SOCIETA’
DI SCIENZE
FARMACOLOGICHE
APPLICATE
SSFAoggi
SOCIETY FOR APPLIED
PHARMACOLOGICAL
SCIENCES
Notiziario di Medicina Farmaceutica
Febbraio 2015
numero
Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate
Fondata nel 1964
47
Sommario:
Editoriale
Una buona idea
1
Molti lettori ricorderanno di aver visto, nello scorCongressi
2 so mese di dicembre, l’opuscolo AIFA raffigurato
a lato. E’ stato distribuito con i quotidiani, e con
Sperimentazione no-profit
3 diversi periodici. A noi è sembrata una buona idea: si parla molto poco di farmaci in gravidanza
Congresso BIAS
4 (come anche scrive un editoriale di The Lancet,
che potete leggere a pagina 26), c’è molta disinConvegno SIF
6 formazione, quasi paura, ad affrontare questo
argomento. Ma giova ricordare che una gravidanEMA workshop
8 za dura nove mesi, è molto difficile che una donna incinta non abbia necessità di prendere almeOggi parliamo di……
9 no un farmaco in questo periodo, ed è bene che,
se necessario, lo faccia con tutta la tranquillità
OMS e mercurio
11 che richiede un periodo così delicato.
Quindi, lasciateci dire che molto bene ha fatto AIFA ad affrontare questo tema, in
modo sereno e scientificamente documentato.
SSFAoggi incontra……
12 Come scrive il prof. Luca Pani nella presentazione dell’opuscolo “…..Il Comitato
Scientifico ha lavorato alla revisione bibliografica di 270 principi attivi ed alla reaRapporto medico-paziente
15 lizzazione di 140 schede di patologia, per gli operatori sanitari e per le mamme.
Le schede forniscono informazioni sulle possibilità di cure presenti per le patoloADR
17 gie che più frequentemente si verificano in gravidanza, o per le malattie croniche
presenti al momento del concepimento.
Sperimentazione clinica in Italia 18 La campagna di comunicazione dell’Agenzia si prefigge di raggiungere in particolare la popolazione femminile, fornendo, in un panorama comunicativo contraddiTavola rotonda su BPL
19 stinto da fonti non sempre attendibili e da informazioni frammentarie, parziali e
spesso palesemente infondate, un punto di riferimento autorevole per informazioni certificate che riguardano i profili di sicurezza ed efficacia dei farmaci prima,
BPL
23 durante e dopo la gravidanza.”
Una buona idea, appunto.
Domenico Criscuolo
FDA 2014 approvals
24
The Lancet
25
The BMJ
27
Certificazione qualità
28
Biosimilari
30
Spesa farmaceutica
32
EMA
33
ROME, 10-11 JUNE, 2015
Progetto Quelypharm
34
INFORMAZIONE IMPORTANTE PER TUTTI I SOCI !
Breath analysis
36
Gestione studi clinici
38
News on Clinical Trials
39
PRENDETE NOTA DI QUESTA DATA: SSFA, IN COLLABORAZIONE CON
IFAPP E PHARMATRAIN, ORGANIZZA UN CONVEGNO INTERNAZIONALE
SUL TEMA DELLA FORMAZIONE CONTINUA. NEL PROSSIMO NUMERO
DI SSFAOGGI TROVERETE IL PROGRAMMA ED ULTERIORI DETTAGLI.
BLOCCATE LA DATA SULLA VOSTRA AGENDA.
Nuovi Soci
40
SOCIETÀ
DI SCIENZE
FARMACOLOGICHE
APPLICATE
SOCIETY
FOR APPLIED
PHARMACOLOGICAL
SCIENCES
FONDATA NEL 1964
ADVANCING COMPETENT PROFESSIONALS IN
MEDICINES DEVELOPMENT
A
PHARMATRAIN – IFAPP – SSFA CONFERENCE
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Anno IX numero 47
Pagina 2
NOTIZIE
Lo scorso mese di novembre 2014,
nelle giornate del 12 e del 14, si sono svolti a Milano due convegni dedicati alla ricerca clinica in Italia.
Entrambi gli eventi sono stati patrocinati da SSFA.
Il primo, organizzato da Pharma Education Center, era diviso in una
sessione regolatoria ed in una sessione sulle nuove sfide della Ricerca
Clinica. La partecipazione è stata
discreta sia come numero di presenti
(circa 60 persone) sia per la qualità
della discussione che si è avuta durante le presentazioni. Tra questi
erano presenti le dottoresse Angela
Del Vecchio e Donatella Gramaglia
di AIFA, che hanno trattato rispettivamente due argomenti molto attuali
come le ispezioni presso aziende,
CRO e centri sperimentali ed i punti
di novità del nuovo Regolamento
Europeo. E’ stato successivamente
affrontato dalle dottoresse Barbara
Grassi di GSK e Sara Cazzaniga di
Janssen il tema del Risk Based Monitoring, del quale sono stati sottolineati sia gli aspetti teorici sia quelli
pratici ed attuativi. Particolarmente
interessante e fonte di notevole interazione con il pubblico è stata la presentazione del dr. Virginio Oldani di
Novartis dal titolo “Innovazione strategica nei clinical trials: quali le sfide
future?”. Egli ha sottolineato come i
costi della sperimentazione clinica
siano ormai insostenibili e pertanto
la ricerca clinica deve cambiare, soprattutto con l’aiuto della tecnologia,
e con nuovi dispositivi, digitalizzazione, accesso ai dati/informazioni.
L’obiettivo principale è rivoluzionare
il modo in cui gli studi sono condotti
per migliorare l’efficienza operativa,
ridurre il tempo di reclutamento e il
carico della partecipazione per il
DA
CONGRESSI
paziente e per lo sperimentatore,
senza compromettere la qualità del
dato e la sicurezza del paziente.
Nello studio clinico del futuro saranno utilizzate tecnologie emergenti
per introdurre modelli sperimentali
innovativi incentrati sul
paziente, perché occorre spostare le procedure dello studio dal
centro specialistico alla
routine quotidiana del
paziente. In definitiva
lo sviluppo clinico diventa
pazientecentrico. Può la tecnologia da sola risolvere
tutti i problemi e può la
tecnologia da sola far tornare i conti
e rendere la ricerca clinica sostenibile ovunque? Sicuramente no, tuttavia è necessaria per condurre in modo diverso gli studi clinici al fine di
rendere sostenibile i costi della ricerca clinica. Il convegno è stato chiuso
dagli interventi della dr.ssa Roberta
Joppi sulla razionalizzazione dei
comitati etici con l’esperienza della
regione Veneto, e da chi scrive che
ha trattato il ruolo dell’outsourcing
nella ricerca e sviluppo di oggi e la
previsione per i prossimi cinque anni.
Il secondo convegno è stato organizzato dall’Associazione Italiana delle
CRO (AICRO) per celebrare i dieci
anni dalla fondazione ed ha visto
una notevole partecipazione, con
circa un centinaio di persone, soprattutto appartenenti a CRO ma
anche ad aziende farmaceutiche ed
università.
La giornata era divisa in tre sessioni.
La prima è stata aperta dal presidente di AICRO, la dr.ssa Mariapia Cirenei, che ha ricordato la nascita
dell’associazione con i principali obbiettivi e le prospettive future di svi-
luppo e di collaborazione con altre
società ed enti pubblici e privati.
Il dr Stefano Marini, tesoriere di AICRO e presidente di EUCROF, ha
invece presentato la storia della federazione Europea delle CRO e lo
scenario internazionale con associati
provenienti da 17 Paesi con 300
CRO ed oltre 15.000 dipendenti.
Nel corso della mattinata si sono
succedute le presentazioni della
dr.ssa Barbara Grassi di GSK sul
modello TransCelerate, del dr. Antonino Amato su un nuovo modello di
collaborazione tra Industria, CRO e
Centri di Ricerca, del dr Giuseppe
Caruso di Farmindustria e delle
dr.sse Maura Bertini e Stefania Bastianello sul ruolo delle associazioni
di pazienti nell’ambito della ricerca
clinica. Molto interessante è stato,
tra gli altri, l’intervento del dr Caruso
che ha illustrato il futuro della ricerca
farmaceutica in Italia mettendo in
evidenza la complessità crescente e
la necessità di ricorrere a disegni
adattativi come strategia vincente
per il futuro. Egli ha sottolineato
l’importanza che assumeranno sempre più l’informatica e la robotica al
servizio della ricerca: maggiore predittività e minore spesa.
La seconda sessione è stata dedicata agli aspetti regolatori con la dr.ssa Cristina Lupo di Parexel
che ha parlato del
nuovo
osservatorio
riattivato dal 1 ottobre
scorso e con il prof
Vincenzo Salvatore,
senior Counsel-Sidley
Austin LLP, che ha
fatto alcune riflessioni
sul Regolamento Europeo della sperimentazione clinica. La terza sessione, infine, ha trattato il ruolo
dell’Università nella preparazione di
nuovi professionisti della ricerca clinica con la presentazione del prof
Antonio Torsello della Università di
Milano-Bicocca, seguito da due ex
studenti del master che hanno accennato a qualche esperienza pratica maturata in aziende come stagisti.
Marco Romano
Anno IX numero 47
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La sperimentazione clinica no-profit in Italia:
criticità, opportunità, prospettive
Nella bellissima sala convegni del
palazzo della regione Lombardia, lo
scorso 10 dicembre AFI e regione
Lombardia hanno proposto un convegno su un tema sempre molto
attuale: la ricerca indipendente.
L’appuntamento era molto ghiotto,
sia per il tema sia per i relatori invitati: ed infatti circa duecento colleghi
erano presenti, sia per essere aggiornati sul tema, sia per contribuire
al dibattito.
Dopo un saluto di benvenuto da parte di AFI, ha preso la parola il prof.
Silvio Garattini (Ist. Mario Negri) ricordando che il nostro Paese sta
perdendo terreno nel confronto internazionale (una recente analisi ci
vede oltre il trentesimo posto in riferimento al parametro di attrattività
per la ricerca clinica), ed ha ricordato che poche sono le risorse disponibili per la ricerca indipendente.
E’ poi intervenuto il dr. Mario Melazzini (regione Lombardia) ricordando
il ruolo propositivo svolto dalle istituzioni a sostegno della ricerca indipendente, e ricordando che la Lombardia è terra feconda per la ricerca,
in quanto il 28,7% dei brevetti italiani
ha origine nei laboratori di ricerca
lombardi.
Ha continuato il dr. Maurizio Agostini
(Farmindustria) ribadendo che la
ricerca indipendente è sempre vista
come complementare alla ricerca
industriale, e
che
questo
tipo di ricerca
in Italia ha
avuto sempre
un ruolo di
grande importanza: infatti
gli studi no
profit in Italia
sono il 37,5%
del totale, rispetto ad un
ben inferiore
20% riportato
come media
dei paesi EU.
E’ poi intervenuto il dr. Giuseppe Recchia (GSK)
che ha ribadito a sua volta
l’importanza della ricerca indipendente: ma si è detto (giustamente a
nostro avviso) molto stupito dalla
tipologia di questa ricerca. Infatti
sarebbe logico aspettarsi una preponderanza di studi di Fase IV oppure III: invece, la maggioranza degli
studi no-profit (circa il 50%) sono di
Fase II.
E’ corretto questo sbilanciamento?
A conclusione della mattina, il prof.
Alessandro Mugelli (SIF) ha illustrato
le attività dei Comitati Etici della regione Toscana, ricordando che la
regione offre molti contributi alla ricerca indipendente.
Nel pomeriggio ci sono state diverse
relazioni di tipo tecnico-
organizzativo: riferiamo solamente
quella della dr.ssa Liliana Burzillieri
(regione Lombardia) la quale ha ricordato che, a seguito della riorganizzazione dei Comitati Etici, oggi in
Lombardia ci sono 10 Comitati Etici
presso i vari ospedali (accorpando le
attività di diversi ospedali, e rispettando il parametro di un CE per milione di abitanti): inoltre ci sono altri
11 CE come emanazione dei diversi
IRCCS).
La relatrice ha dovuto ammettere che il funzionamento dei
CE, soprattutto in relazione al
rispetto dei tempi, non è ancora soddisfacente: ma ha anche ricordato che molto tempo
dei CE viene dedicato
dall’esame degli emendamenti, che sono in media due per
protocollo!
In conclusione, è stato un incontro ben organizzato, utile
ed informativo.
Auspichiamo che SSFA riprenda la collaborazione con
AFI, per organizzare congiuntamente prossimi convegni sui
temi della sperimentazione clinica.
Domenico Criscuolo
Anno IX numero 47
Pagina 4
CONGRESSO NAZIONALE BIAS
Tra un'alluvione e l'altra, il 30 e 31
ottobre 2014 si è tenuto a Genova il
VI congresso del gruppo di lavoro
BIAS (Biometristi dell’Industria ASsociati).
Il congresso è stato dedicato all'analisi della sopravvivenza, con particolare attenzione alle sue applicazioni
in oncologia.
Secondo il modello adottato dal comitato BIAS, il congresso è stato
impostato come un corso-percorso
che potesse toccare tutti gli argomenti inerenti il tema trattato, partendo da aspetti generali e di base, in
modo da coinvolgere i partecipanti,
interessati agli studi con endpoints di
sopravvivenza ma senza una solida
conoscenza della statistica (medici,
data manager e CRA), per poi trattare i diversi metodi di analisi disponibili per i dati di sopravvivenza.
Gli interventi sono stati presentati da
colleghi, tutti italiani, provenienti
dall’università, da istituti pubblici e
dall’industria.
Dopo il saluto commosso del presidente della SSFA Marco Romano,
genovese di origine, che ha ricordato i disastri, e la vittima, provocati
dall'alluvione del 9 ottobre, l'introdu-
zione al congresso è stata affidata a
Valter Torri, dell'Istituto Mario Negri
(Milano), che ha presentato una vasta panoramica relativa all'analisi
della sopravvivenza ed al suo utilizzo in oncologia.
Successivamente, Rino Bellocco, ha
condiviso parte della sua notevole
esperienza maturata presso l'Università di Milano Bicocca e il Karolinska
Institutet (Stoccolma), introducendo
mirabilmente le curve di KaplanMeier e il Log-Rank test: insomma,
le basi dell'analisi della sopravvivenza.
Il BIAS annovera tra i suoi soci molti
data manager, quindi, soprattutto
per loro, ma non solo, Deborah Zanchetta di CLIOSS (Nerviano) ha illustrato trucchi e consigli su come disegnare una CRF per la raccolta dati
negli studi oncologici, mentre Angelo
Tinazzi, di Cytel (Ginevra), ha descritto come CDISC ADAM e SDTM
permettono di trattare i dati relativi
all'analisi di sopravvivenza.
Dulcis in fundo, e per finire in bellezza, largo ai giovani, con due tra gli
interventi più apprezzati del congresso.
Eliana Rulli dell'Istituto Mario Negri
ha introdotto e descritto il modello di
Cox nel modo più chiaro e comprensibile possibile e Andrea Bellavia del
Karolinska Institutet ha spiegato come è possibile trarre informazioni più
utili dalle curve di Kaplan-Meier e ha
presentato la “quantile regression”,
uno degli ultimi aggiornamenti in
fatto di analisi della sopravvivenza.
La giornata si è conclusa con un'intensa riunione dei soci BIAS, allargata a tutti i partecipanti al Congresso, in cui, oltre ad alcune novità relative al BIAS come gruppo di lavoro
SSFA, si è parlato della European
Federation of Statisticians in the
Pharmaceutical Industry (EFSPI) e
di un progetto di accreditamento
della professionalità statistica.
Il programma sociale della serata
comprendeva un giro turistico della
città di Genova a bordo del trenino
Pippo (sì, proprio quello dei bambini!) ed una cena tipica presso un
ristorante del centro storico, proprio
di fronte alla Cattedrale di San Lorenzo. Tutto è andato per il meglio,
compreso il tempo, finalmente clemente.
Paolo Bruzzi, dell'IRCCS AUO San
(Continua a pagina 5)
Pagina 5
Anno IX numero 47
(Continua da pagina 4)
Martino IST (Genova), ha dato inizio
alla seconda giornata con
un’approfondita riflessione sugli errori comuni nell’analisi e nella presentazione dei dati di sopravvivenza,
suscitando una vivace discussione
scientifica. Quindi, Stefania Galimberti e Laura Antolini, entrambe
dell'Università Milano-Bicocca, hanno alzato l'asticella introducendo
tecniche di analisi statistica più avanzate, tra cui modelli parametrici,
modelli “Accelerated Failure Time” e
L’evento si è concluso con un breve
giro di domande ai relatori, prima
che il comitato BIAS comunicasse
agli iscritti le prospettive future e
chiudesse l’evento con i doverosi
ringraziamenti.
Al congresso sono intervenute circa
80 persone, relatori compresi. Una
ventina di questi erano studenti.
Da un sondaggio preliminare al congresso è emerso che l’audience era
abbastanza eterogenea: infatti un
30% dei partecipanti non era laureato in statistica, un 20% dei parteci-
organizzando il seminario di primavera, che si terrà il 20 marzo 2015
presso SAS Institute a Milano, che
anche quest'anno ci ospiterà.
Per la scelta dell’argomento, il Comitato BIAS si è servito di un questionario, distribuito già durante il congresso e replicato poi online, tramite
il quale i soci hanno potuto scegliere
tra i temi proposti o suggerirne di
nuovi.
In base ai risultati ottenuti, è stato
scelto “Data Visualization in Clinical
Research”; cioè come rappresentare
Da sinistra Angelo Tinazzi, Fabio Montanaro, Stefania Mirandola, Beatrice Barbetta e Glauco Cappellini
analisi in presenza di rischi competitivi, mentre Vincenzo Bagnardi,
anch'egli dell'Università MilanoBicocca, ha presentato interessanti
metodiche per stimare il campione
necessario per gli studi clinici.
Anna Polli di Pfizer (Milano), ha riportato le analisi effettuate e i risultati di uno studio registrativo vincente
basato su analisi di sopravvivenza in
oncologia.
Infine Dario Gregori, dell'Università
di Padova, ha presentato la “patientcentered outcome research” (PCOR)
limitatamente all’analisi di sopravvivenza e Massimo Martucci di SAS
(Milano) ha presentato le funzionalità JMP utilizzabili in questo tipo di
analisi.
panti non faceva analisi statistica e
un 30% dei soggetti non utilizzava
tecniche di analisi della sopravvivenza.
Riteniamo che la qualità delle relazioni sia stata complessivamente di
buon livello e l'interesse elevato, con
una buona partecipazione attiva da
parte del pubblico.
Il comitato BIAS ringrazia i relatori,
tutti i partecipanti, i quattro sponsor
dell’evento (Cytel, TSTAT, RottapharmBiotech e Latis), SISMEC per
aver dato il suo patrocinio e soprattutto SSFA per il supporto organizzativo e logistico, sempre prezioso.
Archiviato positivamente il congresso 2014, il comitato BIAS sta già
le informazioni mediante vari tipi di
grafici in ambito clinico (ad esempio i
dati demografici dei pazienti).
Vi terremo informati sugli ulteriori
dettagli relativi al programma. Arrivederci al prossimo evento; noi speriamo di trovarvi numerosi e interessati
come sempre.
Fabio Montanaro
Le presentazioni autorizzate
sono disponibili sul sito
WWW.SSFA.IT
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GLOBALIZZAZIONE E RICERCA CLINICA
PER LO SVILUPPO DEI FARMACI
Milano, 16 dicembre 2014
Nell’Aula Magna dell’Istituto
di Farmacologia dell’Università di
Milano si è tenuto un interessante
convegno, dal titolo sopra riportato,
organizzato dalla sezione di Farmacologia Clinica della SIF con il contributo educazionale non condizionato
di Sanofi.
Dopo il saluto introduttivo
del prof. Francesco Rossi, Presidente della SIF e del prof. Francesco
Scaglione, Direttore del Dipartimento
di Farmacologia, Chemioterapia e
Tossicologia Medica dell’Università
di Milano, il dr. Giuseppe Recchia
(GlaxoSmithKline) ha illustrato i profondi cambiamenti in corso nello
sviluppo clinico dei farmaci, sia sotto
l’aspetto qualitativo che quantitativo.
La crescente disponibilità di farmaci
importanti divenuti generici accresce
la difficoltà di investire nella innovazione: l’asticella si è alzata. La ricerca si orienta progressivamente verso
il settore della oncologia e delle malattie rare: ciò comporta un cambiamento nelle caratteristiche e nelle
competenze degli sperimentatori.
L’accademia dà oggi il maggiore
contributo alla scoperta di nuovi farmaci (ma non in Italia), mentre alle
aziende, che dispongono di adeguate risorse, spetta il compito dello
sviluppo, con i rischi connessi. Ciò
spiega anche perché si vada accentuando il processo di acquisizioni e
fusioni delle aziende farmaceutiche.
Cresce anche l’importanza nella
sperimentazione clinica delle associazioni di pazienti (un esempio è la
Patients Like Me) e lo sviluppo di
approcci allo sviluppo clinico aventi
l’obiettivo di accelerare e semplificare il suo svolgimento (un esempio è
Transcelerate).
Dal punto di vista quantitativo si osserva in tutto il mondo una
progressiva diminuzione del numero
di pazienti arruolati nei trial clinici.
Ciò può essere ascritto sia
all’orientamento verso lo studio di
rimedi per le malattie rare, sia alla
crescente possibilità di selezionare
pazienti responsivi in base alla presenza di marker specifici, ed ai progressi della farmacogenetica e della
farmacogenomica. Per quanto riguarda l’Italia, prevalgono gli studi
nel settore oncologico ma purtroppo
tutte le indagini dimostrano che il
nostro Paese ha scarsa attractiveness per gli studi con farmaci (si
ricordi la recente indagine della A.T.
Kearney dove l’Italia non figurava
nella classifica dei primi 30 paesi al
mondo in base al Clinical Trial Attractiveness Index).
Il prof. Rossi ha dedicato il
proprio intervento ad un approfondito esame della situazione italiana. Si
è assistito ad un aumento della ricerca non profit, anch’essa prevalentemente in campo oncologico. Ha lamentato alcuni aspetti che contribuiscono a ridurre l’attrattività dell’Italia
per gli studi clinici, come la lentezza
dei Comitati Etici, la mancanza di un
sistema fiscale che incentivi la ricerca, il ritardo nell’accesso ai nuovi
farmaci.
