Arcidiocesi Catanzaro-Squillace
CARITAS DIOCESANA
Anno Pastorale 2012-2013
LABORATORIO DIOCESANO PER LA FORMAZIONE E L’ACCOMPAGNAMENTO
DELLE CARITAS PARROCCHIALI
SCHEDE PER LA FORMAZIONE
degli Animatori della “Caritas parrocchiale”
(prima raccolta)
Il Direttore della Caritas Diocesana
Sac. Domenico Piraino
I referenti del Laboratorio
coniugi:
diacono Domenico Aragona e Assunta Lavecchia
INDICE
Introduzione
Scheda 01. La pastorale della Carità (prima parte)
- Quale idea di carità?
- Dalla Parola di Dio
- Dal Magistero
- Dai documenti Caritas
Scheda 02. La pastorale della Carità (seconda parte)
- La carità
- Gruppo caritativo
- Ottica della Carità
Scheda 03. La Caritas parrocchiale (prima parte)
- Perché
- Cos’è
Scheda 04. La Caritas parrocchiale (seconda parte)
- Come nasce
- Come partire
Scheda 05. La Caritas parrocchiale (terza parte)
- Come opera
Scheda 06. La Caritas parrocchiale e la Caritas diocesana
Scheda 07. Gli animatori della Caritas parrocchiale
Scheda 08. La costruzione di un percorso formativo
Scheda 09. La lettura dei bisogni: dai poveri s’impara
- Esemplificazione A: Le sfide e i problemi del mondo
- Esemplificazione B: Minori
- Esemplificazione C: Disagio giovanile
- Esemplificazione D: Senza dimora e immigrati
Scheda 10. Ipotesi di programmazione di una Caritas parrocchiale nel
contesto dell’anno pastorale
Scheda 11. “Rompere il vetro in caso di necessità”: Alcuni indirizzi di
riferimento per vecchie e nuove povertà
Scheda 12. Scheda di osservazione domiciliare per il parroco
Scheda 13. Bozza tipo di statuto di Caritas parrocchiale
Scheda 14. Compiti e verbi della Caritas parrocchiale… in sintesi
Scheda 15. La carità (Relazione di Don Gabriele Amorth)
Scheda 16. Caritas: la prevalente funzione pedagogica
(da documenti vari di Caritas Italiana)
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pag. 3
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pag. 9
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pag.21
pag.23
pag.25
pag. 26
pag. 28
pag. 32
pag. 35
INTRODUZIONE
Il presente opuscolo ha lo scopo di fornire agli animatori delle Caritas parrocchiali un
semplice strumento di formazione alla testimonianza della carità. È una prima raccolta, fatta
attingendo “materiali” da pubblicazioni della Caritas Italiana e da “A B C aritas”, prodotto dalla
Caritas Diocesana di Trento. Inoltre si è fatto tesoro di quanto è presente in termini esperienziali
nella nostra realtà diocesana e di quanto la stessa nostra Caritas ha accumulato negli anni
precedenti.
Ciascuna scheda, qui proposta, è stata pubblicata sul nostro quindicinale “Comunità Nuova”
sotto forma di articoli-schede. Il contenuto di questo opuscolo non è certo esaustivo. Può essere
utilizzato sia come percorso essenziale di formazione permanente legato ad un itinerario, sia
singolarmente per l’approfondimento di alcune tematiche. In ogni modo è sempre aperto al
contributo di quanti vogliono mettere insieme conoscenze, competenze, capacità, nell’ottica
dell’arricchimento reciproco. Nessuno è un “battitore libero”.
“La formazione degli operatori della Caritas parrocchiale non può avvenire al di fuori del
contesto comunitario, separatamente dalle proposte pastorali (educative, spirituali, culturali…)
rivolte all’intera comunità e dai cammini proposti agli altri animatori e operatori pastorali della
parrocchia e rispettivamente del vicariato e della diocesi (seminari, incontri, scuole di formazione,
percorsi…). Come pure è fondamentale la conoscenza dinamica socio-culturale del territorio, della
vita della gente (problemi, speranze, risorse…) nella logica evangelica dell’incarnazione” (dal
documento della Caritas Italiana “Da questo vi riconosceranno… la Caritas parrocchiale” n. 36).
Restiamo a disposizione per ogni altra integrazione o chiarimento.
Don Dino e l’Equipe del laboratorio
Per info:
Sede Caritas: 0961.723018
e-mail [email protected]
Direttore don Dino: cell. 335.1768959
Coniugi diacono Domenico Aragona e Assunta Lavecchia:
cell. 333.6621022
e-mail [email protected]
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Scheda 01. LA PASTORALE DELLA CARITÀ (prima parte)
Quale idea di Carità?
Con questa prima scheda, la Caritas Diocesana della nostra Arcidiocesi di CatanzaroSquillace, intende avviare un cammino di confronto, approfondimento e verifica del nostro fare
pastorale della carità. A tal fine è opportuno soffermarci a riflettere e confrontarci sul significato
che diamo ad alcuni termini che quotidianamente utilizziamo e sulle idee che ciascuno ha a riguardo
di carità, solidarietà, assistenza, condivisione, promozione, animazione, gestione.
Capita frequentemente fra addetti ai lavori di parlare utilizzando termini uguali ma intendendo
il più delle volte cose diverse.
Ancor più difficile diventa il farsi intendere quando dai luoghi della costruzione della
pastorale si passa nell’esperienza quotidiana per condividere linguaggi, cammini e percorsi
educativi, iniziative di informazione e sensibilizzazione, stili di vita e progetti con la comunità di
appartenenza e con quanti abitano lo stesso territorio e impattano negli stessi vissuti e problemi.
Il non intenderci sui termini-chiave, riguardanti la testimonianza della carità, porta con facilità
ad una maggiore fatica nella collaborazione tra realtà impegnate nell’esperienza di Chiesa, nella
costruzione di servizi adeguati ai reali bisogni dei poveri e soprattutto nel lavorare per una credibile
azione di sensibilizzazione, animazione della testimonianza comunitaria della carità e di comunione
nella Chiesa.
Si vuole avviare e favorire, quindi, un confronto sereno e per quanto possibile chiaro sull’idea
che ciascuno ha a riguardo della carità, consapevoli della necessità che l’idea di carità deve
maturare gradualmente all’interno del cammino della propria comunità in riferimento alla Parola,
alla Tradizione e al Magistero della Chiesa e alla storia del proprio territorio.
Dalla Parola di Dio
Il prologo al vangelo di Giovanni (Gv 1,1-18)
Alle fonti della carità e della fede (1Gv 4,7-21; 5,1-14)
Sapienza del mondo e sapienza cristiana (1Cor 1,18)
Osservare il comandamento della carità (1Gv 3,23)
Inno all’amore di Dio (Rm 8,31-39)
L’ultima cena di Gesù con i discepoli (Gv 13,1-17)
Istituzione dell’Eucarestia (Mt 26,26-29)
La vera vite (Gv 15,1-17)
La preghiera di Gesù (Gv 17)
Il pasto del Signore (1Cor 11,20-34)
Dal Magistero
Ma la verità cristiana non è una teoria astratta. E anzitutto la persona vivente del Signore
Gesù può quindi essere accolta, compresa e comunicata solo all’interno di un'esperienza
umana integrale, personale e comunitaria, concreta e pratica, nella quale la consapevolezza
della verità trovi riscontro nell’autenticità della vita. Questa esperienza ha un volto preciso,
antico e sempre nuovo: il volto e la fisionomia dell’amore (Evangelizzazione e testimonianza
della carità, n. 9).
Sempre e per natura sua la carità sta al centro del vangelo e costituisce il grande segno che
induce a credere al vangelo (Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 9; cfr. nn. 911).
Tutta la storia della salvezza ci dice che Dio è carità: un Dio che sceglie, perdona, rimane
fedele al suo popolo nonostante i tradimenti ma fino a che punto Dio è carità e quale carità
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egli è, lo si scopre solo in Gesù Cristo e nella sua morte di croce per la salvezza degli uomini.
(Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 12; cfr. nn. 12-24).
La parola di Dio sottolinea che questo lieto annuncio è Gesù Cristo stesso, crocifisso e
risorto è, in persona, l’icona vivente del vangelo di Dio, inscritta per sempre nel destino della
storia umana (Il vangelo della carità per una nuova società in Italia, nn. 6-7).
A Palermo abbiamo celebrato Gesù Cristo come vangelo vivente della carità. il Signore,
crocifisso e risorto, comunicazione personale di Dio, è anche attuazione perfetta dell’uomo.
Ci rivela che l’amore è la nostra vocazione fondamentale credere e amare, prima di essere un
comandamento è dono ed evento di grazia la carità è il contenuto centrale e nello stesso tempo
la via maestra dell’evangelizzazione (Con il dono della carità dentro la storia, nn. 4-5; cfr.
nn. 6-12).
Dai documenti Caritas
L’invocazione Padre nostro sospinge l’intera comunità a vivere nell’amore come famiglia di
Dio, assumendo la sua stessa sollecitudine paterna per chi è o si sente perduto, vivere il clono
della comunione frutto dello Spirito, rende una comunità veramente cristiana. Essa incarna lo
spirito delle Beatitudini, riscopre l’essenzialità dell’annuncio e la radicalità esigente del
Vangelo, vive la comunione fraterna (Lo riconobbero nello spezzare il pane, n. 1).
La storia di Gesù Cristo ha regalato
agli uomini la possibilità nuova e
singolare, di organizzare la propria vita
personale e sociale partecipando
all’amore familiare di Dio. La vita in
comunione con Dio, che in Gesù
Cristo ha costruito una storia di
Amore, educa gli uomini a prolungare
questa grazia attraverso una vita
fraterna, a partire dall’unica fede,
speranza e carità che sono state donate
a noi nello Spirito (Da questo vi
riconosceranno, n. 6).
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Scheda 02. LA PASTORALE DELLA CARITÀ (seconda parte)
Con questa seconda scheda continua l’esplicitazione dell’idea di carità e vengono presi in
esame i termini: gruppo caritativo, ottica della carità. Lo scopo: trovare un’intesa sul loro
significato e sul loro valore.
La Carità
La carità è Grazia, Virtù e Servizio.
È Grazia: Carità di Dio, come Grazia di Cristo partecipata agli uomini nello Spirito Santo. È
la stessa vita di Dio: “Dio è carità” (1Gv 4,7).
È Virtù: virtù del cristiano e della Chiesa, cioè legge di vita e dimensione permanente che
richiede il cambiamento della persona e della comunità nel modo di pensare e di agire.
È Servizio: servizio “concreto” del singolo e della comunità nei confronti dei fratelli, in primo
luogo dei poveri; rappresenta la traduzione “in opere” della carità: “Vedono le vostre opere buone”
(Mt 5,16). La Chiesa è chiamata ad annunciarla, a celebrarla e a testimoniarla.
Gruppo caritativo
Il gruppo caritativo ha come scopo della sua attività quello di alleviare i bisogni per mezzo
delle “opere di misericordia materiali e spirituali” con interventi ed iniziative di singoli e di gruppo.
Si differenzia dalla Caritas per origine e per finalità.
Origine:
Gruppo caritativo
Caritas
 Il gruppo caritativo nasce dalla buona  La Caritas è un organismo voluto dalla
volontà di una o più persone.
Chiesa per la promozione della carità e
dell’attività caritativa.
Finalità:
Gruppo caritativo
Caritas
 Il gruppo caritativo ha come scopo  La Caritas ha come scopo prioritario la
prioritario quello di rispondere ad alcuni bisogni testimonianza della carità nella comunità.
in generale o ad un bisogno particolare.
