Arcidiocesi Catanzaro-Squillace CARITAS DIOCESANA Anno Pastorale 2012-2013 LABORATORIO DIOCESANO PER LA FORMAZIONE E L’ACCOMPAGNAMENTO DELLE CARITAS PARROCCHIALI SCHEDE PER LA FORMAZIONE degli Animatori della “Caritas parrocchiale” (prima raccolta) Il Direttore della Caritas Diocesana Sac. Domenico Piraino I referenti del Laboratorio coniugi: diacono Domenico Aragona e Assunta Lavecchia INDICE Introduzione Scheda 01. La pastorale della Carità (prima parte) - Quale idea di carità? - Dalla Parola di Dio - Dal Magistero - Dai documenti Caritas Scheda 02. La pastorale della Carità (seconda parte) - La carità - Gruppo caritativo - Ottica della Carità Scheda 03. La Caritas parrocchiale (prima parte) - Perché - Cos’è Scheda 04. La Caritas parrocchiale (seconda parte) - Come nasce - Come partire Scheda 05. La Caritas parrocchiale (terza parte) - Come opera Scheda 06. La Caritas parrocchiale e la Caritas diocesana Scheda 07. Gli animatori della Caritas parrocchiale Scheda 08. La costruzione di un percorso formativo Scheda 09. La lettura dei bisogni: dai poveri s’impara - Esemplificazione A: Le sfide e i problemi del mondo - Esemplificazione B: Minori - Esemplificazione C: Disagio giovanile - Esemplificazione D: Senza dimora e immigrati Scheda 10. Ipotesi di programmazione di una Caritas parrocchiale nel contesto dell’anno pastorale Scheda 11. “Rompere il vetro in caso di necessità”: Alcuni indirizzi di riferimento per vecchie e nuove povertà Scheda 12. Scheda di osservazione domiciliare per il parroco Scheda 13. Bozza tipo di statuto di Caritas parrocchiale Scheda 14. Compiti e verbi della Caritas parrocchiale… in sintesi Scheda 15. La carità (Relazione di Don Gabriele Amorth) Scheda 16. Caritas: la prevalente funzione pedagogica (da documenti vari di Caritas Italiana) 2 pag. 3 pag. 4 pag. 6 pag. 8 pag. 9 pag.10 pag. 11 pag. 12 pag. 13 pag. 14 pag. 15 pag. 17 pag. 18 pag. 19 pag.21 pag.23 pag.25 pag. 26 pag. 28 pag. 32 pag. 35 INTRODUZIONE Il presente opuscolo ha lo scopo di fornire agli animatori delle Caritas parrocchiali un semplice strumento di formazione alla testimonianza della carità. È una prima raccolta, fatta attingendo “materiali” da pubblicazioni della Caritas Italiana e da “A B C aritas”, prodotto dalla Caritas Diocesana di Trento. Inoltre si è fatto tesoro di quanto è presente in termini esperienziali nella nostra realtà diocesana e di quanto la stessa nostra Caritas ha accumulato negli anni precedenti. Ciascuna scheda, qui proposta, è stata pubblicata sul nostro quindicinale “Comunità Nuova” sotto forma di articoli-schede. Il contenuto di questo opuscolo non è certo esaustivo. Può essere utilizzato sia come percorso essenziale di formazione permanente legato ad un itinerario, sia singolarmente per l’approfondimento di alcune tematiche. In ogni modo è sempre aperto al contributo di quanti vogliono mettere insieme conoscenze, competenze, capacità, nell’ottica dell’arricchimento reciproco. Nessuno è un “battitore libero”. “La formazione degli operatori della Caritas parrocchiale non può avvenire al di fuori del contesto comunitario, separatamente dalle proposte pastorali (educative, spirituali, culturali…) rivolte all’intera comunità e dai cammini proposti agli altri animatori e operatori pastorali della parrocchia e rispettivamente del vicariato e della diocesi (seminari, incontri, scuole di formazione, percorsi…). Come pure è fondamentale la conoscenza dinamica socio-culturale del territorio, della vita della gente (problemi, speranze, risorse…) nella logica evangelica dell’incarnazione” (dal documento della Caritas Italiana “Da questo vi riconosceranno… la Caritas parrocchiale” n. 36). Restiamo a disposizione per ogni altra integrazione o chiarimento. Don Dino e l’Equipe del laboratorio Per info: Sede Caritas: 0961.723018 e-mail [email protected] Direttore don Dino: cell. 335.1768959 Coniugi diacono Domenico Aragona e Assunta Lavecchia: cell. 333.6621022 e-mail [email protected] 3 Scheda 01. LA PASTORALE DELLA CARITÀ (prima parte) Quale idea di Carità? Con questa prima scheda, la Caritas Diocesana della nostra Arcidiocesi di CatanzaroSquillace, intende avviare un cammino di confronto, approfondimento e verifica del nostro fare pastorale della carità. A tal fine è opportuno soffermarci a riflettere e confrontarci sul significato che diamo ad alcuni termini che quotidianamente utilizziamo e sulle idee che ciascuno ha a riguardo di carità, solidarietà, assistenza, condivisione, promozione, animazione, gestione. Capita frequentemente fra addetti ai lavori di parlare utilizzando termini uguali ma intendendo il più delle volte cose diverse. Ancor più difficile diventa il farsi intendere quando dai luoghi della costruzione della pastorale si passa nell’esperienza quotidiana per condividere linguaggi, cammini e percorsi educativi, iniziative di informazione e sensibilizzazione, stili di vita e progetti con la comunità di appartenenza e con quanti abitano lo stesso territorio e impattano negli stessi vissuti e problemi. Il non intenderci sui termini-chiave, riguardanti la testimonianza della carità, porta con facilità ad una maggiore fatica nella collaborazione tra realtà impegnate nell’esperienza di Chiesa, nella costruzione di servizi adeguati ai reali bisogni dei poveri e soprattutto nel lavorare per una credibile azione di sensibilizzazione, animazione della testimonianza comunitaria della carità e di comunione nella Chiesa. Si vuole avviare e favorire, quindi, un confronto sereno e per quanto possibile chiaro sull’idea che ciascuno ha a riguardo della carità, consapevoli della necessità che l’idea di carità deve maturare gradualmente all’interno del cammino della propria comunità in riferimento alla Parola, alla Tradizione e al Magistero della Chiesa e alla storia del proprio territorio. Dalla Parola di Dio Il prologo al vangelo di Giovanni (Gv 1,1-18) Alle fonti della carità e della fede (1Gv 4,7-21; 5,1-14) Sapienza del mondo e sapienza cristiana (1Cor 1,18) Osservare il comandamento della carità (1Gv 3,23) Inno all’amore di Dio (Rm 8,31-39) L’ultima cena di Gesù con i discepoli (Gv 13,1-17) Istituzione dell’Eucarestia (Mt 26,26-29) La vera vite (Gv 15,1-17) La preghiera di Gesù (Gv 17) Il pasto del Signore (1Cor 11,20-34) Dal Magistero Ma la verità cristiana non è una teoria astratta. E anzitutto la persona vivente del Signore Gesù può quindi essere accolta, compresa e comunicata solo all’interno di un'esperienza umana integrale, personale e comunitaria, concreta e pratica, nella quale la consapevolezza della verità trovi riscontro nell’autenticità della vita. Questa esperienza ha un volto preciso, antico e sempre nuovo: il volto e la fisionomia dell’amore (Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 9). Sempre e per natura sua la carità sta al centro del vangelo e costituisce il grande segno che induce a credere al vangelo (Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 9; cfr. nn. 911). Tutta la storia della salvezza ci dice che Dio è carità: un Dio che sceglie, perdona, rimane fedele al suo popolo nonostante i tradimenti ma fino a che punto Dio è carità e quale carità 4 egli è, lo si scopre solo in Gesù Cristo e nella sua morte di croce per la salvezza degli uomini. (Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 12; cfr. nn. 12-24). La parola di Dio sottolinea che questo lieto annuncio è Gesù Cristo stesso, crocifisso e risorto è, in persona, l’icona vivente del vangelo di Dio, inscritta per sempre nel destino della storia umana (Il vangelo della carità per una nuova società in Italia, nn. 6-7). A Palermo abbiamo celebrato Gesù Cristo come vangelo vivente della carità. il Signore, crocifisso e risorto, comunicazione personale di Dio, è anche attuazione perfetta dell’uomo. Ci rivela che l’amore è la nostra vocazione fondamentale credere e amare, prima di essere un comandamento è dono ed evento di grazia la carità è il contenuto centrale e nello stesso tempo la via maestra dell’evangelizzazione (Con il dono della carità dentro la storia, nn. 4-5; cfr. nn. 6-12). Dai documenti Caritas L’invocazione Padre nostro sospinge l’intera comunità a vivere nell’amore come famiglia di Dio, assumendo la sua stessa sollecitudine paterna per chi è o si sente perduto, vivere il clono della comunione frutto dello Spirito, rende una comunità veramente cristiana. Essa incarna lo spirito delle Beatitudini, riscopre l’essenzialità dell’annuncio e la radicalità esigente del Vangelo, vive la comunione fraterna (Lo riconobbero nello spezzare il pane, n. 1). La storia di Gesù Cristo ha regalato agli uomini la possibilità nuova e singolare, di organizzare la propria vita personale e sociale partecipando all’amore familiare di Dio. La vita in comunione con Dio, che in Gesù Cristo ha costruito una storia di Amore, educa gli uomini a prolungare questa grazia attraverso una vita fraterna, a partire dall’unica fede, speranza e carità che sono state donate a noi nello Spirito (Da questo vi riconosceranno, n. 6). 5 Scheda 02. LA PASTORALE DELLA CARITÀ (seconda parte) Con questa seconda scheda continua l’esplicitazione dell’idea di carità e vengono presi in esame i termini: gruppo caritativo, ottica della carità. Lo scopo: trovare un’intesa sul loro significato e sul loro valore. La Carità La carità è Grazia, Virtù e Servizio. È Grazia: Carità di Dio, come Grazia di Cristo partecipata agli uomini nello Spirito Santo. È la stessa vita di Dio: “Dio è carità” (1Gv 4,7). È Virtù: virtù del cristiano e della Chiesa, cioè legge di vita e dimensione permanente che richiede il cambiamento della persona e della comunità nel modo di pensare e di agire. È Servizio: servizio “concreto” del singolo e della comunità nei confronti dei fratelli, in primo luogo dei poveri; rappresenta la traduzione “in opere” della carità: “Vedono le vostre opere buone” (Mt 5,16). La Chiesa è chiamata ad annunciarla, a celebrarla e a testimoniarla. Gruppo caritativo Il gruppo caritativo ha come scopo della sua attività quello di alleviare i bisogni per mezzo delle “opere di misericordia materiali e spirituali” con interventi ed iniziative di singoli e di gruppo. Si differenzia dalla Caritas per origine e per finalità. Origine: Gruppo caritativo Caritas Il gruppo caritativo nasce dalla buona La Caritas è un organismo voluto dalla volontà di una o più persone. Chiesa per la promozione della carità e dell’attività caritativa. Finalità: Gruppo caritativo Caritas Il gruppo caritativo ha come scopo La Caritas ha come scopo prioritario la prioritario quello di rispondere ad alcuni bisogni testimonianza della carità nella comunità. in generale o ad un bisogno particolare. La Caritas ha il compito di individuare Il gruppo caritativo può investire tutto il suo tutto l’arco delle povertà per farle presenti alla impegno su un bisogno o su alcune povertà in comunità, stimolandola a farsene carico per rapporto diretto con chi è in stato di bisogno. mezzo dei gruppi o delle organizzazioni caritative e per mezzo delle famiglie o delle singole persone. Ottica della Carità I nuovi scenari della carità richiedono alla Chiesa che definisca l’ottica in cui intende porsi per rispondere con fedeltà ai compiti che deve attuare. L’ottica è quella che pone al centro la carità in senso giovanneo: “Dio è carità”; la sua dimensione perciò non può che essere: planetaria, politica, promozionale, pedagogica. 