In sostituzione della dr.ssa
Loredana Bergamini, impossibilitata
ad essere presente, il dr. Marco
Scatigna (Sanofi) ha parlato sulla
evoluzione della ricerca clinica in
Italia. Il punto critico, secondo
l’oratore, è rappresentato nel nostro
Paese dalla mancanza di managerialità nella ricerca clinica. Per gli
studi di Fase II non esistono in genere problemi in quanto sono condotti
in pochi centri bene organizzati e
strutturati per condurre studi clinici. Il
problema si pone quando si allarga il
numero dei centri partecipanti per gli
studi di Fase III e si deve quindi coinvolgere strutture che mancano di
una specifica organizzazione indirizzata ai trial. La direzione medica di
Sanofi opera anche nei paesi dell’est
europeo e può quindi rilevare come
in questi paesi la qualità degli operatori e l’appropriatezza delle strutture
siano grandemente cresciute. Va
ribadito che per una multinazionale
oggi sono la qualità ed i tempi i fattori determinanti nella scelta dei paesi
e dei centri, mentre il costo ha perso
ogni importanza. Il problema non è
quindi la qualità dei ricercatori, che è
di ottimo livello, ma la mancanza di
una struttura organizzativa adeguata
alle odierne esigenze della ricerca
clinica (mancanza di una segreteria
scientifica, di project manager, di
linee guida operative).
AIFA era presente con la
dr.ssa Donatella Gramaglia, la quale
ha iniziato il proprio intervento ricordando come, malgrado i numerosi
problemi sorti negli ultimi mesi
(riduzione del numero dei Comitati
Etici, paralisi protratta
dell’Osservatorio della Sperimentazione Clinica) il numero di sperimentazioni cliniche in Italia sia rimasto
vicino a quello degli anni precedenti
(intorno a 650). Importanti sfide si
profilano per AIFA: il nuovo ruolo di
Autorità Competente per tutti gli studi clinici provoca un marcato aumento del carico di lavoro (oltre 2000
procedure annuali), la nuova tempistica che il Regolamento Europeo
introdurrà (45 giorni per le risposte),
difficoltà di reperimento di specialisti
in malattie rare ed ultrarare da utilizzare come consulenti i quali non
siano contemporaneamente anche
sperimentatori. La dr.ssa Gramaglia
si è poi soffermata sul nuovo Regolamento Europeo, sottolineando le
note criticità (vedi anche articolo su
SSFA Oggi n. 44 di agosto 2014)
che appaiono essere condivise da
gran parte degli operatori nel campo
della sperimentazione con farmaci.
Il prof. Giancarlo Agnelli
(Università di Perugia, direttore della
Stroke Unit) ha introdotto la distinzione tra Regulatory Research e
Real World Research. La prima è
fondamentalmente condotta dalle
aziende farmaceutiche allo scopo di
introdurre una nuova molecola sul
mercato, mentre la seconda, generalmente eseguita con farmaci registrati e nelle indicazioni approvate
su ampie popolazioni di pazienti, si
propone di approfondire importanti
aspetti clinici, come ad esempio se
sia opportuno prolungare una terapia oltre i limiti generalmente oggetto
di precedenti studi, se una riduzione
dei dosaggi con intervalli più brevi
tra le somministrazioni sia preferibile
sotto il profilo della tollerabilità e del(Continua a pagina 7)
Anno IX numero 47
Pagina 7
(Continua da pagina 6)
la compliance. Il prof. Agnelli ha portato alcuni interessanti esempi di
studi di questo genere a sostegno
del ruolo che l’Università può autonomamente svolgere nella ricerca
clinica.
Il dr. Gualberto Gussoni
(FADOI) ha sottolineato l’importanza
della ricerca nell’ambiente ospedaliero per l’arricchimento culturale del
medico ma anche per migliorare la
metodologia assistenziale. In Italia
circa 350 ospedali (un quarto del
totale) partecipano a sperimentazioni cliniche, circa il 20% delle quali
non sono farmacologiche ed il 43%
sono di tipo osservazionale. La ricerca indipendente presenta naturalmente numerose criticità e secondo
Gussoni sarebbe opportuno elabora-
re un documento che affronti, sulla
base delle esperienze acquisite, il
problema degli studi no profit in Italia.
L’ultima relazione è stata
presentata dal dr. Walter Marrocco
(responsabile scientifico FIMMG), il
quale ha ricordato l’importante ruolo
che il MMG può svolgere per completare le conoscenze su vantaggi e
svantaggi delle terapie. Un MMG
visita almeno una volta l’anno tutti i
propri pazienti, ma molti di essi, affetti da polipatologie croniche, che
richiedono una continua sorveglianza e frequenti aggiustamenti o cambiamenti di terapia, vengono a visita
anche settimanalmente. Gli ambulatori del generalista sono quindi una
fonte preziosissima ed insostituibile
di informazioni sulle terapie e
sull’andamento di molte malattie.
L’avvento del DM 10 maggio 2001
che dava anche ai MMG ed ai Pediatri di Libera Scelta la possibilità di
partecipare a sperimentazioni cliniche con farmaci determinò l’avvio di
molti studi, tuttavia il loro numero è
andato progressivamente scemando
ed oggi si avvicina allo zero.
In conclusione, si è trattato
di un convegno di grande interesse,
dal quale emergono aspetti positivi,
ma anche la persistente presenza
nel nostro Paese di elementi che
richiedono adeguata correzione, se
veramente si vuole portare in Italia
una sperimentazione clinica di qualità.
Luciano M. Fuccella
AVVISO DI CONVOCAZIONE DI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
Caro Socio,
comunico che il Consiglio Direttivo, in base all'Art. 10 dello statuto, ha deliberato di convocare l'Assemblea Generale ordinaria annuale il giorno:
Martedì, 24 Marzo 2015
presso la sede SSFA - Viale Abruzzi 32 - MILANO
Per motivi organizzativi Vi preghiamo di comunicare la Vostra presenza - Grazie
alle ore 8.00 in prima convocazione e, qualora il numero dei partecipanti non ne consenta la valida costituzione, in seconda convocazione:
DALLE ORE 15.30 ALLE ORE 17.00
Con il seguente Ordine del Giorno:
Relazione del Presidente
Relazione del Tesoriere
Approvazione del rendiconto economico e finanziario del 2014
Ratifica della quota associativa per l'anno 2015
Attività dei Gruppi di Lavoro
Varie ed eventuali
Anno IX numero 47
Pagina 8
tic tools can be very
helpful to stratify patients population, but
in the EMA guideline
ther is no mention of
them.
The second and third sessions were
planned to offer the opportunity to
hear the sponsors’ opinions. Albert
Radimaier and Christine Flechter
(EFPIA) illustrated the comments
from 14 EU pharmas. When there is
only 1 Phase III confirmatory trial,
SA should be definitely limited. They
suggested 4 priorities to be included
in the EMA guideline: consistency of
subgroup effect; defining subgroups;
exploratory subgroups; power of SA.
Finally, they recommend to agree
SA during a scientific advice meeting. Alan Philips (EFSPI, UK) said it
is a good guideline, but it should
better define the issue of consistency, the impact on reimbursement
and the consequences of dose
adjustements.
Claudia
Schmoor and Frank Langer
(biometricians, Germany) said
there should be a better identification of a few selected subgroups. They also raised some
criticism on the 3 proposed
levels of SA, and also on the
required statistical power.
After a short lunch break, the
session continued with comments from sponsors: Geert
Molenberghs (IDEAL, Belgium)
said that it should be better to
look for new drugs rather than running SA, as frequently SA fail to provide convincing proof of efficacy.
Alex Dmitrienko (Quintiles, USA)
presented the results of a simulation
he made with several trials with antibiotics in pneumonia, and expressed
serious concerns about the conclusions. In fact, he ended with one
message of caution in running SA.
The final discussion was very interesting, as many speakers offered
additional issues for the benefit of
the audience. In conclusion, it was a
very useful and informative workshop, whose results will be incorporated in the next draft of the EMA
guideline.
Domenico Criscuolo
EMA workshop on the investigation of subgroups
in confirmatory clinical trials
London, 7 November 2014
Our readers may know that, since a
few years, EMA is distributing the
draft version of each new guideline,
asking for comments. IFAPP receives regularly these drafts (on average, 2 every month), and I offered
to provide comments. On the basis
of this long lasting collaboration
(which contributed to improve IFAPP
visibility at EMA), I was invited to join
the workshop on subgroup analyses
(SA). The topic is very important, so
EMA decided to organize a workshop to receive detailed comments
to the draft text, and to reach a consensus for the final version.
As indicated in the program, the objectives of the workshop were:
To discuss the role of SA and
subgroup findings in clinical
trials submitted for Marketing Authorization (MA);
To receive input on the position
outlined in the draft EMA
guideline from experts and
stakeholders;
To provide an open forum for
discussion of subgroup issues in the planning and at
the assessment stage of
Phase III clinical trials.
About 100 experts met in the new
EMA facilities: a few months ago
EMA relocated, in the same area of
Canary Wharf, but in a new building
in Churchill place. Marisa Papaluca
opened the meeting, with a warm
welcome to all participants, and with
the recommendation to all speakers
and participants to be open minded
and constructive.
The first speaker, Jens Heisterberg
(HMA, Denmark), opened the workshop with a clear message supporting SA: “Women get medicines
tested in men”. He said that there
are several good reasons to run SA,
like to get information on patients
who, on the basis of their baseline
status, may have a different effect.
However, there are also less good
reasons to run SA, like to save a
failed trial, to obtain claims on the
SPC, or to reach a compromise. He
added that biomarkers led the way
to SA (some examples are oestro-
gen receptors in breast cancer,
imatinib in GIST, and many others).
SA should be pre-specified, but this
is not always happening. SA are
definitely increasing, but they should
be limited to well defined groups.
The second speaker (Robert Hemmings, MHRA, UK) continued stating
that a MA is based on the benefit/
risk evaluation, and regulators have
discomfort when confronted with
unplanned SA, especially because
there is often no rationale, and the
statistical risk of multiple testing. He
continued with 3 scenarios in PhIII
trials: clear results; borderline results, with evidence of SA effects;
negative results, with evidence of SA
effects. He concluded confirming the
need of a guideline to better define
the possible scenarios, and underlying that many trials are designed
considering patients homogeinity,
but biology and clinical practice address their diversity. Armin Koch
(Med. University, Germany) commented that in some cases it is important to identify subgroup of patients with an unfavourable benefit/
risk ratio, as this may save a MA of a
new drug. The same concept was
enforced by Yuki Ando (MHLW, Japan), who made several examples
(like some cancers, COPD) where
Japanese patients had a different
clinical outcome. To conclude the
first session, Estelle Russek-Cohen
(FDA, USA) stressed that SA can
inflate type I error, and they should
not be run to save a failed trial. She
underlined that companion diagnos-
Anno IX numero 47
Pagina 9
Oggi parliamo di….
Macropus Eugenii, un modello animale per studi di fisiologia
della locomozione, di biologia della riproduzione e dello sviluppo, di genomica comparata e…
Fisiologia della locomozione e biologia della riproduzione e dello sviluppo
(1a parte)
Macropus eugenii (tammar wallaby)
è il più piccolo canguro o macropodide (dal greco ȝĮțȡȩȢ, lungo, e
ʌȠȪȢ, piede): poco più grande di un
grosso coniglio, appartiene al genere Macropus della famiglia dei Macropodidae. Ha pelo prevalentemente grigio-bruno scuro sulle parti
superiori del corpo, con zone grigiochiare, pelo grigio-fulvo sui fianchi e
sulle zampe e grigio-pallido sulle
parti inferiori; il cranio è allungato e
le orecchie sono grandi e appuntite.
Erbivoro e prevalentemente notturno, di notte pascola su praterie erbose e, durante il giorno, si ritira in
habitat ricchi di folti boschetti e di
arbusti, chiamati tamma (di qui il
nome comune tammar). Animale
gregario, presenta un marcato dimorfismo sessuale: pesa dai 6-7 kg
(Ƃ) ai 9 kg (ƃ), la lunghezza va dai
59-68 cm (ƃ) ai 52-63 cm (Ƃ), mentre l’altezza è circa 45 cm. Presenta
vari importanti adattamenti fisiologici, inclusa la capacità di conservare
l’energia saltando e di distinguere i
colori. Per prevenire la disidratazione, urina di meno e riassorbe
l’acqua dal colon distale, producendo feci piuttosto secche. Potendo
concentrare l’urina nei reni, sopravvive bevendo acqua di mare.
L’organizzazione sociale dei Macropus eugenii ha una struttura gerarchica dominante: per imporsi sui
rivali e farsi notare dalle femmine, il
maschio si drizza e si mantiene eretto sulle zampe posteriori, gonfia il
torace e piega minacciosamente gli
avambracci, come fanno i pugili.
Vive bene in cattività, è facilmente
addestrabile ed è abbastanza grande da permettere prelievi seriali di
sangue, mentre i piccoli sono agevolmente accessibili nel marsupio
materno, per manipolazioni sperimentali: queste caratteristiche ne
fanno un modello animale ideale
per ricerche di fisiologia, biochimica, neurobiologia, biologia della
riproduzione e dello sviluppo, genomica comparata ed ecologia. Macropus eugenii ha zampe posteriori
molto sviluppate, forti e robuste e
lunghi piedi specializzati nel salto, il
suo modo principale di muoversi: si
sposta saltando, con una frequenza
di 3.5 salti/s ed una lunghezza di
0.8-2.4 m/salto. Nella maggior parte
dei mammiferi, il consumo di ossigeno (VO2) aumenta linearmente
con la velocità, ma ciò non vale per
i wallaby, nei quali il VO2 si stabilizza con l’aumento della velocità. Sono state misurate le frequenze del
respiro, del cuore e dei salti, il volume
tidale
(volume
dell’aria
mobilizzata/respiro), la gittata cardiaca ed il VO2 in Macropus eugenii
addestrati a saltare su un “tapisroulant”. A velocità superiori a 1.6
m/s, il tasso di consumo di energia
metabolica è indipendente dalla
velocità di salto. I livelli ematici di
acido lattico, nell’intervallo di velocità in cui il VO2 è indipendente dalla
velocità, aumentano mediamente di
4.8 mmol/lt e, durante il salto bipedale, le frequenze del respiro e del
movimento delle zampe rimangono
nel
rapporto
fisso
di
1:1.
L’inspirazione di aria inizia quando il
canguro si stacca dal suolo e questo è, forse, un processo passivo
guidato da un “pistone viscerale”,
cioè dallo spostamento di fegato,
stomaco e pacchetto viscerale in
sinergia con l’escursione respiratoria del diaframma; un tendine, relativamente grande, al centro del diaframma, potrebbe essere coinvolto
in questa funzione. A differenza
delle frequenze respiratorie, quelle
cardiache non mostrano trascinamento con il salto, mentre il sito di
dissipazione della presunta escursione pressoria nelle grandi arterie
rimane sconosciuto. Con la stessa
tecnica, sono stati misurati i tassi di
VO2 ed i livelli ematici di acido lattico: fino alla velocità di circa 2.0 m/s,
i tassi di VO2 crescono linearmente
con la velocità e non differiscono
significativamente dai valori registrati in un quadrupede di pari massa corporea. Tra i 2.0 ed i 9.4 m/s, i
tassi di VO2
sono
indipendenti dalla velocità di salto,
mentre tra i 3.9
ed i 7.9 m/s, i
livelli ematici di
acido lattico sono bassi (0.83
mmol/min/kg) e
tali rimangono
con
l’aumento
della velocità. Il
lavoro necessario per superare
la resistenza dell’aria, misurato in
galleria del vento, aumenta esponenzialmente con la velocità, ma
incrementa solo del 10% la spesa
energetica della locomozione alla
velocità media raggiunta. Così, durante il salto, il costo energetico
della locomozione è effettivamente
indipendente dalla velocità. Ai ritmi
di andatura sul campo, il dispendio
energetico stimato degli spostamenti fatti saltando dai grandi canguri è meno di un terzo del costo di
energia che si registra in un quadrupede di pari massa corporea. Il risparmio energetico è un importante
adattamento fisiologico, permettendo ai grandi macropodidi di coprire
efficientemente le grandi distanze
da percorrere alla ricerca di foraggio
nei
territori
semiaridi
dell’Australia. I grandi mammiferi
risparmiano la maggior parte
dell’energia, della quale hanno co(Continua a pagina 10)
Anno IX numero 47
(Continua da pagina 9)
munque bisogno per correre, grazie
a strutture elastiche presenti negli
arti posteriori. L’energia cinetica e
potenziale, persa ad uno stadio della
falcata, è temporaneamente immagazzinata sotto forma di energia elastica da stiramento, per essere poi
restituita, come rimbalzo elastico,
all’inizio della falcata successiva. Si
calcola che, a elevate velocità, i canguri risparmino, in questo modo, più
del 50% dell’energia metabolica della quale avrebbero comunque bisogno per muoversi. Per valutare il
ruolo del recupero dell’energia elastica in Macropus eugenii che saltavano su un “tapis-roulant” a velocità
comprese tra 2.1 e 6.3 m/s, si sono
effettuate misurazioni di forze nelle
più importanti unità muscolotendinee coinvolte nell’accumulo e
nel ricupero di energia, usando dei
trasduttori di forza applicati ai tendini
dei muscoli gastrocnemius lateralis
(GL), plantaris (PL) e flexor digitorum longus (FDL). Registrazioni elettromiografiche effettuate nei muscoli GL e PL, simultaneamente a
filmati ad alta velocità (200
fotogrammi/s) e a video (60 campi/
s), sono state usate per correlare
l’attivazione dei muscoli ed i profili
cinematici delle zampe posteriori
con lo sviluppo della forza muscolare. L’analisi dei risultati ottenuti con
queste tecnologie integrate ha mostrato che forze muscolari ed immagazzinamento di energia elastica
aumentano con l’aumento della velocità nelle tre unità muscolotendinee e che l’energia elastica,
immagazzinata nella fase finale del
salto nella quale i piedi tornano a
contatto del suolo, dev’essere accumulata soprattutto distalmente dal
ginocchio, dove i muscoli principali
hanno fibre corte e la maggior parte
dell’immagazzinamento di energia
deve avvenire nei rispettivi tendini.
Lo sfruttamento del rimbalzo elastico
dei tendini si verifica anche in molti
animali di grossa taglia, come i cavalli, tra i mammiferi, e gli struzzi e i
tacchini, tra i volatili, ma in misura
molto minore, in termini di risparmio
energetico, rispetto ai canguri e, in
particolare, ai wallaby, che hanno un
treno posteriore, con relativi tendini
e muscoli, eccezionalmente sviluppato e specializzato nel salto. A differenza della maggior parte degli
Pagina 10
animali, che pagano un aumento del
costo energetico all’aumentare della
velocità, il tammar wallaby può incrementare la sua velocità, senza
pagare maggiori costi energetici.
Questa caratteristica, esclusiva dei
canguri, è possibile grazie al ricorso
all’energia elastica accumulata nei
robusti tendini degli arti posteriori.
Durante il ciclo del salto, nella fase
di distacco dal terreno, il movimento
in avanti del wallaby rappresenta
una forma di energia cinetica, mentre il contraccolpo gravitazionale sul
terreno, alla fine del salto, è una forma di energia potenziale. Queste
due
energie
si
convertono
nell’energia elastica da tensione nei
tendini dei muscoli GL, PL e FDL,
che si stirano quando il piede del
canguro batte il terreno alla fine del
salto, ed è poi recuperata nel rimbalzo elastico tendineo, che spinge il
wallaby a staccarsi dal terreno per il
balzo successivo. Fino al 90%
dell’energia elastica accumulata nei
tendini può essere così recuperata e
reimpiegata. Più veloce salta il canguro e più pesante è il carico, maggiori sono le energie cinetica e potenziale che vengono immagazzinate e recuperate elasticamente, così il
costo energetico della locomozione
può rimanere invariato con velocità
o carichi superiori ad un normale
intervallo. Riassumendo, muovendosi saltando i canguri immagazzinano
l’energia della tensione elastica nei
tendini del treno posteriore quando i
piedi toccano il suolo alla fine di un
salto, energia che viene poi recuperata grazie al rimbalzo, nel momento
in cui lasciano il terreno per il salto
successivo: così possono aumentare la velocità saltando, senza, o con
un minimo, dispendio energetico.
Perché ciò si verifichi, le fibre muscolari devono trasmettere la forza
ai rispettivi tendini senza, o con minimi, cambiamenti di lunghezza, in
condizioni praticamente isometriche.
