L’ ALBERO Un grande albero alzava le sue mani rugose fino al cielo. Si sforzava di toccarlo con dolore. Pregava il sole di farlo vivere ancora. Come un fuoco spento ora si è riacceso. CASTAGNETI da FRUTTO Coordinamento editoriale: Lucia Rovedatti Testi: Italo Buzzetti Foto: Archivio ERSAF, E. Della Ferrera, G. Giumelli, V. Martegani, G. Mazzoni, S. Vaninetti CASTAGNETI da FRUTTO Un patrimonio valtellinese da salvaguardare Progetto grafico: MOTTARELLA Studio Grafico www.mottarella.com Iniziativa prevista nell’ambito del progetto: “Progetto pilota per il recupero dei castagneti da frutto nel Comune di Castello dell’Acqua (SO)” Committente: Comunità Montana Valtellina di Sondrio Area Agricoltura tel. 0342.210331 www.cmsondrio.it Redazione progetto ed esecuzione lavori: ERSAF Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura ed alle Foreste Struttura “Biodiversità e Valorizzazione Demanio Forestale” Unità Operativa “Gestione sostenibile delle foreste demaniali e delle Riserve Naturali” Morbegno (SO) tel. 02 67404.581 www.ersaf.lombardia.it Realizzato nel mese di marzo 2005 L’utilizzo, in qualsiasi forma e modo, dei contenuti della presente pubblicazione è consentito dietro autorizzazione scritta della Comunità Montana V.na di Sondrio, con obbligo di citazione della fonte. Introduzione 2 Presentazione La castanicoltura in provincia di Sondrio 4 Diffusione della coltura castanicola in provincia di Sondrio 11 Aspetti storici 19 Caratteristiche dei castagneti nel comune di Castello dell’Acqua 26 Il Progetto Pilota di Castello dell’Acqua Schede tecniche 31 Il recupero dei castagneti da frutto Operazioni colturali Conclusione 43 L’attuazione del “Progetto pilota recupero castagneti da frutto in Comune di Castello dell’Acqua” (il primo realizzato nel nostro mandamento) nasce dalla convinzione che i castagneti sono un patrimonio da salvaguardare. L’importanza dei castagneti da frutto presenti nella Comunità Montana Valtellina di Sondrio, supera ormai largamente il significato produttivo che hanno avuto per molto tempo nella storia della nostra economia locale, soprattutto grazie al valore naturalistico e ambientale che questi alberi ormai rappresentano per i territori di mezza costa. Consapevoli di questa nuova realtà e del dovere di tutelare questi particolari ambiti territoriali, abbiamo ritenuto che ciò fosse possibile attraverso una crescente sensibilizzazione nei confronti dei proprietari e garantendo loro l’opportunità di finanziamento ed assistenza tecnica. L’intervento pilota citato e la predisposizione di specifico materiale divulgativo e didattico, fra cui questa pubblicazione, vuol essere un punto di partenza per dimostrare in pratica le tecniche innovative per il recupero e il risanamento dei castagneti, e un esempio da seguire per tutti coloro che possiedono castagneti da frutto e vorrebbero preservarli dai danni causati dall’incuria e dall’abbandono. Licio Compagnoni Assessore all’Agricoltura Costantino Tornadù Presidente della Comunità Montana BIBLIOGRAFIA Pubblicazioni consultate per la realizzazione dell’opuscolo: “Progetto Pilota per il recupero dei castagneti da frutto nel Comune di Castello dell’Acqua” - anno 2003 ERSAF Manuale tecnico-descrittivo “Castagne e castagneti delle terre lariane” - anno 2003 Provincia di Como - Assessorato Agricoltura Tesi di laurea “La castanicoltura in provincia di Sondrio - Caratteristiche dei castagneti da frutto di Castello dell’Acqua ” - anno 1989 - Dott. Umberto Clementi Si ringraziano coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa pubblicazione, in particolar modo per il materiale fornito: Umberto Clementi, Amministrazione Provinciale di Como, Elio Della Ferrera, Gianpiero Mazzoni, Vincenzo Martegani, Serafino Vaninetti. LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO LA LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO DIFFUSIONE DELLA CASTANICOLTURA Nella bassa Valchiavenna il castagneto da frutto è favorito dal mite clima lacustre e si diffonde lungo tutto il versante a Est L’area di diffusione del castagno in Valtellina e Valchiavenna rientra essenzialmente nell’orizzonte montano inferiore e nell’orizzonte sub-montano: dal punto di vista fito-climatico possiamo in linea generale porre tale zona tra il Castanetum ed il Fagetum caldo. Procediamo ora ad una più precisa individuazione delle aree di diffusione della coltura: nella bassa Valchiavenna, ossia dall’imbocco sino all’abitato di Chiavenna, il castagneto da frutto è favorito dal più mite clima lacustre e si diffonde lungo tutto il versante a Est, dal fondovalle fino a circa 900 m. Nell’alta valle, oltre Chiavenna, esso predomina invece nel versante a 0vest arrestando la sua penetrazione poco oltre l’abitato di San Giacomo Filippo. Molto diffusa è la coltura in Val Bregaglia su entrambi i versanti: in quello esposto a Sud, beneficiando di una maggiore insolazione, essa si spinge fin oltre i 1000 m. di quota; nella stessa zona sono stati rinvenuti esemplari isolati e cespugliosi a circa 1400 m., in piena foresta di conifere, limite massimo di cui si abbia notizia in provincia. Nel basso e medio settore valtellinese, fino grosso modo a Tirano, la distribuzione dei castagneti risente della forte asimmetria climatica tra i due opposti versanti: direttamente, per le evidenti esigenze ecologiche della pianta; indirettamente per le differenti modalità dell’insediamento umano e della distri- 4 buzione delle altre colture. Nel versante retico, a solivo, da sempre è stato favorito lo sviluppo delle colture agrarie e dei centri abitati: frutteti, seminativi e soprattutto vigneti occupano quasi ininterrotti la parte bassa della pendice, assai di rado intercalati da boschetti termofili a Carpino nero, Orniello e Roverella, o da piccoli castagneti. Questi ultimi li ritroviamo più estesi ed abbondanti in alto, in una fascia comunque piuttosto discontinua posta tra i 500 e i 900-1000 m. di quota; questa, sempre più ridotta e frammentata, dall’imbocco vallivo giunge sino circa a Tirano e prosegue, ormai ricongiunta al fondovalle, sino alla conca di Sondalo. I castagneti della pendice retica, favoriti dall’ottima esposizione, sono spesso rigogliosi e possono superare i 1000 m. di quota (per esempio nella zona di Teglio). Il versante orobico, a vago, è caratterizzato dal bosco e dalla scarsa presenza di centri abitati e colture, per la maggior parte posti sui conoidi allo sbocco delle valli laterali o sui terrazzi glaciali più esposti. E’ in questo settore che i castagneti trovano la loro massima diffusione; ora puri, ora alternati o frammisti ad altra vegetazione boschiva che vi penetra inesorabilmente con l’abbandono, essi occupano una fascia quasi continua dall’imbocco vallivo fino a oltre Tirano: verso il basso le selve si spingono spesso a lambire il fondovalle; verso l’alto raggiungono gli 800 m. circa, a volte sorpassando i 900 m. Provincia di Sondrio: diffusione della castanicoltura Bormio Chiavenna Tirano Sondrio Morbegno 5 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO Castagneti all’imbocco della Valmasino, la distribuzione dei castagneti risente della differente esposizione tra i due opposti versanti L’area più caratteristica della coltura è però tra i 400 e i 700 m. circa. Anche in questo versante, proseguendo oltre Tirano, i castagneti si fanno più rarefatti e si avvicinano al fondovalle che nel contempo va ergendosi più rapidamente; qualche chilometro oltre Sondalo si arrestano. Situazione attuale L’esame dello stato attuale della coltura castanicola in provincia evidenzia un generale ed ormai spinto abbandono. Nel 1964 secondo un’analisi approfondita dei vari aspetti dell’agricoltura provinciale, i 3229 ha. di castagneto erano quasi tutti ancora coltivati, mantenuti a prato e/o a pascolo; la produzione media in castagne fresche, calcolata in base ad un periodo di 7-8 6 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO anni, risultava di 6,7 q.li/ha/anno, con punte di 10 q.li/ha nei Comuni di Rogolo, Pedesina, Sacco, Castione Andevenno e Bianzone. La produttività in Valchiavenna (circa 7,4 q.li/ha) era maggiore che in Valtellina certamente per la più favorevole situazione climatica. Nei castagneti a prato, posti nella fascia più bassa e nei luoghi meno acclivi, con terreno profondo, si stimava una produzione di 19,8 q.li/ha/anno in fieno normale; in quelli a pascolo essa ammontava a 8,9 q.li/ha/anno. La foglia per lettiera, raccolta assai regolarmente, era stimata in 19,5 q.li/ ha/anno. La fase più drastica di abbandono ha dunque preso il via a partire dalla seconda metà degli anni ‘60; del resto molti in provincia rammentano come gran parte di quei castagneti oggi invasi da una ricca varietà d’arbusti ed alberelli fosse, fino ad una quarantina d’anni fa, ancora regolarmente coltivata e mantenuta a prato o a pascolo. Oggi nei castagneti coltivati ci si limita alla raccolta del frutto e raramente della lettiera, a qualche ripulitura del sottobosco tramite sfalcio o pascolamento e, nelle situazioni migliori (piante di marrone prossime agli abitati) a qualche