SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE SSFAoggi SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES Notiziario di Medicina Farmaceutica Febbraio 2015 numero Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate Fondata nel 1964 47 Sommario: Editoriale Una buona idea 1 Molti lettori ricorderanno di aver visto, nello scorCongressi 2 so mese di dicembre, l’opuscolo AIFA raffigurato a lato. E’ stato distribuito con i quotidiani, e con Sperimentazione no-profit 3 diversi periodici. A noi è sembrata una buona idea: si parla molto poco di farmaci in gravidanza Congresso BIAS 4 (come anche scrive un editoriale di The Lancet, che potete leggere a pagina 26), c’è molta disinConvegno SIF 6 formazione, quasi paura, ad affrontare questo argomento. Ma giova ricordare che una gravidanEMA workshop 8 za dura nove mesi, è molto difficile che una donna incinta non abbia necessità di prendere almeOggi parliamo di…… 9 no un farmaco in questo periodo, ed è bene che, se necessario, lo faccia con tutta la tranquillità OMS e mercurio 11 che richiede un periodo così delicato. Quindi, lasciateci dire che molto bene ha fatto AIFA ad affrontare questo tema, in modo sereno e scientificamente documentato. SSFAoggi incontra…… 12 Come scrive il prof. Luca Pani nella presentazione dell’opuscolo “…..Il Comitato Scientifico ha lavorato alla revisione bibliografica di 270 principi attivi ed alla reaRapporto medico-paziente 15 lizzazione di 140 schede di patologia, per gli operatori sanitari e per le mamme. Le schede forniscono informazioni sulle possibilità di cure presenti per le patoloADR 17 gie che più frequentemente si verificano in gravidanza, o per le malattie croniche presenti al momento del concepimento. Sperimentazione clinica in Italia 18 La campagna di comunicazione dell’Agenzia si prefigge di raggiungere in particolare la popolazione femminile, fornendo, in un panorama comunicativo contraddiTavola rotonda su BPL 19 stinto da fonti non sempre attendibili e da informazioni frammentarie, parziali e spesso palesemente infondate, un punto di riferimento autorevole per informazioni certificate che riguardano i profili di sicurezza ed efficacia dei farmaci prima, BPL 23 durante e dopo la gravidanza.” Una buona idea, appunto. Domenico Criscuolo FDA 2014 approvals 24 The Lancet 25 The BMJ 27 Certificazione qualità 28 Biosimilari 30 Spesa farmaceutica 32 EMA 33 ROME, 10-11 JUNE, 2015 Progetto Quelypharm 34 INFORMAZIONE IMPORTANTE PER TUTTI I SOCI ! Breath analysis 36 Gestione studi clinici 38 News on Clinical Trials 39 PRENDETE NOTA DI QUESTA DATA: SSFA, IN COLLABORAZIONE CON IFAPP E PHARMATRAIN, ORGANIZZA UN CONVEGNO INTERNAZIONALE SUL TEMA DELLA FORMAZIONE CONTINUA. NEL PROSSIMO NUMERO DI SSFAOGGI TROVERETE IL PROGRAMMA ED ULTERIORI DETTAGLI. BLOCCATE LA DATA SULLA VOSTRA AGENDA. Nuovi Soci 40 SOCIETÀ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES FONDATA NEL 1964 ADVANCING COMPETENT PROFESSIONALS IN MEDICINES DEVELOPMENT A PHARMATRAIN – IFAPP – SSFA CONFERENCE Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO Anno IX numero 47 Pagina 2 NOTIZIE Lo scorso mese di novembre 2014, nelle giornate del 12 e del 14, si sono svolti a Milano due convegni dedicati alla ricerca clinica in Italia. Entrambi gli eventi sono stati patrocinati da SSFA. Il primo, organizzato da Pharma Education Center, era diviso in una sessione regolatoria ed in una sessione sulle nuove sfide della Ricerca Clinica. La partecipazione è stata discreta sia come numero di presenti (circa 60 persone) sia per la qualità della discussione che si è avuta durante le presentazioni. Tra questi erano presenti le dottoresse Angela Del Vecchio e Donatella Gramaglia di AIFA, che hanno trattato rispettivamente due argomenti molto attuali come le ispezioni presso aziende, CRO e centri sperimentali ed i punti di novità del nuovo Regolamento Europeo. E’ stato successivamente affrontato dalle dottoresse Barbara Grassi di GSK e Sara Cazzaniga di Janssen il tema del Risk Based Monitoring, del quale sono stati sottolineati sia gli aspetti teorici sia quelli pratici ed attuativi. Particolarmente interessante e fonte di notevole interazione con il pubblico è stata la presentazione del dr. Virginio Oldani di Novartis dal titolo “Innovazione strategica nei clinical trials: quali le sfide future?”. Egli ha sottolineato come i costi della sperimentazione clinica siano ormai insostenibili e pertanto la ricerca clinica deve cambiare, soprattutto con l’aiuto della tecnologia, e con nuovi dispositivi, digitalizzazione, accesso ai dati/informazioni. L’obiettivo principale è rivoluzionare il modo in cui gli studi sono condotti per migliorare l’efficienza operativa, ridurre il tempo di reclutamento e il carico della partecipazione per il DA CONGRESSI paziente e per lo sperimentatore, senza compromettere la qualità del dato e la sicurezza del paziente. Nello studio clinico del futuro saranno utilizzate tecnologie emergenti per introdurre modelli sperimentali innovativi incentrati sul paziente, perché occorre spostare le procedure dello studio dal centro specialistico alla routine quotidiana del paziente. In definitiva lo sviluppo clinico diventa pazientecentrico. Può la tecnologia da sola risolvere tutti i problemi e può la tecnologia da sola far tornare i conti e rendere la ricerca clinica sostenibile ovunque? Sicuramente no, tuttavia è necessaria per condurre in modo diverso gli studi clinici al fine di rendere sostenibile i costi della ricerca clinica. Il convegno è stato chiuso dagli interventi della dr.ssa Roberta Joppi sulla razionalizzazione dei comitati etici con l’esperienza della regione Veneto, e da chi scrive che ha trattato il ruolo dell’outsourcing nella ricerca e sviluppo di oggi e la previsione per i prossimi cinque anni. Il secondo convegno è stato organizzato dall’Associazione Italiana delle CRO (AICRO) per celebrare i dieci anni dalla fondazione ed ha visto una notevole partecipazione, con circa un centinaio di persone, soprattutto appartenenti a CRO ma anche ad aziende farmaceutiche ed università. La giornata era divisa in tre sessioni. La prima è stata aperta dal presidente di AICRO, la dr.ssa Mariapia Cirenei, che ha ricordato la nascita dell’associazione con i principali obbiettivi e le prospettive future di svi- luppo e di collaborazione con altre società ed enti pubblici e privati. Il dr Stefano Marini, tesoriere di AICRO e presidente di EUCROF, ha invece presentato la storia della federazione Europea delle CRO e lo scenario internazionale con associati provenienti da 17 Paesi con 300 CRO ed oltre 15.000 dipendenti. Nel corso della mattinata si sono succedute le presentazioni della dr.ssa Barbara Grassi di GSK sul modello TransCelerate, del dr. Antonino Amato su un nuovo modello di collaborazione tra Industria, CRO e Centri di Ricerca, del dr Giuseppe Caruso di Farmindustria e delle dr.sse Maura Bertini e Stefania Bastianello sul ruolo delle associazioni di pazienti nell’ambito della ricerca clinica. Molto interessante è stato, tra gli altri, l’intervento del dr Caruso che ha illustrato il futuro della ricerca farmaceutica in Italia mettendo in evidenza la complessità crescente e la necessità di ricorrere a disegni adattativi come strategia vincente per il futuro. Egli ha sottolineato l’importanza che assumeranno sempre più l’informatica e la robotica al servizio della ricerca: maggiore predittività e minore spesa. La seconda sessione è stata dedicata agli aspetti regolatori con la dr.ssa Cristina Lupo di Parexel che ha parlato del nuovo osservatorio riattivato dal 1 ottobre scorso e con il prof Vincenzo Salvatore, senior Counsel-Sidley Austin LLP, che ha fatto alcune riflessioni sul Regolamento Europeo della sperimentazione clinica. La terza sessione, infine, ha trattato il ruolo dell’Università nella preparazione di nuovi professionisti della ricerca clinica con la presentazione del prof Antonio Torsello della Università di Milano-Bicocca, seguito da due ex studenti del master che hanno accennato a qualche esperienza pratica maturata in aziende come stagisti. Marco Romano Anno IX numero 47 Pagina 3 La sperimentazione clinica no-profit in Italia: criticità, opportunità, prospettive Nella bellissima sala convegni del palazzo della regione Lombardia, lo scorso 10 dicembre AFI e regione Lombardia hanno proposto un convegno su un tema sempre molto attuale: la ricerca indipendente. L’appuntamento era molto ghiotto, sia per il tema sia per i relatori invitati: ed infatti circa duecento colleghi erano presenti, sia per essere aggiornati sul tema, sia per contribuire al dibattito. Dopo un saluto di benvenuto da parte di AFI, ha preso la parola il prof. Silvio Garattini (Ist. Mario Negri) ricordando che il nostro Paese sta perdendo terreno nel confronto internazionale (una recente analisi ci vede oltre il trentesimo posto in riferimento al parametro di attrattività per la ricerca clinica), ed ha ricordato che poche sono le risorse disponibili per la ricerca indipendente. E’ poi intervenuto il dr. Mario Melazzini (regione Lombardia) ricordando il ruolo propositivo svolto dalle istituzioni a sostegno della ricerca indipendente, e ricordando che la Lombardia è terra feconda per la ricerca, in quanto il 28,7% dei brevetti italiani ha origine nei laboratori di ricerca lombardi. Ha continuato il dr. Maurizio Agostini (Farmindustria) ribadendo che la ricerca indipendente è sempre vista come complementare alla ricerca industriale, e che questo tipo di ricerca in Italia ha avuto sempre un ruolo di grande importanza: infatti gli studi no profit in Italia sono il 37,5% del totale, rispetto ad un ben inferiore 20% riportato come media dei paesi EU. E’ poi intervenuto il dr. Giuseppe Recchia (GSK) che ha ribadito a sua volta l’importanza della ricerca indipendente: ma si è detto (giustamente a nostro avviso) molto stupito dalla tipologia di questa ricerca. Infatti sarebbe logico aspettarsi una preponderanza di studi di Fase IV oppure III: invece, la maggioranza degli studi no-profit (circa il 50%) sono di Fase II. E’ corretto questo sbilanciamento? A conclusione della mattina, il prof. Alessandro Mugelli (SIF) ha illustrato le attività dei Comitati Etici della regione Toscana, ricordando che la regione offre molti contributi alla ricerca indipendente. Nel pomeriggio ci sono state diverse relazioni di tipo tecnico- organizzativo: riferiamo solamente quella della dr.ssa Liliana Burzillieri (regione Lombardia) la quale ha ricordato che, a seguito della riorganizzazione dei Comitati Etici, oggi in Lombardia ci sono 10 Comitati Etici presso i vari ospedali (accorpando le attività di diversi ospedali, e rispettando il parametro di un CE per milione di abitanti): inoltre ci sono altri 11 CE come emanazione dei diversi IRCCS). La relatrice ha dovuto ammettere che il funzionamento dei CE, soprattutto in relazione al rispetto dei tempi, non è ancora soddisfacente: ma ha anche ricordato che molto tempo dei CE viene dedicato dall’esame degli emendamenti, che sono in media due per protocollo! In conclusione, è stato un incontro ben organizzato, utile ed informativo. Auspichiamo che SSFA riprenda la collaborazione con AFI, per organizzare congiuntamente prossimi convegni sui temi della sperimentazione clinica. Domenico Criscuolo Anno IX numero 47 Pagina 4 CONGRESSO NAZIONALE BIAS Tra un'alluvione e l'altra, il 30 e 31 ottobre 2014 si è tenuto a Genova il VI congresso del gruppo di lavoro BIAS (Biometristi dell’Industria ASsociati). Il congresso è stato dedicato all'analisi della sopravvivenza, con particolare attenzione alle sue applicazioni in oncologia. Secondo il modello adottato dal comitato BIAS, il congresso è stato impostato come un corso-percorso che potesse toccare tutti gli argomenti inerenti il tema trattato, partendo da aspetti generali e di base, in modo da coinvolgere i partecipanti, interessati agli studi con endpoints di sopravvivenza ma senza una solida conoscenza della statistica (medici, data manager e CRA), per poi trattare i diversi metodi di analisi disponibili per i dati di sopravvivenza. Gli interventi sono stati presentati da colleghi, tutti italiani, provenienti dall’università, da istituti pubblici e dall’industria. Dopo il saluto commosso del presidente della SSFA Marco Romano, genovese di origine, che ha ricordato i disastri, e la vittima, provocati dall'alluvione del 9 ottobre, l'introdu- zione al congresso è stata affidata a Valter Torri, dell'Istituto Mario Negri (Milano), che ha presentato una vasta panoramica relativa all'analisi della sopravvivenza ed al suo utilizzo in oncologia. Successivamente, Rino Bellocco, ha condiviso parte della sua notevole esperienza maturata presso l'Università di Milano Bicocca e il Karolinska Institutet (Stoccolma), introducendo mirabilmente le curve di KaplanMeier e il Log-Rank test: insomma, le basi dell'analisi della sopravvivenza. Il BIAS annovera tra i suoi soci molti data manager, quindi, soprattutto per loro, ma non solo, Deborah Zanchetta di CLIOSS (Nerviano) ha illustrato trucchi e consigli su come disegnare una CRF per la raccolta dati negli studi oncologici, mentre Angelo Tinazzi, di Cytel (Ginevra), ha descritto come CDISC ADAM e SDTM permettono di trattare i dati relativi all'analisi di sopravvivenza. Dulcis in fundo, e per finire in bellezza, largo ai giovani, con due tra gli interventi più apprezzati del congresso. Eliana Rulli dell'Istituto Mario Negri ha introdotto e descritto il modello di Cox nel modo più chiaro e comprensibile possibile e Andrea Bellavia del Karolinska Institutet ha spiegato come è possibile trarre informazioni più utili dalle curve di Kaplan-Meier e ha presentato la “quantile regression”, uno degli ultimi aggiornamenti in fatto di analisi della sopravvivenza. La giornata si è conclusa con un'intensa riunione dei soci BIAS, allargata a tutti i partecipanti al Congresso, in cui, oltre ad alcune novità relative al BIAS come gruppo di lavoro SSFA, si è parlato della European Federation of Statisticians in the Pharmaceutical Industry (EFSPI) e di un progetto di accreditamento della professionalità statistica. Il programma sociale della serata comprendeva un giro turistico della città di Genova a bordo del trenino Pippo (sì, proprio quello dei bambini!) ed una cena tipica presso un ristorante del centro storico, proprio di fronte alla Cattedrale di San Lorenzo. Tutto è andato per il meglio, compreso il tempo, finalmente clemente. Paolo Bruzzi, dell'IRCCS AUO San (Continua a pagina 5) Pagina 5 Anno IX numero 47 (Continua da pagina 4) Martino IST (Genova), ha dato inizio alla seconda giornata con un’approfondita riflessione sugli errori comuni nell’analisi e nella presentazione dei dati di sopravvivenza, suscitando una vivace discussione scientifica. Quindi, Stefania Galimberti e Laura Antolini, entrambe dell'Università Milano-Bicocca, hanno alzato l'asticella introducendo tecniche di analisi statistica più avanzate, tra cui modelli parametrici, modelli “Accelerated Failure Time” e L’evento si è concluso con un breve giro di domande ai relatori, prima che il comitato BIAS comunicasse agli iscritti le prospettive future e chiudesse l’evento con i doverosi ringraziamenti. Al congresso sono intervenute circa 80 persone, relatori compresi. Una ventina di questi erano studenti. Da un sondaggio preliminare al congresso è emerso che l’audience era abbastanza eterogenea: infatti un 30% dei partecipanti non era laureato in statistica, un 20% dei parteci- organizzando il seminario di primavera, che si terrà il 20 marzo 2015 presso SAS Institute a Milano, che anche quest'anno ci ospiterà. Per la scelta dell’argomento, il Comitato BIAS si è servito di un questionario, distribuito già durante il congresso e replicato poi online, tramite il quale i soci hanno potuto scegliere tra i temi proposti o suggerirne di nuovi. In base ai risultati ottenuti, è stato scelto “Data Visualization in Clinical Research”; cioè come rappresentare Da sinistra Angelo Tinazzi, Fabio Montanaro, Stefania Mirandola, Beatrice Barbetta e Glauco Cappellini analisi in presenza di rischi competitivi, mentre Vincenzo Bagnardi, anch'egli dell'Università MilanoBicocca, ha presentato interessanti metodiche per stimare il campione necessario per gli studi clinici. Anna Polli di Pfizer (Milano), ha riportato le analisi effettuate e i risultati di uno studio registrativo vincente basato su analisi di sopravvivenza in oncologia. Infine Dario Gregori, dell'Università di Padova, ha presentato la “patientcentered outcome research” (PCOR) limitatamente all’analisi di sopravvivenza e Massimo Martucci di SAS (Milano) ha presentato le funzionalità JMP utilizzabili in questo tipo di analisi. panti non faceva analisi statistica e un 30% dei soggetti non utilizzava tecniche di analisi della sopravvivenza. Riteniamo che la qualità delle relazioni sia stata complessivamente di buon livello e l'interesse elevato, con una buona partecipazione attiva da parte del pubblico. Il comitato BIAS ringrazia i relatori, tutti i partecipanti, i quattro sponsor dell’evento (Cytel, TSTAT, RottapharmBiotech e Latis), SISMEC per aver dato il suo patrocinio e soprattutto SSFA per il supporto organizzativo e logistico, sempre prezioso. Archiviato positivamente il congresso 2014, il comitato BIAS sta già le informazioni mediante vari tipi di grafici in ambito clinico (ad esempio i dati demografici dei pazienti). Vi terremo informati sugli ulteriori dettagli relativi al programma. Arrivederci al prossimo evento; noi speriamo di trovarvi numerosi e interessati come sempre. Fabio Montanaro Le presentazioni autorizzate sono disponibili sul sito WWW.SSFA.IT Anno IX numero 47 Pagina 6 GLOBALIZZAZIONE E RICERCA CLINICA PER LO SVILUPPO DEI FARMACI Milano, 16 dicembre 2014 Nell’Aula Magna dell’Istituto di Farmacologia dell’Università di Milano si è tenuto un interessante convegno, dal titolo sopra riportato, organizzato dalla sezione di Farmacologia Clinica della SIF con il contributo educazionale non condizionato di Sanofi. Dopo il saluto introduttivo del prof. Francesco Rossi, Presidente della SIF e del prof. Francesco Scaglione, Direttore del Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia Medica dell’Università di Milano, il dr. Giuseppe Recchia (GlaxoSmithKline) ha illustrato i profondi cambiamenti in corso nello sviluppo clinico dei farmaci, sia sotto l’aspetto qualitativo che quantitativo. La crescente disponibilità di farmaci importanti divenuti generici accresce la difficoltà di investire nella innovazione: l’asticella si è alzata. La ricerca si orienta progressivamente verso il settore della oncologia e delle malattie rare: ciò comporta un cambiamento nelle caratteristiche e nelle competenze degli sperimentatori. L’accademia dà oggi il maggiore contributo alla scoperta di nuovi farmaci (ma non in Italia), mentre alle aziende, che dispongono di adeguate risorse, spetta il compito dello sviluppo, con i rischi connessi. Ciò spiega anche perché si vada accentuando il processo di acquisizioni e fusioni delle aziende farmaceutiche. Cresce anche l’importanza nella sperimentazione clinica delle associazioni di pazienti (un esempio è la Patients Like Me) e lo sviluppo di approcci allo sviluppo clinico aventi l’obiettivo di accelerare e semplificare il suo svolgimento (un esempio è Transcelerate). Dal punto di vista quantitativo si osserva in tutto il mondo una progressiva diminuzione del numero di pazienti arruolati nei trial clinici. Ciò può essere ascritto sia all’orientamento verso lo studio di rimedi per le malattie rare, sia alla crescente possibilità di selezionare pazienti responsivi in base alla presenza di marker specifici, ed ai progressi della farmacogenetica e della farmacogenomica. Per quanto riguarda l’Italia, prevalgono gli studi nel settore oncologico ma purtroppo tutte le indagini dimostrano che il nostro Paese ha scarsa attractiveness per gli studi con farmaci (si ricordi la recente indagine della A.T. Kearney dove l’Italia non figurava nella classifica dei primi 30 paesi al mondo in base al Clinical Trial Attractiveness Index). Il prof. Rossi ha dedicato il proprio intervento ad un approfondito esame della situazione italiana. Si è assistito ad un aumento della ricerca non profit, anch’essa prevalentemente in campo oncologico. Ha lamentato alcuni aspetti che contribuiscono a ridurre l’attrattività dell’Italia per gli studi clinici, come la lentezza dei Comitati Etici, la mancanza di un sistema fiscale che incentivi la ricerca, il ritardo nell’accesso ai nuovi farmaci. In sostituzione della dr.ssa Loredana Bergamini, impossibilitata ad essere presente, il dr. Marco Scatigna (Sanofi) ha parlato sulla evoluzione della ricerca clinica in Italia. Il punto critico, secondo l’oratore, è rappresentato nel nostro Paese dalla mancanza di managerialità nella ricerca clinica. Per gli studi di Fase II non esistono in genere problemi in quanto sono condotti in pochi centri bene organizzati e strutturati per condurre studi clinici. Il problema si pone quando si allarga il numero dei centri partecipanti per gli studi di Fase III e si deve quindi coinvolgere strutture che mancano di una specifica organizzazione indirizzata ai trial. La direzione medica di Sanofi opera anche nei paesi dell’est europeo e può quindi rilevare come in questi paesi la qualità degli operatori e l’appropriatezza delle strutture siano grandemente cresciute. Va ribadito che per una multinazionale oggi sono la qualità ed i tempi i fattori determinanti nella scelta dei paesi e dei centri, mentre il costo ha perso ogni importanza. Il problema non è quindi la qualità dei ricercatori, che è di ottimo livello, ma la mancanza di una struttura organizzativa adeguata alle odierne esigenze della ricerca clinica (mancanza di una segreteria scientifica, di project manager, di linee guida operative). AIFA era presente con la dr.ssa Donatella Gramaglia, la quale ha iniziato il proprio intervento ricordando come, malgrado i numerosi problemi sorti negli ultimi mesi (riduzione del numero dei Comitati Etici, paralisi protratta dell’Osservatorio della Sperimentazione Clinica) il numero di sperimentazioni cliniche in Italia sia rimasto vicino a quello degli anni precedenti (intorno a 650). Importanti sfide si profilano per AIFA: il nuovo ruolo di Autorità Competente per tutti gli studi clinici provoca un marcato aumento del carico di lavoro (oltre 2000 procedure annuali), la nuova tempistica che il Regolamento Europeo introdurrà (45 giorni per le risposte), difficoltà di reperimento di specialisti in malattie rare ed ultrarare da utilizzare come consulenti i quali non siano contemporaneamente anche sperimentatori. La dr.ssa Gramaglia si è poi soffermata sul nuovo Regolamento Europeo, sottolineando le note criticità (vedi anche articolo su SSFA Oggi n. 44 di agosto 2014) che appaiono essere condivise