unità 8 La Rivoluzione inglese Riferimenti storiografici 1 Nel riquadro un ritratto di Giacomo I, opera del pittore olandese Daniel Mytens. Sommario 1 2 3 Le origini del Patto del popolo Il radicalismo sociale e religioso di Gerrard Winstanley Giovani e matrimonio in Inghilterra F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 4 5 La rivoluzione sessuale dei Ranters Il diritto di resistenza dei baroni inglesi 1 Le origini del Patto del popolo UNITÀ 8 Nell’ottobre 1647, cinque reggimenti di cavalleria elaborarono un documento The Case of the Armie truly stated (Le ragioni dell’esercito fedelmente esposte) che introduceva per la prima volta l’idea del suffragio universale. Poco dopo John Lilburne, leader dei Levellers, convinto che dopo la sconfitta del sovrano l’Inghilterra fosse tornata a uno “stato di Natura”, espose idee analoghe in Agreement of the People for a firme peace (Patto del popolo per una pace stabile). LA RIVOLUZIONE INGLESE 2 Non è frequente che rancore e delusione ispirino un balzo avanti creativo nella storia del pensiero e degli istituti politici. Per una volta nell’autunno 1647, essi ebbero quest’effetto salutare: l’irrequietudine e la diffidenza serpeggianti fra i soldati di cinque reggimenti di cavalleria del Nuovo Modello suggerirono loro […] il primo abbozzo rudimentale di costituzione scritta della storia della democrazia. […] (Le loro) considerazioni furono esposte in un documento intitolato The Case of the Armie truly stated (Le ragioni dell’esercito fedelmente esposte), firmato il 9 ottobre dai dieci Agitatori dei cinque reggimenti […], presentato il 18 al generale Fairfax perché lo sottoponesse al Consiglio dell’Esercito, ma pubblicato il 15 come pamphlet [opuscolo, n.d.r.]. Opera di diverse penne, esso non è uno dei migliori testi della letteratura livellatrice, perché prolisso, confuso e pieno di ripetizioni; ma come ponte verso il Patto del Popolo, ha un grande interesse storico e contiene pagine che danno un senso vivo ed umano della psicologia di questi giovani. […] Il punto che basterebbe da solo a farne un documento storico è la clausola che propone di conferire il diritto di voto nelle elezioni ai parlamenti biennali «a tutti i liberi in età di 21 anni e oltre… eccettuati coloro che, per delinquenza (cioè per aver favorito attivamente la causa realista), si siano privati (o si privino in avvenire) di questa libertà per qualche anno o per sempre». […] The Case of the Armie distingue fra «legge sovrana (paramount)» e legislazione ordinaria: la prima è immutabile, la seconda può essere modificata. Sviluppando questo concetto, gli uomini dei cinque reggimenti di cavalleria conclusero che, sebbene ansiosi di epurare il parlamento e indignati per le tergiversazioni degli ufficiali in merito a questo problema, essi non potevano affidare nemmeno a parlamenti epurati la garanzia e la tutela delle libertà comuni: un parlamento avrebbe potuto disfare ciò che il precedente avesse fatto. […] Solo della parola del popolo sovrano essi potevano fidarsi. […] In realtà, nessuno vedeva più chiaramente dei livellatori che la guerra civile aveva scosso l’intelaiatura costituzionale della società in cui essi e i contemporanei erano cresciuti, una società ancora feudale, e li aveva fatti ricadere – per usare le parole di Lilburne – in uno stato di natura. […] E il loro problema era: come la società esce dallo stato di natura? La risposta della loro generazione a questa domanda era un luogo comune prima ancora che Hobbes e Locke la elaborassero: gli uomini sono faticosamente usciti dalle barbarie e hanno formato la società civile concludendo un contratto sociale. Dopo l’anarchia della guerra civile, essi devono rinnovarlo. Ma i modi di concepire il contratto sociale erano, anche allora, diversi. I livellatori tendevano a immaginarlo per analogia con una delle «chiese raccolte», indipendenti o anabattiste, in cui essi avevano la più profonda e vissuta esperienza della vita sociale. Appartenere a queste congregazioni significava per l’individuo entrare volontariamente a far parte di comunità compatte e solidali, e giurare un patto (Covenant) di reciproco aiuto e disciplina, in cui tutti sottoscrivevano un corpo di dottrine e credenze