Pubblicazioni VISITIAMO LA DAUNIA L'E.P.T. di Foggia ha, con solerte e provvido pensiero, realizzato una manevole collana di « Quaderni turistici » intesa ad illustrare le singole località, di più evidente richiamo turistico, della terra di Capitanata. Affidata all'intelligenza, colta e vivace, di poeti, pubblicisti e studiosi locali chiamati a schizzare i bozzetti dei pittoreschi centri del Tavoliere, del Gargano e delle Tremiti, la collana raccoglie fin qui i seguenti « Quaderni »: I, Giuseppe D'Addetta, Fascino dei laghi della Daunia; II, Michele Vocino, Giudizi di scrittori sul paesaggio garganico; III, Antonio Manuppelli, Il Sub Appennino Bovinese; IV, Alfredo Petrucci, Tre paesi tre canti; V, Mario Prignano, Lucera; VI, Francesco Delli Muti, La Riviera garganica; VII, Annibale Facchiano, 11 Sub Appennino settentrionale; VII, Francesco Gentile, Il Santuario dell'Incoronata; IX, Adolfo Chieffo, Siponto; X, Flavio Colutta, Foglietti di un viaggio nel Gargano; XI, Eugenio Cipriani, Daunia minore. La vallata del Fortore e S. Marco la Catola; XII, Domenico Lamura, Terra salda, appunti per una biografia del Tavoliere; XIII, Paolo Nazzaro, Deliceto; XIV, Salvatore Prencipe, Mattinata e dintorni; XV, Nevio Matteini, Le Isole Tremiti; Silvestro Mastrobuoni - Nicola De Feudis, Manfredonia (Siponto - S. Leonardo). Un esempio, quello del benemerito E.P.T. di Foggia, che gli uffici preposti al turismo salentino, magari viribus unitis, farebbero bene a raccogliere e ad emulare! (M. P.) UNA RACCOLTA DELLE POESIE DI KAVAFIS Per la collana « Lo Specchio » di Mondadori è stata recentemente pubblicata, sotto il titolo « Poesie », una silloge di liriche di Costantino Kavafis a cura di E M. Pontani. L'opera, completata da una premessa informativa, da note al testo assai ricche e da una bibliografia, comprende 154 poesie di Kavafis nel testo originale e nella traduzione cli F. M. Pantani, Su Kavafis e la sua opera poetica il volume riporta i seguenti giudizi italiani: EUGENIO MONTALE: « Costantino Kavafis è un vero alessandrino, n&lo spirito e nella carne, del tutto alieno da quei ripensamen ti umanistici che sono alla radice dí ogni neoclassicismo poetico... La genialità di Kavafis consiste nell'essersi accorto che l'Elleno di allora corrispondeva all' "homo europaeus" di oggi; e nell'essere riuscito a i mmergerci in quel mondo come se fosse il nostro ». ALBERTO MORAVIA: « Kavafis non è soltanto il maggiore poeta greco moderno, ma anche uno dei maggiori poeti europei. E la sua attualità è di 89 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce buona lega; è infatti l'attualità di un'opera scarna maturata nel silenzio e nell'ombra, con completo disdegno dell'altra e tanto più chiassosa attualità ». GIUSEPPE UNGARETTI: « Kavafis. Di quanti anni mi devo ricordare di colpo, per ritrovarne i tratti. Non ero ancora ventenne quando lo conobbi. Ogni sera, al tavolo d'una latteria del Boulevard del Ramleh, famosa per il suo yoghurt, si sedeva insieme ai miei coetanei che redigevano la rivista "tram» mata"; e, non di rado, quando potevo, mi piaceva sedermi con loro. Kavafis appariva assorto e sentenzioso, compassato sebbene affabile; ma non voleva lo considerassimo più d'un compagno, sebbene ci fosse maggiore d'età e già dagli intenditori fosse salutato vero poeta. A volte, nella conversazione lasciava cadere un suo motto pungente, e la nostra Alessandria assonnata, allora ín un lampo risplendeva lungo i suoi millenni come non vidi mai più nulla risplendere ». (da « Notizie dalla Grecia» a cura dell'Ambasciata a Roma) Bitetto. Ia Cattedrale, monumento del secolo XI, Grumo, Tip. A. Laddago Autonelli, 1960 pag. 134. Le vicende storiche di un centro urbano o, comunque, abitato sono sempre intimamente connesse a quelle della sua chiesa, ché alla fabbrica del tempio cittadino, come all'espressione più alta dello zelo