la domenica
DI REPUBBLICA
DOMENICA 29 MARZO 2015 NUMERO 525
Cult
La copertina. La carica dei detective 2.0
Straparlando. Giovanna Marini: “Il mio canto libero”
Mondovisioni. La Valletta, cuore antico di Malta
SIMONETTA FIORI
ANNA FRANK
AMSTERDAM, LUNEDÌ 29 APRILE 1940
I
una
bambina. Non solo nel corpo, costretto a
una dolorosa convivenza anche con
estranei, otto persone in sessanta metri
quadri, giorno e notte sempre insieme,
e quasi sempre in silenzio, nascosti dietro la
libreria girevole al numero 263 della Prinsengracht. Ma anche nella testa la quattordicenne Anna divenne improvvisamente un’adulta. Una metamorfosi accelerata dalla
guerra e dalla paura, perché il buio ti fa scavare dentro alla ricerca di un senso. E la letteratura può essere un buon rifugio, anche migliore di quello segreto dove la famiglia Frank
aveva trovato riparo. “Il libro dei bei pensieri”, così decise di chiamarlo. Un registro di
contabilità donatole dal padre Otto, dove prese l’abitudine di annotare le parole degli altri.
Classici e minori, Tommaso Moro, Shakespeare e Goethe, ma anche una scrittrice come Alice Bretz, completamente cieca, capace
però di trovare la luce nella malattia. «Finché
esiste la bellezza, perché mai un uomo dovrebbe sentirsi solo?», annota Anna nel quadernone. Non c’è la riposta perché non c’è
neppure la bellezza, in un’Amsterdam assediata dai nazisti nel 1943.
Non è voluminoso “Il libro dei bei pensieri”.
Solo trenta citazioni che però accendono una
nuova luce su Anna, sottratta alla condizione
di vittima e restituita alla pienezza della sua
vita intellettuale prima della tragedia. Non
più solo l’autrice del Diario, testimonianza
del genocidio ebraico e parte irrinunciabile
delle memorie del mondo. Ma anche una
grande lettrice, compulsatrice irrequieta e
sorprendente di testi che s’interrogano sulla
pace e la guerra, sulla giustizia e l’utopia, sul
libero arbitrio e la schiavitù. Il merito dell’opera omnia, ora tradotta per la prima volta in
Italia da Einaudi nel settantesimo anniversario della morte, è proprio quello di consegnarci la fotografia di Anna prima del mito,
prima di farsi simbolo di una storia grande
che ha finito per inghiottire tutto. Un ritratto
che parte da lontano, dalle lettere di una bambina giocosa e arguta, incline agli scherzi e ai
valzer sul ghiaccio. E molto vanitosa.
C
ara Juanita, ho ricevuto la tua
lettera e voglio risponderti più
presto possibile. In casa nostra
Margot e io siamo le uniche
bambine. Nostra nonna vive
con noi. Mio padre ha un ufficio e mia madre
lavora in casa. Io abito non lontano da scuola e sono in quinta classe. Noi non abbiamo
lezioni di un’ora, possiamo fare quello che
vogliamo. Naturalmente dobbiamo raggiungere un certo obiettivo. Tua madre di
certo conoscerà questo metodo, si chiama
Montessori. Abbiamo pochi compiti a casa.
Ho guardato di nuovo sulla cartina e trovato il nome Burlington.
Ho chiesto a una mia amica se vuole scrivere a uno dei tuoi amici. Lei vorrebbe scrivere a una ragazza circa della mia età, non
a un maschio. Ti scrivo sotto il suo indirizzo.
La lettera che ho ricevuto da te l’hai scritta
tu, o l’ha scritta tua madre? Allego una cartolina di Amsterdam e te ne manderò altre,
io faccio raccolta di cartoline e ne ho già circa ottocento. Una mia ex compagna di scuola è andata a New York e qualche tempo fa
ha scritto una lettera alla nostra classe. Se
tu e Betty vi fate una foto, mandamene una
copia perché sono curiosa di sapere che
aspetto hai. Il mio compleanno è il 12 giugno. Per favore fammi sapere quando è il
tuo. Magari una delle tue amiche potrebbe
scrivere per prima alla mia amica, perché
lei non sa scrivere in inglese ma suo padre o
sua madre possono tradurre la lettera.
Spero di sentirti presto
>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE
ANNA FRANK NEL 1934, QUANDO AVEVA CINQUE ANNI E PESAVA VENTICINQUE CHILI / © ANNE FRANK FONDS, BASEL
N POCHE SETTIMANE CESSÒ DI ESSERE
un caro saluto dalla tua amica olandese
Annelies Marie Frank.
P.S. Per favore mandami l’indirizzo di
una ragazza.
***
VENERDÌ 13 DICEMBRE 1940
Cara nonna e caro Stephan, tanti auguri
per il vostro compleanno e spero che presto
potremo festeggiarlo anche insieme.
>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE
Anna
prima
del diario
L’album dei ricordi di una bambina
che non era ancora diventata un simbolo
La storia. Quando i poveri cristi parlarono alla radio L’immagine. Le illustrazioni per i più piccoli viste da un adulto: Lorenzo Mattotti
Spettacoli. Erika Lust, vi spiego perché il porno può essere femminista Next. Da New York a Pechino in due ore e mezza (ma in treno)
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 29 MARZO 2015
30
La copertina. Marzo 1945 - 2015
Leconfidenzeall’amicadipenna
(“Iocollezionocartoline,etu?”)
eiconsiglichiestiallanonnaAlice
(“Seidirittieseirovesci,giusto?”)
PerlaprimavoltainItalia
ipensierinidiunabambina
checommuoveràilmondo
conilsuodiario
<SEGUE DALLA COPERTINA
SIMONETTA FIORI
IL LIBRO
TUTTI GLI SCRITTI DI ANNE FRANK,
EINAUDI SUPER ET 2015
(DIARI – RACCONTI DELL’ALLOGGIO
SEGRETO – ALTRI RACCONTI – LETTERE –
FOTOGRAFIE E DOCUMENTI) A CURA
DELL’ANNE FRANK FONDS DI BASILEA
CON SAGGI DI GERHARD HIRSCHFELD,
MIRJAM PRESSLER E FRANCINE PROSE
(875 PAGINE, 28 EURO) SARÀ IN LIBRERIA
DAL 31 MARZO CON TRADUZIONI
DAL NEERLANDESE DI LAURA PIGNATTI,
ARRIGO VITA, ELIO NISSIM E SABINA
DE WAAL, DAL TEDESCO
DI SILVIA CAMATTA E DALL’INGLESE
DI ALESSANDRA MONTRUCCHIO
A
NNAFUL’ULTIMAADARRIVARENELL’APPARTAMENTO in Merwedeplein,
ad Amsterdam, nella primavera del 1934. L’avevano preceduta
i genitori insieme a Margot, la sorella maggiore di tre anni. Erano dovuti scappare da una Francoforte divenuta ostile alle famiglie ebree. Grazie allo zio Erich, il padre Otto era riuscito ad
aprire la sede olandese della Opekta, una ditta alimentare. La vita agli inizi non era affatto male. Anche le prime missive alla nonna paterna Alice, rifugiata in Svizzera con la figlia, restituiscono
i rituali di una famiglia borghese in un bel quartiere affollato di
immigrati tedeschi. La mattina a scuola, metodo Montessori.
Nei giorni di festa un salto alla pista di pattinaggio, il momento
prediletto da Anna. E poi i compiti a casa, la collezione di cartoline, lo studio delle lingue, le nuove amicizie, anche la scoperta di un mondo maschile in cui non
appare a disagio («i ragazzi non mi mancano»). Insomma una felice quotidianità vissuta con piglio sicuro, a tratti impertinente, soprattutto nel confronto con Margot, più studiosa e riflessiva. Una differenza che non passa inosservata alle maestre. Molti anni più tardi, un’insegnante
avrebbe confessato che il celebre diario se lo sarebbe aspettato da Margot, non da Anna.
La tonalità allegra e spensierata è destinata a spegnersi nel settembre del 1939, con l’inizio
della guerra, e nove mesi più tardi con l’invasione nazista dell’Olanda. Sono solo rapidi accenni, nelle lettere alla nonna Alice, che però disegnano l’angoscia di quei mesi: le finestre oscurate, il pattinaggio artistico rimandato a tempi migliori, il padre che va a vivere nell’ufficio sulla
Prinsengracht. Anna non lo dice espressamente, forse non lo sa neppure, ma si tratta di una precauzione adottata da Otto per allontanare i sospetti dalla sua famiglia. Nell’estate del 1942 arriva improvvisa la chiamata per Margot: deve presentarsi il tal giorno in un certo luogo per essere portata in un campo di lavoro. Non c’è più tempo da perdere. Il padre aveva già preparato
da tempo l’alloggio segreto nella sede della Opekta. La famiglia Frank si trasferisce al primo piano dell’elegante palazzo. Ne sarebbe uscita due anni dopo. In compagnia delle SS.
Di quel periodo sappiamo già tutto grazie al Diario, che documenta la capacità di elaborazione maturata precipitosamente dalla ragazza. Una consapevolezza — scopriamo ora
— nutrita da innumerevoli letture lumeggiate per la prima volta dal nuovo volume einaudiano. In fondo anche Anna è una “ladra”
di libri, mandante segreta di Miep Gies, l’eroica collaboratrice di Otto che procura alla
famiglia Frank non solo cibo e medicine ma
anche una biblioteca clandestina. «È Anna a
ordinare i titoli che Miep acquista in libreria
o prende in prestito negli scaffali pubblici»,
SUO PADRE
LE REGALÒ
UN
QUADERNO
CONTABILE
CHE LEI
CHIAMÒ
“IL LIBRO
DEI
PENSIERI”.
PRESE
L’ABITUDINE
DI
ANNOTARVI
LE FRASI
DEGLI
SCRITTORI
CHE PIÙ LA
COLPIVANO.
L’ULTIMA,
MAGGIO
1944,
FU SUA.
SCRISSE:
CHI NON SA
ASCOLTARE
NON SA
NEMMENO
RACCONTARE
ci racconta Frediano Sessi, curatore dell’edizione critica del Diario. «Qualche volta li
sceglieva lo stesso Otto, industriale colto che
aveva in carico l’educazione delle figlie».
Non sembra composta a caso la libreria di casa Frank. Un gioco di rimandi tra filosofia, antropologia e teologia nel quale trovare significato e conforto per la tragedia del presente. “Se non morire è l’unico obiettivo della vita, che cos’è per il popolo la bellezza della primavera? Niente! Un cielo stellato? Niente!
