IL PUNTO
Le notizie di LiberaUscita
Ottobre 2004 - N° 7
SOMMARIO
AL CINEMA
65 – Ancora su “Mare dentro”
A TEATRO
66 – Margherita Hack all’Eliseo di Roma
LIBRI
67 – Premiati Rita Levi Montalcini e Dom Giovanni Franzoni
68 – “Abbi il coraggio di conoscere”
69 – “Eutanasia – Pragmatismo, cultura, legge”
NOTIZIE DAL MONDO
70 – Spagna – Eutanasia e divorzi brevi
71 – UK – Gli inglesi ricorrono a “Dignitas”
72 – Francia – L’Europa secondo Derrida
PER RIFLETTERE....
73 –Stefano Rodotà: i nuovi diritti
PER SORRIDERE....
74 – La vignetta di Brusco
LiberaUscita
Associazione per la depenalizzazione dell’eutanasia
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65 – ANCORA SU “MARE DENTRO”
A proposito del film di Amenàbar, Mare dentro, riportiamo altre notizie e commenti in
aggiunta a quelli pubblicati sul precedente numero de IL PUNTO.
Scrive Francesco Porcellati:
Se non l'avete già visto e se siete ancora in tempo, non perdetevi "Mare dentro" , film
spagnolo di Alejandro Amenàbar che ha vinto due particolari premi della giuria alla Mostra
di Venezia. Se è già uscito fuori del circuito in atto delle programmazioni dei cinema delle
vostre città, entrerà sicuramente a far parte dei cineforum organizzati da teatri o cinema
d'essai per l'autunno in corso o per l'inverno, come è già a Napoli.
Storia vera, affidata al talento carismatico del protagonista Javier Bardem, nei panni di un
uomo di mare costretto all'immobilità da un tuffo sfortunato. Rimasto paralizzato dal collo
in giù¹, per trent'anni ha cercato di farla finita con tutti i mezzi legali a disposizione.
Il film è un inno in favore dell'eutanasia.Un film che ha sorpreso tutti e che non ha avuto il
clamore che meritava, forse perchè si è cercato da parte di taluni ambienti.....di non darvi
risalto. Ripeto, è bellissimo.
Scrive Antonio Scaglione
Sono completamente d'accordo.... Tanto è vero che riporto qui sotto la recensione tratta
da “ilmondodifuori.it”.
“Premiato al festival di Venezia il film Mare dentro racconta il dramma di uno spagnolo,
paralizzato dal collo in giù, che cerca in tutti i modi farsi dare la dolce morte. Chissà
perché, a poche settimane dall'uscita, lo troviamo relegato in qualche cinema d'essai.
Una delle più belle recensioni che ne ho letto conclude con una frase che è quasi uno
slogan: la vita è un diritto, non può essere un obbligo.
Trama: Ramon è¨ costretto a letto da trent’anni, accudito dalla sua famiglia. La finestra
della sua stanza è¨ la sua unica finestra sul mondo, la vista è su quel mare che ha solcato
così spesso; quel mare nel quale ha avuto l’incidente che ha troncato la sua giovinezza.
Da allora il suo unico desiderio è quello di metter fine alla sua vita in maniera dignitosa”.
Scrive Rossana Cecchi
Ho visto il film Mare dentro e devo dire che ritengo sia il migliore sinora fatto su questo
argomento. Ho apprezzato la delicatezza e ricchezza dei dialoghi che non sono mai
scaduti nel pietismo o nelle ovvietà, e che hanno toccato molti aspetti del problema, quello
dell'amicizia, dell'amore parentale, della stanchezza, della fuga, dell'amore senza
egoismo.
Rispetto alle Invasioni barbariche lo considero un film più realistico, infatti i francesi
secondo me hanno sbagliato a mettere come protagonista una persona che, anche se
attraverso il figlio, ha potuto godere di un fine-vita "da ricchi", con tanti confort piuttosto
inverosimili. Invece, Mare dentro parla di una persona che, come la maggior parte di
coloro in questa situazione, si trova a vivere in una famiglia normale, con problemi normali
e senza tante possibilità di rendere tutto "fantastico".
Complimenti agli spagnoli che sempre più riescono a toccare temi essenziali della vita con
semplicità reale e, cosa che ritengo la più importante, con serenità.