religioso, della coscienza civile e culturale e del lustro economico della collettività, furono dedicati, e per lungo volger di secoli, gli affetti, i pensieri e le cure di ogni corpo sociale. Nella prima metà del Mille — il secolo fortunoso che vide l'affermazione della gente normanna nel Mezzogiorno — a Bitetto anonime maestranze artigiane eressero, sul tipo della barese chiesa di S. Gregorio, il tempio che, dedicato all'Arcangelo Michele, Urbano II ricordò quale sede della « episcopalis cathedra » bitettese suffraganea di quella, arcivescovile, di Bari (1). La chiesa, sorta in stile romanico non immemore delle forme care all'architettura religiosa bizantina, sviluppa nella facciata, scandita in tre corpi da svelte lesene, altissimo equilibrio volumetrico che la pittoresca grazia dello splendido portale e del raggiato rosone, dei primi decenni del secolo XIV, fonde in agile dinamismo di luci entro lo schema cuspidato della parte centrale della fabbrica. Né solo alla facciata l'arte angioina limitò le sue innovazioni, ché mastro Lillo da Barletta — imprimendo sostanzialmente modifiche, appunto « pro reparatione seu reedificatione maioris Bitectensis Ecclesiae » (2) alla planimetria del tempio — svolse, nelle dilatate proporzioni delle arcate delle navi minori, lo spirito, più schiettamente romanico, delle originarie strutture basilicali. Per realizzare il suo disegno ed ottenere, perciò, il nitore di ampi volumi, mastro Lillo non si fece scrupolo di abbattere l'armoniosa iconostasi dell'arco trionfale e di costruire i pilastri a fascio destinati a reggere le crociere costitutrici dei tetti delle navi minori. A quel disegno, che postulava la radicale riedificazione del tempio romanico, si opposero, però, non poche difficoltà tecniche .cui, forse — come spesso suole avvenire — non andarono disgiunte quelle d'ordine economico, sicché, abbandonato — senza alcuna utilizzazione — il già compiuto, rimasero affidate allo zelo non sempre sostenuto dall'aspirazione artistica — delle congregazioni reli(1) CODICE DIPLOMATICO BARESE, I. Le pergamene del Duomo di Bari (952-1264) e. di G. B. Nitto de Rossi e F- Nitti di Vito, Bari 1897, XXXIII, p. 62 (a. 1089, ottobre 5, ind. XIII Bari), p. 62. a (2) REG. ANG. n. 291, (1333), fol. 284. 90 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce giose e dei presuli bitettesi le successive vicende, architettoniche e decorative, del S. Michele. A liberare dai rimaneggiamenti le antiche strutture e scoprire, così, l'originario aspetto della splendida chiesa, l'opera egregia del sagace Sovrintendente ai Monumenti di Puglia e Lucania, arch. F. Schettini, e l'amorosa cura del sollecito sindaco di Bitetto, dott. G. Palumbo, coadiuvata e sorretta dal diligente e proficuo appoggio di autorità e parlamentari pugliesi, si è svolta, per un lustro (1955-1959), alacremente caratterizzata dall'industre spirito che anima le realizzazioni, non soltanto tecniche e commerciali, della gente del Sud. Per quei restauri, merce l'opera saggia di ripresa e di composizione delle strutture murarie, dal transetto triabsidato — sfocato, purtroppo, da un coro immodesto — all'ele g ante sviluppo delle arcate dell'iconostasi, fino alla grazia leggiadra dei riaperti trifori dei matronei e alla rinnovata nobiltà delle capriate, l'arte romanica è tornata a sorridere nel bel S. Michele di Bitetto. Ma il Comune dell'alacre cittadina pugliese, cui la chiesa ricordava i fasti civili e reli giosi della fede e della pietà antiche dei padri, non ha voluto che la cerimonia inaugurale dello storico tempio — cui s'aggiungeva l'altra del monumentale organo offerto dai bitettesi d'America — restasse nel culto memore dei cittadini soltanto un ricordo affettivo e, nelle menti e nei cuori dei convenuti, appena un gradito incontro di arte e di fede. Però, seppur nato nel clima di quei festeggiamenti e, così, non scevro