Maria Grazia Batzella
il Madrigale
ed il poeta di madrigali:
Giovanni Battista Guarini
Edizione: Vocalists.eu
Il Madrigale
giugno 2012
CONSERVATORIO DI MUSICA G.P.DA PALESTRINA
CAGLIARI
Forme di poesia per la musica
Maria Grazia Batzella
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IL MADRIGALE
ed un famoso Poeta di Madrigali:
GIOVANNI BATTISTA GUARINI
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Il madrigale
L'origine della parola madrigale è a tutt'oggi discussa: se ne
ipotizza l'etimologia dal latino volgare mandria-mandrialis in
riferimento al contenuto rustico e pastorale o sempre dal
latino "materialis" , ovvero “cose materiali” o grosse, di
argomento profano, opposto a "spiritualis".
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Il madrigale è una forma poetica profana, nata in Italia a
partire dal 1200 dalla ballata o canzone breve, formata da due
o più spesso tre strofe (terzine) e da un ritornello, in cui le due
o tre terzine sono in rima incrociata o incatenata, in
endecassilabi in numero da sei a quattordici, e con la parte
finale o ritornello in rima baciata.
La ballata, ben più lunga, era stata usata nei secoli precedenti
in forma monodica dai trovatori provenzali, ispiratori delle
forme poetiche delle successive lingue romanze.
Alla fine del XIII° secolo passa in Italia e si trasforma in una
forma poetica più breve costituita da quattro strofe, due
uguali all’inizio e alla fine, detti rispettivamente ripresa e
volta, e da due, primo piede e secondo piede, uguali
all’interno.
La metrica della ballata è costruita proprio per riprendere il
canto e il ballo senza interromperlo (ripresa), da qui il suo
nome. Il madrigale nasce come modifica ulteriore per
sostituzione dell’ultima strofa con il ritornello.
E’ soprattutto di argomento galante o pastorale, a volte
licenziosamente a doppio senso, più o meno esplicito, ma in
seguito potrà essere anche satirico o politico.
Alla fine del XIII° secolo, partendo da questa forma poetica che
accompagna l’affermarsi dell’Ars Nova (caratterizzata da
movimento vivace delle voci con accumulo di note e
introduzione di nuove misure e segni ritmici), i musicisti
italiani, quasi tutti inizialmente di estrazione ecclesiastica, ne
effettuano una trasposizione in componimento musicale per
gruppi vocali di 3-6 voci. Infatti anche la polifonia, nata in
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Francia nel 1200, arriva adesso in Italia, soprattutto a Firenze
(che ha una sua produzione autoctona), Bologna e Padova.
La prima frase musicale del madrigale è uguale per tutte le
strofe, il ritornello è invece musicalmente diverso; è dunque
strofico, con un distico finale, ed è molto diverso da quello
astrofico, assai più variegato che sarà la stessa futura forma
del 1500.
Nel 1300 i musicisti tendono a scollarsi dall’ambiente
ecclesiastico e intonano le loro composizioni seguendo i
dettami di Dante Alighieri.
Egli nella Divina Commedia ricorda due amici musici, Sordello
e Casella; questi nel Purgatorio mentre intona una delle sue
canzoni del Convivio “Amor che nella mente mi ragiona”.
Dante nel suo “De vulgari eloquentia” aveva codificato le
forme poetiche da usarsi nella poesia colta. Affermava inoltre
che il testo poetico colto deve essere in endecassilabi, tra essi
il migliore è l’endecassilabo piano (con l’accento sulla
penultima sillaba), e che il testo ha sempre preminenza
rispetto alla musica; infatti la natura della composizione
musicale è trascurabile.
Per questo motivo tutti i musicisti “di cultura” utilizzeranno da
allora in poi madrigali poetici già pubblicati e attingendoli da
autori famosi.
Faranno eccezione solo quelle forme derivate dalla musica
popolare, dette frottole (a quattro strofe, tipiche delle corti
del Nord Italia, in particolare Mantova), barzellette, villanelle
alla napoletana (a tre strofe), villotte venete (omoritmiche e
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gioiose), scritte sempre in ottonari e il cui poeta, a volte
modesto, è spesso sconosciuto.
Esse sono basate sulla pratica dell’improvvisazione, invenzione
o variazione estemporanea di rimatori “virtuosi” che con uno
strumento, in genere il liuto, cantano, improvvisando, le loro
creazioni letterarie su melodie conosciute e di tradizione orale
variamente ornate.
Tutte queste forme sono tipicamente e autonomamente
italiane e si affiancano alla linea musicale polifonica colta
praticata in quel periodo dai musicisti fiamminghi.
I primi madrigali in musica che ci sono noti partono dal 1330
circa, sono affini ai conduits francesi, sono a 2 e raramente a 3
voci, di cui la prima melodica, e la seconda, più bassa, ha
funzioni di sostegno armonico.
Nell'esecuzione possono anche essere impiegati gli strumenti
ed esistono infatti madrigali puramente strumentali, ma in
prevalenza sono creati per sole voci.
In quel tempo i maggiori musici compositori di madrigali, di
ballate e di cacce (composizioni con un testo in prosa non
strofico, a movimento rapido, che descrive una scena
movimentata e agitata, musicalmente ottenuta con largo
impiego della imitazione a canone e in cui le voci si inseguono
e la inferiore é pensata come una voce strumentale) sono
Giovanni da Cascia, Iacopo da Bologna e Francesco Landini.
Con l'inizio del Quattrocento, si ha un'eclissi dei generi sia
poetici che musicali descritti.
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Alla fine del secolo si assiste all'affermazione in Toscana della
“canzonetta”, elegante canzone a ballo più elastica rispetto
alla canzone e con ricorrenza di versi, e del “canto
carnascialesco” di Lorenzo il Magnifico e di Angelo Poliziano,
intonato in mascherate, per carri e trionfi, e per descrizione
dei mestieri, tutti aspetti a carattere eminentemente
collettivo, il che favorisce l’aspetto polifonico.
Nel nord Italia si afferma invece la “frottola”, composizione
all’inizio popolare poi divenuta colta e raffinata, in uso nelle
corti, generalmente con un contenuto frivolo e amoroso, e
quindi più intimo e liricamente individuale, che si indirizzerà
poi verso la semplicità monodica e accordale.
La frottola ha forma di ballata ma è in ottonari (come è tipico
delle composizioni di tipologia popolare), é fatta di quattro
strofe (ripresa), e da stanze, mutazione e volta, per lo più di
sei o otto versi.
Varie rime regolano tra loro i versi, e la volta della stanza
termina con una rima che richiama quella del primo verso
della ripresa, a sua volta regolarmente replicata tra le stanze:
ciò riprende le figurazioni di un ballo e di un canto che
ricomincia senza sosta.
La frottola è musicata a 3 o 4 voci, di cui la prima spicca
monodicamente, con possibilità espressiva, e le altre a solo
contrappunto, per cui possono essere raggruppate bene sul
liuto per un accompagnamento musicale. Nasce una lirica più
vicina all’espressione, con più intesa tra musica e parole.
I maggiori musicisti del genere sono Bartolomeo Tromboncino
e Marchetto Cara, entrambi di area mantovana.
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È in stretto rapporto con lo strambotto napoletano, forma
poetica di tono sentimentale e a volte malinconico (fatto da
un’ottava di endecassilabi più il ritornello) ma più polifonico,
la barzelletta, la villotta, lo stornello, il rondò (ripetersi
continuo dei versi).
La forma letteraria del madrigale persiste ancora ma
lentamente si trasforma; i poeti perdono interesse ad esso
perché il Petrarca non lo aveva mai usato e preferiscono
cambiare la iniziale forma ballata in un componimento in cui, a
partire dal 1500, gli endecassilabi, non organizzati in strofe, si
alternano con settenari.