concimazione con letame; molto rara è ormai divenuta la pratica dell’innesto, che ha assunto un carattere quasi amatoriale. L’abbandono dei castagneti è un aspetto particolare del ben più vasto fenomeno di dissesto socio-economico che ha investito la montagna italiana a partire dagli anni ‘50, coinvolgendo un po’ tutte le colture più povere. Per quanto riguarda la castanicoltura valtellinese e valchiavennate le cause possono essere essenzialmente ricondotte alle seguenti: a) mutamento del rapporto (o vincolo) terra-popolazione; b) frazionamento e frammentazione della proprietà; c) avvento del cancro corticale. a) Fino al periodo post-bellico l’importanza della coltura è rimasta quasi immutata nel corso dei secoli; a partire dagli anni ‘50 il graduale aprirsi di nuovi sbocchi occupazionali e l’avvento di nuove fonti di utilità intra ed extra-provinciali, quali la frutticoltura intensiva di fondovalle, l’industria, il terziario ed il turismo, ha distolto la popolazione contadina - soprattutto nella componente giovanile - da quel vincolo diretto con la terra che solo, 7 Veduta di Sacco, i castagneti terrazzati scendevano tra le forre lungo i dossi solatii fino al greto del torrente Bitto LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO time si può notare il seccume di ampi settori della chioma. La diffusione del cancro ha dunque coinciso proprio con il periodo di massimo abbandono, costituendone certo una causa aggravante; oggi la malattia, dopo la fase di ipervirulenza, si è stabilizzata nella fase ipovirulenta, ovvero il patogeno attacca le piante ma non le conduce alla morte. Cenni sull’attuale utilizzazione di castagne e marroni Vigneti e boschetti di castagno nel versante retico La frutticoltura intensiva di fondovalle nel passato, ne garantiva il sostentamento. L’agricoltura più povera e senza grossi sbocchi di mercato è così divenuta gradualmente un onere non corrisposto da un beneficio adeguato, soprattutto se confrontato con quello fornito da altre attività: è il caso anche dei castagneti. b) Lo stato di polverizzazione fondiaria che, con molte altre colture, caratterizza i castagneti provinciali. c) Pur mancando una datazione precisa, l’avvento del cancro corticale in provincia può farsi risalire agli anni ‘50 (si sa infatti che la prima segnalazione in Lombardia è del 1950); esso ha poi avuto un fortissimo sviluppo durante gli anni ‘6O e ‘70, interessando quasi tutti i soggetti più giovani e gran parte delle piante mature: su queste ul- 8 Le quantità di frutto oggi raccolte sono difficilmente stimabili a causa della grande frammentarietà e variabilità delle utilizzazioni. Il prodotto in parte è destinato al consumo diretto da parte dei componenti l’azienda; in parte è usato come alimento per il bestiame (suini, conigli); in altra parte ancora è destinato alla vendita; infine notevole è il quantitativo raccolto, spesso abusivamente, da terzi. I produttori destinano i frutti migliori alla vendita; la parte restante è dagli stessi consumata per lo più allo stato fresco, mentre ormai molto rara si è fatta la pratica dell’essiccazione: in genere ci si limita alla disposizione dei frutti su terrazzi assolati, senza più ricorrere ai tradizionali seccatoi. In alcune zone tuttavia (es. Villa di Chiavenna, Piuro) questi vengono ancora utilizzati. Il mercato, che riguarda essenzialmente i marroni e le castagne di pezzatura più grossa consta di un complesso di compravendite al minuto, in cui gli acquirenti - generalmente fruttivendoli o meno frequentemente grossisti - si recano presso i singoli produttori pattuendo un certo prezzo. Quest’ultimo è quindi piuttosto variabile: a Castello dell’Acqua i 9 Ormai molto rara si è fatta la pratica dell’essiccazione: in genere ci si limita alla disposizione dei frutti su terrazzi assolati LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO marroni di buona pezzatura (in numero di ca. 55-70 per Kg) nel 2004 hanno spuntato 4-4,15 euro/Kg, mentre per le castagne il prezzo è stato di 3-3,40 euro/Kg. Sono prezzi che sembrerebbero alti, se riferiti a grossi quantitativi, ma non sorprendono certo in una situazione come quella valtellinese, in cui l’offerta è quanto mai frammentata, incostante e scarsamente coordinata: residuo di un sistema colturale in cui la castagna era destinata principalmente al diretto sostentamento della famiglia contadina; cosa che se nel passato trovava ragioni decisive, oggi non è certo più proponibile. La coltivazione della vite ha contribuito all’abbandono della castanicoltura La presenza di esemplari di notevoli dimensioni è un’altra testimonianza di un ambiente favorevole alla sua diffusione ASPETTI STORICI La diffusione e lo stato attuale della coltura castanicola in provincia sono strettamente legati alle vicende del passato, che quindi meritano un approfondimento. Origini e sviluppo della coltura Non è stato possibile sapere con certezza se il castagno esistesse già come entità arborea originaria nei boschi valtellinesi o se vi fu introdotto dall’uomo in epoca remota; certamente però, se esso già era presente, se ne deve all’uomo la massiccia diffusione. Nel vicino Canton Ticino il castagno è da considerare specie introdotta ma 10 nulla ci autorizza ad estendere detta ipotesi al territorio valtellinese; notiamo invece che quivi l’ambiente appare piuttosto favorevole alla sua diffusione, come dimostrano l’abbondanza di rinnovazione, il suo buon affermarsi e la presenza di esemplari di notevoli dimensioni. Per quanto riguarda la Lombardia la diffusione originaria del castagno è provata da vari reperti: foglie fossili dello stesso genere botanico furono rinvenute in depositi interglaciali presso Sellere-Pianico (BG) e legni palafitticoli presso Cazzago (VA); numerosi sono inoltre i ritrovamenti di polline fossile nei principali depositi lacustri delle Alpi meridionali. E’ allora probabile che il castagno fosse presente originariamente in val- 11 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO le, non certo in forma di boschi puri, bensì sporadico e consociato alle altre specie del bosco di latifoglie; è altresì verosimile che la coltura castanile sia stata introdotta e diffusa ad opera degli antichi Romani e che tale processo sia poi continuato durante la dominazione longobarda. Il documento valtellinese più antico in cui si citino le castagne risale comunque al 1265. In un manoscritto del 1381, riguardante la locazione di una selva, si faceva già la distinzione fra marroni e castagne: non possiamo asserire con certezza che si trattasse dei cosiddetti “marroni veri”, ma certo il solo fatto che venissero distinti dalle castagne comprova l’appartenenza ad una varietà di pregio. L’importanza della coltura era già allora grandissima e la castagna, con il miglio e il panìco, costituiva la parte essenziale della magra dieta contadina. Anche dopo l’introduzione del frumento, della segala, del granoturco e assai più tardi della patata, detta importanza non accennò a diminuire, anzi numerosi furono i tentativi di estendere la coltura anche in aree completamente inadatte: molto significativo a proposito è un documento del 1557 in cui la Comunità di Bormio assegnava al proprio canonico un terreno sul monte Reit (quindi a non meno di 1300 m di quota) col patto che esso vi impiantasse una selva di noci e castagni. Nei luoghi più acclivi la coltura veniva introdotta previo terrazzamento della pendice con muretti a secco, sì da consentire una migliore accessibilità e limitare il rotolamento dei frutti. A partire dal secolo XVII si ebbe la grande espansione della coltura viticola, che interessò soprattutto le basse pendici del versante retico nella bassa 12 e media Valtellina. Sebbene il vigneto si diffuse in gran parte nei terreni più assolati, rocciosi, inospitali ed ancora incolti, tuttavia data la vastità del fenomeno, non è da escludere che ad esso corrispose anche una sensibile contrazione di altre colture, tra cui la castanicola; possiamo anche ipotizzare una certa espansione del ceduo castanile a svantaggio della selva, causa la crescente richiesta di paleria per le viti. A riprova della prima ipotesi si osserva che mentre nel versante orobico, interessato in minima parte dai vigneti, i castagneti si spingono sino al fondovalle, sull’opposta pendice retica essi occupano una fascia più alta, sopra i vigneti, a partire da 200-300 m. dal fondovalle: questo non può attribuirsi alle sole differenze climatiche. Nel corso del secolo XIX la coltura subì un certo regresso. Già nel 1833 il REBUSCHINI osservava nella sua “Descrizione statistica della provincia di Valtellina” che “mentre sembrerebbe una tal coltivazioPagina a fianco: espansione del ceduo castanile a svantaggio della selva, anche per la crescente richiesta di paleria per le viti Sopra: oltre alla castagna dal castagneto si otteneva la legna per riscaldamento A lato: si evidenzia il carattere più agricolo che forestale nel passato della selva castanile 13 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO Ancora nel 1876 la produzione media era di ben 11 q.li/ha/anno