 La Caritas ha il compito di individuare
 Il gruppo caritativo può investire tutto il suo tutto l’arco delle povertà per farle presenti alla
impegno su un bisogno o su alcune povertà in comunità, stimolandola a farsene carico per
rapporto diretto con chi è in stato di bisogno.
mezzo dei gruppi o delle organizzazioni
caritative e per mezzo delle famiglie o delle
singole persone.
Ottica della Carità
I nuovi scenari della carità richiedono alla Chiesa che definisca l’ottica in cui intende porsi
per rispondere con fedeltà ai compiti che deve attuare.
L’ottica è quella che pone al centro la carità in senso giovanneo: “Dio è carità”; la sua
dimensione perciò non può che essere: planetaria, politica, promozionale, pedagogica.
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1. Planetaria, perché solo quella riconosce il Dio Carità, indicato da Cristo come “Padre Nostro”; il
quale fa sì che gli uomini siano tutti figli e quindi fratelli, nessuno escluso.
2. Politica: la Scrittura afferma che “la Terra è di Dio” (Dt 10,14; Sal 24,1; Sal 89,12s) che è stata
affidata alla “signoria dell’uomo” perché faccia in modo che ogni uomo la possa abitare e possa
trarne quanto dà risposta ai suoi bisogni. Quindi è “Carità politica” se si coniuga con giustizia,
distribuzione universale dei beni, il bene comune, cioè il bene di tutti, “perché tutti siamo veramente
responsabili di tutti” (SRS 38).
3. Promozionale: perché assume lo scopo dichiarato da Cristo per la sua missione, cioè “sono
venuto perché tutti abbiano la vita piena ed abbondante” (Gv 10,10), come compito esigente di
coerenza e fedeltà. Come carità, che si fa progettualità, perché per ogni persona vengono create le
condizioni che valorizzino le sue capacità (i talenti evangelici), in modo che “nulla vada perduto di
quanto il Padre mi ha dato” (Gv 6,39); nulla non solo di persone, ma anche di potenzialità, cioè di
tutto quel capitale di risorse che il Creatore ha reso disponibile per la crescita dei singoli e della
comunità, di ogni uomo, di ogni donna, di ogni tribù popolo e nazione.
4. Pedagogica: perché arricchisce e completa in senso progettuale le dimensioni precedenti e
persegue lo scopo di dare all’uomo, ad ogni uomo, la possibilità di crescere nella conoscenza di sé,
dei suoi diritti e dei suoi doveri, nella capacità di scegliere per il bene proprio e degli altri, e di
realizzarsi nella fiducia, nella collaborazione, nella corresponsabilità. La carità pedagogica è la
carità più squisita, perché contribuisce a fare in modo che la persona sia se stessa in dignità, libertà
e responsabilità.
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Scheda 03. LA CARITAS PARROCCHIALE (prima parte)
Perché
 Per aiutare la Parrocchia a realizzare una delle sue
funzioni vitali: lo spirito e la pratica dell’amore affinché la
comunità si renda credibile e riconoscibile da tutti.
 Per prendere piena coscienza del rapporto indissolubile,
complementare e interdipendente tra catechesi-sacramenticarità.
 Per favorire un cambiamento di mentalità, di azione e
di comportamento, passando:
- dalla delega alla partecipazione,
- dall’elemosina all’accoglienza,
- dall’assistenza alla condivisione,
- dall’impegno di pochi al coinvolgimento di tutti,
- dalla semplice conoscenza dei bisogni al “farsene” carico,
- dalle risposte emotive e occasionali all’intervento
organico e continuativo.
 Per farsi prossimo: a partire dagli “ultimi” per servire
“tutti”.
 Per educare al senso autentico della carità e all’esercizio intelligente, ragionato, ordinato,
programmato dell’amore verso il prossimo in tutte le diverse forme, secondo i suoi diversi itinerari.
Cos’è
 La Caritas entra nell’ordine dei mezzi e non dei fini. Il suo fine è che la parrocchia viva il
precetto dell’Amore evangelico e sia nel territorio segno di speranza e di aiuto, il luogo dove
l’amore di Dio si può come toccare con mano.
 È l’organo pastorale, voluto dal Vescovo, per sensibilizzare e coinvolgere l’intera
comunità parrocchiale, affinché realizzi la testimonianza della carità sia al suo interno sia nel
territorio in cui è inserita.
 È lo strumento educativo che svolge compiti di:
- antenna per cogliere vecchie e nuove povertà;
- impulso per suscitare, avviare e stimolare nuove forme di impegno;
- crocevia di incontro e armonizzazione dei vari gruppi ed espressioni di carità.
 È l’espressione originale della Parrocchia e opera in stretto collegamento con la Caritas
diocesana.
 Perciò non è:
- né un nuovo gruppo che si sostituisce o si aggiunge a gruppi esistenti e operanti
nell’ambito caritativo;
- né un’associazione di volontariato né un movimento di settore impegnato ad assistere una
particolare categoria di poveri;
- né una sovrastruttura che supplisce la libera iniziativa dei singoli o soffoca le molteplici
forme organizzate di carità.
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Scheda 04. LA CARITAS PARROCCHIALE (seconda parte)
Come nasce
La Caritas è un organismo della parrocchia ed
è presieduta dal Parroco. Si costituisce attraverso
modalità diverse, a seconda della consistenza
numerica e del grado di maturità delle
parrocchie.
Dalle esperienze in atto si possono ipotizzare
4 tipologie diverse di “Caritas parrocchiale”:
a) La Caritas è costituita da rappresentanti
delle diverse iniziative caritative presenti in
parrocchia e dei gruppi di volontariato di
ispirazione cristiana operanti nel territorio e con
eventuale inserimento di qualche persona
disponibile e sensibile.
b) Il parroco chiama alcuni fedeli,
possibilmente rappresentativi dell’intera comunità
parrocchiale (giovani, anziani, coniugi, una
religiosa/religioso…). Essi avviano il lavoro di
sensibilizzazione della comunità parrocchiale,
promuovendo anche gruppi di volontariato in
risposta ai bisogni esistenti.
c) La Caritas parrocchiale si configura come una Commissione del Consiglio pastorale
parrocchiale, nei cui confronti ha il compito di proporre i problemi e di attuarne le direttive. La
Commissione può essere estesa ad altri operatori sensibili e attivi. La Caritas viene correttamente
percepita come una cosa diversa dai gruppi caritativi.
d) Nelle piccole parrocchie bisogna che almeno una persona, attenta e capace, individuata dal
parroco, assuma il ruolo di animatore Caritas, per fungere da stimolo e proposta agli altri fratelli
nella testimonianza di carità.
In ogni caso è importante che sia bene identificato il responsabile della Caritas parrocchiale
come espressione del Consiglio Pastorale e come collegamento costante con la Caritas diocesana.
Dopo un adeguato cammino di esperienza e di riflessione, la Caritas parrocchiale può darsi un
regolamento e dotarsi di un minimo di strumenti (sede, telefono…) di sussidi (opuscoli,
diapositive, manifesti…) che favoriscono lo svolgimento delle proprie attività.
La Caritas parrocchiale nasce sulla base di uno statuto concordato con la Caritas diocesana.
Come partire
Il primo impegno che la Caritas parrocchiale dovrà affrontare non sarà operativo, ma di
studio: riflettere sulla natura della Caritas, sul suo inserimento nella vita parrocchiale e nella
programmazione pastorale, sulle finalità che è chiamata a perseguire.
La Caritas parrocchiale nasce per aggregare e potenziare le energie esistenti, non sarà perciò
“tempo sprecato” quello che si impiega per chiarire natura, modalità e obiettivi di questo nuovo
organismo pastorale, perché è importante che si parta nella chiarezza, con precisione e con uno stile
di dialogo.
Si termina questa fase formulando uno Statuto della Caritas parrocchiale che verrà sottoposto
all’approvazione del Consiglio pastorale e fatto conoscere a tutta la Comunità cristiana.
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Scheda 05. LA CARITAS PARROCCHIALE (terza parte)
Come opera
1. Studio dei bisogni e delle risorse
- Studia e analizza le povertà vecchie e
nuove, vicine e lontane; fa l’inventario
delle risorse esistenti e stimola risposte
più consone alle nuove necessità.
- A tal fine si serve di alcuni strumenti
quali: valorizzazioni di rapporti
personali, di esperienze dei gruppi, di
attività pastorali (visite alle famiglie,
gruppi familiari…), utilizzo di ricerche
già disponibili, contatti con i servizi
sociali, elaborazione di questionari.
2. Sensibilizzazione-formazione
- Informa sistematicamente la comunità
parrocchiale sulle situazioni di maggior
bisogno ed emarginazione.
- Fa conoscere i gruppi impegnati nelle diverse forme di servizio caritativo.
- Presenta iniziative di solidarietà e occasioni concrete di impiego per coinvolgere un
numero sempre crescente di cristiani.
- Propone iniziative di educazione alla solidarietà nelle scuole, nelle famiglie, nel mondo
del lavoro, utilizzando testimonianze ed esperienze locali.
- Promuove forme diverse di servizio e di volontariato, in particolare le famiglie aperte,
l’anno di volontariato sociale, il volontariato internazionale, il servizio civile e l’obiezione
di coscienza.
- Stimola la solidarietà nei confronti delle popolazioni colpite da calamità, in Italia e
all’estero.
- Propone micro realizzazioni di sviluppo nel terzo mondo, richiamando ad uno stile di vita
sobrio.
- Educa alla pace con iniziative semplici, ma stimolanti.
- Fornisce strumenti per valorizzare la liturgia e la catechesi come momenti privilegiati di
educazione favorendo il collegamento tra Parola e Carità, valorizzando ad esempio nella
celebrazione, momenti come: l’Atto penitenziale, la Preghiera universale, l’Offertorio, il
Padre nostro, il Segno della pace; o gli itinerari di preparazione ai Sacramenti.
- Promuove un serio impegno e una partecipazione responsabile dei cristiani nel sociopolitico, nell’educazione alla giustizia e favorisce un corretto rapporto con le strutture
pubbliche.
- Prepara itinerari formativi per le diverse componenti della comunità cristiana (gruppi
caritativi, di volontariato ad ispirazione cristiana, animatori liturgici, catechisti…).
3. Coordinamento
- Coordina ed armonizza le attività caritative della parrocchia attraverso riunioni
periodiche dei responsabili dei diversi gruppi e raccorda gli organismi di volontariato di
ispirazione cristiana operanti nel sociale;
- Collabora alla vita della Caritas diocesana;
- Si fa tramite in parrocchia delle iniziative proposte a livello diocesano;
- Favorisce il collegamento con i servizi sociali del territorio.
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Scheda 06. LA CARITAS PARROCCHIALE E LA CARITAS DIOCESANA
Nelle schede precedenti sono state esaminate le voci: “perché” la Caritas Parrocchiale,
“cos’è”, “come nasce”, “come partire”, “come opera”. Ci si sofferma ora sul rapporto: Caritas
Parrocchiale-Caritas Diocesana.
Essendo la Caritas un organismo ecclesiale, è
necessario, per ragioni di coerenza, che in essa si rispecchi
la struttura e la forma della Chiesa stessa. Prendendo come
riferimento per la figura della Chiesa la comunità diocesana
presieduta e guidata dal Vescovo, il rapporto tra Caritas
parrocchiale e Caritas diocesana non può che rispondere al
criterio della comunione, della collaborazione e dello
scambio, dove la Caritas parrocchiale è aiutata e sostenuta
nella propria identità e nei propri compiti dalla Caritas
diocesana.
Per sintetizzare brevemente la fisionomia della
Caritas Diocesana si può ricordare che essa
approfondisce le motivazioni teologiche della diaconia
della carità, realizza le finalità di promozione e di
coordinamento proprie della Caritas e promuove le Caritas
parrocchiali.