religiose. Un esempio ancora più antico di comunità volontarie, ma esercitanti (entro i limiti nettamente fissati dagli statuti) un’autorità incontrastata sui propri membri, erano le gilde, corporazioni di mestiere, e compagnie di commercio, della City. L’idea di un simile contratto volontariamente sottoscritto, ed esteso a tutta la nazione, non esigeva quindi per la fantasia di quella generazione lo sforzo che richiederebbe alla nostra. […] Gli ufficiali ai quali il documento può essere stato deferito [consegnato, n.d.r.] in prima istanza non lo gradirono, e forse neppure lo compresero, perché era un testo piuttosto grezzo, oscuro e guastato da esagerazioni malevole; e si può supporre che, nella risposta scritta agli Agitatori, abbiano sottolineato, fra l’altro, la loro disapprovazione del suffragio maschile. Ricevuta questa lettera, gli Agitatori dei cinque reggimenti di cavalleria, coi quali adesso si erano schierati altri quattro reggimenti della stessa arma e sette di fanteria, incaricarono qualcuno, o più probabilmente un piccolo comitato, di rielaborare The Case of the Armie dando al testo del documento una forma più accettabile. Il risultato fu la prima delle tre versioni dell’Agreement of the People for a firme peace (Patto del Popolo per una pace stabile), che fu letta alla riunione del Consiglio dell’Esercito il 29 ottobre 1647 a Putney, e messa in vendita come pamphlet a Londra il 3 novembre; un documento lucido e terso […] che, ridotto ai suoi termini essenziali, è un primo abbozzo di «contratto sociale». H.N. BRAILSFORD, I Livellatori e la Rivoluzione inglese, Il Saggiatore, Milano 1962, pp. 288-294 Qual è la differenza tra «legge sovrana» e «legge ordinaria»? In base a questa distinzione, quali furono le conclusioni da parte dei cinque reggimenti? Come veniva interpretato dai livellatori il concetto di «contratto sociale»? F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Le opinioni di Gerrard Winstanley originavano dalle idee dei Livellatori, superandole in estremismo e giungendo a opporsi alla proprietà privata in quanto tale. Secondo il pensatore inglese era necessario ritornare alle origini della creazione, quando il Signore fece il mondo «perché fosse una ricchezza comune». «All’inizio dei tempi il grande creatore, la Ragione, aveva fatto il mondo perché fosse una ricchezza comune, che sostentasse le bestie, gli uccelli, i pesci e l’uomo, colui che doveva governare su questa creazione… All’inizio non fu detto che una parte dell’umanità dovesse dettar legge all’altra… Ma… delle menti egoistiche… fecero sì che un uomo insegnasse e governasse su un altro. E così… l’uomo venne ridotto in schiavitù, e fu schiavo di quelli della sua stirpe più di quanto le bestie del campo lo fossero per lui. […]». Winstanley diceva ai signori che «il potere di recintare la terra e di avere proprietà è stato introdotto dai vostri antenati nella creazione con la spada; essi assassinarono prima le creature sorelle, gli uomini, poi saccheggiarono o rubarono la loro terra, lasciandola a voi, loro progenie [discendenza, n.d.r.]. Perciò, sebbene non abbiate ammazzato, o rubato, pure tenete fra le mani quella cosa maledetta grazie al potere della spada; e così facendo giustificate le azioni malvagie dei vostri padri, e il loro peccato peserà sulla testa vostra e dei vostri figli fino alla terza e alla quarta generazione e ancor di più, fino a quando il vostro potere insanguinato e ladro non verrà sradicato dalla terra». Winstanley estendeva la democrazia politica legittimata dai Livellatori alla democrazia economica: «L’uomo più povero ha per il possesso della terra un titolo autentico e un diritto giusto quanto quelli dell’uomo più ricco… La vera libertà sta nel libero godimento della terra… Se in Inghilterra la gente comune non ha altra libertà che vivere tra i suoi fratelli maggiori e lavorare alle loro dipendenze, vi è forse più libertà in Inghilterra che in Turchia o in Francia?» Winstanley superò la teoria dei Livellatori del giogo normanno, secondo la quale bastava tornare alle leggi dei liberi anglo-sassoni. «Le leggi migliori che esistano in Inghilterra sono gioghi e manetti, che legano un tipo di persone ad un altro». «Tutte quelle leggi che