e nel 1907 la superficie a castagneto da frutto in provincia veniva stimata in 5200 ha. Successivamente, pur con alti e bassi, la coltura continuò a regredire piuttosto rapidamente. Le modalità colturali Sopra: caratteristico trasporto di tronchi di castagno per legname da opera Sopra a destra: raccolta delle foglie per la lettiera degli animali ne dovrebbesi conservare... scorgesi dessa invece assai trascurata, a segno che l’annua sostituzione delle piante è quasi generalmente omessa, per cui non viene supplito in alcun modo alle piante che, o per la scure o pel tempo, vengono di continuo a mancare”. Lo stesso autore segnalava la cattiva abitudine, invalsa in alcuni settori della valle, di abbattere le selve castanili per ottenerne carbone da destinare alle numerose ferriere sorte presso il lago di Como, oltre che per la costruzione di numerosi ponti sul fiume Adda (è dell’epoca la sistemazione e l’arginatura del fiume); egli termina menzionando l’ottima qualità dei marroni e delle castagne, l’abbondante produzione e l’esistenza di un attivo mercato dei frutti con il confinante comasco e con la Svizzera. Nonostante il sensibile regresso, cui corrispose tra l’altro una generale contrazione delle superfici boscate, il Catasto austriaco censiva ancora nel 1857 una superficie di ben 5167 ha. a castagneto da frutto, corrispondente a circa il 18% del territorio provinciale posto fra i 500 e i 1000 m di quota. 14 Possiamo considerare i sistemi di coltivazione del castagno poco mutati nel corso dei secoli. Essi risultano legati ad una economia autarchica di sussistenza, in cui il castagneto ricopriva una parte essenziale del fabbisogno: innanzitutto con la produzione di castagne, ma anche con quella di legname, di fieno, di lettiera per gli animali e a volte di estratti tannici concianti. La selva castanile appariva così strettamente integrata con le altre colture agrarie, e non solo dal punto di vista economico: quasi tutte le selve erano infatti costituite dal piano arboreo disetaneo di castagni cui sottostava il prato falciabile alle quote più basse e nei terreni migliori, oppure il pascolo o addirittura il seminativo (segale, grano saraceno, patata). Si evidenzia, insomma, il carattere più agricolo che forestale della coltura nel passato; carattere che oggi si avverte assai di meno a causa dell’abbandono e della conseguente invasione da parte del bosco. Oltre alla castagna, di cui si dirà in seguito, dal castagneto si ottenevano sistematicamente: a) le foglie, con lo scopo principale di lettiera per gli animali, nonchè per la letamazione e secondariamente per pagliericci e per uso medicinale (estratto contro la tosse). b) la legna e il legname, provenienti dalle potature o dall’abbattimento di piante deperienti. La legna veniva utilizzata generalmente per riscaldamento o per estrazione di tannini; dai tronchi migliori si otteneva, invece, legname da opera usato A sinistra: pascolo ovino nella selva Scelta della pezzatura delle castagne e allontanamento di quelle non commerciabili 15 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO Sotto e pagina a fianco in alto: grossi cesti agitati ritmicamente per togliere dalla castagna l’episperma (detto localmente gea) ad esempio per travature dei tetti, infissi, oppure per mobili e per vasi vinari; la paleria proveniva solitamente dai cedui; c) il fieno per il bestiame: a tal proposito pressochè tutti i castagneti erano mantenuti a prato falciabile o a pascolo; d) i ricci, a volte impiegati a scopo conciante tramite estrazione del tannino. Le cure colturali consistevano nelle ripuliture, nelle spollonature, nell’innesto con varietà di castagna o di marrone, nell’abbattimento e sostituzione di piante deperienti (tale sostituzione, sempre graduale, dava luogo ad un soprassuolo disetaneo) e nelle potature: quest’ultima operazione, peraltro non 16 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO molto diffusa, era piuttosto delicata e pericolosa. Ad essa nel versante retico spesso si ovviava tramite un’intensa bacchiatura. Frequentemente si provvedeva alla concimazione con letame e con ceneri: essa serviva ad un migliore sviluppo dei castagni e del cotico erboso. I frutti venivano distinti in castagne e marroni: questi ultimi, più pregiati, erano generalmente destinati al consumo fresco e, se possibile, allo scambio: pur prevalendo una economia di autoconsumo, era infatti presente un attivo mercato dei marroni, soprattutto nelle zone più prossime alle principali vie di comunicazione, quale ad esempio tutta la Valchiavenna. La coltura del marrone era diffusa soprattutto in Valchiavenna (Val Bregaglia) e nel settore orobico valtellinese, mentre più sporadica era presente nel versante retico. Pur spingendosi, a volte, oltre 300 m di quota, essa interessava la fascia più bassa dei castagneti. La data della sua introduzione in provincia è certo assai remota, presumibilmente medioevale o addirittura anteriore. Le piante di marrone erano generalmente sparse nei castagneti, tra soggetti selvatici o innestati con altre varietà di castagna; oppure si trovavano isolate nei prati, o ancora, con i noci, nei cortili adiacenti alle abitazioni; in tutti i casi ad esse si dedicava una cura particolare, giustificata dal pregio e dal fatto che ogni nucleo familiare ne possedeva uno o pochi soggetti. La perpetuazione si effettuava tramite innesto su piede selvatico (generalmente a zufolo) di marze prelevate da piante adulte. L’impollinazione e la fecondazione erano assicurate dalla vicinanza dei soggetti selvatici. Le modalità di raccolta e conservazio- ne di castagne e marroni variavano da luogo a luogo; le differenze principali si riscontrano confrontando i due opposti versanti valtellinesi, cui del resto si accompagnano diverse abitudini e condizioni di vita. Nel versante orobico, ove la coltura castanicola era nettamente prevalente sulle altre e la dipendenza da essa era vitale, tutte le operazioni erano effettuate con particolare cura; la raccolta iniziava in ottobre o già sul finire di settembre per alcuni tipi di selvatico (es. le cosiddette “catot”, castagne molto piccole e piatte); continuava poi fino ai primi di novembre a causa della maturazione scalare delle varie qualità. I ricci caduti e contenenti ancora le castagne venivano adunati e battuti per estrarne il frutto; raramente si ricorreva alla pratica della bacchiatura, preferendo attendere la caduta naturale. Le castagne cadute nel terreno del vicino erano considerate tradizionalmente di proprietà di quest’ultimo e ciò a volte provocava delle liti. Una volta raccolti, i frutti erano in gran parte destinati all’essiccamento, mentre una parte minore (i marroni per esempio) era destinata al consumo fresco. L’essiccamento era effettuato in appositi locali interni all’abitazione oppure, nei luoghi a maggiore produzione, costituiti da appositi edifici detti “grat, graa, grée, grad” a seconda dei paesi. Al centro del locale vi era un bracere entro cui si faceva un fuoco il più possibile lento, regolare e continuo: a tal fine si utilizzavano ceppi non troppo secchi, spesso mescolandoli a bucce secche di castagna in modo da provocare un forte fumo; le castagne venivano depositate in strato di 20/40 cm. o anche più su di un graticcio di legno posto al di sopra del focolare, ad una altezza di 150-200 cm. Lo strato andava spesso rimestato e dopo un mese o più di affumicamento continuo (giorno e notte) l’operazione era terminata. Nel condurre a buon termine tale processo era necessaria una certa perizia cosicchè, mentre inizialmente ogni famiglia contadina possedeva un suo seccatoio, col passare dei secoli in molte località orobiche si crearono dei veri e propri specialisti del mestiere ai quali i vari proprietari affidavano le castagne da seccare, dietro compenso in natura o in danaro. Terminato l’essicamento occorreva procedere pri- 17 In alcune località (Faedo, Albosaggia, Piateda, Castello dell’Acqua) la battitura veniva effettuata nella Pila LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO le castagne potevano così conservarsi per vari mesi, cosa assai più difficile nell’opposto versante, ove le condizioni di elevata umidità favorivano lo sviluppo di muffe e insetti. La conservazione veniva effettuata anche mediante essiccamento, ma la pratica era meno diffusa che nel settore orobico. Per conservare le castagne fresche era diffusa anche la cosiddetta “novena”, ossia l’immersione in acqua per nove dì e nove notti, con l’accorgimento di cambiare l’acqua tutti i giorni o di lasciarla corrente. CARATTERISTICHE DEI CASTAGNETI NEL COMUNE DI CASTELLO DELL’ACQUA Ambiente fisico ma possibile alla battitura per eliminare le bucce e l’episperma; a tal fine si estraevano le castagne dal seccatoio e si infilavano in appositi e robusti sacchetti di canapa, lunghi 50-80 cm., riempiendoli fino a metà. Questi venivano battuti ritmicamente contro un ceppo e, se l’essiccazione era stata buona, dopo una ventina di colpi si otteneva la separazione dalle bucce e soprattutto dall’episperma (detto localmente “gea”). In alcune