Ha quindi accentazione libera e si perdono le ricorrenze finali.
Il verso non è più strofico ma continuo (forma aperta).
Solitamente è chiuso da un distico a rima baciata o da una
coppia di distici o anche da un solo verso.
Può essere anche un sonetto, anch’esso in endecasillabi,
formato da 2 strofe (o stanze) di 4 versi e 2 strofe di tre versi.
Il sonetto, che nei secoli precedenti il Petrarca poteva essere
anch’esso una forma di canzone e che dal Petrarca in poi
assumerà la forma descritta, era allora la forma poetica colta
usata più spesso in Italia proprio a imitazione del grande
poeta.
Il madrigale in musica in questi due secoli si è anch’esso molto
trasformato.
I musicisti non musicano l’intera composizione poetica, spesso
di autori classici, ma cominciano ad utilizzarne solo alcune
parti (utilizzazione a blocchi) e vi aggiungono strumenti a
sostegno delle voci.
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Infine nel 1600 esso perde la polifonicità e diventa solo
monodico con aggiunta strumentale. Ormai è diventata la
trasposizione musicale di un componimento in forma aperta,
più spesso un sonetto, composto da un poeta famoso per altri
fini.
Si instaura pertanto uno scollamento completo tra la figura del
poeta e quella del musicista.
La dimensione produttiva del madrigale musicale
cinquecentesco, di cui si conservano a stampa circa 40.000
brani, è tale che supera ampiamente l'intera produzione
polifonica vocale non liturgica di tutte le altre forme vocali
profane e influenza quasi tutta la produzione musicale
europea del 1500 e 1600.
Nel 1500 si ha la sua piena affermazione: il nuovo madrigale è
una fusione della frottola italiana con la polifonia francese e
fiamminga e infatti i maggiori compositori sono inizialmente
soprattutto fiamminghi, come Adrian Willaert, Jaques
Arcadelt, Philippe Verdelot, Maistre Jan e Cipriano de Rore,
attivo a Venezia e poi a Parma.
Quest’ultimo, autore di armonie complesse e di contrappunti
intricati, avvia il madrigale sulle vie del cromatismo, comincia
ad usare note alterate, cura l’adesione della musica al testo
con ritmi variati e declamazione raffinata.
La sua musica serve da modello a tutti i compositori successivi
che dedicano cura alla corrispondenza del testo con la musica
attraverso ricerche cromatiche ed espressive, con effetti d’eco
e contrappunto, fino a giungere alla cosiddetta musica visiva o
affresco della musica in cui si fanno corrispondere a sillabe
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testuali come sol, mi, fa, re le note omonime, a utilizzare le
note nere (o, al contrario, le note bianche), per esprimere
sentimenti di tristezza o di gioia, a innalzare la melodia in
corrispondenza di parole come cielo facendola scendere in
corrispondenza di parole come profondo e simili.
Da qui nasce il termine di “madrigalismo” che evidenzia, per
qualsiasi forma musicale, questa capacità illustrativa della
musica. È una composizione a forma aperta, con
un'invenzione continua.
Si usano in particolare contrappunto ad imitazione, episodi
accordali, ritmi rapidi o lenti, registri gravi o acuti, salti
melodici inusitati, accordi con cromatismi o consonanti.
La forma è a 4 o 5 voci, tutte con valenza polifonica, cioè senza
una voce principale e altre d'accompagnamento.
Non è fondamentale la comprensione del testo poetico
cantato, ma solo la tragicità suggerita dalla musica.
Tratta diversi temi come, ad esempio: un amore stilnovistico
nel 1500 o carnale nel barocco, associato alla morte, così
come un argomento religioso (da esso deriverà il madrigale
religioso, inizio dell’oratorio).
Tra i musicisti più noti di madrigali di questo periodo
ricordiamo, oltre Giovanni PierLuigi da Palestrina, Orlando di
Lasso, Andrea e Giovanni Gabrieli, Luca Marenzio e Carlo
Gesualdo da Venosa.
Claudio Monteverdi conclude la stagione aurea del madrigale
italiano: i suoi Nove libri di madrigali ripercorrono l’evoluzione
del genere.
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Ai madrigali del Quinto libro, 1605, ancora polifonici a 5 voci,
viene aggiunto il basso continuo e fa capolino la monodia, cioè
la preminenza di una voce, normalmente il soprano, sulle
altre.
La tendenza giunge a prevalere nel corso dei quattro libri
successivi a 1, 2, 3 voci con basso continuo e strumenti
obbligati, che costituiscono un tratto d'unione del madrigale
classico con la monodia.
Bibliografia
Massimo Mila, Breve storia della musica, Torino, Einaudi, 1963
AA: VV:, La musica, enciclopedia storica, Torino, UTET, 1966
Franco Abbiati, Storia della musica, Milano, Garzanti, 1971
Elvidio Surian, Manuale di storia della musica, Rugginenti
Editore. I Vol., Milano, 1999
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Un famoso poeta di madrigali:
Giovanni Battista Guarini
Giovanni Battista Guarini merita uno studio attento per
l’importanza delle sue composizioni poetiche musicate da
alcuni famosissimi madrigalisti.
Egli infatti fu scelto, tra i poeti maggiori del tempo, soprattutto
da Monteverdi, da Luca Marenzio e Carlo Gesualdo da Venosa,
oltre che da numerosi musicisti minori. Pertanto occupa un
posto più importante in musica che in letteratura.
Nato a Ferrara nel 1538, é studente e poi professore di
eloquenza a Padova. Qui fra i 20 e 30 anni di età vive
frequentando l’ambiente di letteratura disimpegnata e allegra
creatosi attorno a Scipione Gonzaga e alla Accademia degli
Eterei di Padova, in contatto con numerosi altri poeti tra cui
Torquato Tasso.
Nel 1567 il libro a stampa “Rime degli Accademici Eterei”
accoglie l’attività di questo gruppo di intellettuali; in esso sono
presenti 35 sonetti, un madrigale e una canzone composti dal
Guarini.
Nel 1569 passa al servizio del duca Alfonso II° Este di Ferrara,
dove anche si trovava il Tasso, assunto però non come poeta,
come egli auspicava ( l’Este già stipendiava un altro poeta, suo
segretario, Giovan Battista Pigna), ma con compiti diplomatici.
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Sei anni dopo, alla morte del Pigna, il duca lo invita a poetare
per le feste e le serate di svago letterario e musicale
organizzate dalle sorelle Lucrezia e Leonora d’Este, che si
deliziavano a raccogliere, far leggere e cantare i componimenti
galanti scritti per esse e le loro dame di compagnia (Concerto
delle Dame).
Già dalla seconda metà del Quattrocento, Ferrara costituiva
un importante centro musicale, grazie alla presenza di
compositori di scuola franco-fiamminga come Desprez e
Obrecht. Il prestigio venne consolidato nel secolo successivo e
raggiunge l’apice fra il 1559 ed il 1597, proprio sotto il regno di
Alfonso II d’Este.
Tra le iniziative che, all’epoca, rendono la città famosa ed
invidiata in tutta Europa, vi é il rinomato Concerto delle Dame,
così chiamato perché la formazione di partenza era costituita
dalle cantanti Lucrezia e Isabella Bendidio (cognate del
Guarini), Leonora Sanvitale e Vittoria Bentivoglio e dal basso
Giulio Cesare Brancaccio.
Questo primo gruppo venne sciolto per vari motivi ma é
ricostituito in breve tempo dalla giovanissima Margherita
Gonzaga, terza moglie di Alfonso II, che porta con sé da
Mantova la cantante e arpista Laura Peverara e la cantante e
violista Livia d’Arco.
Insieme a Anna Guarini (cantante e liutista, figlia di Giovanni
Battista), formano un trio di formidabili interpreti, attivo a
partire dal 1580, che diventa il vanto della corte estense.