non si basano sull’eguaglianza e sulla ragione, che non dànno libertà universale per tutti ma distinguono le persone, dovrebbero… venire spiccate [tagliate, n.d.r.] insieme con la testa del re». Ma i governanti dell’Inghilterra non avevano portato a termine la rivoluzione: «Finché questo potere regio governava in un uomo chiamato Carlo, persone di tutte le fatte si lamentavano per l’oppressione… E allora voi, gentry, quando eravate riuniti in Parlamento, chiedeste aiuto alla povera gente comune… All’albero della tirannia è stata tagliata quella fronda in cima, e il potere regio, in quella sua espres- sione, è stato eliminato. Ma purtroppo l’oppressione è ancora un grande albero, e continua a togliere alla povera gente comune il sole della libertà». Il potere regio, il clero, gli avvocati, la compravendita, tutti erano collegati: «Se veramente uno ne crolla, devono crollare tutti». […] Winstanley non sapeva che farsene della religione tradizionale. Il suo anticlericalismo era molto più drastico, sicuro e sistematico di quello di qualunque altro scrittore del periodo rivoluzionario. E fra loro c’erano molti anticlericali. «Per quale ragione – si domandava Winstanley – i più ignorano le proprie libertà, per cui pochi sono adatti ad essere funzionari dello Stato? Perché – rispondeva – il vecchio clero monarchico… continua ad instillare i suoi ciechi principi nel popolo, nutrendo così in esso l’ignoranza». Molti ecclesiastici avevano insegnato che Carlo I era Unto dal Signore. I preti «proclamano il loro diritto al paradiso dopo la morte, e tuttavia lo vogliono anche su questa terra, e si lamentano aspramente di chi non vuole concedere loro un lauto vitalizio temporale. E tuttavia dicono ai poveri che essi devono contentarsi della propria povertà, e che per questo avranno il paradiso. Ma perché non ci è concesso di avere ora il nostro paradiso (cioè una vita comoda sulla terra), e anche il paradiso dopo, come fate voi?… Finché gli uomini guardano su verso il cielo, immaginando una futura felicità o temendo l’inferno dopo la morte, i loro occhi sono spenti, affinché non possano vedere i loro diritti di nascita, e che cosa debbano fare qui su questa terra finché vivono». […] Winstanley stesso giunse ad usare il termine ragione piuttosto che il termine Dio, «perché, come vedo per molti altri, io sono stato trattenuto nelle tenebre da quella parola». Dobbiamo stare attenti «a non disonorare il Signore rendendolo autore delle miserie delle creature» come fanno i predicatori del fuoco infernale. […] Winstanley diceva «ai preti e agli zelanti professori» che essi adoravano il demonio. Parlava di «Dio Demonio». […] Egli disse ai suoi oppositori al tribunale di Kingston che «quel Dio che voi servite, e che vi ha nominati Lords, cavalieri, gentiluomini e proprietari, è l’avidità». Questo Dio dava agli uomini il diritto alla proprietà della terra. Egli «obbligava il popolo a pagare le decime al clero». È questo DioDiavolo che viene adorato dalla Chiesa di Stato. «Noi non andremo in chiesa né serviremo il loro Dio». Il rifiuto di Winstanley per una divinità che giustificava il governo dei proprietari a immagine dei quali era stata creata, non poteva essere più completo. All’accusa che il suo credo «avrebbe distrutto tutto il governo e tutto il ministero ecclesiastico e la religione» Winstanley rispose freddamente: «È molto vero». C.H. HILL, Il mondo alla rovescia. Idee e movimenti rivoluzionari nell’Inghilterra del Seicento, Einaudi, Torino 1981, pp. 117-118, 124-125 Spiega la frase «Winstanley estendeva la democrazia politica legittimata dai Livellatori alla democrazia economica». Qual è la posizione di Winstanley nei confronti della Chiesa? Qual è la critica principale che muove contro la parola dei preti? F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 UNITÀ 8 Il radicalismo sociale e religioso di Gerrard Winstanley 3 RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 2 3 Giovani e matrimonio in Inghilterra UNITÀ 8 Peter Laslett ha coniato la fortunata espressione «il mondo che abbiamo perduto» per descrivere la realtà contadina preindustriale. A suo giudizio, si trattava di un mondo dotato di un proprio equilibrio, che riusciva a garantire un’accettabile