I suoi compiti sono riconducibili ai seguenti:
 animare la comunità al senso della carità e della giustizia;
 educare allo spirito e all’esperienza della testimonianza comunitaria della carità;
 coordinare gruppi ed iniziative per un miglior servizio alla comunità e alla società.
Sotto questo aspetto la Caritas diocesana in collegamento organico con le Caritas parrocchiali
individua l’indirizzo e il cammino, sostiene nella formazione e nella progettazione, cerca di
unificare e far convergere tutte le espressioni della carità presenti nella diocesi, evitando, con tutte
le forze e nel limite del possibile, di divenire essa stessa un gruppo operativo.
A sua volta la Caritas parrocchiale anima la singola comunità al senso della Carità aiuta a far
entrare nei progetti pastorali la dimensione caritativa, tiene aperta la coscienza ai bisogni e alle
realtà più vaste, sia diocesane che mondiali e individuali e organizza i vari interventi concreti
supportando il volontariato.
La differenza quindi tra Caritas parrocchiali e Caritas diocesana si pone meno sul
versante della identità e più su quello dei compiti.
Quel che risulta chiaro dalla stessa esperienza è che l’identità e i compiti della Caritas non
sono facili da cogliere ad un primo approccio, abituati come si è ad identificare la carità con le
opera di carità, dando pertanto come scontato o irrilevante la formazione e il radicamento nella
coscienza delle ragioni e delle motivazioni derivanti dal Vangelo e dalla fede che fondano l’agire
caritativo.
Per questo è assolutamente necessario che la costituzione della Caritas ad ogni livello sia
preceduta da percorsi conoscitivi ed educativi al senso e alla vera identità della Caritas.
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Scheda 07. GLI ANIMATORI DELLA CARITAS PARROCCHIALE
Se nessun compito e nessun impegno si possono improvvisare, tanto meno è possibile
divenire animatori della carità all’interno della Caritas parrocchiale senza un’adeguata formazione.
Per formazione qui s’intende:
 non solo una competenza tecnica o organizzativa e neppure soltanto una conoscenza del
sorgere e dello svilupparsi della Caritas nella sua dimensione nazionale o locale. Si tratta invece,
di una formazione innanzitutto al senso e all’esperienza di Chiesa, che si esprime attraverso una
partecipazione alla vita della propria comunità, alla sua preghiera e ai momenti di catechesi da cui
deve nascere “un’educazione appassionata, basata sulla comunicazione attenta ai destinatari, che
punta ad una formazione attiva e pensa i contenuti in forte interazione con il metodo e lo stile della
pedagogia dei fatti” (Da questo vi riconosceranno... n. 36).
 In secondo luogo è formazione alla carità, alla solidarietà che si manifesta in una
mentalità aperta e disponibile, aliena da ogni campanilismo e ogni forma di razzismo escludente.
 In terzo luogo si richiede un’educazione alla capacità di dialogo e di ascolto e il
superamento dell’equazione carità come elemosina (qualunque sia poi nel concreto l’oggetto di ciò
che si dà: soldi o cose), acquisendo l’abitudine a interrogarsi sulla causa e sul perché delle
situazioni di disagio e di sofferenza che chiedono il nostro intervento. Tale necessario
discernimento aiuterà ad evitare il rischio di rivolgersi a coloro che sfruttano l’azione benefica della
Caritas, giocando sull’equivoco di bisogni che nascondono il rifiuto di assumersi la responsabilità
della propria esistenza.
L’agire della Caritas non può mai essere disgiunto dalla considerazione del rispetto della
persona che a volte, dolorosamente, questo tipo di richiedenti ha per primo perso.
D’altra parte un animatore della Caritas parrocchiale deve imparare a fare i conti con il
limite e le povertà del proprio intervento, delle proprie possibilità e disponibilità di tempo, di
energie, di persone e di mezzi. E assolutamente rischioso, prima di tutto spiritualmente perdere il
senso del limite ed esigere dalla Caritas e da se stessi livelli impossibili d’impegno.
Questa considerazione va completata con la consapevolezza che la Caritas non sostituisce
l’opera dei doveri dello Stato o delle Amministrazioni.
L’agire del credente nella carità ha valore innanzitutto teologico, vale a dire manifesta la
presenza misteriosa e povera del Regno e non può proporsi quindi come toccasana dei bisogni e
delle povertà attuali. Per questo è necessario che tra l’animatore Caritas e le forze sociali si
stabilisca, nei limiti del possibile, una collaborazione dove ognuno mantiene la propria identità e le
proprie responsabilità.
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Scheda 08. LA COSTRUZIONE DI UN PERCORSO FORMATIVO
Più che offrire un modello da seguire già pronto per ogni uso, questa scheda vuole
convincere della necessità di elaborare, a partire dalla propria situazione, un itinerario di
formazione alla testimonianza della carità.
In molte nostre comunità è diffusa la mentalità per cui l’impegno volontario dentro la
comunità ecclesiale o la società civile si basa sulla “buona volontà”, o il “buon senso”, con l’idea
più di un reclutamento di manovalanza che di assunzione di responsabilità. Se poi ci aggiungiamo
l’alibi religioso per cui è lo Spirito Santo che direttamente anima le persone al volontariato, il
discorso sulla preparazione non trova certamente spazio. E invece necessario entrare in una
diversa prospettiva che non prescinda dalla conoscenza sufficiente dei problemi, delle
situazioni e delle persone che si vogliono aiutare, come anche delle risposte e delle soluzioni
già date e della capacità di ipotizzarne delle nuove.
L’animatore o il volontario non può diventare sinonimo di incompetenza, perché questo
influirebbe molto negativamente sulla stessa qualità del servizio da offrire alla comunità e al
povero. Qui si tratta naturalmente di una competenza adatta e ordinata al servizio da assumere e non
di quella strettamente professionale che invece è richiesta a coloro che svolgono un servizio
specifico che abbia una valenza per esempio socio-assistenziale.
Accanto alla non superficiale conoscenza, si devono predisporre itinerari di formazione
allo spirito della Caritas, vale a dire alla dimensione di ecclesialità del servizio caritativo.
Percorsi quindi di carattere spirituale che trovino nell’Eucaristia domenicale e nella
Parola, il loro punto di riferimento e il momento più altamente formativo.
I percorsi educativi possono poi privilegiare, a seconda delle situazioni concrete in cui si
collocano, o i singoli settori della realtà sociale in cui si pensa utile la presenza della Caritas, come
ad esempio: anziani, portatori di handicap o di malattie mentali, famiglie in difficoltà, adozioni e
affidamenti, immigrazione, casa e lavoro, ecc. oppure tematiche come la mondialità e la pace, il
servizio civile e l’anno di volontariato sociale, la giustizia e il rapporto Nord-Sud, la fame e lo
spreco, ecc.
I due criteri che sembra necessario rispettare nella preparazione di un itinerario di formazione
sono:
 l’aderenza alla realtà del
luogo e delle persone, evitando
progetti perfetti e globali, ma poi di
fatto irrealizzabili, che inducono
all’abbandono per scoraggiamento; è
meglio la politica dei piccoli passi,
concreti,
verificabili,
facilmente
modificabili se il caso lo richiede;
 la chiarezza dei limiti delle
responsabilità nostre di persone e di
Chiesa, per evitare in questo caso di
sentirsi schiacciati dall’enormità delle
problematiche e delle richieste, e
arrivare ugualmente all’abbandono per disperazione.
Lo svolgimento dell’itinerario formativo va accompagnato da una progressiva esperienza
della carità che privilegi soprattutto i rapporti con le persone, così che approfondimento di
conoscenza e introduzione all’esperienza vadano di pari passo.
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Scheda 09. LA LETTURA DEI BISOGNI DEL TERRITORIO: DAI POVERI S’IMPARA
Attraverso alcuni esempi di attenzione verso povertà e bisogni (del territorio e/o collocati
su scenari più vasti) che possono interpellare la parrocchia nell’ordinario della sua vita, s’intende
qui proporre modalità di coinvolgimento comunitario; l’organismo Caritas parrocchiale in
questa prospettiva diventa non il soggetto agente, ma:
 l’attivatore di attenzione diffusa;
 il proponente di impegni possibili per molti;
 il pedagogo di mentalità e stili di vita.
Le esemplificazioni vanno prese come tali: offrono lo spunto per leggere con lo stesso
approccio altre situazioni di povertà e bisogni che possono interpellare ciascuna comunità, diverse e
mutevoli in rapporto ai tempi e ai territori.
È un tipo di lettura incarnata: Gesù Cristo si è fatto uomo in una terra, in un tempo, ha
condiviso le gioie e i dolori della sua gente. Ha lasciato a tutti noi un percorso di vita nuova col
suo amore generoso e fedele fino alla risurrezione. Dall’esempio del suo Signore e Maestro la
Chiesa impara a “stare nella storia con amore”.
La scheda, strutturata in modo diverso rispetto all’impostazione generale di tutte le altre,
presenta proposte che offrono spunti, suggeriscono iniziative e percorsi per tradurre questo
motto nella vita di ciascuna comunità parrocchiale.
14
La lettura dei bisogni del territorio: dai poveri s’impara
A) LE SFIDE E I PROBLEMI DEL MONDO
Le esemplificazioni vanno prese come tali: offrono lo spunto per leggere con lo stesso
approccio altre situazioni di povertà e bisogni che possono interpellare ciascuna comunità, diverse e
mutevoli in rapporto ai tempi e ai territori.
a. La parrocchia
II termine parrocchia può rischiare di divenire sinonimo di cerchio ristretto:
 All’ombra del campanile circolano i problemi, le idee, le sfide che il mondo pone alla
coscienza dei credenti?
 Una parrocchia affacciata sul mondo è utopia o possibilità concreta?
 Proviamo a chiederci quale risonanza hanno, nell’assemblea eucaristica domenicale, i
grandi fatti che nella settimana trascorsa possono essere accaduti nel mondo:
- una calamità, un colpo di stato, una strage;
- ma anche una decisione importante in sede Onu;
- la consegna del premio Nobel per la pace;
- qualche scoperta scientifica benefica per l’umanità;
- gli effetti della globalizzazione;
- il divario Nord/Sud;
- le iniquità e gli squilibri delle nuove guerre (note o dimenticate).
 Sono occasioni e situazioni che possono:
- essere richiamate nell’atto penitenziale;
- offrire lo spunto per una sottolineatura durante l’omelia;
- suggerire intenzioni per la preghiera dei fedeli;
- avviare l’impegno di microrealizzazioni.
b. La colletta
Quando si organizza una colletta per un’azione di solidarietà nazionale o internazionale ci
sono piccole attenzioni per far diventare anche un singolo e piccolo gesto motivo di proposta
pedagogica:
- è importante spiegare in modo chiaro ed essenziale i motivi;
- inoltre ci sono varie possibilità di illustrare e documentare: cartelloni con foto, un
volantino, esposizione di situazioni, problemi, cifre, statistiche...;
15
- per fare ciò può bastare una piccola enciclopedia aggiornata, qualche giornale e un po’ di
fantasia;
- le Caritas Diocesane e gli Uffici Missionari, in molte diocesi, sono in grado di offrire
ampia sussidiazione;
- inoltre l’accesso ad Internet apre notevoli possibilità.
c. La Celebrazione eucaristica domenicale
La celebrazione dell’Eucaristia domenicale è uno luogo pedagogico per sua natura:
- la presentazione dei doni che certe volte può essere caratterizzata con prodotti di Paesi del
Sud del mondo;
- pensiamo al valore della recita comunitaria e fraterna del Padre Nostro;
- al segno della pace da rendere meno formale, più espressivo;
- la lettura (in momento distinto dall’ascolto della Parola al momento dell’uscita
dall’Eucarestia come consegna, mandato) di qualche testo significativo di altre culture.
