Lettura
Individua il genere
Bjorn Larsson, I poeti morti non scrivono gialli, Iperborea
(versione ridotta)
Anders Bergsten non riusciva a dormire. Pensieri ed emozioni gli vorticavano dentro come un
tornado.
Si alzò piano dal letto e andò in cucina a farsi un caffè. Cercò qualcosa da leggere per liberarsi
dai suoi pensieri, qualsiasi cosa, anche un giornale vecchio, un opuscolo pubblicitario, ma non
trovò niente. Il soggiorno era clinicamente ripulito di ogni tipo di lettura. Non ci aveva mai fatto
caso ma, stranamente, a parte la biblioteca di Jan Y. nell’appartamento di Tina non c’era un solo
libro, giornale o rivista. Alla fine entrò nella stanza di Jan Y., restando a lungo a osservare i ripiani
e i raccoglitori con la tazza del caffè in mano. Poi sedette alla scrivania, accese la lampada e
prese un raccoglitore a caso. Sulla copertina c’era scritto: La morte di Jan Y. Aprì la cartella con
tutti gli articoli pubblicati sulla morte di Jan Y., dai lunghi pezzi commemorativi ai trafiletti più
brevi. Tina aveva detto di voler raccogliere tutto ciò che parlava di Jan Y., e a quanto pare l’aveva
fatto davvero. In cima alla pila c’era una copia dell’Helsinborg Dagblad del giorno dopo
l’omicidio, con quel titolo a caratteri cubitali in prima pagina: Poeta si suicida nel porto di Helsinborg. Risentì le emozioni di quella mattina, quando lui stesso aveva saputo della notizia. Si rivideseduto a fare colazione, e poi Tina che si rotolava sul letto con il volto graffiato. Era una sensazione che non avrebbe voluto provare mai più. Guardò di nuovo il giornale. All’improvviso gli
passò per la mente uno strano pensiero: come l’aveva avuto Tina? Lei non leggeva mai i giornali!
L’aveva richiesto in seguito come arretrato? O forse ne aveva recuperata una copia all’ospedale.
Ma Tina era rimasta a casa in malattia per un’intera settimana dopo l’omicidio.
Continuò a sfogliare. Sembrava che Tina avesse raccolto ogni articolo pubblicato sull’omicidio.
In fondo al raccoglitore c’era una busta. Era chiusa, ma la curiosità prese il sopravvento. Aprì
delicatamente la busta, estraendone un foglio A4 piegato in due. Era una copia del testamento
che Jan Y. aveva scritto in favore di Tina. Anders stava per rimetterlo nella busta quando vide
che c’era dentro un altro foglietto. Estrasse anche quello e lesse: «Cara Tina! Voglio che tu
sappia che ho fatto testamento e che desidero che sia tu a occuparti delle mie opere dopo la mia
morte. Lo farò firmare da testimoni». Sopra c’era una data. Il 2 febbraio!
Dunque Tina sapeva del testamento prima della morte di Jan Y.? Perché non l’aveva detto a
Barck? Anders iniziò a provare un malessere quasi fisico. C’era qualcosa che non quadrava. Su
uno scaffale in alto c’era un portariviste senza etichetta. Anders lo prese e ne rovesciò il contenuto sulla scrivania. Era uno strano guazzabuglio di cose, brevi trafiletti che annunciavano letture, ricevute di ristoranti, estratti conto dei diritti d’autore e proposte per copertine. Come diavolo
le aveva avute Tina?
Anders aprì uno dei tanti fogli ripiegati. Era la ricevuta del noleggio auto. Perché l’aveva conservata? Era un viaggio che avevano fatto insieme per qualche lettura o apparizione pubblica?