Cos’è l’arte per il popolo? Niente!”. Sono i
versi dello studioso Eduard Douwes
Dekker, critico verso gli aspetti più crudeli del colonialismo olandese: come
pseudonimo aveva scelto un verso di
Ovidio, Multatuli, ovvero “ho sopportato molte cose”. Sopporta molte cose anche Anna, costretta alla reclusione, a una convivenza litigiosa, al
silenzio. Cerca il suo posto nel mondo attraverso le parole, scritte e
lette. S’interroga su Dio e sul mestiere delle armi, sul dialogo tra
Galilei e Bellarmino (tratto da
Il titano di Harsanyi) e sull’utopia di Moro. Anche la morte
rimbalza nelle sue letture, inseguita e
schivata, e alla fine accolta perché “come
può il creato essere sempre nuovo e giovane,
se non elimina esso stesso le vecchie forme?
(dal Canto eterno di F.J. de Clercq Zubli)”.
Il creato eliminò anche lei, anche se non
era ancora “una vecchia forma”. La prelevarono nell’agosto del 1944, appena quindicenne. L’ultimo suo “bel pensiero” porta la
data di maggio. «Chi non sa ascoltare, non sa
nemmeno raccontare». Non c’è una fonte,
forse era un pensiero tutto suo. Lei aveva
ascoltato le voci del mondo, anche per questo ha saputo raccontarle.
Le
lettere
di Anna Frank
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
DOMENICA 29 MARZO 2015
31
LE AMICHE
DA SINISTRA: LA CUSTODIA
PER IL PIGIAMA
SU CUI ANNA RICAMÒ
LA“BUONA NOTTE”:
IL PADRE, OTTO,
LA REGALÒ AL SUO
CUGINETTO BERND;
CON LE AMICHE
NEL GIORNO
DEL DECIMO
COMPLEANNO (1939)
“Mi piacerebbe
farmi crescere
ancora i capelli”
<SEGUE DALLA COPERTINA
ANNA FRANK
PERIAMO PROPRIO che questo sia stato il
compleanno più brutto. Questo
pomeriggio ho fatto un dettato e c’erano
ben ventisette sbagli. Voi riderete,
quando lo leggerete, ma non è proprio
così strano perché era molto difficile e io non sono
così brava nei dettati. Margot ha avuto una bellissima
pagella e io sono molto fiera di lei. Non credo di
riuscire ad avere tutti 8 e 9 anch’io un domani. Vi
faccio tanti auguri per l’anno nuovo.
Tanti bacetti a tutti, ma soprattutto alla nonna,
la vostra Anna
S
***
PRIMAVERA 1941
Cara nonna, come stai?
L’anno prossimo cambierò scuola, spero di poter
andare alle superiori. Ho tantissimo da studiare, non
riesco quasi più a giocare per strada. Presto avrò un
nuovo vestito, è terribilmente difficile trovare la
stoffa e per averla ci vogliono tantissime tessere.
Hanneli è malata, a scuola non è affatto brava come
me, è rimasta molto indietro, e io non sono certo la
migliore. Adesso due volte la settimana va da lei un
signore per aiutarla a recuperare. Papà ha tanto
lavoro in ufficio, presto si trasferisce perché sul Singel
ha troppo poco posto. Abiterà in Prinsengracht e così
andrò a prenderlo molto spesso alla fermata del tram.
Sono contenta di dormire con papà, però preferirei
dormire al piano di sotto per un motivo diverso e che i
tempi fossero di nuovo normali. Sto facendo un
maglioncino ai ferri, è un modello molto carino ma
anche facile. Farò uno schizzo alla fine di questa
lettera. Sono sempre sei dritti e sei rovesci fino a fare
un quadratino. Ho i capelli abbastanza lunghi, ma
l’avrete visto sulla foto. Papà e mamma vogliono
farmeli tagliare, io invece preferisco lasciarli
crescere. Voi come state? Mi piacerebbe tanto vedere
Bernd sul ghiaccio una volta, speriamo che sia prima
di quanto tutti pensiamo! Al corso di francese sono la
migliore, anche lì ci danno i voti, ma solo prima delle
vacanze autunnali. Il corso di ebraico al momento è
sospeso e anche in inverno non credo di poterci
andare perché dovrei tornare a casa al buio e non mi
piace e non mi lasciano nemmeno. Ho un
apparecchio in bocca per regolare i denti. Adesso
devo andare dal dentista tutte le settimane e il giorno
dopo si leva. Sono già otto settimane e naturalmente
lo trovo molto noioso. Adesso devo smettere di
scrivere perché devo andare a letto.
Tanti saluti a zio Erich, zia Lenie, Stephan, Bernd e
nonna Ida, e ancora tanti bacetti a te dalla tua Anna
©Einaudi 2015, Anne Frank Fonds, Basel
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I RITRATTI
AL CENTRO DELLE PAGINE, DA SINISTRA, I RITRATTI DI ANNA DAI SEI AI TREDICI ANNI (’35,
’36, ’37, ’39, ’40 E ’42). QUI A SINISTRA IN ALTO UNA LETTERA ALLA NONNA PATERNA ALICE
(NELLA FOTO A DESTRA) DEL DICEMBRE 1936. E, PIÙ IN BASSO, UNA DEDICA ALL’AMICA
DINIE NELL’ALBUM DEI RICORDI DEL 1940. IN ALTO UNA PAGINA DEL SUO “LIBRO
DELL’EGITTO”; UNA DAL DIARIO DEL12 GIUGNO 1942; L’ULTIMA PAGINA DEL DIARIO:
1 AGOSTO 1944. ANNA MORIRÀ NEL LAGER DI BERGEN-BELSEN NEL MARZO 1945
Repubblica Nazionale 2015-03-29
LA DOMENICA
la Repubblica
DOMENICA 29 MARZO 2015
32
La storia.Onde lunghe
Sosdalla radio
dei poveri cristi
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
DOMENICA 29 MARZO 2015
33
Il 25 marzo 1970 in un piccolissimo paese della Sicilia occidentale
nacque la prima radio libera d’Italia.A inventarla fu un sociologo
di Trieste, Danilo Dolci. Lui e i suoi amici volevano dare voce a chi voce
non aveva. Durò poco: ventisei ore. Ma c’è chi se la ricorda ancora
LE IMMAGINI
ATTILIO BOLZONI
©NINO SGROI-FRANCO LANNINO/STUDIO CAMERA
T
UTTO È COMINCIATO CON L’ACQUA che i signori del latifondo e i loro
campieri volevano solo per sé. Poi il terremoto del Belice del
‘68, trecentosettanta morti, settantamila sfollati, Gibellina e
Salaparuta rase al suolo, paesi che non esistevano più. Accampati ancora nelle tende — e pochi fortunati nelle baracche
di lamiera — dopo due anni di vita grama i superstiti sentirono improvvisamente una voce da brivido: «Qui parlano i poveri
cristi della Sicilia occidentale...». Pino si ricorda che «era verso
l’imbrunire», la sera quella del 25 marzo, l’anno il 1970. Forse
fu lui a sollevare la pesante leva di ferro o forse Franco Alasia
che era seduto lì accanto, tutti e due chiusero gli occhi, trattennero il respiro e nell’etere si diffuse la voglia di rivolta della prima radio libera italiana. Mandava segnali da Partinico, ventinove chilometri da Palermo e settantuno da Trapani, vigne e miseria, boss e contadini, padroni e servi. In modulazione di frequenza sui 98,5 megahertz e in onde corte sui 20,10, la trasmissione clandestina durò ventisei ore. Ventisei ore di libertà. Poi arrivarono i carabinieri.
In questo 2015 che celebra il quarantesimo compleanno delle emittenti private bisogna
fare un salto indietro di cinque anni e scendere molto più giù di Parma o Bologna o di Biella, più giù di Milano e Roma, per scoprire che sui tetti di una costruzione ottocentesca, Palazzo Scalia — a pochi metri dalla piazza dove un paio di mesi prima Damiano Damiani aveva girato Il giorno della civetta — c’era un’antenna. E al primo piano c’era qualcuno, barricato in una stanza con cento litri di gasolio per alimentare un generatore.
La radio appena accesa, le zaffate di nafta che soffocavano l’aria, l’eccitazione del proibito e un po’ di paura. «Pensavamo che a un certo punto staccassero l’energia elettrica e ci
eravamo premuniti del carburante per potere continuare la nostra trasmissione comunque», racconta Pino, Pino Lombardo, che allora aveva trent’anni ed era un emigrante
di ritorno dal Venezuela dove aveva fatto il
SOS. SOS.
maestro, insegnato italiano, venduto scarQUI PARLANO
pe e macellato polli. È passato quasi mezzo
I POVERI CRISTI
secolo ma nella sua memoria è come se tut- DELLA SICILIA
to fosse avvenuto ieri: «Io e Franco eravamo OCCIDENTALE.
dentro, Danilo era fuori su un palco in mez- SOS. SOS.
zo alla folla, è successo in un attimo ma era SICILIANI, ITALIANI,
iniziato molto, molto tempo prima».
UOMINI DI TUTTO IL MONDO
Pino Lombardo e lo studente-operaio di ASCOLTATE: SI STA
Sesto San Giovanni Franco Alasia, i due “al- COMPIENDO UN DELITTO
lievi” che avevano seguito Danilo Dolci nel- ASSURDO. SI LASCIA
la comunità-laboratorio “Borgo di Dio” a SPEGNERE UNA INTERA
Trappeto, l’uomo di confine venuto da Trie- POPOLAZIONE.
ste nella Sicilia più povera e prigioniera, uto- LA POPOLAZIONE
pista di mestiere, sociologo, pedagogo, filo- DEL BELICE, DELLO JATO
sofo, pacifista e musicista, agitatore socia- E DEL CARBOI,
le, scrittore, giornalista, poeta. E inventore LA POPOLAZIONE
della prima radio d’Italia che non era la Rai. DELLA SICILIA
«Qui parlano i poveri cristi della Sicilia CHE NON VUOLE MORIRE.
Occidentale...».
NON SI PUÒ VIVERE
L’idea Danilo Dolci ce l’aveva da qualche NELLE BARACCHE.
anno, quando avevano innalzato una gran- LO STATO ITALIANO
de diga. Ma le valli dello Jato, del Carboj e del HA SPRECATO MILIARDI,
Belice erano sempre a secco. Sete di acqua e A QUEST’ORA LA ZONA
di giustizia. Così iniziò a immaginarsi una POTEVA ESSERE
radio che poteva dare voce a chi non l’aveva. RICOSTRUITA CON CASE
Sapeva che era fuorilegge, un giorno pensò VERE, STRADE, SCUOLE,
perfino di installarla su un barcone che OSPEDALI. DI BUROCRAZIA
avrebbe navigato al largo dell’isola, in alto SI PUÒ MORIRE.
mare, fuori dalla sovranità dello Stato ita- GALLEGGIANO I PARASSITI,
liano. Però, dopo il terremoto catastrofico, GLI IMBROGLIONI,
dopo i morti e il saccheggio sui fondi della ri- GLI INTRIGANTI, I PAROLAI.
costruzione (le ruberie italiche sulle trage- I POVERI CRISTI
die hanno radici lontane, ben prima dell’A- VANNO A LAVORARE
quila e dell’Emilia e dell’Irpinia), Danilo OGNI GIORNO
capì che bisognava «accendere» subito la ra- ALLE QUATTRO
dio della «nuova resistenza».