Si sono misurate, in vivo, le variazioni della lunghezza delle fibre muscolari dei muscoli GL e PL e la forza
dei rispettivi tendini di Micropus eugenii, mentre saltavano a varie velocità. I cambiamenti della lunghezza
delle fibre muscolari sono contenuti
nell’intervallo di ±0.5 mm nel PL e
±2.2 mm nel GL, corrispondenti, rispettivamente, al 2% ed al 6% della
lunghezza delle fibre muscolari a
riposo, ma si pensa che siano dovuti
all’estensione elastica di legamenti
trasversali annessi. Gran parte delle
variazioni della lunghezza delle fibre
muscolari del GL si registra a bassa
forza, all’inizio della fase in cui la
zampa è a contatto del terreno, a
fronte di un comportamento generalmente isometrico a forze maggiori. I
cambiamenti di lunghezza delle fibre
non variano significativamente, con
l’aumento della velocità di salto, nei
muscoli GL e PL (p>0.05), nonostante si registri un incremento pari
ad 1.6 volte della forza muscolotendinea, aumentando la velocità da
2.5 a 6.0 m/s. Le variazioni della
lunghezza delle fibre dei muscoli PL
e GL rappresentano solo il 7±4% ed
il 34±12%, rispettivamente, dello
stiramento dei rispettivi tendini, e ciò
comporta un piccolo lavoro netto per
ambedue i muscoli (0.01±0.03 Joule
per il PL e -0.04±0.30 Joule per il
GL). Al contrario, l’energia da tensione elastica, immagazzinata nei tendini, aumenta con l’aumento della
velocità, raggiungendo valori medi
pari a 20 volte il lavoro di accorciamento fatto dai due muscoli. Questi
risultati dimostrano che un aumento
crescente di energia da tensione
accumulata nei tendini delle zampe
posteriori è utilmente immagazzinato
a velocità costanti di salto più elevate, senza essere dissipato da un
accresciuto stiramento delle fibre
(Continua a pagina 11)
Anno IX numero 47
muscolari. Questa scoperta rafforza
l’ipotesi che il risparmio tendineo di
energia elastica sia un importante
meccanismo grazie al quale i piccoli
Macropus eugenii, ed i canguri in
generale, sono capaci di saltare a
velocità maggiori con, o senza, un
piccolo aumento della spesa di energia metabolica. Grazie alla capacità
di accumulare energia nei tendini del
treno posteriore, la femmina di tammar wallaby può portare nel marsupio un cangurino di un certo peso,
senza che ciò comporti un incremento del dispendio di energia metabolica. Macropus eugenii è un riproduttore monovulare, con poliestro stagionale discontinuo, abitudini di accoppiamento stagionali strettamente
sincronizzate e promiscue ed è dotato del controllo lattazionale della sua
riproduzione. Come molti marsupiali,
la femmina partorisce un unico piccolo, dopo 25-28 giorni di gestazione, e lo allatta e trasporta nel marsupio, prendendosene cura durante i
primi 9-10 mesi di vita. Se diventa
gravida mentre ancora porta ed al-
Pagina 11
latta un piccolo canguro, lo sviluppo
dell’embrione subisce un arresto,
finchè il cangurino non lascia il marsupio: è un fenomeno adattativo
chiamato
“diapausa
embriona-
le” (delayed birth), sospensione temporanea dello sviluppo embrionale,
che si verifica grazie al blocco della
proliferazione cellulare allo stadio di
blastocisti. E’ una strategia evoluzionistica presente anche in altre specie (topo, visone, foca, capriolo, pecora e orso) che assicura la sopravvivenza dell’embrione, concepito
quando la madre è ancora impegnata ad allattare l’ultimo nato. Come in
tutti i marsupiali, anche nel Macropus eugenii la composizione, in proteine e carboidrati, e la quantità del
latte prodotto variano durante il lungo periodo della lattazione, determinando tassi di crescita e di sviluppo
del cangurino lattante che sono indipendenti dalla sua età, grazie a
cambiamenti dinamici che si verificano nei geni e nelle rispettive proteine
secrete dalla ghiandola mammaria.
(fine 1a parte)
Domenico Barone
OMS: eliminare mercurio dai termometri entro il 2020
Rimuovere il mercurio da tutti i dispositivi medici per la misurazione della temperatura corporea e della pressione
del sangue entro il 2020.
E' l'obiettivo di una nuova iniziativa lanciata oggi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e da Health Care
Without Harm, in occasione della firma della convenzione di Minamata sul mercurio.
Gradualmente gli strumenti non saranno più prodotti, importati ed esportati e sarà sostenuta la diffusione di alternative precise, sicure e a prezzi accessibili.
Il mercurio e suoi composti possono avere una serie di gravi conseguenze per la salute a livello neurologico, renale
e digestivo, soprattutto tra i giovani.
La convenzione di Minamata permette ai paesi di continuare a utilizzarlo nei dispositivi medici di misurazione fino al
2030 in alcune circostanze speciali, ma l'OMS e l'organizzazione non governativa Health Care Without Harm sono
convinte che le potenziali conseguenze negative per la salute del mercurio siano così gravi che tutti dovrebbero
sforzarsi di anticipare al 2020 l'obiettivo di eliminarlo dai dispositivi medici.
"Con la firma della Convenzione di Minamata sul mercurio - afferma il direttore generale dell'OMS, Margaret Chan si avvia un lungo cammino per proteggere il mondo dalle conseguenze devastanti del mercurio sulla salute. Il mercurio è uno dei primi 10 prodotti chimici che destano più preoccupazione per la salute pubblica ed è una sostanza
che si disperde nell'ambiente e rimane negli ecosistemi per generazioni, causando gravi problemi e danni alle popolazioni esposte".
La convenzione prevede uno schema d'azione per i paesi mirato a eliminare le forme più dannose di impiego di
mercurio, a ridurne le emissioni provenienti dall'industria, a promuovere metodi privi di questa sostanza ed a proteggere soprattutto i bambini e le donne in età fertile dall'esposizione al mercurio.
L'OMS e i suoi partner puntano infine a intervenire anche per eliminare questa sostanza dagli antisettici topici, dai
cosmetici, dall'uso artigianale ed odontoiatrico.
A cura di Raimondo Russo
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SSFAoggi incontra …….
il prof. Emilio Minnelli
"Medicina complementare" è un termine che comprende una vasta
gamma di procedure diagnostiche,
metodi di cura e rimedi applicati da
medici, naturopati, terapisti non medici e nell’automedicazione. La maggior parte di questi metodi affonda le
radici in un’antica, talvolta millenaria,
tradizione. Su tale argomento abbiamo sentito il prof. Emilio Minelli. Nato nel 1951, si è laureato nel 1976 in
Medicina e Chirurgia. Vice Direttore
del WHO Collaborating Centre for
Traditional Medicine dell’Università
degli Studi di Milano. Coordinatore
didattico di diversi corsi di perfezionamento dell’Università degli Studi
di Milano in medicine non convenzionali, agopuntura, omeopatia, fitoterapia, nutrizionistica e tecniche
complementari. Ricercatore clinico
e autore di numerose pubblicazioni
scientifiche.
1) Gentile prof. Minelli, dati
dell’OMS indicano la grande diffusione della Medicina Complementare nel mondo, ed in particolare
la sua estensione ai paesi industrializzati. Infatti, oltre il 48% degli Australiani, il 70% dei Canadesi, il 42% degli Statunitensi, il 38%
dei Belgi, il 75% dei Francesi ed il
15% degli Italiani vi ricorre almeno una volta all’anno. Quale è la
posizione dell’OMS a fronte di
questi dati? Quali linee guida ha
già stilato e stilerà nel prossimo
futuro?
La Medicina Complementare, denominata in ambito OMS come Medicina Tradizionale e Complementare
(TM&CM), è un concetto di difficile
definizione, che comprende sia i
grandi sistemi di Medicina Tradizionale—come la Medicina Tradizionale Cinese, la Medicina Ayurvedica
Indiana e la Medicina Araba Unanisia altre forme di terapie etniche. Tra
le TM&CM, la pratica di gran lunga
più diffusa è la fitoterapia tradizionale, che si associa alla maggior parte
dei sistemi tradizionali come la medicina tradizionale cinese, quella indiana, quella andina, quella africana, e
che può essere considerata, per
certi aspetti, la madre della moderna
farmacologia. Poiché l’origine della
Medicina Tradizionale si colloca
spesso nella notte dei tempi, in periodi in cui il metodo scientifico non
era ancora patrimonio dell’umanità,
le modalità e i criteri per la pratica di
questa, così come per la prescrizione dei fitoterapici, possono spesso
essere estremamente esoterici, sofisticati e misteriosi, facendo, talora,
riferimento a forze spirituali/soprannaturali presenti nell’uomo come nel
cosmo. Tuttavia, l’efficacia di queste
pratiche è basata sull’accumulo di
dati empirici stratificati in migliaia di
anni e, ormai sempre più spesso, su
numerose ricerche scientifiche. In
linea
di
massima,
valutando
l’enorme mole di dati che attraverso i
secoli si è accumulata, si possono
distinguere, secondo OMS, tre modalità d’uso degli stessi: quello popolare, quello tradizionale e quello, più
moderno, supportato da dati clinici.
Uso popolare: le indicazioni possono
derivare da tradizioni orali, riportate
da ricerche antropologiche effettuate
sul campo. Non è possibile verificare
l’appropriatezza d’uso a causa della
mancanza di dati scientifici che avvalorino questi elementi. La possibilità di utilizzare prodotti o tecniche
secondo le indicazioni provenienti
dall’uso popolare deve essere effettuata da medici esperti, che siano in
grado di valutare le alternative terapeutiche disponibili e il rischio derivante da un ritardo nell’uso di terapie più appropriate.
Uso tradizionale: sono comprese
sostanze e tecniche diffuse in molti
paesi e descritte in farmacopee ufficiali o in monografie di vari paesi.
L’uso di queste metodiche dovrebbe
essere riservato a personale medico
esperto, in grado di valutare correttamente i possibili vantaggi e di escludere i potenziali rischi, derivanti
da una terapia più appropriata o da
un ritardo nell’impiego della stessa
Uso supportato da dati clinici: vengono considerate droghe vegetali e
metodiche, le cui indicazioni terapeutiche sono riconosciute in molti
paesi e che sono supportate da studi
clinici riportati nella letteratura internazionale. Gli studi clinici possono
essere controllati, randomizzati e in
doppio cieco oppure aperti ed osser-
vazionali. In ogni caso, il loro risultato fornisce evidenze abbastanza
consolidate sulla loro efficacia, applicata a particolari problematiche o
malattie.
E’ evidente, dunque, che OMS vede
favorevolmente il progressivo espandersi delle TM&CM anche se questo
pone alcuni problemi quali la sostenibilità del consumo crescente di
piante la cui stessa sopravvivenza
potrebbe essere minacciata, l’impiego di metodiche provenienti da
specifiche aree culturali, che possono essere utilizzate in aree prive dei
concetti di base per la comprensione
di un loro corretto utilizzo, la necessità di formare operatori sufficientemente preparati. La vera domanda,
però, è perché vi sia questa grande
diffusione di TM&CM in paesi altamente sviluppati. Non vi sono risposte conclusive ma alcune ipotesi:
1. L’uso della TM&CM è stato incrementato da enfatizzazioni sugli
effetti collaterali dei farmaci sintetici,
dalle domande aperte sull’uso del
farmaco nelle più diffuse malattie
croniche e sull’accesso sempre più
ampio del pubblico ad informazioni
sulla salute ed a pratiche di autocura.
2. Un’aspettativa più lunga di vita
ha portato con sé un aumento delle
malattie croniche e debilitanti, come
quelle a carico dell’apparato cardiovascolare, il cancro, il diabete e le
malattie mentali. Per molti pazienti,
la TM&CM potrebbe contenere quelle risposte alla loro domanda di salute che spesso la medicina convenzionale non ha o, quantomeno, potrebbe offrire un modo più naturale,
“dolce” e meno impersonale di affrontare tali disturbi.
Non indifferente risulta l’uso di
TM&CM nelle situazioni, sempre più
frequenti, in cui l’uso di una terapia
convenzionale può controllare per
un lungo periodo una grave malattia,
ma con un grosso impatto sulla qualità della vita del paziente (AIDS,
cancro, malattie mentali). In questi
(Continua a pagina 13)
Anno IX numero 47
Pagina 13
(Continua da pagina 12)
casi, l’utilizzo della TM&CM è finalizzato, soprattutto, al miglioramento
della qualità della vita del paziente e
al controllo dei numerosi effetti collaterali, che terapie anche efficaci producono.
Vero è però che, se OMS promuove
la diffusione e l’integrazione della
TM&CM, allo stesso tempo definisce
regole per la promozione di elevati
standard di qualità, efficacia e sicurezza nell’impiego di prodotti e metodiche tradizionali. Non a caso, per
promuovere la qualità di uso della
TM&CM negli ultimi dieci anni, grazie al supporto di Regione Lombardia e in collaborazione con il WHO
CC dell’Università di Milano, WHO
ha pubblicato una serie di linee guida e monografie tese a diffondere e
promuovere concetti di efficacia,
sicurezza e qualità della TM&CM.
2) L’organizzazione Mondiale della Sanità, nell’ultimo rapporto sulle medicine complementari e tradizionali, the “WHO Traditional
Medicine Strategy 2014-2023” (1),
ha richiamato gli stati ad utilizzare
il potenziale contributo che le medicine non convenzionali possono
fornire alla salute e ad un sistema
di cura centrato sulle persone e
sul loro benessere, e di
“promuovere la sicurezza e
l’efficacia di tali medicine regolamentando, facendo ricerca e integrando i prodotti, gli operatori e la
pratica nel sistema sanitario, laddove ciò si riveli appropriato”. A
che punto siamo in Italia?
Stante la grande diffusione del sistema medico biologico occidentale in
tutto il mondo, OMS inquadra i rapporti intercorrenti tra sistema allopatico e TM&CM in tre sistemi di relazione: integrato, inclusivo e tollerato.
1. In un sistema integrato, la
TM&CM è riconosciuta ufficialmente
ed incorporata in tutte le aree che si
occupano della cura della salute sia
a livello formativo che terapeutico e
assistenziale.
2. Un sistema inclusivo riconosce
la TM&CM, ma non la integra ancora
completamente in tutti gli aspetti
della sanità, siano questi l’eroga-
zione di cure, l’educazione e la formazione, o la regolamentazione.
Nei paesi con un sistema tollerante,
il sistema sanitario nazionale è basato interamente sulla medicina allopatica, ma alcune pratiche di
TM&CM sono tollerate. L’Italia, appartiene a questo ampio gruppo di
paesi.
Secondo la visione OMS, sarebbe
auspicabile che i due sistemi di cura
venissero integrati, in modo da rendere disponibile per tutta la popolazione il livello di cure più elevato,
appropriato e soddisfacente. E’ indubbio, però, che perché questa
integrazione possa avvenire a tutto
vantaggio dell’utente, sono indispensabili alcune premesse che, come
espresso nel testo WHO Strategy
2014-2023, si possono così riassumere:
Efficacia
L’efficacia della TM&CM non è sempre ben dimostrata. E’ indubbio che
vi sono discipline come l’agopuntura,
per esempio, che posseggono un
corpus di evidenze, derivante da
ricerche cliniche e di base, superiore
a quello di altre TM&CM. Per contro,
esistono parti all’interno delle singole
discipline, che hanno evidenze
scientifiche superiori a quelle di altre
parti, vedi, per esempio, il trattamento con omeopatia della rinite allergica, rispetto al trattamento con omeopatia di altre sindromi. In generale,
OMS riconosce l’importanza della
valorizzazione e della promozione
della TM&CM basata su evidenze
derivate dall’uso tradizionale: tuttavia raccomanda la promozione di studi
scientifici, che diventano obbligatori
quando a droghe tradizionali vengono applicate nuove indicazioni, o
quando le modalità produttive vengono modificate.
Sicurezza
Per quanto riguarda la fitoterapia
tradizionale, oltre che sugli aspetti
classici della tossicità, della genotossicità, della cancerogenesi, OMS
sottolinea come in un mercato moderno, molto caratterizzato dall’autoprescrizione e dalla integrazione dei
prodotti farmacologici con quelli di
origine naturale, sia estremamente
importante promuovere una approfondita conoscenza delle possibili
interazioni e controindicazioni, sia
tra prodotti di TM&CM che tra questi
e farmaci della medicina biologica. I
consumatori devono essere informati sui rischi connessi all’impiego di
terapie basate sulla TM&CM. La
consapevolezza e la vigilanza sono i
primi requisiti per la riduzione dei
rischi, per esempio della tossicità
diretta, delle interazioni e controindicazioni a seconda della specifica
terapia utilizzata. Le informazioni ai
consumatori riguardo ai rischi non
vogliono creare allarme, ma il loro
scopo è di ridurre al minimo i rischi.
Inoltre, parte integrante della sicurezza è promuovere la formazione e
l’individuazione da parte del pubblico
di operatori qualificati. In assenza di
regole adeguate, è possibile che
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alcuni operatori della TM&CM non
seguano i criteri di una buona pratica clinica. Un modo per eliminare
inconvenienti del genere consiste
nel formare gli operatori che utilizzano la TM&CM, dar loro regole e registrarli tutti, invitando i consumatori a
rivolgersi a terapeuti competenti e
certificati che forniscono servizi di
alta qualità. Infine, è importante promuovere l’informazione per il consumatore e l’utilizzo appropriato della
TM&CM, ed implementare il livello di
informazione del paziente che usa
prodotti di TM&CM in autoprescrizione, in particolare nel caso di donne
in gravidanza o in allattamento, di
anziani e di adulti che eventualmente trattino bambini con prodotti di
TM&CM. La realizzazione di questo
obiettivo è ottenibile solo creando
una rete di informazioni, al cui centro
si ha il consumatore stesso.
3) Cosa ci può dice dell’atteggiamento negli atenei italiani? C’è
voglia di conoscere, studiare e
trasferire alle nuove generazioni
quanto si conosce sulle medicine
non convenzionali o no?
Se dovessimo basarci su un documento ufficiale quale quello prodotto
sull’argomento dalla Conferenza
Permanente dei Presidenti di Corso
di Laurea Magistrale in Medicina e
Chirurgia (CPPCLM), dovremmo
dire che più che interesse è presente una posizione caratterizzata da
grande criticità. Ma potrebbe essere
una posizione fuorviante. Il documento, infatti, nasce dalla preoccupazione, che potremmo anche definire legittima, che il corso di laurea
in Medicina, ormai in rete con tutti i
corsi di laurea a livello europeo, conservi la sua specificità di corso di
formazione che insegni all’allievo la
teoria e la pratica di un approccio
alla medicina biologica. Da questo
punto di vista, resta poco spazio per
un insegnamento di pratiche alterna-
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tive. Tuttavia, al di là di queste e di
altre posizioni pesantemente critiche, la presenza di numerosi corsi
post-laurea nel campo delle medicine complementari lascia intravvedere una sostanziale curiosità nei confronti di conoscenze antiche in cerca
di validazione secondo metodologie
moderne. In effetti, sarebbe un vero
peccato che il sistema universitario
si chiamasse fuori da possibili incontri con la medicina tradizionale, tenuto conto di un aspetto fondamentale
dell’università: la ricerca scientifica.
A questo proposito, OMS ha più volte ribadito non solo la necessità di
una comprovata sicurezza delle pratiche utilizzate, ma anche quella di
una comprovata efficacia delle stesse, soprattutto nel caso in cui si volessero sostituire, con queste pratiche o sostanze, terapie e farmaci
con un livello di efficacia già dimostrata. E’ evidente che in questi casi
sarebbe necessaria un’attenta valutazione da parte del medico del rapporto efficacia/sicurezza nei confronti del farmaco che si intende sostituire. Inoltre, secondo numerosi documenti approvati da OMS, è importante soprattutto per i prodotti fitoterapici e, in particolare, per quelli derivati da miscele degli stessi, che i
requisiti per provarne l’efficacia,
compresa la documentazione richiesta per supportare le indicazioni
all’uso dichiarate, siano correlate
alla natura e al livello delle indicazioni. Così, ad esempio, per determinare l’efficacia di un prodotto nel trattamento di disordini minori, per indicazioni non specifiche o per usi preventivi, possono essere sufficienti
requisiti meno rigorosi (per es. studi
osservazionali), specialmente quando sono presenti un lungo uso tradizionale, una particolare esperienza
nell’uso di un fitoterapico, e dati supportati da studi farmacologici. Nel
caso di disturbi maggiori, quali ad
esempio malattie specifiche, il livello
di evidenza deve essere superiore e
le prove cliniche a supporto più rigorose. La ricerca, infine, ha una sua
fondamentale importanza anche dal
punto di vista regolatorio, poiché la
normativa sui requisiti dei fitoterapici
medicinali, richiesta dalle autorità
nazionali, differisce da regione a
regione e molti governi hanno recentemente sviluppato una propria regolamentazione nazionale per la
TM&CM. Tuttavia, il livello di evidenza costituisce sempre più spesso un
importante indicatore di riferimento
per i vari documenti regolatori.
4) E per finire, prof. Minelli, cosa
vede all’orizzonte?
Credo che la visione che WHO propone nel testo Guidelines on the
developing consumer information on
proper use of Traditional, Complementary and Alternative Medicine
abbia in sé elementi per una vera e
propria rivoluzione delle politiche di
salute. Il protagonista della gestione
della salute, infatti, non è più il medico, lo specialista o il sistema di salute, ma il paziente. E’ una rivoluzione
copernicana, la cui portata non è
stata ancora del tutto colta e che
richiederà una sfida di implementazione sul campo, che durerà anni.
Infatti, perché si possa realizzare, è
indispensabile che tutta l’informazione diventi patrimonio condiviso di
tutti gli attori del progetto salute: paziente, medico, specialista. Risulta
facile, allora, capire come molta parte dei programmi di integrazione si
potranno giocare nella concretezza
di un lavoro al letto del paziente.
Così come le aspettative del paziente potranno trovare un elemento di
confronto sereno, non solo con quello che sa o dice di sapere il medico,
ma anche e soprattutto con quello
che non sa. E chi sa, potrebbe essere che questa volta si realizzi veramente un “3000, salute per tutti”.
A cura di Giovanni Abramo
1. In questo testo i termini Medicina Tradizionale (TM) e Medicina Complementare e Alternativa (CAM) sono utilizzati come equivalenti. Ciò specifica la comprensione dei concetti ma espone a qualche imprecisione. Ad esempio, Omeopatia, Fiori di Bach, ecc. fanno parte della CAM ma non della TM.
2. Ernst E. The desktop guide to complementary and alternative medicine: An evidence based approach. Orlando,
FL, Harcourt Ltd, 2001.
3. Vantini I, Caruso C, Craxì A., L’insegnamento delle Medicine Alternative e Complementari (CAM) nel Corso di
Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia: Posizione della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di
Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia (CPPCLM). Med Chir 2011; 53: 2331-2
Anno IX numero 47
Pagina 15
Il mondo sta cambiando anche nei rapporti medico-paziente. Ecco un interessante scambio di opinioni, dal BMJ.
Should patients be able to email their general practitioner?
British Medical Journal
Demand for better access to primary
care is ever rising, but is email the
answer? Elinor Gunning says that
patients want it and that careful planning can mitigate worries about
safety and security. Emma Richards
is not so sure and thinks clearer
guidance and resourcing are needed
first.