località (Faedo, Albosaggia, Piateda, Castello dell’Acqua) la battitura veniva effettuata invece ponendo le castagne en- 18 tro un grosso ceppo opportunamente scavato e pestandole poi con un grosso martello chiodato; oppure, dopo averle raccolte in un mucchio, si pestavano direttamente sul terreno con apposito strumento. In ogni caso, terminata anche questa operazione, (cui tutti erano tenuti a partecipare) il proprietario della grat provvedeva alla ripartizione delle castagne secche fra i clienti in ragione della quantità fresca da essi recatagli. Nel versante retico la concorrenza con altri tipi di coltura, quali vite, cereali, patata, diede al castagneto un’esten- sione assai minore, come del resto minore fu l’incidenza della castagna dal punto di vista alimentare. Qui i tempi di lavoro al castagneto dovevano essere necessariamente accelerati: per questo motivo, forse, era molto più diffusa la pratica della bacchiatura, effettuata a mezzo di lunghe pertiche. Ricci e castagne caduti, ovunque andassero a finire, erano considerati proprietà del padrone della pianta, che poteva quindi recarsi a raccoglierli sul terreno altrui. I ricci venivano raggruppati nelle “riscére”, ossia in mucchi posti all’aperto o in locali asciutti; Il comune di Castello dell’Acqua è situato nella media Valtellina, circa 10 Km ad est del capoluogo Sondrio ed è posto interamente sulla sinistra idrografica del fiume Adda. Il suo territorio occupa per la maggior parte le pendici della catena orobica, mentre con una porzione assai più ridotta interessa il fondovalle. Esso rappresenta la porzione basale e di un contrafforte che, diramandosi dal Pizzo di Coca (3052 m.), separa le valli Armisa (o d’Arigna) e Malgina. Oltre che dai corsi d’acqua che ne segnano il confine, il territorio comunale è solcato da una serie di torrentelli minori che scorrono verso l’Adda con direzione nettamente Sud-Nord scavando numerose vallecole (le principali sono la Valpiccola e la Valgrande). La superficie comunale è nel complesso di 1391 ha. La matrice geologica è costituita es- 19 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO senzialmente dagli “Scisti di Edolo”, che rappresentano anche l’ossatura principale di tutto il sistema orobico. Su questa matrice di rocce scistose si sovrappongono ampi depositi morenici post-würmiani che nel territorio in esame raggiungono una particolare estensione, tanto da costituire essi stessi la matrice di quasi tutti i terreni. Il ridotto tratto di fondovalle è invece costituito dal conoide del torrente Malgina e dal materiale alluvionale del fiume Adda. Il tipo pedologico dominante (si tralasciano i terreni di fondovalle) è dato dalle terre brune, caratterizzate da una LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO più o meno intensa lisciviazione; data la matrice morenica questi terreni godono in genere di una discreta fertilità e di una profondità anche notevole nei luoghi meno acclivi. Dove emerge l’ossatura scistosa, invece i terreni sono ridotti a un debolissimo strato di alterazione dotato di scarsa fertilità sia fisica che chimica. Il territorio comunale ha i caratteri morfologici tipici di tutta la pendice orobica; la pendenza è piuttosto accentuata (dal 60 al 100% e oltre) ma spesso interrotta da terrazzi morfologici piuttosto ampi e da numerosi ripiani minori che movimentano ulte- riormente il paesaggio. In tutte queste zone poco acclive si sono sviluppati i centri abitati come pure, trovandovi buone condizioni di fertilità, le colture prative ed i seminativi. Al loro margine, dove il suolo è ancora piuttosto profondo, si notano castagni particolarmente sviluppati; altrettanto vigorose appaiono le piante isolate nei prati o prossime alle abitazioni. L’insediamento umano è frammentato in molti piccoli centri abitati facenti capo a Castello dell’Acqua: oltre a quest’ultimo, ricordiamo Luviera, Cortivo, Cavallaro (nel fondovalle), Annunziata, Raina, Gabrielli, etc. Nel complesso gli abitanti censiti sono circa 700 (dati del 2001) di cui molti risiedono nel comune solo durante i fine settimana (pendolarismo) o in estate; in tale periodo il territorio è interessato inoltre da un certo flusso di turisti, sia occasionali che residenti. Si può osservare come le precipitazioni, pur mantenendosi elevate durante tutto il periodo estivo, tendano a massimizzarsi in autunno e nella tarda primavera: si tratta di una situazione di passaggio tra regime pluviometrico nord-mediterraneo e regime continentale, l’impronta del quale si manifesta col netto minimo invernale; questo aspetto di transizione, comune del resto a tutta la catena orobica ed a molte altre zone delle Prealpi, viene appunto chiamato “regime prealpino”. Una siffatta piovosità sembra abbastanza adatta alla coltura castanicola: le elevate precipitazioni estive infatti evitano ai castagni di soffrire per le carenze idriche cui essi sono piuttosto sensibili in tale periodo; può avvenire tuttavia che, in annate particolari, la piovosità influisca negativamente sulla fruttificazione: questo allorchè du- 20 21 Castagneto in progressivo abbandono LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO Le parti della castagna TORCIA PERICARPO ILO EPISPERMA SEME rante l’antesi (giugno) si abbiano piogge persistenti tali da compromettere la fecondazione. Inoltre se l’umidità atmosferica risulta troppo elevata, nella tarda estate, favorisce lo sviluppo di pericolosi defogliatori fungini. Per quanto riguarda le temperature mancano dati relativi al territorio in esame; inoltre le stazioni termometriche sono in numero carente per tutta la fascia orobica interessata dalla castanicoltura. In relazione alla temperatura la diffusione del castagno nel territorio comunale appare un po’ forzata verso l’alto; del resto alle quote più elevate la rinnovazione è quasi assente, le piante sono meno vigorose mentre una flora climaticamente più adatta (abete rosso, betulla, larice, etc.) si insedia assai rapidamente nelle selve abbandonate. 22 I castagneti e la vegetazione La superficie boschiva secondo i dati catastali è poco più di 800 ha. Il bosco misto (per il catasto il bosco misto è un soprassuolo risultante dalla commistione di ceduo e fustaia) occupa circa il 58% della superficie comunale totale, comprendendo associazioni del Picetum, del Fagetum e del Castanetum. L’alto fusto, circa 50 ha, è costituito essenzialmente dalla pecceta montana, fortemente alterata dai massicci interventi del passato e dal pascolamento, fenomeni oggi entrambi assai ridotti. In questi soprassuoli fa spicco l’abbondanza della betulla, che a volte forma addirittura boschetti puri o mi- sti al pioppo tremolo; frequente anche il larice e, nella parte più bassa, l’abete bianco. Nella fascia sottostante e praticamente fino al fondovalle le associazioni più comuni sono l’acerofrassineto ed il querco-tilieto: la prima è caratteristica degli avvallamenti e delle aree meno esposte, ove è alta l’umidità atmosferica ma soprattutto quella edafica; tuttavia dove il suolo è saturo essa viene sostituita dalla tipica vegetazione ripicola ad Alnus glutinosa, Alnus incana, Populus tremula e Populus alba. Il querco tilieto è invece proprio di suoli meno umidi e caratterizzato da specie igro-mesofile. Il passaggio tra le due associazioni è comunque molto sfumato. Su entrambe è evidente la prolungata azione dell’uomo che o le ha modificate sin da epoche remote in castagneti, o è interve- nuto con tagli spesso troppo intensi dando luogo ad aspetti degradati, o infine ne ha ottenuto prati falciabili. L’aspetto dominante è dunque quello a castagneto, nel quale, per il progressivo abbandono, si sono insediate altre specie tipiche delle due associazioni quali il frassino, l’ontano nero, l’acero di monte (peraltro non molto frequente), il tiglio, la rovere, il ciliegio, la betulla, il pioppo tremolo e spesso anche l’abete rosso. Molto comuni in questa fascia sono anche gli aspetti degradati a nocciolo, betulla o pioppo tremolo e sambuco nero, derivanti da improvvise aperture del piano dominante (conseguenti per esempio all’abbattimento di un castagno) e dal concomitante impoverimento del terreno per erosione e asportazione dello strame; queste stesse 23 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO specie fanno massiccia comparsa nei coltivi abbandonati sviluppandosi assai rapidamente in boschetti pionieri. Merita infine menzionare l’associazione forestale più exerica del territorio comunale: il querco-betuleto. La sua diffusione è assai modesta ed interessa solo la sommità di dossi rocciosi (per esempio quello che separa la Valpiccola dalla Valgrande) e parte del versante destro della valle Armisa, anch’esso roccioso per l’emergere dell’ossatura cristallina e discretamente esposto. In queste condizioni la presenza del castagno è più ridotta mentre prevalgono la betulla, la rovere, la roverella, il pioppo tremulo, cui si aggiungono il larice, il peccio e meno frequente il pino silvestre: nel sottobosco domina il ginepro, col brugo e le graminoidi. Dei quasi 180 ettari di castagneto, tutti di