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Focus
L’ECO DI BERGAMO
DOMENICA 17 NOVEMBRE 2013
La Resistenza ieri e oggi
A destra sopra il titolo, i funerali
delle vittime della strage dei
Fondi, la zona della Malga Lunga
e alcuni partigiani della 53ª
Brigata Garibaldi QUADERNO 1 DEL
MUSEO ETNOGRAFICO DI SCHILPARIO
A Malga Lunga
il nuovo incontro
dei partigiani
Si ricordano le vittime della 53a Brigata Garibaldi
Le iniziative del Museo rifugio curato dall’Anpi
Sovere
GIAMBATTISTA GHERARDI
Una finestra affacciata sui
monti, ma innanzitutto una
porta aperta alle giovani generazioni. Si celebra oggi alla
Malga Lunga, sui monti che
dividono Val Gandino e Val
Cavallina, in territorio di Sovere, il 69° anniversario del combattimento che costò la vita ai
partigiani della 53a Brigata Garibaldi guidata da Giorgio Paglia. Fra queste montagne, meta di famiglie e comitive per
escursioni con panorami mozzafiato sul lago e le Orobie, è
nato il Museo rifugio della Resistenza, inaugurato nel 2012
e ora completato grazie all’impegno dell’Anpi (Associazione
nazionale partigiani d’Italia)
e di tanti volontari.
«Il ricordo di quanti hanno
combattuto per i valori fondanti della nostra Costituzione
– sottolineano Salvo Parigi e
Renzo Vavassori dell’Anpi –
resta di estrema attualità e
continua a parlare alle nostre
coscienze. Il Museo della Malga Lunga nasce come un testimone da passare a figli e nipoti,
rendendo vivo il luogo simbolo
della Resistenza bergamasca e
offrendo opportunità didattiche importanti grazie all’ausilio delle moderne tecnologie».
Nelle sale ricavate nella
grande struttura rettilinea che
Bandiere davanti al monumento
domina la Val Cavallina (cui si
giunge grazie ad una comoda
carrabile che sale da Gandino),
negli ultimi mesi sono state
installate dotazioni multimediali e interattive. «La sala incontri, ideale per gruppi e scolaresche – spiega Vavassori –
è dotata di uno schermo video
da 50 pollici, dove proiettare
filmati di ricostruzione storica.
Per i visitatori sono disponibili
schermi con tecnologia “touch”, la stessa di tablet e smartphones È possibile consultare
elenchi di partigiani, patrioti,
benemeriti per nome, ma anche per località di residenza,
formazione di appartenenza e
zona d’azione».
Un lavoro particolarmente
articolato quello realizzato in
questi anni, per il quale è stato
preziosa la collaborazione di
molte famiglie. «Nelle case di
molti bergamaschi – sottolinea
Vavassori – ci sono ancor oggi
moltissimi documenti relativi
agli anni della Resistenza: fotografie, scritti, ricordi di ogni
genere. Lanciamo un appello
a tutti affinchè rendano disponibile questo materiale per il
nostro Museo. Si tratterebbe
semplicemente di farne copia
digitale, senza privare le famiglie dei propri ricordi».
Il lavoro del Museo è già
impostato anche per il biennio
2014-2015: si lavorerà sulla ricostruzione del periodo resi-
Il Museo all’opera
per ricostruire
il periodo
resistenziale
stenziale a Bergamo e provincia, in modo da offrire nuove
possibilità di consultazione: in
sequenza temporale oppure
per zona d’interesse (Valle
Brembana, Valle Seriana, Alto
Sebino, Bergamo città, ecc.).
L’Anpi ha ricevuto la Malga
Lunga in comodato dal Comune di Sovere, dopo che questi
l’aveva a sua volta ricevuta in
E c’è un opuscolo a fumetti
per i ragazzi delle medie
sovere
La storia della Malga Lunga risale al
1944, quando alcuni reparti fascisti della
«Tagliamento» riuscirono a catturare
i componenti della squadra partigiana
di Giorgio Paglia, che era di stanza sui
monti che dividono la Val Seriana e la Val
Cavallina.