Le musiche eseguite dall’ensemble sono scritte appositamente
da Luzzasco Luzzaschi e da autori minori sui testi di Giovanni
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Battista Guarini, padre e cognato delle musiciste, il che porta
ad un connubio musicale e letterario praticamente irripetibile.
Il Guarini riprende a poetare con notevole impegno e
compone in questo periodo le sue migliori produzioni
letterarie (tra cui il Pastor Fido).
In esse dimostra di usare concessioni stilistiche e tematiche di
impianto melico fatte per appagare le richieste dei cantanti e
dei musicisti, soddisfatte con la sensibilità che gli deriva da un
continuo contatto con loro.
Il grosso della produzione di questo periodo non viene
stampata fino agli anni 90 perché il duca la considera a solo
uso privato della corte. Infatti Alfonso è gelosissimo di questa
attività musicale che dà lustro al suo ducato e la vuole tenere
segreta al pubblico.
In effetti dalla vicina Mantova, ove fiorisce una grande
tradizione musicale, e dal Granducato di Toscana si cerca di
carpire le novità musicali ferraresi inviando ambasciatori con
compito di spionaggio; Alessandro Striggio da Firenze, è uno di
questi.
Alfonso pressa il Guarini alla produzione di madrigali e di
dialoghi per “competizioni” canore, versi di lunghezza
variabile, variamente rimati, e interrotti da ritornelli, che pare
producessero sugli ascoltatori un effetto sorprendente.
Di esse non ci sono arrivati né i testi, forse perduti, né le
musiche del Luzzaschi che solo nel 1601 riprenderà 12
madrigali, piccola parte di un repertorio amplissimo se non
sterminato, per la nuova autorità di Ferrara, il cardinale Pietro
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Aldobrandini, come omaggio postumo al famoso “Concerto
delle Dame”.
Però, anche se non edite dall’autore, alcune di queste forme
poetiche sono musicate anche da altri numerosi musicisti
dell’epoca o in forma anonima o con attribuzione erronea;
cinque dal Fiesco nel 1569, una nel 1571 da Filippo del
Monte, attivo a Praga, nel suo “Quarto Libro dei Madrigali” e
una nel 1575 da Giovanni Agostino Veggio, musicista di area
farnese, attribuendola al Tasso (lo stesso madrigale fu in
seguito musicato anche da Luzzasco Luzzaschi).
Nel 1578 Meldert, musicista fiammingo al servizio di Giulio II,
musica il lungo madrigale “Tirsi morir volea”, anch’egli
attribuendolo al Tasso; in esso il Guarini descrive, con la
terminologia metaforica del petrarchismo, l’atto d’amore tra
una ninfa e il pastore Tirsi.
L’errore di attribuzione va probabilmente riferito all’esistenza
di un altro madrigale tassiano “Nel dolce seno della bella
Clori” che sviluppa una situazione analoga, così simile
all’impianto guariniano da suscitare il sospetto di una gara
poetica tra i due.
Nel 1583 viene intonata da Girolamo Belli anche la canzone
“Baci soavi e cari”(poi ripresa da Monteverdi) e il sonetto
“Taccia il cielo e la terra al nuovo canto”, sempre con
attribuzione anonima.
Solo con il consenso del duca in quegli anni è possibile al
Guarini pubblicare qualcosa nell’ambito della corte ferrarese.
Nel 1582 Luzzasco Luzzaschi inserisce nel “Terzo Libro dei
madrigali”, dedicato alla duchessa, tre composizioni del
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Guarini, questa volta con il nome dell’autore, ma altri dodici
sono dello stesso in forma anonima.
Sempre in quell’anno Luca Marenzio ne musica due nel suo
“Terzo libro dei Madrigali”, poi tre nel Quarto e uno nel
Quinto e può anch’esso nominare l’autore, forse per
intercessione del cardinale Luigi d’Este, suo protettore.
Nel 1583 il Baldini, musicista sempre di ambito ferrarese, ne
intona due nel “Lauro verde, madrigali a sei voci di diversi
autori”.
Infine altri due compositori estranei al ducato, Orazio Vecchi
nel Libro Primo del 1583 e Ascanio Trobetti, nello stesso anno,
ne intonano una.
In pratica, in corrispondenza dell’allentamento del legame con
la corte di Ferrara, la conoscenza delle rime del Guarini si
allarga ben oltre i confini della cittadella estense, raggiunge
musici attivi anche in altri centri e la sua fortuna, fin qui in
qualche modo contenuta e condizionata dal divieto di
diffusione, diventa strepitosa.
E’ una marea dilagante; cinque compositori sfruttano le sue
rime nel 1584, otto nel 1585 e undici nel 1586 (tra cui Jaches
de Wert, che, allontanato da Ferrara, porta a Mantova i
madrigali del Guarini).
Ciò pone le premesse perché un fenomeno di gusto
essenzialmente musicale diventi un caso letterario consacrato
dalla pubblicazione del libro di Giovan Battista Licino “Rime di
diversi celebri poeti dell’età nostra”.
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La pubblicazione avviene nel 1587, lo stesso anno in cui
Claudio Monteverdi pubblica il 1° Libro dei Madrigali
contenente tre composizioni del Guarini, tra cui “Baci soavi e
cari”.
Nello stesso anni 1587 é stampato anche “Rime di diversi
eccellenti autori fatte nelle nozze felicissime degli illustrissimi
il sign. Marco Pii di Savoia … e…Clelia Farnese raccolte per
Alfonso Caraffa” in cui il Guarini compare con 3 madrigali di
omaggio, presumibilmente letti, se non cantati al cospetto
degli sposi. Inoltre produce i testi degli intermezzi I, II e IV
della pastorale “Sacrificio” di Giovanni Beccari recitata a
Sassuolo nel giorno dei festeggiamenti.
Ma l’avvenimento più importante dello stesso anno é la
stampa di una raccolta voluta da Giovan Battista Licino,
l’editore del Tasso, dal titolo “ Rime di diversi celebri poeti
dell’età nostra” che promuove la prima comparsa autorevole
del madrigale letterario in veste non più di comprimario ma di
protagonista, cui si riconosce dignità assoluta.
Il Guarini vi appare in primo piano, con una cinquantina di
composizioni degli anni 75-80, in compagnia di Torquato Tasso
e di altri poeti. Lo scopo del libro è quello di offrire un
compendio di madrigali raffinati cui riferirsi anche e oltre la
disponibilità ritmica del metro.
Per i madrigalisti la pubblicazione di questa raccolta diventa
fonte di nuove e ricorrenti intonazioni, in un gioco di influenze
reciproche fra musica e poesia che scemerà solo nel secondo
decennio del Seicento
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In quel periodo però i contrasti tra il Guarini e il duca Alfonso
d’Este si intensificano e si arriva alla rottura nel 1588.
Nel 1597, Alfonso II muore senza lasciare eredi e il suo regno
torna allo Stato della Chiesa. Di conseguenza finisce anche
l’esperienza del Concerto delle Dame e un notevole flusso di
uomini di cultura, compreso Luzzaschi, lascia Ferrara alla volta
di Roma.
La memoria del leggendario trio é però ancora sempre viva,
rinverdita nel 1601 dalla pubblicazione, nella città capitolina,
di una piccola parte della produzione di Luzzaschi.
Per tale motivo, nel 1608 il marchese Enzo Bentivoglio, nipote
di Alfonso e del Guarini, in qualità di ambasciatore, da Ferrara
si reca in missione a Roma, con il preciso scopo di riportare in
auge il Concerto delle Dame.
Riesce a costituire nel suo palazzo romano un gruppo formato
da tre cantanti. Il nuovo ensemble non raggiunge grande
notorietà, ma passa alla storia in quanto le artiste sono
accompagnate da Piccinini, inventore dell’arciliuto e da
Girolamo Frescobaldi, all’epoca giovane clavicembalista.