DEL MATTINO
Studiarono tutto nei dettagli e in gran se25 MARZO 1970, ORE 17.31
greto. Franco Alasia si mise in contatto con
INIZIANO LE TRASMISSIONI
alcuni amici del Nord per procurarsi le apDI “RADIO LIBERA DI PARTINICO”
parecchiature e imparare a usarle, Pino
Lombardo e l’antropologo Antonino Uccello raccolsero con un registratore le interviste ai disperati abitanti della Valle del Belice e ai loro sindaci. All’ultimo momento il
profeta triestino inviò una lettera al Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat,
al Presidente del Consiglio Mariano Rumor
e al ministro dell’Interno Franco Restivo,
informandoli di ciò che stava accadendo in
un piccolo comune siciliano chiamato Partinico: «Signori, nessuna casa, neppure una
sola casa lo Stato italiano è stato capace di
costruire in più di due anni… Assumendo la
responsabilità dell’iniziativa specifico: ogni
cura abbiamo preso affinché sul piano tecnico radiofonico questa trasmissione non
sia di nocumento ad alcuno... Impedire in
qualsiasi modo l’ascolto della voce dei più
sofferenti sarebbe un delitto, una crudeltà
senza senso...». Un’altra lettera aveva come
destinatari le Forze dell’Ordine. Poche righe, gli anni erano quelli delle cariche e in
Sicilia tutti se la ricordavano bene la sbirraglia di Mario Scelba: «Risponderete, personalmente come Organi al servizio del bene
comune, di ciascuno dei vostri atti: di fronte
alla coscienza della popolazione della zona,
dell’Italia e del mondo intero».
Alle 17.31 la piazza di Partinico era gremita, un corteo aveva attraversato il corso
principale «a sostegno delle genti delle zone
terremotate». Poi Dolci fece un cenno e le
voci dei «poveri cristi» riecheggiarono in
tutta l’isola.
Pino Lombardo — che oggi vive a Santa
Ninfa — è rimasto il solo testimone (Alasia
se n’è andato nel 2006, Dolci nove anni prima) di quella straordinaria avventura di radio libera, quattro ore di messaggi ripetuti
in modulazione di frequenza per i siciliani e
in onde corte «per tutto il mondo», in italiano e in lingua inglese, denunce e accuse alternate da musiche di Alessandro Scarlatti
e da una canzone, La Sicilia camina, di Ignazio Buttitta. L’ultima voce recitava l’articolo 21 della Costituzione: «Tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero con
la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Pino e Franco Alasia hanno resistito per
un giorno e una notte e altre due ore ancora;
la radio, un tavolino di legno, due sgangherate sedie. Poi hanno sentito rumore di ferri, visto le luci violente dei fari, fuori c’erano
poliziotti e carabinieri che avanzavano, davanti a loro una squadra di vigili del fuoco.
«Prima hanno rotto con la tenaglia il lucchetto di un cancello, poi hanno sfondato la
porta al primo piano del Centro studi di Palazzo Scalia e hanno ordinato di interrompere le trasmissioni», ricorda Pino ricostruendo ogni attimo di quel finale spericolato. Non furono arrestati: «Ci chiesero i documenti per l’identificazione di rito, secondo me non ci trascinarono in caserma perché ebbero paura della folla là fuori, pronta
a far barriera nel caso che ci avessero portati via». A Partinico arrivarono molti messaggi di amicizia. Dalla Norvegia, dagli Stati Uniti, dalla Germania, dall’Abbé Pierre
fondatore di Emmaus e da Ernesto Treccani. Scrisse anche Italo Calvino: «A vegliare a
Partinico stanotte è la coscienza d’Italia,
una coscienza che è per così poca parte rappresentata dalla classe dirigente, e che è
amaro privilegio dei poveri».
E poi, poi come è finita? «Un pretore sequestrò la radio, Franco Alasia e io fummo
denunciati, condannati e amnistiati». Il reato: violazione delle norme del codice postale. Qualche mese dopo la sentenza di Cassazione — era il 1973 — ai due che stavano
dentro Palazzo Scalia fu restituita l’apparecchiatura, il generatore elettrico e anche
i fusti con dentro i cento litri di gasolio. Ma
ormai Radio Libera di Partinico aveva scritto la storia. Quella che non capirono mai i
tanti nemici di Danilo Dolci. Come quel porporato che, fra un’abbuffata e l’altra nella
tenuta della Favarella di Michele Greco detto “il papa della mafia”, tra i mali della Sicilia includeva (oltre a Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa «motivo di diffamazione dell’isola») anche «il pubblicista
triestino Danilo Dolci». Scriveva Sua Eminenza Ernesto Ruffini, cardinale di Palermo
e amministratore apostolico di Piana degli
Albanesi: «Tengo d’occhio l’elenco delle sua
gesta, che non specifico per non scendere a
particolari incresciosi. Basti dire che dopo
più di dieci anni di pseudo-apostolato questa terra non può vantarsi di alcuna opera
sociale di rilievo che sia da attribuirsi a lui».
UNA RADIO,
DUE ALTOPARLANTI,
UN TAVOLO
E QUALCHE SEDIA:
È IL MARZO 1970,
DANILO DOLCI
(1924 - 1997)
CONTINUA
LE TRASMISSIONI
NELLA PIAZZA
ANTISTANTE
IL “CENTRO STUDI
E INIZIATIVE”
DA LUI FONDATO
A PARTINICO
(PALERMO).
IN BASSO,
NELLA FOTO
PICCOLA,
IL MOMENTO
IN CUI POLIZIA
E CARABINIERI
FANNO IRRUZIONE
NELLA SEDE
DELLA “RADIO
LIBERA
DI PARTINICO”
A PALAZZO SCALIA.
LE FOTO VENNERO
SCATTATE
DA NINO SGROI
REPUBBLICA.IT
SUL SITO
SI POSSONO
ASCOLTARE
LE VOCI
DI “RADIO LIBERA
DI PARTINICO”.
IL CD DA CUI
SONO TRATTE
FU PRODOTTO
DA AMICO DOLCI
NEL 35ESIMO
ANNIVERSARIO
DELLA
TRASMISSIONE.
I DOCUMENTI
SONORI
(ARCHIVIATI A CURA
DELL’ISTITUTO
ERNESTO
DE MARTINO) SONO
ACCOMPAGNATI
DA SCRITTI
RACCOLTI
IN UN OPUSCOLO
DAL “CENTRO
PER LO SVILUPPO
CREATIVO
DANILO DOLCI”
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 29 MARZO 2015
34
L’immagine. Da favola
I disegni per l’infanzia sono sempre più
belli e difficili. Troppo? Mentre a Bologna
i migliori si mettono in mostra, abbiamo
girato la domanda a un grande illustratore
FABIO GAMBARO
PARIGI
«I
L MONDO DEL LIBRO PER L’INFANZIA è diventato un laboratorio
per nuovi linguaggi e nuove forme, una zona di resistenza
all’estetica formattata che domina l’universo audivisivo».
Lorenzo Mattotti, grande illustratore italiano, da molti anni trapiantato a Parigi, guarda le illustrazioni “per bambini”, appunto, che saranno esposte in questi giorni alla
“Children’s Book Fair” di Bologna. L’autore di Fuochi e
Stigmate si è spesso rivolto anche ai più piccoli, per esempio con Eugenio o Le avventure di Barbaverde, o illustrando grandi classici come Pinocchio, Hänsel e Gretel,
Aladino e la lampada meravigliosa. «Una volta i libri per i
bambini avevano tratti e colori molto semplici. Oggi, invece, come dimostrano molti di questi disegni, sono sempre più elaborati e raffinati, anche
perché gli illustratori sono sempre più bravi», spiega il disegnatore che sta lavorando a un
film d’animazione in 3D tratto da La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Dino Buzzati. «È
una tendenza che si è imposta negli ultimi vent’anni, prima in Francia, poi nel resto del mondo. A poco a poco, la letteratura per l’infanzia ha conosciuto una significativa evoluzione nella stilizzazione di personaggi e paesaggi, nelle tecniche e nell’uso dei colori. Quando ero piccolo, le immagini dei libri per l’infanzia erano codificate, semplici, didascaliche. Direi che
miravano a una sorta di naturalismo per bambini. Oggi, e devo dire per fortuna, gli illustratori si sono emancipati da questo realismo didascalico. Cercano piuttosto di sviluppare e liberare la fantasia dei piccoli lettori, proponendo loro immagini originali da reinterpretare
e reinventare. L’illustrazione è diventata così un appello alla libertà dell’immaginario per
abituare i bambini alla varietà delle rappresentazioni della realtà e delle simbologie delle
immagini».
Ma non c’è il rischio che per i più piccoli questi disegni siano troppo difficili e complicati?
«Non credo, anche se certo non mancano immagini che possono apparire loro incomprensibili e astratte. Naturalmente ciò dipende sempre da come le singole illustrazioni si articolano all’interno della storia. Un
disegno può essere molto elaborato, ma perfettamente funzionale al racconto. L’importante è che le immagini, anche complicate,
siano necessarie allo sviluppo della narrazione e non fini a se stesse. Solo così diventano un’occasione di scoperta. Per quanto riguarda la percezione visiva, i bambini sono
molto più aperti e ricettivi di quanto non
s’immagini. Occorre però riuscire a entrare
nel loro mondo».
Un autore deve pensare al punto di vista
del bambino?
«È una questione molto dibattuta. Io penso che occorra sempre fare lo sforzo di farsi
capire, cercando di adottare i loro codici. Ci
sono autori che ci riescono in modo naturale, io invece devo sforzarmi molto. Saper entrare naturalmente nel mondo dei più piccoli è una dote che non ho. Quindi, quando
mi rivolgo loro, tutta la difficoltà consiste nel
riuscire a ritrovare immediatezza, spontaneità e leggerezza, pur senza rinunciare alla
profondità del mio lavoro. Per esempio,
quando ho creato Le avventure di Barbaverde mi sono sforzato di usare tipologie e codici molto semplici, anche se le storie erano forse più elaborate di quanto sembrasse a prima vista».
All’opposto c’è invece il suo Hänsel e Gretel, un libro molto cupo, tutto in bianco e
nero, che non sembra preoccuparsi molto
dei piccoli destinatari...
«In effetti, non l’ho fatto per i bambini, ma
pensando ai miei ricordi di bambino quando
ascoltavo quella storia. Ho cercato di riprodurre le emozioni di allora, sentendomi completamente libero nella rappresentazione.
In realtà poi ho scoperto che queste immagini inquietanti possono affascinare moltissimo anche i bambini, perché scatenano il loro immaginario e la loro fantasia. E poi perché i bambini hanno bisogno di confrontarsi con la paura, con il dramma e il mistero. Ed
è sempre meglio farlo a casa, con una storia
letta dai genitori, piuttosto che in strada di
fronte a un pericolo vero».
Secondo lei con i bambini si può affrontare qualsiasi argomento?