The use of email services in primary
care to consult on simple medical
and administrative problems, and to
facilitate follow-up and ongoing self
care, has the potential to improve
convenience for patients and efficiency for clinicians. Despite high
patient demand suggested by descriptive studies, only 20-25% of
doctors in Europe and the United
States use email to communicate
with patients. Within primary care
use is variable; it is commonplace in
Denmark but patchy in the UK. The
2014 UK general practice contract
mandates online repeat prescription
and appointment booking services. However, more extensive use
of email is not obligatory despite it
being endorsed by the Royal College of General Practitioners and the
UK Department of Health. Those
opposed to using email services in
primary care often cite increased
workload, concerns about patient
safety and security, lack of proximity
to the patient, and the effect on communication as the main barriers. I
shared these concerns when I
worked in a surgery that implemented email services during my
training. However, I saw that with
thoughtful planning email can benefit
both patients and doctors.
whether service efficiency and performance improved with the use of
email was inconclusive. However, a
prospective study of email use in
secondary care in the United States
indicated that physicians found answering patients’ questions by email
57% faster than by telephone (2.2
min versus 5.2 min) and also removed the frustration of having to
make multiple call back attempts if
patients failed to answer their telephones. In addition, a review in The
BMJ of several qualitative studies
showed that doctors who use email
view it as a useful addition to other
communication options. The authors
proposed that email could improve
the management of chronic conditions, provide continuity of care, and
increase flexibility in responding to
non-urgent queries.
Before implementing an email service patients and clinicians need to
understand the limitations of email
and which kinds of inquiries are suitable for discussion this way. Reassuringly, the evidence indicates that
patients use email appropriately: a
qualitative study of email use in UK
primary care and a systematic review of 24 US studies found that
patients are mindful of overloading
their general practitioner with too
many, or inappropriate, emails. Patients’ communications were generally “brief, formal, and medically relevant,” and many (77% in one study)
raised only a single problem. Patients were also good at selecting
the appropriate form of communication, using email for straightforward
matters but preferring to be seen
face to face if they thought their
question more serious.
Workload
The addition of email services has
the potential to increase general
practitioners’ workload, but if the
service is well planned and managed then email can be a more efficient way to manage some routine
conditions and requests than traditional methods. A 2012 Cochrane
review found that the evidence on
Patient safety
A 2012 Cochrane review found no
evidence that using email caused
harm, although high quality studies
are lacking. Patient safety remains
one of the most cited concerns
about email use, including worries
that patients will use emails inappropriately to request emergency advice
and fears about confidentiality and
Yes— Elinor Gunning
the security of practice computer
systems. Similar concerns can be
applied to other forms of communication, such as telephone, fax, and
post, which are now well established
and trusted. Many resources exist to
help minimise these risks when developing email services, including
guidance from medical indemnity
providers such as the Medical Protection Society. Comprehensive patient education, adequate email triaging systems, the use of a secure
server, and patient consent are crucial. Patients must be made aware
that emails may not be read immediately. The terms and conditions of
email use can be covered comprehensively when patients give consent for email use and reiterated in
each email response.
Patient proximity and communication
An email consultation will never be
able to reproduce the subtleties of
communication in a face to face encounter, and there is no possibility of
a physical examination. However,
email can help follow-up after a standard consultation, the communication of results, and self management, while promoting and maintaining the doctor-patient relationship
through providing continuity of care.
Patient satisfaction with email communication is generally high, and
qualitative research has shown that
patients appreciate the personalised
care and direct access to their
GP. Email services might also facilitate access for those patients less
able to use traditional methods of
communication, such as housebound patients, those with hearing
difficulties, or younger patients, who
may be more likely to engage with
this modern approach. Admittedly,
some patient groups, such as those
unable to use the technology or with
language or literacy barriers, will be
unable to benefit from email services. However, this is not a reason
to deny this form of access to other
patients. General practice should
(Continua a pagina 16)
Anno IX numero 47
(Continua da pagina 15)
facilitate a variety of options for access, in order to improve care for all.
GPs and our professional bodies, as
experts in our patients’ care, should
embrace the use of email to develop
a safe and effective service. Although more research, investment,
and official guidelines are needed,
sufficient strategies already exist to
support the safe implementation of
email services. The flavour of current UK health policy suggests that
email use will soon be inevitable. If
we do not engage with email now,
implementation without our input
may mean that GPs miss out on a
vital opportunity to shape its use, to
the detriment of patients and clinicians.
No—Emma Richards
The prime minister’s “challenge
fund” is being used for pilot schemes
in general practice focusing on improving access, including the use of
email contact. Department of Health
policy states that “patients should be
able to communicate electronically
with their health and care team by
2015.” This seems patient centred,
but we should be extremely cautious. Why shouldn’t patients email
doctors freely, to request drugs and
certificates, get test results, or seek
clinical advice? As many as 75% of
US doctors use email to communicate with patients but with only about
1-5% of their patients. However, the
US system differs substantially from
the NHS, where equity in service
provision is fundamental, making it
impossible to limit email services to
only a small percentage of NHS patients.
Unclear benefit
No evidence shows that email communication with patients is effective
in improving access or saving
money. A Cochrane review of nine
randomised controlled trials of email
consultations found no difference in
outcomes such as patient understanding, health status, or behaviours. The review concluded that the
“evidence base was limited with variable results and missing data” and
therefore “recommendations for clinical practice could not be made.”
Some of the studies found that email
intervention increased doctors’ work-
Pagina 16
load. Similarly, a recent study
showed 50% more face to face follow-up appointments after initial consultations by telephone rather than
face to face. The BMA said that patients contacted practices more often
when telephone services were available and that some did so instead of
self care, which could also be true
for
email
consultations. Consultations using telephone
or email share many characteristics,
but telephone consultations offer
emotional cues, such as tone of
voice, as well as clinical clues, such
as a wheeze. Telephone facilitates
two-way discussion in real time, to
gather information, ask and answer
questions, and check understanding.
None of this can be done with a single email.
Professional unease
In an online forum’s recent poll, 68
of 72 UK general practitioners who
responded were against email contact with patients. Many said that the
current workload was unrelenting
and that email would direct resources away from face to face contact with patients. Those in the
greatest need of healthcare, such as
elderly or infirm patients, may struggle to engage with email because of
a lack of facilities or knowhow. A
Californian cross sectional survey of
more than 4000 patients older than
65 showed that less than half of
those offered email consultations
were enthusiastic about it, and their
enthusiasm decreased with rising
age and more self reported ill health.
Similar barriers exist for ethnic minorities and poor people, potentially
creating a “digital divide” of widening
health inequalities. UK patients can
already request repeat prescriptions
and appointments online through
most practice websites and can telephone for test results. Delicate results require a two way conversation, which can sometimes be managed by telephone, but many doctors would prefer to see these patients face to face. Most online appointments are booked immediately,
and prescription requests usually
stipulate a 48 hour turnaround, incorporating a shared understanding
of timescale and urgency. The number of phone calls that can be
scheduled into consultation slots or
added after surgery within a working
day is limited. However, the idea that
patients can email unlimited requests and questions fills many GPs
with dread—not only in terms of time
but also clinical safety. Without immediate triage, what happens to the
suicidal patient who sends an email
on Friday night that goes unread
until Monday, or the patient with
chest pain who thinks she’s dealt
with the problem because she has
emailed her doctor, who is on holiday? Triage systems may help to
avoid this, but a randomised controlled trial showed that two thirds of
patients are not keen on clinic staff
intercepting their emails and prefer
to message their doctor personally
and privately. A recent observational
study showed the importance of non
-verbal communication such as eye
contact and social touch in demonstrating empathy in consultations and the phenomenon of the
“doctor as a drug,” where the interpersonal exchange between doctor
and patient, both verbal and nonverbal is therapeutic; both would be
diminished, or lost entirely, in electronic exchange. Misunderstandings
might also increase the risk of clinical error and mismanagement.
Insufficient safeguards
These concerns are not new. A
qualitative study in 2010 recognised
that reluctance in adopting email
communication often related to a
lack of understood “rules of engagement.” The UK lacks consistent guidance on how to run such email services. The General Medical Council
gives only general advice on remote
prescribing and confidentiality. The
Royal College of General Practitioners gives no specific guidance. The
medical indemnifier the Medical Protection Society gives some basic
guidance on email communication,
which reminds doctors to “set aside
time in the working day to respond to
email enquiries” and “not to underestimate the time and planning required to set up and maintain such a
system.” Practices would need systems to maintain confidentiality and
patient safety, and all information
exchanged by email would later
have to be saved to the patient’s
notes. Doctors’ NHS email is en(Continua a pagina 17)
Anno IX numero 47
(Continua da pagina 16)
crypted and secure, but patients’
email accounts are not guaranteed
to be safe from interception—and
how do you know whether the person sending an email is actually the
patient? And what of human error—
for example, inadvertently sending
an email to the wrong person? Even
if we had clear guidance, clinicians
Pagina 17
may not follow it. In a cross sectional
survey of more than 4000 clinicians
in Florida using email, only 6.7%
adhered to at least half of the guidelines for email communication, perhaps because of lack of awareness,
disagreement with guidance, or impracticability. Given the complexities
of using email and understandable
caution among GPs, it seems pre-
mature to be insisting that patients
can have email communication with
GPs. The Department of Health
should first issue clear guidance on
what can safely and appropriately be
communicated by email and what
resources are needed.
SOURCES OF INFORMATION USED BY REGULATORY AGENCIES ON THE GENERATION OF DRUG SAFETY ALERTS Alves C, Macedo AF, Marques FB
Eur J Clin Pharmacol, pubblicato on line il 27 luglio 2013
Le evidenze emerse dal sistema di segnalazioni spontanee sono alla base della maggior parte delle rivalutazioni del
rapporto beneficio/rischio, supportando la tesi che da questo sistema possono emergere segnali di safety relativi a
eventi non noti.
E’ di fondamentale importanza armonizzare le autorità regolatorie dei diversi paesi in materia di sicurezza sui farmaci.
SCOPO
Lo studio dei presupposti su cui le Autorità Regolatorie basano le loro decisioni sulle valutazioni di sicurezza dei
farmaci costituisce un importante problema di salute pubblica e clinica.
L’obiettivo del presente lavoro era di valutare il tipo e lo stato di pubblicazione delle fonti dei dati che supportano le
rivalutazioni del rapporto beneficio/rischio condotte dalle principali Autorità Regolatorie in materia di sicurezza.
METODO
E’ stata condotta una ricerca sui siti web per identificare tutti gli avvisi di sicurezza pubblicati da U.S. Food and
Drugs Administration, Health Canada, European Medicines Agency e Australian Therapeutics Goods Administration.
Venivano considerati gli alert di safety se la valutazione della relazione causale tra l’esposizione sospetta al farmaco
e l’occorrenza di un evento avverso era stata condotta per la prima volta tra il 2010 e il 2012.
Sono stati esaminati il tipo delle fonti di fonti considerate dalle Autorità Regolatorie, il loro stato di pubblicazione e gli
aggiornamenti del foglietto illustrativo.
RISULTATI
Sono stati inclusi nello studio 59 avvisi di sicurezza riferiti a 42 differenti problematiche cliniche.
Le segnalazioni spontanee post-marketing supportavano 33 (56%) alert, studi clinici randomizzati 24 (41%), studi di
coorte 16 (27%), studi caso-controllo 13 (22%) e case report e/o case series 11 (17%).
Alla generazione di un alert poteva aver contribuito più di una delle fonti citate.
Ventitre alert (39%) sono stati emessi basandosi su evidenze non pubblicate, corrispondenti principalmente a segnalazioni spontanee post-marketing.
La sezione del foglio illustrativo più frequentemente aggiornata era “avvertenze/precauzioni” (n=40; 68%)
CONCLUSIONI
Nonostante le diverse tempistiche utilizzate dalle diverse Autorità Regolatorie per giungere a conclusioni simili sulle
stesse questioni, un problema che sembrerebbe meritare un’ulteriore armonizzazione, le segnalazioni spontanee
post-marketing hanno supportato la maggior parte delle rivalutazioni del rapporto beneficio/rischio, confermando in
tal modo il loro valore nel rilevare eventi avversi sconosciuti (segnali).
A cura di Raimondo Russo
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Il futuro della sperimentazione clinica in Italia:
Italia protagonista per le sue competenze o «Cenerentola»?
Quale sarà l’impatto della produttività del «sistema Italia» sulla ricerca clinica nei prossimi anni:
minor produttività e aumento dei
costi?
Quale possibilità di accesso a farmaci innovativi avranno i pazienti,
se l’Italia perderà la possibilità di
partecipare alle sperimentazioni
cliniche?
Quale
sarà
l’impatto
sull’occupazione nel settore farmaceutico e della ricerca?
Assisteremo a una perdita di opportunità per SSN di qualificarsi per
l’offerta di sperimentazioni cliniche?
Assisteremo a una perdita degli investimenti negli ospedali e del
risparmio su esami e farmaci?
C’è un futuro per gli studi «early
phase» in Italia?
Gli sponsor farmaceutici italiani rimarranno nel club dei «first tier
countries», l’eccellenza della
ricerca clinica?
Con queste domande di stimolo per
la discussione ho concluso il mio
intervento dal titolo: “La ricerca clinica in oncologia nel nostro Paese,
stato dell’arte e prospettive” al seminario SSFA di aggiornamento sugli
“STUDI CLINICI IN ONCOLOGIA”,
tenutosi martedì 11 Novembre 2014
presso la sede Servier a Roma.
L’Europa ha perso negli ultimi anni
circa un quarto delle sperimentazioni
cliniche svolte nel mondo e l’Italia ha
visto diminuire il loro numero da circa 900 del 2008 a circa 700 del
2012, ultimo dato disponibile. Stabile
e molto limitata la percentuale di
studi di fase I nello stesso periodo,
circa il 5-7% di tutte le sperimentazioni cliniche. Negli ultimi anni, i
cambiamenti del modello di sviluppo
dei farmaci oncologici sta portando
sempre più ad una selezione dei
composti
sulla
base
dell’identificazione dei target molecolari a cui corrisponde una selezione dei pazienti grazie all’impiego di
marcatori biologici predittivi della
risposta al trattamento. La conseguenza di questo cambiamento è un
incremento degli studi di fase precoce che hanno come obiettivo la valu-
tazione dell’attività del farmaco, il cosiddetto “Proof of Concept”. Per quanto riguarda
l’attività di Novartis Oncology
in Italia, abbiamo attualmente
in corso 26 studi di Fase I, 21
studi pianificati per il 2015 con
29 composti in sviluppo e dal
2011 a oggi abbiamo arruolato
in questi studi 215 pazienti.
Questi dati ci dimostrano che
fare studi di “early phase” in
Italia è possibile, nonostante
tempi autorizzativi e amministrativi mediamente intorno ai
sei mesi per i centri coordinatori,
con
una
tendenza
all’aumento dopo l’entrata in
vigore del Decreto Balduzzi
(Legge n. 189 dell’08.11.2012)
che riporta l’Autorità Competente in AIFA. Inoltre, stiamo
costatando le prime inconsistenze tra i pareri dei CE e AIFA.
Cosa fare per invertire questa tendenza che potrebbe riportare l’Italia
tra i paesi “Cenerentola” per quanto
riguarda le sperimentazioni cliniche,
in uno scenario di maggior competitività globale? Ci permettiamo di avanzare alcune proposte con un
possibile impatto a breve termine:
1. una determina di AIFA chiarificatrice dei ruoli e delle responsabilità
AC vs CE, riducendo le aree di sovrapposizione e rischi di inconsistenze;
2. la costituzione di una rete di ‘CE
Esperti’ a supporto delle attività centralizzate di AIFA;
3. mantenere il ruolo dell’ISS nelle
Fasi I: una “Best Practice” da consolidare;
4. coinvolgere AIFA nel processo
di fattibilità di studi clinici con disegno sperimentale innovativo o con
problematiche particolari;
5. mantenere il processo autorizzativo dei CE in parallelo;
6. monitoraggio condiviso e trasparente dell’attività dei CE.
Infine, perché il “Sistema Paese”
possa supportare efficacemente
queste attività, sono necessarie regole certe, tempi definiti, qualità nel-
la ricerca (sia da parte degli sperimentatori che degli sponsor), creazione di strutture adeguate - quali
Clinical Trial Centres o Unità di Farmacologia Clinica - e sviluppo di
tutte le professionalità necessarie:
medici sperimentatori, data
manager, infermieri dedicati alla ricerca e, non ultimo, la possibilità di
ottenere agevolazioni di tipo economico per quegli sponsor che maggiormente investono in ricerca clinica.
Franco Mainini
Franco Mainini, medico chirurgo,
esperto di epidemiologia e di sanità pubblica, specialista in ricerca clinica, da anni nel settore farmaceutico, attualmente
è medical advisor - early compounds area per la BU oncology
di Novartis. Ha pubblicato 75 lavori su riviste prevalentemente
internazionali nei settori oncologico ed infettivologico.
Anno IX numero 47
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SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO
“Equivalenza terapeutica tra prodotti farmaceutici
aventi principi attivi differenti”
a cura del Gruppo di Lavoro Farmacoeconomia e Market Access
Milano, Venerdì 27 febbraio 2015
Tavola Rotonda
BPL – Nuova scheda riassuntiva delle caratteristiche del centro
di saggio ai fini della certificazione di conformità secondo quanto
stabilito dal D.Lvo 50 del 02/03/2007.
Rappresentanti del Ministero della Salute italiano: Staff dell’ufficio VI ex DGPREV, coordinati dal dr. Francesco De
Blasio.
Coordinatori: M.M.Brunetti (RTC), E.Invernizzi (RBM - MerckSerono).
La Tavola Rotonda ha avuto molto successo con un buon numero di partecipanti e con la presenza di tutto lo staff
dell’ufficio VI del Ministero della Salute (MinSal), coordinato dal dr. Francesco De Blasio.
L’evento è stato organizzato dal gruppo BPL della SSFA/GIQAR in collaborazione con RTC e si è svolto il 19 novembre 2014 presso RTC.
Nel corso della tavola rotonda sono state analizzate e discusse tutte le domande preparate anticipatamente dal
gruppo BPL e, inoltre, è stata la prima occasione di incontro tra rappresentanti dei centri di saggio (CdS) e lo staff
dell’ufficio VI del MinSal (Unità di Monitoraggio, UdM), rappresentando un ulteriore passo verso una ancora più fattiva comprensione e collaborazione.
La discussione è stata vivace ed interessante, le domande e le relative risposte sono annotate in allegato.
Tale documento sarà utile per tutti gli operatori del settore poiché chiarisce molti punti ancora dibattuti ed armonizza
le modalità di compilazione della scheda riassuntiva stessa.
La scheda riassuntiva è richiesta dal D.Lvo 50 del 2 marzo 2007 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 13 aprile 2007),
art.2 (Adempimenti di centri di saggio), commi 1-3.Questo decreto recepisce le direttive 2004/9/CE e 2004/10/CE.
La scheda riassuntiva, in formato elettronico, inviata al MinSal via PEC, rappresenta l’unico mezzo per richiedere la
certificazione BPL ed è altresì l’unico mezzo di comunicazione consentito per il trasferimento di informazioni tra CdS
e UdM.
La scheda riassuntiva è necessaria per mantenere informato UdM in merito all’organizzazione del CdS ed alle attività che esso svolge, consente aUdM di armonizzare le informazioni ricevute da tutti i CdS italiani ed è il documento di
riferimento utilizzato dal Gruppo Ispettivo (GI) nelle ispezioni effettuate presso i CdS (il GI utilizza l’ultima versione
della scheda riassuntiva inviata dal CdS a UdM).
La principale novità emersa e ribadita più volte nel corso della tavola rotonda è la fondamentale distinzione tra certificazione ed autorizzazione, come concetto legale e relativo iter procedurale:
certificazione: l’autorità competente attesta che le attività già svolte sono conformi alla BPL.
autorizzazione: prima di svolgere una determinata attività il CdS richiede l’autorizzazione all'autorità competente.
Il presupposto della certificazione per la BPL da parte diUdM è l’attività svolta, mentre non è necessaria/prevista un’
autorizzazione preventiva da parte diUdM.
Il CdS dichiarerà di aver effettuato uno studio secondo i principi di BPL e, di conseguenza, UdM verificherà lo studio
condotto e, previo gli accertamenti del caso, certificherà le attività esaminate (ndr: in accordo alla classificazione stabilita recentemente da UdM che riprende l’analoga classificazione Ocse).
Ovvero la certificazione potrà essere rilasciata solo a valle di uno studio condotto dal CdS.Un sentito ringraziamento
va al dr. F. De Blasio e a tutto lo staff dell’ufficio VI del Min Sal la cui partecipazione è stata preziosa per chiarire i
tanti dubbi emersi in merito all’argomento oggetto di discussione, alla RTC per la collaborazione all’organizzazione e
gestione dell’evento oltre che all’ospitalità, ai colleghi QA che hanno partecipato alla preparazione dell’evento tramite
incontri e discussioni preliminari al fine di approntare l’elenco delle domande da discutere e, infine, a tutti i partecipanti che hanno contribuito a rendere l’evento interessante e formativo.
Maria Mercede Brunetti, Enrico Invernizzi, Arianna Federici, Serena Mazzotti
Anno IX numero 47
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Domande poste all’Autorità e Risposte
LA NUOVA SCHEDA RIASSUNTIVA
Il riferimento regolatorio della scheda riassuntiva (SR) è l’Art. 2 (Adempimenti dei centri di saggio), commi 1 e 2 del D.Lvo 50 del 2 marzo 2007 ?
Sì
I suddetti commi 1 e 2 del D.Lvo 50 recepiscono il paragrafo “Pre-inspection” dell’Annex 1, Part B della Direttiva 2004/9/EC ?
Sì. La valutazione della SR può essere considerata a tutti gli effetti una pre-inspection, poiché fornisce tutte le necessarie informazioni che consentono agli
Ispettori di conoscere aspetti e caratteristiche proprie del centro di saggio (CdS) prima della verifica on-site, di preparare al meglio l’ispezione, anche anticipando alcune verifiche, e quindi di velocizzare e ottimizzare il processo ispettivo. Da notare che ogni Stato Membro è libero di decidere come organizzare la
pre-inspection. In alcuni casi (es.: Germania) si tratta di un'ispezione preliminare effettuata presso il CdS.
La SR si invia al MinSal solo quando il CdS “richiede la certificazione di conformità” (rif. Art.2, comma 2 del D.Lvo 50 del 2 marzo 2007) ?