6 1. Planetaria, perché solo quella riconosce il Dio Carità, indicato da Cristo come “Padre Nostro”; il quale fa sì che gli uomini siano tutti figli e quindi fratelli, nessuno escluso. 2. Politica: la Scrittura afferma che “la Terra è di Dio” (Dt 10,14; Sal 24,1; Sal 89,12s) che è stata affidata alla “signoria dell’uomo” perché faccia in modo che ogni uomo la possa abitare e possa trarne quanto dà risposta ai suoi bisogni. Quindi è “Carità politica” se si coniuga con giustizia, distribuzione universale dei beni, il bene comune, cioè il bene di tutti, “perché tutti siamo veramente responsabili di tutti” (SRS 38). 3. Promozionale: perché assume lo scopo dichiarato da Cristo per la sua missione, cioè “sono venuto perché tutti abbiano la vita piena ed abbondante” (Gv 10,10), come compito esigente di coerenza e fedeltà. Come carità, che si fa progettualità, perché per ogni persona vengono create le condizioni che valorizzino le sue capacità (i talenti evangelici), in modo che “nulla vada perduto di quanto il Padre mi ha dato” (Gv 6,39); nulla non solo di persone, ma anche di potenzialità, cioè di tutto quel capitale di risorse che il Creatore ha reso disponibile per la crescita dei singoli e della comunità, di ogni uomo, di ogni donna, di ogni tribù popolo e nazione. 4. Pedagogica: perché arricchisce e completa in senso progettuale le dimensioni precedenti e persegue lo scopo di dare all’uomo, ad ogni uomo, la possibilità di crescere nella conoscenza di sé, dei suoi diritti e dei suoi doveri, nella capacità di scegliere per il bene proprio e degli altri, e di realizzarsi nella fiducia, nella collaborazione, nella corresponsabilità. La carità pedagogica è la carità più squisita, perché contribuisce a fare in modo che la persona sia se stessa in dignità, libertà e responsabilità. 7 Scheda 03. LA CARITAS PARROCCHIALE (prima parte) Perché Per aiutare la Parrocchia a realizzare una delle sue funzioni vitali: lo spirito e la pratica dell’amore affinché la comunità si renda credibile e riconoscibile da tutti. Per prendere piena coscienza del rapporto indissolubile, complementare e interdipendente tra catechesi-sacramenticarità. Per favorire un cambiamento di mentalità, di azione e di comportamento, passando: - dalla delega alla partecipazione, - dall’elemosina all’accoglienza, - dall’assistenza alla condivisione, - dall’impegno di pochi al coinvolgimento di tutti, - dalla semplice conoscenza dei bisogni al “farsene” carico, - dalle risposte emotive e occasionali all’intervento organico e continuativo. Per farsi prossimo: a partire dagli “ultimi” per servire “tutti”. Per educare al senso autentico della carità e all’esercizio intelligente, ragionato, ordinato, programmato dell’amore verso il prossimo in tutte le diverse forme, secondo i suoi diversi itinerari. Cos’è La Caritas entra nell’ordine dei mezzi e non dei fini. Il suo fine è che la parrocchia viva il precetto dell’Amore evangelico e sia nel territorio segno di speranza e di aiuto, il luogo dove l’amore di Dio si può come toccare con mano. È l’organo pastorale, voluto dal Vescovo, per sensibilizzare e coinvolgere l’intera comunità parrocchiale, affinché realizzi la testimonianza della carità sia al suo interno sia nel territorio in cui è inserita. È lo strumento educativo che svolge compiti di: - antenna per cogliere vecchie e nuove povertà; - impulso per suscitare, avviare e stimolare nuove forme di impegno; - crocevia di incontro e armonizzazione dei vari gruppi ed espressioni di carità. È l’espressione originale della Parrocchia e opera in stretto collegamento con la Caritas diocesana. Perciò non è: - né un nuovo gruppo che si sostituisce o si aggiunge a gruppi esistenti e operanti nell’ambito caritativo; - né un’associazione di volontariato né un movimento di settore impegnato ad assistere una particolare categoria di poveri; - né una sovrastruttura che supplisce la libera iniziativa dei singoli o soffoca le molteplici forme organizzate di carità. 8 Scheda 04. LA CARITAS PARROCCHIALE (seconda parte) Come nasce La Caritas è un organismo della parrocchia ed è presieduta dal Parroco. Si costituisce attraverso modalità diverse, a seconda della consistenza numerica e del grado di maturità delle parrocchie. Dalle esperienze in atto si possono ipotizzare 4 tipologie diverse di “Caritas parrocchiale”: a) La Caritas è costituita da rappresentanti delle diverse iniziative caritative presenti in parrocchia e dei gruppi di volontariato di ispirazione cristiana operanti nel territorio e con eventuale inserimento di qualche persona disponibile e sensibile. b) Il parroco chiama alcuni fedeli, possibilmente rappresentativi dell’intera comunità parrocchiale (giovani, anziani, coniugi, una religiosa/religioso…). Essi avviano il lavoro di sensibilizzazione della comunità parrocchiale, promuovendo anche gruppi di volontariato in risposta ai bisogni esistenti. c) La Caritas parrocchiale si configura come una Commissione del Consiglio pastorale parrocchiale, nei cui confronti ha il compito di proporre i problemi e di attuarne le direttive. La Commissione può essere estesa ad altri operatori sensibili e attivi. La Caritas viene correttamente percepita come una cosa diversa dai gruppi caritativi. d) Nelle piccole parrocchie bisogna che almeno una persona, attenta e capace, individuata dal parroco, assuma il ruolo di animatore Caritas, per fungere da stimolo e proposta agli altri fratelli nella testimonianza di carità. In ogni caso è importante che sia bene identificato il responsabile della Caritas parrocchiale come espressione del Consiglio Pastorale e come collegamento costante con la Caritas diocesana. Dopo un adeguato cammino di esperienza e di riflessione, la Caritas parrocchiale può darsi un regolamento e dotarsi di un minimo di strumenti (sede, telefono…) di sussidi (opuscoli, diapositive, manifesti…) che favoriscono lo svolgimento delle proprie attività. La Caritas parrocchiale nasce sulla base di uno statuto concordato con la Caritas diocesana. Come partire Il primo impegno che la Caritas parrocchiale dovrà affrontare non sarà operativo, ma di studio: riflettere sulla natura della Caritas, sul suo inserimento nella vita parrocchiale e nella programmazione pastorale, sulle finalità che è chiamata a perseguire. La Caritas parrocchiale nasce per aggregare e potenziare le energie esistenti, non sarà perciò “tempo sprecato” quello che si impiega per chiarire natura, modalità e obiettivi di questo nuovo organismo pastorale, perché è importante che si parta nella chiarezza, con precisione e con uno stile di dialogo. Si termina questa fase formulando uno Statuto della Caritas parrocchiale che verrà sottoposto all’approvazione del Consiglio pastorale e fatto conoscere a tutta la Comunità cristiana. 9 Scheda 05. LA CARITAS PARROCCHIALE (terza parte) Come opera 1. Studio dei bisogni e delle risorse - Studia e analizza le povertà vecchie e nuove, vicine e lontane; fa l’inventario delle risorse esistenti e stimola risposte più consone alle nuove necessità. - A tal fine si serve di alcuni strumenti quali: valorizzazioni di rapporti personali, di esperienze dei gruppi, di attività pastorali (visite alle famiglie, gruppi familiari…), utilizzo di ricerche già disponibili, contatti con i servizi sociali, elaborazione di questionari. 2. Sensibilizzazione-formazione - Informa sistematicamente la comunità parrocchiale sulle situazioni di maggior bisogno ed emarginazione. - Fa conoscere i gruppi impegnati nelle diverse forme di servizio caritativo. - Presenta iniziative di solidarietà e occasioni concrete di impiego per coinvolgere un numero sempre crescente di cristiani. - Propone iniziative di educazione alla solidarietà nelle scuole, nelle famiglie, nel mondo del lavoro, utilizzando testimonianze ed esperienze locali. - Promuove forme diverse di servizio e di volontariato, in particolare le famiglie aperte, l’anno di volontariato sociale, il volontariato internazionale, il servizio civile e l’obiezione di coscienza. - Stimola la solidarietà nei confronti delle popolazioni colpite da calamità, in Italia e all’estero. - Propone micro realizzazioni di sviluppo nel terzo mondo, richiamando ad uno stile di vita sobrio. - Educa alla pace con iniziative semplici, ma stimolanti. - Fornisce strumenti per valorizzare la liturgia e la catechesi come momenti privilegiati di educazione favorendo il collegamento tra Parola e Carità, valorizzando ad esempio nella celebrazione, momenti come: l’Atto penitenziale, la Preghiera universale, l’Offertorio, il Padre nostro, il Segno della pace; o gli itinerari di preparazione ai Sacramenti. - Promuove un serio impegno e una partecipazione responsabile dei cristiani nel sociopolitico, nell’educazione alla giustizia e favorisce un corretto rapporto con le strutture pubbliche. - Prepara itinerari formativi per le diverse componenti della comunità cristiana (gruppi caritativi, di volontariato ad ispirazione cristiana, animatori liturgici, catechisti…). 3. Coordinamento - Coordina ed armonizza le attività caritative della parrocchia attraverso riunioni periodiche dei responsabili dei diversi gruppi e raccorda gli organismi di volontariato di ispirazione cristiana operanti nel sociale; - Collabora alla vita della Caritas diocesana; - Si fa tramite in parrocchia delle iniziative proposte a livello diocesano; - Favorisce il collegamento con i servizi sociali del territorio. 