livello di vita. Tra i fattori di garanzia del sistema, un posto importantissimo aveva il controllo sociale sul matrimonio, che spesso era spostato in età relativamente alta. LA RIVOLUZIONE INGLESE 4 «La mia bambina è ancora estranea al mondo. Non ha compiuto quattordici anni. Lasciamo altre due estati soccombere al peso del loro rigoglio, prima di considerarla matura per le nozze». Così parla Capuleti nella seconda scena di Giulietta e Romeo. Ma, al di là delle sue parole e dei suoi sentimenti, sua figlia Giulietta sposa Romeo attorno ai quattordici anni. La madre di Giulietta non le nasconde in alcun modo il proprio punto di vista: «Bene, e allora pensiamo a queste nozze. Ragazze, qui a Verona, più giovani di te, degne persone, sono già spose e madri: salvo errore io ero già tua madre alla tua età e tu sei nubile ancora…». La madre di Giulietta si era quindi sposata a dodici o a tredici anni, analogamente a tutte le altre nobili dame di Verona. Nella Tempesta, Miranda si sposa a quindici anni. Tutto appare piuttosto chiaro e plausibile. Nei drammi di Shakespeare, le donne, e quindi, presumibilmente anche le inglesi del suo tempo, potevano sposarsi poco dopo i dieci anni o anche prima e spessissimo lo facevano. Ciò tuttavia è falso. Abbiamo esaminato tutti i documenti che ci è stato possibile reperire, per venirne a capo: tutti testimoniano che, nell’Inghilterra di Elisabetta e di Giacomo, il matrimonio in età tanto precoce era raro e, anche prima dei vent’anni, meno frequente rispetto al giorno d’oggi. A dodici anni il matrimonio, così come noi lo intendiamo, era praticamente inesistente. […] A quei tempi, in Inghilterra, come ancora accade attualmente con la Chiesa anglicana, ci si poteva sposare con una licenza o a seguito di pubblicazioni. Gli sposi dovevano fare richiesta della licenza al vescovo della diocesi in cui vivevano e spesso erano tenuti a indicare la loro età; motivo di ciò era che nessun giovane minore dei ventun anni poteva contrarre matrimonio religioso senza il consenso dei genitori, e anche al di sopra di tale età sposarsi senza il loro permesso era considerato grave peccato, in assenza di buone motivazioni. Abbiamo esaminato circa mille licenze di matrimonio, rilasciate tra il 1619 e il 1660 dalla diocesi di Canterbury a persone che si sposavano per la prima volta: da queste risulta l’età dei richiedenti. C’è una donna che risulta di 13 anni, quattro di 15, dodici di 16: tutte le altre ne avevano 17 o più e 966, cioè quasi l’85% si sposavano per la prima volta dopo i 19 anni. L’età più frequente per le donne al primo matrimonio che rientrano in questo studio era di 22 anni […]. I maschi che si sposavano avevano in gran parte circa 3 anni più delle mogli, anche se ci sono alcuni matrimoni tra quelli registrati in cui la differenza d’età è notevole. Solo dieci uomini erano al di sotto dei 20 anni, due ne avevano 18, mentre l’età più frequente era di 24 anni F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 […]. In termini più correnti, l’età media di queste spose del periodo elisabettiano e giacomiano era di circa 24 anni e quella degli sposi di circa 28. Queste cifre dovrebbero di certo bastare a sfatare la credenza che i nostri antenati si sposassero in età molto più giovane di noi. […] L’affermazione della madre di Giulietta appare piuttosto un po’ fuori dall’ordinario sotto un altro aspetto. Gli esperti ritengono infatti che nei paesi occidentali, durante le ultime due o tre generazioni, l’età della maturità sessuale femminile sia calata in modo sorprendente e che attualmente stia diminuendo in misura anche più accentuata. In Svezia, nel 1905, le ragazze avevano le prime mestruazioni a 15,7 anni, età che nel 1949 era calata a 14,1. Negli Stati Uniti l’età del cosiddetto menarca era già di 14,1 anni nel 1904, ma nel 1951 era di 12,9. Per la Norvegia, dove questi rilievi statistici risalgono più addietro che altrove, era di 17,1 anni nel 1850 e di 13,5 nel 1951, più o meno la stessa età che si aveva in Inghilterra negli anni successivi. Se madama Capuleti e sua figlia erano sessualmente mature, quattrocento anni fa, e in grado di avere figli a un’età inferiore a quella delle donne della maggior parte del mondo