La SR è lo strumento di comunicazione tra CdS e MinSal e quindi si invia, aggiornata, in occasione di qualsiasi comunicazione:
richiesta di nuova certificazione
rinnovo della certificazione
estensione della certificazione
notifica di cambiamenti significativi nel CdS (es.: l’esecuzione di una nuova tipologia di studio nell’ambito di una macroarea già certificata per la
quale il CdS presuppone dovrà essere effettuata una ispezione on-site e/o un audit dello studio presso il CdS o presso il ministero, sarà comunicata al MinSal/Unità di Monitoraggio (UdM) come variazione significativa. Questo comporta anche una ottimizzazione dei tempi tecnici
richiesti.
altro (ad esempio per “altro” si intende per esempio l’ invio della scheda riassuntiva aggiornata, a fronte di ispezione ricevuta, per comunicare le
risposte alle osservazioni riportate dal gruppo ispettivo nel verbale di ispezione del CdS).
In conclusione non ci sono regole definite, quindi il CdS può inviare al MinSal la SR aggiornata a sua discrezione, ovvero quando lo ritiene necessario.
Il CdS può redigere la SR in lingua inglese ?
La SR deve essere redatta in italiano. Qualora il CdS avesse necessità (es: richiesta da parte di casa madre nel caso di multinazionali) può effettuarne una
copia, tradotta in inglese, per uso interno.
Il CdS, sulla base delle dimensioni del file elettronico della SR da inviare via PEC al MinSal, può suddividere il file in più parti, per esempio una
dedicata alle informazioni della SR vera e propria e l’altra costituita solo dai CV ?
Si raccomanda di inviare la SR tramite PEC come documento unico, evitando la suddivisione del file in più parti e conseguente invio frazionato.Considerato il
limite di ingresso per la posta elettronica del MinSal di circa 20 MB, si suggerisce, nel caso di allegati molto pesanti, di:
utilizzare risoluzioni più basse possibili (es.: per documenti pdf 150 dpi sono sufficienti);
ove possibile, mandare file word al posto di file pdf (es.: CV).
Si raccomanda inoltre di contattare il MinSal, per esigenze particolari (es: problemi di compilazione o inserimento dati nella SR per CdS che utilizzano
piattaforme software diverse da Microsoft Office) o per problemi di invio non risolvibili con semplici operazioni. In questo ultimo caso, si può concordare
con il MinSal la suddivisione del file della scheda per invio frazionato.
NB: L’ultima SR inviata è quella cui il MinSal fa riferimento.
E’ possibile/utile definire dei criteri tecnici standard per l’invio delle informazioni (quali documenti possono essere inviati in formato word, quali in
formato PDF) ?
Non è richiesto un particolare formato, il CdS è libero di scegliere il formato dei file da inserire nella SR. NB: Il MinSal accetta anche documentazione/allegati
non firmati (es.: CV) in quanto è la direzione del CdS stesso che si fa carico della veridicità delle informazioni trasmesse.
Il MinSal (Uff.VI) può valutare la possibilità di creare una pagina web nella quale ciascun CdS avrà un accesso riservato e consentire di eseguire
linserimento della propria SR nonchè curare gli aggiornamenti dei dati. Può essere prevista la possibilità di annotare le ispezioni ricevute, i risultati
delle ispezioni (verbale dell’ispezione) con le osservazioni dell’UdM, le risposte del CdS, gli eventuali riscontri del MinSal ?
Non solo tale possibilità è stata valutata, ma il MinSal si sta già adoperando per rendere attiva ed operativa tale piattaforma nel minor tempo possibile. Chiaramente tale piattaforma agevolerà l'aggiornamento dati ad opera dei CdS, migliorerà l’interfaccia tra CdS e MinSal, e velocizzerà le procedure di comunicazione, consentendo la consultazione simultanea della documentazione da parte dei diversi attori in gioco per la certificazione BPL (CdS, Unità di Monitoraggio
BPL, Ispettori).
In quale modo il MinSal (Uff.VI) assicura la riservatezza delle informazioni commerciali come precisato dall’art.6 Riservatezza del D.Lvo 50 del 2
marzo 2007?
Il passaggio dall'invio della documentazione cartacea all'invio del file elettronico assicura di per se stesso un maggior livello di sicurezza delle informazioni
trasmesse. Infatti il file, inviato tramite PEC, arriva direttamente al personale del Ministero, evitando così procedure di controllo e scansione della documentazione cartacea in ingresso al Ministero e, in generale, l'accesso alla documentazione da parte di personale esterno al sistema. Per i CdS le informazioni da
tenere più critiche riguardo la riservatezza sono:
Nome sponsor;
Nome sostanza oggetto dello studio;
Tipologia di studio (conseguentemente, nella maggior parte dei casi, titolo dello studio);
Informazioni sulla sperimentazione animale.
In riferimento al comma 3 dell’Art.2 del D.Lvo 50, che cosa s’intende per:
1.“variazioni significative relative ai dati forniti nella comunicazione di cui al comma 1” ( SR)? Si possono avere degli esempi ?
2.“informano tempestivamente”? Si può “quantificare” ?
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1. Non esiste una regola generale per classificare come significativa, o non significativa, una variazione in un CdS, basti pensare che anche la stessa identica
variazione può avere un impatto diverso se consideriamo due CdS con diverse caratteristiche organizzative e strutturali. E’ necessaria, quindi, una valutazione soggettiva da parte del CdS, tenuto a valutare l’impatto della variazione sul proprio sistema BPL. In sede di ispezione, nel caso in cui gli ispettori non fossero d’accordo sulla valutazione della variazione non sono previste sanzioni, ma, stabilito che la variazione ha impatto sul sistema BPL, si discuterà in merito
alle eventuali deviazioni dai principi BPL che l’ispettore dovesse contestare.
2. Informare tempestivamente significa comunicare le variazioni significative quando si verificano. Non devono essere autorizzate preventivamente dal
MinSal, ma il CdS è tenuto ad avvertire il MinSal, una volta che ha implementato tale cambiamento, ad attività svolta e completata.
NB: qualora il CdS decidesse di comunicare anche preventivamente una futura variazione, è libero di farlo.
E’ ragionevole distinguere tra variazione “non significativa” e “significativa” ?
È ragionevole distinguere, in riferimento all'obbligo di comunicazione delle variazioni significative riportato nel D. Lvo 50 (vedi anche Q9).NB: questo non impedisce che il CdS possa inviare periodicamente degli aggiornamenti della scheda riassuntiva, anche se si sono verificate solo delle variazioni non significative
Quali sono le modalità che il CdS deve utilizzare per comunicare al MinSal (Uff.VI) le variazioni significative relative ai dati forniti ?
Le variazioni significative vanno comunicate nel seguente modo:
invio del file della SR aggiornata (l’aggiornamento includerà anche la variazione/i oggetto di notifica);
descrizione, nella mail di invio della SR aggiornata, della variazione/i implementate;
per eventuali chiarimenti relativi alla variazione/i comunicate utilizzare le celle/colonne vuote, a margine delle sezioni di compilazione della SR, per inserire eventuali commenti esplicativi o chiarimenti (ad esempio per una variazione della planimetria limitata ad un solo locale del CdS si può specificare, come commento, qual è il locale oggetto di modifica).
N.B.: anche se la causale dell’invio è stata l'implementazione di una singola variazione significativa, alla data dell’invio dovrebbe essere riportata l’immagine
del centro attuale, ovvero tutti i dati della scheda riassuntiva dovrebbero preferibilmente essere aggiornati alla data di comunicazione.
La notifica di variazione significativa deve essere preventiva? Qual è il preavviso atteso? Deve essere notificata la data prevista di implementazione della variazione? Deve essere notificata la data effettiva di implementazione della variazione?
Nonostante la notifica di variazione non debba essere obbligatoriamente trasmessa prima che sia implementata, potrebbero verificarsi casi in cui è importante
che la trasmissione preventiva venga fatta, anche per consentire una corretta pianificazione dell’ispezione da parte dell’ UdM (es.: disponibilità di ispettori con
esperienza nel settore). La notifica di variazione non deve essere preventiva. La variazione si notifica solo dopo che è stata implementata. La notifica di variazione può essere fatta con preavviso se il CdS lo ritiene opportuno. La notifica preventiva è consigliabile nel caso il CdS preveda un audit del MinSal relazione
alla variazione. In tal caso è opportuno comunicare in anticipo anche la tempistica di implementazione della variazione. Ad esempio, se il CdS vuole implementare una nuova tipologia di studio nell’ambito di una diversa macroarea per la quale non è ancora autorizzato, è opportuno indicare, in occasione della
notifica preventiva, anche la data prevista di conclusione del primo studio effettuato. Questo onde consentire possa essere programmata un' eventuale ispezione con tempistica adeguata (es.: prima della chiusura dello studio stesso).
Se la variazione riguarda la messa a punto di una nuova tipologia di saggio che rientra in una macroarea/ambito (es. studi di biocompatibilità) per
la quale il CdS è già certificato, cosa deve fare il CdS? Si può considerare una variazione non significativa?
È il CdS stesso che valuta se l’implementazione di una nuova tipologia di saggio in una macro-area per la quale il CdS è già certificato, è da considerare una
variazione significativa o non significativa. Su tale considerazione si basa quindi la notifica o meno al MinSal.
Se la variazione riguarda la messa a punto di una nuova tipologia di saggio che rientra in una macroarea/ambito (es. studi di biocompatibilità) per
la quale il CdS non è certificato, cosa deve fare il CdS ?Si deve considerare una variazione significativa ? Se sì, è sufficiente inviare la scheda riassuntiva aggiornata inserendo come studio effettuato uno studio pilota interno ?
In questo caso non si tratta di distinguere tra variazioni significative o non significative, il CdS è obbligato a richiedere al MinSal l’estensione della certificazione alla macro-area per cui non è ancora certificato. Il CdS, tuttavia, non ha bisogno di una autorizzazione preventiva, può partire subito con la nuova attività e
può farlo direttamente svolgendo uno studio BPL, non sono necessariamente richiesti studi pilota (E’ presumibile che un CdS che si assume la responsabilità
di condurre uno studio sprovvisto di relativa certificazione abbia un livello di esperienza in ambito BPL tale da assicurarne la conformità ai principi considerando anche che lo studio sarà sicuramente oggetto di ispezione). Studio pilota. La prassi dello studio pilota, che si basa sulla verifica a valle dello svolgimento di
uno studio e che è utilizzata soprattutto in Italia, non è del tutto pertinente o esaustiva/risolutiva nell’ottica dell’ iter di certificazione, che si basa sulla verifica a
valle dello svolgimento di una attività/studio. L’audit ad uno studio pilota non costituisce o garantisce una certificazione effettiva. L’effettiva verifica di conformità ai principi di BPL non può che avvenire sulla base di attività “vera” già eseguita, ovvero sulla base di studi BPL già condotti (studi commissionati da Sponsor
interni/esterni), quindi è successiva ad eventuali studi pilota. Questo concetto di base impatta non solo sulla modalità di implementazione delle nuove tipologie
di studio ma investe due particolari situazioni critiche:
la difficoltà da parte del MinSal ad effettuare un rinnovo della certificazione per un CdS che ha condotto, nell'arco di due anni (un ciclo ispettivo), solo
studi pilota;
la perdita di una macro-area di certificazione nel caso in cui il CdS, nell’arco di quattro anni (un ciclo ispettivo), non ha condotto alcun studio in BPL
nell’ambito della macro-area certificata in precedenza.
E’ stato sottolineato che, qualora il CdS fosse di nuovo chiamato a svolgere tipologie di studi che afferiscono alla macro-area in questione, sulla base
dell’istruttoria per l’estensione, la pratica di ri-certificazione del MinSal sarà il più possibile agevole e spedita, in particolare:
potrà essere effettuata solo una verifica documentale, (audit allo studio BPL condotto);
si potrà attendere la visita on site ma, tenendo conto della storia e dell’expertise del CdS, concedere direttamente l’estensione della certificazione.
In conclusione, un CdS può/deve prendersi la responsabilità di fare uno studio in BPL e poi, generalmente a seguito di ispezione presso il CdS e/o audit dello
studio BPL presso il MinSal, ne sarà valutata la sua conformità ai principi BPL.
Dopo la comunicazione di una variazione significativa al MinSal (Uff.VI), Il CdS deve attendere un riscontro ?
No, il CdS non deve attendere l’autorizzazione da parte del MinSal, in quanto non è necessaria una autorizzazione preventiva. Il CdS notifica l’ implementazione di una variazione significativa, il MinSal poi verificherà ed eventualmente certificherà.
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Se il CdS non comunica una variazione ritenendola non significativa ma in sede ispettiva gli ispettori BPL la ritengono significativa (e quindi soggetta a notifica) possono esserci conseguenze per il CdS ? Se si, quali ?
Se il CdS sbaglia a classificare una variazione che, in sede ispettiva, il gruppo ispettivo ritiene significativa, quindi impattante per la conformità alla BPL, il
gruppo ispettivo procede con l’ispezione per verificare la conformità ai principi BPL delle attività relative a tale variazione. Qualora fosse necessario un ispettore con competenze non comprese tra quelle possedute dal gruppo ispettivo, sarà necessario che l’UdM organizzi una ulteriore visita ispettiva. L’attività viene
bloccata solo se si riscontrano gravi non conformità. In definitiva, non vi sono dirette conseguenze per la mancata comunicazione, se non eventuali deviazioni
emerse durante la verifica del gruppo ispettivo e annotate come findings nel verbale ispettivo (stesso iter, quindi, di quando si contestano deviazioni relative
ad attività già note).
Nell’eventualità della comunicazione di una variazione significativa al MinSal (Uff VI) che contempla la necessità di eseguire nuove prove o la ristrutturazione di laboratori o la costruzione di nuovi, il CdS attende il “nulla osta” da parte del MinSal ? Il MinSal può pianificare un’ ispezione per
verificare la conformità ai principi di BPL del CdS prima dell’utilizzo dei nuovi laboratori o della esecuzione delle nuove prove ?
Il CdS non deve attendere un riscontro da parte del MinSal, può partire con l'esecuzione delle nuove prove o la ristrutturazione dei locali. È tenuto a notificare
quanto modificato o implementato, ove consideri che la variazione sia significativa. Sarà poi il MinSal a decidere se verificare la conformità di tali cambiamenti
tramite verifica su base documentale, tramite ispezione ad hoc o direttamente nel corso dell’ispezione di rinnovo della certificazione.
Quando il CdS effettua una variazione dei dati inseriti nella SR, nella colonna “data validità”, annota la data di quando la variazione sarà effettiva o
annota sia la situazione corrente sia quella futura ?
La data della validità da inserire nella scheda è quella effettiva di implementazione di quella determinata variazione (la certificazione non è preventiva, l’attività
viene prima svolta e poi l’ispettore verifica ed eventualmente certifica). Il CdS può anche indicare una data futura/presunta di validità inserendo anche una
nota esplicativa/commento (es.: verrà messa a punto una nuova planimetria), fermo restando che se la data effettiva poi è diversa, occorrerà riaggiornare la
SR. Si consiglia di inserire la data prevista quando si presuppone che sarà necessaria un’ispezione del CdS perché in tal modo l’UdM può organizzare a
tempo debito l’eventuale ispezione presso il CdS. E’ opportuno inserire la data prevista solo quando si è abbastanza certi della stessa. Comunque tutti gli
aggiornamenti relativi ad una variazione significativa in corso fino alla comunicazione della data effettiva della modifica sono ben accetti da parte del MinSal.
Per quanto riguarda la variazione relativa ad uno studio di una nuova tipologia (nuova macro-area) per esempio è consigliabile inviare la notifica (SR aggiornata) solo quando si ha un’idea abbastanza certa sulla data di stesura del rapporto finale e/o dell’archiviazione dello studio. Suggerimento da parte di QA. E’
opportuno definire internamente come stabilire la data di validità di una variazione (es.: rilascio da parte del QA di un nuovo laboratorio, post audit ad hoc. La
data del rilascio sarà la data effettiva, ovvero quella a partire dalla quale si può dare il via alle attività BPL nel nuovo laboratorio).
Come identificare le variazioni significative nella SR? Esempio. Una variazione significativa consiste solo nella modifica di un locale, questo comporta che la data di validità sarà aggiornata per tutte le planimetrie del centro di saggio. Come saranno identificate le modifiche in occasione della
successiva ispezione di routine?
Per identificare e spiegare, all’interno della SR, le variazioni significative implementate, tenere presente che le celle vuote, a lato delle sezioni di compilazione
della SR, possono essere utilizzate per inserire dei commenti esplicativi alle variazioni (es: variazioni della planimetria, dovute alla modifica di un locale del
CdS. L’identificazione del locale modificato potrebbe essere precisata come “nota” nelle colonne/celle vuote).
Si valuti la possibilità che nel modulo della SCR siano previste le principali norme di legge che richiedono l’esecuzione delle varie tipologie di
saggio in accordo ai principi di BPL. Il CdS, quando necessario, potrà aggiungere altre norme di legge di Enti Pubblici che richiedono l’esecuzione
di specifiche prove in accordo ai principi BPL.
Tale possibilità viene esclusa perché, considerando il divenire delle norme e le particolarità delle esigenze regolatorie, servirebbe un continuo monitoraggio da
parte del MinSal nei vari settori di applicazione della BPL. Eventualmente potrà essere valutata la condivisione di una lista di riferimento che, pur non esaustiva, potrà coprire buona parte delle casistiche. Viene infine fatta ulteriormente chiarezza sulla motivazione per cui alla voce norme di riferimento nella SR non
può essere indicato il D. Lvo 50 o le linee guida OCSE. Tale campo è stato predisposto, infatti, esclusivamente per l’indicazione della normativa a monte che
richiede l’esecuzione di uno studio in accordo ai principi di BPL. Infatti il presupposto fondamentale per l’esecuzione di uno studio BPL è la presenza di una
autorità regolatoria ricevente che richieda espressamente che lo studio sia effettuato in BPL.
Riga 39 della scheda riassuntiva. Cosa si intende per schema logico/descrizione del sistema informatico e della rete dati utilizzati per attività BPL?
Basta inserire lo schema della rete oppure deve essere inserito anche lo schema relativo ai sistemi computerizzati? Se sì, per tutti i sistemi computerizzati o solo per quelli principali?
L'informazione che deve essere fornita è l'illustrazione di tutto il flusso logico del dato BPL, dalla sua generazione all’archiviazione digitale. Il livello di dettaglio
dipende dalle caratteristiche del CdS (ad esempio se è in vigore ancora un sistema ibrido, o se si richiede la certificazione per l'archiviazione digitale). Per i
CdS che utilizzano archiviazione digitale sicuramente in sede di verifica ispettiva sarà presente anche un ispettore esperto in campo informatico. Da considerare in tale ambito l’evoluzione tecnologica in quanto deve essere assicurata la tracciabilità dei dati dello studio per oltre 10 anni. E’ sconsigliato l’utilizzo di
formati proprietari, da preferire formati internazionali, aperti. NB: se il CdS utilizza solo dati cartacei questo punto della SR non deve essere compilato.
I diversi sistemi in commercio per i computer (Mac, Microsoft) e le diverse versioni dei programmi disponibili (ad esempio di Windows Office) rendono talvolta non del tutto gestibile la nuova SR. È possibile realizzarne una versione più flessibile che tenga conto di tali differenze o diverse
versioni a seconda delle necessità ?
Chi utilizza sistemi non compatibili o comunque riscontra delle difficoltà è opportuno contatti il MinSal per concordare come procedere.
SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO
“Nuove frontiere nella bioanalitica e laboratorio clinico”
Pomezia. 3 febbraio 2015
Anno IX numero 47
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GLP
Sul sito OCSE è stato pubblicato per commenti il documento OECD Draft Advisory Document 16, The Application of GLP Principles to Computerised Systems.
La scadenza per l’invio di commenti era il 14 Novembre
2014.
Il Gruppo BPL/GLP del GIQAR ha analizzato il documento, ed i commenti sono stati inoltrati ad OCSE.
Solo la prima pagina del documento è qui riportata a titolo
esemplificativo, mentre la copia completa del documento
commentato è disponibile sul sito SSFA.
M. Mercede Brunetti
PROSSIMI APPUNTAMENTI
Gruppo di Lavoro BIAS
Milano, 20 marzo 2015
Milano, 22 maggio 2015
Data visualization in clinical research
Corso SAS per data manager
Informazioni, programma e scheda iscrizione disponibili sul sito
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FDA 2014 approvals outpace those of 2013
The FDA offered up an early retrospective of the 2014 year approvals. “Our Center for Drug Evaluation and Research (CDER) has so far approved 35 novel drugs in 2014 compared to 27 in 2013,” FDA commissioner Margaret
Hamburg wrote on the agency's FDA Voice blog. The approval pattern for the year shakes out as follows:
15 of this year's approved new molecular entities were for orphan drugs, the highest number since the Orphan Drug
Act passed in 1983.
The FDA approved almost 75% of novel drugs after one review cycle.
57% of the approved drugs had Priority Review tags, speeding up the approval process.
37% of novel drugs were on the Fast Track review route.
Although drugmakers flooded the agency with Breakthrough Therapy designation requests for cancer medications,
followed by hematology and neurology drugs, the labels granted were a bit of an inverse, with hematology scoring
more of these designations than oncology. Neurology, which comprised 11% of breakthrough requests, tied with
oncology, accounting for 21% of granted breakthrough designations. The agency noted that the numbers of Breakthrough Therapy designation requests “have exceeded expectations,” and that the 2012 Food and Drug Administration Safety Innovation Act, which created the expedited review process did so without increasing resources. The
regulator noted in the 2014 summary that it is trying to keep pace with the accelerated review that accompanies
these designations with a minimum impact on other programs. Lack of additional resources were not among the reasons the regulator cited for rejecting breakthrough status requests. Instead, the FDA cited more back-end reasons,
including a lack of clinical trial data, information that is “too preliminary to be considered reliable,” and a failure to
show that the drug being contemplated provides a “substantial” improvement over what is already on the market.
