi Castel di Tora, perchè il fiume Turano lambisce i piedi della sua collina e ha dato il nome al paese. Ha una chiesa dedicata a S.Anatolia annessa oggi al Pontificio Collegio Romano. In Collepiccolo dirimpetto ad Antuni e sovrastante ad una piana assommano avanzi di antiche costruzioni che sono i resti dell'antica Città di Tora. I partigiani dell'altra ipotesi sono, a quanto risulta, uno, Monsignor Marini, vescovo di Rieti nella seconda metà del XVIII secolo, e controbattono: Il Marini, è partito dalla ripetuta segnalazione del calendario popolare che sotto la data del 9 luglio, annota: 'nella città di Tjrio, presso il lago Velino, il martirio dei santi Anatolia e Audace, sotto Decio imperatore...' e ha costruito il suo ragionamento così: nè l'antica Tora prese il nome dal Turano nè la città esisteva presso detto fiume, ma ben lungi da esso si trovava e ben lontano dal Turano. Non in Sabina, ma nelle parti di Regno (delle Due Sicilie), nella Regione a confine con Equicoli e Marsi. Non in Castelvecchio, ma presso la terra di Torano e la poco distante S. Anatolia dei Marsi. A questo punto affacciava un argomento, se non decisivo, nemmeno trascurabile, vale a dire la distanza da Rieti. Secondo gli antichi geografi, questa città distava da Tora XL miglia - tradotta in misura moderna circa Km. 60 - Orbene essa si attaglia approssimativamente a quella che intercorre da Sant'Anatolia a Rieti, mentre Castelvecchio ne dista Km. 28.500. E incalzava: il Velino o è il fiume, che con il nome di Piediluco scorre in mezzo a Rieti (mentre il Turano vien detto dalle antiche fonti Imele o Telonio), o è un monte ed è chiamato (a quei tempi) Montagna Velina, ovvero è un lago e in questo caso, notava, nel declivio della Montagna Velina si è formato un minuscolo bacino idrico che gli antichi chiamavano lacus. Ad avalorare questo convincimento sarà opportuno ricordare che lo stesso termine venne usato in Subiaco, così strettamente legato alla storia di S.Anatolia per i tre laghi formati dalla raccolta di acqua dell'Anio Novus, sui quali si specchiava la opulenta Villa di Nerone detta appunto il Sublaqueo. La loro esiguità era manifesta ed altri, non meno autorevoli scrittori, i laghi stessi chiamarono stagni Simbruini, Simbruina Stagna. Univoca e fitta è infine la toponomastica, concludeva Monsignor Marini, in questi posti con S. Anatolia in Tora, S. Lorenzo in Tora, S. Costanzo in Cartora e Torano. Altrove, il predetto vescovo, lasciò, in occasione di Visita Pastorale, in data 26 agosto 1797, verbalizzato che la chiesa principale di Sant'Anatolia dei Marsi trovavasi fuori del paese nel luogo dove 'per più secoli si venerava il corpo della santa e dove fu coronata dal martirio'. Doveva averla trovata in condizioni soddisfacienti e ben diverse da quelle in cui la vide il card. Amulio quando esperì, per la prima volta, la visita pastorale in aplicazione dei decreti del concilio di Trento e che scrisse: 'si teme che si rovinino i sacri arredi e i paramenti e, pur fatiscente, Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 124/126 nella chiesa talvolta si celebra la messa per divozione di qualche fedele'. Il ragionamento di monsignor Marini è logico e concludente eppure, a giudizio di chi scrive, non è completo trascurando altri due elementi essenziali per l'orditura della leggenda di S.Anatolia e trascurando gli echi sublacensi promananti dalla Taumaturga. A entrambi si dedica questo breve discorso: nella città di Tora esisteva un oracolo sotto la protezione di Mercurio. L'epigrafia ha potuto scoprirvi i concorrenti culti per Giove e, trattandosi di luoghi boschivi, per Diana memorense e Silvano. Faceva parte del Municipio Equicolano e il suo nome derivava, come si è visto, da Marte ( Thyrios Arìs) che conservò per tutto il medioevo con variante in Tiora e aveva un soprannome, Matiene. Inequivocabilmente l'avevano vista il Marini, Bunsen, Martelli, Colucci e il Michaeli nella regione Equicola e non in Sabina e la identificò nel secolo scorso Gioberti scrivendo: 'Uno dei più antichi oracoli pelasgici è quello di Tiora, oggi Torano, nel territorio di Rieti, presso il villaggio di S.Anatolia, ai piè del monte Velino dove il Pico, uccello divino degli Aborigeni profetava'. E' stata ricordata, trattando il rinvenimento delle spoglie di S.Anatolia, l'epoca in cui presumibilmente un vescovo di Rieti per devozione a San Benedetto, donò all'abate di Subiaco dei beni nella valle di Tora. L'originario atto è andato smarrito. Il prenominato mons. Marini ne tramanda l'eco, raccolta 'da un registro del sec. XIV che conservasi nel mio archivio' da chi scrive ricercato invano. Erano beni per il cui trasferimento occorreva la ratifica dell'Imperatore e del Papa: la prima fu data da Ugo e Lotario re d'Italia nel 941 e molto più esplicitamente dall'imperatore Ottone I nell'anno 967, in questi termini: (all'abate Giorgio) '... confermiamo ... anche tutto ciò che gli spetta in territorio di Rieti, cioè, nella valle chiamata Tora, la chiesa di S. Anatolia che ha ricevuto per concessione scritta del vescovo di Rieti...'. Da parte sua il Papa Leone IX, nel 1051, confermò al monastero di Subiaco, quanto aveva acquistato nel territorio reatino e cioè '... in valle Torense anche la chiesa di S. Anatolia che possiede per scrittura del vescovo della Santa chiesa di Rieti...'. E' superfluo aggiungere nella Marsica e non nella Sabina. La stessa nazione di Audace, Marsus, cioè appartenente alla Marsica, vicina a Tora, dove arrivava il confine territoriale di Albe e famosa per incantesimi e per magie, n'è una ulteriore e piena conferma. Del resto, su quel che è stato detto, il lettore può pronunciare un sereno giudizio estraneo a tenerezze di campanile, di scuola o di congrega. Deo Gratias ! Roberto Tupone – Sant'Anatolia, Cartore e dintorni – Parte II: Appendici – Pag. 125/126 Copyleft © Roberto Tupone Roma (Italy) 12.07.2001 - Contatti: [email protected] Quest'opera è rilasciata con licenza CREATIVE COMMONS 3.0-NC-SA (Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0) Tu sei libero di modificare, riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare quest'opera alle seguenti condizioni: - Attribuzione — Devi attribuire la paternità dell'opera nei modi indicati dall'autore o da chi ti ha dato l'opera in licenza e in modo tale da non suggerire che essi avallino te o il modo in cui tu usi l'opera. - Non commerciale — Non puoi usare quest'opera per fini commerciali. - Condividi allo stesso modo — Se alteri o trasformi quest'opera, o se la usi per crearne un'altra, puoi distribuire l'opera risultante solo con una licenza identica o equivalente a questa. 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