dalle facili commozioni e dalle sensazioni troppo immediatamente vissute, il libro, che il Comune ha inteso offrire quale ricordo non perituro dell'entusiasmo amoroso che ha guidato la realizzazione dell'opera, raccoglie, oltre ad una pregevolissima serie di illustrazioni figuranti particolari momenti della fase di restauro del monumento, la relazione intorno a quei lavori dell'arch. Schettini e, ad opera del solerte sindaco Palumbo, gli atti della cerimonia inaugurale, nonché la dettagliata esposizione sulla febbrile attività, intesa ad assicurare il finanziamento dei restauri. Un libro, per concludere, questo sulla cattedrale bitettese che, se non è ancora l'auspicata monografia storico-artistica sull'insigne tempio, è certamente più che un volume di atti; ché a un documento dello zelo religioso e del civile decoro di un popolo — quale, in effetti, è il libro — non può essere legata altra ispirazione che non sia quella dettata dal culto devoto per le memorie antiche del luogo natio. (M. P.) BIBLIOGRAFIA DI L. SCODITTI Dopo aver premesso un breve cenno biografico del fecondo pubblicista di Mesagne, A. Gioia raccoglie in opuscolo (Gli scritti di storia salentina e mesagnese di L. S., Brindisi, 1961) l'elenco ed il sommario dei numerosi lavori, in gran parte inediti, dello Scoditti. UN BOZZETTO DI FRANCESCO STAMPACCHIA Il richiamo della nobile tradizione familiare, che — attraverso i ricordi, le sensazioni e i pensieri della vicenda risorgimentale d'Italia — suscitava nella pietas antica di Francesco Stampacchia le care immagini e le segrete armonie del tempo lontano della sua amata città, non è rimasto inascoltato e, per una volta, la timida e pensosa riservatezza del poeta salentino ha ceduto alle dolci violenze dei familiari e degli amici. Però la prosa poetica dell'articolo Lecce e Terra d'Otranto negli anni 18591860 (Lecce - Galatina, Editrice Salentina, s.d. (ma 1961), pp. 15) è il segno più 91 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) 'a cura di IMAGO - Lecce delicato dell'affetto e della studiosa devozione che legano al culto ..ei domestici 'ari e alla memoria dei civili fasti risorgimentali lo spirito lirico dello Stampacchía. Egli ha fermato in un bozzetto tutto grazia e levità il colore e la vita dell'ambiente leccese di quegli anni fatali ed ha rievocato — com'egli soltanto, ineguagliabile maestro di uno scrivere personalissimo, poteva fare — le aspirazioni, i timori, le passioni e le ubbie di quella società borghese dando ai suoni e alle parole la voce, anima ai sentimenti e ai desideri, calore, luce, profumo ai corpi delle cose. Brilla nelle pagine di questo opuscolo, tipograficamente ornato di dignitosa sobrietà, la luce musicale dell'arte che fu già di Pietro Palumbo, chè alla poesia della storia, come a un suggestivo ideale di salda, serena, bellezza restano affidati il fascino del poeta, il ricordo dello storico, la commozione d2ll'uorno. M. P. Silvestro Amore - Fogli di quaderno, Carpena Editore, Sarzana, 1961. La denuncia sociale di cui questa breve raccolta di liriche vorrebbe essere l'eco poetica, nelle intenzioni dell'autore, resta, come d'altronde è stato accortamente rilevato in sede di presentazione da Luigi Incoronato, impigliata nelle secche di un inefficace intimismo che, pervadendo la maggior parte delle liriche, ne neutralizza la resa isterilendone la necessità. Certamente, stando sempre alla presentazione dell'Incoronato, « ...Silvestro Amore racconta e aggiunge qualcosa alla storia dell'uomo meridionale », ma aggiunge — ci si consenta — qualcosa che, salvo alcuni elementi, non aiuta, più di quanto non sia stato già fatto da altri, l'uomo meridionale a riconoscersi nella sua storia. E' che il poeta, pur avendo chiaro l'obiettivo da conseguire, smarrisce, nello sviluppo della sua vicenda poetica, gli esatti contorni della sua ispirazione lasciandosi