da gran parte degli operatori nel campo della sperimentazione con farmaci. Il prof. Giancarlo Agnelli (Università di Perugia, direttore della Stroke Unit) ha introdotto la distinzione tra Regulatory Research e Real World Research. La prima è fondamentalmente condotta dalle aziende farmaceutiche allo scopo di introdurre una nuova molecola sul mercato, mentre la seconda, generalmente eseguita con farmaci registrati e nelle indicazioni approvate su ampie popolazioni di pazienti, si propone di approfondire importanti aspetti clinici, come ad esempio se sia opportuno prolungare una terapia oltre i limiti generalmente oggetto di precedenti studi, se una riduzione dei dosaggi con intervalli più brevi tra le somministrazioni sia preferibile sotto il profilo della tollerabilità e del(Continua a pagina 7) Anno IX numero 47 Pagina 7 (Continua da pagina 6) la compliance. Il prof. Agnelli ha portato alcuni interessanti esempi di studi di questo genere a sostegno del ruolo che l’Università può autonomamente svolgere nella ricerca clinica. Il dr. Gualberto Gussoni (FADOI) ha sottolineato l’importanza della ricerca nell’ambiente ospedaliero per l’arricchimento culturale del medico ma anche per migliorare la metodologia assistenziale. In Italia circa 350 ospedali (un quarto del totale) partecipano a sperimentazioni cliniche, circa il 20% delle quali non sono farmacologiche ed il 43% sono di tipo osservazionale. La ricerca indipendente presenta naturalmente numerose criticità e secondo Gussoni sarebbe opportuno elabora- re un documento che affronti, sulla base delle esperienze acquisite, il problema degli studi no profit in Italia. L’ultima relazione è stata presentata dal dr. Walter Marrocco (responsabile scientifico FIMMG), il quale ha ricordato l’importante ruolo che il MMG può svolgere per completare le conoscenze su vantaggi e svantaggi delle terapie. Un MMG visita almeno una volta l’anno tutti i propri pazienti, ma molti di essi, affetti da polipatologie croniche, che richiedono una continua sorveglianza e frequenti aggiustamenti o cambiamenti di terapia, vengono a visita anche settimanalmente. Gli ambulatori del generalista sono quindi una fonte preziosissima ed insostituibile di informazioni sulle terapie e sull’andamento di molte malattie. L’avvento del DM 10 maggio 2001 che dava anche ai MMG ed ai Pediatri di Libera Scelta la possibilità di partecipare a sperimentazioni cliniche con farmaci determinò l’avvio di molti studi, tuttavia il loro numero è andato progressivamente scemando ed oggi si avvicina allo zero. In conclusione, si è trattato di un convegno di grande interesse, dal quale emergono aspetti positivi, ma anche la persistente presenza nel nostro Paese di elementi che richiedono adeguata correzione, se veramente si vuole portare in Italia una sperimentazione clinica di qualità. Luciano M. Fuccella AVVISO DI CONVOCAZIONE DI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA Caro Socio, comunico che il Consiglio Direttivo, in base all'Art. 10 dello statuto, ha deliberato di convocare l'Assemblea Generale ordinaria annuale il giorno: Martedì, 24 Marzo 2015 presso la sede SSFA - Viale Abruzzi 32 - MILANO Per motivi organizzativi Vi preghiamo di comunicare la Vostra presenza - Grazie alle ore 8.00 in prima convocazione e, qualora il numero dei partecipanti non ne consenta la valida costituzione, in seconda convocazione: DALLE ORE 15.30 ALLE ORE 17.00 Con il seguente Ordine del Giorno: Relazione del Presidente Relazione del Tesoriere Approvazione del rendiconto economico e finanziario del 2014 Ratifica della quota associativa per l'anno 2015 Attività dei Gruppi di Lavoro Varie ed eventuali Anno IX numero 47 Pagina 8 tic tools can be very helpful to stratify patients population, but in the EMA guideline ther is no mention of them. The second and third sessions were planned to offer the opportunity to hear the sponsors’ opinions. Albert Radimaier and Christine Flechter (EFPIA) illustrated the comments from 14 EU pharmas. When there is only 1 Phase III confirmatory trial, SA should be definitely limited. They suggested 4 priorities to be included in the EMA guideline: consistency of subgroup effect; defining subgroups; exploratory subgroups; power of SA. Finally, they recommend to agree SA during a scientific advice meeting. Alan Philips (EFSPI, UK) said it is a good guideline, but it should better define the issue of consistency, the impact on reimbursement and the consequences of dose adjustements. Claudia Schmoor and Frank Langer (biometricians, Germany) said there should be a better identification of a few selected subgroups. They also raised some criticism on the 3 proposed levels of SA, and also on the required statistical power. After a short lunch break, the session continued with comments from sponsors: Geert Molenberghs (IDEAL, Belgium) said that it should be better to look for new drugs rather than running SA, as frequently SA fail to provide convincing proof of efficacy. Alex Dmitrienko (Quintiles, USA) presented the results of a simulation he made with several trials with antibiotics in pneumonia, and expressed serious concerns about the conclusions. In fact, he ended with one message of caution in running SA. The final discussion was very interesting, as many speakers offered additional issues for the benefit of the audience. In conclusion, it was a very useful and informative workshop, whose results will be incorporated in the next draft of the EMA guideline. Domenico Criscuolo EMA workshop on the investigation of subgroups in confirmatory clinical trials London, 7 November 2014 Our readers may know that, since a few years, EMA is distributing the draft version of each new guideline, asking for comments. IFAPP receives regularly these drafts (on average, 2 every month), and I offered to provide comments. On the basis of this long lasting collaboration (which contributed to improve IFAPP visibility at EMA), I was invited to join the workshop on subgroup analyses (SA). The topic is very important, so EMA decided to organize a workshop to receive detailed comments to the draft text, and to reach a consensus for the final version. As indicated in the program, the objectives of the workshop were: To discuss the role of SA and subgroup findings in clinical trials submitted for Marketing Authorization (MA); To receive input on the position outlined in the draft EMA guideline from experts and stakeholders; To provide an open forum for discussion of subgroup issues in the planning and at the assessment stage of Phase III clinical trials. About 100 experts met in the new EMA facilities: a few months ago EMA relocated, in the same area of Canary Wharf, but in a new building in Churchill place. Marisa Papaluca opened the meeting, with a warm welcome to all participants, and with the recommendation to all speakers and participants to be open minded and constructive. The first speaker, Jens Heisterberg (HMA, Denmark), opened the workshop with a clear message supporting SA: “Women get medicines tested in men”. He said that there are several good reasons to run SA, like to get information on patients who, on the basis of their baseline status, may have a different effect. However, there are also less good reasons to run SA, like to save a failed trial, to obtain claims on the SPC, or to reach a compromise. He added that biomarkers led the way to SA (some examples are oestro- gen receptors in breast cancer, imatinib in GIST, and many others). SA should be pre-specified, but this is not always happening. SA are definitely increasing, but they should be limited to well defined groups. The second speaker (Robert Hemmings, MHRA, UK) continued stating that a MA is based on the benefit/ risk evaluation, and regulators have discomfort when confronted with unplanned SA, especially because there is often no rationale, and the statistical risk of multiple testing. He continued with 3 scenarios in PhIII trials: clear results; borderline results, with evidence of SA effects; negative results, with evidence of SA effects. He concluded confirming the need of a guideline to better define the possible scenarios, and underlying that many trials are designed considering patients homogeinity, but biology and clinical practice address their diversity. Armin Koch (Med. University, Germany) commented that in some cases it is important to identify subgroup of patients with an unfavourable benefit/ risk ratio, as this may save a MA of a new drug. The same concept was enforced by Yuki Ando (MHLW, Japan), who made several examples (like some cancers, COPD) where Japanese patients had a different clinical outcome. To conclude the first session, Estelle Russek-Cohen (FDA, USA) stressed that SA can inflate type I error, and they should not be run to save a failed trial. She underlined that companion diagnos- Anno IX numero 47 Pagina 9 Oggi parliamo di…. Macropus Eugenii, un modello animale per studi di fisiologia della locomozione, di biologia della riproduzione e dello sviluppo, di genomica comparata e… Fisiologia della locomozione e biologia della riproduzione e dello sviluppo (1a parte) Macropus eugenii (tammar wallaby) è il più piccolo canguro o macropodide (dal greco ȝĮțȡȩȢ, lungo, e ʌȠȪȢ, piede): poco più grande di un grosso coniglio, appartiene al genere Macropus della famiglia dei Macropodidae. Ha pelo prevalentemente grigio-bruno scuro sulle parti superiori del corpo, con zone grigiochiare, pelo grigio-fulvo sui fianchi e sulle zampe e grigio-pallido sulle parti inferiori; il cranio è allungato e le orecchie sono grandi e appuntite. Erbivoro e prevalentemente notturno, di notte pascola su praterie erbose e, durante il giorno, si ritira in habitat ricchi di folti boschetti e di arbusti, chiamati tamma (di qui il nome comune tammar). Animale gregario, presenta un marcato dimorfismo sessuale: pesa dai 6-7 kg (Ƃ) ai 9 kg (ƃ), la lunghezza va dai 59-68 cm (ƃ) ai 52-63 cm (Ƃ), mentre l’altezza è circa 45 cm. Presenta vari importanti adattamenti fisiologici, inclusa la capacità di conservare l’energia saltando e di distinguere i colori. Per prevenire la disidratazione, urina di meno e riassorbe l’acqua dal colon distale, producendo feci piuttosto secche. Potendo concentrare l’urina nei reni, sopravvive bevendo acqua di mare. L’organizzazione sociale dei Macropus eugenii ha una struttura gerarchica dominante: per imporsi sui rivali e farsi notare dalle femmine, il maschio si drizza e si mantiene eretto sulle zampe posteriori, gonfia il torace e piega minacciosamente gli avambracci, come fanno i pugili. Vive bene in cattività, è facilmente addestrabile ed è abbastanza grande da permettere prelievi seriali di sangue, mentre i piccoli sono agevolmente accessibili nel marsupio materno, per manipolazioni sperimentali: queste caratteristiche ne fanno un modello animale ideale per ricerche di fisiologia, biochimica, neurobiologia, biologia della riproduzione e dello sviluppo, genomica comparata ed ecologia. Macropus eugenii ha zampe posteriori molto sviluppate, forti e robuste e lunghi piedi specializzati nel salto, il suo modo principale di muoversi: si sposta saltando, con una frequenza di 3.5 salti/s ed una lunghezza di 0.8-2.4 m/salto. Nella maggior parte dei mammiferi, il consumo di ossigeno (VO2) aumenta linearmente con la velocità, ma ciò non vale per i wallaby, nei quali il VO2 si stabilizza con l’aumento della velocità. Sono state misurate le frequenze del respiro, del cuore e dei salti, il volume tidale (volume dell’aria mobilizzata/respiro), la gittata cardiaca ed il VO2 in Macropus eugenii addestrati a saltare su un “tapisroulant”. A velocità superiori a 1.6 m/s, il tasso di consumo di energia metabolica è indipendente dalla velocità di salto. I livelli ematici di acido lattico, nell’intervallo di velocità in cui il VO2 è indipendente dalla velocità, aumentano mediamente di 4.8 mmol/lt e, durante il salto bipedale, le frequenze del respiro e del movimento delle zampe rimangono nel rapporto fisso di 1:1. L’inspirazione di aria inizia quando il canguro si stacca dal suolo e questo è, forse, un processo passivo guidato da un “pistone viscerale”, cioè dallo spostamento di fegato, stomaco e pacchetto viscerale in sinergia con l’escursione respiratoria del diaframma; un tendine, relativamente grande, al centro del diaframma, potrebbe essere coinvolto in questa funzione. A differenza delle frequenze respiratorie, quelle cardiache non mostrano trascinamento con il salto, mentre il sito di dissipazione della presunta escursione pressoria nelle grandi arterie rimane sconosciuto. Con la stessa tecnica, sono stati misurati i tassi di VO2 ed i livelli ematici di acido lattico: fino alla velocità di circa 2.0 m/s, i tassi di VO2 crescono linearmente con la velocità e non differiscono significativamente dai valori registrati in un quadrupede di pari massa corporea. Tra i 2.0 ed i 9.4 m/s, i tassi di VO2 sono indipendenti dalla velocità di salto, mentre tra i 3.9 ed i 7.9 m/s, i livelli ematici di acido lattico sono bassi (0.83 mmol/min/kg) e tali rimangono con l’aumento della velocità. Il lavoro necessario per superare la resistenza dell’aria, misurato in galleria del vento, aumenta esponenzialmente con la velocità, ma incrementa solo del 10% la spesa energetica della locomozione alla velocità media raggiunta. Così, durante il salto, il costo energetico della locomozione è effettivamente indipendente dalla velocità. Ai ritmi di andatura sul campo, il dispendio energetico stimato degli spostamenti fatti saltando dai grandi canguri è meno di un terzo del costo di energia che si registra in un quadrupede di pari massa corporea. Il risparmio energetico è un importante adattamento fisiologico, permettendo ai grandi macropodidi di coprire efficientemente le grandi distanze da percorrere alla ricerca di foraggio nei territori semiaridi dell’Australia. I grandi mammiferi risparmiano la maggior parte dell’energia, della quale hanno co(Continua a pagina 10) Anno IX numero 47 (Continua da pagina 9) munque bisogno per correre, grazie a strutture elastiche presenti negli arti posteriori. L’energia cinetica e potenziale, persa ad uno stadio della falcata, è temporaneamente immagazzinata sotto forma di energia elastica da stiramento, per essere poi restituita, come rimbalzo elastico, all’inizio della falcata successiva. Si calcola che, a elevate velocità, i canguri risparmino, in questo modo, più del 50% dell’energia metabolica della quale avrebbero comunque bisogno per muoversi. Per valutare il ruolo del recupero dell’energia elastica in Macropus eugenii che saltavano su un “tapis-roulant” a velocità comprese tra 2.1 e 6.3 m/s, si sono effettuate misurazioni di forze nelle più importanti unità muscolotendinee coinvolte nell’accumulo e nel ricupero di energia, usando dei trasduttori di forza applicati ai tendini dei muscoli gastrocnemius lateralis (GL), plantaris (PL) e flexor digitorum longus (FDL). Registrazioni elettromiografiche effettuate nei muscoli GL e PL, simultaneamente a filmati ad alta velocità (200 fotogrammi/s) e a video (60 campi/ s), sono state usate per correlare l’attivazione dei muscoli ed i profili cinematici delle zampe posteriori con lo sviluppo della forza muscolare. L’analisi dei risultati ottenuti con queste tecnologie integrate ha mostrato che forze muscolari ed immagazzinamento di energia elastica aumentano con l’aumento della velocità nelle tre unità muscolotendinee e che l’energia elastica, immagazzinata nella fase finale del salto nella quale i piedi tornano a contatto del suolo, dev’essere accumulata soprattutto distalmente dal ginocchio, dove i muscoli principali hanno fibre corte e la maggior parte dell’immagazzinamento di energia deve avvenire nei rispettivi tendini. Lo sfruttamento del rimbalzo elastico dei tendini si verifica anche in molti animali di grossa taglia, come i cavalli, tra i mammiferi, e gli struzzi e i tacchini, tra i volatili, ma in misura molto minore, in termini di risparmio energetico, rispetto ai canguri e, in particolare, ai wallaby, che hanno un treno posteriore, con relativi tendini e muscoli, eccezionalmente sviluppato e specializzato nel salto. A differenza della maggior parte degli Pagina 10 animali, che pagano un aumento del costo energetico all’aumentare della velocità, il tammar wallaby può incrementare la sua velocità, senza pagare maggiori costi energetici. Questa caratteristica, esclusiva dei canguri, è possibile grazie al ricorso all’energia elastica accumulata nei robusti tendini degli arti posteriori. Durante il ciclo del salto, nella fase di distacco dal terreno, il movimento in avanti del wallaby rappresenta una forma di energia cinetica, mentre il contraccolpo gravitazionale sul terreno, alla fine del salto, è una forma di energia potenziale. Queste due energie si convertono nell’energia elastica da tensione nei tendini dei muscoli GL, PL e FDL, che si stirano quando il piede del canguro batte il terreno alla fine del salto, ed è poi recuperata nel rimbalzo elastico tendineo, che spinge il wallaby a staccarsi dal terreno per il balzo successivo. Fino al 90% dell’energia elastica accumulata nei tendini può essere così recuperata e reimpiegata. Più veloce salta il canguro e più pesante è il carico, maggiori sono le energie cinetica e potenziale che vengono immagazzinate e recuperate elasticamente, così il costo energetico della locomozione può rimanere invariato con velocità o carichi superiori ad un normale intervallo. Riassumendo, muovendosi saltando i canguri immagazzinano l’energia della tensione elastica nei tendini del treno posteriore quando i piedi toccano il suolo alla fine di un salto, energia che viene poi recuperata grazie al rimbalzo, nel momento in cui lasciano il terreno per il salto successivo: così possono aumentare la velocità saltando, senza, o con un minimo, dispendio energetico. Perché ciò si verifichi, le fibre muscolari devono trasmettere la forza ai rispettivi tendini senza, o con minimi, cambiamenti di lunghezza, in condizioni praticamente isometriche. Si sono misurate, in vivo, le variazioni della lunghezza delle fibre muscolari dei muscoli GL e PL e la forza dei rispettivi tendini di Micropus eugenii, mentre saltavano a varie velocità. I cambiamenti della lunghezza delle fibre muscolari sono contenuti nell’intervallo di ±0.5 mm nel PL e ±2.2 mm nel GL, corrispondenti, rispettivamente, al 2% ed al 6% della lunghezza delle fibre muscolari a riposo, ma si pensa che siano dovuti all’estensione elastica di legamenti trasversali annessi. Gran parte delle variazioni della lunghezza delle fibre muscolari del GL si registra a bassa forza, all’inizio della fase in cui la zampa è a contatto del terreno, a fronte di un comportamento generalmente isometrico a forze maggiori. I cambiamenti di lunghezza delle fibre non variano significativamente, con l’aumento della velocità di salto, nei muscoli GL e PL (p>0.05), nonostante si registri un incremento pari ad 1.6 volte della forza muscolotendinea, aumentando la velocità da 2.5 a 6.0 m/s. Le variazioni della lunghezza delle fibre dei muscoli PL e GL rappresentano solo il 7±4% ed il 34±12%, rispettivamente, dello stiramento dei rispettivi tendini, e ciò comporta un piccolo lavoro netto per ambedue i muscoli (0.01±0.03 Joule per il PL e -0.04±0.30 Joule per il GL). Al contrario, l’energia da tensione elastica, immagazzinata nei tendini, aumenta con l’aumento della velocità, raggiungendo valori medi pari a 20 volte il lavoro di accorciamento fatto dai due muscoli. Questi risultati dimostrano che un aumento crescente di energia da tensione accumulata nei tendini delle zampe posteriori è utilmente immagazzinato a velocità costanti di salto più elevate, senza essere dissipato da un accresciuto stiramento delle fibre (Continua a pagina 11) Anno IX numero 47 muscolari. Questa scoperta rafforza l’ipotesi che il risparmio tendineo di energia elastica sia un importante meccanismo grazie al quale i piccoli Macropus eugenii, ed i canguri in generale, sono capaci di saltare a velocità maggiori con, o senza, un piccolo aumento della spesa di energia metabolica. Grazie alla capacità di accumulare energia nei tendini del treno posteriore, la femmina di tammar wallaby può portare nel marsupio un cangurino di un certo peso, senza che ciò comporti un incremento del dispendio di energia metabolica. Macropus eugenii è un riproduttore monovulare, con poliestro stagionale discontinuo, abitudini di accoppiamento stagionali strettamente sincronizzate e promiscue ed è dotato del controllo lattazionale della sua riproduzione. Come molti marsupiali, la femmina partorisce un unico piccolo, dopo 25-28 giorni di gestazione, e lo allatta e trasporta nel marsupio, prendendosene cura durante i primi 9-10 mesi di vita. Se diventa gravida mentre ancora porta ed al- Pagina 11 latta un piccolo canguro, lo sviluppo dell’embrione subisce un arresto, finchè il cangurino non lascia il marsupio: è un fenomeno adattativo chiamato “diapausa embriona- le” (delayed birth), sospensione temporanea dello sviluppo embrionale, che si verifica grazie al blocco della proliferazione cellulare allo stadio di blastocisti. E’ una strategia evoluzionistica presente anche in altre specie (topo, visone, foca, capriolo, pecora e orso) che assicura la sopravvivenza dell’embrione, concepito quando la madre è ancora impegnata ad allattare l’ultimo nato. Come in tutti i marsupiali, anche nel Macropus eugenii la composizione, in proteine e carboidrati, e la quantità del latte prodotto variano durante il lungo periodo della lattazione, determinando tassi di crescita e di sviluppo del cangurino lattante che sono indipendenti dalla sua età, grazie a cambiamenti dinamici che si verificano nei geni e nelle rispettive proteine secrete dalla ghiandola mammaria. (fine 1a parte) Domenico Barone OMS: eliminare mercurio dai termometri entro il 2020 Rimuovere il mercurio da tutti i dispositivi medici per la misurazione della temperatura corporea e della pressione del sangue entro il 2020. E' l'obiettivo di una nuova iniziativa lanciata oggi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e da Health Care Without Harm, in occasione della firma della convenzione di Minamata sul mercurio. Gradualmente gli strumenti non saranno più prodotti, importati ed esportati e sarà sostenuta la diffusione di alternative precise, sicure e a prezzi accessibili. Il mercurio e suoi composti possono avere una serie di gravi conseguenze per la salute a livello neurologico, renale e digestivo, soprattutto tra i giovani. La convenzione di Minamata permette ai paesi di continuare a utilizzarlo nei dispositivi medici di misurazione fino al 2030 in alcune circostanze speciali, ma l'OMS e l'organizzazione non governativa Health Care Without Harm sono convinte che le potenziali conseguenze negative per la salute del mercurio siano così gravi che tutti dovrebbero sforzarsi di anticipare al 2020 l'obiettivo di eliminarlo dai dispositivi medici. "Con la firma della Convenzione di Minamata sul mercurio - afferma il direttore generale dell'OMS, Margaret Chan si avvia un lungo cammino per proteggere il mondo dalle conseguenze devastanti del mercurio sulla salute. Il mercurio è uno dei primi 10 prodotti chimici che destano più preoccupazione per la salute pubblica ed è una sostanza che si disperde nell'ambiente e rimane negli ecosistemi per generazioni, causando gravi problemi e danni alle popolazioni esposte". La convenzione prevede uno schema d'azione per i paesi mirato a eliminare le forme più dannose di impiego di mercurio, a ridurne le emissioni provenienti dall'industria, a promuovere metodi privi di questa sostanza ed a proteggere soprattutto i bambini e le donne in età fertile dall'esposizione al mercurio. L'OMS e i suoi partner puntano infine a intervenire anche per eliminare questa sostanza dagli antisettici topici, dai cosmetici, dall'uso artigianale ed odontoiatrico. A cura di Raimondo Russo Anno IX numero 47 Pagina 12 SSFAoggi incontra ……. il prof. Emilio Minnelli "Medicina complementare" è un termine che comprende una vasta gamma di procedure diagnostiche, metodi di cura e rimedi applicati da medici, naturopati, terapisti non medici e nell’automedicazione. La maggior parte di questi metodi affonda le radici in un’antica, talvolta millenaria, tradizione. Su tale argomento abbiamo sentito il prof. Emilio Minelli. Nato nel 1951, si è laureato nel 1976 in Medicina e Chirurgia. Vice Direttore del WHO Collaborating Centre for Traditional Medicine dell’Università degli Studi di Milano. Coordinatore didattico di diversi corsi di perfezionamento dell’Università degli Studi di Milano in medicine non convenzionali, agopuntura, omeopatia, fitoterapia, nutrizionistica e tecniche complementari. Ricercatore clinico e autore di numerose pubblicazioni scientifiche. 