Due di loro (il sovietico Efanov
«Starik» e Mario Zedurri «Tormenta») vennero uccisi a pugnalate sul posto, gli altri cinque (ol-
tre a Paglia, Guido Galimberti
«Barbieri», Andrea Caslini «Rocco», Donez «Molotov» e Copenko
«Noghin») furono fucilati quattro giorni dopo al cimitero di Costa Volpino. Giorgio Paglia, che
pure poteva aver salva la vita perché figlio di una medaglia d’oro
al valor militare, rifiutò la grazia
e morì coi compagni proclamando «O tutti, o nessuno!».
Per raccontare quei tragici
giorni alle nuove generazioni
l’Anpi Valgandino, sezione Bepi
Lanfranchi, ha pubblicato lo
scorso anno un originale opuscolo a fumetti, edito da Radici Due
di Gandino. «Una modalità narrativa efficace per suscitare l’interesse dei ragazzi – conferma il
presidente Giovanni Cazzaniga
– che ha coinvolto nella realizzazione diversi giovani. Oggi vediamo crescere sentimenti di noia
e rassegnazione, misti a paura,
che ricordano quelli antecedenti
Una tavola dell’opuscolo a fumetti edito da Radici Due di Gandino
dono nel 1979 dal cavalier
Gianni Radici. Un luogo simbolo della Resistenza, legato ai
fatti del 1944 ma anche crocevia di un’area montana dove
innumerevoli furono gli episodi della lotta al nazifascismo.
Il programma delle celebrazioni di oggi prevede alle 10,45 la
deposizione di corone alle lapidi che ricordano i caduti. Alle
all’esplosione dei regimi dittatoriali del secolo scorso. Conoscere
la storia è elemento essenziale
per non ripetere gli errori del passato. La nascita del nuovo Museo
ha dato la spinta decisiva per dare
forma a un’idea che già era nata
in Val Gandino da alcuni anni».
Al progetto oltre allo stesso
Cazzaniga hanno lavorato Francesco Moro di Casnigo, allievo
dell’Accademia Carrara e autore
dei disegni, e Naomi Zambon di
Peia che ha curato grafica e impaginazione. La pubblicazione è
stata sostenuta economicamente
dai comuni di Casnigo, Gandino,
Leffe, Peia e Cazzano, che hanno
fatto dono di una copia omaggio
a tutti i ragazzi di terza media. Per
non dimenticare. 1
G. B. G.
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L’ECO DI BERGAMO
DOMENICA 17 NOVEMBRE 2013
Una maschera di sangue
Fu creduto morto, così si salvò
Alle pareti, le fotografie raccontano l’epopea partigiana
Schilpario, in 12 furono uccisi dai militari fascisti della Tagliamento
Il figlio racconta del padre partigiano scampato alla strage dei Fondi
ILDO SERANTONI
Il rifugio alla Malga Lunga meta di turisti e appassionati di storia
Una postazione multimediale per avvicinare i giovani alla storia
11,15 l’Anpi presenterà le attività svolte e il programma
2013, mentre alle 11,45 chiuderà la mattinata l’intervento di
Roberto Cenati, vicepresidente Anpi regionale della Lombardia.
Per salire alla Malga Lunga
è possibile percorrere la strada
carrabile che dagli opifici di
Gandino sale verso Valpiana.
Dalle aree di parcheggio in località Teade (a pagamento con
tagliandi «gratta e sosta» in
vendita negli esercizi pubblici
di Gandino) si sale agevolmente alla Malga attraverso un sentiero. Predisposto per l’occasione anche un servizio navetta con minibus. Info complete
su www.malgalunga.it. 1
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il28aprile1945laguerra
è finita da tre giorni. Tedeschi e
fascistibattonodisordinatamente
in ritirata. Nelle città del Nord,
finalmente liberate dal giogo dell’oppressione, i patrioti sfilano sui
camion sventolando le bandiere:
rosse, bianche, soprattutto tricolori. La gente si riversa felice sulle
strade, applaude e lancia fiori. Ma
non è così dappertutto. Su in montagna le armi crepitano ancora. Ci
sono conti da regolare, vendette
da consumare. A Schilpario, verso
le 6 del pomeriggio, giunge la notizia che dal passo del Vivione sta
venendogiùungruppodisbandati
fascisti della famigerata «Tagliamento», uno dei reparti più tragicamente noti dell’esercito di Salò.
Sono in fuga dal Mortirolo e dalla
Valcamonica: arrivati ai Fondi,
dunque in prossimità del paese, si
sono asserragliati in un edificio
delcantiereminerario,dopoavere
catturato i contadini che si trovavano nelle baite.