The agency noted it clocked a shorter median approval time for expedited drugs, at 6.5 months in 2014 compared to
7.9 months in 2013. This reflects more of a yo-yo, than part of a continuous downward trend: the most recent low
was 5.8 months in 2011, which was a significant drop from the median 9 months it took priority drugs to clear the
agency four years ago. What's missing in these numbers is some of the drama behind them. Janssen's chronic lymphocytic leukemia and mantle cell lymphoma drug Imbruvica, for example, seemed to have the spotlight for a very
brief period, only to have AbbVie announce last week that it may be ready to file a competitor in the leukemia space
next year. Similarly, Roche landed an approval for its breakthrough drug Esbriet (pirfenidone), for idiopathic pulmonary fibrosis the very same day the FDA approved Boehringer Ingelheim's breakthrough IPF drugOfev (ninedanib),
ratcheting up the tension in the first-to-market race.
This echoes the short-lived stardom of Merck's Keytruda (pembrolizumab), which made history for being US's first-in
-class approved PD-1 inhibitor with a melanoma indication, only to be chased by Bristol-Myers Squibb's Opdivo
(nivolumab) which is seeking a melanoma indication. These two drugs are also poised to compete in other indications, such as Hodgkin's lymphoma, for which drugmakers revealed Phase I data.
A cura di Domenico Criscuolo
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Riportiamo un’interessante presa di posizione in favore degli studi clinici a più gruppi paralleli.
More multiarm randomised trials of superiority are needed
The Lancet
Well-designed and well-conducted randomised controlled trials (RCTs) are the most reliable way to identify safe,
superior treatments. Many bureaucratic and practical challenges face today's RCTs, increasing the time and cost
required. A key problem is the relatively small number of superiority trials (25—50%) that report success—ie, that
the new treatment is better than the control. However, the research community persists with the traditional two-arm
design as the key way in which to measure superiority; of superiority RCTs registered between January, 2010 and
July, 2012, around 80% had only two groups. We argue for a cultural shift to multiarm, phase 3 superiority RCTs.
Why are two-arm trials so popular? Two-arm trials are reassuringly familiar and relatively simple in design, operation, and analysis. We have heard it said that clinicians might feel less comfortable explaining multiarm trials, and
that patients might struggle to understand them. Such arguments do not convince. Instead, two-arm trials force investigators to make a series of decisions that often transpire to be incorrect—eg, about what treatment, dose, or
duration to assess.
Compellingly, increasing the number of research arms increases the probability within one trial of reliably showing
that at least one new treatment is superior to control, even allowing for the inevitable correlation between comparisons. With the assumption that the underlying probability that a trial reports that an individual research arm is superior to the present standard of care is 50%,the probability of at least one success increases rapidly as the number of
groups increases, reaching 83% with five independent research arms and a common control, and an encouraging
75% with three arms. Although higher correlations can arise (eg, when the treatment arms are assessing different
durations or doses of the same drugs), the advantage persists.
The multiarm trial allows more treatments to be assessed than would ever be done in a series of two-arm trials
(since after one two-arm trial, other newer treatments will often take precedence). The multiarm design is therefore
simpler, quicker, and cheaper. We estimate that the cost of assessing a treatment in a multiarm trial is around half
that of undertaking a two-arm trial separately, even allowing for the increase in sample size in the multiarm trial. Finally, and importantly for patients and policy makers, the multiarm trial produces contemporaneous results for all
research treatments.
Many two-arm trials struggle to recruit to time and target, so why consider adding more research arms? Counterintuitively, our multiarm trials have recruited much faster than comparable two-arm trials, at a rate that more than compensates for the increase in arms. Thus, they have recruited and completed in a similar timescale to one two-arm
trial. We see no reason why our experience in oncology should not apply to many other diseases. This experience
suggests that patients and clinicians are very supportive of multiarm trials and, in fact, when we discuss these trials
with patients their response is often “why don't you do all your trials this way?”
Many multiarm trials have been approved by ethics committees, regulatory bodies, and funders. Inevitably a multiarm trial will have a number of primary comparisons; these issues can be addressed appropriately in a prospective
manner. Factorial designs exemplify one potentially efficient way to answer more than one question in a trial. However, because their key assumption is that there is no or little interaction between the research treatments they are
not always appropriate.
The Multi-Arm Multi-Stage (MAMS) design is another design that allows many treatment approaches to be assessed
simultaneously. A clear practical benefit of this design is the adaptive focusing of recruitment away from insufficiently active treatments with use of so-called lack-of-sufficient-activity analyses, preferably on an early, intermediate outcome measure—the multistage element of the design. Our STAMPEDE trial in prostate cancer shows the
benefits of multiarm trials in the public sector, especially if the opportunity is taken to choose research treatments
that are as different from each other as possible. STAMPEDE has dropped and added arms, so the trial will assess
eight research treatments in 15 years; sequential evaluation would have taken about 40 years.
Industry should consider use of multiarm randomised phase 3 trials to assess alternative treatment schedules because it is unrealistic to expect early phase studies to resolve key uncertainties in dose and, particularly, duration.
Academic pressures (mainly in the form of authorship but also in the form of the activities required of the chief investigator) can be addressed in multiarm trials by assigning a lead investigator to each research arm. To continue to
command support of patients and clinicians, trials need to maintain creative focus on identification of ways to improve patient outcomes as reliably and swiftly as possible. From this perspective, multiarm trials are the natural way
forward; two-arm studies should be the exception, not the rule. We urge clinicians to argue for multiarm trials in their
setting.
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Nel nostro editoriale abbiamo affermato che si parla molto poco di farmaci utilizzati durante la gravidanza: ancora
meno di farmaci usati durante l’allattamento, e durante il periodo fertile della vita di donne ed uomini. Ecco un interessante editoriale di The Lancet che riporta un’ottima iniziativa della FDA.
Drug labelling and pregnancy
The Lancet
According to the US Food and Drug Administration (FDA), more than 6 million pregnancies occur in the USA every
year, with women taking between three and five prescription drugs during pregnancy. In 1979, the FDA introduced a
classification system to inform physicians and patients about the potential risks of drug use during pregnancy, ranging from A (no evidence of harm based on data from both animal and human studies) through to D (definite risk
based on data from human research, but also potential benefits for use in pregnancy). Category X is used for drugs
with definite contraindication and harm if used during pregnancy. The announcement on Dec 3 from the FDA of a
final rule to replace the current classification with a new system, to be implemented on May 30, 2015, has been welcomed by US physicians, not least because an absence of research data has often led to prescription drugs being
categorised within the current system as C—”risk not ruled out”—leading to uncertainty about a drug's safety or
harm if used during pregnancy. The new system contains three subsections in the labelling entitled “Pregnancy”,
“Lactation”, and “Females and Males of Reproductive Potential”; it will include a discussion of the data supporting an
overall safety summary, and any other relevant information to help health-care providers and their patients make
better-informed choices.
Crucially, a consultation process with industry is underway to ensure that drug companies are aware and able to
provide the new level of information that will be required before the final rule is implemented. Although any new system to improve clinical decision making and to enhance communication with patients is to be welcomed, the system
can only be as good as the information it is made up of. To this end, industry and the FDA have a crucial role in ensuring that any vagaries of the old system are replaced with a new and transparent system that leads to a comprehensive analysis of all drugs' effects on pregnant women and their unborn children.
Prescribing antibiotics: a battle of resistance
The Lancet
There is no single solution to the rapidly progressing problem of antibacterial resistance. Although various strategies
are being implemented worldwide, between 2000 and 2010 consumption of antibiotics increased by 36%. Discovery
of new antibiotics is a necessary but not sufficient solution because of the high cost and lengthy timelines. Thus,
action to control prescription practices should be a key feature of intervention strategies.
In 1998, the UK Department of Health reported that 80% of antimicrobial prescriptions for patients took place in the
community and so recommended cessation of prescriptions for simple coughs and colds. In 2010, the Health Protection Agency (now Public Health England) expanded this guidance in a report detailing which antibiotics should be
prescribed by doctors per condition and when. Prescription for acute respiratory infections, such as sore throat, was
to be avoided. Unfortunately, data published earlier this month for 3·8 million patients in 537 general practices in the
UK showed that the proportion of patients prescribed antibiotics for coughs and colds had risen from 35·5% in 1995
to 50·8% in 2011. But it is possible to change prescribing practice: in 2001, France started a national campaign to
reduce use of antibiotics and by 2007 prescriptions had decreased by 26%. The benefits of sharing experience between policy makers and countries is considerable.
Inappropriate prescription is a greater problem in countries undergoing rapid economic expansion. In Bangladesh,
China, and Thailand antibiotics are repeatedly indicated for self-limiting diarrhoeal infections and in India for viral
dengue fever. In such countries where antibiotics were previously inaccessible and unaffordable, over-the-counter
and incentive-driven prescriptions have elevated antibiotic consumption. In low-income countries, antibiotics are
given as a substitute for provision of clean water and safe waste disposal.
Surveillance of antibiotic resistance and consumption is globally weak or non-existent. However, before bacteria win
the battle and currently treatable infections become fatal, prescribers, patients, policy makers, and governments
need to take responsibility to ensure that antibiotics are used far more rationally.
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Riportiamo un editoriale molto critico sulla sperimentazione animale: cosa ne pensano i nostri soci che se ne occupano?
How predictive and productive is animal research?
British Medical Journal
It’s more than 20 years since Doug Altman wrote his scorching editorial in The BMJ on “the scandal of medical research”. Earlier this year The BMJ’s former editor Richard Smith summarised why the same editorial could be published today with little change, referencing the recent Lancet series on waste in medical research and John Ioannidis’s PLoS Medicine article entitled, “Why most published research findings are false.” The medical literature remains beset with academic and commercial biases caused by overinterpretation of small, poorly designed, and
badly implemented studies, many of them erroneously or selectively reported or not reported at all. The result is an
evidence base that systematically exaggerates the benefits and underplays the harms of treatments.
But as if this were not enough, an even more fundamental problem casts doubt on the validity of clinical research:
the poor quality of the animal research on which much of it is based. Ten years ago in The BMJ Pandora Pound and
colleagues asked, “Where is the evidence that animal research benefits humans?” Their conclusions were not encouraging. Much animal research into potential treatments for humans was wasted, they said, because it was poorly
conducted and not evaluated through systematic reviews.
Since then, as Pound and Michael Bracken explain this week, the number of systematic reviews of animal studies
has increased substantially, but this has served only to highlight the poor quality of much preclinical animal research. The same threats to internal and external validity that beset clinical research are found in abundance in animal studies: lack of randomisation, blinding, and allocation concealment; selective analysis; and reporting and publication bias. The result, said Ioannidis in 2012, is that it is “nearly impossible to rely on most animal data to predict
whether or not an intervention will have a favourable clinical benefit-risk ratio in human subjects.”
Such wastage is as unethical in animal as in human research. Poorly done preclinical research may lead to expensive but fruitless clinical trials exposing participants to harmful drugs. And of course there is the unnecessary suffering of the animals involved in research that brings no benefit.
What to do about it? Better conduct and reporting of animal research will help, say Pound and Bracken. This could
come from better training and education of basic researchers and from a cultural change fuelled by greater scrutiny
and public accountability. But how much would this really improve the rate of successful translation from animals to
humans? Not much, it seems. Even if the research were conducted faultlessly, argue the authors, our ability to predict human responses from animal models will be limited by interspecies differences in molecular and metabolic
pathways.
Qual è la miglior cura?
La vita pone domande. Noi cerchiamo le risposte.
L’innovazione è la nostra risposta alle continue sfide della salute.
Lavoriamo ogni giorno per salvare le vite dei pazienti
e per aiutare milioni di persone in tutto il mondo.
SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO
“Anziani e metodologia degli studi clinici”
a cura del Gruppo di Lavoro Medicina Farmaceutica
Roma, 26 marzo 2015
Anno IX numero 47
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SSFAoggi ha sempre sottolineato che la qualità degli studi clinici rappresenta non solo un obbligo di legge, ma è ancor più un dovere morale. Accogliamo quindi con grande plauso l’iniziativa illustrata in queste
pagine. Per dovere di informazione, dobbiamo citare che altre organizzazioni si stanno muovendo sullo
stesso terreno: ad esempio, AIOM ha attivato un progetto analogo, per la certificazione dei centri di oncologia.
Progetto di “Certificazione della qualità per le attività di sperimentazioni cliniche dei medicinali condotte dai centri clinici”
Come è noto le norme di Buona Pratica Clinica (GCP) attribuiscono
massima importanza agli aspetti
della qualità nelle modalità di conduzione delle sperimentazioni da parte
dello sperimentatore ed attribuiscono allo sponsor la responsabilità di
adottare sistemi di QA e CQ.
L’adozione di tali sistemi, per essere
pienamente efficace, non può essere limitata alle attività dello sponsor,
ma deve essere inserita nel centro
sperimentale. Un sito clinico che
possa garantire autonomamente il
possesso di una serie di requisiti
specifici per le sperimentazioni, non
solo scientifici e strumentali, ma anche strutturali, organizzativi, di formazione nella GCP e di QA e QC,
può essere considerato un Centro
Sperimentale di Eccellenza; la certificazione di tali requisiti, da parte di
esperti del settore di una struttura
terza, potrebbe fornire agli sponsor
un plusvalore nella selezione dei
centri sperimentali. Al momento possiamo individuare due principali tipologie di certificazioni di potenziale
interesse per le sperimentazioni dei
medicinali: una di carattere generico
nel settore sanitario/assistenziale
(es.: ISO 9001:2008, Joint Commission International - JCI) ed una circoscritta a specifici aspetti delle sperimentazioni (es. ECRIN, TransCelerate JCI-HSRP). Non vi è invece la
previsione di una certificazione di
qualità mirata alla globalità dei compiti dei centri sperimentali, pur esistendo vari documenti internazionali,
tra cui quelli di EMA (1,2) e nazionali
(3,4,5). La garanzia della qualità dei
centri sperimentali è peraltro alla
base della loro idoneità alla sperimentazione prevista dal D.L.vo
211/2003 (art. 6) e dal Regolamento
UE n. 536/2014 (art. 50) di prossima
applicazione, che dispone anche
(Appendice 1, punto 67) che il direttore del centro presenti una dichiarazione scritta e debitamente giustificata, relativa alla suddetta idoneità,
con relativa descrizione delle strutture, delle attrezzature, delle risorse
umane e delle competenze e con
riferimento alla tipologia di sperimentazione da avviare.
In tale contesto lo scrivente, operando nel programma “Promozione
delle GCP” dell’Istituto di Ricerca
delle Nazioni Unite - UNICRI, è stato
promotore, insieme al dott. P. Primiero (Assomonitor) di un progetto
per una“Certificazione della qualità
per le attività di sperimentazioni cliniche dei medicinali condotte dai centri clinici” (Certificazione di Centri di
Eccellenza per le Sperimentazioni CCESp) con i seguenti obiettivi:
a) istituire una certificazione,
non di carattere sanitario generico,
ma strettamente specifica, per la
qualità dei siti di sperimentazioni
cliniche dei medicinali, che possa
garantire, anche senza il sistematico
supporto del promotore della sperimentazione (che ovviamente mantiene le sue responsabilità), alti livelli
di conformità ai principi etici e di
qualità della GCP e quindi di affidabilità e credibilità dei risultati;
b) facilitare la conformità alle
disposizioni del Regolamento UE
sulla idoneità dei centri.
In qualità di promotori del progetto,
abbiamo proposto ad un organismo
di certificazione di terza parte di approfondire tale possibilità ed abbiamo predisposto un documento con
una serie di requisiti tecnici specifici
per la qualità dei centri di sperimentazione, unificando, armonizzando
ed integrando tra loro i vari orientamenti che AIFA ha pubblicato negli
ultimi anni nel proprio sito (3,4,5) e
diffuso in convegni e corsi su tale
tematica. L’utilizzo di tale documentazione di AIFA, che ha come base
anche linee guida internazionali (v.
ad es., 1 e 2), è stato autorizzato
dalla stessa AIFA, ritenendo che
tale iniziativa possa contribuire a
diffondere una cultura della qualità
non generica, ma specificamente
orientata ai centri di sperimentazione; il documento unificato che ne è
risultato è stato oggetto di approfondimento e di revisione nell’ambito di
un gruppo di lavoro di esperti nel
settore (6). Ovviamente tale certificazione, così come quelle ISO e
JCI, ottenute da varie strutture sanitarie, non implica che i centri certificati siano da ritenersi in qualche
modo accreditati da AIFA. Il documento, ormai nella sua versione definitiva, si basa su una descrizione
delle finalità e motivazioni del progetto e su 6 appendici tecniche, tra
cui una sui requisiti dei centri
(differenziando i requisiti per le sperimentazioni ad alto rischio dalle altre); una sui requisiti specifici per la
qualità (differenziando, ove applicabile, i requisiti tecnici necessari in
relazione alla tipologia delle sperimentazioni: es. Fase I o successive,
oppure BE/BA; descrivendo i compiti del QA del centro e la documentazione di qualità necessaria); una con
la lista delle SOP per le diverse tipologie di attività; una con indicazioni
per la formazione in GCP dello staff
sperimentale. La CCESp pertanto
può essere richiesta per singole o
per più tipologie di sperimentazioni,
sia per quanto riguarda le Fasi, sia
per tipologia di soggetti (volontari
sani, pazienti, pazienti ad alto rischio), sia per finalità (profit , no profit), sia per ambiente di trattamento
(ricovero, ambulatoriali, day hospital).
I centri che, su base del tutto volontaria, vorranno ottenere e mantenere
la CCESp, dovranno dichiarare e
dimostrare il possesso dei requisiti
previsti (strutture, personale, organizzazione e sistemi di QA e CQ),
come analiticamente dettagliato nel
documento, nonché la loro applicazione nel funzionamento del centro e
nella conduzione delle sperimentazioni che dovranno risultare senza
(Continua a pagina 29)
Anno IX numero 47
deviazioni critiche alla GCP. La
CCESp potrà riguardare un “centro
clinico” che conduce direttamente le
attività di sperimentazione (es. unità
operativa semplice o complessa)
oppure un “centro trasversale di
servizio per le sperimentazioni” (es.
ufficio ricerche cliniche); in questo
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secondo caso la certificazione sarà
collegata con uno o più centri clinici
nei quali si garantisce la conduzione
di sperimentazioni in conformità ai
requisiti previsti. La verifica ai fini
della CCESp sarà condotta da auditor GCP con i requisiti di cui al D.M.
15 novembre 2011 o equivalenti.
aziendali e degli sperimentatori a
voler rendere i propri centri conformi
ai requisiti di eccellenza previsti.
Umberto Filibeck
A questo stadio dei lavori,
l’operatività dell’iniziativa dipenderà dalle applicabilità /
praticabilità delle norme sulle
certificazioni e il successo
del progetto dipenderà dalla
sensibilità dei vertici sanitari
Umberto Filibeck
È stato direttore dell'ispettorato GCP di AIFA, ispettore senior
GCP per l'Italia e per EMA, membro del gruppo ispettori GCP
EMA (2000-2011); ha redatto le norme sulle sperimentazioni
dei farmaci (1997-2008). Attualmente nella lista esperti EMA,
consulente per la GCP nei Paesi in via di sviluppo nell'ambito
di UNICRI, istituto di ricerca delle Nazioni Unite, e docente a
contratto di Scienze Regolatorie e Qualità sulle Sperimentazioni Cliniche al corso di laurea in farmacia (Tor Vergata).
Bibliografia
1.
EMA - Guideline on strategies to identify and mitigate risks for first-in-human clinical trials with investigational medicinal products (CHMP/SWP/28367/2007)
http://
www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_library/Scientific_guideline/2009/09/WC500002988.pdf
2.
Annex I to procedure for conducting GCP inspections requested by the EMA: investigator site
http://ec.europa.eu/health/files/eudralex/vol10/chap4/
annex_i_to_guidance_for_the_conduct_of_gcp_inspections_-_investigator_site_en.pdf
3.
AIFA: Requisiti minimi per la partecipazione al “progetto AIFA per la qualità nelle sperimentazioni a fini
non industriali (no-profit)”
http://www.agenziafarmaco.gov.it/allegati/requisiti_minimi_080109.pdf
4.
AIFA: Possibili caratteristiche operative per garantire la qualità dei centri e delle sperimentazioni di Fase I
nel rispetto della GCP secondo le linee guida e gli orientamenti regolatori internazionali e nazionali – A.
Del Vecchio, F. Galliccia, U. Filibeck
http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/possibili_caratteristiche__fase_i_12_04_2011.pdf
5.
AIFA: Possibili caratteristiche operative per garantire la qualità dei centri e delle sperimentazioni di bioequivalenza e/o biodisponibilità (BE/BA) nel rispetto della GCP secondo le linee guida e gli orientamenti
regolatori internazionali e nazionali - A. Del Vecchio, F. Galliccia, U. Filibeck
http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/possibili_caratteristiche_be_ba_12_04_2011.pdf
6.
GdL di revisione del documento ( nominativi di quanti finora ne hanno autorizzato la menzione): L. Borgia;
S. Caroli; U. Filibeck; M. Iodice ; A. Mancino; D. Marcozzi; L. Mc Mahon ; G. Minotti; C. Piazza; P. Primiero; E.M. Proli; M. Vignetti.
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I biosimilari e l’impiego nella pratica clinica: l’Italia deve agire?
Il 20 ottobre 2014 si è svolto, presso
il Ministero della Salute, un convegno sui farmaci biosimilari, organizzato da Assobiotec: ho partecipato
per conto di SSFA e ne riporto alcuni
elementi interessanti. Il convegno,
organizzato in forma di tavola rotonda, ha visto la partecipazione di circa trenta persone tra relatori e partecipanti.
Nell’ introduzione, la dr.ssa Marcella
Marletta (Ministero della Salute) ha
fornito dati aggiornati sull’impiego
dei farmaci, sui costi e sulle previsioni future sottolineando le situazioni
di criticità che interessano soprattutto i farmaci biologici ed i biosimilari,
in termini di sostenibilità per il SSN,
di sicurezza per i pazienti, di appropriatezza di prescrizione, nel contesto delle posizioni di EMA e di AIFA,
considerando anche, specificatamente per l’Italia, le diverse posizioni
di regioni, pazienti e prescrittori. Nel
2012, la spesa per i farmaci biotecnologici è stata di 3,5 miliardi di euro, pari al 12,5% della spesa farmaceutica complessiva a carico del
SSN. Il tasso di crescita annuale
della spesa per questi farmaci, dal
2009 al 2012, è stato del 6,4% e la
tendenza rimane in aumento. Nei
prossimi anni almeno 48 farmaci su
100 saranno biologici e la percentuale prescrittiva di questi farmaci potrebbe superare ampiamente quella
dei farmaci destinati alle cure primarie, passando addirittura al 70 %
contro il 30 % di oggi.
Interessanti sono i dati emersi dai
risultati di un sondaggio, svolto recentemente in Europa, dall’Alliance
for Safe Biological Medicines
(ASBM). ASBM è un’organizzazione
composta da diversi operatori del
settore della salute e comprendente
medici, società di biotecnologie che
sviluppano farmaci innovativi e farmaci biosimilari, ed altri che operano
per garantire la sicurezza dei pazienti, ed è all’avanguardia
dell’attenzione nel campo dei biosimilari. L’indagine, condotta nel terzo
trimestre 2013, su 470 medici europei (selezionati da circa 1000 che
hanno risposto all’invito a partecipare, inviato a 4324 professionisti in
Italia, Francia, Germania, Spagna e
Regno Unito, attraverso un questionario, somministrato via web), si
proponeva di:
x esaminare l’attitudine dei medici
europei nei confronti delle conoscenze, delle denominazioni e della
utilizzazione dei farmaci biosimilari,
x stabilire le conoscenze dei medici, le fonti di informazione e le necessità di una formazione futura sui
biosimilari,
fornire dati utili per definire una linea
di condotta per lo sviluppo, a livello
europeo e nazionale, di informazioni
e raccomandazioni sui biosimilari.
I risultati sono stati presentati dal
direttore esecutivo di ASBM, dr. Michael Reilly, che li ha riassunti così:
x Il 53% dei medici consultati ha
ritenuto, erroneamente, che un identico “non-proprietary name” implichi un’identica struttura , mentre il
15% dimostrava di non conoscere
la questione, e ciò può essere dovuto a confusione o scarsa comprensione della materia;
x il 61% ha risposto che farmaci
con INN (International Nonproprietary Name – DCI = Denominazione Comune Internazionale)
sono approvati per le stesse indicazioni del farmaco originale, mentre
ciò può non essere vero: infatti, i
farmaci biosimilari, a differenza dei
farmaci equivalenti , hanno strutture
differenti, possono avere un diverso
profilo terapeutico e possono non
essere autorizzati per le stesse indicazioni approvate dal prodotto originale. Anche qui il 9% non sa rispondere alla domanda;
x il 17% dei medici registra soltanto l’INN/il nome generico del prodotto biologico, quando riporta un evento avverso, mentre il 27% non riporta
mai il numero di lotto in presenza di
un evento avverso ed il 33% riporta
ciò solo occasionalmente.
x il 25% ha risposto che registra
abitualmente, nella cartella clinica
del paziente, soltanto l’INN del prodotto biologico usato,
x l’86% dei medici utilizza la sche-
da tecnica/il foglietto illustrativo per
avere informazioni sul prodotto e di
essi la metà (43%) agisce sempre
così, mentre l’altra metà (43%) solo
qualche volta. Il 19% dei medici afferma di utilizzare sempre l’EPAR
(European Public Assessment Report) per conoscere i dettagli del
farmaco che prescrive e per monitorarne gli effetti;
x il 70% dei medici considera co-
me punto critico o molto importante,
il potere avere l’autorità di decidere,
insieme al paziente, quale sia il farmaco biologico più opportuno da
prescrivere.
I medici italiani hanno una buona
conoscenza dei farmaci biologici e
dei biosimilari, migliore rispetto ai
colleghi degli altri Paesi dove
l’indagine è stata effettuata: tuttavia
è anche emerso che resta ancora
una forte necessità di un’ulteriore
formazione ed informazione su tali
prodotti. Infatti solo il 26 % dei medici italiani ritiene di avere una buona
familiarità con i biosimilari , mentre il
17 % non ha saputo dare una definizione dei biosimilari o non ha mai
avuto notizia di essi in precedenza.
Un aspetto cruciale della presentazione è consistito nel precisare che
la chiarezza della denominazione
dei farmaci biologici è determinante,
perchè, per la loro estrema complessità, anche una piccolissima differenza strutturale tra il prodotto originale e la sua “copia” può avere
un’influenza significativa sul paziente ivi incluse reazioni avverse, come
risposte immuni non attese. Poiché,
tuttora, il 25% dei medici riporta soltanto l’INN, ciò può comportare false attribuzioni di tali effetti, e può
anche causare un errore del farmacista nella dispensazione del farmaco. E’ opinione del dr. Reilly che la
pratica prescrittiva dei medici europei necessiti di una protezione aggiuntiva di nomi distinguibili per assicurare una chiara prescrizione ed
un accurato monitoraggio; ciò com(Continua a pagina 31)
Anno IX numero 47
(Continua da pagina 30)
porterà una sicura identificazione
del prodotto da parte dei medici e
dei farmacisti e darà un aiuto anche
alle autorità regolatorie per tracciare in modo preciso il percorso di
questi farmaci, per capirne meglio
l’effetto e per promuovere la responsabilità dei produttori.
Pagina 31
no Aceti (Cittadinanzattiva), sottolineando la necessità di garantire
l’appropriatezza clinica, prima
dell’appropriatezza economica, e
sostenendo che non è accettabile
una linea di comportamento differente da regione a regione; un breve
dibattito ha consentito ulteriori chiarimenti, soprattutto sulla possibile interscambiabilità dei farmaci da pre-
Il dr. Riccardo Palmisano e la dr.ssa Marcella Marletta
A tale presentazione hanno fatto
seguito diversi interventi di esponenti di società scientifiche (Società Italiana di Nefrologia – SIN; Società
Italiana di Dermatologia medica,
chirurgica, estetica e delle Malattie
Sessualmente Trasmesse – SIDeMaST; Società Italiana di Farmacia
Ospedaliera – SIFO), di istituzioni
(AIFA, Ministero della Salute, ISS),
dell’industria (Assobiotec) e dei cittadini (Cittadinanzattiva) e, ognuno dal
proprio punto di vista, ha commentato i dati presentati: il dr. Gaspare
Guglielmi (SIFO), illustrando
l’esempio della gestione pugliese e
precisando l’orientamento della società all’impiego dei biosimilari; il dr.
Sergio Chimenti (SIDeMaST), approfondendo la situazione dei pazienti affetti da psoriasi (circa 2 milioni in Italia) che, per il 10% , si giovano dei farmaci biologici; il dr. Toni-
scrivere, tenendo conto anche del
tipo di paziente se nuovo o già in
trattamento, se in terapia cronica o
in terapia acuta, ed ha ribadito la
necessità di rivalutare le varie posizioni per trovare una comune e chiara linea di condotta. Sono intervenuti
anche il dr. Francesco di Marco
(Assobiotec), che ha riferito la visione dell’industria ed ha voluto sottolineare le reali differenze tra farmaci
equivalenti e farmaci biosimilari osservando anche le diverse attitudini
di EMA e di AIFA nel regolamentare
l’uso dei biosimilari; il dr. Corrado
Pini (ISS), la dr.ssa Simo Montilla
(AIFA) e la dr.ssa Lorella Lombardozzi (regione Lazio), per illustrare il
punto di vista delle i diverse istituzioni. Ha chiuso l’incontro il dr. Riccardo Palmisano (Vice Presidente Assobiotec):
x ringraziando tutti i convenuti per
il contributo apportato da ognuno
all’approfondimento del tema,
x avanzando la proposta di sostenere l’attività di un centro studi sulle
biotecnologie (CESBIO) anche sul
tema dei biosimilari, di costituire un
osservatorio permanente con il coinvolgimento delle associazioni civili e
di pazienti e le società scientifiche
per produrre rapporti sulla scelta
informata della terapia da parte di
medici e pazienti per uno sviluppo
consapevole del mercato dei biosimilari, auspicando uno stimolo per
una politica farmaceutica che consenta, attraverso le scadenze brevettuali, il sostegno dell’innovazione
senza svantaggiare la salute dei
pazienti, per facilitare la messa a
punto di regole stabili e chiare per la
registrazione, il rimborso, l’acquisto
e l’utilizzo dei biosimilari in armonia
con l’Europa e per consentire ai
nuovi biosimilari la disponibilità sul
mercato italiano con condizioni, tempi e prezzi che siano sostenibili per
l’Industria e rendano l’Italia un mercato accessibile.
Francesco De Tomasi
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La spesa farmaceutica mondiale
Pubblicato l'ultimo rapporto dell'IMS
con le stime del mercato farmaceutico mondiale. Gli USA si confermano
al primo posto seguiti da Cina, Giappone e Germania. Per l'Italia, che
scenderà dal 7° all'8° posto in classifica di mercato, è stimato comunque
un incremento di spesa che ci porterà ad un totale compreso tra 28 e 36
miliardi di dollari.
La spesa globale per i farmaci si
prevede che raggiungerà quasi
1.300 miliardi dollari entro il 2018,
con un incremento di circa il 30%
rispetto al livello del 2013. Il tasso di
crescita annuo potrebbe arrivare a toccare punte del 7%,
a fronte del 5,2% registrato
nel corso degli ultimi cinque
anni. Questa crescita sarà
dovuta sia all'introduzione di
nuovi farmaci che ad una
maggiore accessibilità ad
essi da parte dei pazienti,
che dovrebbe coincidere
anche con una più bassa
incidenza di brevetti scaduti
nei mercati sviluppati. La
crescita della spesa annuale
avrà il suo picco nel 2014,
quando raggiungerà circa 70
miliardi dollari, rispetto ai 40
miliardi di dollari registrati
nel 2013. Dal 2015 in poi si
dovrebbe avere un tasso di
crescita più moderato, seppure più
elevato rispetto ai livelli osservati
negli ultimi 5 anni. I mercati sviluppati, guidati da Stati Uniti, i principali
cinque mercati europei (tra cui l'Italia) e il Giappone, saranno i principali protagonisti di questa crescita,
mentre i 21 paesi emergenti a livello
farmaceutico arriveranno a rappresentare quasi il 50% della crescita
assoluta a livello globale nel 2018. Il
mercato statunitense si conferma il
più grande, rappresentando circa 1/3
del totale a livello mondiale, ed è
destinato a crescere a un tasso del 5
-8% annuo fino al 2018. Una stima
di crescita significativamente superiore a quella del 3,6% registrata nel
corso degli ultimi cinque anni, che, in
particolare nel 2014, dovrebbe arrivare a raggiungere l'11,7%. A partire
dal 2015 si dovrebbe assistere ad
una crescita ben più moderata, che
si dovrebbe attestare intorno al 5%.
Nei maggiori mercati europei, gli
sforzi attuati per limitare la crescita
della spesa sanitaria, e in particolare
quella per i farmaci, hanno portato a
riduzioni di spesa o ad una bassa
crescita, che proseguirà fino al 2018.
In Giappone, allo stesso modo, si
prevede una crescita di 1-4%, nonostante la sua popolazione di anziani
superi il 27% di quella totale - ben il
5% in più rispetto a quella di altri
Paesi sviluppati. La Cina, già secondo mercato farmaceutico mondiale,
raggiungerà i livelli di spesa di 155185 miliardi di dollari nel 2018. L'at-
tuazione delle riforme sanitarie ha
incrementato la domanda di farmaci,
mentre i prezzi regolamentati vengono utilizzati più frequentemente per
gestire i livelli di crescita complessiva. Oltre l'80% della crescita nei
mercati emergenti sarà dovuto ai
farmaci generici. Circa il 40% della
crescita globale della spesa avverrà,
nei prossimi 5 anni, per i farmaci
specialistici. In particolare riguarderà
medicinali di aree terapeutiche quali
oncologia, malattie autoimmuni, malattie respiratorie, antivirali ed immunosoppressori.
Nel corso dei prossimi cinque anni, i
progressi in oncologia, diabete ed
epatite C saranno di particolare importanza. L'ondata di farmaci innovativi contro il cancro continuerà a
contribuire all'aumento della spesa
globale per tutti i farmaci oncologici,
raggiungendo circa 100 miliardi di
dollari nel 2018, a fronte dei 65 miliardi di dollari registrati nel 2013. La
spesa per i trattamenti del diabete
supererà i 78 miliardi di dollari a livello globale nel 2018. Sebbene la
prevalenza del diabete continuerà
ad aumentare, in particolare nei paesi a basso e medio reddito, i costi
per il trattamento a livello globale
saranno modesti.
L'introduzione di nuovi farmaci per la
cura dell'epatite C porteranno a circa
100 miliardi di dollari la spesa totale
nel quinquennio 2014-2018. Un gran
numero di farmaci, che potranno
portare notevoli benefici clinici per i
pazienti, sono già
disponibili. Allo stesso tempo, resta il
problema di come si
potranno finanziare
questi medicinali visti
gli ingenti costi iniziali, anche se, nel lungo
periodo,
potranno
comportare un risparmio debellando la
malattia. Nello studio
viene poi analizzata
la disponibilità nei
singoli Paesi di nuove
molecole a partire dal
2013. A guidare la
classifica sono ancora una volta gli USA
che, su una disponibilità globale di 154 nuove molecole,
hanno accesso a 104 (68%). Non va
male l'Italia che, tra i Paesi europei,
si piazza dietro solo a Germania,
Francia e Regno Unito con una disponibilità di 56 molecole (36%). A
livello globale, ancora una volta l'Italia si conferma in buona posizione. Nel periodo 2013-2018, dopo
USA, Cina, Giappone e Germania
che mantengono stabilmente le prime 4 posizioni, il nostro Paese scivolerà dal 7° all'8° posto accrescendo il proprio livello di spesa farmaceutica da 27,9 miliardi ad una cifra
compresa tra i 28 e i 36 miliardi
(aumento stimato del 2-5%).
A cura di Domenico Criscuolo
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No One's in Charge of Pharmaceuticals in Europe!
Applied Clinical Trials
The recent blog, entitled 'Who's in
charge of Medicines in Brussels?', has been overtaken by history, with the departure of Guido
Rasi from his post of Executive Director of the European Medicines
Agency. At a time of flux in the European context for pharmaceuticals,
Rasi's moderate manner and capacity for strategic thinking were one
reassurance amid so much uncertainty. His removal is to be lamented, therefore, not only for the
personal setback it represents to
Rasi himself, but also for the additional unpredictability it brings to discussions of pharmaceuticals in
Europe. The European Union Civil
Service Tribunal may well be right in
deciding Rasi's appointment must be
annulled on grounds of procedural
errors in his appointment. (The merits of the appeal by the disappointed
Bulgarian candidate for the post,
who triggered the case, may be
more open to question.) But the impact is to bring further chaos to what
was already a confused situation.
Only four years ago, the previous
EMA head departed in controversial
circumstances. Only a year ago, the
European Commissioner for health
was forced to resign in connection
with a lobbying scandal. Only a
month ago the Commission's Director-General for Health resigned
abruptly after an injudicious tip-off
about an upcoming tender. And only
a week ago, the new boss of the
European Commission, Jean-Claude
Juncker, sowed further confusion
with a messy compromise over
whether the health commissioner or
the industry commissioners should
be in charge of pharmaceuticals.
As Kent Woods, chair of the EMA
management board, said, on Rasi's
departure, "The ruling is about a procedural formality. It is not a reflection
on Guido Rasi’s competence or ability to run the Agency, something
which he has done successfully
since November 2011.” Indeed he
has. Not only that, but he has been
at the forefront of European thinking
on how to resolve one of the big
strategic problems facing medicines
innovation in Europe—and beyond:
how to speed good new drugs to
market and reward manufacturers
for doing so. From his first days in
office, he indicated interest in the
obvious logic which makes efficient
market access the corollary of an
effective marketing authorisation
system. Not, of course, strictly
speaking the terrain of the EMA.
But terrain it would be foolish nonetheless to ignore. Similarly, and even
more strikingly, he has over the last
year or so been one of the driving
forces in the development of alternative
licensing
approaches—and
again, has pioneered collaboration—
even if it has to remain informal—
between regulators and payers and
their health technology assessment
bodies. No one man is indispensable, and the work that Rasi has very
much led on will, doubtless, continue
in his absence—whether that is
short, long or total. The European
Commission and the EMA are taking
legal advice on what to do about the
tribunal's judgement. Pending further
decisions, Andreas Pott, the deputy
executive director, will step up –
once again, for he also ran the
agency in the interregnum before
Rasi's appointment. But whether the
work will continue with the same
energy and focus is another question—and one that is all the harder
to answer while there are so many
other unknowns swirling across the
European
pharmaceutical
landscape. The implementation of the
new clinical trials legislation, the inauguration of the EMA's own new
clinical data transparency regime,
the reflections on future regulation of
the devices and diagnostics that will
become increasingly pressing as
personalised medicine becomes
more of a reality…
It is also unfortunate that Rasi,
brought in as a new broom in the
EMA (after being brought in as a
new broom in the Italian drug
agency not long before), has been
forced to resign by this fiasco not of
his own making. And doubly unfortunate that he shares his nationality
with a predecessor at the head of
Europe's attempt to make sense of
pharmaceutical
regulation—Duilio
Poggiolini, who fell from grace in a
big way in the 1980s. Rasi was a
"clean hands" who was well on the
way to utterly obliterating that memory and establishing an international
reputation that did credit to his country as well as himself. Will the Bulgarian who has catalysed this mess
be applying to fill the spot Rasi is
now leaving?
XXIV CONGRESSO GIQAR
Napoli
27 - 29 maggio 2015
Hotel Royal Continental
NUOVA SEZIONE POSTER:
CONCORSO CON PREMIO AL VINCITORE
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La politerapia nell’anziano tra efficacia terapeutica e qualità
della vita: il progetto QUELYPHARM
(www.quelypharm.unito.it)
Le Scienze Umane e Sociali, concorrendo alla comprensione del processo di invecchiamento e delle dinamiche che lo influenzano, teorizzano il graduale prolungamento della vita attiva e la riduzione del rischio
di morte prematura a cui si assisterà
nei decenni futuri. In una società che
registra un costante incremento
dell’indice medio di vita, diventa indispensabile attuare una graduale
erosione temporale della fase di vita
non autosufficiente, a favore degli
anni di vita vissuti in condizioni di
autosufficienza e attività. Malgrado
questa affermazione sia univocamente condivisibile, le problematiche
ad essa correlate sono molto variegate e richiedono un’indispensabile
trattazione multidisciplinare. Tuttavia, partendo dall’inconfutabile assun-
to che “la vecchiaia è il fisiologico
evolversi della vita e non una malattia”, l’aspetto sanitario ha una rilevanza cruciale nella impostazione
del problema e delle possibili soluzioni.
Oggi in Italia l’impegno medicoassistenziale, per la gestione del
paziente geriatrico, grava pesantemente sulle risorse sanitarie, pubbliche e private, senza raggiungere un
adeguato rapporto qualità/spesa. Il
limite del contenimento farmaco/
assistenziale-indotto mantiene infatti
un’incidenza molto elevata sugli anni
demograficamente computati nel
prolungamento della vita. A questo
proposito l’adeguamento del servizio
sanitario pubblico e convenzionato
dovrebbe garantire interventi tangibili sulla gestione del paziente geriatri-
co, contribuendo fattivamente al
processo di evoluzione degli indici di
qualità della vita (QoL) in età avanzata. In quest’ottica il farmaco ed il
suo corretto impiego diventano di
focale interesse se si considera che
l’uso inadeguato della politerapia,
oltre ad alimentare un’ingiustificata
lievitazione della spesa sanitaria
pubblica, rischia di non tutelare la
QoL percepita dall’anziano.
Proprio da queste riflessioni è
scaturito l’impegno di lavoro presentato dal gruppo di esperti del farmaco del Dipartimento di Scienze e
Tecnologia del Farmaco (DSTF)
dell’Università degli Studi di Torino
nel febbraio del 2013 alla European
Commission, Directorate General
for Health and Consumer. L’obiettivo
primario della proposta progettuale
Qualification of Elderly PolNella foto, da sinistra: Barbara Sgorbini, Piera Ghi, Clara ypharmacy (QUELYPHARM),
inserita nella Partnership on
Cena, Antonella Di Stilo, Franco Dosio e Paola Brusa.
Active and Healthy Ageing –
Action Group 1: Prescription
and Adherence to Medical
Plans, è di contribuire al mantenimento del miglior grado di
QoL dell’anziano in politerapia.
Sebbene l’obiettivo
sembri scontato, è facilmente
dimostrabile la sostanziale
differenza fra appropriatezza
prescrittiva, efficacia della
terapia e QoL percepita dal
soggetto trattato. Questi tre
parametri sono infatti mediamente correlabili in condizioni
di monoterapia, ma possono
dar luogo a valori del tutto
indipendenti in condizioni di
politerapia. A tal proposito
l’analisi preliminare dei dati
raccolti dagli archivi clinici
regionali nel quinquennio
2009-2013 rivela molteplici
osservazioni che offrono altrettanti spunti di intervento.
Nello specifico, il numero sorprendentemente elevato di
farmaci/paziente/die, se associato al preferenziale uso
di formulazione in compres(Continua a pagina 35)
Anno IX numero 47
Pagina 35
(Continua da pagina 34)
se, rappresenta un fattore di primaria attenzione nella revisione dei
problemi di conformità alla terapia.
Inoltre, poiché la gran parte della
politerapia cronica è costituita da
farmaci destinati alla cura del sistema cardiovascolare, è indispensabile procedere ad un’accurata analisi
della correlazione fra QoL percepita
dal soggetto trattato, rischio di fragilità ed efficacia terapeutica di questi
farmaci, soprattutto in considerazione delle diverse fasce di età geriatrica.
Un breve commento merita a
questo proposito la frequenza d’uso,
in politerapia, delle benzodiazepine
e delle fenotiazine che si attesta rispettivamente su valori prossimi al
30 e al 20 % dei soggetti esaminati.