fuorviare da elementi dalla portata molto ovvia, sia dal punto di vista delle immagini che da quello delle costruzioni, che non consentono ai vari momenti in causa di ornogeneizzarsi, tanto da dar respiro e vitalità a quella tale storia di cui parlava l'Incoronato. Non che manchino, nel complesso, illuminazioni che ci fanno avvertiti delle possibilità espressive dell'Amore, come in I pescatori della tonnara che è un canto dalle suggestive vibrazioni, di cui diamo un esempio: Dio del mare fammi il volto di un altro colore perchè possa non vedere quell'acqua maledetta. Terra di fame gettami in faccia il tuo vento traditore che mi s'attacca alle ossa. o Zolfataro d'Irpinia, dalla larga tessitura di motivi, in cui la lirica si sviluppa seguendo una oggettiva necessità con la quale riesce a far corpo la fantasia del poeta. Si avverta la profonda umanità di questo passaggio: Tu non sai il cielo zolfataro d'Irpinia. Sei qui come un pane che ha lievitato nel pianto: di cose semplici, di questo dolore antico sei impastato. 92 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce o Canto dell'emigrante in cui i motivi ricorrenti restano fissati da una sorta di dolore dell'ignoto, che per molti versi resta la componente, anche se a volte irrisolta, di tutta la raccolta. Con questa breve raccolta, in sostanza, Silvestro Amore ha saputo denunciarci tutta una serie di possibilità che maturando non potranno non consegnarci di lui, in una prossima prova, un volto più compiuto. Pietro Ratta - Carrate al tramonto Ed. Fonte Gaia, Siena, 1958. Scaturita da una necessità di ordine sentimentale è questa seconda raccolta di versi di Pietro Ratta, una necessità che — comunque — esclude, per non essere stata data, in sede di realizzazione, la necessaria trasfigurazione, per difetto di base certamente, la poesia. I diversi motivi che il Ratta tenta, sulla scorta di vaghe impressioni, restano qua e là appena accennati o risolti, quando risolti, in quadretti di genere, fatturati di luo g hi comuni che fanno naufragare l'ispirazione in un sentimentalismo cui non fa riscontro naturalmente l'adeguata eco che dovrebbe incontrare nell'animo del lettore. E' che per il Ratta il motivo paesistico, predominante nei suoi interessi, vien colto nel suo farsi, momento primo cui non è consentito, per un malinteso intento di sollecitudine e di immediatezza, il maturarsi, tanto da consegnare alla fantasia — che non riesce ad impiegarlo — un frusto fantasma. Naturalmente le immagini, in una condizione del genere, sono delle più comuni: « il vento dona colorate parole », « la tavolozza della luna », « il rosso sangue delle zolle », « la brezza spinge con la mano I il pesante carretto dei ricordi », « terra rossa- sanguinantelfasciata dalla garza delle case », « il mare accorda arie sepolte per leggende pesanti più del tempo », « S'impaniano d'intorno a mille i sogni I mossi dai venti calmi della sera », e potremmo continuare per un bel po', ma non è chi non veda, pur in questo breve campionario offerto, la mancanza di un nerbo, di ima fantasia che non si limiti soltanto alla pura e semplice registrazioni di un fenomeno. Comunque anche là dove il Ratta tenta di soggettivizzare il motivo d'ispirazione, resta alle soglie del fenomeno e la poesia è ben lungi dal comparire: « E se il vento, abbandonando il mare, I giuoca al verone ed una foglia stacca I uno dei sogni miei cadrà lontano », che è immagine delle più trite e priva d'ogni consistenza. Una prova mal riuscita questa del Ratta? Chi sa? Ma a noi sembra che sia la sostanza poetica a mancare, piuttosto, una sostanza poetica che nessun sentimento (la poesia non scaturisce dalla discriminazione dei sentimenti!) riuscirà mai a creare! Dante Ingletto - Vento tra gli ulivi, Gastaldi Editore, Milano, 1956. Un vago ungarettismo — dove non scopertamente denunciato, come in Armonia (Ungaretti,1 uomo di