1) Gentile prof. Minelli, dati dell’OMS indicano la grande diffusione della Medicina Complementare nel mondo, ed in particolare la sua estensione ai paesi industrializzati. Infatti, oltre il 48% degli Australiani, il 70% dei Canadesi, il 42% degli Statunitensi, il 38% dei Belgi, il 75% dei Francesi ed il 15% degli Italiani vi ricorre almeno una volta all’anno. Quale è la posizione dell’OMS a fronte di questi dati? Quali linee guida ha già stilato e stilerà nel prossimo futuro? La Medicina Complementare, denominata in ambito OMS come Medicina Tradizionale e Complementare (TM&CM), è un concetto di difficile definizione, che comprende sia i grandi sistemi di Medicina Tradizionale—come la Medicina Tradizionale Cinese, la Medicina Ayurvedica Indiana e la Medicina Araba Unanisia altre forme di terapie etniche. Tra le TM&CM, la pratica di gran lunga più diffusa è la fitoterapia tradizionale, che si associa alla maggior parte dei sistemi tradizionali come la medicina tradizionale cinese, quella indiana, quella andina, quella africana, e che può essere considerata, per certi aspetti, la madre della moderna farmacologia. Poiché l’origine della Medicina Tradizionale si colloca spesso nella notte dei tempi, in periodi in cui il metodo scientifico non era ancora patrimonio dell’umanità, le modalità e i criteri per la pratica di questa, così come per la prescrizione dei fitoterapici, possono spesso essere estremamente esoterici, sofisticati e misteriosi, facendo, talora, riferimento a forze spirituali/soprannaturali presenti nell’uomo come nel cosmo. Tuttavia, l’efficacia di queste pratiche è basata sull’accumulo di dati empirici stratificati in migliaia di anni e, ormai sempre più spesso, su numerose ricerche scientifiche. In linea di massima, valutando l’enorme mole di dati che attraverso i secoli si è accumulata, si possono distinguere, secondo OMS, tre modalità d’uso degli stessi: quello popolare, quello tradizionale e quello, più moderno, supportato da dati clinici. Uso popolare: le indicazioni possono derivare da tradizioni orali, riportate da ricerche antropologiche effettuate sul campo. Non è possibile verificare l’appropriatezza d’uso a causa della mancanza di dati scientifici che avvalorino questi elementi. La possibilità di utilizzare prodotti o tecniche secondo le indicazioni provenienti dall’uso popolare deve essere effettuata da medici esperti, che siano in grado di valutare le alternative terapeutiche disponibili e il rischio derivante da un ritardo nell’uso di terapie più appropriate. Uso tradizionale: sono comprese sostanze e tecniche diffuse in molti paesi e descritte in farmacopee ufficiali o in monografie di vari paesi. L’uso di queste metodiche dovrebbe essere riservato a personale medico esperto, in grado di valutare correttamente i possibili vantaggi e di escludere i potenziali rischi, derivanti da una terapia più appropriata o da un ritardo nell’impiego della stessa Uso supportato da dati clinici: vengono considerate droghe vegetali e metodiche, le cui indicazioni terapeutiche sono riconosciute in molti paesi e che sono supportate da studi clinici riportati nella letteratura internazionale. Gli studi clinici possono essere controllati, randomizzati e in doppio cieco oppure aperti ed osser- vazionali. In ogni caso, il loro risultato fornisce evidenze abbastanza consolidate sulla loro efficacia, applicata a particolari problematiche o malattie. E’ evidente, dunque, che OMS vede favorevolmente il progressivo espandersi delle TM&CM anche se questo pone alcuni problemi quali la sostenibilità del consumo crescente di piante la cui stessa sopravvivenza potrebbe essere minacciata, l’impiego di metodiche provenienti da specifiche aree culturali, che possono essere utilizzate in aree prive dei concetti di base per la comprensione di un loro corretto utilizzo, la necessità di formare operatori sufficientemente preparati. La vera domanda, però, è perché vi sia questa grande diffusione di TM&CM in paesi altamente sviluppati. Non vi sono risposte conclusive ma alcune ipotesi: 1. L’uso della TM&CM è stato incrementato da enfatizzazioni sugli effetti collaterali dei farmaci sintetici, dalle domande aperte sull’uso del farmaco nelle più diffuse malattie croniche e sull’accesso sempre più ampio del pubblico ad informazioni sulla salute ed a pratiche di autocura. 2. Un’aspettativa più lunga di vita ha portato con sé un aumento delle malattie croniche e debilitanti, come quelle a carico dell’apparato cardiovascolare, il cancro, il diabete e le malattie mentali. Per molti pazienti, la TM&CM potrebbe contenere quelle risposte alla loro domanda di salute che spesso la medicina convenzionale non ha o, quantomeno, potrebbe offrire un modo più naturale, “dolce” e meno impersonale di affrontare tali disturbi. Non indifferente risulta l’uso di TM&CM nelle situazioni, sempre più frequenti, in cui l’uso di una terapia convenzionale può controllare per un lungo periodo una grave malattia, ma con un grosso impatto sulla qualità della vita del paziente (AIDS, cancro, malattie mentali). In questi (Continua a pagina 13) Anno IX numero 47 Pagina 13 (Continua da pagina 12) casi, l’utilizzo della TM&CM è finalizzato, soprattutto, al miglioramento della qualità della vita del paziente e al controllo dei numerosi effetti collaterali, che terapie anche efficaci producono. Vero è però che, se OMS promuove la diffusione e l’integrazione della TM&CM, allo stesso tempo definisce regole per la promozione di elevati standard di qualità, efficacia e sicurezza nell’impiego di prodotti e metodiche tradizionali. Non a caso, per promuovere la qualità di uso della TM&CM negli ultimi dieci anni, grazie al supporto di Regione Lombardia e in collaborazione con il WHO CC dell’Università di Milano, WHO ha pubblicato una serie di linee guida e monografie tese a diffondere e promuovere concetti di efficacia, sicurezza e qualità della TM&CM. 2) L’organizzazione Mondiale della Sanità, nell’ultimo rapporto sulle medicine complementari e tradizionali, the “WHO Traditional Medicine Strategy 2014-2023” (1), ha richiamato gli stati ad utilizzare il potenziale contributo che le medicine non convenzionali possono fornire alla salute e ad un sistema di cura centrato sulle persone e sul loro benessere, e di “promuovere la sicurezza e l’efficacia di tali medicine regolamentando, facendo ricerca e integrando i prodotti, gli operatori e la pratica nel sistema sanitario, laddove ciò si riveli appropriato”. A che punto siamo in Italia? Stante la grande diffusione del sistema medico biologico occidentale in tutto il mondo, OMS inquadra i rapporti intercorrenti tra sistema allopatico e TM&CM in tre sistemi di relazione: integrato, inclusivo e tollerato. 1. In un sistema integrato, la TM&CM è riconosciuta ufficialmente ed incorporata in tutte le aree che si occupano della cura della salute sia a livello formativo che terapeutico e assistenziale. 2. Un sistema inclusivo riconosce la TM&CM, ma non la integra ancora completamente in tutti gli aspetti della sanità, siano questi l’eroga- zione di cure, l’educazione e la formazione, o la regolamentazione. Nei paesi con un sistema tollerante, il sistema sanitario nazionale è basato interamente sulla medicina allopatica, ma alcune pratiche di TM&CM sono tollerate. L’Italia, appartiene a questo ampio gruppo di paesi. Secondo la visione OMS, sarebbe auspicabile che i due sistemi di cura venissero integrati, in modo da rendere disponibile per tutta la popolazione il livello di cure più elevato, appropriato e soddisfacente. E’ indubbio, però, che perché questa integrazione possa avvenire a tutto vantaggio dell’utente, sono indispensabili alcune premesse che, come espresso nel testo WHO Strategy 2014-2023, si possono così riassumere: Efficacia L’efficacia della TM&CM non è sempre ben dimostrata. E’ indubbio che vi sono discipline come l’agopuntura, per esempio, che posseggono un corpus di evidenze, derivante da ricerche cliniche e di base, superiore a quello di altre TM&CM. Per contro, esistono parti all’interno delle singole discipline, che hanno evidenze scientifiche superiori a quelle di altre parti, vedi, per esempio, il trattamento con omeopatia della rinite allergica, rispetto al trattamento con omeopatia di altre sindromi. In generale, OMS riconosce l’importanza della valorizzazione e della promozione della TM&CM basata su evidenze derivate dall’uso tradizionale: tuttavia raccomanda la promozione di studi scientifici, che diventano obbligatori quando a droghe tradizionali vengono applicate nuove indicazioni, o quando le modalità produttive vengono modificate. Sicurezza Per quanto riguarda la fitoterapia tradizionale, oltre che sugli aspetti classici della tossicità, della genotossicità, della cancerogenesi, OMS sottolinea come in un mercato moderno, molto caratterizzato dall’autoprescrizione e dalla integrazione dei prodotti farmacologici con quelli di origine naturale, sia estremamente importante promuovere una approfondita conoscenza delle possibili interazioni e controindicazioni, sia tra prodotti di TM&CM che tra questi e farmaci della medicina biologica. I consumatori devono essere informati sui rischi connessi all’impiego di terapie basate sulla TM&CM. La consapevolezza e la vigilanza sono i primi requisiti per la riduzione dei rischi, per esempio della tossicità diretta, delle interazioni e controindicazioni a seconda della specifica terapia utilizzata. Le informazioni ai consumatori riguardo ai rischi non vogliono creare allarme, ma il loro scopo è di ridurre al minimo i rischi. Inoltre, parte integrante della sicurezza è promuovere la formazione e l’individuazione da parte del pubblico di operatori qualificati. In assenza di regole adeguate, è possibile che (Continua a pagina 14) Anno IX numero 47 (Continua da pagina 13) alcuni operatori della TM&CM non seguano i criteri di una buona pratica clinica. Un modo per eliminare inconvenienti del genere consiste nel formare gli operatori che utilizzano la TM&CM, dar loro regole e registrarli tutti, invitando i consumatori a rivolgersi a terapeuti competenti e certificati che forniscono servizi di alta qualità. Infine, è importante promuovere l’informazione per il consumatore e l’utilizzo appropriato della TM&CM, ed implementare il livello di informazione del paziente che usa prodotti di TM&CM in autoprescrizione, in particolare nel caso di donne in gravidanza o in allattamento, di anziani e di adulti che eventualmente trattino bambini con prodotti di TM&CM. La realizzazione di questo obiettivo è ottenibile solo creando una rete di informazioni, al cui centro si ha il consumatore stesso. 3) Cosa ci può dice dell’atteggiamento negli atenei italiani? C’è voglia di conoscere, studiare e trasferire alle nuove generazioni quanto si conosce sulle medicine non convenzionali o no? Se dovessimo basarci su un documento ufficiale quale quello prodotto sull’argomento dalla Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia (CPPCLM), dovremmo dire che più che interesse è presente una posizione caratterizzata da grande criticità. Ma potrebbe essere una posizione fuorviante. Il documento, infatti, nasce dalla preoccupazione, che potremmo anche definire legittima, che il corso di laurea in Medicina, ormai in rete con tutti i corsi di laurea a livello europeo, conservi la sua specificità di corso di formazione che insegni all’allievo la teoria e la pratica di un approccio alla medicina biologica. Da questo punto di vista, resta poco spazio per un insegnamento di pratiche alterna- Pagina 14 tive. Tuttavia, al di là di queste e di altre posizioni pesantemente critiche, la presenza di numerosi corsi post-laurea nel campo delle medicine complementari lascia intravvedere una sostanziale curiosità nei confronti di conoscenze antiche in cerca di validazione secondo metodologie moderne. In effetti, sarebbe un vero peccato che il sistema universitario si chiamasse fuori da possibili incontri con la medicina tradizionale, tenuto conto di un aspetto fondamentale dell’università: la ricerca scientifica. A questo proposito, OMS ha più volte ribadito non solo la necessità di una comprovata sicurezza delle pratiche utilizzate, ma anche quella di una comprovata efficacia delle stesse, soprattutto nel caso in cui si volessero sostituire, con queste pratiche o sostanze, terapie e farmaci con un livello di efficacia già dimostrata. E’ evidente che in questi casi sarebbe necessaria un’attenta valutazione da parte del medico del rapporto efficacia/sicurezza nei confronti del farmaco che si intende sostituire. Inoltre, secondo numerosi documenti approvati da OMS, è importante soprattutto per i prodotti fitoterapici e, in particolare, per quelli derivati da miscele degli stessi, che i requisiti per provarne l’efficacia, compresa la documentazione richiesta per supportare le indicazioni all’uso dichiarate, siano correlate alla natura e al livello delle indicazioni. Così, ad esempio, per determinare l’efficacia di un prodotto nel trattamento di disordini minori, per indicazioni non specifiche o per usi preventivi, possono essere sufficienti requisiti meno rigorosi (per es. studi osservazionali), specialmente quando sono presenti un lungo uso tradizionale, una particolare esperienza nell’uso di un fitoterapico, e dati supportati da studi farmacologici. Nel caso di disturbi maggiori, quali ad esempio malattie specifiche, il livello di evidenza deve essere superiore e le prove cliniche a supporto più rigorose. La ricerca, infine, ha una sua fondamentale importanza anche dal punto di vista regolatorio, poiché la normativa sui requisiti dei fitoterapici medicinali, richiesta dalle autorità nazionali, differisce da regione a regione e molti governi hanno recentemente sviluppato una propria regolamentazione nazionale per la TM&CM. Tuttavia, il livello di evidenza costituisce sempre più spesso un importante indicatore di riferimento per i vari documenti regolatori. 4) E per finire, prof. Minelli, cosa vede all’orizzonte? Credo che la visione che WHO propone nel testo Guidelines on the developing consumer information on proper use of Traditional, Complementary and Alternative Medicine abbia in sé elementi per una vera e propria rivoluzione delle politiche di salute. Il protagonista della gestione della salute, infatti, non è più il medico, lo specialista o il sistema di salute, ma il paziente. E’ una rivoluzione copernicana, la cui portata non è stata ancora del tutto colta e che richiederà una sfida di implementazione sul campo, che durerà anni. Infatti, perché si possa realizzare, è indispensabile che tutta l’informazione diventi patrimonio condiviso di tutti gli attori del progetto salute: paziente, medico, specialista. Risulta facile, allora, capire come molta parte dei programmi di integrazione si potranno giocare nella concretezza di un lavoro al letto del paziente. Così come le aspettative del paziente potranno trovare un elemento di confronto sereno, non solo con quello che sa o dice di sapere il medico, ma anche e soprattutto con quello che non sa. E chi sa, potrebbe essere che questa volta si realizzi veramente un “3000, salute per tutti”. A cura di Giovanni Abramo 1. In questo testo i termini Medicina Tradizionale (TM) e Medicina Complementare e Alternativa (CAM) sono utilizzati come equivalenti. Ciò specifica la comprensione dei concetti ma espone a qualche imprecisione. Ad esempio, Omeopatia, Fiori di Bach, ecc. fanno parte della CAM ma non della TM. 2. Ernst E. The desktop guide to complementary and alternative medicine: An evidence based approach. Orlando, FL, Harcourt Ltd, 2001. 3. Vantini I, Caruso C, Craxì A., L’insegnamento delle Medicine Alternative e Complementari (CAM) nel Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia: Posizione della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia (CPPCLM). Med Chir 2011; 53: 2331-2 Anno IX numero 47 Pagina 15 Il mondo sta cambiando anche nei rapporti medico-paziente. Ecco un interessante scambio di opinioni, dal BMJ. Should patients be able to email their general practitioner? British Medical Journal Demand for better access to primary care is ever rising, but is email the answer? Elinor Gunning says that patients want it and that careful planning can mitigate worries about safety and security. Emma Richards is not so sure and thinks clearer guidance and resourcing are needed first. The use of email services in primary care to consult on simple medical and administrative problems, and to facilitate follow-up and ongoing self care, has the potential to improve convenience for patients and efficiency for clinicians. Despite high patient demand suggested by descriptive studies, only 20-25% of doctors in Europe and the United States use email to communicate with patients. Within primary care use is variable; it is commonplace in Denmark but patchy in the UK. The 2014 UK general practice contract mandates online repeat prescription and appointment booking services. However, more extensive use of email is not obligatory despite it being endorsed by the Royal College of General Practitioners and the UK Department of Health. Those opposed to using email services in primary care often cite increased workload, concerns about patient safety and security, lack of proximity to the patient, and the effect on communication as the main barriers. I shared these concerns when I worked in a surgery that implemented email services during my training. However, I saw that with thoughtful planning email can benefit both patients and doctors. whether service efficiency and performance improved with the use of email was inconclusive. However, a prospective study of email use in secondary care in the United States indicated that physicians found answering patients’ questions by email 57% faster than by telephone (2.2 min versus 5.2 min) and also removed the frustration of having to make multiple call back attempts if patients failed to answer their telephones. In addition, a review in The BMJ of several qualitative studies showed that doctors who use email view it as a useful addition to other communication options. The authors proposed that email could improve the management of chronic conditions, provide continuity of care, and increase flexibility in responding to non-urgent queries. Before implementing an email service patients and clinicians need to understand the limitations of email and which kinds of inquiries are suitable for discussion this way. Reassuringly, the evidence indicates that patients use email appropriately: a qualitative study of email use in UK primary care and a systematic review of 24 US studies found that patients are mindful of overloading their general practitioner with too many, or inappropriate, emails. Patients’ communications were generally “brief, formal, and medically relevant,” and many (77% in one study) raised only a single problem. Patients were also good at selecting the appropriate form of communication, using email for straightforward matters but preferring to be seen face to face if they thought their question more serious. Workload The addition of email services has the potential to increase general practitioners’ workload, but if the service is well planned and managed then email can be a more efficient way to manage some routine conditions and requests than traditional methods. A 2012 Cochrane review found that the evidence on Patient safety A 2012 Cochrane review found no evidence that using email caused harm, although high quality studies are lacking. Patient safety remains one of the most cited concerns about email use, including worries that patients will use emails inappropriately to request emergency advice and fears about confidentiality and Yes— Elinor Gunning the security of practice computer systems. Similar concerns can be applied to other forms of communication, such as telephone, fax, and post, which are now well established and trusted. Many resources exist to help minimise these risks when developing email services, including guidance from medical indemnity providers such as the Medical Protection Society. Comprehensive patient education, adequate email triaging systems, the use of a secure server, and patient consent are crucial. Patients must be made aware that emails may not be read immediately. The terms and conditions of email use can be covered comprehensively when patients give consent for email use and reiterated in each email response. Patient proximity and communication An email consultation will never be able to reproduce the subtleties of communication in a face to face encounter, and there is no possibility of a physical examination. However, email can help follow-up after a standard consultation, the communication of results, and self management, while promoting and maintaining the doctor-patient relationship through providing continuity of