PIERO DELFINO PESCE, UOMO POLITICO ©RIPRODUZIONE CONSENTITA CITANDO LA FONTE “BIBLIOTECA CASINAMORGESE” «Qui visse e operò intensamente l’avv. Piero Delfino Pesce (1874-1939) fondatore del repubblicanesimo in Puglia, direttore della prestigiosa rivista Humanitas, scrittore brillantissimo e di vastissimo ingegno culturale, indomito e fiero sostenitore della giustizia sociale e delle libertà democratiche»: questo il testo della targa commemorativa posta sul Palazzo Pesce, a Mola di Bari, dall’Amministrazione Comunale nel 1989. Inoltre così concluse il suo discorso il sen. Michele Cifarelli, nel corso della celebrazione del primo centenario della nascita di Piero Delfino Pesce a Mola di Bari nel 1975: «Dirittura morale, fierezza del carattere, perfetta armonia tra vita pubblica e privata; se queste sono le caratteristiche di una persona seria, noi dobbiamo fare a Piero Delfino Pesce l’omaggio maggiore: senza alcuna retorica, dobbiamo dire che egli fu un cittadino degno della Repubblica, un repubblicano che fa onore alla sua terra e a tutto il Paese. Un erede moderno e coerente del Risorgimento italiano» (il discorso è in Omaggio a Piero Delfino Pesce, a cura di Guido Lorusso, Edizioni dal Sud 1989, pp. 41-51). Infine così si espresse Tommaso Fiore in Formiconi di Puglia (1962): «Da Mola vennero i fratelli Pesce, repubblicani per educazione familiare, e Pier Delfino fu il più gentile fra i fiori del sapere. A Bari la Casa editrice Humanitas, con l’omonima Gazzetta autarchica fu la maggiore palestra in Puglia di libere idee». Sono sufficienti questi tre richiami per comprendere il rilievo del personaggio. Del resto la vita e le opere di Piero Delfino Pesce sono note. Il maggiore storico della città di Mola di Bari gli ha dedicato un ritratto interessante (cfr. Nicola Uva, Saggio storico su Mola di Bari dalle origini ai giorni nostri, Dedalo Litostampa 2007, riproduzione anastatica dell’edizione del 1964, pp. 220-222). La sua figura è stata anche rievocata con attenta ricostruzione nel saggio di Guido Lorusso Mola tra Ottocento e Novecento. Lotte politiche e sociali fino all’avvento del fascismo, contenuto in Mola tra Ottocento e Novecento. Ricerche e appunti di storia, urbanistica, economia e tradizioni popolari, Edizioni dal Sud 1985, pp. 23-55). Riteniamo utile riassumere la vita di Piero Delfino Pesce con l’ausilio del ritratto che ne fa il figlio Raffaele (cfr. l’opuscolo: Raffaele Delfino Pesce, Un ricordo di Piero Delfino Pesce, s.a. ma 1989). Piero Delfino Pesce nasce a Mola di Bari nel 1874, primo di sette fratelli (un fratello è il musicista Ottone). Si laurea in giurisprudenza a Napoli nel 1896. E’ un seguace del pensiero di Giovanni Bovio e di Giuseppe Mazzini. Fonda le riviste “Aspasia” (1899-1900) e successivamente “Humanitas” (1911-1924), sulle quali scrive molti articoli, saggi ed elzeviri. Crea a Mola di Bari il primo nucleo del Partito repubblicano Italiano (1899). Svolge l’incarico di consigliere provinciale del mandamento di Mola dal 1905 al 1912 e durante questo mandato ingaggia una strenua battaglia contro la privatizzazione dell’acqua, simboleggiata dal “carrozzone” dell’Acquedotto Pugliese. Fonda la Casa Editrice “Humanitas” che pubblica in tutto 59 opere. E’ interventista nella prima guerra mondiale. Si schiera contro il fascismo fin dal suo nascere. Nel 1922 è tra i promotori dell’Alleanza del Lavoro di Bari e del grande sciopero barese contro il fascismo (per ciò viene arrestato ma assolto in istruttoria). Pubblica il 15 ottobre 1922 un numero di “Humanitas” interamente dedicato all’assassinio di Giuseppe Di Vagno (di cui era sincero amico), avvenuto il 25 settembre 1921. E’ candidato nella lista repubblicana per le elezioni politiche del 1924 e nelle votazioni a Mola di Bari la lista antifascista consegue la maggioranza solo nella seconda sezione, perché presieduta dal giudice integerrimo Vito Waldemaro Morgese! Nel medesimo anno una squadraccia fascista gli devasta la villa di