proprietà privata, quelli ancora regolarmente sottoposti a ripuliture, concimazioni, scacchiature, ecc. sono ormai una piccola parte, la superficie restante è ripartita tra soprassuoli semi-abbandonati e altri oramai tendenti al bosco misto. La superficie a castagneto è polverizzata in più di 2000 particelle catastali. Varietà coltivate Si riporta di seguito una breve descrizione delle varietà coltivate nel comune di Castello dell’Acqua. • Fugascèra: pianta a chioma piuttosto slanciata, con foglie piccole, verdi anche sotto, ovato-acute, a denti poco profondi e mucroni lunghi; picciolo lungo circa 2 cm. I ricci restano in parte secchi sull’albero fino all’autunno successivo. Le castagne sono di dimensioni medio-grosse, scure e appiattite nel senso dello spessore. La cicatrice ilare è molto espansa, la pelosità quasi assente. E’ una castagna 24 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO ottima per farina. La produzione è abbondante. • Savòn: pianta a chioma slanciata, con foglie lanceolate di medie dimensioni (ca. 20 cm), biancastra di sotto, a denti molto pronunciati e mucroni brevi; picciolo lungo ca. 3 cm. Castagne di medie dimensioni, piuttosto alte e spesse, molto scure, con ilo di media estensione. Molto frequentemente si hanno 2 castagne per riccio o addirittura una. La qualità è mediocre, frequentemente attaccate da Carpocapsa spp. • Rossera: chioma con foglie piccole, a volte biancastre di sotto, con mucroni piuttosto lunghi e picciolo di ca. 2 cm. Castagne analoghe al Sàvon per forma e dimensioni, ma molto più chiare, di colore rossastro; ilo molto ampio, torcia sottile e lunga. Qualità buona. • Selvatiche: anche tra i soggetti non innestati si riscontrano alcune varietà, coltivate e frammiste alle altre nei castagneti. Ricordiamo il “Catot”, a foglie ovali, larghe, verdi anche di sotto, a denti assai profondi e mucroni lunghetti; picciolo corto; castagne piccole e piuttosto precoci (fine settembre), con ilo ampio e torcia breve. La “pelosa”, con foglie piccole, lanceolate,a denti poco profondi e mucrone breve, pagina inferiore verdastra, picciolo breve; castagne di medie dimensioni, molto pelose. La “Tardiva”, la “Pezzadina” ed altre. • Marrone: la pianta ha chioma ampia, con foglie piuttosto lanceolate, biancastre di sotto. Il frutto è di media grandezza, ma c’è una evidente variabilità tra le piante, tanto che si distinguono un cosiddetto “marrone maschio”, a frutto più grosso, da un “marrone femmina” a produzione più abbondante ma di pezzatura inferiore. Il colore è marrone piuttosto scuro con striature molto evidenti; la stella è assai evidente, come pure la pelosità. I caratteri sono abbastanza simili a quelli del marrone fiorentino o casentinese. La pezzatura di campioni commerciali è di circa 60-75 frutti per Kg. 25 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO “PROGETTO PILOTA PER IL RECUPERO CASTAGNETI DA FRUTTO” IN COMUNE DI CASTELLO DELL’ACQUA Nell’ambito delle azioni previste dalla convenzione tra ERSAF e Comunità Montana Valtellina di Sondrio, l’ Ente mandamentale ha incaricato ERSAF di progettare e realizzare il “Progetto pilota per il recupero di castagneti da frutto“ nel territorio del comune di Castello dell’Acqua. Va ricordato che negli ultimi anni vi è stata una ripresa di interesse nei confronti del castagno sia per gli stimoli tecnico-scientifici diffusi da tecnici e ricercatori appassionati, sia per gli incentivi di carattere economico erogati nell’ambito di alcune normative comunitarie e regionali di sostegno al settore forestale. Le indagini condotte dall’Azienda Regionale Foreste (ora ERSAF) in collaborazione con Istituti Universitari nei primi anni ‘90 sullo stato fitosanitario e nell’acquisizione dettagliata di informazioni legate al castagno di natura economica, sociale, paesaggistica, colturale ecc. sono un contributo fondamentale per individuare ed analizzare le problematiche di gestione selvicolturale, di prevenzione e cura fitosanitaria, di applicazione di tecniche di risanamento. L’intervento, il primo a livello mandamentale, seppur limitato per finanziamento, è considerato un punto di partenza per dimostrare ai castanicoltori privati e agli Enti territoriali tecniche innovative per il recupero e il risanamento dei castagneti per poi proseguire con attività divulgative e didatti- 26 che dei risultati ottenuti con questo lavoro e , possibilmente, con interventi futuri. Azioni preliminari Di concerto tra i tecnici ERSAF e quelli della C. M. sono stati presi in considerazione quegli aspetti generali per la realizzazione di interventi dimostrativi del recupero di alcune selve castanili da frutto e principalmente le funzioni paesaggistico-ricreative, quelle biologiche di conservazione del germoplasma, quelle sociali di mantenimento di tradizioni rurali e quelle protettive seppur in maniera indiretta. Pertanto le aree scelte per i lavori sono essenzialmente dislocate in tre località del territorio comunale: 1. località “Cà Romana”, dove vi è una notevole presenza di “marroni”; 2. località “ Cà dell’Albert “, zona 27 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO dove è presente una Pila e un Mulino ristrutturati per la lavorazione delle castagne, tappe del sentiero etnografico collegato con il sentiero Valtellina; 3. località “Luviera”, dove la presenza dei castagneti si fonde con le attività agricole ancora presenti; Successivamente è stata fatta una ricerca catastale per individuare i proprietari privati interessati a recuperare il proprio castagneto da frutto. Per la realizzazione dei lavori e per richiedere le relative denunce di taglio o nulla-osta, sono state fatte sottoscrivere ai proprietari delle dichiarazione d’impegno con le quali, oltre a fissare alcuni criteri basilari per la gestione futura del castagneto, si è autorizzato il personale di ERSAF ad accedere al fondo, ad eseguire i lavori e ad espletare le necessarie procedure amministrative. Complessivamente sono stati coinvolti n. 20 proprietari di selve castanili. Recupero dei castagneti da frutto I lavori hanno riguardato esclusivamente la potatura dei castagni da frutto, operazione completamente abbandonata per la sua difficoltà, mentre le ripuliture del sottobosco seppur in modo blando continuano ad essere praticate. Le potature hanno interessato l’eliminazione delle branche secche, quelle colpite da cancro corticale e il contenimento delle chiome troppo sviluppate o non equilibrate, ottenendo insieme al risanamento, l’abbassamento e il ringiovanimento della chioma, anche un incremento di illuminazione laterale e superiore. Il grado di difficoltà dell’intervento, effettuato con le moderne tecniche del tree-climbing, non è stato uguale per tutti i castagni interessati, ma correlato alle loro dimensioni e conformazione, nonché al tipo di potatura richiesta. Per tale motivo è stata adottata la suddivisione del grado di difficoltà nella potatura in tre categorie: pianta di grande dimensione, media dimensione e piccola dimensione. La selezione dimensionale dei castagni avviene con metodo speditivo secondo il criterio illustrato nella tabella sottostante. In sintesi l’operazione di potatura è stata condotta da tre operai (due ope- Selezione dimensionale dei castagni Punteggio attribuito 1 2 3 Dimensione fusto < 60 cm 60 - 100 cm > 100 cm Castagno piccolo 5-8 Altezza < 15 m 15 - 20 m > 20 m Castagno medio 9 -11 Diametro chioma < 10 m 10 - 15 m > 15 m Castagno grande 12 - 15 semplificata media complessa scarsi medi diffusi Complessità chioma Disseccamenti 28 Punteggio totale 29 LA CASTANICOLTURA IN PROVINCIA DI SONDRIO SCHEDE TECNICHE SCHEDE TECNICHE IL RECUPERO DEI CASTAGNETI DA FRUTTO Tra ripuliture, potature e nuovi impianti Località “Cà Romana” VOCE NUMERO Potatura castagni grandi 9 Potatura castagni medi 3 Potatura castagni piccoli 0 TOTALE 12 Località “Cà dell’Albert” VOCE NUMERO Potatura castagni grandi 37 Potatura castagni medi 9 Potatura castagni piccoli 0 TOTALE 46 Località “Luviera” VOCE NUMERO Potatura castagni grandi 38 Potatura castagni medi 19 Potatura castagni piccoli 3 TOTALE 60 30 ratori sulla chioma ed uno a terra per dirigere il lavoro e per la sicurezza) attraverso più fasi: pulizia preliminare della pianta, salita e messa in sicurezza, potatura vera e propria con attrezzi manuali e motosega, parziale disinfezione delle ferite, discesa dalla pianta, depezzamento, raccolta ed allestimento andante della ramaglia di risulta sul letto di caduta. Prima delle potature in alcune selve castanili si è proceduto a un vero e proprio taglio delle specie arboree invasive e a una drastica ripulitura del sottobosco. Nell’eseguire le operazioni di potatura, particolare attenzione è stata riservata al mantenimento della duplice funzione che tali castagneti rivestono: produttiva e paesaggistica. Nelle tabelle a lato sono riportati il numero dei castagni sui quali si è intervenuti, suddivisi per località e per classe diametrale. Un castagneto da frutto, la selva, anche se incolto e invaso da altre specie arboree e arbustive, è facilmente riconoscibile perché conserva l’originario caratteristico impianto rado strutturato sui grandi alberi innestati. Alcuni vetusti soggetti fruttiferi sono magari stati abbattuti, ma tra i vigorosi polloni riscoppiati dalle ceppaie è quasi sempre ben visibile ciò che rimane dei fusti originari. Le vecchie selve castanili sono spesso aggregati di notevole valore ecologico e culturale perché costituite da piante di varietà locali, ben adattate alle condizioni stazionali, che testimoniano il lungo e paziente lavoro di selezione e di coltivazione realizzato dai nostri avi nel corso dei secoli. Per questo, quando le condizioni ambientali e logistiche lo consigliano, il loro ripristino è un’operazione importante e preziosa: da un lato permette infatti di riattivare un filone produttivo, con ricadute di tipo economico, dall’altro consente di recuperare scenari, conoscenze e attività tipici della media montagna, con ricadute di tipo ambientale ed ecologico, paesaggistico e turistico, culturale e tradizionale. Le operazioni fonda- mentali per attuare il recupero delle selve castanili fruttifere sono la ripulitura del castagneto, l’eventuale taglio dei castagni irrecuperabili, la ripulitura e la potatura dei castagni, l’eventuale impianto di nuovi castagni, la concimazione e la ricostituzione del prato. Intervento di ripulitura Il castagneto da frutto prima dell’intervento di ripulitura. Il castagneto da frutto dopo l’intervento di ripulitura. Tutta la vegetazione invadente va asportata. 31 SCHEDE TECNICHE SCHEDE TECNICHE do di produrre vigorosi e sani polloni, oppure estirpati se la ceppaia è malata e deperiente. Gli impianti di remota formazione sono spesso molto fitti (150-180 piante/ettaro): è perciò necessario valutando caso per caso, operare un leggero diradamento a scapito dei castagni meno vigorosi o peggio conformati. I materiali vegetali di risulta vanno distrutti o comunque allontanati dalla selva. Ripulitura dei castagni da frutto Ripulitura del castagneto La vegetazione arborea insediatasi spontaneamente rappresenta un forte elemento di disturbo per le piante da frutto, soprattutto in riferimento alla disponibilità di luce, di acqua e di nutrienti nel suolo. Le chiome di questi “colonizzatori” entrano velocemente in competizione con quelle del castagno, ostacolandone la crescita e la fruttificazione, che come sappiamo avviene sui germogli dell’anno. A seconda delle zone, le specie che più frequentemente si sviluppano sono: robinia, frassino maggiore, acero montano, betulla, pioppo tremulo, ciliegio, carpino nero, orniello e rovere. L’intervento consiste nel tagliare al piede tutte le piante indesiderate e anche i giovani soggetti di castagno da seme, i selvaggioni, sviluppatisi spontanea- 32 mente. Si lasceranno i selvaggioni più sani e vigorosi da innestare, solo per colmare eventuali vuoti, già presenti o che si formeranno con l’abbattimento di piante da frutto molto malate e sofferenti, che non offrono possibilità di recupero. L’operazione si completa con la ripulitura e l’allontanamento del materiale vegetale di scarto, che sempre costituisce una potenziale fonte di diffusione delle fitopatie. Taglio dei castagni da frutto irrecuperabili I soggetti fruttiferi più malati, malformati e stentati, pertanto irrecuperabili ai fini produttivi e privi di particolari valori estetici, agronomici e culturali (legati all’età, alla struttura, alla tradizione e alla varietà), vanno tagliati, se la ceppaia è ancora in gra- Una volta eliminata la vegetazione spontanea e rimossi i soggetti fruttiferi irrecuperabili o soprannumerari, si può cominciare a valutare l’aspetto dei castagni su cui si interverrà. L’investimento medio ad ettaro di un castagneto realizzato con varietà locali di castagno da frutto, comunque dipendente dalle condizioni stazionali e dalle varietà messe a dimora, si aggira in media sulle 80-120 piante (pari ad una distanza tra gli alberi di 9-11 m). Quasi sempre gli impianti realizzati in passato non hanno però un sesto regolare, ma le piante sono state disposte assecondando la morfologia del terreno. Se la densità è abbastanza regolare non vale la pena di inserire nuovi soggetti per raggiungere il valore ottimale. Quindi si può intervenire direttamente sui castagni presenti. ne delle potature. Vanno pertanto recisi con tagli netti, a filo del fusto o con il rilascio di monconi lunghi non più di 5 cm, evitando in maniera assoluta strappi o rotture. Asportazione dei succhioni Lungo il fusto e le branche principali, analogamente a quanto accade con i polloni, dalle gemme avventizie si possono sviluppare getti epicormici più o meno vigorosi, detti succhioni, che sottraggono preziose sostanze nutritive ai rami produttivi e rendono difficoltosi l’accesso alla pianta e l’effettuazione delle potature. Il loro sviluppo è spesso più intenso in corrispondenza del punto d’innesto, dove talvolta l’anello cicatriziale è ingrossato. I succhioni collocati sopra il punto d’innesto possono essere rilasciati nel caso se ne ipotizzi uno sfruttamento per la riforma della chioma. La loro eliminazione avviene con le stesse modalità descritte nella spollonatura. Si deve assolutamente evitare il taglio delle escrescenze o accrescimenti anomali, posti di solito nella parte basale del tronco o sotto il punto di innesto. Spollonatura, asportazione succhioni o getti epicormici. Spollonatura Uno degli aspetti più evidenti in una selva fruttifera in abbandono è la densa fascia di getti, più o meno giovani e sviluppati, che a foggia di “corona” circonda il colletto degli alberi adulti: sono i cosiddetti polloni, germogli radicali che nel loro sviluppo sottraggono preziose sostanze nutritive ai rami produttivi e rendono difficoltosi l’accesso alla pianta e l’effettuazio- Il taglio dei polloni (spollonatura), a sinistra, deve essere effettuato con attrezzi da taglio, senza strappi, così come l’asportazione dei succhioni o getti epicormici lungo il fusto, a destra. In blu i tagli e gli interventi corretti, in rosso quelli errati. 33 SCHEDE TECNICHE Potatura dei castagni da frutto II castagno da frutto, come tutte le essenze fruttifere, necessita di periodiche potature. Dopo anni di mancati interventi colturali, le chiome dei castagni fruttiferi sono irregolari, arruffate, con parti dense e altre assai rade e con rami o intere branche morte a causa di malattie o per la mancanza di un’adeguata illuminazione. Talvolta la chioma è in buono stato ma talmente estesa da interferire con quella di altre piante. Scopo della potatura è perciò quello di riequilibrare lo sviluppo della chioma e di dare la giusta densità alle branche al fine di migliorare l’illuminazione di tutti i rami e accrescere così il vigore vegetativo e la produttività dell’albero. Solo con l’emissione di nuovi getti è infatti possibile ottenere rami fruttiferi. Con la pota- Gerarchia delle ramificazioni I rami di I ordine sono inseriti su fusto, quelli di II ordine su quelli di I ordine, quelli di III ordine su quelli di II ordine e così di seguito. Il disegno attraverso i colori, individua solo quattro ordini gerarchici, ben più numerosi nella realtà. 34 SCHEDE TECNICHE tura si sfrutta la naturale attitudine del castagno a rigenerare rapidamente le parti di chioma asportate, selezionando e direzionando nuovi e più produttivi rami in posto di quelli vecchi e stentati. L’intensità delle potature e l’opportunità di effettuare un intervento di drastica riduzione della chioma, con tagli che interessino le branche principali o addirittura il fusto, vanno valutate in base alle condizioni vegetative e sanitarie della pianta da un tecnico esperto in materia. Alcune regole sulla potatura Le operazioni di potatura, per essere efficaci e nel contempo rispettose dell’albero su cui vengono compiute, perciò delle sue caratteristiche vegetative e sanitarie, necessitano di una serie di conoscenze e accorgimenti tecnici. La buona riuscita della potatura è anche legata alle capacità di chi la realizza. Sono assolutamente da evitare interventi a rischio, senza accorgimenti protettivi e attrezzature adeguate. Si consiglia pertanto di affidare a personale specializzato l’effettuazione di interventi significativi, limitando quelli “in proprio” ai tagli da terra, con svettatoio o segaccio telescopico. La moderna tecnica del treeclimbing consente di operare con assoluta sicurezza e precisione anche su alberi difficili,di grandi dimensioni o posti in aree prive di accesso carrabile. Periodo. Sulle piante adulte di castagno la potatura si effettua durante la fase di riposo vegetativo, dopo la caduta e prima dell’emissione delle foglie. Ciò dipende dall’andamento stagionale e dalla collocazione del castagneto (localizzazione, esposizione e quota): le piante si spogliano di norma tra ottobre e novembre e vegetano tra aprile e maggio. Si consiglia inol- Fasi di taglio di un grosso ramo Incisione del ramo dal basso verso l’alto, per evitare scosciature. Taglio del ramo appena sopra la prima incisione. Rimozione del moncone rispettando il “collare”. Il tratteggio blu indica la linea del taglio finale. tre il fermo