Il Guarini intanto, dopo la rottura con il duca, nel 1590 vede
pubblicato il suo madrigale “Crudel perché mi fuggi” da
Claudio Monteverdi nel 2° Libro dei madrigali.
Nello stesso anno pubblica a Venezia il “Pastor Fido”, la sua
opera più nota, un dramma pastorale in endecassilabi e
settenari composto tra il 1580 e il 1583, singolare per
l'accostamento di elementi tragici e comici, poi rappresentata
a Padova e quindi a Ferrara e Mantova.
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Il Pastor Fido diventa un successo tale che conta più di cento
ristampe in pochi anni ed è tradotta in tutte le lingue europee.
Esso inaugura un nuovo genere, quello tragicomico, privo di
precedenti nella classicità.
Proprio questo trasgredire le regole dei generi teatrali senza
rispettare quelle aristoteliche, frutta a Guarini alcune critiche,
cui risponde nel Compendio della poesia tragicomica,
pubblicato nel 1601.
La vasta polemica letteraria che ne segue è di interesse per la
storia, iniziata nel 1600, della lotta contro l’aristotelismo.
Il Pastor Fido ispira a sua volta numerosi musicisti di madrigali
tra cui Jaques de Wert, Claudio Monteverdi ( nel 5° libro su 16
madrigali ben 11 sono tratti dal Pastor Fido), Luca Marenzio,
Sigismondo d’India (che musica “Cruda Amarilli”), Alessandro
Grandi, Tarquinio Merula e Heinrich Schutz.
A parte merita una menzione la musica di Luca Marenzio
composta sulle rime del Pastor Fido perché, in quelle che sono
le sue ultime composizioni, anch’egli si avvicina ad una forma
di monodia accompagnata dalle altre voci, che prelude al
passaggio dal madrigale contrappuntistico alla monodia.
Un’altra menzione merita Claudio Monteverdi che basterebbe
da solo a dare l’immortalità al Guarini e che lo sceglie tra i
poeti preferiti per la sua produzione musicale, insieme al
Tasso, il Chiabrera e il Marino.
Abbiamo già detto del 1° e 2° Libro dei Madrigali. Monteverdi
nel 1592 pubblica il 3° Libro in cui, su 15 madrigali, 9 sono del
Guarini; nel 1603 pubblica il 4° Libro con 9 madrigali su 18 del
Guarini (uno tratto dal I° atto del Pastor Fido), abbiamo già
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detto del 5° Libro, pubblicato nel 1605, nel 1619 pubblica il 7°
Libro, con 6 madrigali su 29 del Guarini, nel 1638 pubblica l’8°
Libro, in cui 3 su 22 sono del Guarini.
Infine sappiamo che nel 1608 Monteverdi musica il prologo
della Commedia l’Idropica del Guarini, rappresentata nel
palazzo ducale di Mantova e andata poi perduta.
Ancora nel 1602 Giulio Caccini nel suo “Le nuove musiche”
formato da 23 madrigali dei poeti Rinuccini e Chiabrera ne
utilizza quattro del Guarini.
Né si può dimenticare Carlo Gesualdo da Venosa che tra il
1594 e il 1611 pubblica 5 libri di madrigali: nel 1° libro è
contenuto il madrigale del Guarini “Tirsi morir volea”; nel
secondo “O com’è gran martire”, nel terzo “Voi volete ch’io
mora” e “Dolce spirto d’amor”, nel quarto “Cor mio, deh, non
piangete”, nel quinto “Occhi del cor vita” e “T’amo mia vita”.
Negli anni seguenti il Pastor Fido è la storia che avrà più larga
influenza sui librettisti d’opera fino al Metastasio. Lo stesso
Georg Frederich Handel ne musicherà un’opera lirica.
Dopo la rottura col duca di Ferrara il Guarini segue a
pubblicare altri madrigali (nel 1591 compare “Mentre vaga
angioletta”, poi ripresa da Monteverdi) e si interessa alla
nuova stampa de “Le rime” nel 1598.
Questa stampa si rivela importante perché creata allo scopo di
dimostrare come alcuni madrigali del Guarini fossero cambiati
nell’uso musicale rispetto alla stesura poetica primitiva.
Infatti sull’onda dell’enorme successo ottenuto dal Guarini,
l’editore veneziano Giovanni Battista Ciotti vuole ristampare i
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madrigali del poeta già contenuti nel fortunato libro del Licino
del 1587 più quelli ancora inediti o editi con attribuzione
errata o comparsi anonime negli anni ferraresi, e che con l’uso
musicale o con la divulgazione incontrollata avevano subito
modifiche.
Si rivolge pertanto direttamente al Guarini per averne la
stesura autentica ma il poeta non corrisponde all’intento dello
stampatore, si instaura tra i due un conflitto che alla fine si
esaurisce solo quando il Ciotti riesce, per vie traverse e con la
collaborazione di un probabile amico traditore (lo stesso
cardinale della dedica?) ad avere i testi autentici.
Nella stesura finale del libro, dedicata al cardinale Pietro
Aldobrandini, compaiono 32 modifiche su 170 composizioni
attribuite fino ad allora al Guarini, ciò vale a dire che circa il
20% della produzione guariniana prima del 1598 era stata
cambiata dalla trascrizione musicale.
La vicenda è così descritta dallo stesso Ciotti nella prefazione
del suo libro:
“Queste son quelle Rime del signor cavalier Guarini, lettori
miei humanissimi, dal mondo tanto richieste, et lungamente
desiderate, al quale volendo io, secondo il mio solito, sodisfare
il più che fosse possibile, mi diedi già é gran tempo a farne una
buona raccolta, non solo dalle mani del proprio autore, ma
dalle rime de gli Eterei, et da quelle d’altri scrittori, al quale
scarsamente erano state iscritte, et dalle mani di coloro che
n’havevano in penna, et dalla musica di Ferrara, e in somma
da qualunque altra parte, ov’io potessi immaginarmi di
haverle. Et quando mi credetti di essere a fin dell’opera, et di
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poterne far parte al mondo, fui avvertito che l’autore le
haveva già buona pezza mutate in modo, che trasformate più
tosto, che corrette si potevan chiamare. Ond’io fui costretto a
mutar pensiero, et darmi tutto a vedere com’io potessi
haverne l’originale tratto dal proprio autore, che stava
appresso gran personaggio. Dalle mani del quale prima ch’io
l’habbia ricoverato, et che l’autore stesso, non me l’habbia
conteso, ho durato la maggior fatica, et hovvi avuta la
maggior patienza del mondo. Nella quale però mi consolo,
essendo ella sì bene ricompensata con l’eccellenza dell’opera:
sicurissimo di recarvi una finissima gioia di lingua , di concetti,
di vivezze, di leggiadria, e, quello che tutto importa, di
perfettissima purità sostenuta con numero et maestà…..Sopra
tutto vi porto il vero testo, et legittimo dell’autore, di che, oltre
la fede ch’io ve ne fo, voi per voi stessi il potrete conoscer dalla
finezza dell’opera in tutte le sue parti si ben corrispondente a
gli altri rari, et maravigliosi scritti di lui, che gran fatica non
durerete a riconoscerla per suo parto.
Il Guarini muore a Venezia nel 1612. Con il cambiare del gusto
musicale e il tramonto del madrigale anche la sua fama di
poeta verrà poi notevolmente ridimensionata.