NellasedeimprovvisatadelCln
si vivono momenti febbrili. Si
scontrano valutazioni diverse.
Che fare? Andare incontro ai fascisti e invitarli ad arrendersi perché la guerra è finita? Oppure, più
prudentemente, fare una ricognizione per osservarne i movimenti
e organizzare un’avanzata militare? Prevale la prima opinione, basata su un precedente rassicurante: qualche ora prima il distaccamento della stessa «Tagliamento»
dislocato al Dezzo si era arreso
senza colpo ferire. Non solo: uno
di quei prigionieri, il tenente medico Giovanni Scolari, si offre come intermediario per convincere
i suoi ad arrendersi senza opporre
resistenza.
Alle 8 di sera, mentre sulla valle
di Scalve viene giù un’acqua mista
a neve, 19 uomini salgono su un
camion che si dirige verso i Fondi.
A bordo del mezzo, un autocarro
tedesco requisito al Dezzo il 25
aprile, c’è anche Giorgio Serantoni, papà di chi scrive, partigiano
inquadrato nelle «Fiamme Verdi»
della «Tito Speri »con sede operativa a Breno, in Valle Camonica. È
lui che comanda quella spedizione, composta non solo da combattenti, ma anche da giovani volenterosi del paese che si sono messi
a disposizione «per dare una mano». Viene caricata una mitragliatrice, perché non si sa mai, ma è
convinzione dei più che non servirà: vedrete che quelli della Tagliamento si arrenderanno come avevano fatto i loro camerati del Dezzo.
L’automezzo, i fari oscurati, arriva ai Fondi. La luce fioca consentecomunquediscorgereglielmetti lucidi di pioggia dei fascisti appostati sopra la tettoia dei forni,
altri armati fino ai denti sono alle
finestre del caseggiato. Sono di-
I funerali delle vittime dei Fondi QUADERNO 1 MUSEO ETNOGRAFICO SCHILPARIO
sposti in assetto di guerra, come se
sapessero che qualcuno stava per
arrivare. Un agguato in piena regola. Parte una scarica di mitraglia
che blocca l’avanzata del camion.
I patrioti scendono e urlano di lasciare le armi, la guerra è finita
diamine. Il tenente medico, davanti a tutti, vestito da militare, la
fascia della Croce Rossa al braccio,
dunque ben riconoscibile, urla:
«Giù le armi ragazzi, che non vi
fanno niente». La risposta è una
sventagliata che lo crivella di colpi:
è il primo a perdere la vita. Quella
che segue è una strage di inenarrabile efferatezza. Il fuoco delle mitragliatrici e i lanci delle bombe a
mano inchiodano il camion senza
lasciargli la possibilità del minimo
movimento.
I partigiani, senz’armi, in fuga
disperata, cercano riparo dietro
gli abeti, nelle buche del terreno,
nelle gallerie della miniera. Vengono inseguiti, abbattuti, finiti a
colpi di pistola e di pugnale, depredati delle poche cose che hanno
addosso: portafogli, orologi, giacche a vento. Una carneficina. Alla
fine ne restano sul terreno 11, con
il medico 12. I sette che si salvano
lo devono al caso. Uno, illeso, trova
scampo abbracciandosi al cadavere di un compagno sotto il quale si
nasconde. Altri si fingono morti.
Due o tre erano riusciti a scappare
dopo la prima scarica di mitra.
Il massacro dura un quarto
d’ora, poi i fascisti, ovviamente
tutti incolumi perché dal camion
non è partito un solo colpo, risalgono verso il passo. Giorgio Serantoni, stordito e ferito a un occhio
dalla scheggia di una bomba a mano, era una maschera di sangue:
così conciato era stato creduto
morto e il boia era passato oltre.
Quando il silenzio torna nell’abe-
taia, Serantoni si allontana dal
luogo della strage. Non torna a
Schilpario, scavalca la montagna
e scende a Villa di Lozio per avvertire il comando delle Fiamme Verdi, a Breno, e consentire l’invio di
rinforzi su in valle. Intanto trova
asilo nella casa parrocchiale di Cividate Camuno, che il prevosto
don Carlo Comensoli ha trasformato in un rifugio per i partigiani.