A scopo del tutto esplicativo, se si
considera che l’ipotensione posturale, più o meno accentuata, è descritta in circa il 20 % della popolazione
anziana, l’ipotetica associazione di
farmaci vasodilatatori con fenotiazine o benzodiazepine meriterebbe
un’attenta valutazione, date le comprovate proprietà ipotensive e di alterazione dell’abilità motoria ascrivibili a queste molecole. L’incremento
del rischio di cadute e conseguenti
traumi può infatti compromettere
significativamente l’autonomia del
soggetto trattato, indotto ad attuare
un’autolimitazione dei movimenti a
scopo cautelativo, con un tangibile
detrimento della propria QoL. Nella
sua semplicità questo esempio focalizza la necessità di affrontare una
qualificazione della politerapia a misura del soggetto anziano, basata
sulla approfondita conoscenza delle
caratteristiche chimiche, dinamiche
e cinetiche di ogni singolo farmaco.
Da un’analisi di questo tipo possono
essere riesaminate le criticità terapeutiche note, come l’esempio descritto, ma soprattutto emergeranno
nuove criticità terapeutiche del tutto
trascurate perché non valutate ai fini
del mantenimento del QoL.
In estrema sintesi, QUELYPHARM si propone di qualificare la
cura della popolazione sopra i 65
anni attraverso l’attuazione di nuovi
schemi di revisione terapeutica e di
sistemi di dialogo digitale in grado di
fornire il costante e puntuale controllo dei piani terapeutici e delle
criticità terapeutiche correlate
all’anamnesi, alle abitudini alimentari, all’uso dei prodotti della salute e
agli stili di vita. Lo sviluppo di questo lavoro è basato quindi sulla traslazione delle più recenti conoscenze scientifiche sul farmaco e sui
prodotti della salute nella realtà quotidiana e clinico-assistenziale. A
questo scopo, la professionalità accademica del gruppo torinese di
esperti del farmaco è impegnata ad
interpretare le criticità farmaceutiche, emerse direttamente dalla realtà clinica geriatrica, affiancando gli
specialisti medici e gli operatori sanitari. In collaborazione con la Regione Piemonte e coinvolgendo le ASL
territoriali regionali, il lavoro sperimentale del gruppo si prefigge la
realizzazione di nuovi modelli di attività relativi alla salute e al benessere in età geriatrica nonché la definizione di linee guida per un appropriato ed efficace impiego della politerapia in sindrome geriatrica, applicabili a livello regionale e sovraregionale. La realizzazione
dell’obiettivo, in completa armonia
con le direttive sanitarie in tema di
invecchiamento sano e attivo, persegue l’ambiziosa prospettiva europea
di maturare un totale rinnovamento
dei mezzi e dei metodi di gestione
del paziente anziano, ripensando il
problema alla luce di un nuovo modo
di concepire l’avanzare dell’età e di
declinare lo stile di vita dell’anziano
di domani. Il proposito di smussare i
picchi di malattia/assistenza a favore
dei picchi di benessere/attività dovrà
infatti tradursi non solo in un guadagno di anni alla vita, ma soprattutto
nel dare un senso agli anni guadagnati.
Piera Ghi
Piera Ghi, Coordinatore del Team
QUELYPHARM, è professore associato di Farmacologia e Tossicologia presso il Dipartimento di Scienze
e Tecnologia del Farmaco (DSTF)
dell’Università degli Studi di Torino.
Svolgendo la propria attività di ricerca principalmente nel settore della
neuropsicofarmacologia, studia le
modificazioni dei processi cognitivi,
di memoria e apprendimento, causate da farmaci, invecchiamento,
stimoli stressogeni, malattie psichiatriche e neurodegenerative.
QUELYPHARM TEAM
(DSTF)
Piera Ghi, Clara Cena, Antonella Di
Stilo, Vivian Tullio, Patrizia Rubiolo,
Franco Dosio, Paola Brusa, Barbara
Sgorbini, Silvia Racca.
Anno IX numero 47
Pagina 36
Breath analysis :
una valida strategia per valutare il livello di esposizione professionale a sostanze volatili pericolose negli ambienti ospedalieri
Come è ben noto, ogni giorno il personale ospedaliero è sottoposto a
numerosi rischi professionali che
possono essere di tipo fisico
(radiazioni ionizzanti, campi elettromagnetici) biologico (agenti infettivi,
agenti patogeni), ed anche chimico,
come ad esempio l’esposizione a
sostanze volatili potenzialmente tossiche. I gas anestetici e gli antisettici, come i disinfettanti a base alcolica, sono le due principali classi di
sostanze volatili frequentemente
presenti negli
ambienti ospedalieri. In particolare, il sevoflurano,
gas
anestetico comunemente
utilizzato in chirurgia, e l’alcol
isopropilico,
principio attivo
dei prodotti farmaceutici utilizzati per la disinfezione
della
cute e delle
mani sono i due
composti rappresentativi
delle classi sopra menzionate.
L’esposizione
acuta o cronica
a tali sostanze
rappresenta un
potenziale
rischio per la
salute del personale ospedaliero, oltre che per i
degenti, e pertanto un monitoraggio
di queste sostanze risulta importante
per la tutela della salute. Sin dall'inizio degli anni Ottanta, la comunità
scientifica ha manifestato un crescente interesse per gli effetti indotti
da una esposizione cronica ad agenti anestetici volatili, suggerendo come l'esposizione cronica a basse
dosi di gas anestetici come il sevoflurano rappresenti un fattore di rischio occupazionale con effetti avversi quali mal di testa acuti, aborti
spontanei e cambiamenti neurocomportamentali. Per tale motivo, a livello europeo una concentrazione limite
di 20 ppm è stata indicata come assunzione media ponderata in un arco temporale di 8 ore (TimeWeighted Average, TWA). Allo stesso modo anche l’esposizione
all’alcol isopropilico costituisce un
fattore di rischio per la salute degli
operatori in ambiente ospedaliero e
pertanto l'Agenzia Europea per la
sicurezza e la salute sul lavoro (EU-
OSHA) impone un limite legale di
esposizione (Permissible Exposure
Limit, PEL) di 400 ppm considerando un turno di lavoro di 8 ore. Nausea, mal di testa, apatia, atassia e
ipotensione sono i principali effetti
avversi causati da una esposizione
cronica ad alcol isopropilico. Sulla
base di queste premesse, è stato
condotto uno studio preliminare con
lo scopo di determinare il livello di
esposizione del personale ospedaliero a sevoflurano ed alcol isopropilico mediante analisi chimica
dell’espirato. I principali vantaggi di
questo approccio, oltre alla disponibilità di una matrice chimicamente
più semplice da trattare, se confrontata con sangue ed urina, sono sia la
non-invasività del campionamento,
che non necessita di personale altamente qualificato, che la possibilità
di ottenere informazioni
sull’esposizione a particolari inquinanti e sui processi fisiologici in atto.
Inoltre, rispetto al classico approccio
utilizzato per il monitoraggio di sostanze inquinanti
mediante campionamento
dell’aria ambiente,
l’utilizzo
dell’analisi
dell’espirato permette di monitorare anche i
composti
derivanti dai processi metabolici delle
sostanze
d’interesse tossicologico. Nello
studio effettuato,
sono stati raccolti campioni di
espirato di soggetti
volontari
professionalmente esposti a sevoflurano ed alcol isopropilico,
quali anestesisti
ed infermieri dedicati ai prelievi
ematici. Il protocollo di campionamento prevedeva la raccolta di
campioni di espirato misto mediante
il riempimento di una sacca in Nalophan (polietilentereftalato, PET),
materiale caratterizzato da una bassa contaminazione di fondo, buona
stabilità chimica del campione raccolto (entro le 24 ore) e costi ridotti,
collegata ad un boccaglio sterile ed
una valvola di non ritorno. Il campione di espirato era poi trasferito, mediante un apposito sistema, in un
tubo di adsorbimento che veniva
(Continua a pagina 37)
Anno IX numero 47
(Continua da pagina 36)
infine analizzato mediante TD-GCMS (Thermal desorption gas chromatogrphy mass spectrometry)
Per la valutazione dell’esposizone a
sevoflurano di soggetti anestesisti,
campioni di espirato sono stati prelevati ad inizio del primo turno della
settimana lavorativa (t0), al termine
dello stesso giorno lavorativo (t1) e
alla fine della settimana lavorativa
(t2). Per la valutazione dell’esposizone ad alcool isopropilico di infermieri dedicati ai prelievi ematici,
campioni di espirato e di aria ambiente sono stati simultaneamente
prelevati all’inizio del turno lavorativo
dopo 90 e 180 minuti dal primo campionamento.
Le concentrazioni di sevoflurano
riscontrate in tutti i campioni di espirato prelevati dagli anestesisti erano
comprese tra 0,7 e 18 ppbv, quindi
ben al di sotto del valore soglia, confermando l’efficienza dei sistemi di
areazione di cui sono normalmente
dotate le camere operatorie. La metodologia impiegata ha inoltre consentito la determinazione dei livelli di
esafluoroisopropanolo, un metabolita del sevofluorano, che sono risultati compresi tra 0,002 e 0,024 ppbv,
avvalorando l’utilità di questo approccio, rispetto al semplice campionamento dell’aria ambiente. Per
quanto riguarda l’alcol isopropilico, i
Pagina 37
livelli
riscontrati
nei
campioni
di espirato erano
compresi
tra 4,7 e
62 ppbv
e,
pur
essendo
ben lontani dal
P E L ,
hanno
evidenz i a t o
l’esistenza di un’ottima correlazione
(r = 0.95, p < 0.001) tra le concentrazioni di alcol isopropilico nei campioni di espirato degli infermieri e il contenuto dello stesso nei campioni di
aria ambiente, risultato tra 2,0 e 210
ppbv. Ciò conferma le potenzialità
dell’impiego di questa metodologia
nelle strategie di monitoraggio
dell’esposizione professionale a sostanze volatili potenzialmente pericolose presenti negli ambienti di lavoro.
Roger Fuoco, Silvia Ghimenti, Sara
Tabucchi, Francesca G Bellagambi,
Tommaso Lomonaco, Massimo Onor; Maria Giovanna Trivella, Fabio
Di Francesco.
Breve biografia di Roger Fuoco
Il prof. Roger Fuoco è dal 1994 ordinario di Chimica Analitica presso
il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università di Pisa,
di cui ha assunto la direzione nel
2012. La sua attività di ricerca riguarda principalmente la caratterizzazione di sistemi ambientali e biologici, la caratterizzazione chimica
di fluidi biologici non convenzionali
(espirato, sudore, saliva) per il monitoraggio di terapie e nella diagnosi medica e la valutazione di indicatori dello scompenso cardiaco in
fluidi biologici non convenzionali.
Anno IX numero 47
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Attuali modelli di gestione degli studi clinici
La collaborazione tra aziende farmaceutiche e CRO, dal "preferred vendor" al "partner strategico".
“The Future of Pharma R&D Outsourcing”: così si intitolava una delle
presentazioni più partecipate
dell’ultimo congresso PCT
(Partnerships in Clinical Trials), che
si è svolto a Barcellona ad inizio novembre. Forse la firma McKinsey,
forse l’ipotesi sul “futuro” hanno generato molte attese, a mio parere un
po’ disilluse dal fatto che in realtà ciò
che è stato illustrato è stato un forte
razionale sul motivo per cui il mondo
farmaceutico stia adottando modelli
più o meno spinti di collaborazione,
ma in termini di sviluppi futuri si sia
in fondo chiarito poco. Quel che risulta evidente è il razionale, condivisibile, con cui le aziende farmaceutiche cercano di rafforzare i propri
rapporti con i fornitori, ora più correttamente definiti “partner”. L’obiettivo
non è solo quello di ottimizzare lo
sforzo economico, ma di ottenere
maggiore uniformità e qualità nella
raccolta dei dati, nel monitoraggio
dei “partner” stessi, il tutto con
l’obiettivo di rendere disponibili nuovi
farmaci nel minor tempo possibile. In
tal senso si incastonano tra i modelli
operativi anche iniziative di più ampio respiro, che tendono ad ottimizzare gli investimenti ed i flussi operativi. Mi riferisco al concetto di “risk
based monitoring” e le varie interpretazioni su questo, così come ad iniziative aziendali o di enti no profit più
o meno note, come Transcelerate.
Outsourcing quindi come una parte
integrante del modello R&D. Dando
uno sguardo ai grandi accordi strategici degli ultimi anni il futuro sembrerebbe monopolizzato da pochi attori:
eppure, riflettendo sulle necessità in
evoluzione di chi conduce ricerca, la
nuova tendenza di outsourcing necessita comunque di collaborazioni
con altre realtà. Probabilmente questo si svilupperà su servizi più selezionati rispetto a quelli classici offerti
dalle grandi CRO: per esempio un
project management mirato in termini di “strategic partnership” o di
“preferred vendor” potrebbe garantire alle aziende farmaceutiche
un’adeguata gestione delle risorse
interne operanti sul modello di outsourcing, impostando un controllo
sui partner stessi, probabilmente in
termini di KPI (key performance indicators) diversi rispetto a quelli utilizzati in precedenza. Infine lo scenario
R&D non può prescindere dai centri
sperimentali, che sono oggetto di
sofisticate selezioni e che per garantire elevati standard qualitativi hanno
bisogno di poter contare su personale dedicato: dai clinici agli infermieri
e personale amministrativo. Nessun
modello di partnership potrà funzionare senza i centri presso cui condurre la ricerca.
Stiamo assistendo ad un cambio
della cultura sui trial clinici e probabilmente deve passare un po’ di
tempo affinchè il reale beneficio e
l’eventuale limite di questi modelli di
gestione e collaborazione tra gli attori possa essere correttamente valutato. Fondamentale per questo obiettivo rimarrà monitorare il cambiamento e soprattutto raccogliere i
SOCIETA’
DI SCIENZE
FARMACOLOGICHE
APPLICATE
SOCIETY FOR APPLIED
PHARMACOLOGICAL SCIENCES
Laureata in Chimica presso l'Università La Sapienza di Roma, lavora da 15 anni in ambito farmaceutico ed ha ricoperto in diversi ruoli
all'interno delle clinical operations.
Dal febbraio 2010 lavora in Merck
Serono con il ruolo di principal clinical research manager, responsabile
per studi clinici internazionali all'interno della funzione regional clinical
operation e di supporto a medical
affairs Italia.
commenti di chi in questo lungo e
complesso percorso di sviluppo di
nuove molecole è il protagonista
assoluto: i pazienti, che ad oggi risultano gli interlocutori più attenti ed
informati.
Elena Ottavianelli
IL SITO SSFA (WWW.SSFA.IT)
VIENE VISITATO OLTRE
100 VOLTE AL GIORNO.
OGGI TU LO HAI VISITATO?
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Pagina 39
NEWS ON CLINICAL TRIALS
SICKLE CELL DISEASE
Selexys Pharmaceuticals, a biopharmaceutical company that is developing therapies to treat inflammatory and thrombotic diseases, announced that enrolment has been initiated in SUSTAIN, a Phase II,
multicenter, randomized, placebo-controlled, double-blind, 12-month study to assess safety and efficacy of the anti-P-selectin monoclonal antibody SelG1 with or without hydroxyurea therapy in sickle
cell disease patients with sickle cell-related pain crises. The SUSTAIN trial will randomize approximately 174 patients to receive high dose SelG1, low dose SelG1 or placebo in the presence or absence of hydroxyurea therapy, the current standard of treatment. The study will examine the effectiveness of SelG1 in reducing the rate of sickle cell-related pain crises in each active dose level as compared to placebo. The study
will be conducted in approximately 60 centres throughout the U.S. With the limited therapies available to patients with sickle cell
disease, this trial with a novel P-selectin inhibitor is particularly exciting. Not only does it have the potential to improve the clinical
outcomes in patients, its effects may be additive or synergistic with those of hydroxyurea, the only drug currently approved by
the FDA for treatment of complications due to sickle cell disease. Data from preclinical sickle cell disease models suggest that
blockade of P-selectin effectively prevents the painful stoppage of circulation in small blood vessels called vaso-occlusion and
maintains patent blood flow. In addition, results from the recently completed Phase I study indicate that SelG1 is well tolerated in
healthy human subjects. SelG1 prevents certain blood cells from binding to one another and to the blood vessel walls. By stopping these cell-cell interactions, SelG1 may prevent small blood vessels from becoming blocked and reduce the occurrence and
severity of pain crises as well as downstream complications such as stroke, heart attack and organ failure in sickle cell patients.
The SUSTAIN study focuses on the ability of this novel anti-P-selectin antibody to reduce or prevent the occurrence of pain crises and thereby improve the lives of patients with sickle cell, a disease that largely affects African-Americans in the U.S. SelG1
is an investigational humanized monoclonal antibody directed against P-selectin, a key member of the adhesion molecule family
known as the selectins. In preclinical studies, inhibition of P-selectin has been shown to effectively prevent vaso-occlusion by
blocking critical cell-cell interactions that drive this process. Therapeutic blockade of P-selectin may therefore reduce or prevent
vaso-occlusive crises in patients with sickle cell disease. Sickle cell disease is an inherited, progressive, hematologic disease
that affects over 100,000 people in the United States including one out of every 500 African-Americans, with one in 12 AfricanAmericans a carrier of the sickle cell disease gene. Patients with sickle cell disease suffer anemia as well as vaso-occlusive
complications in which sickled red cells, white blood cells and platelets adhere to small vessels blocking blood flow to downstream organs. This vaso-occlusive process results in intense pain and repeated hospitalizations. It also leads to progressive
multi-organ dysfunction and premature death. Sickle cell disease is considered an orphan indication with major unmet clinical
needs.
Ebola and viral diseases
Chimerix announced that the Food and Drug Administration gave the green light to test the compound in a Phase II trial. Chimerix gave no details on the size of the trial. In a presentation, Chimerix said that Phase II studies would be conducted in the
United States and Europe, while studies of the drug for Ebola in West Africa are under discussion. But the company says brincidofovir (CMX001) tablets are available for immediate use in the studies. Brincidofovir is an experimental antiviral drug being developed by Chimerix for the treatment of cytomegalovirus, adenovirus, smallpox and ebola virus infections. Brincidofovir is a prodrug of cidofovir. Conjugated to a lipid, the compound is designed to release cidofovir intracellularly, allowing for higher intracellular and lower plasma concentrations of cidofovir, effectively increasing its activity against dsDNA viruses, as well as oral bioavailability. Chimerix also says it plans to partner with global authorities to provide emergency access to the drug, apart from the clinical trials. The Chimerix drug has already been provided for emergency access in at least two cases. Health professionals identified those individuals as Thomas Eric Duncan, the Liberian man who died few weeks ago at Texas Health Presbyterian Hospital
in Dallas, TX, and freelance journalist Ashoka Mukpo treated at Nebraska Medical Center in Omaha, NE. Brincidofovir is still experimental and is not yet approved by the FDA to treat any viral infections. The drug is based on Gilead Science’s injectable antiviral cidofovir. Like the Gilead drug, brincidofovir works by interfering with the process by which viruses make copies of themselves. But cidofovir has also been linked to higher risks of kidney damage. What Chimerix has done with brincidofovir is attach
cidofovir to lipids. That makes the drug absorbable in the gut, which in turn makes development of the compound in a tablet form
possible. The lipids also mitigate the risk of toxic effects on the kidneys from the drug. Cidofovir was approved to treat cytomegalovirus. Chimerix had also identified cytomegalovirus as a target for its brincidofovir, and so already has safety and efficacy data
on brincidofovir in patients, having taken the drug into Phase III studies in cytomegalovirus in stem-cell-transplant patients. Even
though Chimerix made cytomegalovirus its lead drug target, the company has long touted brincidofovir as a broad spectrum antiviral. Last week, the company revealed the progress of its work developing the drug for other types of infections. Chimerix announced preliminary results showing the drug worked in an open-label study against adenovirus, a type of respiratory infection
that can be fatal when it progresses in patients with weakened immune systems. Chimerix last week also revealed it started testing brincidofovir in Ebola, in laboratory tests as well as in animals, adding that it was working with the FDA on a pathway for an
Ebola clinical trial.
A cura di Domenico Barone
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Pagina 40
NUOVI SOCI
BALSAMO ROSSELLA
MUNDIPHARMA
BARBATO RAIMONDO
Studente Master
CIPOLLINA LAURA
Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo
DASTOLI GIUSEPPE
EUDAX
FANIA MILENA
Consulente
FIORELLI VALERIA
KEDRION
IMBERTI ROBERTO
Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo
MONI SABRINA
KEDRION
NAPOLETANO MARIANNA
Consulente
PIDONE MIRIAM
BAYER
COMUNICAZIONI DELLA SEGRETERIA
Caro Socio,
Oggetto: pagamento quota associativa 2015
comunichiamo che per l'anno 2015 la quota d'associazione alla S.S.F.A. è di
EURO 90,00= per i Soci ordinari
EURO 45,00= per i Soci di Istituzioni pubbliche
EURO 45,00= per i Soci in pensione
La somma può essere pagata mediante Assegno Bancario o Circolare o Postale intestato alla
S.S.F.A. e da inviare a: S.S.F.A., Viale Abruzzi 32, 20131 Milano; oppure con bonifico bancario su
Credito Valtellinese AG. 16 Milano IBAN IT11L0521601621000000000347.
IN CASO DI PAGAMENTO TRAMITE BONIFICO BANCARIO INDICARE I SEGUENTI DATI:
ID SOCIO:
_________
Hanno collaborato a questo numero:
Giovanni Abramo - [email protected]
Domenico Barone - [email protected]
M. Mercede Brunetti - [email protected]
Domenico Criscuolo - [email protected]
Francesco De Tomasi - [email protected]
Arianna Federici
Umberto Filibeck - [email protected]
Luciano M. Fuccella - [email protected]
NOME:
_____________________
Roger Fuoco - [email protected]
Piera Ghi
Enrico Invernizzi - [email protected]
Serena Mazzotti - [email protected]
Fabio Montanaro - [email protected]
Elena Ottavianelli - [email protected]
Marco Romano - [email protected]
Raimondo Russo - [email protected]
CONSIGLIO DIRETTIVO
Presidente: Marco Romano Vice—presidente: Anna Piccolboni Segretario: Salvatore Bianco Tesoriere: Luigi Godi
Consiglieri: Giuseppe Assogna, Rossana Benetti, Marie-Georges Besse, Sergio Caroli, Simona Colazzo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo.
Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo Comitato editoriale: Giovanni Abramo, Salvatore Bianco, Sergio Caroli, Domenico Criscuolo, Luciano M. Fuccella, Marco Romano
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SSFA oggi
Stampa: MEDIA PRINT, Livorno
Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007
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