66 – MARGHERITA HACK ALL’ELISEO DI ROMA
Dall’8 al 10 ottobre è stato rappresentato al teatro “Eliseo” di Roma lo spettacolo
“variazioni sul cielo”, ispirato dal libro “sette variazioni sul cielo” di Margherita Hack, nota
astrofisica e socia onoraria di LiberaUscita.
Lo spettacolo è stato reso interessante e vivacizzato dalla stessa Margherita Hack, la
quale – in casacca rossa e pantaloni neri - ha svolto alcuni brevi interventi sul
palcoscenico, brillante a caustica come sempre.
Leggiamo da un quotidiano di Roma:
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<Gli spettatori apprendono di essere figli dell’universo e che tutta la natura del mondo è
composta da materia che nasce e che muore. La nostra vita è legata all’evoluzione
cosmica determinata dall’esplosione delle Supernovae. Non siamo altro, quindi, che
derivazioni di stelle con tutte le riflessioni più o meno confortanti che ne possono scaturire.
<Ad allargare il significato di fredde spiegazioni contribuisce però il carisma di Margherita
Hack, che riesce ad innalzare il discorso verso una complessità che ci coinvolge e ci
riguarda da vicino.
<Emoziona la sua gioia sincera nel ricordare la conquista della luna del 20 luglio 1969,
definita come: <Un’impresa grandiosa dal punto di vista umano più ancora che scientifico
e tecnologico>, e la scena è conclusa da una battuta che la dice lunga sulle
consapevolezze della studiosa: <Meno male che sulla luna non c’era il petrolio, altrimenti
l’avrebbero già tutta crivellata>.
<E il suo cuore batte ancora nell’esaltare l’immagine della progenitrice Eva: <E’ la prima
contestatrice dell’autorità. Non crede nella verità rivelata. E’ la curiosità umana che indaga
le leggi della natura e ci ha portato dall’età della pietra all’era tecnologica. E’ il primo
esempio di libertà>.
Commento. Le parole di Margherita Hack ci ricordano quelle di Rita Levi Montalcini nel
suo libro “Abbi il coraggio di conoscere”: Ambedue hanno profondamente studiato e
indagato il mistero della vita, arrivando alla conclusione che tutti siamo “figli dell’universo”
e della sua evoluzione.
Ci viene un dubbio: fosse per questo motivo che la riforma Moratti ha abolito
l’insegnamento della teoria darwiniana sull’evoluzionismo?
Grazie, Margherita, per il tuo coraggio.
(gps)
67 – PREMIATI RITA LEVI MONTALCINI E DOM GIOVANNI FRANZONI
Lunedì 21 settembre nella Sala Pietro da Cortona al Campidoglio di Roma sono stati
consegnati i premi "Città di S. Marinella" a vari autori in diversi campi: letteratura, cinema,
televisione, teatro, giornalismo.
Fra i premiati ricordiamo in particolare la prof.ssa Rita Levi Montalcini e dom Giovanni
Franzoni, autori rispettivamente di "Abbi il coraggio di conoscere" (Rizzoli editore - euro
15) e di "Eutanasia - Pragmatismo, cultura, legge" (edizioni Edup - euro 8).
Il giorno successivo, 22 settembre, il libro-pocket di Franzoni è stato presentato a Piazza
Navona dall'Università Popolare della terza età (Upter), con un dibattito al quale ha
partecipato anche LiberaUscita, che nell’occasione ha organizzato un tavolino per
raccogliere le firme sulla petizione a sostegno del disegno di legge presentato in
Parlamento dal nostro socio onorario, sen. Alessandro Battisti.
68 –ABBI IL CORAGGIO DI CONOSCERE
Il libro di Rita Levi Montalcini testimonia la sua autentica professione di fede nelle
potenzialità dell'intelletto umano (non ha colonne d'Ercole il pensiero). Ne estraiamo un
breve passo, dedicato al tema dfell’eutanasia:
<L'estensione del percorso vitale ha sollevato un'altra domanda e cioè se è giusto
protrarre la vita anche nei casi nei quali non sono più recuperabili la lucidità mentale e
l'autosufficienza o quando insorgono patologie incurabili, causa di indicibili sofferenze.
<L'eutanasia potrebbe pertanto essere concessa, sempre e soltanto per la propria
persona, nella fase terminale di malattie che sono causa di gravi sofferenze o di patologie
che privino delle capacità mentali, in base ad una precedente volontà formulata
ufficialmente nel pieno possessp delle facoltà di intendere e di volere.