d’oggi, dovevano veramente possedere delle doti eccezionali. E se quanto si sa riguardo al menarca nella Norvegia del 1850 può dare qualche indicazione anche in riferimento all’Inghilterra elisabettiana, è impossibile che qui l’età normale per il matrimonio fosse dell’ordine dei dodici o tredici anni. Lo negano i fatti elementari della vita. […] La cifra di 17,1 relativa a un campione di ragazze norvegesi del 1850 non significa che mai queste raggiungessero la maturità sessuale a 15, 14 o anche a 13 o 12 anni. Significa semplicemente che ciò si verificava altrettante volte prima dei 17 anni quanto dopo tale età. Giulietta quindi avrebbe potuto avere dei figli, anche se l’età media del menarca delle ragazze di quell’epoca era quattro o cinque anni superiore all’età che ella aveva quando incontrò Romeo. Ma questo significa anche, naturalmente, che una percentuale notevole di donne sue contemporanee, e in specie le ragazze provenienti da famiglie dei ceti più umili, avrebbe dovuto attendere fino ai 18, 19 o anche ai 20 anni prima di giungere alla maturità. […] Un tempo solo pochi privilegiati potevano nutrirsi altrettanto bene, o vivevano altrettanto comodamente, di quanto noi tutti facciamo al giorno d’oggi, anche se allora la salute dei più abbienti era estremamente precaria. Sta diventando chiaro, quindi, che solo gente come la signora Capuleti e sua figlia potevano di norma ritenere di essere sessualmente mature per sposarsi, o comunque per avere figli, a tredici o quattordici anni. Ora, se questo fosse vero per tutti gli appartenenti alle classi privilegiate del mondo che abbiamo perduto, per ognuno dei membri di quella che abbiamo definito fascia dirigente e non altrettanto accadesse riguardo al resto della popolazione, se fosse vero nel caso della gentry [la nobiltà di campagna, n.d.r.] intesa come classe sociale in relazione a coloro che stavano su un gradino inferiore della società, saremmo di fronte allora a un contrasto antagonistico tra le due sezioni della popolazione. I membri delle classi privilegiati erano senza dubbio più alti, di maggior peso e meglio sviluppati degli altri, né più, né meno che in epoca vittoriana. Durante l’età elisabettiana, però, e, più in generale, nell’epoca preindustriale, ai nobili cresceva forse la barba e mutava la voce prima che al resto della popolazione: allo stesso modo, forse, le fanciulle nobili diventavano donne sessualmente mature in età più precoce. P. LASLETT, Il mondo che abbiamo perduto. L’Inghilterra prima dell’era industriale, Jaka Book, Milano 1997, pp. 101-110, trad. it. G. VOLA UNITÀ 8 Secondo l’autore, che peso e che credibilità occorre dare alle opere letterarie, come fonti di storia sociale? Per quale ragione, secondo l’autore, i fatti elementari della vita obbligano lo storico a ritenere impossibile una prassi generalizzata di matrimoni molto precoci? Quanto pesava la condizione sociale nello sviluppo fisico degli uomini e delle donne? RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 5 F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 4 La rivoluzione sessuale dei Ranters UNITÀ 8 Le rivoluzione morale lanciata dai Ranters poggiava su una concezione teologica radicale. Secondo gli intellettuali che diffusero le loro idee, non esisteva alcuna forma di vita ultraterrena. L’uomo, pertanto, era arbitro assoluto del bene e del male, mentre il concetto di peccato (soprattutto in ambito sessuale) andava completamente abolito e superato. LA RIVOLUZIONE INGLESE 6 John Robins diede ai suoi discepoli la facoltà di cambiare mogli o mariti, e cambiò la propria «per dare l’esempio». Lawrence Clarkson elevò questa idea a teorizzazione della completa libertà sessuale, e Abiezer Coppe portò l’attacco ancora più in fondo, contro la famiglia monogama stessa. «Rinuncia ai tuoi puzzolenti doveri familiari», scriveva. Non è mai molto chiaro se Coppe stia parlando per se stesso o se parli in vece di Dio (se pure questa distinzione era chiara per lui stesso). Ma il passo seguente sembra provenire da Dio: «Rinunciate, o se tutto il resto non servirà a nulla, io, nel momento in cui meno ve lo aspetterete, farò giacere il vostro stesso figlio… con una puttana… di fronte ai vostri stessi occhi». Dobbiamo ridiventare