Chiunque arrivi, di giorno o di notte, sa che c’è un materasso per dormireeunafinestrachedàsulbrolo
per scappare in caso di necessità.
Schilpario viene a sapere della
strage al risveglio, la mattina del
29 aprile. Il paese sprofonda in un
lutto senza fine. I cadaveri vengono recuperati e composti pietosamente. In molte case si piangono
i morti. Francesca Mora non ha
più lacrime: su ai Fondi i fascisti le
hanno ammazzato due figli e un
fratello. Olga Serantoni, giovane
moglie del comandante, stringendo fra le braccia l’autore di questo
articolo, che ha quattro anni, e con
un secondo figlio che le sta crescendo nel pancione, vive ore di
disperazione. Non sa nulla della
sorte del marito: potrebbe essere
morto, o chi lo sa, nelle mani dei
carnefici che lo stanno torturando. Scrive una lettera straziante
allamammadiGiorgio,dellaquale
noi figli verremo a conoscenza soltanto molti anni più tardi.
Dopo tre giorni, papà, bendato
all’occhio irrimediabilmente offeso, tornerà a Schilpario in tempo
per accompagnare nell’ultimo
viaggio i suoi compagni Caduti per
la libertà, avvolti nel tricolore. Nel
suo animo né la Liberazione per
la quale aveva tanto combattuto,
né la gioia di riabbracciare la sua
donna e il suo bambino riescono
a prevalere sul dolore. Il paese in
lutto elabora sentimenti che lo feriscono profondamente. Al punto
tale che, per il resto della sua vita,
non metterà mai più piede in valle
di Scalve. C’è chi pensa che sia stata una imperdonabile imprudenza andare incontro col ramoscello
d’ulivo a quelle canaglie assetate
di odio e di sangue. Ma è ragionevole pensare che senza l’eroico sacrificio di quei 12 martiri, i fascisti
quella notte non si sarebbero fermati ai Fondi, avrebbero messo a
ferro e fuoco l’intero paese. E
Schilpario sarebbe ricordato oggi
come Boves, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema.
Sull’eccidio dei Fondi sono stati
scritti libri, frutto di minuziose
ricostruzioni. Uno di questi volumi, dal titolo emblematico «Credettero che bastasse venir cantando», autori Angelo Bendotti e Giuliana Bertacchi, pubblicato nel
cinquantenario della strage, è
aperto da una toccante introduzione di don Andrea Spada, schilpariese, storico direttore de
«L’Eco di Bergamo», di cui trascriviamo volentieri le nobili parole.
Scrive Spada: «I 12 giovani che
raccolgono l’invito del presidente
del Cln si dirigono incontro a un
gruppo disperso di fascisti, che
erano arrivati al villaggio minerario dei Fondi, perché venissero accolti alla libertà. Salgono su un autocarro con una bandiera, per andarli a ricevere. Un gesto fraterno
di assoluta nobiltà, la gioia di perdonare, di farla finita con gli odi,
con le lacrime, di riaccendere una
luce dopo tanti giorni di buio e di
incubi. E vengono falciati dal più
vile degli agguati con lo stesso medico del reparto fascista che si era
offerto di accompagnare la spedizione per favorire la resa specifica.
“O Signore che queste montagne
non vedano mai più simili orrori”
è scritto sulla lapide dei Fondi.
Cinquant’anni non hanno spento
le lacrime e l’orrore del ricordo.
Ma nei tempi che verranno, quando non ci saranno più i testimoni
che hanno vissuto e pianto in quel
lontano 28 aprile, quando forse le
stesse case che furono devastate
da quell’immenso strazio saranno
rimaste svuotate e lasciate dal
tempo sole con le foto appese nelle
stanze, forse che proprio allora
non ci sarà più bisogno di tener
sempre netto e vero nelle future
generazioni la memoria di quell’Olocausto? Con tutti i suoi tremendi moniti. Quei giovani che
correvano gioiosi, con la bandiera,
sperando di incontrare dei fratelli
che avevano deciso di arrendersi
alla libertà e, di contro, la spaventosa testimonianza degli abissi di
viltà, di efferatezza, di disumanità
in coloro che avevano teso l’agguato, dimostrando dove può arrivare
l’odio covato nel cuore dell’uomo». 1
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Alla Malga Longa rievocazione partigiana