contrada San Materno dopo aver messo a soqquadro la redazione e la tipografia di “Humanitas”. Insegna per 22 anni materie giuridiche ed economiche nell’Istituto Tecnico Statale “Giulio Cesare” di Bari (incarico che lascia per non aver voluto prendere la tessera del PNF), ma anche per breve periodo nel Liceo Statale “Domenico Cirillo” di Bari e presso l’Università Popolare di Bari. Tiene l’ultimo comizio in una fabbrica di Bari il 5 aprile 1924 insieme al liberale Mario Berlinguer (il padre di Enrico). Costretto ad abbandonare la vita politica svolge attività di giornalista, insegnante, avvocato, pittore, botanico, novelliere, musicista (suona il violoncello e studia armonia e contrappunto), commediografo. Come autore di teatro scrive ben 13 commedie, fra cui La partita a scopa rappresentata da Anton Giulio Bragaglia a Roma nel 1938 e ne mette in scena più di una tramite una Filodrammatica da lui costituita a Mola di Bari. E’ autore di poesie, che raccoglie in numero di 55 presso l’Editore Valdemaro Vecchi di Trani in Preludio (cfr. Nicola Fanizza, Si scrive per essere amati!, su Città Nostra del giugno 2014). Piero Delfino Pesce muore nel 1939 e il suo funerale viene seguito da una grande folla nonostante il fascismo imperante. Come ricorda il figlio Raffaele, «volle essere sepolto nel cimitero di Mola in un loculo che guardasse il sorgere del sole» (opuscolo cit., p. 16). La figura umana dell’antifascista scomparso fu amorevolmente custodita negli anni successivi dalla vedova, Caterina Tanzarella, di Ostuni, sposata nel 1907, profondamente amata e con la quale ebbe quattro figli tutti nati fra il 1908 e il 1914 (un ricordo della vedova e dello stesso Piero si deve a Waldemaro Morgese, nipote di Ottone, fratello di Piero: cfr. W. Morgese, Piero Delfino Pesce un’icona pugliese dell’impegno civile, in V.Nardulli-M. Mininni-V.A.Leuzzi, Palazzo Martinelli Pesce. Una dimora storica, Liantonio Editrice 2010, pp. 9-15). Il legame di Piero Delfino Pesce con i luoghi del Poggio delle Antiche Ville è stato molto saldo e continuo per tutta la vita: nella sua villa di contrada San Materno aveva fatto perfino costruire un palcoscenico ove riunire, in una sorta di ricorrente festa campestre, spettatori di varia provenienza per assistere alle attività artistiche che vi organizzava (per questa circostanza si rinvia ai ricordi di Vittorio Guastamacchia, ospitati nella sezione “Archivio” del sito www.casinamorgese.it). E’ anche noto che proprio nella villa di contrada San Materno Piero Delfino Pesce aveva fatto ricavare una intercapedine segreta, in cui si rifugiava quando le autorità fasciste decidevano gli arresti preventivi e precauzionali in imminenza di qualche cerimonia ufficiale o della visita nel Barese di personalità del regime. Come accennato, Piero Delfino Pesce è stato anche un appassionato botanico, inclinazione cui ha dato sfogo nella villa di San Materno ma anche nel giardino del palazzo di famiglia sito in Mola di Bari: qui ha fatto prosperare numerose specie di alto fusto, alberi da frutto, piante esotiche, fiori. Lampi della sua vita nella contrada di San Materno si possono rivivere rileggendo passi di alcune sue lettere: come in una lettera ad Arnaldo Cervesato del 3 giugno 1907: «Non ti incresca il necessario ritardo. Mi presto al lavoro, ma anche alle comuni faccende di borghesuccio di campagna, ed ai doveri della cosiddetta vita sociale, cui mia moglie e io cerchiamo, è vero di partecipare il meno possibile, ma che ci impone lo stesso il suo sciocco tributo di convenzioni e di convenienze»; ovvero nell’incipit di questa lettera indirizzata a Terenzio Grandi il 9 dicembre 1911: «Carissimo Grandi, finisco di cenare, in campagna, a venti chilometri da Bari, dove tornerò domattina e ho avviato qualche ora fa la spedizione del secondo numero» (cfr. Nicola Fanizza, Piero Delfino Pesce e la rinascenza mediterranea nel centenario della rivista Humanitas 1911-1924, Edizioni Giuseppe Laterza 2011, p. 196 e 199).