come bambini piccoli: «e per un bambino tanto piccolo, spogliarsi va bene quanto vestirsi; […] egli non conosce alcun male […]». Secondo Clarkson l’atto dell’adulterio non era distinto dalla preghiera, dipendeva tutto dall’atteggiamento interiore con cui ci si appressava ad esso. «Per i puri tutte le cose, proprio tutte le cose, sono pure», sottolineava, compreso l’adulterio. Questo fu scritto nel 1650; ripensandoci dieci anni dopo Clarkson parlò così dei suoi principi di Ranter: «Nessun uomo poteva essere liberato dal peccato finché non avesse commesso il cosiddetto peccato come se peccato non fosse… Finché non potrai giacere con tutte le donne come fossero una sola, e non considerarlo peccato, tu non puoi far nulla se non peccare… Nessun uomo può giungere alla perfezione se non attraverso questa via». […] A Coppe piaceva sorprendere. E dovremmo tener conto del significato simbolico di certi gesti. Se uomini e donne credevano «di essere ormai giunti a quella perfezione in Cristo che avevano perduto in Adamo», era logico, anche se era un po’ freddino, che «essi andassero nudi come lui, e vivessero al di sopra del peccato e della vergogna». Ricordiamoci anche dei molti casi in cui dei Quaccheri molto rispettabili «andavano nudi come simbolo», indossando solo un perizoma sui fianchi per decenza. Ma il nocciolo di verità che ne emerge è il fatto che i Ranters proclamassero sistematicamente il diritto dell’uomo naturale a comportarsi secondo natura. Con le parole e con i fatti alcuni di loro si prendevano deliberatamente beffe delle inibizioni che l’etica puritana andava imponendo. Clarkson aveva una specie di filosofia dell’amore libero, e l’osservazione di John Holland: «Dicono che per un uomo l’essere legato ad una sola donna, o una donna ad un solo uomo, sia un frutto della maledizione; ma, di- cono, siamo stati liberati dalla maledizione, per cui è nostro diritto usare di chi ci piace», è sufficientemente documentata. Risulta che in Scozia, nel maggio 1650, il tenente Jackson avesse detto che se non siamo liberi di godere della moglie di un altro, la creatura veniva tenuta in schiavitù; le creature non possono fare nulla in modo diverso da come vengono mosse e gestite da Dio. Sarebbe stato difficile in quel momento, ed oggi è impossibile, stabilire un rapporto di priorità tra l’esibizionismo represso e la propaganda simbolica seria. Nel 1652 una signora si spogliò nuda durante una funzione religiosa, gridando: «Benvenuta la resurrezione!». […] Winstanley, che non era certo un asceta, usò un valido argomento contro questa «eccessiva comunità di donne chiamata Ranterismo». «La madre, e il figlio nato in questo modo, ne porteranno con ogni probabilità il maggior peso, poiché l’uomo se ne andrà e li abbandonerà, e li considererà non più delle altre donne… dopo averne avuto il suo piacere. Perciò, o donne, state in guardia, perché questa pratica dei Ranters non è il potere restauratore della creazione, ma quello che la distrugge… Cercando la propria libertà essi rendono schiavi gli altri». In effetti, fin tanto che non vi furono sistemi contraccettivi efficaci, la libertà sessuale tendeva ad essere libertà per i soli uomini. Questa era la base morale pratica dell’enfasi puritana sulla monogamia. Il fatto che essa abbia ormai perduto questa base tende a farci dimenticare quanto fosse importante a suo tempo. A meno che il seduttore non fosse un Don Giovanni abbastanza ricco da mantenere un bastardo e la madre (come potevano fare Carlo II e i begli ingegni della corte restaurata), la libertà sessuale era una questione di mordi e fuggi. Molti padri putativi presero probabilmente la strada, lasciando il bambino a carico della madre e delle autorità della parrocchia. […] I Ranters, rifiutando il peccato, proclamando l’amore libero ed elevando la questione al livello della discussione razionale e pubblica, andarono oltre il punto cui i loro predecessori avrebbero potuto giungere, e si aprirono la strada fino ad una concezione dei rapporti fra i sessi che fu più libertina di qualunque altra che fino ad allora fosse stata difesa in pubblico. Clarkson sperava che la sua etica avrebbe almeno permesso a uomini e donne di smettere di tormentarsi per peccati