care. Patient satisfaction with email communication is generally high, and qualitative research has shown that patients appreciate the personalised care and direct access to their GP. Email services might also facilitate access for those patients less able to use traditional methods of communication, such as housebound patients, those with hearing difficulties, or younger patients, who may be more likely to engage with this modern approach. Admittedly, some patient groups, such as those unable to use the technology or with language or literacy barriers, will be unable to benefit from email services. However, this is not a reason to deny this form of access to other patients. General practice should (Continua a pagina 16) Anno IX numero 47 (Continua da pagina 15) facilitate a variety of options for access, in order to improve care for all. GPs and our professional bodies, as experts in our patients’ care, should embrace the use of email to develop a safe and effective service. Although more research, investment, and official guidelines are needed, sufficient strategies already exist to support the safe implementation of email services. The flavour of current UK health policy suggests that email use will soon be inevitable. If we do not engage with email now, implementation without our input may mean that GPs miss out on a vital opportunity to shape its use, to the detriment of patients and clinicians. No—Emma Richards The prime minister’s “challenge fund” is being used for pilot schemes in general practice focusing on improving access, including the use of email contact. Department of Health policy states that “patients should be able to communicate electronically with their health and care team by 2015.” This seems patient centred, but we should be extremely cautious. Why shouldn’t patients email doctors freely, to request drugs and certificates, get test results, or seek clinical advice? As many as 75% of US doctors use email to communicate with patients but with only about 1-5% of their patients. However, the US system differs substantially from the NHS, where equity in service provision is fundamental, making it impossible to limit email services to only a small percentage of NHS patients. Unclear benefit No evidence shows that email communication with patients is effective in improving access or saving money. A Cochrane review of nine randomised controlled trials of email consultations found no difference in outcomes such as patient understanding, health status, or behaviours. The review concluded that the “evidence base was limited with variable results and missing data” and therefore “recommendations for clinical practice could not be made.” Some of the studies found that email intervention increased doctors’ work- Pagina 16 load. Similarly, a recent study showed 50% more face to face follow-up appointments after initial consultations by telephone rather than face to face. The BMA said that patients contacted practices more often when telephone services were available and that some did so instead of self care, which could also be true for email consultations. Consultations using telephone or email share many characteristics, but telephone consultations offer emotional cues, such as tone of voice, as well as clinical clues, such as a wheeze. Telephone facilitates two-way discussion in real time, to gather information, ask and answer questions, and check understanding. None of this can be done with a single email. Professional unease In an online forum’s recent poll, 68 of 72 UK general practitioners who responded were against email contact with patients. Many said that the current workload was unrelenting and that email would direct resources away from face to face contact with patients. Those in the greatest need of healthcare, such as elderly or infirm patients, may struggle to engage with email because of a lack of facilities or knowhow. A Californian cross sectional survey of more than 4000 patients older than 65 showed that less than half of those offered email consultations were enthusiastic about it, and their enthusiasm decreased with rising age and more self reported ill health. Similar barriers exist for ethnic minorities and poor people, potentially creating a “digital divide” of widening health inequalities. UK patients can already request repeat prescriptions and appointments online through most practice websites and can telephone for test results. Delicate results require a two way conversation, which can sometimes be managed by telephone, but many doctors would prefer to see these patients face to face. Most online appointments are booked immediately, and prescription requests usually stipulate a 48 hour turnaround, incorporating a shared understanding of timescale and urgency. The number of phone calls that can be scheduled into consultation slots or added after surgery within a working day is limited. However, the idea that patients can email unlimited requests and questions fills many GPs with dread—not only in terms of time but also clinical safety. Without immediate triage, what happens to the suicidal patient who sends an email on Friday night that goes unread until Monday, or the patient with chest pain who thinks she’s dealt with the problem because she has emailed her doctor, who is on holiday? Triage systems may help to avoid this, but a randomised controlled trial showed that two thirds of patients are not keen on clinic staff intercepting their emails and prefer to message their doctor personally and privately. A recent observational study showed the importance of non -verbal communication such as eye contact and social touch in demonstrating empathy in consultations and the phenomenon of the “doctor as a drug,” where the interpersonal exchange between doctor and patient, both verbal and nonverbal is therapeutic; both would be diminished, or lost entirely, in electronic exchange. Misunderstandings might also increase the risk of clinical error and mismanagement. Insufficient safeguards These concerns are not new. A qualitative study in 2010 recognised that reluctance in adopting email communication often related to a lack of understood “rules of engagement.” The UK lacks consistent guidance on how to run such email services. The General Medical Council gives only general advice on remote prescribing and confidentiality. The Royal College of General Practitioners gives no specific guidance. The medical indemnifier the Medical Protection Society gives some basic guidance on email communication, which reminds doctors to “set aside time in the working day to respond to email enquiries” and “not to underestimate the time and planning required to set up and maintain such a system.” Practices would need systems to maintain confidentiality and patient safety, and all information exchanged by email would later have to be saved to the patient’s notes. Doctors’ NHS email is en(Continua a pagina 17) Anno IX numero 47 (Continua da pagina 16) crypted and secure, but patients’ email accounts are not guaranteed to be safe from interception—and how do you know whether the person sending an email is actually the patient? And what of human error— for example, inadvertently sending an email to the wrong person? Even if we had clear guidance, clinicians Pagina 17 may not follow it. In a cross sectional survey of more than 4000 clinicians in Florida using email, only 6.7% adhered to at least half of the guidelines for email communication, perhaps because of lack of awareness, disagreement with guidance, or impracticability. Given the complexities of using email and understandable caution among GPs, it seems pre- mature to be insisting that patients can have email communication with GPs. The Department of Health should first issue clear guidance on what can safely and appropriately be communicated by email and what resources are needed. SOURCES OF INFORMATION USED BY REGULATORY AGENCIES ON THE GENERATION OF DRUG SAFETY ALERTS Alves C, Macedo AF, Marques FB Eur J Clin Pharmacol, pubblicato on line il 27 luglio 2013 Le evidenze emerse dal sistema di segnalazioni spontanee sono alla base della maggior parte delle rivalutazioni del rapporto beneficio/rischio, supportando la tesi che da questo sistema possono emergere segnali di safety relativi a eventi non noti. E’ di fondamentale importanza armonizzare le autorità regolatorie dei diversi paesi in materia di sicurezza sui farmaci. SCOPO Lo studio dei presupposti su cui le Autorità Regolatorie basano le loro decisioni sulle valutazioni di sicurezza dei farmaci costituisce un importante problema di salute pubblica e clinica. L’obiettivo del presente lavoro era di valutare il tipo e lo stato di pubblicazione delle fonti dei dati che supportano le rivalutazioni del rapporto beneficio/rischio condotte dalle principali Autorità Regolatorie in materia di sicurezza. METODO E’ stata condotta una ricerca sui siti web per identificare tutti gli avvisi di sicurezza pubblicati da U.S. Food and Drugs Administration, Health Canada, European Medicines Agency e Australian Therapeutics Goods Administration. Venivano considerati gli alert di safety se la valutazione della relazione causale tra l’esposizione sospetta al farmaco e l’occorrenza di un evento avverso era stata condotta per la prima volta tra il 2010 e il 2012. Sono stati esaminati il tipo delle fonti di fonti considerate dalle Autorità Regolatorie, il loro stato di pubblicazione e gli aggiornamenti del foglietto illustrativo. RISULTATI Sono stati inclusi nello studio 59 avvisi di sicurezza riferiti a 42 differenti problematiche cliniche. Le segnalazioni spontanee post-marketing supportavano 33 (56%) alert, studi clinici randomizzati 24 (41%), studi di coorte 16 (27%), studi caso-controllo 13 (22%) e case report e/o case series 11 (17%). Alla generazione di un alert poteva aver contribuito più di una delle fonti citate. Ventitre alert (39%) sono stati emessi basandosi su evidenze non pubblicate, corrispondenti principalmente a segnalazioni spontanee post-marketing. La sezione del foglio illustrativo più frequentemente aggiornata era “avvertenze/precauzioni” (n=40; 68%) CONCLUSIONI Nonostante le diverse tempistiche utilizzate dalle diverse Autorità Regolatorie per giungere a conclusioni simili sulle stesse questioni, un problema che sembrerebbe meritare un’ulteriore armonizzazione, le segnalazioni spontanee post-marketing hanno supportato la maggior parte delle rivalutazioni del rapporto beneficio/rischio, confermando in tal modo il loro valore nel rilevare eventi avversi sconosciuti (segnali). A cura di Raimondo Russo Anno IX numero 47 Pagina 18 Il futuro della sperimentazione clinica in Italia: Italia protagonista per le sue competenze o «Cenerentola»? Quale sarà l’impatto della produttività del «sistema Italia» sulla ricerca clinica nei prossimi anni: minor produttività e aumento dei costi? Quale possibilità di accesso a farmaci innovativi avranno i pazienti, se l’Italia perderà la possibilità di partecipare alle sperimentazioni cliniche? Quale sarà l’impatto sull’occupazione nel settore farmaceutico e della ricerca? Assisteremo a una perdita di opportunità per SSN di qualificarsi per l’offerta di sperimentazioni cliniche? Assisteremo a una perdita degli investimenti negli ospedali e del risparmio su esami e farmaci? C’è un futuro per gli studi «early phase» in Italia? Gli sponsor farmaceutici italiani rimarranno nel club dei «first tier countries», l’eccellenza della ricerca clinica? Con queste domande di stimolo per la discussione ho concluso il mio intervento dal titolo: “La ricerca clinica in oncologia nel nostro Paese, stato dell’arte e prospettive” al seminario SSFA di aggiornamento sugli “STUDI CLINICI IN ONCOLOGIA”, tenutosi martedì 11 Novembre 2014 presso la sede Servier a Roma. L’Europa ha perso negli ultimi anni circa un quarto delle sperimentazioni cliniche svolte nel mondo e l’Italia ha visto diminuire il loro numero da circa 900 del 2008 a circa 700 del 2012, ultimo dato disponibile. Stabile e molto limitata la percentuale di studi di fase I nello stesso periodo, circa il 5-7% di tutte le sperimentazioni cliniche. Negli ultimi anni, i cambiamenti del modello di sviluppo dei farmaci oncologici sta portando sempre più ad una selezione dei composti sulla base dell’identificazione dei target molecolari a cui corrisponde una selezione dei pazienti grazie all’impiego di marcatori biologici predittivi della risposta al trattamento. La conseguenza di questo cambiamento è un incremento degli studi di fase precoce che hanno come obiettivo la valu- tazione dell’attività del farmaco, il cosiddetto “Proof of Concept”. Per quanto riguarda l’attività di Novartis Oncology in Italia, abbiamo attualmente in corso 26 studi di Fase I, 21 studi pianificati per il 2015 con 29 composti in sviluppo e dal 2011 a oggi abbiamo arruolato in questi studi 215 pazienti. Questi dati ci dimostrano che fare studi di “early phase” in Italia è possibile, nonostante tempi autorizzativi e amministrativi mediamente intorno ai sei mesi per i centri coordinatori, con una tendenza all’aumento dopo l’entrata in vigore del Decreto Balduzzi (Legge n. 189 dell’08.11.2012) che riporta l’Autorità Competente in AIFA. Inoltre, stiamo costatando le prime inconsistenze tra i pareri dei CE e AIFA. Cosa fare per invertire questa tendenza che potrebbe riportare l’Italia tra i paesi “Cenerentola” per quanto riguarda le sperimentazioni cliniche, in uno scenario di maggior competitività globale? Ci permettiamo di avanzare alcune proposte con un possibile impatto a breve termine: 1. una determina di AIFA chiarificatrice dei ruoli e delle responsabilità AC vs CE, riducendo le aree di sovrapposizione e rischi di inconsistenze; 2. la costituzione di una rete di ‘CE Esperti’ a supporto delle attività centralizzate di AIFA; 3. mantenere il ruolo dell’ISS nelle Fasi I: una “Best Practice” da consolidare; 4. coinvolgere AIFA nel processo di fattibilità di studi clinici con disegno sperimentale innovativo o con problematiche particolari; 5. mantenere il processo autorizzativo dei CE in parallelo; 6. monitoraggio condiviso e trasparente dell’attività dei CE. Infine, perché il “Sistema Paese” possa supportare efficacemente queste attività, sono necessarie regole certe, tempi definiti, qualità nel- la ricerca (sia da parte degli sperimentatori che degli sponsor), creazione di strutture adeguate - quali Clinical Trial Centres o Unità di Farmacologia Clinica - e sviluppo di tutte le professionalità necessarie: medici sperimentatori, data manager, infermieri dedicati alla ricerca e, non ultimo, la possibilità di ottenere agevolazioni di tipo economico per quegli sponsor che maggiormente investono in ricerca clinica. Franco Mainini Franco Mainini, medico chirurgo, esperto di epidemiologia e di sanità pubblica, specialista in ricerca clinica, da anni nel settore farmaceutico, attualmente è medical advisor - early compounds area per la BU oncology di Novartis. Ha pubblicato 75 lavori su riviste prevalentemente internazionali nei settori oncologico ed infettivologico. Anno IX numero 47 Pagina 19 SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO “Equivalenza terapeutica tra prodotti farmaceutici aventi principi attivi differenti” a cura del Gruppo di Lavoro Farmacoeconomia e Market Access Milano, Venerdì 27 febbraio 2015 Tavola Rotonda BPL – Nuova scheda riassuntiva delle caratteristiche del centro di saggio ai fini della certificazione di conformità secondo quanto stabilito dal D.Lvo 50 del 02/03/2007. Rappresentanti del Ministero della Salute italiano: Staff dell’ufficio VI ex DGPREV, coordinati dal dr. Francesco De Blasio. Coordinatori: M.M.Brunetti (RTC), E.Invernizzi (RBM - MerckSerono). La Tavola Rotonda ha avuto molto successo con un buon numero di partecipanti e con la presenza di tutto lo staff dell’ufficio VI del Ministero della Salute (MinSal), coordinato dal dr. Francesco De Blasio. L’evento è stato organizzato dal gruppo BPL della SSFA/GIQAR in collaborazione con RTC e si è svolto il 19 novembre 2014 presso RTC. Nel corso della tavola rotonda sono state analizzate e discusse tutte le domande preparate anticipatamente dal gruppo BPL e, inoltre, è stata la prima occasione di incontro tra rappresentanti dei centri di saggio (CdS) e lo staff dell’ufficio VI del MinSal (Unità di Monitoraggio, UdM), rappresentando un ulteriore passo verso una ancora più fattiva comprensione e collaborazione. La discussione è stata vivace ed interessante, le domande e le relative risposte sono annotate in allegato. Tale documento sarà utile per tutti gli operatori del settore poiché chiarisce molti punti ancora dibattuti ed armonizza le modalità di compilazione della scheda riassuntiva stessa. La scheda riassuntiva è richiesta dal D.Lvo 50 del 2 marzo 2007 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 13 aprile 2007), art.2 (Adempimenti di centri di saggio), commi 1-3.Questo decreto recepisce le direttive 2004/9/CE e 2004/10/CE. La scheda riassuntiva, in formato elettronico, inviata al MinSal via PEC, rappresenta l’unico mezzo per richiedere la certificazione BPL ed è altresì l’unico mezzo di comunicazione consentito per il trasferimento di informazioni tra CdS e UdM. La scheda riassuntiva è necessaria per mantenere informato UdM in merito all’organizzazione del CdS ed alle attività che esso svolge, consente aUdM di armonizzare le informazioni ricevute da tutti i CdS italiani ed è il documento di riferimento utilizzato dal Gruppo Ispettivo (GI) nelle ispezioni effettuate presso i CdS (il GI utilizza l’ultima versione della scheda riassuntiva inviata dal CdS a UdM). La principale novità emersa e ribadita più volte nel corso della tavola rotonda è la fondamentale distinzione tra certificazione ed autorizzazione, come concetto legale e relativo iter procedurale: certificazione: l’autorità competente attesta che le attività già svolte sono conformi alla BPL. autorizzazione: prima di svolgere una determinata attività il CdS richiede l’autorizzazione all'autorità competente. Il presupposto della certificazione per la BPL da parte diUdM è l’attività svolta, mentre non è necessaria/prevista un’ autorizzazione preventiva da parte diUdM. Il CdS dichiarerà di aver effettuato uno studio secondo i principi di BPL e, di conseguenza, UdM verificherà lo studio condotto e, previo gli accertamenti del caso, certificherà le attività esaminate (ndr: in accordo alla classificazione stabilita recentemente da UdM che riprende l’analoga classificazione Ocse). Ovvero la certificazione potrà essere rilasciata solo a valle di uno studio condotto dal CdS.Un sentito ringraziamento va al dr. F. De Blasio e a tutto lo staff dell’ufficio VI del Min Sal la cui partecipazione è stata preziosa per chiarire i tanti dubbi emersi in merito all’argomento oggetto di discussione, alla RTC per la collaborazione all’organizzazione e gestione dell’evento oltre che all’ospitalità, ai colleghi QA che hanno partecipato alla preparazione dell’evento tramite incontri e discussioni preliminari al fine di approntare l’elenco delle domande da discutere e, infine, a tutti i partecipanti che hanno contribuito a rendere l’evento interessante e formativo. Maria Mercede Brunetti, Enrico Invernizzi, Arianna Federici, Serena Mazzotti Anno IX numero 47 Pagina 20 Domande poste all’Autorità e Risposte LA NUOVA SCHEDA RIASSUNTIVA Il riferimento regolatorio della scheda riassuntiva (SR) è l’Art. 2 (Adempimenti dei centri di saggio), commi 1 e 2 del D.Lvo 50 del 2 marzo 2007 ? Sì I suddetti commi 1 e 2 del D.Lvo 50 recepiscono il paragrafo “Pre-inspection” dell’Annex 1, Part B della Direttiva 2004/9/EC ? Sì. La valutazione della SR può essere considerata a tutti gli effetti una pre-inspection, poiché fornisce tutte le necessarie informazioni che consentono agli Ispettori di conoscere aspetti e caratteristiche proprie del centro di saggio (CdS) prima della verifica on-site, di preparare al meglio l’ispezione, anche anticipando alcune verifiche, e quindi di velocizzare e ottimizzare il processo ispettivo. Da notare che ogni Stato Membro è libero di decidere come organizzare la pre-inspection. In alcuni casi (es.: Germania) si tratta di un'ispezione preliminare effettuata presso il CdS. La SR si invia al MinSal solo quando il CdS “richiede la certificazione di conformità” (rif. Art.2, comma 2 del D.Lvo 50 del 2 marzo 2007) ? La SR è lo strumento di comunicazione tra CdS e MinSal e quindi si invia, aggiornata, in occasione di qualsiasi comunicazione: richiesta di nuova certificazione rinnovo della certificazione estensione della certificazione notifica di cambiamenti significativi nel CdS (es.: l’esecuzione di una nuova tipologia di studio nell’ambito di una macroarea già certificata per la quale il CdS presuppone dovrà essere effettuata una ispezione on-site e/o un audit dello studio presso il CdS o presso il ministero, sarà comunicata al MinSal/Unità di Monitoraggio (UdM) come variazione significativa. Questo comporta anche una ottimizzazione dei tempi tecnici richiesti. altro (ad esempio per “altro” si intende per esempio l’ invio della scheda riassuntiva aggiornata, a fronte di ispezione ricevuta, per comunicare le risposte alle osservazioni riportate dal gruppo ispettivo nel verbale di ispezione del CdS). In conclusione non ci sono regole definite, quindi il CdS può inviare al MinSal la SR aggiornata a sua discrezione, ovvero quando lo ritiene necessario. Il CdS può redigere la SR in lingua inglese ? La SR deve essere redatta in italiano. Qualora il CdS avesse necessità (es: richiesta da parte di casa madre nel caso di multinazionali) può effettuarne una copia, tradotta in inglese, per uso interno. Il CdS, sulla base delle dimensioni del file elettronico della SR da inviare via PEC al MinSal, può suddividere il file in più parti, per esempio una dedicata alle informazioni della SR vera e propria e l’altra costituita solo dai CV ? Si raccomanda di inviare la SR tramite PEC come documento unico, evitando la suddivisione del file in più parti e conseguente invio frazionato.Considerato il limite di ingresso per la posta elettronica del MinSal di circa 20 MB, si suggerisce, nel caso di allegati molto pesanti, di: utilizzare risoluzioni più basse possibili (es.: per documenti pdf 150 dpi sono sufficienti); ove possibile, mandare file word al posto di file pdf (es.: CV). Si raccomanda inoltre di contattare il MinSal, per esigenze particolari (es: problemi di compilazione o inserimento dati nella SR per CdS che utilizzano piattaforme software diverse da Microsoft Office) o per problemi di invio non risolvibili con semplici operazioni. In questo ultimo caso, si può concordare con il MinSal la suddivisione del file della scheda per invio frazionato. NB: L’ultima SR inviata è quella cui il MinSal fa riferimento. E’ possibile/utile definire dei criteri tecnici standard per l’invio delle informazioni (quali documenti possono essere inviati in formato word, quali in formato PDF) ? Non è richiesto un particolare formato, il CdS è libero di scegliere il formato dei file da inserire nella SR. NB: Il MinSal accetta anche documentazione/allegati non firmati (es.: CV) in quanto è la direzione del CdS stesso che si fa carico della veridicità delle informazioni trasmesse. Il MinSal (Uff.VI) può valutare la possibilità di creare una pagina web nella quale ciascun CdS avrà un accesso riservato e consentire di eseguire linserimento della propria SR nonchè curare gli aggiornamenti dei dati. Può essere prevista la possibilità di annotare le ispezioni ricevute, i risultati delle ispezioni (verbale dell’ispezione) con le osservazioni dell’UdM, le risposte del CdS, gli eventuali riscontri del MinSal ? Non solo tale possibilità è stata valutata, ma il MinSal si sta già adoperando per rendere attiva ed operativa tale piattaforma nel minor tempo possibile. Chiaramente tale piattaforma agevolerà l'aggiornamento dati ad opera dei CdS, migliorerà l’interfaccia tra CdS e MinSal, e velocizzerà le procedure di comunicazione, consentendo la consultazione simultanea della documentazione da parte dei diversi attori in gioco per la certificazione BPL (CdS, Unità di Monitoraggio BPL, Ispettori). In quale modo il MinSal (Uff.VI) assicura la riservatezza delle informazioni commerciali come precisato dall’art.6 Riservatezza del D.Lvo 50 del 2 marzo 2007? Il passaggio dall'invio della documentazione cartacea all'invio del file elettronico assicura di per se stesso un maggior livello di sicurezza delle informazioni trasmesse. Infatti il file, inviato tramite PEC, arriva direttamente al personale del Ministero, evitando così procedure di controllo e scansione della documentazione cartacea in ingresso al Ministero e, in generale, l'accesso alla documentazione da parte di personale esterno al sistema. Per i CdS le informazioni da tenere più critiche riguardo la riservatezza sono: Nome sponsor; Nome sostanza oggetto dello studio; Tipologia di studio (conseguentemente, nella maggior parte dei casi, titolo dello studio); Informazioni sulla sperimentazione animale. In riferimento al comma 3 dell’Art.2 del D.Lvo 50, che cosa s’intende per: 1.