«Penso di sì, basta trovare i modi e il linguaggio giusti per farlo. Forse è anche per
questo che spesso preferisco partire dai classici, cercando ogni volta una soluzione originale adeguata alla storia. Oggi molti autori
per l’infanzia sentono il bisogno di affrontare i temi sociali ed essere politicamente corretti, alla fine però prevalgono storie troppo
serie, un po’ tristi e grigie. Più che per i bambini, sembrano storie fatte per genitori. Naturalmente è giusto affrontare questi temi,
ma occorre fare in modo che le storie restino
Ma i bambini
li guardano?
Lorenzo Mattotti.Non importa
quanto siano complicati e astratti
Importa quanti mondi aprano
sempre una finestra spalancata sull’immaginazione. Purtroppo il libro per l’infanzia si
rivolge ai bambini ma contemporaneamente anche agli adulti, visto che poi sono loro a
scegliere quali libri acquistare per i loro figli.
E talvolta questo doppio destinatario diventa una trappola, perché si rischia di privilegiare inconsciamente gli adulti».
Quanto pesa sul lavoro degli illustratori
l’estetica dominante dell’universo audiovisivo?
«Questa estetica ha colonizzato il nostro
immaginario in maniera insidiosa, il che
spiega un certo appiattimento della produzione generale. Per questo bisogna offrire ai bambini le esperienze estetiche più
diverse, arricchendo il loro sguardo e liberandoli dagli stereotipi, magari anche
sfruttando tradizioni grafiche e narrative
locali. Al contempo però occorre evitare di
cadere in una prospettiva troppo elitaria.
Bisogna imparare a spettacolarizzare il
proprio mondo originale, renderlo affascinante ai più, anche sfruttando le regole dello spettacolo. È quello che sto cercando di
fare con le immagini del film che sto preparando da La famosa invasione degli orsi
in Sicilia: lì vorrei rivolgermi a tutti, a grandi e piccoli, proponendo qualcosa di diverso e al contempo di spettacolare. Vedremo
se ci riuscirò».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
DOMENICA 29 MARZO 2015
35
Solo gli innocenti
trovano il mistero
nell’ordinario
MILTON GLASER
I DISEGNI
A PRIMA DIFFICOLTÀ che incontra chi vuole
raccontare una storia attraverso le
immagini è quella di organizzare queste
immagini in un flusso narrativo capace di
far scorrere il racconto senza confondere
il lettore. Questo si chiama “livello minimo di
professionalità” e non è necessariamente una meta
che, personalmente, mi prefiggo. Ma c’è un altro
aspetto nella sfida, e consiste nel produrre qualcosa
il cui contenuto poetico amplifichi o estenda il
racconto stesso in un’esperienza simbolica che
stimoli la mente.
Già, ma se poi chi vuole raccontare una storia
attraverso le immagini la vuole raccontare a un
bambino e non a un adulto le cose cambiano? Per
questo interrogativo cosmico non ho che una
risposta generica. Suppongo che l’innocenza dei
bambini permetta loro di sperimentare il mondo
con un minor bagaglio di aspettative e convinzioni
rispetto agli adulti. Di conseguenza, almeno dal
punto di vista ideale, sono più aperti e pronti ad
accettare l’ambiguità. Gli adulti, invece, vivono ogni
esperienza convinti di aver già capito il mondo. Il
che è un grosso ostacolo. Potranno mai cogliere
l’aspetto misterioso dell’ordinario?
L
A SINISTRA “LE NOTTI”
DI KYOUNGMI AHN
(SUDCOREA), SOTTO
“IL BANCHETTO” DI MARIA
FLORENCIA CAPELLA
(ARGENTINA) E, SOPRA
IL TITOLO, “EGO”
DI SANGSUN AN
(SUDCOREA).
AL FONDO DELLA PAGINA,
IN BIANCO E NERO,
UN DISEGNO
DALL’“HÄNSEL E GRETEL”
DI LORENZO MATTOTTI
LA MOSTRA
QUI SOPRA “UN PROBLEMA IMPORTANTE”
DI WON HEE JO (SUDCOREA); SOTTO “LA PISCINA”
DI VERONIKA KLIMOVA (SLOVACCHIA);
IN BASSO A DESTRA “LA MIA CITTÀ”
DI RYO TAKEMASA (GIAPPONE) E IN BASSO
A SINISTRA “BALLA COI LUPI”
DI FRANCO GIUSTOZZI (ITALIA). TUTTI I DISEGNI
PUBBLICATI IN QUESTE PAGINE (TRANNE QUELLO
DI LORENZO MATTOTTI) SARANNO IN MOSTRA
ALLA CHILDREN’S BOOK FAIR DI BOLOGNA
DA DOMANI A GIOVEDÌ 2 APRILE E PER LA PRIMA
VOLTA RACCOLTI NELL’“ILLUSTRATORS ANNUAL
2015” EDITO DA CORRAINI (192 PAGINE, 35 EURO)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 29 MARZO 2015
36
Spettacoli. XXX
HIDEOUT IN THE SUN (1960)
DI DORIS WISHMAN
GOLA PROFONDA (1972)
DI GERARD DAMIANO
DUE FRATELLI RAPINANO
UNA BANCA E SI RIFUGIANO
IN UN CAMPO NUDISTA.
LA NOVITÀ È CHE A DIRIGERE
UN FILM CON UOMINI E DONNE
NUDI È PER LA PRIMA VOLTA
UNA DONNA. CHE DOPO AVER
GIRATO VARI “SEXPLOITATION”
DIRIGE ANCHE VERI PORNO
COME “SATAN WAS A LADY”
LA RICERCA DELL’ORGASMO
DA PARTE DI LINDA: TEMATICA
FEMMINISTA PER IL FILM
CHE SDOGANÒ IL PORNO
CREANDO UN CASO MONDIALE.
MOLTO MENO FEMMINISTA
IL MARITO DI LINDA LOVELACE,
CHUCK TRAYNOR CHE, PARE,
LA COSTRINSE CON LA FORZA
A RECITARE LA PARTE
ERIKA LUST
P
ER SPIEGARE in due parole cosa faccio dovrei
dire: “Sono una pornografa femminista”.
Ma non è semplice
usare il termine “femminista” e neppure il
termine “pornografa”. Tanto meno associarli. Molto tempo fa,
infatti, ci convinsero a
pensare che essere
femminista equivalesse a essere contro la pornografia. Quello che vorrei dimostrare io con il mio
lavoro, invece, è che il porno ha un aspetto assolutamente femminista. E che il problema non è il
porno in sé, ma come viene fatto.
Sono una femminista, dunque, ma non temete: non c’è nulla di cui avere paura. Si tratta semplicemente di riconoscere un dato di fatto, ossia
che gli uomini e le donne ancora oggi non godono
di pari diritti e opportunità. Definendomi femminista dichiaro semplicemente di avere coscienza di questa differenza strutturale e di volermi impegnare perché le cose migliorino. Tutto qua. Molto più difficile spiegare in che senso mi
consideri una pornografa. Se per pornografia si
intende la rappresentazione esplicita della sessualità, allora non c’è dubbio, sono una pornografa. Le mie opere contengono materiale sessualmente esplicito. Molto esplicito. Però i miei
film hanno poco in comune con quelli che normalmente definiamo porno. E questo perché
quella del porno è un’industria fortemente maschile, caratterizzata da un’estetica rozza, come rozza è la rappresentazione del desiderio.
Inoltre manca totalmente
di fantasia e, di conseguenza, riproduce stereoti-
pi. Nel mio caso preferisco dunque non parlare di
“film porno” ma di “film erotici” o di “intrattenimento per adulti”. Così facendo però si può correre il rischio di generare altri equivoci. Il fatto
che io sia una regista donna e che preferisca usare una terminologia piuttosto soft potrebbe far
pensare che anche i miei film siano soft oppure
che possano — addirittura — ammantare di romanticismo la sessualità. Insomma, possono dare l’idea che la mia sia semplicemente una versione soft, romantica e femminile del porno maschile, più hard e più diretto. Niente di più sbagliato, anzi, credo proprio che pensare questo significhi ricadere in un altro stereotipo ancora.
È per dimostrare quanto il porno possa avere
aspetti molto femministi che perseguo il mio
obiettivo principale: aprire il settore alle donne.
Mi riferisco ai ruoli di potere: non solo attrici o
truccatrici, ma sceneggiatrici, registe, produttrici. Questo è il primo passo, poi cambieranno anche i risultati, cioè le immagini, i film. Non però
con l’obiettivo di accostare al porno maschile una
versione femminile, ma per completare il porno
tradizionale con un ventaglio di rappresentazioni diverse. Il soggetto femminile etero vuole soddisfatto il
suo desiderio. È un processo
di democratizzazione che
porrà anche fine all’esiguità che caratterizza
l’offerta per gli uomini
etero. Del resto anche
agli uomini ormai viene a noia il porno standard, di massa, e non è
un segreto che il porno
contemporaneo dia
delle donne un’immagine molto limitata. Per
me si tratta quindi di iniziare a mostrare le
donne come
soggetti
indipendenti, dotati di autodeterminazione rispetto al desiderio. Donne che conducono il gioco, prendono l’iniziativa e si divertono a vivere fino in fondo la propria sessualità. Ovviamente
ogni donna si eccita in maniera diversa. Bisogna
solo dar loro l’opportunità di esprimersi ed essere ascoltate. E per ottenere questo risultato, vi assicuro, si può fare di meglio che tenere con una
mano la videocamera e con l’altra tirarsi giù i pantaloni. Il pubblico è stanco della scopata sportiva,
del sesso meccanico in location di terz’ordine, di
riprese mediocri su set ridicoli oltre ogni immaginazione. La gente vuole vedere sesso realistico,
situazioni che avrebbero potuto accadere anche
a loro. Vogliono
protagonisti
veri, che somiglino al
BEHIND THE GREEN DOOR
(1972)
DI ARTIE E JIM MITCHELL
L’INIZIAZIONE SESSUALE
DI UNA FANCIULLA
INTERPRETATA DA MARILYN
CHAMBERS. IN QUESTO FILM,
CHE INCASSÒ DECINE
DI MILIONI DI DOLLARI
ED È DIVENTATO UN CULT,
C’È LA PRIMA SCENA DI SESSO
INTERAZZIALE DEL CINEMA USA
bel ragazzo della porta accanto o alla ragazza che
incontri sempre alla fermata dell’autobus ma a
cui non hai mai avuto il coraggio di rivolgere la parola. Per fare questo tipo di cinema serve un grande impegno a livello di sceneggiatura, di casting,
di location, di arredamento, abiti, trucco e così
via. E, ovviamente, conta anche la trama. Certo,
nel porno vogliamo vedere gente che scopa, ma
per avere sott’occhio dei genitali basta aprire un
libro di biologia, mentre per una sveltina ci sono
i video amatoriali di due minuti. Su internet abbondano. Un film porno, invece, deve essere innanzitutto un film nel pieno senso del termine: come si sono conosciuti i protagonisti? come si sono
ritrovati a vivere la loro avventura erotica? In
quest’ambito tutto è permesso e tutto è possibile. L’unico limite che mi pongo nel rappresentare
realisticamente fantasie femminili etero è racchiuso nel concetto “sicuro, sano e consensuale”.