immaginari. «Felice è colui che non si condanna per le cose che riconosce». Sfortunatamente la teologia dei Ranters andava oltre le possibilità tecniche della società del tempo: la libertà sessuale uguale per ambedue i sessi dovette attendere i metodi contraccettivi economici ed efficaci. C. H. HILL, Il mondo alla rovescia. Idee e movimenti rivoluzionari nell’Inghilterra del Seicento, Einaudi, Torino 1981, pp. 306-311, trad. it. E. BASAGLIA Qual era, secondo i Ranters, il diritto dell’uomo naturale? Con quale argomento Gerrard Winstanley si oppone alla libertà assoluta dei Ranters? F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 In questo documento sulla Magna Charta, Giosùè Musca sottolinea alcuni dei caratteri peculiari che contraddistinguono la natura di questo basilare documento; in particolare qui si sottolinea la rivendicazione da parte dei baroni dell’uso della violenza contro un potere politico non più riconosciuto. Rifiutare la Magna Charta come documento di limitata importanza storica e come prodotto di lotte interne di una classe storicamente superata costituisce un grosso errore. La Magna Charta conteneva, al di fuori della volontà dei contraenti e certo senza che questi ne avvertissero il minimo barlume, un principio assolutamente rivoluzionario, relativamente a quel tempo e addirittura relativamente ai nostri tempi. Il diritto cioè, contenuto nella clausola 61, della resistenza armata e violenta al potere politico quando questo non adempie i suoi compiti e quando abusa delle sue prerogative. Nessuno stato contemporaneo contempla nelle sue istituzioni giuridiche un diritto del genere. Gli stati più avanzati prevedono forme più o meno efficaci di difesa giuridica del cittadino dagli abusi del potere, ma escludono la resistenza violenta o quella che ai detentori del potere può apparire tale o configurarsi giuridicamente come tale perché possa essere penalmente perseguita: reclamare ma, intanto, subire. Per non andare oltre il segno, bisogna dire che le garanzie contemplate dalla clausola 61 della Magna Charta contro possibili inadempienze regie potevano trovare, in una società che aveva quelle strutture feudali e militari e non altre, solo quella formulazione, quella della resistenza violenta che il baronaggio realizzava colpendo il re nei suoi interessi privati, nei suoi castelli e nelle sue Quale diritto rivoluzionario conteneva la Magna Charta? F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 terre. Ma il principio che quelle garanzie implicavano rimane rivoluzionario. Tradotto in termini attuali, senza anacronistiche trasposizioni in radicalmente diverse realtà sociali, può significare richiesta, e lotta perché venga istituzionalizzato, del diritto alla resistenza agli ordini ingiusti ed alle decisioni arbitrarie e prevaricatrici di chi detiene il potere, del diritto alla «non obbedienza» ed alla non punibilità della medesima. In conclusione, la Magna Charta affermò, al di là delle intenzioni e delle volontà dei contraenti, il principio ancora valido che non è ammissibile che i destini di una società debbano dipendere dalle decisioni e dall’arbitrio di un solo uomo, per quanto carismaticamente illuminato o demiurgo. È il principio che successivamente si è andato via via ampliando sino a mutarsi nell’affermazione che la società e lo stato debbono essere gestiti con la più larga partecipazione possibile, attraverso strumenti costituzionali e legislativi idonei e senza illusioni anarchiche, del popolo tutto, che si autogestisce a seconda delle competenza e della preparazione, nell’interesse del singolo in dialettico rapporto con quello di tutti, cioè nell’interesse sociale […]. La Magna Charta rimane, in questa prospettiva, un episodio importantissimo nella storia dell’umanità, nel suo cammino verso forme meno astratte di libertà, oggi non più libertas medievale o privilegio degli appartenenti alla classe che gestisce il potere politico ed economico, ma decisa affermazione e costante esercizio di responsabilità e di dignità umane. G. MUSCA, La “Magna Charta” e le origini del parlamentarismo inglese, Messina-Firenze 1973 UNITÀ 8 Il diritto di resistenza dei baroni inglesi 7 RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 5