“variazioni significative relative ai dati forniti nella comunicazione di cui al comma 1” ( SR)? Si possono avere degli esempi ? 2.“informano tempestivamente”? Si può “quantificare” ? (Continua a pagina 21) Anno IX numero 47 Pagina 21 (Continua da pagina 20) 1. Non esiste una regola generale per classificare come significativa, o non significativa, una variazione in un CdS, basti pensare che anche la stessa identica variazione può avere un impatto diverso se consideriamo due CdS con diverse caratteristiche organizzative e strutturali. E’ necessaria, quindi, una valutazione soggettiva da parte del CdS, tenuto a valutare l’impatto della variazione sul proprio sistema BPL. In sede di ispezione, nel caso in cui gli ispettori non fossero d’accordo sulla valutazione della variazione non sono previste sanzioni, ma, stabilito che la variazione ha impatto sul sistema BPL, si discuterà in merito alle eventuali deviazioni dai principi BPL che l’ispettore dovesse contestare. 2. Informare tempestivamente significa comunicare le variazioni significative quando si verificano. Non devono essere autorizzate preventivamente dal MinSal, ma il CdS è tenuto ad avvertire il MinSal, una volta che ha implementato tale cambiamento, ad attività svolta e completata. NB: qualora il CdS decidesse di comunicare anche preventivamente una futura variazione, è libero di farlo. E’ ragionevole distinguere tra variazione “non significativa” e “significativa” ? È ragionevole distinguere, in riferimento all'obbligo di comunicazione delle variazioni significative riportato nel D. Lvo 50 (vedi anche Q9).NB: questo non impedisce che il CdS possa inviare periodicamente degli aggiornamenti della scheda riassuntiva, anche se si sono verificate solo delle variazioni non significative Quali sono le modalità che il CdS deve utilizzare per comunicare al MinSal (Uff.VI) le variazioni significative relative ai dati forniti ? Le variazioni significative vanno comunicate nel seguente modo: invio del file della SR aggiornata (l’aggiornamento includerà anche la variazione/i oggetto di notifica); descrizione, nella mail di invio della SR aggiornata, della variazione/i implementate; per eventuali chiarimenti relativi alla variazione/i comunicate utilizzare le celle/colonne vuote, a margine delle sezioni di compilazione della SR, per inserire eventuali commenti esplicativi o chiarimenti (ad esempio per una variazione della planimetria limitata ad un solo locale del CdS si può specificare, come commento, qual è il locale oggetto di modifica). N.B.: anche se la causale dell’invio è stata l'implementazione di una singola variazione significativa, alla data dell’invio dovrebbe essere riportata l’immagine del centro attuale, ovvero tutti i dati della scheda riassuntiva dovrebbero preferibilmente essere aggiornati alla data di comunicazione. La notifica di variazione significativa deve essere preventiva? Qual è il preavviso atteso? Deve essere notificata la data prevista di implementazione della variazione? Deve essere notificata la data effettiva di implementazione della variazione? Nonostante la notifica di variazione non debba essere obbligatoriamente trasmessa prima che sia implementata, potrebbero verificarsi casi in cui è importante che la trasmissione preventiva venga fatta, anche per consentire una corretta pianificazione dell’ispezione da parte dell’ UdM (es.: disponibilità di ispettori con esperienza nel settore). La notifica di variazione non deve essere preventiva. La variazione si notifica solo dopo che è stata implementata. La notifica di variazione può essere fatta con preavviso se il CdS lo ritiene opportuno. La notifica preventiva è consigliabile nel caso il CdS preveda un audit del MinSal relazione alla variazione. In tal caso è opportuno comunicare in anticipo anche la tempistica di implementazione della variazione. Ad esempio, se il CdS vuole implementare una nuova tipologia di studio nell’ambito di una diversa macroarea per la quale non è ancora autorizzato, è opportuno indicare, in occasione della notifica preventiva, anche la data prevista di conclusione del primo studio effettuato. Questo onde consentire possa essere programmata un' eventuale ispezione con tempistica adeguata (es.: prima della chiusura dello studio stesso). Se la variazione riguarda la messa a punto di una nuova tipologia di saggio che rientra in una macroarea/ambito (es. studi di biocompatibilità) per la quale il CdS è già certificato, cosa deve fare il CdS? Si può considerare una variazione non significativa? È il CdS stesso che valuta se l’implementazione di una nuova tipologia di saggio in una macro-area per la quale il CdS è già certificato, è da considerare una variazione significativa o non significativa. Su tale considerazione si basa quindi la notifica o meno al MinSal. Se la variazione riguarda la messa a punto di una nuova tipologia di saggio che rientra in una macroarea/ambito (es. studi di biocompatibilità) per la quale il CdS non è certificato, cosa deve fare il CdS ?Si deve considerare una variazione significativa ? Se sì, è sufficiente inviare la scheda riassuntiva aggiornata inserendo come studio effettuato uno studio pilota interno ? In questo caso non si tratta di distinguere tra variazioni significative o non significative, il CdS è obbligato a richiedere al MinSal l’estensione della certificazione alla macro-area per cui non è ancora certificato. Il CdS, tuttavia, non ha bisogno di una autorizzazione preventiva, può partire subito con la nuova attività e può farlo direttamente svolgendo uno studio BPL, non sono necessariamente richiesti studi pilota (E’ presumibile che un CdS che si assume la responsabilità di condurre uno studio sprovvisto di relativa certificazione abbia un livello di esperienza in ambito BPL tale da assicurarne la conformità ai principi considerando anche che lo studio sarà sicuramente oggetto di ispezione). Studio pilota. La prassi dello studio pilota, che si basa sulla verifica a valle dello svolgimento di uno studio e che è utilizzata soprattutto in Italia, non è del tutto pertinente o esaustiva/risolutiva nell’ottica dell’ iter di certificazione, che si basa sulla verifica a valle dello svolgimento di una attività/studio. L’audit ad uno studio pilota non costituisce o garantisce una certificazione effettiva. L’effettiva verifica di conformità ai principi di BPL non può che avvenire sulla base di attività “vera” già eseguita, ovvero sulla base di studi BPL già condotti (studi commissionati da Sponsor interni/esterni), quindi è successiva ad eventuali studi pilota. Questo concetto di base impatta non solo sulla modalità di implementazione delle nuove tipologie di studio ma investe due particolari situazioni critiche: la difficoltà da parte del MinSal ad effettuare un rinnovo della certificazione per un CdS che ha condotto, nell'arco di due anni (un ciclo ispettivo), solo studi pilota; la perdita di una macro-area di certificazione nel caso in cui il CdS, nell’arco di quattro anni (un ciclo ispettivo), non ha condotto alcun studio in BPL nell’ambito della macro-area certificata in precedenza. E’ stato sottolineato che, qualora il CdS fosse di nuovo chiamato a svolgere tipologie di studi che afferiscono alla macro-area in questione, sulla base dell’istruttoria per l’estensione, la pratica di ri-certificazione del MinSal sarà il più possibile agevole e spedita, in particolare: potrà essere effettuata solo una verifica documentale, (audit allo studio BPL condotto); si potrà attendere la visita on site ma, tenendo conto della storia e dell’expertise del CdS, concedere direttamente l’estensione della certificazione. In conclusione, un CdS può/deve prendersi la responsabilità di fare uno studio in BPL e poi, generalmente a seguito di ispezione presso il CdS e/o audit dello studio BPL presso il MinSal, ne sarà valutata la sua conformità ai principi BPL. Dopo la comunicazione di una variazione significativa al MinSal (Uff.VI), Il CdS deve attendere un riscontro ? No, il CdS non deve attendere l’autorizzazione da parte del MinSal, in quanto non è necessaria una autorizzazione preventiva. Il CdS notifica l’ implementazione di una variazione significativa, il MinSal poi verificherà ed eventualmente certificherà. (Continua a pagina 22) Anno IX numero 47 Pagina 22 (Continua da pagina 21) Se il CdS non comunica una variazione ritenendola non significativa ma in sede ispettiva gli ispettori BPL la ritengono significativa (e quindi soggetta a notifica) possono esserci conseguenze per il CdS ? Se si, quali ? Se il CdS sbaglia a classificare una variazione che, in sede ispettiva, il gruppo ispettivo ritiene significativa, quindi impattante per la conformità alla BPL, il gruppo ispettivo procede con l’ispezione per verificare la conformità ai principi BPL delle attività relative a tale variazione. Qualora fosse necessario un ispettore con competenze non comprese tra quelle possedute dal gruppo ispettivo, sarà necessario che l’UdM organizzi una ulteriore visita ispettiva. L’attività viene bloccata solo se si riscontrano gravi non conformità. In definitiva, non vi sono dirette conseguenze per la mancata comunicazione, se non eventuali deviazioni emerse durante la verifica del gruppo ispettivo e annotate come findings nel verbale ispettivo (stesso iter, quindi, di quando si contestano deviazioni relative ad attività già note). Nell’eventualità della comunicazione di una variazione significativa al MinSal (Uff VI) che contempla la necessità di eseguire nuove prove o la ristrutturazione di laboratori o la costruzione di nuovi, il CdS attende il “nulla osta” da parte del MinSal ? Il MinSal può pianificare un’ ispezione per verificare la conformità ai principi di BPL del CdS prima dell’utilizzo dei nuovi laboratori o della esecuzione delle nuove prove ? Il CdS non deve attendere un riscontro da parte del MinSal, può partire con l'esecuzione delle nuove prove o la ristrutturazione dei locali. È tenuto a notificare quanto modificato o implementato, ove consideri che la variazione sia significativa. Sarà poi il MinSal a decidere se verificare la conformità di tali cambiamenti tramite verifica su base documentale, tramite ispezione ad hoc o direttamente nel corso dell’ispezione di rinnovo della certificazione. Quando il CdS effettua una variazione dei dati inseriti nella SR, nella colonna “data validità”, annota la data di quando la variazione sarà effettiva o annota sia la situazione corrente sia quella futura ? La data della validità da inserire nella scheda è quella effettiva di implementazione di quella determinata variazione (la certificazione non è preventiva, l’attività viene prima svolta e poi l’ispettore verifica ed eventualmente certifica). Il CdS può anche indicare una data futura/presunta di validità inserendo anche una nota esplicativa/commento (es.: verrà messa a punto una nuova planimetria), fermo restando che se la data effettiva poi è diversa, occorrerà riaggiornare la SR. Si consiglia di inserire la data prevista quando si presuppone che sarà necessaria un’ispezione del CdS perché in tal modo l’UdM può organizzare a tempo debito l’eventuale ispezione presso il CdS. E’ opportuno inserire la data prevista solo quando si è abbastanza certi della stessa. Comunque tutti gli aggiornamenti relativi ad una variazione significativa in corso fino alla comunicazione della data effettiva della modifica sono ben accetti da parte del MinSal. Per quanto riguarda la variazione relativa ad uno studio di una nuova tipologia (nuova macro-area) per esempio è consigliabile inviare la notifica (SR aggiornata) solo quando si ha un’idea abbastanza certa sulla data di stesura del rapporto finale e/o dell’archiviazione dello studio. Suggerimento da parte di QA. E’ opportuno definire internamente come stabilire la data di validità di una variazione (es.: rilascio da parte del QA di un nuovo laboratorio, post audit ad hoc. La data del rilascio sarà la data effettiva, ovvero quella a partire dalla quale si può dare il via alle attività BPL nel nuovo laboratorio). Come identificare le variazioni significative nella SR? Esempio. Una variazione significativa consiste solo nella modifica di un locale, questo comporta che la data di validità sarà aggiornata per tutte le planimetrie del centro di saggio. Come saranno identificate le modifiche in occasione della successiva ispezione di routine? Per identificare e spiegare, all’interno della SR, le variazioni significative implementate, tenere presente che le celle vuote, a lato delle sezioni di compilazione della SR, possono essere utilizzate per inserire dei commenti esplicativi alle variazioni (es: variazioni della planimetria, dovute alla modifica di un locale del CdS. L’identificazione del locale modificato potrebbe essere precisata come “nota” nelle colonne/celle vuote). Si valuti la possibilità che nel modulo della SCR siano previste le principali norme di legge che richiedono l’esecuzione delle varie tipologie di saggio in accordo ai principi di BPL. Il CdS, quando necessario, potrà aggiungere altre norme di legge di Enti Pubblici che richiedono l’esecuzione di specifiche prove in accordo ai principi BPL. Tale possibilità viene esclusa perché, considerando il divenire delle norme e le particolarità delle esigenze regolatorie, servirebbe un continuo monitoraggio da parte del MinSal nei vari settori di applicazione della BPL. Eventualmente potrà essere valutata la condivisione di una lista di riferimento che, pur non esaustiva, potrà coprire buona parte delle casistiche. Viene infine fatta ulteriormente chiarezza sulla motivazione per cui alla voce norme di riferimento nella SR non può essere indicato il D. Lvo 50 o le linee guida OCSE. Tale campo è stato predisposto, infatti, esclusivamente per l’indicazione della normativa a monte che richiede l’esecuzione di uno studio in accordo ai principi di BPL. Infatti il presupposto fondamentale per l’esecuzione di uno studio BPL è la presenza di una autorità regolatoria ricevente che richieda espressamente che lo studio sia effettuato in BPL. Riga 39 della scheda riassuntiva. Cosa si intende per schema logico/descrizione del sistema informatico e della rete dati utilizzati per attività BPL? Basta inserire lo schema della rete oppure deve essere inserito anche lo schema relativo ai sistemi computerizzati? Se sì, per tutti i sistemi computerizzati o solo per quelli principali? L'informazione che deve essere fornita è l'illustrazione di tutto il flusso logico del dato BPL, dalla sua generazione all’archiviazione digitale. Il livello di dettaglio dipende dalle caratteristiche del CdS (ad esempio se è in vigore ancora un sistema ibrido, o se si richiede la certificazione per l'archiviazione digitale). Per i CdS che utilizzano archiviazione digitale sicuramente in sede di verifica ispettiva sarà presente anche un ispettore esperto in campo informatico. Da considerare in tale ambito l’evoluzione tecnologica in quanto deve essere assicurata la tracciabilità dei dati dello studio per oltre 10 anni. E’ sconsigliato l’utilizzo di formati proprietari, da preferire formati internazionali, aperti. NB: se il CdS utilizza solo dati cartacei questo punto della SR non deve essere compilato. I diversi sistemi in commercio per i computer (Mac, Microsoft) e le diverse versioni dei programmi disponibili (ad esempio di Windows Office) rendono talvolta non del tutto gestibile la nuova SR. È possibile realizzarne una versione più flessibile che tenga conto di tali differenze o diverse versioni a seconda delle necessità ? Chi utilizza sistemi non compatibili o comunque riscontra delle difficoltà è opportuno contatti il MinSal per concordare come procedere. SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO “Nuove frontiere nella bioanalitica e laboratorio clinico” Pomezia. 3 febbraio 2015 Anno IX numero 47 Pagina 23 GLP Sul sito OCSE è stato pubblicato per commenti il documento OECD Draft Advisory Document 16, The Application of GLP Principles to Computerised Systems. La scadenza per l’invio di commenti era il 14 Novembre 2014. Il Gruppo BPL/GLP del GIQAR ha analizzato il documento, ed i commenti sono stati inoltrati ad OCSE. Solo la prima pagina del documento è qui riportata a titolo esemplificativo, mentre la copia completa del documento commentato è disponibile sul sito SSFA. M. Mercede Brunetti PROSSIMI APPUNTAMENTI Gruppo di Lavoro BIAS Milano, 20 marzo 2015 Milano, 22 maggio 2015 Data visualization in clinical research Corso SAS per data manager Informazioni, programma e scheda iscrizione disponibili sul sito Anno IX numero 47 Pagina 24 FDA 2014 approvals outpace those of 2013 The FDA offered up an early retrospective of the 2014 year approvals. “Our Center for Drug Evaluation and Research (CDER) has so far approved 35 novel drugs in 2014 compared to 27 in 2013,” FDA commissioner Margaret Hamburg wrote on the agency's FDA Voice blog. The approval pattern for the year shakes out as follows: 15 of this year's approved new molecular entities were for orphan drugs, the highest number since the Orphan Drug Act passed in 1983. The FDA approved almost 75% of novel drugs after one review cycle. 57% of the approved drugs had Priority Review tags, speeding up the approval process. 