Nel porno mancava esattamente tutto questo. E chi lo avrebbe mai fatto se non avessi provato io stessa? Così girai il mio primo corto, The
Good Girl, per conto mio. Lo mostrai anche alla casa di produzione per cui lavoravo ma mi
accorsi subito che loro volevano solo appiccicare l’etichetta “porno per donne” ai loro i
prodotti per vendere la solita vecchia robaccia a un mercato nuovo. Così, sette anni fa,
ho fondato una mia società. Pensavo che
non avremmo mai potuto reggere la concorrenza. E invece abbiamo costruito
un’attività fiorente. Pensavano che il porno fosse territorio solo dei maschi. Noi invece abbiamo conquistato un nuovo
continente.
Traduzione di Emilia Benghi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
IL FESTIVAL
IL TESTO DI ERIKA LUST
(NELLA FOTO GRANDE)
È TRATTO DA “PORN
AFTER PORN”
DI ENRICO BIASIN,
GIOVANNA MAINA
E FEDERICO ZECCA
(MIMESI INTERNATIONAL,
346 PAGINE, 26 EURO)
PRESENTATO
AL FILMFORUM FESTIVAL
DI UDINE/GORIZIA
CHE HA ANCHE OSPITATO
FEONA ATTWOOD
E CLARISSA SMITH,
EDITORS DELLA RIVISTA
INTERNAZIONALE
“PORN STUDIES”.
(WWW.FILMFORUM
FESTIVAL.IT)
© ERIKA LUST FILMS
DOMANI
IN REPTV NEWS
(ORE 19.45, CANALE 50
DEL DIGITALE
E 139 DI SKY)
ELENA STANCANELLI
RACCONTA IL NUOVO
CINEMA PORNO
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
DOMENICA 29 MARZO 2015
EMMANUELLE (1974)
DI JUST JAECKIN
FEMME (1984)
DI CANDIDA ROYALLE
TRATTO DAL ROMANZO
OMONIMO DI EMMANUELLE
ARSAN, IL FILM RACCONTA
LE AVVENTURE EROTICHE
DI UNA DONNA DELL’ALTA
BORGHESIA E DIVENTA
NEGLI ANNI ’70 UN SIMBOLO
DELL’EMANCIPAZIONE
FEMMINILE.
INNUMEREVOLI I SEQUEL
È TRA I PRIMI HARD CHE
CONSAPEVOLMENTE CAMBIA
PROSPETTIVA: FILM PORNO
PER DONNE GIRATI DA DONNE.
CANDIDA ROYALLE, CHE FA
ANCHE PARTE DI UN GRUPPO
FEMMINISTA, È LA PIONIERA
DEL GENERE: EX ATTRICE,
NEL 1980 FONDA LA CASA
DI PRODUZIONE FEMME FILMS
Erika Lust
THE SLUTS AND GODDESSES
VIDEO WORKSHOP (1992)
DI ANNIE SPRINKLE
UN DOCUMENTARIO-SHOW
PER IL “SELF EMPOWERMENT”
DELLA DONNA DALLA PORNOFEMMINISTA UNDERGROUND
AMERICANA ANNIE SPRINKLE.
CHE È ANCHE ATTRICE
E REGISTA DI SHOW COME
“POST PORN MODERNIST”
E “HERSTORY OF PORN”
BAISE MOI (2000)
DI VIRGINIE DESPENTES
USCITO ANCHE IN ITALIA
CON IL TITOLO “SCOPAMI”,
FECE DISCUTERE
IN FRANCIA E NON SOLO
PER LE SUE SCENE BRUTALI
DI STUPRO E RABBIOSA
VENDETTA. L’AUTRICE,
EX PUNK, EX PROSTITUTA
SI DEFINISCE
“ANARCO-FEMMINISTA”
Che cosa
cambia
Faccio
film
S
porno
e
femministi
ELENA STANCANELLI
“Mettete una donna
alla macchina da presa
e vedrete che le due cose
non sono incompatibili”
La più famosa regista
di cinema hard racconta
la rivoluzione di un genere
37
Ì, MA QUAL È LA DIFFERENZA?
Quando nacque il progetto “Le
ragazze del porno”, i maschi
non capivano. Volete girare
corti pornografici al femminile,
d’accordo, ma qual è la differenza col porno
tradizionale? Piccola pausa: comunque,
posso partecipare? La sola espressione
“pornografia femminile” provoca
scetticismo ed eccitazione. Si pensa che
quello del porno sia un linguaggio codificato
e immutabile, perché senza quegli obbligati
passaggi, non serve, non funziona. E le
donne non potrebbero che renderlo più
romantico e meno zozzo — grandissimo
equivoco, basta guardare uno qualsiasi dei
film diretti da Belladonna. Quindi: esiste un
porno femminile, e come lo si riconosce? La
questione è mal posta. Direi piuttosto che
esiste da una parte un porno tradizionale —
legato all’industria, alle star come Rocco
Siffredi o Moana Pozzi — dall’altra un porno
più moderno, definitivo variamente “Alt”
(Alternative), o Indie, o post-porno. E al
quale le donne partecipano in maniera
molto più attiva, in tutti i ruoli. Se ne
comincia a parlare nel 1972, quando escono
Gola Profonda e Behind the Green Door. Del
primo sappiamo quasi tutto, l’altro, con la
regia dei fratelli Mitchell, protagonista
Marilyn Chambers, è la storia
dell’iniziazione sessuale di una fanciulla.
Che tra decine di variazioni si accoppia pure
con un nero. Attenzione: si tratta della
prima scena di sesso interraziale non
simulata del cinema americano. I due film
furono proiettati nelle sale, come prodotti
mainstream, e incassarono decine di
milioni di dollari. L’orgasmo femminile si
fece protagonista. La seconda rivoluzione è
estetica. Cambia l’immagine della donna,
più magra e meno tettuta e cambia la scena:
compaiono gli hippy e il punk e il dark. E poi
il movimento LGBT e Queer, ma soprattutto
arriva internet. Il porno tradizionale va in
crisi, l’industria crolla di fronte all’offerta
continua, capillare e gratuita della rete,
mentre l’Altporn decolla. Nel 1992 Annie
Sprinkle (attrice porno, prostituta, editore
di riviste pornografiche, sex educator,
animatrice di seminari sulla sessualità...)
produce The Sluts and Goddesses Video
Workshop — Or How To Be A Sex Goddess
in 101 Easy Steps, una specie di docu-filmperformance su sesso e pornografia.
Qualche anno dopo Lars Von Trier fonda
PuzzyPower, casa di produzione per film
porno diretti da donne. L’inevitabile
manifesto dice sì al piacere femminile, no
alla violenza sulla donne (se non esplicitata
come una fantasia femminile), no ai primi
piani eccessivi sui genitali e no alla fellatio
(machista e coercitiva). Nel 2009 escono i
Dirty Diaries di Mia Engberg, finanziati dal
governo svedese. E infine Erika Lust, la più
soft, che ha scritto di sé: «Una delle mie
prime urgenze è creare un porno che mia
figlia possa vedere». Ed è solo l’inizio.
FIVE HOT STORIES FOR HER
(2007)
DI ERIKA LUST
È IL PRIMO LUNGOMETRAGGIO
DELLA LUST, CONSIDERATO
UN CLASSICO DEL PORNO
“ETICO”. TUTTA LA SUA OPERA
SI FOCALIZZA SU UN’IDEA
DI NUOVA PORNOGRAFIA
CHE METTA LE FANTASIE
FEMMINILI AL CENTRO
DEL FILM
THE JOY OF PORN: MY LIFE
AS A FEMINIST
PORNOGRAPHER (2009)
DI PETRA JOY
FILM-PROCLAMA DELLA JOY
(NELLA FOTO) CHE LAVORA CON
ATTORI NON PROFESSIONISTI,
NON MOSTRA ATTI
DEGRADANTI PER LA DONNA
E NON SI FOCALIZZA
SUI GENITALI COME NEL PORNO
MAINSTREAM MA SUI VOLTI
DIRTY DIARIES (2009)
DI MIA ENGBERG
È UN PROGETTO COLLETTIVO
DI TREDICI CORTOMETRAGGI
DI PORNOGRAFIA FEMMINISTA
INTERPRETATI DA ARTISTI
E ATTIVISTI SVEDESI BASATO
SU UN VERO E PROPRIO
MANIFESTO. È STATO
FINANZIATO IN BUONA PARTE
CON FONDI PUBBLICI
E HA VINTO DIVERSI PREMI
EXPERT GUIDE TO FEMALE
ORGASM (2010)
DI TRISTAN TAORMINO
LA PIÙ CELEBRE
TRA LE SUE “GUIDE”
ESTREMAMENTE ESPLICITE
SOTTO FORMA DI SAGGIO
O DI FILM. TRISTAN TAORMINO
HA TENUTO PER ANNI
UNA RUBRICA SUL SESSO
SUL “VILLAGE VOICE” ED È
NIPOTE DI THOMAS PYNCHON
INSIGHT (2015)
DI LIDIA RAVVISO E SLAVINA
NEL 2014 SULL’ESEMPIO
DEL MANIFESTO DEI “DIRTY
DIARIES” NASCE IN ITALIA
IL PROGETTO “LE RAGAZZE
DEL PORNO” CUI ADERISCONO
REGISTE COME ROBERTA
TORRE E ANNA NEGRI:
DODICI CORTOMETRAGGI
AUTOFINANZIATI. QUESTO
SARÀ IL PRIMO DELLA SERIE
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 29 MARZO 2015
38
Next.Altiss ma velocità
SERGIO PENNACCHINI
D
A LOS ANGELESA SAN
FRANCISCO in quarantacinque minuti e, in futuro, dalla
Grande Mela fino a
Pechino (passando dall’Alaska) in
due ore e mezza. In
treno, o qualcosa
di molto simile. Ecco il sogno di Elon
Musk, imprenditore seriale americano con una passione per la tecnologia e un sogno nel cassetto: costruire un treno
capace di muoversi a una velocità di oltre mille chilometri orari, con la promessa in futuro di arrivare fino a cinquemila chilometri all’ora. Il vulcanico
Musk, “il Tony Stark d ei nostri tempi” secondo il
Time, dopo aver rivoluzionato i pagamenti con
PayPal, scosso l’industria dell’automobile con l’elettrica Tesla e siglato un accordo con la Nasa per
portare astronauti nello spazio con il suo razzo
SpaceX, potrebbe stravolgere il modo in cui ci spostiamo con Hyperloop, un treno a levitazione magnetica che viaggerà dentro un tubo di vetro a bassa pressione, senza la resistenza dell’aria. Sembra
fantascienza o una boutade per farsi un po’ di pubblicità. Ma Musk ha intenzioni serissime.
«Per velocizzare lo sviluppo di Hyperloop, costruiremo un tracciato di prova» ha twittato il presidente di Tesla. Verrà realizzato vicino alla citta-
dina di Quay Valley, negli Stati Uniti, e sarà lungo
circa otto chilometri. Servirà a mettere alla prova
l’idea dell’imprenditore americano. Il treno è composto da capsule capaci di trasportare ventotto
persone, che siedono quasi sdraiate. Sui tubi saranno installati dei pannelli fotovoltaici. Il convoglio accelera lentamente per arrivare alla velocità
di crociera, in modo da proteggere al massimo il
comfort dei passeggeri. I “binari” saranno costruiti all’interno di speciali tubi di vetro a bassa
pressione: l’assenza quasi totale dell’aria annullerà la resistenza aerodinamica e permetterà a
Hyperloop di raggiungere velocità da fantascienza. Le carrozze si muoveranno grazie alla levitazione magnetica, una soluzione importante anche per la sicurezza perché garantirà sempre la
giusta posizione della capsula all’interno del tubo,
impedendole di toccare le pareti.
Hyperloop Transportation Technologies, la società fondata per portare a compimento la visione
di Elon Musk, conta di completare il tracciato e il
primo test entro il 2018. E non è l’unica a credere
nel treno “sottovuoto” come il mezzo di trasporto
più rapido del nostro futuro. Negli Stati Uniti infatti c’è chi promette di raggiungere velocità ancora superiori: la ET3 sta sperimentando una soluzione simile a quella di Hyperloop, con l’obiettivo di raggiungere una velocità di seimila e cinquecento chilometri orari. Quanto basta in teoria
per coprire la distanza dagli Stati Uniti alla Cina in
meno di due ore con un progetto che è per il momento solamente teorico, che prevederebbe il
passaggio attraverso un tunnel di novantuno chi-
lometri sullo Stretto di Bering tra Alaska e Russia
fino all’Asia.
Entrambi questi progetti sfruttano la levitazione magnetica. Una tecnologia che elimina l’attrito che si crea tra le ruote e i binari creando un
campo gravitazionale che di fatto solleva il treno
e lo fa scivolare in avanti. L’assenza di attrito con
i binari permette di raggiungere velocità nettamente superiori rispetto ai sistemi tradizionali.
Una soluzione antica, sperimentata già a inizio
Novecento negli Stati Uniti, ma che fino a oggi non
ha trovato molte applicazioni. Sono poche le tratte commerciali in cui già si usa, e sono tutte molto
brevi, come la linea che collega l’aeroporto internazionale di Pudong con Shanghai: circa trenta
chilometri a levitazione magnetica per il treno più
veloce del mondo con quattrocentotrentuno chilometri orari di velocità di crociera. «Il problema
della levitazione magnetica è che oltre certe velocità la resistenza dell’aria si fa troppo forte e il sistema diventa poco efficiente», scrive sul suo blog
il dottor Deng Zigang dell’università di Jiaotong,
in Cina. «A quattrocento all’ora l’ottantatré per
cento dell’energia prodotta viene sprecata per
colpa dell’aria che diventa sempre più densa». Il
dottor Zigang sta lavorando a un progetto simile
a quello di Hyperloop, denominato Super-Maglev, che si pone come alternativa per il trasporto
del futuro. «Per essere davvero efficienti e commercialmente vantaggiosi, i treni a levitazione
magnetica devono poter raggiungere velocità
molto superiori e l’unica strada possibile è ridurre al massimo la resistenza dell’aria viaggiando
dentro tubi a bassa pressione», conferma il dottor
Zigang.
In Giappone, però, non sono d’accordo. La Central Japan Railway Company ha da poco concluso
i primi test del nuovo Shinkansen a levitazione
magnetica, trasportando cento persone su un
tracciato di ventisette miglia alla velocità di oltre
cinquecento chilometri orari. L’obiettivo è collegare le città di Tokyo e Nagoya entro il 2027, per
poi allargare la rete “maglev” a tutto il paese sostituendo le linee esistenti e, di fatto, accorciando
i tempi di percorrenza del quaranta per cento.
Quando entrerà in servizio, sarà il treno più veloce del mondo con una velocità di crociera di cinquecentotré chilometri orari. Il Giappone potrebbe essere la prima nazione ad adottare la levitazione magnetica anche sulle lunghe distanze. Eppure, secondo Zidang, il punto non è tanto unire
Roma e Milano, per questo tipo di distanze il treno
è già oggi una valida alternativa all’aereo. «Quello che noi vogliamo fare è creare un treno in grado
di connettere continenti in poche ore, di viaggiare a velocità supersoniche per arrivare dal centro
di New York al centro di Londra. Con un mezzo di
trasporto che è più veloce, economico e rispettoso
dell’ambiente rispetto agli aerei», conclude. «Ci
vorrà del tempo, ma ci arriveremo».
Intanto toccherà accontentarsi del treno su binari. Per ora il più veloce del mondo è l’Agv della
Alstom, lo stesso utilizzato dalla compagnia italiana Italo. Raggiunge i trecentosessanta orari.
Ancora pochini...
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Chissà se ce la faranno mai gli ingegneri Usa
a realizzare davvero un treno tanto veloce
Certo è che il futuro non correrà su binari
ma a levitazione magnetica.Magari non per tutti
New YorkRepubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
39
INFOGRAFICA ANNALISA VARLOTTA
DOMENICA 29 MARZO 2015
STAZIONE
SI IPOTIZZA CHE POSSA PARTIRE UN TRENO
OGNI TRENTA SECONDI NELLE ORE DI PUNTA
Mi accontenterei
del Bologna-Modena
in 28 minuti
MICHELE SMARGIASSI
B
CAPSULA
LE CAPSULE CONTERRANNO 28 PERSONE
E VIAGGERANNO IN TUBI DA 2,23 METRI DI DIAMETRO
EH, CERTO, PIACEREBBE ANCHE A ME fare l’esperienza del trenosiluro, scivolare in quei tubi senza attrito come una supposta di
glicerina hi-tech, farmi risucchiare come uno stantuffo in un
concerto di fruscii dentro una capsula di posta pneumatica...
Se una cosa del genere si può ancora chiamare treno, avrei
pure qualche prelazione da vantare: secondo i miei calcoli prudenziali, ormai
ho viaggiato in treno per l’equivalente di sette giri del mondo, tra casa e
università, poi tra casa e lavoro. Ecco, sarebbe meglio se il fantatreno, invece
di scarrozzarmi da New York a Pechino, tratta che diciamo frequento un po’
poco, mi portasse semplicemente al lavoro, ogni giorno, lungo quei 40
chilometri che conosco a memoria. Ci metterebbe 28,8 secondi. Suvvia,
gliene concedo anche 30, per far cifra tonda. Ma questi sogni non possiamo
permetterceli noi pendolari, sono roba da trascontinentali, da ceto globale
business class. È per loro che il mondo viene deformato nelle sue relazioni
spazio-temporali, avvicinando New York a San Francisco più di Modena a
Bologna. Un mappamondo ridisegnato secondo i tempi di viaggio non
sarebbe più una sfera ma una mostruosità bitorzoluta dove gli spazi corti
sono i più lunghi e quelli lunghi si contraggono fin quasi a sparire. Li voglio
vedere, però, i businessmen appena scesi dai loro proiettili prendere un taxi
a Pechino e accorgersi che ci vuole più tempo a raggiungere l’albergo
nell’ora di punta che a fare il giro del mondo. Chissà poi se si può leggere un
libro, dentro la pallottola-treno, non saprei, se si può sonnecchiare
guardando il panorama dal finestrino, direi di no, chissà se l’ansia
dell’ipervelocità lascia il tempo di godersi quel tempo inutile del viaggio,
quello che gli ingegneri cercano affannosamente di far implodere, credendo
di farci un favore, per liberarci dal peso dell’inazione, mentre noi che ne
abbiamo perso tanto, di tempo, sui treni, abbiamo imparato che il tempo
inutile del viaggio è un tempo diversamente utile, guadagnato, strappato
all’agenda, un tempo che siamo costretti a dedicare a qualcosa che nel
tempo utile-utile non abbiamo il tempo di fare: anche solo parlare un po’ con
noi stessi. Ma no, lasciatemelo allora, questo tempo obbligato e liberato, non
li voglio i vostri 28,8 secondi, mi accontento dei 28 minuti da tabella dei miei
“regionali veloci” (che soave ossimoro), ecco, mi basterebbe che fossero
davvero quelli, e non diventassero 38, o 48, o 58, come accade quasi tutti i
giorni. “Trenitalia si scusa per il disagio”, mi basterebbe trovare un posto a
sedere in carrozze pulite, con bagni funzionanti e porte che si aprono. Lo so,
lo so, è fantascienza. Ma lasciateci sognare, noi pendolari incalliti, mentre
sonnecchiamo con la fronte appoggiata al finestrino di un treno superlento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
HYPERLOOP
L’HYPERLOOP HA L’OBIETTIVO
DI COLLEGARE NEL 2030 SAN FRANCISCO
A LOS ANGELES IN 35-45 MINUTI
(A 1220 KM/H DI VELOCITÀ MEDIA):
UN AEREO NE IMPIEGA OGGI 75
RENDERING DA OMEGABYTE 3D
- Pechino
2h 30’
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 29 MARZO 2015
40
Sapori. Globali
NEI SECOLI
ABBIAMO
SCOPERTO
L’INCREDIBILE
VARIETÀ
DEL PIANETA
DEGLI AROMI.
CHE IN PRIMAVERA
VIVONO IL LORO
MOMENTO D’ORO
MA OCCHIO
AGLI ABBINAMENTI
E ALLE MISTURE
L’appuntamento
Undicesima edizione
di “Formaggio & compagnia”
oggi a Collecchio, dove
le migliori produzioni della food
valley emiliana verranno
degustate e abbinate tra loro.
In passerella anche marmellate,
composte e mostarde declinate
con le spezie, dal pepe rosa
al cardamomo
I segreti delle spezie.
Dal curry al cardamomo
il difficile sta nel mix
LICIA GRANELLO
“A
NDANDO in chiesa e vedendo il sacro edificio di pietra, non
penserei d’un tratto ai pericolosi scogli che, solo a toccare sul fianco il mio gentile vascello, ne spargerebbero
tutte le spezie sui flutti vestendo delle mie sete le acque
ruggenti?”. A parlare è Salerio, amico di Bassanio e Antonio, protagonisti de Il mercante di Venezia di Shakespeare. Il Seicento è un momento d’oro per gli scambi
commerciali via mare, quando solo gli sconosciuti aromi
d’Oriente possono rivaleggiare in lusso e pregio con i tessuti e le pietre.
Oggi la democrazia del cibo porta sulle tavole di tutti
senape e cannella. Ma di spezie e aromi continuiamo a
sapere poco, al di là dei soliti noti, ereditati dalle cucine d’antàn, a cui aggiungere chiodi di garofano, pepe e peperoncino. Sono state le contaminazioni con la gastronomia del mondo a renderci curiosi in materia, tra vacanze e migrazioni, facendoci intuire l’incredibile varietà del
pianeta spezie.
La primavera funge da detonatore culinario. Abbandonate le lunghe cotture, ci lasciamo ingolosire da cibi più semplici e freschi, dove un tocco speziato sa regalare un quid di insolito e
goloso. Lontano dall’inamovibile certezza della noce moscata grattugiata con molta moderazione sul puré di patate, o dai grissini puntinati dai semi di sesamo, abbiamo scoperto i nie inglesi, a introdurre in patria la cucina
biscotti impastati con la polvere di cardamo- orientale a partire dai turkarry (parola a sua
mo e il bagnetto rosso profumato con l’anice volta derivata da kari, che in lingua Tamil sistellato, il guacamole con il suo carico di co- gnifica salsa), gli stufati di carne resi piccanriandolo e il salmone marinato all’aneto.
ti da una complessa miscela di spezie.
Un passo oltre, arriva il cimento della dopNei secoli, abbiamo preso confidenza più
pia speziatura. Perché se aggiungere una con l’intensità che con la varietà delle miscespolverata di cumino in un arrosto d’agnello le speziate. Se i masala indiani si differenziaè perfino semplice, altro è abbinare più spezie no in cento profumi diversi per abbracciare
nella stessa ricetta, obbedendo al comanda- l’intero menù, i curry in versione occidentale
mento gastronomico che prevede l’attivazio- si declinano soprattutto secondo la piccanne di tutti i nostri recettori del gusto: dolce, tezza del peperoncino usato, dal quasi innoamaro, salato, acido e umami (il sapido del cuo mild al terrificante very hot.
Che siate renitenti ai sapori forti o provviglutammato). Una complessità gustativa a
cui le spezie contribuiscono grazie alla som- sti di papille a prova di habanero, non dimenma di singole spezie — come nel caso del su- ticate di aggiungere un po’ di curcuma al voshi, servito con salsa di soia, zenzero e wasa- stro personale mix di spezie. I vostri piatti ne
guadagneranno in colore — un bel giallo
bi — o con gli assemblaggi.
Madre di tutte le misture, il curry, nato in splendente, secondo solo a quello dello zaffeIndia — dove si chiama masala — ma diffuso rano — e in salute, visto che studi recenti le asnel mondo a partire dal Settecento grazie ai segnano potenti virtù anti-cancro. In caso di
dipendenti della Compagnia delle Indie. Fu- incendio al palato, niente acqua, ma pane.
rono loro, di ritorno dai soggiorni nelle colo© RIPRODUZIONE RISERVATA
La colomba
Nella ricerca continua
per impreziosire gli impasti,
le ricette della colomba
sono state speziate quest’anno
con bacca di vaniglia e cannella
dalla famiglia pasticcera Loison
di Vicenza. Vaniglia Bourbon
anche nella colomba
del maestro dolciario
Sal De Riso (Tramonti, Salerno)
La ricetta
La mia carne nuda e cruda
con ostriche e wasabi
INGREDIENTI
200 G. DI CARNE PIEMONTESE ALLEVATA STILE WAGYU (MANZO GIAPPONESE)
4 OSTRICHE
4 G. DI SANSHO (PEPE GIAPPONESE)
30 G. DI RADICE DI WASABI
100 G. DI SALSA DI POMODORINI DATTERINI
30 G. DI CRESCIONE AMARO
Il sushi
A metà tra erbe e spezie,
il wasabi è parente stretto
del rafano. Ha foglie saporite,
color verde squillante,
e una radice piccantissima,
che si utilizza grattugiata fresca,
essiccata, ridotta in pasta
o in polvere. Nella salsa di soia,
con zenzero marinato nell’aceto
di riso, accompagna il sushi
EXTRAVERGINE AROMATIZZATO AL CARBONE
LO CHEF
idea parte dal condimento delle carne. Abitualmente usiamo
il sale. Ma se al posto del sale mettiamo le ostriche? Il sale viene dal mare. Anche le ostriche. Così ho giocato con le spezie originarie del Giappone, aggiungendo i pomodori,
che si legano bene sia con le carne sia con le ostriche. L’ostrica è nuda. La carne è cruda. Appoggiamo la carne tagliata molto sottile sul piatto delicatamente. Mettiamo la salsa di pomodoro profumata con
l’olio al carbone e subito dopo un poco di wasabi. Appoggiamo le ostriche tagliate a pezzi. Grattugiamo sopra il sansho e poi le fogliette di crescione amaro. Spruzziamo l’acqua delle ostriche
per coprire e condire le carne. Buon appetito!
YOJI TOKUYOSHI,
EX BRACCIO DESTRO
DI MASSIMO BOTTURA,
HA APPENA APERTO
IL RISTORANTE CHE
PORTA IL SUO NOME
NEL CENTRO
DI MILANO,
DOVE CUCINA
CON SAPIENZA
E RIGORE,
COME IN QUESTA
RICETTA IDEATA
PER REPUBBLICA
L’
Mediorientale
Cous cous
con chicchi di melograno,
datteri e pistacchi
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
DOMENICA 29 MARZO 2015
41
L’impero
del pepe,
una questione
d’immagine
8
piatti
FRANCESCO ANTINUCCI
Baharat
Polvere delle cinque spezie
TURCHIA
Pensata per aromatizzare i piatti a base
di carne alla griglia, assomma pepe,
paprika, scorza di cannella, coriandolo,
chiodi di garofano, semi di cumino,
cardamomo e noce moscata. Sul kebab
CINA
Anice semplice e stellato, cannella,
chiodi di garofano e semi di finocchio:
profuma un’ampia gamma
di ricette, dalle carni alla frutta.
Ideale sull’arrosto di maiale
DROGHERIA MASCARI
381 S. POLO
VENEZIA
TEL. 041-5229762
ASIA MACH
VIA MASCARELLA 81
BOLOGNA
TEL. 051-253288
Dukkah
Quatre-épices
EGITTO
Non solo spezie, ma anche frutta secca,
nocciole in primis, per il mix di sesamo,
cumino e coriandolo da spalmare
sul pane azzimo spennellato d’olio.
Con l’aperitivo o con l’insalata
FRANCIA
Solo quattro spezie (noce moscata,
chiodi di garofano, cannella e pepe)
per l’assemblaggio che aromatizza
pasticci e ragù, col pepe nero e bianco
protagonista. Su paté di selvaggina
EMPORIO DELLE SPEZIE
VIA LUCA DELLA ROBBIA 20
ROMA
TEL. 327-8612655
BIZZARRI LO SPEZIALE DI UNA VOLTA
VIA CONDOTTA 32/R
FIRENZE
TEL. 055-211580
Garam Masala
INDIA
La miscela più pregiata, con Tikka,
Tandoori, Madras e Vindaloo, ottenuta
tostando e pestando erbe e semi
con diversi gradienti di piccantezza.
Perfetta per lo spezzatino
Shichimi togarashit
GIAPPONE
Per il “peperoncino ai sette sapori”
occorrono pepe rosso e delle montagne
giapponesi, sesamo bianco e nero,
zenzero, mandarino essiccato, seetang
(alga) verde. Nei noodles con gamberi
KRISHNA INDIAN BAZAR
VIA PANFILO CASTALDI 35
MILANO
TEL. 02-20240451
YUKIKO - IL MONDO DEL GIAPPONE
VIA MONGINEVRO 33/A
TORINO
TEL. 011-4279890
Raz el Hanout
Polvere di Colombo
MAROCCO
Traduzione araba de “il meglio
del negozio”, popolare in nord Africa.
Può contenere fino a trenta ingredienti.
Presso i Berberi, dentro c’è anche
il coleottero essiccato. Sul cous cous
GUADALUPA
Arriva da Colombus, Sri Lanka, meta
di immigrazione dei lavoratori indiani,
il mix mutuato dalla cucina antillana.
Oltre alle spezie tradizionali, latte
di cocco o rum. Su pollo stufato
IL SUQ
VIA NAPOLI 19
CAGLIARI
TEL. 070-660223
PRABODA
VIA CARDUCCI 45/B
VERONA
TEL. 045-594418
UANDO LA HERMAPOLLON —
una nave romana da carico
del II secolo d. C. — giunse
al porto egiziano del Mar
Rosso di ritorno dall’India
dovette pagare la dogana sul valore del
carico che faceva entrare nel territorio
dell’Impero romano. Sappiamo così che
questo valore ammontava a circa dieci
milioni di sesterzi, una notevole cifra: ci
si sarebbe potuto comprare, per dare
un’idea, la gran parte dei terreni della
provincia di Piacenza. Quel che ci
sorprende è apprendere da cosa era
costituito questo prezioso carico: quasi
esclusivamente da pepe, circa
centoquaranta tonnellate. Per oltre
quindici secoli le spezie hanno dato vita
alla più lucrosa attività economica della
storia umana. Hanno fatto la fortuna di
Venezia, quando divenne, dopo la caduta
dell’Impero romano, e col Mediterraneo
diventato un mare arabo, l’unica porta
verso l’oriente grazie al legame con
Costantinopoli. E l’hanno poi fatta del
piccolo Portogallo che per un secolo
tenacemente ricercò la via dell’Oriente
circumnavigando l’intera Africa fino ad
arrivare per questa via in India. E poi
dell’Olanda, cui le spezie permisero di
costruire un impero di quasi due milioni
di chilometri quadrati (l’odierna
Indonesia), duecentocinquanta volte più
grande del suolo patrio. Niente di strano
— si dirà — il commercio è l’anima
dell’economia preindustriale, ed è tanto
più ricco quanto più preziose sono le
merci che tratta. Ma qui sta il punto: le
merci in questione, le spezie, non
servono assolutamente a nulla, non
hanno alcun valore nutritivo, salutare o
altro. E, come ci ricorda Plinio fin
dall’antichità, è opinabile anche il loro
gusto. E allora perché sono state così
importanti? Perché attraverso di esse
(per via della loro rarità e per la difficoltà
di procurasele) l’uomo che ne può
disporre si “rappresenta”: come
importante, ricco, potente, ecc. E la
rappresentazione, la costruzione della
propria immagine, è stata ed è per
l’uomo più importante di qualunque
valore pratico o funzionale, tanto da
determinare gran parte della politica e
della storia degli stati. Le spezie, inoltre,
non si possono utilizzare così come sono
— non si può offrire ai propri ospiti un
cucchiaio di pepe o di chiodi di garofano
— è necessario creare un sistema che
permetta di impiegarle: questo sistema è
la cucina. Naturalmente non la cucina
intesa come preparazione dei cibi, ma
come arte culinaria: una cucina che serva
essa stessa allo scopo della
rappresentazione e che darà origine a
quelle fantasmagoriche messe in scena
che sono i banchetti antichi,
imparagonabili anche al più sontuoso
dei nostri moderni. Dalle stravaganze
della cena di Trimalcione del I secolo d. C.
alle oltre duecento portate (!) di quella
preparata nel 1536 da Bartolomeo
Scappi per Carlo V imperatore, in
occasione della sua visita a Roma.