Guardò la data. La macchina era stata noleggiata dal 4 al 6 febbraio. Di quell’anno! Anders
rilesse più volte la data. Nessun errore, aveva letto bene. Tina aveva noleggiato una macchina
il giorno che Jan Y. era stato ucciso? Non poteva essere vero. Anders si rese conto immediatamente che Tina sarebbe stata sospettata del delitto, se la polizia lo avesse scoperto. Forse
Barck lo sapeva già, del resto. C’era per forza una spiegazione! Anders cominciò a cercare
febbrilmente tra raccoglitori e mucchi di carte. Da qualche parte doveva esserci una spiegazione naturale del fatto che Tina avesse noleggiato una macchina il giorno dell’omicidio. Jan Y.
doveva averle chiesto di andare a prendere i suoi archivi. Probabilmente voleva assicurarsi che
le sue poesie e manoscritti fossero al sicuro. Tina l’aveva aiutato, ma non aveva osato poi dirlo
a nessuno per paura di esser sospettata. Più tardi, quello stesso giorno, era arrivato anche
l’assassino. Era così. Non poteva essere altrimenti. Non doveva essere altrimenti.
Era costretto a trovare una prova che le cose fossero andate proprio così, una mail o un messaggio con cui Jan Y. le chiedeva di aiutarlo. Dopo un po’ trovò una cartella di materiale su
Petersén. Perché Tina l’aveva raccolto? Perché Jan Y. era citato negli articoli, naturalmente.
Sfogliò rapidamente le pagine. Qua e là Tina aveva sottolineato il testo a matita, più precisamente ogni volta che un giornalista aveva chiesto a Petersén se la casa editrice avrebbe osato
comunque pubblicare il romanzo. In altre parole, sperava ancora che il libro non vedesse mai la
luce. Forse aveva addirittura sperato che l’omicidio di Petersén avrebbe mandato a monte il
progetto, il che avrebbe spiegato perché non era mai sembrata particolarmente addolorata per
la sua morte. Forse aveva perfino... Anders non ebbe il coraggio di concludere il pensiero.
Malgrado ciò, un terribile sospetto si fece strada e mise radici in lui. Aprì ogni singolo raccoglitore nella libreria, leggendo lettere e articoli a velocità vertiginosa. Frugò dappertutto, alla fine
anche nel cestino della carta straccia. Prese un foglio appallottolato e lo spiegò lentamente.
Sembrava quasi sapere già che avrebbe finito per trovare la cosa che meno avrebbe voluto
vedere. Era la stampata di un biglietto elettronico per un volo di andata e ritorno da Ängelholm
a Stoccolma a nome Tina Sandell, con partenza il giorno dell’omicidio di Petersén e ritorno il
giorno dopo.
Lentamente, molto lentamente, divenne consapevole dell’insopportabile verità. Il sospetto si
tramutò in certezza. Rivide le reazioni di Tina in una luce nuova, devastante. Il suo dolore non
era simulato, ma non era dolore, era il trauma di aver ucciso l’essere umano che amava più di
chiunque altro, ma che non l’avrebbe mai amata, e che stava per perdere perché non avrebbe
più avuto bisogno di lei come prima, una volta uscito il romanzo. Anders si alzò barcollando.
Aveva un’ultima cosa da fare prima di lasciarsi mettere K.O. Andò nell’ingresso il più silenziosamente possibile e prese il cellulare dalla tasca della sua giacca. Passò in punta di piedi
davanti alla porta della camera da letto per non svegliare la donna che non avrebbe più potuto
guardare in faccia. Le gettò un’ultima occhiata per assicurarsi che dormisse, poi aprì cautamente la porta del balcone e si mise in un angolo. Compose il numero di Martin Barck. Il commissario rispose immediatamente.
– Chi parla? – chiese.
– Anders Bergsten. Sono Anders.
– Cosa c’è? Dov’è? La voce di Barck suonava perfettamente sveglia e preoccupata.
– So chi ha ucciso Jan Y. – mormorò Anders.
– Non può parlare un po’ più forte? Non sento.
Anders ripeté quello che aveva detto, con la voce più alta che poteva.
– Chi? – chiese Barck eccitato. – Lo dica, per amor del cielo! Lo dica!
Anders Bergsten non arrivò a pronunciarlo. Nel momento in cui il nome gli affiorava sulle
labbra, sentì un oggetto affilato penetrargli obliquamente nel collo da dietro a sinistra.
– È stata... – fu tutto quello che riuscì a dire in un gorgoglio.
– Chi? – gridò Barck al telefono.
Non sentì altro che il rumore metallico del cellulare che scivolava dalla mano di Anders Bergsten e cadeva sul pavimento di cemento del balcone.
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B. Larsson, I poeti mortI non scrivono gialli