10 Scheda 06. LA CARITAS PARROCCHIALE E LA CARITAS DIOCESANA Nelle schede precedenti sono state esaminate le voci: “perché” la Caritas Parrocchiale, “cos’è”, “come nasce”, “come partire”, “come opera”. Ci si sofferma ora sul rapporto: Caritas Parrocchiale-Caritas Diocesana. Essendo la Caritas un organismo ecclesiale, è necessario, per ragioni di coerenza, che in essa si rispecchi la struttura e la forma della Chiesa stessa. Prendendo come riferimento per la figura della Chiesa la comunità diocesana presieduta e guidata dal Vescovo, il rapporto tra Caritas parrocchiale e Caritas diocesana non può che rispondere al criterio della comunione, della collaborazione e dello scambio, dove la Caritas parrocchiale è aiutata e sostenuta nella propria identità e nei propri compiti dalla Caritas diocesana. Per sintetizzare brevemente la fisionomia della Caritas Diocesana si può ricordare che essa approfondisce le motivazioni teologiche della diaconia della carità, realizza le finalità di promozione e di coordinamento proprie della Caritas e promuove le Caritas parrocchiali. I suoi compiti sono riconducibili ai seguenti: animare la comunità al senso della carità e della giustizia; educare allo spirito e all’esperienza della testimonianza comunitaria della carità; coordinare gruppi ed iniziative per un miglior servizio alla comunità e alla società. Sotto questo aspetto la Caritas diocesana in collegamento organico con le Caritas parrocchiali individua l’indirizzo e il cammino, sostiene nella formazione e nella progettazione, cerca di unificare e far convergere tutte le espressioni della carità presenti nella diocesi, evitando, con tutte le forze e nel limite del possibile, di divenire essa stessa un gruppo operativo. A sua volta la Caritas parrocchiale anima la singola comunità al senso della Carità aiuta a far entrare nei progetti pastorali la dimensione caritativa, tiene aperta la coscienza ai bisogni e alle realtà più vaste, sia diocesane che mondiali e individuali e organizza i vari interventi concreti supportando il volontariato. La differenza quindi tra Caritas parrocchiali e Caritas diocesana si pone meno sul versante della identità e più su quello dei compiti. Quel che risulta chiaro dalla stessa esperienza è che l’identità e i compiti della Caritas non sono facili da cogliere ad un primo approccio, abituati come si è ad identificare la carità con le opera di carità, dando pertanto come scontato o irrilevante la formazione e il radicamento nella coscienza delle ragioni e delle motivazioni derivanti dal Vangelo e dalla fede che fondano l’agire caritativo. Per questo è assolutamente necessario che la costituzione della Caritas ad ogni livello sia preceduta da percorsi conoscitivi ed educativi al senso e alla vera identità della Caritas. 11 Scheda 07. GLI ANIMATORI DELLA CARITAS PARROCCHIALE Se nessun compito e nessun impegno si possono improvvisare, tanto meno è possibile divenire animatori della carità all’interno della Caritas parrocchiale senza un’adeguata formazione. Per formazione qui s’intende: non solo una competenza tecnica o organizzativa e neppure soltanto una conoscenza del sorgere e dello svilupparsi della Caritas nella sua dimensione nazionale o locale. Si tratta invece, di una formazione innanzitutto al senso e all’esperienza di Chiesa, che si esprime attraverso una partecipazione alla vita della propria comunità, alla sua preghiera e ai momenti di catechesi da cui deve nascere “un’educazione appassionata, basata sulla comunicazione attenta ai destinatari, che punta ad una formazione attiva e pensa i contenuti in forte interazione con il metodo e lo stile della pedagogia dei fatti” (Da questo vi riconosceranno... n. 36). In secondo luogo è formazione alla carità, alla solidarietà che si manifesta in una mentalità aperta e disponibile, aliena da ogni campanilismo e ogni forma di razzismo escludente. In terzo luogo si richiede un’educazione alla capacità di dialogo e di ascolto e il superamento dell’equazione carità come elemosina (qualunque sia poi nel concreto l’oggetto di ciò che si dà: soldi o cose), acquisendo l’abitudine a interrogarsi sulla causa e sul perché delle situazioni di disagio e di sofferenza che chiedono il nostro intervento. Tale necessario discernimento aiuterà ad evitare il rischio di rivolgersi a coloro che sfruttano l’azione benefica della Caritas, giocando sull’equivoco di bisogni che nascondono il rifiuto di assumersi la responsabilità della propria esistenza. L’agire della Caritas non può mai essere disgiunto dalla considerazione del rispetto della persona che a volte, dolorosamente, questo tipo di richiedenti ha per primo perso. D’altra parte un animatore della Caritas parrocchiale deve imparare a fare i conti con il limite e le povertà del proprio intervento, delle proprie possibilità e disponibilità di tempo, di energie, di persone e di mezzi. E assolutamente rischioso, prima di tutto spiritualmente perdere il senso del limite ed esigere dalla Caritas e da se stessi livelli impossibili d’impegno. Questa considerazione va completata con la consapevolezza che la Caritas non sostituisce l’opera dei doveri dello Stato o delle Amministrazioni. L’agire del credente nella carità ha valore innanzitutto teologico, vale a dire manifesta la presenza misteriosa e povera del Regno e non può proporsi quindi come toccasana dei bisogni e delle povertà attuali. Per questo è necessario che tra l’animatore Caritas e le forze sociali si stabilisca, nei limiti del possibile, una collaborazione dove ognuno mantiene la propria identità e le proprie responsabilità. 12 Scheda 08. LA COSTRUZIONE DI UN PERCORSO FORMATIVO Più che offrire un modello da seguire già pronto per ogni uso, questa scheda vuole convincere della necessità di elaborare, a partire dalla propria situazione, un itinerario di formazione alla testimonianza della carità. In molte nostre comunità è diffusa la mentalità per cui l’impegno volontario dentro la comunità ecclesiale o la società civile si basa sulla “buona volontà”, o il “buon senso”, con l’idea più di un reclutamento di manovalanza che di assunzione di responsabilità. Se poi ci aggiungiamo l’alibi religioso per cui è lo Spirito Santo che direttamente anima le persone al volontariato, il discorso sulla preparazione non trova certamente spazio. E invece necessario entrare in una diversa prospettiva che non prescinda dalla conoscenza sufficiente dei problemi, delle situazioni e delle persone che si vogliono aiutare, come anche delle risposte e delle soluzioni già date e della capacità di ipotizzarne delle nuove. L’animatore o il volontario non può diventare sinonimo di incompetenza, perché questo influirebbe molto negativamente sulla stessa qualità del servizio da offrire alla comunità e al povero. Qui si tratta naturalmente di una competenza adatta e ordinata al servizio da assumere e non di quella strettamente professionale che invece è richiesta a coloro che svolgono un servizio specifico che abbia una valenza per esempio socio-assistenziale. Accanto alla non superficiale conoscenza, si devono predisporre itinerari di formazione allo spirito della Caritas, vale a dire alla dimensione di ecclesialità del servizio caritativo. Percorsi quindi di carattere spirituale che trovino nell’Eucaristia domenicale e nella Parola, il loro punto di riferimento e il momento più altamente formativo. I percorsi educativi possono poi privilegiare, a seconda delle situazioni concrete in cui si collocano, o i singoli settori della realtà sociale in cui si pensa utile la presenza della Caritas, come ad esempio: anziani, portatori di handicap o di malattie mentali, famiglie in difficoltà, adozioni e affidamenti, immigrazione, casa e lavoro, ecc. oppure tematiche come la mondialità e la pace, il servizio civile e l’anno di volontariato sociale, la giustizia e il rapporto Nord-Sud, la fame e lo spreco, ecc. I due criteri che sembra necessario rispettare nella preparazione di un itinerario di formazione sono: l’aderenza alla realtà del luogo e delle persone, evitando progetti perfetti e globali, ma poi di fatto irrealizzabili, che inducono all’abbandono per scoraggiamento; è meglio la politica dei piccoli passi, concreti, verificabili, facilmente modificabili se il caso lo richiede; la chiarezza dei limiti delle responsabilità nostre di persone e di Chiesa, per evitare in questo caso di sentirsi schiacciati dall’enormità delle problematiche e delle richieste, e arrivare ugualmente all’abbandono per disperazione. Lo svolgimento dell’itinerario formativo va accompagnato da una progressiva esperienza della carità che privilegi soprattutto i rapporti con le persone, così che approfondimento di conoscenza e introduzione all’esperienza vadano di pari passo. 13 Scheda 09. LA LETTURA DEI BISOGNI DEL TERRITORIO: DAI POVERI S’IMPARA Attraverso alcuni esempi di attenzione verso povertà e bisogni (del territorio e/o collocati su scenari più vasti) che possono interpellare la parrocchia nell’ordinario della sua vita, s’intende qui proporre modalità di coinvolgimento comunitario; l’organismo Caritas parrocchiale in questa prospettiva diventa non il soggetto agente, ma: l’attivatore di attenzione diffusa; il proponente di impegni possibili per molti; il pedagogo di mentalità e stili di vita. Le esemplificazioni vanno prese come tali: offrono lo spunto per leggere con lo stesso approccio altre situazioni di povertà e bisogni che possono interpellare ciascuna comunità, diverse e mutevoli in rapporto ai tempi e ai territori. È un tipo di lettura incarnata: Gesù Cristo si è fatto uomo in una terra, in un tempo, ha condiviso le gioie e i dolori della sua gente. Ha lasciato a tutti noi un percorso di vita nuova col suo amore generoso e fedele fino alla risurrezione. Dall’esempio del suo Signore e Maestro la Chiesa impara a “stare nella storia con amore”. La scheda, strutturata in modo diverso rispetto all’impostazione generale di tutte le altre, presenta proposte che offrono spunti, suggeriscono iniziative e percorsi per tradurre questo motto nella vita di ciascuna comunità parrocchiale. 14 La lettura dei bisogni del territorio: dai poveri s’impara A) LE SFIDE E I PROBLEMI DEL MONDO Le esemplificazioni vanno prese come tali: offrono lo spunto per leggere con lo stesso approccio altre situazioni di povertà e bisogni che possono interpellare ciascuna comunità, diverse e mutevoli in rapporto ai tempi e ai territori. a. La parrocchia II termine parrocchia può rischiare di divenire sinonimo di cerchio ristretto: All’ombra del campanile circolano i problemi, le idee, le sfide che il mondo pone alla coscienza dei credenti? Una parrocchia affacciata sul mondo è utopia o possibilità concreta? Proviamo a chiederci quale risonanza hanno, nell’assemblea eucaristica domenicale, i grandi fatti che nella settimana trascorsa possono essere accaduti nel mondo: - una calamità, un colpo di stato, una strage; - ma anche una decisione importante in sede Onu; - la consegna del premio Nobel per la pace; - qualche scoperta scientifica benefica per l’umanità; - gli effetti della globalizzazione; - il divario Nord/Sud; - le iniquità e gli squilibri delle nuove guerre (note o dimenticate). Sono occasioni e situazioni che possono: - essere richiamate nell’atto penitenziale; - offrire lo spunto per una sottolineatura durante l’omelia; - suggerire intenzioni per la preghiera dei fedeli; - avviare l’impegno di microrealizzazioni. b. La colletta Quando si organizza una colletta per un’azione di solidarietà nazionale o internazionale ci sono piccole attenzioni per far diventare anche un singolo e piccolo gesto motivo di proposta pedagogica: - è importante spiegare in modo chiaro ed essenziale i motivi; - inoltre ci sono varie possibilità di illustrare e documentare: cartelloni con foto, un volantino, esposizione di situazioni, problemi, cifre, statistiche...; 15 - per fare ciò può bastare una piccola enciclopedia aggiornata, qualche giornale e un po’ di fantasia; - le Caritas Diocesane e gli Uffici Missionari, in molte diocesi, sono in grado di offrire ampia sussidiazione; - inoltre l’accesso ad Internet apre notevoli possibilità. c. La Celebrazione eucaristica domenicale La celebrazione dell’Eucaristia domenicale è uno luogo pedagogico per sua natura: - la presentazione dei doni che certe volte può essere caratterizzata con prodotti di Paesi del Sud del mondo; - pensiamo al valore della recita comunitaria e fraterna del Padre Nostro; - al segno della pace da rendere meno formale, più espressivo; - la lettura (in momento distinto dall’ascolto della Parola al momento dell’uscita dall’Eucarestia come consegna, mandato) di qualche testo significativo di altre culture. 