<Nel trattare il valore della consapevolezza della morte, ritenuta un triste privilegio degli
appartenenti alla specie umana, il poeta William Butler Yeats così lo definisce:
Nè timore, nè speranza
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manifesta l'animale che muore.
L'uomo aspetta la propria fine
temendo e sperando.
Conosce a fondo la morte:
é l'uomo che l'ha creata.
<Sono questa consapevolezza e la capacità di esercitare le facoltà mentali e psichiche
che distinguono l'Homo sapiens dagli individui appartenenti ad altre specie animali e gli
conferiscono, allo stesso tempo, il diritto di porre fine ad una vita - la propria - quando non
sussistono le condizioni perché sia vissuta degnamente>.
69 – EUTANASIA. PRAGMATISMO, CULTURA, LEGGI
Nel suo libro-pocket, dom Giovanni Franzoni cita più volte Liberauscita.
In proposito del nostro primo Congresso nazionale, tenuto a Roma il 17 maggio 2003 al
quale egli aveva partecipato, scrive Giovanni:
"L'orientamento che emerse nella discussione mi apparve saggio: presentiamo un
progetto di legge perché se ne discuta. Una proposta di legge per discutere, discutere per
fare cultura diffusa, fare cultura per avere una legge e saperla usare, usare la legge per
uscire dall'orribile pratica dell'eutanasia all'italiana. Se poi è necessario, volgersi indietro e
modificare. Ma sempre per favorire la libertà di coscienza e la dignità della persona, anche
nella fase terminale del suo percorso umano. La dignità della persona, che si identifica con
la sua capacità di consapevolezza e di libertà, non è in contrapposizione con la vita".
Come si può notare, ritorna il concetto di "consapevolezza" già espresso da Rita.
Più avanti, Giovanni cita il nostro opuscolo "Anche in Italia l'eutanasia" e infine riporta
testualmente la nostra proposta di legge per la depenalizzazione dell'eutanasia e il nostro
fac-simile di testamento biologico.
70 SPAGNA - EUTANASIA E DIVORZI BREVI
Leggiamo su EL PAIS del 23 settembre che la cattolica Spagna istituirà una commissione
parlamentare per regolare l'eutanasia. La ministra Salgado dice che seppure in questa
legislatura l'eutanasia non sarà depenalizzata, sarà comunque istituita una commissione
per valutare le richieste.
Da La Stampa del 26 settembre apprendiamo che il governo spagnolo ha approvato un
disegno di legge che cambia le regole per il divorzio. Se i coniugi sono consenzienti e non
hanno figli né beni in comune, potrebbero bastare dieci giorni per ottenere il divorzio,
senza passare quindi per il periodo di separazione. Nel caso ci fossero figli, la loro
custodia potrebbe essere affidata ad ambedue i coniugi, sempreché consenzienti.
La vice-premier Maria Teresa Fernandez, che ha presentato il disegno di legge, così lo
motiva: "Adesso lo Stato chiede ai coniugi perché si vogliono separare, esigendo prove.
Ma tutto ciò non ha senso, perché se nessuno deve giustificare perché si sposa, nessuno
deve spiegare perché si separa".
Elementare, direbbe Watson. Al punto che persino i popolari di Mariano Rajoy e degli altri
partiti hanno espresso giudizi positivi. La Chiesa, invece, è molto critica perché la riforma
"comporterà più divorzi e più sofferenza".
Può darsi pure che i divorzi aumentino per effetto dell'abbreviazione dei tempi, ma
appunto per questa ragione le sofferenze diminuiranno. Ed è questo che realmente conta.
Fortunatamente in Spagna, al contrario dell'Italia, la Chiesa è sempre meno influente.
71 - UK –GLI INGLESI RICORRONO A “DIGNITAS”
Leggiamo sul " The Guardian" del 2 settembre 2004.
<Londra. Un’istituzione benefica svizzera aiuta 22 inglesi a morire. Si tratta
dell’associazione “Dignitas” di Zurigo, fondata nel 1998, per dare assistenza al suicidio,
per aiutare a morire con dignità.
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<Dopo la pubblicità sorta intorno a R. Crew, che fu aiutato a morire lo scorso gennaio, il
numero degli inglesi, che vanno a Zurigo, è aumentato e gli associati inglesi a “Dignitas”
sono passati da 90 alla fine del 2002 a 557 del passato mese. Gli inglesi sono adesso il
13% dei 4154 membri sparsi in 52 paesi. Circa il 20 % di coloro che si sono associati
chiedono l’aiuto per morire. Dal momento della sua fondazione “Dignitas” ha aiutato 304
persone a morire, di cui circa due terzi venivano dall’estero.
