ANNO LXII N.36
Letta avverte Renzi:
chi aspira al mio posto
dica che cosa vuole
Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76
Caro Napolitano, ci faccia
«dire una sciocchezza»
sul “governo barzel-Letta”
Girolamo Fragalà
Dai personaggi dei telefilm ai
mostri del cinema, qualsiasi
paragone regge perché lo spettacolo indecoroso del governo
barzel-Letta sta scatenando le
fantasie di tutti, dai corridoi di
Montecitorio allʼironia che corre
sul web. Restano solo in pochi
a difendere la sceneggiata “democratica”, lo scontro tra chi
vuol restare sul trono e chi
vuole accaparrarselo, ambedue discendenti dello stesso albero genealogico, il
papà-partito. E tra i difensori
cʼè lui, Giorgio Napolitano, che
per lʼennesima volta entra a
gamba tesa per “scudisciare”
chi accarezza lʼidea di affidarsi
al legittimo giudizio del popolo
sovrano: «Elezioni? Non diciamo sciocchezze». Fatto sta
che la soglia del ridicolo è stata
oltrepassata da tempo, cʼè un
nuovo calo di credibilità di una
certa politica fatta di accordi
sottobanco e di staffette, la
mazzata data dalle rivelazioni
del golpe bianco contro Berlusconi è un altro tassello al mo-
d’Italia
WWW.SECOLODITALIA.IT
saico, la ridicola sfida parentiserpenti tra Letta e Renzi è lʼultimo inaccettabile show. Ma la
proposta di andare alle urne,
dice Napolitano, è una «sciocchezza». È talmente una sciocchezza che siamo in presenza di
un continuo passaggio di pre-
mier che non sono stati scelti
dagli elettori, da Monti, calato
chissà da dove, a Letta, messo
lì dopo il fallimento delle trattative di Bersani, e Renzi sarebbe
il terzo, visto che è stato votato
solo a sindaco di Firenze e non
certo alla presidenza del Consi-
giovedì 13/2/2014
glio. La gente si rassegni a ingoiare anche questo, perché le
elezioni – ripetiamo – sono una
«sciocchezza». E allora qualcuno si becchi anche lʼironia,
senza però sentirsi indignato.
«Servirebbe dottor House per
capire cosa succedendo dentro
il Pd», dice Beatrice Lorenzin.
«Ho visto Monti ricevere la benedizione di Carlo De Benedetti
a Saint Moritz», si legge sul blog
di Beppe Grillo. «La sinistra –
commenta Maurizio Gasparri –
se ne frega degli elettori e mette
in piedi governi Frankenstein in
laboratorio. Sono i “Mel Brooks”
della politica italiana, creano
mostri in continuazione. E poi dicono che non ha ragione Alan
Friedman». Il motivetto «Enrico,
fatti più in là» viene ricordato da
Ignazio La Russa e sembra davvero che Renzi abbia intonato la
canzone delle Sorelle Bandiera.
Poi cʼè anche la raffigurazione di
cannibalismo familiare: «Il Pd di
volta in volta mangia i suoi figli –
afferma Renato Brunetta – ha
mangiato Veltroni, ha mangiato
Bersani, ha mangiato Epifani,
sta mangiando Letta». A leggere
bene, hanno tutti ragione, difficile controbattere, persino per i
più fedeli governativi. E allora
consentiteci di dire una «sciocchezza»: non sarebbe meglio
andare alle urne?
«Baricco alla Cultura? E Rocco Siffredi alle Pari opportunità».
Il toto-ministri scatena lʼironia del web
Valter Delle Donne
Alessandro Baricco e Oscar
Farinetti, Maria Elena Boschi e
Tito Boeri, Michele Emiliano e
Laura Boldrini. Il toto-ministri di
un eventuale governo Renzi
sembra una puntata delle Invasioni barbariche. Manca solo la
conduttrice Daria Bignardi, ma
non è escluso che venga tirata
in ballo anche lei. La lista di
personalità univocamente citate nei retroscena di Corriere
della Sera, Il Fatto quotidiano,
Repubblica e Sky-tg24, sono
tutte rigorosamente di sinistra,
con buona pace degli alfaniani
che a stento manterrebbero il
loro leader (perdipiù senza lʼin-
carico al Viminale). Quel che
colpisce semmai è cha la lista
andrebbe bene per un programma de La7, non per essere
letta
al
Quirinale
nellʼelenco dei ministri. Ecco
perché sui social network le
battute e i cinguettii al curaro si
sprecano. Ritwittato in maniera
bipartisan quello di Fulvio Abbate: «Lʼassenza di Concita De
Gregorio dal toto-nomime del
governo con Baricco e Boldrini
è per noi un vulnus, una disfatta». Ma il più grande bersaglio delle critiche è proprio lo
scrittore torinese, che il popolo
del web fatica a vedere alla
guida delle politiche culturali
della nazione.
Ecco alcuni dei tweet più divertenti sullʼeventualità che il
musicologo, scrittore e regista
arrivi alla poltrona di ministro.
«Baricco è certo, Jovanotti ha
speranze e dopo ieri sera
anche il portiere Neto è in
ballo!». «Compagni: guardiamo il lato positivo. Se Baricco diventa ministro, per un
poʼ smette di scrivere libri»
«Baricco ministro della cultura
sarebbe un ossimoro perfetto».«FreakAntoni è morto e
Baricco è nel toto-ministri. La
fortuna è cieca ma la sfiga ci
vede benissimo». «Perché Baricco sì e Moccia no?» «Ba-
ricco alla cultura, roccobarocco
al made in Italy e roccosiffredi
alle pariopportunità». «Baricco? La cultura non è organizzare corsi di scrittura
creativa». «Mi distraggo mezza
giornata ed esce il nome di Baricco ministro della Cultura?!»
«Baricco ministro. E io figa
come Kate Moss». «Veramente meglio PeppaPig di Farinetti e Baricco». «Se Baricco
sarà alla Cultura, ci troveremo
tata Lucia ministro dellʼIstruzione e Giovanni Muciaccia ai
Beni Culturali». Rilanciatissimo, infine, il più amaro: «Da
Gentile a Baricco: segni dei
tempi».
Letta non molla e avverte Renzi: «Chi aspira
al mio posto, dica chiaramente cosa vuole»
2
Secolo
d’Italia
Valeria Gelsi
Matteo Renzi prende tempo e
dice, via twitter, che «quello che
devo dire, lo dirò domani alle 15
in direzione. In streaming, a viso
aperto». Enrico Letta, invece,
convoca una conferenza stampa
a Palazzo Chigi per presentare
“Impegno Italia”, con tanto di logo
che già campeggia sul sito della
presidenza del Consiglio. Il tutto
mentre Giorgio Napolitano, da Lisbona, avverte: «Elezioni? Non
diciamo sciocchezze». Lʼincontro
tra Renzi e Letta, che doveva essere decisivo per il governo, si è
concluso così: con un nulla di
fatto sullʼeventuale staffetta tra i
due e con il tentativo, zoppicante,
di far finta che tutto va avanti
come sempre, “scaramucce”
comprese. «Io di muri non ne
vedo, sono stato qui, non ho notizie fresche», ha replicato il capo
dello Stato ai giornalisti che gli
chiedevano se «questo muro
contro muro tra Letta e Renzi faccia male al Paese». Qualche
voce dal Nazareno ha cercato di
minimizzare e far passare lʼidea
di «un incontro positivo». Qualche altra, però, ha lasciato trapelare una versione che appare un
poʼ più credibile: nessuno dei due
si è mosso dalle proprie posi-
zioni. Ovvero Letta non vuole cedere e Renzi non vuole deporre le
armi. Con il risultato che il braccio
di ferro tra i due arriva a un punto
di tensione senza precedenti. Il
clima, oltre al cinguettio del segretario Pd, lo ha dato unʼaffermazione post-vertice del renziano
Ivan Scalfarotto: «Attendiamo di
sentire Letta. Se il governo ha
delle risposte siamo tutti contenti». Ma la prima risposta data
da Letta nel corso della conferenza stampa è di quelle che,
oltre a non accontentare, tende a
far venire qualche mal di pancia.
«Perché presento il programma
solo adesso? Perché rispetto regole e impegni. Il Pd ha chiesto e
deciso di votare prima la legge
elettorale. E io lʼho fatto, perché
sono uomo del Pd», ha detto il
premier, parlando di un «incontro
franco» e quindi «positivo». «Se
qualcuno ha perso tempo, quello
non sono io», ha aggiunto poi
Letta, sottolineando che ha voluto attendere la direzione del Pd
perché «considero fondamentale
che Impegno Italia si faccia insieme». Non esattamente un atteggiamento conciliante nei
confronti del segretario-avversario, tanto più se accompagnato
da una richiesta di «chiarezza»
rivolta a Renzi. Letta ha spiegato
di chiederla lui personalmente e
ha aggiunto che «penso che la
chiedano i cittadini che vogliono
sapere che cosa succede alla
luce del sole. Le dimissioni non si
danno per dicerie e manovre palazzo». «Ognuno deve pronunciarsi e dire che cosa vuole,
specie chi vuole venire al posto
mio», ha detto ancora il premier,
mandando un altro messaggio
piuttosto chiaro: per Impegno Italia «non metto una data, la scadenza è legata alle riforme su
emergenza economica-finanziaria e sullʼimpasse istituzionale».
Che tradotto vuol dire: ad andarmene volontariamente non ci
penso proprio. E la palla passa
nuovamente a Renzi.
Francesco Signoretta
Insegnare ai piccoli dellʼasilo, della
scuola dʼinfanzia e – perché no? –
anche a quelli delle elementari comʼè
bello lʼamore omosessuale: la sinistra ne sta facendo un tema di lotta e
di governo, specie nelle cosiddette
città “rosse”. Allʼelenco di iniziative
incredibili si sta per aggiungere la
fiaba di una famiglia di pinguini gay
raccontata in un laboratorio didattico
per bambini ideato dal centro di documentazione del Cassero, in collaborazione con i soliti noti, e cioè le
Famiglie Arcobaleno e lʼassociazione
Frame nonché patrocinato dal Comune di Bologna. A dare risalto allʼappuntamento – la fiaba verrà letta
il 29 marzo alla biblioteca Scandellara – lʼedizione bolognese de Il
Resto del Carlino. Una quindicina di
bambini, spiega il quotidiano, scopriranno la storia (vera, edita da Junior
e intitolata “E con tango siamo in
tre”), di due pinguini antartici maschi,
Roy e Silo che si incontrano nello
zoo di New York e si innamorano,
tanto che il custode del parco affida
loro un uovo di unʼaltra coppia perché lo covino e da cui nasce Tango.
Il ciclo di incontri è illustrato in un
opuscolo di presentazione su cui è
presente una prefazione del sindaco
di Bologna, Virginio Merola: «Tante
storie per raccontare le differenze di
cui la realtà che ci circonda è piena;
tante storie per offrire alle famiglie,
alle bambini e ai bambini, future cittadine e futuri cittadini un itinerario di
letture e laboratori dove ogni appun-
tamento diventa una preziosa occasione per condividere e sperimentare
il valore dellʼidentità e della diversità». Lʼallargarsi a macchia dʼolio di
queste iniziative sta scatenando polemiche nel mondo politico (con la sinistra che continua a brindare non si
sa perché) e a prendere posizione
sono anche i vescovi toscani che
sono «preoccupati per i tentativi di introdurre il tema della valorizzazione
delle differenze di genere nei percorsi formativi dei docenti e degli studenti, secondo modalità ispirate alla
cosiddetta teoria del gender». Cʼè il
rischio «che, per motivi ideologici,
venga propagata nelle scuole una
concezione lontana da quella della
famiglia naturale».
Eccone unʼaltra: una fiaba di pinguini gay
raccontata ai bambini bolognesi
GIOVEDì 13 FEBBRAIO 2014
La crisi colpisce
i pellegrinaggi:
tagli di personale
al Lourdes
Redazione
Otto mesi dopo la disastrosa alluvione che ha dissestato il Santuario della Madonna di Lourdes,
30mila pellegrini da ogni parte
del mondo hanno partecipato
alla Festa annuale della prima
apparizione della Madonna a
Bernadette. «Il Santuario ora è
aperto, ma dopo il nubifragio del
giugno 2013 temevano di non
poterlo riaprire per la festa di
oggi – racconta monsignor Nicolas Brouwet, vescovo di Tarbes e
Lourdes – L'acqua del fiume
aveva raggiunto la grotta praticamente ai piedi della Madonna,
ma la Basilica sotterranea era
completamente allagata. In questi otto mesi abbiamo lavorato
senza sosta per mettere in ordine il Santuario, ma sono tanti i
lavori che restano ancora da
fare». L'alluvione dell'anno
scorso ha provocato danni per
10 milioni, dice il vescovo. «La
crisi della fede e la situazione
economica si fanno sentire –
dice il vescovo Brouwet – C'è
stata una diminuzione del numero di pellegrini. Le persone
che andranno in pensione non
saranno sostituite e probabilmente saremo costretti a diminuire leggermente anche il
numero di assunzioni degli stagionali». Il vescovo di Lourdes
ha in mente una "rivoluzione",
proprio a cominciare dalla Grotta
dell'Apparizione. «Nei prossimi
tre anni dovremo prenderci cura
di questo luogo di grazia –
spiega – Vogliamo rendere più
coerente il percorso davanti alla
grotta dei pellegrini, favorire il silenzio ed il raccoglimento, troveremo soluzioni per i flussi dei
gruppi durante la stagione e sicuramente daremo maggiore armonia al luogo di culto. Dunque il
sagrato della Grotta resterà in
piena luce, ma i pellegrini accederanno alla fontane per riempire taniche e bottiglie solo dopo
la loro visita alla Grotta».
Compravendita di parlamentari,
unʼaltra inchiesta contro Berlusconi
GIOVEDì 13 FEBBRAIO 2014
Luca Maurelli
Una decina di parlamentari disponibili a votare contro il proprio partito in cambio di soldi o altri benefit:
a Napoli sarebbe stato aperto un
nuovo filone di indagine sulla compravendita di deputai e senatori
che toccherebbe Silvio Berlusconi.
La notizia è stata pubblicata ieri
mattina dai principali quotidiani. I
reati che sarebbero stati ipotizzati,
al momento senza indagati, coinciderebbero con finanziamento illecito e corruzione. I fatti in
questione sarebbero il voto sulla
sfiducia a Berlusconi andato a
vuoto il 14 dicembre 2010 e altre
votazioni relative alle vicende giudiziarie che coinvolgevano il Cavaliere. Si tratterebbe dei casi Ruby
e diritti tv. La convinzione dei magistrati, sostenute anche dalla testimonianza di Sergio De
Gregorio, l'ex senatore dell'Idv che
ha patteggiato nel primo filone dell'inchiesta una condanna a un
anno e 8 mesi, è che ci fosse un
vero e proprio “sistema di elargizione” che ha coinvolto partiti e
parlamentari. Anche per questo
sarebbe stato acquisito dalla Gdf
l'elenco dei parlamentari che, nelle
diverse occasioni, votarono contro
l'indicazione del proprio partito in
commissione e poi in aula. Le ve-
Secolo
d’Italia
rifiche prenderebbero le mosse da
quanto avvenuto il 14 dicembre del
2010 quando la mozione di sfiducia a Berlusconi fu respinta alla
Camera per 314 voti contro 311.
Le indagini si focalizzerebbero sul
ruolo decisivo dei quattro deputati
di Fli - citati da Corriere della Sera
e Repubblica - che si schierarono
a favore del Cavaliere e contro l'indicazione del loro gruppo, guidato
da Gianfranco Fini: Catia Polidori,
poi nominata sottosegretario allo
Sviluppo; Maria Grazia Siliquini,
poi designata nel Cda delle Poste;
Giampiero Catone, diventato sottosegretario all'Ambiente; Silvano
Moffa, eletto presidente della commissione Lavoro della Camera. Gli
accertamenti, affidati al Nucleo di
polizia tributaria, puntano a scoprire eventuali collegamenti tra il
voto dei quattro deputati e le loro
successive nomine. Un altro momento sotto la lente della magistratura riguarderebbe la votazione
del 5 aprile 2011, quando la Camera sollevò conflitto di attribuzione
davanti
alla
Corte
Costituzionale sul caso Ruby. In
questa occasione, scrive il Messaggero, decisivi furono i voti dei
Lib-dem Daniela Melchiorre e Danilo Tononi, oltre che dell'ex Mpa
Aurelio Misiti. «Quello contro Silvio
Berlusconi per la cosiddetta compravendita dei senatori è un processo politico al 100%. La nuova
inchiesta, poi, è un vero e proprio attacco frontale alla democrazia e ai
suoi principi fondamentali. Il tutto rigorosamente a senso unico, poiché
non vi sono mai state inchieste su
parlamentari passati con la sinistra,
ricevendone cariche e benefici vari,
talora, si dice, anche di carattere
giudiziario», è il commento di Forza
Italia, per voce di Lucio Malan, secondo il quale ''è inquietante che
una inchiesta del genere possa
anche soltanto iniziare: significa che
ogni elettore potrà finire sotto processo se dopo aver votato un partito, ne ha tratto benefici, ad
esempio meno tasse e servizi migliori''. «È davvero singolare che la
procura di Napoli punti i riflettori
esclusivamente su Forza Italia e Silvio Berlusconi, tralasciando gli episodi di vera e propria transumanza
parlamentare che hanno indebolito i
governi di centrodestra. Come se
l'esistenza di due piani di verifica implicasse, innanzitutto, delle valutazioni di tipo politico. Questo non è
normale, né, tanto meno, auspicabile, ma in Italia pare essere una pericolosa e inquietante abitudine»,
dice in una nota, la portavoce del
gruppo Forza Italia alla Camera dei
deputati Mara Carfagna.
lungo le direttrici che portano
fuori. Vengono monitorati gli ingressi delle autostrade e del
Grande Raccordo Anulare. Foto
e descrizione dei due evasi sono
stati diramati a tutte le squadre in
servizio di polizia e carabinieri. Ma
dei due, che non si sa se abbiano
avuto l'aiuto di complici o meno,
nessuna traccia. «L'evasione è
avvenuta in una struttura, Rebibbia, a livelli bassissimi di sicurezza, senza sentinelle sulle mura
di cinta. Decreta il fallimento della
vigilanza dinamica, per cui auspico che i propugnatori ne traggano le debite conseguenze
dimettendosi», ha polemicamente
affermato in una nota il segretario
Generale del Sindacato Autonomo
Polizia
Penitenziaria
(Sappe), Donato Capece. «I due
evasi erano – ha quindi proseguito Capece – nell'unico piano
funzionante della struttura penitenziaria a custodia attenuata, il
secondo, dove sono presenti circa
50 persone... Questo è il risultato
della fallimentare vigilanza dinamica, che azzera la sicurezza
nelle carceri». Al di là delle polemiche e delle recriminazioni, sicuramente anche questo ulteriore
episodio conferma le criticità del
sistema penitenziario.
Due detenuti evadono da Rebibbia segando le sbarre
e legando le lenzuola. È caccia all'uomo
Redazione
Dopo il copione da far west della
spettacolare evasione organizzata a Domenico Cutrì – l'ergastolano scomparso dal tribunale
di Gallarate (Varese) in seguito
ad una sanguinosa sparatoria, e
ritrovato dopo qualche giorno –
ora la fuga di due detenuti dall'istituto penitenziario romano di
Rebibbia, che sembra la sceneggiatura di un film del genere carcerario. Solo che non si tratta di
cinema: ma di una sconfortante
realtà della cronaca. I due malviventi, Giampiero Cattini di 41
anni e Sergio Di Palo di 35,
avrebbero dovuto scontare la
pena in carcere fino al 2018: Di
Palo aveva commesso reati di rapina, furto e droga, ed era già
evaso dagli arresti domiciliari 15
anni fa. Cattini, invece, era in carcere per reati di rapina e furto. Insieme, nelle lunghe ore trascorse
nel braccio carcerario, si sono inventati una sorta di lima ricavata
da chissà quale oggetto metallico
presente nella loro cella, e dopo
aver segato le sbarre di una cancellata del cortile esterno, si sono
calati da un muro di cinta del carcere con delle lenzuola annodate. Complice il buio della sera,
sono spariti senza lasciare traccia: e dalla mezzanotte di ieri è
caccia all'uomo. Gli investigatori
non tralasciano nessuna potesi:
e dopo aver immediatamente
dato l'allarme, sono stati organizzati posti di blocco nei punti nevralgici della città, in particolare
3
Svizzera, proseguono le ritorsioni della Ue
contro il voto della popolazione elvetica
4
Secolo
d’Italia
Antonio Pannullo
Il governo svizzero ha fissato per la
fine dell'anno la presentazione di un
progetto di legge per rendere operativo il referendum, votato domenica scorsa, che impone limiti
all'immigrazione. Lo rende noto un
comunicato. Nel frattempo, Berna si
impegnerà «senza ritardo» nei negoziati con l'Unione Europea e il governo ha incaricato il ministero degli
Esteri di «prendere immediatamente contatto con le istituzioni europee e gli Stati membri», per
tenere Bruxelles informata sui lavori
in corso in Svizzera, ma anche per
«chiarire i rispettivi interessi in vista
dell'apertura di nuovi negoziati».
Dopo l'entrata in vigore dell'accordo
di libera circolazione con l'Ue, la
Svizzera dal 2002 ha più che raddoppiato il numero dei lavoratori
stranieri accolti (80mila l'anno). Ma
dopo il referendum di domenica,
che impone nuove restrizioni, l'Ue
ha minacciato di rivedere tutti gli accordi bilaterali: lunedì è stato sospeso l'accordo sull'elettricità,
martedì è stato congelato quello
istituzionale. Insomma, la Ue prosegue con le ritorsioni contro il libero voto degli svizzeri, congelando
il negoziato sul grande accordo
quadro sul trattato istituzionale con
la Svizzera. Nella riunione preparatoria del settimanale incontro dei 28
ambasciatori (Coreper) è stato deciso di togliere dall'agenda l'approvazione del mandato negoziale alla
Commissione. Il portavoce della
presidenza di turno greca ha spiegato che il mandato negoziale doveva essere approvato come punto
A, ovvero senza discussione. Nella
riunione preparatoria tale punto è
stato escluso dall'ordine del giorno.
I 28 hanno ritenuto che non fosse
opportuno dare alla Commissione il
mandato per negoziare un accordo
con la Svizzera, in un momento in
cui non ne sono ancora chiare le intenzioni. Delle relazioni con la Svizzera e delle conseguenze del
referendum di domenica scorsa si
parlerà sotto la voce "altre": una discussione informativa in cui agli
ambasciatori dei 28 «rifletteranno
sul risultato e sul modo di procedere» e durante la quale saranno
presentati i risultati dell' analisi iniziale chiesta ai servizi giuridici del
Consiglio e della Commissione. Il risultato del referendum svizzero formalmente non cambia nulla nei
rapporti tra Ue e Svizzera per i tre
anni che il governo di Berna ha di
tempo per adattare la legislazione
nazionale. Ma fonti europee spiegano che sui rapporti tra la Confederazione e l'Unione europea
incombe la "bomba ad orologeria"
della Croazia. Che accelera drasticamente il tempo a disposizione,
con la data limite del 30 giugno
prossimo. Entrata come 28° paese
della Ue il 1° luglio scorso, alla
Croazia, secondo le regole di funzionamento della Ue, deve essere
dato accesso a tutti i trattati bilaterali dell'Unione europea con i Paesi
terzi, ma la Svizzera non potrà
aprire le sue porte ai lavoratori
croati dal primo luglio. Cosa che
creerebbe una situazione di discriminazione tra i cittadini dei 28, assolutamente vietata dai Trattati
europei.
Redazione
Migliora la situazione della libertà di
stampa in Italia, che passa dai "Paesi
con problemi sensibili'' a quelli con una
''situazione piuttosto buona'', secondo
la classifica 2014 di Reporters sans
Frontières (Rsf), presentata a Parigi.
Drastico peggioramento negli Stati
Uniti. Mentre la Siria, uno dei Paesi più
pericolosi al mondo per i giornalisti, rimane nel gruppo di coda, subito prima
di Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea. Nell'Europa meridionale, secondo
Rsf, «l'unica evoluzione positiva si verifica in Italia, che è finalmente uscita da
una spirale negativa e sta preparando
una legge incoraggiante per depenalizzare la diffamazione a mezzo stampa».
Il nostro Paese, che sulla mappa di Rsf
torna a essere indicato col colore giallo,
insieme con i grandi Paesi dell'Europa
occidentale, recupera nove punti rispetto al 2013, attestandosi al 49° posto
sui 180 della classifica mondiale. In Europa, Finlandia, Paesi Bassi e Norvegia
si confermano come trio di testa. La
Francia cala di un punto (39° posto), soprattutto per la sentenza che ha imposto a Le Point e Mediapart di ritirare dai
loro rispettivi siti internet le registrazioni
sull'affaire Bettencourt. «Una grave violazione della libertà di stampa - denuncia RSF - che nega ai cittadini il diritto di
essere informati su questioni di interesse generale». Malissimo la Grecia,
«colpita dalla crisi economica e dall'emergere della febbre populista», che
perde 14 posizioni, scivolando al 99°
posto. Secondo l'organismo basato a
Parigi, la situazione della libertà di
stampa peggiora anche in Gran Bretagna (33° posto, - 3 punti), colpevole di
aver fatto pressioni sul quotidiano The
Guardian nella vicenda legata alle rivelazioni di Edward Snowden sulle attività
dell'intelligence americana e britannica.
Ma uno dei crolli più significativi si registra negli Stati Uniti, che perdono 13 posizioni, piazzandosi al 46° posto. La
condanna a Bradley Manning nel caso
Wikileaks e la stessa vicenda Snowden,
sottolinea Rsf, «suonano come un avvertimento per chiunque cerchi di rivelare informazioni di interesse generale».
A registrare la caduta più disastrosa, è
la Repubblica centrafricana (109°
posto), teatro di un violento conflitto, che
arretra di 43 posizioni, «al termine di un
anno segnato da un'estrema violenza,
attacchi e ripetute intimidazioni contro i
giornalisti». La Russia rimane più o
meno stabile, seppure in basso, guadagnando un punto rispetto allo scorso
anno. La Siria, dove quasi 130 operatori
dell'informazione sono stati uccisi nell'esercizio delle loro funzioni tra il marzo
2011 e il dicembre 2013, precipita nella
parte meno nobile della classifica, al
177° posto. In Siria, avverte Rsf, i media
rappresentano ormai «un obiettivo sia
per il governo di Bashar al-Assad sia per
le milizie dei ribelli estremisti». Peggio
solo il Turkmenistan (178°), la Corea del
Nord (179°) e l'Eritrea (180°).
Reporters sans Frontières e le pagelle sulla libertà
di stampa: bene Italia, male Grecia e Usa
GIOVEDì 13 FEBBRAIO 2014
Gli Usa: «Guai a chi
commercia don l'Iran».
Teheran: «State
solo bluffando»
Redazione
Il capo delle forze armate
iraniane, il generale Hassan
Firouzabadi, ha definito un
«bluff politico» le dichiarazioni americane su una
eventuale opzione militare in
caso di fallimento dei negoziati sul nucleare, aggiungendo che l'Iran è pronto alla
«battaglia decisiva contro gli
Stati Uniti e il regime sionista». «Stiamo lanciando un
avvertimento - ha proseguito
il generale, secondo quanto
riporta l'agenzia Fars - se un
attacco verrà sferrato contro
le nostre forze da un territorio, tutte le posizioni verranno attaccate. Noi non
abbiamo alcuna ostilità nei
confronti dei Paesi della regione, ma se siamo attaccati
dalle basi americane nella
regione, noi le prenderemo
di mira e le attaccheremo».
In queste ultime settimane
funzionari americani hanno
detto a più riprese che «tutte
le opzioni rimangono sul tavolo» in caso di fallimento
dei negoziati tra Iran e il cosiddetto gruppo 5+1 (Usa,
Francia, Regno Unito, Russia, Cina e Germania) sul
dossier nucleare, che dovranno riprendere lunedì a
Vienna. Come si ricorderà,
martedì il presidente americano, Barack Obama, durante la conferenza stampa
con Francois Hollande,
aveva detto che «le aziende
che fanno affari in Iran lo
fanno a loro rischio e pericolo, rischiando una pioggia
di sanzioni.» Il presidente
francese, dal canto suo, ha
diffidato le imprese francesi
dal recarsi in Iran.
La stagione disastrata delle “strane intese” sta
allontanando sempre di più gli italiani dalla politica
GIOVEDì 13 FEBBRAIO 2014
Secolo
d’Italia
Liliana Giobbi
Il rischio di replicare il crollo di consensi avuto dalla squadra di Monti,
passati dal paradiso all'inferno in
un batter d'occhio c'è ed è sempre
più vicino. La stagione del governo
Letta, ormai al tramonto, sta
avendo conseguenze negative e
sta finendo per allontanare ancora
di più gli italiani dalla politica. E lo
dimostrano le cifre perché i nostri
connazionali si dichiarano sempre
più delusi dalle istituzioni dopo le
vicende che hanno interessato il
Parlamento durante le ultime settimane. È quanto si evince dal sondaggio Lorien Consulting realizzato
in esclusiva per ItaliaOggi, secondo il quale il 69% degli italiani
non ritiene più che il Parlamento
sia un'istituzione credibile (il 53 per
cento dice che la sua credibilità è
addirittura peggiorata). Per quanto
riguarda alcuni degli avvenimenti,
nello specifico, il 53 per cento si
dice d'accordo con la decisione del
presidente Boldrini di tagliare i
tempi di discussione in Parlamento
(il quaranta per cento è invece contrario) e addirittura il 79 per cento
afferma di essere in disaccordo
con i metodi di protesta praticati dal
Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
Se si affronta il tema della riforma
elettorale, il 52 per cento degli italiani ritiene di conoscere e aver capito poco (36%) o per niente (16%)
quale sia la proposta di riforma in
discussione, mentre il 31% la considera una mossa di Renzi e Berlusconi per far fuori i piccoli partiti
e il 15% per far fuori il Movimento
Cinque Stelle. Per il 27% è invece
un compromesso importante per la
vita democratica e politica italiana.
Il 21%, altresì, la ritiene inutile perché altri sono i problemi dell'Italia. Il
sondaggio è stato realizzato dall'Istituto: Lorien Consulting-Public
Affairs in esclusiva per ItaliaOggi
ed èstato realizzato su un campione rappresentativo della popolazione maggiorenne italiana di
1.000 cittadini.
Redazione
Una app. E un'Olimpiade. Per valorizzare la lingua italiana. Già perché
ci saranno quasi 600 scuole ai nastri di partenza della prima prova
della quarta edizione delle Olimpiadi di italiano nel corso delle quali
15 mila studenti delle scuole superiori italiane si sfideranno nella gara
selettiva di istituto. Un primo assaggio al quale seguiranno, poi, il
13 marzo e l'11-12 aprile, le prove
interprovinciali e nazionali. L'iniziativa, presentata martedì al ministero dell'Istruzione, «valorizza spiega il sottosegretario all'Istruzione Marco Rossi Doria - le eccellenze nelle nostre scuole. L'italiano
è l'elemento fondamentale della nostra identità ed è una delle lingue
più parlate al mondo».
A partire dalla seconda prova, poi,
alle Olimpiadi parteciperanno
anche le scuole italiane all'estero:
18 istituti tra i quali scuole di Madrid, Casablanca, Parigi, Praga,
Barcellona, Bruxelles, Sofia, Bratislava, Il Cairo e Asmara. Campania, Veneto e Lombardia, invece, le
regioni più rappresentate alle gare
che, nella prima fase, si svolgeranno online.
I finalisti, 60 studenti delle scuole
italiane e 8 ragazzi di scuole straniere, si ritroveranno, invece, a Firenze nell'ambito dell'iniziativa
culturale "Giornate della lingua italiana": in quel contesto i ragazzi affronteranno quesiti a risposta
chiusa e prove aperte di scrittura.
«Le scuole iscritte a questa edizione - ha osservato il direttore generale per gli Ordinamenti
scolastici, Carmela Palumbo - sono
aumentate rispetto all'anno scorso,
quando si erano fermate a quota
542. Partecipa più di un quinto del
totale degli istituti superiori».
«Crediamo nella lingua come strumento di promozione - ha aggiunto
il direttore centrale per la Promozione della cultura e della lingua italiana del Ministero degli Esteri,
Massimo Riccardo spiegando così
il senso dell'iniziativa - è un modo di
far sentire le scuole italiane all'estero». Il comitato tecnico delle
Olimpiadi sta lavorando anche a
un'app, “Conosci l'italiano“, che valuta la conoscenza della lingua e
che contiene i quesiti delle Olimpiadi precedenti posti in chiave di
gioco: sarà disponibile «a fine febbraio».
Infarto, parte lo studio
sul braccialetto salvacuore
Olimpiadi di italiano, si sfidano 15.000 studenti.
E arriva l'App per prepararsi
5
Redazione
«Rischiamo di laureare ottimi
professionisti ma perdere tutti
i potenziali scienziati e innovatori». E' il grido d'allarme
lanciato da Andrea Lenzi,
Presidente del Consiglio universitario nazionale che mette
in guardia su un dato in vistoso calo: negli ultimi 4 anni
l'Italia ha perso 1700 posti
nelle scuole di specializzazione per i medici, che ora
sono metà di quelli che sarebbero necessari. «Erano
5.000 nel 2010 su 6.700 laureati in medicina nello stesso
anno. Nel 2013 i posti sono
stati ridotti a 4.500. Quest'anno a oggi sono previsti
3.300 contratti di specializzazione a fronte di circa 7.000
laureati - rivela Lenzi -Siamo
in controtendenza rispetto al
resto dell'Europa e del mondo
che richiede specializzazione
e cultura per la scienza».
Il gap è emerso nel corso dell'appuntamento annuale promosso dalla Fondazione Lilly
che ha premiato un giovane
ricercatore, Alberto Ranieri da
Caterina: riceverà 210 mila
euro nei prossimi tre anni, per
studiare gli effetti del braccialetto salvacuore: il semplice
gonfiaggio e sgonfiaggio di un
bracciale della pressione ad
un arto, prima e dopo la riapertura della coronaria responsabile
dell'infarto,
potrebbe ridurre il danno finale subìto dai tessuti del
cuore fino al 30 per cento.
Durante l'evento la Fondazione Lilly ha anche annunciato l'ambito del nuovo
bando: "Nuove strategie terapeutiche e qualità della vita
nelle malattie reumatiche".
Infrastrutture e mobilità in Toscana: il piano
della Giunta è solo “un documento da biblioteca”
6
Secolo
d’Italia
Redazione
«Non vediamo alcuna vera novità nel piano che viene presentato. Ricordo quello degli Anni
80, che aveva una impostazione
simile a quello di oggi; il guaio è
che in parte i problemi sono gli
stessi. Manca uno sforzo per
sciogliere i nodi problematici che,
qui in Toscana, attardano la realizzazione di opere che altrove
camminano. Basti pensare allʼautostrada Tirrenica, per la
quale i lavori fervono sul tratto laziale e qui si arenano ormai da
anni. Insomma, quanto prodotto
è, secondo me, un ottimo documento da biblioteca, consigliabile
a qualunque tecnico e operatore
di settore in qualità di strumento
conoscitivo». Lo sostiene Alberto
Magnolfi, presidente del gruppo
del Nuovo Centrodestra, che
così prosegue: «Dire però poi
che possa costituire il presupposto per operazioni di governo del
settore è tuttʼaltro argomento, e
credo che neppure la maggioranza potrebbe affermarlo. Le
criticità del piano sono molteplici,
e sostanzialmente riconducibili al
fatto che esso si basa su unʼanalisi economica ferma al 2011.
Oltre a contenere affermazioni
non veritiere. Cito quella sullʼinterporto di Prato. Nel leggere
questo documento si evince che
la sua realizzazione risulta “so-
stanzialmente conclusa” nel
2010, a circa ventʼanni dallʼinizio
dei lavori; nella realtà perciò, a
ben guardare, i lavori lì non sono
neppure a metà visto che mancano tutte le opere di collegamento sia viario e che ferroviario.
Sul sistema della logistica, in realtà, la Regione ha fatto dei
grossi passi indietro. Il centro intermodale di Guasticce a Livorno, infatti, non è mai
decollato, mentre lʼinterporto di
Gonfienti a Prato in mancanza
dei fondamentali raccordi infrastrutturali non è in grado di rispondere alle esigenze per cui
era stato concepito. In generale
– continua Magnolfi – questo documento è strutturato come gli
altri Piani che via via la Giunta ci
sottopone: riaffermazioni condivisibili ma generiche e scontate,
incapaci di suscitare particolari
adesioni né particolari critiche.
Alcune questioni sono poi affrontate unicamente nella logica
della mobilità locale, e penso ad
esempio alla tramvia fiorentina,
che rimane un tema su cui non
esiste un approccio proiettivo di
tipo regionale. Tutto fermo anche
sulla questione del sistema aeroportuale, su cui il piano non
esprime nulla di nuovo», conclude il capogruppo del Nuovo
Centrodestra..
Redazione
«Il disegno di legge 111 sulla competitività e libertà dʼimpresa approvato dal Consiglio regionale
mette al centro l'interesse dell'imprenditore e offre strumenti necessari perché si possa investire
ancora nella Lombrdia». Così il
consigliere regionale Giulio Gallera (Forza Italia) ha commentato
lʼapprovazione del progetto di
legge sulla competitività. «Negli
ultimi anni – continua Gallera - si è
parlato molto di delocalizzazione,
prima in Polonia poi in Cina, un fenomeno che ha arrecato un
danno gravissimo ai nostri imprenditori. Allora nei mesi scorsi,
insieme ai miei colleghi, mi sono
chiesto in che modo la Lombardia,
la locomotiva dʼItalia, potesse tor-
nare ad essere luogo dʼattrazione
per le imprese. Negli ultimi tre
mesi siamo rimasti in ascolto del
territorio e di tutti i soggetti interessati (artigiani, piccoli imprenditori, associazioni di categoria), e
sono davvero orgoglioso di aver
dato il mio contributo alla stesura
di questa legge che mi auguro tornerà a dare respiro allʼeconomia
lombarda. Poiché è evidente che i
governi non hanno saputo rispondere al grido di disperazione delle
nostre imprese, abbiamo cercato
noi di dar loro risposte concrete
cercando di invertire la tendenza». Per Gallera lʼapprovazione della legge rappresenta «un
passaggio storico, un punto di
partenza forte per la Regione
Lombardia che vuole guardare
alla crisi non come ad un fattore
ineludibile, ma provando a dare
speranza e fiducia a chi ha ancora il coraggio di fare impresa».
Il consigliere di Forza Italia ha poi
esposto i principali strumenti
della nuova legge «che, siamo sicuri, produrranno notevoli vantaggi per le imprese. Gli accordi
per la competitività permetteranno di individuare vantaggi fiscali per le imprese che decidono
di insediarsi o di rimanere sul territorio lombardo. Lʼaccesso al
credito: le idee ci sono, mancano
i fondi, sarà Regione Lombardia
a farsi garante delle idee, accordi
con il sistema bancario e Finlombarda permetteranno di sviluppare un sistema di garanzie per
le micro e piccole imprese».
Libertà dʼimpresa: dalla Lombardia
un segnale di cambiamento importante
GIOVEDì 13 FEBBRAIO 2014
Controllo delle caldaie:
dal Campidoglio
lettere pazze o raggiro?
Redazione
«Numerosi cittadini sono preoccupati per le lettere ricevute in questi
giorni con lʼintestazione di Roma
Capitale, firmate però dal rappresentante legale dellʼAti Sea srl,
nella quale la società afferma di
aver avviato la campagna di controllo delle caldaie ai fini del riscontro della rispondenza alle
norme di legge. Ma i prezzi proposti, alcune condizioni e i criteri di
assegnazione del servizio da parte
di Roma Capitale ci lasciano interdetti. Per questo chiediamo chiarezza sullʼintera procedura». Lo
dichiarano due esponenti di La
Destra: Fabrizio Santori, consigliere regionale del Lazio, e Marco
Giudici, presidente della commissione Trasparenza del Municipio
XII di Roma. «Nel giorno indicato
la società obbliga i cittadini ad
aprire le porta di casa per effettuare un controllo tecnico gratuito
e documentale dellʼimpianto termico, qualora la caldaia non sia
autodichiarata. Il costo indicato
dalla società ammonta a 90,54 o a
105,53 euro, a seconda dellʼanzianità della caldaia, ossia ad un
prezzo superiore a quello di mercato. Non solo, il malcapitato che
riceve questa comunicazione, nel
caso in cui non possa essere presente in occasione del sopralluogo
del tecnico, sarà costretto a pagare 28,98 euro e non potrà contattare il numero verde per
comunicare con la società, perché
da giorni suona come disconnesso», concludono Santori e Giudici.