37% of novel drugs were on the Fast Track review route. Although drugmakers flooded the agency with Breakthrough Therapy designation requests for cancer medications, followed by hematology and neurology drugs, the labels granted were a bit of an inverse, with hematology scoring more of these designations than oncology. Neurology, which comprised 11% of breakthrough requests, tied with oncology, accounting for 21% of granted breakthrough designations. The agency noted that the numbers of Breakthrough Therapy designation requests “have exceeded expectations,” and that the 2012 Food and Drug Administration Safety Innovation Act, which created the expedited review process did so without increasing resources. The regulator noted in the 2014 summary that it is trying to keep pace with the accelerated review that accompanies these designations with a minimum impact on other programs. Lack of additional resources were not among the reasons the regulator cited for rejecting breakthrough status requests. Instead, the FDA cited more back-end reasons, including a lack of clinical trial data, information that is “too preliminary to be considered reliable,” and a failure to show that the drug being contemplated provides a “substantial” improvement over what is already on the market. The agency noted it clocked a shorter median approval time for expedited drugs, at 6.5 months in 2014 compared to 7.9 months in 2013. This reflects more of a yo-yo, than part of a continuous downward trend: the most recent low was 5.8 months in 2011, which was a significant drop from the median 9 months it took priority drugs to clear the agency four years ago. What's missing in these numbers is some of the drama behind them. Janssen's chronic lymphocytic leukemia and mantle cell lymphoma drug Imbruvica, for example, seemed to have the spotlight for a very brief period, only to have AbbVie announce last week that it may be ready to file a competitor in the leukemia space next year. Similarly, Roche landed an approval for its breakthrough drug Esbriet (pirfenidone), for idiopathic pulmonary fibrosis the very same day the FDA approved Boehringer Ingelheim's breakthrough IPF drugOfev (ninedanib), ratcheting up the tension in the first-to-market race. This echoes the short-lived stardom of Merck's Keytruda (pembrolizumab), which made history for being US's first-in -class approved PD-1 inhibitor with a melanoma indication, only to be chased by Bristol-Myers Squibb's Opdivo (nivolumab) which is seeking a melanoma indication. These two drugs are also poised to compete in other indications, such as Hodgkin's lymphoma, for which drugmakers revealed Phase I data. A cura di Domenico Criscuolo END-TO-END GUARANTEE GUARANTEED FIXED PRICE BUDGET TIME, COST & QUALITY GUARANTEED GUARANTEED ENROLMENT & TIMELINES North American Headquarters: Cambridge, MA - USA European Headquarters: Verona - Italy Phone +1 617 871 1128 Phone +39 045 8222811 e-mail us at: [email protected] Anno IX numero 47 Pagina 25 Riportiamo un’interessante presa di posizione in favore degli studi clinici a più gruppi paralleli. More multiarm randomised trials of superiority are needed The Lancet Well-designed and well-conducted randomised controlled trials (RCTs) are the most reliable way to identify safe, superior treatments. Many bureaucratic and practical challenges face today's RCTs, increasing the time and cost required. A key problem is the relatively small number of superiority trials (25—50%) that report success—ie, that the new treatment is better than the control. However, the research community persists with the traditional two-arm design as the key way in which to measure superiority; of superiority RCTs registered between January, 2010 and July, 2012, around 80% had only two groups. We argue for a cultural shift to multiarm, phase 3 superiority RCTs. Why are two-arm trials so popular? Two-arm trials are reassuringly familiar and relatively simple in design, operation, and analysis. We have heard it said that clinicians might feel less comfortable explaining multiarm trials, and that patients might struggle to understand them. Such arguments do not convince. Instead, two-arm trials force investigators to make a series of decisions that often transpire to be incorrect—eg, about what treatment, dose, or duration to assess. Compellingly, increasing the number of research arms increases the probability within one trial of reliably showing that at least one new treatment is superior to control, even allowing for the inevitable correlation between comparisons. With the assumption that the underlying probability that a trial reports that an individual research arm is superior to the present standard of care is 50%,the probability of at least one success increases rapidly as the number of groups increases, reaching 83% with five independent research arms and a common control, and an encouraging 75% with three arms. Although higher correlations can arise (eg, when the treatment arms are assessing different durations or doses of the same drugs), the advantage persists. The multiarm trial allows more treatments to be assessed than would ever be done in a series of two-arm trials (since after one two-arm trial, other newer treatments will often take precedence). The multiarm design is therefore simpler, quicker, and cheaper. We estimate that the cost of assessing a treatment in a multiarm trial is around half that of undertaking a two-arm trial separately, even allowing for the increase in sample size in the multiarm trial. Finally, and importantly for patients and policy makers, the multiarm trial produces contemporaneous results for all research treatments. Many two-arm trials struggle to recruit to time and target, so why consider adding more research arms? Counterintuitively, our multiarm trials have recruited much faster than comparable two-arm trials, at a rate that more than compensates for the increase in arms. Thus, they have recruited and completed in a similar timescale to one two-arm trial. We see no reason why our experience in oncology should not apply to many other diseases. This experience suggests that patients and clinicians are very supportive of multiarm trials and, in fact, when we discuss these trials with patients their response is often “why don't you do all your trials this way?” Many multiarm trials have been approved by ethics committees, regulatory bodies, and funders. Inevitably a multiarm trial will have a number of primary comparisons; these issues can be addressed appropriately in a prospective manner. Factorial designs exemplify one potentially efficient way to answer more than one question in a trial. However, because their key assumption is that there is no or little interaction between the research treatments they are not always appropriate. The Multi-Arm Multi-Stage (MAMS) design is another design that allows many treatment approaches to be assessed simultaneously. A clear practical benefit of this design is the adaptive focusing of recruitment away from insufficiently active treatments with use of so-called lack-of-sufficient-activity analyses, preferably on an early, intermediate outcome measure—the multistage element of the design. Our STAMPEDE trial in prostate cancer shows the benefits of multiarm trials in the public sector, especially if the opportunity is taken to choose research treatments that are as different from each other as possible. STAMPEDE has dropped and added arms, so the trial will assess eight research treatments in 15 years; sequential evaluation would have taken about 40 years. Industry should consider use of multiarm randomised phase 3 trials to assess alternative treatment schedules because it is unrealistic to expect early phase studies to resolve key uncertainties in dose and, particularly, duration. Academic pressures (mainly in the form of authorship but also in the form of the activities required of the chief investigator) can be addressed in multiarm trials by assigning a lead investigator to each research arm. To continue to command support of patients and clinicians, trials need to maintain creative focus on identification of ways to improve patient outcomes as reliably and swiftly as possible. From this perspective, multiarm trials are the natural way forward; two-arm studies should be the exception, not the rule. We urge clinicians to argue for multiarm trials in their setting. Anno IX numero 47 Pagina 26 Nel nostro editoriale abbiamo affermato che si parla molto poco di farmaci utilizzati durante la gravidanza: ancora meno di farmaci usati durante l’allattamento, e durante il periodo fertile della vita di donne ed uomini. Ecco un interessante editoriale di The Lancet che riporta un’ottima iniziativa della FDA. Drug labelling and pregnancy The Lancet According to the US Food and Drug Administration (FDA), more than 6 million pregnancies occur in the USA every year, with women taking between three and five prescription drugs during pregnancy. In 1979, the FDA introduced a classification system to inform physicians and patients about the potential risks of drug use during pregnancy, ranging from A (no evidence of harm based on data from both animal and human studies) through to D (definite risk based on data from human research, but also potential benefits for use in pregnancy). Category X is used for drugs with definite contraindication and harm if used during pregnancy. The announcement on Dec 3 from the FDA of a final rule to replace the current classification with a new system, to be implemented on May 30, 2015, has been welcomed by US physicians, not least because an absence of research data has often led to prescription drugs being categorised within the current system as C—”risk not ruled out”—leading to uncertainty about a drug's safety or harm if used during pregnancy. The new system contains three subsections in the labelling entitled “Pregnancy”, “Lactation”, and “Females and Males of Reproductive Potential”; it will include a discussion of the data supporting an overall safety summary, and any other relevant information to help health-care providers and their patients make better-informed choices. Crucially, a consultation process with industry is underway to ensure that drug companies are aware and able to provide the new level of information that will be required before the final rule is implemented. Although any new system to improve clinical decision making and to enhance communication with patients is to be welcomed, the system can only be as good as the information it is made up of. To this end, industry and the FDA have a crucial role in ensuring that any vagaries of the old system are replaced with a new and transparent system that leads to a comprehensive analysis of all drugs' effects on pregnant women and their unborn children. Prescribing antibiotics: a battle of resistance The Lancet There is no single solution to the rapidly progressing problem of antibacterial resistance. Although various strategies are being implemented worldwide, between 2000 and 2010 consumption of antibiotics increased by 36%. Discovery of new antibiotics is a necessary but not sufficient solution because of the high cost and lengthy timelines. Thus, action to control prescription practices should be a key feature of intervention strategies. In 1998, the UK Department of Health reported that 80% of antimicrobial prescriptions for patients took place in the community and so recommended cessation of prescriptions for simple coughs and colds. In 2010, the Health Protection Agency (now Public Health England) expanded this guidance in a report detailing which antibiotics should be prescribed by doctors per condition and when. Prescription for acute respiratory infections, such as sore throat, was to be avoided. Unfortunately, data published earlier this month for 3·8 million patients in 537 general practices in the UK showed that the proportion of patients prescribed antibiotics for coughs and colds had risen from 35·5% in 1995 to 50·8% in 2011. But it is possible to change prescribing practice: in 2001, France started a national campaign to reduce use of antibiotics and by 2007 prescriptions had decreased by 26%. The benefits of sharing experience between policy makers and countries is considerable. Inappropriate prescription is a greater problem in countries undergoing rapid economic expansion. In Bangladesh, China, and Thailand antibiotics are repeatedly indicated for self-limiting diarrhoeal infections and in India for viral dengue fever. In such countries where antibiotics were previously inaccessible and unaffordable, over-the-counter and incentive-driven prescriptions have elevated antibiotic consumption. In low-income countries, antibiotics are given as a substitute for provision of clean water and safe waste disposal. Surveillance of antibiotic resistance and consumption is globally weak or non-existent. However, before bacteria win the battle and currently treatable infections become fatal, prescribers, patients, policy makers, and governments need to take responsibility to ensure that antibiotics are used far more rationally. Anno IX numero 47 Pagina 27 Riportiamo un editoriale molto critico sulla sperimentazione animale: cosa ne pensano i nostri soci che se ne occupano? How predictive and productive is animal research? British Medical Journal It’s more than 20 years since Doug Altman wrote his scorching editorial in The BMJ on “the scandal of medical research”. Earlier this year The BMJ’s former editor Richard Smith summarised why the same editorial could be published today with little change, referencing the recent Lancet series on waste in medical research and John Ioannidis’s PLoS Medicine article entitled, “Why most published research findings are false.” The medical literature remains beset with academic and commercial biases caused by overinterpretation of small, poorly designed, and badly implemented studies, many of them erroneously or selectively reported or not reported at all. The result is an evidence base that systematically exaggerates the benefits and underplays the harms of treatments. But as if this were not enough, an even more fundamental problem casts doubt on the validity of clinical research: the poor quality of the animal research on which much of it is based. Ten years ago in The BMJ Pandora Pound and colleagues asked, “Where is the evidence that animal research benefits humans?” Their conclusions were not encouraging. Much animal research into potential treatments for humans was wasted, they said, because it was poorly conducted and not evaluated through systematic reviews. Since then, as Pound and Michael Bracken explain this week, the number of systematic reviews of animal studies has increased substantially, but this has served only to highlight the poor quality of much preclinical animal research. The same threats to internal and external validity that beset clinical research are found in abundance in animal studies: lack of randomisation, blinding, and allocation concealment; selective analysis; and reporting and publication bias. The result, said Ioannidis in 2012, is that it is “nearly impossible to rely on most animal data to predict whether or not an intervention will have a favourable clinical benefit-risk ratio in human subjects.” Such wastage is as unethical in animal as in human research. Poorly done preclinical research may lead to expensive but fruitless clinical trials exposing participants to harmful drugs. And of course there is the unnecessary suffering of the animals involved in research that brings no benefit. What to do about it? Better conduct and reporting of animal research will help, say Pound and Bracken. This could come from better training and education of basic researchers and from a cultural change fuelled by greater scrutiny and public accountability. But how much would this really improve the rate of successful translation from animals to humans? Not much, it seems. Even if the research were conducted faultlessly, argue the authors, our ability to predict human responses from animal models will be limited by interspecies differences in molecular and metabolic pathways. Qual è la miglior cura? La vita pone domande. Noi cerchiamo le risposte. L’innovazione è la nostra risposta alle continue sfide della salute. Lavoriamo ogni giorno per salvare le vite dei pazienti e per aiutare milioni di persone in tutto il mondo. SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO “Anziani e metodologia degli studi clinici” a cura del Gruppo di Lavoro Medicina Farmaceutica Roma, 26 marzo 2015 Anno IX numero 47 Pagina 28 SSFAoggi ha sempre sottolineato che la qualità degli studi clinici rappresenta non solo un obbligo di legge, ma è ancor più un dovere morale. Accogliamo quindi con grande plauso l’iniziativa illustrata in queste pagine. Per dovere di informazione, dobbiamo citare che altre organizzazioni si stanno muovendo sullo stesso terreno: ad esempio, AIOM ha attivato un progetto analogo, per la certificazione dei centri di oncologia. Progetto di “Certificazione della qualità per le attività di sperimentazioni cliniche dei medicinali condotte dai centri clinici” Come è noto le norme di Buona Pratica Clinica (GCP) attribuiscono massima importanza agli aspetti della qualità nelle modalità di conduzione delle sperimentazioni da parte dello sperimentatore ed attribuiscono allo sponsor la responsabilità di adottare sistemi di QA e CQ. L’adozione di tali sistemi, per essere pienamente efficace, non può essere limitata alle attività dello sponsor, ma deve essere inserita nel centro sperimentale. Un sito clinico che possa garantire autonomamente il possesso di una serie di requisiti specifici per le sperimentazioni, non solo scientifici e strumentali, ma anche strutturali, organizzativi, di formazione nella GCP e di QA e QC, può essere considerato un Centro Sperimentale di Eccellenza; la certificazione di tali requisiti, da parte di esperti del settore di una struttura terza, potrebbe fornire agli sponsor un plusvalore nella selezione dei centri sperimentali. Al momento possiamo individuare due principali tipologie di certificazioni di potenziale interesse per le sperimentazioni dei medicinali: una di carattere generico nel settore sanitario/assistenziale (es.: ISO 9001:2008, Joint Commission International - JCI) ed una circoscritta a specifici aspetti delle sperimentazioni (es. ECRIN, TransCelerate JCI-HSRP). Non vi è invece la previsione di una certificazione di qualità mirata alla globalità dei compiti dei centri sperimentali, pur esistendo vari documenti internazionali, tra cui quelli di EMA (1,2) e nazionali (3,4,5). La garanzia della qualità dei centri sperimentali è peraltro alla base della loro idoneità alla sperimentazione prevista dal D.L.vo 211/2003 (art. 6) e dal Regolamento UE n. 536/2014 (art. 50) di prossima applicazione, che dispone anche (Appendice 1, punto 67) che il direttore del centro presenti una dichiarazione scritta e debitamente giustificata, relativa alla suddetta idoneità, con relativa descrizione delle strutture, delle attrezzature, delle risorse umane e delle competenze e con riferimento alla tipologia di sperimentazione da avviare. In tale contesto lo scrivente, operando nel programma “Promozione delle GCP” dell’Istituto di Ricerca delle Nazioni Unite - UNICRI, è stato promotore, insieme al dott. P. Primiero (Assomonitor) di un progetto per una“Certificazione della qualità per le attività di sperimentazioni cliniche dei medicinali condotte dai centri clinici” (Certificazione di Centri di Eccellenza per le Sperimentazioni CCESp) con i seguenti obiettivi: a) istituire una certificazione, non di carattere sanitario generico, ma strettamente specifica, per la qualità dei siti di sperimentazioni cliniche dei medicinali, che possa garantire, anche senza il sistematico supporto del promotore della sperimentazione (che ovviamente mantiene le sue responsabilità), alti livelli di conformità ai principi etici e di qualità della GCP e quindi di affidabilità e credibilità dei risultati; b) facilitare la conformità alle disposizioni del Regolamento UE sulla idoneità dei centri. In qualità di promotori del progetto, abbiamo proposto ad un organismo di certificazione di terza parte di approfondire tale possibilità ed abbiamo predisposto un documento con una serie di requisiti tecnici specifici per la qualità dei centri di sperimentazione, unificando, armonizzando ed integrando tra loro i vari orientamenti che AIFA ha pubblicato negli ultimi anni nel proprio sito (3,4,5) e diffuso in convegni e corsi su tale tematica. L’utilizzo di tale documentazione di AIFA, che ha come base anche linee guida internazionali (v. ad es., 1 e 2), è stato autorizzato dalla stessa AIFA, ritenendo che tale iniziativa possa contribuire a diffondere una cultura della qualità non generica, ma specificamente orientata ai centri di sperimentazione; il documento unificato che ne è risultato è stato oggetto di approfondimento e di revisione nell’ambito di un gruppo di lavoro di esperti nel settore (6). Ovviamente tale certificazione, così come quelle ISO e JCI, ottenute da varie strutture sanitarie, non implica che i centri certificati siano da ritenersi in qualche modo accreditati da AIFA. Il documento, ormai nella sua versione definitiva, si basa su una descrizione delle finalità e motivazioni del progetto e su 6 appendici tecniche, tra cui una sui requisiti dei centri (differenziando i requisiti per le sperimentazioni ad alto rischio dalle altre); una sui requisiti specifici per la qualità (differenziando, ove applicabile, i requisiti tecnici necessari in relazione alla tipologia delle sperimentazioni: es. Fase I o successive, oppure BE/BA; descrivendo i compiti del QA del centro e la documentazione di qualità necessaria); una con la lista delle SOP per le diverse tipologie di attività; una con indicazioni per la formazione in GCP dello staff sperimentale. La CCESp pertanto può essere richiesta per singole o per più tipologie di sperimentazioni, sia per quanto riguarda le Fasi, sia per tipologia di soggetti (volontari sani, pazienti, pazienti ad alto rischio), sia per finalità (profit , no profit), sia per ambiente di trattamento (ricovero, ambulatoriali, day hospital). I centri che, su base del tutto volontaria, vorranno ottenere e mantenere la CCESp, dovranno dichiarare e dimostrare il possesso dei requisiti previsti (strutture, personale, organizzazione e sistemi di QA e CQ), come analiticamente dettagliato nel documento, nonché la loro applicazione nel funzionamento del centro e nella conduzione delle sperimentazioni che dovranno risultare senza (Continua a pagina 29) Anno IX numero 47 deviazioni critiche alla GCP. La CCESp potrà riguardare un “centro clinico” che conduce direttamente le attività di sperimentazione (es. unità operativa semplice o complessa) oppure un “centro trasversale di servizio per le sperimentazioni” (es. ufficio ricerche cliniche); in questo Pagina 29 secondo caso la certificazione sarà collegata con uno o più centri clinici nei quali si garantisce la conduzione di sperimentazioni in conformità ai requisiti previsti. La verifica ai fini della CCESp sarà condotta da auditor GCP con i requisiti di cui al D.M. 15 novembre 2011 o equivalenti. aziendali e degli sperimentatori a voler rendere i propri centri conformi ai requisiti di eccellenza previsti. Umberto Filibeck A questo stadio dei lavori, l’operatività dell’iniziativa dipenderà dalle applicabilità / praticabilità delle norme sulle certificazioni e il successo del progetto dipenderà dalla sensibilità dei vertici sanitari Umberto Filibeck È stato direttore dell'ispettorato GCP di AIFA, ispettore senior GCP per l'Italia e per EMA, membro del gruppo ispettori GCP EMA (2000-2011); ha redatto le norme sulle sperimentazioni dei farmaci (1997-2008). Attualmente nella lista esperti EMA, consulente per la GCP nei Paesi in via di sviluppo nell'ambito di UNICRI, istituto di ricerca delle Nazioni Unite, e docente a contratto di Scienze Regolatorie e Qualità sulle Sperimentazioni Cliniche al corso di laurea in farmacia (Tor Vergata). Bibliografia 1. EMA - Guideline on strategies to identify and mitigate risks for first-in-human clinical trials with investigational medicinal products (CHMP/SWP/28367/2007) http:// www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_library/Scientific_guideline/2009/09/WC500002988.pdf 2. Annex I to procedure for conducting GCP inspections requested by the EMA: investigator site http://ec.europa.eu/health/files/eudralex/vol10/chap4/ annex_i_to_guidance_for_the_conduct_of_gcp_inspections_-_investigator_site_en.pdf 3. AIFA: Requisiti minimi per la partecipazione al “progetto AIFA per la qualità nelle sperimentazioni a fini non industriali (no-profit)” http://www.agenziafarmaco.gov.it/allegati/requisiti_minimi_080109.pdf 4. AIFA: Possibili caratteristiche operative per garantire la qualità dei centri e delle sperimentazioni di Fase I nel rispetto della GCP secondo le linee guida e gli orientamenti regolatori internazionali e nazionali – A. Del Vecchio, F. Galliccia, U. Filibeck http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/possibili_caratteristiche__fase_i_12_04_2011.pdf 5. AIFA: Possibili caratteristiche operative per garantire la qualità dei centri e delle sperimentazioni di bioequivalenza e/o biodisponibilità (BE/BA) nel rispetto della GCP secondo le linee guida e gli orientamenti regolatori internazionali e nazionali - A. Del Vecchio, F. Galliccia, U. Filibeck http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/possibili_caratteristiche_be_ba_12_04_2011.pdf 6. GdL di revisione del documento ( nominativi di quanti finora ne hanno autorizzato la menzione): L. Borgia; S. Caroli; U. Filibeck; M. Iodice ; A. Mancino; D. Marcozzi; L. Mc Mahon ; G. Minotti; C. Piazza; P. Primiero; E.M. Proli; M. Vignetti. Anno IX numero 47 Pagina 30 I biosimilari e l’impiego nella pratica clinica: l’Italia deve agire? Il 20 ottobre 2014 si è svolto, presso il Ministero della Salute, un convegno sui farmaci