<“Dignitas” offre a chi soffre in maniera insopportabile la possibilità di morire in un luogo
ameno sulle rive del lago di Zurigo nel momento che essi scelgono. Non c’è nessuna
illegalità nel procedimento perché in Svizzera il suicidio assistito è permesso. Si paga solo
una modesta quota associativa, il medico e i farmaci necessari, “Dignitas” non ne ricava
alcun profitto.
<Ma mettersi in contatto con “Dignitas” non è facile. La Volontary Euthanasia Society non
fornisce indicazioni per non incorrere nel reato di istigazione e aiuto al suicidio, punito in
modo pesante dalla legge.
<Il sito di “Dignitas” è in tedesco, ma, se si manda un’email, la risposta è in inglese. Una
volta stabilito il contatto, associarsi è facile. Ottenere l’aiuto al suicidio è invece più difficile.
<Le richieste vengono sottoposte ad un esame molto accurato e sono accettate solo
quelle di persone che si dimostrano in pieno possesso delle loro facoltà e sicuramente
determinate. Circa l’80 % delle persone che fanno richiesta, poi muoiono in modo naturale,
sostenute dalla possibilità di poter in caso estremo ricorrere all’aiuto.
<Una volta che la richiesta è stata accettata, “Dignitas” richiede per lettera al medico del
paziente di confermare la diagnosi e la prognosi. Il caso viene esaminato e , se il parere è
favorevole, il paziente viene invitato a Zurigo, in un’elegante appartamento dove incontra
un dottore. Deve compilare un questionario, viene esaminato da un esperto per assicurarsi
che non stia subendo pressioni esterne e che capisca in pieno tutto il procedimento.
<Ovviamente il paziente è assicurato che può cambiare parere in ogni momento.
<Un’infermiera (tutto il personale è volontario) gli dà un farmaco anti nausea, che richiede
20 minuti per agire, per impedire che il farmaco letale venga vomitato. Allora, se il paziente
vuole andare oltre, l’infermiera gli dà una dose letale di barbiturico in forma di bevanda.
<Questo è il punto di non ritorno. Il paziente perde conoscenza in 5 minuti e morirà poco
dopo.
<La polizia e medici esterni esaminano se tutto è avvenuto regolarmente, in accordo con
la legge. “Dignitas” s’incarica della cremazione e di mandare le ceneri a casa.
<Un’indagine pubblicata dalla Voluntary Euthanasia Society inglese ha rilevato che il 50 %
delle persone sarebbero disposte ad andare all’estero, se soffrissero in modo
insopportabile per una malattia terminale>.
Commento. Queste notizie, insieme ad altre, dimostrano che l’opposizione all’eutanasia in
Inghilterra sta diminuendo. Esiste un progetto di legge per l’assistenza a morire a pazienti
terminali, che dovrebbe permettere di scegliere il momento della morte, se si è in pieno
possesso delle proprie facoltà mentali. (mdc)
71 – FRANCIA – L’ EUROPA SECONDO DERRIDA
Jacques Derrida, il filosofo francese contemporaneo più conosciuto e più tradotto
all’estero, è morto l’8 ottobre scorso in un ospedale di Parigi dov’era ricoverato da tre
settimane. Soffriva da tempo per un cancro al pancreas. Aveva 74 anni, ed era noto
sopratutto per essere il padre del “decostruzionismo”. Ha insegnato filosofia a Harvard,
alla Sorbona e infine alla Normale Supérieure di Parigi.
Poche settimane fa aveva concesso la sua ultima intervista a “Le Monde” dal titolo “Noi
europei”. In occasione della firma del Trattato europeo a Roma, ci piace estrarre da
quella intervista, riportata su “La Stampa” del 10 ottobre 2004, il suo pensiero sull’Europa.
Chiese l’intervistatore (Jean Birnbaum):
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<Lei in generale ha difficoltà a dire “noi” – “noi filosofi”, ad esempio. Ma, a mano a mano
che si dispiega il nuovo disordine mondiale, lei sembra sempre meno reticente a dire “noi
europei”.Già in “Oggi l’Europa”, che lei ha scritto al tempo della prima guerra del Golfo, lei
si presentava come un “vecchio europeo”, come una sorta di “meticcio europeo>”.