Q
L’autore ha scritto Spezie. Una storia
di scoperte, avidità e lusso. Laterza 2014
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Repubblica Nazionale 2015-03-29
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 29 MARZO 2015
42
L’incontro. Nuove leve
IN QUESTO
MESTIERE
NON BISOGNA
AVERE FRETTA
NON È COME
NELLO SPORT.
FEDERER
ERA CONSIDERATO
UN VECCHIO
A TRENTATRÈ
ANNI. IO NE HO DUE
IN PIÙ E SONO VISTO
ANCORA COME
UN RAGAZZINO
Prima il successo londinese con Schumann al Covent Garden, poi il
trionfo rossiniano al Metropolitan di New York. “Arrivare sul podio
non è poi così difficile, difficile è restarci” osserva uno dei più giovani (ha trentacinque anni) e già acclamati direttori d’orchestra italiani. Figlio d’arte (“mi costruivo le bacchette con gli spiedini”), a
capo del Comunale di Bologna, davanti ai grandi maestri prova il
massimo rispetto ma non ha tismo, determinazione ma anche destino. Suo padre è Gianfranco Mariotti, stosovrintendente del Rof, il celeberrimo Rossini Opera Festival, tra le più importanti manifestazioni italiane e uno dei luoghi della rinascita interpretativa
mori reverenziali: “Per carità, gli rico
di Rossini (la prossima edizione sarà dal 10 al 22 agosto). «La mia principale attività da ragazzo era il basket. Giocavo a pallacanestro dieci mesi l’anno, poi aril festival e volevo fare il direttore. L’estate era per me l’odore del palco
Abbado, i Muti, i Gatti: è nel loro rivava
dell’orchestra che era proprio, guarda caso, quella di Bologna che oggi dirigo, i
musicisti con cui sono cresciuto... La fissazione per il podio l’ho avuta fin da picCostruivo le bacchette con gli spiedini, e crescendo, confesso anche di aversolco che dobbiamo stare. La dif- colo.
ne rubate ai direttori che venivano al festival. A Carlo Rizzi, David Eric Robertson... A Renzetti e a Daniele Gatti le ho chieste. Le prendevo e poi dirigevo in camia». Entra — «con fatica perché non avevo studiato» — al Conservatorio
ferenza è che prima in quel solco mera
di Pesaro, ma nel 2001 si iscrive anche al corso di direzione d’orchestra dell’Accademia Musicale Pescarese dove si diploma nel 2004 con Donato Renzetti. «Inal Conservatorio mi sono diplomato solo in composizione con Manlio Benprovavo una certa paura. Oggi, vece
zi, perché mentre studiavo nel 2005 mi proposero di dirigere il Barbiere a Salerno e io accettai». In questi dieci anni da Salerno è volato a Bologna, alla Scala,
Torino, Firenze, Barcellona, Parigi, Liegi, Mosca, Tokyo, New York, Los Angelo confesso, non più”
les, Washington... Ora è in partenza per Monaco dove dirigerà un concerto, in
Michele
Mariotti
ANNA BANDETTINI
BOLOGNA
B
ISOGNEREBBEFAREILTIFOPERCHÉRESTIIN ITALIA, nonostante gli impegni,
le lusinghe che arrivano dall’estero: Londra che lo ha celebrato, lo
scorso dicembre, come un big dopo il concerto schumanniano al Covent Garden; New York che a metà febbraio con una pagina del New
York Times e una valanga di applausi ha decretato il suo trionfo al
Met per l’esecuzione di La donna del lago di Rossini con Juan Diego Flórez, Joyce DiDonato, Daniela Barcellona. Contrariamente all’attuale andazzo, però, Michele Mariotti, almeno per ora, ha deciso di restare.
Direttore d’orchestra tra i migliori della nuova leva italiana, ha accettato con
entusiasmo l’incarico di responsabile musicale del Comunale di Bologna fino al
2018 — con il sovrintendente Carlo Sani e il direttore artistico Fulvio Macciardi
fanno uno dei migliori team artistici dei teatri italiani — e a Bologna ha preso casa, un appartamento in un signorile e antico palazzo del centro città, a due
passi dal teatro, che considera la sua tana. Ha trentacinque anni e sembra un ragazzino: il viso tondo, il sorriso soave, l’aspetto da giovane
perbene. Sembra subito uno velocissimo, ambizioso, serio. Nel salotto, elegante e molto tradizionale c’è il pianoforte e, sul tavolo,
aperta, una partitura. «Se vuoi dirigere bene un’opera o un concerto devi studiare e non solo la partitura, ma anche il libretto, la storia, le radici culturali di quello che esegui», spiega e farebbe felice
Riccardo Muti che considera la cultura un elemento necessario per
un buon direttore d’orchestra.
Di Mariotti si sente solo parlar bene, «allora c’è qualcosa che non va!»,
ride. «Io penso che il mio vero merito sia di non aver avuto fretta. Se riguardo il mio cammino finora, c’è un percorso costante. Arrivare sul
podio è facile. Restarci è difficile. Io ho inaugurato il Comunale
NON HO LA PRESUNZIONE DI DIRE CHE SO
COME SI FA ROSSINI, MA SO COME NON SI DOVREBBE
FARE. DONIZETTI RISCHIA DI SEMBRARE GROSSIER
E UN PO’ BANDISTICO. QUANTO A VERDI,
È TEATRO PURO: TI SMASCHERA, TI METTE A NUDO
nel 2007 con un Simon Boccanegra che era la mia quarta opera. Mi vengono ancora i brividi a pensarci. Andò bene tanto
che Marco Tutino, l’allora sovrintendente, mi offrì la carica di
direttore musicale. Dissi di no. Non tanti avrebbero rifiutato. Ma
io credo che la carriera del direttore d’orchestra non sia come
quella di un atleta. Qualche anno fa vidi Federer giocare contro
Djokovic: vinse quest’ultimo e tutti dissero “Per forza Federer è ormai vecchio”. Aveva trentadue anni. Io, a trentacinque, sono considerato giovane».
La storia di Mariotti racconta un misto di passione, dolore, entusia-
giugno esordirà sul prestigioso podio della Gewandhaus di Lipsia, tra tre anni
sarà a Chicago con Bohéme, mentre a Bologna (dove in questi anni lo hanno acclamato con La gazza ladra, Idomeneo, Carmen, La Cenerentola, La Traviata, Il
prigioniero, Le nozze di Figaro, Norma) si aspetta un nuovissimo Flauto magico anche per l’allestimento degli sperimentali Fanny e Alexander.
E il basket che fine ha fatto? «Non credo che mi stiano rimpiangendo. Ero bravino, ma non sono alto e oggi senza l’altezza nella pallacanestro sei fuori. Poi sono arrivati i problemi alla schiena dovuti al lavoro sul podio. Sono stato per un
po’ ultras della Scavolini, poi sono passato al calcio, tifo Juve, gioco a tennis e vado in bici. A Pesaro ci sono delle bellissime ciclabili sulla spiaggia». I suoi autori
preferiti restano Rossini e Verdi. «Non ho la presunzione di dire che so come si fa
Rossini, che ho seguito tutta la vita, ma so come non si dovrebbe fare. La tradizione lo ha cambiato e violentato, ma per fortuna viviamo e godiamo dei benefici della rivoluzione di Claudio Abbado e Alberto Zedda della fine degli anni Sessanta che ci restituirono un autore più mozartiano, pulito, più concettuale e
profondo. Cosa che servirebbe anche per Donizetti che ancora rischia di passare per grossier e un po’ bandistico. Quanto a Verdi è teatro puro. Verdi ti smaschera, ti mette a nudo, la musica è già una messa in scena, la parola, i silenzi che
in musica contano. Ricordo ancora l’emozione di una Cavalleria rusticana diretta da Muti dove lui faceva cantare piano la morte di compare Turiddo».
Sul tavolo squilla il cellulare. Dal display lampeggia la scritta “meine Liebe”,
amore mio. «È il cellulare tedesco di mia moglie, sta lavorando in Germania», dice. La moglie è il soprano Olga Peretyatko che molti considerano la nuova Netrebko, bella, luminosa e di successo. Si sono conosciuti a Pesaro nel 2010 per il
Sigismondo e due anni dopo si sono sposati. «Non è stato un colpo di fulmine, il
nostro. Lei era già sposata, io avevo una compagna e un figlio. Ma la fortuna di
essere russa è che divorzi in un mese e mezzo. Siamo una coppia un po’ particolare. Ognuno con la sua carriera, in giro per il mondo... La nostra casa è questa, a
ANDARE VIA? MI MANCHEREBBE TROPPO
IL BAR, LA PIAZZA. E POI IO SONO
FIDUCIOSO: C’È SOLO DA LAVORARE
PERCHÉ L’OPERA TORNI A ESSERE PARTE
DELLA VITA DELLA GENTE
Bologna. Trasferirmi? No. Non andrei mai per esempio a vivere negli Stati Uniti. Mi mancherebbe il bar, il giornale, la piazza... Partire da casa è
sempre una guerra per me». Con Olga lavoreranno insieme ne I puritani il 14 aprile al Regio di Torino. «Ci sarà sempre qualcuno che dirà “l’ha
chiamata il marito”, colleghi cui dà fastidio il successo, le carriere degli
altri. Ma è una piccineria solo italiana. Noi siamo maghi nel rovinare tutto, basta ricordare le assurde polemiche dell’anno wagneriano e verdiano. In Germania senza far polemiche non c’è stato un teatro che ha fatto Verdi, da noi solo litigi perché se facevi Verdi dimenticavi Wagner. Provinciali». E allora perché scegliere Bologna invece che una
grande città straniera? «Stare a Bologna non l’ho visto come
una perdita di occasioni ma come una possibilità per maturare più velocemente. Qui c’è un’orchestra di qualità,
con cui posso fare sinfonica e operistica, un’orchestra
che conosco e mi conosce fin da ragazzino. Per tutti sono “Michele” e non lo vedo come perdita di autorevolezza perché il direttore non è un solista, non esiste
senza gli altri. Nonostante la crisi della lirica in Italia,
io sono ottimista. Il problema è che da noi il teatro, a
differenza di Londra, Berlino, New York, ha perso il
ruolo identificativo nella vita sociale. C’è da lavorare perché torni ad avere una funzione centrale nelle nostre vite e io sono fiducioso. Forse noi più giovani serviamo anche a questo». Alla generazione
dei più grandi si rivolge con ammirazione o polemica? «Per carità. Non bisogna far la guerra a nessuno, figuriamoci ai Muti, agli Abbado, ai Gatti... C’è
bisogno di queste personalità. E noi dobbiamo stare
nel loro solco. Confesso che una volta in quel solco ci stavo con più paura. Oggi ho meno ansia. Mi sento finalmente calmo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Repubblica Nazionale 2015-03-29
Scarica

L`album dei ricordi di una bambina che non era