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BIBLIOGRAFIA
Marco del Vaglio. Il concerto delle dame di Ferrara.
http://classicvillage.net/varie/100-il-concerto-delle-dame-diferrara.html
Massimo Mila. Breve storia della musica. Einaudi, Torino,
2005
Antonio Vassalli. Appunti per una storia della scrittura
guariniana: le rime a stampa prima del 1598
Elio Durante - Anna Martellotti. Il cavalier Guarini e il
concerto delle dame da Guarini, la musica, i musicisti. Libreria
Musicale Italiana, Lucca, 1997
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Poesie del Guarini
musicate da
Claudio Monteverdi
Claudio Monteverdi: Libro I
Primo libro de madrigali (1587)
In Venetia Appresso Angelo Gardano.
1. Ch'ami la vita mia nel tuo bel nome
2. Se per avervi, ohimè, donato il core
3. A che tormi il ben mio
4. Amor, per tua mercé vattene a quella
5. Baci soavi e cari
6. Se pur non mi consenti
7. Filli cara e amata
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8. Poi che del mio dolore
9. Fumia la pastorella
10. Se nel partir da voi, vita mia, sento
11. Tra mille fiamme e tra mille catene
12. Usciam, ninfe, homai fuor di questi boschi
13. Questa ordì il laccio, questa
14. La vaga pastorella
15. Amor, s'il tuo ferire
16. Donna, s'io miro voi, giaccio divengo
17. Ardo, sì ma non t'amo
18. Ardi o gela a tua voglia
19. Arsi et alsi a mia voglia
5. Baci soavi e cari
Battista Guarini
Baci soavi e cari,
cibi della mia vita,
ch'or m'involate or mi rendete il core:
per voi convien ch'impari
come un'alma rapita
non senta il duol di mort'e pur si more.
Quant'ha di dolce amore,
perché sempr'io vi baci,
o dolcissime rose,
in voi tutto ripose;
e s'io potessi ai vostri dolci baci
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la mia vita finire,
o che dolce morire!
17. Ardo, sì, ma non t'amo
(Giovan Battista Guarini)
Ardo, sì, ma non t'amo,
perfid' e dispietata,
indegnamente amata
da un sì leal amante.
Ah, non fia più che del mio amor ti vante,
perch'ho già sano il core:
e s'ardo, ardo di sdegn'e non d'amore.
18. Ardi, o gela a tua voglia
(Battista Guarini ?)
Ardi o gela a tua voglia,
perfid' ed impudico,
or amante or nemico.
Ché d'incostante ingegno
poco i' stimo l'amor e men lo sdegno:
e se l'amor fu vano,
van fia lo sdegno del tuo cor insano.
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Claudio Monteverdi: Libro II
Libro secondo de madrigali (1590)
A 5 voci.
In Venetia Appresso Alessandro Rauerij
1. Non si levav'ancor l'alba novella
2. Bevea Fillide mia
3. Dolcissimi legami di parole amorose
4. Non giacinti o narcisi
5. Intorno a due vermiglie e vaghe labbra
6. Non sono in queste rive
7. Tutte le bocche belle in questo nero volto
8. Donna, nel mio ritorno il mio pensiero
9. Quell'ombra esser vorrei
10. S'andasse amor a caccia
11. Mentr'io miravo fiso
12. Se tu mi lassi, perfida tuo danno
13. Ecco mormorar l'onde
14. La bocca onde l’asprissime parole
15. Dolcemente dormiva la mia Clori
16. Crudel, perchè mi fuggi?
17. Questo specchio ti dono, Rosa
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18. Non m'è grave 'l morire
19. Ti spontò l'ali amor, la donna mia
20. Cantai un tempo, e se fu dolc'il canto
16. Crudel, perché mi fuggi
Giovanni Battista Guarini
Crudel, perché mi fuggi
s’hai della morte mia tanto desio?
tu sei pur il cor mio.
Credi tu per fuggire,
crudel, farmi morire?
Ah! non si pò morir senza dolore
e doler non si pò chi non ha core
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Claudio Monteverdi: Libro III
Terzo libro de madrigali (1592)
a 5 voci.
In Venetia Appresso Piccardo Amadino.
1. La giovinetta pianta
2. O come è gran martire
3. Sovra tenere erbette e bianchi fiori
4. O dolc’anima mia, dunque è pur vero
5. Stracciami pur il core
6. O rossignuol ch’in queste verdi fronde
7. Se per est rem’ardore
8. Vattene pur, crudel, con quella pace
9. O Primavera, gioventù de l'anno
10. Perfidissimo volto
11. Ch'io non t'ami, cor mio?
12. Occhi un tempo, mia vita
13. Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure
14. Lumi miei, cari lumi
15. Rimanti in pace
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2. O come è gran martire
Battista Guarini
O come è gran martire
a celar suo desire,
quando con pura fede
s’ama chi non se ’l crede.
O soave mio ardore,
o giusto mio desio,
s’ognun ama il suo core
e voi sete il cor mio,
allor non fia ch’io v’ami
quando sarà che viver più non brami.
3. Sovra tenere erbette e bianchi fiori
Sovra tenere erbette e bianchi fiori
stava Filli sedendo
ne l’ombra d’un alloro,
quando li dissi: «Cara Filli, io moro».
Ed ella a me volgendo
vergognosetta il viso,
frenò frangendo fra le rose il riso
che per gioia dal core
credo ne trasse Amore.
Onde lieta mi disse:
«Baciami, Tirsi mio,
che per desir sento morirmi anch’io».
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4. O dolc’anima mia, dunque è pur vero
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O dolc’anima mia, dunque è pur vero
che cangiando pensiero
per altrui m’abbandoni?
Se cerchi un cor che più t’adori ed ami,
ingiustamente brami;
se cerchi lealtà, mira che fede,
amar quand’altrui doni
la mia cara mercede
e la sperata tua dolce pietate.
Ma se cerchi beltate,
non mirar me, cor mio, mira te stessa
in questo volto, in questo cor impressa.
5. Stracciami pur il core
Battista Guarini
Stracciami pur il core;
ragion è ben, ingrato,
che se t’ho troppo amato
porti la pena del commess’errore.
Ma perché stracci fai de la mia fede?
Che colp’ha l’innocente?
Se la mia fiamma ardente
non merita mercede,
ah, non la merta il mio fedel servire?
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Ma straccia pur, crudele:
non può morir d’amor alma fedele.
Sorgerà nel morir quasi fenice
la fede mia più bell’e più felice.
7. Se per estrem’ardore
Battista Guarini
Se per estrem’ardore
morir potesse un core,
saria ben arso il mio
fra tanto incendio rio.
Ma come salamandra nel mio foco
vivo per la mia donna in festa e ’n gioco.
E se m’avien talora
che per dolcezza i’ mora,
mercé d’Amor risorgo qual fenice
sol per viver ardend’ognor felice.
9. O primavera, gioventù de l’anno
Battista Guarini - "Pastor fido", III, I
O primavera, gioventù de l’anno,
bella madre de’ fiori,
d’erbe novelle e di novelli amori,
tu ben, lasso, ritorni,
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ma senza i cari giorni
de le speranze mie.
Tu ben sei quella
ch’eri pur dianzi, sì vezzosa e bella;
ma non son io quel che già un tempo fui,
sì caro a gli occhi altrui.
10. Perfidissimo volto
Battista Guarini
Perfidissimo volto,
ben l’usata bellezza in te si vede,
ma non l’usata fede.
Già mi parevi dir: «Quest’amorose
luci che dolcemente
rivolgo a te, sì belle e sì pietose,
prima vedrai tu spente
che sia spento il desio ch’a te le gira.»
Ahi, ch’è spent’il desio,
ma non è spento quel per cui sospira
l’abandonato core.
O volto troppo vago e troppo rio,
perché se perdi amore
non perdi ancor vaghezza,
o non hai pari a la beltà fermezza?
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11. Ch’io non t’ami, cor mio?
Battista Guarini
Ch’io non t’ami, cor mio?
Ch’io non sia la tua vita e tu la mia?
Che per novo desio
e per nova speranza i’ t’abandoni?