16 La lettura dei bisogni del territorio: dai poveri s’impara B). MINORI Le esemplificazioni vanno prese come tali: offrono lo spunto per leggere con lo stesso approccio altre situazioni di povertà e bisogni che possono interpellare ciascuna comunità, diverse e mutevoli in rapporto ai tempi e ai territori. a. Parrocchia e iniziazione cristiana Il primo incontro della parrocchia con i minori è il Battesimo; seguono poi il catechismo, la prima Comunione e la Cresima; poi l’esperienza dell’azione cattolica ragazzi e l’esperienza dello scoutismo; l’oratorio e numerose altre proposte educative, associative e ricreative; sono notevoli occasioni di accoglienza, conoscenza e valorizzazione di quei piccoli che tanto stavano a cuore a Gesù; le proposte che seguono vanno nel senso di non sprecare o sottovalutare varie occasioni che si offrono alla parrocchia, come pure di promuoverne di nuove. b. Parrocchia e minori in disagio Preoccuparsi di tutti i minori del territorio con la stessa attenzione e premura; cercare di captare fin dalla prima infanzia le possibili situazioni di emarginazione o disagio (presenti e future): - figli di famiglie in crisi o di ragazze-madri; - bambini che vivono in famiglie con difficoltà (senza casa, genitori disoccupati, immigrati, nomadi); - o, al contrario, minori i cui problemi sono legati a eccessi di benessere e di consumismo; le varie proposte che la parrocchia rivolge ai minori e la valorizzazione di antenne sul territorio (genitori, insegnanti, assistenti sociali, responsabili di gruppi sportivi...) possono consentire un’attenzione continuativa alle problematiche minorili del territorio; la Caritas parrocchiale può essere il punto in cui tale osservazione viene raccolta e diventa proposta di impegno per l’intera comunità. c. Parrocchia, feste e regali Provare a leggere la pratica delle feste di compleanno, di onomastico con inviti e regali che possono essere: - sia motivo di disagio per le famiglie meno abbienti; - sia incentivo al consumismo e allo spreco. Spesso ciò è ancor più amplificato per le feste che le famiglie organizzano in occasione della celebrazione dei Sacramenti... Il Consiglio pastorale, i catechisti, gli insegnati che frequentano la parrocchia, i genitori più coinvolti possono pensare a qualche proposta controcorrente? Non si tratta di colpevolizzare i comportamenti, ma di evangelizzare gesti che per loro natura costitutiva richiamano il dono di Gesù, la gratuità, la condivisione, l’attenzione a chi meno ha. d. Parrocchia e minori del mondo Sviluppare una parallela attenzione ai minori del Sud del mondo: - sostenere delle microrealizzazioni finalizzate alla tutela materno-infantile o alla scolarizzazione dei bambini; - gemellaggi con parrocchie e/o con missionari; - settimane dedicate a mostre, dibattiti, film su problematiche minorili interne e internazionali; - proposta di stili di vita sobri, finalizzando i risparmi a progetti di solidarietà per minori dei Paesi poveri. 17 La lettura dei bisogni del territorio: dai poveri s’impara C) DISAGIO GIOVANILE Le esemplificazioni vanno prese come tali: offrono lo spunto per leggere con lo stesso approccio altre situazioni di povertà e bisogni che possono interpellare ciascuna comunità, diverse e mutevoli in rapporto ai tempi e ai territori. a. Parrocchia e giovani praticanti C’è il rischio che la parrocchia si occupi dei giovani partendo dalla cerchia: - dei praticanti; - degli inseriti nel gruppo giovanile; - dei coinvolti nella catechesi e nell’animazione liturgica; - e... resti lì! Se ci sono giovani a cui le proposte della parrocchia non interessano (e se ne dovrebbero ricercare i motivi): - non ci possono essere giovani di cui la parrocchia non si prende cura; - un rischio, non sempre abbastanza avvertito, è la teorizzazione e la pratica del “pochi ma buoni”. Una comunità che non vuole emarginare cerca di fare proposte accessibili a tutti: - cominciando dagli orari (certe attività giovanili sono praticabili solo da studenti e quindi sono occasione latente di esclusione di altri giovani); - proseguendo col linguaggio; - i centri di interesse; - l’approccio ai problemi... Fondamentale, per tutti e in particolare per i giovani, è l’accoglienza della persona sempre come valore, al di là di quanto possa piacere o esser condiviso delle sue idee e dei suoi comportamenti. b. Parrocchia e proposte possibili Proposte possibili per una parrocchia coraggiosa (o semplicemente incarnata): - affrontare il disagio giovanile lì dove è evidente (per es. esprimendo prossimità alle famiglie con figli tossicodipendenti; ma si pensi anche al diffondersi anoressia e bulimia, ai casi di suicidio o tentato suicidio...); - interrogarsi sulla prevenzione come mentalità e come stile: a. dall’attenzione ai fanciulli e agli adolescenti che più fanno fatica ad inserirsi; b. a quelli meno attrezzati ad affrontare fatiche e insuccessi; c. ai figli di famiglie in crisi o colpite da lutti e altre difficoltà. Occasioni d’incontro con giovani lontani, attività sulla strada, proposte domenicali in quei quartieri in cui restano solo i giovani più poveri. 18 La lettura dei bisogni del territorio: dai poveri s’impara D) SENZA DIMORA E IMMIGRATI (Con particolare attenzione al mondo femminile) a. Parrocchia e i senza dimora La qualifica di senza (senza-dimora, senza-famiglia...) è applicabile anche alla parrocchia? A quali condizioni le persone sradicate da un luogo e da legami significativi possono sentirsi accolte e riconosciute in parrocchia che è casa tra le case? La parrocchia ha tra i suoi compiti quello di far crescere, soprattutto nelle giovani generazioni, il senso del rispetto verso ogni persona, prescindendo dal modo di presentarsi o di porsi rispetto ad abitudini e convenzioni sociali, alla bellezza o al vestito... b. Parrocchia e proposte Le proposte seguenti puntano soprattutto a promuovere e verificare la sensibilità personale, familiare e comunitaria in questa direzione: educare le famiglie a percepire la propria casa come: - una risorsa; - un’opportunità per accogliere e offrire ospitalità ad un senza dimora; - a qualcuno che ha bisogno per un pasto, per una notte...; rendere la parrocchia un ambiente in cui si può sostare per sentirsi accolti e non giudicati. Soprattutto la persona “male in arnese” che viene a bussare dovrebbe trovare qualcosa di più e di meglio della distribuzione frettolosa (quando c’è...) di qualche soldo, di un po’ di cibo e vestiario...; annunciare a tutti, nessuno escluso, che: - Dio è amore, in particolare per i più sfortunati e piegati sotto il peso della vita; - Dio si compiace delle preghiere che salgono a Lui dai più poveri. c. Parrocchia e mondo al femminile Se in varie parti del mondo la donna è considerata essere umano subordinato all’uomo; forse anche nelle nostre parrocchie il ruolo riconosciuto alle donne non è adeguato agli effettivi servizi svolti: - dalla catechesi all’animazione liturgica; - senza dimenticare molte attività di servizio ai più poveri. Ciò potrebbe diventare occasione di una presa di coscienza, accentuando contemporaneamente l’informazione e l’impegno in favore delle donne del Sud del mondo: - una prima strada possibile è la conoscenza del notevole apporto che le donne, nei paesi in via di sviluppo, forniscono alle famiglie e alle comunità di base: la crescita e l’educazione dei figli, il miglioramento dell’igiene e della salute, l’incremento di attività agricole e artigianali. Adottare in parrocchia delle microrealizzazioni di sostegno alle attività femminili suddette può rivelarsi un’interessante forma di conoscenza e coinvolgimento (ampia documentazione è reperibile anche presso l’apposito ufficio della Caritas Italiana ma anche presso la nostra Caritas diocesana.) d. Parrocchia e immigrate Un’altra via importante e non difficile da praticare in parrocchia è l’attenzione alle donne immigrate, presenti in molte zone d’Italia: - la mappa delle immigrate sul territorio e la verifica delle loro condizioni di vita e lavoro, da costruire con l’apporto diretto delle donne presenti, può essere punto di partenza per altre azioni; - la messa a disposizione di ambienti per incontri, scuola di economia domestica (curata da casalinghe volontarie) per svolgere meglio il lavoro di colf...; 19 - l’organizzazione di incontri per conoscere attraverso la voce delle protagoniste la cultura e i problemi dei paesi di provenienza. Questo tipo di attenzione viene portato avanti dalla Caritas e da Migrantes (la Fondazione CEI per le migrazioni, che ha almeno un delegato in ogni Diocesi) ma anche da varie associazioni e organismi di volontariato sia ecclesiali che laici, dal sindacato. In ogni territorio inoltre è importante valorizzare e mettere in rete quante più forze è possibile. e. Parrocchia e tratta Una terza attenzione riguarda l’impegno per la liberazione delle donne straniere costrette alla prostituzione, vittime di una vera e propria tratta. - è una forma di schiavitù del nostro tempo: - ne tirano i fili organizzazioni criminose; - è alimentata anche inconsapevolmente dai clienti. Caritas diocesane, associazioni varie, congregazioni religiose femminili ed altri soggetti sia ecclesiali che laici stanno lavorando concretamente: - producono documentazione; - attivano unità di strada per mostrare solidarietà a queste persone; - aprono percorsi di riscatto con progetti di accoglienza, di recupero e di reinserimento sociale. 20 Scheda 10. IPOTESI DI PROGRAMMAZIONE di una Caritas parrocchiale nel contesto dell’anno pastorale Settori da interessare Tempi particolari nell’arco dell’anno AVVENTO-NATALE - Schede di riflessioni o di preghiere per la famiglia con il tema dell’Avvento (magari da distribuire a Messa ogni domenica). QUARESIMAPASQUA SACRAMENTI - Schede di riflessioni o di preghiere per la famiglia con il tema della Quaresima (magari da distribuire a Messa ogni domenica). - Proposta per gesti solidarietà in occasione di feste (compleanni, matrimoni-battesimianniversari, ecc. ecc.). FAMIGLIA SCUOLA FESTE patronali ESTATE - Con il parroco prevedere una “benedizione Pasquale delle Famiglie” che faccia emergere meglio le varie situazioni di difficoltà. - Un tema o un concorso in collaborazione con gli insegnanti di religione per i più piccoli (scuola elementare). -Un tema o un concorso in collaborazione con gli insegnanti di religione per i più grandi (medie e superiori) -Dopo i voti del primo quadrimestre, un doposcuola di recupero gratuito per ragazzi in difficoltà. Progetto di solidarietà per i ragazzi di Prima Comunione CATECHESI LITURGIA - Ogni domenica una intenzione alla preghiera dei fedeli sull’attenzione ai poveri e alle notizie dal Sud del mondo… - Giornata della Carità al Giovedì Santo o in una domenica di Quaresima - Una domenica al mese offerte di generi alimentari per le famiglie in difficoltà 21 - “Estate Ragazzi” con tematiche, film e giochi sulla solidarietà e la pace, educazione alla mondialità e conoscenza del territorio con i suoi bisogni e risorse. - Nei festeggiamenti patronali, non fare mancare l’attenzione ai poveri, con un gesto di solidarietà e una percentuale nel bilancio della festa da destinare a progetti di Carità parrocchiali o della Caritas Diocesana. EDUCAZIONE ALLA PACE E AL VOLONTARIATO EDUCAZIONE ALLA MONDIALITÀ EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ RAPPORTI CON IL TERRITORIO E I SUOI SERVIZI SOCIALI - Marcia della Pace - Con i giovani e ragazzi prevedere una visita nei luoghi di sofferenza (ospedali, case di riposo…) - Mostre di cartelloni, testimonianze di solidarietà, durante le giornate di Festa. - Conoscenza dei bambini stranieri presenti nelle scuole della parrocchia e delle famiglie di immigrati. - Attenzione ai cattolici stranieri presenti in parrocchia (badanti, operai, ambulanti ecc. ecc.) - Gesti di attenzione agli immigrati presenti nelle fiere delle feste. - Attenzione ai progetti che già si fanno nelle scuole, dare risalto ed eco con articoli, cartelloni, giornalini a numero unico. - Conoscenza e collaborazione con i servizi sociali del territorio. Incontri periodici per fare il punto della situazione. - Concorso tra i negozi della parrocchia per un addobbo natalizio a sfondo religioso che risalti il messaggio della pace e della condivisione. - festa dei “popoli” con le nazioni degli immigrati presenti sul territorio parrocchiale. Risaltare cultura, risorse, musiche e cucina etnica. - Proiezioni di Film su questo tema, con dibattito con i ragazzi, le famiglie… - Conoscenza di storie e testimonianze. - Prevedere una presenza costante nei luoghi di sofferenza (ospedali, case di riposo). -Partecipazione costante ad ogni iniziativa del sociale e ai Consigli Comunali per dare voce ai più poveri. - Pagamento trasparente e completo (fatture, Siae ecc.) nei bilanci delle feste, con bilanci preventivi e consuntivi da affiggere nelle bacheche. - Attenzione e studio di un bisogno particolarmente emergente nel territorio parrocchiale (o di zona con la collaborazione delle altre parrocchie vicine); a es. immigrati, anziani soli, rom, senza fissa dimora, tossicodipendenze (alcool, droghe, azzardo) ecc. NOTA BENE: Questi esempi sono solo alcuni spunti, tratti da esperienze raccolte nel corso degli anni. Ogni comunità potrà lavorare di fantasia, aggiungendo tante altre iniziative che tengano conto del proprio vissuto e delle risorse umane presenti nella parrocchia. L’importante è cogliere lo spirito della PREVALENTE FUNZIONE PEDAGOGICA della Caritas Parrocchiale, organismo di animazione che va ben “oltre” la funzione soltanto “assistenziale”. 22 Scheda 11. “ROMPERE IL VETRO IN CASO DI NECESSITÀ”: Alcuni indirizzi di riferimento per vecchie e nuove povertà Droga e dipendenze da alcool e gioco d’Azzardo - Club Alcologico Territoriale Via Staglianò (Casa dell’Arcobaleno) 88064 Chiaravalle Centrale (CZ) tel. 338.6551764 Centro Calabrese di Solidarietà Ufficio Amministrazione – Servizio Qualità Via XXVIII Ottobre 88100 S. Maria di Catanzaro tel. 0961.769722 – fax 0961.760308 e-mail: [email protected] Immigrazione, Senza Fissa Dimora, donne e minori in difficoltà Fondazione Città Solidale ONLUS Presidenza: Contrada Corvo, Via della Solidarietà (ex Strada 22) “Residence Conca del Sole”, 1 88100 Catanzaro tel./fax 0961.789006 - 789657 e-mail: [email protected] Servizi: - Comunità S. Domenico Accoglienza, assistenza e recupero minori a rischio di devianza Contrada Corvo - Via della Solidarietà - Residence Conca del sole, 1 88100 Catanzaro tel. 0961.789006 fax 0961.557702 e-mail: [email protected] - Casa di Accoglienza “Maddalena” Centro pronta accoglienza Via Carlo V, 193 88100 Catanzaro tel./fax 0961.754303 e-mail: [email protected] - Casa di Accoglienza “L’Aliante” Accoglienza residenziale di adulti in difficoltà Discesa Carbone, 17/A 88100 Catanzaro tel./fax 0961.744182 e-mail: [email protected] - Centro di Accoglienza “Il Rosa e l’Azzurro” Centro di accoglienza per donne sole e/o con figli, in difficoltà o vittime di violenza o maltrattamento Via Civitavecchia, 56 88100 Catanzaro Lido tel./fax 0961.780321 e-mail: [email protected] - Casa di Alì 23 Pronta accoglienza di minori extracomunitari non accompagnati Viale Magna Grecia, 272/A 88100 Catanzaro Lido tel./fax 0961.780787 e-mail: [email protected] - Centro Aiuto Donna Centro antiviolenza Via XX Settembre, 28 88100 Catanzaro tel. 800909194 Associazione Immigrati V.le De Filippis, 326 88100 Catanzaro tel. 0961.770749 - 770749 e-mail: [email protected] Associazione onlus “Nati per Amare” Via Bambinello Gesù, 24 88100 Catanzaro tel. 0961.746067 e-mail: [email protected] Centro di Aiuto alla Vita Via Carlo V, 193 88100 Catanzaro tel. 327.7715298 e-mail: [email protected] Gruppo Volontari EMMAUS 88100 Catanzaro Via Carlo V, 72 tel. 0961.745033 e-mail: [email protected] Rom e zingari Terra di Confine - ONLUS Viale de Filippis, 326 88100 Catanzaro tel./fax 0961.775274 e-mail: [email protected] Problematiche economiche e di indebitamento Fondazione Antiusura “Santa Maria del Soccorso” Via Carlo V, 193 88100 Catanzaro tel./fax 0961.759550 e-mail: [email protected] Per altri contatti o indirizzi telefonare in Caritas Diocesana. 24 Scheda 12. SCHEDA DI OSSERVAZIONE DOMICILIARE PER IL PARROCO PARROCCHIA ……………………….………………… ANNO PASTORALE ………………….. COMPILARE UNA SCHEDA PER OGNI CONDOMINIO/UNITÀ ABITATIVA COMUNE: ……………………….. VIA: ……………………………… NUMERO DI FAMIGLIE VISITATE: SITUAZIONI DI POVERTÀ IN NESSUN CASO 1) Presenza di persone con abbigliamento inadeguato rispetto al clima 2) Presenza di persone in cattive condizioni igieniche personali 3) Presenza di persone in cattivo stato di salute 4) Presenza di persone anziane sole 5) Abitazioni prive di ascensore 6) Abitazione non riscaldata (nei mesi invernali) 7) Sovraffollamento abitativo 8) Cattive condizioni dei mobili e delle strutture fisse dell’abitazione 9) Sporcizia dell’appartamento 10) Altri segni evidenti di povertà economica (osservati o raccontati) 25 IN QUALCHE CASO IN MOLTI CASI IN TUTTE Scheda 13. BOZZA TIPO DI STATUTO DI CARITAS PARROCCHIALE NOTA INTRODUTTIVA La Caritas è un organismo pastorale costituito al fine di promuovere la testimonianza della Carità nelle comunità ecclesiali, con prevalente funzione pedagogica. Le caratteristiche del nuovo organismo pastorale furono tracciate con molta chiarezza da papa Paolo VI, che istituì la Caritas Italiana nel 1971, nello spirito del rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano II. Precisò innanzitutto che si trattava “dell’unico strumento ufficialmente riconosciuto a disposizione dell’episcopato italiano per promuovere, coordinare e potenziare le attività assistenziali nell’ambito della comunità ecclesiale italiana” e indicava due caratteristiche fondamentali: 1. La “prevalente funzione pedagogica”. 2. La carità “è condizione di crescita del popolo di Dio… sempre necessaria, come stimolo e completamento della giustizia”. La Carità da intendere non più come semplice assistenza, ma come stile della vita della Chiesa, come contributo attivo di tutti i cristiani per una società più consona al disegno di amore di Dio. STATUTO DELLA CARITAS PARROCCHIALE Articolo 1 È istituita nella Parrocchia la Caritas Parrocchiale, quale organismo pastorale che ha il compito di coinvolgere la comunità parrocchiale nel realizzare la Testimonianza della Carità sia al suo interno, sia nel territorio. Articolo 2 Le finalità della Caritas Parrocchiale sono: a) Sensibilizzare la parrocchia nel suo insieme (famiglie, scuola, istituzioni, mondo del lavoro, gruppi e altre formazioni di base) al dovere della Solidarietà, della Pace e della Giustizia, in modo che l’intera comunità cristiana si caratterizzi come comunità di amore. b) Ricercare le forme di povertà e di bisogno presenti nel territorio, stimolare la parrocchia a prendere coscienza della loro esistenza e delle loro cause, e a farsene carico sia con risposte dirette, sia stimolando la società civile attraverso adeguati servizi sociali. c) Promuovere la nascita e la formazione di volontari singoli e di gruppi di volontariato, soprattutto in rapporto ai bisogni più scoperti e alle maggiori forme di povertà e di emarginazione, promuovendo la formazione spirituale degli operatori impegnati professionalmente nei servizi sociali e sanitari. d) Coordinare i gruppi e le associazioni cristiane che operano nel campo della carità, dell’assistenza e della promozione umana, in modo che si presentino, pur nella loro legittima singolarità, come espressione dell’unica Chiesa. e) Interessare e stimolare gli Enti Pubblici a dare risposte concrete ai casi di necessità nei confronti dei quali, istituzionalmente, esse sono impegnati a provvedere. f) Sensibilizzare la Comunità cristiana sui problemi e le risorse del Sud del Mondo, promuovendo iniziative comunitarie di solidarietà e di reciprocità. g) Tenere i contatti con la Caritas Diocesana per conoscerne le indicazioni e le iniziative, per comunicare esperienze e difficoltà, per partecipare al cammino ecclesiale di crescita nella Carità. Articolo 3 La CP è l’espressione ufficiale della pastorale della Carità della parrocchia, perciò la sua struttura, dovendo riflettere l’impegno pastorale della Chiesa, sarà composta dal parroco, da un 26 rappresentante per Congrega e da un gruppo di laici sensibili ai problemi della carità, aperti e/o impegnati personalmente in servizi di carità. Articolo 4 La CP, con due suoi membri, sarà presente nel Consiglio Pastorale Parrocchiale, ne presenterà i problemi e le ipotesi d’interventi su quanto riguarda la testimonianza della carità da dare come comunità cristiana, attuerà nel suo lavoro quanto viene deciso nello stesso Consiglio Pastorale Parrocchiale. La CP potrà strutturarsi al suo interno in settori che cureranno particolari aspetti: 1. Animazione della Carità con attenzione ai bisogni e risorse del territorio; 2.Educazione comunitaria ai valori evangelici della Giustizia e della Pace; 3. Sensibilizzazione sui problemi verso i popoli impoveriti del Sud del mondo; 4. Promozione e formazione del volontariato nelle forme ed espressioni più adatte alle varie situazioni storiche del territorio. Articolo 5 La CP si muove in stretto collegamento con il gruppo dei catechisti e con gli animatori della liturgia, così da consentire che il cammino di formazione catechistica e di vita liturgica, siano momenti di crescita nel segno dell’Amore di Dio e del suo Regno di unità e di pace. Il punto d’incontro più importante è il Consiglio Pastorale Parrocchiale. Articolo 6 La CP gestisce fuori dal bilancio parrocchiale, un piccolo fondo di solidarietà, destinato agli interventi di emergenza per pagare servizi di carità. Il fondo viene alimentato da offerte libere di enti pubblici o/e privati, autotassazioni volontarie, percentuali di feste parrocchiali. Il registro delle entrate e uscite, per motivi di riservatezza, viene conservato dal parroco. Articolo 7 La CP ha sede negli ambienti della comunità parrocchiale. 27 Scheda 14. COMPITI E VERBI DELLA CARITAS PARROCCHIALE… in sintesi Far conoscere a tutta la parrocchia i bisogni dei poveri e proporre occasioni ed iniziative di preghiera e di impegno per far diventare le sofferenze di alcuni problema di tutti. Aprire gli spazi della carità della parrocchia alle necessità della Chiesa universale mediante gemellaggi e specifiche collaborazioni con le Chiese e le realtà missionarie, in stretto coordinamento con il Centro missionario diocesano. Animare l’intera comunità facendo crescere in essa la responsabilità caritativa e il suo impegno ecclesiale in questo campo. Collegare e coordinare tutte le energie e le iniziative di carità che sono in atto nella parrocchia, valorizzandone l’apporto particolare dentro un progetto globale deciso e indicato dal Consiglio Pastorale. Stabilire un raccordo con le altre parrocchie della diocesi per un costante scambio di informazioni, dì servizio reciproco, di proficuo dialogo e collaborazione critico costruttiva con le istituzioni civili per affrontare insieme i problemi più urgenti e complessi dei poveri sul territorio e rimuovere le cause di ingiustizia ed emarginazione. Promuovere il volontariato e la formazione degli operatori in stretta intesa con quelli della catechesi e della liturgia, in modo che nella pastorale ordinaria della comunità emerga una permanente educazione alla giustizia, all’impegno sociale e alla pace. Ciò significa: conoscere le situazioni di sofferenza e di bisogno vecchie e nuove, sia quelle presenti nel territorio parrocchiale, sia quelle lontane determinate da emergenze (calamità pubbliche) o da condizioni strutturali di povertà, oppressione, guerra. progettare proposte ed occasioni concrete d’impegno, con l’obiettivo di animare gruppi, famiglie o singole persone che desiderino offrire la propria collaborazione, perché possano inserirsi nella dimensione comunitaria della testimonianza della carità. I servizi della parrocchia sono occasione di crescita se: vengono discussi, vagliati, preparati insieme al Consiglio Pastorale Parrocchiale; nella realizzazione raccolgono il massimo della partecipazione (contributi in denaro, prestazioni di servizi, volontari); soprattutto, si da spazio ad una verifica comunitaria sull’opportunità o meno di continuarli e sulla qualità e modalità degli stessi (se si limitano a “dare cose” o se invece alimentano rapporti interpersonali, se promuovono le persone o le rendono passive); si individuano le strade sulle quali la carità non si limiti a supplire la mancanza di giustizia, ma ne stimoli la piena attuazione attraverso l’assunzione concreta di responsabilità sociali precise (per esempio attraverso assemblee pubbliche, coordinamento con i servizi pubblici e privati ecc.); si dà la possibilità di formazione permanente a quanti si impegnano in materia continuativa nei gruppi di volontariato e offrire loro occasioni di incontro e di scambio di esperienze. L’impegno di animazione della Caritas parrocchiale suppone la presenza in essa di animatori, cioè di persone capaci di risvegliare le coscienze di cogliere le provocazioni dell’ambiente e di coinvolgere più gente possibile. 28 SENSIBILIZZARE la comunità parrocchiale alla testimonianza della carità significa avere un chiaro progetto di pastorale della carità, comunicare l’entusiasmo di costruire insieme il Regno di Dio, sollecitare la presa di coscienza individuale e comunitaria, coinvolgere tutti i gruppi parrocchiali, animare la comunità locale. La comunità parrocchiale è spesso un insieme assai ricco e articolato di gruppi, un costante rincorrersi di attività, catechesi per i sacramenti, incontri di preparazione al matrimonio, riunioni di associazioni o movimenti, ecc. Ci sono poi alcune persone che individualmente o in gruppo si preoccupano di trovate delle soluzioni alle povertà che ogni giorno si presentano in parrocchia. Cosi l’anziano solo, il tossicodipendente, il barbone, lo zingaro ricevono a volte una risposta, spesso amorevole (qualche spicciolo, vestiti, alimenti, un lavoro, l’indicazione di un dormitorio, il pagamento di una bolletta scaduta, un pacco di viveri) che purtroppo non sempre risolve il problema alla radice. Infatti, dopo qualche giorno il parroco o le persone di buona volontà si ritrovano di fronte le stesse persone con le stesse richieste. La comunità cristiana deve prendere sempre più coscienza della necessità di un nuovo modo di vivere la testimonianza della carità all’interno della parrocchia, con l’obiettivo di far diventate le sofferenze di alcuni problemi di tutti, diventando “soggetto della testimonianza della carità”. Quali sono allora i passi da fare? Il primo è sicuramente l’istituzione della Caritas parrocchiale, il secondo è quello di individuare le povertà antiche e nuove nel territorio con la particolare attenzione di cercare i poveri là dove vivono per far conoscere a tutta la parrocchia i loro bisogni. Tutto questo significa valorizzare l’apporto specifico di tutte le iniziative di carità che sono in atto nella parrocchia dentro un progetto globale deciso e indicato nel Consiglio Pastorale. Ma quanti e quali sono gli apporti specifici presenti nelle comunità? I catechisti e gli animatori liturgici hanno l’appassionante dovere di trovare dei luoghi all’interno dei quali educare alla carità. La messa domenicale, ad esempio può essere un eccellente spazio di educazione. Dall’omelia all’atto penitenziale, tutto può essere riletto alla luce del Vangelo della Carità. I catechisti hanno poi la preziosa possibilità di incontrare bambini e adulti almeno una volta a settimana. Riflettendo sulle povertà presenti nel quartiere, essi sicuramente potrebbero fare in modo che dalla pastorale ordinaria della comunità emerga una permanente educazione alla giustizia, all’impegno sociale e alla pace. Tutta la fantasia degli animatori della carità sarà chiamata quindi ad esprimersi nell’animazione del territorio per affrontare insieme i problemi più urgenti e complessi dei poveri e rimuovere le cause di ingiustizia ed emarginazione. La sensibilizzazione della comunità passa anche attraverso la costruzione di esperienze mediante una specifica metodologia: quella del vedere, valutare, agire (revisione di vita). “Partiamo dai fatti”: è questo l’invito esplicito che gli animatori della Caritas parrocchiale devono rivolgere alla comunità cristiana. I fatti sono le persone, le situazioni e le cose che ci circondano: per la strada, nel quartiere, sul giornale... Guardiamo i fatti e interroghiamoci sulle loro circostanze, sulle cause che li hanno prodotti, sui mezzi a disposizione per rimuoverle, sulle risorse esistenti o da creare e, infine, sulle azioni concrete e possibili affinché l’annuncio “io faccio nuove tutte le cose” diventi realtà. PROGETTARE significa essere in grado di procedere sapendo individuare obiettivi reali di cambiamento della realtà e, allo stesso tempo, itinerari efficaci e concreti per realizzate gli obiettivi medesimi. È facile nell’animazione della carità, scadere nell’assistenzialismo e nell’“emergentismo”; cadere cioè in quei processi di continuo tamponamento della necessità e dei bisogni, senza mai elaborare la soluzione degli stessi, senza mai approfondire le cause né tanto meno progettare il cambiamento. L’elaborazione unica di risposte immediate ed occasionali, guidate più dall’emotività che dall’approfondimento delle problematiche nella loro complessità, getterà spesso un atteggiamento assistenziale in chi presta un servizio e una progressiva dipendenza in chi lo riceve. 29 Per progettualità intendiamo un modo di vivere e condurre le nostre esperienze chiedendoci sempre dove vogliamo arrivare. Questo diviene necessario quando ci troviamo a condividere il disagio e la povertà dell’altro. È quindi fondamentale ricercare itinerari educativi in grado di far maturare la testimonianza della carità all’interno della comunità parrocchiale. È questo un “modo di pensare”, prima ancora di un “modo di fare”. Risolvere il problema dell’altro unicamente con una risposta immediata non modifica sostanzialmente il difficile vissuto quotidiano della persona e non consente di fare nostra la sua storia. È come se non accettassimo già a priori il fatto che la realtà possa cambiare anche grazie a noi. Progettare insieme la strada per uscire da certe situazioni, cercando di capire veramente il punto di partenza e le tappe intermedie possibili, invita ad intraprendere con l’altro un cammino e un’esperienza di vita, incarnando così lo stile evangelico della carità. La Caritas parrocchiale, è importante sottolinearlo, deve essere capace di coinvolgere, in questo serio e compromettente percorso di progettazione e accompagnamento, l’intera comunità parrocchiale e prima ancora i poveri stessi come protagonisti del cambiamento. Si tratta dunque di pensare insieme la carità come evento di progettazione ai fini di un cambiamento: questo implica una mentalità diversa da parte nostra e un miglioramento effettivo delle situazioni di sofferenza e di disagio presenti sul territorio. CERCARE i poveri là dove sono... quest’affermazione mette in crisi il nostro modo di essere parrocchia e in particolare pone l’accento sull’aspetto necessariamente “missionario” della testimonianza della carità. Non possiamo aspettare che le stanze dei centri d’ascolto si “riempiano” di poveri. Dobbiamo conoscere il territorio per capire meglio dove il nostro aiuto è più prezioso. Come fare? La lettura del territorio può essere divisa in cinque fasi: 1. La prima, spesso la meno curata, ha come obiettivo la presa di coscienza, da parte del Consiglio Pastorale Parrocchiale (CPP), della necessità di rendere l’intera comunità parrocchiale soggetto della testimonianza della carità. È questo un passaggio molto delicato. La scelta deve essere, infatti, meditata, per poi passare all’elaborazione di una bozza di progetto di pastorale della carità, naturalmente in profonda armonia con l’intero piano pastorale. Si otterrà così una prima ipotesi delle linee portanti del progetto di pastorale della carità e sarà anche possibile costituire un piccolo gruppo di persone incaricato di effettuare la lettura del territorio in ordine alle povertà e alle risorse esistenti, formato da membri del Consiglio Pastorale, magari delle diverse commissioni (catechesi, liturgia, carità), dai rappresentanti del centro di ascolto, dei gruppi e delle associazioni di volontariato presenti in parrocchia. Anche la presenza di esperti (sociologi, assistenti sociali, psicologi, pedagogisti...) può essere preziosa. 2. Una volta formato il piccolo gruppo si passa alla seconda fase, che potremmo definire dei “testimoni privilegiati”; cioè di quelle persone (dal vicino di casa alla parrucchiera) che si mettono in relazione quotidianamente con i poveri; il piccolo gruppo deve fotografare i pareri della gente riguardo alle povertà e alle risorse del territorio. Insieme si comincia a lavorare per l’individuazione di un campione significativo da intervistare, composto da persone “ben informate” sulla vita del territorio. Dopodiché si prepara una sintesi dei dati raccolti, evidenziando le maggiori povertà emerse dalla ricerca. Questo lavoro deve essere presentato, discusso e attentamente vagliato nel CPP. È un momento decisivo perché consente di scegliere le aree di emarginazione da studiare e approfondire. 3. Si passa così alla terza fase della lettura, per ottenere una “radiografia” più tecnica dei bisogni. Occorre dunque reperire i giusti interlocutori all’interno delle aree di emarginazione precedentemente individuate (per es. anziani, portatori di handicap, ecc.). L’obiettivo è, quello di capire meglio l’entità e le cause della povertà, ma anche di contattare personalmente chi, nel nostro territorio, si occupa dei problemi specifici (per es. assistenti sociali, psicologi, medici...) per stringere con loro proficui rapporti di collaborazione. Questa fase si chiude con un ricco patrimonio di conoscenze di fatti e di persone. 30 4. Il coinvolgimento del CPP nella fase successiva, la quarta, è determinante: una volta individuate le più rilevanti aree di emarginazione, le principali cause, le risposte più significative e alcuni suggerimenti su come operare, è ora di tradurre la prima ipotesi di progetto pastorale della carità in un concreto itinerario di animazione della comunità. Questo è il tempo della creatività. Bisogna pensare a come coinvolgere tutti – catechisti, animatori liturgici, operatori della carità – nella risposta ai bisogni del territorio. Naturalmente l’intero territorio deve poter condividere le informazioni che abbiamo raccolto. Al suo interno possono, infatti, svolgersi dei rapporti di fruttuosa collaborazione: l’assemblea nel teatro parrocchiale, l’incontro con i rappresentanti del Comune, la preghiera dei fedeli, la riunione con i bambini che si stanno preparando alla comunione, gli spazi di aggregazione dei giovani, possono diventare veri luoghi di animazione e di proposta. 5. La quinta ed ultima fase serve infine a realizzare gesti ed iniziative significative in merito alle povertà rilevate. Il centro di ascolto rinnovato, l’apertura dell’oratorio, la nascita di un gruppo di volontariato, l’arrivo di nuovi Volontari... sanciranno, infatti, l’impegno della comunità. 31 Scheda 15. LA CARITÀ (Relazione di Don Gabriele Amorth) Parlare della carità […] vuol dire entrare nel cuore del cristianesimo. È parlare del vero amore, di quell’amore tra noi e Dio, che deve rispecchiare l’amore divino che unisce le tre persone della SS. Trinità; è parlare dell’amore che deve tenere unite le famiglie, la società, perché sia una società di fratelli e non di lupi che si sbranano. L’incarnazione di Gesù ha creato un nuovo rapporto tra noi e Dio, tra noi e gli altri. Siamo diventati figli e quindi fratelli tra di noi: una sola famiglia, di cui l’amore è l’unica legge. Solo in caso di crepe, di litigi (e quindi solo su questa terra in cui noi viviamo) si è costretti a ricorrere ad altre leggi. Di che natura è questo amore verso Dio e verso il prossimo, che noi chiamiamo carità? È un amore misterioso, non dipende dal sentimento o dal bisogno, come l’amore naturale. Ma deriva dalla paternità divina e ne è un riflesso. Dio è amore, come lo definisce S. Giovanni; mai siamo tanto simili e tanto conformi a Dio e alla sua volontà, come quando amiamo. Ma dobbiamo amare come Lui ci ama. Il vangelo ci indica quattro gradi o formulazioni di questo amore. Primo. I Sinottici, e cito Matteo 22, 36-40, si esprimono così: “Maestro, qual è il maggior comandamento della legge? E Gesù rispose. Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Questo è il massimo e il primo comandamento. Il secondo, poi è simile a questo: amerai il prossimo tuo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e tutto ciò che hanno scritto i profeti. La parola “simile” è un inciso di Gesù, in aggiunta alle parole che già troviamo nell’Antico Testamento ed apporta una nota sconvolgente per l’Israelita: non puoi trattare Dio come Padre se non tratti e accetti gli altri come fratelli. Accettarli come fratelli, vuol dire che credi alla paternità di Dio: S. Giovanni specifica: “Non ama quel Dio che non vede, chi non ama il prossimo che vede”. Luca, specifica con un’altra domanda rivolta a Gesù: “Chi è il mio prossimo?”. E Gesù narra la parabola del buon samaritano. Da qui vedete che l’estensione dell’amore è universale. Anzi Gesù dice che questo amore deve abbracciare anche i nemici, amali come te stesso. È il paragone più ovvio, che altrove viene espresso anche con altre parole: “Fa agli altri ciò che desideri sia fatto a te”. E di conseguenza “Non fare agli altri, ciò che non vuoi sia fatto a te”. Matteo, nel capitolo 7-12, è molto categorico: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la legge dei profeti” È così che agiamo da figli di Dio. Secondo. Il vangelo va oltre e ci dà una seconda formulazione della carità. Leggo Matteo, 2535 “Venite benedetti… perché ebbi fame e mi deste da mangiare, sete, e mi deste da bere … Via da me maledetti: perché ebbi fame e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere”. Entrambi i gruppi di persone, a cui Gesù sta parlando rimangono stupiti e domandano: “Quando Signore non abbiamo fatto questo?”. E Gesù risponde: “In verità, in verità vi dico, ogni volta che avete fatto queste cose ad uno di questi piccoli, l’avete fatta a me… e qualunque cosa non avete fatto ad uno di questi piccoli non l’avete fatta a me”. Ecco la novità evangelica: Gesù si identifica con il prossimo. L’altro non è solo uno come te, ma negli altri c’è Gesù. In modo particolare nei più piccoli: ossia i più bisognosi, materialmente o spiritualmente. Dove cerchi Gesù? Dove credi di trovarlo, amarlo, servirlo? Guardati intorno, vedi chi ti sta vicino, chi incontri per caso. Gesù è nel 32 prossimo e ci dice: Ciò che fai agli altri lo fai a me. Capire questo è comprendere un segreto necessario per la salvezza eterna. Terzo. In Giovanni 13,34, troviamo un’altra formulazione della carità, del tutto nuova, perché amare il prossimo come noi stessi, è una formulazione del tutto valida, ma già contenuta nell’Antico Testamento. Ecco invece come Gesù si esprime poco prima di subire la passione: “Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda; amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”. Vedete il salto di qualità, il nuovo metro di misura dell’amore non basta più: ama gli altri come te stesso; ama gli altri come li amo io. Notate il contesto in cui Gesù dà questo che chiama il comandamento nuovo, il mio comandamento. Leggo Giovanni 13,12-15. Poco prima aveva lavato i piedi agli apostoli, aveva ripreso la sua veste e si era rimesso a mensa. A questo punto dice: “Intendete quello che io vi ho fatto? Voi mi chiamate il maestro e il Signore e dite bene perché lo sono. Se dunque vi ho lavato i piedi io, Maestro e Signore, dovete anche voi lavarvi i piedi l’un l’altro. Io infatti vi ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io, facciate anche voi”. Ne fa prima una questione di servizio e poi di fede. Capite bene che non si tratta materialmente di lavare i piedi al prossimo. Questo umile servizio poteva andare bene tra gente che andava in giro scalza, su sentieri polverosi. Qui siamo in tema di amore e Gesù ci dice che l’amore va espresso concretamente con gesti di servizio. E tutto questo è importantissimo tanto che Gesù ci dice: “Amatevi come io vi ho amato. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni verso gli altri”. È il distintivo dei Cristiani. Se non c’è questo amore non si è riconosciuti come discepoli di Gesù. Ecco la novità, il comandamento nuovo, interamente evangelico. Per vivere da veri cristiani non bastano più i due aspetti della carità, pur validissimi che abbiamo già considerato (tratta gli altri come tratteresti te stesso – ciò che fai a loro lo fai a me). Senza annullare questi due aspetti Gesù ci cambia il metro di misura: amatevi come io vi amo. Allora lo sguardo si fissa su Gesù; è Lui il modello da imitare: l’incarnazione, Betlemme, Nazareth, la vita pubblica, la morte in croce…Vi sembra troppo? S. Giovanni nella sua stupenda prima lettera, piena di affermazioni secche e precise, ci dice come se fosse la cosa più facile del mondo: “Come Gesù ha dato la vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli”. E in un altro punto afferma: “Se siete cristiani – ossia seguaci di Gesù – vi dovete comportare come lui si è comportato”. A questo punto notiamo quanto è impegnativa la carità. Forse il comandamento nuovo ci sconcerta e ci fa dire: è un metro di misura che mi condanna; non ho mai amato davvero, né mai potrò farlo. Vediamo allora come il precetto della carità deve essere per noi una ricerca continua, un continuo dinamismo. Forse ci sconcerta anche come l’altra parola di Gesù: “Siate santi come il Padre vostro che sta nei cieli è santo”. Ci accorgiamo di quanto siamo imperfetti, di quanta strada dobbiamo fare. Essere perfetti come il Padre, non è una meta che si possa raggiungere, ma indica una via lungo cui camminare. Perciò non dobbiamo mai essere contenti di noi stessi, ma capire che se abbiamo raggiunto con sforzo un certo comportamento, una certa meta, dobbiamo renderci conto che non possiamo fermarci, perché il cammino che abbiamo fatto è assai più lungo di quello che abbiamo fatto. Il modello è Gesù. S. Paolo è arrivato a dire: Imitate me come io imito Cristo. Viver da figli di Dio vuol dire, infatti, amare come Cristo, comportarci come Lui. Quarto. C’è ancora nel vangelo una quarta formulazione della carità. Leggo Giovanni 17,2143: “Affinché tutti siano una cosa sola, come tu sei in me Padre ed io in te; che siano anch’essi una 33 cosa sola in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Il nostro amore deve essere un riflesso di quello trinitario; deve farci sentire una cosa sola tra noi e con Dio, in modo tale da suscitare nel mondo la fede in Cristo. Tertulliano diceva: “Ai tempi dei primi cristiani, la gente li guardava ammirati e li additava dicendo: guardate come si amano!”. C’è da essere umiliati, sconvolti da queste esigenze della carità. Forse qualcuno potrà pensare che ho esagerato, che ho detto cose impossibili, da attuarsi. Eppure ho solo ripetuto le parole di Gesù; se non avessi parlato così avrei tradito Lui e voi. Anche se oggi i problemi di relazione sono più sentiti che in passato, nel mondo non c’è fede perché non ci amiamo. C’è ben poco amore tra di noi: non sappiamo perdonarci, sopportarci, dimenticare; critichiamo, giudichiamo e mettiamo a tutti un’etichetta. Vediamo quanto egoismo, quanto arrivismo, senza badare se calpestiamo i diritti degli altri. Mi domando: perché siamo così cattivi? Eppure in fondo al cuore abbiamo desiderio di bontà. Se oggi guardiamo gli aspetti della nostra società, sia del laicato, sia dei sacerdoti, sia dei religiosi, a parte casi eccezionali, non c’è da stare allegri. In complesso non siamo un segno efficace per attirare i nostri contemporanei a Cristo, alla Chiesa. Forse molte volte siamo controproducenti. Padre Damiano diceva sempre: non ho paura di chi combatte Cristo e la chiesa, ma ho paura dei Cristiani che non sono validi testimoni della fede. Infine per comprendere la forza e l’efficacia dell’amore potremmo rifarci all’esperienza, alla vita di Ghandi, che senza usare violenza liberò l’India. Termino ripetendo un brano del famoso inno alla carità, scritto da S. Paolo, nel Tredicesimo capitolo della prima lettera ai Corinzi. Vediamo che la carità è uno stato d’animo, prima che dipendere da azioni esterne. Stupisce perfino quando afferma: posso dare ai poveri tutti i miei averi e non avere carità, per cui non giova a niente; posso farmi bruciare vivo per gli altri e non avere carità, per cui non serve a nulla. Ma è doveroso per me chiudere questa breve relazione leggendo proprio alcune parole tratte dall’Inno alla carità: “Se anche parlo la lingua degli uomini e degli angeli ma non possiedo la carità sono come un bronzo suonante o un cembalo squillante. E se anche ho il dono della profezia e conosco tutti i misteri e tutta la scienza; e se anche possiedo tutta la fede sì da trasportare le montagne, ma non ho la carità, non sono niente. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e se anche dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non ho la carità, non mi giova nulla. La carità è magnanima, è benigna la carità, non è invidiosa la carità; non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non sia adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine”. Amen. 34 Scheda 16. CARITAS: LA PREVALENTE FUNZIONE PEDAGOGICA (da documenti vari di Caritas Italiana) La Caritas italiana, che nasce come organismo pastorale per promuovere la testimonianza della carità secondo il rinnovamento indicato dal Concilio Vaticano II, si differenzia da altre Caritas nazionali prevalentemente impegnate a erogare beni e servizi nei tanti ambiti delle problematiche sociali. Far crescere la Chiesa nella carità, ovviamente è compito di tutta la pastorale e di tutti gli organismi pastorali, dall’ufficio catechistico all’ufficio liturgico, al consiglio pastorale, alla commissione affari economici. Perché allora la Caritas? È il problema che il Cardinal Pellegrino poneva al Consiglio permanente della CEI, quando nel 1971, per volere di Papa Paolo VI, si doveva decidere di istituire la Caritas. Se tutta la Chiesa ha il compito di promuovere la carità, come questo compito può essere delegato ad un organismo pastorale? Questa provvidenziale discussione di trent’anni fa, fece emergere il ruolo specifico della Caritas: promuovere nella chiesa la scelta preferenziale dei poveri, banco di prova per verificare quanto ed effettivamente la carità è presente nella Chiesa. La caratterizzazione originaria e la finalità di Caritas Italiana sono contenute nello Statuto del 1971, che, con qualche ritocco non sostanziale, mantiene le sue prerogative fino ad oggi. “Art.1 dello Statuto: La Caritas Italiana è l’organismo pastorale costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica”. In occasione del primo convegno nazionale delle Caritas diocesane, fu chiesta un’udienza al Papa Paolo VI e così racconta Monsignor Giovanni Nervo: “Ero andato dal maestro di camera, mons. Dino Monduzzi, poi cardinale, per chiedere un’udienza particolare al nostro convegno, e lui mi pose una domanda (che io non mi aspettavo): mi chiese che cosa desideravamo che ci dicesse il Papa e, preso così alla sprovvista, mi venne spontaneo chiedere che ci commentasse lo statuto che aveva dato la Conferenza Episcopale. E avemmo così, provvidenzialmente, l’interpretazione autentica più autorevole del nostro statuto; e questa fu – direi – la nostra forza per andare avanti. Credo sia doveroso e necessario che tutti i collaboratori della Caritas conoscano e meditino quel discorso, proprio perché è l’interpretazione autentica, che è ancora quello che vincola la Caritas, perché la Caritas, se vuoi chiamarla Caritas, deve realizzare… muoversi su quello Statuto. Direi che l’interpretazione che ci ha dato il papa è di una lungimiranza e di una forza che non avremmo trovato diversamente: per questo, dico, è stato provvidenziale!”. In particolare la prevalente funzione pedagogica è stata indicata da Paolo VI come uno degli aspetti peculiari della Caritas in quanto organismo pastorale: “Evidentemente la vostra azione non può esaurire i suoi compiti nella pura distribuzione di aiuto ai fratelli in difficoltà (…). Al di sopra di questo aspetto puramente materiale della vostra attività,emerge la sua prevalente funzione pedagogica, il suo aspetto spirituale che non si misura con cifre e bilanci, ma con la capacità di 35 sensibilizzare le Chiese locali ed i singoli fedeli al senso ed al dovere della carità in forme consone ai bisogni e ai tempi. Mettere a disposizione dei fedeli le proprie energie e i propri mezzi non può essere solo frutto di uno slancio emotivo e contingente, ma essere la conseguenza logica di una crescita nella comprensione della carità che, se sincera, scende necessariamente a gesti concreti di comunione con chi è in stato di bisogno”. La Caritas fin dall’inizio ha cercato di essere fedele a questo mandato, svolgendo la propria attività sul versante della sensibilizzazione, per educare la comunità al senso della solidarietà e della fraternità, attraverso una serie di iniziative sistematiche e costanti. S.E. Mons. Merisi, presidente di Caritas Italiana, nella sua prolusione al 35° Convegno Nazionale delle Caritas Diocesane (Fiuggi 21-23 novembre 2012) “La Chiesa che educa servendo la carità - si misero ad insegnare loro molte cose (Mc 6,34)”, ribadiva: “È alle Caritas che è stato affidato il compito di sviluppare la funzione prevalentemente pedagogica. È questa funzione la spina dorsale che lega i diversi livelli territoriali della Caritas. Più che fare è importante agire, dare un senso, una direzione, una prospettiva alla pur esigente e doverosa necessità del fare: a chi tocca dare uno sguardo ampio sulla realtà e sulla chiesa, a chi tocca abitare i luoghi di confine, a chi tocca aprire strade inusitate, a chi tocca attuare quella che Paolo VI chiamava la civiltà dell’amore, a chi tocca fondare la carità sulla fraternità e non tanto sulla pura erogazione di servizi e risposte? chi ha il compito di far udire, dentro le comunità cristiane, che la chiesa è per il mondo, è per gli uomini, che la Chiesa è se stessa nella misura in cui si fa prossima ai luoghi, ai volti, alla storia, ai modi della povertà? chi ha il compito di assumere posizioni profetiche nella Chiesa perché si senta forte nella società la voce della carità? La Caritas, noi diciamo, nella fedeltà ad un mandato che fa della Caritas un organismo pastorale con funzione prevalentemente pedagogica. È tempo, infatti, di lasciarci afferrare dallo Spirito per frequentare una pluralità di luoghi, nei deserti dei nostri territori e per rendere visibile l’amore di Dio nell’opera di testimonianza perché ‘la fede se non è seguita dalle opere è morta’ (Gc 2,17)”. Opere che siano segno della Parola e dell’Eucarestia e della Carità di Dio. Nello stesso convegno, Don Vittorio Nozza, ora direttore emerito di Caritas Italiana, aggiungeva che la sfida dell’educazione “è l’imperativo che ci dovrà accompagnare nei prossimi anni. Educare a nuovi stili di vita, personali e comunitari, nell’oggi e nel qui del nostro tempo; all’ecumenismo, al dialogo tra le religioni, all’interculturalità, alla pace, alla responsabilità, alla cittadinanza consapevole, alla mondialità. Il mandato affidato a Caritas Italiana e alle Caritas diocesane, seppure a livelli diversi, prevede l’impegno a svolgere compiti educativi nei confronti dello spazio sociale e culturale. È quella funzione pedagogica, educativa, di animazione propria della carità richiamata dall’Enciclica Deus caritas est (cfr DCE 29,30b). In quest’ottica le Caritas sono chiamate a dare il loro contributo in riferimento alla conoscenza dei linguaggi della modernità e alla capacità di utilizzare gli strumenti pastorali che esse hanno sviluppato per conoscere e studiare la società e per promuovere e animare l’agire sociale e culturale. Si tratta di salvaguardare il ‘carattere di itineranza’ della Caritas nei linguaggi della modernità, nei territori e nelle comunità ecclesiali”. In occasione di questo Convegno e per celebrare i 40 anni della Caritas Italiana il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i rappresentanti delle Caritas Diocesane e nel suo discorso di accoglienza ha detto tra l’altro: “Siete venuti presso la tomba di Pietro per confermare la vostra fede e riprendere slancio nella vostra missione. Il Servo di Dio Paolo VI, nel primo incontro nazionale con la Caritas, nel 1972, così affermava: ‘Al di sopra dell’aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica’. A voi infatti,è affidato un importante compito educativo nei confronti delle comunità, delle famiglie, della società civile in cui la Chiesa è chiamata ad essere luce (cfr. Fil 2,15). Si tratta di assumere la responsabilità dell’educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo comprende in maniera organica la 36 testimonianza della carità. Sono le parole dell’apostolo Paolo ad illuminare questa prospettiva: ‘Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata. Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità’ (Gal 5,5-6). Questo è il distintivo cristiano: la fede che si rende operosa nella carità. Ciascuno di voi è chiamato a dare il suo contributo affinché l’amore con cui siamo da sempre e per sempre amati da Dio divenga operosità della vita, forza di servizio, consapevolezza della responsabilità. ‘L’amore del Cristo infatti ci possiede’ (2 Cor 5,14), scrive San Paolo. È questa prospettiva che dovete rendere sempre più presente nelle Chiese particolari in cui vivete”. Nel suo editoriale su Italia Caritas, il mensile di Caritas Italiana, il neo Direttore Don Francesco Soddu ha scritto, riferendosi all’udienza con Papa Benedetto XVI e in particolare a quanto sopra riportato: “Da questo semplicissimo approccio al discorso del pontefice emergono alcuni pilastri, colonne portanti dell’edificio Caritas, che vanno a compattare la ‘prevalente funzione pedagogica’ che lo caratterizza. Senza in nessun modo dare per scontato il fondamentale discorso sulla fede – come ammonito dalla lettera apostolica di indizione per l’Anno della fede –, mi par di vedere ribadita con sovrabbondante chiarezza la visione di chiesa-comunione emersa dal concilio ecumenico Vaticano II. Il popolo di Dio, da Lui creato, amato e redento, è chiamato in ogni suo membro a essere testimone attivo e protagonista responsabile delle dimensioni che ne determinano la vita ed il funzionamento:l’annuncio, la celebrazione e la testimonianza della carità. La funzione pedagogica della Caritas, in questo specifico, richiama il bel compito che appartiene a ciascun cristiano: essere interprete, vivo e vitale nel tessuto della chiesa e nella società. Il papa sottolinea che questa è una ‘prospettiva’ dinamica, da rendere ‘sempre più presente nelle chiese particolari’”. 37