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La lettura dei bisogni del territorio: dai poveri s’impara
B). MINORI
Le esemplificazioni vanno prese come tali: offrono lo spunto per leggere con lo stesso
approccio altre situazioni di povertà e bisogni che possono interpellare ciascuna comunità, diverse e
mutevoli in rapporto ai tempi e ai territori.
a. Parrocchia e iniziazione cristiana
 Il primo incontro della parrocchia con i minori è il Battesimo;
 seguono poi il catechismo, la prima Comunione e la Cresima;
 poi l’esperienza dell’azione cattolica ragazzi e l’esperienza dello scoutismo;
 l’oratorio e numerose altre proposte educative, associative e ricreative;
 sono notevoli occasioni di accoglienza, conoscenza e valorizzazione di quei piccoli che
tanto stavano a cuore a Gesù;
 le proposte che seguono vanno nel senso di non sprecare o sottovalutare varie occasioni
che si offrono alla parrocchia, come pure di promuoverne di nuove.
b. Parrocchia e minori in disagio
 Preoccuparsi di tutti i minori del territorio con la stessa attenzione e premura;
 cercare di captare fin dalla prima infanzia le possibili situazioni di emarginazione o disagio
(presenti e future):
- figli di famiglie in crisi o di ragazze-madri;
- bambini che vivono in famiglie con difficoltà (senza casa, genitori disoccupati, immigrati,
nomadi);
- o, al contrario, minori i cui problemi sono legati a eccessi di benessere e di consumismo;
 le varie proposte che la parrocchia rivolge ai minori e la valorizzazione di antenne sul
territorio (genitori, insegnanti, assistenti sociali, responsabili di gruppi sportivi...) possono
consentire un’attenzione continuativa alle problematiche minorili del territorio;
 la Caritas parrocchiale può essere il punto in cui tale osservazione viene raccolta e diventa
proposta di impegno per l’intera comunità.
c. Parrocchia, feste e regali
 Provare a leggere la pratica delle
feste di compleanno, di onomastico con
inviti e regali che possono essere:
- sia motivo di disagio per le famiglie
meno abbienti;
- sia incentivo al consumismo e allo
spreco.
 Spesso ciò è ancor più amplificato
per le feste che le famiglie organizzano in occasione della celebrazione dei Sacramenti...
 Il Consiglio pastorale, i catechisti, gli insegnati che frequentano la parrocchia, i genitori più
coinvolti possono pensare a qualche proposta controcorrente? Non si tratta di colpevolizzare i
comportamenti, ma di evangelizzare gesti che per loro natura costitutiva richiamano il dono di
Gesù, la gratuità, la condivisione, l’attenzione a chi meno ha.
d. Parrocchia e minori del mondo
 Sviluppare una parallela attenzione ai minori del Sud del mondo:
- sostenere delle microrealizzazioni finalizzate alla tutela materno-infantile o alla
scolarizzazione dei bambini;
- gemellaggi con parrocchie e/o con missionari;
- settimane dedicate a mostre, dibattiti, film su problematiche minorili interne e
internazionali;
- proposta di stili di vita sobri, finalizzando i risparmi a progetti di solidarietà per minori dei
Paesi poveri.
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La lettura dei bisogni del territorio: dai poveri s’impara
C) DISAGIO GIOVANILE
Le esemplificazioni vanno prese come tali: offrono lo spunto per leggere con lo stesso
approccio altre situazioni di povertà e bisogni che possono interpellare ciascuna comunità, diverse e
mutevoli in rapporto ai tempi e ai territori.
a. Parrocchia e giovani praticanti
 C’è il rischio che la parrocchia si
occupi dei giovani partendo dalla cerchia:
- dei praticanti;
- degli inseriti nel gruppo giovanile;
- dei coinvolti nella catechesi e
nell’animazione liturgica;
- e... resti lì!
 Se ci sono giovani a cui le proposte
della parrocchia non interessano (e se ne
dovrebbero ricercare i motivi):
- non ci possono essere giovani di cui
la parrocchia non si prende cura;
- un rischio, non sempre abbastanza avvertito, è la teorizzazione e la pratica del “pochi ma
buoni”.
 Una comunità che non vuole emarginare cerca di fare proposte accessibili a tutti:
- cominciando dagli orari (certe attività giovanili sono praticabili solo da studenti e quindi
sono occasione latente di esclusione di altri giovani);
- proseguendo col linguaggio;
- i centri di interesse;
- l’approccio ai problemi...
 Fondamentale, per tutti e in particolare per i giovani, è l’accoglienza della persona sempre
come valore, al di là di quanto possa piacere o esser condiviso delle sue idee e dei suoi
comportamenti.
b. Parrocchia e proposte possibili
 Proposte possibili per una parrocchia coraggiosa (o semplicemente incarnata):
- affrontare il disagio giovanile lì dove è evidente (per es. esprimendo prossimità alle
famiglie con figli tossicodipendenti; ma si pensi anche al diffondersi anoressia e bulimia,
ai casi di suicidio o tentato suicidio...);
- interrogarsi sulla prevenzione come mentalità e come stile:
a. dall’attenzione ai fanciulli e agli adolescenti che più fanno fatica ad inserirsi;
b. a quelli meno attrezzati ad affrontare fatiche e insuccessi;
c. ai figli di famiglie in crisi o colpite da lutti e altre difficoltà.
 Occasioni d’incontro con giovani lontani, attività sulla strada, proposte domenicali in quei
quartieri in cui restano solo i giovani più poveri.
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La lettura dei bisogni del territorio: dai poveri s’impara
D) SENZA DIMORA E IMMIGRATI
(Con particolare attenzione al mondo femminile)
a. Parrocchia e i senza dimora
 La qualifica di senza (senza-dimora, senza-famiglia...) è applicabile anche alla parrocchia?
 A quali condizioni le persone sradicate da un luogo e da legami significativi possono
sentirsi accolte e riconosciute in parrocchia che è casa tra le case?
 La parrocchia ha tra i suoi compiti quello di far crescere, soprattutto nelle giovani
generazioni, il senso del rispetto verso ogni persona, prescindendo dal modo di presentarsi o di
porsi rispetto ad abitudini e convenzioni sociali, alla bellezza o al vestito...
b. Parrocchia e proposte
 Le proposte seguenti puntano soprattutto a promuovere e verificare la sensibilità personale,
familiare e comunitaria in questa direzione:
educare le famiglie a percepire la propria casa come:
- una risorsa;
- un’opportunità per accogliere e offrire ospitalità ad un senza dimora;
- a qualcuno che ha bisogno per un pasto, per una notte...;
rendere la parrocchia un ambiente in cui si può sostare per sentirsi accolti e non giudicati.
Soprattutto la persona “male in arnese” che viene a bussare dovrebbe trovare qualcosa di più e di
meglio della distribuzione frettolosa (quando c’è...) di qualche soldo, di un po’ di cibo e vestiario...;
annunciare a tutti, nessuno escluso, che:
- Dio è amore, in particolare per i più sfortunati e piegati sotto il peso della vita;
- Dio si compiace delle preghiere che salgono a Lui dai più poveri.
c. Parrocchia e mondo al femminile
 Se in varie parti del mondo la donna è considerata essere umano subordinato all’uomo;
forse anche nelle nostre parrocchie il ruolo riconosciuto alle donne non è adeguato agli effettivi
servizi svolti:
- dalla catechesi all’animazione liturgica;
- senza dimenticare molte attività di servizio ai più poveri.
 Ciò potrebbe diventare occasione di una presa di coscienza, accentuando
contemporaneamente l’informazione e l’impegno in favore delle donne del Sud del mondo:
- una prima strada possibile è la conoscenza del notevole apporto che le donne, nei paesi in
via di sviluppo, forniscono alle famiglie e alle comunità di base: la crescita e l’educazione
dei figli, il miglioramento dell’igiene e della salute, l’incremento di attività agricole e
artigianali.
 Adottare in parrocchia delle microrealizzazioni di sostegno alle attività femminili suddette
può rivelarsi un’interessante forma di conoscenza e coinvolgimento (ampia documentazione è
reperibile anche presso l’apposito ufficio della Caritas Italiana ma anche presso la nostra Caritas
diocesana.)
d. Parrocchia e immigrate
 Un’altra via importante e non difficile da praticare in parrocchia è l’attenzione alle donne
immigrate, presenti in molte zone d’Italia:
- la mappa delle immigrate sul territorio e la verifica delle loro condizioni di vita e lavoro,
da costruire con l’apporto diretto delle donne presenti, può essere punto di partenza per
altre azioni;
- la messa a disposizione di ambienti per incontri, scuola di economia domestica (curata da
casalinghe volontarie) per svolgere meglio il lavoro di colf...;
19
- l’organizzazione di incontri per conoscere attraverso la voce delle protagoniste la cultura e
i problemi dei paesi di provenienza.
 Questo tipo di attenzione viene portato avanti dalla Caritas e da Migrantes (la Fondazione
CEI per le migrazioni, che ha almeno un delegato in ogni Diocesi) ma anche da varie associazioni e
organismi di volontariato sia ecclesiali che laici, dal sindacato.
 In ogni territorio inoltre è importante valorizzare e mettere in rete quante più forze è
possibile.
e. Parrocchia e tratta
 Una terza attenzione riguarda l’impegno per la liberazione delle donne straniere costrette
alla prostituzione, vittime di una vera e propria tratta.
- è una forma di schiavitù del nostro tempo:
- ne tirano i fili organizzazioni criminose;
- è alimentata anche inconsapevolmente dai clienti.
 Caritas diocesane, associazioni varie, congregazioni religiose femminili ed altri soggetti sia
ecclesiali che laici stanno lavorando concretamente:
- producono documentazione;
- attivano unità di strada per mostrare solidarietà a queste persone;
- aprono percorsi di riscatto con progetti di accoglienza, di recupero e di reinserimento
sociale.
20
Scheda 10. IPOTESI DI PROGRAMMAZIONE di una Caritas parrocchiale nel contesto dell’anno pastorale
Settori da interessare
Tempi particolari nell’arco dell’anno
AVVENTO-NATALE
- Schede di riflessioni o
di preghiere per la
famiglia con il tema
dell’Avvento (magari
da distribuire a Messa
ogni domenica).
QUARESIMAPASQUA
SACRAMENTI
- Schede di riflessioni
o di preghiere per la
famiglia con il tema
della Quaresima
(magari da distribuire
a Messa ogni
domenica).
- Proposta per gesti
solidarietà in
occasione di feste
(compleanni,
matrimoni-battesimianniversari, ecc.
ecc.).
FAMIGLIA
SCUOLA
FESTE patronali
ESTATE
- Con il parroco
prevedere una
“benedizione
Pasquale delle
Famiglie” che faccia
emergere meglio le
varie situazioni di
difficoltà.
- Un tema o un concorso
in collaborazione con
gli insegnanti di
religione per i più
piccoli (scuola
elementare).
-Un tema o un
concorso in
collaborazione con gli
insegnanti di religione
per i più grandi (medie
e superiori)
-Dopo i voti del primo
quadrimestre, un
doposcuola di
recupero gratuito per
ragazzi in difficoltà.
Progetto di solidarietà
per i ragazzi di Prima
Comunione
CATECHESI
LITURGIA
- Ogni domenica una
intenzione alla
preghiera dei fedeli
sull’attenzione ai poveri
e alle notizie dal Sud del
mondo…
- Giornata della Carità
al Giovedì Santo o in
una domenica di
Quaresima
- Una domenica al
mese offerte di generi
alimentari per le
famiglie in difficoltà
21
- “Estate Ragazzi” con
tematiche, film e giochi
sulla solidarietà e la
pace, educazione alla
mondialità e
conoscenza del
territorio con i suoi
bisogni e risorse.
- Nei festeggiamenti
patronali, non fare
mancare l’attenzione ai
poveri, con un gesto di
solidarietà e una
percentuale nel bilancio
della festa da destinare
a progetti di Carità
parrocchiali o della
Caritas Diocesana.
EDUCAZIONE
ALLA PACE E AL
VOLONTARIATO
EDUCAZIONE
ALLA
MONDIALITÀ
EDUCAZIONE
ALLA LEGALITÀ
RAPPORTI CON IL
TERRITORIO E I
SUOI SERVIZI
SOCIALI
- Marcia della Pace
- Con i giovani e
ragazzi prevedere una
visita nei luoghi di
sofferenza (ospedali,
case di riposo…)
- Mostre di cartelloni,
testimonianze di
solidarietà, durante le
giornate di Festa.
- Conoscenza dei
bambini stranieri
presenti nelle scuole
della parrocchia e delle
famiglie di immigrati.
- Attenzione ai
cattolici stranieri
presenti in parrocchia
(badanti, operai,
ambulanti ecc. ecc.)
- Gesti di attenzione
agli immigrati presenti
nelle fiere delle feste.
- Attenzione ai progetti
che già si fanno nelle
scuole, dare risalto ed
eco con articoli,
cartelloni, giornalini a
numero unico.
- Conoscenza e
collaborazione con i
servizi sociali del
territorio. Incontri
periodici per fare il
punto della situazione.
- Concorso tra i negozi
della parrocchia per un
addobbo natalizio a
sfondo religioso che
risalti il messaggio della
pace e della
condivisione.
- festa dei “popoli” con
le nazioni degli
immigrati presenti sul
territorio parrocchiale.
Risaltare cultura,
risorse, musiche e
cucina etnica.
- Proiezioni di Film
su questo tema, con
dibattito con i
ragazzi, le famiglie…
- Conoscenza di
storie e
testimonianze.
- Prevedere una
presenza costante nei
luoghi di sofferenza
(ospedali, case di
riposo).
-Partecipazione
costante ad ogni
iniziativa del sociale e
ai Consigli Comunali
per dare voce ai più
poveri.
- Pagamento
trasparente e completo
(fatture, Siae ecc.) nei
bilanci delle feste, con
bilanci preventivi e
consuntivi da affiggere
nelle bacheche.
- Attenzione e studio
di un bisogno
particolarmente
emergente nel
territorio parrocchiale
(o di zona con la
collaborazione delle
altre parrocchie
vicine); a es.
immigrati, anziani
soli, rom, senza fissa
dimora,
tossicodipendenze
(alcool, droghe,
azzardo) ecc.
NOTA BENE:
Questi esempi sono solo alcuni spunti, tratti da esperienze raccolte nel corso degli anni. Ogni comunità potrà
lavorare di fantasia, aggiungendo tante altre iniziative che tengano conto del proprio vissuto e delle risorse
umane presenti nella parrocchia. L’importante è cogliere lo spirito della PREVALENTE FUNZIONE
PEDAGOGICA della Caritas Parrocchiale, organismo di animazione che va ben “oltre” la funzione soltanto
“assistenziale”.
22
Scheda 11. “ROMPERE IL VETRO IN CASO DI NECESSITÀ”:
Alcuni indirizzi di riferimento per vecchie e nuove povertà
Droga e dipendenze da alcool e gioco d’Azzardo
-
Club Alcologico Territoriale
Via Staglianò (Casa dell’Arcobaleno)
88064 Chiaravalle Centrale (CZ)
tel. 338.6551764
 Centro Calabrese di Solidarietà
Ufficio Amministrazione – Servizio Qualità
Via XXVIII Ottobre
88100 S. Maria di Catanzaro
tel. 0961.769722 – fax 0961.760308
e-mail: [email protected]
Immigrazione, Senza Fissa Dimora, donne e minori in difficoltà
 Fondazione Città Solidale ONLUS
Presidenza:
Contrada Corvo, Via della Solidarietà (ex Strada 22)
“Residence Conca del Sole”, 1
88100 Catanzaro
tel./fax 0961.789006 - 789657
e-mail: [email protected]
Servizi:
- Comunità S. Domenico
Accoglienza, assistenza e recupero minori a rischio di devianza
Contrada Corvo - Via della Solidarietà - Residence Conca del sole, 1
88100 Catanzaro
tel. 0961.789006 fax 0961.557702
e-mail: [email protected]
- Casa di Accoglienza “Maddalena”
Centro pronta accoglienza
Via Carlo V, 193
88100 Catanzaro
tel./fax 0961.754303
e-mail: [email protected]
- Casa di Accoglienza “L’Aliante”
Accoglienza residenziale di adulti in difficoltà
Discesa Carbone, 17/A
88100 Catanzaro
tel./fax 0961.744182
e-mail: [email protected]
- Centro di Accoglienza “Il Rosa e l’Azzurro”
Centro di accoglienza per donne sole e/o con figli, in difficoltà o vittime di violenza o
maltrattamento
Via Civitavecchia, 56
88100 Catanzaro Lido
tel./fax 0961.780321
e-mail: [email protected]
- Casa di Alì
23
Pronta accoglienza di minori extracomunitari non accompagnati
Viale Magna Grecia, 272/A
88100 Catanzaro Lido
tel./fax 0961.780787
e-mail: [email protected]
- Centro Aiuto Donna
Centro antiviolenza
Via XX Settembre, 28
88100 Catanzaro
tel. 800909194
 Associazione Immigrati
V.le De Filippis, 326
88100 Catanzaro
tel. 0961.770749 - 770749
e-mail: [email protected]
 Associazione onlus “Nati per Amare”
Via Bambinello Gesù, 24
88100 Catanzaro
tel. 0961.746067
e-mail: [email protected]
 Centro di Aiuto alla Vita
Via Carlo V, 193
88100 Catanzaro
tel. 327.7715298
e-mail: [email protected]
 Gruppo Volontari EMMAUS
88100 Catanzaro
Via Carlo V, 72
tel. 0961.745033
e-mail: [email protected]
Rom e zingari
 Terra di Confine - ONLUS
Viale de Filippis, 326
88100 Catanzaro
tel./fax 0961.775274
e-mail: [email protected]
Problematiche economiche e di indebitamento
 Fondazione Antiusura “Santa Maria del Soccorso”
Via Carlo V, 193
88100 Catanzaro
tel./fax 0961.759550
e-mail: [email protected]
Per altri contatti o indirizzi telefonare in Caritas Diocesana.
24
Scheda 12. SCHEDA DI OSSERVAZIONE DOMICILIARE PER IL PARROCO
PARROCCHIA ……………………….…………………
ANNO PASTORALE …………………..
COMPILARE UNA SCHEDA PER OGNI CONDOMINIO/UNITÀ ABITATIVA
COMUNE: ………………………..
VIA: ………………………………
NUMERO DI FAMIGLIE VISITATE:
SITUAZIONI DI POVERTÀ
IN NESSUN
CASO
1) Presenza di persone con abbigliamento inadeguato
rispetto al clima
2) Presenza di persone in cattive condizioni igieniche
personali
3) Presenza di persone in cattivo stato di salute
4) Presenza di persone anziane sole
5) Abitazioni prive di ascensore
6) Abitazione non riscaldata (nei mesi invernali)
7) Sovraffollamento abitativo
8) Cattive condizioni dei mobili e delle strutture fisse
dell’abitazione
9) Sporcizia dell’appartamento
10) Altri segni evidenti di povertà economica
(osservati o raccontati)
25
IN QUALCHE
CASO
IN MOLTI
CASI
IN TUTTE
Scheda 13. BOZZA TIPO DI STATUTO DI CARITAS PARROCCHIALE
NOTA INTRODUTTIVA
La Caritas è un organismo pastorale costituito al fine di promuovere la testimonianza della
Carità nelle comunità ecclesiali, con prevalente funzione pedagogica.
Le caratteristiche del nuovo organismo pastorale furono tracciate con molta chiarezza da papa
Paolo VI, che istituì la Caritas Italiana nel 1971, nello spirito del rinnovamento avviato dal Concilio
Vaticano II. Precisò innanzitutto che si trattava “dell’unico strumento ufficialmente riconosciuto a
disposizione dell’episcopato italiano per promuovere, coordinare e potenziare le attività
assistenziali nell’ambito della comunità ecclesiale italiana” e indicava due caratteristiche
fondamentali:
1. La “prevalente funzione pedagogica”.
2. La carità “è condizione di crescita del popolo di Dio… sempre necessaria, come stimolo e
completamento della giustizia”.
La Carità da intendere non più come semplice assistenza, ma come stile della vita della
Chiesa, come contributo attivo di tutti i cristiani per una società più consona al disegno di amore di
Dio.
STATUTO DELLA CARITAS PARROCCHIALE
Articolo 1
È istituita nella Parrocchia la Caritas Parrocchiale, quale organismo pastorale che ha il
compito di coinvolgere la comunità parrocchiale nel realizzare la Testimonianza della Carità sia al
suo interno, sia nel territorio.
Articolo 2
Le finalità della Caritas Parrocchiale sono:
a) Sensibilizzare la parrocchia nel suo insieme (famiglie, scuola, istituzioni, mondo del
lavoro, gruppi e altre formazioni di base) al dovere della Solidarietà, della Pace e della Giustizia, in
modo che l’intera comunità cristiana si caratterizzi come comunità di amore.
b) Ricercare le forme di povertà e di bisogno presenti nel territorio, stimolare la parrocchia a
prendere coscienza della loro esistenza e delle loro cause, e a farsene carico sia con risposte dirette,
sia stimolando la società civile attraverso adeguati servizi sociali.
c) Promuovere la nascita e la formazione di volontari singoli e di gruppi di volontariato,
soprattutto in rapporto ai bisogni più scoperti e alle maggiori forme di povertà e di emarginazione,
promuovendo la formazione spirituale degli operatori impegnati professionalmente nei servizi
sociali e sanitari.
d) Coordinare i gruppi e le associazioni cristiane che operano nel campo della carità,
dell’assistenza e della promozione umana, in modo che si presentino, pur nella loro legittima
singolarità, come espressione dell’unica Chiesa.
e) Interessare e stimolare gli Enti Pubblici a dare risposte concrete ai casi di necessità nei
confronti dei quali, istituzionalmente, esse sono impegnati a provvedere.
f) Sensibilizzare la Comunità cristiana sui problemi e le risorse del Sud del Mondo,
promuovendo iniziative comunitarie di solidarietà e di reciprocità.
g) Tenere i contatti con la Caritas Diocesana per conoscerne le indicazioni e le iniziative, per
comunicare esperienze e difficoltà, per partecipare al cammino ecclesiale di crescita nella Carità.
Articolo 3
La CP è l’espressione ufficiale della pastorale della Carità della parrocchia, perciò la sua
struttura, dovendo riflettere l’impegno pastorale della Chiesa, sarà composta dal parroco, da un
26
rappresentante per Congrega e da un gruppo di laici sensibili ai problemi della carità, aperti e/o
impegnati personalmente in servizi di carità.
Articolo 4
La CP, con due suoi membri, sarà presente nel Consiglio Pastorale Parrocchiale, ne
presenterà i problemi e le ipotesi d’interventi su quanto riguarda la testimonianza della carità da
dare come comunità cristiana, attuerà nel suo lavoro quanto viene deciso nello stesso Consiglio
Pastorale Parrocchiale.
La CP potrà strutturarsi al suo interno in settori che cureranno particolari aspetti:
1. Animazione della Carità con attenzione ai bisogni e risorse del territorio;
2.Educazione comunitaria ai valori evangelici della Giustizia e della Pace;
3. Sensibilizzazione sui problemi verso i popoli impoveriti del Sud del mondo;
4. Promozione e formazione del volontariato nelle forme ed espressioni più adatte alle varie
situazioni storiche del territorio.
Articolo 5
La CP si muove in stretto collegamento con il gruppo dei catechisti e con gli animatori
della liturgia, così da consentire che il cammino di formazione catechistica e di vita liturgica, siano
momenti di crescita nel segno dell’Amore di Dio e del suo Regno di unità e di pace. Il punto
d’incontro più importante è il Consiglio Pastorale Parrocchiale.
Articolo 6
La CP gestisce fuori dal bilancio parrocchiale, un piccolo fondo di solidarietà, destinato agli
interventi di emergenza per pagare servizi di carità. Il fondo viene alimentato da offerte libere di
enti pubblici o/e privati, autotassazioni volontarie, percentuali di feste parrocchiali. Il registro delle
entrate e uscite, per motivi di riservatezza, viene conservato dal parroco.
Articolo 7
La CP ha sede negli ambienti della comunità parrocchiale.
27
Scheda 14. COMPITI E VERBI DELLA CARITAS PARROCCHIALE… in sintesi
Far conoscere a tutta la
parrocchia i bisogni dei
poveri e proporre occasioni
ed iniziative di preghiera e di
impegno per far diventare le
sofferenze di alcuni problema
di tutti.
Aprire gli spazi della
carità della parrocchia alle
necessità
della
Chiesa
universale
mediante
gemellaggi
e
specifiche
collaborazioni con le Chiese e
le realtà missionarie, in stretto
coordinamento con il Centro
missionario diocesano.
Animare l’intera comunità facendo crescere in essa la responsabilità caritativa e il suo
impegno ecclesiale in questo campo.
Collegare e coordinare tutte le energie e le iniziative di carità che sono in atto nella
parrocchia, valorizzandone l’apporto particolare dentro un progetto globale deciso e indicato dal
Consiglio Pastorale.
Stabilire un raccordo con le altre parrocchie della diocesi per un costante scambio di
informazioni, dì servizio reciproco, di proficuo dialogo e collaborazione critico costruttiva con le
istituzioni civili per affrontare insieme i problemi più urgenti e complessi dei poveri sul territorio e
rimuovere le cause di ingiustizia ed emarginazione.
Promuovere il volontariato e la formazione degli operatori in stretta intesa con quelli della
catechesi e della liturgia, in modo che nella pastorale ordinaria della comunità emerga una
permanente educazione alla giustizia, all’impegno sociale e alla pace.
Ciò significa:
conoscere le situazioni di sofferenza e di bisogno vecchie e nuove, sia quelle presenti nel
territorio parrocchiale, sia quelle lontane determinate da emergenze (calamità pubbliche) o da
condizioni strutturali di povertà, oppressione, guerra.
progettare proposte ed occasioni concrete d’impegno, con l’obiettivo di animare gruppi,
famiglie o singole persone che desiderino offrire la propria collaborazione, perché possano inserirsi
nella dimensione comunitaria della testimonianza della carità.
I servizi della parrocchia sono occasione di crescita se:
vengono discussi, vagliati, preparati insieme al Consiglio Pastorale Parrocchiale;
nella realizzazione raccolgono il massimo della partecipazione (contributi in denaro,
prestazioni di servizi, volontari);
soprattutto, si da spazio ad una verifica comunitaria sull’opportunità o meno di continuarli e
sulla qualità e modalità degli stessi (se si limitano a “dare cose” o se invece alimentano rapporti
interpersonali, se promuovono le persone o le rendono passive);
si individuano le strade sulle quali la carità non si limiti a supplire la mancanza di giustizia,
ma ne stimoli la piena attuazione attraverso l’assunzione concreta di responsabilità sociali precise
(per esempio attraverso assemblee pubbliche, coordinamento con i servizi pubblici e privati ecc.);
si dà la possibilità di formazione permanente a quanti si impegnano in materia continuativa
nei gruppi di volontariato e offrire loro occasioni di incontro e di scambio di esperienze.
L’impegno di animazione della Caritas parrocchiale suppone la presenza in essa di animatori,
cioè di persone capaci di risvegliare le coscienze di cogliere le provocazioni dell’ambiente e di
coinvolgere più gente possibile.
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SENSIBILIZZARE la comunità parrocchiale alla testimonianza della carità significa
avere un chiaro progetto di pastorale della carità, comunicare l’entusiasmo di costruire
insieme il Regno di Dio, sollecitare la presa di coscienza individuale e comunitaria,
coinvolgere tutti i gruppi parrocchiali, animare la comunità locale.
La comunità parrocchiale è spesso un insieme assai ricco e articolato di gruppi, un costante
rincorrersi di attività, catechesi per i sacramenti, incontri di preparazione al matrimonio, riunioni di
associazioni o movimenti, ecc. Ci sono poi alcune persone che individualmente o in gruppo si
preoccupano di trovate delle soluzioni alle povertà che ogni giorno si presentano in parrocchia. Cosi
l’anziano solo, il tossicodipendente, il barbone, lo zingaro ricevono a volte una risposta, spesso
amorevole (qualche spicciolo, vestiti, alimenti, un lavoro, l’indicazione di un dormitorio, il
pagamento di una bolletta scaduta, un pacco di viveri) che purtroppo non sempre risolve il problema
alla radice. Infatti, dopo qualche giorno il parroco o le persone di buona volontà si ritrovano di
fronte le stesse persone con le stesse richieste.
La comunità cristiana deve prendere sempre più coscienza della necessità di un nuovo modo
di vivere la testimonianza della carità all’interno della parrocchia, con l’obiettivo di far diventate le
sofferenze di alcuni problemi di tutti, diventando “soggetto della testimonianza della carità”.
Quali sono allora i passi da fare?
Il primo è sicuramente l’istituzione della Caritas parrocchiale, il secondo è quello di
individuare le povertà antiche e nuove nel territorio con la particolare attenzione di cercare i poveri
là dove vivono per far conoscere a tutta la parrocchia i loro bisogni.
Tutto questo significa valorizzare l’apporto specifico di tutte le iniziative di carità che sono in
atto nella parrocchia dentro un progetto globale deciso e indicato nel Consiglio Pastorale.
Ma quanti e quali sono gli apporti specifici presenti nelle comunità?
I catechisti e gli animatori liturgici hanno l’appassionante dovere di trovare dei luoghi
all’interno dei quali educare alla carità. La messa domenicale, ad esempio può essere un eccellente
spazio di educazione. Dall’omelia all’atto penitenziale, tutto può essere riletto alla luce del Vangelo
della Carità. I catechisti hanno poi la preziosa possibilità di incontrare bambini e adulti almeno una
volta a settimana. Riflettendo sulle povertà presenti nel quartiere, essi sicuramente potrebbero fare
in modo che dalla pastorale ordinaria della comunità emerga una permanente educazione alla
giustizia, all’impegno sociale e alla pace. Tutta la fantasia degli animatori della carità sarà chiamata
quindi ad esprimersi nell’animazione del territorio per affrontare insieme i problemi più urgenti e
complessi dei poveri e rimuovere le cause di ingiustizia ed emarginazione.
La sensibilizzazione della comunità passa anche attraverso la costruzione di esperienze
mediante una specifica metodologia: quella del vedere, valutare, agire (revisione di vita). “Partiamo
dai fatti”: è questo l’invito esplicito che gli animatori della Caritas parrocchiale devono rivolgere
alla comunità cristiana. I fatti sono le persone, le situazioni e le cose che ci circondano: per la
strada, nel quartiere, sul giornale... Guardiamo i fatti e interroghiamoci sulle loro circostanze, sulle
cause che li hanno prodotti, sui mezzi a disposizione per rimuoverle, sulle risorse esistenti o da
creare e, infine, sulle azioni concrete e possibili affinché l’annuncio “io faccio nuove tutte le cose”
diventi realtà.
PROGETTARE significa essere in grado di procedere sapendo individuare obiettivi
reali di cambiamento della realtà e, allo stesso tempo, itinerari efficaci e concreti per
realizzate gli obiettivi medesimi.
È facile nell’animazione della carità, scadere nell’assistenzialismo e nell’“emergentismo”;
cadere cioè in quei processi di continuo tamponamento della necessità e dei bisogni, senza mai
elaborare la soluzione degli stessi, senza mai approfondire le cause né tanto meno progettare il
cambiamento. L’elaborazione unica di risposte immediate ed occasionali, guidate più
dall’emotività che dall’approfondimento delle problematiche nella loro complessità, getterà
spesso un atteggiamento assistenziale in chi presta un servizio e una progressiva dipendenza
in chi lo riceve.
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Per progettualità intendiamo un modo di vivere e condurre le nostre esperienze chiedendoci
sempre dove vogliamo arrivare. Questo diviene necessario quando ci troviamo a condividere il
disagio e la povertà dell’altro. È quindi fondamentale ricercare itinerari educativi in grado di far
maturare la testimonianza della carità all’interno della comunità parrocchiale. È questo un “modo di
pensare”, prima ancora di un “modo di fare”. Risolvere il problema dell’altro unicamente con
una risposta immediata non modifica sostanzialmente il difficile vissuto quotidiano della
persona e non consente di fare nostra la sua storia. È come se non accettassimo già a priori il fatto
che la realtà possa cambiare anche grazie a noi. Progettare insieme la strada per uscire da certe
situazioni, cercando di capire veramente il punto di partenza e le tappe intermedie possibili, invita
ad intraprendere con l’altro un cammino e un’esperienza di vita, incarnando così lo stile evangelico
della carità.
La Caritas parrocchiale, è importante sottolinearlo, deve essere capace di coinvolgere, in
questo serio e compromettente percorso di progettazione e accompagnamento, l’intera comunità
parrocchiale e prima ancora i poveri stessi come protagonisti del cambiamento. Si tratta dunque di
pensare insieme la carità come evento di progettazione ai fini di un cambiamento: questo implica
una mentalità diversa da parte nostra e un miglioramento effettivo delle situazioni di sofferenza e di
disagio presenti sul territorio.
CERCARE i poveri là dove sono... quest’affermazione mette in crisi il nostro modo di
essere parrocchia e in particolare pone l’accento sull’aspetto necessariamente “missionario”
della testimonianza della carità. Non possiamo aspettare che le stanze dei centri d’ascolto si
“riempiano” di poveri. Dobbiamo conoscere il territorio per capire meglio dove il nostro aiuto è più
prezioso.
Come fare?
La lettura del territorio può essere divisa in cinque fasi:
1. La prima, spesso la meno curata, ha come obiettivo la presa di coscienza, da parte del Consiglio
Pastorale Parrocchiale (CPP), della necessità di rendere l’intera comunità parrocchiale soggetto
della testimonianza della carità. È questo un passaggio molto delicato. La scelta deve essere, infatti,
meditata, per poi passare all’elaborazione di una bozza di progetto di pastorale della carità,
naturalmente in profonda armonia con l’intero piano pastorale. Si otterrà così una prima ipotesi
delle linee portanti del progetto di pastorale della carità e sarà anche possibile costituire un piccolo
gruppo di persone incaricato di effettuare la lettura del territorio in ordine alle povertà e alle risorse
esistenti, formato da membri del Consiglio Pastorale, magari delle diverse commissioni (catechesi,
liturgia, carità), dai rappresentanti del centro di ascolto, dei gruppi e delle associazioni di
volontariato presenti in parrocchia. Anche la presenza di esperti (sociologi, assistenti sociali,
psicologi, pedagogisti...) può essere preziosa.
2. Una volta formato il piccolo gruppo si passa alla seconda fase, che potremmo definire dei
“testimoni privilegiati”; cioè di quelle persone (dal vicino di casa alla parrucchiera) che si mettono
in relazione quotidianamente con i poveri; il piccolo gruppo deve fotografare i pareri della
gente riguardo alle povertà e alle risorse del territorio. Insieme si comincia a lavorare per
l’individuazione di un campione significativo da intervistare, composto da persone “ben informate”
sulla vita del territorio. Dopodiché si prepara una sintesi dei dati raccolti, evidenziando le maggiori
povertà emerse dalla ricerca. Questo lavoro deve essere presentato, discusso e attentamente vagliato
nel CPP. È un momento decisivo perché consente di scegliere le aree di emarginazione da studiare e
approfondire.
3. Si passa così alla terza fase della lettura, per ottenere una “radiografia” più tecnica dei bisogni.
Occorre dunque reperire i giusti interlocutori all’interno delle aree di emarginazione
precedentemente individuate (per es. anziani, portatori di handicap, ecc.). L’obiettivo è, quello di
capire meglio l’entità e le cause della povertà, ma anche di contattare personalmente chi, nel
nostro territorio, si occupa dei problemi specifici (per es. assistenti sociali, psicologi, medici...) per
stringere con loro proficui rapporti di collaborazione. Questa fase si chiude con un ricco patrimonio
di conoscenze di fatti e di persone.
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4. Il coinvolgimento del CPP nella fase successiva, la quarta, è determinante: una volta individuate
le più rilevanti aree di emarginazione, le principali cause, le risposte più significative e alcuni
suggerimenti su come operare, è ora di tradurre la prima ipotesi di progetto pastorale della carità in
un concreto itinerario di animazione della comunità. Questo è il tempo della creatività. Bisogna
pensare a come coinvolgere tutti – catechisti, animatori liturgici, operatori della carità – nella
risposta ai bisogni del territorio. Naturalmente l’intero territorio deve poter condividere le
informazioni che abbiamo raccolto. Al suo interno possono, infatti, svolgersi dei rapporti di
fruttuosa collaborazione: l’assemblea nel teatro parrocchiale, l’incontro con i rappresentanti del
Comune, la preghiera dei fedeli, la riunione con i bambini che si stanno preparando alla comunione,
gli spazi di aggregazione dei giovani, possono diventare veri luoghi di animazione e di proposta.
5. La quinta ed ultima fase serve infine a realizzare gesti ed iniziative significative in merito alle
povertà rilevate. Il centro di ascolto rinnovato, l’apertura dell’oratorio, la nascita di un gruppo di
volontariato, l’arrivo di nuovi Volontari... sanciranno, infatti, l’impegno della comunità.
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Scheda 15.
LA CARITÀ
(Relazione di Don Gabriele Amorth)
Parlare della carità […] vuol dire
entrare nel cuore del cristianesimo. È parlare
del vero amore, di quell’amore tra noi e Dio,
che deve rispecchiare l’amore divino che
unisce le tre persone della SS. Trinità; è
parlare dell’amore che deve tenere unite le
famiglie, la società, perché sia una società di
fratelli e non di lupi che si sbranano.
L’incarnazione di Gesù ha creato un nuovo
rapporto tra noi e Dio, tra noi e gli altri.
Siamo diventati figli e quindi fratelli tra di
noi: una sola famiglia, di cui l’amore è
l’unica legge. Solo in caso di crepe, di litigi
(e quindi solo su questa terra in cui noi
viviamo) si è costretti a ricorrere ad altre
leggi.
Di che natura è questo amore verso Dio e verso il prossimo, che noi chiamiamo carità? È un
amore misterioso, non dipende dal sentimento o dal bisogno, come l’amore naturale. Ma deriva
dalla paternità divina e ne è un riflesso. Dio è amore, come lo definisce S. Giovanni; mai siamo
tanto simili e tanto conformi a Dio e alla sua volontà, come quando amiamo. Ma dobbiamo amare
come Lui ci ama. Il vangelo ci indica quattro gradi o formulazioni di questo amore.
Primo. I Sinottici, e cito Matteo 22, 36-40, si esprimono così: “Maestro, qual è il maggior
comandamento della legge? E Gesù rispose. Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta
la tua anima, con tutta la tua mente. Questo è il massimo e il primo comandamento. Il secondo, poi
è simile a questo: amerai il prossimo tuo come te stesso”.
Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e tutto ciò che hanno scritto i profeti. La
parola “simile” è un inciso di Gesù, in aggiunta alle parole che già troviamo nell’Antico Testamento
ed apporta una nota sconvolgente per l’Israelita: non puoi trattare Dio come Padre se non tratti e
accetti gli altri come fratelli. Accettarli come fratelli, vuol dire che credi alla paternità di Dio: S.
Giovanni specifica: “Non ama quel Dio che non vede, chi non ama il prossimo che vede”. Luca,
specifica con un’altra domanda rivolta a Gesù: “Chi è il mio prossimo?”. E Gesù narra la parabola
del buon samaritano. Da qui vedete che l’estensione dell’amore è universale. Anzi Gesù dice che
questo amore deve abbracciare anche i nemici, amali come te stesso. È il paragone più ovvio, che
altrove viene espresso anche con altre parole: “Fa agli altri ciò che desideri sia fatto a te”. E di
conseguenza “Non fare agli altri, ciò che non vuoi sia fatto a te”. Matteo, nel capitolo 7-12, è molto
categorico: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa
infatti è la legge dei profeti” È così che agiamo da figli di Dio.
Secondo. Il vangelo va oltre e ci dà una seconda formulazione della carità. Leggo Matteo, 2535 “Venite benedetti… perché ebbi fame e mi deste da mangiare, sete, e mi deste da bere … Via da
me maledetti: perché ebbi fame e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere”.
Entrambi i gruppi di persone, a cui Gesù sta parlando rimangono stupiti e domandano: “Quando
Signore non abbiamo fatto questo?”. E Gesù risponde: “In verità, in verità vi dico, ogni volta che
avete fatto queste cose ad uno di questi piccoli, l’avete fatta a me… e qualunque cosa non avete
fatto ad uno di questi piccoli non l’avete fatta a me”. Ecco la novità evangelica: Gesù si identifica
con il prossimo. L’altro non è solo uno come te, ma negli altri c’è Gesù. In modo particolare nei più
piccoli: ossia i più bisognosi, materialmente o spiritualmente. Dove cerchi Gesù? Dove credi di
trovarlo, amarlo, servirlo? Guardati intorno, vedi chi ti sta vicino, chi incontri per caso. Gesù è nel
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prossimo e ci dice: Ciò che fai agli altri lo fai a me. Capire questo è comprendere un segreto
necessario per la salvezza eterna.
Terzo. In Giovanni 13,34, troviamo un’altra
formulazione della carità, del tutto nuova, perché
amare il prossimo come noi stessi, è una
formulazione del tutto valida, ma già contenuta
nell’Antico Testamento. Ecco invece come Gesù
si esprime poco prima di subire la passione: “Vi do
un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda;
amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”.
Vedete il salto di qualità, il nuovo metro di misura
dell’amore non basta più: ama gli altri come te
stesso; ama gli altri come li amo io. Notate il
contesto in cui Gesù dà questo che chiama il
comandamento nuovo, il mio comandamento.
Leggo Giovanni 13,12-15. Poco prima aveva
lavato i piedi agli apostoli, aveva ripreso la sua
veste e si era rimesso a mensa. A questo punto
dice: “Intendete quello che io vi ho fatto? Voi mi
chiamate il maestro e il Signore e dite bene perché
lo sono. Se dunque vi ho lavato i piedi io, Maestro
e Signore, dovete anche voi lavarvi i piedi l’un l’altro. Io infatti vi ho dato l’esempio, affinché come
ho fatto io, facciate anche voi”. Ne fa prima una questione di servizio e poi di fede. Capite bene che
non si tratta materialmente di lavare i piedi al prossimo. Questo umile servizio poteva andare bene
tra gente che andava in giro scalza, su sentieri polverosi. Qui siamo in tema di amore e Gesù ci dice
che l’amore va espresso concretamente con gesti di servizio. E tutto questo è importantissimo tanto
che Gesù ci dice: “Amatevi come io vi ho amato. Da questo conosceranno tutti che siete miei
discepoli, se avete amore gli uni verso gli altri”. È il distintivo dei Cristiani. Se non c’è questo
amore non si è riconosciuti come discepoli di Gesù. Ecco la novità, il comandamento nuovo,
interamente evangelico. Per vivere da veri cristiani non bastano più i due aspetti della carità, pur
validissimi che abbiamo già considerato (tratta gli altri come tratteresti te stesso – ciò che fai a loro
lo fai a me). Senza annullare questi due aspetti Gesù ci cambia il metro di misura: amatevi come io
vi amo. Allora lo sguardo si fissa su Gesù; è Lui il modello da imitare: l’incarnazione, Betlemme,
Nazareth, la vita pubblica, la morte in croce…Vi sembra troppo? S. Giovanni nella sua stupenda
prima lettera, piena di affermazioni secche e precise, ci dice come se fosse la cosa più facile del
mondo: “Come Gesù ha dato la vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli”.
E in un altro punto afferma: “Se siete cristiani – ossia seguaci di Gesù – vi dovete comportare come
lui si è comportato”.
A questo punto notiamo quanto è impegnativa la carità. Forse il comandamento nuovo ci
sconcerta e ci fa dire: è un metro di misura che mi condanna; non ho mai amato davvero, né mai
potrò farlo.
Vediamo allora come il precetto della carità deve essere per noi una ricerca continua, un
continuo dinamismo. Forse ci sconcerta anche come l’altra parola di Gesù: “Siate santi come il
Padre vostro che sta nei cieli è santo”. Ci accorgiamo di quanto siamo imperfetti, di quanta strada
dobbiamo fare. Essere perfetti come il Padre, non è una meta che si possa raggiungere, ma indica
una via lungo cui camminare. Perciò non dobbiamo mai essere contenti di noi stessi, ma capire che
se abbiamo raggiunto con sforzo un certo comportamento, una certa meta, dobbiamo renderci conto
che non possiamo fermarci, perché il cammino che abbiamo fatto è assai più lungo di quello che
abbiamo fatto. Il modello è Gesù. S. Paolo è arrivato a dire: Imitate me come io imito Cristo.
Viver da figli di Dio vuol dire, infatti, amare come Cristo, comportarci come Lui.
Quarto. C’è ancora nel vangelo una quarta formulazione della carità. Leggo Giovanni 17,2143: “Affinché tutti siano una cosa sola, come tu sei in me Padre ed io in te; che siano anch’essi una
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cosa sola in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Il nostro amore deve essere un
riflesso di quello trinitario; deve farci sentire una cosa sola tra noi e con Dio, in modo tale da
suscitare nel mondo la fede in Cristo. Tertulliano diceva: “Ai tempi dei primi cristiani, la gente li
guardava ammirati e li additava dicendo: guardate come si amano!”. C’è da essere umiliati,
sconvolti da queste esigenze della carità. Forse qualcuno potrà pensare che ho esagerato, che ho
detto cose impossibili, da attuarsi. Eppure ho solo ripetuto le parole di Gesù; se non avessi parlato
così avrei tradito Lui e voi. Anche se oggi i problemi di relazione sono più sentiti che in passato, nel
mondo non c’è fede perché non ci amiamo. C’è ben poco amore tra di noi: non sappiamo
perdonarci, sopportarci, dimenticare; critichiamo, giudichiamo e mettiamo a tutti un’etichetta.
Vediamo quanto egoismo, quanto arrivismo, senza badare se calpestiamo i diritti degli altri. Mi
domando: perché siamo così cattivi? Eppure in fondo al cuore abbiamo desiderio di bontà. Se oggi
guardiamo gli aspetti della nostra società, sia del laicato, sia dei sacerdoti, sia dei religiosi, a parte
casi eccezionali, non c’è da stare allegri. In complesso non siamo un segno efficace per attirare i
nostri contemporanei a Cristo, alla Chiesa. Forse molte volte siamo controproducenti. Padre
Damiano diceva sempre: non ho paura di chi combatte Cristo e la chiesa, ma ho paura dei Cristiani
che non sono validi testimoni della fede. Infine per comprendere la forza e l’efficacia dell’amore
potremmo rifarci all’esperienza, alla vita di Ghandi, che senza usare violenza liberò l’India.
Termino ripetendo un brano del famoso inno alla carità, scritto da S. Paolo, nel Tredicesimo
capitolo della prima lettera ai Corinzi. Vediamo che la carità è uno stato d’animo, prima che
dipendere da azioni esterne. Stupisce perfino quando afferma: posso dare ai poveri tutti i miei averi
e non avere carità, per cui non giova a niente; posso farmi bruciare vivo per gli altri e non avere
carità, per cui non serve a nulla. Ma è doveroso per me chiudere questa breve relazione leggendo
proprio alcune parole tratte dall’Inno alla carità: “Se anche parlo la lingua degli uomini e degli
angeli ma non possiedo la carità sono come un bronzo suonante o un cembalo squillante. E se
anche ho il dono della profezia e conosco tutti i misteri e tutta la scienza; e se anche possiedo tutta
la fede sì da trasportare le montagne, ma non ho la carità, non sono niente. E se anche distribuissi
tutte le mie sostanze e se anche dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non ho la carità, non mi
giova nulla. La carità è magnanima, è benigna la carità, non è invidiosa la carità; non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non sia adira, non tiene conto del
male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto
spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine”. Amen.
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Scheda 16.
CARITAS: LA PREVALENTE FUNZIONE PEDAGOGICA
(da documenti vari di Caritas Italiana)
La Caritas italiana, che nasce come
organismo pastorale per promuovere la
testimonianza
della
carità
secondo
il
rinnovamento indicato dal Concilio Vaticano II,
si differenzia da altre Caritas nazionali
prevalentemente impegnate a erogare beni e
servizi nei tanti ambiti delle problematiche
sociali.
Far crescere la Chiesa nella carità,
ovviamente è compito di tutta la pastorale e di
tutti gli organismi pastorali, dall’ufficio
catechistico all’ufficio liturgico, al consiglio
pastorale, alla commissione affari economici.
Perché allora la Caritas?
È il problema che il Cardinal Pellegrino
poneva al Consiglio permanente della CEI,
quando nel 1971, per volere di Papa Paolo VI, si
doveva decidere di istituire la Caritas.
Se tutta la Chiesa ha il compito di promuovere la carità, come questo compito può essere
delegato ad un organismo pastorale?
Questa provvidenziale discussione di trent’anni fa, fece emergere il ruolo specifico della
Caritas: promuovere nella chiesa la scelta preferenziale dei poveri, banco di prova per verificare
quanto ed effettivamente la carità è presente nella Chiesa.
La caratterizzazione originaria e la finalità di Caritas Italiana sono contenute nello Statuto del
1971, che, con qualche ritocco non sostanziale, mantiene le sue prerogative fino ad oggi. “Art.1
dello Statuto: La Caritas Italiana è l’organismo pastorale costituito dalla Conferenza Episcopale
Italiana al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della
carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello
sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli
ultimi e con prevalente funzione pedagogica”.
In occasione del primo convegno nazionale delle Caritas diocesane, fu chiesta un’udienza al
Papa Paolo VI e così racconta Monsignor Giovanni Nervo: “Ero andato dal maestro di camera,
mons. Dino Monduzzi, poi cardinale, per chiedere un’udienza particolare al nostro convegno, e lui
mi pose una domanda (che io non mi aspettavo): mi chiese che cosa desideravamo che ci dicesse il
Papa e, preso così alla sprovvista, mi venne spontaneo chiedere che ci commentasse lo statuto che
aveva dato la Conferenza Episcopale. E avemmo così, provvidenzialmente, l’interpretazione
autentica più autorevole del nostro statuto; e questa fu – direi – la nostra forza per andare avanti.
Credo sia doveroso e necessario che tutti i collaboratori della Caritas conoscano e meditino quel
discorso, proprio perché è l’interpretazione autentica, che è ancora quello che vincola la Caritas,
perché la Caritas, se vuoi chiamarla Caritas, deve realizzare… muoversi su quello Statuto. Direi
che l’interpretazione che ci ha dato il papa è di una lungimiranza e di una forza che non avremmo
trovato diversamente: per questo, dico, è stato provvidenziale!”.
In particolare la prevalente funzione pedagogica è stata indicata da Paolo VI come uno degli
aspetti peculiari della Caritas in quanto organismo pastorale: “Evidentemente la vostra azione non
può esaurire i suoi compiti nella pura distribuzione di aiuto ai fratelli in difficoltà (…). Al di sopra
di questo aspetto puramente materiale della vostra attività,emerge la sua prevalente funzione
pedagogica, il suo aspetto spirituale che non si misura con cifre e bilanci, ma con la capacità di
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sensibilizzare le Chiese locali ed i singoli fedeli al senso ed al dovere della carità in forme consone
ai bisogni e ai tempi. Mettere a disposizione dei fedeli le proprie energie e i propri mezzi non può
essere solo frutto di uno slancio emotivo e contingente, ma essere la conseguenza logica di una
crescita nella comprensione della carità che, se sincera, scende necessariamente a gesti concreti di
comunione con chi è in stato di bisogno”.
La Caritas fin dall’inizio ha cercato di essere fedele a questo mandato, svolgendo la propria
attività sul versante della sensibilizzazione, per educare la comunità al senso della solidarietà e della
fraternità, attraverso una serie di iniziative sistematiche e costanti.
S.E. Mons. Merisi, presidente di Caritas Italiana, nella sua prolusione al 35° Convegno
Nazionale delle Caritas Diocesane (Fiuggi 21-23 novembre 2012) “La Chiesa che educa servendo la
carità - si misero ad insegnare loro molte cose (Mc 6,34)”, ribadiva: “È alle Caritas che è stato
affidato il compito di sviluppare la funzione prevalentemente pedagogica. È questa funzione la
spina dorsale che lega i diversi livelli territoriali della Caritas. Più che fare è importante agire,
dare un senso, una direzione, una prospettiva alla pur esigente e doverosa necessità del fare:
a chi tocca dare uno sguardo ampio sulla realtà e sulla chiesa, a chi tocca abitare i luoghi
di confine, a chi tocca aprire strade inusitate, a chi tocca attuare quella che Paolo VI chiamava la
civiltà dell’amore, a chi tocca fondare la carità sulla fraternità e non tanto sulla pura erogazione di
servizi e risposte?
chi ha il compito di far udire, dentro le comunità cristiane, che la chiesa è per il mondo, è
per gli uomini, che la Chiesa è se stessa nella misura in cui si fa prossima ai luoghi, ai volti, alla
storia, ai modi della povertà?
chi ha il compito di assumere posizioni profetiche nella Chiesa perché si senta forte nella
società la voce della carità?
La Caritas, noi diciamo, nella fedeltà ad un mandato che fa della Caritas un organismo
pastorale con funzione prevalentemente pedagogica. È tempo, infatti, di lasciarci afferrare dallo
Spirito per frequentare una pluralità di luoghi, nei deserti dei nostri territori e per rendere visibile
l’amore di Dio nell’opera di testimonianza perché ‘la fede se non è seguita dalle opere è morta’
(Gc 2,17)”.
Opere che siano segno della Parola e dell’Eucarestia e della Carità di Dio.
Nello stesso convegno, Don Vittorio Nozza, ora direttore emerito di Caritas Italiana,
aggiungeva che la sfida dell’educazione “è l’imperativo che ci dovrà accompagnare nei prossimi
anni. Educare a nuovi stili di vita, personali e comunitari, nell’oggi e nel qui del nostro tempo;
all’ecumenismo, al dialogo tra le religioni, all’interculturalità, alla pace, alla responsabilità, alla
cittadinanza consapevole, alla mondialità. Il mandato affidato a Caritas Italiana e alle Caritas
diocesane, seppure a livelli diversi, prevede l’impegno a svolgere compiti educativi nei confronti
dello spazio sociale e culturale. È quella funzione pedagogica, educativa, di animazione propria
della carità richiamata dall’Enciclica Deus caritas est (cfr DCE 29,30b). In quest’ottica le Caritas
sono chiamate a dare il loro contributo in riferimento alla conoscenza dei linguaggi della
modernità e alla capacità di utilizzare gli strumenti pastorali che esse hanno sviluppato per
conoscere e studiare la società e per promuovere e animare l’agire sociale e culturale. Si tratta di
salvaguardare il ‘carattere di itineranza’ della Caritas nei linguaggi della modernità, nei territori e
nelle comunità ecclesiali”.
In occasione di questo Convegno e per celebrare i 40 anni della Caritas Italiana il Santo Padre
Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i rappresentanti delle Caritas Diocesane e nel suo discorso di
accoglienza ha detto tra l’altro: “Siete venuti presso la tomba di Pietro per confermare la vostra
fede e riprendere slancio nella vostra missione. Il Servo di Dio Paolo VI, nel primo incontro
nazionale con la Caritas, nel 1972, così affermava: ‘Al di sopra dell’aspetto puramente materiale
della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica’. A voi infatti,è affidato
un importante compito educativo nei confronti delle comunità, delle famiglie, della società civile in
cui la Chiesa è chiamata ad essere luce (cfr. Fil 2,15). Si tratta di assumere la responsabilità
dell’educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo comprende in maniera organica la
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testimonianza della carità. Sono le parole dell’apostolo Paolo ad illuminare questa prospettiva:
‘Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata.
Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si
rende operosa per mezzo della carità’ (Gal 5,5-6). Questo è il distintivo cristiano: la fede che si
rende operosa nella carità. Ciascuno di voi è chiamato a dare il suo contributo affinché l’amore
con cui siamo da sempre e per sempre amati da Dio divenga operosità della vita, forza di servizio,
consapevolezza della responsabilità. ‘L’amore del Cristo infatti ci possiede’ (2 Cor 5,14), scrive
San Paolo. È questa prospettiva che dovete rendere sempre più presente nelle Chiese particolari in
cui vivete”.
Nel suo editoriale su Italia Caritas, il mensile di Caritas Italiana, il neo Direttore Don
Francesco Soddu ha scritto, riferendosi all’udienza con Papa Benedetto XVI e in particolare a
quanto sopra riportato: “Da questo semplicissimo approccio al discorso del pontefice emergono
alcuni pilastri, colonne portanti dell’edificio Caritas, che vanno a compattare la ‘prevalente
funzione pedagogica’ che lo caratterizza. Senza in nessun modo dare per scontato il fondamentale
discorso sulla fede – come ammonito dalla lettera apostolica di indizione per l’Anno della fede –,
mi par di vedere ribadita con sovrabbondante chiarezza la visione di chiesa-comunione emersa dal
concilio ecumenico Vaticano II. Il popolo di Dio, da Lui creato, amato e redento, è chiamato in
ogni suo membro a essere testimone attivo e protagonista responsabile delle dimensioni che ne
determinano la vita ed il funzionamento:l’annuncio, la celebrazione e la testimonianza della carità.
La funzione pedagogica della Caritas, in questo specifico, richiama il bel compito che appartiene a
ciascun cristiano: essere interprete, vivo e vitale nel tessuto della chiesa e nella società. Il papa
sottolinea che questa è una ‘prospettiva’ dinamica, da rendere ‘sempre più presente nelle chiese
particolari’”.
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Opuscolo Caritas - Caritas diocesane