biosimilari, organizzato da Assobiotec: ho partecipato per conto di SSFA e ne riporto alcuni elementi interessanti. Il convegno, organizzato in forma di tavola rotonda, ha visto la partecipazione di circa trenta persone tra relatori e partecipanti. Nell’ introduzione, la dr.ssa Marcella Marletta (Ministero della Salute) ha fornito dati aggiornati sull’impiego dei farmaci, sui costi e sulle previsioni future sottolineando le situazioni di criticità che interessano soprattutto i farmaci biologici ed i biosimilari, in termini di sostenibilità per il SSN, di sicurezza per i pazienti, di appropriatezza di prescrizione, nel contesto delle posizioni di EMA e di AIFA, considerando anche, specificatamente per l’Italia, le diverse posizioni di regioni, pazienti e prescrittori. Nel 2012, la spesa per i farmaci biotecnologici è stata di 3,5 miliardi di euro, pari al 12,5% della spesa farmaceutica complessiva a carico del SSN. Il tasso di crescita annuale della spesa per questi farmaci, dal 2009 al 2012, è stato del 6,4% e la tendenza rimane in aumento. Nei prossimi anni almeno 48 farmaci su 100 saranno biologici e la percentuale prescrittiva di questi farmaci potrebbe superare ampiamente quella dei farmaci destinati alle cure primarie, passando addirittura al 70 % contro il 30 % di oggi. Interessanti sono i dati emersi dai risultati di un sondaggio, svolto recentemente in Europa, dall’Alliance for Safe Biological Medicines (ASBM). ASBM è un’organizzazione composta da diversi operatori del settore della salute e comprendente medici, società di biotecnologie che sviluppano farmaci innovativi e farmaci biosimilari, ed altri che operano per garantire la sicurezza dei pazienti, ed è all’avanguardia dell’attenzione nel campo dei biosimilari. L’indagine, condotta nel terzo trimestre 2013, su 470 medici europei (selezionati da circa 1000 che hanno risposto all’invito a partecipare, inviato a 4324 professionisti in Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, attraverso un questionario, somministrato via web), si proponeva di: x esaminare l’attitudine dei medici europei nei confronti delle conoscenze, delle denominazioni e della utilizzazione dei farmaci biosimilari, x stabilire le conoscenze dei medici, le fonti di informazione e le necessità di una formazione futura sui biosimilari, fornire dati utili per definire una linea di condotta per lo sviluppo, a livello europeo e nazionale, di informazioni e raccomandazioni sui biosimilari. I risultati sono stati presentati dal direttore esecutivo di ASBM, dr. Michael Reilly, che li ha riassunti così: x Il 53% dei medici consultati ha ritenuto, erroneamente, che un identico “non-proprietary name” implichi un’identica struttura , mentre il 15% dimostrava di non conoscere la questione, e ciò può essere dovuto a confusione o scarsa comprensione della materia; x il 61% ha risposto che farmaci con INN (International Nonproprietary Name – DCI = Denominazione Comune Internazionale) sono approvati per le stesse indicazioni del farmaco originale, mentre ciò può non essere vero: infatti, i farmaci biosimilari, a differenza dei farmaci equivalenti , hanno strutture differenti, possono avere un diverso profilo terapeutico e possono non essere autorizzati per le stesse indicazioni approvate dal prodotto originale. Anche qui il 9% non sa rispondere alla domanda; x il 17% dei medici registra soltanto l’INN/il nome generico del prodotto biologico, quando riporta un evento avverso, mentre il 27% non riporta mai il numero di lotto in presenza di un evento avverso ed il 33% riporta ciò solo occasionalmente. x il 25% ha risposto che registra abitualmente, nella cartella clinica del paziente, soltanto l’INN del prodotto biologico usato, x l’86% dei medici utilizza la sche- da tecnica/il foglietto illustrativo per avere informazioni sul prodotto e di essi la metà (43%) agisce sempre così, mentre l’altra metà (43%) solo qualche volta. Il 19% dei medici afferma di utilizzare sempre l’EPAR (European Public Assessment Report) per conoscere i dettagli del farmaco che prescrive e per monitorarne gli effetti; x il 70% dei medici considera co- me punto critico o molto importante, il potere avere l’autorità di decidere, insieme al paziente, quale sia il farmaco biologico più opportuno da prescrivere. I medici italiani hanno una buona conoscenza dei farmaci biologici e dei biosimilari, migliore rispetto ai colleghi degli altri Paesi dove l’indagine è stata effettuata: tuttavia è anche emerso che resta ancora una forte necessità di un’ulteriore formazione ed informazione su tali prodotti. Infatti solo il 26 % dei medici italiani ritiene di avere una buona familiarità con i biosimilari , mentre il 17 % non ha saputo dare una definizione dei biosimilari o non ha mai avuto notizia di essi in precedenza. Un aspetto cruciale della presentazione è consistito nel precisare che la chiarezza della denominazione dei farmaci biologici è determinante, perchè, per la loro estrema complessità, anche una piccolissima differenza strutturale tra il prodotto originale e la sua “copia” può avere un’influenza significativa sul paziente ivi incluse reazioni avverse, come risposte immuni non attese. Poiché, tuttora, il 25% dei medici riporta soltanto l’INN, ciò può comportare false attribuzioni di tali effetti, e può anche causare un errore del farmacista nella dispensazione del farmaco. E’ opinione del dr. Reilly che la pratica prescrittiva dei medici europei necessiti di una protezione aggiuntiva di nomi distinguibili per assicurare una chiara prescrizione ed un accurato monitoraggio; ciò com(Continua a pagina 31) Anno IX numero 47 (Continua da pagina 30) porterà una sicura identificazione del prodotto da parte dei medici e dei farmacisti e darà un aiuto anche alle autorità regolatorie per tracciare in modo preciso il percorso di questi farmaci, per capirne meglio l’effetto e per promuovere la responsabilità dei produttori. Pagina 31 no Aceti (Cittadinanzattiva), sottolineando la necessità di garantire l’appropriatezza clinica, prima dell’appropriatezza economica, e sostenendo che non è accettabile una linea di comportamento differente da regione a regione; un breve dibattito ha consentito ulteriori chiarimenti, soprattutto sulla possibile interscambiabilità dei farmaci da pre- Il dr. Riccardo Palmisano e la dr.ssa Marcella Marletta A tale presentazione hanno fatto seguito diversi interventi di esponenti di società scientifiche (Società Italiana di Nefrologia – SIN; Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse – SIDeMaST; Società Italiana di Farmacia Ospedaliera – SIFO), di istituzioni (AIFA, Ministero della Salute, ISS), dell’industria (Assobiotec) e dei cittadini (Cittadinanzattiva) e, ognuno dal proprio punto di vista, ha commentato i dati presentati: il dr. Gaspare Guglielmi (SIFO), illustrando l’esempio della gestione pugliese e precisando l’orientamento della società all’impiego dei biosimilari; il dr. Sergio Chimenti (SIDeMaST), approfondendo la situazione dei pazienti affetti da psoriasi (circa 2 milioni in Italia) che, per il 10% , si giovano dei farmaci biologici; il dr. Toni- scrivere, tenendo conto anche del tipo di paziente se nuovo o già in trattamento, se in terapia cronica o in terapia acuta, ed ha ribadito la necessità di rivalutare le varie posizioni per trovare una comune e chiara linea di condotta. Sono intervenuti anche il dr. Francesco di Marco (Assobiotec), che ha riferito la visione dell’industria ed ha voluto sottolineare le reali differenze tra farmaci equivalenti e farmaci biosimilari osservando anche le diverse attitudini di EMA e di AIFA nel regolamentare l’uso dei biosimilari; il dr. Corrado Pini (ISS), la dr.ssa Simo Montilla (AIFA) e la dr.ssa Lorella Lombardozzi (regione Lazio), per illustrare il punto di vista delle i diverse istituzioni. Ha chiuso l’incontro il dr. Riccardo Palmisano (Vice Presidente Assobiotec): x ringraziando tutti i convenuti per il contributo apportato da ognuno all’approfondimento del tema, x avanzando la proposta di sostenere l’attività di un centro studi sulle biotecnologie (CESBIO) anche sul tema dei biosimilari, di costituire un osservatorio permanente con il coinvolgimento delle associazioni civili e di pazienti e le società scientifiche per produrre rapporti sulla scelta informata della terapia da parte di medici e pazienti per uno sviluppo consapevole del mercato dei biosimilari, auspicando uno stimolo per una politica farmaceutica che consenta, attraverso le scadenze brevettuali, il sostegno dell’innovazione senza svantaggiare la salute dei pazienti, per facilitare la messa a punto di regole stabili e chiare per la registrazione, il rimborso, l’acquisto e l’utilizzo dei biosimilari in armonia con l’Europa e per consentire ai nuovi biosimilari la disponibilità sul mercato italiano con condizioni, tempi e prezzi che siano sostenibili per l’Industria e rendano l’Italia un mercato accessibile. Francesco De Tomasi Anno IX numero 47 Pagina 32 La spesa farmaceutica mondiale Pubblicato l'ultimo rapporto dell'IMS con le stime del mercato farmaceutico mondiale. Gli USA si confermano al primo posto seguiti da Cina, Giappone e Germania. Per l'Italia, che scenderà dal 7° all'8° posto in classifica di mercato, è stimato comunque un incremento di spesa che ci porterà ad un totale compreso tra 28 e 36 miliardi di dollari. La spesa globale per i farmaci si prevede che raggiungerà quasi 1.300 miliardi dollari entro il 2018, con un incremento di circa il 30% rispetto al livello del 2013. Il tasso di crescita annuo potrebbe arrivare a toccare punte del 7%, a fronte del 5,2% registrato nel corso degli ultimi cinque anni. Questa crescita sarà dovuta sia all'introduzione di nuovi farmaci che ad una maggiore accessibilità ad essi da parte dei pazienti, che dovrebbe coincidere anche con una più bassa incidenza di brevetti scaduti nei mercati sviluppati. La crescita della spesa annuale avrà il suo picco nel 2014, quando raggiungerà circa 70 miliardi dollari, rispetto ai 40 miliardi di dollari registrati nel 2013. Dal 2015 in poi si dovrebbe avere un tasso di crescita più moderato, seppure più elevato rispetto ai livelli osservati negli ultimi 5 anni. I mercati sviluppati, guidati da Stati Uniti, i principali cinque mercati europei (tra cui l'Italia) e il Giappone, saranno i principali protagonisti di questa crescita, mentre i 21 paesi emergenti a livello farmaceutico arriveranno a rappresentare quasi il 50% della crescita assoluta a livello globale nel 2018. Il mercato statunitense si conferma il più grande, rappresentando circa 1/3 del totale a livello mondiale, ed è destinato a crescere a un tasso del 5 -8% annuo fino al 2018. Una stima di crescita significativamente superiore a quella del 3,6% registrata nel corso degli ultimi cinque anni, che, in particolare nel 2014, dovrebbe arrivare a raggiungere l'11,7%. A partire dal 2015 si dovrebbe assistere ad una crescita ben più moderata, che si dovrebbe attestare intorno al 5%. Nei maggiori mercati europei, gli sforzi attuati per limitare la crescita della spesa sanitaria, e in particolare quella per i farmaci, hanno portato a riduzioni di spesa o ad una bassa crescita, che proseguirà fino al 2018. In Giappone, allo stesso modo, si prevede una crescita di 1-4%, nonostante la sua popolazione di anziani superi il 27% di quella totale - ben il 5% in più rispetto a quella di altri Paesi sviluppati. La Cina, già secondo mercato farmaceutico mondiale, raggiungerà i livelli di spesa di 155185 miliardi di dollari nel 2018. L'at- tuazione delle riforme sanitarie ha incrementato la domanda di farmaci, mentre i prezzi regolamentati vengono utilizzati più frequentemente per gestire i livelli di crescita complessiva. Oltre l'80% della crescita nei mercati emergenti sarà dovuto ai farmaci generici. Circa il 40% della crescita globale della spesa avverrà, nei prossimi 5 anni, per i farmaci specialistici. In particolare riguarderà medicinali di aree terapeutiche quali oncologia, malattie autoimmuni, malattie respiratorie, antivirali ed immunosoppressori. Nel corso dei prossimi cinque anni, i progressi in oncologia, diabete ed epatite C saranno di particolare importanza. L'ondata di farmaci innovativi contro il cancro continuerà a contribuire all'aumento della spesa globale per tutti i farmaci oncologici, raggiungendo circa 100 miliardi di dollari nel 2018, a fronte dei 65 miliardi di dollari registrati nel 2013. La spesa per i trattamenti del diabete supererà i 78 miliardi di dollari a livello globale nel 2018. Sebbene la prevalenza del diabete continuerà ad aumentare, in particolare nei paesi a basso e medio reddito, i costi per il trattamento a livello globale saranno modesti. L'introduzione di nuovi farmaci per la cura dell'epatite C porteranno a circa 100 miliardi di dollari la spesa totale nel quinquennio 2014-2018. Un gran numero di farmaci, che potranno portare notevoli benefici clinici per i pazienti, sono già disponibili. Allo stesso tempo, resta il problema di come si potranno finanziare questi medicinali visti gli ingenti costi iniziali, anche se, nel lungo periodo, potranno comportare un risparmio debellando la malattia. Nello studio viene poi analizzata la disponibilità nei singoli Paesi di nuove molecole a partire dal 2013. A guidare la classifica sono ancora una volta gli USA che, su una disponibilità globale di 154 nuove molecole, hanno accesso a 104 (68%). Non va male l'Italia che, tra i Paesi europei, si piazza dietro solo a Germania, Francia e Regno Unito con una disponibilità di 56 molecole (36%). A livello globale, ancora una volta l'Italia si conferma in buona posizione. Nel periodo 2013-2018, dopo USA, Cina, Giappone e Germania che mantengono stabilmente le prime 4 posizioni, il nostro Paese scivolerà dal 7° all'8° posto accrescendo il proprio livello di spesa farmaceutica da 27,9 miliardi ad una cifra compresa tra i 28 e i 36 miliardi (aumento stimato del 2-5%). A cura di Domenico Criscuolo Anno IX numero 47 Pagina 33 No One's in Charge of Pharmaceuticals in Europe! Applied Clinical Trials The recent blog, entitled 'Who's in charge of Medicines in Brussels?', has been overtaken by history, with the departure of Guido Rasi from his post of Executive Director of the European Medicines Agency. At a time of flux in the European context for pharmaceuticals, Rasi's moderate manner and capacity for strategic thinking were one reassurance amid so much uncertainty. His removal is to be lamented, therefore, not only for the personal setback it represents to Rasi himself, but also for the additional unpredictability it brings to discussions of pharmaceuticals in Europe. The European Union Civil Service Tribunal may well be right in deciding Rasi's appointment must be annulled on grounds of procedural errors in his appointment. (The merits of the appeal by the disappointed Bulgarian candidate for the post, who triggered the case, may be more open to question.) But the impact is to bring further chaos to what was already a confused situation. Only four years ago, the previous EMA head departed in controversial circumstances. Only a year ago, the European Commissioner for health was forced to resign in connection with a lobbying scandal. Only a month ago the Commission's Director-General for Health resigned abruptly after an injudicious tip-off about an upcoming tender. And only a week ago, the new boss of the European Commission, Jean-Claude Juncker, sowed further confusion with a messy compromise over whether the health commissioner or the industry commissioners should be in charge of pharmaceuticals. As Kent Woods, chair of the EMA management board, said, on Rasi's departure, "The ruling is about a procedural formality. It is not a reflection on Guido Rasi’s competence or ability to run the Agency, something which he has done successfully since November 2011.” Indeed he has. Not only that, but he has been at the forefront of European thinking on how to resolve one of the big strategic problems facing medicines innovation in Europe—and beyond: how to speed good new drugs to market and reward manufacturers for doing so. From his first days in office, he indicated interest in the obvious logic which makes efficient market access the corollary of an effective marketing authorisation system. Not, of course, strictly speaking the terrain of the EMA. But terrain it would be foolish nonetheless to ignore. Similarly, and even more strikingly, he has over the last year or so been one of the driving forces in the development of alternative licensing approaches—and again, has pioneered collaboration— even if it has to remain informal— between regulators and payers and their health technology assessment bodies. No one man is indispensable, and the work that Rasi has very much led on will, doubtless, continue in his absence—whether that is short, long or total. The European Commission and the EMA are taking legal advice on what to do about the tribunal's judgement. Pending further decisions, Andreas Pott, the deputy executive director, will step up – once again, for he also ran the agency in the interregnum before Rasi's appointment. But whether the work will continue with the same energy and focus is another question—and one that is all the harder to answer while there are so many other unknowns swirling across the European pharmaceutical landscape. The implementation of the new clinical trials legislation, the inauguration of the EMA's own new clinical data transparency regime, the reflections on future regulation of the devices and diagnostics that will become increasingly pressing as personalised medicine becomes more of a reality… It is also unfortunate that Rasi, brought in as a new broom in the EMA (after being brought in as a new broom in the Italian drug agency not long before), has been forced to resign by this fiasco not of his own making. And doubly unfortunate that he shares his nationality with a predecessor at the head of Europe's attempt to make sense of pharmaceutical regulation—Duilio Poggiolini, who fell from grace in a big way in the 1980s. Rasi was a "clean hands" who was well on the way to utterly obliterating that memory and establishing an international reputation that did credit to his country as well as himself. Will the Bulgarian who has catalysed this mess be applying to fill the spot Rasi is now leaving? XXIV CONGRESSO GIQAR Napoli 27 - 29 maggio 2015 Hotel Royal Continental NUOVA SEZIONE POSTER: CONCORSO CON PREMIO AL VINCITORE Anno IX numero 47 Pagina 34 La politerapia nell’anziano tra efficacia terapeutica e qualità della vita: il progetto QUELYPHARM (www.quelypharm.unito.it) Le Scienze Umane e Sociali, concorrendo alla comprensione del processo di invecchiamento e delle dinamiche che lo influenzano, teorizzano il graduale prolungamento della vita attiva e la riduzione del rischio di morte prematura a cui si assisterà nei decenni futuri. In una società che registra un costante incremento dell’indice medio di vita, diventa indispensabile attuare una graduale erosione temporale della fase di vita non autosufficiente, a favore degli anni di vita vissuti in condizioni di autosufficienza e attività. Malgrado questa affermazione sia univocamente condivisibile, le problematiche ad essa correlate sono molto variegate e richiedono un’indispensabile trattazione multidisciplinare. Tuttavia, partendo dall’inconfutabile assun- to che “la vecchiaia è il fisiologico evolversi della vita e non una malattia”, l’aspetto sanitario ha una rilevanza cruciale nella impostazione del problema e delle possibili soluzioni. Oggi in Italia l’impegno medicoassistenziale, per la gestione del paziente geriatrico, grava pesantemente sulle risorse sanitarie, pubbliche e private, senza raggiungere un adeguato rapporto qualità/spesa. Il limite del contenimento farmaco/ assistenziale-indotto mantiene infatti un’incidenza molto elevata sugli anni demograficamente computati nel prolungamento della vita. A questo proposito l’adeguamento del servizio sanitario pubblico e convenzionato dovrebbe garantire interventi tangibili sulla gestione del paziente geriatri- co, contribuendo fattivamente al processo di evoluzione degli indici di qualità della vita (QoL) in età avanzata. In quest’ottica il farmaco ed il suo corretto impiego diventano di focale interesse se si considera che l’uso inadeguato della politerapia, oltre ad alimentare un’ingiustificata lievitazione della spesa sanitaria pubblica, rischia di non tutelare la QoL percepita dall’anziano. Proprio da queste riflessioni è scaturito l’impegno di lavoro presentato dal gruppo di esperti del farmaco del Dipartimento di Scienze e Tecnologia del Farmaco (DSTF) dell’Università degli Studi di Torino nel febbraio del 2013 alla European Commission, Directorate General for Health and Consumer. L’obiettivo primario della proposta progettuale Qualification of Elderly PolNella foto, da sinistra: Barbara Sgorbini, Piera Ghi, Clara ypharmacy (QUELYPHARM), inserita nella Partnership on Cena, Antonella Di Stilo, Franco Dosio e Paola Brusa. Active and Healthy Ageing – Action Group 1: Prescription and Adherence to Medical Plans, è di contribuire al mantenimento del miglior grado di QoL dell’anziano in politerapia. Sebbene l’obiettivo sembri scontato, è facilmente dimostrabile la sostanziale differenza fra appropriatezza prescrittiva, efficacia della terapia e QoL percepita dal soggetto trattato. Questi tre parametri sono infatti mediamente correlabili in condizioni di monoterapia, ma possono dar luogo a valori del tutto indipendenti in condizioni di politerapia. A tal proposito l’analisi preliminare dei dati raccolti dagli archivi clinici regionali nel quinquennio 2009-2013 rivela molteplici osservazioni che offrono altrettanti spunti di intervento. Nello specifico, il numero sorprendentemente elevato di farmaci/paziente/die, se associato al preferenziale uso di formulazione in compres(Continua a pagina 35) Anno IX numero 47 Pagina 35 (Continua da pagina 34) se, rappresenta un fattore di primaria attenzione nella revisione dei problemi di conformità alla terapia. Inoltre, poiché la gran parte della politerapia cronica è costituita da farmaci destinati alla cura del sistema cardiovascolare, è indispensabile procedere ad un’accurata analisi della correlazione fra QoL percepita dal soggetto trattato, rischio di fragilità ed efficacia terapeutica di questi farmaci, soprattutto in considerazione delle diverse fasce di età geriatrica. Un breve commento merita a questo proposito la frequenza d’uso, in politerapia, delle benzodiazepine e delle fenotiazine che si attesta rispettivamente su valori prossimi al 30 e al 20 % dei soggetti esaminati. A scopo del tutto esplicativo, se si considera che l’ipotensione posturale, più o meno accentuata, è descritta in circa il 20 % della popolazione anziana, l’ipotetica associazione