pena,1 comporsi in armonia! gioia di pietra...) dallo svolgimento per larghe volute — pervade questa breve raccolta di liriche di Dante Ingletto; un ungarettismo che, circoscritto dal limite-Salento, agevola, quando l'ispirazione riesce a procedere autonoma, avendo superato la contingenza del fatto culturale in una disamina di motivi dal timbro personale, quella ricerca di essenzialità nel conseguimento della quale l'Igletto si sforza di impiegare una serie di risorse di varia natura. Una delle quali è un certo plasticismo realizzato sulla scorta di impressioni vissute in tempi diversi, ma collocate in una determinata dimensione che ne inquadra gli aspetti da trasferire in sede poetica. 93 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce Si avverta, per esempio, la suggestione di queste immagini, che possono anche apparire sconta te su di un piano estetico, ma che si giovano comunque di una loro efficacia: e ancora: Offre una contadina il bronzeo corpo ignudo all'acqua casta. E' bello il cielo, ma la terra è forte. Da un gruppo di vecchie sedute attorno a un basso fuoco gorgoglia una lunga preghiera. dove il valore del verbo consente al motivo di dilatarsi per agevolare nell'animo del lettore quella ricreazione che è tanta parte della resa della poesia; e ancora, in Palude, in cui si cerca risolvere in visione di largo respiro, così come s'è presentata repentina alla fantasia del poeta, la breve illuminazione dagli assorti accenti: Ecco la quiete. Immoto come ghiaccio è il grigio stagno. Si son chinati i giunchi a trafiggere rane. Certo, anche là dove il poeta rincorre il fantasma di una sua personale esperienza, esteriore comunque, da esaurire in visione poetica si avverte sempre, come per una abitudine ormai acquisita tanto da diventare una seconda natura, la suggestione del modello, come se il poeta temesse di affrontare sprovveduto un cammino che gli è dinanzi, ed infatti dove l'adesione al modulo tenta configurarsi in diversa misura mediante il richiamo, per esempio, al dato di natura mitologica, la spezzatura è evidente e la lirica che ne risulta frana in una atmosfera artificiosa, involuta, agli estremi, da una sorta di ovvietà. Comunque, l'Igletto ha un suo mondo da risolvere, un mondo fatto di richiami, di tanti minuti richiami, dagli accenti suadenti, dalle intonazioni accorate, dagli impulsi dilatantisi fino a comprendere, magari, tutto un fatto paesistico, un mondo dichiarato da brevi e penetranti risoluzioni. Si avverta il valore — che non è poi tutto letterario — di queste improvvise risoluzioni. In Il nome: In Risveglio: Sono un'ipotesi antica che voglio spiegare, che se risolvo è la morte. Per farmi vivere mi meravigli, mattino amico. In Ritorno d'anima: Mi riconosco stanotte nella gratitudine antica per chi m'ha fatto dono d'inattesa tristezza. In Morte d'anima: Come un assurdo rimorso mi raspa la morte d'anima. che sono i momenti — ci si perdoni questo frantumare l'ispirazione in cui l'Igletto cerca di essere di più se stesso; ma a questo punto ci sembra più opportuno, per dare una misura delle possibilità del poeta, riportare intera Paesaggio II: 91 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce Sospesa sul brividio dei chiaro mare è allegra la luna. Nel ciuffo solitario di canne affacciate sul vuoto l'argento trema. si curva l'orizzonte a cingere il mondo. Mille piccole voci fanno vivo il silenzio. Com'è facile tutto stasera. dove non è chi non veda l'evidente richiamo — se è necessario individuarne ancora una volta la posizione — ungarettiano, ma prodotto in una tale sfuggente maniera da consentire, a chi voglia intenderne gli effetti, la misura con cui sa adoperarlo, l'Ingletto. Una misura che può essere sviluppo di una situazione certamente, ma anche di una ispirazione ove una ricerca di più intimi motivi orienti la fantasia del poeta. Lina Trezza - L'uomo nell'orto, Il Baretti editore, Napoli, 1961. Una larga, anche se non omogenea, tessitura di s.fitimenti potremmo definire questa raccolta di liriche che Lina Trezza, ci offre sotto l'impulso di stimoli diversi, di natura culturale — e gli interessi della giovane poetessa, com'è denunciato nell'affettuosa presentazione di Italo Maione, sono, dal punto di vista culturale appunto, dei più vari —, oltre che di quelli di natura propriamente affettiva, che rappresentano poi il nucleo, o i nuclei, intorno ai quali si muove l'ispirazione. La quale, quando non è attenuata, nelle. sua espressione, da certe manifestazioni di carattere sentimentalistico, che rendono ovvia l'immagine impedendole di trasfigurarsi ín fatto poetico, o da certi richiami culturali abbastanza scoperti e non del tutto assimilati, riesce a produrre cose veramente penetranti. E', questo della Trezza, un modo di sentimenti (quando non sono sensazioni, risolte in un puro giuoco impressionistico, dalla facile portata) calmi e discreti, un mondo visto, o sofferto, come in trasparenza, dove il dato esterno non conserva mai i netti contorni che gli son propri, ma tende a rarefarsi in visione che è — dove l'ispirazione procede, autonoma — dì buona fattura poetica. Ed è appunto in questo, che è un carattere della poesia della Trezza, ma anche un limite, al di là del quale quanto di poesia c'è rischia di diventare freddo giuoco di ricerca, che ci è dato cogliere i momenti più riusciti di queste liriche. Si mediti, per una riprova di quanto fin qui detto la dolce e serena atmosfera di questa breve lirica dall'unitario ritmo interno, in cui la poetessa par che colga, al di là di un motivo temporale, qualcosa che le è nell'animo da sempre: Nelle sere pacate di giugno ti fiorisce la morte daccanto; in un getto di fonte, in un fiore, l'hai veduta chissà quante volte, questa timida morte odorosa che non vuole negarti l'estate. 9 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) • a cura di IMAGO - Lecce o questa accorata considerazione dell'incertezza e del fluire di tutte le cose: Ciò che credemmo nostro ecco dilegua: sangue parole e voce provvisorie illusioni che il tempo ci ha brucato senza una fioritura. Spoglia di sensazioni nel cavo delle mani ci rotola una vita. E non sappiamo quale. Altre volte però l'ispirazione della Trezza, come s'è detto, non procede autonoma, ma legata al dato culturale non assimilato, resta impigliata in uno sterile movimento di sensazioni in cui l'immagine, intellettualizzata, non riesce a risolversi in fatto poetico, come in questa breve lirica: A mezzo il cielo nubi luttuose avvolse il vento tempestoso di dicembre. L'altra metà del cielo trascolora, sulle sfere rosate degli aranci versa stupori palpiti di luce. Un mondo concluso, in ogni caso, quello della Trezza, concluso in un canto dai motivi varianti sui più personali accordi, dei quali ci sembra eco precisa la lirica Si rinnova il meriggio: Si rinnova il meriggio con la luce diffusa alta sui muri. Trepidi i passi nelle strade bianche, i cani stanno sulle soglie mute. Si rinnova l'attesa dell'amante, il nuovo amore ha già messo le foglie. Nel meriggio ritorna il Tuo rancore per l'uomo pigro che non ti ricorda. Un mondo del quale, per concludere, la stessa Trezza ci denuncia do dice: i limiti, quan- Noi segnaliamo il tempo per ogni ora, vaghiamo incerti tra il silenzio e il suono ostinati a cercare una parola. ENZO PANAREO Salvatore Gaetani : " Apud Neapolim... „ Montanino Editore, Napoli, Un libro di ricordi su Napoli, sulla città cioè che da secoli ha ispirato scrittori, poeti ed artisti (una delle più efficaci novelle del Boccaccio è ambientata 96 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce appunto a Napoli) è sempre una festa dello spirito, perché la stessa città, per quel fascino naturale di cui la natura l'ha dotata, consente — atteso per un