Prima che questo sia,
morte non mi perdoni.
Ma se tu sei quel core onde la vita
m’è sì dolc’e gradita,
fonte d’ogni mio ben, d’ogni desire,
come poss’io lasciarti e non morire?
12. Occhi, un tempo mia vita
Battista Guarini
Occhi, un tempo mia vita;
occhi, di questo cor fido sostegno,
voi mi negate, ahimè, l’usata aita?
Tempo è ben di morire; a che più tardo?
A che torcete il guardo?
Forse per non mirar come v’adoro?
Mirate almen ch’io moro.
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14. Lumi, miei cari lumi
Battista Guarini
Lumi, miei cari lumi,
che lampeggiate un sì veloce sguardo
ch’a pena mira e fugge
e poi torna sì tardo
che ’l mio cor se ne strugge;
volgete a me, volgete
quei fuggitivi rai,
ch’oggetto non vedrete
in altra parte mai
con sì giusto desio,
che tanto vostro sia quanto son io.
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Claudio Monteverdi: Libro IV
Quarto libro de madrigali (1603)
a 5 voci.
In Venetia Appresso Ricciardo Amadino.
1. Ah dolente partita
2. Cor mio, mentre vi miro
3. Cor mio, non mori?
4. Sfogava con le stelle un infermo d'amore
5. Volgea l'anima mia soavemente
6. Anima mia, perdona
7. Luci serene e chiare
8. La piaga c'ho nel core
9. Voi pur da me partite, anima dura
10. A un giro sol de' bell'occhi lucenti
11. Ohimè, se tanto amate
12. Io mi son giovinetta
13. Quel augellin che canta si dolcemente
14. Non più guerra pietate
15. Sì, ch’io vorrei morire
16. Anima dolorosa, che vivendo
17. Anima del cor mio
18. Longe da te, cor mio
19. Piagn' e sospira
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1. Ah, dolente partita
Battista Guarini
Ah, dolente partita,
ah, fin de la mia vita!
Da te part’e non moro?
E pur i’ provo la pena de la morte,
e sento nel partire
un vivace morire
che dà vita al dolore,
per far che moia immortalment’il core.
2. Cor mio, mentre vi miro
Battista Guarini
Cor mio, mentre vi miro,
visibilmente mi trasform’in voi.
E, trasformato poi,
in un solo sospir l’anima spiro.
O bellezza mortale,
o bellezza vitale,
poi che sì tosto un core
per te rinasce e per te nato more.
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3. Cor mio, non mori?
Cor mio, non mori? e mori!
L’idolo tuo, ch’è tolto
a te, fia tosto in altrui braccia accolto.
Deh, spezzati mio core,
lascia, lascia con l’aura anco l’ardore,
ch’esser non può che ti riserbi in vita
senza speme ed aita.
Su, mio cor mori. Io moro, io vado a Dio,
dolcissimo ben mio.
5. Volgea l’anima mia soavemente
Battista Guarini
Volgea l’anima mia soavemente
quel suo caro e lucente
sguardo, tutto beltà, tutto desire,
verso me scintillando e parea dire:
«Dam’il tuo cor, ché non altrond’i’ vivo».
E mentr’il cor sen vola ove l’invita
quella beltà infinita,
sospirando gridai: «Misero e privo
del cor, chi mi dà vita?»
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Mi rispos’ella in un sospir d’amore:
«Io, che son il tuo core».
6. Anima mia, perdona
Battista Guarini
Anima mia, perdona
a chi t’è cruda sol dove pietosa
esser non può, perdona a questa,
nei detti e nel sembiante
rigida tua nemica, ma nel core
pietosissima amante.
E se pur hai desio di vendicarti,
deh, qual vendetta aver puoi tu maggiore
del tuo proprio dolore?
Che se tu se’ il cor mio,
come se’ pur malgrado
del ciel e de la terra,
qualor piangi e sospiri,
quelle lagrime tue son il mio sangue,
quei sospir il mio spirto
e quelle pen’e quel dolor che senti
son miei, non tuoi tormenti.
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9. Voi pur da me partite, anima dura
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Voi pur da me partite, anima dura,
né vi duol il partire:
ohimè, quest’è un morire
crudele, e voi gioite?
Quest’è vicino aver l’ora suprema,
e voi non la sentite?
Oh meraviglia di durezza estrema:
esser alma d’un core
e separarsi e non sentir dolore!
10. A un giro sol de’ belli occhi lucenti
Battista Guarini
A un giro sol de’ belli occhi lucenti
ride l’aria d’intorno,
e ’l mar s’acqueta e i venti,
e si fa il ciel d’un altro lume adorno.
Sol io le luci ho lagrimose e meste:
certo quando nasceste,
così crudel e ria,
nacque la morte mia.
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11. Ohimè, se tanto amate
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Ohimè, se tanto amate
di sentir dir ohimè, deh, perché fate
chi dice ohimè morire?
S’io moro, un sol potrete
languido e doloroso ohimè sentire,
ma se, cor mio, volete
che vita abbia da voi, e voi da me,
avrete mill’e mille dolci ohimè.
13. Quel augellin che canta si dolcemente
Giovanni Battista Guarini - "Il pastor fido", Act. I, sc. I
Quell’augellin che canta
sì dolcemente e lascivetto vola
or da l’abete al faggio
ed or dal faggio al mirto,
s’avesse umano spirto,
direbb’ardo d’amor, ardo d’amore,
ma ben arde nel core
e chiam’il suo desio,
che li rispond’ardo d’amor anch’io.
Che sii tu benedetto,
amoroso, gentil, vago augelletto.
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14. Non più guerra, pietate
Battista Guarini
Non più guerra, pietate,
pietate, occhi miei belli,
trionfanti, a che v’armate
contr’un cor ch’è già pres’e vi si rende?
Ancidete i rubelli,
ancidete chi s’arma e si difende,
non chi, vinto, v’adora.
Volete voi ch’io mora?
Morrò pur vostro e del morir l’affanno
sentirò sì, ma sarà vostr’il danno.
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Claudio Monteverdi: Libro V
Quinto libro de madrigali (1605)
a 5 voci col basso continuo per il clavicembalo,
chitarrone o altro simile instromento;
fatto particolarmente per li sei ultimi, et per li altri a
beneplacito.
In Venetia Appresso Ricciardo Amadino.
1. Cruda Amarilli
2. O Mirtillo, Mirtill'anima mia
3. Era l'anima mia
4. Ecco, Silvio, colei ch'in odio hai tanto
5. Ch'io t'ami e t'ami più de la mia vita
6. Che dar più vi poss'io?
7. M'è più dolce il penar per Amarilli
8. Ahi, com'a un vago sol cortese giro
9. Troppo ben può questo tiranno amore
10. Amor, se giusto sei
11. T'amo mia vita!
12. E così a poc'a poco torno farfalla
13. Questi vaghi concenti
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1. Cruda Amarilli
Battista Guarini
Cruda Amarilli, che col nome ancora
d’amar, ahi lasso, amaramente insegni;
Amarilli, del candido ligustro
più candida e più bella,
ma de l’aspido sordo
e più sorda e più fera e più fugace,
poi che col dir t’offendo
i’ mi morrò tacendo.
2. O Mirtillo, Mirtill’anima mia
Battista Guarini
O Mirtillo, Mirtill’anima mia,
se vedessi qui dentro
come sta il cor di questa
che chiami crudelissima Amarilli,
so ben che tu di lei
quella pietà che da lei chiedi avresti.
Oh anime in amor troppo infelici!
Che giova a te, cor mio, l’esser amato?
Che giova a me l’aver sì caro amante?
Perché, crudo destino,
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ne disunisci tu, s’Amor ne stringe?
E tu perché ne stringi,
se ne parte il destin, perfido Amore?
3. Era l’anima mia
Battista Guarini
Era l’anima mia
già presso a l’ultim’ore,
e languia come langue alma che more,
quand’anima più bella e più gradita
volse lo sguard’in sì pietoso giro
che mi mantenn’in vita.
Parean dir quei bei lumi:
deh, perché ti consumi?
Non m’è sì car’ il cor ond’io respiro
come se’ tu, cor mio.
Se mori, ohimè, non mori tu, mor’io.
4. Ecco, Silvio, colei che in odio hai tanto
Battista Guarini
Ecco, Silvio, colei che in odio hai tanto;
eccola in quella guisa
che la volevi a ponto.
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Bramastila ferir, ferita l’hai;
bramastila tua preda, eccola preda;
bramastila al fin morta, eccola a morte.
Che vòi tu più da lei? Che ti può dare
più di questo Dorinda? Ah, garzon crudo!
Ah, cor senza pietà! Tu non credesti
la piaga che per te mi fece Amore:
puoi questa or tu negar de la tua mano?
Non hai credut’il sangue
ch’i’ versava per gli occhi;
crederai questo che ’l mio fianco versa?
Ma, se con la pietà non è in te spenta
gentilezza e valor che teco nacque,
non mi negar, ti prego,
anima cruda sì, ma però bella,
non mi negar a l’ultimo sospiro
un tuo solo sospir. Beata morte,
se l’addolcissi tu con questa sola
dolcissima parola,
voce cortese e pia:
va’ in pace, anima mia.
Dorinda, ah, dirò mia, se mia non sei
se non quando ti perdo e quando morte
da me ricevi, e mia non fosti allora
che ti potei dar vita?
Pur mia dirò, ché mia
sarai mal grado di mia dura sorte;
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e, se mia non sarai con la tua vita,
sarai con la mia morte.
Ecco, piegando le genocchie a terra,
riverente t’adoro
e ti chieggio perdon, ma non già vita.
Ecco li strali e l’arco;
ma non ferir già tu gli occhi o le mani,
colpevoli ministri
d’innocente voler; ferisci il petto,
ferisci questo mostro
di pietad’e d’amor aspro nemico;
ferisci questo cor che ti fu crudo!
Eccoti il petto ignudo.
Ferir quel petto, Silvio?
Non bisognava a gli occhi miei scovrirlo,
s’avevi pur desio ch’io te ’l ferissi.
Oh bellissimo scoglio,
già da l’onde e dal vento
de le lagrime mie, de’ miei sospiri
sì spesso in van percosso,
è pur ver che tu spiri
e che senti pietate? O pur m’inganno?
Ma sii tu pur o petto molle o marmo,
già non vo’ che m’inganni
d’un candido alabastro il bel sembiante,
come quel d’una fera
oggi ha ingannato il tuo signor e mio.
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Ferir io te? Te pur ferisca Amore,
ché vendetta maggiore
non so bramar che di vederti amante.
Sia benedetto il dì che da prim’arsi!
Benedette le lagrime e i martiri!
Di voi lodar, non vendicar, mi voglio.
5. Ch’io t’ami, e t’ami più de la mia vita
Battista Guarini
Ch’io t’ami, e t’ami più de la mia vita,
se tu no ’l sai, crudele,
chiedilo a queste selve
che te ’l diranno, e te ’l diran con esse
le fere lor e i duri sterpi e i sassi
di questi alpestri monti
che ho sì spesse volte
intenerito al suon de’ miei lamenti.
Deh, bella e cara e sì soave un tempo
cagion del viver mio, mentr’al ciel piacque,
volgi una volta e volgi
quelle stelle amorose,
come le vidi mai, così tranquille
e piene di pietà, prima ch’io moia;
ché ’l morir mi fia dolce.
E dritt’è ben che, se mi furo un tempo
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dolci segni di vita, or sien di morte
quei belli occhi amorosi;
e quel soave sguardo
che mi scorse ad amare,
mi scorga anco a morire;
e chi fu l’alba mia
del mio cadente dì l’espero or sia.
Ma tu, più che mai dura,
favilla di pietà non senti ancora;
anzi t’inaspri più, quanto più prego.
Così senza parlar, dunque, m’ascolti?
A chi parlo infelice? A un muto sasso?
S’altro non mi vòi dir, dimm’almen: mori!
E morir mi vedrai.
Quest’è ben, empio Amor, miseria estrema:
che sì riggida ninfa
non mi risponda e l’armi
d’una sola sdegnosa e cruda voce
sdegni di proferire
al mio morire.
6. Che dar più vi poss’io?
Che dar più vi posa’io?
Caro mio ben, prendete: eccovi il core,
pegno de la mia fede e del mio amore.
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E se per darli vita a voi l’invio,
no ’l lasciate morire;
nudritel di dolcissimo gioire,
ché vostro il fece Amor, natura mio.
Non vedete, mia vita,
che l’immagine vostra è in lui scolpita?
7. M’è più dolce il penar per Amarilli
Battista Guarini
M’è più dolce il penar per Amarilli
che ’l gioir di mill’altre;
e se gioir di lei
mi vieta il mio destino, oggi si moia
per me pur ogni gioia.
Viver io fortunato
per altra donna mai, per altr’amore?
Né, potendo, il vorrei,
né, volendo, il potrei.
E, s’esser può ch’in alcun tempo mai
ciò voglia il mio volere,
o possa il mio potere,
prego il ciel ed Amor che tolto pria
ogni voler, ogni poter mi sia.
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8. Ahi, come a un vago sol cortese giro
Battista Guarini
Ahi, come a un vago sol cortese giro
de’ duo belli occhi, on’io
soffersi il primo dolce stral d’Amore,
pien d’un novo desio,
sì pront’a sospirar torna ’l mio core.
Lasso, non val ascondersi, ch’omai
conosco i segni che ’l mio cor addita
de l’antica ferita.
Ed è gran tempo pur che la saldai.
Ah che piaga d’Amor non sana mai!
9. Troppo ben può questo tiranno Amore!
Battista Guarini
Troppo ben può questo tiranno Amore!
Poi che non val fuggire
a chi no ’l può soffrire.
Quand’io penso talor com’arde e punge,
io dico: ah, core stolto,
non l’aspettar, che fai?
Fuggilo, sì che non ti prenda mai.
Ma, non so, com’il lusinghier mi giunge
ch’io dico: ah, core sciolto,
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perché fuggito l’hai?
Prendilo, sì che non ti fugga mai.
10. Amor, se giusto sei
Battista Guarini (?)
Amor, se giusto sei,
fa’ che la donna mia
anch’ella giusta sia.
Io l’amo, tu il conosci ed ella il vede,
ma pur mi strazia e mi trafigge il core,
e per più mio dolore
e per dispreggio tuo, non mi dà fede.
Non sostener, Amor, che nel tuo regno,
là dove io ho sparta fede, mieta sdegno;
ma fa’, giusto signore,
ch’in premio del mio amor, io colga amore.
11. T’amo, mia vita!
Battista Guarini
T’amo, mia vita! La mia cara vita
dolcemente mi dice, e in questa sola
sì soave parola
par che trasformi lietamente il core
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per farmene signore.
Oh, voce di dolcezza e di diletto;
prendila tosto Amore;
stampala nel mio petto.
Spiri solo per lei l’anima mia:
t’amo! Mia vita la mia vita sia.
12. E così, a poco a poco, torno farfalla
Battista Guarini
E così, a poco a poco,
torno farfalla semplicetta al foco,
e nel fallace sguardo
un’altra volta mi consumo ed ardo.
Ah, che piaga d’Amore
quanto si cura più tanto men sana;
ch’ogni fatica è vana
quando fu punto un giovinetto core
dal primo e dolce strale.
Chi spegne antico incendio il fa immortale.