delle operazioni nelle fasi di freddo più intenso,durante le quali i rami si spezzano con maggiore facilità. Criteri per l’esecuzione dei tagli. I tagli devono essere eseguiti con attrezzi molto affilati e puliti, per ottenere recisioni nette e regolari e limitare al minimo il rischio di infezioni. Nel caso interessino rami a sviluppo verticale vanno inoltre effettuati obliquamente, per facilitare lo sgrondo delle acque. Per quanto possibile vanno evitati interventi sulle branche maggiori (rami di I e II ordine), sia per preservare la struttura principale dell’albero che per limitare il rischio di infezioni (ampie superfici di taglio) e l’eccessivo e disordinato ricaccio di nuovi getti. Nel caso non si possa fare altrimenti si cercherà comunque di garantire un assetto equilibrato alla chioma. Dovendo asportare grosse branche si effettueranno tre tagli: con il primo si incide il lato inferiore del ramo, fino ad 1/3 del suo diametro, per evitare strappi alla corteccia (scosciature); con il se- condo taglio si recide il ramo stando poco sopra il primo taglio; con l’ultimo si rimuove il moncone facendo attenzione a non ledere il “collare’. II collare, formato dai tessuti sovrapposti del tronco e del ramo, permette di isolare la parte di ramo rimasta evitando la propagazione di eventuali infezioni al tronco. Un ramo va sempre eliminato completamente, effettuando il taglio in prossimità del punto di inserzione, oltre il collare,o della biforcazione, senza il rilascio di monconi. Questi possono essere mantenuti, con funzioni di gradino solo per facilitare la risalita di alberi difficilmente accessibili. L’accorciamento dei rami va effettuato sempre poco sopra un nodo, laddove insiste una gemma laterale, oppure poco sopra un ramo, mediante il cosiddetto “taglio di ritorno”. In quest’ultimo caso il ramo rilasciato, detto gergalmente “tiralinfa”, funge da cima di sostituzione: deve perciò essere vigoroso e dominante. È infine importante mantenere un adeguato rapporto diametrico tra i rami: il ramo di sostitu- 35 SCHEDE TECNICHE SCHEDE TECNICHE Potatura di rimonda Esempi di potatura con esecuzione del “taglio di ritorno” e mantenimento dei rami di I e II ordine In blu i tagli corretti, in rosso quelli errati Pianta da frutto prima della potatura di rimonda. In blu la linea dei tagli corretti. zione deve avere un diametro non inferiore a 1/3 di quello della branca su cui è inserito. Disinfezione dei tagli. Le ferite da taglio costituiscono un potenziale punto d’ingresso dei parassiti, in particolare del Cancro della corteccia. Si consiglia perciò il trattamento delle superfici di taglio con fungicidi rameici miscelati a collanti, in maniera da ottenere una poltiglia facilmente applicabile e aderente al tessuto legnoso. La funzione del collante è quella di far permanere il più a lungo possibile il fungicida sopra la ferita. In particolare si consiglia l’utilizzo di una miscela costituita da 200 g di ossicloruro di rame e 1 litro di olio di lino cotto. La miscela, affinché esplichi al meglio la sua funzione protettiva, va preparata giornalmente. Il Cancro corticale colpisce quasi esclusivamente i rami giovani, con corteccia liscia e sottile: si intervenga perciò 36 solo su questi, evitando inutili trattamenti su branche di grosso diametro rivestite da cortecce suberose. Va in ogni caso valutata l’opportunità economica dell’intervento sulla base dello stato fitosanitario della selva e perciò della possibilità oggettiva che forme virulente e letali della malattia abbiano a causare danni all’albero. È importante, al fine di evitare la diffusione delle forme più virulente e letali del Cancro della corteccia, operare sempre in modo da non contaminare l’attrezzo utilizzato: il taglio va perciò effettuato a debita distanza dall’infezione, sulla parte sana del ramo. Portamento dell’albero. Per quanto possibile la potatuta deve rispettare il naturale sviluppo dell’albero, che cambia in base alla varietà. Ogni forzatura o intervento drastico di potatura comporta un continuo e oneroso controllo della chioma. Dunque il modello finale della chioma potata deve assecondare il portamento naturale della pianta. I tipi di potatura La potatura su un castagno fruttifero da tempo privo di cure colturali deve considerare numerosi fattori: le condizioni vegetative e sanitarie dell’albero, la vigoria del soggetto, anche in relazione alla varietà, la densità dell’impianto, le disponibilità economiche e gli obiettivi del castanicoltore. Sulla base di questi e altri fattori si sceglierà quella più opportuna. Potatura di rimonda. Il primo scopo dell’intervento di potatura è quello di eliminare tutte le parti morte e morenti dell’albero. Questa operazione, detta di mondatura, può essere assai lunga e onerosa per la mole di materiale da asportare, spesso localizzato nelle parti più distali della chioma. In genere viene effettuata contestualmen- Pianta da frutto dopo la potatura di rimonda. Vengono asportate tutte le parti morte, malate e senescenti. te alla potatura delle branche vive. Oltre alle parti morte verranno asportate quelle più senescenti e ammalate, senza alcuna prospettiva di ripresa. Il materiale di risulta dovrà essere allontanato e distrutto,soprattutto se interessato da infezioni di Cancro corticale virulento. Ciò vale anche per le parti disseccate, giacché molti funghi patogeni riescono a vivere e riprodursi anche su legno morto. Potatura di riduzione o ringiovanimento. È il classico intervento straordinario, effettuato su soggetti da tempo privi di cure colturali. Questi presentano chiome irregolari, senescenti, eccessivamente elevate o espanse. Si effettua di norma contestualmente alla rimonda del secco. L’intervento può essere più o meno intenso, a seconda dei casi. Si cercherà di preservare quanto più possibile la struttura dell’albero, evitando di in- 37 SCHEDE TECNICHE Potatura di ristrutturazione, regolarizzazione o riforma Anche nelle potature più intense, come quella di ringiovanimento, i tagli non devono interessare le branche inferiori. In rosso la linea dei tagli errati. SCHEDE TECNICHE tervenire sulle branche di I e II ordine, se non danneggiate, abbassando la chioma, valorizzando le impalcature più basse e favorendo la migliore illuminazione di tutti i rami. Potatura di ristrutturazione, regolarizzazione o riforma. Con questo intervento si regola lo sviluppo della chioma dopo il taglio di riduzione o ringiovanimento. Deve essere eseguito a 2-3 anni dall’intervento principale al fine di selezionare i getti più sani e vigorosi, oltre che meglio disposti. Questi costituiranno la struttura periferica della nuova chioma. Senza l’intervento di regolarizzazione anche l’intervento di riduzione perde presto gran parte del suo valore. Durante la selezione si possono asportare anche grosse branche in aggiustamento agli interventi precedentemente eseguiti. Potatura di alleggerimento, sfoltimento o mantenimento. Come già Potatura di alleggerimento, sfoltimento o mantenimento Sia negli interventi più intensi che in quelli più leggeri i tagli devono concentrarsi sui rami di III e IV ordine, abbassando la chioma, rispettando la parte bassa dell'albero e selezionando i rami produttivi. L'albero prima (a sinistra) e dopo l'intervento (a destra). In blu la linea dei tagli corretti. 38 detto nella parte generale, il castagno da frutto è un albero da sottoporre a periodica potatura, al fine di mantenere un adeguato equilibrio tra le strutture vegetative e quelle riproduttive. In linea di massima si può dire che la potatura andrebbe effettuata quando i getti annuali riducono il vigore vegetativo e presentano una lunghezza inferiore ai 20 cm. Si interviene perciò su piante ben strutturate ed equilibrate ogni 3-5 anni con il diradamento e raccorciamento dei rami, mediante la tecnica del taglio di ritorno, e l’asportazione di quelli secchi e malati. Selezionando e favorendo l’insolazione dei rami più produttivi si regola la fruttificazione, aumentando la pezzatura dei frutti ed evitando fenomeni di alternanza. La regolare esecuzione del taglio di mantenimento evita la realizzazione di interventi straordinari di riduzione. Se l’altezza degli alberi non è eccessiva gli interventi possono essere eseguiti con svettatoio e segaccio telescopici. Capitozzatura. Nel caso le parti morte dell’albero siano numerose e le parti vive, poco vigorose, risultino distribuite in maniera irregolare, con un forte sbilanciamento dell’albero, si può pensare ad una completa ricostituzione della chioma. In questo caso viene effettuata la capitozzatura, ossia l’asportazione totale della chioma con un taglio direttamente sul fusto, sopra il punto d’innesto. Si tratta di un’operazione colturale drastica, da evitare nella maggior parte dei casi. Troppo spesso la capitozzatura è stata utilizzata come “soluzione” per migliorare la produttività della selva,con l’unico risultato di stravolgerne la fisionomia e compromettere la vitalità di alcuni alberi. È perciò attuabile solo come estremo tentativo di recupero di 39 SCHEDE TECNICHE SCHEDE TECNICHE Capitozzatura Al