Rispose Derrida:
< Effettivamente dire “noi” m’imbarazza, ma mi capita di dirlo. Se di questi tempi mi capita
di dire “noi europei”, è congiunturale: tutto quello che, della tradizione europea, può essere
de-costruito non impedisce che, proprio per tutto quello che è successo in Europa, in
seguito ai Lumi, in seguito al restringimento di questo piccolo continente e all’enorme
senso di colpa che attraversa ormai la sua cultura (totalitarismo, nazismo, genocidi,
olocausto, colonizzazione e decolonizzazione, e così via) oggi, nella nostra situazione
geopolitica, l’Europa – un’altra Europa ma con la stessa memoria – possa (o almeno
questo è il mio auspicio) ritrovarsi sia contro la politica egemonica americana sia contro un
teocratismo arabo-islamico senza Lumi e senza futuro politico.
<L’Europa si trova nella necessità di assumersi una nuova responsabilità. Non parlo della
comunità europea come esiste o si disegna nella sua attuale maggioranza (neoliberale),
virtualmente minacciata di guerre intestine, ma di un’Europa futura, e che si cerca. In
Europa e altrove.
<Quella che viene chiamata “Europa” ha delle responsabilità da accettare, per il futuro
dell’umanità e del diritto internazionale, In questo caso non esiterei a dire “noi europei”.
<Non si tratta di augurarsi la costituzione di un’Europa come superpotenza militare, che
protegge il suo mercato e fa da contrappeso agli altri blocchi, ma di un’Europa che pianti il
seme di una nuova politica altermondialista. Che è l’unica via d’uscita possibile.
<Questa forza è in marcia. Anche se le sue ragioni sono ancora confuse, io penso che più
nulla la fermerà.
<Quando dico Europa dico questo: un’Europa altermondialista che trasforma il concetto
della sovranità e del diritto internazionale. E che dispone di una vera forza indipendente
dalla Nato e dagli Usa: una potenza militare che, né offensiva né difensiva né preventiva,
intervenga senza ritardi al servizio delle risoluzioni finalmente rispettate di una nuova
ONU>.
73 –STEFANO RODOTA’: I NUOVI DIRITTI
Riportiamo qui sotto l'articolo di Stefano Rodotà dal titolo "i nuovi diritti che hanno
cambiato il mondo", pubblicato in prima pagina su La Repubblica del 26 ottobre. In
questo articolo-saggio Rodotà, nel rispondere alla domanda “quale età dei diritti ci
avviamo a vivere”, individua fra i “nuovi diritti” anche quello di “morire con dignità”.
Una lezione nel nome di Norberto Bobbio
di STEFANO RODOTA'
Questa è una convinta e dichiarata apologia dei diritti in un tempo in cui l´allungamento del
loro catalogo suscita pure diffidenze, e persino ripulse: perché di essi potrebbe farsi un
uso imperialistico, imponendo ad altri una cultura dominante; perché l´irrigidimento di
dinamiche sociali nello schema dei diritti potrebbe tradursi in un ostacolo alla libera azione
politica; perché non dovrebbero chiudersi in gabbie giuridiche prorompenti esigenze di
vita; o perché, al contrario, il riconoscimento di un diritto potrebbe contrastare inviolabili
leggi di natura. Ma la realtà, la cronaca d´ogni giorno parlano piuttosto di violazioni gravi e
continue di diritti, e di invocazioni dei diritti come strumenti di liberazione individuale e
collettiva. Proprio da qui partono le mie considerazioni apologetiche, temperate dal
necessario spirito critico.
Così, un´espressione come «nuovi diritti» dev´essere considerata, a un tempo,
accattivante e ambigua. Ci seduce con la promessa di una dimensione dei diritti sempre
capace di rinnovarsi, di incontrare in ogni momento una realtà in continuo movimento. Al
tempo stesso, però, lascia intravedere una contrapposizione tra diritti vecchi e diritti nuovi,
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come se il tempo dovesse consumare quelli più lontani, lasciando poi il campo libero ad un
prodotto più aggiornato e scintillante. Si parla di «generazioni» dei diritti, e questa
terminologia, identica a quella in uso nel mondo dei computer, potrebbe indurre a ritenere
che ogni nuova generazione di strumenti condanna all´obsolescenza e all´abbandono
definitivo tutte le precedenti.