John Travolta sfida 007: in palio c'è il ruolo
dellʼantagonista nella nuova avventura
Secolo
GIOVEDì 13 FEBBRAIO 2014
7
d’Italia
Priscilla Del Ninno
Una carriera che ha sempre alternato commedia e dramma, senza escludere sortite nel
thriller, che, ultimamente soprattutto, ha virato
con successo nel genere d'azione. Una serie
di scelte professionali sbagliate, se non addirittura penalizzanti. Un dolore come quello
della perdita del figlio Jett, scomparso nel
2009 a soli sedici anni: sono queste, di base,
le motivazioni che hanno spinto John Travolta
a cambiare registro istrionico, tanto da lasciar
intendere che nel prossimo film di James
Bond, il mitico 007 potrebbe avere un nemico
di tutto rispetto: lui. L'attore ha infatti confessato di essere interessato a vestire i panni di
antagonista nella fortunata saga spionistica
che oggi vede nel ruolo dell'agente segreto
con licenza di uccidere l'atletico Daniel Creig.
«Mi piacerebbe molto – ha dichiarato a questo proposito al Telegraph Travolta –. Per il
prossimo film stanno cercando un cattivo diverso dai precedenti. Ho parlato con Barbara
Broccoli (produttrice del film ndr.) e l'idea le è
piaciuta: sarebbe fantastico». Un cambio di
direzione professionale sorprendente, anche
se non proprio non preventivabile: le ultime
performance dell'attore sul grande schermo,
infatti, hanno dimostrato in maniera abbastanza evidente come Travolta si sia staccato
dai ruoli comici e romantici, preferendo esplorare personaggi più oscuri e problematici. A
conferma di quanto appena detto, dunque, la
notizia che, già nei prossimi mesi, l'attore apparirà sul grande schermo con il drammatico
The Forger, in cui interpreta un uomo che
corre in soccorso del padre evaso; e nei panni
del boss italo-americano John Gotti del biopic Gotti: In the Shadow of My Father, la cui
uscita è prevista per il 2015. Un nuovo corso
della sua carriera, in aperta contrapposizione
con le scelte che lo hanno riabilitato sul
grande schermo negli anni Novanta, e a seguire: dalla trilogia familiare di Senti chi parla
– un successo condiviso con Kristie Alley –
agli accattivanti ruoli interpretati nella commedia romantica di Nora Ephron in She's so
lovely, o in quella tutta acrobazie e equivoci
di Svalvolati on the road di Walt Becker. Suc-
cessi commerciali che nopn hanno fatto comunque storcere il naso alla critica, e che, soprattutto, hanno garantito a John Travolta una
nuova visibilità e un ritrovato feeling con il
pubblico. Ora all'orizzonte, però, si intravede
un nuovo inizio...
Da Monet a Van Ghog, in mostra al Vittoriano
di Roma i capolavori del Museo d'Orsay
Bianca Conte
Capolavori del passato, intramontabili pietre miliari della storia dell'arte di sempre: tutti in
mostra al Vittoriano di Roma dal
22 febbraio all'8 giugno, in una
suggestiva panoramica di tele firmate Monet, Van Gogh, Gauguin, Degas, Manet, Corot e
molti altri, arrivati nella capitale
grazie a un prestito eccezionale
del Museo d'Orsay. La sontuosa
esposizione capitolina, allora, allestirà ben 70 opere realizzate tra
il 1848 e il 1914 dai più celebrati
maestri francesi, in un percorso
artistico che va dalla pittura accademica dei Salon alla rivoluzione
impressionista,
per
approdare infine alle soluzioni
formali dei nabis e dei simbolisti.
La rassegna, intitolata Musée
d'Orsay. Capolavori, curata da
Guy Cogeval e da Xavier ReyLa,
si articola in cinque sezioni: si
parte con l'arte dei Salon, che è
poi il nucleo originario delle raccolte del d'Orsay, qui posta a
confronto diretto con l'allora
emergente arte realista, al tempo
disprezzata. Il rinnovamento
della pittura accademica da parte
di artisti come Cabanel, Bouguereau ed Henner, che ottennero
grande successo tra il 1860 e il
1870, si svolge infatti in parallelo
con la nascita e l'affermarsi della
pittura realista di Courbet. Si prosegue, quindi, raccontando l'evoluzione della pittura di paesaggio
grazie alle innovazioni della
Scuola di Barbizon, da cui
prende il via lo studio impressionista della luce. È infatti proprio
nella foresta di Barbizon che
Monet e il suo amico Bazille realizzano i loro primi capolavori,
sperimentando quella decisiva
frammentazione della pennellata,
che è alla base della poetica
della luce e del colore, cifra inconfondibile della “pittura nuova”,
come venne chiamata quella impressionista. Non solo paesaggi,
però: malgrado l'interesse degli
impressionisti per la resa degli effetti della luce en plein air, le loro
opere non si limitano alle marine,
alla campagna e ai suoi piaceri.
Al contrario, puntano a ricercare
Quotidiano della Fondazione di Alleanza Nazionale
Editore
SECOLO DʼITALIA SRL
Fondatore
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d’Italia
Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76
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Tommaso Foti (Presidente)
Alberto Dello Strologo (Amministratore delegato)
Alessio Butti
Antonio Giordano
Antonio Triolo
Ugo Lisi
una profonda corrispondenza tra
il portato rivoluzionario delle loro
scelte stilistiche, con i soggetti da
rappresentare. E Parigi, simbolo
della trasformazione operata dall'industrializzazione e dal progresso della tecnica, non fa loro
mancare spunti innumerevoli. La
mostra del Vittoriano si conclude,
dunque, con l'eredità lasciata
dall'impressionismo, il cui valore
postumo è immenso e quasi immediato. Dagli anni '80 i pointillisti spingono al limite la
separazione delle macchie cromatiche portata avanti dagli impressionisti, mentre alcuni di loro,
a partire proprio da Monet, abbandonano il dato realistico arrivando quasi all'astrazione.
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7 agosto 1990 n. 250
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Letta avverte Renzi: chi aspira al mio posto dica che