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13. Questi vaghi concenti
Battista Guarini
Questi vaghi concenti
che gli augelletti intorno
vanno temprando a l’aparir del giorno,
sono, cred’io, d’amor desiri ardenti.
Sono pene e tormenti
e pur fanno le selve e ’l ciel gioire
al lor dolce languire.
Deh, se potessi anch’io
così dolce dolermi
per questi poggi solitari ed ermi,
che quella a cui piacer sola desio
gradisse il pianger mio!
Io bramerei, sol per piacer a lei,
eterni i pianti miei.
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Claudio Monteverdi: Libro VII
Settimo libro de madrigali (1619)
a 1. 2. 3. 4. et 6 voci, con altri generi de Canti.
In Venetia Appresso Bartholomeo Magni.
1. Tempro la cetra
2. Non è di gentil core chi non arde
3. A quest'olmo, a quest'ombre
4. O come sei gentile, caro augellino
5. Io son pur vezzosetta pastorella
6. O viva fiamma, o miei sospiri ardenti
7. Vorrei baciarti, o Filli
8. Dice la mia bellissima Licori
9. Ah, che non si conviene romper la fede?
10. Non vedrò mai le stelle
11. Ecco vicine, o bella tigre
12. Perchè fuggi tra salci, ritrosetta?
13. Tornate, o cari baci
14. Soave libertate
15. S'el vostro cor, madonna
16. Interrotte speranze
17. Augellin, che la voce al canto spieghi
18. Vaga su spina ascosa
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19. Eccomi pronta ai baci, Ergasto mio
20. Parlo, miser' o taccio?
21. Tu dormi? Ah crudo core
22. Al lume delle stelle
23. Con che soavità, labbra odorate
24. Ohimè, dov'è il mio ben?
25. Se i languidi miei sguardi
26. Se pur destina e vole il cielo
27. Chiome d'oro, bel tesoro
28. Amor che deggio far?
29. Ballo: Tirsi e Clori
4. O come sei gentile, caro augellino
Giovanni Battista Guarini
O come sei gentile, caro augellino!
O quanto è il mio stato amoroso al tuo simile!
Io prigion, tu prigion; tu canti, io canto;
tu canti per colei che t'ha legato, ed io canto per lei.
Ma in questo è differente la mia sorte dolente:
che giova pur a te l'esser canoro, ed io cantando moro.
8. Dice la mia bellissima Licori
Giovanni Battista Guarini
Dice la mia bellissima Licori
quando talor favello seco d'amor,
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ch'Amor è uno spiritello
che vaga e vola, e non si può tenere,
nè toccar, nè vedere;
e pur, se gli occhi giro,
ne' sugli begli occhi il miro:
ma nol posso toccar,
ché sol si tocca in quella bella bocca.
15. S'el vostro cor, Madonna
Giovanni Battista Guarini
S'el vostro cor, Madonna,
altrui pietoso tanto,
da quel suo degno al mio non degno pianto
tal hor si rivolgesse,
e una stilla al mio languir ne desse,
forse nel mio dolore
vedria
l'altrui perfidia,
e'l proprio errore,
e voi seco direste: Ah, sapess'io
usar pietà come pietà desio!
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16. Interrotte speranze
Giovanni Battista Guarini
Interrotte speranze, eterna fede,
fiamme e strali possenti in debil core;
nutrir sol di sospiri un fero ardore
e celare il suo mal quand'altri il vede:
seguir di vago e fuggitivo piede
l'orme rivolte a volontario errore;
perder del seme sparso e'l frutto e'l fiore
e la sperata al gran languir mercede;
far d'uno sguardo sol legge ai pensieri
e d'un casto voler freno al desìo,
e spender lacrimando i lustri interi:
questi ch'a voi, quasi gran fasci, invio,
donna crudel, d'aspri tormenti e fieri,
saranno i trofei vostri e'l rogo mio.
20. Parlo, miser o taccio?
Giovanni Battista Guarini - "Gli Amori"
Parlo, miser', o taccio?
S'io taccio, che soccorso avrà il morire?
S'io parlo, che perdono avrà l'ardire?
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Taci, che ben s'intende chiusa fiamma
tal'or da chi l'accende;
parla in me la pietade,
parla in lei la beltade
e dice quel bel volto al crudo core:
chi può mirarmi, e non languir d'amore?
23. Con che soavità, labbra odorate (concertato a una voce e
9 instromenti)
Giovanni Battista Guarini
Con che soavità, labbra odorate,
e vi bacio e v'ascolto;
ma se godo un piacer, l'altro m'è tolto.
Come i vostri diletti
s'ancidono fra lor, se dolcemente
vive per ambe due l'anima mia?
Che soave armonia
fareste, o cari baci, o dolci detti,
se foste unitamente
d'ambe due le dolcezze ambo capaci,
baciando, i detti, e ragionando, i baci.
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Claudio Monteverdi: Libro VIII
Madrigali guerrieri e amorosi (1638)
Con alcuni opuscoli in genere rappresentativo
che saranno per Brevi Episodi fra canti senza gesto.
In Venetia Appresso Alessandro Vincenti.
1. Altri canti d'amor
2. Or ch'el ciel e la terra e'l vento tace
3. Gira il nemico insidioso
4. Se vittorie sì belle
5. Armato il cor d'adamantina fede
6. Ogni amante è guerrier
7. Ardo, avvampo, mi struggo
8. Combattimento di Tancredi e Clorinda
9. Ballo: Volgendo il ciel
10. Altri canti di Marte
11. Vago augelletto, che cantando vai
12. Mentre vaga Angioletta
13. Ardo e scoprir, ahi lasso, io non ardisco
14. O sia tranquillo il mar
15. Ninfa che scalza il piede
16. Dolcissimo uscignolo
17. Chi vol haver felice e lieto il core
18. Lamento della ninfa
19. Perchè t'en fuggi, o Fillide
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20. Non partir, ritrosetta
21. Su su, su pastorelli vezzosi
22. Ballo delle Ingrate
12. Mentre vaga angioletta
Giovanni Battista Guarini
Mentre vaga Angioletta
ogni anima gentil cantando alletta,
corre il mio core, e pende
tutto dal suon del suo soave canto;
e non so come intanto
musico spirto prende
fauci canore, e seco forma e finge
per non usata via
garrula, e maestrevole armonia.
tempra, d'arguto suon pieghevol voce,
e la volve, e la spinge
con rotti accenti, e con ritorti giri
qui tarda, e là veloce;
e tall'hor mormorando
in basso, e mobil suono, ed alternando
fughe, e riposi, e placidi respiri,
hor la sospende, e libra,
hoc la preme, hor la rompe, hor la raffrena;
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hoc la saetta, e vibra,
hor in giro la mena,
quando con modi tremuli, e vaganti,
quando fermi, e sonanti.
Così cantando e ricantando, il core,
o miracol d'amore,
è fatto un usignolo,
e spiega già per non star mesto il volo.
16. Dolcissimo uscignolo (a 5 voci, cantato a voce piena, alla
francese)
Giovanni Battista Guarini
Dolcissimo uscignolo,
tu chiami la tua cara compagnia
cantando: «Vieni, vieni, anima mia».
A me canto non vale,
e non ho come tu da volar ale.
O felice augelletto,
come nel tuo diletto
ti ricompensa ben l'alma natura:
se ti negò saver, ti diè ventura.
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17. Chi vol haver felice e lieto il core (a 5 voci, cantato a voce
piena, alla francese)
Giovanni Battista Guarini
Chi vo haver felice e lieto il copre,
non segua il crudo Amore,
quel lusinghier ch'ancide
quando più scherza e ride;
ma tema di beltà, di leggiadria
l'aura fallace e ria.
Al pregar non risponda, alla promessa
non creda; e se s'appressa,
fugga pur, che baleno è quel ch'alletta,
né mai balena Amor, se non saetta.
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