Ma il mondo dei diritti vive di accumulazione, non di sostituzioni, anche se la storia e
l´attualità sono fitte di esempi che mostrano come programmi deliberati di mortificazione
della libertà passino proprio attraverso la contrapposizione tra diverse categorie di diritti.
Se ne enfatizzano alcune, per cancellare tutte le altre. Le dittature concedono vantaggi
materiali e sopprimono diritti civili e politici, prospettano uno scambio tra qualche «nuovo»
diritto sociale e i «vecchi» diritti di libertà: questi sarebbero un insostenibile lusso quando
vi sono bisogni elementari da soddisfare.
E così i regimi autoritari si trincerano dietro la logica cinica, e disperata, che nell´Opera da
tre soldi di Bertolt Brecht fa dire a Mackie Messer «prima la pancia, poi vien la morale».
Ai diritti, vecchi o nuovi che siano, non si può dunque guardare senza una continua
attenzione per le condizioni storiche che ne condizionano il riconoscimento e l´attuazione.
Norberto Bobbio ce lo ha ricordato infinite volte, con parole forti, perché ai diritti si addice il
linguaggio della passione civile. «L´attuazione di una maggiore protezione dei diritti
dell´uomo è connessa con lo sviluppo globale della civiltà umana. E´ un problema che non
può essere isolato sotto pena non dico di non risolverlo, ma neppure di comprenderlo nella
sua reale portata. Chi lo isola lo ha già perduto. Non si può porre il problema dei diritti
dell´uomo astraendolo dai due grandi problemi del nostro tempo, che sono i problemi della
guerra e della miseria, dell´assurdo contrasto tra l´eccesso di potenza che ha creato le
condizioni per una guerra sterminatrice e l´eccesso d´impotenza che condanna grandi
masse umane alla fame».
Questa è ancora oggi la condizione nella quale guardiamo ai diritti. La guerra è sempre
stata considerata come una situazione che legittima sospensioni di molti diritti. Ma che
cosa accade quando la guerra si fa «infinita»? Diventano infinite anche le limitazioni dei
diritti? La miseria è sempre stata percepita come l´impedimento maggiore all´effettivo
godimento dei diritti. Ma che cosa accade quando essa non è più intesa come un ostacolo
da rimuovere, bensì come la giustificazione della negazione di un diritto - del bambino a
non lavorare, del lavoratore a non essere sfruttato - con l´argomento che, altrimenti, si
colpirebbe la competitività dei paesi in via di sviluppo? Non a caso si è parlato
polemicamente di un «imperialismo dei diritti umani», al quale i paesi avanzati farebbero
ricorso proprio per limitare la forza economica dei concorrenti.
Mentre parliamo di nuovi diritti, dobbiamo fare i conti con una contraddizione inedita.
Guerra e povertà ci parlano di un consolidamento della negazione dei diritti. Le pacifiche
rivoluzioni di questi anni - delle donne, degli ecologisti, della scienza e della tecnica - ci
mettono di fronte ad una fortissima espansione della categoria dei diritti, ad un
allungamento del loro catalogo.
Come si compongono queste spinte? Quale età dei diritti ci avviamo a vivere?
Non sempre i nuovi diritti sono benvenuti. Ad alcuni si guarda come ad una inammissibile
violazione della natura. Ad altri come ad un intollerabile intralcio al libero funzionamento
del mercato. Il campo di battaglia, che lo sguardo presago di Alexis de Tocqueville aveva
individuato nel diritto di proprietà ancor prima di Marx, si estende oggi fino a comprendere
l´intero ambiente e la stessa vita, in un mondo che esige sempre più d´essere considerato
come uno. Davanti a noi si prospettano alternative radicali.
Globalizzazione attraverso il mercato o attraverso i diritti? Quali sono i diritti destinati ad
unificare il mondo, e che devono essere considerati patrimonio inalienabile della persona,
quale che sia il suo sesso, la sua nazionalità, religione, origine etnica?
Il millennio si è aperto con un fatto che può essere considerato simbolico - la
proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea, il primo documento
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dove diritti vecchi e nuovi convivono senza gerarchie. Nella Carta non si riflette soltanto la
forte tensione che in questi anni ha attribuito ai diritti fondamentali una rilevanza senza
precedenti. Si manifesta soprattutto la convinzione della impossibilità di una costruzione
istituzionale che prescinda dalla dimensione dei diritti. Lo dice con chiarezza la
motivazione con la quale l´Unione europea ha deciso di darsi una dichiarazione dei diritti:
«la protezione di diritti fondamentali è un principio fondativo dell´Unione e il presupposto
indispensabile della sua legittimità» E´ una affermazione impegnativa. Si dice che l´Unione
europea non soffre soltanto di un deficit di democrazia, ma addirittura di legittimità, che
può essere colmato soltanto da un documento che segni esplicitamente il passa! ggio da
un´Europa fondata soprattutto sul mercato ad una in primo luogo ancorata ai diritti
Forse bisogna partire proprio da qui, dai modelli di organizzazione sociale dei diritti , per
cogliere le ragioni di dissonanze che, nel tempo, si sono fatte più marcate ed evidenti. Si è
via via delineato un modello europeo, reso possibile dalla presenza di un nuovo soggetto
storico, la classe operaia, che ha completato la rivoluzione dei diritti realizzata tra ´700 e
?800 dalla borghesia, aprendo la strada a una visione dei diritti che, soprattutto nei
rapporti economici, incorporava anche una funzione sociale. La diversa vicenda storica
degli Stati Uniti, dove il peso della classe operaia non è stato certo paragonabile a quello
europeo, ha fatto sì che l´idea individualistica dei diritti rimanesse l´unica o, comunque,
quella prevalente. Con due conseguenze. Considerati come strumenti da usare nel proprio
esclusivo interesse, senza considerare esplicitamente quello altrui o quello collettivo, i
diritti vengono sempre più adoperati in modo aggressivo, determinand! o una loro
«insularità». Ciascuno si separa dagli altri, si ritira nella propria isola, impugna i diritti come
una clava: e questo spinge più d´uno negli Stati Uniti, con qualche scimmiottatura
europea, ad affermare che non nei diritti, ma nella comunità, risiede l´unica salvezza per le
persone. Inoltre, le crescenti pressioni del mercato hanno spinto verso una considerazione
dei diritti come puri titoli da scambiare, indebolendo il profilo della loro inviolabilità. Tener
fermo il modello europeo, quindi, significa proporre un´idea più ricca dei diritti sia nella
dimensione individuale che in quella sociale.
La seconda rottura, altrettanto radicale, è determinata dalle pacifiche rivoluzioni del
Novecento - delle donne, degli ecologisti, della scienza e della tecnica. La libertà concreta
s´incarna nella differenza sessuale, nell´attenzione per il corpo, nel rispetto per la biosfera,
nell´uso non aggressivo delle innovazioni scientifiche e tecnologiche. Tutto questo ha
prodotto la più intensa esplosione di richieste di riconoscimento di diritti che mai sia stata
conosciuta. Essi coprono tutto l´arco della vita - la nascita, l´esistenza, la morte - e, anzi, si
spingono al prima e al dopo.
Si parla di un diritto di procreare o di un diritto al figlio; del diritto di nascere e del diritto di
non nascere; del diritto di nascere sano e del diritto di avere una famiglia composta da due
genitori di sesso diverso; del diritto all´unicità e del diritto ad un patrimonio genetico non
manipolato. Andando avanti ci si imbatte nel diritto a conoscere la propria origine biologica
e nel diritto all´integrità fisica e psichica; nel diritto di sapere e di non sapere; nel diritto alla
salute e alla cura, e nel diritto alla malattia o nel diritto a non essere perfetto, con i quali si
vuole sottolineare l´inaccettabilità di parametri di normalità, l´illegittimità di discriminazioni
o di stigmatizzazione legate alle condizioni fisiche o psichiche. Infine, diritti dei morenti,
diritto di morire con dignità, diritto al suicidio assistito. Se, poi, si guarda alla fase
precedente alla nascita, si trovano i diritti sui gameti, i diritti dell´embrione, i diritti del feto.
E,! dopo la morte, rimane aperta la questione dei diritti sul corpo del defunto, soprattutto
nella prospettiva dell´espianto di organi.
Sulla scena del mondo compare così una nuova rappresentazione dei diritti, nella quale la
vita vera fa sentire le sue ragioni e il corpo irrompe con tutta la sua fisicità, facendo
apparire sbiadita una dimensione dei diritti riferita unicamente ad un soggetto astratto, ad
un individuo disincarnato. Ma queste due diverse visioni possono comporsi se si guarda
alla persona nella sua realtà e integralità, come fa la Carta dei diritti fondamentali
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dell´Unione europea. Nel suo Preambolo si afferma appunto che l´Unione «pone la
persona al centro della sua azione».