di farmaci vasodilatatori con fenotiazine o benzodiazepine meriterebbe un’attenta valutazione, date le comprovate proprietà ipotensive e di alterazione dell’abilità motoria ascrivibili a queste molecole. L’incremento del rischio di cadute e conseguenti traumi può infatti compromettere significativamente l’autonomia del soggetto trattato, indotto ad attuare un’autolimitazione dei movimenti a scopo cautelativo, con un tangibile detrimento della propria QoL. Nella sua semplicità questo esempio focalizza la necessità di affrontare una qualificazione della politerapia a misura del soggetto anziano, basata sulla approfondita conoscenza delle caratteristiche chimiche, dinamiche e cinetiche di ogni singolo farmaco. Da un’analisi di questo tipo possono essere riesaminate le criticità terapeutiche note, come l’esempio descritto, ma soprattutto emergeranno nuove criticità terapeutiche del tutto trascurate perché non valutate ai fini del mantenimento del QoL. In estrema sintesi, QUELYPHARM si propone di qualificare la cura della popolazione sopra i 65 anni attraverso l’attuazione di nuovi schemi di revisione terapeutica e di sistemi di dialogo digitale in grado di fornire il costante e puntuale controllo dei piani terapeutici e delle criticità terapeutiche correlate all’anamnesi, alle abitudini alimentari, all’uso dei prodotti della salute e agli stili di vita. Lo sviluppo di questo lavoro è basato quindi sulla traslazione delle più recenti conoscenze scientifiche sul farmaco e sui prodotti della salute nella realtà quotidiana e clinico-assistenziale. A questo scopo, la professionalità accademica del gruppo torinese di esperti del farmaco è impegnata ad interpretare le criticità farmaceutiche, emerse direttamente dalla realtà clinica geriatrica, affiancando gli specialisti medici e gli operatori sanitari. In collaborazione con la Regione Piemonte e coinvolgendo le ASL territoriali regionali, il lavoro sperimentale del gruppo si prefigge la realizzazione di nuovi modelli di attività relativi alla salute e al benessere in età geriatrica nonché la definizione di linee guida per un appropriato ed efficace impiego della politerapia in sindrome geriatrica, applicabili a livello regionale e sovraregionale. La realizzazione dell’obiettivo, in completa armonia con le direttive sanitarie in tema di invecchiamento sano e attivo, persegue l’ambiziosa prospettiva europea di maturare un totale rinnovamento dei mezzi e dei metodi di gestione del paziente anziano, ripensando il problema alla luce di un nuovo modo di concepire l’avanzare dell’età e di declinare lo stile di vita dell’anziano di domani. Il proposito di smussare i picchi di malattia/assistenza a favore dei picchi di benessere/attività dovrà infatti tradursi non solo in un guadagno di anni alla vita, ma soprattutto nel dare un senso agli anni guadagnati. Piera Ghi Piera Ghi, Coordinatore del Team QUELYPHARM, è professore associato di Farmacologia e Tossicologia presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologia del Farmaco (DSTF) dell’Università degli Studi di Torino. Svolgendo la propria attività di ricerca principalmente nel settore della neuropsicofarmacologia, studia le modificazioni dei processi cognitivi, di memoria e apprendimento, causate da farmaci, invecchiamento, stimoli stressogeni, malattie psichiatriche e neurodegenerative. QUELYPHARM TEAM (DSTF) Piera Ghi, Clara Cena, Antonella Di Stilo, Vivian Tullio, Patrizia Rubiolo, Franco Dosio, Paola Brusa, Barbara Sgorbini, Silvia Racca. Anno IX numero 47 Pagina 36 Breath analysis : una valida strategia per valutare il livello di esposizione professionale a sostanze volatili pericolose negli ambienti ospedalieri Come è ben noto, ogni giorno il personale ospedaliero è sottoposto a numerosi rischi professionali che possono essere di tipo fisico (radiazioni ionizzanti, campi elettromagnetici) biologico (agenti infettivi, agenti patogeni), ed anche chimico, come ad esempio l’esposizione a sostanze volatili potenzialmente tossiche. I gas anestetici e gli antisettici, come i disinfettanti a base alcolica, sono le due principali classi di sostanze volatili frequentemente presenti negli ambienti ospedalieri. In particolare, il sevoflurano, gas anestetico comunemente utilizzato in chirurgia, e l’alcol isopropilico, principio attivo dei prodotti farmaceutici utilizzati per la disinfezione della cute e delle mani sono i due composti rappresentativi delle classi sopra menzionate. L’esposizione acuta o cronica a tali sostanze rappresenta un potenziale rischio per la salute del personale ospedaliero, oltre che per i degenti, e pertanto un monitoraggio di queste sostanze risulta importante per la tutela della salute. Sin dall'inizio degli anni Ottanta, la comunità scientifica ha manifestato un crescente interesse per gli effetti indotti da una esposizione cronica ad agenti anestetici volatili, suggerendo come l'esposizione cronica a basse dosi di gas anestetici come il sevoflurano rappresenti un fattore di rischio occupazionale con effetti avversi quali mal di testa acuti, aborti spontanei e cambiamenti neurocomportamentali. Per tale motivo, a livello europeo una concentrazione limite di 20 ppm è stata indicata come assunzione media ponderata in un arco temporale di 8 ore (TimeWeighted Average, TWA). Allo stesso modo anche l’esposizione all’alcol isopropilico costituisce un fattore di rischio per la salute degli operatori in ambiente ospedaliero e pertanto l'Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU- OSHA) impone un limite legale di esposizione (Permissible Exposure Limit, PEL) di 400 ppm considerando un turno di lavoro di 8 ore. Nausea, mal di testa, apatia, atassia e ipotensione sono i principali effetti avversi causati da una esposizione cronica ad alcol isopropilico. Sulla base di queste premesse, è stato condotto uno studio preliminare con lo scopo di determinare il livello di esposizione del personale ospedaliero a sevoflurano ed alcol isopropilico mediante analisi chimica dell’espirato. I principali vantaggi di questo approccio, oltre alla disponibilità di una matrice chimicamente più semplice da trattare, se confrontata con sangue ed urina, sono sia la non-invasività del campionamento, che non necessita di personale altamente qualificato, che la possibilità di ottenere informazioni sull’esposizione a particolari inquinanti e sui processi fisiologici in atto. Inoltre, rispetto al classico approccio utilizzato per il monitoraggio di sostanze inquinanti mediante campionamento dell’aria ambiente, l’utilizzo dell’analisi dell’espirato permette di monitorare anche i composti derivanti dai processi metabolici delle sostanze d’interesse tossicologico. Nello studio effettuato, sono stati raccolti campioni di espirato di soggetti volontari professionalmente esposti a sevoflurano ed alcol isopropilico, quali anestesisti ed infermieri dedicati ai prelievi ematici. Il protocollo di campionamento prevedeva la raccolta di campioni di espirato misto mediante il riempimento di una sacca in Nalophan (polietilentereftalato, PET), materiale caratterizzato da una bassa contaminazione di fondo, buona stabilità chimica del campione raccolto (entro le 24 ore) e costi ridotti, collegata ad un boccaglio sterile ed una valvola di non ritorno. Il campione di espirato era poi trasferito, mediante un apposito sistema, in un tubo di adsorbimento che veniva (Continua a pagina 37) Anno IX numero 47 (Continua da pagina 36) infine analizzato mediante TD-GCMS (Thermal desorption gas chromatogrphy mass spectrometry) Per la valutazione dell’esposizone a sevoflurano di soggetti anestesisti, campioni di espirato sono stati prelevati ad inizio del primo turno della settimana lavorativa (t0), al termine dello stesso giorno lavorativo (t1) e alla fine della settimana lavorativa (t2). Per la valutazione dell’esposizone ad alcool isopropilico di infermieri dedicati ai prelievi ematici, campioni di espirato e di aria ambiente sono stati simultaneamente prelevati all’inizio del turno lavorativo dopo 90 e 180 minuti dal primo campionamento. Le concentrazioni di sevoflurano riscontrate in tutti i campioni di espirato prelevati dagli anestesisti erano comprese tra 0,7 e 18 ppbv, quindi ben al di sotto del valore soglia, confermando l’efficienza dei sistemi di areazione di cui sono normalmente dotate le camere operatorie. La metodologia impiegata ha inoltre consentito la determinazione dei livelli di esafluoroisopropanolo, un metabolita del sevofluorano, che sono risultati compresi tra 0,002 e 0,024 ppbv, avvalorando l’utilità di questo approccio, rispetto al semplice campionamento dell’aria ambiente. Per quanto riguarda l’alcol isopropilico, i Pagina 37 livelli riscontrati nei campioni di espirato erano compresi tra 4,7 e 62 ppbv e, pur essendo ben lontani dal P E L , hanno evidenz i a t o l’esistenza di un’ottima correlazione (r = 0.95, p < 0.001) tra le concentrazioni di alcol isopropilico nei campioni di espirato degli infermieri e il contenuto dello stesso nei campioni di aria ambiente, risultato tra 2,0 e 210 ppbv. Ciò conferma le potenzialità dell’impiego di questa metodologia nelle strategie di monitoraggio dell’esposizione professionale a sostanze volatili potenzialmente pericolose presenti negli ambienti di lavoro. Roger Fuoco, Silvia Ghimenti, Sara Tabucchi, Francesca G Bellagambi, Tommaso Lomonaco, Massimo Onor; Maria Giovanna Trivella, Fabio Di Francesco. Breve biografia di Roger Fuoco Il prof. Roger Fuoco è dal 1994 ordinario di Chimica Analitica presso il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università di Pisa, di cui ha assunto la direzione nel 2012. La sua attività di ricerca riguarda principalmente la caratterizzazione di sistemi ambientali e biologici, la caratterizzazione chimica di fluidi biologici non convenzionali (espirato, sudore, saliva) per il monitoraggio di terapie e nella diagnosi medica e la valutazione di indicatori dello scompenso cardiaco in fluidi biologici non convenzionali. Anno IX numero 47 Pagina 38 Attuali modelli di gestione degli studi clinici La collaborazione tra aziende farmaceutiche e CRO, dal "preferred vendor" al "partner strategico". “The Future of Pharma R&D Outsourcing”: così si intitolava una delle presentazioni più partecipate dell’ultimo congresso PCT (Partnerships in Clinical Trials), che si è svolto a Barcellona ad inizio novembre. Forse la firma McKinsey, forse l’ipotesi sul “futuro” hanno generato molte attese, a mio parere un po’ disilluse dal fatto che in realtà ciò che è stato illustrato è stato un forte razionale sul motivo per cui il mondo farmaceutico stia adottando modelli più o meno spinti di collaborazione, ma in termini di sviluppi futuri si sia in fondo chiarito poco. Quel che risulta evidente è il razionale, condivisibile, con cui le aziende farmaceutiche cercano di rafforzare i propri rapporti con i fornitori, ora più correttamente definiti “partner”. L’obiettivo non è solo quello di ottimizzare lo sforzo economico, ma di ottenere maggiore uniformità e qualità nella raccolta dei dati, nel monitoraggio dei “partner” stessi, il tutto con l’obiettivo di rendere disponibili nuovi farmaci nel minor tempo possibile. In tal senso si incastonano tra i modelli operativi anche iniziative di più ampio respiro, che tendono ad ottimizzare gli investimenti ed i flussi operativi. Mi riferisco al concetto di “risk based monitoring” e le varie interpretazioni su questo, così come ad iniziative aziendali o di enti no profit più o meno note, come Transcelerate. Outsourcing quindi come una parte integrante del modello R&D. Dando uno sguardo ai grandi accordi strategici degli ultimi anni il futuro sembrerebbe monopolizzato da pochi attori: eppure, riflettendo sulle necessità in evoluzione di chi conduce ricerca, la nuova tendenza di outsourcing necessita comunque di collaborazioni con altre realtà. Probabilmente questo si svilupperà su servizi più selezionati rispetto a quelli classici offerti dalle grandi CRO: per esempio un project management mirato in termini di “strategic partnership” o di “preferred vendor” potrebbe garantire alle aziende farmaceutiche un’adeguata gestione delle risorse interne operanti sul modello di outsourcing, impostando un controllo sui partner stessi, probabilmente in termini di KPI (key performance indicators) diversi rispetto a quelli utilizzati in precedenza. Infine lo scenario R&D non può prescindere dai centri sperimentali, che sono oggetto di sofisticate selezioni e che per garantire elevati standard qualitativi hanno bisogno di poter contare su personale dedicato: dai clinici agli infermieri e personale amministrativo. Nessun modello di partnership potrà funzionare senza i centri presso cui condurre la ricerca. Stiamo assistendo ad un cambio della cultura sui trial clinici e probabilmente deve passare un po’ di tempo affinchè il reale beneficio e l’eventuale limite di questi modelli di gestione e collaborazione tra gli attori possa essere correttamente valutato. Fondamentale per questo obiettivo rimarrà monitorare il cambiamento e soprattutto raccogliere i SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES Laureata in Chimica presso l'Università La Sapienza di Roma, lavora da 15 anni in ambito farmaceutico ed ha ricoperto in diversi ruoli all'interno delle clinical operations. Dal febbraio 2010 lavora in Merck Serono con il ruolo di principal clinical research manager, responsabile per studi clinici internazionali all'interno della funzione regional clinical operation e di supporto a medical affairs Italia. commenti di chi in questo lungo e complesso percorso di sviluppo di nuove molecole è il protagonista assoluto: i pazienti, che ad oggi risultano gli interlocutori più attenti ed informati. Elena Ottavianelli IL SITO SSFA (WWW.SSFA.IT) VIENE VISITATO OLTRE 100 VOLTE AL GIORNO. OGGI TU LO HAI VISITATO? Anno IX numero 47 Pagina 39 NEWS ON CLINICAL TRIALS SICKLE CELL DISEASE Selexys Pharmaceuticals, a biopharmaceutical company that is developing therapies to treat inflammatory and thrombotic diseases, announced that enrolment has been initiated in SUSTAIN, a Phase II, multicenter, randomized, placebo-controlled, double-blind, 12-month study to assess safety and efficacy of the anti-P-selectin monoclonal antibody SelG1 with or without hydroxyurea therapy in sickle cell disease patients with sickle cell-related pain crises. The SUSTAIN trial will randomize approximately 174 patients to receive high dose SelG1, low dose SelG1 or placebo in the presence or absence of hydroxyurea therapy, the current standard of treatment. The study will examine the effectiveness of SelG1 in reducing the rate of sickle cell-related pain crises in each active dose level as compared to placebo. The study will be conducted in approximately 60 centres throughout the U.S. With the limited therapies available to patients with sickle cell disease, this trial with a novel P-selectin inhibitor is particularly exciting. Not only does it have the potential to improve the clinical outcomes in patients, its effects may be additive or synergistic with those of hydroxyurea, the only drug currently approved by the FDA for treatment of complications due to sickle cell disease. Data from preclinical sickle cell disease models suggest that blockade of P-selectin effectively prevents the painful stoppage of circulation in small blood vessels called vaso-occlusion and maintains patent blood flow. In addition, results from the recently completed Phase I study indicate that SelG1 is well tolerated in healthy human subjects. SelG1 prevents certain blood cells from binding to one another and to the blood vessel walls. By stopping these cell-cell interactions, SelG1 may prevent small blood vessels from becoming blocked and reduce the occurrence and severity of pain crises as well as downstream complications such as stroke, heart attack and organ failure in sickle cell patients. The SUSTAIN study focuses on the ability of this novel anti-P-selectin antibody to reduce or prevent the occurrence of pain crises and thereby improve the lives of patients with sickle cell, a disease that largely affects African-Americans in the U.S. SelG1 is an investigational humanized monoclonal antibody directed against P-selectin, a key member of the adhesion molecule family known as the selectins. In preclinical studies, inhibition of P-selectin has been shown to effectively prevent vaso-occlusion by blocking critical cell-cell interactions that drive this process. Therapeutic blockade of P-selectin may therefore reduce or prevent vaso-occlusive crises in patients with sickle cell disease. Sickle cell disease is an inherited, progressive, hematologic disease that affects over 100,000 people in the United States including one out of every 500 African-Americans, with one in 12 AfricanAmericans a carrier of the sickle cell disease gene. Patients with sickle cell disease suffer anemia as well as vaso-occlusive complications in which sickled red cells, white blood cells and platelets adhere to small vessels blocking blood flow to downstream organs. This vaso-occlusive process results in intense pain and repeated hospitalizations. It also leads to progressive multi-organ dysfunction and premature death. Sickle cell disease is considered an orphan indication with major unmet clinical needs. Ebola and viral diseases Chimerix announced that the Food and Drug Administration gave the green light to test the compound in a Phase II trial. Chimerix gave no details on the size of the trial. In a presentation, Chimerix said that Phase II studies would be conducted in the United States and Europe, while studies of the drug for Ebola in West Africa are under discussion. But the company says brincidofovir (CMX001) tablets are available for immediate use in the studies. Brincidofovir is an experimental antiviral drug being developed by Chimerix for the treatment of cytomegalovirus, adenovirus, smallpox and ebola virus infections. Brincidofovir is a prodrug of cidofovir. Conjugated to a lipid, the compound is designed to release cidofovir intracellularly, allowing for higher intracellular and lower plasma concentrations of cidofovir, effectively increasing its activity against dsDNA viruses, as well as oral bioavailability. Chimerix also says it plans to partner with global authorities to provide emergency access to the drug, apart from the clinical trials. The Chimerix drug has already been provided for emergency access in at least two cases. Health professionals identified those individuals as Thomas Eric Duncan, the Liberian man who died few weeks ago at Texas Health Presbyterian Hospital in Dallas, TX, and freelance journalist Ashoka Mukpo treated at Nebraska Medical Center in Omaha, NE. Brincidofovir is still experimental and is not yet approved by the FDA to treat any viral infections. The drug is based on Gilead Science’s injectable antiviral cidofovir. Like the Gilead drug, brincidofovir works by interfering with the process by which viruses make copies of themselves. But cidofovir has also been linked to higher risks of kidney damage. What Chimerix has done with brincidofovir is attach cidofovir to lipids. That makes the drug absorbable in the gut, which in turn makes development of the compound in a tablet form possible. The lipids also mitigate the risk of toxic effects on the kidneys from the drug. Cidofovir was approved to treat cytomegalovirus. Chimerix had also identified cytomegalovirus as a target for its brincidofovir, and so already has safety and efficacy data on brincidofovir in patients, having taken the drug into Phase III studies in cytomegalovirus in stem-cell-transplant patients. Even though Chimerix made cytomegalovirus its lead drug target, the company has long touted brincidofovir as a broad spectrum antiviral. Last week, the company revealed the progress of its work developing the drug for other types of infections. Chimerix announced preliminary results showing the drug worked in an open-label study against adenovirus, a type of respiratory infection that can be fatal when it progresses in patients with weakened immune systems. Chimerix last week also revealed it started testing brincidofovir in Ebola, in laboratory tests as well as in animals, adding that it was working with the FDA on a pathway for an Ebola clinical trial. A cura di Domenico Barone Anno IX numero 47 Pagina 40 NUOVI SOCI BALSAMO ROSSELLA MUNDIPHARMA BARBATO RAIMONDO Studente Master CIPOLLINA LAURA Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo DASTOLI GIUSEPPE EUDAX FANIA MILENA Consulente FIORELLI VALERIA KEDRION IMBERTI ROBERTO Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo MONI SABRINA KEDRION NAPOLETANO MARIANNA Consulente PIDONE MIRIAM BAYER COMUNICAZIONI DELLA SEGRETERIA Caro Socio, Oggetto: pagamento quota associativa 2015 comunichiamo che per l'anno 2015 la quota d'associazione alla S.S.F.A. è di EURO 90,00= per i Soci ordinari EURO 45,00= per i Soci di Istituzioni pubbliche EURO 45,00= per i Soci in pensione La somma può essere pagata mediante Assegno Bancario o Circolare o Postale intestato alla S.S.F.A. e da inviare a: S.S.F.A., Viale Abruzzi 32, 20131 Milano; oppure con bonifico bancario su Credito Valtellinese AG. 16 Milano IBAN IT11L0521601621000000000347. IN CASO DI PAGAMENTO TRAMITE BONIFICO BANCARIO INDICARE I SEGUENTI DATI: ID SOCIO: _________ Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Abramo - [email protected] Domenico Barone - [email protected] M. Mercede Brunetti - [email protected] Domenico Criscuolo - [email protected] Francesco De Tomasi - [email protected] Arianna Federici Umberto Filibeck - [email protected] Luciano M. Fuccella - [email protected] NOME: _____________________ Roger Fuoco - [email protected] Piera Ghi Enrico Invernizzi - [email protected] Serena Mazzotti - [email protected] Fabio Montanaro - [email protected] Elena Ottavianelli - [email protected] Marco Romano - [email protected] Raimondo Russo - [email protected] CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente: Marco Romano Vice—presidente: Anna Piccolboni Segretario: Salvatore Bianco Tesoriere: Luigi Godi Consiglieri: Giuseppe Assogna, Rossana Benetti, Marie-Georges Besse, Sergio Caroli, Simona Colazzo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo. Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo Comitato editoriale: Giovanni Abramo, Salvatore Bianco, Sergio Caroli, Domenico Criscuolo, Luciano M. Fuccella, Marco Romano Segreteria editoriale: Sabrina Lucioni Segreteria Organizzativa: Viale Abruzzi 32—20131 MILANO Tel. 02-29536444 Fax. 02-89058506 E-mail [email protected] SSFA oggi Stampa: MEDIA PRINT, Livorno Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007 “Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO” Numero progressivo 47 Periodicità: bimestrale WWW.SSFA.IT