verso il temperamento dei suoi abitanti e per l'altro i fatti, densissimi, di natura storica di cui nel progresso dei secoli è stata teatro — a chi ne imprende a narrare i casi, sulla scorta di esperienze dirette o di natura culturale, una sorta di verve che piacevolmente si trasferisce dalle pagine nello spirito del lettore. Di libri di ricordi su Napoli se ne hanno molti, tutta una letteratura, ché, si può dire, non c'è stato viaggiatore nostrano o straniero, dai sette cento in poi che visitando la città non abbia avvertito la necessità di fermare sulla pagina un appunto, un ricordo, una impressione. Basta, per tutti, richiamare alla memoria 11 Corricolo di Alessandro Dumas (da leggersi nell'edizione con rara competenza curata da Gino Doria nel 1950 per i tipi dell'editore Ricciardi) al quale se molte volte fa difetto la precisa informazione — e l'edizione del Doria, con opportune e discrete note, ristabilisce dove è necessario la verità — resta sempre il merito, per quel carattere tipico della penna del Dumas, di una vivacità di racconto che fa del libro una delle cose più su ggestive che possa vantare la memorialistica su Napoli. Ma il nostro discorso qui interessa un libro su Napoli, uscito quest'anno in ottima veste editoriale, scritto da un nostro conterraneo, napoletano di adozione da tempo immemorabile, Salvatore Gaetani, che agli studi (è necessario richiamare le sue pazienti e proficue ricerche su Villon, Catullo, Bellincioni e su tanti e tanti altri argomenti?) ha dato durante una lunga ed operosa esistenza quanto di meglio ha potuto delle sue energie intellettuali. Ed è un libro, questo del Gaetani, scritto come un atto d'amore, naturale, d'altra parte, in chi da lungo soggiorno in Napoli e da lunga ed affettuosa consuetudine con gli uomini che la città hanno illustrato nelle diverse attività ha desunto quella naturale pertinenza a far di un libro di ricordi un atto d'amore. Ché un libro di ricordi è sempre un atto d'amore, ma lo è di più quando, come nel caso del Gaetani, quei ricordi nell'animo di chi li esprime si conformano come momenti di vita serenamente vissuti o dramrnaticamemnte sofferti. Diviso in quattro parti — Maestri ed amici, Ai margini della storia, Il volto della città, La società — il libro offre, come in un affresco dalle moltep:ici figurazioni con sagace pennello rappresentante, tutta una folla di personaggi che nei diversi settori della società napoletana hanno agito recando, il più delle volte, alla storia della cultura o a quella civile e politica — ma a quella della cultura sopratutto, che il Gaetani, da fine letterato con maggiore trasporto e conoscenza indaga —, e non di Napoli soltanto, contributi di considerevole portata, particolarmente per quel che riguarda il periodo che va dalla fine dell'Ottocento fino ai nostri giorni, talché il libro diventa, a chi ne sappia cogliere l'intima essenza, al di là d'un esterno aspetto di piacevole trattenimento, per la somma di notizie e testimonianze ed interpretazioni che reca, come un non trascurabile contributo alla storia della cultura napoletana, e nazionale infine ad allargarne gli orizzonti, degli ultimi tempi. Le occasioni per i vari scritti contenuti nel volume scaturiscono, il più delle volte, da letture, commemorazioni, ricorrenze, momenti sempre che trovano nell'animo del Gaetani una eco di personale portata e sempre dall'occasione è dato al Gaetani risalire, con perspicacia di storico e con finezza d'interprete, ad una sua visione, onde stabilire e fissare un proprio motivo. Apre il libro — e ne facciamo con gioia richiamo preciso perché ci piace averlo ritrovato in questa sede che ce ne ha consentito una rilettura — un lungo ed affettuoso scritto su Benedetto Croce, che avemmo ventura di leggere nel 1945 in una preziosa edizione di limitato numero di esemplari : una lettura 97 7 - LA