Questo processo ha via via fatto emergere una persona «inviolabile», da rispettare in ogni
momento e in qualsiasi luogo. I diritti penetrano anche nelle istituzioni «totali», - il
manicomio, il carcere - e non solo restituiscono almeno un brandello di dignità a chi è
costretto a vivere in quei luoghi, ma riescono addirittura a metterne in discussione
l´esistenza. I diritti dei folli scardinano la logica della separazione che giustificava i
manicomi, e la predicazione e l´azione di un tenace visionario, lo psichiatra Franco
Basaglia, sono all´origine di una legge che ne decreta l´abolizione.
I diritti, prima distribuiti tra le «generazioni» che ne scandivano l´origine storica, si
riunificato così intorno alla persona e si presentano come indivisibili: non si possono
riconoscere i diritti civili o politici e negare quelli sociali o quelli «nuovi», e viceversa. Se si
seguono i titoli delle diverse parti della Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea,
si può cogliere il filo che li lega tutti: dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza,
giustizia. Sono i valori che definiscono la posizione di ciascuno, ma pure le modalità del
processo democratico. Neppure questo può essere indifferente alla concreta situazione
delle persone. Il riconoscimento per tutti del diritto di voto libero ed eguale non può fare
astrazione dalle condizioni materiali in cui viene esercitato. Istruzione, lavoro, abitazione
diventano così precondizioni della partecipazione effettiva dei cittadini, dunque della
stessa qualità della democrazia.
Ma accanto ai diritti dei singoli compaiono con forza crescente grandi diritti collettivi e, con
essi, nuovi soggetti ai quali far riferimento. Qui il catalogo si arricchisce con inediti tratti di
novità. Incontriamo i diritti dei popoli all´autodeterminazione, alla loro lingua, alla libera
gestione delle loro risorse; il diritto alla tutela dell´ambiente, che richiama la necessità di
uno sviluppo sostenibile; il diritto al cibo, che diventa diritto alla vita per intere popolazione
prigioniere del dramma della fame; il diritto alla conoscenza, che mette radicalmente in
discussione la logica proprietaria, il copyright e il brevetto, si tratti di assicurare le medicine
agli africani malati di Aids o scaricare liberamente musica da Internet. Compare il diritto di
ingerenza umanitaria, suscitando il timore che si tratti di un nuovo travestimento del diritto
del più forte. Su tutti si staglia, difficilissimo ma ineludibile, il diritto alla pace.
Sono tutti diritti fortemente «oppositivi» rispetto all´ordine ed alle logiche prevalenti,
proiettati verso il futuro e nei quali si coglie una deliberata, e persino smisurata, ambizione
di ridisegnare le coordinate del mondo. Indicano la necessità di creare spazi e beni
comuni, ai quali tutti possano liberamente accedere, ponendo il tema delle modalità di
distribuzione dei beni: attraverso il mercato o attraverso i diritti? E danno così evidenza
anche a contraddizioni profonde: come risolvere, ad esempio, il conflitto tra un paese che,
esercitando insieme il diritto alla libera gestione delle proprie risorse e quello alla
sopravvivenza dei cittadini, distrugge risorse naturali che, come le grandi foreste,
contribuiscono all´equilibrio ecologico dell´intero pianeta?
A quali soggetti sono riferibili questi diversi diritti? Tornano qui entità astratte e
disincarnate: l´umanità, le generazioni future, la natura, il mercato. Ma chi parla in nome
dell´umanità e delle generazioni future? Quale peso dev´essere attribuito alle leggi della
natura e del mercato? Dopo che la conquistata concretezza della persona aveva reso
immediatamente identificabili gli attori della vicenda dei diritti, si fa concreto il rischio di
lasciar spazio a logiche autoritarie, a soggetti che si appropriano del potere di
rappresentare l´umanità o la natura.
Il riferimento alle generazioni future non è una invenzione dei tempi nostri. Nella
Costituzione francese del 1793 si dice esplicitamente che «una generazione non ha il
potere di assoggettare alle proprie leggi le generazioni future». Questa limitazione di
potere si traduce in una più diretta assunzione di responsabilità verso il futuro nel
suggestivo detto degli indiani d´America: «non abbiamo ricevuto la terra in eredità dai
nostri padri, ma in prestito dai nostri nipoti»
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74 - LA VIGNETTA DI BRUSCO
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