taglio di capitozzatura, sopra il punto d’innesto, fa seguito il riscoppio di numerosi getti che devono essere opportunamente tagliati e selezionati In blu la linea dei tagli corretti. soggetti meritevoli. La capitozzatura provoca il riscoppio di una fitta vegetazione su cui in seguito, con cadenza annuale, si deve effettuare un’opera di selezione e diradamento. Nel giro di qualche anno, in base alla vigoria dell’albero, è possibile ricostruire una chioma vigorosa e ben distribuita. Impianto di nuovi castagni da frutto La presenza di eventuali vuoti, generati dall’estirpazione di vecchi e irrecuperabili soggetti fruttiferi, può essere colmata con l’innesto di selvaggioni appositamente rilasciati durante le ripuliture o con l’impianto di giovani alberi innestati in vivaio. Per ciò che attiene l’utilizzo dei selvaggioni si rimanda al relativo capitolo. La messa a dimora di nuovi alberi va effettuata in autunno, dopo la caduta delle foglie e prima dei geli: questa fase si verifica indicativamente nei mesi di novembre e dicembre. In alternativa si può operare all’inizio della primavera, dopo i geli, ovvero a partire da marzo e fino all’inizio-metà di aprile, a seconda delle zone. È fondamentale ricordare che 40 il castagno richiede terreni acidi o moderatamente acidi (pH 4,5-6,5),al limite neutri (pH 7,0), profondi, freschi e privi di ristagni idrici. Nella scelta delle varietà si sceglieranno quelle più consone agli obiettivi (produttivi, estetici e turistici, tradizionali e culturali) del castanicoltore e meglio adattate o adattabili alle condizioni stazionali locali. Si tenga presente che alcune varietà, come il Marrone, sono autosterili (in quanto criptostaminee o astaminee) e perciò necessitano di essere impollinate da altre varietà. L’impollinazione prevalentemente anemofila (favorita dal vento) e il discreto peso del polline impongono inoltre distanze tra i soggetti non superiori a 15-20 m. Nella scelta dell’esatto sito d’impianto si deve considerare la fertilità del terreno e la vigoria della varietà,tenendo comunque presente che per un’adeguata illuminazione della chioma di una varietà lariana di castagno europeo sono indicativamente necessari 100 m2 per albero (sesto d’impianto di m 10x10; 9x11; 8x12). Le buche, ampie cm80x80 circa e profonde cm 70 circa, devono es- sere preparate con qualche mese di anticipo per favorire la disinfezione del terreno e poi nuovamente colmate, un mese circa prima dell’impianto, per favorirne l’assestamento. Al momento del riempimento, sul fondo della buca, va apportato abbondante letame bovino maturo (10-15 Kg), coperto da uno strato di circa 25 cm di terra per evitare contatti diretti con le radici. L’impianto si realizza scavando una buca sufficiente a contenere l’apparato radicale della piantina, che deve essere ridotto e sanato,con appositi tagli, mediante accorciamento delle radici più lunghe e asportazione dalle parti lesionate o spezzate. Il punto d’innesto deve sporgere dal suolo e la piantina essere assicurata a un tutore, possibilmente non di castagno per evitare la diffusione del Cancro della corteccia, sporgente da terra circa 2,5 m. È sufficiente che le radici superiori siano coperte da uno strato di circa 10 cm di terra fine e fresca, compressa con i piedi. Prima dell’impianto è buona norma disinfettare l’apparato radicale immergendolo per cinque minuti circa in una soluzione di ossicloruro di rame al 20% (100 g in 10 litri d’acqua), allo scopo di prevenire marciumi da trapianto. Per favorire l’attecchimento, dopo la riduzione e la disinfezione, è inoltre utile praticare l’inzaffardatura immergendo l’apparato radicale in una poltiglia costituita dal 50% di acqua, 25% di terra molto fine e 25% di stereo bovino fresco. Al termine dei lavori la nuova piantina deve trovarsi su un piano leggermente più elevato di quello del campo, per favorire lo sgrondo dell’acqua eccedente in prossimità del piede. Nei primi anni d’impianto è infine necessario provvedere ad eventuali irrigazioni di soccorso, meglio se con interventi frequenti e ridotti volumi di acqua non calcarea, giacché gli astoni sono sensibili alle carenze idriche. Concimazione Un castagneto abbandonato da tempo, invaso da alberi, arbusti ed erbe, presenta sul terreno una lettiera costituita da sostanza organica decomposta e in via di decomposizione. Il maggiore afflusso di luce al suolo, conseguente all’eliminazione della vegetazione spontanea invadente e agli interventi di potatura, comporta la veloce mineralizzazione della lettiera e un aumento della fertilità. Questo effetto benefico dura naturalmente solo per gli anni immediatamente successivi all’intervento. È quindi opportuno conoscere le eventuali carenze nel terreno dei principali elementi fertilizzanti, anche mediante analisi chimica, per poi intervenire con concimazioni mirate. Se tutti gli elementi sono presenti in quantità sufficiente la concimazione può essere limitata ad un’abbondante distribuzione di concimi organici. Ricostituzione del manto erboso II manto erboso, tradizionalmente utilizzato a prato-pascolo, costituisce uno degli elementi caratteristici della selva fruttifera. L’eliminazione della vegetazione arborea invadente determina un maggiore afflusso di luce a livello del suolo, che favorisce l’insediamento e lo sviluppo di nuove essenze erbacee e arbustive. Al fine di evitare la crescita di specie infestanti si consiglia di effettuare l’inerbimento mediante rapida lavorazione superficiale del suolo e semina o trasemina con miscuglio di graminacee e leguminose, meglio se integrato con fiorume locale (deposito dei fienili). 41 CONCLUSIONE CONCLUSIONE CONCLUSIONE La castanicoltura in provincia di Sondrio si presenta globalmente in condizioni piuttosto precarie. Vari motivi tuttavia indurrebbero allo studio e all’attuazione di interventi di miglioramento e di risanamento. Fra questi vanno ricordati: 1) frutti di caratteristiche pregevoli per pezzatura e qualità organolettiche; 2) situazione climatica nel complesso abbastanza favorevole; 3) ridotti costi d’esercizio e precarietà di altre colture concorrenti (soprattutto la frutticoltura). Da non dimenticare inoltre le funzioni ambientali e paesaggistiche oltre che la necessità del mantenimento di attività agricole in montagna. Gli interventi dovrebbero mirare innanzitutto alla individuazione dei popolamenti più vocati alla produzione del frutto, sia per la loro ubicazione, che per le condizioni vegetative delle piante e per la loro appartenenza a varietà richieste dal mercato. In questa fase si potrebbe ricorrere anche ad analisi economiche. Nei soprassuoli individuati occorrerà effettuare una intensa opera di ristrutturazione e di risanamento, soprattutto con energiche potature delle piante malate, con l’eliminazione dei soggetti ormai deperienti ed irrecuperabili, con la loro sostituzione tramite l’innesto di nuovi polloni o piante da seme, con ripuliture del sottobosco e con l’eventuale impiego dei 42 nuovi metodi di lotta contro il cancro corticale. Nei casi in cui non sembra conveniente il recupero del castagneto si potrà assecondare la naturale evoluzione al bosco misto favorendo le specie a migliore produzione legnosa, quali lo stesso castagno (di cui fra l’altro sono presenti buone piante selvatiche da legno, quale ad esempio la cosiddetta “Rufera” di Piuro) , il frassino, il tiglio, il ciliegio e l’acero. In tutti i casi si tratta di interventi piuttosto onerosi da attuarsi tramite l’aiuto di organismi pubblici, quali soprattutto le Comunità Montane e la Regione. 43 ERSAF SEDE CENTRALE CONCLUSIONE CONCLUSIONE Via Copernico, 36/38 20124 MILANO Tel. 02 67404.1 Fax 02 67404.299 www. ersaf.lombardia.it L’ERSAF del territorio rurale, in un’ottica di tra- (Ente Re- sversalità, multifunzionalità ed inte- gionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste) è l’ente strumentale della Regione Lombardia, che svolge attività tecniche e pro- grazione. ERSAF, con le sue 11 sedi, è presente su tutto il territorio lombardo e svolge principalmente attività di supporto al governo regionale, sostegno, valorizzazione, tutela e promozione del patri- mozionali per lo sviluppo dei setto- monio agro-forestale ed agro-alimenta- ri agricolo e forestale e per la tutela re regionale. Il ruolo della Comunità Montana è quello programmati e realizzati in stretta colla- di essere elemento propulsivo per la tu- borazione con le 21 realtà municipali che tela e lo sviluppo del territorio montano, fanno parte della Comunità Montana Val- per la crescita economica e sociale della tellina di Sondrio. collettività, per la conservazione e pro- Le iniziative attivate sono finalizzate ad mozione del patrimonio culturale ed am- assicurare la permanenza delle attivi- bientale. tà agricole e garantire la tutela del terri- L’azione dell’Ente è quindi di ampio respi- torio, la salvaguardia e la valorizzazione ro su diversi “fronti”, frutto d’interventi dell’ambiente rurale. COMUNITA’ MONTANA VALTELLINA DI SONDRIO 44 Via N. Sauro, 22 23100 SONDRIO Tel. 0342 210331 Fax 0342 210334 www.cmsondrio.it 45