ZAGAGLIA Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce che ci fornì del Maestro, che più volte ci eravamo sforzati di immaginare nel la consuetudine della vita quotidiana, un volto cercato. Affollano questa parte del libro personaggi, poeti, scrittori, giornalisti che per circa un secolo hanno dominato la scena , della cultura napoletana. Ritroviamo, in queste pagine, Di Giacomo, Angelo Conti, Francesco Torraca, Rocco De Zerbi, Achille Geremicca e Riccardo Filangieri, tutti descritti con affetto e semplicità, scavando, onde trarre alla luce il particolare vivido e valido a far dei personaggio l'uomo con le sue contingenze, quasi nelle più riposte pieghe del loro animo, cosa, infine, che al Gaetani poteva riuscire facile, data la frequentazione avuta con quegli spiriti. Tien dietro a questa parte, l'altra dedicata ad alcuni periodi storici durante i quali Napoli e la sua gente hanno grandeggiato. Una parte che scaturisce quasi sempre dal dato occasionale, ma questo resta sempre superato dalla considerazione dell'autore che sempre con un suo giudizio contribuisce a dare del fatto o dell'avvenimento in questione una sua misura, che è poi la misura, precisa, della vasta e varia formazione culturale dell'autore stesso. Vivace ed efficace, per un suo interno ritmo narrativo, fatto di cose ben ancorate ad una problematica che attinge dai più vari interessi, il capitolo dedicato ad Alberto Caracciolo, principe di Melissano, vivace ed efficace, e, perché no?, definitivo intorno ad un personaggio che fece parlare ampiamente di sé le cronache mondane della Napoli ottocentesca. La terza parte, la più napoletana, per certo vago scorrere, sempre sulla scorta di letture, su motivi paesistici che a Napoli, città d'incantevole situazione naturale, restano di inscindibile pertinenza, risulta come la più narrativamente agile e di piacevole lettura, agile sopratutto per il dato folcloristico e di costume che il Gaetani, attento osservatore e preciso annotatore, riesce ad inserire nel racconto, superando anche qui, come nelle parti precedenti, il dato occasionale della lettura per contribuire con il tocco personale al completamento della visione. Efficace in questa parte, lo scorrere che fa il Gaetani sulla storia delle Biblioteche napoletane che ben si completa con il capitolo della prima parte Bibliotecari poeti, alcune notizie del quale riguardano appunto le biblioteche napoletane. L'ultima parte del libro, la più densa di rievocazioni vuol essere un omag g io alla società cui il Gaetani appartiene, quella del patriziato napoletano di cui l'autore sulla scorta dei personali ricordi di vita vissuta nel pullulare di personaggi, patrizi, nelle sale dei Clubs dell'Unione e del Tennis, traccia quasi come la storia negli ultimi cento anni, dall'unità d'Italia, cioè, ad oggi. E — caratteristica che ci rende queste pagine di cordiale ed accogliente lettera -- questa società non è vista con occhio interessato, come la condizione del Gaetani potrebbe far supporre, e pertanto tendenziosa, ma è vista come in trasparenza, serenamente, per cui di questa società, a lettura ultimata, è possibile formulare un giudizio il più possibile vicino alla realtà, che, in definitiva, risulta del tutto lusinghiero. L'ultimo capitolo del libro è dedicato a quel Club degli Illusi che per tanti versi contribuì, dopo la parentesi della prima guerra mondiale, a restituire vigore sanamente costruttivo alla vita culturale di Napoli, un motivo, questo del Club degli Illusi che vorremmo veder ripreso in pubblicazione di più ampio respiro, e non è il caso dir perché. Un libro, questo del Gaetani, in definitiva, di simpatica e costruttiva lettura, un libro che con validità si pone accanto agli altri, di ricordi e di memorie su Napoli, dei quali il Gaetani cordialmente ed intelligentemente fa cenno. Enzo Panareo 98 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce