Copertina Ferrara:Layout 1 12-03-2007 16:35 Pagina 1 Il Patrimonio Culturale italiano, unico al mondo, è costituito da beni archeologici, architettonici, archivistici, artistici e storici, librari e paesaggistici, nonché dalle diverse attività culturali promosse dallo spettacolo dal vivo, con riferimento al cinema, al teatro, alla musica, alla danza, allo spettacolo viaggiante e alle tradizioni popolari. Il MiBAC, amministra e promuove la conoscenza di questo imponente patrimonio storico, artistico e culturale di cui è custode con l’obiettivo di salvaguardarlo e valorizzarlo. Alla Direzione per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione, una delle novità della riforma del 2004, spetta il compito nodale e impegnativo di attuare la modernizzazione dell’Amministrazione attraverso linee di indirizzo e interventi operativi basati sulle più nuove e sofisticate tecnologie e su strategie di comunicazione e marketing. Nell’ambito di queste attività, la Direzione Generale partecipa annualmente, insieme a tutti gli Istituti centrali e territoriali, ad una serie di manifestazioni fieristiche che sono un veicolo efficace per diffondere ad un pubblico differenziato le attività ed i progetti più innovativi realizzati negli ultimi anni ed in corso d’opera. Tali manifestazioni rappresentano anche un momento molto importante di incontro tra le realtà territoriali, gli Enti locali, i settori delle imprese ed il privato. Le fiere a cui partecipare vengono programmate in base alla tipologia delle attività istituzionali del MiBAC – Tutela, Restauro, Comunicazione – e agli interessi di settore (Monumenti, Archivi, Biblioteche, Patrimonio Storico-Artistico, Cinema, Teatro, Spettacoli, Paesaggio) che ogni anno si vogliono evidenziare. Programmazione 2007 22-25 Marzo FERRARA Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei beni culturali 21-25 Maggio ROMA FORUM P.A. Forum della Pubblica Amministrazione 6-8 Novembre BOLOGNA COM.PA Salone Europeo della Comunicazione Pubblica dei servizi al cittadino e alle imprese 9-12 Novembre PARIGI Salon du Patrimoine Culturel 15-18 Novembre PAESTUM X Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico 30 Nov-2 Dic. VENEZIA XI Salone dei Beni e delle attività culturali Via del Collegio Romano, 27 00186 Roma Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione Servizio II - Promozione, Comunicazione e Marketing Unità Organica I - Comunicazione, Grandi Eventi e Manifestazioni Fieristiche Tel. 06.6723.2851-2927 - Fax 06.6723.2358 [email protected] CONSERVAZIONE: UNA STORIA FUTURA SALONE DELL’ARTE DEL RESTAURO E DELLA CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI Ferrara 22-25 Marzo 2007 Quartiere Fieristico URP - Ufficio Relazioni con il Pubblico Tel. 06.6723.2980-2990 - Fax 06.6798.441 [email protected] www.beniculturali.it numero verde 800 99 11 99 Edizioni MP MIRABILIA srl Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 1 CONSERVAZIONE: UNA STORIA FUTURA Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 2 Il programma di partecipazione al Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali Ferrara, 22-25 marzo 2007, è stato organizzato dal: Servizio II - Comunicazione, Promozione e Marketing Dirigente ad interim Raffaele Sassano Il coordinamento generale per la progettazione e realizzazione opuscolo, materiali grafici e stand, organizzazione convegno e incontri allo stand è a cura della Unità Organica I Comunicazione, Grandi Eventi e Manifestazioni Fieristiche Responsabile Antonella Mosca con Monica Bartocci, Antonella Corona, Maria Tiziana Natale Alessandra Rosa, Maria Siciliano, Laura Simionato Comunicazione multimediale Alberto Bruni, Renzo De Simone, Francesca Lo Forte, Emilio Volpe Segreteria Amministrativa Cristina Brugiotti, Annarita De Gregorio, Mauro De Santis, Loredana Nanni Laura Petracci, Rosaria Pollina, Silvia Schifini,Teresa Sebastiani Rapporti con i media Fernanda Bruno con Chiara de Angelis Supporto logistico Edoardo Cicciotto, Maurizio Scrocca Supporto operativo allo stand Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 3 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 4 I l Salone dell’Arte e del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali, giunto alla XIV edizione nel 2007 - è il più importante appuntamento nazionale sul tema del Restauro e la Conservazione e Tutela del Patrimonio culturale, e attribuisce alla città di Ferrara il ruolo di capitale europea nel settore del Restauro. Il Salone rappresenta un’occasione di confronto positivo con altre realtà istituzionali e private presenti sul territorio, con le quali il MiBAC intende mantenere vivo un costante e proficuo rapporto di collaborazione. Questa manifestazione, oltre ad essere un momento significativo per l’approfondimento di tematiche peculiari, è attualmente anche la sede privilegiata per gli operatori del settore, un terreno fertile per trasmettere e comunicare a tutti la straordinaria ricchezza del Patrimonio culturale italiano di cui il MiBAC è custode. In materia di restauro e conservazione, infatti, l’esperienza maturata in Italia è diventata un’eccellenza nel settore, grazie anche allo sviluppo di metodologie e tecnologie avanzate che hanno reso il nostro Paese il principale polo internazionale di elaborazione. Alla fiera vengono presentati i progetti e il lavoro svolto quotidianamente da centinaia di tecnici del restauro e della conservazione, che costituiscono un’impareggiabile risorsa di conoscenza e professionalità riconosciuta e apprezzata. Il MiBAC partecipa anche quest’anno alla manifestazione con uno stand istituzionale in cui saranno presentati i progetti più innovativi realizzati dagli Istituti di Ricerca operanti nel Restauro (ICR - Istituto Centrale per il Restauro, CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro, ICPL - Istituto Centrale per la Patologia del Libro, OPD - Opificio delle Pietre Dure, ICCD - Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione) e dagli Istituti territoriali coordinati dalle Direzioni Regionali. Il tema proposto quest’anno - “Conservazione: una storia futura” - mette in evidenza come l’esperienza del passato, le competenze possedute e le tecnologie utilizzate, siano le basi per la crescita della competitività dell’intera filiera produttiva connessa al patrimonio culturale. Il restauro rappresenta un ponte tra conservazione e innovazione. Le esperienze acquisite in questo campo costituiscono un punto di partenza per i progetti futuri, che dovranno tener conto dell’ampiezza e della complessità dei diversi settori specialistici: dal rilievo alla diagnosi, dal progetto all’intervento, fino alla manutenzione. Vanno inoltre considerati i prodotti e i materiali tradizionali e innovativi, le attrezzature per il rilevamento, le strumentazioni elettroniche e apparecchiature di precisione per la diagnostica e il restauro, i materiali, i prodotti e le apparecchiature per il controllo ambientale, chimico e fisico. Tali tematiche saranno oggetto di momenti di riflessione, scambio e trasferimento di esperienze e idee ai quali sono chiamati a partecipare rappresentanti del Ministero, del mondo universitario e politico. L’attenzione è inoltre puntata sulle problematiche e sulle pratiche attuative riferite al cantiere e agli strumenti, in particolare quelli legati alle nuove tecnologie. Il Salone costituisce inoltre l’occasione per presentare i risultati della sperimentazione delle nuove tecnologie all’interno del progetto ARTPAST-Applicazione informatica in Rete per la Tutela e la valorizzazione del Patrimonio culturale nelle Aree Sottoutilizzate. Il MiBAC organizza convegni di particolare rilievo in questa edizione del Salone. L’Istituto Centrale per la Patologia del Libro organizza: “Microscopia elettronica a pressione variabile (SEM-VP) e microanalisi (EDS) per la diagnostica, la conservazione ed il restauro dei beni culturali” in cui studiosi dei diversi settori delle scienze applicate ai beni culturali presentano esempi di applicazioni di questa strumentazione innovativa che permette di accrescere le conoscenze su carta, tessuti, pergamena, metalli, legni, materiali lapidei e sui microrganismi che li aggrediscono deteriorandoli; “Segni di storia” e “Pergamene, carte ed altro…Quattro interventi eseguiti presso l’Istituto Centrale per la Patologia del libro” illustra i numerosi e qualificati progetti di restauro cartaceo. L’Opificio delle Pietre Dure organizza: “Nuove ricerche nel campo dei materiali cartacei e membranacei”, espone una serie di ricerche nel campo della conservazione dei materiali cartacei e dello studio delle tecniche artistiche, recentemente effettuate presso l’Istituto; “Quaranta anni dopo (1966-2006). Il restauro dei dipinti su tavola alluvionati” illustra l’intervento di 4 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 5 restauro sulla Croce di Cimabue e l’innovativo lavoro compiuto sulla Croce di Lippo di Benivieni fino ai più recenti restauri compiuti, come quello su l’Ultima cena di Giorgio Vasari; “Il colore ritrovato. Il ritrovamento di pitture murali coperte, imbiancate, nascoste” è dedicato alla “scopritura” come tecnica di conoscenza dell’opera, all’approccio metodologico e ai caratteri teorici della conservazione e del restauro; “Riflettografia e grandi maestri – 2 - Piero della Francesca. Una mente matematica al lavoro” presenta le ricerche svolte su opere di Piero della Francesca; “Il restauro della Porta del Paradiso: un cantiere di esperienze e conoscenze” approfondisce le tematiche relative al trattamento dei bronzi dorati e gli studi recenti, scaturiti in corso d’opera, sulla tecnica metallurgica praticata dalla bottega ghibertiana per la creazione di questo capolavoro rinascimentale. Vari approfondimenti legati alla conservazione e al restauro dei materiali cartacei sono presentati dal Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato, che affronta temi legati alla “Diagnostica per la conservazione delle fotografie antiche”, risultato di una collaborazione con il CNR; alla legatura d’archivio e alla ricerca applicata in questo settore, con gli incontri “La legatura d’archivio: un manufatto per la conservazione”, “Il ruolo dei notai nella manifattura dei volumi pubblici e notarili” e “La ricerca scientifica e la conservazione degli archivi: una storia futura”, in cui si dimostra la necessità di digitalizzare documenti sottoposti ad usura offrendo al pubblico la possibilità di fruire di testi originali in formato digitale evitandone la movimentazione. “La catalogazione nei suoi recenti esiti di metodologia concertata” è il tema proposto dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, che illustra la necessità di rendere sempre più fluido il trasferimento dell’informazione nell’ambito di un sistema in cui sia garantita la qualità dei contenuti e dei servizi offerti. Il progetto è frutto della collaborazione tra MiBAC, Università, Diocesi, Regioni ed Enti locali. L’Istituto Centrale per il Restauro, con il convegno “La scheda ambientale. Un metodo per monitorare e conservare le collezioni dei musei” affronta problematiche legate alla conservazione preventiva e al restauro di manufatti. Verranno inoltre presentate nuove pubblicazioni: la collana di Quaderni dell’Istituto per la Patologia del Libro; il volume Linee guida per il restauro dei dipinti: dipinti murali, su tela, su tavola dell’Istituto Centrale per il Restauro, Opificio delle Pietre Dure e DEI-Tipografia del Genio Civile; la collana Interventi e testimonianze dedicata agli interventi di restauro condotti sotto l’alta direzione della Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Firenze, Pistoia e Prato sulle opere alluvionate che giacevano nei depositi e che sono state ricollocate nelle loro sedi originali. Di rilievo anche gli incontri tecnici organizzati presso lo stand istituzionale del Ministero, in cui gli Istituti territoriali del MiBAC presentano il restauro di San Pietro in Banchi a Genova e Villa Rosa di Altare in provincia di Savona, proposto dalla Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggio della Liguria; il restauro degli oggetti d’arte appartenenti alle collezioni della Reggia di Caserta e di volumi della Biblioteca Palatina della Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici Storici ed Etnoantropologici per le province di Caserta e Benevento; il restauro conservativo di una coperta ricamata del Cinquecento, illustrato dalla Biblioteca Estense Universitaria di Modena; i restauri del Santu Antine di Torralba, del Nuraghe Maiore di Cheremule e del Nuraghe Alvu in provincia di Sassari proposti dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna. La manifestazione ospita inoltre la conferenza stampa sulla mostra “Argenti di Calabria” della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico della Calabria. Infine la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto con il Museo Nazionale Atesino presenta la mostra “Strada del tempo”, dedicata all’evoluzione della ceramica, il “fossile guida” nel riconoscimento delle varie civiltà che si sono succedute in un territorio. La partecipazione del MiBAC al Salone del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali e le molteplici attività organizzate ribadiscono, ancora una volta, il ruolo del Ministero incentrato sulla tutela e sulla conservazione del patrimonio culturale italiano. Danielle Mazzonis Sottosegretario ai Beni Culturali 5 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 6 Conservazione: una storia futura P artecipare al Salone dell’Arte del restauro e della conservazione dei beni culturali di Ferrara è diventato un appuntamento fisso per il Ministero, un appuntamento che fa parte del Piano di comunicazione annuale ed è uno dei momenti rilevanti dell’attività di promozione. Non si tratta solo della presenza degli Istituti Centrali, che da sempre a Ferrara hanno presentato il meglio dell’attività di ricerca e hanno costituito il nucleo di più alto livello del Salone. Non è solo la qualificata partecipazione di tecnici del Ministero, di direttori di istituti, di laboratori, di musei ai convegni, tavole rotonde e seminari che sono organizzati a Ferrara. Si tratta soprattutto di presentare e rappresentare un’intera complessa organizzazione pubblica la cui “ragione sociale” è prevalentemente quella del restauro del patrimonio culturale e che opera direttamente in questo campo: restauro inteso nelle più diverse sfaccettature, dall’approfondimento metodologico alla ricerca applicata, dalla sperimentazione tecnologica alla pratica quotidiana e apparentemente routinaria. La partecipazione numerosa e ricca di contenuti degli Istituti centrali e territoriali permette di esporre un vasto spaccato di interventi che riguardano tutti i settori del patrimonio e tutte le tipologie di opere. L’irripetibilità del restauro, l’unicità di questo processo che corrisponde all’unicità dell’opera, implicano inoltre che in tutti gli interventi, anche in quelli più semplici, è presente una componente, più o meno elevata, più o meno esplicitata, forse più o meno consapevole di ricerca, di innovazione e di sperimentazione. È un grande fattore di forza per il Ministero, che si caratterizza in tal modo anche a livello internazionale con una singolare capacità di coniugare la responsabilità delle politiche nazionali sul patrimonio culturale e sulla cultura in generale con la diretta operatività nella conservazione e nel restauro di quello stesso patrimonio. Lo “strato” di ricerca presente in tutti gli interventi di restauro permette peraltro di identificare uno straordinario laboratorio virtuale su base nazionale in cui si elaborano soluzioni innovative, ma dove si possono anche definire fabbisogni di tecnologie e di soluzioni non ancora soddisfatti e che quindi possono innescare nei contesti più opportuni (pubblici e privati) virtuosi processi di ricerca applicata. In questo laboratorio virtuale si bilanciano tradizione e innovazione, lavoro di squadra e talento individuale, logica e intuizione, dovere e passione, il tutto supportato da una piattaforma di competenze specialistiche non intercambiabili e di riconosciuta eccellenza. Si salda così il rapporto patrimonio culturale-tecnologie-innovazione-sviluppo economico in una prospettiva di valorizzazione di tutto il comparto e delle sue potenzialità di crescita. Il settore economico che orbita intorno al patrimonio culturale e alla cultura in genere presenta tutti i caratteri positivi di un settore che ha rilevanza e centralità: - contribuisce in misura consistente al PIL - cresce con ritmi superiori a quelli medi del PIL - ha una grande potenzialità di incidere significativamente sull’export - presenta una qualità degli addetti superiore alla media - presenta un livello di crescita tecnologica superiore alla media con una notevole propensione a sperimentare e a sviluppare ricerca. Proprio in questa prospettiva è stato avviato un programma di conoscenza e di sensibilizzazione volto alla misurazione dell’impatto economico dell’intero settore, alla perimetrazione della filiera produttiva, alla valutazione del potenziale di innovazione. La finalità è quella di trasformare in scelte coerenti dei decisori pubblici e in analoghi coerenti comportamenti del sistema produttivo il concetto generalmente condiviso ma solo convenzionale che il Patrimonio Culturale sia una importante componente del sistema economico e un fattore di competitività del “sistema Italia”. In effetti la qualità e quantità di patrimonio culturale, il sistema di gestione, le modalità e le metodologie di conservazione, di restauro, di valorizzazione e di nuova produzione culturale costituiscono un insieme non separabile di eccellenze del Paese, che ne rafforza l’immagine, la credibilità e l’affidabilità. I fatti concreti da realizzare da un lato porteranno più risorse per la conservazione e la gestione del patrimonio culturale e dall’altro permetteranno di accrescere la sua “produttività”, intesa in senso posi- 6 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 7 tivo, non economicistico, e non limitata all’impatto sul settore turistico, che anzi in questo contesto non viene considerato. Con quasi 600 milioni di investimenti diretti il MiBAC è il maggior investitore del settore del patrimonio culturale e il più importante operatore economico. È anche l’interlocutore più adatto per costruire sinergie istituzionali con i settori della ricerca, dell’innovazione tecnologica, dello sviluppo della piccola e media impresa per orientare gli investimenti pubblici nel modo più efficace e questo, naturalmente, con tutti i livelli di governo, centrali e territoriali. La misura dell’investimento degli altri livelli di governo, delle altre istituzioni e dei privati non è altrettanto definita, i dati sono frammentati e disomogenei. Occorre fare uno sforzo di valutazione e misurazione e, su questo obiettivo, sono state avviate positive azioni sinergiche con l’ISTAT. Ma quanto “vale” l’indotto? Quali e quanti sono i settori produttivi coinvolti? È una tematica attualmente oggetto di riflessione da parte dei decisori politici, al cui dibattito apportano contributi essenziali sia gli istituti del MiBAC che gli organismi di governo territoriale e le altre istituzioni pubbliche, nonché il mondo imprenditoriale. Tentativi di dimensionamento si sono sviluppati soprattutto per stimare le ricadute positive sull’export. Si tratta di approcci di tipo qualitativo, volti a perimetrare le aree di coinvolgimento piuttosto che a calcolare il reale valore finanziario dei rapporti bilaterali e multilaterali di cooperazione culturale e dei programmi comuni in cui l’Italia è impegnatissima, sia in ambito comunitario che internazionale: un coinvolgimento di soggetti diversi che ha un taglio enciclopedico, proprio come enciclopedico è il Salone di Ferrara dove con grande soddisfazione vediamo anche la partecipazione dell’Istituto per il Commercio Estero. Il Salone dell’arte del restauro di Ferrara è stato assunto dal MiBAC anche come occasione di riflessione, non accademica ma operativa. Nel Convegno “Conservazione: una storia futura” si coniuga il concetto già espresso del restauro come fattore di innovazione. Forse le tematiche sembrano ripetitive (c’è sempre la formazione, c’è sempre la ricerca) ma si tratta di un elemento di continuità, non di povertà concettuale. Ci sono fondate ragioni per parlare ancora di formazione: è stato finalmente pubblicato il decreto istitutivo delle nuove scuole di specializzazione nel campo dei beni culturali, sono stati completati i lavori istruttori per la realizzazione delle scuole di alta formazione previste dal Codice. Sono risultati certamente importanti ma non del tutto risolutivi. È quindi più che opportuno parlarne. La ricerca è il tema dominante, è il taglio dato all’insieme delle manifestazioni del MiBAC a Ferrara. È stata quindi sollecitata la partecipazione dei massimi organismi nazionali in questo campo, che ne parleranno insieme agli Istituti di ricerca del MiBAC. È stato deciso poi di riflettere insieme a soggetti altamente qualificati un aspetto molto critico del fare restauro, quello connesso al fatto che il restauro fatto dal Ministero è anche un’opera pubblica e quindi entra un processo normato con regole esterne al comparto dei beni culturali. È un elemento che comporta notevoli complessità gestionali, che contribuisce in modo non irrilevante alla crescita non più tollerata di quelli che una volta si definivano residui passivi ma che oggi chiamiamo più correttamente “giacenze di cassa nelle contabilità speciali” degli istituti. Insieme ad un focus sul nuovo codice degli appalti si ritiene opportuno che si affronti questo tema “incandescente” che da un lato determina un giudizio non positivo sulle capacità gestionali degli operatori dall’altra produce danni seri in termini di ritardi nell’esecuzione di piani e programmi: danni al patrimonio e danni all’economia. Il quarto tema che si affronta è quello degli “strumenti” del fare restauro. Si tratta in questo caso di strumenti di conoscenza e di gestione e si tratta di una storia di successi, anche recentissimi, come quelli ottenuti dal progetto ART PAST e dalle sue derivazioni e moduli. Non è una storia conclusa, ma i risultati sono straordinari, sia sul piano quantitativo sia per il valore del processo organizzativo e metodologico posto in essere e che ne costituisce un consistente valore aggiunto. Sono risultati che occorre diffondere e disseminare come “buone pratiche” e che vede la partecipazione di numerosi istituti del Ministero. Antonia Pasqua Recchia Direttore Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione 7 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 8 Sommario 14 Il CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato 15 La ricerca scientifica e la conservazione degli archivi: una storia futura Gigliola Fioravanti 19 Restauro Codici Liturgici Membranacei Archivio Capitolare di Assisi - Sec. XIV 20 Digital Repository 21 Digital Library 22 Restauro Mappa Membranacea del territorio Veronese Fondo: Scuola Grande S. Maria della Carità 23 Il progetto “Monitoraggio dei depositi degli Archivi di Stato” 24 Lettera autografa di Giuseppe Garibaldi di Comune di Casalbuttano (CR) 25 Il progetto europeo TAPE (Training for Audiovisual preservation-Cultura 2000) 28 L’ICCD - Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione 30 Le nuove frontiere della catalogazione Maria Rita Sanzi Di Mino 32 L’ICPL - Istituto Centrale per la Patologia del Libro 33 Segni di storia: l’attività di documentazione e di informazione scientifica dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro Armida Batori 35 Microscopia elettronica a pressione variabile (SEM-VP) e microanalisi (EDS) per la diagnostica, la conservazione ed il restauro dei beni culturali Flavia Pinzari 37 Le Filigrane e la storia. Il Corpus Chartarum Italicarum Paola F. Munafò 38 La nuova collana dell’ICPL: Quaderni Carla Casetti Brach 39 Il Restauro librario: una storia per immagini Rita Carrarini 40 Intervento di restauro sul cod. 28 della Biblioteca Aurelio Saffi di Forlì Carla Casetti Brach 41 L’intervento di restauro sul manoscritto Ott. lat. 696 della Biblioteca Apostolica Vaticana Federico Botti, Maria Luisa Riccardi 42 La pianta prospettica di Venezia di Jacopo de’ Barbari Maria Speranza Storace 43 Il mistero delle Repentite: recupero di due documenti rinvenuti nella sepoltura della Madre Badessa nel “Convento delle Repentite” di Palermo Mariasanta Montanari 44 L’ICR - Istituto Centrale per il Restauro 45 L’immagine e la sua materia - La scheda ambientale Caterina Bon Valsassina 47 Arte contemporanea in Italia: quale salvaguardia? Giuseppe Basile 49 Corso di formazione per operatori museali provenienti dal National Museum of Afghanistan - Kabul Afghanistan 25/09/2006 - 03/11/2006 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 9 51 Un restauro da 20 centesimi Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni 53 Linee guida per la redazione dei capitolati speciali d’appalto per il restauro dei dipinti su tela, su tavola e dei dipinti murali 55 Domus Aurea Neronis Il restauro della Sala delle Maschere, ambiente n. 114 57 Il restauro della Fontana della Rometta - Villa D’Este a Tivoli 58 La scansione laser tridimensionale: le attività dell’Istituto Centrale per il Restauro - Rilevamento e documentazione attraverso i sistemi scanner e laser 60 I paramenti liturgici di Castel Sant’Elia. Problemi di conservazione e di fruizione Marica Mercalli, Silvia Checchi, Fabio Scala 62 Signa Imperii - Le insegne del potere 64 L’OPD - Opificio delle Pietre Dure 65 Addio a Umberto Baldini Cristina Acidini Luchinat 69 Il restauro della Croce di Rosano 72 La Scuola di Alta Formazione: corsi in corso e prospettive future Alessandra Griffo 73 Gli aspetti della conservazione negli Archivi di Stato Maurizio Fallace 74 La sede: Palazzo Borghi L’adeguamento funzionale 76 Il Laboratorio di fotoriproduzione, legatoria e restauro 77 Progetti e programmi della Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali 78 Biblioteca Digitale Italiana - BDI 81 Il progetto Magazzini digitali: prove di sperimentazione Giovanni Bergamin 84 Gestire e condividere i restauri: una piattaforma in rete Clara Baracchini 86 La Madonna di Montereale Chiesa di Santa Maria in Pantanis di Montereale (AQ) Calcedonio Tropea 89 Il Castello federiciano di Melfi: un restauro per la fruibilità Antonio Giovannucci 91 L’uso delle nuove tecnologie come strumento di valorizzazione Maria Rosaria Nappi 92 Reggia di Caserta - Biblioteca Lavori di consolidamento e restauro del patrimonio librario 93 Lavori di consolidamento e restauro degli arredi mobili del palazzo Reale di Caserta 94 Il Giardino Inglese della Reggia di Caserta: il restauro del Roseto 96 La Grotta di S. Biagio Castellammare di Stabia (NA) Ida Maietta Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 10 Sommario 97 La Guglia di S. Domenico a Napoli in Piazza S. Domenico Maggiore Ida Maietta 98 La ricostruzione da trenta frammenti di una tela di Ferdinando Sanfelice Chiesa di Santa Chiara - Nola Luciana Arbace 100 Il recupero della Pala d’Altare con la Madonna e Santi e i Misteri del Rosario in Ottaviano (NA) Luciana Arbace 101 Castel Capuano: antiche trasformazioni e recenti restauri Amalia Scielzo 103 Dipinti murali del Sette e Ottocento in Castelcapuano a Napoli e cenni sul loro restauro (2005-2006) Annalisa Porzio 105 Restauri in Emilia-Romagna Paola Monari 107 La Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini 108 Restauro dell’affresco della volta e consolidamento delle strutture murarie della “sala del Tesoro” a palazzo Costabili, cosiddetto di Ludovico il Moro a Ferrara Andrea Alberti 110 Restauro dei portali lapidei di Palazzo Schifanoia Andrea Alberti 111 Restauro della facciata dell’Auditorium di Ferrara (ex infermeria dell’antico Ospedale Sant’Anna) Andrea Alberti 112 La Scuola per il Restauro del Mosaico a Ravenna Sezione distaccata della Scuola di Restauro operante presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze 113 Il Parco della Pace a Ravenna e i suoi mosaici: l’Arcangelo Michele di Bruno Saetti e Un Pacifico libero dall’atomica di Margaret L. Coupe 115 Interventi sui mosaici medievali della basilica di San Giovanni Evangelista a Ravenna Scuola per il Restauro del Mosaico Cetty Muscolino 117 La Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini 118 Il coro Ligneo della Basilica di San Francesco a Ferrara Cenni Storici e Restauro Gianfranca Rainone 121 Biblioteca Estense Universitaria di Modena 122 Conoscere restaurando: la legatura del “Libro d’ore” del Maestro di Modena Milena Ricci 125 Archivio di Stato di Modena 126 Restauro del “Registro del fondo giudiziario di Finale Emilia” e di 3 frammenti di pergamene ebraiche utilizzate come coperta del registro stesso Maria Antonietta Labellarte, Tamara Cavicchioli, Alberta Paltrinieri 127 Restauro della “pianta topografica del fiume Po e dei ripari fatti costruire per difesa della terra di Boretto d’ordine di S.A.S di Modena” Maria Antonietta Labellarte, Tamara Cavicchioli, Alberta Paltrinieri Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 11 128 La villa rustica dell’acquedotto Randaccio San Giovanni di Duino 130 Museo Nazionale Paleocristiano 131 Il Complesso Paleocristiano di Monastero 133 Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio 134 Leonardo Da Vinci - Il cantiere di restauro 136 L’Opus sectile di Porta Marina nel Museo Nazionale dell’Alto Medioevo 137 Villa Giustiniani - Massimo Laterano. Il restauro della facciata Andreina Draghi, Massimo Bruno, Cristiana Bigari 140 Restauro del Complesso architettonico della Cattedrale di Anagni 141 Salone dei Corazzieri - Palazzo del Quirinale 143 Aula di Montecitorio - Fregio di G. A. Sartorio 145 La Direzione Regionale Liliana Pittarello 146 La Guida agli interventi di recupero dell’edilizia diffusa nel Parco Nazionale delle Cinque Terre Luisa De Marco, Manuela Salvitti 147 La Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria Giorgio Rossini 148 Il restauro della Chiesa di San Pietro e della SS. Immacolata di Banchi detta anche San Pietro della Porta in Genova Rita Pizzone, Paola Parodi, Stefano Vassallo 150 Il Museo del Vetro in una villa liberty Villa Rosa di Altare (SV) Rossella Scunza 155 Un impegno a tutto campo per i beni culturali: ricerche, progetti e cantieri Carla Di Francesco 157 Restauri in Piemonte Mario Turetta 159 Palazzo Chiablese - Torino Gennaro Napoli, Emanuela Zanda 160 Il restauro del Castello Alfonsino 163 Restauro dei manufatti metallici Scrigno e Gabata Cattedrale di S. Maria Maggiore, Barletta (BA) 165 Cattedrale di Bisceglie - “Trionfo dell’Eucaristia”, sec. XVIII 166 Dipinto su Tavola “Adorazione dei Pastori” attribuito a Marco Pino, sec. XVI 167 Il restauro dei reperti metallici della Collezione Jatta 168 Restauri e ricerche in Sardegna Paolo Scarpellini 171 La necropoli e la necessità di laboratori per restituire al futuro i contesti chiusi Donatella Salvi Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 12 Sommario 173 Restauro dei pavimenti a mosaico di epoca romana ed interventi di valorizzazione del sito archeologico. Il caso del frigidarium delle Terme Centrali Nora (Pula-CA) Carlo Tronchetti, Paolo Bernardini, Elena Romoli 176 Scavo e restauro del tempio a pozzo di Funtana Coberta Ballao Maria Rosaria Manunza 179 Lavori di conservazione e valorizzazione del complesso culturale nuragico di Sorradile (OR) loc. Su Monte Vincenzo Santoni, Alessandro Usai, Elena Romoli, Ginetto Bacco 182 Restauro delle tempere murali della Chiesa di San Mauro di Cagliari Patricia Olivo 185 La Chiesa di Santa Corona a Riola Sardo (OR) Paolo Margaritella 187 Centro di Restauro e Conservazione di Sassari - Li Punti Antonietta Boninu 188 Presentazione del volume “A quarant’anni dall’alluvione. Restauri 2002-2006” Bruno Santi 191 Una nuova, grande Galleria Nazionale per l’Umbria Vittoria Garibaldi 192 Il restauro e la valorizzazione della Rocca dell’Albornoz di Spoleto Vittoria Garibaldi 195 Il portale maggiore del Palazzo dei Priori di Perugia: restauro e manutenzione programmata Vittoria Garibaldi 199 La Strada del Tempo del Museo Archeologico Nazionale Atestino - Este (PD) Michele Castelli 200 Museo Nazionale Atestino 201 La strada del tempo presso la “Sala delle colonne” 202 Il CCTPC Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale 205 La memoria e il futuro dei luoghi attraverso la valorizzazione dei beni culturali: scelte programmatiche e operative della Provincia di Roma 206 Il Call Center 207 Reply Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 13 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 14 Descrizione attività CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato Anno di fondazione 1963 Direttore Gigliola Fioravanti Coordinatore Cecilia Prosperi Via Costanza Baudana Vaccolini, 14 00153 Roma tel. 06 5800890-5809434 fax 06 5894502 www.archivi.beniculturali.it/cflr /cflr/.htm [email protected] 14 Il CFLR ha operato, fino all’attuale riforma entrata in vigore nell’agosto 2004, quale istituto appartenente ala Direzione Generale per gli Archivi con compiti di studio, ricerca e sperimentazione nel settore della prevenzione, conservazione e restauro dei beni documentari; strettamente correlata a tali compiti è la funzione di formazione e aggiornamento di coloro che operano negli Istituti di conservazione a qualunque soggetto essi appartengano. Il patrimonio documentario sottoposto all’attività dell’Istituto comprende documenti su qualsiasi supporto: pergamena, carta, sigilli, cuoio, fotografie, formati digitali e audiovisivi. Recentemente è stata effettuata la sperimentazione sulla deacidificazione di massa, indirizzata in modo specifico ai documenti sciolti, sull’utilizzo delle microonde ai fini di disinfestazione e disinfezione Tra gli interventi di restauro di maggior rilevanza si segnala una preziosa documentazione appartenente alla Congregazione della Dottrina per la Fede e al Pontificio Collegio Irlandese di cui l’Istituto è consulente per la conservazione; i codici liturgici serie “Cantorini” dell’Archivio Capitolare di Assisi, una mappa membranacea datata sec. XVI del territorio veronese appartenente all’Archivio di Stato di Venezia (esposta alla mostra sul Mantegna) e una lettera autografa di G. Garibaldi appartenente al comune di Casalbuttano (CR). Tra i progetti si menziona la partecipazione a TAPE (Training for the Audiovisual Preservation in Europe), la realizzazione del Digital Repository per documenti su supporti non tradizionali e la consultazione on line di serie archivistiche digitalizzate per l’Archivio di Stato di Roma e il Pontificio Collegio Irlandese. Indagini scientifiche di maggior rilievo sono state applicate su disegni del Codice Resta e su stampe xilografiche del fondo Petrucci dell’Istituto Nazionale per la Grafica, su fotografie antiche in collaborazione con l’Università la Sapienza e su dipinti murali cinesi di epoca Ming in collaborazione con il Museo Nazionale di Arte Orientale. L’attività formativa ha assunto negli ultimi 4 anni un notevole spessore, questa è dispiegata non tanto, come nel pregresso, verso coloro che già operano nel settore ma soprattutto nei confronti di giovani laureati o di personale specialistico attraverso Master, Corsi sperimentali di Alta Formazione, Stage in convenzione con Istituti Universitari L’attività di aggiornamento viene svolta in stretta connessione all’attività di studio ricerca e sperimentazione. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 15 La ricerca scientifica e la conservazione degli archivi: una storia futura Gigliola Fioravanti CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato N egli ultimi decenni la conservazione e l’acquisizione di documentazione ampiamente articolata per tipologie e per quantità e qualità hanno assunto un’accelerazione senza precedenti. A fronte, si presentano numerosi ostacoli che hanno costretto archivi biblioteche, musei e altre istituzioni a trovare risorse in grado di gestire questa onda crescente. Le difficoltà sono infatti strettamente legate non solo a quella che viene chiamata “l’inflazione” cartacea, ma alla varietà dei materiali e alla loro diversificata natura quanto a supporti, elementi che spingono a ricercare soluzioni alquanto creative. Un ulteriore elemento di difficoltà viene dalla rivoluzione tecnologica che ha cambiato profondamente le condizioni della memoria collettiva e culturale. Se da un lato la gestione dei dati diviene sempre più facile, dall’altro la deperibilità dei supporti è una minaccia per la conservazione a lungo termine delle informazioni. Ci sono poi i problemi dei supporti tradizionali. Se il supporto cartaceo, a motivo della sua attuale pessima qualità induce in alcuni paesi un complesso compito di ricerca per l’individuazione delle caratteristiche della carta permanente, oggi la situazione si è fatta ancora più ardua per la comparsa massiva di supporti “altri” come nastri, film, video, dischi, documenti elettronici edigitali, etc., già presenti all’interno di molti istituti preposti alla conservazione della memoria del nostro tempo. Questi ultimi, poi, si trovano ad affrontare la non facile “missione” di accogliere e soddisfare “clienti – utenti” assai diversi da quelli che solo ieri frequentavano le sale di consultazione, e sempre più, in un domani assai prossimo, affermeranno una domanda di informazione strutturata e non, difficilmente prevedibile. Nel quadro generale che sto allestendo, va anche detto che, nonostante sopravvivano profonde differenze tra la natura delle raccolte e tra le diverse metodologie di presentare al pubblico i beni che si conservano, strutture diversificate per la fruizione, tuttavia, archivi, biblioteche e musei condividono una parte non irrilevante delle problematiche sopra accennate. Tutte le istituzioni, in primo luogo, devono svolgere il difficile esercizio di bilanciare l’accesso immediato ai beni culturali ora e subito e, al contempo, salvaguardare i supporti dall’usura e preservarli per i futuri utenti. Sta ai responsabili di ciascun settore fissare l’instabile equilibrio tra accesso e conservazione - tutela. Sappiamo che sviluppare strategie di conservazione, di tutela e di intervento, implichi possedere, sviluppare e aggiornare continuamente competenze sulla tenuta e relativamente al controllo ambientale, sui materiali di condizionamento, sui trattamenti di restauro a fronte di processi continui di deterioramento cui solo ora si inizia a indirizzare risorse e progetti nella netta consapevolezza che per alcune raccolte documentarie, possedute dai Paesi europei, è già scattata l’urgenza e l’allarme di perdita del patrimonio. Solo ora e, spesso sotto la pressione della perdita imminente, si stanno mettendo a punto misure preventive per rallentare i processi di deterioramento e si stanno avviando progetti nel settore internazionale in grado di affrontare metodologie di lotta contro quei fattori, quali i microrganismi, in grado se non di risolvere alla radice il problema, almeno di contenerne gli effetti dannosi e di congelarne l’azione distruttiva nel breve periodo. Uno dei settori dei progetti che si sono svolti nel campo della disinfestazione, anche in collaborazione con l’università e la ricerca, e, nel quale sono stati coinvolti alcuni istituti del Ministero per i beni e le attività culturali, interessati e impegnati nelle tecnologie della conservazione, ha avuto l’obiettivo di sperimentare, ad esempio, l’utilità delle atmosfere modificate e dell’anossia o delle microonde per una radi- 15 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 16 cale azione disinfestante e per arrestare il dilagare di infezioni da microrganismi che possono colpire varie tipologie documentarie. Ritengo a questo proposito, sottolineare come i problemi sopracitati, non solo esigono cospicue risorse finanziarie e una avveduta politica di conservazione attiva, ma soprattutto richiedono competenze scientifiche e tecnologiche che oggi solo poche, forse pochissime istituzioni, preposte alla tenuta dei beni documentari, posseggono o, quanto meno, sono in grado di avvalersene. D’altro canto è da pochi anni che la ricerca scientifica ha indirizzato suoi programmi di studio in ambito accademico alle tematiche connesse alla conservazione del patrimonio culturale di ciascun Paese, tentando la via non facile delle metodologie e della conservazione prima, di intervento non invasivo e, non distruttivo, poi, quando il bene in esame richiede il ripristino delle sue condizioni iniziali, le sole che consentono l’accesso e la fruizione del bene. Attualmente in Europa non sono molti gli scienziati che hanno intrapreso questo percorso e che coltivano organicamente e continuativamente questo nuovo interesse in stretta relazione con gli archivi, le biblioteche o i musei. Quando dico “organicamente” voglio dire che pochi sono i dipartimenti scientifici che hanno avuto o ricercato un rapporto di collaborazione con gli istituti che conservano il patrimonio culturale, consentendo in tal modo una sicura e valida rispondenza e applicabilità di una ipotesi alla realtà studiata. Nello stesso tempo, sono i soggetti, cui è affidata la custodia del patrimonio, che dovrebbero ricercare e individuare forme di cooperazione continua con il mondo scientifico, stabilendo in un confronto paritetico quelli che sono i tempi e i modi di un “dare e avere”. Ai responsabili della tutela dei beni culturali documentari spetta, infatti stabilire sempre più frequentemente l’equilibrio tra il momento della protezione dei beni per il loro utilizzo futuro e la disponibilità degli stessi beni nel presente per un pubblico sempre più articolato e diversificato. Io credo che questa sia una sfida che soprattutto oggi noi dobbiamo accettare più di quanto potesse accadere ieri. Ma se cruciale si presenta la sfida, oggi però al servizio della “cultural heritage” abbiamo un ampio settore di ricerche dedicate a soluzioni tecnologiche di grande e positiva ricaduta. Un punto fermo sulla via sopra evocata è la possibilità concreta di avvalerci di nuove conoscenze e di competenze, che seppure non ancorate a tradizioni remote e consolidate, stanno realizzando una felice sinergia tra mondo delle teorie e realtà pratica. Forme di collaborazione tra facoltà, dipartimenti di fisica, di chimica e di biologia e istituti preposti alla filosofia e pratica della conservazione stanno rendendo possibile in Italia, come nel resto del mondo in più di un settore dei beni culturali, la messa a punto di progetti tesi alla soluzione di questioni e di problemi che sembravano non trovare alternative. Da un lato, la scienza, dall’altro la ricerca applicata a situazioni reali, dove le specifiche competenze del ricercatore accademico si coniugano con quelle del conservatore, del restauratore e dell’archivista, dove ognuno apporta un tassello della propria esperienza. Èinfatti ampiamente accolta la convinzione che per conservare il patrimonio culturale sono essenziali le conoscenze circa la natura e la complessità fisica degli oggetti e dei supporti la cui tipologia oggi esige profonde competenze di natura chimica, fisica e biologica. L’integrazione tra le varie discipline scientifiche e di quelle con la cultura e la prassi della conservazione è una conquista recente, frutto anche della cooperazione tra le istituzioni di vari paesi, cooperazione resa possibile anche dal lancio di molti programmi della Comunità europea. Il progresso incessante delle nuove tecnologie e dei nuovi media ha creato una chance in più per il management delle raccolte documentarie. Digitalizzare i documenti non solo garantisce un rapido e soddisfacente accesso al patrimonio, 16 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 17 ma offre al pubblico una leggibilità dei testi originali attraverso copie illimitate. Da un punto di vista della prevenzione questo implica un indubbio vantaggio che è quello di impedire il contatto e la movimentazione degli originali, non sottoposti così ad usura. Si tratta di un’opzione estremamente attraente per molte istituzioni, che si garantiscono la consultazione del loro patrimonio anche a distanza con Internet. Ma è proprio la cooperazione internazionale, sebbene abbia realizzato o programmato un notevole numero di progetti, tesi a incrementare il digitale nelle sue varie applicazioni, che comporta assai più dello “scannerizzare” i documenti. Alla base di un progetto è vitale individuare i requisiti tecnici, la selezione del materiale, strettamente connesso con gli obiettivi che il progetto di digitazione intende centrare; a ciò va aggiunta anche l’ipotesi del come integrare quelle raccolte al restante patrimonio, come mantenerlo nel lungo periodo, seguendo gli standard dei supporti e le regole descrittive condivise. In poche parole, lo scambio tra esperti di vari paesi circa numerose esperienze già vissute, ha posto in luce che fondamentale è la informazione sulla direzione verso la quale la digitazione sta andando, nel momento in cui si vogliono intraprendere iniziative di tale natura. Il presidente del BundesArchiv, Hartmund Weber, ad esempio, ha ricordato nella Conferenza internazionale di Dobbiaco (25-29 giugno 2002), come solo una piccola parte della documentazione dovrebbe essere tradotta in digitale, a motivo dei costi dell’investimento iniziale e del suo mantenimento nel tempo. Come disse Axel Platte (Unesco) alla CITRA (Conferenza della tavola rotonda degli archivi) del 1999, svoltasi a Budapest, la soluzione di quei problemi richiede una strategia internazionale che assicuri la salvaguardia e l’accessibilità delle conoscenze registrate sui supporti non tradizionali. Proseguendo, egli sosteneva che fosse necessario stabilire dei partenariati a livello mondiale per raccogliere e potenziare gli sforzi fatti dai responsabili dell’informazione digitale, ovvero gli archivisti, i bibliotecari, gli esperti e i tecnici operanti nei musei. Lo strumento, egli suggeriva, poteva essere colto nella creazione di un Blue Shield, in funzione non solo dei disastri naturali, ma in soccorso della conservazione del digitale, una nuova alleanza avente per oggetto la tutela e la conservazione dell’informazione digitale pubblica. Il Novecento ci ha consegnato, come più volte ho sostenuto, infatti, e continua a consegnarci archivi di estrema importanza e di cospicua consistenza. Il secolo appena trascorso ha prodotto un patrimonio librario e archivistico che, da un lato, corre i maggiori rischi di conservazione e, dall’altro, rappresenta uno degli ambiti in cui è tangibile la debolezza di una concezione della tutela incentrata semplicemente sull’apposizione di vincoli o di divieti. In quest’ottica gran parte di quel patrimonio è destinato a scomparire. Va poi anche ricordato che per lungo tempo, anche nel mio Paese, l’Italia, nel programmare interventi di tutela o di recupero attraverso il restauro, si è quasi sempre privilegiata la documentazione risalente ai secoli passati; la fragilità e la scarsa durata della documentazione cartacea novecentesca nonché la rapida obsolescenza di quella connessa a tecniche e strumenti informatici, sono state per lungo tempo sottovalutate. Ma accanto a questo va detto anche e, per contrapposto, che a causa dei moderni mezzi di comunicazione che certamente facilitano la ricerca, permettendo uno scambio di informazione sempre più rapido e spesso in tempo reale, si lasciano sempre meno tracce tangibili, per cui la sedimentazione di un vero archivio nel senso tradizionale, è sempre più problematica e comunque più episodica. Questo per significare che la conservazione dell’informazione e la sua piena fruizione a livello mondiale sono strettamente legate a responsabilità sia d’ordine morale che finanziario. Buona parte, infatti dei programmi di finanziamento della 17 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 18 Comunità europea nel corso degli ultimi anni, si è rivolta all’intervento sui beni culturali documentari, favorendo progetti nati non solo dall’individuazione di interessi comuni nei vari Paesi europei, ma caratterizzati da metodologie innovative e dal concorso di bagagli scientifici e culturali messi insieme in uno spirito di effettiva cooperazione. Sotto l’aspetto poi della disseminazione di una cultura della cooperazione e della realizzazione di sinergie da porre in essere, il Consiglio internazionale degli Archivi (ICA), può ancora svolgere, come già di fatto ha svolto un ruolo determinante e di stimolo per l’attuazione di progetti coordinati che spingano risorse umane e economiche mirate a limitare e colmare, se possibile, il divario tecnologico tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo, al fine di sensibilizzare le autorità politiche a dedicare investimenti cospicui alla conservazione e al salvataggio di buona parte del patrimonio e della memoria di quelle realtà nazionali che non sono in grado di provvedervi, ma la cui salvaguardia è cruciale non solo per il singolo Paese, ma per la comunità civile di tutto il mondo. Da parte sua l’UNESCO, con il Registro della Memoria del Mondo “La Memoir du Monde”, ha creduto di individuare un utile strumento per selezionare ciò che viene visto e vissuto dai vari Paesi nel mondo come l’essenza della propria identità nazionale. Sul piano della collaborazione però, credo che soltanto l’ICA potrà esercitare quella capacità di penetrazione, attraverso la fitta rete di relazioni che nel corso di oltre cinquant’anni ha intessuto con le amministrazioni archivistiche del nostro pianeta, essenziale per individuare, se non altro, metodologie idonee ad intervenire sul terreno della prevenzione, della diffusione dell’informazione, della conservazione dei beni documentari. E il modo con cui poter svolgere tali compiti, credo sia solo quello di mettere sul tappeto dei progetti: si tratta di una parola chiave che sottolinea un approccio serio a ogni questione; solo sulla base del progetto si può rilevare l’effettiva consistenza di una problematica e le sue dimensioni, i problemi, le entità dei beni da tutelare. Se, come disse alcuni anni or sono, Trudy Peterson, ex archivista del NARA (National Archives and Records Administration - USA), la conservazione è un processo da gestire, non un problema da risolvere, questo implica anche porre forte attenzione su ciò che realmente dovremmo conservare a futura memoria. Èinfatti ampiamente condivisa la convinzione che la centralità della conservazione nell’ambito della gestione del patrimonio, di una collezione, di una raccolta, di un archivio, non sono mai stati posti in dubbio per chi intenda il ruolo della professione nella sua essenza, un’essenza che non si fa ingannare né dalle infatuazioni tecnologiche per un verso, né da un approccio alla conservazione che non tenga conto della responsabilità di organizzare anche la fruizione per il futuro, oltre che nel presente, del bene. In breve, un nodo ineliminabile appare per la conservazione la selezione intelligente di ciò che si vuole mantenere come testimonianza qualificante del nostro tempo. Aprirei un’altra relazione, se mi addentrassi su questo tema, veramente drammatico e nevralgico per l’intera questione relativa alla conservazione dei beni culturali documentari. Voglio solo dire che non bastano le soluzioni tecniche, ma occorre cultura, consapevolezza del valore di ogni testimonianza e capacità di giudizio nel momento che si condanna alla distruzione buona parte di ciò che viene prodotto dal nostro tempo. Il problema della conservazione, in tutte le sue espressioni, è quello della complessità, dovuta in buona misura alla massa d’informazione prodotta e al fatto che bisogna anche ricordare che certi tipi di informazione non sono accessibili che attraverso dei mezzi meccanici: pc, lettori di carte perforate, grammofoni, proiettori, ecc. Questo significa lavorare perché l’informazione registrata sia sempre leggibile nel tempo, attraverso processi emulativi o di continue migrazioni. 18 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 19 Restauro Codici Liturgici Membranacei Archivio Capitolare di Assisi - Sec. XIV l restauro dei codici miniati costituisce, pur nella sua eccezionalità, una pratica abbastanza frequente per il laboratorio di restauro del Centro che proprio sul materiale membranaceo ha messo a punto diverse metodologie e tecniche esecutive. I due codici, pervenuti attraverso la Soprintendenza Archivistica per l’Umbria, si presentavano, oltre che molto sporchi, gravemente danneggiati dall’azione meccanica ed estremamente deboli, in particolar modo, in prossimità degli angoli inferiori. Il danno, ripetuto su quasi tutte le carte, non è stato causato dall’assottigliamento dello spessore del supporto ma dalla formazione di microfratture della superficie più esterna dovute al continuo uso dei codici. I codici sono stati esaminati dal laboratorio di chimica del CFLR che ha sottoposto gli inchiostri, di natura ferrogallotannica, ad analisi XRF che hanno evidenziato la presenza di rame che, aumentando la capacità corrosiva, ha portato alla perforazione dei supporti. Il restauro è stato finalizzato al recupero, per quanto possibile, dell’integrità originale con particolare attenzione al consolidamento delle zone più indebolite oltre che con l’idrossipropilcellulosa anche con rinforzi in pellicola di pergamena. Il restauro dei fogli è terminato mentre è in fase di esecuzione il recupero delle legature originale. I fogli membranacei saranno sottoposti a ripresa digitale finalizzata a limitare la consultazione diretta dei documenti. CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato I Analisi chimiche L. Residori, L. Botti D. Ruggiero, G. Impagliazzo Restauratori A. Di Pietro, S. Di Franco, L. Nuccetelli, M. Brigazzi Foto C. Fiorentini, D. Corciulo Coordinatore C. Prosperi 19 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 20 Digital Repository CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato L a conservazione del patrimonio digitale che si è formato in questi ultimi anni, sia con la produzione di edizioni digitali (born digital) su supporti ottici che con la digitalizzazione delle collezioni di archivi, musei e biblioteche, pone problemi di grande rilevanza a tutti gli istituti di conservazione e al mondo della ricerca. Per quanto lo studio dei supporti sia solo un aspetto del problema più complesso della digital preservation riguardante tutti i sistemi di storage, formati, metadati, sistemi di descrizione e di accesso, strategie di migrazione ed emulazione, il CFLR ha ritenuto che la verifica sulla affidabilità di CD e DVD abbia una funzione strategica. Tra i principali motivi che spingono ad un interesse in questo senso ve ne sono tre di fondamentale importanza: la grande quantità di edizioni digitali di libri e prodotti multimediali su CD e DVD stampati negli istituti di conservazione; l’introduzione della normativa, in corso di perfezionamento, sul deposito legale che produrrà un incremento e un consolidamento della conservazione su supporti ottici ed, infine, l’interesse di istituti piccoli, professionisti privati e la società che hanno ormai un manifesto bisogno di soluzioni affidabili e a basso costo per la conservazione dell’informazione digitale prodotta, parte della quale è destinata a fare parte integrante del patrimonio culturale futuro. La conservazione su CD-R e DVD-R di questa informazione è quindi destinato a trovare nel mercato, finora dominato da prodotti a basso costo e bassa qualità, prodotti qualitativamente migliori e pensati per la conservazione nel tempo. In questa ottica, il CFLR si è dotato di dispositivi della azienda svedese AudioDev, che consentono di effettuare test su CD e DVD vergini, registrati e stampati. Questi strumenti sono nati per il controllo di qualità sulla produzione commerciale di supporti registrabili o stampati, sono al momento i migliori dispositivi disponibili per verificare l’affidabilità attuale dei supporti e, attuando una adeguata serie di test di invecchiamento artificiale, la loro affidabilità nel tempo. Nel 2006, il CFLR ha avviato con Fondazione Rinascimento Digitale, ICPL e la commissione del tavolo tecnico “Aspetti tecnologici della conservazione permanente” del CNIPA un progetto riguardante lo studio e il monitoraggio dei supporti ottici: OPTIMA (Optical Media Analisys). Il progetto si articola su tre fasi successive con specifici obiettivi ed attività. I. Definire le modalità di indagine e valutazione per i dischi, definire il campione per il monitoraggio e la scheda di valutazione per gli utenti partecipanti alla campagna; definire le condizioni ottimali di conservazione dei dischi. II. Svolgere un monitoraggio massivo e analizzare i risultati al fine di identificare eventuali ‘patologie’ ricorrenti. III. Sviluppare le modalità di un ‘servizio di diagnostica’ presso il CFLR e definire delle raccomandazioni sulle condizioni ottimali di conservazione e gestione dei dischi. In relazione anche ai risultati della ricerca, il CFLR si candida a fornire servizi di storage a istituti di conservazione del patrimonio culturale su base nazionale, sfruttando oltre ai macchinari anzidetti il deposito climatizzato di cui dispone. 20 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 21 Digital Library CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato N el 2006, il CFLR ha completato e reso accessibile, tramite la rete Internet (http://www.cflr.beniculturali.it/Patrimonio/Introduzione.php), una digital library comprendente le serie archivistiche digitalizzate da o per conto dell’Archivio di Stato di Roma nell’ambito del Progetto Imago II e dei sui ampliamenti successivi e alla corrispondenza del Pontificio Collegio Irlandese, parte di un fondo fotografico della British School of Rome, documentazioni fotografica appartenete all’Archivio Storico della Banca di Roma e la collezione di mappe cinesi della Società Geografica Italiana,. Contribuisce attivamente al progetto di applicazione di tecniche GIS in corso di sviluppo da parte di Archivio di Stato di Roma, Università di Roma Tre, Soprintendenza Archeologica del Comune di Roma. Inoltre è in corso di attivazione una collaborazione con il CNIPA per la cura e la realizzazione del progetto AUGUSTO: per la digitalizzazione e la messa on-line delle pubblicazioni relative le Gazzette Ufficiali storiche. 21 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 22 Restauro Mappa Membranacea del territorio Veronese Fondo: Scuola Grande S. Maria della Carità CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato I Restauratori L. Nuccetelli G. Rava Foto C. Fiorentini D. Corciulo Coordinatore C. Prosperi Disegno a penna su pergamena con colorazioni ad acquerello sec. XVI dimensioni cm 95x105 22 l disegno, composto da 4 sezioni in pergamena incollate per sovrapposizione di circa cm 1,5 presentava forti ondulazioni e contrazioni dovute al tiraggio, alla presenza di adesivo e alle variazioni termoigrometriche dell’ambiente di conservazione. La pianta si presentava di formato irregolare con ripetute lacune seriali nella forma in quanto dovute a danno subito a mappa arrotolata. Il restauro ha fatto ricorso all’inumidimento in cella ad ultrasuoni e a tiraggio su telaio metallico fornito di magneti. Il mending è stato realizzato con la tecnica della doppia carta giapponese e le suture con pellicola di pergamena. La distensione del supporto originale ha portato alla luce particolari grafici non visibili precedentemente per la contrazione del supporto. Il documento restaurato è stato esposto in occasione della mostra “Andrea Mantegna e le arti Verona, 1450.1500”. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 23 Il progetto “Monitoraggio dei depositi degli Archivi di Stato” l deterioramento del materiale documentario conservato nei depositi archivistici è dovuto a processi che possono determinare alterazioni irreversibili nei supporti. Tra le più importanti cause si possono citare i valori termoigrometrici non idonei, la presenza di inquinanti biologici nell’atmosfera, le condizioni errate di illuminazione e la scarsa ventilazione. Tali condizioni possono favorire lo sviluppo di agenti biologici quali, in particolare, microrganismi ed insetti. Carenze strutturali possono inoltre permettere l’ingresso di roditori ed uccelli. Spesso i danni vengono evidenziati quando le infezioni o le infestazioni raggiungono livelli elevati e solo in questi casi viene richiesto l’intervento di esperti del settore. Il progetto di monitoraggio, scaturito da un accordo con l’ex Dipartimento Ricerca Innovazione e Organizzazione e approvato dalla Direzione Generale per gli Archivi, prevede la programmazione di sopralluoghi tecnici nei depositi degli Archivi di Stato mai visitati o non ispezionati negli ultimi cinque anni. Lo scopo di tale monitoraggio è quello di individuare eventuali processi di degrado nella fase iniziale al fine di prevenire il deterioramento del patrimonio documentario. Durante il sopralluogo viene adottato un protocollo di intervento che prevede una sequenza di operazioni finalizzate all’accertamento dello stato di conservazione della documentazione e delle condizioni ambientali dei depositi per definire le problematiche esistenti e indicare gli eventuali interventi correttivi, ottimizzando così le risorse economiche da impegnare. CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato I Laboratorio di Biologia: responsabile Elena Ruschioni Gruppo di lavoro Giuseppe Arruzzolo, Giovanni Marinucci, Eugenio Veca 23 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 24 Restauro lettera autografa di Giuseppe Garibaldi di Comune di Casalbuttano (CR) CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato L Restauratori S. Di Franco A. Di Pietro Fotografi C. Fiorentini D. Corciulo Coordinatore C. Prosperi 24 a lettera autografa fu spedita da Giuseppe Garibaldi da Caprera per accogliere la nomina a presidente onorario della Società di Casalbuttano. La lettera, scritta con inchiostro ferrogallotannico, evidenzia danni dovuti alla cattiva qualità della carta, ad una diffusa ossidazione con evidenti macchie di collante dovute a strisce di carta che, sul verso, tenevano insieme molti frammenti. Le colle utilizzate hanno gravemente macchiato il supporto originale cristallizzandolo e rendendolo fragile e trasparente. Sul recto sono stati incollati una busta da lettera ed un biglietto da visita manoscritto di Benedetto Cairoli. L’estrema fragilità del supporto e la miriade di frammenti hanno consigliato di non rimuovere la busta e il biglietto incollati ma di procedere alla ricollocazione dei frammenti e alla successiva velatura e foderatura sul verso della lettera. Molto complesse sono risultate le operazioni di distacco delle numerose strisce di carta poste sul verso per tenere uniti i frammenti Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 25 Il progetto europeo TAPE (Training for Audiovisual preservation - Cultura 2000) e sono alquanto noti i patrimoni audiovisivi custoditi nelle grandi istituzioni europee, dove da tempo, almeno prima della seconda guerra mondiale, sono state riversate risorse umane e finanziarie per condurle al livello se non di eccellenza, di disponibilità a corrispondere agli obiettivi per le quali erano state poste in essere, oggi appare urgente la definizione di un quadro della situazione in cui versano le collezioni audiovisive conservate da piccoli e medi archivi, distribuiti in quasi ogni regione o città, oppure, come patrimoni di “nicchia “da grandi archivi documentari o da biblioteche di dimensioni ragguardevoli. Si tratta, spesso di entità numericamente non rilevanti, ma di estrema importanza se quei prodotti sono nati nel contesto di una ricerca scientifica (sociologica, storica, antropologica, etnologica, etnomusicologica, linguistica, musicale, storia orale, dialettologia, archeologica, ecc.) per i fini di indagine e di studio, ma in breve trascurati, terminato l’interesse immediato per il quale l’audiovisivo è nato. È a questi segmenti della memoria visiva e sonora che si rivolge TAPE. Conoscere le dimensioni del fenomeno, il suo stato di conservazione, l’esistenza o meno di strutture che ne rendano possibile la fruizione, nonché la presenza di un nucleo di persone addette alla loro comunicazione, sono queste le articolazioni del progetto. La formazione e le possibili soluzione tecniche affiancate dall’utilizzo delle nuove tecnologie della comunicazione e della conservazione dovrebbero essere i risultati più concreti che il progetto dovrebbe proporre al termine dei tre anni di svolgimento, attraverso la produzione di strumenti di facile diffusione e penetrazione tra i non specialisti. Ma proprio sulla comunicazione e sull’accesso da assicurare nel tempo a questa fragile realtà che si misura non tanto TAPE, ma altri e più ambiziosi progetti europei quali FIRST, conclusosi nel 2003 con un report e linee guida di grande interesse. Il primo workpackage, il censimento, conclusosi e attualmente in fase di elaborazione per ciò che riguarda i risultati, ha voluto significare un tentativo di fare il punto delle collezioni audiovisive, non solo nei cinque Paese, partner del progetto (Paesi Bassi, Finlandia, Austria, Polonia e Italia), ma in Europa nel suo insieme, focalizzando l’attenzione sulle istituzioni non specialiste. Il questionario, pertanto, è stato diffuso in diverse lingue attraverso una mail list su carta, ma anche attraverso liste di discussione e sul web di TAPE. Come si può facilmente supporre, la bozza di questionario è stato ampiamente discussa tra i partner, utilizzando altri precedenti censimenti e soprattutto acquisendo i risultati di analoghe operazioni condotte da PRESTO-Space, dall’UNESCO (attualmente interessata agli archivi sonori e linguistici dei Paesi non europei), da istituzioni britanniche sulle collezioni possedute da biblioteche di fondazioni accademiche, ecc. Visite esplorative sono state effettuate all’Imperial War Museum al British Universities Film e Video Council, British Film Institute, BBC and Meertens Institute, Dalla prima messe di risultati si è potuto penetrare nel quadro delle priorità e dei problemi da affrontare nel prosieguo, tra cui emerge evidente la necessità di fare una mappatura dei bisogni della formazione o dell’aggiornamento degli addetti. Il quadro che ne è disceso è un affresco delle differenti fonti audiovisive che insistono sul continente attraverso l’elaborazione di un report generale, cui faranno da corollario studi più approfonditi in alcuni settori a cura dei partner. Dalle resultanze del censimento sta scaturendo uno studio sull’accesso a lungo termine alle collezioni audiovisive. In questo ambito è vitale il riferimento ai prodotti del progetto PRESTO-Space e la cooperazione con IASA, UNESCO, ICA, IFLA, FIAF, FIAT, le associazioni nazionali di archivisti, di biblioteche e di musei, associazioni accademiche, ma anche le associazioni di storia orale e di tradizioni orali. Il secondo e terzo segmento del progetto, ovvero quelli che definiscono TAPE, riguardano la formazione da realizzarsi con l’alle- CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato S 25 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 26 stimento di workshop a livelli differenti e graduali, pur sempre indirizzati a non specialisti inseriti in organizzazioni della più varia natura. Faranno da completamento del programma la produzione di materiali didattici di ampia e facile diffusione. A livello centrale si stanno svolgendo tre corsi internazionali per i tre anni del progetto (settembre 2004-agosto 2007) ad Amsterdam dall’istituto coordinatore del progetto (European Commision on Preservation and Access – ECPA), corsi che provvedono a delineare le linee guida da seguire nelle singole realtà nazionali e a dare slancio ai vari eventi locali secondo una rete di accordi tra i partner, le cui ricadute saranno i contenuti delle linee guida e degli altri materiali che verranno anche tradotti dalla letteratura specialistica. La finalità più significativa è quella di creare una rete di esperti e di esperienze che intraprendano iniziative a livello nazionale, regionale o locale, anche attraverso confronti e discussioni sulla struttura e i contenuti proposti nei corsi di vario livello. In breve, si tratta di presentare e di individuare materiali utili per la formazione e l’aggiornamento. Il cuore di tali iniziative formative dovrà essere l’approccio concreto alla gestione delle collezioni o degli archivi audiovisivi, nell’ambito della quale dovrebbero trovare un’opportuna collocazione la capacità di stabilire le priorità e le progettazioni per la conservazione e la promozione tramite la tecnologia digitale. Il workpackage quarto, riguardando gli eventi nazionali, amplia cospicuamente il panorama delle iniziative, poiché sono chiamati a realizzare manifestazioni, convegni workshop e quant’altro, i Paesi europei che abbiano interesse a valorizzare la cultura audiovisiva, pur non rientrando nel novero dei partner. Di norma le indicazioni che vengono date in questi casi riguardano temi specifici e di natura essenzialmente tecnica. Il quinto workpackage è incentrato sui gruppi di ricerca in campo tecnologico con particolare enfasi sullo storage, la ricerca di soluzioni ottimali a basso-medio costo. Punto di riferimento è l’Audio Engineering Society and PREMIS (PREservation Metadata:Implementation Strategies). In questo caso sarà fondamentale individuare e suggerire la letteratura specialistica, da collocare tra i prodotti da realizzare dal progetto Questo “pacchetto” è quello che maggiormente qualificherà i risultati del progetto da acquisire attraverso incontri tra esperti e una ricerca mirata sulla conservazione a lungo termine degli AV, sui flussi, sui metadata, sugli standard di compressione, tenendo anche ben presente le ricerche già svolte ad alto livello nel quadro di analoghi progetti quali PRESTO-Space. Nel caso di TAPE l’ambizione è quella di conseguire soluzioni scalari da offrire a piccoli archivi, unitamente a raccomandazioni di facile esecuzione e a materiali di istruzione di semplice uso. Ma tornando al tema dello storage la vera difficoltà è quella di proporre soluzioni a basso costo per i piccoli archivi articolandone i compiti e le responsabilità del personale preposto o in alternativa consigliare l’accesso a soluzioni di alta tecnologia di natura centralizzata. I condizionamenti di questo settore nascono come è evidente dai costi, dalla natura della gestione che si vuole realizzare, dai diritti che insistono sul patrimonio e che possono condurre a restrizione nel loro utilizzo. Il workflow viene affrontato, inoltre, sotto il punto di vista dei gradi e dei tempi del processo di conversione, dei suoi aspetti tecnici, del controllo di qualità, dell’uso intelligente delle risorse, dell’esternalizzazione del lavoro o in sede. Da questo proviene l’obiettivo di individuare e condividere alcuni modelli e standard e una metodologia di lavoro per definire il ruolo delle istituzioni locali e centrali. Il successivo workpadkage ha l’ambizione di individuare e porre conseguentemente l’attenzione, sugli AV utili alla ricerca scientifica, con particolare rilievo, ambisce a segnalare i patrimoni antropologici, etnomusicologici, dialettologici, quelli delle lingue a rischio di scomparsa. Ci si propone, in concreto, di indirizzare la comunità scientifica interessata a quelle collezioni poco note, promuovendo 26 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 27 le misure di tutela e sensibilizzando coloro che ne sono responsabili. Nel contempo, è parte di tale componente, quella di collegare e stabilire connessioni tra le collezioni o archivi poco noti delle discipline sopra citate con i progetti che riguardano quegli ambiti di ricerca, anche nel tentativo di stabilire una stretta collaborazione tra i ricercatori di settore con coloro che detengono il patrimonio così poco conosciuto. A tale proposito si è pensato di stabilire un legame di lavoro con il Max Plank Institute, il quale si occupa di creare strumenti di ricerca per gli archivi audiovisivi digitalizzati. Infine, si vorrebbero dare indicazioni sul come bilanciare e suggerire gli investimenti opportuni nel settore della digitalizzazione di AV e della loro conservazione nel lungo periodo, senza avere la pretesa di pensare ad una operazione che comprenda l’intero patrimonio. Concludendo quanto sopra esposto, il “pacchetto” ha il compito di identificare e le istituzioni preposte alla conservazione di quelle tipologie di archivi e/o collezioni, di illustrare casi ed esempi di buona conservazione di questi materiali, raccogliere informazioni qualificate per la loro presentazione on-line (se possibile), metadata e strumenti vari e realizzare interviste con i cultori e ricercatori di quelle discipline al fine di far comprendere il ruolo degli AV nel loro contesto culturale. Il workpacakage sette è strettamente legato al precedente, poiché si riferisce a tutte le attività di comunicazione riguardanti la ricerca sopra descritta, con l’ambizione di fornire una sorta di guida ai progetti in atto nel settore della ricerca, nonché di delineare un inventario degli standard per lo storage, la catalogazione e l’indicizzazione dei materiali audiovisivi digitalizzati, linee-guida per disegnare web di presentazione. La pubblicazione e la pubblicizzazione del complesso degli esiti di TAPE è il contenuto del workpackage otto. Le attività che lo caratterizzano sono spalmate su tutta la durata del progetto e consistono nella pubblicazione dello studio completo delle collezioni rilevate in Europa, sia in lingua inglese che in altre tre o quattro lingue; in pacchetti contenenti materiali per la formazione (/DVD); raccomandazioni per le strategie di conservazione; raccomandazioni per la gestione degli archivi/collezioni audiovisive; presentazione di esempi di applicazioni multimediali tratte da collezioni meno note; illustrazioni di applicazioni multimediali realizzate da istituzioni culturali; traduzioni di linee guida e raccomandazioni già esistenti nel settore, ma riproposte nel nuovo contesto. 27 ICCD Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:04 Pagina 28 L’ICCD è stato istituito con il D.P.R. n. 805 del 3.12.1975, che ne ha determinato le funzioni e la struttura operativa in un quadro organico con l’ordinamento e le competenze degli altri Istituti Centrali del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: Restauro, Catalogo Unico delle Biblioteche, Patologia del Libro. Compiti L’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione “ICCD” promuove e coordina l’attività esecutiva di catalogazione, curando l’unificazione e la diffusione dei metodi attraverso: l’elaborazione delle metodologie catalografiche; la predisposizione degli strumenti di controllo per la validazione dei dati; la costituzione e gestione del Sistema Informativo del Catalogo dei Beni Ambientali, Architettonici, Archeologici Artistici e Storici, Demoetnoantropologici; la realizzazione di progetti culturali con Istituzioni nazionali e internazionali. L’ICCD realizza progetti e servizi coerenti con le due fondamentali missioni istituzionali: la Catalogazione e la Documentazione del patrimonio artistico e culturale nazionale, funzioni correlate tra loro se pure articolate in specifiche esigenze operative. Nell’ambito della Catalogazione si inquadrano le funzioni di: - elaborazione di metodologie e sviluppo di strumenti univoci (standard) di individuazione dei beni ai fini della costituzione del Catalogo Generale del patrimonio artistico e culturale, - coordinamento tecnico delle attività degli istituti periferici che catalogano sul territorio. In tale ambito operano prevalentemente i Servizi tecnici ordinati secondo gli specifici contenuti disciplinari. Documentare il patrimonio comporta non solo esigenze di tipo metodologico per uniformare gli standard in materia di ripresa fotografica e digitalizzazione, ma anche problematiche specifiche connesse a esigenze di ordine: - ricerca e catalogazione delle collezioni di fotografia storica - conservazione e restauro - ordinamento - incremento attraverso acquisizioni di collezioni storiche, di autori contemporanei e realizzazione di nuove campagne fotografiche finalizzate - consultazione da parte di un’utenza esterna - valorizzazione attraverso la programmazione di eventi e pubblicazioni - vendita di immagini e pubblicazioni a stampa e multimediali anche attraverso servizi di e-commerce - digitalizzazione per la conservazione, la fruizione ampia sulla rete e per il collegamento con gli altri archivi informatici e con SIGEC. Organizzazione Direttore Maria Rita Sanzi Di Mino Coordinatore Floriana Sattalini Via di San Michele, 18 00153 ROMA tel. 396 585521 fax 396 58332313 www.iccd.beniculturali.it 28 L’Istituto si struttura in: - Segreteria tecnica - Servizi tecnici Beni archeologici Beni architettonici Beni storico artistici e demo etno antropologici - Servizio pubblicazioni - Servizio promozione - Archivio catalogo - Servizi informatici - Fototeca Nazionale - Museo della Fotografia - Laboratorio fotografico Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 29 Obiettivi Obiettivi principali dell’attività dell’Istituto sono: - l’Informatizzazione di sistemi integrati che investono l’intera Amministrazione dei beni culturali. - la Formazione, che l’Istituto ha già consolidato in numerose esperienze in sede e che sta sviluppando attraverso l’attivazione di programmi di formazione a distanza in concorso con Università e Istituti di Ricerca. Tale intensa attività, svolta da ICCD nell’ambito delle procedure e delle metodologie di catalogazione, è scaturita a fronte delle numerose richieste dei diversi enti catalogatori. - la Consulenza legale per problematiche relative a privacy, diritto d’autore, tutela e sicurezza dei dati. La rilevanza di queste tematiche cresce con il progressivo incremento di sistemi e di servizi che l’ICCD attiva sul web. - la Promozione e Comunicazione, tematica di assoluto rilievo nell’ambito della quale l’Istituto sta definendo una strategia e una adeguata struttura in relazione alle esigenze di cooperazione con altri enti del settore, di divulgazione dei contenuti informativi e di predisposizione di servizi all’utenza. - la Concertazione con altri enti. - Rapporti con l’Unione Europea, essenziale sia in termini di necessario adeguamento rispetto agli standard tecnici e normativi imposti dall’U.E., sia in termini di capacità di fruire delle risorse che i Programmi europei rendono disponibili. - Nuovi modelli di partecipazione Pubblico -Privati, in corso di sperimentazione attraverso attività congiunte volte alla diffusione del patrimonio. ICCD Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione - Aerofototeca - Ufficio Tecnico - Servizio amministrativo 29 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 30 Le nuove frontiere della catalogazione ICCD Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione Maria Rita Sanzi Di Mino 30 A ll’interno di una Pubblica Amministrazione che innova i propri processi organizzativi parlare di “nuove frontiere” significa in primo luogo impegno a realizzare il progressivo superamento delle barriere che, in vario modo, limitano la circolazione delle informazioni e delle buone pratiche. Termini ormai abituali come ottimizzazione, riuso, trasparenza, interoperabilità tra schemi di descrizione (metadata) di diversi sistemi di informazione, sia a livello nazionale sia a livello internazionale rimandano alla dichiarata volontà di consentire a tutti gli enti pubblici di interagire e di scambiare in maniera regolata i dati e le informazioni utili alla propria attività. La cooperazione tra gli Enti si conferma pertanto obiettivo prioritario e si coniuga con l’impegno a realizzare l’accessibilità agevole e sicura ai contenuti di certificata qualità e ai servizi offerti in rete ai cittadini. La catalogazione del resto, nei suoi fondamenti, si struttura per realizzare una organizzazione della conoscenza secondo strutturazioni concettuali che sono alla base dei modi con cui si individua e si conosce il patrimonio artistico e culturale nelle sue diverse oggettivazioni. Le metodologie di catalogazione, in particolare, hanno sempre mirato a raccogliere in maniera sistematica oltre i dati anagrafici identificativi dei singoli beni, anche le relazioni che ne connotano e ne specificano l’appartenenza al patrimonio culturale nella sua variegata e ricca composizione. Il moltiplicato impegno nei confronti della formazione, anche in termini di e-learning, sostiene l’obiettivo di descrivere i meccanismi metodologici e tecnici che consentono di gestire il sapere che la catalogazione pone a disposizione degli operatori e di quanti intendono qualificarsi nel settore. Per la gestione di queste problematiche le tecnologie rappresentano, quindi, un supporto sempre più evoluto e adeguato alla complessità della materia; sul piano organizzativo e riguardo al confronto tecnico scientifico per l’identificazione delle relazioni tra bene e contesto culturale, ha, invece particolarmente contribuito la cooperazione tra enti interni al Ministero e con le altre istituzioni interessate alla catalogazione. L’azione concertata, ormai prassi abituale, con le Regioni, le Diocesi, le Università, gli Enti locali come con le Biblioteche e gli Archivi del Ministero, ha consentito di guardare al bene da più punti di vista aggregando in maniera sistematica le informazioni che aiutano a esercitare le funzioni in carico ai diversi enti e a gestire le azioni rivolte al complesso dei beni. Il rapporto con questa varietà di enti, sancito peraltro anche sul piano legislativo, ha posto ancora più in evidenza le finalità per cui la catalogazione viene svolta e il supporto che essa può fornire per una visione complessiva e una azione sistematica rivolta al patrimonio culturale. La catalogazione, infatti, superando la mera sfera cognitiva sperimenta il suo valore e aggiorna le sue metodiche entrando nel processo realizzativo dei programmi di gestione territoriale, di valorizzazione, di comunicazione e, in questo processo, interviene anche a garanzia della condivisione delle informazioni sul bene. Con la prospettiva di incrementare il patrimonio conoscitivo con dati derivati dai processi di tutela, di conservazione e di gestione dei beni l’ICCD, tra l’altro, ha rivolto la sua attenzione anche alle sperimentazioni, in corso in alcuni ambiti territoriali quale ad esempio la Soprintendenza Archeologica di Ostia, di sistemi di gestione automatizzata dei depositi museali attraverso l’uso di procedure di etichettatura con tecnologia RFID (Radio Frequency Identification). L’approccio trasversale alla conoscenza del patrimonio nel suo insieme diviene, pertanto, elemento determinante per aderire alle esigenze di elaborare e accre- Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 31 scere un linguaggio comune che sia capace di descrivere un patrimonio in continua crescita per il riconoscimento di nuovi valori culturali. Il confine, peraltro fragile, tra catalogazione e documentazione si assottiglia nel momento in cui, disponendo di sperimentati supporti metodologici e di piattaforme tecnologiche avanzate, si riesce a tradurre e collocare in un medesimo processo di raccolta e di comunicazione la varietà molteplice delle fonti documentali. L’ICCD, in sostanza, si impegna a contribuire per il proprio ambito alla preziosa sintesi che la Direzione Generale per l’Innovazione sta realizzando con programmi di grande impegno per il MiBAC e di sicuro interesse anche per altri enti nazionali e internazionali, individuando e connettendo l’enorme quantità di informazioni che, opportunamente sistematizzate e sapientemente veicolate, rappresentano un positivo contributo alla conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano. 31 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 32 ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro L’Istituto centrale per la patologia del libro è un organismo del Ministero per i beni e le attività culturali il cui impegno consiste essenzialmente nella ricerca e nell’alta formazione finalizzate alla conoscenza, conservazione e restauro del materiali librari. L’attività si svolge su cinque fondamentali linee di ricerca: la storia e la tecnologia dei materiali originali, i meccanismi di degrado, la protezione ambientale, la valorizzazione e la diffusione delle conoscenze relative alla conservazione e al restauro del libro, la minima invasività nel restauro. Direttore Armida Batori Coordinatori Assunta Di Febo Paola F. Munafò Via Milano 76 00184 Roma tel. 06 482911 fax 06 4814968 www.patologialibro.beniculturali.it [email protected] [email protected] 32 Realizzazioni Organizza stages e seminari. È in via di allestimento la Scuola di alta formazione. Organizza convegni e conferenze internazionali e dal 2006 pubblica la nuova collana Quaderni. Gli interventi più recenti riguardano il registro notarile di Parente di Stupio, conservato a La Spezia, l’incisione Prospetto dell’alma città di Roma (1765) di Giuseppe Agostino Vasi, l’Antifonario (cod. 28), codice membranaceo del XV secolo, appartenente alla Biblioteca Aurelio Saffi di Forlì, la pianta prospettica di Venezia di Jacopo de’ Barbari, xilografia del 1500 conservata presso la Fondazione Querini Stampalia di Venezia e il Globo Terrestre manoscritto, realizzato tra il 1819 e il 1829 da Ubaldo Villa, conservato nella Biblioteca Braidense di Milano. Sta realizzando il Censimento delle legature medievali conservate nelle biblioteche italiane. Collabora all’organizzazione tecnica e normativa e svolge un’intensa attività di consulenza per la soluzione dei problemi della conservazione e del restauro nelle biblioteche statali italiane. Ha affrontato problematiche complesse ed emergenze drammatiche: dalla campagna di lotta alle infestazioni termitiche al censimento dei danni causati dai bombardamenti, dai crolli e dagli incendi, dal recupero del materiale danneggiato con l’alluvione di Firenze agli interventi sui volumi appartenuti a Cesare Pavese danneggiati dall’esondazione del Tanaro (6 novembre 1994). Presso l’Istituto sono attivi una Biblioteca specializzata nel settore delle discipline del libro e un Museo recentemente ristrutturato che organizza visite guidate e laboratori didattici. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 33 Segni di storia: l’attività di documentazione e di informazione scientifica dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro Armida Batori li ultimi dieci anni hanno visto il Ministero per i beni e le attività culturali investito da una serie di riforme, legislative e strutturali, insieme ad un avvicendamento delle responsabilità dirigenziali, che hanno coinvolto anche l’Istituto per la patologia del libro, passato dal vecchio Ufficio centrale per i beni librari al Dipartimento per la ricerca, l’innovazione e l’organizzazione, insieme agli altri istituti che si occupano di conservazione e restauro del patrimonio. Oggi un altro ancora più importante cambiamento si profila: la nascita imminente di un Istituto superiore del restauro, che potrebbe incorporare gli istituti preesistenti, dando vita ad un unico polo di eccellenza per facilitare – si afferma – il dialogo, la collaborazione e l’ottimizzazione delle risorse. In questi anni, pur nel mutare continuo delle ‘forme’, l’Istituto centrale per la patologia del libro ha continuato – e si augura di continuare – a svolgere il proprio ruolo e a perseguire la propria missione, che è quella di affermare l’importanza della conservazione e della prevenzione nella generale politica bibliotecaria, e di praticare e diffondere, avvalendosi delle più avanzate metodologie scientifiche, il restauro conservativo del libro. Certamente l’Istituto è stato penalizzato dal non avere una scuola attiva, quale riferimento formativo e di metodo, a partire dal 1987, ma ora si sono create le condizioni perché l’attività formativa possa riprendere nell’ambito dell’applicazione dell’art. 29 del nuovo Codice per i beni culturali ed il paesaggio, che disciplina la formazione dei restauratori e prevede l’attivazione di Scuole di alta formazione presso tutti gli istituti centrali per il restauro del Ministero. A fronte di queste novità in Istituto si avverte la necessità di nuovi strumenti per comunicare gli studi, le ricerche e le esperienze portate avanti nei diversi laboratori; strumenti destinati alla comunità dei bibliotecari e dei conservatori presenti nelle nostre biblioteche, ai restauratori, agli studenti delle scuole di restauro e conservazione e, in generale, al mondo della ricerca applicata al restauro. Per soddisfare questa esigenza abbiamo pensato ad una nuova collana di ‘Quaderni’, inaugurata nel dicembre 2006: le attività di ricerca applicata al restauro troveranno qui uno spazio adeguato assieme alla necessaria documentazione fotografica. In questi volumi si darà conto, soprattutto, di quei restauri che hanno posto particolari problemi metodologici o per i quali abbiamo adottato soluzioni che consideriamo innovative. Nostro compito è infatti quello di riproporre casi esemplari, offrendo percorsi che possono essere variamente seguiti nel vasto mondo dei professionisti del restauro librario. Con il medesimo obiettivo di diffusione dell’informazione scientifica e di valorizzazione dei materiali documentari prodotti e/o conservati dall’Istituto, sono stati avviati anche altri progetti. Con il progetto ‘Storia e documentazione del restauro librario’, si intende valorizzare e rendere fruibile in rete la documentazione prodotta dall’Istituto nel corso della sua attività, come fonte per la ricostruzione della storia del restauro librario in Italia dalla fondazione dell’Istituto ad oggi. I materiali individuati a questo scopo sono l’archivio fotografico, contenente circa 8000 lastre e 27.000 diapositive, e le riviste pubblicate dall’ICPL : il “Bollettino dell’Istituto di patologia del libro” (19391991); “CABnewsletter” (1992-2005) e “Quinio” (1999-2001). Per ciascuna delle diverse tipologie di materiale, il progetto prevede un intervento di catalogazione e di riproduzione digitale, finalizzato a garantire, oltre che la conservazione dei documenti originali, l’accesso ai contenuti anche da parte di un’utenza remota. ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro G 33 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 34 Contestualmente al trattamento delle fonti è stata avviata la ricerca storica che utilizzerà le fonti medesime e le integrerà con altri materiali di provenienza diversa (pubblicazioni, testimonianze orali, archivi di biblioteche). Pertanto i prodotti finali del progetto saranno la nuova versione del sito Internet dell’Istituto – concepita per rendere disponibile, oltre che le informazioni sulle attività in corso nell’ambito dell’ICPL, anche la documentazione pregressa – e la pubblicazione dei risultati della ricerca sulla storia del restauro librario in Italia in un volume della collana ‘Quaderni’. Infine, il progetto per l’indicizzazione e la digitalizzazione del ‘Corpus Chartarum Italicarum’ ci consentirà di rendere pubblico un patrimonio di grande importanza per gli storici della carta. Si tratta infatti di una collezione di carte filigranate prodotte in Italia dal XIII al XX secolo raccolta presso l’Istituto per la patologia del libro nella prima metà degli anni Quaranta, probabilmente interrotta per l’inizio della seconda guerra mondiale e del tutto sconosciuta agli studiosi. Attraverso la digitalizzazione delle filigrane e la loro pubblicazione nel sito Internet dell’Istituto si intende fornire uno strumento inedito di ricerca sulla storia della carta. La ricerca delle filigrane potrà avvenire attraverso l’indicizzazione effettuata sulla base del repertorio del Briquet; le immagini, realizzate per trasparenza, potranno essere misurate e confrontate tra loro e saranno integrate dall’indicazione della loro posizione sul foglio e da una serie di dati relativi alle caratteristiche della carta: grado di bianco, spessore, permeabilità all’aria e rugosità. Questa iniziativa dell’Istituto si svolge in contatto con il gruppo di lavoro che – nell’ambito del Progetto Bernstein. The Memory of Papers, collaborative systems for paper expertise and history, finanziato, da settembre 2006 a febbraio 2009, dall’eContentplus Program dell’Unione Europea – intende realizzare una infrastruttura digitale per la storia della carta sulla base delle immagini che ne evidenziano le caratteristiche. Attualmente sono una trentina le banche dati di filigrane già disponibili in rete o in corso di realizzazione. Una volta terminata questa prima fase – che vede l’Istituto impegnato su due fronti: la valorizzazione di un patrimonio fino ad oggi inutilizzato e la ricerca scientifica sulle caratteristiche della carta attraverso analisi strumentali rigorosamente non distruttive – verranno digitalizzate e pubblicate in Internet anche le radiografie delle filigrane individuate nei volumi manoscritti e a stampa del XV secolo analizzati nel corso della ricerca sulla Carta occidentale nel tardo medioevo (Roma, 2001) realizzata dall’Istituto con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, nell’ambito del Progetto Finalizzato Beni Culturali. Iniziative come queste ci consentono, da un lato, di riconfermare la vocazione scientifica dell’Istituto, impegnato in ricerche con tecnologie avanzate e con proposte di soluzioni innovative, e dall’altro di riaffermare che tale vocazione viene da lontano, da quel 1938 in cui la lungimiranza e l’ardore pionieristico di Alfonso Gallo portarono alla fondazione dell’Istituto e alla definizione di un modello che ha ispirato la creazione di realtà analoghe attive anche in altri paesi. 34 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 35 Microscopia elettronica a pressione variabile (SEM-VP) e microanalisi (EDS) per la diagnostica, la conservazione ed il restauro dei beni culturali Flavia Pinzari La carta è un sistema discontinuo ed eterogeneo costituito da fibre di cellulosa e da altre sostanze che variano secondo i materiali di partenza, le tecniche di produzione e l’epoca di manifattura. L’analisi dell’interazione fra gli organismi responsabili del deterioramento e gli elementi strutturali organici ed inorganici di cui sono costituiti i beni cartacei, è fondamentale per la comprensione dei meccanismi d’azione e del grado di alterazione dei diversi materiali. L’ICPL è attualmente impegnato, nell’ambito di una collaborazione con l’Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR (Dr.ssa A. De Mico) e l’Istituto Nazionale per la Grafica (Dr.ssa G. Pasquariello) nello studio di un fenomeno singolare, già noto in letteratura per alcune specie fungine, ma mai descritto prima su un substrato cartaceo. Si tratta della deposizione sulla carta, per opera di un fungo filamentoso, di ossalato di calcio in diverse forme di idratazione (Figure 1 e 2). Il fungo durante l’esperimento condotto in vitro su carte-modello ha disciolto i materiali di carica della carta ed ha prodotto acido ossalico durate il suo sviluppo. La conferma della natura dei cristalli osservati al SEM si è avuta sia per confronto cristallografico, che per mezzo di saggi colorimetrici utilizzati in patologia clinica nella rilevazione dei calcoli urinari a base di ossalato. I cristalli osservati hanno forma bipiramidale (weddellite, CaC2O4(2+x)H2O, forma bi-idrata) o talvolta di drusa formata da elementi monoclini (whewellite, CaC2O4H2O, forma mono-idrata). Il fenomeno è stato più evidente nei campioni incubati al 100% di umidità relativa e quindi in corrispondenza di una maggiore crescita del micelio. Eliminando con opportuni lavaggi il micelio dalla carta è stato anche possibile verificare come i cristalli di ossalato ottenuti siano aderenti alle fibre di cellulosa e che le loro dimensioni risultino maggiori nel punto centrale di sviluppo del fungo e minori nell’area periferica della colonia fungina (Figura 3). I campioni di carta sono stati osservati ed analizzati per mezzo di un microscopio elettronico a scansione accoppiato con una sonda elettronica per microanalisi (EDS) modello ZEISS LEO con la supervisione della Dr.ssa Daniela Ferro dell’Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati del CNR di Roma. Grazie alla tecnologia che permette l’esame al SEM di campioni in condizioni di basso vuoto, è stato possibile eseguire l’osservazione del materiale senza la consueta preparazione per metallizzazione. Sono pertanto stati esaminati i campioni in vivo e descritte le interazioni fra le fibre della carta, i materiali di carica e le ife fungine in assenza di artefatti dovuti al fissaggio della componente organica. Lo strumento Il microscopio elettronico a scansione (SEM) è uno strumento basato sull’interazione di un fascio di elettroni con il campione in esame, che permette di rilevare l’anatomia microscopica delle superfici di campioni organici od inorganici con un elevato potere di risoluzione, permettendo di rilevare particolari fino a pochi Amstrong. Anche se l’interazione con gli elettroni esige che i campioni siano conduttori, oggi esistono strumenti che operano con una nuova tecnologia dove la camera in cui viene posto il campione è in basso vuoto (10-750 Pascal) ed i campioni possono essere osservati senza essere prima fissati e metallizzati. In modalità di pressione variabile (VP), il SEM permette di ottenere utili informazioni su materiali di natura diversa senza che essi vengano alterati né da pretrattamenti né da stress meccanici. Le osservazioni analitiche SEM si ricavano dai segnali rilevati da opportuni detector che sono di diverso tipo a seconda delle differenti risposte del ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro L’impegno dell’ICPL nella microscopia elettronica a pressione variabile: un esempio di studio Laboratorio di Biologia dell’Istituto centrale per la patologia del libro Fra i relatori Maria Cristina Berardi, Marina Bicchieri, Valeria Berdini, Antonella De Mico, Daniela Ferro, Giulia Galotta, Maria Rita Giuliani, Giuseppe Guida, Mariasanta Montanari, Michela Monti, Giovanna Pasquariello, Giovanna Piantanida, Flavia Pinzari, Ida Anna Rapinesi, Luciano Residori, Giancarlo Sidoti, Armida Sodo, Elisabetta Tondo, Fabio Talarico, Yeghis Keheyan Istituto organizzatore Istituto centrale per la Patologia del Libro Coordinamento scientifico Flavia Pinzari Istituti partecipanti Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), Istituto di Chimica Biomolecolare, Istituto per i Materiali Nanostrutturati, Centro di Fotoriproduzione, Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato, Istituto Centrale per il Restauro, Istituto Nazionale per la Grafica, Soprintendenza Archeologica di Roma 35 ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 36 campione all’eccitazione elettronica del fascio. I rivelatori di elettroni secondari (SE) e rivelatori per elettroni “retrodiffusi” (BSD, backscattered electron detector) permettono di ricostruire un’immagine dell’area scansionata dal pennello elettronico, basata sia sulla tipografia della superficie sia sul numero atomico degli elementi chimici in esso presenti. Ciò rappresenta un avanzamento notevole per l’osservazione della superficie di molti materiali di interesse per i beni culturali. Sempre sfruttando l’interazione elettrone/materia e raccogliendo i segnali delle emissioni dei raggi X in energia è possibile accoppiare alle osservazioni in microscopia per immagini, la microanalisi (EDS) che permette di conoscere la composizione chimica elementare di quanto visualizzato con il SEM. Il Convegno al Salone di Ferrara Nell’ambito del Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali ed Ambientali di Ferrara, XIV edizione il 24 marzo 2007 nella Sala Marfisa (ore 9.30-13.00) l’Istituto Centrale per la Patologia del Libro organizza un Convegno dal titolo: Microscopia elettronica a pressione variabile (SEM-VP) e microanalisi (EDS) per la diagnostica, la conservazione ed il restauro dei beni culturali. Nel corso del convegno saranno esposti alcuni casi-studio sulla diagnostica, la conservazione ed il restauro di beni culturali costituiti da differenti materiali, sia organici che inorganici, accomunati tutti dall’essere stati realizzati per mezzo delle nuove tecniche di microscopia elettronica ed analisi elementare. Studiosi dei diversi settori delle scienze applicate ai beni culturali porteranno esempi di applicazioni di questa strumentazione innovativa e sempre più versatile che permette agli esperti di risolvere quesiti complessi e di accrescere le conoscenze su carta, tessuti, pergamena, metalli, legni, materiali lapidei, o sui microrganismi che li aggrediscono, deteriorandoli. Parteciperanno esperti di enti ed istituti che si occupano di studi sui beni culturali e di diagnostica avanzata su materiali di interesse storico-artistico. Fig. 1 - Osservazione al SEM del campione di carta con PH neutro e carica a base di carbonato di calcio, inoculato con Aspergillus terreus. Il campione è stato osservato senza preparazione per metallizzazione. È possibile notare i cristalli bipiramidali dell’ossalato di calcio. Fig. 3 - Osservazione al SEM, a basso ingrandimento (128x) del campione di carta con carica a base di carbonato di calcio, inoculato con Aspergillus terreus ed incubato al 100% di umidità relativa. Il campione è stato osservato, dopo l’eliminazione per lavaggio a tampone delle strutture fungine, senza preparazione per metallizzazione. È possibile notare una differente distribuzione e dimensione dei cristalli di ossalato di calcio nelle zone a destra ed a sinistra dellimmagine. Fig. 2 - Osservazione al SEM del campione di carta con PH neutro e carica a base di carbonato di calcio, inoculato con Aspergillus terreus. Il campione è stato osservato senza preparazione per metallizzazione. È possibile notare i cristalli a drusa dell’ossalato di calcio. 36 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 37 Le Filigrane e la storia Il Corpus Chartarum Italicarum Paola F. Munafò ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro P resso l’Istituto centrale per la patologia del libro si svolgono ricerche sulla carta utilizzata come supporto dei beni culturali. Si hanno notizie di studi svolti in questo settore sin dalla fondazione dell’Istituto, nel 1938. In particolare negli articoli di Luciano Moricca sulla collezione Zonghi e in un articolo sulla collezione Amori di Elena Moneti pubblicati sul «Bollettino del R. Istituto di Patologia del Libro» all’inizio degli anni Quaranta si fa riferimento ad una collezione di carte filigranate per molto tempo ignorata dagli studiosi. Moricca afferma che l’Istituto «va raccogliendo antiche carte italiane di ogni luogo e ha in animo di pubblicare un Corpus chartarum italicarum, affidandone a me la cura», Elena Moneti – descrivendo la collezione acquistata dall’Istituto presso il libraio antiquario Pio Amori – nota che «in quattro grandi scatole sono conservate circa duemilacinquecento carte filigranate, a cominciare dal sec. XIII, divise per simboli, per città, per nomi di cartai: di tutte le filigrane sono stati presi i lucidi, che sono divisi nello stesso ordine delle carte, e recano un numero di riferimento all’originale. L’appassionato collezionista ha inoltre trascritto dal Lexicon typographicum del Fumagalli e da altre pubblicazioni molte notizie concernenti le cartiere italiane, i cartai, le filigrane e la carta, completandole con note bibliografiche: questi appunti sono ordinati alfabeticamente per città, per nomi di cartai ecc. e conservati insieme ad alcune pubblicazioni di piccola mole sugli stessi argomenti.» Di quelle carte si sono perse le tracce fino a quando, qualche tempo fa, nel corso della revisione della biblioteca preliminare ai lavori di ristrutturazione attualmente in corso, sono stati rintracciati 35 faldoni contenenti circa 5000 carte filigranate ordinate in singole cartelline sulle quali è stampata l’indicazione Corpus chartarum italicarum. I fogli sembrano tutti prodotti in Italia, tra il XIII e il XX secolo: un arco temporale che rende questa collezione una miniera di informazioni unica e di eccezionale interesse per ricercatori e conservatori. Si tratta evidentemente del materiale raccolto da Luciano Moricca. Attraverso il controllo dei documenti dell’archivio storico dell’Istituto e l’analisi approfondita dei faldoni sarà possibile definire meglio la consistenza della raccolta e spiegare quali siano state (oltre all’acquisto della collezione Amori) le modalità e le fonti di approvvigionamento di Moricca. Forse sarà anche possibile far luce sulle cause che, al tempo del secondo conflitto mondiale, determinarono l’abbandono dell’attività di raccolta e l’accantonamento di tutto il materiale. Servizio per la didattica dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro Il programma degli interventi Il progetto prevede la ricerca della documentazione relativa al Corpus (e alla collezione Amori di cui è parte integrante) nell’archivio storico dell’Istituto. Considerato che lo stato di conservazione delle carte è complessivamente buono, gli interventi conservativi sono limitati alla pulizia della superficie delle carte e alla sostituzione delle cartelline originali. Sulle nuove camicie, realizzate in materiali idonei alla conservazione, vengono riprodotte tutte le annotazioni di Luciano Moricca. Nell’ambito della ricerca viene effettuato il riconoscimento della filigrana con la definizione del soggetto (gruppo e sottogruppo) e la sua individuazione sui repertori di riferimento. Per ogni carta vengono inoltre effettuate misure strumentali relative allo spessore, alla permeabilità, alla rugosità e al grado di bianco. Per le prime tre si utilizza il Multipurpose Paper Tester e per l’ultima un Croma Meter della Minolta. Infine viene effettuata la riproduzione digitale in trasparenza delle filigrane e viene predisposto l’accesso on-line alle immagini e alle informazioni della banca dati. Una carta filigranata appartenente al Corpus Chartarum Italicarum conservato presso l’ Istituto centrale per la patologia del libro 37 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 38 La nuova collana dell’ICPL: Quaderni Carla Casetti Brach ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro N Laboratorio per la Conservazione e il Restauro dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro el mese di dicembre 2006 è uscito il primo numero della nuova collana “Quaderni” pubblicata da Gangemi. Il volume Libri & carte. Restauri e analisi diagnostiche contiene la descrizione di sei interventi di restauro effettuati negli ultimi anni presso il Laboratorio per la conservazione e il restauro dell’Istituto centrale per la patologia del libro. La collana vuole essere lo strumento attraverso il quale l’Istituto darà conto soprattutto di quei restauri che hanno posto particolari problemi metodologici, o per i quali sono state adottate soluzioni che possono essere considerate innovative, e dei risultati di ricerche scientifiche svolte presso i suoi Laboratori. In questo primo “Quaderno” si presenta una serie di interventi realizzati secondo una tipologia estremamente diversificata: si va da un manoscritto del XIII secolo, il registro notarile di Parente di Stupio, su carta di origine spagnola presentante il segno dello zigzag, al Pontificale 492 del Museo Diocesano di Salerno, codice membranaceo miniato del XIII-XIV secolo, da La prima regina d’Italia, rara edizione del 1901 ad un manifesto di Duilio Cambellotti, fino alla Chinea di papa Clemente VIII del 1598 e all’incisione Prospetto dell’alma città di Roma di Giuseppe Agostino Vasi. Le descrizioni degli interventi di restauro sono corredate dai risultati delle indagini non distruttive condotte sui materiali da trattare al fine anche di individuare, con campioni simulati e invecchiamenti accelerati, i prodotti più idonei da usare per il restauro. Il fine ultimo che ha guidato il Laboratorio in ogni operazione di restauro è stato quello di raggiungere l’ambizioso scopo di riunire insieme più finalità: salvare dal degrado un’opera, ottenere un risultato che non disturbasse il senso estetico e garantire una conservazione futura, il tutto nel rispetto delle caratteristiche dell’opera. Attualmente è in preparazione un successivo volume dedicato alla storia del restauro librario in Italia a partire dal 1938, anno di fondazione dell’Istituto di patologia del libro per iniziativa di Alfonso Gallo. Alla luce dei cambiamenti che si prospettano nell’organizzazione del MIBAC, in particolare relativamente agli istituti che si occupano di conservazione e restauro del patrimonio, questo lavoro si propone di offrire un utile strumento per capire le trasformazioni che hanno riguardato questo settore nel corso del tempo. Il progetto, attraverso lo spoglio dell’Archivio e delle varie pubblicazioni dell’Istituto, e mediante la raccolta di testimonianze degli “addetti ai lavori”, intende ricostruire l’attività dell’ICPL e l’evoluzione della teoria e della prassi del restauro librario. Il primo volume della collana “Quaderni” dell’ICPL 38 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 39 Il Restauro librario: una storia per immagini Rita Carrarini biettivi generali del progetto sono il recupero e la valorizzazione dei materiali documentari prodotti dall’Istituto nel corso della sua attività, come fonti per la storia del restauro librario in Italia. I materiali individuati a questo scopo sono: - L’archivio del Laboratorio per la conservazione e il restauro dell’ICPL, all’interno del quale è raccolta la documentazione scritta relativa agli interventi di restauro effettuati; - L’archivio fotografico, che contiene circa 8000 lastre e 27.000 diapositive relative ai medesimi interventi e, più in generale, alle attività didattiche e di ricerca sviluppate dall’Istituto a partire dalla sua fondazione; Le riviste specializzate pubblicate dall’ICPL: “Bollettino dell’Istituto di patologia del libro” (1939-1991); - “CABnewsletter” (1992-2005); “Quinio” (1999-2001). Per ciascuna delle tre diverse tipologie di materiale, il progetto prevede diversi tipi di trattamento, finalizzati a garantire, oltre che la conservazione dei documenti originali, l’accesso ai contenuti anche da parte di un’utenza remota. Sarà realizzata pertanto una base dati degli interventi di restauro; le lastre e le diapositive saranno catalogate e riprodotte in formato digitale, così come i saggi e le ricerche contenuti all’interno delle pubblicazioni periodiche. Per ogni documento digitalizzato saranno prodotte tre immagini: - la prima (master) sarà destinata esclusivamente alla conservazione effettuata su supporti fuori linea dedicati; la digitalizzazione avverrà ad alta risoluzione (TIFF 6.0 non compresso con risoluzione tra i 1.000 ed i 5.000 ppi - profondità di colore di 24 bit RGB); - la seconda sarà destinata alla consultazione locale; la digitalizzazione avverrà a risoluzione medio-alta (JPEG compresso con risoluzione tra i 300 ed i 600 ppi profondità di colore di 24 bit RGB); - la terza sarà destinata alla consultazione Web; la digitalizzazione avverrà a risoluzione medio-bassa (JPEG compresso con risoluzione tra i 70 ed i 300 ppi - profondità di colore di 24 bit RGB). La piattaforma applicativa di Enterprise Document Management utilizzata è Galileo, particolarmente indicata per progetti di questo tipo in cui si richieda un’ampia ed articolata catalogazione di grandi volumi di documenti. Il prodotto finale del progetto sarà un portale per la fruizione integrata degli archivi digitali realizzati, che garantirà l’accesso tramite browser HTML standard e consentirà la profilazione degli utenti, la navigazione nei contenuti, la ricerca e la visualizzazione di dati ed immagini. Nella prima fase del progetto sono stati definiti i modelli delle schede catalografiche e il thesaurus per l’indicizzazione semantica dei documenti ed è in corso l’analisi di dettaglio per lo sviluppo della piattaforma software. Il progetto avrà una durata di due anni e il suo completamento nel 2008, in coincidenza con il 70° anniversario della fondazione dell’Istituto centrale per la patologia del libro, consentirà agli operatori del settore e a quanti seguono un percorso formativo e di ricerca in questo campo, di disporre di uno strumento innovativo per approfondire la riflessione sull’evoluzione della teoria e della prassi del restauro librario in Italia. Alfonso Gallo nel 1940 ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro O Servizio per la documentazione e l’informazione scientifica dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro Per la realizzazione del progetto collaborano con l’ICPL: SIAV s.p.a. COPAT soc. coop. REGESTA EXE s.r.l. Il laboratorio di restauro dell’Istituto negli anni ’40 39 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 40 Intervento di restauro sul cod. 28 della Biblioteca Aurelio Saffi di Forlì Carla Casetti Brach ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro I l codice 28 della Biblioteca Saffi di Forlì fa parte di un gruppo di trentasei corali, databili tra il XIV e XV secolo, che si conservano nel fondo manoscritto forlivese, di cui ventuno miniati. La maggior parte dei codici non si trovava in buono stato di conservazione, e fu deciso di affrontare il loro restauro e di affidarlo all’Istituto centrale per la patologia del libro. Furono scelti due codici con l’intenzione di offrire un esempio di restauro, un’indicazione metodologica che si potesse poi applicare anche ad altri manoscritti in simile stato di conservazione. Qui viene illustrato il restauro del cod. 28, più complesso e articolato rispetto al restauro dell’altro codice scelto, il cod. 25. I danni riguardavano sia la legatura, quindi coperta e cucitura, sia le carte membranacee. Il manoscritto aveva subito precedenti interventi di restauro, alcuni dei quali, come ad esempio l’inserimento di due bande di ferro lungo entrambi i piatti, e l’aggiunta, nel corso del tempo, di numerosi chiodi avevano causato danni alla struttura. Ma anche l’uso a cui il codice era destinato e un ambiente di conservazione non idoneo lo avevano danneggiato. Il restauro è stato eseguito senza smontaggio del volume, si può quindi definire un restauro “non invasivo”. Il restauro delle carte membranacee, dei piatti e l’inserimento a intarsio del nuovo dorso è avvenuto dunque a libro cucito. Tutte le parti non reinserite nel volume sono state conservate in un apposito contenitore dando loro la stessa posizione che avevano nel volume. Si è cercato dunque di eseguire un restauro che alterasse solo in minima misura le componenti del manoscritto medievale e anche la scelta dei materiali utilizzati, colle, cuoio, fili e altro, è stata fatta in un’ottica di rispetto dell’antico manufatto. Laboratorio per la Conservazione e il Restauro dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro L’ Antifonario dopo il restauro 40 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 41 L’intervento di restauro sul manoscritto Ott. lat. 696 della Biblioteca Apostolica Vaticana Federico Botti e Maria Luisa Riccardi ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro S empre più spesso ci si trova ad affrontare il problema del restauro di volumi già restaurati in modo sbagliato, poco accurato. Oppure, si tratta di intervenire nuovamente su restauri invecchiati male e precocemente, a volte persino non necessari. Il caso del manoscritto Ott. lat. 696 della Biblioteca Apostolica Vaticana è rappresentativo di un precedente restauro molto invasivo che ha lasciato in eredità pesanti conseguenze. Si è a conoscenza che sono numerose le opere in analoghe condizioni e ci si rende conto che per “sanare” i danni dovuti a restauri sbagliati ci vuole molto tempo. Non si può perciò non ricordare a tutti i restauratori quanto sia doveroso intervenire con tecniche e soprattutto materiali testati e reversibili (specialmente gli adesivi), per evitare di lasciare, ai futuri conservatori, eredità tanto pesanti e difficili da gestire. La fragilità meccanica delle carte e le alterazioni cromatiche dovute sia all’acidità degli inchiostri, sia all’imbrunimento delle velature eseguite nel XIX secolo, rendevano indispensabile l’intervento di restauro qui descritto. Esso aveva come obiettivo l’eliminazione delle velature ingiallite e conseguentemente l’opportunità di ridurre quanto più possibile la rigidità delle carte già considerevolmente frantumate, in modo da rendere di nuovo possibile la lettura del testo e l’uso del volume. Nell’affrontare il nuovo restauro bisognava dunque tener conto della situazione prodotta dall’intervento di velatura condotto precedentemente, che aveva interessato entrambi i lati di tutte le carte, rendendo assai più complesso, elaborato e lungo l’intervento. Ott. Lat. 696: le carte dopo il restauro 41 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 42 La pianta prospettica di Venezia di Jacopo de’ Barbari Maria Speranza Storace ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro L’ opera, una xilografia (1320 x 2750 mm) del 1500 appartenente alla Fondazione Scientifica Querini Stampalia (Venezia), si trovava in uno stato di conservazione pessimo: era infatti stata divisa durante un precedente restauro e i sei pannelli originali, foderati con carta pesante, erano stati accostati l’uno all’altro e tenuti insieme dalla tela di foderatura. La carta originale risultava in molti punti fragilissima e pulverolenta con un diffuso e disomogeoneo imbrunimento che alterava la leggibilità dell’immagine. Erano presenti, inoltre, numerosi sollevamenti, lacune, lacerazioni ed erosioni di insetti. L’opera presentava numerose integrazioni in carta con ritocchi a inchiostro per riprodurre il segno dell’inciso originale. L’intervento di restauro ha previsto una fase di studio dello stato di conservazione dell’opera mediante una documentazione grafica e fotografica, la misurazione del pH, l’identificazione della composizione fibrosa della fodera in carta, della tela e del tipo di adesivo impiegato per l’applicazione del tessuto di supporto. Si è poi proceduto allo smontaggio dell’opera dal telaio, alla pulitura a secco del recto e del verso delle aree in miglior stato di conservazione, al fissaggio dei frammenti e delle aree sollevate o pulverulente, al distacco a secco delle singole sezioni dalla tela di foderatura, nonché alla rimozione dell’adesivo mediante impacchi di metilcellulosa. Si è poi proceduto al lavaggio su tavolo a bassa pressione, alla deacidificazione alcolica con propionato di calcio ed al consolidamento delle singole sezioni mediante l’applicazione a pennello di metilcellulosa in soluzione acquosa al 2%. Al termine del restauro, l’opera è stata collocata su un pannello di cartone alveolare durevole per la conservazione, al quale le sei sezioni dell’opera sono state fissate per mezzo di falsi margini a bandiera in carta giapponese. Laboratorio per la Conservazione e il Restauro dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro La Pianta di Venezia dopo il restauro 42 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 43 Il mistero delle Repentite: recupero di due documenti rinvenuti nella sepoltura della Madre Badessa nel “Convento delle Repentite” di Palermo Mariasanta Montanari ella cripta del Convento di Santa Maria la Grazia di Palermo, noto come “Convento delle Repentite, è stata rinvenuta la sepoltura della Madre Badessa, la Reverenda Madre Santa Ignazia di Gesù, vissuta dal 1706 al 1782. All’interno del sepolcro insieme ai resti della Badessa erano presenti due ampolle di vetro contenenti due documenti, attualmente in corso di restauro presso l’ICPL. Una volta tolti i tappi, le due carte arrotolate sono state tirate fuori sotto cappa con la massima cautela ad evitare lacerazioni dei reperti. Con l’ausilio di un microvaporizzatore le carte sono state srotolate e si è proceduto ad effettuare una prima spolveratura meccanica utilizzando pennelli morbidi: in tal modo si è potuto costatare la scarsa leggibilità dei due documenti in luce visibile. Ciò ha è reso necessario l’utilizzo di un sistema di rivelazione tramite fotografia multispettrale che ha fatto aumentare in modo considerevole il contrasto fra inchiostri e supporto, migliorando sensibilmente la leggibilità delle carte. Piccoli frammenti di carta provenienti dai margini dei fogli arrotolati sono stati analizzati con un microscopio elettronico a scansione EVO 50 XVP, Carl-Zeiss Electron Microscopy Group ed una sonda elettronica per microanalisi (EDS) Inca 250 (Oxford). Sono attualmente in corso ulteriori analisi per accertare l’impasto fibroso delle carte, il loro pH e la presenza di gruppi carbonilici nella carta. I reperti saranno inoltre sottoposti a spettroscopia RAMAN ed a spettrometria XRF che consentiranno una migliore connotazione dei materiali e daranno ulteriori informazioni sulle alterazioni molecolari dovute a deterioramento consentendo quindi una scelta più mirata dei trattamenti di restauro da eseguire. Il restauro finale comporterà un eventuale trattamento di deacidificazione alcolica o di riduzione in funzione del risultato delle analisi chimiche, il risarcimento delle lacune e lo spianamento delle carte. I reperti saranno poi montati su passe-partout di cartone non acido idoneo alla conservazione. ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro N Laboratorio di Biologia dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro Laboratorio Biologia M. Montanari, F. Pinzari Laboratorio Chimica M. Bicchieri, M. Monti, G. Piantanida, A. Sodo Laboratorio Conservazione e Restauro F. Botti, M. L. Riccardi Servizio di riproduzione e diagnostica avanzata M. Missori Come si presentavano le boccette all'apertura del sepolcro della Badessa Università di Palermo Dipartimento di Biopatologia e Metodologie biomediche Direttore A. Salerno 43 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 44 Descrizione attività ICR Istituto Centrale per il Restauro Anno di fondazione 1939 Direttore Caterina Bon Valsassina Coordinatore Donatella Cavezzali Piazza San Francesco di Paola, 9 00184 Roma tel. 06 48896200-48896300 fax 06 4815704 [email protected] www.icr.beniculturali.it 44 L’Istituto Centrale per il Restauro è stato fondato nel 1939 da Cesare Brandi per rispondere all’esigenza di impostare l’attività di restauro su basi scientifiche e di unificare le metodologie di intervento sulle opere d’arte e i reperti archeologici. Come organo tecnico-scientifico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali l’ICR svolge attività di indirizzo in materia di interventi conservativi e di restauro, promuove e svolge la ricerca scientifica sui processi di deterioramento e sulle metodologie d’intervento, espleta attività di formazione di restauratori di beni culturali, realizza interventi di restauro di particolare complessità su opere di grande valore, esercita funzioni di consulenza scientifica e tecnica agli organi periferici del Ministero e agli uffici degli Enti locali competenti in materia di conservazione e restauro. Realizzazioni L’ICR svolge un’attività istituzionale nel campo della tutela, della conservazione e della formazione nel settore del restauro e della conservazione del patrimonio culturale in Italia e all’estero; definisce metodologie unificate per la conduzione di corretti interventi di restauro, documentazione, diagnostica, ricerca scientifica e tecnologica applicata alla conservazione dei beni culturali; partecipa alla predisposizione di provvedimenti legislativi riguardanti il settore degli appalti di lavori pubblici sui beni culturali, della formazione dei restauratori e dei loro profili professionali; ha realizzato il Sistema Informativo Territoriale denominato “Carta del Rischio del patrimonio culturale” per la gestione dei dati tecnici sui fattori di degrado dei beni culturali; ha inoltre realizzato innumerevoli interventi di studio e restauro di opere d’arte di preminente valore nazionale e mondiale quali gli affreschi della Basilica Superiore di Assisi e della Cappella Scrovegni a Padova, il Cenacolo vinciano, la Torre di Pisa, il Satiro Danzante di Mazara del Vallo; ha formato dal 1944 ad oggi molte generazioni di restauratori nelle diverse tipologie di beni, riconosciuti tra i migliori operatori del settore; adotta programma di aggiornamento per i funzionari tecnico-scientifici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e degli enti locali; svolge attività di restauro e consulenza all’estero, su richiesta di nazioni europee e di altri Paesi del mondo come la Cina, Malta, Egitto, Giordania, India, Nepal, Iraq, Afghanistan, Siria, Turchia, Argentina, Algeria, Kosovo. Partecipazione a RESTAURO: 2004, 2005, 2006, 2007 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 45 L’immagine e la sua materia – La scheda ambientale Caterina Bon Valsassina opera d’arte, i manufatti artistici invecchiano e con il trascorrere degli anni si verificano assestamenti, intervengono processi di deterioramento dei materiali che li costituiscono, sia in rapporto alle condizioni ambientali, sia alle modalità di utilizzo. Il museo, è bene ricordare, tra le sue diverse funzioni, conserva le collezioni, gli oggetti, sia sotto il profilo spaziale ma anche e soprattutto temporale, cioè a dire in una dimensione interna del circuito museo, come avviene nel caso di mostre, depositi a lungo termine, e una dimensione esterna legata prevalentemente alla durata nel tempo dei materiali, preservandoli fisicamente. Presupposto della conservazione sono le misure preventive che riguardano le condizioni ambientali, i sistemi, i materiali usati per esporre le opere od immagazzinarle e infine le modalità con le quali vengono svolte operazioni che possono provocare danni, come l’imballaggio e il trasporto. Occorre però valutare il loro stato attuale di conservazione, utilizzando strumenti adeguati per stabilire un confronto, da una parte tra una condizione che si suppone come originaria, e dall’altra lo stato odierno degli oggetti, in rapporto non solo ai fattori ineludibili, ma anche a fattori oggettivi, relativi alle caratteristiche dell’ambiente. Si pone dunque il problema del controllo dei parametri ambientali (microclima, inquinanti chimici e biologici, eec.), in ambienti espositivi (sale, vetrine, teche, contenitori chiusi), il cui rilevamento è fondamentale ai fini della salvaguardia delle opere. Il sempre maggiore interesse del pubblico verso le proposte culturali dei musei hanno portato a valutare con maggiore attenzione il problema della conservazione delle collezioni museali anche al fine di limitare gli interventi di restauro. Va tenuto inoltre presente l’incremento dell’inquinamento atmosferico a cui si è assistito nel secolo scorso e che ancora rappresenta un problema di grande attualità, anche per ambienti confinati. A questo proposito l’Atto di Indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (art.150, comma 6, D.L. 112/1998) nella sezione ambito VI, sottoambito 1, paragrafo 2, definisce in particolare i parametri ambientali importanti ai fini della conservazione delle opere d’arte: microclima, livelli di illuminazione, qualità dell’aria. Il controllo ambientale diviene tanto più importante quanto più le opere d’arte sono costituite da materiali compositi e sensibili che necessitano di condizioni ambientali stabili. Programmare in maniera corretta il controllo ambientale in ambito museotecnico, significa anche porsi il problema della conservazione di tutto ciò che non vediamo nelle sale espositive, cioè quel patrimonio di opere e oggetti del museo che si trovano nei depositi, che rappresentano una componente di fondamentale importanza nel progetto generale del museo. Di conseguenza anche nel caso di depositi devono essere predisposti piani di controllo periodico dello stato di conservazione dei manufatti, di verifica della funzionalità degli impianti di climatizzazione e di programmazione degli interventi di manutenzione. La registrazione dei dati può essere eseguita installando negli ambienti degli strumenti fissi e utilizzando la Scheda Ambientale, che evidenzia alcuni parametri fondamentali di rilevazione, in rapporto al tipo di materiale o di materiali da cui l’oggetto è costituito. La scheda ambientale oltre ad avere un ruolo importante nella conservazione preventiva, che tende a mitigare l’inevitabile deterioramento cui gli oggetti sono sot- ICR Istituto Centrale per il Restauro L’ 45 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 46 toposti e a contenerne i danni, è uno strumento di lavoro pratico nell’ottica della gestione del museo, sia quando si tratti di rinnovare il museo, ma anche di programmare lo spostamento delle opere, ed inoltre consente di utilizzare personale interno al museo, appositamente formato, ottimizzando le disponibilità economiche. La scheda ambientale è stata ideata da una équipe tecnico scientifica dell’Istituto Centrale per il Restauro sulla base dell’esperienza maturata durante la realizzazione del progetto di manutenzione e controllo della Galleria Doria Phamphilj a Roma ed è stato in seguito sottoposto a verifiche e modifiche nell’ambito di studi e progetti presso diverse istituzioni museali. La scheda si inserisce nell’ambito della Carta del Rischio e di questa costituisce un passaggio ulteriore, considerando non più l’edificio Museo nel suo complesso ma il suo interno. La scheda ambientale è stata elaborata, con particolare attenzione, da un’équipe di funzionari tecnico scientifici, Dott.ssa Elisabetta Giani, Dott.ssa Annamaria Giovagnoli, Dott.ssa Maria Pia Nugari, Dott.ssa Elena Rusconi, Dott.ssa Livia Gordini. 46 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 47 Arte contemporanea in Italia: quale salvaguardia? L’attività di conservazione e restauro dei manufatti “artistici” contemporanei non aveva riscosso fino ad anni recentissimi, nel nostro Paese, quell’interesse che invece da qualche decennio suscitavano nella gente le notizie di interventi su manufatti artistici precontemporanei. Ciò rifletteva la situazione odierna di quasi marginalità dell’attività “artistica” rispetto alla più generale attività culturale, ma anche la convinzione che i manufatti “artistici” contemporanei, in quanto “nuovi”, non avessero bisogno di interventi di controllo, manutenzione, conservazione, restauro. L’infondatezza di tale convinzione veniva dimostrata da casi sempre più numerosi, ma erano ancora troppo rare le occasioni in cui simili informazioni potevano essere scambiate o, comunque, fatte circolare: tanto che le iniziative di rilievo si potevano contare sulle dita di una mano. La pubblicizzazione degli interventi di conservazione e restauro, o anche di semplice manutenzione, dei manufatti artistici contemporanei diventava pertanto ancora più importante e necessaria di quella riguardante le opere d’arte precontemporanee. In primo luogo perché ciò avrebbe contribuito a porre le basi di una casistica che sarebbe risultata certamente più preziosa di quella ormai consolidatasi negli interventi relativi ai manufatti precontemporanei, e poi perché avrebbe consentito di valutarne la rispondenza ai principi metodologici riconosciuti validi per il restauro delle opere d’arte ed in particolare di dare risposte concrete (cioè verificate nella risoluzione di concreti problemi operativi) al dilemma teorico della applicabilità o meno della teoria del restauro delle opere d’arte (nei termini formulati da Cesare Brandi e nelle modalità di attuazione presso l’Istituto Centrale del Restauro) ai manufatti artistici contemporanei. In questo ultimissimo periodo si è però cominciato a verificare una vera e propria inversione di tendenza, come stanno a dimostrare svariate iniziative, sia della Amministrazione statale di tutela (istituzione della DARC, Direzione Generale per l’architettura e l’arte contemporanea, creazione di una sezione per il contemporaneo presso la scuola dell’Istituto Centrale del Restauro, intensificazione dell’attività del Laboratorio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna) che di altre istituzioni pubbliche quali Regioni, Comuni, Università, Musei nonché di privati, sotto forma di interventi di recupero, conservazione e restauro, di manifestazioni culturali, di attività formative, di pubblicazioni. L’Associazione Amici di Cesare Brandi, in collaborazione con la DARC, l’ICR, la GNAM e l’Istituto Beni culturali della Regione Emilia-Romagna, vuole tentare di fare un primo punto della situazione nell’Incontro di studio Arte contemporanea in Italia: quale salvaguardia?, il 25 marzo 2007 dalle ore 9.30 alle 13.30 presso la Sala Castello (1 piano). Allo scopo sono stati invitati rappresentanti delle realtà più direttamente coinvolte nella gestione e nella salvaguardia dell’arte contemporanea, sia a livello di professionalità (restauratori, artisti, esperti scientifici, filosofi, giuristi, trasportatori, assicuratori, etc.) che di responsabilità ai vari livelli: non solo in quanto proprietari o detentori a qualsiasi titolo delle opere, ma anche in qualità di titolari dell’attività di tutela, di formazione, di fruizione e, più generalmente, di valorizzazione. Si tratterà di una rassegna necessariamente (per quello che si è detto prima) incompleta e parziale ma che avrà raggiunto il suo scopo se sarà servita a sollecitare e agevolare lo scambio di esperienze e soprattutto a enucleare ed evidenziare i problemi più grossi ed urgenti in funzione della migliore conservazione e protezione delle opere d’arte create nei nostri giorni – senza con ciò volere rinuncia- ICR Istituto Centrale per il Restauro Giuseppe Basile 47 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 48 re all’auspicio che questo appuntamento possa ripetersi negli anni a venire, diventando in tal modo una sorta di osservatorio su ciò che accade nel nostro Paese in direzione della protezione e della salvaguardia dell’arte contemporanea. Gibellina Nuova, Piazza del Municipio: Sculture di Pietro Consagra prima del restauro Ruderi di Gibellina Vecchia: Particolare del Cretto di Alberto Burri attaccato dalle erbacce Brufa (Perugia): Arc-en-ciel di Carlo Lorenzetti, in acciaio cor-ten per resistere alle intemperie 48 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 49 Corso di formazione per operatori museali provenienti dal National Museum of Afghanistan-Kabul Afghanistan 25/09/2006 - 03/11/2006 ICR Istituto Centrale per il Restauro N ell’anno 2004, sulla base della stipula di una convenzione tra il Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale e l’Istituto Centrale, si era svolto in Afghanistan, presso il Museo Nazionale dell’Afghanistan, a Kabul un corso di formazione intitolato “Formazione di base per operatori nel campo del restauro di manufatti mobili“ nel periodo dal 23/ 10 - 21/ 12/ 2004. Il corso mirava a fornire al personale afghano partecipante al training, già operante all’interno del Ministry of the Information and Culture, le informazioni basilari necessarie per poter operare in modo autonomo, ampliando le proprie conoscenze conservative, su manufatti archeologici conservati nel Museo di Kabul o provenienti direttamente da scavi recenti o in corso. I corsisti, compreso il personale proveniente dalle province, avevano tutti già in parte lavorato nell’ambito della conservazione e restauro delle opere d’arte. Il materiale prescelto come oggetto del corso erano le sculture buddiste di scisto conservate nel Museo, che erano state oggetto di distruzione sistematica da parte deli Talebani al governo. Nel complesso, nonostante le difficoltà presentatesi soprattutto per motivi di ordine pratico, il risultato ottenuto era apparso altamente positivo e tale da garantire una buona base su cui impostare la prosecuzione del lavoro. Grande soddisfazione per l’impostazione dell’iniziativa e per il suo svolgimento è stata mostrata anche da parte afghana. Nel 2005 era stato quindi programmato, con l’indispensabile aiuto dell’Ambasciata d’Italia a Kabul, un corso da tenersi a Roma, presso le sedi dell’Istituto Centrale per il Restauro, sulla conservazione ed il restauro del vetro. La scelta di questo materiale era basata sulla sua presenza nella realtà afghana sia in contesti di età classica (vetri dal cd. Tesoro di Begram) sia in contesti più recenti di età buddista e mussulmana. Al corso svoltosi a Roma presso l’I.C.R. nel 2005 avevano partecipato 6 operatori, selezionati tra quanti del personale del Museo Nazionale dell’Afghanistan di Kabul avessero già partecipato al corso di formazione tenuto dall’I.C.R. nel 2004 in Afghanistan. Nell’anno 2006 il successo delle iniziative portate a termine negli anni precedenti ha portato alla programmazione di un secondo follow-up, da svolgersi in Italia in considerazione dei persistenti problemi di sicurezza dell’Afghanistan. Per assicurare una possibilità di trasmissione delle informazioni e formazione in loco è stata prevista la partecipazione degli stessi operatori che avevano frequentato il corso nel 2005. Si è deciso di affrontare la problematica dei dipinti murali in corso di scavo e degli stucchi, in considerazione della ricchezza di queste tipologie di manufatti nella realtà archeologica dell’Afghanistan. Infatti, pur tenendo conto di qualche diversità di tipo tecnologico nella realizzazione dei dipinti murali, sembrava opportuno approfondire il problema di questi reperti nella fase di transizione tra lo scavo e la successiva presentazione museale, cioè la sequenza corretta dell’intervento di conservazione nel caso di manufatti fragili ed altamente frammentari per la loro situazione di rinvenimento. A tal fine sono stati individuati dei frammenti di intonaco dipinto databili al IV sec a.C. provenienti dal Santuario di Armento, località Serra Lustrante, in Basilicata. Questi intonaci, recuperati con la tecnica del blocco di terra per non alterare la situazione di giacitura ed i rapporti tra i frammenti, erano conservati presso i depositi del Museo Archeologico Nazionale della Siritide a Policoro (Mt). Si è previsto quindi, con la piena collaborazione della Soprintendenza Archeologica per la Basilicata, competente per territorio, che la parte pratica del corso si svolgesse presso il Museo Archeologico di Policoro. Per quanto riguarda gli stucchi si era deciso di operare su materiali provenienti dall’Afghanistan al fine di azzerare le diversità tecnologiche presentate dai mate- Responsabile del Progetto Giovanna De Palma 49 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 50 riali. Con la collaborazione del Museo Nazionale di Arte Orientale di Roma e dell’ISIAO sono stati individuati due manufatti provenienti dagli scavi della missione archeologica italiana a Ghazni in Afghanistan, conservati presso i depositi del MNAOR. Il corso si è svolto nelle sedi dell’Istituto Centrale per il Restauro in Roma e presso il Museo Archeologico Nazionale della Siritide a Policoro (Mt). Basandosi sulle osservazioni fatte nel 2004 e nel 2005, per ottimizzare il lavoro è sembrato necessario inserire un breve corso preliminare di chimica generale e di biologia visto che durante il corso del 2004 si era evidenziata la totale mancanza di una preparazione di base in chimica generale, il che aveva reso molto difficoltoso riuscire a spiegare compiutamente problemi quali le soluzioni o le caratteristiche dei vari materiali ed il loro utilizzo. Per quanto riguarda le lezioni pratiche s i è cercato di approfondire la conoscenza dei materiali più comunemente usati per il restauro degli stucchi e dipinti murali, privilegiando il concetto dello strato d’intervento e la sua applicazione nella pratica del restauro al fine di evitare danni alla materia antica e rendere l’intervento conservativo realmente reversibile. Il problema della lingua è stato risolto facendo ricorso ad un interprete scelto in Afghanistan dall’Ambasciata Italiana in Afghanistan, un giovane studente di Chimica presso l’Università di Kabul. La maggioranza dei corsisti, infatti, conosceva scarsamente la lingua inglese. Gli allievi più attenti erano certamente quelli con un minimo di conoscenze linguistiche che hanno mostrato una grande solidarietà nei confronti dei loro colleghi ed una grande disponibilità verso i docenti. Le lezioni erano accompagnate dalla consultazione di alcuni libri in inglese messi a disposizione dall’Istituto con l’intenzione di abituare gli operatori afghani a consultare i testi. Anche per l’allestimento della zona del Laboratorio di Restauro del Museo di Policoro destinata al progetto i corsisti hanno lavorato in stretta collaborazione con i docenti, mostrando grande volontà e disponibilità ad apprendere. Lo svolgimento del corso e l’interesse mostrato dai discenti, che si è concretizzato in una attenta e costante partecipazione, dalla selezione dei vari frammenti alla stesura del rapporto conservativo finale, ha consentito di valutare il grado di apprendimento dei singoli operatori secondo parametri differenti quali attenzione e partecipazione al corso, comprensione degli aspetti teorici, abilità manuale, capacità critiche e di innovazione. Nel complesso si considera il risultato ottenuto altamente positivo e tale da garantire una buona base su cui impostare la prosecuzione del lavoro da parte dei discenti. Al termine della parte operativa presso il Museo di Policoro è stata organizzata dal dott. Salvatore Bianco, Direttore del Museo, una conferenza di presentazione del progetto e dei risultati ottenuti nel restauro degli intonaci. Il corso si è concluso con una breve cerimonia durante la quale sono stati consegnati gli attestati di frequenza. 50 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 51 Un restauro da 20 centesimi Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni I n occasione della Notte Bianca 2006, l’Istituto Centrale per il Restauro ha presentato ad un folto pubblico romano il restauro appena ultimato della scultura di U. Boccioni Forme uniche della continuità nello spazio. In seguito ad un’accidentale caduta durante l’allestimento di un’esposizione a Bruxelles nel 2004, la scultura aveva infatti riportato danni diffusi, alcuni dei quali irreversibili. Dell’intervento, e delle indagini scientifiche che lo hanno preceduto, si dà brevemente conto nelle righe che seguono. È una delle più celebri e rappresentative del Futurismo italiano e di tutta la scultura del Novecento, tanto conosciuta da figurare anche sulla moneta dei 20 centesimi. La fusione, in una lega che dalle indagini recenti è risultata ottone, è stata realizzata nel 1931 presso la Fonderia Chiurazzi di Napoli, su commissione di F. T. Marinetti, teorico e principale animatore del movimento futurista. A quella data Boccioni era morto da quindici anni ma gli sopravviveva il gesso originale delle Forme uniche, modellato nel 1913 e oggi conservato presso il Museu de Arte Moderna di San Paolo in Brasile. Il gesso faceva parte di un gruppo di circa dodici opere significative andate in gran parte perdute, tutte eseguite tra il 1912 il 1914 con materiali diversi. In quegli anni, infatti, Boccioni si dedicava con passione alla scultura, ne sperimentava le nuove possibilità espressive formali e materiche (“Sono ossessionato dalla scultura! Credo di aver visto una completa rinnovazione in quest’arte mummificata”) e ne teorizzava i rivoluzionari princìpi nel Manifesto tecnico della scultura futurista dell’11 aprile 1912. Nello sviluppo della ricerca sui temi del dinamismo e della simultaneità, l’artista stesso riteneva le Forme uniche l’espressione più compiuta della sua idea di scultura come compenetrazione dinamica di figura e ambiente “Rovesciamo tutto... e proclamiamo l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa. Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente.”j. Della scultura esistono altre fusioni tra le quali una coeva esposta presso il Museum of Modern Art di New York (MoMA), in una delle sale dedicate al Futurismo. Lo stato di conservazione Presso il Laboratorio di conservazione e restauro dei manufatti in metallo e leghe dell’ICR l’osservazione visiva ravvicinata, condotta con l’ausilio di strumentazioni ottiche, ha permesso di individuare numerose aree interessate da danni strutturali derivanti dall’impatto della scultura con il suolo, particolarmente concentrate sul lato destro, quello direttamente interessato dalla caduta. I danni più significativi si sono riscontrati sulle forme aggettanti della testa e della spalla: queste deformazioni plastiche sono permanenti ed irreversibili poiché hanno modificato la geometria delle forme e prodotto variazioni nei piani del modellato. Sull’intera superficie sono state inoltre evidenziate fessurazioni di diversa entità, alcune certamente dovute al trauma subito, altre al naturale degrado del materiale costitutivo e alle particolarità della tecnica esecutiva. Fratture, fessure e cricche causano una discontinuità della superficie e un danno strutturale, esse infatti incidono sulla struttura metallica. Rappresentano quindi un fattore di rischio, essendo possibile il loro progredire nello spessore della fusione in presenza di eventuali sollecitazioni di natura chimico-fisica. Sulla superficie sono state rilevate anche abrasioni, macchie e graffi. Lo stato di conservazione così rilevato è stato fotografato e restituito graficamente in formato digitale. ICR Istituto Centrale per il Restauro L’opera Come sempre, il restauro è il risultato di un lavoro interdisciplinare; il caso specifico ha visto coinvolti: Giorgio Accardo fisico Fabio Aramini tecnico per la fotometria Domenico Artioli tecnico di laboratorio Vilma Basilissi restauratore Roberto Ciabattoni tecnico per le indagini radiografiche e videoendoscopiche Laura D’Agostino storico dell’arte Giuseppe Guida chimico Edoardo Loliva fotografo Ferdinando Provera tecnico per il rilievo 3D Giancarlo Sidoti chimico 51 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 52 Le indagini conoscitive L’opera è stata sottoposta ad una serie di indagini conoscitive preliminari all’intervento conservativo e finalizzate alla valutazione dei danni e alla definizione del progetto di restauro. La videoendoscopia ha permesso di ispezionare la superficie interna del getto di fusione ed è stata utile alla conoscenza della tecnica esecutiva dell’opera, che risulta fusa per parti successivamente assemblate. La radiografia ha consentito di valutare quanto e in che modo il danno abbia inciso nell’architettura interna del materiale (struttura metallica, tasselli di finitura, ecc...). Con un sistema a scansione laser 3D è stato effettuato il rilievo metrico tridimensionale della forma per calcolare la percentuale della superficie interessata dal danno. La spettrofotometria di fluorescenza ai raggi X (XRF, indagine non distruttiva utile a caratterizzare il materiale costitutivo di un’opera) ha evidenziato una fusione omogenea e una lega metallica prossima all’ottone per la presenza del rame come elemento maggioritario e dello zinco, stagno e piombo come alliganti. Sono state inoltre effettuate misure di spettroscopia infrarossa con trasformata di Fourier (FTIR) che hanno fornito dati sulla presenza, in superficie, di vernici impiegate in passato come protettivi a base di nitrocellulosa e gommalacca. Il restauro L’intervento di restauro ha comportato un’attenta pulitura a pennello dalla polvere e da altri depositi incoerenti, seguita da una blanda azione chimica con alcool puro. Tutte le operazioni di pulitura sono state condotte dopo aver eseguito delle prove preliminari associate a misure fotometriche di riflettanza. Per il risarcimento delle fratture si è impiegato uno stucco a base di resine epossidiche caricate con colori in polvere, cromaticamente accordato con la superficie metallica originale. Infine, per la protezione della scultura, si è scelta una miscela a base di cera microcristallina contenente un inibitore di corrosione, seguita da una “spannatura” manuale con pelle di daino. Poiché il poligono di base dell’opera è molto stretto, e ciò può essere causa di instabilità, è attualmente allo studio presso l’ICR una nuova base espositiva completa di due cunei da inserire nelle cavità dei piedi, di cui sono già state eseguite le impronte interne. La tecnica esecutiva della scultura, le indagini e tutte le fasi relative all’intervento conservativo e di restauro sono state documentate graficamente e fotograficamente. 52 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 53 Linee guida per la redazione dei capitolati speciali d’appalto per il restauro dei dipinti su tela, su tavola e dei dipinti murali ICR Istituto Centrale per il Restauro I l restauro dei beni mobili e delle superfici decorate dei beni architettonici, tra cui i dipinti su tela, su tavola e i dipinti murali, è un settore di attività che, come noto, da oltre tredici anni è inserito all’interno della normativa sugli appalti dei lavori pubblici. Anche l’ultimo testo normativo, il Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 163/2006) ha confermato questa previsione e la conseguente necessità di specifici Capitolati speciali dedicati al restauro aventi un valore vincolante nell’ambito del procedimento amministrativo di realizzazione dei restauri. Già Michele Cordaro, compianto Direttore dell’ICR, aveva indicato che la corretta strada per porre sotto controllo l’esecuzione dei restauri doveva passare per la determinazione di specifici capitolati, e non a caso promosse e partecipò direttamente alla redazione delle norme che vengono quest’anno pubblicate per la prima volta nella forma delle “Linee Guida per la redazione dei capitolati speciali d’appalto per il restauro dei dipinti su tela, su tavola e dei dipinti murali”, grazie alla collaborazione tra Istituto Centrale per il Restauro e Opificio delle pietre Dure, con il contributo dell’A.R.I. e della DEI, Tipografia del Genio Civile. Le normative esistenti per il restauro dei beni mobili e delle superfici decorate dei beni architettonici prevedono una procedura amministrativo-burocratica nell’affidamento, per esempio un restauro di un piccolo dipinto su tavola o su tela oppure anche di una stampa o di un disegno, che, a torto o a ragione, è la stessa che serve ad appaltare il restauro di un edificio monumentale come il complesso di S. Michele o il restauro della torre di Pisa. Questa è una condizione che se da un lato ha contribuito a dare maggiori certezze alle procedure e trasparenza agli affidamenti dall’altro non ha potuto fornire, in mancanza di capitolati speciali appositamente dedicati ai beni storico- artistici, uno strumento idoneo per controllare la regolamentazione dell’appalto e quindi le reali modalità di esecuzione dei restauri. La pubblicazione delle “Linee Guida per la redazione dei capitolati speciali d’appalto per il restauro dei dipinti su tela, su tavola e dei dipinti murali” colma quindi un vuoto nella definizione di una normativa tecnica di riferimento per la conduzione di questi delicati interventi di restauro. Le voci di capitolato pubblicate sono il frutto dei risultati delle commissioni Normal che a partire dal 1993 hanno redatto le norme relative al restauro dei dipinti tela, su tavola e dei dipinti murali. Come noto il lavoro delle commissioni Normal ha interessato la normalizzazione in molti altri settori delle attività relative alla conservazione e al restauro, tra cui la diagnostica, il rilievo, la documentazione, e il restauro di molte altre classi di materiali, nell’ottica non tanto di una standardizzazione quanto di una regolamentazione pratica e metodologica dei processi tecnici dei lavori di restauro. È nostro obiettivo dare veste di stampa anche a questi lavori ampliando, nelle prossime edizioni, l’insieme dei testi pubblicati. La formulazione delle voci relative al restauro dei dipinti, presentata in questo volume, è stata sottoposta a una fase di sperimentazione nel corso degli ultimi anni effettuata da parte di esperti, addetti ai lavori, tra cui alcune Soprintendenze, al fine di accogliere le opportune osservazioni e proposte di miglioramento, in uno sforzo congiunto di chiarimento ed approfondimento metodologico e lessicale. Nell’articolazione del volume la prima parte è dedicata a una serie di saggi che chiariscono l’approccio metodologico, a partire dal percorso storico che ha condotto alla redazione dei capitolati, ripercorso da Marco Ciatti e Cristina Danti. A seguire Gisella Capponi e Donatella Cavezzali descrivono la funzione e il modo di utilizzazione, all’interno di un progetto di restauro, delle voci dei capitolati e delle schede tecniche ad esse allegate. Gli aspetti normativi e la specificità degli appal- Istituto Centrale per il Restauro, Opificio delle Pietre Dure A.R.I. e Edizioni DEI Tipografia del Genio Civile Hanno curato l’edizione 2007 Gisella Capponi Donatella Cavezzali 53 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 54 ti di restauro dei beni storico- artistici sono trattati nel saggio di Pierfrancesco Ungari, che potrà fornire utili indicazioni per la conduzione degli affidamenti dei lavori di restauro inquadrati sia in relazione al nuovo “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” che alla luce del “Codice dei contratti pubblici”. Alle attività di conoscenza dell’opera e dei suoi processi di degrado sono dedicati i testi di Giancarlo Lanterna sulle indagini diagnostiche e di Francesco Sacco sul rilievo e la documentazione. La seconda parte del volume è dedicata alla modalità di esecuzione delle diverse fasi dell’intervento di restauro, vero e proprio nucleo dei capitolati, suddivise in restauro dei dipinti su tavola, su tela e dei dipinti murali. Le tipologie dell’intervento di conservazione, restauro e manutenzione sono state segmentate in unità minime d’intervento, identificate singolarmente per una loro compiuta ed autonoma definizione. La trattazione delle singole voci di capitolato è stata quindi articolata in: - descrizione e finalità dell’operazione - criteri di esecuzione e requisiti dei materiali - scheda tecnica, studiata come sintesi delle scelte progettuali, per l’individuazione delle professionalità e dei dati tecnici relativi alle modalità di esecuzione dell’operazione stessa (qualifica dell’operatore, tipologia, morfologia, estensione e localizzazione del degrado, prodotti di restauro scelti, modalità, strumenti e procedimento di applicazione, dati ambientali, dispositivi di sicurezza, etc.) Ogni unità d’intervento (ad es. ristabilimento dell’adesione della pellicola pittorica, etc) è descritta quindi sia nella propria specificità di compiti e funzioni che in relazione alle operazioni preventive (ad es: velinatura, pulitura degli strati superficiali, etc…) in un’articolazione complessiva da cui i progettisti potranno far nascere la metodologia corretta dell’intervento di conservazione nella sua interezza. Le competenze professionali dei progettisti e la pluridisciplinarietà dell’approccio metodologico restano in ogni caso condizioni indispensabili per dare un senso compiuto al progetto di restauro, a garanzia della corretta esecuzione dell’intervento sull’opera d’arte. 54 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 55 Domus Aurea Neronis Il restauro della Sala delle Maschere, ambiente n.114 Realizzata dall’imperatore Nerone a partire dal 64 d.C. la Domus Aurea venne successivamente interrata da Traiano. Riscoperta verso la fine del ‘400 la Domus Aurea e le sue pitture divennero fonte di ispirazione per innumerevoli artisti rinascimentali tra cui Pinturicchio, Raffaello, Giovanni da Udine e molti altri che contribuirono al diffondersi delle grottesche in tutta la pittura occidentale. La vastità del sito monumentale archeologico e la posizione ipogea, al di sotto dei resti delle Terme di Traiano e dei giardini di Colle Oppio, hanno reso da sempre molto complessa la conservazione della Domus Aurea e dei suoi preziosi affreschi, interessati oggi, come noto, da una nuova fase di studi e di interventi di restauro finalizzati alla messa in sicurezza delle strutture e alla conservazione degli apparati decorativi, affidata al Commissario straordinario per la sicurezza della Domus Aurea. Venti anni di esperienza dell’ICR per la conservazione in ambienti ipogei Negli ultimi vent’anni sono stati innumerevoli gli interventi di restauro condotti nella Domus Aurea e tra questi ricordiamo, oltre a quelli della Soprintendenza Archeologica di Roma, quelli condotti negli anni ’80 e ’90 dall’ICR per lo studio delle cause di degrado e per la messa a punto di un progetto sperimentale di restauro negli ambienti n.114 e 131, sale decorate con splendidi affreschi tra i meglio conservati della Domus Aurea. Furono infatti realizzati degli interventi preliminari per il controllo del microclima interno alle sale, come condizione preliminare al restauro vero e proprio degli affreschi. Gli ambienti vennero chiusi allo scopo di stabilizzare le condizioni termo-igrometriche, umidità relativa e temperatura ambientale, evitando i dannosi scambi con l’aria esterna, l’aria di Roma, carica di sostanze e gas inquinanti. Da allora gli studi e le ricerche sperimentali realizzate dall’ICR in altri monumenti ipogei con superfici affrescate, come la Basilica di S. Clemente a Roma, le tombe etrusche di Tarquinia, la cripta del Duomo di Anagni, gli affreschi del Sacromonte di Varallo, hanno consentito di mettere a punto e verificare soluzioni tecnologiche innovative nel campo dell’illuminazione, e della progettazione a basso impatto ambientale per la musealizzazione e la fruizione degli spazi. In generale tutti gli studi dell’ICR sulla conservazione in ambienti ipogei hanno evidenziato l’importanza del mantenimento di alcuni parametri fisici-chimici e biologici fondamentali per la conservazione degli affreschi, in sintesi: valori termo-igrometrici costanti, abbattimento degli inquinanti di origine organica e inorganica, illuminazione calibrata a basso impatto fotobiologico, fruizione controllata. Il restauro della Sala delle Maschere Il restauro condotto dall’ICR a partire dal 2004, in accordo con la Soprintendenza Archeologica di Roma, ha interessato l’ambiente n. 131 e 114 della Domus Aurea, denominato “Sala delle Maschere” per i bellissimi affreschi che ne ornano le pareti con architetture prospettiche, maschere e scene di paesaggio. Parallelamente al restauro degli affreschi l’ICR ha realizzato il rilievo 3D delle sale con tecnologia Laser scanner, e campagne di monitoraggio ambientale e studio dell’aerobiologia interna. Verificata la validità dell’impostazione metodologica degli interventi degli anni ’80, è attualmente in corso di realizzazione la creazione di un nuovo sistema di confinamento ambientale per il controllo microclimatico e un nuovo sistema di illuminazione a basso impatto fotobiologico che consenta di ICR Istituto Centrale per il Restauro Domus Aurea Neronis Progettazione e direzione dei lavori Donatella Cavezzali Giovanna De Palma Bruno Mazzone Direttori operativi Beatrice Provinciali Costanza Mora Giuseppina Fazio Rocco D’Urso Rita Batacchi Esperti scientifici Maria Pia Nugari Anna Maria Pietrini Sandra Ricci Annamaria Giovagnoli Elisabetta Giani Giorgio Accardo Fabio Aramini Carlo Cacace 55 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 56 riaprire le sale, chiuse da vent’anni, al pubblico con un programma di fruizione controllata. Al restauro vero e proprio è stata affiancata la realizzazione di una Banca dati per la gestione dei dati scientifici e la raccolta della documentazione sulle attività dell’ICR nel sito archeologico, come strumento di studio e divulgazione di carattere scientifico e conservativo. Il data-base è consultabile sulla rete Internet, per permettere la più ampia diffusione possibile degli studi, delle ricerche fin qui condotte dall’ICR. Verso un futuro per la Domus Aurea A seguito degli interventi di messa in sicurezza della Domus Aurea in corso da parte del Commissario straordinario nominato dal governo nell’agosto 2006, il sito monumentale ipogeo, recentemente riaperto in parte al pubblico, potrà essere visitato assicurando nel contempo le necessarie misure per la conservazione dei preziosi affreschi. I risultati delle attività di restauro dell’ICR possono costituire un punto di partenza per le più appropriate scelte funzionali sviluppate da parte del Commissario straordinario e della Soprintendenza competente nei programmi di tutela e conservazione del monumento in relazione alla fruizione pubblica. 56 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 57 Il restauro della Fontana della Rometta Villa D’Este a Tivoli L a Fontana detta “della Rometta” o “piccola Roma” fu progettata da Pirro Ligorio intorno al 1550 su incarico del Cardinale Ippolito d’Este, all’interno della Villa fatta costruire dal cardinale a Tivoli. La fontana rappresenta in forma allegorica la città di Roma con percorsi d’acqua e, in una miniatura di fantasia, il Tevere, l’Aniene, gli Appennini, l’isola Tiberina e alcuni importanti edifici della Roma antica, posti sullo sfondo panoramico della città di Roma. Il restauro della Fontana è stato progettato e diretto dall’Istituto Centrale per il Restauro a partire dal 2000 e si è concluso nel settembre 2006. L’intervento di restauro è iniziato con un cantiere didattico al quale hanno partecipato gli allievi della scuola di alta formazione per il restauro dell’I.C.R., ed è proseguito dal 2003 al 2006 con affidamenti a ditte di restauro specialistico. Le difficili condizioni di conservazione della Fontana della Rometta sono strettamente legate alla sua conformazione che prevede un continuo fluire di acqua e una rigogliosa vegetazione nelle immediate vicinanze delle sculture. La formazione di alterazioni biologiche (nella forma di licheni, alghe e spessi strati di muschi) è stata facilitata infatti dalla continua presenza di acqua, per esempio sulla barca che rappresenta l’isola Tiberina. A queste si sono aggiunte le gelate invernali che hanno provocato il forte degrado delle malte che costituiscono il modellato di alcuni elementi come la statua dell’Appennino. Inoltre nel XVIII secolo più del 50% della quinta architettonica rappresentante i monumentini di Roma è crollata in seguito al verificarsi di gravi dissesti strutturali causati dalla crescita di radici all’interno del nucleo murario e da protratte infiltrazioni. Gli interventi di restauro della Fontana della Rometta sono stati finalizzati alla stabilizzazione delle strutture ed al controllo dei fenomeni che hanno portato il monumento al forte degrado precedente i restauri. Si tratta in gran parte di interventi conservativi, finalizzati al consolidamento dei materiali costitutivi, alla riadesione delle parti pericolanti (intonaci, malte interstiziali e di allettamento dei conci delle murature, parti strutturali delle architetture e delle sculture), alla sigillatura delle vie di accesso dell’acqua per infiltrazione ed al controllo biologico. La crescita di piante superiori e di microrganismi biodeteriogeni viene contrastata per mezzo di biocidi specifici applicati a più riprese. una serie di interventi di consolidamento, quali infiltrazioni di malte idrauliche (che assicurano la riadesione tra intonaci e murature o di aree frammentate delle sculture) e di stuccature con malte per riempire vuoti tra i conci o ricostituire piccole parti perdute del modellato delle statue. Piccole integrazione sono state realizzate anche in aree lacunose del paramento murario. L’accurata pulitura della superficie dai depositi terrosi e biologici consente una migliore lettura del monumento ed impedisce una ricrescita a breve di piante infestanti e biodeteriogeni. Sul piano estetico la superficie degli intonaci dell’emiciclo (parte sinistra della fontana) e la superficie molto deteriorata della statua dell’Appennnino sono state riequilibrate cromaticamente con prodotti a base di calce e pigmenti minerali. ICR Istituto Centrale per il Restauro Presentazione del Restauro Progettazione e Direzione dei lavori Gisella Capponi Donatella Cavezzali Direttori operativi Carla Giovannone Antonella Basile Agostino Burgarella Esperti scientifici Giuseppina Vigliano Giancarlo Sidoti Ada Roccardi Anna Maria Pietrini Sandra Ricci Antonella Altieri 57 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 58 La scansione laser tridimensionale: le attività dell’Istituto Centrale per il Restauro-Rilevamento e documentazione attraverso i sistemi scanner laser ICR Istituto Centrale per il Restauro T Ufficio rilevamento e documentazione Responsabile arch. Francesco Sacco Basilica inferiore di San Clemente Roma: rilievo effettuato dall’arch. Stefano D’Amico con la collaborazione di Angelo Rubino e due stagisti del Ministero della Cultura della Repubblica Popolare Cinese: Zai Paer e Guo Jinlong Domus Aurea Sale n. 112, 113, 114, 115, 131: rilievo effettuato dall’arch. Stefano D’Amico con la collaborazione di Mara Bucci e Angelo Rubino 58 ra le varie sezioni in cui si articolano le multi-disciplinari attività dell’ICR l’ufficio “Rilevamento e documentazione è composto da due sottounità, la prima preposta alla produzione grafica e fotografica, la seconda specificamente destinata al rilevamento ed ai suoi sistemi di rappresentazione. Il campo di applicazione di tale ultima sottounità copre tutte le possibili esigenze di rilevamento: da quello diretto al fotogrammetrico, allo stereofotogrammetrico grazie all’utilizzo integrato di attrezzature topografiche, fotografiche e specifici software di elaborazione dati. Nel corso degli anni l’attività dell’Ufficio ha costantemente accompagnato tutti i cantieri di restauro dell’Istituto sia in Italia che all’estero con significativi coinvolgimenti in progetti di cooperazione internazionale in Cina, Egitto, India, Iraq. Recentemente (Giugno 2006) grazie alla disponibilità dei Fondi Lotto sono stati acquisiti mediante gara europea anche due sistemi di scansione laser tridimensionale. Il primo strumento, principalmente destinato ad oggetti vicini, presenta un campo di azione limitato a 2 metri in grado di garantire elevatissime precisioni (decimi di millimetro) su oggetti di limitata estensione (statuaria, oggetti di scavo, piccoli manufatti mobili, dettagli architettonici particolarmente pregiati e non acquisibili diversamente). Il secondo strumento, dedicato al rilevamento dell’architettura, ha un campo di azione fino a 53 metri di distanza dallo strumento e pur con una inevitabile minor accuratezza rispetto allo strumento precedente, presenta tuttavia una grande velocità nell’acquisizione di una mole considerevole di dati (sino a 500.000 punti al secondo). Subito dopo un breve training di formazione sull’utilizzo delle nuove apparecchiature, si è da subito sviluppata la sperimentazione diretta dei due sistemi, di cui si da qui una prima breve testimonianza fotografica, attraverso campagne di rilevamento non fini a se stesse ma strettamente funzionali alla quotidiana attività d’ufficio sia dell’Istituto che di altre strutture appartenenti all’Amministrazione dei Beni e delle Attività Culturali. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 59 Esperienze recenti di rilevamento mediante scansione laser Al fine di evidenziare le potenzialità dei nuovi sistemi di rilevamento ed il loro fondamentale apporto nell’imprescindibile fase dell’acquisizione di tutti i dati finalizzati ad una conoscenza quanto più possibile esaustiva del manufatto, si presentano qui due recenti esempi entrambi romani svolti tra la fine del 2006 ed i primi mesi del 2007: il primo relativo alla Basilica inferiore di San Clemente è stato effettuato nell’ambito del cantiere attualmente in corso da parte dell’Istituto in collaborazione con la Soprintendenza per i beni archeologici di Roma. Tale cantiere affronta globalmente il problema conservativo dei dipinti murali presenti nella Basilica, con interventi anche di risanamento ambientale e strutturale (Direzione lavori arch. F.Sacco, dott. G. Tamanti). La seconda esperienza si inserisce all’interno di un più ampio e articolato intervento di messa in sicurezza della Domus Aurea (Commissario Delegato per la messa in sicurezza della Domus Aurea: Ing. Luciano Marchetti) con la collaborazione della Soprintendenza per i beni archeologici di Roma. Gli ambienti rilevati (112, 113, 114, 115, 131) si affiancano al più ampio rilevamento generale della zona est della Domus, eseguito anch’esso con tecnologia laser scanner e costituirà la base anche di un imminente cantiere dell’Istituto (R.U.P. arch. Donatella Cavezzali). 59 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:05 Pagina 60 I paramenti liturgici di Castel Sant’Elia. Problemi di conservazione e di fruizione Marica Mercalli, Silvia Checchi, Fabio Scala ICR Istituto Centrale per il Restauro La storia Hanno fatto parte del gruppo di lavoro nelle diverse fasi del progetto: per l’ICR: Marica Mercalli (RUP e direttore dei lavori) Silvia Checchi, Manuela Zarbà (Lab. restauro manufatti tessili) Esmeralda Senatore (Lab. restauro manufatti in metallo) Lidia Rissotto (Lab. restauro cuoio) Fabio Scala, Elisabetta Giani (Lab.fisica) Maria Rita Giuliani (Lab. biologia) Giancarlo Sidoti (Lab. chimica) Gloria Tammeo (architetto) Stefano D’Amico (documentazione grafica) Edoardo Loliva, Paolo Piccioni (documentazione fotografica) collaboratori esterni: Rosalia Varoli Piazza (ICCROM, storico dell’arte) Giusy Lally (ricercatrice) Claudia Kusch (Ditta Arakne, Roma, restauratrice) Irene Tomedi (Konservierung antiker Gewerbe, Bolzano, restauratrice) Laura Pace Morino, Emanuela Pignataro, Giovanna Cisternino Barbara Santoro (allieve, Corso di Restauro ICR) 60 Il complesso di paramenti liturgici conservato, attualmente, nel Santuario di Santa Maria ad Rupes a Castel Sant’Elia, presso Nepi (VT), costituisce un importantissimo insieme di vesti ed oggetti liturgici di epoca medioevale (ventinove tra tonache, dalmatiche, camici,pianete, mitre e sandali pontificali cui si devono aggiungere un frammento di tessuto, un altro frammento di antependio ed un cofanetto). La tradizione locale ritiene che, almeno quelli del nucleo più antico, siano appartenuti ai due santi abati Anastasio e Nonnoso, vissuti a Castel Sant’Elia nel VI secolo e sepolti nella Basilica benedettina di Sant’Elia. Questo culto ha avuto una fondamentale importanza per la salvaguardia delle vesti che furono considerate ‘reliquie’ dei due santi. La maggior parte dei paramenti, conservati per lungo periodo sotto l’altare maggiore della Basilica, può essere datata entro il 1258, anno in cui i benedettini lasciarono Castel Sant’Elia. Dopo varie vicissitudini e trasferimenti, le vesti furono poi riconsegnate alla chiesa di originaria appartenenza. Nel 1951 è documentato un intervento di restauro a cura della Soprintendenza alla Gallerie di Roma. Da questa data le vesti furono collocate in tre vetrine in un piccolo ambiente al piano terreno della casa del custode, nel Santuario di Santa Maria ad Rupes. Nell’estate del 2001 l’Istituto Centrale per il Restauro organizzò un primo cantiere didattico di ‘pronto intervento’ che aveva come scopo quello della messa in sicurezza dei preziosi paramenti, eliminando le macroscopiche cause di deterioramento costituite dalla loro inadeguata collocazione nelle vetrine realizzate negli anni ’50. Si capì allora che bisognava mettere a punto un complessivo progetto di restauro e di manutenzione ed emerse l’esigenza di individuare un nuovo ambiente espositivo per garantire una idonea conservazione degli oggetti e una migliore fruizione pubblica. A tal fine si è costituito un gruppo di lavoro che ha coinvolto anche le allieve del corso di Restauro in manufatti tessili. Due di loro hanno poi incentrato la tesi di diploma proprio sull’intervento di restauro di due vesti e sulla schedatura conservativa dell’intero complesso. Il comune di Castel Sant’Elia, in collaborazione con la Soprintendenza PSAE di Roma e del Lazio, ha individuato un ambiente in cui allestire un piccolo museo e un deposito avente anche la funzione di laboratorio per le manutenzioni. L’intervento di restauro Si è deciso di selezionare due manufatti della stessa tipologia (due pianete) che si trovavano in condizioni conservative molto differenti. La prima pianeta, in stato estremamente precario, è realizzata in sciamito di seta giallo-oro e rossa, bordata sul collo da una fascia in sciamito avana operato raffigurante piccoli animali entro orbicoli, foderata in lino rosso; l’altra è una pianeta in tela di lino naturale ornata da uno scollo in tessuto (ad arazzo) in seta e filati metallici, in migliori condizioni conservative. Il filo conduttore dell’intervento è stato il rispetto della storia degli oggetti e delle vicende conservative. Va ricordato che in linea di massima viene tramandato, conservato o riutilizzato ciò che è prezioso per fattura e materiali, mentre questi rari antichi paramenti sono testimonianza d’uso e adattamento di vesti liturgiche di impiego ordinario, e per questo ancor più significativi dal punto di vista storico. Inoltre dallo studio preliminare è risultato evidente che le modifiche subite nel corso del tempo, comprese le sottrazioni e addizioni di materiale, costituiscono una sorta di ‘valore aggiunto’, a testimonianza della venerazione di cui i paramenti sono stati oggetto. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 61 Sui manufatti è stata eseguita la pulitura per la rimozione degli agenti potenzialmente dannosi, quindi il consolidamento a cucito delle zone degradate. Questa estrema sintesi racchiude in realtà una complessa serie di confronti, scelte, abilità operative, che sono state necessarie durante tutte la fasi dell’intervento e che hanno visto attivamente coinvolto il gruppo di lavoro. In particolare la ricerca di una situazione di equilibrio fra la rimozione degli interventi precedenti e la riproposizione di elementi nuovi, necessari sia alla corretta conservazione che alla restituzione di leggibilità dei manufatti, è stata estremamente complessa e stimolante. Le indagini diagnostiche Le indagini scientifiche sono state rivolte in primo luogo alla comprensione dell’origine delle alterazioni cromatiche (macchie scure) presenti sui alcuni dei manufatti tessili, simili a quelle che si osservano su supporti cartacei, che lasciavano supporre la presenza del fenomeno definito foxing. Altro campo di applicazione dell’indagine scientifica è stato lo studio del microclima dell’ambiente nel quale sono attualmente conservate le vesti (Santuario di Santa Maria ad Rupes) e dell’ambiente, l’ex oratorio di Sant’Anna, in cui sarà allestito il nuovo Museo dei Paramenti liturgici. Prima di avanzare qualsiasi proposta di intervento abbiamo attivato nell’ambiente in esame, una campagna microclimatica, con rilevamento continuo per un anno, al fine di definire i parametri ottimali per la conservazione dei manufatti ed individuare, di conseguenza, le necessarie misure per migliorare la situazione ambientale, con eliminazione dei principali fattori di danno costituiti da luce, polvere e eccessivo tasso di umidità. Dopo l’intervento conservativo sarà necessario un controllo sistematico per garantire il mantenimento di condizioni termoigrometriche adeguate. Sono attualmente allo studio la definizione dei criteri di corretta esposizione dei manufatti restaurati, il progetto di restauro di altri sei paramenti, l’allestimento del museo e del deposito in cui saranno collocati e la progettazione di una vetrina ad atmosfera stabilizzata a sistemi passivi (con l’uso di Art-sorb), con controllo interno del microclima, e dotata di sistema di illuminazione realizzato con l’impiego di fibre ottiche e con opportuno filtraggio della componente UV della radiazione. Pianeta in sciamito di seta, XIII sec, Castel Sant’Elia, VT. Prima dell’intervento di restauro Pianeta in sciamito di seta, XIII sec, Castel Sant’Elia, VT. Dopo l’intervento di restauro 61 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 62 Signa Imperii – Le insegne del potere Il ritrovamento Il ritrovamento è avvenuto nelle campagne di scavo del 2005 e del 2006 condotte dall’Università di Roma “La Sapienza” e dirette dalla Prof. Clementina Panella presso le pendici nord-orientali del Palatino, in un’area del Parco Archeologico del Palatino data in concessione per scavi e ricerche dal Ministero dei Beni Culturali al Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Roma. ICR Istituto Centrale per il Restauro Il contesto L’Intervento conservativo è stato eseguito dalla restauratrice dell’ICR Esmeralda Senatore In una fossa praticata nella pavimentazione di uno degli ambienti sotterranei, appartenenti alle sostruzioni di una terrazza, realizzata in età neroniana (ma rimasta in uso fino ad età molto avanzata) per raccordare la pendice palatina con la valle del Colosseo i manufatti risultavano nascosti, accuratamente impilati e avvolti nel tessuto di seta e lino degli stendardi che li decoravano. I globi di vetro giallo ed il calcedonio facevano probabilmente parte di scettri in legno o altro materiale che non è pervenuto mentre la sfera verde era stata spinta poco più avanti dai prodotti di corrosione dello scettro a petali di cui faceva parte. Basandosi sui confronti iconografici e sui materiali ceramici ritrovati negli strati immediatamente adiacenti si è potuto risalire ad un periodo storico che coincide approssimativamente con quello dell’imperatore Massenzio. Tutti i reperti sono in mostra a Palazzo Massimo alle terme in Roma dal 23 febbraio alla fine di ottobre. L’intervento conservativo I Materiali I reperti sono composti in parti di materiali diversi poi assemblate meccanicamente: lega di ferro: punte delle lance e delle aste porta stendardi, petali e gambo dello scettro piccolo; lega di rame: codoli delle lance e delle aste porta stendardi; fascetta, manico e disco dello scettro piccolo; oro: piccoli frammenti di lamina; legno: foderi delle lance e delle aste porta stendardi, rivestimento del gambo dello scettro piccolo; vetro: due sfere gialle ed una verde; calcedonio: una sfera con foro passante; tessuto: ampi lacerti su tutti i reperti; pelle: alcuni frammenti. Lacerti di pelle non meglio identificati e piccoli frammenti di oro appartenenti alla fascetta dello scettro. Le tecniche Le parti in lega di ferro sono eseguite mediante battitura e forgiatura da massello, successivamente polimentate a freddo. Le parti in lega di rame sono realizzate in due modi: - la fascetta mediante battitura; - i codoli delle lance e delle aste porta stendardi, l’impugnatura e il disco dello scettro piccolo mediante fusione in stampi con la tecnica della cera persa, polimentatati a freddo e lucidati. Le parti in legno sono realizzate levigando e assemblando i vari elementi fino a formare delle scatole che dovevano proteggere le punte. Le sfere in vetro sono realizzate prelevando il bolo con aste in ferro e rollandolo su piani freddi e lisci. Il calcedonio è ottenuto da un unico cristallo levigato, lucidato e forato in due tempi. Il restauro Il trattamento dei reperti è iniziato sullo scavo mediante l’applicazione del consolidante. Dopo l’estrazione dalla terra si è controllato lo stato di ciascun manufatto, si sono inviati campioni ai laboratori scientifici dell’università. Le cospicue tracce di tessuto erano presenti grazie alla funzione biocida dei pro- 62 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 63 dotti di corrosione, il degrado delle parti in lega di rame era particolarmente contenuto, data la maggiore resistenza dell’oricalco, le parti in lega di ferro erano deformate e danneggiate da perdite di materiale, i loro prodotti di corrosione erano migrati sugli altri oggetti e nel terreno. Le operazioni di restauro hanno interessato le parti in lega di ferro mediante l’eliminazione della corrosione attiva, la conversione dei prodotti di corrosione, il consolidamento, le integrazioni mediante resina epossidica caricata e opportunamente colorata; particolare attenzione è stata riservata ai frammenti di legno ancora aderenti. Sulle parti in lega di rame sono stati prima eliminati i prodotti di corrosione attiva poi si è cercato di recuperare e conservare i lacerti di tessuto. Le operazioni si sono concluse mediante la disidratazione e il consolidamento. La difficoltà maggiore dell’intervento, trattandosi di un rinvenimento unico nel suo genere, è derivata dalla necessità di conservare tutti i materiali presenti. 63 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 64 L’Opificio delle Pietre Dure, fondato nel 1588, deve il suo nome alla secolare attività di lavorazione delle pietre dure per la Corte Granducale della Toscana. Oggi è uno degli Istituti Centrali del Ministero per i Beni e le Attività Culturali addetti alla conservazione e al restauro delle opere d’arte. Compiti OPD Opificio delle Pietre Dure Il restauro operativo, suddiviso in settori sulla base delle tipologie dei manufatti, ivi compresa la sperimentazione. La ricerca scientifica e tecnologica su materiali, tecniche e metodologie, compresa la sperimentazione a fini d’innovazione per quanto attiene la conservazione del patrimonio culturale. L’attività di consulenza scientifica e tecnica. La trasmissione delle conoscenze tramite l’attività formativa e informativa. La cura del Museo che conserva la memoria dell’antica manifattura. Organizzazione L’Opificio è uno dei più grandi laboratori operativi d’Europa. Ha un organico di circa 130 unità tra storici d’arte, restauratori, esperti scientifici, addetti di laboratorio, tecnici, impiegati, personale amministrativo ed ausiliario. È strutturato in: - Dodici Laboratori di Conservazione e Restauro: arazzi; bronzi e armi antiche; dipinti su tela e tavola; materiali archeologici; materiali cartacei e membranacei; materiali ceramici e plastici; materiali lapidei; mosaico e glittica; oreficerie; pitture murali; sculture lignee policrome; tessuti. - Laboratorio scientifico con competenze di tipo Chimico, Fisico e Biologico. - Laboratorio di Climatologia e Conservazione preventiva. - Scuola di Alta Formazione che comprende la sezione distaccata di Ravenna - Museo - Biblioteca specializzata - Archivio fotografico e documentario. - Archivio Storico. - Ufficio per la Promozione Culturale. Obiettivi La progettazione e l’esecuzione di interventi di restauro settoriali o inter-settoriali, per la conservazione del patrimonio culturale. L’avanzamento della ricerca scientifica e tecnologica e delle sue applicazioni al campo del restauro. Il funzionamento ottimale della Scuola di Alta Formazione, in attuazione delle norme esistenti, così da conferire agli allievi un’adeguata preparazione tanto teorica quanto pratica. La conservazione, l’interpretazione, l’esposizione e la valorizzazione delle collezioni di pertinenza del Museo. Il trasferimento delle conoscenze alla comunità degli addetti ai lavori e al pubblico generale, quindi con modalità sia specialistiche, sia divulgative. L’attività dell’Istituto, in forma di operatività e consulenze tecnico-scientifiche, si rivolge, dietro richiesta, a tutti i beni di interesse storico-artistico sottoposti alla tutela pubblica. Direttore Cristina Acidini Luchinat Coordinatore Fabio Bertelli Via degli Alfani, 78 50121 Firenze tel. 055 26511 fax 055 287123 [email protected] 64 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 65 Addio a Umberto Baldini Cristina Acidini Luchinat a scomparsa di Umberto Baldini, nella notte tra il 15 e il 16 agosto 2006, lascia un vuoto ingente nella cultura italiana e internazionale, lascia Firenze priva di uno dei grandi protagonisti della sua storia del secondo Novecento, e lascia tutti noi dell’Opificio delle Pietre Dure non solo profondamente addolorati, ma un po’ più soli di fronte alla nostra missione, affascinante quanto impegnativa, della conservazione delle opere d’arte contro i danni prodotti dal tempo, dalla natura, dall’uomo. Umberto Baldini è stato molto di più di uno dei Soprintendenti che hanno guidato l’Opificio in passato: è stato in effetti il “padre” dell’Opificio moderno, il creatore dell’attuale realtà istituzionale e metodologica dell’Istituto. Le tappe della sua vita professionale, che ripercorro in sintesi estrema specie a beneficio dei più giovani, mostrano la sua completa e appassionata dedizione a due filoni di studio e di operatività, la storia dell’arte e il restauro. Nato a Pitigliano nel 1922, si era laureato in Storia dell’Arte alla grande scuola di Mario Salmi ed era entrato nel 1949 nella Soprintendenza fiorentina come Ispettore. In uno dei suoi ultimi scritti, che abbiamo avuto il piacere di ospitare negli atti del convegno “Ugo Procacci a cento anni dalla nascita” (marzo 2005, atti pubblicati per i tipi di Edifir nel 2006), Baldini ricordava che già nel 1948 aveva iniziato a operare presso la Soprintendenza ch’era allora alle Gallerie di Firenze come una sorta di “ispettore in prova” volontario, e che nell’anno successivo era stato Procacci stesso ad invitarlo a collaborare con lui nel Gabinetto di Restauro, allora nella sede della Vecchia Posta agli Uffizi. Questo primo incarico in realtà avrebbe segnato tutta la sua vita: con il successivo passaggio di Procacci a Soprintendente, Baldini divenne Direttore del laboratorio, ruolo che in varie forme mantenne fino al 1983, dopo averne rivoluzionato la struttura e potenziato il ruolo, e avere consegnato al mondo dei beni culturali e alla città di Firenze una delle più efficaci istituzioni operanti per il restauro delle opere d’arte, la ricerca scientifica collegata, la formazione. Fu Baldini, insieme con Procacci, a far da guida nell’emergenza dell’alluvione del 4 novembre 1966. L’immensità del disastro (che a quarant’anni di distanza non cessa di rivelarsi mentre ne stiamo portando a termine, non senza fatica, il definitivo risarcimento) è stata descritta da molti in molte sedi, ma lascio la parola a Baldini allorché, nel comunicare alla “Commissione Restauri Opere d’Arte” presso il Ministero il programma dei lavori ai dipinti ricoverati nella Limonaia, non solo inquadrava lucidamente i danni e i possibili rimedi, ma sottolineava l’unicità della situazione: “Non si tratta di opere che hanno bisogno di operazioni normali ma si tratta di opere che hanno subito, rispondendo in vario modo, un danno eccezionale e che non ha dati sicuri di esperienza” (Relazione del 27 febbraio 1967, pubblicata negli atti del convegno Ugo Procacci a cento anni dalla nascita [2005], Firenze 2006, p. 121; e cfr. anche U. Baldini, I problemi del restauro, in Rapporto sui danni al patrimonio artistico e culturale: Firenze, 4 novembre 1966, Firenze 1967, pp. 63-66). In quei giorni, in quei mesi, l’esperienza inesistente si stava costruendo, ed è tuttora patrimonio, nonché elemento d’identità caratterizzante nel profondo, dell’Opificio odierno. Come spesso accade a Firenze e non solo, l’energia, la determinazione, la competenza di tanti al servizio di un solo scopo – risollevarsi a testa alta e ridare alla città il ruolo che il mondo le riconosce – col tempo seppero trarre, da un fatto profondamente negativo, opportunità e risultati. Baldini fu protagonista di quella lunga fase di recupero di un patrimonio devastato che diede frutti in termini di opere restaurate, espansione delle conoscenze scientifiche, crescita metodologica, con- OPD Opificio delle Pietre Dure L 65 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 66 divisione e visibilità internazionale delle tematiche del restauro. Nel 1972 la grande mostra “Firenze Restaura” dava conto dei recuperi compiuti nel lustro appena trascorso dall’alluvione, prodigiosi per qualità e quantità, entro la più vasta cornice dell’attività dei restauratori di Stato. Per la prima volta il grande pubblico si sentì attratto e coinvolto, affluendo da altre città e regioni per accostarsi a quello che apparve il “miracolo” compiuto a Firenze da squadre di esperti locali e stranieri, nonostante che nell’introduzione alla Guida alla mostra i curatori, lo stesso Baldini e Paolo Dal Poggetto, raccomandassero di non voler legare all’esposizione “neppure come intenzione lontana, alcun potere taumaturgico o tantomeno cattedratico” (Firenze restaura. Il laboratorio nel suo quarantennio, Firenze 1972, p. 9). In realtà la mostra e la sua Guida, come con modestia fu definito il catalogo, si proposero come una pietra miliare nel restauro italiano e internazionale, cogliendo dall’intensa operosità del passato remoto e recente, cito ancora una volta, “quei motivi che, al di là di una mera cronaca da consuntivo, possano servire a fare una storia di problemi, di impostazioni, di tecnica come di teoria”. A quel punto, nel mondo del restauro fiorentino si erano individuati luoghi e competenze; si erano stabilite alleanze, come quella destinata a crescere e a diversificarsi con l’universo della ricerca scientifica; si era profilata con chiarezza la necessità di potenziare e regolare la formazione dei restauratori. Nel frattempo, molto era accaduto anche sul piano istituzionale: quel piano di organizzazione normativo-amministrativa degli organi, cui spesso il cittadino guarda con fastidio liquidando indistintamente tutto coll’epiteto ormai assimilabile a un insulto di “burocrazia”, laddove si ha invece a che fare con strumenti di formidabile potenza che, ben usati, possono cambiare in meglio il corso delle cose e le vite delle persone. Un padiglione della Fortezza da Basso, di proprietà demaniale in consegna al Genio militare, era stato assegnato alla Soprintendenza fiorentina affinché, trasferitevi le opere dal ricovero provvisorio della Limonaia di Boboli (dove Paolo VI aveva reso visita al Crocifisso di Cimabue) fosse trasformato in un Gabinetto di Restauri, del quale Baldini fu nominato direttore con la piena responsabilità del restauro di quadri, affreschi e sculture policrome, come da Ordine di Servizio di Ugo Procacci del 4 gennaio 1968. Poco più di due anni dopo Baldini passava a dirigere l’Opificio delle Pietre Dure (con disposizione del ministro Misasi del 3 novembre 1970) e di fatto assumeva la guida congiunta dei due grandi centri esistenti in Firenze per la cura e la conservazione delle opere d’arte: quello della Soprintendenza e quello dell’antico Opificio che, nato dall’insieme dei laboratori della corte prima medicea e poi lorenese e sabauda, si era“riconvertito” al restauro dopo l’Unità d’Italia, sfruttando le conoscenze acquisite e l’abilità artigianale delle maestranze per destinarle non più alla produzione, bensì alla conservazione di commessi di pietre dure, mosaici, sculture e arredi in materiale lapideo, in sintonia con una esigenza di restaurare le opere del passato che si veniva affermando in Italia e in Europa. Grazie alla sua lucidità di visione e alla sua instancabile energia Baldini, investito di un mandato pieno e completo, riuscì in quella che poteva apparire una sfida invincibile, ovvero far riconoscere a livello normativo l’esistenza di un “nuovo” istituto specializzato nella conservazione, autonomo dalla Soprintendenza, con competenza nazionale: nuovo e insieme antico, con caratteri di centralità eppure locale per le sue radici fiorentine, deuteragonista su una scena in cui dal 1939 si era affermato l’Istituto Centrale per il Restauro di Roma. La creazione del Ministero per i Beni Culturali, compiuta tra la fine del 1974 e gli inizi del 1975, voluta dal fiorentino Giovanni Spadolini che ne fu il primo ministro, fu l’occasione per realizzare quello che sembrava una sogno. Bastarono a ciò due righe in una legge, la L. 44/75, che definiva “l’antico opificio mediceo delle Pietre Dure, quale istituto specializzato per il restauro delle opere d’arte operante sull’intero territorio nazionale” (art. 11), e una conferma 66 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 67 nel successivo D.P.R. del 3 dicembre 1975 n. 805 sull’Organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (art. 23). Una Scuola di Restauro divenne attiva dal 1978-79. Furono operazioni di grande respiro, ma irte di difficoltà e avversate da più parti, che Baldini seppe condurre in porto con la sua consueta energia ed efficacia. Se l’Istituto odierno è noto e stimato per l’operatività d’eccellenza, se la ricerca scientifica si è sviluppata al suo interno ed è in rete con centri internazionali, se la sua Scuola dopo il riconoscimento di Alta Formazione ha ottenuto l’equipollenza del titolo di diploma con la laurea magistrale quinquennale a ciclo unico (ed è un risultato conseguito solo nel marzo 2006, dopo il lungo e defatigante impegno di chi mi ha preceduto), tutto questo si deve alla lungimiranza di Baldini, che pose le condizioni per una crescita dell’Istituto ben al di là dei confini locali, sia pure ancora in assenza di quell’autonomia che egli stesso vedeva necessaria, e richiedeva, già dagli anni ‘70. Se i Medici di fatto crearono l’Opificio, e i Lorena e Savoia lo mantennero consegnandolo allo Stato Italiano come manifattura pubblica, fu Baldini a conferirgli l’identità odierna. Certo – per amor di contesto storico – erano anche gli anni che Baldini stesso poteva rievocare come quelli in cui l’Opificio, guida indiscussa della salvezza delle opere devastate dall’alluvione, “giustamente fu difeso a viso aperto dalla città” (Firenze 10 anni dopo, in “Atti del Convegno sul Restauro delle Opere d’Arte” (1976), Firenze 1981, I, p.19). A onor del vero le sorti di quell’Opificio sono state difese dalla città, all’occorrenza, in analoghi termini di fierezza dantesca. Nel 1983 Baldini fu chiamato a dirigere l’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, pressoché in coincidenza con la seconda grande mostra sul restauro da lui curata a Firenze, “Metodo e Scienza. Operatività e ricerca nel restauro” (1982-83), che esponeva le opere restaurate alla luce dei principi guida cui si ispiravano lui e i suoi: il rigore metodologico di scelte basate su una chiara teoria del restauro, la centralità dell’approccio scientifico come supporto della conoscenza, l’unità di metodo. Se nella mostra del 1972 il Cristo del Cimabue era stato simbolo di tragedia e di riscatto ma anche sublime campo di sperimentazione per la messa a punto di teorie e pratiche di reintegrazione delle lacune in pittura nei noti termini di “astrazione” e “selezione” (con affinamenti e sviluppi della teoria di Cesare Brandi), nella mostra del 1982 dominò la presenza della Primavera del Botticelli, mirabilmente ricondotta alla sicurezza conservativa e al godimento estetico. Da Roma, Baldini continuò a rivolgere le sue attenzioni alle cose di Firenze e in particolare al cantiere di restauro della Cappella Brancacci con le pitture murali di Masaccio, Masolino, Filippino Lippi. L’età “della pensione” (1987) lo trovò in piena attività e gli permise di dedicarsi alle due istituzioni da lui personalmente e appassionatamente guidate: l’Università Internazionale dell’Arte, creata da Carlo Ludovico Ragghianti sottogli auspici della Regione Toscana per avviare al restauro studenti anche stranieri, e la Fondazione Horne, responsabile del mirabile Museo omonimo, che era stato uno degli interessi del suo predecessore Ugo Procacci. Sul versante del restauro, proseguì il suo importante ruolo nell’ambito dei progetti finalizzati per i beni culturali del C.N.R. E a proposito del C.N.R., col quale Baldini stabilì una fruttuosa collaborazione, mi pare giusto ricordare come egli provvedesse a una vicinanza fisica tra le due istituzioni, assegnando al Centro guidato da Franco Piacenti la palazzina, dalla struttura di antica casa-torre, adiacente all’Opificio in Via degli Alfani. Al termine di un lungo ciclo di trasferimenti dei centri e istituti scientifici dal centro storico fiorentino al Polo Scientifico di Sesto, il Centro lasciò l’edificio e, anche grazie al determinante interessamento di Paolo Blasi che mi è qui caro ringraziare, esso tornò disponibile per l’Opificio ed è ora pronto a ospitare uffici e aule per la Scuola, una delle quali è intitolata a Umberto Baldini. 67 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 68 Non è qui possibile fornire una bibliografia completa degli scritti di Baldini, sebbene sia questo un obiettivo che ritengo doveroso proporsi e raggiungere. Nel lungo elenco dei suoi scritti troveremmo titoli fondamentali su artisti della grande stagione creativa fiorentina come Masaccio, Beato Angelico, Michelangelo: scritti di uno storico dell’arte finissimo, e che sapeva mettere le sue esperienze ravvicinate sulle opere d’arte al servizio di perspicaci esegesi. Uno dei suoi ultimi interventi ha riguardato appunto il grande Michelangelo, nel presentare al Museo Horne un Crocifisso ligneo che potrebbe rinviare al suo periodo giovanile. Ma solo per ricordarlo come autore di scritti sul restauro, a un aurorale Il restauro in “Antichità viva” del 1966 (n. 6, pp. 24-32) seguirono titoli fondamentali e tra essi Teoria del restauro e unità di metodologia in due volumi, Firenze 1978 e 1981, ristampato nel 1995. È dunque un onore, oltre che un motivo d’affettuoso rimpianto, sentirsi eredi di Umberto Baldini quale autentico protagonista della scena italiana del restauro dopo Cesare Brandi. E se ci mancheranno la sua presenza e il suo consiglio (dei quali è stato generoso, con gli antichi colleghi e con me, fino all’ultimo), ci piacerà pensarlo come sempre partecipe dei nostri problemi di esistenza e ormai di sopravvivenza, in un peggioramento di quelle condizioni di ristrettezza progressiva che a un certo punto lo indussero a chiedersi: dobbiamo chiudere bottega? Nel momento in cui concludo questo editoriale mi si annuncia come imminente l’incarico di Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino, e mentre questa posizione impegnativa e prestigiosa mi propone una sfida che sono onorata di accettare, è il momento di dedicare qualche istante di riflessione ai sei anni trascorsi all’Opificio. A guardarmi indietro vedo con piacere le molte cose fatte e le molte mete raggiunte (questa rivista ne ha dato puntualmente conto e continuerà a farlo), dalla sfera sensibile più concreta dove sta l’ascensore di Via degli Alfani all’ambito normativo più istituzionale dove si colloca l’ottenuta equipollenza del titolo di diploma della Scuola di Alta Formazione alla laurea magistrale quinquennale a ciclo unico. Vedo una compagine di colleghi umanamente e professionalmente eccezionali e una rete di rapporti dal locale al globale, come si usa dire, di palese eccellenza. E tuttavia l’antico Opificio, traghettato alla contemporaneità dai miei predecessori, nel suo proiettarsi verso il futuro rivela fragilità e punti critici. Se fosse una creatura viva, e a me così talvolta piace pensarlo, andrebbe amorosamente nutrito e protetto, piuttosto che sottoposto a processi di “ottimizzazione” e “razionalizzazione” che rischiano di alterarne l’inimitabile identità; quel tratto che appartiene a Firenze e in egual misura al mondo, e che proprio Baldini seppe intendere, valorizzare e difendere. 68 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 69 Il restauro della Croce di Rosano OPD Opificio delle Pietre Dure L’ Opificio ha recentemente ultimato il complesso restauro della Croce dipinta appartenente al Monastero di Rosano e databile al secolo XII, opera che rappresenta uno dei più antichi testi pittorici dell’arte italiana. L’intervento di restauro è stato contrassegnato da una serie di interessanti scoperte che hanno consentito di gettare nuova luce sull’opera, sul suo significato e sulla particolare tecnica artistica impiegata. Questo restauro si colloca, infatti, all’interno di un più ampio progetto di studio sulla tecnica della pittura su tavola in un secolo così lontano, iniziato con il restauro della Croce di Maestro Guglielmo di Sarzana (datata 1138), che fin da un primo esame appariva molto diversa da quella più conosciuta nelle opere dei secoli successivi, e continuato poi attraverso il restauro della Madonna di Santa Maria Maggiore di Firenze e lo studio comparato dell’arte pisana del XII e XIII secolo, in occasione della mostra Cimabue a Pisa del 2004. È infatti evidente quanto sia non corretto ricercare nei dipinti di questo secolo XII i parametri tecnici più noti, ma successivi, quelli cioè della pittura giottesca (così come codificati dal Libro dell’Arte di Cennino Cennini): in assenza di una precisa trattatistica sulla pittura del XII secolo, risulta quindi particolarmente importante lo studio diretto dei testi materiali. L’intervento di restauro sulla Croce di Rosano, quindi, ha avuto una doppia valenza: di conservazione del prezioso dipinto e di studio delle sue caratteristiche tecniche. Una particolarità di questo restauro che fin dall’inizio si è rivelata importantissima e anche affascinante dal punto di vista storico è stato l’aver scoperto che l’opera non aveva mai subito prima un vero e proprio restauro (solo interventi di adeguamento dimensionale) e dunque presentava assolutamente integra su tutta la superficie pittorica la vernice originale, cosa invero assai rara, coperta solo da strati di sporco e depositi atmosferici e da una vernice più recente, probabilmente seicentesca. Probabilmente questo ultimo strato risale infatti all’epoca in cui la Croce venne resecata in alto e in basso, privandola tra l’altro del titulus crucis e verosimilmente di un tabellone con storia dipinta superiore, per necessità interenti un suo spostamento di collocazione: i documenti dell’epoca, infatti, la citano al di sotto di un organo, nella controfacciata della chiesa. Nella stessa occasione venne aggiunta anche una cornice intagliata e dorata, inchiodata e incollata sulla superficie pittorica perimetralmente, che copriva parte della raffigurazione pittorica, che originariamente arrivava infatti fino al bordo estremo, (e infatti nel corso del restauro non si sono trovate tracce che attestassero la presenza di alcuna cornice originale). Il supporto è costruito con solide assi di castagno, l’essenza legnosa usato di prevalenza nelle opere toscane del secolo XII. Pur essendo in buone condizioni come materia, esso mostrava gravi segni di cedimento strutturale, nella giunzione principale dell’incastro tra il corpo verticale ed il braccio orizzontale, e nel raccordo tra tavolato e traverse, ormai quasi del tutto staccate dal supporto stesso. È stato perciò necessario un complesso lavoro di riadesione delle parti e di risanamento delle zone degradate, previa separazione degli elementi costitutivi al fine anche di rimuovere lo sporco accumulatosi negli spazi interni. La protezione dall’attacco di insetti xilofagi e un generale consolidamento della parte esterna del legno hanno completato l’intervento sul supporto. La pulitura della pellicola pittorica ha rivelato molte particolarità tecniche, a cominciare dalla struttura degli strati preparatori: questi sono costituiti da un doppio strato di una tela assai sottile, e varie stesure, assai sottili e a granulometria molto fine, del gesso (che si è rivelato essere anidro e legato con gomma vegetale anziché con colla animale come di consueto). La doratura a guazzo è applicata senza lo strato sottostante a base di bolo; la materia pittorica è molto sottile, i pigmenti stesi con scarso corpo e con forti analogie con la tecnica coeva della miniatura. L’intervento di restauro è stato diretto da Marco Ciatti e Cecilia Frosinini ed è stato coordinato ed eseguito da Roberto Bellucci (coadiuvato per la parte pittorica da Francesca Bettini, Linda Lucarelli, Salvatore Meccio, Kyoko Nakahara); il restauro del supporto ligneo si deve a Ciro Castelli, Mauro Parri e Andrea Santacesaria 69 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 70 Tutte queste scoperte sono state rese possibile da un’importante campagna diagnostica di indagine condotta sia dal Laboratorio scientifico dell’OPD, sia da una serie di collaborazioni con altri Istituti di ricerca (ENEA, IFAC-CNR, INOA, INFN, ecc.). È stata inoltre scoperta una cavità nascosta nel braccio verticale della croce che ospitava una reliquia, un frammento di osso e una piccola croce in pietra, di forma simile a quella che i crociati riportavano dalla Terra Santa. E forse proprio in relazione al ritorno di un crociato illustre l’opera venne commissionata. Si pensa infatti che un evento plausibile, anche per motivi di ordine cronologico, sia quello della monacazione nel 1130, di Sofia dell’illustre famiglia dei grandi feudatari toscani dei Conti Guidi che in quella data, il 25 marzo, prese il velo giovanissima nel monastero di Rosano, che poi era destinata a reggere come badessa. La sua monacazione che coincise con la solenne consacrazione della nuova chiesa, e una ricchissima dotazione devoluta al monastero da parte dei Conti Guidi. La giovane Sofia era orfana del padre, il temibile Guido Guerra, già alleato di Matilde di Canossa, morto probabilmente in seguito a malattia contratta in Terra Santa dov’era stato crociato. È quindi possibile che la reliquia e la piccola croce ritrovate all’interno della Croce, fossero il pegno di un ex-voto o comunque il ricordo del padre della committente. E certo una accentuazione iconologica relativa al Sepolcro è presente nelle storie che circondano il Christus Triumphans di Rosano. Ben cinque sono le storie post mortem, essendone due sole dedicate alla passione vera e propria, contrariamente a quanto avviene nelle altre Croci dipinte; tre sono scene funerarie vere e proprie e una racconta di un altro sepolcro, quello del Limbo, destinato ai patriarchi. La scelta principale del restauro è stata basata sulla ovvia considerazione della straordinaria importanza della Croce quale documento artistico e materico di un così lontano periodo storico, dalla quale abbiamo derivato due considerazioni: la volontà di rendere leggibile con la maggior chiarezza possibile questo documento, eliminando le trasformazioni successive (cornice e nuova vernice), e la decisione di ridurre al minimo indispensabile la fase di reintegrazione delle lacune, soprattutto di quelle perimetrali, per alterare il meno possibile la sua autenticità e non appesantire il dipinto con la nostra materia moderna. Molto delicata è stata la fase della pulitura che ha previsto di conservare la vernice antica, a base di gomma vegetale, ma di assottigliarla leggermente per compensare il forte fenomeno di alterazione e di inscurimento al quale essa era andata incontro col tempo: scelta che ha cercato di far convivere dialetticamente i due opposti valori del rispetto della materia originale e del ristabilimento della sua funzione, che era quella di esaltare la pittura e non certo di renderla quasi invisibile. Le novità dal punto di vista storico artistico dovranno essere attentamente valuta- 70 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 71 te dagli studiosi, ma sembrano evidenti alcune prime riflessioni: la totale assenza di influssi bizantini e la presenza di un linguaggio occidentale e romanico; la volontà descrittiva quasi “realistica” di alcuni dettagli; la resa plastica di luci e di ombre, sia pur nel generale schematismo, di alcuni dettagli del carnato, come, per esempio, nelle gambe. L’intera operazione è stata seguita con la fattiva partecipazione dal Monastero di Rosano che ha seguito tutte le fasi più significative e le scelte di volta in volta assunte. D’intesa con la competente Soprintendenza per il PSAE, l’Opificio ha fornito una consulenza anche sulle più opportune modalità di ricollocazione al fine di assicurare il rispetto dei più opportuni criteri di conservazione preventiva. L’intervento di restauro è stato agevolato dal generoso contributo del Banco Desio s.p.a., che ha messo a disposizione delle risorse aggiuntive che hanno reso possibile una più veloce conclusione dei lavori. Gli studi e le ricerche compiute sulle Croce di Rosano saranno oggetto di un volume della collana “Problemi di Conservazione e Restauro” di questo Opificio che sarà pubblicato nella prossima primavera e che sarà presentato all’interno di una apposita giornata di studio. 71 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 72 La Scuola di Alta Formazione: corsi in corso e prospettive future Alessandra Griffo OPD Opificio delle Pietre Dure L’ 72 Opificio delle Pietre Dure di Firenze ha, per legge, tra i propri compiti istituzionali, quello di provvedere alla formazione di restauratori. Al suo interno opera quindi una Scuola di Alta Formazione, attualmente articolata in un percorso quadriennale e secondo specializzazioni che fanno capo ai settori di restauro in cui è organizzato l’istituto stesso e cioè dipinti mobili, dipinti murali, scultura lignea, tessili, materiali cartacei e membranacei, mosaico e commesso, lapidei, bronzi e armi antiche, materiali ceramici e plastici, oreficeria e arazzi. Dal 2004 è stata riconosciuta quale sezione distaccata della sede fiorentina la Scuola per il Restauro del Mosaico, gestita dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, attiva dal 1984 e strettamente legata al cospicuo patrimonio musivo locale. Il Decreto Legislativo 156 del marzo 2006, correttivo e integrativo al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, ha aperto una nuova fase. Il riconoscimento dell’equipollenza del titolo rilasciato dalle Scuole del Ministero per i Beni e le Attività Culturali con quello delle lauree magistrali offerte dalle Università ha infatti innescato un processo di riorganizzazione. Si prevede la stesura di un nuovo regolamento e soprattutto la definizione di una nuova struttura di corsi modulati su cinque anni e finalizzati ad aree specialistiche più ampie che pur approfondendo le già presenti competenze teoriche di natura umanistica e scientifica non tradiscano la vocazione eminentemente pratica e applicativa della scuola. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 73 Gli aspetti della conservazione negli Archivi di Stato Compito primario dell’Amministrazione archivistica è quello di assicurare la conservazione dell’immenso patrimonio documentario esistente nel nostro Paese. È ormai consolidata, nella comunità degli archivisti, un’accezione ampia e dinamica di questo termine, inteso come insieme delle operazioni che assicurano la tutela, la salvaguardia e la fruizione del “bene archivio”. Tra queste si collocano, a pieno titolo, i numerosi interventi di recupero delle sedi di Istituti archivistici, spesso costituiti da straordinari complessi architettonici, che sono stati portati a termine di recente con notevole impegno di risorse finanziarie ed umane. Il risultato è la “restituzione” a grandi e piccoli centri urbani di edifici monumentali che si configurano come straordinario contesto per la conservazione dei documenti; le sedi degli Archivi di Stato di Genova e Ferrara ne costituiscono solo un esempio. L’amministrazione degli Archivi di Stato dispone anche di un articolato servizio di tecnologia archivistica, con Sezioni di fotoriproduzione e Laboratori di legatoria e restauropresso numerosi Archivi di Stato (Torino, Venezia, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo, Cagliari, per citare solo i più importanti). Le Sezioni hanno compiti operativi in favore degli Archivi presso cui sono istituite e dei vicini istituti archivistici, sia per ciò che attiene all’attività interna degli istituti stessi (microfilm di sicurezza, di sostituzione, di completamento, ecc.), sia per far fronte alle richieste di fotocopie e di microfilm da parte degli utenti. Tutti gli Archivi di Stato e le Soprintendenze archivistiche dispongono di apparecchi di riproduzione; diversi Istituti hanno potenziato il settore con l’acquisizione di apparecchiature per la riproduzione digitale. Per quanto riguarda in particolare il restauro, trasformatosi da “pratica artigiana” in vera e propria disciplina a livello universitario, numerosi sono gli interventi che vengono effettuati sia sul materiale conservato negli Archivi di Stato, che su quello vigilato dalle Soprintendenze, appartenente ad enti e a privati (in un solo anno sono stati finanziati ben 34 interventi su materiale archivistico statale e 33 su quello non statale). Tra le attività volte alla conservazione dei documenti, ha assunto particolare rilievo quella svolta dal Laboratorio di fotoriproduzione, legatoria e restauro dell’Archivio di Stato di Rieti che dal luglio 2002, per incarico della Direzione Generale, è divenuto il fornitore preferenziale degli Istituti Archivistici. Archivio di Stato di Genova Direzione Generale degli Archivi Maurizio Fallace Referente Promozione e Comunicazione Marina Giannetto Direttore Generale Maurizio Fallace Via Gaeta, 8/a 00185 Roma [email protected] 73 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 74 La sede: Palazzo Borghi L’adeguamento funzionale Archivio di Stato di Ferrara Direzione Generale degli Archivi L’ Direttore Antonietta Folchi Corso della Giovecca, 146 44100 Ferrara tel. 0532 206668 fax 0532 207858 [email protected] 74 Archivio di Stato di Ferrara, istituito con d.m. 15 novembre 1955, conserva documentazione di uffici statali, di enti pubblici e di privati ricadenti nella circoscrizione dell’attuale provincia. Vi si custodisce anche la parte di archivio comunale di Antico Regime che, insieme agli atti notarili, agli archivi del Luogo pio degli esposti, dell’arcispedale Sant’Anna, della famiglia Bentivoglio d’Aragona, recentemente acquistato dalla Amministrazione archivistica, costituisce la parte più consistente e rilevante di tutto il patrimonio conservato. I circa settantamila pezzi, di cui oltre tremila pergamene, coprono un arco cronologico di nove secoli, a partire dall’XI, con antecedenti del sec. X. L’edificio si trova nella zona centrale della città non molto lontano dal Castello Estense Ha sede in un complesso denominato Palazzo Borghi, costituito da tre corpi di fabbrica risalenti a epoche successive. Il Palazzo, già di proprietà della Provincia di Ferrara, è stato recentemente acquistato dall’Amministrazione archivistica. La parte più antica, cinquecentesca, affaccia su Corso della Giovecca e insieme agli altri due corpi, posti alle spalle, delimita il cortile interno. L’uno fu costruito ex novo verso la metà degli anni ’60 per ospitare il pozzo deposito principale, l’altro, di epoca ottocentesca, è stato in anni più recenti dalla Provincia che lo ha utilizzato per l’allocazione di alcuni uffici fino al 1998. L’analisi dello stato funzionale e della situazione in rapporto alle normative di sicurezza ha evidenziato la necessità e l’urgenza di rilevanti interventi di adeguamento riguardanti in modo specifico gli allestimenti dei depositi archivistici, gli impianti speciali di sicurezza a servizio degli stessi, e pertanto non competenti alla proprietà, ma all’Amministrazione archivistica. L’analisi ha anche evidenziato come lo spazio disponibile, corrispondente alla porzione in affitto, fosse insufficiente a garantire la funzionalità attuale e futura dell’Istituto, stante la necessità di disporre di consistenti nuovi spazi di deposito, di uffici, della sezione catasto (con deposito e consultazione), della biblioteca nonché di servizi generali e laboratori. Pertanto, al fine di tutelare, valorizzare e rendere maggiormente fruibile l’ingente patrimonio documentario cittadino già esistente e in vista degli incrementi futuri, è stato da tempo predisposto a cura della Direzione generale per gli archivi un progetto generale di ristrutturazione e di adeguamento dell’immobile che prevede l’estensione degli spazi di pertinenza dell’Archivio a tutto il complesso architettonico. Il progetto consentirà di raddoppiare l’attuale capacità dei depositi, assicurando nello stesso tempo una funzionalità notevolmente elevata sia per quanto riguarda l’organizzazione degli uffici che dei servizi diretti al pubblico. Nel quinquennio 2000-2005 sono stati realizzati rilevanti interventi di adeguamento che hanno riguardato: 1 - la bonifica dei locali a piano terra dell’ala storica da cui sono stati ricavati nuovi depositi archivistici per una ricettività di duemila metri lineari di scaffalatura; nuovi servizi igienici, nuova scala, a norma, di collegamento con il primo tra il primo piano; 2 - l’allestimento degli impianti di sicurezza e di servizio nei nuovi locali a piano terra adibiti a deposito; 3 - l’allestimento degli impianti di sicurezza e di servizio nel corpo di fabbrica prospiciente Via Coramari; 4 - il consolidamento e restauro dello scalone monumentale;. 5 - la realizzazione degli impianti di sicurezza nei locali di deposito ricavati nel sottotetto dell’ala Coramari. A completamento dei lavori di recupero e di adeguamento alle norme di sicurezza è previsto l’intervento di ristrutturazione funzionale del pozzo deposito princi- Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 75 pale. L’Amministrazione è già in possesso del progetto definitivo ed esecutivo che include la realizzazione di solai, impianti di servizio e di sicurezza e l’installazione di scaffalature compatte, con il duplice obiettivo di rendere più razionale la conservazione del materiale e più organica la connessione con l’ala storica. Ma l’obiettivo è anche quello di valorizzare attraverso il restauro, gli importanti elementi storico-architettonici del complesso edilizio. 75 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 76 Il Laboratorio di fotoriproduzione, legatoria e restauro Archivio di Stato di Rieti Direzione Generale degli Archivi I Responsabile del progetto Irma Paola Tascini Responsabili tecnici Angelina Aniballi Orlandino Santarelli Personale tecnico Giuseppina Bigioni Giuseppina De Luca Luciana De Luca Giuseppina Marella Direttore Irma Paola Tascini Viale L. Canali, 7 02100 Rieti tel. 0746 204297 fax 0746 481991 www.asrieti.it [email protected] 76 l laboratorio di fotoriproduzione, legatoria e restauro dell’Archivio di Stato di Rieti è stato istituito nel 1970. Particolare sviluppo, nell’ambito della conservazione, ha avuto il settore della cartotecnica. Nel corso degli anni il laboratorio ha notevolmente accresciuto la sua attività, acquisendo attrezzature all’avanguardia per la realizzazione dei contenitori necessari alla conservazione permanente del materiale documentario. Dal luglio 2002, per incarico della Direzione Generale per gli Archivi, il laboratorio è divenuto il fornitore preferenziale degli Istituti Archivistici, realizzando per gli stessi diverse tipologie di contenitori, prodotti con materiali che rispondono ai requisiti chimici e tecnici indicati dalla normativa vigente in materia di conservazione dei documenti. Le risorse umane impiegate e le macchine di cui dispone il laboratorio, consentono la produzione annua di circa 100.000 contenitori di diverse tipologie e misure, permettendo in tal modo di soddisfare in tempi utili la maggior parte delle richieste che pervengono. La produzione di contenitori è stata estesa anche ad altre amministrazioni pubbliche, che, secondo quanto previsto dal codice dei beni culturali, versano un contributo all’Archivio di Stato per le forniture richieste. Il laboratorio dell’Archivio comprende, inoltre, una sezione per il restauro ed una per la fotoriproduzione. Quest’ultima è stata di recente ampliata con la dotazione di attrezzature per la riproduzione digitale. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 77 La Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali (DGBLIC) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali svolge funzioni e compiti in materia di biblioteche pubbliche statali, di servizi bibliografici e bibliotecari nazionali, di istituti culturali, di promozione del libro e della lettura (art. 12, comma 1 del DPR 173/2004). Al fine di valorizzare e rendere fruibile il patrimonio culturale posseduto da biblioteche, archivi e altre istituzioni culturali italiane, sono stati sviluppati programmi e progetti realizzati attraverso l’uso delle più avanzate tecnologie informatiche e telematiche: il Servizio Bibliotecario Nazionale – SBN; la Biblioteca Digitale Italiana – BDI; il portale Internet Culturale; il sito Italia Pianeta Libro. Il Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), attivo dal 1992 e in continua espansione, è stato promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la cooperazione delle Regioni e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e coordinato dall'Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU). Il catalogo SBN è consultabile attraverso l’OPAC (Online Public Access Catalogue) delle biblioteche Italiane, cui aderiscono 2.994 biblioteche pubbliche statali, universitarie, ecclesiastiche, di enti locali, di archivi, di conservatori, di istituti di ricerca e di cultura. Nel 2000 è stata realizzata la versione dell’OPAC SBN denominata SBN OnLine che permette la ricerca anche su altri cataloghi di biblioteche italiane e straniere che utilizzano lo standard Z39.50. SBN offre l’opportunità di ricercare i documenti per tipologia, utilizzando specifici canali quali: libro antico, libro moderno, musica, periodici, materiale grafico e cartografia, per un totale complessivo di circa 50.000.000 localizzazioni. È stata realizzata recentemente una evoluzione strutturale dell’Indice SBN (Indice2) che ha comportato un rinnovamento tecnologico dell’hardware e del software (con il passaggio su piattaforma UNIX, l’utilizzo di XML e l’adozione dello standard UNICODE), l’apertura a sistemi gestionali non SBN e, soprattutto, la razionalizzazione e ristrutturazione delle diverse basi dati esistenti (moderno, antico e musica) in un'unica banca dati integrata. La base dati dell'Indice SBN è consultabile in Internet, 24 ore su 24, agli indirizzi: http://opac.sbn.it, http://sbnonline.sbn.it e http://www.internetculturale.it/, e tramite il Gateway Z39.50 della Library of Congress. Ulteriori informazioni sulla struttura SBN sono reperibili sul sito dell’ICCU (www.iccu.sbn.it) Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali Progetti e programmi della Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali Testo a cura di: Adriana Martinoli Direttore Luciano Scala Via Michele Mercati, 4 00197 Roma tel. 06 36216300 fax 06 3216437 [email protected] 77 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 78 Biblioteca Digitale Italiana – BDI Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali I l programma Biblioteca Digitale Italiana (BDI), promosso dalla Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali, è una piattaforma di iniziative integrate nell’ambito delle collezioni del patrimonio culturale. Il coordinamento è affidato a un Comitato Guida (composto da rappresentanti delle biblioteche statali e regionali, dei musei, dell’università, della ricerca) con il compito di definire le linee guida del programma, fissandone i principi fondamentali e delineando il quadro di riferimento culturale e scientifico entro cui collocare le iniziative esistenti ed avviare quelle nuove. Negli anni di attività (dal 2001 a oggi), sono stati conclusi numerosi progetti di digitalizzazione che hanno riguardato, in particolare, tre aree tematiche: musicale, storico-letteraria e scientifica. In riferimento all’area musicale sono stati digitalizzati oltre 12.000 documenti tra i quali si possono citare le seguenti collezioni: - la collezione della Biblioteca del Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli, che raccoglie oltre un milione di immagini digitali. Contiene oltre 3.500 volumi manoscritti e numerose partiture autografe di compositori quali Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, Cimarosa, Paisiello e Pergolesi; - gli autografi di Pierluigi da Palestrina conservati presso l’Archivio musicale del Capitolo Lateranense di Roma; - i Codici miniati medioevali della congregazione di S. Domenico di Perugia custoditi presso la Biblioteca Augusta di Perugia; - il Fondo manoscritti musicali che comprende volumi di musica sacra corale dal ’500 all’800 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma; - le partiture di Alessandro Stradella (Biblioteca Estense di Modena); - gli autografi di Antonio Vivaldi (Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino); - i fondi Contarini e Canal, nonché il corpus di sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti (Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia); - il Fondo Clementina Sala dell’Accademia Filarmonica Romana; - gli autografi di Gaetano Donizetti e di Giovanni Simon Mayr (Civica Biblioteca Mai di Bergamo); - i manoscritti liturgici del Museo Internazionale e Biblioteca della Musica e della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna; - i manoscritti musicali di pregio della Biblioteca del Conservatorio Cherubini di Firenze; - L’Archivio storico Ricordi, il più importante archivio privato musicale in Italia, che conserva una variegata documentazione (manoscritti autografi, partiture, materiale teatrale, foto, lettere etc…) relativa a personalità come Verdi e Puccini; - La principale collezione pubblica italiana di documentazione sonora ed audiovisiva della Discoteca di Stato – Museo dell’Audiovisivo; - La fortuna di Verdi: ricezione e cultura musicale attraverso la stampa e i periodici coevi (Casa della musica – Parma); - Progetto Giacomo Puccini: dagli anni di formazione ai primi traguardi attraverso le fonti musicali e documentarie lucchesi (Istituto musicale Boccherini – Lucca). L’area storico-letteraria comprende: - la completa riproduzione della collana “Scrittori d’Italia” creata da Benedetto Croce nel 1910, edita da Laterza. Si tratta di 179 opere letterarie in 288 volumi con 135.000 immagini scansionate; - la Biblioteca Italiana, con digitalizzazione di 1.600 opere dalle origini della letteratura all’inizio del XX secolo; - corpus sulla Lingua italiana che comprende testi digitalizzati dal XVI secolo al XIX secolo (Accademia della Crusca); 78 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 79 - Viaggi nel testo. Ipertesti sulla vita di scrittori famosi: Dante, Petrarca, Manzoni e altri; - 67 pubblicazioni periodiche storiche antecedenti il 1860 (Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea e la Biblioteca Universitaria di Pisa); - database dei periodici storici (Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte) 115 periodici specializzati per ca. 900.000 scansioni; - completa digitalizzazione della collezione Muratori (S.I.S.M.E.L.); - Inventario delle biblioteche medioevali italiane (S.I.S.M.E.L.). Le collezioni digitalizzate e disponibili che rientrano nell’area scientifica sono: - Galileo//thek@ è un progetto che offrirà la biblioteca digitale tematica della collezione galileiana per un totale di 70.000 pagine (Istituto e Museo della Storia della Scienza di Firenze); - Itinerari scientifici in Toscana: 18 itinerari geografici e 2 biografie. (Regione Toscana e IMSS di Firenze); - Testi matematici – Promosso dalla Biblioteca Digitale della Scienza Italiana con il contributo della Biblioteca Europea di informazione e Cultura di Milano; - nuovo itinerario tematico di Leonardo da Vinci (Regione Toscana e IMSS di Firenze). Sono inoltre in fase di avanzamento significativi sviluppi tecnologici e nuove aree tematiche che riguardano: - lo sviluppo di applicazioni di sistemi multimediali che presentano unità semantiche (testuali e materiale multimediale) sul web, con più modalità di accesso (Pinakes); - ReMI – Rete della Musica Italiana, progetto, da realizzarsi con il contributo tecnico-scientifico del Laboratorio di Informatica Musicale dell’Università di Milano, volto alla conservazione dei contenuti musicali (partiture, libretti, materiale epistolare, bozzetti, fotografie di scena, etc.) e alla fruizione integrata dei supporti informativi (manoscritti, edizioni a stampa, audio e video); - Percorsi 3D – (Regione Emilia Romagna e provincia di Ravenna): la passeggiata virtuale all'interno degli spazi si simula utilizzando mouse e tastiera, attraverso l'utilizzo delle nuove tecnologie applicate ai Beni Culturali; - la digitalizzazione del materiale cartografico (Biblioteca Marciana di Venezia); - un percorso enogastronomico nelle regioni d'Italia. Nell’ambito della conservazione della memoria digitale, la Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali collabora nell’azione coordinata, sotto la guida della Commissione Europea, relativa al progetto “Digital preservation Europe” (DPE) www.digitalpreservationeurope.eu Il Portale Internet Culturale Nato dal progetto “Biblioteca Digitale Italiana e Network Turistico Culturale” (BDI&NTC), approvato e cofinanziato dal Comitato dei Ministri per la Società dell’Informazione (CMSI) nel marzo del 2003, rende fruibili i risultati delle attività nell’ambito della digitalizzazione e offre l’accesso integrato alle risorse digitali e tradizionali di biblioteche, archivi e altre istituzioni culturali italiane, oltre a informazioni relative alle attività, ai progetti, alle collezioni e ai contenuti digitalizzati. Al momento attuale le immagini digitali acquisite e disponibili dalle pagine di Internet Culturale sono 9.350.000 di cui 6.850.000 relative ai cataloghi storici e 2.500.000 relative alle aree tematiche su menzionate. A marzo 2006 è stato rilasciato in forma sperimentale un servizio di e-commerce che consente l’acquisto 79 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 80 on-line di un primo nucleo di oggetti digitali messi a disposizione da alcune istituzioni culturali italiane. La Ricerca Bibliografica è disponibile attraverso canali specifici relativi a: Libro Antico, Libro Moderno, Musica, Grafica e Cartografia. La ricerca nei Cataloghi storici digitalizzati consente la consultazione di 215 cataloghi storici conservati in 35 biblioteche pubbliche. La raccolta comprende cataloghi a volume e a scheda di diversa tipologia (alfabetici per autore e titoli, topografici, sistematici, misti) oltre ai cataloghi generali. Nella collezione sono inoltre presenti alcuni cataloghi di materiali speciali (manoscritti, carte geografiche, stampe, musica scritta) e di singoli fondi o raccolte. Sui Cataloghi speciali è possibile effettuare una ricerca tematica sulle basi dati relative al Censimento delle Edizioni italiane del XVI secolo (Edit16), alla Bibliografia dei manoscritti in alfabeto latino conservati in Italia (Bibman), al Censimento dei manoscritti delle biblioteche italiane (Manus), e al Progetto di censimento, descrizione e riproduzione digitale dei palinsesti greci (Rinascimento Virtuale). Il modulo Altri Cataloghi permette la ricerca simultanea su Cataloghi italiani e stranieri conformi allo standard Z39.50. I documenti digitalizzati sono ricercabili attraverso le sezioni Collezioni Digitali (con una descrizioni dei principali fondi) e Contenuti Digitali (che premette di interrogare i repository e la banca dati digitale). Il portale permette, attraverso i suoi Percorsi Culturali, di accedere alla versione digitale di mostre (Mostre), a ipertesti (Viaggi nel Testo), a itinerari che coniugano contenuti culturali nel territorio (Itinerari Turistico-Culturali) fino a veri e propri viaggi tridimensionali all’interno di ambienti virtuali (Percorsi 3D). Italia Pianeta Libro Creato nel maggio 2005, il sito web Italia Pianeta http://www.ilpianetalibro.it, è un osservatorio sull’editoria e sulla lettura in Italia. Comprende banche dati di case editrici, libri del mese, riviste di cultura, la versione on-line dei periodici Libri e Riviste d’Italia e Accademie & Biblioteche d’Italia, laboratori di lettura per le scuole e numerose altre informazioni sul mondo del libro. All'interno del sito si trova "Ottobre piovono libri", un panorama d'insieme sulla prima importante campagna di promozione della lettura, che ha coinvolto nel 2006 oltre 250 “luoghi della lettura” dei Comuni italiani. Siti web di riferimento - Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali-DGBLIC: http://www.librari.beniculturali.it - Internet Culturale: http://www.internetculturale.it - ICCU: www.iccu.sbn.it - Biblioteche pubbliche statali: http://www.bibliotechepubbliche.it - Istituti culturali: http://www.istituticulturali.it - Comitati Nazionali per le celebrazioni e le manifestazioni culturali: http://www.comitatinazionali.it 80 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 81 Q uando si parla di conservazione delle risorse digitali nel lungo periodo, l’aspetto organizzativo (definizione di infrastrutture, ruoli e responsabilità) è sicuramente un tema decisivo. Dal punto di vista delle istituzioni della memoria la conservazione delle risorse digitali può essere vista come un servizio pubblico fornito da depositi digitali accreditati (trusted digital repositories) [TDR 2002]. Per servizio pubblico si intende proprio quel servizio che – ritenuto essenziale e strategico da una determinata comunità – è accessibile indipendentemente dalle possibilità economiche del fruitore. Per depositi digitali accreditati si fa riferimento a standard per la certificazione di affidabilità. Il servizio pubblico di conservazione delle risorse digitali ha lo scopo di assicurare nel lungo periodo per le risorse digitali depositate [definizione basata su LYNCH 2000, OAIS 2002, KUNZE 2005]: - la vitalità (viability): le sequenze di bit che compongono i file sono intatte (ogni risorsa depositata può essere rappresentata da uno o più file); - la traducibilità da parte di un elaboratore (renderability): un determinato hardware e un determinato software sono in grado di gestire le risorge digitali depositate, come ad esempio visualizzare a video un documento in formato PDF; - l'autenticità delle risorse depositate: intesa come documentazione della identità e della integrità; - la fruibilità da parte delle comunità di riferimento. Ad esempio il deposito rende possibili servizi quali quelli proposti dal modello FRBR: trovare, identificare, selezionare, ottenere una risorsa digitale (o un insieme di risorse) In molti casi le risorse digitali per essere depositate dovranno essere convertite in formati controllabili e gestibili nel tempo dal servizio di deposito. Da un lato infatti il servizio di deposito non può accettare formati che sono sconosciuti o protetti (si pensi ad esempio ai file protetti da DRM), dall’altro per certe tipi di risorse il servizio pubblico potrebbe definire regole per l’accettabilità dei formati. Ad esempio, nel caso del web profondo (deep web) le risorse digitali che il servizio pubblico di deposito prende in consegna non sono necessariamente identiche (a livello di bit) a quelle che si presentano nella realtà. Le risorse digitali appartenenti al web profondo sono di solito memorizzate in database relazionali e i contenuti vengono pubblicati dinamicamente a seguito della compilazione da parte di un utente dei campi di un modulo di richiesta. In questo caso il servizio pubblico potrebbe accettare solo risorse digitali esportate dai database in un formato standard. Un contributo al primo obiettivo – la vitalità (viability) delle risorse acquisite – è offerto dal progetto Magazzini digitali – finanziato nel 2006 dalla Fondazione Rinascimento Digitale e dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze – che si propone di realizzare una sperimentazione di archiviazione per un ammontare di dati ritenuto significativo (10 terabyte). Il nome del progetto richiama i magazzini librari delle biblioteche nazionali che acquisiscono le pubblicazioni attraverso il deposito legale. Per molti aspetti i magazzini digitali sono paragonabili a quelli analogici: - le risorse digitali devono essere conservate a lungo termine; - le risorse digitali si incrementano per aggiunta (come un libro dopo l’altro sullo scaffale): la cancellazione o la modifica di una risorsa non è una opzione prevista; - è impossibile prevedere con che frequenza una risorsa digitale sarà usata: probabilmente molte risorse saranno raramente usate e qualcuna non lo sarà mai. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Giovanni Bergamin Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali Il progetto Magazzini digitali: prove di sperimentazione Direttore Antonia Ida Fontana P.zza Cavalleggeri, 1 50122 Firenze tel. 055 249191 fax 055 2342482 [email protected] www.bncf.firenze.sbn.it 81 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 82 L’architettura del progetto è ispirata a due grandi archivi di risorse digitali esistenti: Google e Internet Archive. Per il primo si fa qui riferimento all’intervento presentato da un gruppo di ricercatori di Google al Convegno sui sistemi operativi SOSP’03 dal titolo The Google file system [GFS 2003]. Per il secondo si fa riferimento al forum sul Petabox iniziato nel 2004 ma ancora attivo sul sito web di Internet Archive [IA 2004]. Sia Google che Internet Archive partono dalla considerazione che nel mondo dei sistemi informatici il malfunzionamento non è l’eccezione, ma la regola. Il rischio di perdere i dati può essere affrontato tramite la ridondanza (più copie dello stesso file su macchine differenti e localizzate in luoghi differenti) e la facile sostituibilità dei componenti hardware. Il componente più adatto a questo scopo è proprio il personal computer: poco costoso, facilmente sostituibile e soprattutto non dipendente da un particolare fornitore hardware o software. Oggi un comune personal computer casalingo può arrivare ad archiviare fino a 4 TB (4 dischi da 1000 GB) con tecnologia SATA (ovvero proprio quella oggi più diffusa). Il progetto Magazzini digitali sta sperimentando concretamente questa soluzione: - 10 personal computer (di tipo industriale montati su rack, ognuno di quali dotato di 4 dischi SATA da 500 GB) sono stati installati secondo il principio dell’architettura multisito: 5 alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e 5 alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma; - sulle macchine è stato installato un sistema operativo con codice sorgente aperto (open source) ovvero una comune distribuzione Linux (Fedora Core 5); - la replica dei dati di base su software open source (rsync): per evitare particolari dipendenze (per esempio da dispositivi di controllo dei dischi) non viene fatto uso di tecnologie RAID; - è previsto anche un terzo sito che utilizza – per aumentare la sicurezza complessiva del sistema – una tecnologia del tutto differente dai primi due siti: si tratta di una copia dei dati su nastri magnetici del tipo LTO Ultrium3. Il sito ha le funzioni tipiche dell’archivio nascosto (dark archive [BL 2005]) ovvero di quell’archivio da usare solo nei casi di emergenza; - in pratica per ogni file l’architettura complessiva prevede cinque copie: attraverso rsync i dati sono replicati sia all’interno dello stesso sito su macchine differenti, sia nei differenti siti (due copie a Firenze, due a Roma e una nel dark archive). Questa architettura si presenta come “scalabile” (la capacità di archiviazione può essere facilmente incrementata senza particolari vincoli compreso quello di acquisire nuovo hardware dallo stesso fornitore del precedente) e di facile manutenzione (non sono richieste particolari specializzazioni, sono sufficienti tecnici che conoscono il funzionamento di un personal computer). Le evoluzioni del progetto Magazzini digitali previste nel 2007 si occuperanno di ulteriori aspetti della conservazione delle risorse digitali a partire dal secondo obiettivo – la traducibilità (renderability) da parte di un elaboratore cercando di mettere insieme le soluzioni tecnologiche che in questo campo cominciano a essere disponibili (il riferimento è alle strategie di emulazione e migrazione principalmente). La certificazione dei Magazzini digitali è inoltre prevista come parte essenziale del progetto. In questo contesto la certificazione è quel processo che permette di verificare che l’infrastruttura complessiva sia in grado di rispondere al terzo e al quarto obiettivo (autenticità e fruibilità). Il punto di partenza sarà il documento Audit checklist [RLG 2005] del RLG che prevede la verifica degli aspetti che seguono: - aspetti istituzionali e organizzativi; - funzioni, processi e procedure; - comunità di riferimento e uso dell’informazione; 82 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 83 - tecnologie e infrastruttura tecnologica (questo punto equivale alla certificazione della sicurezza dei sistemi informatici prevista dalla norma ISO 27001-2005 che si propone di specificare i requisiti Information Security Management System). Se l’accesso alla memoria digitale della società è un servizio pubblico che le istituzioni della memoria sono oggi chiamate ad offrire, il successo di questo servizio non dipenderà solo dalla disponibilità di strumenti tecnologici, ma anche e soprattutto da adeguate soluzioni organizzative. Il servizio pubblico di conservazione delle risorse digitali non è un servizio centralizzato, ma il risultato di una forte cooperazione tra le istituzioni della memoria. 83 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 84 Gestire e condividere i restauri: una piattaforma in rete Clara Baracchini Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione S Art Past direttore dei lavori Clara Baracchini vice Soprintendente per i beni architettonici e il paesaggio e per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico per le province di Pisa e Livorno Direttore Generale Antonia Pasqua Recchia Via del Collegio Romano, 27 00186 Roma tel. 06 67232960 fax 06 67232897 [email protected] 84 i sta concludendo il progetto ARTPAST (applicazione informatica in rete per la tutela del patrimonio artistico e storico), di responsabilità della Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione, che si proponeva di approfondire la conoscenza, e facilitare la condivisione, del patrimonio culturale: tutte le soprintendenze sono dunque state chiamate a digitalizzare le schede catalografiche che lo descrivono come le foto che lo raffigurano, popolando così il Sistema Generale del Catalogo, e a verificare e sperimentare il Sistema Informativo degli Uffici Esportazione, sviluppato negli anni precedenti per impulso della Direzione Generale per il Patrimonio Storico e Artistico. Ma il progetto ha affrontato anche il problema di come strutturare e informatizzare la documentazione di restauro, nella consapevolezza che è ormai tempo di riconoscere a questa attività, essenziale per una corretta tutela, lo status di attività istituzionale e di disciplina autonoma, in grado di dare doverosa e trasparente informazione sugli interventi effettuati e di supportare la progettazione e il monitoraggio di quelli in corso. In presenza di un affinamento teorico e metodologico, ma in assenza di un adeguato strumento tecnologico, si è proposto alle Soprintendenze di avviare, a titolo sperimentale, una prima strutturazione della documentazione in loro possesso, utilizzando due SW sviluppati in Toscana da due giovani società (Liberologico e MBIgroup), sulla base di una analisi dei requisiti effettuata dalla Soprintendenza e dall’Università degli Studi di Pisa e supportata dalla consulenza della Scuola Normale Superiore. Nel corso dei lavori, abbiamo riscontrato che effettivamente le Soprintendenze erano alla ricerca di strumenti che fossero loro di supporto per la gestione degli archivi storici e correnti, contenenti lettere, schede di catalogo storiche, pratiche di importazione ed esportazione, perizie e relazioni di interventi di restauro (talora solo previsti o proposti ma non realizzati né autorizzati), fotografie che spesso risultavano essere la sola testimonianza di un restauro, ed altro materiale archivistico, riguardante la storia della tutela delle opere in generale. L’attenzione era spesso concentrata soprattutto sulla documentazione relativa ai restauri, con l’intento di strutturare ed inserire tutte le informazioni utili per la progettazione di un futuro intervento, ricorrendo anche, in assenza o in penuria di documentazione scritta, a quella raccolta negli archivi fotografici. A queste caratteristiche rispondeva già in buona parte il sistema informativo AR.I.S.T.O.S. (ARchivio Informatico per la Storia della Tutela degli Oggetti Storico artistici), nato nel 2001, come applicazione stand alone, con l’obiettivo di modellare, all’interno di un progetto di ricerca sulla storia della tutela, i contenuti tratti da un complesso insieme di documenti custoditi negli archivi della Soprintendenza di Pisa, e divenuto poi uno strumento web-based dedicato all’organizzazione e alla gestione delle informazione relative alla storia della tutela concepita in tutti i suoi diversi aspetti, anche se con un peculiare interesse per la storia del restauro e della catalogazione. Per un anno il SW è stato utilizzato dalle Soprintendenze, piegandolo alla differenziata casistica da loro proposta: catalogazione degli archivi di restauro, per accertare quanto meno consistenza e natura delle opere restaurate, catalogazione storica e analitica delle fasi di restauro, esplorazione dei modi in cui una fotografia può parlare ed esplicare un intervento, recupero della memoria di un territorio o di uno specifico aspetto della tutela. Ne è nata una preziosa analisi sul campo che ha consentito di affinare in corso d’opera caratteristiche e funzionalità del Sistema Informativo sotto test. Ma le Soprintendenze cercavano anche uno strumento per gestire la documentazione amministrativa e tecnica dei restauri in corso, per ottimizzare il flusso e l’organizzazione dei dati fin dal loro nascere, organizzandoli e condividendoli in rete tra tutti gli addetti (storici, architetti, restauratori, analisti, archivisti), per agevo- Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 85 lare la valutazione preventiva di un intervento, in termini di metodi, di tempi e di costi, il monitoraggio dell’avanzamento dei lavori, la stesura dell’ormai obbligatorio per legge piano di manutenzione. La possibilità di avere in rete un sistema capace di geo-riferire su di una immagine fedele e misurabile dell’oggetto d’intervento un complesso data-base, proposta da SICaR (Sistema Informativo per la documentazione georeferenziata di Cantieri di Restauro), di fatto un GIS web-based, sembrava aderire a tali richieste. Nato all’interno di un progetto finanziato dalla Regione Toscana (OPTOCANTIERI) come sviluppo in rete dell’esperienza di AKIRA GIS, un sistema sviluppato sotto il controllo e la responsabilità di Gisella Capponi nell’ambito del restauro dei paramenti della Torre di Pisa, SICaR consente infatti di incrociare le informazioni di carattere tecnico prodotte durante il restauro (metodi, materiali e strumenti usati nell’intervento, analisi chimiche, fisiche, petrografiche, indagini sul degrado e su interventi precedenti, sulla struttura materiale e sulle tecniche esecutive) con i dati (testuali, iconografici, video, ecc.) relativi alla conoscenza del bene e alla sua storia, mettendo in grado gli operatori non solo di riferirli ad una rappresentazione vettoriale dell’oggetto ma anche di mappare direttamente su un’immagine misurabile di esso. Il sistema permette infatti agli operatori di inserire i dati, strutturati in apposite schede, unendoli alla porzione della rappresentazione digitale cui si riferiscono – e di farlo direttamente dalla loro postazione di lavoro (sia essa un laboratorio o l’impalcatura di un cantiere). La ricerca, assai agevole, garantisce un accesso trasversale e incrociato a tutte le categorie di dati gestiti – informazioni geometriche, raster, documenti testuali, ipertesti (HTML) o testi semistrutturati (XML). Anche per SICaR è stata effettuata una lunga sperimentazione, prima verificandone la capacità di contenere e comunicare interventi già eseguiti, poi testandolo su alcuni cantieri in corso di progettazione: il lavoro ha anche in questo caso fatto emergere la richiesta di nuove, più specifiche funzionalità che si stanno valutando assieme anche al Centro di Restauro di Venaria Reale, al Politecnico di Milano, alle Università di Siena e di Udine. Per fare il punto della situazione e stimolare una riflessione collettiva sull’argomento, è stato inserito nel convegno che, come tutti gli anni, il nostro Ministero organizza al Salone del Restauro di Ferrara, un seminario dal titolo “Il cantiere di restauro: strumenti di supporto”. Infatti, nella fase conclusiva del progetto ARTPAST, la sperimentazione, attuata e positivamente conclusasi per quanto attiene le prestazioni tecnologiche dei SW proposti, si sta fortificando grazie ad una attenta revisione dell’impalcatura metodologica e della adeguatezza del lessico, affidata dalla Direzione Generale all’Istituto Centrale del Restauro –passo indispensabile per mettere stabilmente a disposizione degli organi periferici del Ministero strumenti corretti ed utili ad adempiere al dovere istituzionale di creare una piattaforma in rete che consenta a tutti di costruire insieme, ognuno per le proprie competenze, la storia e il futuro della tutela del nostro patrimonio. 85 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 86 La Madonna di Montereale Chiesa di Santa Maria in Pantanis di Montereale (AQ) Calcedonio Tropea Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico dell’Abruzzo Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Abruzzo L L’opera è stata oggetto di analisi nell’ambito del progetto Art Past, per l’informatizzazione dell’archivio dei restauri e la georeferenziazione degli interventi stessi. Direttore dei lavori Calcedonio Tropea Direttore Roberto Di Paola Via Portici di San Bernardino, 3 67100 L’Aquila tel. 0862 487244 fax 0862 420882 Coordinatore Paola Carfagnini Soprintendente Anna Imponente Coordinatore Paola Carfagnini Via Ottaviano Colecchi, 52 L’Aquila tel. 0862 633478 fax 0862 633436 [email protected] 86 a Tavola della Madonna di Montereale occupa un posto di assoluta rilevanza, nell’ambito del patrimonio storico artistico abruzzese, per la eccezionale qualità dei valori formali e coloristici che la contraddistinguono. Opera di straordinaria suggestione, veneratissima dal popolo di Montereale, piccolo centro montano, sito in prossimità del capoluogo, fu protagonista di una singolare vicenda conservativa, a partire dal settembre del 1958, allorquando il Soprintendente Raffaello Delogu, avendone ravvisato il gran pregio ed il pessimo stato di conservazione, ne dispose il prelievo ed il trasferimento all’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Ma l’operazione fu impedita dalla fermissima, corale opposizione dei fedeli, talmente irreducibile ed ostinata, da scoraggiare ineluttabilmente ogni altro tentativo in tal senso, che venne puntualmente reiterato da tutti, o quasi, i Soprintendenti che si avvicendarono nella direzione dell’ufficio, sì da conferire alla questione lo spessore di un caso di rilevanza inusitata, che oltrepassava i confini regionali. La tavola veniva addirittura custodita, a turno, nelle abitazioni dei vari membri della locale Confraternita della Madonna in pantanis, con continui spostamenti che ne rendevano assai ardua l’individuazione. Infine, si fece ricorso ad un singolare e risolutivo espediente: il dipinto, ormai ridotta ai minimi termini, fu ricoverato nel conventino di S. Leonardo, residenza di Suore di clausura e come tale inviolabile e inaccessibile. Questa situazione, apparentemente senza sbocco, fu finalmente superata, grazie all’accorta opera di sesibilizzazione e di mediazione svolta dal Soprintendente Renzo Mancini, il quale, con l’aiuto dell’Arcivescovo dell’Aquila, riuscì a convincere la Confraternita ad acconsentire al restauro ed alla esposizione dell’opera nel Museo, garantendone la disponibilità per la celebrazione della solenne festa del 15 di agosto. Essa fu quindi sottoposta, in loco, ad una serie di interventi preliminari che ne consentisssero lo spostamento e, di seguito, trasferita presso l’Istituto Centrale del Restauro, il 19 di agosto del 1982. Prima del restauro l’opera era appesantita da varie aggiunte ed orpelli: il tondo con il volto nimbato della Vergine era adorno di due testine lignee di angeli settecenteschi; una passamaneria dorata correva lungo il bordo; un drappo rosso copriva pietosamente la vistosa lacuna nella zona inferiore; due corone metalliche erano applicate sulle teste della Madonna e del Bambino; una lamina di ottone, infine, rivestiva il tergo della tavola. Essa era interessata da numerosi attacchi di insetti xilofagi e da estese fessurazioni, oltre che da un generale stato di sollevamento degli strati preparatori. Gravi danni erano stati provocati dall’inserzione di chiodi, per l’apposizione di offerte e banconote, secondo un inveterata quanto improvvida tradizione locale, causa di abrasioni e cadute di colore, innumerevoli. Abbondanti ridipinture erano state eseguite nelle campiture di fondo e nella veste del Bambino nonché in corrispondenza dei nimbi, nella dipintura in basso a finto porfido e nella fascia decorativa di contorno. Lungo i bordi del manto erano presenti stuccature e ritocchi. In generale, l’intera superficie era rivestita da uno strato di vernice ossidata e da un velo di materia untuosa oltre che da numerose sgocciolature di cera. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 87 Il restauro fu dunque eseguito nell’anno 1982, per conto della Soprintendenza, da Pietro dalla Nave, del Consorzio C.A.R.M.A., nei locali dell’ Istituto Centrale per il Restauro di Roma, per poter usufruire di un supporto tecnologico e scientifico di livello ottimale. Dopo aver rimosso le sovrastrutture non originali, evidenziando una leggera imbarcatura della tavola, si è proceduto alla doppia disinfestazione in camera a gas con bromuro di metile ed al consolidamento da tergo del supporto ligneo, con diverse applicazioni di Paraloid B72, diluito al 2 - 3 %, in tricloroetano. Lungo tutte le fessurazioni presenti sono stati praticati solchi a V, risarciti con cunei di 6/ 8 cm., in legno stagionato della stessa essenza. Tutta la struttura è stata rafforzata con cinque traversine scorrevoli, formate da due piattine di alluminio sovrapposte, applicate con “gattelli” lignei fissati a colla, in modo da ottenere un “effetto a balestra”, capace di assorbire le flessioni del legno, senza inibirne i movimenti naturali. Per ottenere una perfetta connessione tra il tondo e il corpo della tavola ed evitare possibili oscillazioni, sono stati realizzati due ponticelli, sagomati a misura, per il cui fissaggio, con viti a brucola, sono stati utilizzati i fori preesistenti, entro i quali sono stati inseriti dei nottolini in ottone per l’alloggiamento delle viti. Si è poi proceduto al risanamento dei difetti di adesione degli strati preparatori e della pellicola pittorica, con iniezioni di Gelvatol 40/ 20, diluito in acqua e alcool etilico al 10%, nonchè alla pulitura del colore, eseguita sulla base di tests di solubilità e preceduta da una serie di analisi stratigrafiche dei vari pigmenti che, fra l’altro, hanno confermato che l’azzurro del manto della Madonna venne realizzato con lapislazzuli. È stata recuperata la cromia del manto verde del Bambino e della base, dipinta ad imitazione del porfido. Sebbene non originali, essendo stata esclusa dagli esami al Pinacoscopio ed ai raggi U.V. la presenza di uno strato di colore sottostante, le zone corrispondenti alla fascia decorative di contorno ed ai piedi della Vergine non sono state rimosse. Le ridipinture dei nimbi sono state asportate a bisturi e con dimetilformammide e acetato di amile. I chiodi infissi più profondamente nel legno non sono stati estratti, per evitare cadute di colore. Le stuccature con gesso di Bologna e colla di coniglio sono state limitate alle lacune di minime entità, facilmente reintegrabili; per le lacune più estese, si è preferito lasciare a vista la tela sottostante, la quale, dall’analisi microscopica, è risultata essere di lino. Le abrasioni del colore sono state velate ad acquerello ed è stato uniformato il tono delle lacune e della preparazione. Su tutta la superficie della tavola, infine, è stato applicato un velo di vernis à retoucher. Lo slancio ascensionale della nobilissima figurazione, qualificata dai raffinati linearismi dei panneggi e dall’ ovale perfetto del volto della Vergine, che si risolve nel ben calibrato inserimento del nimbo, la sontuosa pregnanza di un colore prezioso, esaltato al massimo grado dall’uso del lapislazzulo, l’opulenza di un apparato decorativo, falcidiato dal tempo, ma che doveva essere in origine di straordinaria ricchezza, sono tutti fattori che concorrono all’unisono, in mirabile sintesi, a determinare il livello qualitativo di assoluta eccellenza dell’opera ed a conferirle un carisma inusuale, di forte impatto emotivo, che traspare con evidenza, inducendo nel riguardante un senso di mistica, reverente soggezione. 87 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 88 La Tavola di Montereale si apparenta, insieme ad una nutrita serie di altre consimili, pregevolissime produzioni, presenti in area calabro campana, culminanti nella Madonna amalfitana di S.Maria de flumine, ora al Museo di Capodimonte, assegnata allo scorcio del XIII secolo, ad un altrettanto consistente gruppo di opere pugliesi che trovano il loro capostipite nella splendida icona conservata nell’episcopio di Andria, ritenuta degli inizi del secolo e autorevolmente riferita al vivace ambito di cultura messinese, di cui sarebbero parte anche le Madonne Khan e Hamilton della Galleria Nazionale di Washington ed in cui si attua una intensa apertura, in direzione del continente, che coinvolge “apporti fiorentini, pre o pra-coppeschi, trapassati anche alla Madonna di Montevergine, che il Bologna ha precisato in direzione della Madonna già Gerli, ricondotta al pittore fiorentino noto come Maestro di S.Leonino a Panzano”. 88 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 89 Il Castello federiciano di Melfi: un restauro per la fruibilità Antonio Giovannucci Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Basilicata L a Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Basilicata, nel coordinare le attività delle tre Soprintendenze di settore – per i Beni Archeologici, per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico – ha dedicato particolare attenzione alle attività di restauro, in quanto elemento fondamentale per la tutela del patrimonio e la sua conservazione, oltre che base essenziale e indifferibile per le azioni di promozione e valorizzazione. Le attività di restauro vengono condotte sul territorio regionale in piena sinergia con gli Istituti del Ministero e con gli Enti locali fin dalla fase di programmazione degli interventi, nell’intento di coniugare le oggettive e indifferibili esigenze di tutela con le imprescindibili aspettative delle comunità locali. In tale ottica si pone uno degli interventi che hanno in maggior misura qualificato le attività del 2006: il restauro del Castello di Melfi, che rappresenta il risultato di una lunga attività finalizzata al recupero dell’intero complesso, le cui sale ospitano il Museo Archeologico Nazionale del Melfese “Massimo Pallottino” e che, quindi, compendia in sé alcune tra la più rappresentative evidenze culturali della regione. Il Castello di Melfi costituisce uno degli esempi più rilevanti di architettura fortificata della Basilicata. Numerosi interventi realizzati in epoche diverse restituiscono oggi alla collettività un suggestivo complesso, circondato da un ampio fossato e da una possente fortificazione, nel cui interno si susseguono edifici e cortili. Il nucleo più antico fu edificato dai Normanni agli inizi del XII secolo ed è rappresentato dal corpo centrale, a pianta quadrata con torri angolari. Il castello fu particolarmente amato da Federico II di Svevia, che ne fece un centro di studi e da questa sede promulgò nel 1231 le Constitutiones Augustales, primo testo di leggi scritte dell’età medievale, redatto da Pier delle Vigne e Riccardo da Capua, note appunto come Constitutiones Melfitanae. Il feudo di Melfi passò nel corso dei secoli ai d’Angiò e ai Caracciolo e il castello, oggetto di numerose ristrutturazioni, fu dimora di re e di papi, sede di parlamenti e di concili. Gli ultimi feudatari, i Principi Doria, lo donarono nel 1952 allo stato Italiano. Il complesso è stato interessato da interventi di restauro fin dagli anni ’50 del secolo scorso, ma solo di recente consistenti finanziamenti, destinati al suo recupero strutturale e funzionale, hanno consentito di impostare un piano di interventi più razionale e organico che ha permesso il recupero dell’intero corpo centrale e la riapertura al pubblico, in un allestimento rinnovato, del Museo. L’azione è stata indirizzata alla conservazione di tutte le evidenze strutturali del complesso, attraverso un paziente lavoro di lettura e individuazione delle tracce del passato, in maniera da rendere pienamente leggibile il nuovo intervento rispetto alla struttura esistente e trasmettere, per quanto possibile, l’immagine del monumento e della sua storia. La struttura si presentava, ovviamente, già fortemente modificata dalle numerose azioni condotte attraverso i secoli, in misura dei rifacimenti e delle ristrutturazioni realizzate per adattare il complesso alle diverse esigenze di carattere militare, amministrativo o residenziale di volta in volta individuate dai proprietari del castello. Rispettare e conservare le tipologie costruttive, gli elementi architettonici e decorativi, così come adeguare gli ambienti alla nuova destinazione d’uso del corpo centrale (Museo archeologico) ha rappresentato una sfida da vincere per restituire il monumento nella sua integrità, arricchendolo con le preziose collezioni archeologiche che custodisce. La necessità di non creare ulteriori anomalie e di Direttore Regionale Antonio Giovannucci Coordinatore Elvira Pica Corso XVIII Agosto 1860, 84 85100 Potenza tel. 0971 328111 fax 0971 328220 [email protected] 89 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 90 ripristinare le spazialità preesistenti ha determinato le scelte operate per migliorare la fruibilità di tutto il monumento, rispettandone nel contempo l’impianto originario. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Oggi il Castello di Melfi vive come monumento e come museo, presentando nel suo complesso una sintesi degli eloquenti valori storici e artistici che ha rappresentato nel tempo. L’operazione è stata possibile grazie ad una proficua collaborazione delle Soprintendenze di settore, che hanno creduto e credono nella possibilità di mettere in evidenza le valenze architettoniche e storiche del monumento anche attraverso l’apertura al pubblico delle sale e la presentazione delle testimonianze archeologiche e storiche dell’area nella sua interezza. Il Museo Archeologico ha attinto nuova linfa dal rinnovato allestimento, inaugurato ad aprile 2006, e presenta il Melfese nella sua complessità archeologica, quale testimonianza storica di un antico crocevia tra area campana, dauna e ionica, illustrandone la centralità nel quadro delle relazioni tra le genti insediate in Italia meridionale dal VII al IV secolo a. C. Non solo: alcune sale del Museo sono dedicate ad un particolare momento di vita del castello, utilizzato dai Principi Doria per brevi soggiorni stagionali in occasione delle battute di caccia. Una serie di quindici tele con soggetto venatorio e il telero raffigurante lo Stato di Melfi sono oggi esposte nelle “sale Doria”, a documentare come il castello, sorto per esigenze di tutela e controllo del territorio, abbia attraversato i secoli offrendosi quale prezioso custode della cultura e della storia. Melfi - Castello Melfi - Castello Sale del museo 90 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 91 L’uso delle nuove tecnologie come strumento di valorizzazione Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Caserta e Benevento La Direzione Regionale della Campania partecipa a Ferrara al colloquio Conservazione: una storia futura che presenta un primo saggio dei risultati dei progetti AR.I.S.T.O.S (ARchivio Informatizzato per la Storia della Tutela delle Opere Storico-artistiche e SICAR) in atto a livello nazionale con la Direzione dalla dottoressa Baracchini Soprintendenza BAP e PSAE per le province di Pisa, Livorno. La realizzazione del progetto ARISTOS nelle Soprintendenza BAPPSAE di Avellino e Salerno (Dottoressa Maddalena Picone) di Caserta e Benevento (Dottoressa Luciana Pascucci) e di Napoli e provincia (Dottoressa Angela Carro), ha avuto come obiettivo quello di mettere in comune soprattutto fonti relative al territorio al fine di individuare le linee della tutela nell‘ambito regionale. La scelta dei funzionari di riferimento e responsabili degli archivi storici e correnti degli uffici ha avuto, l’importante significato di promuovere la conoscenza della storia della tutela delle località periferiche. Il sisma del 1980 ha segnato per molti aspetti la storia della tutela nella regione Campania e determinando una inversione di tendenza rispetto al passato. La costituzione delle Soprintendenze periferiche, avvenuta immediatamente dopo l’evento sismico, che ha dato l’avvio a nuove campagne di restauro e catalogazione che hanno ampliato molto la conoscenza e la valorizzazione del territorio. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania Maria Rosaria Nappi www.artecard.it Direttore regionale: Stefano De Caro Coordinatore Maria Rosaria Nappi Via Eldorado, 1 80132 Napoli tel. 081 24643211 fax 081 7645305 Soprintendente ad interim Enrico Guglielmo Palazzo Reale, Via Douhet 81100 Caserta tel. 0823 277111 fax 0823 354516 www.reggiadicaserta.org [email protected] 91 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 92 Reggia di Caserta - Biblioteca Lavori di consolidamento e restauro del patrimonio librario Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Caserta e Benevento Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania L Progettista e direttore dei lavori Maria Rosaria Iacono Collaboratore al progetto e alla direzione dei lavori Ferdinando Creta Responsabile unico del procedimento Giovanna Petrenga Ditta esecutrice Studio P. Crisostomi s.r.l. Esercizio finanziario 2006, resti 2003 92 a Biblioteca Palatina, già prevista nel progetto vanvitelliano della Reggia di Caserta, si è formata lentamente nel tempo, caratterizzandosi attraverso i gusti e la cultura di chi ne ha avuto cura, senza tralasciare i problemi di depauperamento o smembramento legati alle vicende storiche che hanno interessato il Palazzo. La Biblioteca, ricchissima sia sotto l’aspetto contenutistico che sotto il profilo del pregio bibliografico, possiede fondi librari di circa 14.000 volumi e una rilevante sezione di manoscritti, sistemati in scaffali lignei d’epoca. Tra i volumi più interessanti emerge una raccolta di edizioni bodoniane di gran pregio, alcune rilegature molto particolari in stile francese, che tra l’altro si ricollegano al periodo murattiano, e una vasta produzione editoriale e di stampa napoletana, la maggior parte realizzata dal legatore partenopeo Angelo Trani, “fornitore della Real Casa” all’epoca di Ferdinando IV di Borbone. Ed ancora una sezione esclusiva di carte geografiche del 1700 e 1800 che rappresentano il mondo antico, secondo le ricostruzioni degli storici, i continenti e le nazioni moderne. Una raccolta di libretti d’opera e di melodrammi, che ebbero luogo a Napoli presso il teatro San Carlo, completa questa biblioteca sotto l’aspetto degli interessi per le arti, arricchita da un fondo epistolario con oltre 1600 lettere autografe di Luigi Vanvitelli, ritrovato casualmente nel 1954 da Mons. Ruffini nella Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini di Roma, poi acquistato dalla Stato italiano e quindi assegnato alla biblioteca casertana. La condizione conservativa di tutto questo patrimonio appariva al limite della tenuta: l’aggressione del tempo attraverso agenti fisici (luce, calore, umidità) ed agenti chimici (inquinanti atmosferici) e biologici (insetti e microrganismi) avevano prodotto seri danni: in certi casi, si rischiava che gli stessi assumessero il carattere dell’irreversibilità. Il rinnovato interesse, la pressante domanda di consultazione e di conoscenza di questo straordinario patrimonio librario e documentario poneva alla Soprintendenza di Caserta l’obbligo di una perfetta conservazione e di una efficace valorizzazione. Pertanto, un opportuno intervento conservativo è stato ritenuto urgente ed inderogabile. Si è quindi ritenuto necessario intervenire attraverso una metodologia che consentisse, da un lato, il recupero dei manufatti dal punto di vista tecnico materico, dall’altro la pianificazione di un’azione manutentiva adeguata, e che nello stesso tempo rispondesse a giusti criteri conservativi e di valorizzazione. Restauro Considerata la immediata lettura dei danni, non è stata ritenuta necessaria la preliminare indagine diagnostica, mentre urgente è apparso l’intervento di disinfezione e disinfestazione, la spolveratura e la pulitura a secco, la deacidificazione locale di buona parte delle carte, la reintegrazione degli strappi e delle piccole lacune. Gli interventi più sostanziosi sono stati eseguiti sulle coperte; in alcuni casi è stato sufficiente un piccolo intervento strutturale e reintegrativo; in altri è stato necessario rinverdire e consolidare il supporto della legatura con reintegrazione delle lacune e adeguamento cromatico; ed ancora lo smontaggio provvisorio della coperta, la rindorsatura del blocco delle carte e distacco provvisorio dei risguardi, consolidamento e riaggancio delle cuciture; in pochi casi è stata confezionata una nuova legatura uguale all’originale o contenitori bivalve. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 93 Lavori di consolidamento e restauro degli arredi mobili del palazzo Reale di Caserta Il restauro Il restauro dei manufatti lignei (cassettoni, vasi reggicandela, canapè, torciere, consolle con specchiere, comodini, tavolo, consolle, tavoli lavabo, divani ad angolo, dormeuse, cassettoni, serie di sgabelli, pancheserie di poltroncine) si è rivelato piuttosto complesso dato lo stato di degrado degli oggetti. L’aggressione del tempo attraverso agenti fisici (luce, calore, umidità) ed agenti chimici (inquinanti atmosferici) e biologici (insetti e microrganismi) e lesioni meccaniche avevano prodotto seri danni, in certi casi, si rischiava che gli stessi assumessero il carattere dell’irreversibilità. L’intervento conservativo ha previsto la disinfestazione della struttura lignea; il suo consolidamento per recuperare le necessarie proprietà meccaniche; la pulitura della superficie lignee dallo sporco e dalle incrostazioni, dai deposti incoerenti e dalle vecchie cornici sovrapposte; reintegrazioni delle parti mancanti con pezzi di legno della stessa essenza. Rifacimento dei pezzi mancanti alla struttura di sostegno e sistemazione statica del manufatto. Ripresentazione estetica del manufatto mediante reintegrazione pittorica, ove necessario, ridoratura e lucidatura o protezione finale. Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Caserta e Benevento seguito dell’accordo tra l’Amministrazione comunale di Caserta e la Soprintendenza BAPPSAE di Caserta alcuni arredi della Reggia di Caserta sono stati trasferiti nelle sale dell’Appartamento reale del complesso settecentesco del Belvedere di San Leucio, previo un importante intervento conservativo realizzato con il contributo dell’Amministrazione comunale casertana, proprietaria dell’immobile. Gli arredi selezionati sono parte degli oggetti d’arte conservati nei depositi della reggia casertana. Si tratta di mobili di fabbricazione napoletana datati tra il XVIII e XIX secolo, giunti a Caserta in epoche diverse anche da altre residenze borboniche. Pertanto, non costituivano in origine gli arredi dell’appartamento reale di Caserta e sono da decenni conservati nei depositi della reggia. Considerando il loro cattivo stato di conservazione e la difficoltà di pubblica fruizione degli oggetti si è ritenuto opportuno contribuire al riallestimento dell’appartamento Reale del complesso leuciano, attualmente restaurato nelle decorazioni, ma completamente privo del mobilio originario. La scelta degli arredi ha tenuto conto degli inventari ottocenteschi che descrivevano gli oggetti contenuti nelle sale dell’appartamento in modo che, pur non identificabili per numero d’inventario, corrispondono alle tipologie descritte. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania A Progettista Anna Maria Romano Direttore dei lavori Giovanna Petrenga Collaboratore al progetto e alla direzione dei lavori Ferdinando Creta Responsabile unico del procedimento Agostino Tenca Ditta esecutrice Coo.Be.C. Cooperativa Beni Culturali Spoleto Committenza Comune di Caserta Fondi Regione Campania legge449/98 93 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 94 Il Giardino Inglese della Reggia di Caserta: il restauro del Roseto Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Caserta e Benevento Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania P Progettista Francesco Canestrini Responsabile unico del procedimento Anna Capuano Direzione lavori Francesco Canestrini Collaboratori C.T. Vincenzo Carbone A.T. Gaetano Tozzi Ditta esecutrice Eurogiardinaggio Nicola Misto s.r.l. POR Campania 2000-2006 Asse II Mis. 2.1 94 er il ripristino delle collezioni botaniche in piena terra si è fatto riferimento all’analisi storica che ha ricostruito tutte le fasi di realizzazione del giardino, consultando tutta la documentazione di archivio esistente. Di tale documentazione fanno parte i cataloghi delle piante in vendita, dal 1803 al 1870, che consentono di conoscere tutta la vegetazione che arricchiva il giardino e che costituiscono, quindi, un punto di riferimento sicuro per la messa a dimora di nuovi esemplari e per definire il restauro botanico. In particolare la consultazione di testi del Terracciano, insigne botanico, direttore del Giardino durante la seconda metà del XIX secolo, ha consentito di comprendere quale siano le piante da reintrodurre e dove esse fossero collocate. La descrizione elaborata dal Terracciano in Cenno intorno al giardino botanico della real casa in Caserta, con pianta topografica (Caserta 1876), rappresenta, infatti, il vero punto di riferimento per l’attività di restauro e di recupero della complessa identità del sito. Nel documento si ritrovano tutte le caratteristiche del giardino, dalla passeggiata tra le rarità botaniche, alla descrizione di ambienti per lo studio e l’acclimazione delle piante, all’attività di produzione e vendita. Il restauro del Roseto La necessità di ricomporre l’identità del giardino ha suggerito di restaurare alcune componenti essenziali descritte dal Terracciano, ma successivamente eliminate per far posto ad altre funzioni o per incuria. Alcuni restauri sono stati già completati, quali la Scuola Botanica e le Serre, altri sono attualmente in corso come il restauro del Roseto e delle serre o delle collezioni botaniche in piena terra ed in vaso. La planimetria che accompagna gli scritti del Terracciano, localizza l’antico roseto nell’area attualmente occupata da una serra moderna realizzata negli anni 1982-83, struttura che ha completamente ignorato ed occultato l’assetto precedente. La decisione di riproporre l’antico roseto borbonico nasce dalla necessità di ridare completezza alle collezioni del giardino ripristinando gli spazi dedicati alle rose, secondo la sistemazione desumibile dal disegno del famoso botanico. Tale definizione è stata confrontata con le sistemazioni ottocentesche di analoghe collezioni esistenti presso le altre residenze reali europee, ed in particolare con il disegno delle aiuole di rose presenti presso il Real Orto Botanico di Madrid. Il progetto prevede, pertanto, la realizzazione di aiuole che ricordano l’antico disegno basato su forme circolari ed ellittiche, delimitate da materiali tradizionalmente usati nel giardino, quali cordoli in materiali vulcanici e calpestii in taglime tufaceo misto a calce e pozzolana, realizzati seguendo le antiche lavorazioni descritte nel capitolato speciale per i Giardini Storici. La collezione di rose sarà, inoltre, messa a dimora nel rispetto dello studio elaborato dalla dott.ssa Paola Lanzara e dal giardiniere Giulio De Fiore e dalle specialiste del vivaio di rose antiche, Le rose di Posillipo, che, consultando gli elenchi di archivio, hanno aggiornato le antiche nomenclature, riuscendo a individuare molte rose, reperibili in differenti aree geografiche. Lo studio specialistico, in possesso della Soprintendenza, elenca anche le carattestiche e le differenti varietà delle rose ritrovate: noisette, gallica, moscata, ed i luoghi in cui è possibile reperirle. In base a tale studio ed ai portamenti delle differenti cultivar sono state progettate le aiuole e gli spazi da destinare ad ogni varietà. A corona della collezione storica sono stati, inoltre, predisposti ulteriori spazi in Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 95 grado di ospitare varietà più recenti ma di notevole interesse botanico, che testimoniano l’evoluzione e la modifica della forma originaria della rosa, a partire dagli esemplari storici. Il restauro dell’antico roseto, oltre ad avere un forte interesse scientifico, contribuirà a potenziare il valore didattico del giardino ed a incrementare il collezionismo botanico, mediante la diffusione e commercializzazione futura di nuove piante originate da quelle nuovamente messe a dimora a Caserta. 95 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 96 La Grotta di S. Biagio Castellammare di Stabia (NA) Ida Maietta Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Napoli e provincia Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania Notizie storiche Progettazione e direzione interventi strutturali e impianti Aldo Imer Progettazione e direzione interventi sui beni artistici e storici Ida Maietta Finanziamento Fondi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Programma ordinario anno finanziario 2005 Soprintendente Enrico Guglielmo Piazza del Plebiscito, 1 80100 Napoli tel. 081 5808111 fax 081 403561 [email protected] 96 La grotta di S. Biagio ai piedi della collina di Varano, è monumento di grande interesse storico, artistico e archeologico, più volte utilizzato nei secoli e poi abbandonato. La struttura consiste in una serie di ambienti scavati nel tufo in epoca romana e poi decorati con affreschi raffiguranti santi a figura intera e in clipei, dall’epoca paleocristiana al Trecento. La decorazione ad affresco quale ci appare oggi non appartiene ad un unico periodo ed ad un unico ciclo decorativo, ma sembra potersi distinguere in fasi diverse, che in alcuni punti vengono addirittura a sovrapporsi. In generale sembra di poter riassumere, sulla scorta di precedenti studi, le decorazioni nelle fasi seguenti: la più antica, risalente al V secolo d.C., la seconda databile tra il VII e l’VIII secolo, una successiva del IX secolo, ed una meglio conservata dell’XI-XII secolo, mentre ai lati dell’ingresso vi sono riquadri con santi databili al XIV secolo. Lavori I lavori di restauro, attualmente in corso, hanno un carattere di urgenza in relazione al grave stato di conservazione dell’intero manufatto e rivestono una funzione propedeutica ad una successiva fase di restauro definitivo delle superfici. Le procedure dell’intervento sono mirate ad una diretta conoscenza della materia attraverso test applicativi ed indagini diagnostiche di tipo clinico, strumentale e chimico-fisico. L’intervento viene condotto dal restauratore Umberto Piezzo, sotto la direzione tecnico – scientifica della Soprintendenza per i B.A.P.P.S.A.E. Il supporto scientifico e di ricerca vede coinvolti il dipartimento di Ingegneria dei materiali e della produzione dell’Università di Napoli e L’Istituto dei materiali compositi e biomedici del CNR. L’impresa Vitello è incaricata dell’impiantistica e degli interventi strutturali. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 97 La Guglia di S. Domenico a Napoli in Piazza S.Domenico Maggiore Ida Maietta Lavori I lavori di restauro, iniziati nel novembre 2005 e completati nel giugno 2006, sono stati sponsorizzati dalla Associazione Incontri Napoletani con il contributo di Regione, Provincia e Comune ed il sostegno dell’Istituto Banco di Napoli – Fondazione, e sono stati eseguiti, sotto la direzione tecnico – scientifica della Soprintendenza per i B.A.P.P.S.A.E., dalla ditta “Giovanna Izzo Restauri” di Massimiliano Sampaolesi. Per l’occasione è stata pubblicato un libro – edito in italiano ed inglese – che illustra le diverse fasi di restauro e le tecniche di intervento, a cura di Patrizia Giordano. (Edizioni Altrastampa). Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Napoli e provincia La guglia intitolata a San Domenico, eretta per volontà del popolo napoletano e dei Domenicani come ex voto per la fine dell’epidemia di peste del 1656, fu iniziata nel 1658 su disegno di Francesco Antonio Picchiatti, proseguita tra il 1665 e il 1666 da Cosimo Fanzago e da Lorenzo Vaccaro tra il 1679 e il 1680 e compiuta nel 1737 da Domenico Antonio Vaccaro. Costituita da un corpo unico di pietre e calce rivestito da lastre di marmo con elementi intagliati e scolpiti, la guglia mostrava tipici fenomeni di degrado dei materiali costitutivi dovuti principalmente ad agenti atmosferici, e talvolta antropici, nonché dall’inquinamento dei gas di scarico degli autoveicoli. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania Notizie storiche Funzionario Responsabile Ida Maietta Sponsor Associazione Incontri Napoletani 97 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 98 La ricostruzione da trenta frammenti di una tela di Ferdinando Sanfelice Chiesa di Santa Chiara – Nola Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Napoli e provincia Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania Luciana Arbace Progettista e direttore dei lavori Luciana Arbace Soprintendenza BAP-PSAE di Napoli e provincia con la collaborazione di Daniela Giordano Impresa (CORESART di N. Leto) Intervento di Somma Urgenza da PO 2006 e Fondi del FEC (Ministero dell’Interno, FEC) 98 A seguito del terremoto del 1980 è crollato il soffitto della Chiesa di Santa Chiara di Nola. Al centro del cassettonato ligneo, una sfarzosa scenografia barocca progettata dall’architetto Ferdinando Sanfelice verso il 1720, era collocata una ridondante composizione raffigurante L’Immacolata in gloria al cospetto della Trinità e San Michele arcangelo mentre scaccia gli angeli ribelli, assieme a due ovali più piccoli. Alcuni anni dopo, in occasione di un intervento strutturale alla chiesa post-terremoto, i lacerti di tali opere vennero raccolti e trasferiti in un deposito. La storia conservativa più recente del dipinto, considerato irreparabilmente perduto negli successivi studi sulla pittura napoletana, ha avuto inizio con una Somma Urgenza nel maggio 2005, finanziata con i fondi ordinari ministeriali, resosi necessaria quando si è constatato un preoccupante accelerarsi del degrado, con la decomposizione delle fibre e dei tessuti causata dagli insetti xilofagi, parallela alla formazione di muffe, provocate dal ristagno dell’umidità intrinseca ai manufatti stessi e alle concrezioni sul rovescio. Sicché, la prima azione di generale ‘salvataggio’ (di questa e di altre opere custodite nello stesso deposito) è consistita in una accurata ricognizione, nella disinfestazione di tutti gli elementi lignei e dei tessuti aggrediti da attacchi biologici, nella rimozione delle polveri dalla superficie e nella successiva velinatura protettiva delle superfici a rischio caduta del colore. Per non interrompere l’azione di tutela, sollecitato il Ministero dell’Interno, proprietario della Chiesa di Santa Chiara, è stata finanziata la messa in sicurezza, dei dipinti più compromessi, in primis quello grande firmato Sanfelice. La tela aveva subito danni di natura meccanica, ovvero estesi strappi della tela, ridotta in innumerevoli frammenti, e di natura chimico-fisica, avendo sopportato in conseguenza dell’abbandono sul pavimento, tra i detriti, la formazione di strati melmosi, ormai solidificati. In un laboratorio appositamente allestito in uno spazio molto vasto, delicatamente rimossi dai cartoni, i brandelli di tela, ripiegati o accartocciati, sono stati riaperti, trattenuti sui lembi da spilli. Velinati con carta giapponese e colla di coniglio, si è avuta di non causare ulteriori danni e lacerazioni del supporto con conseguente perdita della superficie pittorica in coincidenza delle innumerevoli grinze e piegature. Operando sul retro dei frammenti, questi sono stati liberati dai depositi melmosi e ripianati con l’aiuto del vapore. Gli elementi ricomponibili sono stati assemblati con fasce di velatino di garza e adesivo, realizzando in parallelo un dettagliato rilievo. La fotografia del dipinto, realizzata nel 1979 a conclusione di un precedente intervento di restauro, è stata di grande aiuto per identificare la posizione dei vari frammenti, da quelli di grandi dimensione fino ai numerosi tasselli di pochi centimetri quadrati. Il risultato di tale operazione è stato incoraggiante. Si era conservata la quasi totalità della superficie e la pellicola pittorica presentava una conservazione tale da permettere le successive operazioni conservative, tanto complesse quanto delicate. Anche perché oltre i danni causati dal crollo occorreva eliminare anche la deformazione subita dalla tela lungo l’asse centrale e longitudinale, il cosiddetto spanciamento. Per poter procedere nella ricomposizione complessiva, ciascun elemento è stato poi identificato con il medesimo numero, da usare poi in maniera speculare, riportato sul lucido del rilievo con l’aiuto di un adesivo di carta. Inoltre per far Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 99 combaciare al millimetro i lembi laceri dei frammenti e non provocare interruzioni al disegno e alle pennellate, nei punti strategici sono stati indicati gli attacchi con micro tasselli di colore reversibile. Rigirato il puzzle, è cominciato l’assemblaggio definitivo delle varie parti, dall’alto verso il basso, risolvendo contemporaneamente ogni trauma subito dal supporto. Occorreva a seconda dei casi, con l’aiuto del vapore, far ripianare la superficie o far riassorbire le ondulazioni nella trama della tela fino al ripristino della morfologia originaria. A questo punto è stata effettuata la prima foderatura utilizzando un tessuto-non tessuto a fibra di vetro, quale strato d’intervento, con la specifica funzione di tenere insieme tutti i singoli elementi ricomposti. Prima del secondo rifodero con procedimento tradizionale, rigirata la tela ricomposta, è stata ritrovata l’esatta collocazione di alcuni inserti di tela dipinta indicativi forse di un primo restauro ottocentesco. Oltre a salvaguardare la memoria storica di un antico intervento, ciò ha contribuito a limitare ulteriormente le lacune, compensate con intarsi di tela grezza. 99 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 100 Il recupero della Pala d’Altare con la Madonna e Santi e i Misteri del Rosario in Ottaviano (NA) Luciana Arbace Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Napoli e provincia Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania I Progettista e Direttore dei Lavori Luciana Arbace Soprintendenza BAP-PSAE di Napoli e provincia Intervento di Somma Urgenza con Fondi del FEC Impresa Laboratorio di Restauro di U. Maggio, S. Nani, B. Cerrina 100 n un angolo del chiostro del ex-Monastero del SS. Rosario, che oggi ospita un plesso scolastico, dietro alcuni grandi armadi, è stata ritrovata una grande tavola lignea, talmente degradata da apparire quasi illeggibile, a causa di circa due secoli di cattiva conservazione. Può ritenersi, difatti, che l’opera sia stata rimossa verso il 1837, quando, ormai soppresso il convento domenicano con l’editto murattiano, il tempio viene affidato alla Congregazione dei Sacramentisti. Effettuati in più punti alcuni microscopici saggi di pulitura si è compreso che si trattava proprio dell’originaria Pala dell’altare maggiore della Chiesa, che era stata fondata nel 1578, inglobando l’antica cappella di San Nicola, grazie al generoso contributo di Don Bernardetto e Donna Giulia de’ Medici di Ottajano. Sondata l’opportunità o meno di un intervento di recupero, l’opera è stata sottoposta ad un capillare intervento conservativo, che ha comportato anche il completo risanamento del rovescio, assemblato in maniera inadeguata. Sconnesse, deformate e imbarcate, le assi, avendo perso in molti punti gli originari inserti a coda di rondine, erano state rinforzate da una precaria struttura con pali di castagno. Dopo la spolveratura preliminare, la velinatura, la disinfestazione e il consolidamento della pellicola pittorica, l’intera superficie pittorica è stata sottoposta ad una meticolosa pulitura che ha gradualmente restituito evidenza alla composizione, poi stuccata e integrata a rigatino o puntinato a seconda dei casi. Malgrado si lamenti la perdita di una parte della superficie pittorica nei Misteri della fascia in basso, alquanto lacunosi, e l’alterazione dei pigmenti cromatici, il risultato è assai apprezzabile ed anzi permette di formulare l’ipotesi che la grande tavola sia stata eseguita verso il 1580 da Cornelis Smet, un artista fiammingo attivo a Napoli dal 1574 alla scomparsa, nell’ottobre del 1591. Il maestro era molto apprezzato per la capacità di coniugare la precisione dei fiamminghi – qui evidente soprattutto nell’accurata definizione della preziosa tiara del Papa Pio V, in basso a sinistra – con una maniera garbata in linea con il dettato tridentino, che diventa tuttavia più guizzante e nervosa soprattutto nelle storie di piccolo formato. Notevole anche per la presenza degli illustri committenti raffigurati alle spalle di San Domenico e Santa Caterina, la grande tavola rappresenta un tassello importante della storia della comunità di Ottaviano, la quale scriveva, proprio in quegli anni, il testo di una pagina di assoluto prestigio. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 101 Castel Capuano: antiche trasformazioni e recenti restauri Amalia Scielzo Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Napoli e provincia edificio che per oltre cinque secoli si identifica nella città di Napoli con il “Tribunale”, sebbene le austere facciate tardo ottocentesche non lo palesino, ha origini antiche, in parte ancora da indagare ed accertare. Gli studiosi concordano sulla presenza in questo luogo di una rocca normanna, posta a cavallo delle antiche mura, e poi di un fortilizio svevo, in posizione senza dubbio strategica di difesa del settore orientale della città. Il luogo in cui sorge il castello, infatti, era particolarmente esposto perché pianeggiante e rivolto verso le principali direttrici di collegamento ai vicini centri di Aversa e Capua. Il ruolo di rinforzo del settore orientale delle mura, in una posizione così importante, ha fatto anche ipotizzare la presenza, in questo luogo, di un nucleo più antico collegato al sistema difensivo della Napoli greco-romana, in prossimità dello sbocco del decumano maggiore. Restaurato da Carlo I d’Angiò, l’edificio era tra le residenze reali ed in età aragonese, una volta incluso completamente all’interno della nuova cinta muraria, il castello perse definitivamente la funzione militare difensiva. Tuttavia, la struttura quadrangolare del maniero federiciano, difeso lungo il perimetro esterno da un fossato, non subì significative modifiche nemmeno in occasione della complessiva ristrutturazione come sede delle carceri e del Palazzo di Giustizia, voluta dal viceré Pedro de Toledo. Le piante di Napoli del Theti del 1560 e di Dupérac Lafréry del 1566 sembrano, infatti, indicare che i lavori di adattamento a sede del Tribunale, eseguiti tra il 1537 ed il 1545 dagli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa, non hanno stravolto la tipologia a castrum: impianto quadrangolare con torri rettilinee angolari a pianta quadrata, rappresentate anche nella Tavola Strozzi (1487 ca.) con un attico merlato aggettante. L’impianto generale dell’edificio non subisce consistenti modifiche fino alla radicale trasformazione con ampliamento, avviata con il progetto del Riegler tra il 1858 e il 1861; lavori proseguiti, con alcune modifiche al progetto iniziale, dopo l’unità d’Italia, negli anni successivi al 1885 e continuati fino ai primi decenni del secolo scorso, con la definitiva realizzazione, sul lato sud-est del corpo di fabbrica che completa il perimetro quadrangolare ed il conseguente adeguamento delle facciate. Lo stato della fabbrica precedente ai lavori di trasformazione, desumibile dai rilievi allegati al progetto del Riegler, conferma la permanenza, sui prospetti esterni, dei caratteri dell’antico maniero che convivono con le tracce inconfondibili della residenza reale angioina e aragonese, nonostante l’edificio fosse già da più di tre secoli destinato a sede del Tribunale. Da quanto brevemente descritto appare evidente come il Castello di Capuana sia, fra i grandi edifici storici della città, quello che ha più di ogni altro subito trasformazioni, a causa di mutate destinazioni, ampliamenti e restauri. Gli interventi eseguiti dal dopoguerra fino agli anni ’90 hanno, però, alterato sensibilmente l’aspetto del monumento nel tentativo di adeguare la struttura alle sempre più pressanti esigenze giudiziarie. Un primo programma preliminare di interventi di restauro del Castel Capuano è stato redatto nel 1997 dalla Soprintendenza in collaborazione con i tecnici dell’Ufficio Speciale per la gestione e manutenzione degli immobili giudiziari, all’indomani del trasferimento del settore penale al Centro Direzionale. Il programma prevedeva l’eliminazione di tutte le superfetazioni realizzate nell’immobile storico negli ultimi decenni. Ma la riorganizzazione degli uffici giudiziari del settore civile – tuttora ancora presente in Castel Capuano – con la continua necessità di spazi per le esigenze logistiche di funzionamento, ha consentito solo in parte l’attuazione del programma dei lavori. Un’attenta analisi del rilievo planimetrico dell’edificio attuale alle varie quote – elaborato dalla Soprintendenza agli inizi degli anni ’90, insieme ad una prima ricerca iconografica ed archivistica – ha indicato tracce eloquenti della permanenza di interi corpi di fabbrica appartenenti a strutture murarie più antiche, che risultano inglobate nella fabbrica attuale, fornendo indica- Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania L’ 101 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 102 zioni per il progetto di recupero e valorizzazione delle testimonianze storiche ed artistiche, allo stato attuale prevalentemente nascoste. Tra gli interventi già eseguiti dalla Soprintendenza, oltre ai restauri delle superfici decorate dei saloni di rappresentanza, va segnalato il restauro del cortile del Vaglio, tra i più antichi del Castello, con la rimozione dei corpi di fabbrica aggiunti per la creazione di un’aula di udienza. È stato inoltre demolito, a cura dell’Amministrazione Comunale proprietaria dell’area, l’edificio “ex uffici G.I.P”, ingombrante ed antiestetica superfetazione costruita quasi in adiacenza al prospetto meridionale dell’edificio, del tutto avulsa dal contesto architettonico ed urbano. Sarà opportuno, quanto prima, provvedere al ripristino dello stato originario del piazzale, con l’eliminazione del parcheggio a raso, considerata l’accertata possibilità di ubicare uno spazio di sosta per i veicoli, ad esclusivo servizio dell’edificio, nel volume sottostante lo stesso piazzale. Il lavoro che la Soprintendenza ha sin qui svolto e si propone di proseguire, nasce dalla ferma convinzione che sia oggi non solo possibile ma sicuramente ormai non più eludibile far emergere, attraverso sistematici interventi di restauro, tutti gli aspetti e gli elementi architettonici ed artistici che connotano l’edificio finalmente quale monumento – non già come mero contenitore di funzioni – in cui si addensa una parte significativa della cultura della città di Napoli. Attualmente – con finanziamento del Provveditorato regionale alle Opere Pubbliche della Campania – sono in corso interventi urgenti di restauro statico alla copertura a capriate lignee della Biblioteca degli avvocati, al primo piano, mentre è imminente l’avvio dei lavori di restauro della facciata Nord. Quest’ultimo consentirà, pur conservando l’unitarietà del prospetto conferita dall’intervento ottocentesco, di ricercare ed evidenziare le tracce della fabbrica più antica. Dopo il definitivo trasferimento anche del settore civile al Centro Direzionale, la Soprintendenza, infatti, con gli interventi già programmati e con quelli da programmare per gli anni futuri, in pieno accordo con la Presidenza della Corte d’Appello ed il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, intende promuovere la prosecuzione delle opere di restauro, assicurando la permanenza di quelle attività e funzioni giudiziarie, che consentano di preservare le profonde radici storiche e le tradizioni secolari dell’amministrazione della giustizia nella città di Napoli. A tale scopo andranno individuate quelle destinazioni d’uso culturali e di rappresentanza, compatibili con le finalità di valorizzazione delle caratteristiche architettoniche ed artistiche dell’edificio, per restituire alla città, mediante un attento restauro, la preziosa testimonianza di un’architettura civile ricca di stratificazioni storiche L’intervento, grazie ai restauri in corso alla Porta Capuana ed alla vicina chiesa di S. Caterina a Formiello permetterà anche una riqualificazione definitiva di un’area cittadina ricchissima di evocazioni storiche e di monumenti. CASTELCAPUANO – Prospetto occidentale secondo il progetto del 1858 dell’architetto Giovanni Riegler da G. Petroni, Castelcapuano ridotto a Palazzo di Giustizia, Napoli 1861 CASTELCAPUANO – Prospetto occidentale secondo il progetto del 1858 dell’architetto Giovanni Riegler da G. Petroni, Castelcapuano ridotto a Palazzo di Giustizia, Napoli 1861CASTELCAPUANO – “Stato antico del lato a mezzogiorno come trovasi nel 1858 ” da G. Petroni, Castelcapuano ridotto a Palazzo di Giustizia, Napoli 1861 102 CASTELCAPUANO – Prospetto principale, stato attuale Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 103 Dipinti murali del Sette e Ottocento in Castelcapuano a Napoli e cenni sul loro restauro (2005-2006) Annalisa Porzio Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Napoli e provincia Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania L a struttura di grandi cameroni quattrocenteschi si conserva nell’impianto del Salone della Corte d’Appello detto anche Salone dei Busti e del contiguo Saloncino dei Busti al piano nobile di Castelcapuano. Salita la scala di piperno, un portale dalla cornice a fregio dorico introduce nell’immenso ambiente, un tempo Tribunale della Sommaria. Qui la committenza borbonica, interessata come già quella vicereale a qualificare in senso iconografico gli spazi del castello, trasformato in Palazzo di Giustizia, applica una partitura decorativa di gusto tardo – rocaille, animata da figure allegoriche. Al di sopra di una pannellatura lignea, le pareti sono scompartite da riquadri modanati alternati ad aperture prospettiche, con colonne trompe l’oeil, sulle quali poggiano le rappresentazioni delle dodici province del Regno di Napoli: Lucania, Irpinia, Piceno, Campania, Vestinia, Marsia, Frentania, Daunia, Peucezia, Japigia, Bruzia Ulteriore e Citeriore, figure femminili con stemmi e simboli. Secondo la guida di Giuseppe Sigismondo, del 1788, la decorazione sarebbe opera, nel 1770, di Antonio Cacciapuoti, Francesco de Ritiis e Vincenzo Bruno detto l’Abate, i due ultimi autori delle prospettive architettoniche. Ragione di questa rappresentazione di territori è nella funzione dell’ambiente come sede della Regia Camera della Sommaria, nella quale si dibattevano le controversie giuridiche su diritti e rendite feudali. Conserva il suo nome la Cappella della Sommaria che si apre sulla parete destra del salone, affrescata da Pedro Roviale intorno al 1548, e riportata alla luce sotto uno scialbo solo con il restauro ottocentesco. Sulla parete ovest, tra le finestre, era stata risparmiata ai tempi di Ferdinando IV Borbone la lunga lapide con i Diritti delli mastrodatti, vero e proprio regolamento e tariffario degli scambi che si svolgevano nel Salone, e forse solo nel XIX secolo, al momento delle trasformazioni strutturali dell’edificio, furono sistemati sulla parete nord, al di sopra delle porte, gli stemmi marmorei intagliati che risalgono al periodo vicereale, con tutta evidenza spoglio di parti demolite. Il completamento del Salone con una volta in stile neosettecentesco, durante i restauri del Riegler (1858), ha le caratteristiche di un intervento di tipo storicistico, descritto nei dettagli dalla storiografia contemporanea (Petroni 1861). La volta a botte incannucciata è raccordata alle pareti da una finta balaustra architettonica, con mensoloni e trafori attraverso i quali compaiono aperture di cielo, puttini e ghirlande, e che a sua volta rimanda, unificandoli, a tre ‘sfondati’ quadrangolari, che compongono un’unica allegoria: Il Regno della Giustizia che, proteggendo l’Innocenza e l’Onestà, perseguitando i Vizi e i Delitti, fa rifiorire sulla terra la Pace e la Civiltà. Al centro, La Giustizia, con le Tavole del Diritto ed il motto: HONESTE VIVITE/ALTERUM NON LAEDITE/SUUM CUIQUE TRIBUITE; in alto, I Vizi e la Frode cacciati via dalla Forza della Giustizia, in basso, la Pace e i Commerci che prosperano grazie alla Giustizia. Per ragioni legate alle dimensioni stesse del Salone, rapportate alle misure dei finanziamenti, ed al funzionamento di Castelcapuano come Palazzo di Giustizia, che ne impediva chiusure prolungate, la decorazione è stata restaurata in tempi diversi. Prima il soffitto, dipinto su intonaco a tecnica mista, e danneggiato da infiltrazioni d’acqua e da crolli dovuti al terremoto del novembre 1980, fu restaurato negli anni Novanta, in un intervento che riguardò anche il supporto, ma lasciò lacunose larghe zone di superficie pittorica perduta. Poi sono state restaurate le pareti sud ed est, anch’esse dipinte in tecnica mista, a mezzo fresco e tempera, e ripassate in restauri otto e novecenteschi. Progetto e direzione dei lavori Amalia Scielzo e Annalisa Porzio Responsabile unico del procedimento Amalia Scielzo Ditta esecutrice A.T.I. Sergio Salvati - Olimpo srl Roma Fondi MiBAC programma ordinario anno finanziario 2005 e Ministero Infrastrutture e Trasporti programma annuale 2005 103 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 104 Infine, l’intervento recente che presentiamo, sulle pareti sud e ovest, – dove colature d’acqua, fori di chiodi,distacchi e decoesione sia degli strati preparatori che della pellicola pittorica, hanno richiesto oltre a consolidamento e pulitura, un impegnativo lavoro di velature pittoriche, – e sul soffitto. Il restauro è stato condotto dal consorzio Salvati Olimpo di Roma. La volta presentava delle lacune amplissime in tono neutro chiaro, che risultavano fortemente disturbanti per l’insieme della decorazione, comunicando un effetto di incombente crollo. Di fronte ad un ‘opera che era nata come restauro ottocentesco ad integrazione delle pareti, si è inteso recuperare innanzitutto le partiture ornamentali, ritessendo la composizione in una cornice con tre riquadri. Inoltre, avendo a disposizione le foto d’archivio anteriori al terremoto, si è scelto di procedere, nel riquadro centrale, a completare – con la proiezione di diapositive a sostegno del profilo disegnativo – alcuni particolari che risultavano frammentari, contrassegnando le zone di rifacimento con un sottile ‘nastro’, a stento percettibile a distanza, con la data dell’intervento attuale. Il risultato d’unità d’insieme dell’ambiente, del quale si è ricomposta la scenografia ed il decoro monumentale, conforta sulla opportunità delle procedure adottate. Il restauro degli affreschi del Saloncino adiacente ha sanato una lunga condizione di degrado, soprattutto negli angoli corrispondenti alla parete esterna, dilavati da infiltrazioni piovane. Si tratta di un ciclo dipinto a mezzo fresco, su intonaco umido, nel quale si leggono le incisioni preparatorie. Gli studi riferiscono a questo interno i documenti di pagamento dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, intestati a Carlo Amalfi e Giovan Battista Natali nel 1752 e nel 1754, perciò ai tempi di Carlo di Borbone. Figurista il primo, famoso scenografo il secondo, applicano una formula compostiva analoga alle decorazioni dello Scalone e della Prima anticamera della Reggia di Portici, con ariose quadrature architettoniche su cui poggiano figure allegoriche. Il programma iconografico è affine a quello del perduto Salone del Sacro Regio Consiglio nello stesso Castelcapuano, sorta di Tribunale di Appello, nel quale la presenza in immagine della massima autorità, il re in persona, esclude ulteriori gradi di giudizio. Sulla parete di fondo, elevato su finto basamento si staglia il simulacro di Carlo di Borbone a cavallo dipinto a finto bronzo e accompagnato dalle Allegorie della Carità e della Pace. Le altre figure alludono alla Sapienza, allo Studio e alla Conoscenza della tradizione giuridica, necessarie per esprimere il giudizio. Una pulitura generale, tanto dai restauri degli anni Trenta del Novecento, quanto dalle ripassature con vernici sintetiche degli anni Settanta e Ottanta, scuritesi nel tempo, evitando ulteriori integrazioni e velature, ha rimesso in luce, nel Saloncino, la delicatezza dei colori della pittura rocaille, con colonnati aerei dai toni rosati e panneggi delle figure lievemente cangianti, oltre alla qualità sottile delle fisionomie, che restituiscono il contesto e l’immagine visiva del Tribunale napoletano settecentesco. 104 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 105 Restauri in Emilia-Romagna Paola Monari esare Brandi definì “restauro” qualsiasi intervento adatto a tutelare e a trasmettere integralmente al futuro le opere d’interesse storico, artistico ed ambientale, senza cancellare in esse le tracce del passaggio nel tempo. Più recentemente, Giovanni Carbonara ha detto che “nel trattare di patrimonio storico, architettonico o archeologico, è necessario fare subito riferimento alle questioni connesse tanto alla sua conservazione e trasmissione al futuro, quanto alla sua valorizzazione” e ha sottolineato che il “modo per consentire tali risultati è l’intervento di restauro, inteso nella sua accezione più ampia, vale a dire anche di restauro ‘integrato’, aperto alle ragioni della fruizione e del riuso, alle componenti urbanistiche e territoriali, a quelle ecologiche e ambientali”. Egli indica il restauro come il mezzo più adeguato per raggiungere la conservazione, premessa indispensabile anche alla successiva trasmissione al futuro e alla valorizzazione E proprio in questo senso, in Emilia-Romagna, Soprintendenze, Archivi e Biblioteche statali stanno attuando interventi di restauro sui beni nei territori di loro competenza, siano essi edifici monumentali, arredi, opere d’arte, codici o libri antichi. Impegnarsi per la valorizzazione del patrimonio storico e artistico è infatti una scelta vincente, qualunque sia lo sviluppo che attende il nostro Paese. A Ferrara Nel cinquecentesco palazzo Costabili, altrimenti detto di Ludovico il Moro, sede del Museo Archeologico Nazionale, il restauro dell’affresco della volta e il consolidamento delle strutture murarie della ‘sala del Tesoro’ rientra nel più ampio progetto finalizzato alla maggiore e migliore fruizione del Museo da parte del pubblico. Con tale progetto, incluso nei finanziamenti Lotto 2004-2006, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna, con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Ravenna, Ferrara, Forlì/Cesena e Rimini e delle Istituzioni pubbliche di Ferrara, si è prefissa l’obiettivo di valorizzare il palazzo, una signorile residenza progettata da Biagio Rossetti intorno al 1500. Al di là del valore architettonico e artistico, l’edificio rappresenta anche un documento che, attraverso vicissitudini e trasformazioni subite nel corso dei secoli, racconta brani di storia della città e le prime azioni dell’Italia unita in difesa del patrimonio: dall’inserimento dell’edificio nella lista dei monumenti importanti della città (1870), all’acquisto da parte dello Stato (1920), al restauro, che terminò con l’apertura del Museo di Spina nel 1935, condotto prima da Luigi Corsini, poi da Carlo Calzecchi Onesti, soprintendenti che diressero nei primi decenni di attività l’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti dell’Emilia-Romagna istituito nel 1891. Nel palazzo Schifanoia, l’intervento sui portali lapidei, operato su un precedente intervento di 25 anni addietro, si può definire “un caso di restauro del restauro, occasione anche di studio sulla durata ed efficacia di procedimenti e metodologie in quegli anni adottate”. L’operazione rientra nell’attività di valorizzazione di un edificio del 1385, voluto da Alberto V D’Este come luogo di svago (“schiva la noia”), di primaria importanza per la storia dell’architettura e della pittura ferrarese del 1400 (affreschi del “Salone dei Mesi” e stucchi della “Sala delle Virtù”) e ospita dal 1898 il Museo Civico di Arte Antica. Nell’ex infermeria dell’Ospedale di Sant’Anna, il restauro dell’antica facciata dell’Auditorium del Conservatorio G. Frescobaldi (ex Ospedale S. Anna), che dà sulla Piazzetta S. Anna, ha consentito di compiere un passo in avanti nella strategia di valorizzazione di un centro nodale di grande interesse architettonico della città, come quello rappresentato dall’Auditorium che prevede anche la pedonalizzazione dell’area circostante che potrà essere utilizzata come luogo per iniziative pubbliche. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna C Direttore Regionale Maddalena Ragni Coordinatore Paola Monari Via Sant’Isaia, 20 40123 Bologna tel. 051 3307011 fax 051 3397077 [email protected] 105 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 106 Nella basilica di San Francesco, commissionata nel 1494 a Biagio Rossetti dal Duca Ercole I d’Este e ampiamente manomessa nei rifacimenti effettuati dopo il terremoto del 1570, è stato da poco concluso il restauro del coro ligneo. L’intervento fa parte di un più ampio progetto di conservazione e valorizzazione (Protocollo d’intesa sugli interventi per il recupero degli edifici di culto progettati o realizzati dall’architetto Biagio Rossetti presenti nella città di Ferrara) che ha finora porato alla realizzazione del restauro pittorico e della struttura lignea del Trittico monumentale collocato dietro l’altar maggiore e del restauro architettonico dell’intera zona absidale e della facciata del transetto sud. A Ravenna Nel Parco della Pace, spazio verde e al tempo stesso vero e proprio museo all’aperto, creato valorizzando e rendendo fruibile ai cittadini un’area comunale di 8.000 mq nella seconda metà degli anni Ottanta, sono state raccolte, su idea di Giulio Carlo Argan, opere d’arte realizzate a mosaico da autori contemporanei, tutte dedicate al tema della pace e dell’amicizia fra i popoli. In poco più di un decennio, il degrado, non sempre derivante da cause naturali, non ha risparmiato i mosaici. Per contrastare il processo di deterioramento, è stato condotto, nel 2001, un monitoraggio delle singole opere che ha indotto ad avviare, nel 2005, un programma di restauro e manutenzione costante. I primi interventi hanno interessato l’Arcangelo Michele, opera di Bruno Saetti, donata al Parco dalla famiglia dopo la morte dell’artista, e Un Pacifico libero dall’atomica realizzata da Margaret L. Coupe. Nella basilica di San Giovanni Evangelista, che la leggenda vuole eretta nel V secolo d.C. da Galla Placidia in seguito a un voto espresso durante una tempesta in mare, è stato realizzato un intervento di consolidamento mirato al recupero dei valori estetici di alcuni frammenti, esposti sulle pareti interne, del pavimento del 1213 che rappresentava temi derivati dai romanzi cortesi dell’epoca, animali fantastici ed eroi delle crociate. L’operazione ha contribuito alla valorizzazione della basilica, interessata da varie trasformazioni nel corso dei secoli e gravemente mutilata dai bombardamenti aerei del 1944. A Modena Il restauro del Libro d’Ore del Maestro di Modena, manoscritto membr. del sec. XIV (1391) conservato presso la Biblioteca Estense Universitaria di Modena – Collezione di Tommaso Obizzi del Catajo, ha avuto come obiettivo la restituzione dell’ultimo abito rivestito dal prezioso Officio senza cancellarne i segni del tempo. La riproduzione in facsimile del Codice, realizzata dalla casa editrice Il Bulino Edizioni d’Arte di Modena, ha reso nuovamente accessibile agli studiosi un documento da tempo escluso dalla consultazione. Nel commentario al facsimile, inoltre, a futura memoria dell’intervento, sono descritte tutte le fasi del restauro della coperta. Importanti dal punto di vista della fruizione e della valorizzazione, oltre che dal punto di vista storico e culturale, sono gli interventi di restauro attuati dall’Archivio di Stato di Modena sul Registro del Fondo Giudiziario di Finale Emilia, e sulla Pianta topografica del fiume Po e dei ripari fatti costruire per la difesa della terra di Boretto d’ordine di S.A.S. di Modena. Il Registro, è un importante documento dell’’Archivio Giudiziario di Finale Emilia, particolarmente ricco di frammenti membranacei di codici antichi. Esso rappresenta anche una testimonianza dell’attività dei librai locali che spesso riciclavano codici latini ed ebraici inutilizzati per farne copertine di volumi e registri. La Mappa, disegnata nel 1700, illustra con particolare attenzione le opere di difesa idraulica delle rive del Po comprese fra Brescello e Gualtieri per la parte Estense e fra Viadana e Pomponesco per la parte mantovana. 106 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 107 Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini La Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio per le Province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini fu la prima ad essere istituita in Italia con Regio Decreto n. 946 del 2.12.1897. Il suo primo direttore fu Corrado Ricci, che poi diventerà Direttore Generale alle Antichità e Belle Arti. L’attività della struttura abbraccia un ventaglio assai ampio. Il principale profilo è rappresentato dall’azione di tutela sia ambientale che architettonica sul complesso territorio di competenza, caratterizzato da ambienti naturalistici di eccezionale interesse, da centri storici e singoli monumenti di altissimo valore storico-artistico. I servizi interni alla Soprintendenza sono: una biblioteca specializzata, l’archivio storico dei documenti e dei disegni, l’archivio fotografico ed un laboratorio di restauro. Altri rilevanti settori sono l’attività didattica del Museo Nazionale di Ravenna e di Casa Romei a Ferrara. Con Decreto Ministeriale del 27.02.2004 è stata riconosciuta, quale sezione distaccata della Scuola di Restauro dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, la Scuola per il Restauro del Mosaico, già operante da due decenni per la formazione di restauratori altamente specializzati. Inoltre fanno capo alla Soprintendenza il complesso abbaziale di Pomposa con il Museo Pomposiano a Codigoro, Casa Romei a Ferrara, il Museo Nazionale di Ravenna (che ospita reperti dalla preistoria, all’antichità classica, all’epoca altomedievale e moderna), gli edifici tardo antichi e bizantini di Ravenna (il Mausoleo di Teoderico, il Battistero degli Arcani, la Basilica di S. Apollinare in Classe), il cosiddetto Palazzo di Teoderico e la Casa Natale di Giovanni Pascoli in provincia di Forlì-Cesena. Dipendente dalla Soprintendenza di Ravenna è anche il Centro Operativo di Ferrara istituito con D.M. 1.7.1991 a tutela del patrimonio storico artistico della città. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna La Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio per le Province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini Centro operativo di Ferrara Il Centro operativo di Ferrara è stato istituito con Decreto del Ministro per i Beni Culturali del 1 luglio 1991, attesa l’importanza storico-artistica della Città di Ferrara e del suo vasto territorio circostante, ed al fine di garantire in tale area una più attiva presenza della Soprintendenza per i Beni architettonici e per il paesaggio. Nello svolgimento dei propri compiti istituzionali, è ormai consolidata la reciproca collaborazione tra il Centro operativo e le altre Soprintendenze competenti per territorio: per i Beni archeologici e per i Beni artistici, storici e etnoantropologici; in particolare con gli Istituti presenti nella città di Ferrara: il Museo archeologico nazionale, situato a Palazzo Costabili cosiddetto di “Ludovico il Moro” e la Pinacoteca Nazionale ospitata a Palazzo dei Diamanti. Oltre a interventi di restauro eseguiti con finanziamenti ordinari e straordinari del Ministero, il Centro Operativo garantisce la propria fattiva collaborazione per la realizzazione di interventi promossi da soggetti esterni. Particolarmente proficua ed efficace per la salvaguardia del patrimonio storico-artistico ferrarese, si è dimostrato in questi anni il rapporto con la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, in essa comprendendo anche la gestione delle analoghe finalità delle Fondazioni “Lascito Niccolini” e “Magnoni Trotti”. Si illustrano succintamente di seguito tre interventi di particolarmente significativi di restauro condotti nel corso del 2006, e realizzati proprio grazie al contributo finanziario delle Fondazioni sopra citate. Centro operativo di Ferrara Via Praisolo, 1 44100 Ferrara tel. 0532 240341 fax 0532 212267 [email protected] Direttore Andrea Alberti Soprintendente Giorgio Cozzolino Via San Vitale, 17 48100 Ravenna tel. 0544 34424 fax 0544 37391 [email protected] 107 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:06 Pagina 108 Restauro dell’affresco della volta e consolidamento delle strutture murarie della “sala del Tesoro” a palazzo Costabili, cosiddetto di Ludovico il Moro a Ferrara 108 Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna Andrea Alberti L’ oggetto del restauro è la Sala del Tesoro o Sala Costabiliana, facente parte del Palazzo Costabili, più comunemente conosciuto come Palazzo Ludovico il Moro. Infatti mentre la tradizione attribuisce la commissione a Ludovico il Moro, è più probabile che sia stato Antonio Costabili, ambasciatore estense a Milano, a conferire a Biagio Rossetti l’incarico di progettare questo edificio come abitazione propria e della sua famiglia. Il palazzo fu costruito nella zona della città interessata dall’ampliamento dell’Addizione di Borso. Alla decorazione delle sale contribuirono pittori quali il Garofalo e l’Ortolano. Nel 1503 fu interrotta la costruzione del palazzo, che non fu mai completato e che subì successivamente un profondo decadimento, accentuato nel 1860 con la disposizione comunale di destinare parte del complesso a panificio e magazzino per l’esercito. Nel 1870 Luigi Napoleone Cittadella, in qualità di membro e segretario della Commissione di belle arti di Ferrara, nella relazione per l’inserimento dell’edificio nella lista dei monumenti importanti della città descrive lo stato di fatto della sala del Tesoro :“Una camera al piano terra è dipinta nella soffitta e nelle lunette da Benvenuto Tisi da Garofalo: ma purtroppo la stanza è ad uso di legnaia o deposito.” La sala del Tesoro, o Sala Costabiliana, a pianta rettangolare, presenta un soffitto voltato, raccordato alle pareti verticali per mezzo di 18 piccole lunette con relative vele e pennacchi. La stanza è impreziosita sia nella volta che nelle lunette da pitture murali attribuite al Garofano; l’esecuzione del soffitto si può datare fra il 15031506, mentre la realizzazione delle lunette monocrome si possono far risalire al 1517. Nel centro della volta si trova un rosone ligneo attorno a cui si sviluppa una decorazione pittorica, che crea l’illusione di una cupola, collegata per mezzo di quattro costoloni a una balaustra dalla quale si affacciano uomini e animali. La decorazione termina sulle pareti verticali con le 18 lunette monocromatiche. Già nel 1878 la volta della sala risulta puntellata con due travi, testimoniando la presenza di un già accentuato degrado strutturale. Passato il palazzo al demanio statale, negli anni 1922-23 iniziano dei lavori di restauro, diretti dall’architetto Corsini della Soprintendenza ai Monumenti, che avevano lo scopo di ripristinare l’assetto statico degli elementi murari di supporto ai dipinti. La volta affrescata presentava infatti, lesioni soprattutto negli angoli della parete sud-ovest, causate da un muro tramezzo situato al piano superiore. La demolizione del muro e l’alleggerimento della volta dal materiale di riempimento hanno caratterizzato la prima fase dell’intervento, successivamente in seguito si sono collocate due travi di ferro necessarie ad una nuova distribuzione dei carichi. Inoltre, come sostegno nelle aree maggiormente degradate, sono state inserite delle centine di ferro ancorate alle travi e passanti per lo spessore della muratura della volta. Per quanto riguardo la superficie pittorica sono stati eseguite la stuccatura e la ripresa delle lesioni con malta a base cementizia; per ancorare la pellicola alla muratura sono state utilizzate riparelle di rame. Una decina di anni dopo, vengono eseguiti altri restauri sulle superfici pittoriche. Per quanto riguarda la sala del Tesoro, purtroppo però non si hanno notizie sulle metodologie di restauro utilizzate. Purtroppo il degrado è progredito nel tempo; sia per la parte strutturale sia per le superfici pittoriche. Dopo un primo intervento di restauro delle lunette e di studio sulle cause dei dissesti statici, eseguiti nel 1994 ma con monitoraggio protratto nel tempo, il progetto di consolidamento, ha preso in esame il processo distorsivo di Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 109 due setti murari al piano primo, i quali gravano sulla volta e non presentano corrispondenza al piano terra. Nel restauro strutturale, eseguito nel 2006, si è attuato il consolidamento dei setti murari per evitare sollecitazioni nella volta a padiglione. Le superfici pittoriche della volta presentavano patologie di degrado dovute in primo luogo al normale trascorrere del tempo; fin da un a prima analisi a vista emergevano la perdita di coesione dei pigmenti e uno strato di deposito superficiale con conseguente alterazione cromatica. Inoltre erano evidenti sia integrazioni pittoriche che risarcimenti incongrui di lesioni effettuate nei restauri precedenti. Le aree adiacenti alle pareti sud e ovest apparivano quelle maggiormente degradate in quanto soggette a sollecitazioni statiche da parte delle strutture sovrastanti. L’intervento di restauro, condotto anch’esso nel 2006 in contiguità con le opere di consolidamento strutturale, in primo luogo ha restituito una nuova adesione dell’intonaco al supporto murario attraverso iniezioni in profondità. Delicate operazioni di pulitura e mirate integrazioni pittoriche hanno consentito di recuperare l’integrità del racconto decorativo, riportando alla pubblica fruizione la luminosità di questo brano di vita cortese, con i visi perfettamente definiti dal Garofano dei personaggi che si affacciano dalla balaustra, contornati da animali esotici e da arredi preziosi come tappeti e strumenti musicali. 109 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 110 Restauro dei portali lapidei di Palazzo Schifanoia Andrea Alberti 110 Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna I l palazzo Schifanoia, “delizia” di svago della corte Estense, venne edificato in fasi successive; a partire dal primo nucleo nel 1385 fino alle grandi modifiche del duca Borso nel 1465, nel corso delle quali vengono realizzate la sopraelevazione di un piano della fabbrica (per ricavare l’appartamento ducale con il famoso salone d’Onore o “dei Mesi”) e, in facciata, il portale lapideo a tutta altezza, il tutto esempio di straordinaria integrazione tra pittori, scultori ed architetti. All’estremità opposta della facciata viene aperto un altro ingresso voltato a tutto sesto e decorato con una ghiera in cotto, sostituita nel 1885 da un portale lapideo realizzato in pietra d’Istria proveniente dal Convento di San Domenico. Il portale principale, realizzato in pietra d’Istria è voltato a tutto sesto e disposto su due ordini; nella parte inferiore presenta paraste scolpite con motivi e simbologie legate alla cultura rinascimentale, mentre l’ordine superiore si caratterizza per la presenza di un grande stemma, sul quale erano scolpiti stemmi Estensi (scalpellati in epoche successive); originariamente il portale era inserito in un prospetto dipinto ad affresco con motivi geometrici a finti marmi. Il restauro dei portali lapidei di Palazzo Schifanoia eseguito nel 2006 e che ha visto la collaborazione tra la Soprintendenza ed il Comune di Ferrara, è intervenuto a circa venticinque anni di distanza da un altro intervento; può pertanto definirsi un caso di “restauro del restauro”, occasione anche di studio sulla durata ed efficacia di procedimenti e metodologie in quegli anni adottate. La superficie del portale principale appariva polverosa ed annerita, soprattutto nella parte inferiore, a causa di croste nere che coprivano residui di policromia e dorature rinvenuti nella fase conoscitiva che ha preceduto l’intervento vero e proprio. L’annerimento riguardava la maggior parte degli elementi caratterizzanti il portale: fregi con le corrispondenti cornici, capitelli, paraste (sia frontali, sia gli stipiti del portale) e il sottarco. Considerando lo stato conservativo si è scelto di operare con un sistema di pulitura misto: con puliture chimiche e apparecchiatura laser. Gli interventi hanno seguito così un processo diversificato in risposta alle problematiche riscontrate, permettendo una lettura più nitida delle superfici e dei modellati. Altro intervento pittorico è stato eseguito in corrispondenza dello scudo dove le velature hanno aumentato l’impatto visivo delle tracce di policromia rinvenute e dei simboli araldici scalpellati. Gli stessi criteri metodologici ed operativi sono stati applicati anche nell’intervento sul portale minore diversificando il processo in risposta alle specifiche problematiche di degrado. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 111 Restauro della facciata dell’Auditorium di Ferrara (ex infermeria dell’antico Ospedale Sant’Anna) Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna I l fronte dell’Auditorium del conservatorio di Ferrara, antico ingresso all’infermeria dell’ex ospedale Sant’Anna, è frutto di diverse stratificazioni: il prospetto a timpano è quattrocentesco, il protiro risale al Rinascimento, la loggia lunga è settecentesca mentre il portichetto a est appartiene all’intervento, connotato da rilevanti esempi di architettura novecentista, operato sull’intero quartiere nel 1937. Le condizioni di conservazione del prospetto erano, prima dei lavori, molto precarie: anni di incuria, utilizzo a parcheggio della piazza antistante avevano causato un degrado non solo delle superfici e dei materiali ma anche dell’immagine stessa del monumento. L’obiettivo del restauro è stato di restituire la leggibilità del fronte e delle sue stratificazioni, agendo sulla materia degradata e sulle cromie delle parti costituenti il manufatto. Particolare attenzione è stata dedicata al restauro conservativo dei cotti decorativi del portale quattrocentesco e della cornice del timpano: la pulitura chimica e meccanica è stata modulata in modo da mantenere lacerti di finiture precedenti, ove ancora visibili. Il progetto di restauro ha trovato un elemento di interpretazione nel ripristino del trattamento di finitura delle logge fiancheggianti il protiro, anche per rafforzare la leggibilità delle diverse epoche costruttive. Il restauro, oltre a garantire la conservazione del bene architettonico, ha ridato decoro ad una parte significativa e suggestiva della città dopo anni di abbandono e degrado, contribuendo agli impegni in atto di recupero dell’intorno urbano e di auspicata imminente riapertura della sala dell’Auditorium e della “cella del Tasso”. Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini Andrea Alberti 111 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 112 Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna La Scuola per il Restauro del Mosaico a Ravenna Sezione distaccata della Scuola di Restauro operante presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze Coordinatrice Didattica Cetty Muscolino Scuola per il Restauro del Mosaico a Ravenna Via S. Vitale, 17 48100 Ravenna tel. 0544 34424 fax 0544 37391 sbapra.scuola@benicultu rali.it 112 L a Scuola per il Restauro del Mosaico, gestita dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, riconosciuta quale sezione distaccata della Scuola di Restauro operante presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze (D.M. 27 febbraio 2004), è attiva dal 1984. Strettamente legata all’esistenza di un cospicuo patrimonio musivo, la Scuola è testimonianza di un momento storico particolarmente colto e raffinato che si è tradotto successivamente in una nutrita tradizione culturale. Questa premessa ha dato così origine alla creazione e all’incremento di metodologie legate alla Scienza della Conservazione della tecnica musiva. Nel corso del quadriennio, in cui si alternano fasi di preparazione teorica presso le sedi dell’Istituto, ad intense attività pratiche svolte nei cantieri scuola operanti direttamente sul patrimonio artistico regionale, la Scuola si propone di creare operatori che possano fare affidamento su una formazione aggiornata e specializzata e che, tenendo conto delle tecnologie e delle metodologie elaborate sull’esperienze di laboratori e di istituti di ricerca, si pongano all’avanguardia nel segmento della conservazione e della salvaguardia del mosaico. La formazione degli allievi (italiani e stranieri) all’interno dei diversi laboratori (in cui si realizzano lavorazioni ed interventi su mosaici, lapidei, stucchi e tarsie) è articolata in un percorso metodologico strutturato attraverso specifici ambiti di cui le ricerche storiche preliminari (mirate all’individuazione di dati archivistici e bibliografici), la ricerca scientifica (per determinare le peculiarità materiche e le eventuali cause di degrado), l’indagine fotografica e documentale (come attestazione e monitoraggio degli stati di fatto), ne costituiscono il nucleo fondamentale. Inoltre, l’applicazione di tecniche di rilevamento digitalizzate alle superfici musive consente una più puntuale analisi degli aspetti materici e cromatici. Il corpo docenti della Scuola è costituito da personale tecnico-scientifico della Soprintendenza di Ravenna, dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, delle Soprintendenze Archeologiche per l’Emilia-Romagna e per la Toscana, da professionisti esterni e da restauratori altamente specializzati. La Scuola svolge inoltre attività di restauro e consulenza in Italia e all’estero. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 113 Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna I l Parco della Pace a Ravenna costituisce una singolare esposizione permanente di opere musive di artisti contemporanei provenienti da diverse nazioni. Sulla base di un progetto dello storico e critico d’arte Giulio Carlo Argan a partire dal 1984 sono state realizzate e collocate nel parco creazioni artistiche ispirate al tema della pace. Nel 2001 la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, allarmata per l’aggravarsi delle condizioni dei mosaici, ha condotto, attraverso una équipe tecnico-scientifica della Scuola per il Restauro del Mosaico da lei gestita, un accurato monitoraggio delle opere musive corredato da una campagna fotografica e da schede tecniche relative allo stato di conservazione di ogni singola opera. Grazie all’Accordo di Collaborazione fra il Comune di Ravenna, ente proprietario dei mosaici, e la Soprintendenza, si è avviato un programma di restauro e manutenzione, per cui il Comune ha destinato i finanziamenti derivanti da Lottomatica. Il primo mosaico oggetto dell’intervento è stato l’Arcangelo Michele che l’artista Bruno Saetti aveva destinato al suo ovile, trasformato poi in cappella familiare, nell’abitazione di Montepiano in Toscana. L’opera fu trasferita a Ravenna dopo l’improvvisa morte dell’autore avvenuta nel 1984, per donazione della famiglia Saetti. Venne collocata nel Parco della Pace nel 1987 ancorata ad un muro in cemento armato rivestito di pietre che riprende le fattezze del muro dove si trovava originariamente. Dall’indagine del 2001 a quella condotta nuovamente nel 2005 è emerso un ulteriore e sensibile aggravamento delle condizioni conservative. Il cattivo stato di conservazione lo si deve essenzialmente alla complessa storia dell’opera che vedeva la sua originaria destinazione in un luogo chiuso, protetto dagli agenti atmosferici. Il trasferimento in uno spazio all’aperto ha generato successivamente tutte le problematiche di alterazione e degrado che oggi si riscontrano, essendo stata utilizzata una tecnica di posa in opera non propriamente idonea. Inoltre, le vicissitudini relative alla realizzazione definitiva dell’opera hanno comportato numerosi interventi da quelli dell’artista, nei suoi vari ripensamenti, a quelli eseguiti durante il trasferimento ed il montaggio a Ravenna. Il mosaico, infatti, fu scomposto in sezioni e rimontato dalle maestranze ravennati su un supporto di cemento armato e argilla espansa tramite una malta che doveva garantire l’ancoraggio tra il massetto di base e la malta di allettamento delle tessere. Tutto il corpo del mosaico fu poi collegato ad una muratura – imitante il muro dell’edificio di Montepiano – con perni in ferro. Fra le morfologie di degrado, individuate sulla base delle Raccomandazioni NorMal disponibili in materia, sono stati individuati i Distacchi, evidenti nel piano di contatto tra il massetto di supporto e quello di allettamento delle tessere, in cui si presentano anche fenomeni di Disgregazione, Deposito Superficiale e Fratturazione; le Lacune, che presentano fenomeni di caduta in parte delle tessere musive, in parte della malta di allettamento mettendo così in luce il massetto di supporto; le Mancanze provocate da caduta e perdita totale di parti. In queste zone è evidente la presenza di una rete metallica, in parte ossidata, inserita all’interno del massetto di supporto. La continua esposizione del manufatto agli agenti atmosferici ha inoltre contribuito alla formazione di una Patina Biologica, nonché all’ossidazione dei perni di ancoraggio. Per quanto riguarda l’intervento di restauro, questo ha previsto innanzitutto il preconsolidamento delle parti in equilibrio precario, in maniera tale da poter effettuare le successive fasi di intervento, consistenti in: trattamento biocida; pulitura; consolidamento del supporto cementizio, dell’armatura in ferro e dei perni Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini Il Parco della Pace a Ravenna e i suoi mosaici: l’Arcangelo Michele di Bruno Saetti e Un Pacifico libero dall’atomica di Margaret L. Coupe Direttore dei Lavori Cetty Muscolino Direttore tecnico di cantiere (Arcangelo Michele) Rest. Claudia Tedeschi Direttore tecnico di cantiere (Un Pacifico libero dell’atomica) Restauratore Ermanno Carbonara 113 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 114 di ancoraggio. Infine, dopo studi ed approfondite ricerche fotografiche e d’archivio, si è passati alle integrazioni delle lacune. Contemporaneamente si è proceduto alla manutenzione del mosaico di Margaret L. Coupe. Per il Parco della Pace di Ravenna la Coupe compose un mosaico dal titolo Un Pacifico libero dall’atomica. L’opera presentava uno stato di conservazione discreto, le cui problematiche riscontrate riguardavano sia gli aspetti strutturali (degrado delle strutture in cemento armato) che di superficie (degrado delle tessere di ceramica invetriata, lacune). Fra le morfologie di degrado sono state riscontrate, oltre a quelle tipiche dei manufatti esposti all’aperto, degrado biologico, fessurazioni, aumento della porosità, ecc., anche quelle riguardanti la presenza di materiali desueti per un manufatto musivo (ceramiche invetriate con la tecnica craquelè) che ci ha posto di fronte all’interpretazione di specifiche problematiche di deterioramento. L’intervento di restauro è stato condotto effettuando le seguenti fasi operative: trattamento lichenicida; preconsolidamento; pulitura; consolidamento dei distacchi tra gli strati cementizi; risanamento della struttura del manufatto musivo; ritocco interstiziale e integrazione delle tessere mancanti. 114 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 115 Interventi sui mosaici medievali della basilica di San Giovanni Evangelista a Ravenna Scuola per il Restauro del Mosaico a Scuola per il Restauro del Mosaico sezione distaccata dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, dal 2000 sta conducendo interventi di restauro ai lacerti musivi medievali della basilica di San Giovanni Evangelista a Ravenna. Gli interventi sono inseriti nel programma dell’attività di laboratorio e di restauro e sono compiuti, di anno in anno, dagli allievi del II corso, supportati dal docente di laboratorio. Il restauro riguarda nello specifico le sezioni musive appartenenti alla quota pavimentale medievale della basilica, datate al 1213, rinvenute nella seconda metà del Settecento, che raffigurano scene di vario genere: da episodi della IV crociata alle figure del bestiario, dalle scene di amore cortese fino ai riquadri con motivi vegetali. A seguito del ritrovamento avvenuto nel 1763 e dunque, all’asportazione dalla sede pavimentale e allo smembramento della ripartizione iconografica originale, i mosaici furono murati nel pastoforio nord della basilica stessa (cappella di San Bartolomeo), per poi, con i restauri del 1919-20, essere asportati dalle pareti, inseriti in telai di legno e rinforzati con supporti di cemento armato. I mosaici furono così disposti sulle pareti della navata nord come beni mobili ancorati alla muratura con dei supporti metallici. Dopo il disastroso crollo della metà ovest della basilica, causato dallo scoppio di una bomba durante la seconda Guerra Mondiale, i lavori di restauro si concentrarono sulla ricostruzione dell’edificio e sugli scavi archeologici che portarono alla scoperta di nuovi tratti pavimentali. In tale occasione i mosaici non subirono interventi significativi; solo nel 1988 cinque frammenti furono oggetto di un restauro condotto dalla Scuola per il Restauro del Mosaico, che procedette alla sostituzione dei supporti in cemento armato, compromessi dall’ossidazione dei ferri. Con il restauro odierno si è deciso di intraprendere una linea metodologica di minimo impatto possibile sullo stato complessivo dei manufatti musivi, giunti a noi già fortemente intaccati dai restauri precedenti. Come premessa alle fasi operative è stata effettuata un’analisi complessiva dei mosaici con la redazione di tavole tematiche, sulle quali sono state registrate informazioni che comprendevano i dati sullo stato di conservazione, le manomissioni delle tessiture originali, la classificazione dei materiali musivi, ecc. In questa fase di indagine è stata rivolta particolare attenzione alle problematiche più specifiche legate allo stato dei supporti. Appurato che questi ultimi non mettevano a rischio i materiali originali e al fine di evitare ulteriori interventi traumatici su manufatti già compromessi nei caratteri di originalità dai restauri precedenti, si è ritenuta inopportuna la loro rimozione. Ci si è limitati ad eseguire operazioni di consolidamento superficiale del tessellato, concentrandosi maggiormente sul recupero dei valori estetici delle opere musive attraverso puliture, stuccature e trattamento delle lacune. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna L Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini Cetty Muscolino Direttore dei lavori Cetty Muscolino Direttore tecnico di cantiere Rest. Ermanno Carbonara L’intervento di restauro La superficie musiva dei lacerti era coperta da un deposito di colore grigiastro che impediva una corretta percezione dei valori cromatici. Il deposito era formato da particellato atmosferico incoerente e da una patina compatta e coesa, costituita da vecchi trattamenti protettivi a base di cera. Lungo le zone perimetrali del tessellato e in corrispondenza di vecchie integrazioni, molte tessere erano ricoperte da incrostazioni di cemento, dovute alla scarsa perizia avuta nei lavori passati. Si è quindi deciso di procedere con una pulitura generalizzata delle superfici tra- 115 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 116 mite impacchi di soluzioni saline e tensioattivi, supportate da polpa di carta. Il livello di pulitura ottenuto si è rivelato soddisfacente per quanto riguarda le zone realizzate in materiale lapideo, sia naturale che artificiale (cotto), mentre nelle parti di tessellato realizzate in pasta vitrea (principalmente le figure), l’impacco è stato ripetuto prolungando il tempo di applicazione. Le incrostazioni di cemento sono state asportate meccanicamente con bisturi, punteruoli e vibroincisori. Alcune tessere mobili, individuate con una preventiva verifica puntuale del loro stato di adesione, sono state assicurate nuovamente al supporto tramite microinfiltrazioni di resina acrilica a bassa concentrazione. Oltre ai depositi supeficiali e alle patine dei vecchi trattamenti, la lettura della tessitura era compromessa dalla presenza di rasature interstiziali in malta cementizia, che alteravano la percezione formale e cromatica del rapporto tra interstizi e tessere. In questo caso per evitare di danneggiare il tessellato e di portare alla luce un sottofondo interstiziale estremamente irregolare e disgregato, si è preferito non ricorrere ad un’eliminazione indiscriminata del cemento, ma si è agito esclusivamente nelle zone ove era necessario attenuarne l’invasività. Sulle rasature non rimosse si è proceduto pittoricamente con una tonalizzazione del colore grigio del cemento, con un colore affine alla malta interstiziale originale. Il cemento utilizzato lungo i bordi dei lacerti come collegamento fra il perimetro del tessellato e il telaio in legno, è stato scialbato con una pittura a calce pigmentata. Il colore è stato applicato come una campitura omogenea sulla superficie dell’intonaco ed è stato risolto, come una sintesi dei caratteri cromatici complessivi del tessellato. Le lacune di piccola entità interne al mosaico sono state integrate con la tecnica della malta incisa e tonalizzate ad acquerello. Infine, i telai di legno che incorniciano le sezioni sono stati puliti meccanicamente prima di applicare un trattamento protettivo. 116 16-03-2007 2:07 Pagina 117 La Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Bologna ha competenza nel territorio che comprende le provincie di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini. Nei suoi compiti istituzionali rientrano la tutela, la catalogazione e l’individuazione di beni mobili, la regolamentazione dell’esportazione di opere d’arte e di collezioni, il restauro e la valorizzazione dei beni mobili. Annovera inoltre diversificate attività culturali e di scambio, finalizzate all’organizzazione di mostre ed eventi in collaborazione con altri istituti e musei nazionali e stranieri, nonché con soggetti privati. Afferiscono alla Soprintendenza quattro sedi museali e le relative attività didattiche ad esse connesse: - Pinacoteca Nazionale di Bologna - Pinacoteca Nazionale di Ferrara - Museo di Palazzo Pepoli Campogrande in Bologna - Museo dell’Arte Neoclassica in Faenza Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna La Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini Impaginato Ferrara per stampa6.qxp Soprintendente Lorenza Mochi Onori Via Belle Arti, 56 40126 Bologna tel. 051 4209411 fax 051 251368 [email protected] 117 Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna Impaginato Ferrara per stampa6.qxp Fondi ordinari Soprintendenza PSAE di Bologna con contributo della Fondazione CA.RI.FE di Ferrara Progetto e Direzione Lavori Gianfranca Rainone Esecuzione Lavori Restauro del coro ligneo Laboratorio di restauro Andrea Fedeli Firenze Disinfestazione in atmosfera controllata ditta BIblion srl Roma 118 16-03-2007 2:07 Pagina 118 Il coro Ligneo della Basilica di San Francesco a Ferrara. Cenni Storici e Restauro Gianfranca Rainone L a Basilica dedicata a San Francesco d’Assisi in Ferrara ha origini antichissime, i primi documenti noti citano l’antico convento entro le mura della città nel 1243. Per secoli l’edificio è stato oggetto di molteplici modificazioni, demolizioni e ricostruzioni, accompagnate dai conseguenti mutamenti interni dovuti al susseguirsi delle piccole fabbriche destinate alla costruzione ed alla trasformazione di cappelle votive e sepolcrali che, con i loro ornamenti, decori e opere d’arte pittorica e scultorica, hanno riunito un ricco e svariato patrimonio storico artistico. Nel corso del tempo questo patrimonio è stato oggetto di cessione da parte dei frati per finanziare le costose opere di restauro e mantenimento. Cenni storici del edificio e del coro Le fonti storiche citano la realizzazione di una edificazione del 1341 previa demolizione del corpo di fabbrica medievale precedente. La presenza di un coro ligneo composto da 40 stalli, eseguito da maestro Arduino da Biasio intagliatore di legno, viene documentata nella chiesa gotica. (I documenti dei notai Lodovico Emiliani e Rainiero Iacobelli, datati 24 dicembre 1428 e 21 agosto 1431, danno una dettagliata descrizione del lavoro d’intaglio, distinguendo per ogni elemento l’essenza legnosa da impiegare: composto da 40 stalli, M. Arduino costruì un coro con buon legname secco e ben stagionato. La pedana fu realizzata con grosse assi di abete. Di abete erano anche le sedute e gli inginocchiatoi, questi ultimi bordati con cornici di acero; i braccioli in noce erano grossi come quelli del coro del Duomo di Ferrara; le spalliere in acero con ampie cornici in noce. Era previsto secondo i documenti un cornicione di coronamento traforato con ornamenti floreali. M. Arduino doveva realizzare anche un baldacchino d’entrata, simile a quello della cappella del coro della chiesa di S. Francesco a Bologna, e 6 maestosi leggii. Nel suo compenso erano inclusi il cibo, le bevande e l’alloggio per 4 lavoranti. Per una somma aggiuntiva gli era stata commissionata anche una immagine dell’Annunziata in cima all’ultimo stallo con frontespizio ornato da foglie, fiori e pilastrelli. Nel contratto erano previste inoltre alcune clausole particolari: una prevedeva che in caso di peste M. Arduino non dovesse lavorare in Ferrara; un altra che M. Arduino non avrebbe dovuto impegnarsi a fare altro lavoro prima d’aver ultimato il coro, mentre i frati non potevano affidare l’opera ad altra persona finché M. Arduino fosse rimasto in vita). Di questo magnifico coro purtroppo non si hanno più notizie dopo la demolizione dell’antica chiesa avvenuta nel 1494-95. La radicale e definitiva trasformazione dell’edificio inizia il 3 agosto del 1495 ad opera dell’architetto ducale Biagio Rossetti, che riprende ed elabora lo schema architettonico di Leon Battista Alberti, conferendo all’edificio l’immagine che oggi vediamo. Si hanno notizie di ulteriori lavori di abbellimenti e restauri negli anni seguenti, ma nel 1570 un grande terremoto arrecò ingenti danni all’edificio. Da questo momento l’opera del francescano Padre Agostino Righino, tenuto in molta considerazione dai duca di Ferrara, è di fondamentale importanza per i lavori di restauro nella chiesa e specialmente per quelli eseguiti nella zona absidale. Fonti storiche riportano che Padre Agostino Righino fece costruire “dalle fondamenta fino alla sommità” la Cappella Maggiore”(abside), perché “la chiesa arrivava insino alli scalini di essa cappella, e non più oltre”. A lui si deve la nuova costruzione della balaustra in marmo, il nuovo altar maggiore (zona transetto), il magnifico Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 119 coro ligneo e la trasformazione della grande pala d’altare nel Trittico Monumentale (con i dipinti di Domenico Monio). Il nuovo coro ligneo Le fonti d’archivio note ad oggi, non forniscono una descrizione dettagliata del nuovo coro di 100 stalli, fatto eseguire da Padre Agostino Righino, (vedi stemma inciso in foto) e attribuito a Lamberto da Fiandra. La complessa struttura, interamente in legno di noce – utilizzato anche per le parti meno visibili come le sedute – “abbraccia” quasi tutto il catino absidale con un semicerchio profondo 5.5 m e alto 3,80 m intorno ad esso. Articolata in tre ordini di sedute, va semplificandosi dall’alto verso il basso, anche dal punto di vista decorativo. Il coro, dalle linee semplici ed austere non presenta tarsie lignee ed é diviso in 4 settori; due a destra e due a sinistra dell’abside, simmetrici rispetto allo stallo principale centrale. Gli unici elementi decorativi presenti sono concentrati sul secondo e terzo ordine di sedute. Un ampia fascia modanata di coronamento chiude l’intera struttura alternando pinnacoli e semicerchi intagliati con motivi vegetali. Sulla base delle descrizioni dei documenti storici prima citati, relativamente al numero degli stalli di entrambe le strutture – 40 per il coro della chiesa gotica e 100 per quella della fine dell’500 – possono agevolmente dedursi elementi di riflessioni inerenti la maggiore ampiezza dimensionale dell’edificio rossettiano, impianto, che successivamente al terremoto del 1570, veniva ancora ingrandito con l’aggiunta del catino absidale. Anche se ad oggi non si dispone di notizie puntuali emerse da fonti d’archivio per le modifiche avvenute, è ipotizzabile che il coro ligneo sia stato oggetto di tagli e trasformazioni strutturali, con smontaggio e ricomposizione anche recenti, probabilmente in occasione dei lavori strutturali del tetto e delle fondamenta, svolti a partire dal 1849 alla zona absidale ed il transetto, (creazione della nuova sagrestia, rifacimento dell’arellato e di parte delle centine del catino del coro, rinforzi alle fondamenta ed interventi decorativi sulle lesene e catino). Nello smontaggio eseguito per i recenti lavori di restauro, si è osservato che il terzo ordine di stalli era sprovvisto della sua struttura portante e risultava appoggiato direttamente contro la parete curva dell’abside (operazione realizzata unendo gli stalli in corpi modulari di tre elementi ciascuno, attraverso assi trasversali (sul nuovo assetto modulare di tre elementi è stato condotto lo smontaggio finalizzato al nostro restauro), compariva inoltre una anomala struttura di sostegno del 2° e 1° ordine di stalli eseguita con travetti di legno di abete mal tagliati e posati grossolanamente. Ulteriori difformità costruttive con trasformazioni di elementi si presentavano anche sugli schienali, sedute e inginocchiatoi. Si è riscontrato inoltre una riduzione dello sviluppo lineare del coro sul catino absidale, con eliminazione di sei stalli, tre sul lato destro e tre sul sinistro, conseguentemente all’apertura delle due porte laterali a ridosso del transetto, di cui una per accedere alla nuova sagrestia. Il taglio si evince dal grossolano tamponamento posto sul fianco della struttura a gradoni e dall’inserimento di un traverso di chiusura ad “S” (paratia di legno) posto tra la seduta e l’inginocchiatoio. Interventi di restauro Il coro evidenziava un pessimo stato di conservazione. Gli insetti xilofagi ancora attivi, avevano distrutto irreparabilmente la struttura della pedana, realizzata in legno di abete. Ultimato lo smontaggio, è stata realizzata con teli di polietilene una “camera chiusa” per consentire la disinfestazione con gas atossici, con il sistema ad atmosfera controllata. Il trattamento disinfestante, durato 25 giorni é stato eseguito all’interno della chiesa, sul transetto. Ultimata l’operazione di disinfestazione, il coro è stato trasportato al laboratorio 119 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 120 di restauro dove si sono susseguite le fasi di pulitura e di consolidamento. È stata ricostruita interamente con legno di abete la pedana di appoggio e la struttura portante del 3° ordine di stalli. Successivamente al riassemblaggio si è proceduto ad un trattamento finale protettivo a cera. Fotografie Soprintendenza PASE di Bologna, realizzate da Paolo Zappaterra e Gianfranca Rainone Bibliografia consultata: “La Basilica di San Francesco a Ferrara, itinerario storico-artistico” di Padre Gino M. Canotti. Edizioni SIGLA effe. Genova 1958. “Memorie Storiche-Monumentali-Artistiche del Tempio di San Francesco” di Cittadella Luigi Napoleone. Ferrara 1867. “La chiesa di S.Francesco a Ferrara: storia e restauri”. Ricerca archivistica condotta per la Soprintendenza BAP di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini a cura di: Arch. Rita Fabbri, Arch. Valeria Casali e Giuliana Marcolini. Cartella testi. Ferrara 2004 120 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 121 Biblioteca Estense Universitaria di Modena La Biblioteca Estense Universitaria di Modena è una delle biblioteche di conservazione più antiche: nasce come collezione privata dei signori di Ferrara alla fine del XIV secolo e raggiunge il massimo splendore artistico nel secolo XV con Leonello, Borso ed Ercole I d’Este e, nel sec. XVI, con Alfonso I e Alfonso II. In forza della devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio, nel 1598, la biblioteca segue il duca Cesare I nel suo trasferimento a Modena, trovando spazi propri all’interno del Palazzo Ducale (oggi Accademia Militare). Raggiunge fama europea sotto la guida di bibliotecari d’eccezione, primo fra tutti Lodovico Antonio Muratori; nel 1764 Francesco III apre al pubblico la Ducal libreria, che riceve nuova linfa sotto la presidenza di Girolamo Tiraboschi, attraverso le acquisizioni dalle congregazioni religiose soppresse, iniziate nel 1770 e proseguite fino al 1810. Nel 1861 passa al Governo Italiano con la denominazione di R. Biblioteca Estense. Trasferita nel 1880 al secondo piano del Palazzo dei Musei, dove trovasi tuttora, dal 1995 è stata unificata alla Biblioteca Universitaria, potenziando i servizi al pubblico. Il patrimonio, in continuo incremento anche grazie a lasciti e donazioni, ammonta a 11024 volumi manoscritti, 157961 documenti, 1662 incunaboli, 15.966 cinquecentine, 549719 volumi a stampa, 4232 titoli di periodici e consistente materiale fotografico, audiovisivo e multimediale. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna Biblioteca Estense Universitaria di Modena Direttore Aurelio Aghemo Piazzale S. Agostino, 337 411000 Modena tel. 059 222248 fax 059 230195 [email protected] 121 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 122 Conoscere restaurando: la legatura del “Libro d’ore” del Maestro di Modena Milena Ricci Biblioteca Estense Universitaria di Modena Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna D Direttore dei lavori Milena Ricci Restauro Pierangelo Faggioli (Antica Legatoria Gozzi. Modena) Angela Lusvarghi Cristina Lusvarghi Ivana Micheletti (Laboratorio RT- Restauro Tessile. Albinea, RE) Sponsor Mauro Bini (Il Bulino Edizioni d’Arte. Modena) Ms Lat. 842 = alfa.R.7.3 Officium Beatae Mariae Virginis Ms. membr., sec. XIV (1391), mm. 210x155, cc. I,272 Scrittura gotica libraria Miniatura lombarda Modena, Biblioteca Estense Universitaria 122 alla collezione di Tommaso Obizzi del Catajo (donazione testamentaria del 1803). Lo splendido codice miniato dal Maestro del libro d’ore di Modena reca una elegantissima legatura posteriore alla redazione dell’Officiolo (fine sec. XIV), che l’ultimo restauro del 2005-6 ha studiato e recuperato, perseguendo come obiettivo la restituzione dell’ultimo abito rivestito dal libro. In occasione della riproduzione del codice per l’edizione facsimilare, grazie alla sponsorizzazione della casa editrice e alla perizia dei restauratori, che hanno allestito un piccolo laboratorio in loco, è stata restituita al prezioso Officio sua forma esteriore, senza cancellare i segni lasciati dal tempo, evitando che l’usura e la manipolazione ne accelerassero fatalmente la fine, nonostante il libro fosse già escluso dalla consultazione. L’intervento diretto è stato preceduto da una progettazione preliminare e da analisi scientifiche sui materiali, in accordo con i principi del restauro conservativo e minimamamente invasivo, alla luce degll’insegnamento brandiano, con il conforto delle esperienze presentate dall’ICPL e del CFR di Roma nel corso degli anni. Pertanto il momento della riparazione della legatura del Libro d’ore non è stato fine a se stesso, ma è divenuto mezzo per approfondire e modificare le scarse conoscenze sull’esemplare, grazie all’avvio di una indagine trasversale e pluridisciplinare, afferente non solo alla storia del codice ma anche delle sue componenti materiali, nella tradizione dell’archeologia del libro. La raffinata coperta in raso di seta cremisi, ricamata a punto pittura con la tecnica dell’oro velato, a punto vapore e punto piatto, non si deve infatti alle preferenze del committente, ma al gusto e alla sensibilità degli ultimi possessori. Molto probabilmente, a ciclo pittorico concluso, dopo il 1391, le disadorne assi di legno poste a protezione delle carte membranacee furono ricoperte con finissimo tessuto impreziosito da ricami floreali, analogamente a quanto avveniva per i coevi codici di lusso milanesi, legati con il concorso di orafi e argentieri. Contemporaneamente fu compiuta la rifilatura dei fogli, completata dalla doratura e cesellatura, in accordo con la sontuosità dell’apparato decorativo, perfettamente rispondente alla volontà del committente, Balzerino da Pusterla, cavaliere della corte viscontea, strettamente legato all’ambiente monastico lombardo e alla chiesa di Roma, raffigurato come orante all’interno del suo libro di preghiere. Non essendo stato possibile, per l’esiguità dei campioni prelevabili, l’approfondimento diagnostico al radiocarbonio, ed essendo risultata rovinosa la perdita delle informazioni potenzialmente deducibili a causa della sovrapposizione dei passati interventi di restauro, il problema della manifattura e datazione dell’attuale legatura, nonostante il restauro conoscitivo, deve considerarsi ancora aperto a nuovi contributi. I due tondi centrali del piatto anteriore e posteriore, rispettivamente il primo con l’immagine della Vergine e il secondo con lo stemma araldico, riportati sul tessuto serico, non appartengono infatti allo stesso milieu culturale del restante apparato decorativo a bordure e ghirlande, che risulta di gusto più tardo e di manifattura sette/ottocentesca. L’esame autoptico dell’intera legatura, supportato da lenti e contafili e da un piccolo microscopio digitale, ha consentito di cogliere, attraverso la comparazione dei diversi materiali tessili presenti, il complesso percorso di rifacimenti e giustapposizioni subiti dalla legatura lungo i secoli, e di ascrivere ragionevolmente i due medaglioni all’inizio del secolo XVI. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 123 Probabilmente essi furono ritagliati da una legatura precedente, eseguita non per il committente ma per il successivo possessore del codice, legato alla famiglia veneziana dei Bembo, che volle personalizzare il libro acquisito sovrapponendo il prorio blasone con il capriolo e il leone rampante allo stemma originariamente dipinto nel bas de page della carta incipitaria. Tuttavia, se si supera la pretesa della forzata ricostruzione dell’unità originaria e si analizzano i reperti nella loro stratificazione storica, si possono comunque ottenere indizi insperati che, confortati dall’analisi dei materiali, permettono un nuova lettura del reimpiego sia sotto il profilo storico e artistico che sotto il profilo tecnico scientifico. Le indagini preliminari al restauro hanno ricondotto al riconoscimento di almeno tre interventi sulla struttura originaria della legatura del codice, di cui l’ultimo è quello degli anni 60-63 del sec. XX. In occasione di questo rifacimento la legatura fu realizzata utilizzando un bellissimo velluto di seta, probabilmente in tessuto di recupero, che fu incollato ai piatti di legno con vinavil, impiegato anche per i dorsi dei fascicoli, con inserimento di carta in corrispondenza della cerniera. La cucitura fu eseguita dopo grecaggio, per consentire il riutilizzo dei fori originali, con filo di canapa tinto; il capitello, probabilmente settecentesco, fu incollato al dorso. Verosimilmente vennero rifatte le controguardie con seta moer color crema e aggiunte le guardie in pergamena, secondo la tendenza della legatoria d’arte di quegli anni. Il sistema impiegato per il restauro, oggi non condivisibile per la sua aggressività, fu però scelto in quanto l’unico in grado di mantenere la leggibilità della cesellatura dei tagli dorati e la consultabilità. L’intervento di restauro del 2005-2006 è stato improntato alla minore invasività possibile, pur avendo come obiettivo quello di assicurare al codice il mantenimento della funzionalità della legatura, in occasione di aperture del tutto eccezionali. Ha escluso lo smontaggio del corpo del libro, che non necessitava di alcun intervento di restauro e che anzi, dallo scioglimento dei fascicoli e dalla loro ricomposizione, comunque avrebbe subito un trauma sia a livello strutturale che estetico, considerata la cesellatura dei tagli a stento salvata dal restauro del 1963. 123 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 124 Dopo la digitalizzazione delle carte, preceduta dalla messa in sicurezza dell’esemplare da parte del restauratore del libro, è iniziata l’opera delle restauratrici del tessuto: è stata praticata una pulizia della coperta, tramite una reticella protettiva del raso, e alleggerite le macchie del vinavil con soluzione alcoolica. Sono stati assicurati i piatti al dorso, dopo la rimozione di brandelli di cucitura non più funzionali, e restaurati i bordi danneggiati dei piatti, rivestiti con l’applicazione di due veli di seta di Lione, appositamente tinta in due tonalità, avvalendosi dell’inserimento di una pellicola termoadesiva tra le parti e della delicata applicazione del termocauterio. Le operazioni sono state perfezionate con consolidamento a cucito dei ricami sollevati e delle applicazioni, ricollocando in posizione corretta i cordoncini storti o pendenti, tranne i cordoncini argentati delimitanti i medaglioni centrali, in quanto già riapplicati nel precedente rifacimento e pertanto storicizzati nella loro collocazione. Le varie fasi dell’intervento, per il momento conoscitivo che hanno rappresentato, sono state inserite nel commentario al facsimile del Libro d’ore e hanno acquisito valenza storica nel contesto in cui oggi a buon diritto figurano. 124 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 125 Archivio di Stato di Modena Archivio di Stato di Modena Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna L’ Archivio di Stato di Modena, attualmente diretto dalla Dott.sa Euride Fregni, è un Istituto periferico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, fondato nel 1862, deputato all’ordinamento, inventariazione, conservazione, fotoriproduzione, restauro e gestione di materiale archivistico. L’Istituto conserva un patrimonio documentario dal secolo VIII fino ai giorni nostri, particolarmente ricco per quanto riguarda il periodo dal sec. XV al XVIII, costituito da materiale cartaceo (oltre 160000 pezzi) e pergamenaceo (circa 17000 pergamene). L’Archivio è inoltre sede di una Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica. Direttore Euride Fregni Corso Cavour, 21 41100 Modena tel. 059 230549 fax 059 244240 [email protected] 125 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 126 Restauro del “Registro del fondo giudiziario di Finale Emilia” e di 3 frammenti di pergamene ebraiche utilizzate come coperta del registro stesso Maria Antonietta Labellarte, Tamara Cavicchioli, Alberta Paltrinieri 126 l lavoro attuato sul “Registro del fondo Giudiziario di Finale Emilia” e di tre frammenti di pergamene ebraiche utilizzate come coperta dello stesso registro, esemplificativo di un intervento complesso sia per l’eterogeneità dei materiali utilizzati che per la loro diversa valenza dal punto di vista storico-culturale. Il registro facente parte dell’Archivio Giudiziario di Finale Emilia, pervenuto all’A.S.MO. nel periodo direttamente successivo all’Unità d’Italia, contiene le difese nelle cause dell’Ufficio del Finale dal 1652 al 1659. Il fondo sopracitato risulta particolarmente ricco di frammenti membranacei di codici antichi, perché a Finale deve essere esistita una concentrazione straordinaria di codici latini ed ebraici scartati e riciclati dai librai locali che li utilizzavano per farne copertine di registri e volumi. L’esemplare in questione è uno di questi. Archivio di Stato di Modena Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna I Stato di conservazione Il registro, composto da 304 carte, presenta una coperta formata da tre frammenti ebraici membranacei e una legatura molto deteriorata sia nella cucitura che nella coperta; i supporti cartacei sono lacunosi soprattutto nella mediazione grafica. L’inchiostro metallogallico, in molti casi trasmigrato recto-verso, ha provocato perforazioni ai supporti cartacei a causa dell’acidità presente in esso. La cucitura si presenta curva al contrario deformando totalmente il documento. Soluzioni progettate - Numerazione delle carte, scucitura, pulizia a secco, distacco coperta; - Lavaggio con relativa deacidificazione, restauro con velature parziali e totali dei supporti cartacei; - Distacco dei tre frammenti di pergamena adesi al cartoncino che fa da coperta, pulitura degli stessi e loro restauro completo; - Ricomposizione fascicoli e relativa cucitura su 3 nervi di pelle allumata; - Esecuzione di una coperta di pergamena ex novo semifloscia inserendo, per rinforzo, cartoni durevoli su piatti e dorso, nervi di cucitura passanti sui piatti e patta di chiusura come da originale. - Condizionamento e collocazione dei tre frammenti di pergamene ebraiche insieme ad altri documenti di stessa natura. Pure se le prescrizioni tecniche indicano il recupero della vecchia coperta, in questo caso si è deciso di procedere all’allestimento di una coperta ex-novo fedele all’originale, facendo salve le esigenze di conservazione e fruizione, in quanto si è voluto dare ai frammenti ebraici una giusta collocazione storica. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 127 Restauro della “pianta topografica del fiume Po e dei ripari fatti costruire per difesa della terra di Boretto d’ordine di S.A.S di Modena” Maria Antonietta Labellarte, Tamara Cavicchioli, Alberta Paltrinieri Stato di conservazione La mappa si presenta molto sporca e infragilita dalle piegature della vecchia conservazione. Nella parte superiore è presente una grossa lacuna estesa su tutto il lato e sulla stessa è stato eseguito un vecchio restauro con una carta da recupero. Archivio di Stato di Modena l lavoro attuato sulla Pianta topografica del fiume Po e dei ripari fatti costruire per la difesa della terra di Boretto d’ordine di S.A.S. di Modena, evidenzia in modo particolare la rimozione di un vecchio restauro e l’urgenza di dare una maggiore consistenza alla mappa. La mappa, su supporto cartaceo, intitolata “Pianta topografica del fiume Po e dei ripari fatti costruire per difesa della terra di Boretto d’ordine di S.A.S. di Modona” è stata disegnata nel 1700 dal matematico bolognese Giangioseffo Mazzoni ingegnere per Sua Maestà Cesarea nello stato di Milano. Il disegno è in scala di 1000 passi geometrici (dimensioni cm 61 x 97) ed è eseguita con tratto a penna su carta filigranata. Si tratta di una carta molto dettagliata delle rive di Po comprese tra la fortezza di Brescello e Gualtieri per la parte estense e Viadana e Pomponesco per la parte mantovana. La mappa presta particolare attenzione alle opere di difesa idraulica, evidenziate dalle spiegazioni del disegno sulla sinistra e da un interessante dettaglio raffigurante la “veduta in grande d’un riparo e modo di construerlo”. La rappresentazione è impreziosita da un elegante fregio che la incornicia, all’interno del quale è disegnata la rosa dei venti (nord in alto) e lo stemma del Duca Estense. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna I Soluzioni progettate - Spolveratura; Lavaggio con distacco del vecchio restauro; Spianamento; Restauro completo con foderatura della mappa; Spianamento finale. 127 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 128 La villa rustica dell’acquedotto Randaccio San Giovanni di Duino Soprintendenza Archeologica del Friuli Venezia Giulia Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Friuli Venezia Giulia N el parco dell’acquedotto Triestino sono state condotte tre campagne di scavo (1988, 1990, 1991), che hanno portato alla luce una serie di vani appartenenti ad un edificio di età romana. La presenza di una falda acquifera che ricopriva periodicamente tale sito ha reso necessaria una serie di opere per consentire la canalizzazione delle acque. Ciò ha permesso di procedere al restauro e alla valorizzazione del sito. L’edificio era sviluppato su una superficie molto vasta e seguiva in parte la naturale pendenza del terreno con un orientamento N65° W-65°E. Del complesso si sono riconosciuti 40 vani, su una superficie totale di oltre 1330 mq, non ne risulta la delimitazione. Esso è costruito su tre livelli, con vani parzialmente incassati nella roccia di base e circoscritti da muri in conci calcarei legati da malta; a causa della morfologia del terreno e delle modalità costruttive – nonché di quelle di abbandono e distruzione, che sembrano essere state graduali – la sua conservazione e leggibilità non sono uniformi: nella fascia più alta sono conservati solo muri a livello fondazionale e non i pavimenti, in quella bassa le strutture sono in parte sommerse dall’acqua di falda, alimentata anche dalle sorgenti carsiche che vengono incanalate nell’acquedotto. Una lettura delle strutture e delle loro sovrapposizioni ha permesso di distinguere quattro fasi principali: la più antica è caratterizzata da vani di piccole dimensioni, forse pertinenti al settore rustico, come indicherebbero i pavimenti in cocciopesto ed un grosso dolio interrato; essa si data ancora in epoca repubblicana (inizi I sec. a.C.). In età augustea vengono costruiti i primi pavimenti a mosaico bianco delimitato da fasce nere con decorazione a crocette e soglie con motivi geometrici e a mura di città; vengono modificati e parzialmente rifatti in fase successiva (fine I inizi II sec. d.C. come evidenziato dal pavimento a decorazione geometrica a motivi a stelle e losanghe. Nella terza fase viene anche effettuato un ampliamento, con l’aggiunta dell’ala occidentale, che comprende tra l’altro un vano a suspensurae. Alcuni vani risultano abbandonati già alla fine del II sec. d.C., altri, con pavimenti in cotto sono databili alla metà del III sec. d.C.; più in generale ad epoca tarda è ascrivibile la probabile riconversione del complesso a fini produttivi, con l’inserzione di alcune vasche e focolari; l’uso dell’edificio è comunque proseguito fino ad epoca costantiniana, cui rimanda una moneta trovata in loco. Il complesso così individuato può avere assolto nelle sue varie fasi tanto la funzione di villa – caratterizzata dalla compresenza di pars dominica e pars rustica – quanto il ruolo di mansio, connessa al percorso Aquileia – Tergeste, identificato sul terreno e dalle fonti antiche quali la tabula Peutingeriana e l’itinerarium Antonini. Il restauro Direttore Regionale Ugo Soragno Coordinatore Claudio Barberi Soprintendente Fulvia Loschiavo Piazza della Libertà 7 34132 Trieste tel. 040 4194711 fax 040 43634 [email protected] 128 Nel mese di settembre del 2006 si è concluso il restauro dei mosaici di questa villa. L’intervento si proponeva di bloccare il degrado che aveva colpito i mosaici dopo diversi anni dall’impianto nel loro luogo originale di collocazione e dopo il restauro avvenuto a fine scavo archeologico. Già anni precedenti si era intervenuto con una pulizia sommaria dei pavimenti musivi collocati all’aperto e che presentavano, oltre al deposito di fogliame e terriccio, anche la crescita di flora di vario tipo, non solo sulla struttura muraria ma anche fra le tessere musive. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 129 Quest’anno invece, viste le numerose richieste per poter visitare il sito, il degrado ambientale e soprattutto l’illeggibilità dei disegni musivi, si è intervenuti con una pulizia più approfondita. Il pavimento si presentava coperto da un deposito superficiale costituito da muschi, terriccio e microrganismi con azione biologica notevole che aveva annerito la superficie impedendo di distinguere le tessere bianche da quelle nere. Il restauro precedente aveva sistemato il pavimento musivo su soletta di cemento con integrazioni a livello con malta e coccio pesto. Gli sbalzi di temperatura (gelo e disgelo) e la posizione dei pavimenti vicino alle acque dell’acquedotto che subiscono nell’arco della giornata e delle stagioni variazioni di livello e che vanno a sommergere alcuni di essi, hanno fatto si che si formassero delle spaccature, dei sollevamenti e alcuni distacchi delle malte e delle tessere che si presentavano sfaldate; in queste spaccature si sono formati depositi di terriccio che ha favorito la crescita di piante di ogni tipo. Il lavoro è iniziato con la pulizia del sito dal fogliame e dai muschi mediante diserbante (glifosate, usato anche dai tecnici dell’acquedotto triestino) e meccanicamente asportando anche tutte le malte distaccate; quindi sono stati fatti dei saggi di pulitura con biocidi (Desogen e Biotin N) che sono risultati validi solo ad alte concentrazioni. Si è quindi scelto di proseguire nella pulitura solo utilizzando una macchina a vapore e spazzole in quanto il sito, trovandosi nel territorio dell’acquedotto e a contatto coi canali che vanno al mare, sarebbe stato fonte di inquinamento da complessi organometallici difficilmente biodegradabili che avrebbero apportato grossi problemi ecologici. Il lavoro è stato completato con risarciture a malta sia sui muri delle stanze, sia sul pavimento imitando il cocciopesto già usato nel primo restauro. Per il consolidameto delle tessere musive è stato spennellato silicato d’etile. La collocazione del sito in un’area boschiva, e l’elevata umidità della zona, richiede interventi di manutenzione costante e periodica per il ripetersi delle condizioni di degrado. Direttore dei lavori Franca Maselli Scotti Restauro Antonella Crisma Luisa Zubelli Quaia 129 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 130 Museo Nazionale Paleocristiano Museo Archeologico Nazionale di Aquileia Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Friuli Venezia Giulia N Direttore dei lavori Franca Maselli Scotti Intervento di restauro ditta EDILRESTAURI con Gruppo SAPIO Restauratore conservatore direttore Antonella Crisma Assistente restauratore Daniele Pasini Direttore Franca Maselli Scotti Via Roma, 1 33051 Udine tel. 0431 91016 fax 0431 919537 www.aquileia.it/ archeologico@museoarcheo. aquileia.it 130 ella zona nord-orientale di Aquileia, nei pressi del porto fluviale, sorge nella prima metà del V sec. una basilica cristiana di forma rettangolare (58 metri di lunghezza e 19 di larghezza) caratterizzata da pavimenti musivi con iscrizioni, sia in greco che in latino, che ricordano i personaggi che parteciparono alla costruzione del pavimento. L’edificio venne inglobato in un complesso monastico femminile dell’ordine di S. Benedetto; esso, intitolato a Santa Maria e detto extra muros (cioè fuori le mura urbiche), divenne nel corso del tempo “il monastero” per antonomasia. Il complesso venne venduto ai privati a seguito delle disposizioni di Giuseppe II, imperatore d’Austria; ciò determinò, a partire dal 1787, e tanto più dal 1852, una serie di lavori di trasformazione delle strutture dell’ex complesso monastico, con profonde modifiche degli ambienti finalizzate a specifiche esigenze agricole. In particolare, l’edificio già sede della chiesa delle Benedettine venne usato per la vinificazione. Proprio qui avvennero nel 1895 le prime scoperte archeologiche: scavi per la realizzazione di una cantina portarono in luce mosaici policromi ed un’abside. I muri laterali sono conservati in altezza da uno a tre metri. Davanti all’edificio si apriva una piazza lastricata: i fedeli, giungendo alla basilica, entravano nel nartece, nel quale erano collocate alcune tombe, poi, attraverso le tre porte che si aprivano nella facciata, passavano nello spazio interno, a navata unica. Il presbiterio, era recintato da balaustre; la basilica terminava con un’abside poligonale poco profonda, chiusa entro un ambiente rettangolare secondo la caratteristica degli edifici cristiani dell’alto Adriatico, in particolare aquileiesi. Il mosaico pavimentale è ad orditura geometrica costituita da una doppia serie di sei riquadri, separati al centro da un lungo corridoio, ricalcato dalla moderna passerella. Si ripetono ottagoni, cerchi, quadrati, elementi rettilinei e curvilinei: non vi è traccia di motivi figurati. A distanze regolari sono inserite iscrizioni, in latino e greco, La chiesa dovette subire rilevanti danni nell’episodio attiliano del 18 luglio 452 d.C, come dimostrerebbero i lavori di ristrutturazione eseguiti. L’aula venne divisa in tre navate per mezzo di sei coppie di pilastri, alcuni inseriti nel mosaico. Si stese quindi un nuovo pavimento, posto ad un livello più alto dell’originale di circa 40 centimetri; dei lacerti rimasti, dopo lo strappo e la ricollocazione sul muro di fondo, sono rimasti visibili quelli più antichi. L’edificio sacro ebbe un’ulteriore sistemazione, segnata da colonne sostenenti archi e da una pavimentazione in lastroni di pietra, all’inizio del IX secolo, quando venne adibito a chiesa per le monache del cenobio benedettino. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 131 Il Complesso Paleocristiano di Monastero Museo Archeologico Nazionale di Aquileia Il complesso archeologico costituito dai resti delle basiliche paleocristiane di Monastero, si presenta come unità caratterizzata da due situazioni ambientali particolari: a - è inscritto nel perimetro delle mura dell’ottocentesco edificio adibito alla vinificazione, e quindi gode di protezione contro le aggressioni atmosferiche; b - si trova ad un piano notevolmente inferiore al livello degli edifici attuali ed al piano di campagna, con fondazioni e sottofondazioni che rimangono immerse, per gran parte dell’anno, nell’acqua delle falde freatiche superficiali. Di conseguenza le strutture antiche si trovano in un microclima particolare, con umidità elevatissime in ogni periodo dell’anno, dovuta alla continua risalita dell’acqua per capillarità e alla conseguente evaporazione in ambiente chiuso. Considerata l’impossibilità di isolare le strutture murarie dalla falda acquifera è necessario prevedere, ad intervalli regolari, la rimozione dei carbonati deposti dall’acqua e delle formazioni di colonie di microrganismi biodeteriogeni. È necessario, inoltre, eliminare residui di stuccature in materiale composito (leganti ed inerti di varia granulometria, residui di precedenti trattamenti di restauro). La periodicità degli interventi di manutenzione, l’esecuzione degli stessi in ambiente chiuso, la presenza di acque di falda, l’opportunità di non chiudere completamente il sito alla visita durante i lavori, sono le ragioni che hanno spinto la direzione scrivente a considerare l’utilizzo di una tecnica di pulitura che unisse efficacia dell’intervento a rapidità, economicità e rispetto per l’ambiente. La tecnologia “ICE CLEAN”*, registrata dal gruppo “SAPIO”, mutuata e opportunamente modificata dai procedimenti industriali di criosabbiatura, risponde efficacemente alle esigenze sopra descritte. Nuova è l’adozione di questa tecnologia su materiale musivo, dissimile nella natura dei suoi componenti. Una volta predisposte le varie unità operative secondo le esigenze di lavoro previste, si sono potuti avviare i primi test di messa a regime delle varie componenti: pressione dell’aria, dosaggio dei pellet e scelta della grammatura di questi ultimi. Le prime prove sono state realizzate lungo le superfici relative ai sarcofagi, composti da materiale lapideo compatto diffusamente interessato da colonie di microrganismi vegetali e da residui di stuccature in materiale composito. Come da programma le prove dovevano individuare la capacità o meno del sistema di ottenere un livello di pulitura rispettoso dei supporti sui quali veniva impiegato, ottimizzando le rese (quantità di CO2 impiegata e tempi di utilizzo). Pertanto sono stati considerati alcuni parametri, alcuni legati direttamente all’analisi di un futuro utilizzo della tecnologia: - tempo totale (utilizzo reale e propedeutico alle fasi); - pressioni di esercizio; - quantità di materiale impiegato; Il primo aspetto che risulta evidente è il calo drastico della temperatura pochi istanti dopo l’applicazione della tecnologia. Tale fenomeno è alla base stessa del sistema di pulitura che grazie a questo abbassamento dello stato termico infragilisce i depositi che vengono più facilmente rimossi dall’azione meccanica del getto d’aria. Ciò ha posto negli operatori il lecito interrogativo se questo possa determinare degli effetti collaterali dannosi sulla struttura stessa dei materiali e, proprio per poterlo verificare con maggiore precisione, sono state prelevate 2 tessere (una sottoposta ad intervento di criosabbiatura, l’altra no) al fine di esaminarle e confrontarle in laboratorio. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Friuli Venezia Giulia Il problema conservativo - prove di pulitura * La tecnologia ICE CLEAN è stata oggetto di sperimentazione presso questo Istituto. A partire dal 2001 si possiede documentazione scientifica. 131 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 132 Le superfici mosaicate, infatti, risultano in certi elementi (alcune tipologie di tessere in cotto) più fragili ed aggredibili. L’operatore pertanto deve lavorare ad una pressione di esercizio inferiore che sui calcari, e ad una distanza maggiore per poter dosare e controllare ulteriormente il flusso. Le stesse malte ed impasti di stuccatura e/o le incrostazioni calcaree presenti sui sarcofagi, risultano puliti dagli attacchi biodeteriogeni, ma assolutamente intatti nella materia. 132 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 133 a Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio anche quest’anno aderisce al Salone dell’Arte del Restauro di Ferrara promuovendo gli interventi degli Istituti Territoriali e il restauro della statua di Leonardo da Vinci, realizzata dallo scultore Assen PeiKov nel 1960 per l’Aereoporto di Fiumicino. Si tratta di restauri che riguardano i diversi settori di competenza rappresentativi delle metodologie applicate a manufatti sostanzialmente diversi per epoca e materia. Verrà presentato il recupero dell’Opus sectile che ornava la sala di rappresentanza di una domus monumentale fuori Porta Marina ad Ostia, considerato l’unico esemplare di decorazione in opus sectile quasi integralmente recuperato e datato alla fine del IV sec. d.C. grazie al rinvenimento di una moneta di bronzo di Massimo (383-388 d.C.) nella malta di allettamento di uno dei pannelli recuperati. L’opera è attualmente esposta nel Museo nazionale dell’Alto Medioevo all’EUR. Altrettanto importanti gli interventi architettonici, rappresentativi dell’attività delle due Soprintendenze competenti del Lazio e di Roma. I recuperi riguardano Villa Giustiniani-Massimo in Laterano e il Complesso della Cattedrale di Anagni. I lavori di restauro della facciata principale della Villa sono attualmente in corso. Sono stati recuperati tutti i rilievi della facciata ed i busti in marmo alcuni dei quali di origine archeologica ed altri del XVII sec. Per quanto riguarda il Complesso di Anagni si tratta di un articolato ciclo di opere che per circa un decennio hanno interessato il sito declinandosi tra manutenzione e restauro tra conservazione e valorizzazione. La Soprintendenza per i Beni storico-artistici del Lazio parteciperà con gli interventi più significativi realizzati negli ultimi anni ed ancora in corso. Si tratta dell’Aristide Sartorio di Montecitorio e dei due cicli di affreschi di San Giovanni a Porta Latina e Santa Maria Sopra Minerva e del recupero della tela del Caravaggio Odescalchi. Infine la Direzione Regionale presenta il restauro della statua di Leonardo da Vinci di Fiumicino con la collaborazione scientifica della dott.ssa Anna Imponente. La statua è collocata all’interno dell’area aeroportuale ed emergeva un grave stato di degrado dovuto non solo allo strato di polveri, grassi, fumi e particellato atmosferico ma anche all’ossido di carbonio del traffico veicolare. Il recupero è anche un’occasione per riportare l’attenzione sull’artista PeiKov che ebbe un periodo di grande notorietà ed apprezzamento critico tra gli anni ‘40 e ‘50 rappresentante di quella colonia di artisti stranieri a Roma che avevano casastudio nella notissima Via Margutta. A conclusione dell’intervento una mostra illustrerà il restauro e l’occasione di Ferrara rappresenta un’anteprima significativa. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio L Direttore Regionale Luciano Marchetti Coordinatore Anna Maria Romano Piazza di Porta Portese, 1 00153 Roma tel. 06 584351 fax 06 5810700 [email protected] 133 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 134 Leonardo Da Vinci - Il cantiere di restauro Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio Obiettivi del restauro Direttore dei lavori Annamaria Romano Direzione scientifica Anna Imponente Progettazione dell’intervento di restauro Anna Imponente, Cecilia Bartoli Collaboratori alla direzione lavori Roberto Angelini Impresa esecutrice Bartoli restauro e ricerca s.r.l Roma tel. 06 6875562 fax 06 68199318 [email protected] Sponsor Armosia - Roma Tempi cantiere iniziato nel maggio del 2006 ed attualmente in fase di ultimazione 134 Il presente restauro si pone come un’occasione per riportare l’attenzione e valorizzare un artista che ebbe un periodo di grande notorietà ed apprezzamento critico, in particolare intorno agli anni ‘40 e ’50. E’ una prima occasione per riprendere in considerazione la sua opera che, nel momento in cui l’arte puntava verso l’astrattismo e la sperimentazione di tecniche nuove recupera i temi e le forme classiche, in particolare in opere come il Leonardo dell’Aeroporto o la Minerva dell’Università di Bari. Vero e proprio ritorno alla statuaria classica e rinascimentale. L’intervento e le tecniche di restauro L’intervento di restauro di tipo conservativo, dopo la rimozione degli strati superficiali di sporco e le pesanti ossidazioni, è riuscito a recuperare il livello originale del metallo conservando tuttavia la sottile patina del tempo grazie alla scelta di solventi e metodologie idonee. La scultura si presentava in un grave stato di degrado. Su tutta la superficie si era depositato uno strato di polveri, grassi, fumi e particellato atmosferico. Era presente in certa misura anche l’ossido di carbonio dovuto al transito veicolare. Particolarmente esteso è il problema delle ossidazioni che interessano ampie zone della scultura delimitate, in alcuni casi, dal dilavamento nelle parti più esposte e in cui l'acqua tende a convogliarsi ed in altri casi dai blocchi di fusione dell’opera. Nei punti di fusione sono presenti fessurazioni profonde. Lungo le fessurazioni e le connessure dei vari elementi in materiale lapideo del basamento hanno trovato alloggio piante e vegetazione tra cui muffe licheni, muschi e piante superiori. Il basamento in travertino non è l’originale dell’opera ma quello collocato dopo uno spostamento della scultura in un’altra area dell’aeroporto rispetto a quella iniziale. L’intervento di restauro si può suddividere in diverse fasi che si possono così riassumere: - Operazioni preliminari al consolidamento e alla pulitura. - Operazioni di pulitura meccanica e pulitura chimica. Trattamenti inibitori di corrosione. - Operazioni di consolidamento - Intervento di reintegrazione. - Intervento di protezione di tutte le superfici. Il restauro della grande scultura è affiancato da una campagna di indagini conoscitive e diagnostiche che servono a segnalare lo stato di conservazione del manufatto e a dare le indicazioni su materiali e tecniche di esecuzione. L’intervento è anche corredato da documentazione grafica e fotografica ai fini del rilievo dello stato di conservazione, delle tecniche di esecuzione, degli interventi precedenti. La statua di Leonardo da Vinci La scultura di Leonardo è l’opera più grande che l’artista abbia realizzato. La statua raffigura il grande artista del Rinascimento italiano in piedi con una mano indica il cielo e nell’altra sostiene una delle sue più interessanti invenzioni relative a gli studi sul volo, la vite aerea. Fu commissionata nel 1957 dal Ministero dei Lavori Pubblici (Ministro Togni), è 16-03-2007 2:07 Pagina 135 stata inaugurata nell’estate del 1960 dall’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Eseguita in bronzo, con basamento in travertino, presso la fonderia Michelucci di Pistoia per un’altezza di nove metri. Al momento della sua collocazione la statua si trovava in una posizione di grande evidenza e di accoglienza dei viaggiatori, in seguito, con le necessità di ampliamento dell’aeroporto, l’opera è stata spostata più volte perdendo la sua centralità. ASSEN PEIKOV Nato a Sofia il 28 giugno 1908, Assen Peikov si è diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Sofia nel 1937 con medaglia d’oro. Nel 1938 si stabilisce a Roma dove prende studio a Via Margutta, 54. A Roma frequenta il mondo artistico e culturale dell’epoca che condivide con il fratello Ilia, pittore. Li accomuna la frequentazione e l’amicizia con De Chirico, Savinio, Guttuso, Fazzini, Maccari, Barilli. Nel corso della sua carriera scolpisce più di 1250 ritratti di personalità politiche, artistiche, religiose di tutto il mondo. In Italia realizza 16 monumenti di considerevoli dimensioni fra cui la Minerva nell’Università degli Studi di Bari, la Previdenza nell’Istituto di Previdenza Sociale di Bologna e la grande statua di Leonardo da Vinci dell’Aeroporto Leonardo da Vinci di Roma - Fiumicino. Le sue opere si trovano in musei e collezioni private in Italia, alla Galleria di Arte Moderna di Roma, in Bulgaria, in Francia, in Gran Bretagna, Belgio, Svizzera, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Messico, India, Afghanistan. Assen Peikov muore improvvisamente nel suo studio di Via Margutta il 25 settembre del 1973. La Mostra Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio Impaginato Ferrara per stampa6.qxp Contestualmente al restauro della scultura di Assen Peikov dedicata nel 1960 a Leonardo da Vinci, si intende presentare in un idoneo spazio espositivo degli Aeroporti di Roma una mostra articolata che: illustri il lavoro di restauro svolto, si colleghi attraverso i bozzetti, i disegni dell’artista e altri materiali originali anche documentari, alla realizzazione dell’opera. Questa mostra si configura anche come l’occasione per presentare più in generale il lavoro di Assen Peikov che, nel clima astrattista del secondo dopoguerra, si è espresso con una figuratività semplificata e robusta. Notoriamente apprezzato all’epoca e poi quasi dimenticato dalla critica (il suo studio di Via Margutta è conservato e posto sotto tutela) è autore di altre importanti opere pubbliche realizzate su scala monumentale in alcune città italiane 135 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 136 L’Opus sectile di Porta Marina nel Museo Nazionale dell’Alto Medioevo Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio Descrizione Museo Nazionale dell’Alto Medioevo Viale Lincoln n.3 - 00144 Roma Direttore Margherita Bedello tel. 06 54228199 fax 06 54228130 e-mail: medioevo.ostia@arti. beniculturali.it Soprintendente ad interim Alessandro Bedini Angelo Pellegrino Margherita Bedello Viale Lincoln, 3 00144 Roma tel. 06 54228199 fax 06 54228130 www.itnw.roma.it/ostia/scavi medioevo.ostia@arti. beniculturali.it 136 Lo straordinario monumento ostiense, noto nella letteratura archeologica fin dagli anni della scoperta avvenuta nel 1959, non è mai stato esposto nella sua interezza. Si tratta dell’unico esemplare di decorazione in opus sectile tardoantico quasi completamente recuperato. Dallo scorso mese di novembre è possibile visitare, nel Museo Nazionale dell'Alto Medioevo di Roma, la straordinaria decorazione a intarsio di marmi colorati (opus sectile) che ornava la sala di rappresentanza di una domus monumentale fuori Porta Marina a Ostia, puntualmente datata alla fine del IV secolo d.C. per il fortunato rinvenimento di una moneta di bronzo di Massimo (383-388 d.C.) nella malta di allettamento di uno dei pannelli con leone. La grande aula (m.7,45 x 6,70) con l’esedra quadrangolare sulla parete di fondo (m.6,00 x 3,90) è completamente rivestita di marmi policromi con specchiature geometriche, fregi floreali, gruppi di animali in lotta. L’effetto generale è enfatizzato dal grande pavimento (circa mq.32) in opus sectile di marmi preziosi (giallo antico, serpentino, porfido rosso e pavonazzetto), decorato con motivi a stelle, ottagoni e cerchi combinati con sontuosa eleganza. In sorprendente contrasto, l’esedra di fondo è interamente ricoperta da una decorazione geometrica, sempre in opus sectile di marmo, con motivi a scacchiera minuta in basso e con falso prospetto architettonico nella parte alta. Sul soffitto si deve immaginare il mosaico di pasta vitrea verde-azzurro con tralci di vite ricoperti d’oro, recuperato solo in piccola parte a causa del crollo dell’edificio ed esposto accanto all’aula. La sontuosa decorazione dell’aula trova confronto in rivestimenti a intarsio marmoreo, purtroppo frammentari, rinvenuti in tutte le regioni mediterranee, per i quali l’opus sectile ostiense costituisce un riferimento obbligato. Introduce la visita dell’aula una sezione didattica con pannelli che raccontano la storia della scoperta e dei restauri antichi e recenti, il programma decorativo dell’aula e i suoi collegamenti con analoghe decorazioni di età tardoantica. Una campionatura di marmi con la mappa delle cave di provenienza illustra i materiali costitutivi dell’opus sectile. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 137 Villa Giustiniani - Massimo in Laterano. Il restauro della facciata Andreina Draghi, Massimo Bruno, Cristiana Bigari Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per il Comune di Roma La villa Giustiniani Massimo in Laterano fu di proprietà dell’illustre famiglia Giustiniani dal XVII sec.e fu ceduta ai Massimo nel XIX sec.; dal 1947 ospita la sede della Delegazione dei Padri Francescani in Terra Santa. L’edificio costituisce un documento importante della pittura Nazarena a Roma: gli affreschi dipinti nelle sale raffigurano episodi tratti dai poemi nazionali della Letteratura Italiana (La Divina Commedia e La Gerusalemme Liberata). Il ciclo di affreschi fu commissionato a J.F. Overbeck e a P. Cornelius ai quali, successivamente, si aggiunsero J. Schnorr, Von Carolsfeld, P. Veit e J.A. Kock (1819-1827 c.ca). La villa presenta su tutte e quattro le facciate rilievi marmorei e stucchi merito della famiglia Giustiniani che nel XVII sec fece apporre sulle superfici architettoniche reperti archeologici di diversa datazione e provenienza: busti clamidati con teste ritratto maschili e frammenti di fronti di sarcofagi. Alcuni rilievi sono pertinenti ad un unico sarcofago, altri sono il risultato dell’unione di due o più scene assemblate insieme, tanto che non è sempre facile identificare nell’iconografia attuale il mito che illustrava il nucleo originale dell’opera. Al momento della collocazione sulle quattro facciate della villa dei rilievi in marmo di provenienza archeologica, nel XVII sec furono aggiunte decorazioni in stucco comprendenti cornici circolari con elementi floreali, festoni con uccelli, una grande aquila tra mensole con foglie d’acanto ed un cornicione nel sotto tetto, con metope decorate con alternanza di torri ed aquile. In alcuni casi figure in stucco completano le estremità dei rilievi in marmo: probabilmente sono state aggiunte per integrare la narrazione dei fregi antichi, in seguito alla perdita di parti del fronte del sarcofago da cui provengono. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio Descrizione delle opere Stato di conservazione delle opere Gli stucchi di Villa Massimo si presentavano mal conservati dal momento che dimostravano gravi processi di deterioramento sulla superficie esterna, nella struttura portante e nei sistemi di ancoraggio alla muratura. L’armatura interna dei rilievi più aggettanti costituita da diversi elementi in ferro, risultava completamente ossidata; tale processo aveva determinato la fratturazione della malta pozzolanica interna e la conseguente perdita di parti di modellato degli stucchi. La finitura superficiale in “marmorino” romano e la coloritura originale degli stucchi risultavano generalmente perdute, erose e dilavate dalla pioggia battente. La diversa datazione e provenienza degli antichi rilievi marmorei e le diverse vicende conservative di cui sono stati oggetto nei secoli, prima di giungere nella loro sede attuale sulle facciate di villa Massimo, avevano determinato diversi stati di conservazione dei manufatti. I reperti archeologici presentavano gravissime forme di degrado: il materiale costitutivo era compromesso al punto che la conservazione del marmo interferiva con la leggibilità dell’iconografia delle opere, resa ancor più difficoltosa dai numerosi rimaneggiamenti subiti nel tempo, con inserimento di inserti o giustapposizioni di parti provenienti da diversi sarcofagi, come denuncia la presenza di diverse tipologie di marmo in uno stesso rilievo. Su tutti i marmi erano presenti numerose croste nere, localizzate prevalentemente nelle parti meno aggettanti del modellato; nei sottosquadri e nelle zone dei fondi più protette dal dilavamento le croste nere aumentavano di spessore, fino ad assumere l’aspetto dendritico. Lì dove le croste nere dure e fragili risultavano fratturate o distaccate spontanea- Restauro della facciata principale comprendente busti, rilievi marmorei, stucchi decorativi, intonaci e tinteggiature Imprese esecutrici per i lavori di restauro RES Consorzio Restauratori Lavori edili impresa I.C.E.S.A. s.r.l. Direzione lavori restauro edile: Responsabile del procedimento Massimo Bruno Direzione lavori restauro artistico Andreina Draghi, Daniela Candilio Assistente alla direzione lavori Gerardo Favoccia Pesponsabile sicurezza Claudio Bulgarini Proprietà (dal 1947) Delegazione Padri Francescani di Terra Santa Soprintendente Federica Galloni Via di San Michele, 17 00153 Roma tel. 06 588951 fax 06 5883340 [email protected] www.ambienterm.arti.beniculturali.it 137 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 138 mente dal substrato lapideo, lasciavano a vista il marmo interno disgregato e polverulento a causa dei processi di solfatazione. Le parti scultoree con maggior rilievo sottoposte ad erosione eolica, ad abrasione di polveri sospese nell’aria e al ruscellamento della pioggia dilavante, si presentavano prive di croste nere, ma gravemente lacunose, mancanti della finitura originale a causa del grave processo di erosione. In molte di queste parti si evidenziava il fenomeno della “degradazione differenziale”, ovvero era visibile l’eterogeneità della composizione e della struttura del materiale lapideo. L’asportazione del materiale costitutivo dalle superfici più esposte ne ha determinato l’abrasione dei rilievi e la perdita di tutti i particolari decorativi o dei segni della lavorazione originale della pietra. Lo stato di conservazione del marmo di provenienza archeologica rende immediatamente individuabili tutti gli elementi lapidei inseriti successivamente negli interventi di restauro, come integrazioni alle parti mancanti del modellato. Tali aggiunte si distinguono per la presenza dei segni di lavorazione della pietra, per la diversa granulometria del marmo e per i piccoli perni in bronzo utilizzati per l’ancoraggio. Le documentazione grafica finalizzata all’esatta individuazione dei fenomeni di degrado presenti sulle opere dimostra la presenza di numerose fessure, fratture, scagliature del marmo e le lacune del modellato. Interventi di Restauro Le gravi condizioni conservative dei marmi e degli stucchi hanno reso impellente la verifica della stabilità e dell’ancoraggio di tutte le parti scultoree, per scongiurarne la caduta. Le numerose fratture presenti nel materiale costitutivo, soprattutto in corrispondenza di perni in ferro ossidati, hanno imposto un lavoro preliminare di pronto intervento sulle opere. Tutte le parti fessurate o mobili sono state velinate con garze di cotone e resina acrilica, per permettere l’infiltrazione a siringa di malte idrauliche per restauro e perni in vetro resina o acciaio inox. Le numerose zone erose dei marmi, che presentavano gravi fenomeni di disgregazione e polverizzazione del materiale costitutivo sono state consolidate con silicato d’etile, (Phase Plus 5035) applicato a pennello in fasi successive, fino ad imbibizione del marmo. Il preconsolidamento ha permesso di procedere con l’intervento di pulitura, per la rimozione delle numerose croste nere, con compresse di polpa di carta e sepiolite con soluzioni saline basiche e tensioattivi, lì dove le condizioni conservative del marmo lo hanno reso possibile. Sulla maggior parte delle superfici lapidee si è preferito l’impiego di procedere di pulitura meno invasive, nel rispetto delle problematiche conservative dei marmi al di sotto delle croste nere; è stato impiegato pertanto il sistema laser SFR, con lunghezza d’onda di 1064 nm, modello Laser Smart Clean II, garantendo una pulitura selettiva, basata sul differente assorbimento ottico, per l’ablazione delle croste nere nel rispetto del substrato e della sua patina. Le fessure e le piccole lacune reintegrabili sono state stuccate con malta composta da grassello di calce e polveri di marmo opportunamente selezionate, nella granulometria e colore simile al materiale costitutivo originale. Sulle superfici lapidee è stato applicato un protettivo idrorepellente il Rhodorsil H224 della Rhone Poulenc. Gli studi condotti per l’identificazione della cromia originale degli stucchi e degli intonaci, per mezzo di stratigrafie eseguite manualmente a bisturi ed analisi microchimiche su sezioni stratigrafiche, hanno permesso di constatare che la finitura pittorica delle superfici era stata realizzata con tinta a calce e pigmenti naturali: ocra gialla. Il reperimento di un documento storico, comprovante l’originale cromia del villi- 138 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 139 no Massimo-Giustiniani da parte del Prof. Padre Piccirillo, (una delle pitture murali presenti nelle sale di palazzo Massimo alle Colonne in Roma illustranti i possedimenti della omonima famiglia, identificata dalla scritta nel cartiglio come la “Lateranensis Maximorum villa”) ha rafforzato le ipotesi formulate in base alle indicazioni delle analisi scientifiche e al ritrovamento della finitura originale degli stucchi meglio conservati, permettendo la reintegrazione cromatica delle superfici nella versione originale. La reintegrazione degli stucchi e la tinteggiatura degli intonaci è stata eseguita con grassello di calce ben stagionato e pigmenti naturali, differenziando le modanature architettoniche in aggetto e le specchiature di fondo mediante una leggera variazione della quantità di ocra gialla per ottenere tonalità più chiare o più intense. Conclusioni L’intervento di restauro da poco conclusosi costituisce un’importante opportunità per lo studio dei manufatti artistici di provenienza archeologica. Sono state rilevate e documentate tutte le parti aggiunte per individuare il nucleo originale di ogni singola fronte di sarcofago o rilievo, in modo da stabilire la differenza tra le parti di modellato originale re-inserite e quelle realizzate ex novo nei vecchi interventi conservativi. La documentazione prodotta dal restauro e la conoscenza delle gravi condizioni conservative daranno alla D.L. l’opportunità di acquisire nuovi elementi per lo studio delle opere in oggetto, ma soprattutto per elaborare un progetto di restauro completo, mirato alla conservazione di tutti i reperti archeologici conservati sulle facciate di Villa Massimo- Giustiniani. La visione ravvicinata dei rilievi per mezzo del ponteggio ha permesso infatti di valutare con esattezza l’entità delle forme di degrado che interessano le opere; ha dato modo di verificare l’urgenza dell’intervento di restauro per la messa in sicurezza di parti in pericolo di caduta e per il consolidamento di superfici continuamente esposte all’erosione eolica e al dilavamento, a causa della loro collocazione esterna, esposte ai fenomeni ambientali e all’inquinamento del traffico urbano. 139 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 140 Restauro del Complesso architettonico della Cattedrale di Anagni Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio Obiettivi del Restauro Responsabile di zona Giorgio Calandri Progettista e direttore dei lavori Amedeo Malatesta Collaborazione tecnica geom. Marcello Bruni Impresa costruttrice Alessandri s.r.l - Roma Tempi cantieri iniziati nel marzo del 1999 e completati a giugno 2006 Soprintendente Costantino Centroni Via Cavalletti, 2 00186 Roma tel 06 696241 fax 06 69941234 [email protected] 140 La Cattedrale di Anagni, monumento simbolo di una civiltà che ancora oggi testimonia la grandezza di un periodo storico, costituisce un importante fulcro di irradiazione sul territorio di valori ed interessi collegati. E’ importante considerare queste situazioni particolari che sono scaturite dagli importanti interventi di restauro e valorizzazione di siti monumentali, come nel caso qui trattato, che esulano dalla realtà locale vuoi per densità di interessi, vuoi per molteplicità di interrelazioni con il contesto territoriale. La maglia urbanistica che si stringe attorno alla Cattedrale può essere ricucita in un percorso che si snoda all’interno di questa parte importante della struttura urbana costituitasi nel Medioevo ad Anagni, essenzialmente per iniziativa papale e soprattutto ad opera di Bonifacio VIII. A seguito degli importanti lavori di restauro, effettuati nel corso di questo ultimo decennio e che hanno interessato tutto il complesso della Cattedrale, si aprono nuove prospettive: la “fabbrica” è emersa come realtà unitaria, indivisibile, un microcosmo, anche museologico, complesso e di prestigio. La dimensione de estensione degli interventi effettuati, la rilevanza delle risorse investite, la singolarità degli esiti in termini di conoscenza e valore aggiunto in relazione al compendio, connotano una condizione di novità e straordinarietà che può essere messa a confronto soltanto con quella dell’analogo momento configuratosi in conseguenza dei restauri eseguiti alla fine degli anni ’30. Il filo conduttore di tutto l’iter progettuale del Complesso è stato quello di creare un itinerario museale che avesse una propria organicità, una logica semplice e lineare che potesse dare al visitatore, al termine del percorso, articolato tra spazi interni ed esterni, un’idea ben precisa degli eventi storici, artistici, politici accaduti nei secoli all’interno delle sue mura oltre ad un quadro completo delle ricchezze di cui l’organismo ne è prezioso contenitore. Fulcro di tutto l’intervento è stato senza dubbio il restauro sia degli esterni che degli interni del tempio nonché le indagini archeologiche eseguite nell’immediato intorno dello stesso Tempio con la riacquisizione e la valorizzazione dell’oggetto architettonico antico con l’immagine che della Cattedrale giunge oggi ai nostri occhi: un luogo duecentesco che gli eventi storico-artistici succedutisi nei secoli avevano profondamente segnato. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 141 Salone dei Corazzieri – Palazzo del Quirinale Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico del Lazio L’intervento di restauro nella Sala dei Corazzieri ha avuto inizio a settembre del 2005 con il rilevamento dei dati necessari per il rilievo fotogrammetrico del soffitto e delle tavole grafiche delle pareti, per garantire la restituzione in formato digitale della tecnica d’esecuzione. In contemporanea è stata effettuata una campagna fotografica delle pareti e del soffitto. L’intervento di maggior impatto visivo riguarda la messa in luce della cornice originale seicentesca,che è stata ampiamente documentata con un numero cospicuo di foto generali e di dettaglio. L’intervento è stato preceduto da un’estesa ed approfondita ricerca storica, artistica e tecnica, arricchita da prove e campionature, svolte dai restauratori Antonella Zari e Carlo Giantomassi per la Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Lazio, che ha portato allo sviluppo di un preciso e dettagliato progetto di restauro. I lavori sono stati eseguiti sotto le indicazioni e la sorveglianza della Soprintendente dott.ssa Rossella Vodret. Il Quirinale, committente del restauro, grazie al continuo e concreto sostegno da parte del Prof. Luis Godart ha monitorato e seguito continuamente il lavoro. L’intervento ha interessato una superficie dipinta di circa 972 mq. Le opere di consolidamento dell’intonaco, di fissaggio della pellicola pittorica e di stuccatura sono stati eseguiti su tutta la superficie decorata, mentre l’intervento di pulitura e d’integrazione pittorica si è differenziato per il fregio seicentesco figurativo di circa mq 500, partendo dalla quota ml 11 fino all’attaccatura del soffitto ligneo a ml 14,8. La superficie originale ritrovata, immediatamente superiore ai pannelli di finto marmo è di circa 100 mq complessivi. La pulitura a secco ed il restauro pittorico della fascia ottocentesca di stemmi e simboli regionali è stata eseguita su una superficie di circa 360mq. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio Descrizione dell’intervento Linee guida del restauro Il deposito incoerente è stato rimosso su tutta la superficie con pennellesse morbide e microaspiratori. L’effetto generale della pellicola pittorica, a tratti lucido e cupo, è stato migliorato con una leggera pulitura ad acqua, tramite l’applicazione di un foglio di carta giapponese interposto, per evitare ogni interferenza con la pellicola pittorica originale. Il consolidamento in profondità, per fare aderire l’intonaco al supporto murario e garantire l’adesione tra gli strati, è stato eseguito con iniezioni di una malta premiscelata specifica (PLM-A) diluita in proporzione con l’acqua. Laddove il distacco è risultato minimo, è stata utilizzata una resina acrilica in emulsione al 30%. Le stuccature preesistenti eseguite male o fessurate sono state rimosse e sostituite. Tutte le grandi fatturazioni verticali, le fessure diffuse e le lacune presenti sulle quattro pareti sono state stuccate con una malta composta di una parte di carbonato di calce idraulica e tre parti di un misto di polvere di marmo, sabbia di fiume fine e carbonato di calcio idrata. Questo composto è stato miscelato in cantiere per poter ottenere una malta simile per colore e granulometria all’originale. L’integrazione pittorica delle lacune è stata eseguita con colori ad acquarello con il metodo del tratteggio, invece le abrasioni o integrazioni pittoriche alterate con il sistema a cosiddetto a velatura. Linee guida del restauro La rimozione della ridipintura a tempera della cornice presente su tutto il perimetro della sala è stata eseguita con un metodo messo a punto in precedenza - su di un foglio di carta giapponese è stata applicata a pennello una soluzione di carbonato d’ammonio, la quale è stata lasciata agire per circa 15 min. con il substra- Soprintendente Rossella Vodret Piazza S. Marco, 49 00153 Roma tel. 06 6967421 fax 06 69674210 141 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 142 to – fatto ciò la rimozione eseguita in seguito con acqua e spugne naturali è risultata molto facilitata. La rifinitura della pulitura si è svolta poi a bisturi. Inoltre alcuni panneggi, con estese zone di pellicola pittorica sollevata, sono stati fissati localmente mediante l’uso di siringhe con resina acrilica in emulsione. L’integrazione pittorica è stata compiuta con colori ad acquarello a velatura e sulle stuccature mediante il metodo a tratteggio. Dovendo ritrovare una continuità pittorica con la decorazione sottostante, sono stati coperti i triglifi e i pennacchi della decorazione a tempera con una pittura a base di calce. 142 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 143 Aula di Montecitorio – Fregio di G. A. Sartorio I Conversione di San Paolo olio su tavola; 237 x 189 cm Michelangelo Merisi detto il Caravaggio Roma, Palazzo Odescalchi Soprintendenza per il Patrimonio Stoico Artistico ed Etnoantropologico del Lazio La Conversione di San Paolo della collezione Odescalchi realizzata su tavola di cipresso è stata commissionata a Caravaggio, assieme al suo pendant raffigurante la Crocifissione di San Pietro oggi disperso, da mons. Tiberio Cerasi, Tesoriere Generale della Camera Apostolica, nel settembre del 1600. I due dipinti erano destinati a ornare la cappella che lo stesso aveva acquistato dai padri agostiniani di S. Maria del Popolo nel luglio dello stesso anno. Alla morte del committente, avvenuta nella notte tra il 2 e il 3 maggio 1601, i lavori della cappella non erano ancora terminati e le tavole, sebbene saldate il 10 novembre del 1601 dall’Ospedale della Consolazione - erede universale del Cerasi -, rimangono presso il pittore a disposizione degli esecutori testamentari. Dopo tre anni e mezzo, il 1 maggio 1605, i dipinti del Caravaggio che vengono collocati nella cappella non sono questi, bensì le due versioni tuttora esposte raffiguranti lo stesso soggetto ma realizzate su tela. A questo punto nasce l’enigma: perché mai le due tavole vennero sostituite? Una possibile spiegazione, stranamente non riportata dalle altre fonti secentesche, la fornisce Giovanni Baglione (1642) scrivendo che le due prime versioni su tavola “non piacquero al padrone (e) se li prese il card. Sannesio”. Ciononostante restano ancora insoluti interrogativi importanti ed essenziali circa le motivazioni e l’autore di tale rifiuto, ovvero il Cerasi oppure i responsabili dell’ospedale della Consolazione suoi eredi, nonché quando il Caravaggio eseguì le nuove versioni. Per cercare una soluzione a uno dei più intricati “gialli” della storia dell’arte del Seicento romano qualche inedita riflessione viene dal nuovo contesto architetto- Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico del Lazio I pannelli sono alti m. 3,75 ed hanno una larghezza variabile che va da un minimo di m.2,00 a un massimo di m. 2,61. I pannelli del lato della Presidenza sono piani, mentre quelli dell’emiciclo presentano una leggera curvatura. La lunghezza totale dell’intero fregio è di m. 105. La tecnica utilizzata da Sartorio per dipingere il fregio è a base di cera ed olio, con una serie di variabili in corso d’opera, che attualmente sono oggetto di indagini scientifiche. Il restauro tutt’ora in corso ha avuto inizio nell’ Agosto 2006 con la rimozione delle tele dall’Aula ed avrà temine nel mese di Agosto 2007 con la ricollocazione delle opere nella loro sede originale. L’intervento di restauro consiste nel ripristino dell’elasticità del supporto in tela e nel risarcimento della mancanza di adesione tra supporto, preparazione e strati pittorici (consolidamento), oltre alle consuete operazioni di pulitura e reintegrazione. Per l’intervento di consolidamento dei pannelli curvi dell’emiciclo sono state progettate specifiche attrezzature, realizzate all’uopo come prototipo. Cappella Cerasi – Santa Maria del Popolo – Conversione di San Paolo di Caravaggio Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio l fregio di Sartorio è composto da 50 pannelli in tela, affiancati e uniti l’uno all’altro per mezzo di perni inseriti nello spessore dei telai. I dipinti formano un unico nastro di pittura inserito tra le finestre sotto il velario ed il giro di arcate che incorniciano le tribune dell’Aula di Montecitorio. Responsabile unico del procedimento Luciano Marchetti Progetto e Direzione Lavori per il restauro Architettonico Paola Santilli Collaboratore Massimo Pluchino Progetto e Direzione Lavori per il restauro Storico Artistico Rossella Vodret Direttore operativo per il restauro Storico Artistico Claudi Tempesta Collaboratore Maurizio Occhetti Restauratore Alessandra Montedoro 143 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp Restauro a cura di Valeria Merlini e Daniela Storti Indagini diagnostiche a cura di Claudio Falcucci con la collaborazione dell’Istituto Nazionale di Ottica Applicata di Lecce, della Facoltà di Agraria dell’Università della Tuscia e del Centro di Datazione e Diagnostica dell’Università di Lecce Alta sorveglianza dei lavori Rossella Vodret 144 16-03-2007 2:07 Pagina 144 nico della cappella progettato dal Maderno, che aveva stravolto quello iniziale, e al quale mal si sarebbero adattati i due dipinti su tavola. È evidente che, rispetto alla tavola Odescalchi, la disposizione delle figure nel dipinto su tela suggerisce un punto di vista molto ravvicinato. Ciò è ottenuto ingrandendo le figure - san Paolo a terra, il cavallo - distanziandole tra loro, e “schiacciando” la prospettiva. Tanto per rendere l’idea, mentre il dipinto Odescalchi appare simile a una fotografia ottenuta con un obiettivo 50mm a 6-7 metri di distanza dal gruppo fotografato, l’effetto ottenuto nella tela successiva corrisponde a una fotografia eseguita con grandangolo a un metro e mezzo di distanza. Tale cambiamento potrebbe essere spiegato non solo come una diversa scelta stilistica, per ottenere maggiore drammaticità proiettando lo spettatore all’interno della scena, ma anche come un adattamento alle condizioni di fruizione del quadro all’interno della cappella Cerasi, che effettivamente, date le sue dimensioni e considerata la collocazione del dipinto, costringe l’osservatore a una visione ravvicinata. Tale ipotesi suggerirebbe che le versioni oggi presenti nella cappella Cerasi di S. Maria del Popolo siano state realizzate dopo che Caravaggio poté tener conto dei lavori architettonici completati sulla cappella per volontà testamentaria del proprietario, spostando quindi in avanti di qualche anno la datazione dei due dipinti su tela. In tal modo apparirebbe anche assai più comprensibile quella distanza stilistica tra le due opere, entrambe eccelse ma espressione di linguaggi diversi, che già notata dagli studiosi emerge oggi con maggior prepotenza alla luce del restauro della tavola Odescalchi. Il restauro ha rilevato il sostanziale buono stato di conservazione del dipinto, costituito da sette assi di cipresso giuntate orizzontalmente ma con la superficie pittorica offuscata da una vernice organica che alterava la lettura dei valori cromatici originali, dei rapporti chiaroscurali e della complessa sequenza dei piani. Oltre a ciò ha messo in evidenza l’ingrandimento dei bordi che modificano di 14,5 cm in altezza e 14,5 cm in larghezza le dimensioni originali che così risultano prossime a quelle della tela col medesimos oggetto ora nella Cappella Cerasi. Di grande interesse è stata la campagna di indagini scientifiche condotta durante l’intervento, tra cui la radiografia, la riflettografia IR, l’analisi di fluorescenza dei raggi X associata alla colorimetria, la documentazione in luce radente, la macrofotografia, la microfotografia, le riprese della fluorescenza indotta da radiazioni UV, l’indagine dendrocronologica e di radiodatazione del supporto. Queste indagini hanno fornito un contributo essenziale per la conoscenza della tecnica esecutiva del dipinto, dal tipo di legno utilizzato per il supporto ai criteri che ne hanno guidato la selezione, dalla composizione ed il colore degli strati preparatori alla ricostruzione delle prime fasi di impostazione della composizione, dalla stesura pittorica ai numerosi pentimenti che la caratterizzano. La preparazione per struttura e materiali segna una forte continuità con quella di molte tavole cinquecentesche, ma viene utilizzata “a risparmio” come consueto per il Merisi. Il ruolo determinante delle incisioni come riferimento per l’impostazione della composizione da parte de pittore trova un’ennesima conferma, così come la presenza di modifiche e pentimenti, segnale forte di un modus operandi che non prevede una grafica preparatoria esterna al dipinto. L’intervento realizzato nel 2006 è un esempio di sinergia tra Stato e Privati, scaturito dalla collaborazione tra l’organo preposto alla tutela dei beni culturali e il proprietario dell’opera che lo ha finanziato. Gli importanti emersi per la lettura dell’opera, qui brevemente sintetizzati, sono stati proposti al pubblico in una mostra tenutasi nel novembre del 2006 nella Cappella Cerasi di S. Maria del Popolo di Roma nella quale per la prima volta sono state messe a confronto entrambe le versioni della Conversione di san Paolo dipinte dal Caravaggio. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 145 La Direzione Regionale Liliana Pittarello uest’anno la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria presenta al Salone due interventi di restauro/manutenzione su beni architettonici, di cui si veda la presentazione del Soprintendente SBAPL, e la Guida agli interventi di recupero dell’edilizia diffusa nel Parco Nazionale delle Cinque Terre, appena pubblicata e curata dalla Direzione regionale e dal Dipartimento DSA dell’Università di Genova. La pratica della manutenzione infatti è centrale non solo per la salvaguardia dei ‘monumenti’ ma anche del territorio e dell’edilizia storica minuta. La Guida integra gli studi e gli strumenti di gestione del territorio avviati dall’Ente Parco, dal Piano del Parco al “Manuale per il recupero dei muretti a secco”. L’elaborazione della Guida ha costituito un laboratorio di collaborazione interistituzionale di grande interesse: ha infatti coinvolto direttamente nel lavoro funzionari della Direzione Regionale, delle Soprintendenze per i beni archeologici ed architettonici e paesaggio e della Regione Liguria, e docenti dell’Università di Genova. Inoltre, grazie a un accordo promosso dall’allora Soprintendenza Regionale, l’Ente Parco si è impegnato a recepire le linee guida negli strumenti normativi che governeranno le trasformazioni edilizie nel Parco e ad incentivarne l’applicazione. La Guida, nata come strumento per la gestione quotidiana delle trasformazioni edilizie di un paesaggio riconosciuto dall’UNESCO di eccezionale valore, costituisce in realtà anche un’esperienza esportabile in altre realtà territoriali. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria Q Direttore Regionale Liliana Pittarello Coordinatore Laura Giorgi Via Balbi, 10 16126 Genova tel. 010 2488016 fax 010 2465 532 145 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 146 La Guida agli interventi di recupero dell’edilizia diffusa nel Parco Nazionale delle Cinque Terre Luisa De Marco, Manuela Salvitti Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria L 146 a Guida, finanziata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nell’ambito della programmazione triennale 2001-2003 Fondi Lotto, è stata elaborata da un gruppo misto di lavoro, che include funzionari delle soprintendenze competenti e della Regione Liguria e i proff. S. F. Musso e G. Franco, mediante un contratto di ricerca con il Dipartimento DSA della Facoltà di Architettura di Genova per la ricognizione sull’edilizia rurale del Parco, sui suoi problemi di degrado/dissesto e obsolescenza tecnologica e per la redazione concreta della Guida. La Guida nasce con l’intento di rispondere ai problemi dell’edilizia rurale del Parco: da un lato, l’abbandono, che comporta la cessazione di ogni manutenzione e il rapido decadimento delle costruzioni e del sistema dei terrazzamenti, e dall’altro, l’adattamento a nuove esigenze abitative con tecniche e materiali non compatibili o con soluzioni architettoniche estranee al carattere dei luoghi e spesso di modesta qualità edilizia e costruttiva. Questi luoghi, per la fama che hanno acquisito nell’ultima decade, sono soggetti a pressioni di trasformazione ancora più alte che in passato e il costruito rurale rischia di perdere la sua identità costruttiva e paesaggistica. La guida esplicita i criteri di valutazione con i quali gli organi preposti alla tutela (Soprintendenza e Regione) hanno esercitato il controllo per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche e propone una panoramica di soluzioni tecniche tradizionali e innovative per superare i problemi di degrado fisico e di obsolescenza funzionale degli edifici, conservandone l’identità costruttiva. La guida inoltre suggerisce un approccio metodologico basato sulla conoscenza preliminare delle caratteristiche, dei problemi di stabilità e degrado degli edifici per rendere efficaci i risultati delle opere di recupero. La redazione della guida è stata preceduta da un’analisi svolta a due livelli: la consistenza fisica degli edifici e le esigenze di adeguamento per l’uso contemporaneo, sulla base dei progetti già realizzati nell’area. L’indagine sul campo ha considerato la localizzazione degli edifici e il rapporto con il sito, la morfologia, i materiali e le tecniche costruttive, le forme di degrado e di dissesto, le deficienze impiantistiche, mettendo in evidenza i caratteri del costruito rurale tradizionale delle Cinque Terre. L’analisi dei progetti di recupero degli edifici rurali, presentati negli anni precedenti e conservati nell’archivio della Soprintendenza BAP Liguria, ha consentito di individuare le esigenze di adeguamento più diffuse, e i più comuni rischi per la salvaguardia del patrimonio rurale provenienti dalle pressioni di trasformazione. Le linee guida sono state dunque impostate in modo che rispondessero alla situazione locale. Al contempo, attraverso la selezione e la illustrazione di alcuni esempi “critici” di edifici trasformati recentemente che hanno, con gradi diversi, snaturato le preesistenze e il paesaggio, si è cercato di stimolare le capacità di osservazione e la sensibilità del lettore verso le specificità costruttive e paesaggistiche del costruito rurale tradizionale. La guida intende anche svolgere un ruolo di sensibilizzazione dei professionisti, cui essa è principalmente rivolta, degli amministratori e degli abitanti che aumenti l’attenzione verso il patrimonio rurale del Parco e la consapevolezza che l’efficacia della tutela è il frutto dell’assunzione di responsabilità da parte di tutti i soggetti che a vario titolo operano sul territorio. La Guida è stata pubblicata per i tipi di Marsilio, Venezia nel dicembre 2006. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 147 La Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria Giorgio Rossini Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria T ra i numerosi esempi di restauro curati dalla nostra Soprintendenza in questi ultimi anni, abbiamo scelto due casi da porre all’attenzione del pubblico presente alla Fiera del Restauro di Ferrara 2007. Si tratta di una chiesa di fine Cinquecento, ubicata nel cuore del centro antico di Genova, e di una villa Liberty adagiata sulle colline dell’entroterra savonese. La chiesa San Pietro in Banchi è un piccolo esempio di architettura manierista, le cui superfici interne sono ricoperte di pregevoli marmi, stucchi ed affreschi ad opera dei maggiori artisti operanti a Genova tra Cinque e Seicento. Come molti edifici del centro storico genovese, la chiesa subì gravi danni durante l’ultimo conflitto mondiale. L’intervento effettuato, curato dall’ingegnere Rita Pizzone, ha comportato vari lotti diluiti in oltre dieci anni di finanziamenti che hanno riguardato tanto la facciata dipinta quanto le superfici decorate interne. Esso ha rappresentato un caso particolare di restauro. Si è trattato, infatti, di operare su superfici parzialmente ricostruite nel dopoguerra. Come sempre, in questi casi, l’intervento, meglio spiegato nei contributi critici dei curatori stessi, ha dovuto mediare tra la cromia originaria, luminosa e brillante, ritrovata durante i restauri, e quella riproposta negli interventi postbellici, sorda e opaca, esemplata sulla base delle superfici preesistenti, non ancora trattate. Il secondo esempio riguarda Villa Rosa di Altare, pregevole documento di architettura Liberty dell’inizio del Novecento. L’edificio, fino al 1992 di proprietà privata ed in stato di desolante abbandono, è stato acquisito dallo Stato per destinarlo a sede di un Museo Nazionale dell’Arte Vetraria, particolarmente praticata ad Altare fin dal Medio Evo. Le difficoltà a reperire le risorse finanziarie ed umane necessarie all’istituzione di un museo statale, indussero ad individuare una gestione diretta da parte dell’ente locale. Così le due amministrazioni interessate, Ministero e Comune, si adoperarono per concludere l’operazione di recupero e valorizzazione della villa: il Ministero si sarebbe fatto carico degli oneri per il restauro, l’amministrazione comunale si sarebbe impegnata per la valorizzazione dell’edificio, promuovendo l’istituzione del Museo a dimensione locale. Il materiale esposto in mostra rappresenta parte di una pubblicazione in corso di stampa, curata dall’architetto Rossella Scunza, progettista principale e direttore dei lavori. Esso vuole fornire una doverosa informazione di sintesi del lavoro svolto in questi anni, in cui sono maturate molte esperienze per la nostra attività di tutela. In particolare, nel caso in esame, si è trattato di un intervento di novità, sia per l’oggetto trattato, un immobile di datazione recente, eseguito con materiali e tecniche che si discostano da quelle tradizionali, sia per le difficoltà di collocare gli impianti tecnici, invasivi ma indispensabili per le funzioni museali. Sento pertanto il dovere di ringraziare quanti hanno contribuito al recupero ed alla valorizzazione di questi due esempi pregevoli del patrimonio culturale della nostra regione: dai progettisti ed i loro collaboratori, all’intera struttura della nostra Soprintendenza, che ha collaborato, spesso in forma anonima, alla felice conclusione delle operazioni. Soprintendente Giorgio Rossini Via Balbi, 10 16126 Genova tel. 010 27101 fax 010 2461937 ambientege@arti. beniculturali.it 147 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:07 Pagina 148 Il restauro della Chiesa di San Pietro e della SS. Immacolata di Banchi detta anche San Pietro della Porta in Genova Rita Pizzone, Paola Parodi, Stefano Vassallo Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria L Soprintendente Giorgio Rossini Via Balbi, 10 16126 Genova tel. 010 27101 fax 010 2461937 [email protected] 148 a chiesa di San Pietro della Porta fu fondata, a ridosso di varco delle mura del IX secolo, nell’anno 862. Nella piazza antistante nel XII secolo vi aveva già sede uno dei tre grandi Mercati della città, quello del grano. Nel 1348 diviene parrocchia in forma di collegiata col titolo di prepositura. Nel 1398, in una delle frequenti risse fra guelfi e ghibellini, fu distrutta da un incendio che danneggiò anche i Banchi dei mercanti. Soltanto nel 1568 il Senato decretò la ricostruzione della Chiesa e furono demolite le rovine di quella medievale. I lavori sono però interrotti a causa di lungaggini negli espropri e per la peste del 1579. Terminata la pestilenza, nel 1581 fu decretata dal Senato la costruzione della nuova chiesa in onore di Maria Immacolata in ringraziamento per la fine dell’epidemia, conservando però anche l’antico titolo per non privare della sua connotazione più antica la piazza e l’ambiente urbanistico che le gravitava intorno. L’incarico della progettazione e direzione dei lavori andò all’architetto camerale in carica, che era Andrea Ceresola detto il Vannone, affiancato da Giovanni Ponzello i quali si ispirarono alla alessiana Santa Maria di Carignano. La nuova chiesa ebbe orientamento diverso da quella medievale che era est ovest con la facciata verso il mare, essa fu ruotata di circa 90 gradi per affacciare il prospetto principale sulla piazza e per sfruttare meglio l’esiguo lotto disponibile. Il rivestimento interno con architetture e statue marmoree fu realizzato dagli scultori Taddeo Carlone e Daniele Casella; gli stucchi sono invece opera di Marcello Sparzo da Urbino, che li realizzò a partire dal 1585. La chiesa fu poi arricchita nel seicento dagli affreschi di Andrea Ansaldo, Giovanni Battista Baiardo, e Paolo Gerolamo Piola che decorarono rispettivamente la Cappella della Immacolata, la Facciata e i peducci della cupola. Altri dipinti sono opera di Andrea Semino, Benedetto Brandimarte e dei fratelli Calvi. I paramenti esterni della chiesa non furono mai completati Nel XVIII secolo fu rifatta la decorazione della volta della navata centrale e di parte della cupola. Nel 1854, nel corso di un generale restauro della chiesa, Giuseppe Isola realizzò gli affreschi della cappella di Santa Chiara. Nel 1913 la chiesa è chiusa al culto perché dichiarata pericolante e il titolo di parrocchia è definitivamente trasferito, nel 1940, nella chiesa di Santa Teresa e San Pietro in Albaro, dove è rimasto il Presepio di Giovanni Battista Paggi. Il 30 settembre 1942 la chiesa di San Pietro è quindi affidata ai Padri Missionari della Consolata di Torino per farne un centro di propaganda missionaria. Nell’incursione aerea del 15 novembre 1942 è distrutta la facciata coi due campaniletti e la volta della navata. Subito dopo la guerra, nell’ottobre 1945, iniziano i lavori di restauro della chiesa curati dai Padri Missionari con finanziamenti della Soprintendenza ai Monumenti, del Genio Civile e con l’aiuto di privati. L’11 giugno 1946 è aperta al culto la cripta, e nel 1952 è riaperta al culto la chiesa superiore. I lavori si concludono nel 1959. Nel 1982 i Padri Missionari lasciano la Chiesa che nel 1986, dopo una temporanea chiusura, è riaperta al pubblico e al culto grazie al contributo dei volontari del “Centro Banchi”. I primi interventi moderni della chiesa risalgono agli anni 80 del ‘900’ quando si pone mano al restauro e rifacimento degli intonaci esterni e delle coperture, passando poi al restauro della facciata. Nel 2002 inizia il restauro dell’interno, distri- Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 149 buito in tre successivi lotti, concluso nel 2006. In tale intervento sono stati restaurati gli stucchi delle volte e della cupola, lavoro che ha principalmente comportato l’eliminazione delle ridipinture e il ripristino delle coloriture sei settecentesche. I dipinti murali sono state anch’essi restaurati eliminando improprie aggiunte e ridipinture, e quindi consolidati reintegrati pittoricamente. Il paramento marmoreo, costituito da una complessa architettura, con paraste capitelli altari nicchie con statue, è stato ripulito da una spessa patina risalente ai restauri nel dopoguerra. Problematico è stato il trattamento di tutte le parti aggiunte o rifatte negli anni 50 del 900 che sono state in parte mantenute e in parte eliminate. Sono state restaurate le porte lignee mentre la amministrazione ecclesiastica ha provveduto al nuovo impianto di illuminazione. Il lavoro è stato accompagnato da una campagna diagnostica per la determinazione delle cause di degrado e delle caratteristiche delle materie originali e dei restauri antichi e moderni. È inoltre prevista una pubblicazione che illustrerà in maniera esauriente la storia del monumento e i restauri effettuati negli ultimi 50 anni. Dati tecnici amministrativi dei cantieri di restauro degli ultimi 20 anni. Perizia n° 58/1989 del 13/12/1998 di Euro 154.937,10. A.F. 1989 Fondi Ordinari Ex Cap. 8112. Impresa esecutrice: Co.Me.Ci. di Genova. Perizia n° 15/1992 del 25/09/1992 di Euro 22.724,10. A.F. 1993 Fondi Ordinari Ex Cap. 8103. Impresa esecutrice: Co.Me.Ci. di Genova. Perizia n° 16/1992 del 03/06/1992 di Euro 77.468,53. A.F. 1992 Fondi Ordinari Ex Cap. 8100. Impresa esecutrice: Co.Me.Ci. di Genova. Perizia n° 26/1995 del 11/10/1995 di Euro 154.937,07. A.F. 1995 Fondi 8 per mille. Ex Cap. 8103. Impresa esecutrice: Gioia Barbara e Giorgio di Torino. Perizia n° 08/1997 del 26/03/1997 di Euro 77.468,53. A.F. 1997 Fondi Ordinari. Ex Cap. 2102. Impresa esecutrice: Gioia Barbara e Giorgio di Torino. Perizia n° 27/2000 del 28/02/2002 di Euro 154.937,07. A.F. 2001 Fondi Ordinari Ex Cap. 7704. Impresa esecutrice: A.T.I. Restauro e Conservazione Opere d’Arte di Genova. Perizia n° 16/2003 del 14/04/2005 di Euro 210.000,00. A.F. 2004 Fondi Ordinari Ex Cap. 8312. Impresa esecutrice: Novaria Restauri di Novara. Perizia n° 10/2004 del 14/04/2005 di Euro 60.000,00. A.F. 2004 Fondi Ordinari Ex Cap. 8312. Impresa esecutrice: Co.Me.Ci. di Genova. Progettista e Direttore dei Lavori Ing. Rita Pizzone, assistenti Rossella Eseguiti, Paola Parodi, Stefano Vassallo. 149 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 150 Il Museo del Vetro in una villa liberty Villa Rosa di Altare (SV) Rossella Scunza Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria L a cittadina di Altare, sita immediatamente oltre il colle di Cadibona, all’imbocco della valle Bormida e pertanto vicinissima al confine con il Piemonte, è nota per la lavorazione del vetro che fin dal XVI secolo ha rappresentato la principale attività e la più importante risorsa economica della zona. Nel periodo compreso tra la metà del XIX secolo e i primi trent’anni del secolo scorso, Altare visse una stagione particolarmente florida dal punto di vista economico, grazie alla buona crescita commerciale delle sue aziende vetrarie ed in particolare della Società Artistico Vetraria, nata nel 1856, che a partire dal 1890 acquisì via via aree sempre più estese per ampliare i suoi stabilimenti. A tale progresso economico si accompagna uno sviluppo della vita culturale, particolarmente significativo, considerate le modeste dimensioni della cittadina e la marginalità della sua posizione geografica rispetto ai grandi centri urbani e ai flussi turistici della riviera. Venne fondata in quegli anni la Società Filodrammatica che crebbe al punto da farsi costruire, intorno al 1905, un teatro la cui progettazione venne affidata, con tutta probabilità, all’architetto torinese Gottardo Gussoni, interprete raffinato ed attento del gusto liberty di derivazione austriaca. Il teatro è andato distrutto, ma è rimasta una testimonianza fotografica sufficiente a dare un’idea dell’importanza attribuita all’edificio. A questo periodo risale la realizzazione di diversi edifici, di notevole qualità architettonica, che hanno come riferimento le diverse tendenze in voga che vanno da un gusto ancora eclettico a quello liberty che si è affermato con forza attraverso l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Torino del 1902. La costruzione di Villa Rosa, ultimata tra il 1905 e il 1906, si inserisce in questo clima culturale: il committente Monsignor Bertolotti volle destinarla ad abitazione della sorella Rosalia e ne affidò la progettazione all’architetto Nicolò Campora di Savona, uno dei progettisti più attivi ed aperti alle nuove tendenze dell’architettura internazionale. Negli anni la villa non subì trasformazioni d’uso, né di proprietà e pertanto, pur essendo sottoposta ad alcuni interventi di consolidamento ed ammodernamento, conserva ancora oggi le caratteristiche tipologiche e decorative originali. Lo Stato, su richiesta della Soprintendenza e dell’Amministrazione Comunale, ne dispose l’acquisto nel 1992 finalizzandolo alla realizzazione di un Museo dell’Arte Vetraria; l’anno successivo prese avvio l’intervento di restauro che ha riguardato innanzitutto i tetti e i prospetti decorati. Si sono realizzati poi i consolidamenti interni e gli impianti necessari ad ospitare la sede del nuovo museo per procedere infine al restauro degli interni e del giardino. Appena ultimati i lavori, il comune, che ha preso in consegna la villa, vi ha trasferito il museo dell’Arte Vetraria aprendolo al pubblico e promuovendo mostre e iniziative culturali di qualità. Il restauro degli esterni Soprintendente Giorgio Rossini Via Balbi, 10 16126 Genova tel. 010 27101 fax 010 2461937 ambientege@arti. beniculturali.it 150 L’edificio versava in stato di abbandono ormai da una decina d’anni pertanto le condizioni di degrado dei tetti e delle facciate erano piuttosto gravi: si è quindi iniziato l’intervento di restauro dalla copertura, per bloccare le infiltrazioni che avevano già provocato crolli parziali degli intonaci dei controsoffitti interni, proseguendo poi con le facciate decorate con un ricco apparato di stucchi a rilievo e con elementi in pietra. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 151 Materiali Non è stato possibile individuare l’impresa o le maestranze che hanno realizzato l’edificio poiché tale lavoro non risulta negli archivi disponibili delle imprese storiche della zona e perché il progettista, a quanto risulta dai documenti di archivio, messi gentilmente a disposizione dai discendenti, non ha seguito i lavori di esecuzione: di conseguenza le informazioni sono state acquisite dalla conoscenza diretta del manufatto tramite verifiche in situ ed analisi di laboratorio. La costruzione, dal punto di vista strutturale, è sostanzialmente di tipo tradizionale: le murature sono portanti, in pietra e mattone e gli orizzontamenti hanno struttura lignea, come il tetto. In alcune zone sono state rinvenute catene o travi in ferro con funzione di rinforzo delle murature. Gli intonaci contengono una piccola percentuale di cemento e gli stucchi sono in parte realizzati in opera, utilizzando mattoni ancorati con grappe o chiodi in ferro per gli sporti maggiori, in parte prefabbricati. Gli elementi lapidei sono in pietra di Dego, un’arenaria della zona dalla caratteristica colorazione grigia tendente al verde oliva, che presentava diffusi rigonfiamenti, esfoliazioni con distacco di materiale e polverizzazioni. Le caratteristiche del degrado sono quelle comuni a tutte le arenarie, aggravate qui dal clima che denota la zona: umidità molto elevata, inverni molto freddi e nevosi e una conseguente situazione di variazioni continue della temperatura al di sopra e al di sotto dello zero che accelerano i fenomeni degenerativi. Le finestre e le persiane sono in legno, le ringhiere in ferro, con motivi a “colpo di frusta” o a foglie, come i cancelli d’ingresso; anche la recinzione originale era in ferro, sostituita durante la guerra da elementi in legno. Il giardino è suddiviso semplicemente in grandi aiuole, il cui perimetro è definito da elementi prefabbricati in cemento, e ingentilito da un puttino su piedestallo, in cemento e ferro, incorniciato da un piccolo “bersò” o pergolato a cupola. Analisi Sono state svolte le analisi stratigrafiche, al microscopio e chimiche di rito sui materiali per analizzarne la composizione, le cause di degrado e per accertare le cromie originali degli intonaci. Con le verifiche in situ si è potuta accertare la realizzazione di un intervento di consolidamento della torretta che ha comportato anche la modifica dei prospetti. 151 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 152 Interventi Gli intonaci sono stati, dove possibile, consolidati con microchiodature: sulla parte alta della facciata nord e sugli spigoli adiacenti, sia a causa del ridotto spessore dell’intonaco originario, sia a causa del degrado, l’intonaco è stato sostituito con un impasto la cui composizione ricalcava quella dell’intonaco originario. Molto impegnativo, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, è stato il lavoro di ripresa delle modanature realizzate in opera che si presentavano maggiormente deteriorate rispetto a quelle prefabbricate: anche in questo caso si è consolidato con microchiodature, provvedendo poi a ricostruire sulla base dei rilievi in scala 1:1 delle tracce rimaste le porzioni di decorazione plastica perduta o non più recuperabile. Il lavoro condotto sugli elementi lapidei ha comportato innanzitutto l’individuazione di un prodotto per il consolidamento che fornisse garanzie circa l’efficacia, considerate le condizioni di degrado e il clima della zona e la non alterazione del colore della pietra. A questo scopo sono state fatte prove in laboratorio con diversi prodotti in cui sono stati immersi diversi campioni di pietra; identificato il prodotto idoneo si è proceduto ad una pulitura superficiale a cui sono seguite varie applicazioni di prodotti disinfestanti. È stato quindi eseguito il consolidamento, l’incollaggio e la riadesione delle scaglie di maggiori dimensioni e la stuccatura delle lesioni con malta di calce e polvere di pietra. Si sono rilevati interventi a scopo protettivo e di consolidamento attuati nel corso del novecento: alcuni elementi in pietra presentavano infatti incamiciature di cemento semplice, come su una mensola del balcone: in questo caso la rimozione dello strato cementizio, che doveva servire da protettivo, ha messo in evidenza una decorazione plastica realizzata in origine sulla pietra. Altri, come le colonne del portico d’ingresso e dei bow-window, al di sotto dello strato cementizio presentavano anche un “consolidamento” realizzato mediante l’avvolgimento a spirale, per tutta l’altezza della colonna, di un filo di ferro. Il filo di ferro è stato asportato ovunque poiché induceva ulteriore degrado alla pietra stessa e le colonne sono state consolidate secondo le modalità già messe a punto. In tre casi l’asportazione dell’incamiciatura ha evidenziato un degradoche ha ridotto le dimensioni delle colonne ad una sezione tale da non garantire più la sua stabilità, né, tanto meno, la sua capacità portante. Le ricerche subito avviate hanno chiarito che non esistevano più cave della pietra originale e che l’unica esistente in Piemonte che produceva un materiale simile non era in grado di fornire elementi della pezzatura necessaria: si è deciso pertanto di sostituire le tre colonne con altrettanti elementi in cemento armato la cui superficie è stata intonacata con un impasto addizionato con polvere di pietra, in modo da renderli simili agli originali. 152 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 153 Il restauro degli interni Successivamente ai lavori esterni si è provveduto a predisporre il progetto di massima dell’allestimento del nuovo Museo, realizzato dall’arch. Guido Rosato della Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici della Liguria, in modo da definire il progetto degli impianti la cui realizzazione doveva necessariamente precedere il restauro degli interni. Naturalmente l’inserimento delle dotazioni impiantistiche necessarie non è stato indolore (si è dovuto creare, ad esempio, un vano ascensore che si è potuto ricavare in corrispondenza della colonna dei bagni, gia modificati nella seconda metà del novecento), ma la struttura tipologica della villa si adatta meglio di tante altre a questo tipo di esigenze. Una degli aspetti peculiari dello stile liberty è quello della stretta complementarietà tra l’impostazione architettonica e funzionale dell’edificio e il suo apparato decorativo, il suo mobilio e le sue supellettili. Poiché all’acquisto della villa da parte dello Stato tutto l’arredo mobile era già stato asportato, si è lavorato su tutti gli elementi originari, fortunatamente ancora molti, presenti nella villa cercando di sistematizzare una ricerca che intrecciasse dati storici e d’archivio con i risulati delle analisi chimico-fisiche allo scopo di restituire, per quanto possibile, l’immagine complessiva della villa. Materiali La villa offre al suo interno un apparato decorativo, ben conservato, di una ricchezza e di una varietà davvero notevoli: pitture murali, diversificate per ogni vano, a motivi floreali o a nastro a cui, solo nella scala di servizio, si sovrappongono in epoca successiva decorazioni di tipo geometrico a stampino; in altre stanze si vedevano le tracce di una tappezzeria. Sui soffitti delle scale e degli spazi di distribuzione si trovano stucchi in gesso dipinti o dorati, mentre nelle stanze alla decorazione dipinta si affiancano sul soffitto stucchi a ghirlande, fiori e trecce in cartapesta dipinta e dorata. Al piano rialzato, negli spazi d’ingresso, le pareti sono fasciate da un’elegante e sobria “boiserie” intagliata con motivi floreali; nella sala che doveva essere destinata al pranzo o al soggiorno vi è una nicchia rettangolare occupata da un camino, con soprastante specchiera, circondato anch’esso da una “boiserie”che si articola con cassapanche destinate alla seduta. Le vetrate dipinte della zona di rappresentanza si alternano con i vetri decorati con vetrofanie di carta dipinta applicate su finestre e porte di tutta la villa, su cui sono rappresentati ora i classici soggetti floreali nello stile più libero, ora soggetti che riportano alla tradizione medievale. I pavimenti, come la regola dell’epoca impone, sono in graniglia, con motivi che riprendono le decorazioni dei soffitti, negli spazi di distribuzione mentre negli spazi privati sono in legno a palchetto. Ogni particolare si armonizza allo spazio e quindi anche la ferramenta in ottone di porte e finestre è ispirata alla decorazione floreale, come i caloriferi che, a seconda delle stanze, mutano decoro e colore o, ancora, le stufe in ceramica del tipo “franclina”, anch’esse con decorazione a rilievo di tipo fitomorfo ed infine le ringhiere in ferro dipinto e dorato. Analisi Preventivamente all’intervento di restauro sono state realizzate delle schede relative a ciascun materiale che contengono: - Classificazione del tipo di decorazione - Identificazione stilistica dei tipi anche in relazione ai manuali e ai campionari offerti dalle riviste dell’epoca 153 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 154 - Fotografie - Relazione descrittiva - Osservazioni sulle tecniche esecutive - Descrizione dello stato di conservazione - Bibliografia Con l’avvio dei lavori queste prime indagini di tipo teorico-descrittivo sono state arricchite con analisi chimiche e sezioni sottili dei campioni dei diversi materiali e con le prove in situ, sia stratigrafiche che di pulitura sulle varie superfici. Interventi Il restauro delle “boiseries” e del camino: sulle prime si è potuto lavorare lasciandole in situ e le loro condizioni di manutenzione erano buone; il secondo è stato invece completamente smontato perché le vecchie infiltrazioni d’acqua provenienti dal tetto avevano ammalorato alcuni elementi strutturali ed alcuni incastri che sono stati sostituiti o ricostruiti. I pavimenti in legno, che al primo ed al secondo piano erano stati asportati (con modalità simili allo “distacco” d’affresco nella speranza di poterli recuperare) per consentire gli interventi di consolidamento ai solai necessari per l’adeguamento ai carichi delle sale di esposizione, sono stati riutilizzati solo al primo piano, mentre al secondo sono stati realizzati nuovi pavimenti utilizzando essenze, elementi e disegno uguali agli originali. L’asportazione ha provocato infatti, in alcuni casi, un’alterazione interna dei singoli elementi e quindi una deformazione irriducibile; a ciò si aggiunga che il sistema di fissaggio bidirezionale a lamelle di ferro di ogni elemento ha reso particolarmente difficoltoso anche lo smontaggio e il rimontaggio successivo. I dipinti murali erano piuttosto ben conservati al secondo piano, dove infatti si sono fatte solo limitate integrazioni ad acquerello, mentre al primo piano le lacune erano più consistenti: poiché le tracce rimaste in evidenza o trovate a seguito degli interventi di discialbo consentivano una ricostruzione completa del decoro, questo è stato riproposto adottando tinte più accese per le porzioni nuove in modo da renderle riconoscibili. Si è ritenuto, alla luce degli studi fatti, che tale operazione fosse necessaria per restituire alla villa quell’unitarietà tipologica e decorativa a cui all’origine era improntata. Si sono poi pulite, consolidate e integrate cromaticamente, in alcune parti molto limitate, le vetrate, sia quelle dipinte che quelle con vetrofanie, che presentavano, per fortuna solo in parte, venature e rotture: in questi casi si è applicata una pellicola che garantisca la coesione dei pezzi o, nel caso di una fascia dipinta di maggiore spessore e soggetta a maggiori sollecitazioni, l’interposizione della vetrata tra due lastre di policarbonato molto sottile. 154 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 155 Un impegno a tutto campo per i beni culturali: ricerche, progetti e cantieri Carla Di Francesco Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia L a Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia è direttamente impegnata in alcuni rilevanti progetti che hanno come finalità il restauro e la rifunzionalizzazione di beni di primaria importanza nel panorama del patrimonio lombardo. Tra i progetti significativi uno riguarda il monumentale Palazzo Arese Litta che, con la sua elegante facciata rivolta su Corso Magenta, il suo sontuoso portale, il solenne scalone d’onore, gli splendidi affreschi dell’appartamento nobile, i cortili interni ed il grande giardino, è senz’altro tra i più rappresentativi e ben conservati esempi di barocchetto lombardo, stile che si diffonde a Milano e dintorni a partire dal secondo decennio del Settecento. Nonostante l’attuale aspetto settecentesco, il nucleo originario del complesso venne però costruito tra il 1642 e il 1648 dall’architetto Francesco Maria Richini per il conte Bartolomeo Arese, già allora uno degli uomini più influenti di Milano. Arese venne nominato nel 1660 Presidente del Senato e il suo palazzo divenne uno dei principali punti di riferimento per la vita sociale e politica della città. Del nucleo principale di Richini si conserva, oltre all’impianto generale, il vasto cortile d’onore, un quadriportico su colonne di granito binate. A metà del Settecento il palazzo passò in proprietà alla famiglia Litta che commissionò gli interventi principali per trasformare l’austero edificio richiniano nello splendido palazzo attuale: dalla costruzione dello scenografico scalone a forbice, alla decorazione pittorica, affidata al pittore Giovanni Antonio Cucchi a cui si aggiunge, sucessivamente, anche Martin Knoller, alla realizzazione della peculiare facciata capricciosa, nella quale spiccano le due statue a tutto tondo che fiancheggiano il portale e sostengono lo stemma dei Litta. Venduto all’asta nel 1873 in seguito ad un dissesto finanziario della famiglia Litta, il palazzo venne rilevato dalla Società Ferroviaria Alta Italia per passare poi alle Ferrovie Italiane, diventando quindi proprietà del Demanio dello stato, ramo ferrovie. Nel 1996, uscito dalle disponibilità delle Ferrovie, rientrò completamente nel patrimonio indisponibile dello Stato. Recentemente una parte del complesso, di minor pregio storico architettonico, è stata alienata dal demanio e confermata nella destinazione ad uso uffici. La porzione più ampia e preziosa del complesso monumentale di Palazzo Litta, dichiarato di eccezionale interesse culturale e sottoposto alla legislazione di tutela, è stata data in consegna al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che ne ha previsto l’utilizzo a sede degli Uffici della Direzione per i Beni culturali e paesaggistici della Lombardia, della Soprintendenza per il patrimonio storico artistico e etnoantropologico, della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Milano e della Soprintendenza Archivistica. Inoltre, nei sontuosi spazi di Palazzo Litta, troveranno adeguata collocazione anche le biblioteche e gli archivi degli Istituti del MiBAC, strutture già oggi aperte al pubblico e frequentate da studiosi, ma che potranno essere potenziate e finalmente integrate per una migliore ed efficiente utilizzazione. All’interno di Palazzo Litta a due passi dal Cenacolo e dal complesso di S. Maria delle Grazie, s’intende riservare un’attenzione particolare a Leonardo, per il quale è allo studio uno spazio dedicato a progetti di divulgazione scientifica e di didattica. Inoltre il progetto prevede che l’appartamento nobile al primo piano, arricchito dalle decorazioni di Cucchi (la famosa Sala degli Specchi), ospiti uno spazio con “vocazione museale” e venga utilizzato non solo per le attività ministeriali, ma per mostre, convegni, seminari con aperture al pubblico. Direttore Regionale Carla Di Francesco Coordinatore Cristina Ambrosini Corso Magenta, 24 20123 Milano tel. 02 802941 fax 02 80294232 [email protected] 155 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 156 A sua volta, anche il bellissimo giardino costituisce, nel progetto del MiBAC, una interessante opportunità di nuovi utilizzi pubblici nel centro di una città carente di spazi verdi come Milano. All’interno del complesso trova già da tempo sede il Teatro Litta, che utilizza per le sue attività culturali anche il teatrino settecentesco affacciato sul cortile dell’Orologio. La presenza del MiBAC e l’impegno progettuale, tecnico e scientifico della Direzione Regionale nel complesso demaniale garantiranno la trasformazione di uno dei più importanti edifici storici di Milano oltre che nel baluardo della tutela dei beni culturali anche in una vera e propria “Cittadella della Cultura”, centro di irradiazione della conoscenza e dei saperi, mediante l’integrazione degli spazi, dei servizi e delle attività tecniche scientifiche ed amministrative che qui avranno luogo e troveranno sede. Il secondo progetto della Direzione Regionale ha come protagonista il complesso basilicale di Lomello (Pavia), tra i più rilevanti a scala nazionale e internazionale. Sorge su un sito pluristratificato che presenta strutture edilizie sviluppatesi in tempi diversi includendo ampliamenti, ricostruzioni ed opere strutturali realizzate nel corso di interventi di restauro dello scorso secolo. È, in sintesi, un palinsesto di storia insediativa, abitato sin dalla romanità: un complesso architettonico dotato di una ampia stratigrafia degli alzati che si chiude con i restauri di Gino Chierici negli anni ’40 del XX secolo. Lo stato di conservazione dell’intero complesso risulta alquanto precario e necessita di interventi strutturali e di restauro urgenti. Il progetto di consolidamento e di restauro del complesso architettonico ha carattere interdisciplinare e coinvolge svariate professionalità sia tecniche (architetti e restauratori per le diverse fasi di progettazione e direzione lavori di ambito architettonico, archeologi per i previsti scavi stratigrafici, storici dell’arte per gli apparati decorativi) sia amministrative (per le procedure di affidamento lavori), nonché Istituti di ricerca e Laboratori di diagnostica. In quanto progetto d’intervento globale può costituire, pertanto, un modello operativo per interventi similari in ambito nazionale. Il “cantiere di studio e restauro conservativo” attivo sul ciclo decorativo degli stucchi della parete della Basilica di Lomello è coordinato dalla Direzione Regionale e coinvolge tutte le Soprintendenze di settore, l’Università del Piemonte Orientale – Istituto di Storia dell’Arte e il Centro Interdisciplinare per lo Studio e la Conservazione dei Beni Culturali (CENISCO), il Comune e la Parrocchia dei SS.Maria e Michele di Lomello. Sono inoltre attualmente in corso indagini diagnostiche su decorazioni in stucco conservate presso chiese e musei della Lombardia e dell’Emilia Romagna per attuare i necessari confronti di tecniche esecutive e dei bacini di approvvigionamento delle materia prima (Milano S. Ambrogio, Civate al Monte, Vigolo Marchese presso Piacenza, ecc.), nonché sulla circolazione di possibili modelli di riferimento per l’artigiano produttore. La collaborazione in essere con diversi enti ed istituti di ricerca ha già permesso di avviare una serie di attività di valorizzazione che possono assumere la funzione di volano per altre iniziative: formazione universitaria nei settori della diagnostica applicata all’architettura e ai materiali, didattica, promozione e valorizzazione, indagini e scavi archeologici da connettere ad eventuali interventi di restauro della basilica, in relazione al progetto di deumidificazione delle murature e di canalizzazione delle acque, che prevedono saggi sul deposito archeologico. 156 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 157 Restauri in Piemonte Il restauro rappresenta una delle priorità culturali del nostro Paese, ricco di testimonianze d’arte e di storia. Ogni generazione ha, infatti, il compito di trasmettere al meglio il patrimonio che ha a sua volta ricevuto, poiché proprio in quel patto tacito tra le generazioni è dato il senso di un’identità culturale. Al chiaro principio fa riscontro, però, la complessità di una pratica quotidiana con la quale professionisti e aziende affrontano un quadro problematico dai contorni spesso sfumati e mutevoli. Per essere in grado di interpretare in modo corretto le tracce lasciate dal passato bisogna esserne attenti e instancabili studiosi, ma è anche necessario, attraverso lo studio, recuperare saperi e consuetudini di lavoro che trovavano nell’oggetto da restaurare il proprio fulcro, come è necessario saper condividere al meglio i risultati del proprio lavoro. L’attività del restauro è, perciò, in una corretta conservazione con il recupero delle condizioni materiali e fisiche della testimonianza, ma essa si esplica anche attraverso il richiamo alle abilità che quelle condizioni seppero produrre, nella trasmissione nel tempo delle conoscenze e del lavoro. È questa, forse, la maggior sfida che ci è posta: se, infatti, la conoscenza scientifica avanza permettendoci diagnosi sempre più accurate e dettagliate, se possiamo utilizzare strumentazioni e metodologie di analisi di grande efficacia e se, infine, le informazioni di cui oggi disponiamo sono per ogni intervento enormemente maggiori rispetto a quelle che avremmo potuto immaginare solo qualche decennio fa, rimane ancora molto da fare nel recupero delle abilità e delle lavorazioni che oggi non sempre trovano sufficienti ragioni d’essere nella produzione industriale. Al restauro occorrono le competenze dell’ebanista, del doratore, dello stuccatore, e ancora di altri artigiani e artefici, oltre che, naturalmente, delle più ovvie competenze del restauratore. Ecco quindi che l’attività del restauro diviene il campo di un confronto serrato e costante che assume valore culturale, ma anche sociale ed economico. Le ragioni della valorizzazione e della promozione del patrimonio artistico trovano l’humus necessario in quel confronto. In Piemonte, negli ultimi anni con sempre maggiore convinzione sono state investite risorse ed energie nel recupero di un vasto patrimonio che ha contribuito a ridisegnare l’identità stessa di un territorio, attirando su di esso l’attenzione del turismo. Il restauro, insieme a una rinnovata politica di gestione e di promozione, è stato la leva con la quale una simile impegnativa impresa si è andata realizzando. Sono proprio in questi giorni nuovamente visitabili nuove ampie porzioni del Palazzo Reale, mentre Palazzo Chiablese è tornato ad aprirsi alla città. Già lo scorso anno, dopo dieci anni di restauri, riapriva Villa della Regina, mentre la magnifica cancellata di Piazzetta Reale restituiva nuovamente dignità a un luogo pubblico di grande prestigio, così come accadeva con Palazzo Carignano, in una delle piazze storiche più significative. Non è possibile elencare la grande quantità di arredi, dipinti, tappezzerie e suppellettili che insieme agli edifici che le contengono sono state oggetto di cura e di restauro. Un capitolo a sé meriterebbe, poi, l’importante e imponente restauro della Cappella della Sindone grazie al quale, utilizzando avanzate metodologie di indagine e di lavoro, ci è stato possibile conservare una delle più alte testimonianze della nostra architettura. Uscendo dall’ambito cittadino e torinese, non si può non far cenno alle altre dimore sabaude, patrimonio dell’umanità, molte delle quali negli ultimi due anni sono state riaperte e rese visitabili. Qui, l’impegno che ci siamo perciò dati è, insieme alla necessaria e irrinunciabile conservazione, quello della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte Mario Turetta Direttore Regionale Mario Turetta Coordinatore Emanuela Zanda Piazza S. Giovanni, 2 10122 Torino tel. 011 5220411 fax 011 5220433 [email protected] www.piemonte.beniculturali.it 157 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 158 amministrazione e sollecitazione di funzioni molteplici. Venaria, per citare un esempio noto, ospiterà nuovamente mostre e manifestazioni culturali, ma già da due anni è attivo il Centro di Conservazione e Restauro, che si propone come un terzo polo nella formazione d’eccellenza dopo Roma e Firenze. Il Centro occupa oltre 8.000 mq delle ex Scuderie e del Maneggio Alfieriani con aule, laboratori e spazi per la ricerca e la diagnostica dotati di tecnologie avanzate. La realizzazione del centro è stata possibile, grazie al diretto coinvolgimento in prima persona di tutti i soggetti interessati alla gestione dei beni culturali nel territorio: la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, il Comune di Torino, l’Università degli studi di Torino, il Politecnico di Torino, la Fondazione per l’arte della Compagnia di San Paolo, la Fondazione CRT. Un progetto altrettanto significativo è quello dei Mestieri Reali attraverso il quale, grazie alla Fondazione CRT, l’esperienza dei restauri presso le Residenze Sabaude contribuisce a formare professionalità e specializzazioni nel campo dell’analisi e della conoscenza, della ricerca storica, del restauro, dell’attività edile e artigianale di eccellenza. Il fine è di formare professionalità capaci di utilizzare strumenti e metodologie applicate ai cantieri di restauro architettonico e artistico, in un’ottica di forte innovazione. Altri progetti, che coniugano gli aspetti della conservazione e del restauro con la verifica di attività di sviluppo e recupero di competenze adatte, coinvolgono ancora il Castello di Racconigi con il suo parco e il Castello di Agliè. Il connettere discipline, pratiche e tradizioni di lavoro, anche artigianale, ci sembra dunque non solo una strada obbligata, imboccata con decisione, ma anche il modo migliore per riuscire a ritrovare l’equilibrio tra il conoscere e il fare che caratterizza ogni buona azione di restauro. 158 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 159 Palazzo Chiablese - Torino Gennaro Napoli, Emanuela Zanda Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte l Palazzo Chiablese, cerniera tra la Torino barocca ed il quadrilatero romano, non era noto al pubblico se non come sede “storica” delle Soprintendenze. A cavallo di un passaggio poco visibile, Palazzo Chiablese offre da un lato una quinta alla piazzetta Reale e dall’altro prospetta su Piazza San Giovanni, occupando l’intero isolato fino alla chiesa di San Lorenzo. Il Palazzo, nato su precedenti torri e case-forti medievali, è capolavoro di Benedetto Alfieri, e fu la residenza preferita del re Carlo Felice: la sua importanza quale sede ducale e di rappresentanza si legge nelle severe facciate che prospettano Piazza del Duomo e Piazzetta Reale e nell’imponenza dell’androne e dello scalone d’onore, oltre che nelle splendide sale del piano nobile. I lavori di restauro hanno cambiato radicalmente la fisionomia consueta del Palazzo e comportato notevoli modifiche nella destinazione degli spazi. L’androne è stato completamente ripulito negli elementi lapidei e sono stati ripristinati gli intonaci; la biblioteca, prima ospitata al piano nobile, verrà trasferita al piano terreno e riorganizzata quale servizio al pubblico e di accoglienza per gli studiosi. L’adeguamento impiantistico del palazzo ha comportato notevoli lavori nel cortile, dalla caratteristica pavimentazione a campi in acciottolato bianco e nero contornati da lastre di pietra di Luserna. Attualmente tutti gli elementi sono stati restaurati e ripristinati, arricchiti da una fontana sotto il loggiato, dove l’elemento decorativo peculiare è una spettacolare glicine storica. Dell’androne monumentale sono stati ripristinati gli intonaci e restaurati gli elementi lapidei, in cui sono stati riconosciuti tre diversi litotipi. Lo scalone presenta caratteristiche architettoniche molto peculiari, e tipiche dell’architettura di Benedetto Alfieri, prospettando con ampie finestre da un lato su Piazza San Giovanni e dall’altro direttamente sulle sale interne. Ai restauri architettonici si sono accompagnati i restauri degli oggetti mobili e degli apparati decorativi, compresi i lampadari, i rosoni e la ventola, consentendo anche un corretto riallestimento delle sale e degli altri spazi A seguito dei restauri anche Palazzo Chiablese sarà inserito tra le sedi di eventi e manifestazioni, ferma restando la funzione di ospitare la Direzione per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte e le Soprintendenze: quindi non un museo, ma un luogo attivo di scambio di conoscenze ed esperienze tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il pubblico. I lavori, eseguiti grazie al finanziamento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali con i proventi del gioco del lotto sul triennio 2004-2006, con il sostegno della Compagnia di San Paolo di Torino, concludono una fase importante aprendo altre prospettive. Con i lavori già in programmazione si eseguiranno i recuperi al secondo piano, consentendo i successivi restauri del piano nobile. Ulteriore aspetto è quello della globale valorizzazione con i confinanti edifici del “Polo Reale”, già riconosciuto Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco in un sistema museale tra i più vasti ed articolati d’Europa. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte I Soprintendente Francesco Pernice Piazza S. Giovanni, 2 10122 Torino tel. 011 4361332 fax 011 4361484 159 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 160 Il restauro del Castello Alfonsino Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Lecce Brindisi e Taranto Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia D Direttore dei Lavori Augusto Ressa Direttore Regionale Ruggero Martines Strada dei Dottula, isolato 49 70122 Bari tel. 080 5285111 fax 080 5281114 [email protected] Coordinatore Emilia Simone Soprintendente ad interim per i Beni Architettonici e per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Lecce Brindisi e Taranto Attilio Maurano Via Foscarini, 2/B 73100 Lecce tel. 0832 305081 fax 0832 241046 160 el complesso fortificato denominato Castello Alfonsino e Forte a Mare, che sorge su un’isola di un piccolo arcipelago all’imboccatura del porto di Brindisi, si hanno notizie a partire dal 1481, all’indomani della battaglia di Otranto. Il sistema difensivo messo a punto dagli aragonesi per contrastare la minaccia turca, determinò la scelta di trasformare Brindisi nel principale presidio militare del Regno. Potenziato il Castello detto “di terra”, di epoca sveva, Alfonso I d’Aragona decise quindi di fortificare l’isola di S.Andrea, costruendovi un castello per difendere il porto e la città, inglobando i resti di una preesistente struttura angioina. Costruito direttamente sul banco di roccia con murature in calcarenite locale in conci e pietrame legati con bolo, il castello presenta una pianta trapezia con ai vertici due bastioni pentagonali e un torrione circolare, impostati su muri a scarpa marcati all’esterno da cornici toriche. Gli ambienti interni si articolano intorno ad una corte rettangolare sopraelevata rispetto al livello del mare, dalla quale si dipartono le rampe che conducono alle ampie gallerie del piano terra ed ai camminamenti in quota sui quali si aprono anche gli accessi ai saloni di rappresentanza disposti su due livelli. Il Forte fu costruito a partire dal 1554 per volere di Filippo d’Austria e fu completato in circa cinquantacinque anni (1554-1609) sotto la direzione di Giulio Cesare Falco, cavaliere dell’Ordine di Malta e più volte Capitano Generale contro i Turchi. Quest’ultima struttura, denominata Forte a Mare o Opera a Corno, definisce un poderoso antemurale con funzione di recinto dell’isola intermedia, isolata dalla prima nel 1598 attraverso la realizzazione di un canale (canale angioino), entro cui erano disposti gli alloggi delle truppe e delle guarnigioni. Le mura dell’Opera a Corno si sviluppano in pianta in forma di trapezio allungato con il lato minore rivolto verso una darsena quadrangolare, straordinaria corte d’acqua chiusa a Sud dal castello. I lati maggiori sono inframmezzati da due bastioni poligonali, di S.Pedro e di S.Maria. Il fronte settentrionale è munito ai vertici di bastioni pentagonali, di Tramontana a ponente, e della Intavolata a levante. A lavori ultimati Castello e Forte, arricchiti con l’inserimento di monumentali portali sormontati da stemmi scolpiti, furono denominati dagli Spagnoli “Isla Fortalera que abre el Puerto Grande”. Con il trattato di Utrecht e di Radstadt Il complesso fu affidato nel 1715 ai tedeschi, poi espugnato e conquistato dai Rivoluzionari francesi e finalmente, nel 1815, riannesso al patrimonio del Regno di Napoli e destinato a lazzaretto. Segue una lunga fase di declino riscattato a fine ‘800 quando Brindisi diviene una base navale di primissimo piano ed il Forte a Mare diventa presidio della R.Marina, destinato,allo scoppio della Grande Guerra, a deposito di torpedini e dei realtivi detonatori. Le truppe troveranno alloggio nell’Opera a Corno. Dalla seconda metà del secolo scorso il complesso ha subito un lento declino per il graduale abbandono del presidio da parte dei militari. La mancanza di opere manutentive ha determinato fra il 1974 e il 1977 una serie di crolli culminati,nel 1979 nella perdita di una ampia parte dell’“Almazer de palbora” (Bastione poligonale di Nord Ovest) e della “Iglesia del Puerto viecho”e, nel1980, nel crollo di un consistente settore del camminamento di ronda fra la Porta Reale e l’Opera a Corno. Nel 1984 avviene la dismissione del complesso che viene formalmente preso in consegna dal Demanio dello Stato, che lo affida alla Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici e Storico Artistici della Puglia. A partire dal 1981 la Soprintendenza ha attuato diffusi interventi mirati ad arginare i fenomeni di degrado che determinano il distacco di materiale lapideo dalle Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 161 murature esposte all’azione demolitrice del mare. In attesa di definire la destinazione d’uso del complesso monumentale,è stato attuato un sistematico programma di restauro conservativo del Castello con l’obiettivo di consentire la lettura, nel rispetto delle stratificazioni storiche, dell’originario impianto alterato dalle manomissioni apportate negli ultimi due secoli, ed avviato il recupero dell’Opera a Corno. A seguito di finanziamento derivante dal Programma triennale Lotto 2004/2006, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia (Direttore Prof. Arch. Ruggero Martines) ha appaltato i lavori tutt’ora in corso di esecuzione per i quali è previsto il completamento entro giugno 2008. Detti ultimi lavori riguardano principalmente le mura dell’Opera a Corno interessate da estesi sgrottamenti dovuti alla perdita di coesione delle malte per l’effetto combinato del vento e dello spry marino, specie lungo i tratti esposti verso il mare aperto. In particolare l’intervento in corso ha riguardato la parziale ricostruzione del bastione di S.Maria scompaginato a seguito di un recente crollo. Si è pertanto operato il ripristino della originaria sagoma partendo dai monconi murari ancora integri, riutilizzando il materiale di crollo accumulato al piede del bastione, previa accurata cernita. In analogia con la tecnica costruttiva delle cortine e degli ulteriori bastioni, sono stati riproposti i corsi dei conci, integrata la cornice torica a chiusura della muratura a scarpa, dimensionati i conci di carparo di integrazione per la costruzione dei cantonali. La rimozione dello strato di terreno sul piano di copertura ha messo in luce l’originaria pavimentazione in basole calcaree che sarà sottoposta ad intervento di restauro, con integrazione delle lacune con materiale identico. I piani inclinati delle cannoniere, liberati dalla vegetazione infestante saranno protetti con uno strato di cocciopesto, come in originale. L’intervento in corso ha interessato anche il bastione di Tramontana e dell’Intavolata che lungo i lati corti con affaccio sul canale angioino presentavano estesi sgrottamenti,con distruzione del paramento esterno e di parte del nucleo. La condizione di degrado appariva accentuata dalla presenza di rigogliosa vegetazione infestante, il cui apparato radicale ha contribuito in maniera rilevante a scalzare i conci del paramento lapideo esterno e a determinare la rotazione verso l’esterno delle murature di coronamento. Pertanto si è dovuto eliminare tutto lo strato di terreno vegetale accumulatosi in copertura, rimuovendo gli apparati radicali fortemente ramificati di fichi e piante cespugliose. In alcuni casi dove si è registrata una accentuata rotazione con inclinazione di circa 10 gradi, si è operato lo smontaggio delle murature ed il successivo rimontaggio in posizione verticale. Gli sgrottamenti sono stati ripresi con materiale del tutto simile a quello originario per caratteristiche petrografiche e dimensionali, avendo cura di rigenerare i nuclei decoesi e lacunosi con malte di tipo tradizionale a base di calce povera di sali solubili. I conci ed il pietrame costituente il paramento murario sono astati stilati 161 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 162 con,malta di calce ed inerti lapidei e cocciopesto, raggiungendo una resa finale del tutto simile alle finiture originarie, previa stuccatura profonda effettuata in più strati. L’uso di materiale di crollo e proveniente da cave locali opportunamente selezionate non ha reso necessario sottoporre le superfici a trattamenti di equilibratura cromatica. La necessità di realizzare una pista di accesso a questi ultimi bastioni ha consentito inoltre di mettere in luce, al di sotto del terreno vegetale coperto da fitta macchia, la originaria pavimentazione in basole calcaree che definisce un percorso anulare continuo lungo gli spalti della mura collegando le coperture dei due bracci degli alloggi delle truppe. L’intervento in corso ha interessato anche il consolidamento ed il trattamento del bastione poligonale Nord Est del Castello (Almazer De Palbora) interessato dal crollo parziale del1979. In mancanza di documentazioni certe circa l’originaria configurazione, a meno della mappa elaborata nel 1739 da personale militare spagnolo, si è preferito trattare la porzione superstite a “rudere” senza cioè operare alcuna integrazione. Si è invece optato per un riordino delle superfici ormai a vista, attraverso la stuccatura dei vuoti e il riempimento delle lacune e delle bucature più estese con conci di tufo; il fissaggio degli elementi in precario stato di equilibrio, come monconi di volte e cornici, a mezzo di imperniazioni in acciaio inox e colate di resine epossidiche, consolidamento di intonaci e trattamento finale delle superfici interne scoperte con un intonachino a cocciopesto ed equilibratura cromatica finale estesa all’intera sezione. Tale soluzione lascia comunque aperta la querelle circa la possibilità o opportunità di riproporre eventualmente al piede del bastione, e per una altezza da convenire, la presumibile originaria pianta ora illeggibile, né facilmente rinvenibile con indagini stratigrafiche tenuto conto che sul piano di fondazione è stato realizzato, poco dopo il crollo, uno spesso zatterone continuo di calcestruzzo. 162 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 163 Restauro dei manufatti metallici Scrigno e Gabata Cattedrale di S. Maria Maggiore, Barletta (BA) La Gabata databile intorno al XII – XIII sec. d. C.,in bronzo traforato, presenta una forma estremamente semplice ma di fattura raffinata: l’elemento che ha fatto pensare all’ambito musulmano è la decorazione della parte concava della lucerna che presenta un motivo pseudo – epigrafico lavorato a traforo. Sulla tesa, larga e sottile, sono inseriti tre ganci uncinati che trattengono le catenelle di sospensione. La lucerna è stata inizialmente oggetto di diverse interpretazioni: identificata come un cappello facente parte di una tomba cardinalizia (XVI), fu in seguito collocata nel XII sec. come lucerna di gusto bizantineggiante, seguendo un modello a polycandelon. Il dettaglio dell’iscrizione di carattere decorativo e l’ambito in cui è stata rinvenuta sembrano confermare la fattura islamica. Lo Scrigno risalente alla seconda metà del XII sec.,in bronzo fuso e inciso di forma circolare con semplici decorazioni, è sollevato da quattro piedini discendenti da borchie ancorate alla parte inferiore ed è chiuso da un coperchio a scudo con sei borchie sovrapposte, di cui due fungono da ganci di chiusura e due mascherano le cerniere che lo uniscono alla base. Il coperchio presenta un’iscrizione augurale che dice: ‹‹ Gloria, felicità perfetta, generosità piena, alta gioia perpetua, benessere completo. ›› [al possessore] che ci fa ipotizzare una originaria destinazione privata dell’oggetto. Successivamente potrebbe essere stato riutilizzato come teca eucaristica, quando questi oggetti entrarono a far parte dei tesori ecclesiastici. L’iscrizione presenta due canoni calligrafici diversi: quello cufico intorno all’umbone, quello naskhi nella parte più esterna. Il primo ad andamento angolare e solenne è uno stile originario della città di Kufa, il secondo è ad andamento rotondo e più morbido; il termine naskhi ne indica la varietà più antica. Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Bari e Foggia manufatti metallici oggetto di restauro sono una testimonianza della presenza islamica in Puglia tra il XII e il XIII sec. Fanno parte del Tesoro della Cattedrale di Barletta ma probabilmente provengono da Lucera, città dove, intorno al 1223, furono trasferiti gli ultimi Arabi di Sicilia per ordine di Federico II di Svevia. La “Luceria Saracenorum” divenne un centro urbano tipicamente arabo, quasi certamente sede di alcune botteghe di artigiani saraceni, specializzate nella lavorazione dei metalli preziosi. A Lucera Federico volle la costruzione di un palatium e delle mura, simbolo del potere dell’imperatore sulla città ma anche della fedeltà dei suoi nuovi cittadini. Inoltre, concesse ai Saraceni la libertà di professare la propria fede con l’intento di ridurli all’obbedienza per poter sfruttare la loro esperienza in campo militare: i Saraceni infatti, costituirono la parte più devota ed efficiente dell’esercito di mercenari del sovrano. Sotto la dinastia angioina la situazione cambiò radicalmente per gli Arabi di Lucera: Carlo II D’Angiò, con il sostegno del Papato, decise di distruggere la città e la comunità islamica. Nell’agosto del 1300 il notaio barlettano Giovanni Pipino guidò la spedizione contro Lucera e i Saraceni, provocando la definitiva fine degli insediamenti arabi in Italia. Probabilmente Pipino depredò la ricca città di numerosi oggetti preziosi (tra cui i manufatti bronzei oggetto di restauro), facendone dono a Barletta e alla sua Cattedrale. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia I Restauratori Vito Nicola Iacobellis Osvaldo Cantore Direttore dei lavori Fabrizio Vona Note storico-artistiche Alessandra Failla Soprintendente ad interim Rossella Vodret Funzionario delegato Filomena Sardella San Francesco della Scarpa Via Pier l’Eremita, 25/B 70100 Bari tel. 080 5285111 fax 080 5285214 Coordinatore Fulvia Rocco 163 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:08 Pagina 164 Fasi di Restauro Scrigno Dalle analisi preliminari non distruttive effettuate tramite X.R.F. (fluorescenza di raggi X) in collaborazione con l’Università di Lecce, si è rilevata presenza di zinco, per cui sicuramente il manufatto è in oricalco, una antica lega orientale di rame e stagno con consistente presenza di zinco che conferisce all’oggetto un particolare riflesso dorato. Esternamente il manufatto non presentava particolari corrosioni attive, per cui la patina scura è stata abbassata di tono con passaggi di sostanze debolmente basiche sciolte in acqua deionizzata. Successivamente, per eliminare eventuali residui, sono stati effettuati lavaggi con acqua deionizzata per poi passare alla disidratazione mediante solventi altamente volatili. Il lavoro di restauro è stato protetto con un doppio trattamento a base di resina e cera per garantirne una maggiore durata. Nella parte interna dello scrigno si potevano notare chiazze scure di cuprite (ossido di rame) e tracce verdi compatte di atacamite (cloruro di rame), prodotti di alterazione stabilizzati. Le parti polverulenti biancastre (ossido di zinco) e le verdastre di paratacamite,(cloruro di rame instabile) erano invece prodotti di corrosione attiva: e si presentavano con formazioni puntiformi (pitting). La pulitura è stata eseguita con bisturi e spazzolini rotanti in setola, naturalmente preservando le delicate patine stabili di atacamite. La rimozione dei residui di sali solubili è stata effettuata mediante ripetuti lavaggi con sostanze debolmente basiche in acqua deionizzata e successivamente con vapore acqueo. Gabata La gabata presentava ampie incrostazioni polverulenti miscelate a grassi oleosi, accumulatisi nel corso dei secoli, intervallate da diffusi pitting di atacamite e paratacamite. Sulla banda circolare è ben visibile una integrazione in ferro che mal si associa al manufatto e che presenta una forte ossidazione, con una consistente presenza, per trasposizione, di cloruri di rame sotto forma di grumi verdi sull’ossido di ferro. Nelle fasi di pulitura, l’azione meccanica ha permesso un buon recupero del manufatto: grazie a vari passaggi con bisturi, microtrapano e spazzolini in setola si è potuta raggiungere una buona patina, stabilizzando i sali di rame. Le catenelle che sorreggono in sospensione la lucerna sono in maglia di ferro alternate a croci. Sia sulle maglie in ferro della catena che sulle croci in lamina di ferro, fortemente ossidate, era evidente uno spesso strato scuro di nerofumo, grasso e pulviscolo su cui per trasposizione si era formata un lieve pitting di atacamite. 164 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 165 Cattedrale di Bisceglie - “Trionfo dell’Eucaristia”, sec. XVIII Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Bari e Foggia Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia I l grande dipinto ad olio su tela (cm.815x540), originariamente incollato e inchiodato su un tavolato in legno di abete, era ubicato nella Cattedrale di Bisceglie, inserito nella volta settecentesca in stucco. Durante i lavori di restauro della chiesa, eseguiti negli anni ’60, il dipinto fu smontato, tagliato lungo le assi del tavolato di supporto e ridotto in numerosi pezzi in parte ancora tenacemente incollati e inchiodati su tavole, in parte arrotolati su rullo insieme a frammenti di varia misura e di difficile collocazione nel contesto dell’opera. L’intervento odierno ha avuto l’obiettivo di ricomporre i frammenti spesso deformati di una tela che nella fase di smontaggio e nel deposito ha subito i danni maggiori. In considerazione delle grandi dimensioni della tela e per l’esiguità della documentazione fotografica, una sola foto in bianco nero, si è resa necessaria una puntuale mappatura di rilevamento dei margini che consentisse di riaccostare i lembi del dipinto come un grande puzzle le cui tessere spesso avevano perso la planarità. Dopo aver numerato i frammenti, si è protetta la pellicola pittorica e si è proceduto con la rimozione dei supporti lignei, operazione complessa per la presenza di chiodi e adesivi tenaci. È stato necessario correggere lentamente le deformazioni e assemblare inizialmente i frammenti più piccoli, facendone ricombaciare perfettamente i margini, poiché anche un errore di pochi millimetri nell’assemblaggio avrebbe causato l’errata ricomposizione dell’intera opera. I punti di unione di ogni singolo pezzo sono stati fissati, sul verso, con rettangoli di garza. Le grandi e numerose lacune sono state integrate con inserti di tela simile all’originale. Come nuovo supporto per il dipinto è stata scelta una tela a doppio strato, simile alla tela originale, in grado di sostenere il peso del dipinto per l’eventuale ricollocazione al soffitto. Considerando che il dipinto sviluppa una superficie di circa 40 mq. la fase di foderatura ha previsto grandi quantitativi di colla pasta e attrezzature accessorie con il lavoro in contemporanea di tutti i restauratori del Laboratorio. Il dipinto è stato poi sistemato in posizione verticale e ancorato ad una struttura metallica appositamente montata per permettere l’esecuzione delle fasi successive di restauro. L’integrazione pittorica è stata eseguita direttamente sulla tela con tecnica a “largo tratteggio” che consente la lettura della composizione dalla giusta distanza. Per problemi di trasporto e difficoltà di ricollocazione nella sede originaria, dovuti alle grandi dimensioni, il dipinto verrà montato sul telaio definitivo direttamente nella Cattedrale di Bisceglie. Direzione lavori Fabrizio Vona Progettazione e restauro M.L. De Bellis Vitti E. Fenicia V. Sorrentino M.P. Zambrini 165 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 166 Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Bari e Foggia Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia Dipinto su Tavola “Adorazione dei Pastori” attribuito a Marco Pino, sec. XVI Restauro a cura di Angela Laterza Anna Scagliarini Direttore dei lavori Fabrizio Vona Foto Beppe Gernone 166 L o stato di conservazione della superficie pittorica dell’opera si presentava estremamente compromesso dall’azione del fuoco di un incendio. L’eccessivo calore in alcune zone aveva distrutto il colore e la preparazione: in particolare in alto, su tutto il lato destro corrispondente e sul viso della Madonna. Nel vecchio intervento di restauro era stata eseguita una pulitura fortemente aggressiva che, alterando e frammentando l’integrità del colore, aveva messo in luce la sottostante preparazione di color ocra compromettendo la lettura della composizione.L’opera appariva ulteriormente offuscata da una vernice mista a pigmento bruno, gomma lacca e cera che alterava la visione della superficie pittorica. Dal verso la tavola appare tarlata e leggermente imbarcata.Risulta formata da quattro assi longitudinali di legno di pioppo sulle quali sono state effettuate le operazioni di disinfestazione e consolidamento. Grazie all’operazione di pulitura, con l’ausilio di mezzo chimici e meccanici, la pellicola pittorica è stata liberata dallo strato di sporco, dalle vernici alterate e ingiallite, dalle patinature applicate nel corso degli interventi precedenti e dalle ampie ridipinture. Terminate le operazioni di pulitura, la pellicola pittorica appariva estremamente corrosa e frammentaria. La presenza di piccolissime e diffuse tracce di colore, percepibili con la lente di ingrandimento, ha consentito di ridefinire le originarie pennellate dell’autore e ricostruire con un’accurata e paziente operazione di integrazione pittorica le stesure di colore. Il recupero delle campiture e la ridefinizione della composizione ha restituito alla tavola continuità grafica, cromatica e plastica rendendo l’opera più chiara e leggibile. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 167 Il restauro dei reperti metallici della Collezione Jatta Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia I l Museo Nazionale Jatta (Ruvo di Puglia, Bari), noto nel mondo per le sue pregevoli ceramiche, conserva anche un gran numero di reperti metallici di notevole interesse storico e archeologico. Questi oggetti, sono stati finora esposti in una piccola vetrina posta nell’ultima sala del Museo, sfuggendo spesso all’attenzione di visitatori e studiosi poiché si presentavano nell’identico stato in cui furono ritrovati nell’Ottocento all’interno di antiche sepolture, frammentati e coperti di patine e incrostazioni. Nell’ambito del programma di interventi conservativi dei reperti è stato restaurato un gruppo di 25 oggetti in bronzo costituito da armi da difesa, (elmo parti di corazze, schinieri,cinturoni). Come già evidenziato, i materiali non erano mai stati sottoposti ad interventi di restauro e si trovavano quindi nelle condizioni in cui furono recuperati, quasi due secoli fa, nelle necropoli ruvesi. Il recente restauro ha comportato: la rimozione delle incrostazioni; il trattamento d’inibizione e stabilizzazione delle corrosioni con metodo B70;l’integrazione con resine poliestere colorate con pigmenti inorganici, funzionale alla stabilità e alla corretta lettura di alcuni pezzi; il consolidamento. Il lavoro è stato effettuato da luglio a novembre 2006 e interamente sponsorizzato dall’Associazione degli Industriali della Provincia di Bari – Sezione Edile, diretto da Ada Riccardi, Direttrice del Museo Nazionale Jatta ed eseguito dalla restauratrice M. A. Petrafesa. Servizio centrale Restauro e Conservazione Cristina Scialpi tel. e fax 099 4713516 [email protected] Taranto, Museo Archeologico Nazionale, frammenti di sarcofago in marmo, II sec. d. C. Interventi di pulitura e consolidamento. Frammenti di sarcofago risalente al II sec. d.C. in marmo scolpito a rilievo con scena dall’epopea omerica della nota Battaglia presso le navi fra Greci e Troiani, con ricco motivo decorativo nelle cornici e, sul coperchio, la rappresentazione del defunto disteso. La realizzazione del monumento è da collegare ad un ricco committente, che ha importato dall’Attica, alle cui officine si attribuisce un sepolcro artisticamente rilevante. Lo stato di conservazione dei frammenti marmorei presenta evidenti fenomeni di corrosione ed erosione, microfratture e distacco di microscaglie. l’intervento conservativo è consistito nella rimozione del deposito incoerente con pennelli di setola morbida, nella pulitura con impacchi di polpa di cellulosa e soluzione satura di sali inorganici e quando necessario meccanicamente col bisturi, nei lavaggi con acqua deionizzata. Localmente, dove sono presenti fenomeni di decoesione, è stato applicato un consolidante inorganico a base di siliconati. In corrispondenza delle fratture sono state eseguite microstuccature con leggera patinatura e a conclusione dell’intervento è stato applicato, a spruzzo, sulle superfici, un protettivo a base di resina siliconica. Intervento relativo a frammenti di sarcofago in marmo sono a cura di F. La Viola. A. Martinelli C. Passatore P. Barone, B. Cantatore per la ditta Alfa Restauro opere d’arte s.r.l. Artigiana diretti da Antonietta dell’Aglio Soprintendente Giuseppe Andreassi Via Duomo, 33 74100 Taranto tel. 099 4713511 fax 099 4600126 archeologica.taranto@arti. beniculturali.it 167 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 168 Restauri e ricerche in Sardegna Paolo Scarpellini Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna O Direttore Regionale Paolo Scarpellini Coordinatore Sandra Violante Via dei Salinieri, 20/22 09126 Cagliari tel. 070 3428202 fax 070 3428209 [email protected] 168 gni opera di restauro, lo sappiamo bene, è atto di conoscenza. Non c’è restauro che si rispetti che non contempli un’indagine accurata, sovente e necessariamente in corso d’opera, per determinare le vicende e le mutazioni subite dal monumento attraverso la sua lunga e tormentata vita. Il salone di Ferrara è l’occasione per presentare alcuni interventi conservativi, compiuti dalle Soprintendenze dell’Isola, e che possiamo considerare emblematici di alcuni dei principali filoni di studio e di restauro che in Sardegna attualmente si svolgono. Il patrimonio archeologico isolano di epoca nuragica (XVIII – VIII secolo a.C.) è vastissimo, e per gran parte ancora inesplorato. Reca caratteri affatto peculiari, che lo distinguono dalle culture e dai monumenti protostorici del Mediterraneo, pur mostrando numerosi apparentamenti e svariate analogie. Nei siti archeologici dell’Isola ogni cantiere di restauro è anche laboratorio di ricerca ed ogni scavo richiede interventi di restauro. Una delle tipologie di monumento nuragico è il cosiddetto “tempio a pozzo” o “pozzo sacro”, vano ipogeo di pianta pressoché circolare, coperto da volta a “tholos”, ed accessibile dall’esterno mediante una ripida rampa gradinata generalmente rettilinea. All’esterno il monumento è spesso circondato da un recinto in pietra, con funzione sacrale. Esistono numerosi esemplari di tale genere di manufatto, assai spesso sconosciuti perché nascosti dalla vegetazione oppure dissimulati dalle attività connesse all’agricoltura e all’allevamento. Ve ne sono di fattura accuratissima, con pietre squadrate isodome e squisita regolarità geometrica nelle forme, e ve ne sono di fattura sommaria e di dimensioni modeste. Le ricerche compiute nel “tempio a pozzo” denominato Funtana Cuberta di Ballao (Cagliari) hanno rivelato una complessa stratigrafia (con numerosi ed interessanti ritrovamenti), che ne farebbe risalire l’impianto alla fase di transizione tra bronzo medio e bronzo recente (secolo XIV a.C.), mentre ne individuerebbe un uso di fornace per bronzo nelle epoche successive, fino all’abbandono completo avvenuto in età del ferro. Solo in epoca tardo punica e romana (IV – II secolo a. C.) il vano sarà recuperato all’uso di magazzino. Le due necropoli di Tuvixeddu (Cagliari) e Pill’e Matta (Quartucciu), rispettivamente di epoca punica e romana, stanno restituendo importantissime testimonianze materiali grazie alla sigillatura che il tempo aveva assicurato alla prevalente parte delle numerosissime tombe. E dunque una grande quantità di informazioni sui costumi delle epoche antiche scaturisce dall’esame dei materiali ritrovati nei “contesti chiusi” rappresentati dalle sepolture a camera inviolate. Il complesso cultuale nuragico di Su Monte (Sorradile, OR) si trova sul versante che domina la sponda sud-orientale del Lago Omodeo. Si tratta di un sito di eccezionale interesse archeologico, per l’ampiezza e la complessità dei ritrovamenti strutturali e dei rinvenimenti di oggetti. La vasca-altare di Su Monte è uno degli esemplari più monumentali e meglio conservati tra tutti i manufatti di questo genere conosciuti nella Sardegna nuragica. Esso è costituito da una parte principale a doppio tronco di cono che riproduce il modello ideale della torre nuragica, e da una vera e propria vasca di forma asimmetrica, probabilmente utilizzata per sacrifici o riti lustrali, con lastrone di base e alte pareti verticali sormontate da spade votive in bronzo. Intorno alla vasca lo scavo ha restituito un importantissimo complesso di manufatti ceramici e bronzei, nonché svariati blocchi parallelepipedi originariamente connessi con la vasca-altare e muniti di incavi per il fissaggio dei bronzi votivi. Allo stato attuale la maggior parte del complesso dei reperti si inquadra nell'età del Bronzo Finale e nella Prima età del Ferro; tuttavia alcuni ele- Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 169 menti suggeriscono che l’impianto originario sia avvenuto almeno nell'età del Bronzo Recente. Le vestigia della città punico-romana di Nora (Pula, CA), situata a circa 30 km dal capoluogo regionale, in un’area turistica e balneare, formano una delle zone archeologiche maggiormente visitate dell’isola, contando circa 80.000 presenze annue. La città, conosciuta dalle fonti (Pausania) come la più antica della Sardegna, e fondata dai Fenici di ritorno dalla Spagna verso la fine dell'VIII sec. a.C, si stende sulla punta di un promontorio allungato nel mare, in una posizione geografica di elevato valore ambientale e bellezza panoramica. In età romana Nora assume un aspetto organizzato: il tessuto viario, composto da grandi strade lastricate, la divide in quartieri. Vengono impostati il Foro, il teatro, gli edifici termali, il macellum ecc., con una consistente attività edilizia e decorativa, che si colloca prevalentemente in Età Flavia e Severiana, con la realizzazione di pavimenti a mosaico che interessano numerosi edifici, in massima prevalenza pubblici, presenti in diversi settori dell’abitato (terme, porticati, templi). La collocazione geografica del sito archeologico, a fronte mare, ha costituito un grave fattore di degrado dei mosaici riportati alla luce dagli scavi, ed unitamente ai comuni fattori ambientali, ha fatto emergere già da diversi anni la complessa problematica della loro conservazione in situ. Nel progetto complessivo di restauro sono state indicate diverse categorie di degrado che identificano lo stato di consistenza di tutti i pavimenti musivi presenti nel sito archeologico, per ciascuna delle quali si è approntata una specifica modalità d’intervento. Si propone di attuare un progetto di gestione della fruizione da parte del pubblico, attraverso un programma di copertura/esposizione dei mosaici lungo il percorso di visita, unito ad un programma di manutenzione ordinaria delle superfici musive esposte. L'azione combinata di queste attività assicurerà la fruizione del sito e la valorizzazione dei monumenti conservati, aumentando l’attenzione dei visitatori e diminuendo l'incidenza dei fattori di degrado sui materiali originali. Il monumentale rudere di un’antica chiesa medievale, ristrutturata nel Seicento, è stata oggetto di un urgente intervento di puntellamento e di indagine conoscitiva. La chiesa di Santa Corona, datata intorno all’anno 1000 d.C., si trova alla periferia del paese di Riola Sardo, nella provincia di Oristano, borgo agricolo situato nell’area dell’Alto Campidano. Il monumento si trovava in uno stato di completo abbandono e la vegetazione infestante occupava gli spazi un tempo occupati dall’impianto a tre navate di cui rimangono solo le tracce sul terreno dei pilastri di ripartizione delle stesse che sono state messe in luce dal rinvenimento dei plinti e delle basi attraverso gli scavi di indagine. Oltre che una campagna d’indagini costituita dal rilievo architettonico, dalla individuazione di opportune Unità Stratigrafiche Murarie e da una ricognizione fotografica che ha incluso anche una ripresa aerea tramite pallone sonda, è stato necessario soprattutto un provvidenziale puntellamento delle strutture murarie, che versavano in un gravissimo stato di dissesto. Grazie ad un accordo di programma con l’amministrazione comunale si provvederà ad avviare un programma organico di recupero del monumento, con l’intento di creare un parco archeologico nell’area della chiesa e del suo immediato contesto. Delicatissimo è stato l’intervento urgente compiuto dalla Soprintendenza di Cagliari per salvaguardare il pregevole apparato pittorico che adorna il coro sopraelevato della seicentesca Chiesa conventuale di San Mauro, a causa del dissesto statico generale che affligge le strutture murarie. L’intera superficie parietale dell’edificio era decorata, ma di tutte le superfici dipinte, risultano superstiti soltanto quelle della Cantorìa, realizzate nella prima metà del ‘700 e attribuite al pittore napoletano Domenico Tonelli, che lavora a Cagliari nella prima metà del XVIII secolo raffiguranti, nella volta la Cacciata degli Angeli ribelli, nei pennacchi San 169 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 170 Girolamo, S. Agostino, S. Ambrogio e San Gregorio Magno e nella controfacciata dell’arco della tribuna i Sette dottori francescani con al centro San Bonaventura. l dipinti sono realizzati con tempere su 3 strati di intonaco su supporto in mattone pieno e sono stati eseguiti a stesura consistente, con pennellate decise, formando diversi campi cromatici ad evidenziare la posizione ed il ruolo dei personaggi raffigurati. Data la condizione della pellicola pittorica, rischiosa da spolverare a fondo senza pregiudicare la permanenza del dipinto, si è proceduto ad una delicatissima rimozione delle polveri mobili, con morbidi pennelli, fino al massimo risultato e successivamente al consolidamento dello strato pittorico, degli intonaci e alla reintegrazione cromatica. La protezione finale è stata eseguita con la stesura di una resina acrilica superiore. Il Ministero dispone in Sardegna di un importante Centro di Restauro e Conservazione, situato a Sassari in località Li Punti, che si articola in diversi nuclei, suddivisi per funzioni: laboratori di diagnostica, documentazione e restauro; biblioteca specialistica; museo del restauro e della conservazione archeologica, con spazi destinati anche a mostre temporanee, in corso di allestimento; depositi, in corso di allestimento; aree espositive esterne con percorsi di visita, in corso di allestimento. Nel complesso edilizio ha sede anche il Comando Carabinieri Nucleo Tutela Patrimonio Culturale per la Sardegna, e recentemente il Centro Elaborazione Dati del Comando Nazionale. 170 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 171 Le necropoli e la necessità di laboratori per restituire al futuro i contesti chiusi Donatella Salvi Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Cagliari e Oristano Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna L o scavo di una necropoli, condotto in estensione e per tutta l’ampiezza dell’area occupata in antico dalle sepolture, costituisce una delle condizioni privilegiate dello scavo archeologico. La quantità dei dati che, attraverso i rituali della morte, illustra la vita dei contemporanei, abbraccia, sul piano della cultura materiale, la sfera della tipologia dei materiali, dei commerci, dell’artigianato e su quello della cultura immateriale quella dell’ideologia e della religione. Inoltre, poiché ogni singola deposizione è riferibile ad un momento puntuale del passato, l’associazione dei materiali che compongono il corredo rappresenta una scelta consapevole e volontaria arrivata fino ad oggi nella sua conformazione, inalterata nel tempo, di contesto chiuso. La possibilità di mettere a confronto i corredi, ed insieme di seguire sul terreno la distribuzione di associazioni fra loro contemporanee porta a stabilire la stratigrafia orizzontale della necropoli ed a valutarne i modi e le condizioni della progressiva espansione. In questa ottica, e con questa consapevolezza, il trattamento conservativo dei materiali – sia di quelli inorganici che di quelli organici, – costituisce uno dei momenti più importanti della ricerca, nella quale l’archeologo e l’antropologo o l’archeologo e il restauratore o l’archeologo e il botanico si muovono insieme per comprendere non solo le caratteristiche fisiche del materiale trattato ma anche le dinamiche deposizionali e postdeposizionali che hanno interessato la sepoltura. Se la pulizia ed il consolidamento consentono di apprezzare in pieno gli oggetti integri e di prolungarne per il futuro la conservazione, diversamente, andranno interpretate le rotture degli oggetti in una tomba punica o in una tomba romana, riflesso nel primo caso di un’azione volontaria che è parte del rituale, occasionale e legata per lo più a fattori meccanici successivi alla deposizione, nel caso della tomba romana, dove l’oggetto viene deposto intero e può essersi rotto, più tardi, per un cedimento della struttura o perché si è rovesciato nel momento che è venuto meno il sostegno del corpo dell’inumato. Allo stesso modo sarà possibile analizzare lo stato di conservazione degli scheletri, evidenziando nelle ossa ritrovate frammentarie i segni di patologie o gli esiti di fattori esterni che, come nel caso degli oggetti, hanno comportato modifiche della loro struttura. Esempi significativi si sono verificati negli ultimi anni. Le due necropoli di Tuvixeddu, a Cagliari, e di Pill’e Matta, a Quartucciu, hanno costituito momenti di analisi e di riflessione con apporti e indagini che non solo hanno restituito gli oggetti alla loro originaria forma e aspetto, ma hanno anche consentito di ampliare le informazioni sulla ritualità della morte e sulla dinamica degli eventi. A Tuvixeddu rotture intenzionali sono state registrate, per l’età punica, sia nelle tombe a pozzo, con parti dello stesso oggetto deposte in punti diversi della cella, in rapporto alla posizione dell’inumato, sia nelle più tarde tombe a fossa, del IV secolo a.C., dove la certezza della deposizione separata di frammenti di uno stesso oggetto è derivata dalla costipazione delle pietre che riempivano la fossa e rendevano impossibili ulteriori spostamenti degli oggetti. La ricomposizione in laboratorio ha consentito anche di apprezzare, nel caso di enchytrismoi dello stesso periodo storico, che l’anfora che avrebbe ospitato il piccolo defunto veniva predisposta a questa funzione con tagli arrotondati del fondo, adatti a facilitare l’introduzione del corpo, mantenendo per il resto integro il contenitore. Nella stessa necropoli, in sepolture di età romano repubblicana, il ritrovamento di parti diverse di uno stesso oggetto a quote diverse di un riempimento intenzionale ha confermato, con la ricomposizione in laboratorio, la sequenza delle azioni Soprintendente Vincenzo Santoni Piazza Indipendenza, 7 09124 Cagliari tel. 070 605181 fax 070 658871 [email protected] 171 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 172 che erano seguite a un cedimento occasionale, avvalorando l’ipotesi basata sugli aspetti archeologici della stratigrafia, mentre lo studio antropologico ha dimostrato le tecniche di raccolta e di selezione dei resti ossei, dopo la combustione, per la conservazione nell’urna. Nel caso della necropoli di Pill’e Matta, a Quartucciu, il dato fondamentale può considerarsi quello della ripulitura delle monete dall’ossidazione, che offre punti di riferimento certi per la datazione di materiali, – come le lucerne e le sigillate africane, le costolate o i bicchieri in vetro, – fin qui compresi in archi di tempo eccessivamente ampi: corredi articolati, composti di numerosi oggetti integri o comunque ricomponibili, e buona affidabilità stratigrafica hanno consentito così di mettere continuamente a confronto ogni risultato provvisorio di datazione, che proprio dalla comparazione ha potuto trarre verifica e conferma continua. In questa organica sistemazione hanno trovato posto, così, anche materiali meno comuni, di varia materia, difficilmente databili se ritrovati fuori dai contesti chiusi che in questa necropoli, della quale sono state finora scavate 260 tombe, hanno fornito apporti determinanti allo studio dei materiali tardo antichi. E se talvolta le ceramiche o i vetri richiedono, per il loro buono stato di conservazione, una semplice pulizia, in altri, come nel caso delle fibbie o degli anelli, è soltanto il trattamento degli specialisti che consente agli oggetti di mostrare non solo gli elementi decorativi ma anche i contenuti che questi comportano con simboli o iscrizioni. Lo studio attento dell’antropologo che affianca lo scavo ha consentito poi, nella stessa necropoli, di attribuire all’azione postdeposizionale di insetti la presenza frequente di fori sui resti ossei che avrebbero, soprattutto nel caso dei crani, indotto ad interpretazioni e dubbi di altra natura. 172 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 173 Restauro dei pavimenti a mosaico di epoca romana ed interventi di valorizzazione del sito archeologico. Il caso del frigidarium delle Terme Centrali Nora (Pula-CA) Carlo Tronchetti, Paolo Bernardini, Elena Romoli Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Cagliari e Oristano a città romana di Nora (Pula-CA), situata a circa 30 km dal capoluogo della Sardegna, in un’area fortemente turisticizzata, grazie alla presenza di numerosi alberghi e villaggi turistici, è una delle zone archeologiche maggiormente visitate dell’isola, contando circa 80.000 presenze annue, in quanto bene culturale di grande importanza e tra i più vasti della Regione. La città punico-romana, conosciuta dalle fonti (Pausania) come la più antica della Sardegna, fondata dai Fenici di ritorno dalla Spagna entro i decenni finali dell’VIII sec. a.C, si stende sulla punta di un promontorio allungato nel mare, in una posizione geografica di elevato valore ambientale e bellezza panoramica. Grossa importanza dovette avere la città in periodo punico (fine VI sec. - 238 a.C.), significataci dai reperti della necropoli a camere ipogeiche scavate alla fine dell’800; della città punica, ricoperta dallo stendersi del tessuto urbanistico romano, non rimangono però che poche tracce evidenti. In età romana Nora assume un aspetto organizzato: il tessuto viario, composto da grandi strade lastricate, la divide in quartieri. Vengono impostati il Foro, il teatro, gli edifici termali, il macellum ecc., con una consistente attività edilizia e decorativa, che si colloca prevalentemente in età Flavia e Severiana, con la realizzazione di pavimenti a mosaico che interessano numerosi edifici, in massima prevalenza pubblici, presenti in diversi settori dell’abitato, (terme, porticati, templi). Dal V sec. d.C. in poi Nora entra in una fase di decadenza, sino all’abbandono avvenuto fra il VII e l’VIII sec. d.C., testimoniato anch’esso, in modo evidente, dai risultati delle ultime campagne di scavo. Successivamente agli scavi ed alle indagini nel sito risalenti agli ultimi decenni dell’Ottocento, la città è stata interessata, negli anni Cinquanta, da una massiccia opera di scavo ad opera dell’allora Soprintendente Gennaro Pesce; nel corso di tali campagne furono messi in luce circa tre ettari di ruderi pertinenti in massima parte alla città romana tardo-imperiale. Successivamente furono fatti saggi limitati da parte del Soprintendente Prof. Ferruccio Barreca ed un intervento più ampio nel 1977, ad opera dell’Ispettore Dr. Carlo Tronchetti, interessante l’edificio delle Terme a Mare. Dopo altri parziali interventi, operati sopratutto in occasione del restauro di parte dei pavimenti a mosaico negli anni 1984 e 1989, dal 1990 si sono ripresi gli scavi in maniera programmata, in collaborazione con le Università di Genova, Padova, Pisa, Viterbo e Milano. Alle indagini si è affiancata una regolare opera di ricognizione per individuare le testimonianze della presenza umana nel territorio dell’antica città. Il degrado dei mosaici. La collocazione geografica del sito archeologico, a fronte mare, ha costituito un grande acceleratore del degrado dei mosaici riportati alla luce, ed unitamente ai comuni fattori ambientali, ha fatto emergere già da diversi anni la complessa problematica della loro conservazione in situ. Un primo intervento di restauro è stato compiuto negli anni 1962-63, con metodi allora ritenuti adeguati, ma che, in seguito, hanno dimostrato di essere invece dannosi per la conservazione dei pavimenti. Infatti l’utilizzo in maniera massiccia di cemento armato, nelle condizioni climatiche salmastre, ha costituito la premessa per l’inevitabile futuro danneggiamento delle solette di posa dei pavimenti musivi per causa della corrosione degli elementi ferrosi. L’incisivo attacco di sali solubilizzati dall’acqua piovana, caduta abbondante negli ultimi anni, ha infatti accelerato la formazione di diffusi e consistenti strati di ossidazione, con relativo aumento di volume del ferro che ha determinato, con la sua espansione, forti tensioni nelle malte, fino all’insorgere di prime fessurazioni e di Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna L 173 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 174 successivi distacchi dei materiali, ed il completo dissesto dei tessuti musivi. Dall’azione sinergica di questi elementi risulta così che su grandi superfici il manto musivo si è distaccato dal supporto, le tessere non hanno più nessuna aderenza tra loro, le malte originali sono prevalentemente disgregate o completamente perdute, i materiali utilizzati nei precedenti restauri non svolgono più nessuna funzione conservativa, ma anzi, come già detto, hanno attivato pericolosi fenomeni di distacco del tessellato. Le patologie riscontrate sono: fratture/fessure, lacune, cadute del tessellato, polverizzazione della malta tra le tessere, distacco tra le tessere, distacchi tra gli strati di preparazione, sollevamenti, depressioni, degrado dei materiali usati per restauri precedenti, degrado da interazione del tessellato con i materiali di restauro, attività animali, attività umane, presenza di elementi vegetali superiori su depositi terrosi, degrado e fratturazione delle tessere, efflorescenze saline, depositi superficiali, croste, presenza di micro-organismi e patina biologica. Al fine di porre un rimedio a questa situazione, già nel 1982 si intervenne con il restauro di un pavimento, coprendo gli altri con sabbia, plastica e rivestimento in malta di cemento, per poter almeno conservare in situ le tesserine che si andavano distaccando. Negli anni 1988-89, utilizzando i finanziamenti per gli “Itinerari turistico-culturali nel Mezzogiorno”, si procedette al restauro di altri sei pavimenti, adottando sistemi di sottofondazione che non prevedevano l’uso del metallo. A distanza di oltre dieci anni tale intervento di restauro mostra di conservare sostanzialmente la sua validità, anche se i vecchi inserimenti di metallo, non completamente asportabili e quindi parzialmente lasciati in posto durante il lavoro, hanno continuato a produrre danni, sia pure in misura ridotta. L’intervento di restauro. Nel progetto complessivo sono state indicate tre categorie di degrado che identificano lo stato di consistenza di tutti pavimenti musivi presenti nel sito archeologico, per ciascuna delle quali si è approntata una specifica modalità d’intervento: a) pavimenti ancora su strati di allettamento originali; b) pavimenti staccati e riapplicati su cemento armato; c) pavimenti staccati dal supporto in cemento armato e riapplicati su solo cemento. Il restauro della superficie a mosaico del frigidarium delle terme centrali. Con un primo stralcio da €. 250.000,00 di un finanziamento richiesto sui fondi relativi all’art. 47 della L. 222/1985, “destinazione stanziamento quota pari dell’otto per mille dell’imposta IRPEF a diretta gestione statale, spese per interventi straordinari di restauro, conservazione, valorizzazione di beni culturali”, si sta provvedendo al compimento del restauro del mosaico del frigidarium delle Terme Centrali, pavimento musivo di grande qualità e notevole superficie (circa 110 mq.), che si presenta in gravissime condizioni di conservazione e per il quale si corre il concreto pericolo di perdita completa del bene. La pavimentazione presenta la pianta ad “L” con il braccio corto volto ad ovest. Al centro vi è un pozzetto di drenaggio dell’acqua piovana. Le dimensioni del mosaico corrispondono mediamente a metri 12,50x7,20 nella parte lunga, e metri 5,34x2,30 nel braccio corto, per una superficie totale calcolata di mq. 106,76. Le tessere sono bianche, nere, grigie chiare e scure, brune ed ocra; la loro misura media è di circa cm 1,5-2x2-3. Il pavimento musivo, compreso nella categoria b), nel corso del restauro effettuato negli anni Sessanta è stato già completamente staccato e riposizionato in situ su pannelli in cemento armato adagiati su una soletta ricostruita, a sua volta, con lo stesso materiale rinforzato. I blocchi di ricollocazione misurano mediamente 174 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 175 1,00 mq, per quanto si evince dai tagli ancora ben riconoscibili, e sono costituiti da una maglia armata più stretta, mediamente da cm. 15/20 di lato con ferri in cui lo spessore del diametro iniziale risulta non più definibile, mentre attualmente si aggira sui 3/7 mm. La soletta sulla quale sono stati posti è costituita da una maglia di tondini in ferro più ampia, mediamente di 2,2-2,5 m. di lato, variabile però per adattarsi alle varie discontinuità presenti, così come variabile è ormai il diametro dei tondini, contenuta da una cordolatura perimetrale. Attualmente si presenta distaccato dal supporto per una percentuale di circa il 60%. Il lavoro di restauro in corso di realizzazione, a carattere puramente conservativo, si connota per l’impiego di materiali ad alto tenore di reversibilità, compatibili con gli elementi originali in opera e con l’ambiente marino fortemente aggressivo per i manufatti. Il pavimento musivo, dovrà essere rimosso dal sito, trasferito in laboratorio per il restauro e riapplicato in sito su una nuova soletta in malta di calce con le modalità seguenti: documentazione con rilievo 1: 1 delle linee decorative, dei tagli dei blocchi, delle lacune e redazione di tavole grafiche tematiche su supporto informatico; raccolta delle tessere sporadiche, pulitura preliminare della superficie e trattamento biocida; rimozione dei blocchi dal sito con velatura e svelatura delle superfici e separazione dei blocchi, distacco del tessellato dai supporti in cemento armato e suo restauro previo allettamento su un supporto temporaneo in creta, taglio della superficie in frammenti delle dimensioni scelte per la riapplicazione in situ, imballaggio dei frammenti e trasporto in situ; preparazione del piano di posa con demolizione del massetto in cemento per consentire la realizzazione della nuova soletta con uno strato di fondazione sul quale andrà realizzato un secondo strato in cocciopesto; riapplicazione del mosaico in situ con svelatura dei frammenti, integrazione delle piccole lacune utilizzando tessere originali di recupero, stuccatura con malta in colorazione “neutra” delle lacune di dimensioni superiori a cm. 5x5, pulitura chimica con impacchi, Consolidamento tra le tessere per il ripristino della malta interstiziale, dove assente, attraverso applicazione di una malta idraulica. Conservazione preventiva e manutenzione programmata dei mosaici del sito. La conservazione a lungo termine del patrimonio musivo di Nora richiede la progettazione e l’attuazione di piani di azione combinati, atti a mantenerlo in efficienza compatibilmente alle esigenze di fruibilità dei monumenti da parte del pubblico, tenendo bassi i costi di gestione senza diminuire l’interesse e il richiamo storico archeologico dei monumenti e del sito nel suo insieme. Si propone di attuare un progetto di gestione della fruizione da parte del pubblico, attraverso un programma di copertura/esposizione dei mosaici lungo il percorso di visita, unito ad un programma di manutenzione ordinaria delle superfici musive esposte. Il programma di copertura/esposizione permetterà di ridurre la superficie totale di mosaici esposta ai rischi di deterioramento ambientale (e quindi i costi di gestione) e limitarne il tempo di esposizione ai periodi di minore rischio climatico. Il programma di manutenzione ordinaria provvederà, attraverso azioni dirette eseguite con regolarità e continuità, a eliminare e/o limitare l’insorgenza di fenomeni di alterazione sulle superfici dovuti a fattori di degrado non eliminabili (fattori ambientali). L’azione combinata di queste attività assicurerà la fruizione del sito e la valorizzazione dei monumenti conservati, aumentandone la possibilità di godimento da parte dei visitatori e diminuendo drasticamente l’incidenza dei fattori di degrado sui materiali originali. 175 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 176 Scavo e restauro del tempio a pozzo di Funtana Coberta Ballao Maria Rosaria Manunza 176 Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Cagliari e Oristano Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna I lavori di scavo stratigrafico nel tempio a pozzo di Funtana Coberta (Ballao-CA), ripresi nel 2003, sotto la Direzione Scientifica della scrivente, sono stati realizzati in funzione del Restauro del pozzo (Direzione Lavori architetto Ivana Todde), con la collaborazione delle archeologhe sul campo Anna Luisa Sanna e Stefania Dore. Considerata la destinazione del finanziamento, è stato necessario limitare l’area d’intervento a quella intorno al pozzo, dove era indispensabile scendere fino alla base del muro della tholos, per verificarne la stabilità. Il restauro del pozzo è stato fatto col sistema scuci e cuci per piccoli settori per volta. La struttura messa in luce con lo scavo è risultata abbastanza stabile e a piombo, al contrario della parte visibile prima dell’intervento, che, oltre ad essere sbilanciata, risultava ormai priva della malta che in origine legava i blocchi, ancora presente, invece, nella parte interrata della struttura. Le pietre sono state numerate, rilevate e fotografate, prima di essere smontate. Sono state poi rimesse nella stessa posizione con l’aggiunta di un collante miscelato con argilla del posto e con sabbia. Per il consolidamento del manufatto si è usato un collante (Mape Antique) nella seguente proporzione: kg 2,5 di collante, kg 2,5 di sabbia, kg 2,5 di terra del posto, il tutto colorato con ossido giallo misurato nelle seguenti proporzioni: 3 parti di ossido giallo e 5 di ossido marrone. Lo scavo ha restituito una stratigrafia utile per ricostruire le vicende che hanno interessato il pozzo a partire dall’epoca della sua costruzione. fase del bronzo medio /recente 1 Lo strato di frequentazione più antico, finora scavato, la US 150, poggiava su uno strato, di argilla impermeabile, sistemata, probabilmente di proposito, dai nuragici, subito dopo la costruzione del pozzo. La US 150 ha restituito soltanto reperti databili tra il bronzo medio e il bronzo recente, con una prevalenza di quelli che trovano confronti nei contesti sardi attribuiti al bronzo medio. Mancano le decorazioni a nervature, la ceramica metopale e le decorazioni a pettine. La fase iniziale del pozzo andrà quindi situata tra la fase finale del bronzo medio e quella iniziale del bronzo recente, in un momento precedente il 1350 a.C.. fasi del bronzo recente /finale 2 Si costruiscono i muri che delimitano il vano ? e il vano ?‚. Nella parte a ridosso del muro 31, si forma lo strato di frequentazione 140. In questa fase si fa una buca con asportazione parziale dello strato 150. Tale asportazione è dettata, probabilmente, dall’esigenza di creare una parte leggermente infossata nell’angolo del vano ? formato dai muri 57 e 58, per la creazione di un focolare. Infatti, in quest’angolo c’è lo strato 119 costituito da terra bruciata, granulosa, con molto carbone, terra cotta e grumi di concotto, frutto di ripetuti focolari. 3 Lo strato di terra 119 viene, poi, a sua volta, tagliato per deporre il vaso 116, ricolmo di bronzi da rifondere. La buca, una volta deposta l’olla, viene ricoperta dallo strato di terra e pietre 115, che occupa interamente il taglio, e da una lastra di pietra che copre il vaso. La terra 119 risulta depositata proprio nell’angolo tra i muri 57 e 58, a ridosso del vano ?, dove, non a caso, nel cumulo di terra 128, a ridosso del vano, si è trovata traccia di fuoco ad alte temperature. Benché non conosciamo cosa succedesse esattamente, in questa fase, all’interno del vano ?, non avendo scavato fino a questo livello, possiamo desumere Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 177 che nell’area intorno al pozzo ci fosse già una fornace. Il vaso deposto nella fossa del vano ? contiene una riserva di bronzi da rifondere. Tra questi si riconoscono frammenti di spade votive e di lingotti del tipo oxhide, di importazione micenea. Un altro frammento di spada votiva, trasformato in pugnaletto, finisce nella muratura che delimita il vano ?. Dobbiamo immaginare il pozzo, nel periodo del suo massimo splendore, adorno di spade votive, che, in caso di rottura, venivano accantonate, assieme agli altri oggetti rotti e agli scarti, come bronzi da rifondere, il tutto conservato sotto la protezione della divinità, nel posto ad essa più sacro, all’interno del recinto del tempio. 4 Nella successiva fase di vita in tutto il vano ? e lungo il lato sud del pozzo si forma lo strato di frequentazione 110, nel vano ?‚ si costruisce il pavimento 130 e all’esterno di questi ambienti si forma lo strato di frequentazione 158. Il vano ? era accessibile a tutti i pellegrini o soltanto ai sacerdoti? I frequentatori del tempio nella fase della US 110, erano a conoscenza della presenza del vaso con la riserva bronzea sotto i loro piedi? Se lo sapevano, perché non cercarono di utilizzarlo per fare nuovi oggetti, nuovi ex voto? La risposta può essere che non ne erano a conoscenza o che nell’area esisteva altra riserva bronzea cui attingere. Oppure era riserva sacra, inviolabile, posta sotto la tutela della divinità. I frequentatori dello strato 110 avevano, comunque, a disposizione altri ex voto di bronzo, tanto è vero che nello strato era presente il piede di una statuina. In un certo momento il vano ?, viene obliterato dal muro 124 e usato come fonderia. Questo muro 124 viene sollevato a partire dallo strato di cenere e carboni 128, a ridosso del muro 88, prima che si facesse la pavimentazione 125 all’interno del vano ?. 5 L’interno del vano ‚ viene ancora utilizzato come fornace (lastricati US 125 e 114 e strato con resti di bronzo e piombo 129), mentre il vano ? viene pavimentato (US 106). All’esterno del vano ? si forma un altro strato (143/149) di frequentazione nuragica. 6 Fase di vita sopra il pavimento 106 del vano alfa; nel vano ?‚ si forma lo strato di bruciato 108, frutto di una probabile fornace, in cui si trova un frammento di corno di bronzetto. All’esterno, al di sopra dello strato 143, si realizza il lastricato 142, forse, una pavimentazione. età del ferro 7 Fase di abbandono periodo tardo punico inizi dell’età repubblicana 8 Nel periodo tardo punico – inizi dell’età repubblicana, il vano ? viene ripulito e utilizzato come magazzino in cui vengono deposte le anfore che saranno poi distrutte da un evento catastrofico, verosimilmente, un nubifragio o un’alluvione. Situazione a cui si rimedia quasi subito dando vita allo strato di frequentazione 95 che interessa anche il vano ?. In questa fase di risistemazione si rende necessario intervenire nel paramento murario interno al vano ?: nell’angolo in cui il muro 58 si lega al muro 57 si realizza un consolidamento mettendo in opera pietre di medie e grosse dimensioni con abbondante malta di fango. Un altro consolidamento si effettua con la costruzione di un conglomerato informe (USM 104) tra il muro 58 e il muro 31. Lo strato US 150, sottostante la US 140, ha restituito soltanto reperti databili tra il bronzo medio e il bronzo recente, con una prevalenza di quelli che trovano confronti nei contesti sardi attribuiti al bronzo medio. Il terminus ante quem per la costruzione del pozzo è, dunque, dato dalla datazione di questo strato, tra il bronzo medio e il bronzo recente. In tutti gli strati nuragici scavati, sigillati dagli strati d’età repubblicana, allo stato attuale delle ricerche, è del tutto assente la ceramica che contraddistingue le fasi pregeometrica, geometrica e orientalizzante. 177 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 178 Dunque, la vita del pozzo in età nuragica sembra essersi conclusa entro gli inizi del bronzo finale, ed è a questa fase che si devono attribuire i pochi resti di bronzistica figurata: un piedino di statuina della US 110, la cui datazione trova conferma nelle ceramiche che erano nello stesso strato, un frammento di statuina (corno) della US 108 e una testa di guerriero nuragico della US 98. Sembrerebbero, dunque, trovare conferma le ipotesi, avanzate da altri studiosi, riguardo alla datazione della bronzistica figurata a partire dalla fase del bronzo finale. In questa fase il luogo era occupato da un vero e proprio santuario, dove, probabilmente, si fondevano anche i bronzi che i pellegrini offrivano come ex voto alla divinità delle acque. 178 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 179 Lavori di conservazione e valorizzazione del complesso culturale nuragico di Sorradile (OR) loc. Su Monte Vincenzo Santoni, Alessandro Usai, Elena Romoli, Ginetto Bacco Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Cagliari e Oristano l complesso cultuale nuragico di Su Monte (Sorradile - OR) si trova sul versante che domina la sponda sud-orientale del Lago Omodeo, a breve distanza da uno dei punti più favorevoli per l’attraversamento del Tirso tra l’altopiano basaltico di Ghilarza e la fascia collinare tufacea del Barigadu. Esso venne rinvenuto alla metà degli anni ’80 nel corso dei lavori di costruzione della nuova strada tra il ponte di Tadasuni e l’abitato di Sorradile; dopo interventi preliminari di scavo con fondi comunali e regionali negli anni 1998-2000, è stato interessato da due importanti campagne d’indagine condotte con fondi ministeriali negli anni 2002-2003 (importo complessivo Euro 232.405). Il complesso é delimitato da una muraglia ad andamento pressappoco ovoidale, di cui si riconoscono alcuni tratti appena affioranti in superficie, che racchiude un’area di circa metri 100 x 60. All’interno dell’area recintata è stato individuato e parzialmente indagato un gruppo di edifici e spazi di particolare rilevanza, purtroppo gravemente danneggiati dagli scavi abusivi. L’edificio principale (A) è composto da un vestibolo rettangolare e da un vano rotondo, realizzati in opera isodoma in grossi blocchi di trachite; il vestibolo presenta una soglia lastricata e sedili alle pareti, mentre il vano rotondo si distingue per la presenza di tre ampie nicchie alle pareti e di una vasca-altare al centro. Pochi metri a Nord-est dell’edificio A si trova una piccola rotonda (B) costruita in blocchi isodomi di dimensioni minori e provvisti di bugne; essa si presenta quasi completamente rasa al suolo ad opera di scavi clandestini. Ancora più a Nord-est si trova una capanna rotonda in blocchi poliedrici (D). Tutto lo spazio compreso tra il vestibolo dell’edificio A, la rotonda B e la capanna D si configura come un ampio cortile pressappoco semicircolare (C), delimitato da una serie di segmenti murari distinti inglobanti anche alcuni spuntoni rocciosi; il cortile è provvisto di due ingressi rivolti a Nord e a Sud. Infine, addossato al paramento esterno occidentale dell’edificio A e a stretto contatto con un breve tratto visibile della muraglia recintoria, si è individuato un ultimo edificio (E) di pianta semicircolare e inglobante uno spuntone roccioso. Le indagini eseguite negli anni 1998-2000 e 2002-2003 si sono concentrate particolarmente nell’edificio A, nella rotonda B, nel cortile C, e in misura minore nella capanna D e nella fascia meridionale dell’area recintata dalla muraglia. Il vano A si è presentato colmato da un possente strato di crollo, sconvolto dall’intervento dei clandestini, per quasi tutta l’ampiezza dell’ambiente e fino alla base; oltre alla vasca-altare nuragica, anch’essa danneggiata e mutila, lo scavo del vano ha restituito un importantissimo complesso di manufatti ceramici (tra cui una brocchetta integra di produzione locale e una coppa frammentaria d’importazione fenicia) e bronzei (una navicella votiva, pugnali, asce, una sega ecc.), nonché svariati blocchi parallelepipedi originariamente connessi con la vasca-altare e muniti di incavi per il fissaggio dei bronzi votivi. Allo stato attuale la maggior parte del complesso dei reperti si inquadra nell’età del Bronzo Finale e nella Prima età del Ferro; tuttavia alcuni elementi suggeriscono che la costruzione dell’edificio A sia avvenuta almeno nell’età del Bronzo Recente. Le ultime indagini lasciano immaginare una situazione altrettanto complessa anche negli altri vani e spazi e in particolare nel cortile C. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna I Valorizzazione e restauro del sito Gli ultimi interventi eseguiti consistono prevalentemente in opere di valorizzazione e conservazione dell’area e in particolare si è proceduto al consolidamento 179 180 Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Cagliari e Oristano Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 180 delle strutture murarie e dell’altare centrale dell’edificio principale A. Nello specifico sono state eseguite le seguenti opere: smontaggio e ricollocazione dei blocchi pertinenti ai filari superiori dei paramenti murari esterni dell’edificio A (vano rotondo e vestibolo) e del cortile C, che si presentavano eccentrici rispetto alla struttura muraria, in pericolo di caduta a causa dell’azione espulsiva delle radici; reintegrazione di alcuni limitati blocchi mancanti sul filare superiore del paramento murario esterno dell’edificio A e rovesciati sul perimetro dall’azione del tempo, mediante la loro ricollocazione in opera per anastilosi; smontaggio e trasporto degli elementi e frammenti dell’altare dal complesso di Su Monte al magazzino-laboratorio sito nel centro abitato di Sorradile dove è stato eseguito il loro restauro mediante operazioni di pulitura, consolidamento corticale e riassemblaggio delle parti; scavo scientifico del deposito archeologico sottostante all’altare; trasporto dell’altare dal magazzino-laboratorio al complesso archeologico e rimontaggio della struttura dopo i lavori di restauro; realizzazione di una copertura provvisoria, adatta a preservare nell’immediato il monumento da ulteriore degrado e a consentire un monitoraggio climaticoambientale della durata di un anno, durante il quale verranno presi in considerazione i parametri utili alla progettazione della copertura definitiva; fornitura e posa in opera di una recinzione in rete metallica, a chiusura di un settore dell’area archeologica recentemente acquisito dall’Amministrazione comunale di Sorradile. Si sottolinea che la vasca-altare di Su Monte è uno degli esemplari più monumentali e meglio conservati tra tutti i manufatti di questo genere conosciuti nella Sardegna nuragica. Essa è costituita da una parte principale a doppio tronco di cono che riproduce il modello ideale della torre nuragica, e da una vera e propria vasca di forma asimmetrica, probabilmente utilizzata per sacrifici o riti lustrali, con lastrone di base e alte pareti verticali che originariamente erano sormontate da spade votive in bronzo. Col restauro della vasca-altare si è voluto ridare unità di volume al manufatto senza alterarne l’originalità delle parti e senza reintegrare quelle mancanti. Inoltre, per esigenze di salvaguardia è stata eseguita una copia fedele in pietra trachitica dei due elementi troncoconici riproducenti la torre nuragica; sul posto è stata ricollocata la copia dell’elemento superiore, mentre quello originale è stato temporaneamente sistemato nel laboratorio sopra la riproduzione dell’elemento inferiore, in attesa che venga eseguita una copia completa della vasca per l’esposizione in museo. L’intervento è stato accuratamente documentato con fotografie digitali in tutte le sue fasi che, nello specifico, hanno comportato: pulitura degli elementi con spazzolatura e spray di aria compressa per l’asportazione dei depositi superficiali e terrosi, lavaggio con nebulizzazione di acqua demineralizzata, pulitura e grassatura delle fratture, eliminazione della patina biologica con l’applicazione di sali di ammonio quaternario, consolidamento corticale con silicato di etile, riassemblaggio dei frammenti mediante resina epossidica senza l’inserimento di perni, ricomposizione in situ delle parti evitando di stuccare gli elementi, di integrare le piccole lacune e le parti mancanti. Si prevede di mantenere l’altare sotto stretto controllo per verificarne la reazione ad intervento concluso e per la programmazione di future manutenzioni. Le operazioni periodiche di decespugliamento e diserbo sono attualmente condotte dal personale operaio dipendente da questo Ufficio, abitualmente dislocato nell’area archeologica del nuraghe Losa di Abbasanta, fino all’attuazione del piano di gestione comunale in fase di perfezionamento. La realizzazione e il riordino della documentazione scientifica sono parte inte- Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 181 grante di ciascuna operazione e del corrispondente prezzo a misura; con diverse voci è stata prevista la fornitura a corpo del materiale fotografico (rulli di diapositive e supporti per immagini digitali) e di specifica documentazione relativa ai reperti recuperati nelle precedenti campagne di scavo. 181 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 182 Restauro delle tempere murali della Chiesa di San Mauro di Cagliari Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Cagliari e Oristano Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna Patricia Olivo Progettista e Direttore ai Lavori Patricia Olivo Assistente Tecnico di Cantiere Vittorio Laconi Impresa esecutrice Lavori Gabriela Usai di Quartu Sant’Elena (Ca) Provvedimento d’urgenza A.F. 2006 Soprintendente Stefano Gizzi Via Cesare Battisti, 2 09123 Cagliari tel. 070 20101 fax 070 252277 [email protected] 182 L a Chiesa conventuale di San Mauro, edificata tra il 1646 ed il 1680, commissionata da don Francesco Gaviano, canonico penitenziere del Capitolo della Primaziale, fu dedicata a San Mauro Martire. La chiesa attuale, a sei cappelle, risale al 1680, ed è stata costruita perpendicolarmente alla primitiva chiesa del 1650 sorta nell’area di un’antica chiesetta della SS.Vergine della Salute nel popoloso quartiere di Villanova. Per gestire il convento da Valenza, in Spagna, giunsero alcuni frati francescani della Regola dei Recolleti, affiancati da altri frati provenienti dal convento dei Minori Osservanti di Cagliari, che ben presto rimasero gli unici a curare la chiesa ed il convento. Nel 1661 fu aperto il noviziato e, nel 1670, lo Studio di Teologia. Nel 174546 venne dotata della Cappella (con cupola ottagonale) dei San Raffaele Arcangelo. Dal 1717 al 1758 ospitò il corpo di San Salvatore da Horta; ora ne conserva una reliquia (scapola). Secondo la testimonianza dello Spano, alla metà del XIX secolo, l’edificio era in gran parte affrescato (Spano 1861), riferendo di affreschi in varie cappelle, nella volta della cupola e nella Tribuna o Cantorìa. Fu restaurata negli anni 1897-1898, con l’eliminazione degli altari in legno dorato, ricostruzione di nuovi altari e pulpito in marmo, decorazione della volta e delle pareti dell’ingresso della chiesa, per opera del pittore cagliaritano Giuseppe Conci che nel 1900 dipinge anche la lunetta in facciata con San Francesco sopra il portale d’ingresso. Tra il 1977 e il 1984 è stata assoggettata a un nuovo radicale restauro, col riassetto attuale del Presbiterio e del Coro ed il rifacimento degli intonaci interni della chiesa, ad opera del Comune di Cagliari, conclusosi nel giugno 2006. Di tutte le superfici dipinte, risultano superstiti soltanto quelle della Cantorìa, realizzate nella prima metà del ‘700 e raffiguranti nella volta la Cacciata degli Angeli ribelli, nei pennacchi San Girolamo, S. Agostino, S. Ambrogio e San Gregorio Magno e nella controfacciata dell’arco della tribuna i Sette dottori francescani con al centro San Bonaventura. Il brano pittorico che copre interamente la volta della Cantorìa (vano rettangolare coperto da volta a crociera), raffigura al centro l’Arcangelo Michele che precipita con una lunga lancia i suoi avversari mentre in alto la Vergine Immacolata assiste alla scena, assisa sulle nuvole e sulla falce di luna. La scena inquadrata da una cornice mistilinea è sovrastata ulteriormente da un cartiglio che riporta un brano dell’Apocalisse di Giovanni. : Signum magnum apparit in coelo mulier amicta sole et luna sub pedibus eius et in capite eius corona stellarum duodecim et factum est praelium manum in coelo Michel et angeli eius limebantur eium dracone et draco pugnabat et angeli eius et non prevaluerunt nes locus inventus est eorum amplius in coelo Dal punto di vista iconografico, la scena ripropone un brano dell’Apocalisse con la presenza dell’Immacolata anche nella fase antichissima della storia della salvezza a significare l’esistenza di Maria nel pensiero di Dio prima della creazione del mondo. Questa raffigurazione teologica si diffonde ai primi del ‘500 per rispondere agli attacchi della Riforma tendenti a sminuire l’immagine di Maria. I Francescani furono i maggiori assertori dell’Immacolata Concezione che venne fissata con dogma solo nel 1854. Completano il ciclo decorativo la teoria dei Sette dottori francescani nella lunetta della controfacciata dell’arco della tribuna, ed i quattro Padri della Chiesa (San Girolamo, Sant’Ambrogio, San Gregorio Magno, Sant’Agostino) raffigu- Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 183 rati nei quattro pennacchi della volta a crociera. L’opera, che propone uno stile ingenuo e un po’ piatto, per confronti stilistici con gli affreschi dipinti nei pennacchi della cupola della chiesa di San Michele a Cagliari, può essere attribuito al pittore napoletano Domenico Tonelli, che lavora a Cagliari nella prima metà del XVIII secolo. Nel mese di novembre 2005, la Soprintendenza con fondi ministeriali ha disposto con provvedimento d’urgenza il restauro delle tempere murali della cantorìa e della lunetta in facciata. I lavori eseguiti dalla ditta Gabriela Usai di Quartu S.Elena (CA) sono iniziati il 16 novembre 2005 e si sono conclusi nel giugno 2006. il progetto e la direzione dei lavori sono stati affidati alla dott.ssa Patricia Olivo che si è valsa dell’assistenza tecnica del sig. Vittorio Laconi. (perizia n. 48/2005 del 15.09.2005 di euro 25.615,00) Materiali costitutivi e tecniche di realizzazione lI dipinti della cantorìa sono realizzati con tempere su 3 strati di intonaco su supporto in mattone pieno: 1 - Arriccio da 2 a 2,5 cm in malta di calce con sabbia marina locale (presenza di conchiglie) 2 - Intonaco da 0,5 cm 3 - Intonachino rasato da 0,1 cm circa. Sono stati eseguiti a stesura consistente, con pennellate decise, formando diversi campi cromatici ad evidenziare la posizione ed il ruolo dei personaggi raffigurati. Stato di conservazione Il supporto murario e l’intonaco Contrariamente a quanto poteva apparire dal basso, solo dopo il montaggio del ponteggio e ad una più attenta osservazione, è stato possibile valutare lo stato reale di conservazione dell’opera. I cedimenti strutturali, (bombardamenti, rifacimenti successivi), hanno prodotto, in seguito a movimenti del supporto murario, un evidente reticolo di fenditure dell’intonaco. Uno di questi movimenti è stato apprezzato, con una apertura a ridosso della lunetta dei “Dottori della Chiesa”, fino a 4 cm. Le lesioni più marcate risultavano in corrispondenza degli archi e della crociera. Diversi rigonfiamenti sulla lunetta, favorivano la stabilizzazione di depositi di polvere, fino a strati di circa 1,5 cm, che via via venivano inglobati dalle cromie polverulente. Rifacimenti maldestri sono stati eseguiti in diverse zone, in seguito alla realizzazione di un impianto elettrico, (basandosi sul tipo di materiali usati, presumibilmente databili tra fine guerra e ‘52). Negli anni ’50 è stato realizzato un impianto elettrico eseguito con scavi in profondità senza la minima salvaguardia del manufatto, procurando lesioni e cedimenti degli intonaci nelle zone attigue, eliminando vaste porzioni delle scritte sulla lunetta dei “Dottori della Chiesa”, ricoperte con malte cementizie, senza curarsi degli imbratti conseguenti sulla pellicola pittorica. Pellicola pittorica La cromia versava in un generale fase di SPOLVERO, sensibile al solo tocco dei pennelli. Diffusi depositi di polvere, inglobati da depositi grassi, inscurivano ed abbassavano il tono cromatico del dipinto. Sono state individuate zone di effluorescenza salina, poi regredite o ripulite, in particolare sulla lunetta dipinta. Pesanti cadute di colore con perdita dello strato pittorico, sono evidenti sulla 183 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 184 stessa lunetta e nella porzione del dipinto sulla vela frontale, oltre che nella cornice del ciclo pittorico, pregiudicando la lettura della modanatura a finte foglie. Rifacimenti Vaste campiture esterne alle cornici ed i pennacchi, sono state ridipinte con due strati di scialbatura di tonalità azzurra. I due strati coprivano un fine lavoro in delicati toni pastello, ad ombreggiare la finta cornice e due ovuli simetrici, entro un’area decorata a moduli speculari fitomorfici. Sono stati inoltre individuati diffusi ritocchi sulle vesti dei personaggi principali. Interventi eseguiti Pulitura Data la condizione della pellicola pittorica, rischiosa da spolverare a fondo senza pregiudicare la permanenza del dipinto, si è proceduto ad una delicatissima rimozione delle polveri mobili, con morbidi pennelli, fino al massimo risultato. Ove la consistenza della cromia lo permetteva, sono stati rimossi polvere e sporco per mezzo di impacchi di acqua deionizzata con supportante (Arbocel), frapponendo un velatura di carta di riso. Consolidamento della pellicola pittorica Il consolidamento dello strato pittorico è stato eseguito con la nebulizzazione di emulsione acrilica, in diluizioni con acqua demineralizzata, al 2%; 4%; 6% a diverse riprese frapponendo fogli di carta di riso e una leggera pressione con rullo di gomma. La zona scura dei demoni ha richiesto una frequente stesura di emulsione, dimostrandosi più permeabile, come se l’intonachino rasato sottostante avesse perso coesione, aumentando sensibilmente la sua porosità. Rimozione degli stucchi e delle malte non idonee Le malte cementizie ed i relativi imbratti sono stati ammorbiditi con impacchi di polpa di cellulosa con carbonato d’ammonio, e rimossi a mezzo di bisturi e/o scalpelli, previo consolidamento delle zone circostanti, con esecuzione di parabordi con malta di calce e sabbia. Consolidamento degli intonaci e del supporto murario Il consolidamento degli intonaci è stato eseguito a mezzo di iniezione di emulsione acrilica Acril33 al 5-10% nelle zone di malta disgregata. Ove risultavano formate delle sacche si è proceduto al riempimento con malta idraulica a basso peso specifico (PLM-AL). Rimozione delle ridipinture Le ridipinture sono state asportate con sistema misto: a secco con bisturi o ammorbidite con impacchi di sola acqua deionizzata o con carbonato d’ammonio in polpa di carta o gel, rimosse meccanicamente a bisturi. Stuccatura delle fessure Le fessure sono state risarcite con malte di sabbia a diversa granulometria a seconda delle stratificazioni, con calce idrata ed idraulica, e carbonato di calcio (nelle più sottili). Le parti più profonde sono state rinforzate con l’inserimento di perni in fibra di vetro Reintegrazione cromatica e protezione finale dello strato pittorico La reitegrazione è stata eseguita a velature e a tratteggio a seconda delle zone, con pigmenti e gomma arabica e/o medium acrilico. La protezione finale è stata eseguita con la stesura di una resina acrilica superiore (Acril Mat). 184 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 185 La Chiesa di Santa Corona a Riola Sardo (OR) Paolo Margaritella Collocazione storica Datata intorno all’anno 1000, citata nel “condaghe di Bonacatu” al tempo del Giudicato di Arborea nel XII secolo d.c., della chiesa si conservano solamente alcune parti, delle quali il meglio conservato è, in particolare, un annesso, costituito da una cappella, addossato alla navata centrale. Esso pare, con ogni probabilità, costruito in una fase di ristrutturazione del tempio successiva alla costruzione della chiesa. La navata centrale è completamente crollata, si conservano soltanto, come ambienti coperti, il lato sinistro, costituito da due ambienti voltati a padiglione, e la parete di fondo del presbiterio. Non si conosce la data precisa di edificazione della chiesa, però, da un documento ecclesiastico medioevale, si sa che nella seconda metà del XII secolo l’edificio era già esistente ed era molto importante per il borgo di Riola Sardo del quale costituiva la parrocchiale. La chiesa dipendeva da Santa Maria di Bonarcado ed era, secondo una recente rilettura dei documenti dell’epoca, proprietà dei Templari. A sostegno di questa tesi, che oltretutto implica che la stessa chiesa fosse in mano ai Templari e non ai Camaldolesi, come comunemente si ritiene, vi sono diversi elementi: in un documento di donazione viene citato come testimone il “presbitero” di Santa Corona, che viene al tempo stesso chiamato capitano, si tratta cioè di un sacerdote che era allo stesso tempo militare, per cui, quasi certamente, un templare; la chiesa, inoltre, viene definita “tempio”, secondo l’uso templare, e lo stesso nome della chiesa, Santa Corona, è relativo ad un culto particolarmente legato alla Terra Santa. Da documenti successivi sappiamo che la chiesa era tenuta in gran conto dalla comunità locale, ma già alla metà del XV secolo necessitava di importanti opere di restauro. Più tardi, nel XVII secolo, fu completamente ristrutturata tanto che alcuni elementi di questo periodo sono tuttora visibili: tra tutti le due nicchie, ora molto erose, interposte tra gli arconi di accesso alle cappelle del lato sinistro della navata centrale; una nicchia risulta sormontata da un fastigio terminante a timpano e l’altra da un arco con colonnine laterali, entrambi in pietra calcareo tufacea lavorata finemente con motivi ornamentali geometrici o riferiti ad elementi della tradizione classica (come frontoni, semicolonne scanalate) e rinascimentali (riquadri a punta di diamante). Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Cagliari e Oristano L’approccio alla tematica relativa al consolidamento del rudere è caratterizzato da problematiche complesse da mettere in relazione sia con la peculiarità del monumento da salvaguardare che con il risultato finale che si voglia perseguire in materia di tutela e conseguente valorizzazione del bene. La chiesa di Santa Corona si trova alla periferia del paese di Riola Sardo, nella provincia di Oristano, borgo agricolo situato nell’area dell’Alto Campidano, ampia pianura di tipo alluvionale formatasi nel corso del tempo grazie agli apporti del fiume Tirso, il maggiore dell’Isola. Essa sorge in un terreno rilevato rispetto al resto del paese, sul bordo di un argine di un discreto corso d’acqua immissario della laguna di Cabras. A pochi metri dal rudere è sorta, negli anni “70” del secolo scorso, una struttura adibita a scuola materna, dal cui cortile è possibile l’accesso allo spazio in cui sorgono i resti della struttura oggetto del presente studio. Il monumento si trova in uno stato di completo abbandono e la vegetazione infestante occupa gli spazi un tempo occupati dall’impianto a tre navate. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna Inquadramento territoriale Il Progettista Paolo Margaritella Hanno collaborato Direzione cantiere Guido Atzeni Rilievi Silvia Sechi Giancarlo Lochi Foto aeree Società Teravista 185 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 186 L’intervento L’edificio risulta situato sul bordo del terrapieno che protegge l’abitato di Riola da eventuali esondazioni del corso d’acqua che la lambisce a nord. In particolare, lo stesso lato nord della chiesa, il più colpito dai fenomeni di crollo, risulta poggiante sul muro che sostiene il citato terrapieno: muro che appare preesistente all’impianto originario della chiesa e di natura, almeno per un certo tratto del perimetro del terrapieno, ciclopica. Con molta probabilità la chiesa sorge su un impianto insediativo precedente, forse di epoca preromana: gli scavi che si prevedono per i successivi lotti saranno destinati a stabilire una datazione ed una natura dei manufatti più certa. Della struttura a tre navate rimangono solo le tracce sul terreno dei pilastri di ripartizione delle stesse che sono state messe in luce dal rinvenimento dei plinti e delle basi attraverso gli scavi di indagine. Rimane da rimuovere al centro della navata centrale il grande quantitativo di materiale di crollo che ancora cela buona parte del livello pavimentale originario e che sarà affrontato in successivi lotti. Nel presente lotto di lavori, realizzati come intervento d’urgenza, si è predisposto, oltre che una campagna d’indagine costituita da un rilievo architettonico, dalla redazione di opportune Unità Stratigrafiche Murarie e da una campagna fotografica che ha incluso anche una ricognizione aerea tramite pallone sonda, un provvidenziale puntellamento di strutture che versavano in uno stato di incuria ed abbandono pressoché totali. Sono state oggetto di puntellamento con pali in legname di abete di adeguato spessore le porzioni di volte a botte ribassata di due navate, quella centrale, maggiore per altezza e ampiezza, e la laterale sinistra avente una corda di minore ampiezza: la navata del lato destro risulta completamente crollata, ma si è individuato il muro perimetrale coincidente, in parte, con il sopradescritto terrapieno. Anche il muro della facciata principale risulta al livello del terreno, ma se n’è individuato il varco d’ingresso grazie ai lavori di pulitura dell’area. Gli ulteriori puntellamenti hanno interessato i locali chiusi del lato sinistro che sono caratterizzati da lesioni importanti nelle volte a padiglione e da deiezione di materiale dalle murature in pietrame misto delle pareti perimetrali. Grazie ad un accordo di programma con l’amministrazione comunale si provvederà ad avviare un progetto sistematico di indagine e recupero del rudere, con la possibilità di creare un parco archeologico che getti le basi per una conoscenza ed una efficace divulgazione delle notizie riguardanti le origini della comunità di Riola Sardo e del suo territorio. 186 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 187 Centro di Restauro e Conservazione di Sassari - Li Punti Antonietta Boninu Nell’edificio del Centro ha sede anche il Comando Carabinieri – Nucleo Tutela Patrimonio Culturale per la Sardegna, e recentemente il Nucleo Carabinieri Elaborazione Dati, in collegamento diretto per la specializzazione con il Comando T.P.C. di Roma. Nei laboratori, collocati al piano terra, si opera nei diversi campi del restauro di materiale archeologico, di provenienza terrestre e subacquea. In particolare si eseguono interventi, in laboratorio e nel territorio, su materiali lapidei e litici, pitture murali e mosaici, metalli, ceramiche e vetri, materiale organico in genere (osso, tessuti, cuoio, legni bagnati ecc). I settori della diagnostica e della documentazione accompagnano tutte le fasi di intervento con l’acquisizione di dati utili per la conservazione e per la ricerca nel campo dell’archeometria; tra le strumentazioni di avanguardia nel settore, si segnala la presenza di un microscopio a scansione elettronica, SEM, Scanning Electron Microscopy, e dell’EDS, Energy Dispersive System. L’attività del Centro è aperta alla collaborazione delle Università, del CNR, di istituzioni che operano nel campo dei Beni Culturali. Il Centro è aperto, su prenotazione, alle visite guidate per le scuole, i gruppi organizzati e i cittadini interessati. Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro l Centro di Restauro della Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro è situato nel quartiere di Li Punti, nell’immediata periferia della città di Sassari, all’interno di un uliveto secolare. Sin dal 1980, con un accordo tra la Provincia di Sassari e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, sono stati assegnati alla Soprintendenza ampi locali, su due piani, da destinare alla realizzazione del Centro di Restauro. Grazie ai finanziamenti FIO del 1986 e di un successivo progetto CIPE del 1996, gli edifici sono stati ristrutturati e ampliati; nel contempo sono stati allestiti i laboratori, resi operativi dal maggio del 2002. Il Centro è articolato in diversi nuclei, suddivisi per funzioni: - Laboratori di diagnostica, documentazione e restauro; - Biblioteca specialistica; - Museo del restauro e della conservazione archeologica, con spazi destinati anche a mostre temporanee, in corso di allestimento; - Depositi, in corso di allestimento; - Aree espositive esterne con percorsi di visita, in corso di allestimento. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Sardegna I Direzione del centro Antonietta Boninu Daniela Rovina Soprintendente Vincenzo Santoni Piazza Sant’Agostino,2 07100 Sassari tel. 070 206741 fax 079 232666 [email protected] 187 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 188 Presentazione del volume “A quarant’anni dall’alluvione. Restauri 2002-2006” Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico delle province di Firenze, Pistoia e Prato Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana Una pubblicazione per i beni culturali Direttore Regionale Mario Lolli Ghetti Coordinatore Rosalba Tucci Lungarno A.M. Luisa de’ Medici, 4 50122 Firenze Soprintendente Bruno Santi Palazzo Pitti Piazza Pitti, 1 50125 Firenze Segreteria tel 055 2651831 fax 055 2651700 Referente Angela Maria Marongiu tel. 055 2651819 angelamaria.marongiu @beniculturali.it 188 Bruno Santi C rediamo che uno dei doveri principali della pubblica amministrazione, e in particolare di quel suo settore che si occupa della salvaguardia del più rilevante patrimonio presente in doviziosa quantità nel nostro Paese, e che ne ha fatto parlare come museo diffuso in ogni parte di esso, ossia quello della cultura figurativa e artistica, sia comunicare all’esterno, come doveroso resoconto della propria attività, programmi e risultati della propria attività istituzionale. Proprio per questa ragione, la Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico delle province di Firenze, Pistoia e Prato, la cui istituzione è sufficientemente recente (gennaio 2005), ma la cui eredità proviene da lontano, da quegli uffici di tutela che hanno mutato bensì nome nell’ultimo secolo (prima all’Arte medievale e moderna, quindi alle Gallerie e Opere d’arte, e ancora per i Beni artistici e storici, e finalmente con la denominazione che abbiamo indicato di sopra), ma non il proprio cómpito specifico, ha voluto iniziare una serie di pubblicazioni, intitolate appunto “Interventi e Testimonianze”, il primo numero delle quali si presenta in questa occasione e che ha come scopo precipuo la comunicazione dell’attività, dei programmi, degl’interventi, delle ricerche e dei resultati che attraverso il lavoro e l’impegno giornaliero dei suoi addetti, ha potuto conseguire. È la continuazione questa di una tradizione che ha visto le soprintendenze (in tutti i loro àmbiti, quello archeologico e dell’arte antica, quello del patrimonio architettonico e del paesaggio, quello – infine – dell’arte figurativa e decorativa) impegnate a render conto di ciò che è stato compiuto nel tempo, a dimostrazione che il loro lavoro non è soltanto una procedura burocratica, un controllo fiscale, ma anche l’èsito d’indagini, di ricerche accurate, di obiettivi conseguiti. Sappiamo che da tempo il patrimonio culturale del nostro Paese (e particolarmente quello di carattere storico-artistico) attrae molto più che nel passato l’attenzione della pubblica opinione. Non trascorre giorno, si può dire, che i mezzi d’informazione non diano notizia di ritrovamenti, esposizioni, restauri, curiosità che riguardano proprio questo settore. Talvolta, anche per denunziarne la situazione di sofferenza o di trascuratezza, ma più spesso per indicarne i motivi d’interesse e di attrattiva. Inoltre, la valorizzazione di questo patrimonio si unisce a un fenomeno in particolare crescita in questi ultimi tempi: quello del turismo culturale, che spesso assume le caratteristiche di turismo di massa. Non vi è centro storico, non vi è paese che ne sia esente: certo, con risvolti positivi per l’economia dei luoghi interessati, ma talvolta, come nelle località di maggiore richiamo, causa di effettivi disagî e anche d’inconvenienti per le stesse testimonianze d’arte. Tornando alla nostra iniziativa, la soprintendenza che la promuove, quale ufficio eminentemente territoriale (non possiede musei da gestire, né ha in consegna complessi monumentali), vuole dare una testimonianza del proprio impegno sul patrimonio diffuso sul territorio, di cui si occupa attraverso l’esperienza e la capacità operativa dei suoi funzionarî, non mai sufficientemente lodati, che in carenza di mezzi logistici e finanziarî si impegnano – anche aldilà dei loro precipui cómpiti d’ufficio, al controllo minuzioso delle opere e al reperimento di mezzi per la conservazione e la sicurezza del patrimonio nelle zone a loro affidate. L’auspicio è che quanto qui esprimiamo serva a sensibilizzare il pubblico sulla imprescindibile necessità di difendere e valorizzare il patrimonio culturale dei nostri territorî, senza Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 189 il quale ne è fortemente depauperata (se non annichilita) la coscienza della propria identità e la consapevolezza della propria vicenda storica. Il primo numero della serie di “Interventi e Testimonianze” non poteva obliterare un avvenimento che ha segnato profondamente la storia della città di Firenze, in primis nei beni (e nelle vite, occorre ricordarlo) dei suoi abitanti, così come in altre zone della Toscana e d’Italia, in quei giorni: l’alluvione del 1966. Certamente, i danni che il patrimonio culturale cittadino ne subì furono l’aspetto più eclatante di una calamità che attrasse la solidarietà di giovani provenienti da tante parti d’Italia e del mondo, l’immediato soccorso alle opere bisognose d’intervento anche da parte di personale attivo nell’ambito dell’arte (restauratori, per esempio), tanto da sollecitare anche riflessioni sulla struttura stessa dell’amministrazione che aveva il cómpito di vigilare sulla salvaguardia del patrimonio artistico, e che portarono – da lì a non molto – a commissioni parlamentari d’indagine, fino alla costituzione, non a caso affidata a una personalità politica fiorentina, l’allora senatore Giovanni Spadolini, di un ministero dedicato specificamente a quelli che sarebbero stati definitivamente individuati come “beni culturali”. Così, le prime agghiaccianti immagini del disastro provocato dall’Arno furono quelle del patrimonio artistico offeso, la Croce di Cimabue mutilata, le formelle della Porta ghibertiana del “ Paradiso” del Battistero travolte dalle acque e scaraventate al suolo, le tante pale d’altare e suppellettili chiesastiche danneggiate dal fango e dalla nafta, i numerosissimi affreschi insidiati dall’umidità, le opere d’arte in attesa di restauro e di nuovo assalite da danni ulteriori (poiché sistemate al piano terra dei laboratorî – tra cui quelli dell’allora Soprintendenza alle Gallerie), tanto da far parlare da Roberto Longhi, in un numero di “Paragone” esclusivamente dedicato ai danni dell’alluvione (n. 203 del gennaio 1967, quindi proprio all’indomani dell’esondazione) di una “Firenze diminuita”. È evidente che le soprintendenze fiorentine furono in prima linea nel salvataggio del patrimonio artistico danneggiato: in questa drammatica condizione emersero figure come Ugo Procacci, Umberto Baldini, Giuseppe Marchini, che avevano allora le massime responsabilità nell’ufficio delle Gallerie; ma anche gli altri funzionari giovani e meno giovani, i restauratori, gli operai, i custodi, quanti operavano nell’amministrazione. Particolarmente impegnata fu la scuola “fiorentina” di restauro in cui agirono personalità di rilievo come Lionetto Tintori, Giuseppe Rosi, Alfio Del Serra, Andreas Rothe e tanti altri tra cui però ci sembra opportuno e doveroso rammentare l’opera di Dino Dini, operatore solitario e sapiente nel salvataggio di tante pitture murali, di cui in appendice la figlia Daniela dà un resoconto dell’attività da lui svolta dopo l’inondazione e ne traccia un breve profilo biografico. A tempo di record furono preparati interventi d’emergenza, luoghi di ricovero provvisorî: insomma, una reazione decisa e immediata, così come i cittadini cercarono immediatamente di rimediare ai guasti sulle loro cose, a ciò che l’inattesa calamità aveva provocato sul patrimonio a loro affidato. Il primo numero di “Interventi e Testimonianze” è dedicato quindi a un’esemplificazione – necessariamente ridotta e rappresentativa – su quanto è stato operato sul patrimonio artistico danneggiato dall’inondazione dell’Arno dal 2002 al 2006, cioè dall’istituzione della Soprintendenza “mista” coi beni architettonici al momento della separazione dalla Soprintendenza cosiddetta “speciale” per il polo museale, a cui fu affidata la gestione dei musei statali fiorentini (è bene ricordare che fino al 2001, alla Soprintendenza per i beni artistici e storici competeva la gestione di tali musei e la cura del patrimonio sulle tre province di Firenze, Pistoia e Parato), e quindi (2005) con la “nuova” Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico. 189 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 190 Ogni funzionario ha introdotto il contesto su cui ha operato in questi anni, e ha provveduto a redigere le schede delle opere restaurate: così Mirella Branca ha illustrato le condizioni della chiesa di San Niccolò Oltrarno (uno dei complessi più devastati dall’alluvione trovandosi nella depressione a oriente del Ponte alle Grazie) e ha illustrato le vicende storico-critiche di due tavole d’altare recuperate, nonché di altri due dipinti di Luigi Mussini in Santa Maria Novella e in questa stessa chiesa ha ripercorso gli episodi di restauro nel Chiostro Grande. Della chiesa di San Francesco di Castelfiorentino, altra cittadina investita dalle acque non tanto del maggiore fiume toscano, quanto del suo affluente Elsa, parla (e ne illustra sei dipinti riportati alla migliore condizione conservativa) Ilaria Ciseri. Maria Matilde Simari introduce altri luoghi interessati dall’inondazione in Firenze: la chiesa di Santa Trinita e la devastatissima Santi Apostoli, con i problemi di restituzione delle opere d’arte restaurate, indicando anche le caratteristiche storiche di alcune di esse, anche di varia o sconosciuta provenienza. La stessa funzionaria, che da tempo si occupa meritoriamente dei depositi, tratta in questa sede le problematiche che ancora li interessano, fornendo anche un indispensabile elenco delle opere colpite dall’alluvione e restaurate negli anni 2003-2006. Brunella Teodori tratta infine di Santa Croce, simbolo stesso dei luoghi ecclesiastici più aggrediti dall’inondazione, e compila cinque schede di dipinti pienamente recuperati dai danni subiti in quell’occasione, nonché di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. All’opera meritoria, costante, attenta, diligente e professionalmente ineccepibile dei funzionarî e del personale della Soprintendenza, va riconosciuta anche l’operatività dei restauratori a cui si sono affidate le opere, provenienti per la maggior parte dalla scuola dell’Opificio, divenuto – proprio per la volontà di Umberto Baldini, di cui ricordiamo con sincero cordoglio la recente scomparsa, che lo volle unito al Gabinetto di restauri della Soprintendenza alle Gallerie – uno dei più apprezzati istituti in questo campo in àmbito internazionale, e che proprio dalle inedite problematiche conservative scaturite dall’alluvione, hanno potuto trarre nuove esperienze e parimenti inedite metodologie d’intervento. Forse abbiamo fornito un panorama di esempî incluso in limiti troppo angusti: ma quella che si è cercato di tracciare vuol esser principalmente una doverosa comunicazione di ciò che è stato fatto per rimediare alla calamità più grande (paragonabile solo alle perdite subite dal patrimonio urbanistico della città durante l’emergenza bellica del 1944, ma – per quanto riguarda le opere d’arte – ancor più disastrosa) che abbia coinvolto la città di Firenze. Soprattutto, vuole confermare il ruolo e l’attività della Soprintendenza per il patrimonio storico-artistico, che ha raccolto il testimone lasciato dagli uffici che l’hanno preceduta e di cui si sente la legittima erede, per fornire ancora, nonostante tutte le difficoltà e le carenze obiettive in cui si trova a operare, prospettive positive nella salvaguardia del vasto patrimonio di cultura figurativa presente nelle tre province di competenza. Anche uno strumento come quello che si presenta in questa sede può diventarne un modesto ma significativo testimone. 190 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 191 Una nuova, grande Galleria Nazionale per l’Umbria Vittoria Garibaldi a Galleria Nazionale dell’Umbria, una delle principali raccolte d’arte d’Italia, ospitata nei piani superiori dello storico Palazzo dei Priori di Perugia, sede del Comune fin dall’epoca medievale e splendido esempio di architettura civile gotica, ha riaperto al pubblico il 19 dicembre del 2006 al termine di un articolato percorso di recupero ed ampliamento degli spazi espositivi, dotati di tutti i servizi in linea con gli standards internazionali, oltre che di restauro delle opere d’arte facenti parte delle collezioni. Il lavoro ha complessivamente impegnato oltre 8.000.000,00 di euro messi a disposizione dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed è stato portato avanti in maniera sistematica fin dai primi anni Novanta. Prima dell’intervento di restauro architettonico per l’ampliamento della Galleria Nazionale, che ha interessato tutto il terzo livello del palazzo dei Priori, gli ambienti erano occupati dagli uffici del Comune di Perugia. Per questo uso gli spazi monumentali del palazzo erano stati nel tempo suddivisi con muri, pannellature e controsoffitti che avevano nascosto o modificato gli ambienti originari. Il restauro architettonico, così come era stato fatto per il piano storico che si sviluppa al quarto livello e che è stato inaugurato nel 2002, è stato progettato e condotto nella volontà di far riemergere e valorizzare l’impianto storico dell’edificio con le sue finiture originali, contemperando l’esigenza di ottenere spazi idonei all’esposizione delle opere d’arte. A seguito di saggi ed analisi preliminari sono state abbattute tutte le superfetazioni, che hanno permesso di identificare una serie di ambienti, documentati nei numerosi studi sul palazzo. Fra questi risalta il trecentesco refettorio della magistratura dei Priori, coperto da tre volte a crociera costolonate, nelle cui pareti è rappresentato ad affresco il Cenacolo, opera di Giannicola di Paolo datata 1493 e commissionata dal Priore Hestor De Gratianus. In adiacenza la sala dell’Orologio, nella metà del secolo scorso abitata da Aldo Capitini, sono stati scoperti gli stemmi dedicati dagli Spenditori – ovvero gli addetti all’approvvigionamento del Comune – ai Priori in carica tra la fine del XV e i primi del XVI secolo. Di fronte sono state messe in luce altre decorazioni parietali, del XVI secolo, che appartenevano al soffitto della sottostante loggia che si apre ancora su via dei Priori. Questi ambienti sono stati ricavati “tagliando” la parte superiore di stanze che appartenevano al piano sottostante. Tale intervento fu progettato da Vincenzo Danti per realizzare la nuova scala di accesso al palazzo dei Priori. Da qui la necessità di mantenere una situazione evidentemente storicizzata, nel cui interno, rimanevano ancora integre strutture del primo Duecento. Fra queste una torre, precedente a quella di Benvenuto di Cola dei Servitori che nel 1326 fu utilizzata per il costruendo palazzo della magistratura dei priori delle Arti, e la torre di Madonna Dialdana, prospiciente via della Gabbia, che nella seconda metà del Duecento era stata inglobata nella costruzione del Palazzo del capitano del popolo. Il restauro ha riaperto una finestra, che in origine prendeva luce da nord da un cortile interno, che illuminava la sala dei Notari. Oggi dall’apertura si può godere la vista dall’alto della sala primo luogo di riunione pubblica del comune di Perugia. Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Umbria L Direttore Regionale Vittoria Garibaldi Coordinatore Silvana Tommasoni P.zza IV Novembre, 36 06121 Perugia tel. 075 575061 fax 075 5720966 [email protected] 191 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 192 Il restauro e la valorizzazione della Rocca dell’Albornoz di Spoleto Vittoria Garibaldi Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Umbria I 192 l restauro della Rocca albornoziana di Spoleto, immobile di grande valenza architettonica e storico-artistica, ha preso avvio sin dai primi anni ottanta, a seguito della destinazione datale dalla metà del sec. XVIII, allorché vi fu insediato il carcere dello Stato Pontificio. Il complesso monumentale occupa la parte più alta del colle di S. Elia ad una quota di circa 460 m. sul livello del mare. Si erge al centro di un’ampia area delimitata da un’alta cerchia di mura, di varie epoche storiche, che perimetra internamente un esteso spazio verde, attualmente incolto e in alcuni tratti fortemente scosceso. La Rocca consiste in due grandi aree aperte quadrangolari, adiacenti sul lato corto centrale, ai cui angoli si ergono sei torri. Ogni area è caratterizzata da un cortile: nel primo, detto “cortile d’onore”, si affaccia il loggiato neorinascimentale con gli appartamenti papali, nell’altro, detto “delle armi”, si affacciano i muri perimetrali di cinta originari e due costruzioni di epoca carceraria. La costruzione si deve al cardinale Egidio di Albornoz, che incaricato dalla curia papale emigrata ad Avignone fra il 1305 ed il 1378 di riportare la sede papale a Roma, edificò una serie di fortezze nell’Italia centrale, per consolidare il potere papale in un territorio a forte instabilità politica. A Spoleto l’Albornoz inviò, quali rettori del Ducato e vicari papali, i più fidati dei suoi uomini e qui volle la più grande e la più forte delle sue rocche, la cui costruzione fu affidata nella primavera del 1362 all’eugubino Matteo “Guattacapponi”, detto il Gattapone. Nell’ottobre del 1367, pochi mesi dopo la morte dell’Albornoz avvenuta nei pressi di Viterbo al seguito della corte papale che ritornava a Roma, la Rocca veniva consegnata al suo primo castellano, lo spagnolo Pedro Consalvo, con un presidio armato stipendiato dalla città. Da allora, per circa quattro secoli, si succedettero castellani e governatori, che trasformarono l’originaria fortezza, dai caratteri fortemente militari, in una residenza da cui governare la città ed il territorio ad essa sottomesso. Molti papi vi soggiornarono per qualche tempo, conferendole sempre più le caratteristiche di una funzionale residenza: Nicolò V, vi scampò alla peste nel 1449 e vi condusse a vivere la propria madre, dotando il cortile d’onore del bellissimo loggiato; Pio II, vi sostò dal 1459 e nel 1464, arricchì di decorazioni le sale dell’appartamento papale. Nella seconda metà del Cinquecento, Pio V, Gregorio XIII, Sisto V e Clemente VIII vi fecero eseguire ampliamenti e vari ammodernamenti, arricchendola di nuove decorazioni pittoriche che in parte si sovrapposero a quelle esistenti. La Rocca fu gradualmente abbandonata dai vari governatori che si erano trasferiti in zone più comode della città. Iniziò così verso la fine del Settecento, anche in coincidenza della conquista napoleonica, la decadenza dell’edificio che fu ridotto a carcere ed ad alloggio per le truppe. Il governo pontificio, nel 1817, ne fece sede di un bagno penale che ospitò fino ad oltre 500 detenuti e, per le necessità connesse con l’uso carcerario, vi fece costruire, tra il terzo ed il quarto decennio di quel secolo, nuovi fabbricati (cappella, laboratori, infermeria, residenze del direttore e delle guardie, uffici). Espugnata dalle truppe piemontesi del generale Brignone nel 1860, la Rocca vide confermato dal governo italiano il suo uso carcerario. Dopo la costruzione del super carcere nella zona di Maiano, fu possibile trasferire i detenuti consentendo il passaggio della proprietà della Rocca dal Ministero di Grazia e giustizia a quello dei Beni Culturali e Ambientali. Dal 1984 sono iniziati i lavori di restauro dell’intero complesso per destinarlo ad usi Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 193 culturali diversi. Con finanziamenti disposti sul bilancio del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, pari a L. 700 milioni (cap. 8014/83) e a L. 600 milioni (cap. 8016/84), sono stati effettuati i primi rilievi e consolidamenti e tutti i saggi stratigrafici di ricerca sulle murature che hanno permesso poi la messa in luce di tutto il “corpus” di decorazioni pittoriche oggi visibili. Successivamente, con i fondi FIO (1985), integrati nel dicembre 1989 (FIO ‘89) veniva finanziato il progetto di “Restauro ed uso della Rocca Albornoziana e del Colle S. Elia di Spoleto come centro polifunzionale”, finalizzato tra l’altro alla creazione di spazi museali (Museo nazionale del Ducato di Spoleto), di spazi per attività teatrali (Cortile delle Armi), di un parco urbano e di altre attività a carattere culturale, scientifico e didattico (Laboratorio regionale di restauro, Laboratorio per la diagnostica applicata ai beni culturali). Nel luglio 1986 veniva affidata alla società Bonifica s.p.a la realizzazione degli interventi per L. 28 miliardi. Ulteriori finanziamenti diretti alla realizzazione del progetto venivano disposti direttamente sul bilancio del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali per L. 1.500 milioni. Il decreto ministeriale del 20 aprile 1993 istituiva nella Rocca Albornoziana il “Museo Nazionale di Spoleto” e individuava le funzioni – uffici da inserire nella struttura: “la Sezione Umbra dell’Istituto Centrale per il Restauro, la Sezione dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro, il Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo e, ove possibile, la Fondazione del Festival dei due Mondi”. Nel 1994 veniva approvato il finanziamento del “Progetto integrato Spoleto” per la somma di 3,158-MECU. Il progetto iniziale di restauro prevedeva una serie di destinazioni dirette a potenziare la vocazione di Spoleto quale città dello spettacolo, centro di studi e convegni scientifici, città laboratorio e sede di soggiorno turistico. Alle destinazioni iniziali potenzialmente attivabili si affiancava la proposta di creazione di corsi per conservatori – restauratori di beni librari, presentata congiuntamente dall’Istituto Centrale per la Patologia del Libro e dalla Regione dell’Umbria. Nel 1995 il Comune di Spoleto ha ceduto in deposito al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, le opere del Museo civico e della Pinacoteca da destinare al Museo nazionale di Spoleto. Il 18 dicembre 1992 era intanto stata stipulata una convenzione tra la Regione dell’Umbria ed il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, relativa alla attuazione dei “Corsi europei di formazione specialistica per conservatori-restauratori di beni librari”. Per la storia recente fondamentale è stata la redazione nel 1996 del documento per la sistemazione e gestione della Rocca Albornoziana e del Colle S. Elia di Spoleto che sancisce l’accordo “Tra il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, la Regione dell’Umbria ed il Comune di Spoleto, per regolamentare i lavori di completamento, le destinazioni d’uso e la gestione dei servizi concernenti l’area di interesse storicoartistico della Rocca Albornoziana e del Colle S. Elia di Spoleto”. Da questo sono scaturiti gli interventi di realizzazione del Teatro all’aperto del Cortile delle Armi, della Scuola Europea di restauro e conservazione dei beni Librari e del Centro di Diagnostica per i Beni Culturali negli edifici limitrofi allo stesso cortile, curati dalla Regione dell’Umbria; le opere di restauro delle sale del Museo del Ducato e delle torri adiacenti al cortile d’Onore, dalla Soprintendenza per i Beni BAPPSAE dell’Umbria ed i progetti definitivi per il restauro e la rifunzionalizzazione delle palazzine esterne e del Parco della Rocca da parte del Comune di Spoleto. Tutti i programmi d’intervento sino ad ora realizzati hanno avuto una logica evoluzione grazie al fatto che era stato elaborato un progetto non solo tecnico, ma anche scientifico ed amministrativo che, pur con modifiche in corso d’opera, ha seguito una sua continuità grazie ai comitati tecnico-scientifici prima ed al “Comitato paritetico di gestione” poi. Gli interventi di recupero sono stati diretti dal Ministero per i Beni Culturali attraverso 193 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 194 i suoi uffici periferici ad eccezione dei tre, 158 MECO del 1994 curati dalla Regione dell’Umbria ed hanno coinvolto sempre, a vario titolo, professionalità di tipo analitico-progettuale ed operativo formatesi attraverso i corsi di qualificazione svoltisi nella città negli anni settanta-ottanta del secolo scorso, a cura dell’ICR di Roma, allora diretto dal Prof. Giovanni Urbani. L’ultimo intervento in ordine di tempo interessa il completamento del restauro degli ambienti prospicienti il cortile d’Onore, delle ex celle di sicurezza e del camminamento e della torre del Malborghetto realizzato con i fondi del gioco del Lotto 20012003 pari a Euro 2.500.000,00 così come l’allestimento del Museo del Ducato spoletino la cui apertura al pubblico è prevista per la fine di aprile del 2007. 194 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 195 Il portale maggiore del Palazzo dei Priori di Perugia: restauro e manutenzione programmata Vittoria Garibaldi Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Umbria L a realizzazione del portale, che si apre sulla facciata est del Palazzo dei Priori, avvenne in occasione dell’ampliamento dell’edificio, eseguito fra il 1317 ed il 1326 sotto la direzione dell’architetto scultore senese Ambrogio Maitani, per volere del Comune di Perugia che lo dedicò a San Ludovico da Tolosa, patrono della città. Al 4 ed al 13 novembre del 1326, infatti, risalgono due annotazioni delle Riformanze comunali nelle quali i Priori delle Arti ordinano al Maitani di fare l’entrata e la scala del palazzo e di pagare “…Lello magistri Andree, magistro lapidum et lignaminum pro opere nove intrate facte per Plateam ad pallatium habitationis dominorum Priorum...”. Frutto di una progettazione unitaria, vede esprimersi vari scultori, attivi in quegli anni nella città umbra, centro di grande fermento artistico e culturale. La pulitura dai vari depositi superficiali, organici ed inorganici, ha infatti evidenziato la qualità artistica dell’opera eseguita da un folto gruppo di scalpellini, di diversa abilità, che operavano secondo un ben determinato e preciso programma iconografico. Il lavoro, realizzato nel volgere di poco tempo, si fonda su una contaminazione di elementi e caratteri architettonici presi dall’architettura romanica e gotica facendone un raro esempio di portale di grandi dimensioni tipico delle Cattedrali, ad uso civile, quale ingresso del palazzo della magistratura dei Priori di Perugia. Da qui l’esclusivo carattere laico dell’apparato scultoreo, quale manifesto del “buon governo”, incentrato sul tema principale della ricerca della verità e della giustizia, rappresentato dal bassorilievo centrale raffigurante il Giudizio di Salomone. Sugli stipiti della porta sculture raffiguranti i vizi, le virtù, le arti liberali, i profeti; nella ghiera della lunetta le effigi delle città amiche, all’interno della lunetta i santi patroni della città, e all’interno del fasciame dell’arco scene di vita rurale in un bosco di querce. Il restauro del portale è stato realizzato a cura della Soprintendenza BAPPSAE dell’Umbria, fra l’aprile e l’agosto 2006, a seguito di un intervento di massima urgenza dovuto alla caduta (verificatasi alla fine del mese di marzo dello stesso anno) di un frammento di concio collocato nella quarta ghiera dell’arco superiore. Lo svolgersi delle fasi operative è stato preceduto e seguito da una specifica campagna conoscitiva, mirata alla comprensione delle reali condizione conservative del manufatto, in relazione alla natura e qualità dei materiali costitutivi. Ad una prima osservazione ravvicinata si è constatato che il portale presentava seri problemi di carattere strutturale e varie sovrammissioni di protettivi che alteravano la cromia originaria del manufatto. Compito prioritario degli operatori è stata l’individuazione e la raccolta, organizzata per tematiche conservative, dei dati riferiti al degrado e alle alterazione sia dei litotipi costitutivi che dei materiali impiegati negli interventi precedenti. Un’accurata ricerca iconografica, archivistica e bibliografica ed una capillare campagna fotografica, che ha fornito informazioni utili per documentare gli interventi di manutenzione e restauro dal XVI secolo ad oggi, hanno anticipato e accompagnato il restauro in tutte le sue fasi. L’intera superficie era interessata da un diffuso deposito di particellato atmosferico e di concrezioni di polveri inquinanti che si erano depositate nei sedici anni trascorsi dopo l’ultimo restauro. Inoltre sono state individuate superfici interessate da incrostazioni calcaree e saline, ed ampie zone di pietra caciolfa coperte da strati di fissativi e ritocchi pittorici eseguiti negli interventi di restauro precedenti. Fenomeni di corrosione, croste nere, solfatazioni ed attacco biologico riguardavano in maniera disomogenea l’insieme. Progettazione e Direzione dei lavori Vittoria Garibaldi Collaborazione Raoul Paggetta Renato Ricci Consulenze A. Borri dell’Università degli Studi di Perugia Facoltà di Ingegneria Ing. Andrea Giannantoni dei Servizi di Ingegneria s.r.l. di Foligno, Pg. Indagini conoscitive B. G.Brunetti, A. Sgamellotti, G.Poli, Centro S.M.A.Art, dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Perugia Impresa esecutrice dei lavori Coo.Be.C, Cooperativa Beni Culturali di Spoleto, Direzione tecnica: Bernardino Sperandio Sponsor Liomatic S.p.a. Perugia 195 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 196 Di grande interesse, per l’estensione e complessità del fenomeno, è stata la redazione del quadro fessurativo dell’intero portale e del paramento murario entro cui il manufatto è inserito. A tale proposito per ogni singolo concio costitutivo è stato eseguito un rilievo puntuale delle vecchie e nuove lesioni, delle vecchie e nuove microfessure, delle cadute e dei distacchi di materiale, degli inserti e tasselli di restauro e della stabilità delle stuccature dovute ad interventi precedenti, dati che sono stati utilissimi per stilare la storia conservativa dei singoli pezzi e per capire le dinamiche strutturali. Il materiale conoscitivo, archiviato su supporto informatico, oltre a documentare lo stato di fatto e l’intervento, è stato impiegato per il programma di monitoraggio e manutenzione del monumento. Le indagini sui materiali sono state divise in due distinte fasi. La prima si è rivolta all’analisi dei comportamenti meccanici ed alla risposta dei materiali lapidei all’uso degli adesivi e protettivi. A questo scopo sono state individuate le cave di estrazione del materiale lapideo da cui sono stati prelevati dei campioni che, opportunamente trattati, sono stati sottoposti a prove di laboratorio. La seconda fase è stata mirata all’identificazione dei materiali costitutivi (leganti, inerti e pigmenti), alla caratterizzazione delle patine di alterazione ed alla verifica dello stato di conservazione dei campioni. Alcune di queste indagini sono state eseguite su campioni prelevati dal monumento e trasferiti in laboratorio (indagini distruttive), altre sono state eseguite in situ con strumentazioni portatili (indagini non distruttive) impiegate e messe a disposizione dal Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Perugia. Nella prima fase sono state eseguite le seguenti indagini e prove di laboratorio: - Analisi petrografia al microscopio con luce polarizzata, su preparato in sezione sottile, per la classificazione petrografia degli elementi lapidei del portale; - Analisi porosimetrica mediante porosimetro al mercurio, su un campione indisturbato, per la valutazione della porosità naturale della pietra caciolfa; - Analisi diffrattometrica ai raggi X (XRD) per il riconoscimento delle fasi cristalline dei litotipi; Prove di resistenza a compressione semplice (UNI EN 16262000), su campioni indisturbati e su altri “consolidati” con barre in fibra di vetro, per conoscere le caratteristiche meccaniche della pietra caciolfa e la risposta al consolidamento. Prove di taglio diretto, per la verifica del comportamento meccanico di sei diversi adesivi. Prove dell’assorbimento d’acqua per capillarità, secondo UNI 10859, per valutare il comportamento di sei diversi protettivi sulla pietra caciolfa. Nella seconda fase sono state eseguite le seguenti indagini di laboratorio: Spettrofotometria infrarossa mediante FT/IR ed analisi all’XRF per l’identificazione dei materiali costitutivi le polveri di accumulo, la patine, i prodotti di alterazione. Sezioni sottili ed analisi all’FT/IR per la caratterizzazione della pellicola pittorica, delle patine, delle malte originali e di restauro, della sequenza stratigrafica con identificazione dei materiali costitutivi. Prima, durante e dopo l’intervento sono state eseguite indagini spettroscopiche non invasive con l’utilizzo delle strumentazioni portatili XRF, fluorescenza a raggi X e mid-FTIR, spettroscopia in riflettanza nel medio infrarosso con fibre ottiche. Le informazioni raccolte hanno permesso di individuare, prima del restauro, la presenza di inquinanti, materiali di restauro e residui di policromia. Nel corso del restauro si è avuta l’opportunità di monitorare l’efficacia della pulitura nei confronti degli inquinanti e dei materiali di restauro. Intervento di restauro Dopo un’immediata messa in sicurezza dei frammenti pericolanti del modellato decorativo, si è proceduto alle prove di pulitura superficiale mirata a liberare la 196 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 197 materia costitutiva dai vari strati sovramessi. Oltre ad il livello di degrado diversificato nelle varie aree, non era da sottovalutare neanche la diversa natura dei litotipi costitutivi: marmi per i pilastri laterali, mandorlato d’Assisi per le colonne tortili e pietra caciolfa per tutto il portale. Sono stati eseguiti e verificati campioni di pulitura effettuati con l’impiego di solventi organici ed inorganici che non hanno dato risultati soddisfacenti, anche perché l’intera superficie era stata trattata in precedenza con consolidanti e protettivi di natura acrilica e siliconica e quindi risultava scarsa l’azione solvibile. Prove selettive con strumentazioni laser nelle parti con presenza di pigmenti originali non sono state ritenute idonee perché il riscaldamento dei protettivi formava uno strato di colorazione bruna, non accettabile dal punto di vista estetico. Infine la scelta della direzione dei lavori si è orientata per un sistema di pulitura di tipo meccanico con l’impiego di ossido di alluminio e microsabbiatrici tarate ad una pressione atmosferica compresa fra 1-2 bar. Contestualmente alla pulitura e di fondamentale importanza per la scelta metodologica da applicare è stata la rilevazione sul posto, con strumentazione FT-IR, dei prodotti di alterazione della materia e delle sostanze stratificate in superficie. Nello specifico della pietra caciolfa si è potuto constatare che la pulitura meccanica non metteva a rischio lo strato di ossalati di calcio che costituiscono il naturale protettivo della pietra. Le operazioni conservative mirate al ristabilimento dei difetti di adesione e coesione sono state eseguite con i materiali ritenuti idonei dalle prove sperimentali; l’operazione è stata condotta con estrema attenzione per saturare tutte le numerose microlesioni che interessavano i conci di pietra caciolfa. È seguito un attento lavoro di stuccatura di tutte le fessure e microfessure di nuova formazione al fine di scongiurare il rischio di infiltrazione di acqua meteorica ed umidità superficiale con conseguente disgregazione della pietra. Nel tentativo di rendere più armonica la vicinanza dei nuovi impasti con le varie colorazioni dei litotipi, le malte di stuccatura sono state composte in base al colore della pietra su cui si apponevano, con l’aggiunta nell’impasto di inerti con colorazione differenziata e con piccole quantità di pigmenti naturali. I marmi delle parti laterali, più esposti agli agenti esogeni, presentavano un avanzato attacco di colonie biotiche che sono state neutralizzate con l’impiego di prodotti biocidi mediante l’imbibizione superficiale a pennello. Successivamente, ai 197 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 198 tempi previsti per l’azione del prodotto, si è passati alla eliminazione meccanica dei residui vegetali. Per il ristabilimento dei distacchi dei conci soggetti a carichi si è provveduto ad iniettare con dei tubi flessibili, inseriti nella pietra previa perforazione con punte da 3 mm, resina epossidica bicomponente fluida. Non sono state inserite barre in fibra di vetro perché sconsigliate dalle prove sperimentali. Il frammento di concio caduto, è stato ricomposto in laboratorio e riadeso alla sua sede con resina epossidica bicomponente. Per garantire una buona aderenza è stato predisposto un sistema di puntellamento con martinetti meccanici, mentre alcuni elementi mancanti dell’arcata superiore sono stati ricostruiti per garantire una continuità del modellato architettononico. Dopo varie analisi, considerato lo stato conservativo delle singole parti del portale, la scelta dell’impiego di prodotti con finalità protettive è stato rivolto esclusivamente alle zone in marmo più esposte agli agenti atmosferici e già notevolmente degradate da questi. L’adeguamento cromatico delle stuccature di nuova esecuzione è stato eseguito per velatura, utilizzando colori ad acquarello secondo le tonalità naturali della pietra su cui si apponevano. 198 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 199 La Strada del Tempo del Museo Archeologico Nazionale Atestino – Este (PD) Michele Castelli Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto L a Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto nell’ambito delle proprie attività di promozione culturale propone per la Fiera del Restauro di Ferrara del 2007, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, la “Via del Tempo”, allestita in modo permanente presso il Museo Archeologico Nazionale di Este: una interessante realizzazione espositiva che intende ambientare in modo immediato e gradevole per il pubblico un ideale percorso didattico sul tema del rinvenimento archeologico e del contestuale sviluppo culturale dell’uomo. Il piano di appoggio su cui vengono collocate perfette riproduzioni di reperti rinvenuti in ambito veneto è infatti costituito da una “strada” che materialmente ricostruisce le varie superfici di sedime, disposte in successione cronologica: una striscia che, ondulata, si arriccia su se stessa e si dipana all’inizio del proprio percorso come una voluta ionica, evocando simbolicamente l’antichità e l’origine della storia e dell’arte. Le vicende storiche ed artistiche dell’uomo sono pertanto espresse come unitario ed ininterrotto percorso e continua multiforme stratificazione che, dall’età del Bronzo giunge fino ai nostri giorni sulla scorta delle singole evidenze archeologiche ed esperienze culturali, fra le quali spiccano le forme vascolari tipiche dell’abitato palafitticolo di Arquà Petrarca (ca. 2000 a.C.), i manufatti realizzati dai Veneti antichi. su strade in calcare bianco e rosato dei Colli Euganei (dal VIII sec. al III sec. a.C.), il vasellame impiegato nelle case dei Romani di Ateste affacciate su strade in basolae di trachite. A ciascuna fase corrisponde una variazione dell’aspetto della superficie, sicché il crollo dell’Impero Romano è rappresentato dalla perdita del tracciato regolare delle grandi vie di comunicazione e l’abitato dell’alto Medioevo (secc.VIII-X) da strade in terra battuta e da terrecotte da fuoco per la cucina. La rinascita tecnologica e produttiva della nuova ceramica invetriata del sec. XIII è caratterizzata da decori graffiti su ingobbio e da dipinti su maiolica, secondo forme e decorazioni influenzati dal mondo islamico. In seguito la cultura europea prende slancio nell’età del Rinascimento e si sviluppa e si evolve dal Barocco al Neoclassicismo, alle porte della rivoluzione industriale. L’allestimento in mostra presso il Salone della Fiera dell’arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e paesaggistici di Ferrara offre l’occasione di incrementare ulteriormente le possibilità di incontro fra cultura archeologica e pubblico, profano e non, mediante un efficace sistema di ambientazione espositiva, didatticamente utile quanto piacevole, che pone maggior enfasi al legame fra territori, come quello atestino e quello ferrarese, già ricchi di testimonianze archeologiche di straordinario interesse nazionale, ma anche storicamente uniti dalla comune presenza della Casa degli Este, che dalla città sede del Museo prende origine ed ascesa sotto la mole del Castello di San Michele. Direttore Regionale Pasquale Bruno Malara Coordinatori Walter Esposito Luigi Marangon Piazza San Marco, 63 Palazzo ex Reale 30124 Venezia tel. 041 3420101 fax 041 3420122 [email protected] 199 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 200 Museo Nazionale Atestino Soprintenza per i Beni Archeologici del Veneto Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto I Soprintendente Giuliano De Marinis Via Aquileia, 3 30139 Padova tel. 049 8243810-11 fax 049 8754647 [email protected] 200 l Museo Archeologico Nazionale di Este figura tra le istituzioni archeologiche più prestigiose in Italia. La sua lunga storia inizia nel 1834, con la nascita in Este del museo civico lapidario preso la chiesa di S. Maria dei Battuti; nel 1902 trova una sede spaziosa e adeguata nel cinquecentesco palazzo dei patrizi veneziani Mocenigo e diventa museo di Stato. Tra il 1979 e il 1984, in occasione del restauro dell’edificio, l’esposizione viene completamente rinnovata. Oggi il museo offre quasi 1.000 mq di superficie espositiva a fronte di oltre 1.000 mq di servizi, quali magazzini accessibili agli studiosi, un laboratorio di restauro, un archivio storico, una biblioteca disponibile al pubblico, un’aula per le attività didattiche. Nelle sue undici sale si possono ammirare i tesori della civiltà degli antichi Veneti che abitarono la regione durante il corso del I millennio a.C., mentre sfiorano ormai il numero di duecentomila i reperti conservati nei depositi museali. Le scoperte e gli scavi infatti, dalla seconda metà dell’Ottocento ai giorni nostri continuano ad incrementare un patrimonio unico e originale per la storia più antica del Veneto e dell’Italia preromana. Se è vero che ogni museo corrisponde ad un sistema di conoscenza, il museo di Este rappresenta la chiave per accedere al nostro passato: “vita, morte e miracoli” possiamo dire, dei Veneti antichi (e poi dei Romani) si snodano attraverso le vetrine che illustrano rispettivamente i materiali degli abitati, delle necropoli, dei santuari della città e del territorio. È per questi contenuti peculiari che la funzione educativa del museo atestino è così importante, in particolare per il pubblico scolastico. Il museo si è dotato dal 1995 di un servizio didattico che offre percorsi e laboratori interattivi di approfondimento, nonché un’attività di sano e culturale divertimento denominata Archeobaleno, inserita nei centri estivi per bambini e ragazzi, promossi in collaborazione con l’amministrazione comunale. L’orario di apertura dalle 9 alle 20, tutti i giorni, lascia ampie possibilità di scelta ai visitatori che possono usufruire di ben tre tipi di guide a stampa, di cui una dedicata ai ragazzi. I temi dell’esposizione sono alla portata di un vasto pubblico, grazie al supporto di didascalie, pannelli esplicativi, schede illustrate, disponibili in ciascuna sala. Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 201 La strada del tempo presso la “Sala delle colonne” Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto C on la Strada del tempo si intende illustrare l’evoluzione della ceramica attraverso riproduzioni di manufatti esposti nelle vetrine del Museo. Come noto essa rappresenta l’elemento guida nel riconoscimento delle varie civiltà che si sono succedute in un territorio e il suo sviluppo corre pertanto lungo strade umane ricostruite anch’esse sulla scorta delle evidenze archeologiche. La storia dell’uomo, espressa anche dai manufatti, è pertanto interpretata dal rotolo (volumen) che dall’età del Bronzo si “srotola” fino ai nostri giorni. Ecco le forme vascolari tipiche dell’abitato palafitticolo di Arquà Petrarca (PD) su assito di legno, databile intorno al 2000 a.C.; i manufatti realizzati dai Veneti antichi di Este tra l’VIII e il III sec. a.C. su strade in calcare bianco e rosato dei Colli Euganei; il vasellame impiegato nelle case dei Romani di Ateste affacciate su strade in basoli di trachite. Con il crollo dell’impero romano tutta l’Europa perde il tracciato delle grandi vie di comunicazione. L’abitato dell’alto Medioevo VIII-X secolo conserva l’essenziale: le strade in terra battuta e le terrecotte da fuoco per la cucina. Si deve attendere il XIII secolo per vedere una rinascita tecnologica e produttiva della ceramica. La nuova ceramica invetriata caratterizzata dai decori graffiti su ingobbio e dai dipinti su maiolica, nasce dai suggerimenti e dai contatti avuti con il mondo islamico; in seguito la cultura Europea del Rinascimento prende slancio si sviluppa e si evolve autonomamente con il Barocco fino al Neoclassico del XVIII secolo. Nello stesso secolo l’Illuminismo mette in contatto tutte le facoltà dell’uomo e da questo momento ogni prodotto diventa una sintesi del pensiero, della tecnica e del sentimento umano. Nel XIX secolo nasce e si sviluppa la modernità come ricerca insaziabile dell’invenzione in ogni campo che non esclude nessuna esperienza possibile, anche la rilettura appassionata e profonda di ogni percorso storico. A cura dell’Istituto Statale d’Arte Antonio Corradini di Este e della “Scuola Bottega” per la ceramica d’Este Museo Nazionale Atestino Via Guido Negri, 9/C tel. 042 92085 fax 042 9603996 atestino.archeopd@ arti.beniculturali.it 201 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 202 CCTPC Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale N el 1969 l’Arma dei Carabinieri istituì in Roma presso il Ministero della Pubblica Istruzione quello che oggi è il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (T.P.C.), precedendo in tal modo di un anno la Convenzione Unesco di Parigi (1970), con la quale s’invitavano gli Stati Membri ad adottare le opportune misure per impedire l’acquisizione di beni illecitamente esportati e favorire il recupero di quelli trafugati, nonché di predisporre uno specifico servizio a ciò finalizzato. Su direttiva del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, dal quale dipende funzionalmente, il Comando svolge compiti concernenti la sicurezza e la salvaguardia del patrimonio culturale nazionale, attraverso la prevenzione e la repressione di ogni attività delittuosa rivolta in tale ambito. La struttura costituisce nel particolare settore, comparto di specialità affidato all’Arma con Decreto del Ministero dell’Interno del 12 febbraio 1992, polo di gravitazione informativa e di analisi per le altre Forze di Polizia, in base al Decreto del Ministero dell’Interno del 26 aprile 2006. Il Comando è composto da circa 300 militari che hanno una preparazione specializzata acquisita attraverso la frequenza di appositi corsi in “Tutela del Patrimonio Culturale”, organizzati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. L’attuale articolazione prevede un Ufficio Comando, che coordina le sezioni “Operazioni”, “Elaborazione Dati” e “Segreteria e Personale” e “Servizi”; un Reparto Operativo per le indagini di polizia giudiziaria a sua volta suddiviso nelle sezioni Antiquariato, Archeologia, Falsificazione e Arte Contemporanea; 12 nuclei territoriali ubicati a Bari, Bologna, Cosenza, Firenze, Genova, Monza, Napoli, Palermo, Sassari, Torino, Venezia ed Ancona, alle dipendenze del Vicecomandante. L’ultimo di questi Nuclei, quello con competenza territoriale sulle Marche, è stato istituito recentemente, nel giugno 2006. Reparto Indirizzo Telefono/Fax Comando CC TPC Roma Roma Piazza di Sant’Ignazio, 152 Tel.06.6920301 [email protected] Fax.06.69203069 Reparto CC TPC Roma, Roma Via Anicia, 24 e-mail Tel.06.585631 [email protected] Fax.06.58563200 Competenze territoriali Lazio Abruzzo Nucleo CC TPC Torino, Tel.011.5215636 [email protected] Piemonte Torino Via XX Settembre, 88 Fax.011.5170000 Valle D’Aosta Comandante Gen. Giovanni Nistri Piazza Sant’Ignazio, 152 00186 Roma Tel. 06 6920301 Fax 06 69203069 www. carabinieri.it [email protected] 202 Nucleo CC TPC Monza, Monza Via Brianza, 2 Tel.039.2303997 [email protected] Lombardia Fax.039.2304606 Nucleo CC TPC Venezia Venezia P.zza S. Marco, 63 Tel.041.5222054 [email protected] Veneto Fax.041.5222475 Trentino A.A. F.V.Giulia Nucleo CC TPC Genova, Genova Via S. Chiara, 8 Tel.010.5955488 [email protected] Liguria Fax.010.5954841 Nucleo CC TPC Bologna, Bologna Via Castiglione, 7 Tel.051.261385 Fax.051.230961 Nucleo CC TPC Ancona, Ancona Via Pio II – Pal. Bonarelli Tel.071/201322 [email protected] Marche Fax.071/2076959 Nucleo CC TPC Firenze, Firenze Via Romana, 37/a Tel.055.295330 Fax.055.295359 [email protected] Emilia Romagna [email protected] Toscana Umbria Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:09 Pagina 203 Nucleo CC TPC Napoli, Tel.081.5568291 [email protected] Campania Napoli Via Tito Angelici, 20 Fax.081.5784274 Nucleo CC TPC Bari, Bari P.zza Federico II, 2 Tel.080.5213038 [email protected] Puglia Fax.080.5218244 Molise Basilicata Nucleo CC TPC Cosenza, Cosenza Via Colletriglio, 4 Tel.0984.795548 [email protected] Calabria Fax.0984.784161 Nucleo CC TPC Palermo, Tel.091.422825 Palermo C.so Calatafimi, 213 Fax.091.422452 Nucleo CC TPC Sassari, Sassari Strada Prov.le La Crucca, 3 [email protected] Sicilia Tel.079.3961005 [email protected] Fax.079.395654 Sardegna Per affinare ulteriormente la professionalità dei militari anche in campo internazionale e favorire la collaborazione tra operatori che trattano la medesima materia, il Comando organizza direttamente e partecipa con frequenza a convegni specializzati unitamente a qualificati esponenti di Polizie straniere. Infatti, proprio la riconosciuta esperienza acquisita nel settore e i significativi successi operativi conseguiti hanno fatto si che varie Forze di Polizia straniere richiedano di organizzare specifici seminari addestrativi e di affinamento. In particolare i seminari sono stati tenuti a favore di componenti delle Forze di Polizia di Ungheria, Palestina, Messico, Guatemala, Cuba, Cipro, Argentina, Perù e Bolivia. I militari del Comando T.P.C. si sono altresì distinti nell’ambito delle missioni internazionali in Kosovo ed in Iraq dove, spesso in difficili contesti ambientali, hanno collaborato per il censimento e la tutela delle vestigia culturali minacciate dagli eventi bellici. In Iraq, in particolare, i Carabinieri hanno collaborato con archeologi e tecnici del Museo Nazionale di Baghdad nella raccolta delle informazioni foto-descrittive di oltre 3000 beni saccheggiati durante le concitate fasi belliche dell’aprile 2003 e, attraverso l’Interpol, ne hanno dato diffusione all’Unesco. Nell’ambito della missione di pace “Antica Babilonia”, con la collaborazione delle autorità locali, i Carabinieri distaccati in zona Nassiriya hanno censito e documentato 621 aree archeologiche a rischio, recuperato 1636 reperti provento di saccheggi, ed arrestato 53 responsabili di scavi clandestini. Inoltre l’UNESCO, in considerazione della riconosciuta esperienza e professionalità del Comando, ha chiesto di organizzare uno specifico corso di formazione finalizzato alla formazione di circa 50 componenti della Forza di Polizia irachena deputata alla protezione dei siti archeologici, tenutosi nel 2004 ad Amman, in Giordania. Per qualificare la propria attività operativa, fin dagli anni ‘80 il Comando si è dotato di un potente strumento di ausilio alle indagini di polizia giudiziaria nello specifico settore, predisponendo la Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti, contenente oggetti d’arte da ricercare sia di provenienza italiana che estera ed informazioni circa gli eventi delittuosi collegati. Aggiornata quotidianamente dal personale della Sezione Elaborazione Dati, il sistema contiene oltre due milioni e cinquecentomila records, con oltre duecentottantamila immagini digitalizzate, costituendo un database di assoluto riferimento a livello internazionale. Stanno per essere ultimate le procedure per una sostanziale implementazione della citata banca dati, che presto consentirà una maggiore versatilità nelle ricerche permettendone la consultazione, limitatamente a determinati campi, anche ad altre istituzioni. In tale ottica sarà possibile l’immediata verifica nel data base da parte di Uffici Esportazione, altre forze di Polizia e Soprintendenze ministeriali. 203 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:10 Pagina 204 Lo sviluppo dell’attività investigativa, l’abbattimento delle barriere doganali nell’ambito dell’Unione Europea, nonché una sempre maggiore facilità di trasferire nei cinque continenti persone e merci, ha consigliato ormai da qualche anno il Comando di utilizzare le eccezionali potenzialità offerte dalla rete Internet per diffondere in qualsiasi parte del mondo le informazioni relative ai beni culturali sottratti. Il Comando ha curato la pubblicazione del bollettino “Arte in Ostaggio” contenente le riproduzioni fotografiche dei più importanti beni da ricercare, corredate dei dati necessari per l’individuazione. Distribuito gratuitamente in Italia ed all’estero, con la venticinquesima edizione ne è terminata la stampa, poiché, a vantaggio di un più rapido e tempestivo aggiornamento, le medesime informazioni sono facilmente consultabili nelle pagine web del sito Internet dell’Arma (www.carabinieri.it). Qui infatti è ora presente un ben strutturato motore di ricerca attraverso il quale possono essere consultati oltre 7.700 beni culturali di valenza artistica tra beni archeologici, dipinti, sculture, oggetti chiesastici, beni librari, tratti dalla Banca Dati del Comando. Peraltro nello stesso database i cittadini possono accedere ad un cospicuo elenco di immagini e di descrizioni di beni archeologici saccheggiati durante i due conflitti bellici avvenuti negli ultimi anni in IRAQ. Per facilitare la consultazione di tali informazioni e favorire il recupero dei beni culturali da ricercare, il data-base e le pagine web del Comando sono in corso di duplicazione in lingua inglese, nonché è in atto una loro ulteriore implementazione per offrire al cittadino la possibilità di consultare un sempre maggior numero di opere d’arte. Nell’apposita sezione tematica del sito www.carabinieri.it (consigli) è possibile inoltre scaricare un modulo “Documento dell’opera d’arte – Object ID” (vedasi foto) che peraltro può essere richiesto presso qualsiasi comando dell’Arma. Compilando questa “scheda preventiva”, ciascuno può costituirsi un archivio fotografico e descrittivo dei propri beni d’arte, determinante in caso di furto. Un’opera rubata, infatti, se fotografata ed adeguatamente descritta, può essere recuperata più facilmente. All’interno di tale sezione, peraltro, i cittadini possono trovare validi consigli e suggerimenti di carattere generale, che derivano soprattutto dall’esperienza maturata dal Comando nel particolare settore, per conoscere meglio i diritti e prevenire spiacevoli situazioni. Per evitare di incorrere nell’acquisto di un bene d’arte trafugato, ovvero di conoscere l’eventuale illecita provenienza di uno già posseduto, il cittadino può richiedere al Comando o ai Nuclei dislocati sul territorio, un controllo presso la Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti. In caso di riscontro negativo il Comando rilascerà un’attestazione in cui è indicato che il bene controllato non risulta segnalato tra le opere da ricercare presenti in Banca Dati. Un eventuale esito positivo dell’accertamento darà luogo ai dovuti riscontri di polizia Esempio di modello giudiziaria. Documento dell’opera d’arte 204 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:10 Pagina 205 La memoria e il futuro dei luoghi attraverso la valorizzazione dei beni culturali: scelte programmatiche e operative della Provincia di Roma l progetto “La strada Europea della Pace Lubecca – Roma” ripercorre l’antica via dei pellegrini dalla Germania verso la città eterna. Un percorso che attraverso la storica Via Flaminia toccava numerosi Comuni del territorio della Provincia di Roma, tra i quali Sant’Oreste, Riano, Rignano Flaminio, Morlupo, Filacciano, Nazzano, Fiano Romano, Torrita Tiberina, Civitella San Paolo, Castelnuovo di Porto, Sacrofano, Capena e, ovviamente, Roma, dove la Provincia di Roma è intervenuta negli anni con interessanti progetti di valorizzazione. L’area che li racchiude è sostenuta dal coordinamento della Provincia di Roma, della Regione Lazio e del Ministero BB.CC.AA., che si è andato costituendo in un sistema integrato. Il Progetto VA.TE. (che riunisce i Comuni della Media Valle del Tevere) è stato infatti uno dei primi progetti di sviluppo territoriale avviato mediante l’approvazione di un Accordo di programma stipulato negli anni ‘90, e basato sul concetto di integrazione delle competenze relative alla Cultura, all’Ambiente, al Turismo, alle Attività produttive, ma dove l’elemento cardine è costituito dalla centralità dei Beni culturali e paesaggistici. Al contempo, il progetto “La strada Europea della Pace Lubecca – Roma” consente di fornire un quadro più generale di interventi che la Provincia di Roma ha intrapreso nel settore della valorizzazione dei Beni culturali, a partire dalla metà degli anni ’70, quando in modo del tutto pionieristico ed in assenza di normativa specifica che individuasse le Province come soggetti fondamentali nello sviluppo di una politica culturale territoriale sovraccomunale, utilizzò una legge sull’occupazione giovanile, per reperire professionisti del settore – architetti, archeologi, storici dell’arte – al fine di operare un censimento dei Beni monumentali del territorio provinciale, che portò alla programmazione e realizzazione di un Piano di restauri di opere d’arte e monumenti, iniziando così una reale opera di recupero e valorizzazione del patrimonio culturale del territorio. Lo slogan usato in passato, “Dall’abbandono al riuso”, rende immediata l’azione di consolidamento, restauro e riuso di edifici monumentali, quali castelli, chiese, torri, conventi, palazzi, aree archeologiche, ecc., molti dei quali in avanzato stato di abbandono, omogeneamente dislocati nei 121 comuni del proprio territorio, il cui intervento di salvaguardia ha nel contempo riqualificato anche le adiacenti aree del tessuto urbano, creando inoltre grandi opportunità logistiche per la formazione e lo sviluppo di attività culturali. Negli ultimi anni, il progetto maggiormente significativo in termini di indirizzo programmatico e di interventi finanziati è senza dubbio quello che, attraverso il programma triennale 2001-1003 di recupero e valorizzazione di Beni architettonici, storico-artistici e archeologici al quale sono stati destinati stanziamenti per circa 65 milioni di Euro, somma incrementata dalla nuova Giunta Provinciale, ha individuato una serie di interventi di restauro e valorizzazione di importanti edifici monumentali su tutto il territorio provinciale e nell’area metropolitana, tra i quali Palazzo Valentini, sede dell’Ente, e Palazzo Incontro, un prestigioso spazio espositivo nel cuore di Roma. Provincia di Roma I 205 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:10 Pagina 206 N Call Center ell’ambito delle competenze del Ministero per i Beni e le Attività Culturali si colloca il servizio di call center atto a migliorare l’accesso alla fruizione del patrimonio culturale nazionale da parte dei cittadini italiani e stranieri nonché dei turisti in visita nel nostro Paese, per fornire informazioni (in lingua italiana, inglese e spagnola) inerenti le attività di pertinenza del Ministero, su musei, mostre temporanee, archivi, biblioteche attraverso il Numero Verde 800 99 11 99. Il Servizio è interamente affidato alla Società Omnia Network S.p.a.*, che gestisce le chiamate tramite il numero verde attivo tutti i giorni, compreso i festivi, dalle 9 alle 19. L’operatore di front office, mediante la consultazione di Banche Dati ed un costante collegamento al sito Internet del Ministero, è in grado di fornire tutte le informazioni richieste, ivi comprese quelle relative alla struttura organizzativa del Ministero ed alle competenze istituzionali dello stesso. L’operatore ha a disposizione anche un banca dati integrata curata dal personale di back office di Omnia Network contenente le informazioni relative a manifestazioni, beni, musei, eventi di pertinenza non statale (comunali, privati, etc.). Nello specifico, il front office svolge: - un servizio di ricezione reclami da parte del Cittadino e di segnalazione all’Amministrazione; - un servizio di supporto all’Ufficio Relazione con il Pubblico (URP); - un servizio di supporto al Servizio II Comunicazione, promozione e Marketing della direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la promozione. - un servizio di segnalazioni al Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale; L’attività di back office consiste in: - attività di verifica e segnalazioni delle necessità di aggiornamento dei dati presenti sul sito del Ministero dei Beni culturali; - acquisizione di informazioni sulle iniziative culturali in essere su tutto il territorio nazionale con partecipazione diretta o indiretta del Ministero; - acquisizione di informazioni al servizio del cittadino sui principali siti non statali mediante la creazione di un Data Base interno a favore del Front office; - diffusione di informazioni mirate nei confronti di soggetti terzi quali scuole, università, organismi culturali secondo valutazioni di opportunità da parte del Ministero. Tali informazioni sono fornite sul numero complessivo di 10.000 contatti annui. A fronte delle suddette attività, vengono prodotti periodicamente report statistici quantitativi e qualitativi, che consentono una continua analisi e monitoraggio dei servizi resi. * Omnia Network spa, gestore del servizio, è uno dei principali operatori italiani nel settore della progettazione, realizzazione e gestione dei servizi di outsourcing alle imprese. Numero Verde 800 99 11 99 Referente Stefania Subinaghi [email protected] Via Cristoforo Colombo, 6 20094 Corsico - Milano tel. 335 7742381 fax 06 784417333 206 Impaginato Ferrara per stampa6.qxp 16-03-2007 2:10 Pagina 207 R eply [REY.MI] è una società di Consulenza, System Integration, Application Management e Business Process Outsourcing leader nella progettazione e nell’implementazione di soluzioni basate sui nuovi canali di comunicazione ed i media digitali. L’offerta di Reply si propone di favorire il successo dei clienti attraverso l’introduzione di innovazione su tutta la catena del valore, grazie alla conoscenza di soluzioni specifiche ed alla consolidata esperienza sui principali temi core dei diversi settori industriali in cui opera: Telecomunicazioni, Utilities, Media, Industria e Servizi, Banche e Assicurazioni, Pubblica Amministrazione. www.reply.it In particolare Reply mette al servizio della Pubblica Amministrazione le proprie competenze sulle nuove piattaforme integrando sistemi multimediali ed interattivi, progettando soluzioni applicative composte con “servizi configurabili” e abilitando tecnologie di comunicazione sempre più complesse e differenziate. Reply Tra le più recenti attività sviluppate da da Reply in tali ambiti vi sono il progetto Leonardo per il Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale e l’attuale sviluppo del nuovo portale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Viale Regina Margherita, 8 00198 Roma tel. 06 844341 fax 06 84434400 [email protected] 207 Copertina Ferrara:Layout 1 12-03-2007 16:35 Pagina 1 Il Patrimonio Culturale italiano, unico al mondo, è costituito da beni archeologici, architettonici, archivistici, artistici e storici, librari e paesaggistici, nonché dalle diverse attività culturali promosse dallo spettacolo dal vivo, con riferimento al cinema, al teatro, alla musica, alla danza, allo spettacolo viaggiante e alle tradizioni popolari. Il MiBAC, amministra e promuove la conoscenza di questo imponente patrimonio storico, artistico e culturale di cui è custode con l’obiettivo di salvaguardarlo e valorizzarlo. Alla Direzione per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione, una delle novità della riforma del 2004, spetta il compito nodale e impegnativo di attuare la modernizzazione dell’Amministrazione attraverso linee di indirizzo e interventi operativi basati sulle più nuove e sofisticate tecnologie e su strategie di comunicazione e marketing. Nell’ambito di queste attività, la Direzione Generale partecipa annualmente, insieme a tutti gli Istituti centrali e territoriali, ad una serie di manifestazioni fieristiche che sono un veicolo efficace per diffondere ad un pubblico differenziato le attività ed i progetti più innovativi realizzati negli ultimi anni ed in corso d’opera. Tali manifestazioni rappresentano anche un momento molto importante di incontro tra le realtà territoriali, gli Enti locali, i settori delle imprese ed il privato. Le fiere a cui partecipare vengono programmate in base alla tipologia delle attività istituzionali del MiBAC – Tutela, Restauro, Comunicazione – e agli interessi di settore (Monumenti, Archivi, Biblioteche, Patrimonio Storico-Artistico, Cinema, Teatro, Spettacoli, Paesaggio) che ogni anno si vogliono evidenziare. Programmazione 2007 22-25 Marzo FERRARA Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei beni culturali 21-25 Maggio ROMA FORUM P.A. Forum della Pubblica Amministrazione 6-8 Novembre BOLOGNA COM.PA Salone Europeo della Comunicazione Pubblica dei servizi al cittadino e alle imprese 9-12 Novembre PARIGI Salon du Patrimoine Culturel 15-18 Novembre PAESTUM X Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico 30 Nov-2 Dic. VENEZIA XI Salone dei Beni e delle attività culturali Via del Collegio Romano, 27 00186 Roma Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione Servizio II - Promozione, Comunicazione e Marketing Unità Organica I - Comunicazione, Grandi Eventi e Manifestazioni Fieristiche Tel. 06.6723.2851-2927 - Fax 06.6723.2358 [email protected] CONSERVAZIONE: UNA STORIA FUTURA SALONE DELL’ARTE DEL RESTAURO E DELLA CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI Ferrara 22-25 Marzo 2007 Quartiere Fieristico URP - Ufficio Relazioni con il Pubblico Tel. 06.6723.2980-2990 - Fax 06.6798.441 [email protected] www.beniculturali.it numero verde 800 99 11 99 Edizioni MP MIRABILIA srl Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione