COMUNE DI PORRETTA TERME - ANPI DI PORRETTA TERME
BIBLIOTECA PUBBLICA DI PORRETTA DEL CONSORZIO PROVINCIALE
Con il patrocinio del:
COMITATO PROVINCIALE DELLA RESISTENZA
E DELLA LOTTA DI LIBERAZIONE DI BOLOGNA
Resistenza nell’Alto Reno sul fronte porrettano-gaggese
della linea gotica:
L'ECCIDIO
DI
MOLINACCIO
2 Ottobre 1944
Una prima completa ricostruzione dopo minuziose indagini
a distanza di trentasette anni
Testo e Ricerca Fotografica: Prof Pier Angelo Ciucci
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In occasione dell'inaugurazione ufficiale della lapide-cippo alla memoria durante le celebrazioni del 25
aprile 1981 e nel XXXVII anniversario dell'eccidio.
Porretta Terme - Aprile 1981
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PER NON DIMENTICARE
In questi anni di recrudescenza terroristica e di violenza antidemocratica molte volte il ricordo è
tornato agli anni, quando il fascismo dominava l'Italia e negava ai popolo italiano i principali
diritti della libertà e della democrazia. Tra il 1943 ed il 1945 {il periodo bellico sul quale ci siamo
soffermati) la guerra contro l’ex alleato nazista col nuovo alleato anglo-americano (ma
entrambi stranieri) imperversò anche sul nostro Appennino e nell'alto Reno, dove la barbarie
delle SS commise ciechi soprusi e indimenticabili tragedie. Anche qui la violenta irrazionalità
bellica scrisse pagine di sangue contro la lotta attiva e silenziosa delle nostre popolazioni e dei
partigiani:
— eccidio di 9 vittime il 4 luglio 1944 a Biagioni ( Comune di Granaglione);
— di altre 5 il 12 agosto l944 a Castelluccio (Comune di Porretta Terme);
— di altre 29 il 27 settembre 1944 a Ca' Berna (Comune di Lizzano in Belvedere);
— di altre 69 il 29 settembre 1944 a Ronchidoso (Comune di Gaggio Montano).
Ma sulle strade, nelle case e tra i monti caddero tante altre vittime residenti o sfollate sotto il
piombo nazista, anche per cannoneggiamenti e bombardamenti di entrambi gli schieramenti
stranieri, dei vecchi e dei nuovi alleati. E nella guerra c'era un'altra guerra: quella civile dì
italiani (fascisti e repubblichini) contro italiani (antifascisti antinazisti). Fu complessivamente la
guerra di Resistenza e di Liberazione Nazionale.
In questo opuscolo vengano ricordate:
— 4 vittime uccise dalle SS a Silla nel fiume Reno e in quello del Silla il 24 ed li 29 settembre
1944;
— ed i 17 massacrati dell'eccidio di Molinaccio (Comune di Gaggio Montano), l'ultimo
perpetrato dalle SS nell’alto Reno il 2 ottobre 1944: 3 a Molinaccio di sopra e 14 a Molinaccio
di sotto.
Erano amici, compagni, lavoratori, contadini, meccanici, artigiani, ferrovieri, residenti e sfollati,
rastrellati a Silla (Comune di Gaggio Montano), a Casa Fontana (Comune di Porretta Terme),
sulla porrettana, la strada del fondovalle del Reno, (da Molinaccio a Silla fino a Porretta) e sulla
diretta di Silla (o provinciale di Gaggio Montano). Non è stato facile ricostruire la meccanica dì
quegli avvenimenti in questo fondovalle strategico e secondario della Linea Gotica, mentre i
nazisti si ritiravano sulle alture di Gaggio e Montese o verso il bolognese, e gli americani
avanzavano dalla Toscana su per il Passo della Collina e per la traversa di Pracchia,
trentasette anni fa. La gotica e il Po erano l'ultima difesa a sud del Reich nazista.
Un ultimo dato significativo. Secondo quanto il maggiore Walter Reder affermò al processo dì
Bologna (18 settembre - 31 ottobre 1951), egli col suo 16° battaglione Aufklarung “Recce Unit”
(appartenente alla XVI Div. SS Panzer Grenadier del gen. Max Simon) il 15 settembre 1944
dal carrarese raggiungeva S. Marcello Pistoiese e si fermava a Prunetta fino al 21. All’alba del
29 settembre iniziava la strage di Marzabotto.
In quel fine settembre, dunque, Walter Reder transitava per i valichi tosco-bolognesi-modenesi
dell'Appennino con le sue SS di morte: c 'è chi ha scritto giù dal lago Scaffaiolo e da Pian d'Ivo
verso Ca' Berna...
Non abbiamo indagato su questo aspetto, in quanto nostro compito era disseppellire dalle
pagine storiche dell'epoca il dimenticato eccidio di Molinaccio, il terzo e l’ultimo perpetrato in
quei giorni nell'alto Reno. Ciò spetta di dovere a quanti vivono e ricordano a Ca' Berna, a
Ronchidoso, e nei dintorni, per una irrinunciabile e doverosa ricostruzione critica anche di
questi due eccidi.
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Allora l'alto Reno brulicò, accanto a più coscienziosi reparti della Wehrmacht, di famigerate
squadre e pattuglie di SS (anche se talune dimostrarono a loro rischio elementi di umanità), e
di genieri e guastatori, che tra loro e le avanzanti avanguardie americane facevano «terra
bruciata». Una lapide-cippo e questo opuscolo vogliono perpetuare nel tempo il ricordo delle
vittime di Molinaccio e dell'alto Reno ad opera dei superstiti attraverso i Comuni di Porretta
Terme e di Gaggio Montano. All'inizio di una riunione del Consiglio comunale di Porretta, fatta
nella sala della Biblioteca pubblica il 19 settembre 1979, mi fu chiesto di ricostruire questo
terzo ed ultimo eccidio nell'alto Reno, nel quale furono coinvolti anche molti porrettani
direttamente o di riflesso. Dalle ricerche, iniziate già nell'inverno 1976/77 e portate a termine, è
stato tratto il presente opuscolo come doveroso omaggio alla memoria dei caduti, per non
dimenticare e per continuare ancor oggi la battaglia per la pace, la libertà e la giustizia,
sancite già nel 1944 dal sangue non solo di queste vittime, ma di quanti caddero o lottarono
durante e dopo la Resistenza.
Un sentito ringraziamento a tutti coloro che, con grande passione ideale e onestà storica,
hanno contribuito alla presente ricostruzione:
1. - Comuni: Bologna, Castel di Casio, Cecina, Gaggio Montano, Lucca, Modena, Piombino,
Porretta Terme.
2. - Parrocchie: Porretta Terme, Silla (Gaggio Montano).
3. - Reduci: Americani, Brasiliani, Partigiani bolognesi.
4. - Famiglie caduti nei fiumi Reno e Silla: Agostini, Guccini, Lenzi, Mondani.
5. - Famiglie e amici dei caduti di Molinaccio:
a) Toscani: Neri, Pesciatini, Puccinelli, Roventini, Stefani, Trovatelli.
b) Emiliani: Alberini, Bernardi, Bernardini, Borgognoni, Brunetti, Carboni, Cinotti, Falci, Gentilini, Lizzari, Mogano, Vellani, Vitali.
6. - Altri superstiti e testimoni: Domenico Agostini, don Enea Albertazzi, Aldo Bettocchi, Sergio
Bellocchi, Vilo Bortolotti, Giovanni Cantini, Maria Cattani, Maria Giulia Canoni in Lenzi, Libero
Cinotti, Maria Fortuzzi, Enzo Franchi, Giulio Giovanelli, Laura Giovanelli, Lidia Giovanelli, Rina
Gualandi in Melchioni, Roberto Guccini, Rosina Guccini, Ruggero Guccini, Fanny Lenzi in
Pranzini, Ivo Lenzi, Lina Lenzi, Lea Lolli in Palmieri, Renato Managlia, Luciano Musini, Edolo
Melchioni, Bonfìglio Mondani, Urio Nanni, Giuseppe Negretti, Alfredo Palmieri, Dante Pastorelli, Vittorio Piccinelli, Francesco Zangheri, Ermanno Zinchi, ecc.
Mi scusino amici e superstiti per eventuali omissioni sfuggitemi, per inesattezze o particolari
trascurati e tralasciati. Quanti credono di dover completare o correggere il presente testo,
ricostruito con notevoli difficoltà — purtroppo a distanza di trentasette anni — non temano di
scomodare alcuno e si rivolgano o scrivano all'autore presso il Comune di Porretta Terme.
P.A.C.
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CAPITOLO I
QUATTRO VITTIME NEL FIUME RENO E NEL SILLA
Tornando da Roma, al Passo della Collina tra il 20 ed il 22 settembre veniva fatto prigioniero con
un'arma in tasca il diciottenne Aldo Agostini. Stava tornando a casa, a Porretta, ignaro di trovare
una situazione peggiore che nella capitale liberata. Rinchiuso per due giorni nel magazzino della
casa cantoniera sulla porrettana, sotto il cimitero di Porretta, nel pomeriggio domenicale del 24
settembre del 1944 la Gina, moglie di Domenico Cattani, lo vide prelevare e trasferire dai
tedeschi in direzione di Silla. Guadato il ponte, non ancora minato dai guastatori tedeschi, fu
condotto oltre la zona del Molino Guccini, in località Singiarello (Silla), e qui dalla porrettana fatto
scendere sul greto del fiume Reno. Denudato, veniva barbaramente ucciso verso le ore 17 dalle
SS, che gli spararono in mezzo alla fronte tra gli occhi. La Gina vide tornare i tedeschi coi vestiti di
Aldo Agostini e comprese quello che era accaduto. Raggiunto il fondo della diretta di Silla, per
salire a Capanna di Foresta, incontrò Bonfiglio Mondani, al quale raccontò l'accaduto e gli chiese di
accompagnarla. Anche i Bettocchi, contadini che stavano di là dal fiume Reno in territorio di Castel
di Casio, videro il corpo di Aldo Agostini, senza sapere chi poteva essere, e avvertirono i sillani. Nel
pomeriggio del 25 settembre Bonfiglio Mondani, rassicuratesi che non ci fossero tedeschi in giro,
raggiungeva località Singiarello, per prelevare il corpo di Aldo Agostini, ma la madre che gli era
corsa dietro lo fece rincasare, dopo aver rannicchiato il corpo in un anfratto.
ALDO AGOSTINI
Nato a Bagni della Porretta il 27.7.1926 da Luigi
Agostini ed Elvezia Bettocchi. Aiutava il padre,
commerciante di professione. Residente a Porretta,
fu ucciso all'età di 18 anni in località Singiarello
(Silla). È sepolto nel cimitero di Porretta Terme.
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FEDERICO LENZI
Nato a Gaggio Montano il 16.1.1880 da Luigi Lenzi e
Mitilde Brunetti. Fece la carriera militare in Toscana
e divenne maresciallo nei RR.CC. Residente a
Gaggio, fu ucciso all'età di 64 anni al ponte distrutto
di Silla. Fu provvisoriamente sepolto nella sua
trattoria dentro una cassa, che una certa Pia, madre
di quattro figli, era andata a prendere verso
Bombiana, ove stava recandosi. È oggi sepolto nel
cimitero di Porretta Terme.
Quello stesso pomeriggio i Mondani assieme ai Guccini del Molino prepararono una rudimentale
cassa, per raccogliervi il corpo di Agostini, ma una pioggia torrenziale impedì loro di muoversi.
Portato via dalla piena del fiume Reno, in seguito il corpo di Agostini fu trovato a-dagiato sul greto
del fiume in una piana nei pressi dell'imbocco della galleria di Pian di Casale, guardante Bologna.
Mani pietose l'avevano legato su una scaletta di legno.
Nella notte tra il 28 ed il 29 settembre i guastatori tedeschi con cariche di tritolo facevano saltare
completamente i piloni del ponte di Siila. Fin dall'estate aerei angloamericani avevano tentato di
abbatterlo e in parte lo colpirono il 3 ed il 13 settembre. In quest'ultimo bombardamento perse la
vita Silvio Cattani, che si trovava nei pressi. A causa di questi tentativi aerei la popolazione e lo
stesso abitato di Siila erano continuamente minacciati, cosicché don Enea Alber-tazzi, parroco di
Siila dall'aprile di quell'anno, consigliò i partigiani di abbattere il ponte, ma la continua presenza dei
tedeschi in zona non permise l'attuazione del progetto.
Il 29 settembre era la festa di S. Michele di Capugnano (Porretta) e da quel giorno alcuni sfollati
cominciarono a scendere nella cittadina termale. Porretta e tutto il fondovalle della por-rettana e
del Reno, da Ponte della Venturina alla Ferriera di S. Croce e Casa Alessio (Porretta), poco
distante dal ponte di Siila, fino alla mattina del 5 ottobre fu « terra bruciata » e libera « terra di
nessuno ». Di notte qualche retroguardia nazista si ritirava ancora verso il bolognese e verso le
alture di Gaggio, Montese e Sestola, ove si stava assestando l'arretrato fronte tedesco in
questa parte secondaria della linea gotica (dal Tirreno toscano alla porrettana).
Queste alture — dominanti da una parte la valle del Leo e del Panare e dall'altra quella della
Dardagna e dell'alto Reno — erano già state perlustrate dai tedeschi sin dal luglio del '44. Questa
parte della linea gotica (Gotenstellung) o linea verde (Grùne Linie) era stata fortificata sui seguenti
crinali: Abetone, Cima Tauffi, M. Spigolino, Monti della Riva, M. Belvedere, Corona, M.
Gorgolesco, Ronchidoso, Cargè, M. Castello, M. Torraccia (M. Francescone), M. delle Vedette.
Ebbene quella mattina del 29 settembre anche al trivio stradale di Siila (sulla SS 64 per Porretta o
per Bologna e sulla provinciale di Gaggio per Lizzano, Gaggio, Montese), si andava raccogliendo
un crocchio di persone. In quel punto della porrettana da un lato c'era l'abitazione (tra Molino
Guccini e l'oratorio di S. Bar-tolomeo) di Alberto Mondani e di fronte la trattoria del maresciallo in
pensione Federico Lenzi, detto Antonio (« Tugnin »).
Il magazzino della « trattoria del maresciallo » — come la chiamavano — era ben rifornito e per
questo faceva gola a tanti, specie ai tedeschi di passaggio o in perlustrazione.
Il maresciallo non era voluto sfollare, cosi l'antifascista Alberto Mondani. Qualche giorno prima il
maresciallo ebbe il viso tumefatto dai tedeschi, che volevano entrare per forza nella trattoria. La
sua abitazione era però sulla diretta di Siila e quella mattina del 29 da qui stava dirigendosi verso il
trivio con un ombrello in mano. Alberto Mondani era davanti a casa con altri.
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ALBERTO MONDANI
Nato a Grizzana il 25.4.1888 da Luigi Mondani e
Maddalena Zanini. Antifascista, fece il manovale, il
terraiolo e l'operaio alla Daldi & Matteucci nel 1942 e
nel 1944. Residente a Gaggio, fu ucciso all'età di 56
anni al ponte distrutto di Silla. Rimase impigliato tra le
macerie sotto l'acqua in una burga. Fu
provvisoriamente sepolto nella sua abitazione
presso l'oratorio di S. Bartolomeo dentro quella
cassa — preparata dai Guccini di Molino Guccini e
da Bonfiglio Mondani, il nipote — che avrebbe dovuto
contenere il corpo di Aldo Agostini, trascinato via dalla
piena a Singiarello. È sepolto nel cimitero di Porretta
Terme. In quest'unica foto che abbiamo rintracciato
del Mondani, si vedono ancora le macchie di sangue,
quando venne ucciso. Teneva la foto nel portafoglio.
Alcune SS presenti in zona, certo retroguardie nervose in perlustrazione, ebbero da ridire con
l'energico maresciallo, che non voleva dar loro. l'ombrello. Lasciando andare le donne presenti, la
«Maria» ovvero l'Agrippina (madre di Bonfiglio Mondani) e la Romana Guidoreni, prelevarono il
maresciallo e Alberto Mondani, e li trascinarono sul limitare del ponte abbattuto di Silla. Federico
Lenzi aveva al braccio la sua fascia dell'UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), con la
quale poteva girare, perlustrando linee elettriche e case per eventuali rifugi.
Colpiti entrambi da un colpo di baionetta allo stomaco, le SS li finirono sparando loro nel petto, poi
furono precipitati giù tra i flutti del fiume Siila e le macerie del ponte. Erano circa le ore 9. Furono
raccolti il 30 settembre e questa apparve come la loro data di morte in documenti ufficiali, nei quali
la dicitura di morte presso il « ponte di ferro » (pur alla data del 2 ottobre '44) è senza dubbio
successiva. Il « ponte di ferro » o « Bailey bridge » fu infatti costruito dopo l'arrivo degli americani,
che raggiunsero Porret-ta solo nella mattina avanzata del 5 ottobre, come risulta da un loro diario
militare. Quella stessa mattina del 30 il corpo di Etneo Guccini — come diremo dopo — fu trovato
affiancato a quello del maresciallo dal padre e da Vittorio Piccinelli, che erano andati a prelevarlo. I
corpi del maresciallo Lenzi e di Guccini furono deposti su assi nel greto del fiume da Augusto Lenzi
e Luigi Chiari. Così ricorda Bonfiglio Mondani, nipote dell'ucciso Alberto, detto «Berto». Quella
mattina lui stesso con la zia Angela Mondani cercò il corpo dello zio. Prima di trovarlo dovettero
darsi da fare. Era rimasto sotto l'acqua, impigliato in una burga. Fu agganciato per la giacca con un bastone che avevano approntato ed al
cui capo sistemato un ferro a mo' di uncino. Il Chiari e il Lenzi li aiutarono per trasferire il corpo di «
Berto » nella loro abitazione. Furono aiutati anche da altri, che erano nei paraggi del fiume per
raccogliere legna. Anche nel libro delle esequie presso il parroco di Siila la data della morte del
maresciallo Lenzi e del Mondani è data al 29 settembre. Questi appunti, attendibili senza dubbio —
come lo sono anche per gli uccisi di Molinaccio — venivano scritti su foglietti di carta dal barnabita
padre Musazzi.
Quella stessa mattina del 29 settembre da Capugnano (Porretta) scesero a Porretta diversi sfollati,
perché i tedeschi nella notte se n'erano andati. Scesero anche i Guccini e ci fu chi pensò di far
sventolare un drappo rosso sulla torretta della casa del fascio. Con loro c'era anche Etneo Guccini,
un ragazzo di 17 anni. In precedenza e-ra già stato prelevato dai tedeschi, che lo fecero lavorare
verso Castel di Casio, trattenendolo di notte nelle carceri porrettane. Fatto uscire per l'intervento
della madre, per qualche tempo se ne stette a M. Cavallo col gruppo partigiano di Urio Nanni, poi
tornò a casa. Nella mattinata del 29 settembre una pattuglia tedesca veniva da Siila su per la
porrettana verso Porretta, sparando colpi in aria e facendo credere di volersi arrendere e di voler
andare coi partigiani. Così raccontò Galileo Gualandi, il cantoniere, che in bicicletta se ne venne
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verso Porretta, avvertendo del fatto coloro che incontrava, come Renato Managlia, Vito Venturi
detto « Mimina » e un altro, i quali in quel momento — provenendo da Corvella — si trovavano
davanti al collegio Albergati. Anche loro sentirono i colpi sparati per aria e in direzione della
Berzantina dalla pattuglia in arrivo. Al racconto del cantoniere risposero: « Se i tedeschi vogliono
andare coi parti-giani, dì loro che vengano avanti disarmati! », ma il Gualandi continuò verso il
centro di Por-retta. Anche i Guccini da via Terme udirono colpi d'arma da fuoco provenire da oltre
via Mazzini e preferirono rientrare, ma Etneo Guccini corse a vedere, ritrovandosi al centro della
porrettana (tra i giardini del monumento ai caduti del 1915/18 e l'albergo Roma), tra un crocchio di
persone, fra le quali Febo Baccolini. Il cantoniere raccontò cosa stava succedendo ed Etneo
Guccini, con un'arma in tasca, sicuro del fatto suo disse: « So io come fare per fermarli. Se vogliono andare coi partigiani, so io dove sono! ». Inforcata la bicicletta del cantoniere, partì in direzione della pattuglia su per via Mazzini. Nella zona della vecchia officina Demm, ove oggi vi sono
i distributori della Esso, Etneo incrociò i tre che provenivano da Corvella, ma non volle fermarsi al
loro richiamo di tornare indietro. Gli corsero dietro. All'altezza di villa Baldi sulla SS 64 (poco prima
di villa Uguccioni) lo videro incontrare la pattuglia. Venne fatto scendere dalla bicicletta e gli fu
caricato sulle spalle uno zaino, contenente forse armi o munizioni. Era circa poco prima di
mezzogiorno.
Dopo di ciò la pattuglia con Etneo tornò indietro verso il cimitero, sparendo agli occhi de* tre
giovani di Corvella oltre il curvone. Cosa successe dopo non sappiamo. Dal cimitero di Torretta al
ponte di Siila vi è circa una mezz'ora di strada e l'atto di morte precisa che Etneo Guccini fu ucciso
verso le ore 19.
In quel periodo forse la pattuglia si fermò da qualche parte per il pranzo? Etneo Guccini fu
perquisito e gli trovarono addosso l'arma che a-veva o questi tentò, per fuggire, un'azione di sorpresa? Non abbiamo fino al presente trovato testimonianze al riguardo. Verso le 19 Etneo Guccini
fu portato al ponte di Siila e fu ucciso tra le macerie, vicino al luogo ove in mattinata i tedeschi
avevano fatto fuori anche il maresciallo e il Mondani. Mani pietose la mattina dopo affiancarono il
corpo di Guccini a quello del maresciallo. Quella stessa mattina del 30 settembre il babbo Amedeo
scese a Siila e, fattosi accompagnare a Casa Fontana da Vittorio Piccinelli, raggiunse il luogo, per
raccogliere il corpo del figlio. Era scalzo ed era stato colpito da raffiche al ventre e alle ginocchia.
Trasferito a spalle fino alla « Trattoria della Mariuccia » (cioè di Elisa Bernardi detta Maria), oggi
bar Pallino, alla Pucciga, da qui su una scaletta il corpo di Etneo Guccini fu poi trasportato a
Porretta, quindi al cimitero di Capugnano, passando dalla zona del la-ghetto termale.
Anche Augusto Mogano e Giuseppe Gentilini — due caduti di Molinaccio — videro sul greto del
Siila, lambito dall'acqua, il corpo del Lenzi. Erano andati a cercar legna, trasportata dal fiume.
ETNEO GUCCINI
Nato a Bagni della Porretta il 18.5.1927 da Amedeo
Guccini e Isolina Guidotti. Fece l'aiuto fornaio dai
Corsini. Residente a Porretta, fu ucciso tra le
macerie del ponte di Silla all'età di 17 anni.
Trasferito nel cimitero di Capugnano (Porretta), in
seguito fu sepolto nel cimitero di Porretta Terme
assieme ad altri caduti partigiani.
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CAPITOLO II
LE 17 VITTIME DI MOLINACCIO
1. - Situazione bellica sul fronte gotico occidentale dell'Appennino e nell'alto Reno
In quel fine settembre pattuglie di retroguardia, sconfinando da Siila, perlustravano il porrettano
con azioni certo avventate. Aspettavano l'ordine di ritirarsi definitivamente, ma dovevano anche
riferire — via radio — sulla presenza dei partigiani e l'avanzata americana. Altrettanto facevano
gruppi americani in ricognizione avanzata. Dall'estate fino ai primi di ottobre del '44 solo formazioni
partigiane tennero testa ai tedeschi sull'Appennino gotico dal Tirreno alla SS 64: i garibaldini della
T div. Modena del gen. Armando (Mario Ricci) sui monti reggiano-modenesi; i garibaldini di Gino
Bozzi, il gruppo di Urio Nanni e del Toscanino (Alfredo Mattioli), i matteottini della brigata Matteotti
di montagna del cap. Toni (Antonio Giuriolo) e la Giustizia e Libertà di Pietro Pandiani sui monti tosco-bolognesi. Nella valle del Setta fino a M. Vigese e M. Ovolo vi erano quelli della brigata Stella
Rossa del «Lupo» (Mario Musolesi). Notevole fu l'esperienza militare dei partigiani di Armando.
Tra l'8 e il 18 giugno del '44 avevano conquistato ai nazisti un ampio territorio intercomunale di
circa 1200 kmq (Montefiorino, Frignano, Frassinoro, Polinago, Toano, Ligonchio, Villa Minozzo),
creando quella che fu definita la «repubblica di Montefiorino». Quest'ultimo Comune fu occupato il
17 e 18 giugno. Furono insediati i CLN e rieletti sindaci ed amministrazioni comunali, ed i partigiani
ridistribuiti in sei divisioni (I « Ciro Menotti » di Giuseppe Barbolini; II di Mario di Modena; III di
Renato Giorgi detto «Angelo»; IV di Marcelle Catellani; una V detta « d'assalto » e in riserva di
Mario Nardi con un insieme di quattro battaglioni; ed una VI in fase di costituzione di A. M. Ettore
Sighieri). Dopo 45 giorni la repubblica fu attaccata dai tedeschi in una morsa concentrica per tre
giorni consecutivi dal 30 luglio (una domenica) al 1° agosto '44 e riconquistata, debellando le ultime resistenze partigiane il 3 e 4 agosto a Gom-Jjola (Polinago). I paesi furono dati alle fiamme,
così Montefiorino il 6 agosto, ed i partigiani dovettero evacuare la zona verso la pianura padana, la
valle del Panare, i crinali tra il M. Cimone ed il Corno alle Scale (Monti della Riva) e la Toscana. Da
allora su tutto l'Appennino tosco-bolognese e modenese fu attuata contro i tedeschi in ritirata
quella «guerriglia sulle strade», che fu delineata dal CUMER (Comando Unico Militare per l'Emilia
Romagna). Sorto verso la fine di aprile del '44, era questo un organo militare, dipendente da quello
politico, il CLNER (Comitato di Liberazione Nazionale dell'Emilia Romagna, sorto a Bologna il 16
settembre 1943), e doveva cercare di collegare e inquadrare renitenti alle leve repubblichine,
sbandati, partigiani, sia in pianura che in montagna, contro nazisti e fascisti. Così anche nell'alto
Reno. Alla fine di settembre i partigiani di Armando filtravano tra i tedeschi in ritirata e dai Monti
della Riva si portavano verso il lizzanese ed il porretta-no, congiungendosi coi partigiani bolognesi:
il 27 settembre erano a Ca' Berna (ove i tedeschi stavano effettuando un eccidio di 29 persone), il
28 raggiungevano Pianaccio (Lizzano) ed il 29 (mentre i tedeschi compivano l'eccidio di
Ronchidoso) erano coi partigiani bolognesi sul crinale porrettano Capugnano-CastelluccioPennola, avviando congiuntamente l'occupazione dell'alto Reno e di alcuni vicini Comuni toscani,
mentre le frazioni alte del porrettano (Capugnano, Castelluccio) erano già in mano ai partigiani sin
dal 26 settembre.
Nel '44 la campagna militare estiva del nuovo alleato straniero (gli «angloamericani») era iniziata
l'11 maggio e veniva terminata il 13 novembre.
Il 7 giugno del '44 il gen. sir Harold Rupert Leofric George Alexander, comandante supremo fino al
16 dicembre '44 (quando fu sostituito dal gen. Mark W. Clark) del XV Gruppo di Armate
angloamericane presenti sul suolo italiano, e composto da due armate (5a Army USA: gen. Mark
W. Clark fino al 16 dicembre '44, poi il gen. Lucian K. Truscott; 8a Army britannica: gen. sir Oliver
Leese fino al 1° ottobre '44, poi il gen. Richard McCreery), aveva dato il via per fare arretrare dal
Lazio le forze naziste. Il feldmaresciallo Albert Kesselring era il comandante supremo delle forze
tedesche allora presenti sul fronte italiano, il Gruppo d'Armate «C», anch'esso composto da due
armate (14 Armee: gen. Joachim Lemelsen fino al 23 ottobre, poi il gen. Heinz Ziegler; 10a Armee:
gen. Heinrich von Vietinghoff-Scheel fino al 23 ottobre, quindi il gen. J, Lemelsen fino al 24
novembre, infine il gen. Traugott Herr).
Attraverso la Toscana e l'Umbria le divisioni tedesche, inseguite dagli angloamericani ed ostacolate dai partigiani, raggiungevano la linea gotica, detta anche linea Pisa-Rimini o linea Livorno-
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Ancona (ma anche linea Churchill o linea Rommel o linea Gengis Khan) il 25 agosto del '44. Il
piano originario di sfondamento della linea gotica (piano Harding-Alexander), elaborato il 6 giugno
del '44, fu modificato ad Orvieto il 4 agosto da John Harding, Alexander ed Oliver Leese (piano
Olive). Il 26 agosto iniziava lo sfondamento, che però fu cessato il 27 ottobre per faziose ragioni
politico-militari internazionali. In Toscana, dal Tirreno alla porrettana ed alla Futa (SS 65 e SS 503)
Kesselring aveva distribuito la sua 14a Armee (gen. Lemelsen) alla quale Alexander aveva
contrapposto la sua 5a Army (gen. Clark). Il 19 settembre gli angloamericani conquistavano il
Passo del Giogo, il 22 il fortificato Passo della Futa (aggirato sulla SS 503) ed il 27 il Passo della
Raticosa. Oramai erano a 14 chilometri da Bologna. Il fianco sinistro della gotica dal Tirreno alla
porrettana doveva servire solo come fronte di finto attacco e di alleggerimento. Nella notte tra il 7 e
l'8 settembre i partigiani entravano a Pistoia, raggiunta dal IV Corpo USA corazzato (gen. Willis
Crittenberger) il 12. Il 29 e 30 settembre questo corpo si preparava nella zona di Montecatini
Terme per raggiungere Porretta dal paese della Collina e da Pracchia.
Da allora al 5 ottobre verso Porretta («terra bruciata» e libera «terra di nessuno») furono inviati
gruppi d'avanguardia in ricognizione e perlustrazione. La mattina del 1° ottobre gli americani si
mettevano in marcia verso il Passo della Collina su per la porrettana, ma anche per la traversa di
Pracchia, approntando «Bailey bridges», laddove i guastatori tedeschi avevano minato i ponti ed
anche bloccato la strada con fili spinati di sbarramento. Quel giorno il comando fu posto in località
Signorino, poco sotto il Passo della Collina. Erano le ore 11,05. Un comando dell'OSS (Offices
Strategie Service) s'insediò a Pracchia. Era questa un'organizzazione politico-militare, creata da
un amico di Roosevelt, William Donovan (detto Wild Bill, selvaggio Bill) e trasformatasi nel
dopoguerra nell'attuale CIA (Central Intelligence Service). Il 5 ottobre alle ore 10 gli americani
raggiungevano Bellavalle e poco dopo l’11° battaglione della la Div. USA (gen. Vernon E. Prichard)
del IV Corpo USA della 5a Army «occupava» Porretta, Capugnano e Castelluccio («The llth
Infantry Battalion troops occupied Porretta Terme»). I brasiliani, affiancati alla 5a Army ed in
particolare al IV Corpo USA, dalla valle del Serchio raggiunsero l'alto Reno tra il 30 ottobre ed il 9
novembre del '44. I primi arrivarono a Porretta il 2 novembre col 2° battaglione (magg. Abilio
Cunha Pontes) del 6° reggimento di fanteria della Forza di Spedizione Brasiliana (gen. maresciallo
Joào Baptista Mascarenhas de Moraes).
Tra la fine di settembre e i primi di ottobre del '44 il tempo fu bruttissimo. La pioggia cadde a
scrosci incessantemente, i fiumi erano in piena e sui monti più alti gli alleati videro le cime innevate. Anche per questi motivi l'avanzata americana procedette lentamente ed i comandi dovettero
fornire ai soldati stivali e giacconi.
2. - I precedenti del rastrellamento delle vittime di Molinaccio
Nel mattino avanzato del 30 settembre 1944 una pattuglia tedesca in perlustrazione arrischiata dal
fiume Siila si era portata verso Capugnano, per controllare le mosse dei partigiani, di stanza a
Castellare e a Castelluccio. Nascostasi in una pinetina (presso la Ca' d'ia Maria Chiotti), da qui
vide scendere da Castelluccio verso Porretta sulla strada Castelluccio-Capugnano-Porretta un
side-car con sopra Urio Nanni, Vincenzo Dondarini detto «Dondarone» e un altro, i quali
precedevano un automezzo con sopra un gruppo di partigiani, guidato da Alberto Degli Esposti.
Stavano dirigendosi verso Porretta, per prenderne il controllo. Lasciato passare il side-car, la
pattuglia aprì il fuoco contro l'automezzo ed i partigiani, sorpresi da quell'imboscata, tentarono una
difesa ed una risposta. Nello scontro cadde ucciso il partigiano sovietico Kisielov Alexey Kirillovic
di 17 anni. Era nato nel 1927. Anche un altro partigiano sovietico rimase ferito e successivamente
fu trasferito in un ospedale di Firenze, per curarsi. Cadde ferito gravemente anche l'autista Degli
Esposti, detto «Giramai» perché visitò vari Paesi esteri.
Il Degli Esposti fu trasportato dai compagni di lotta nella pensione Manservisi di Castelluccio
(affiancata all'omonimo castello ottocentesco), ove era sfollato l'ospedale porrettano, e quivi morì
quella stessa sera verso le ore 19. Il side-car dovette tornare indietro assieme all'automezzo,
rinunciando a Porretta, e la pattuglia si ritirò in fuga giù per la Biricioccola, Gadelle e Salgastri oltre
il Silla. Come scrisse Antonio Giuriolo, il cap. Toni, in un suo resoconto, il giorno dopo i matteottini
e altri vendicarono l'imboscata, circondando un'altra pattuglia tedesca (qualcuno pensò fosse la
stessa) a la M'nent, Casa Menante (Porretta), in località Bellavista sopra il cimitero porrettano.
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1° Ottobre 1944
3. - Insediato il CLN di Porretta - Lo scontro di Casa Menante
Domenica 1° ottobre nella sede delle scuole elementari di Castelluccio i partigiani assieme alle
forze politiche insediavano il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Porretta con presidente e
anche come sindaco del Comune il dr. Emilio Buini, che già lo era stato dal 1909 al 1912. Questi
gli altri componenti del CLN:
— per il PCI: Adriano Santi, Enrico Agostini;
— per il PSI: Vincenzo Masotti, Federico Baia;
— per il Pd'A: Eutimie Gandolfi, Vittorio Abo-laffio;
— per la DC: Mario Facchini, Florindo Bernardini;
— per i giovani: Vincenzo Zagnoli, Adler Asmara (segretario del CLN).
Solo il 12 ottobre fu insediata la Giunta comunale:
— per Porretta: Folco Lorenzini, Francesco Cencini, Giuseppe Pozzi, don Augusto Smeraldi;
— per Castelluccio: Daniele Borgognoni;
— per Capugnano: Ferruccio Baldanza;
— per Corvella: Augusto Poli.
In quella mattinata del 1° ottobre una pattuglia partiva da Casa Alessio, l'abitazione dei Lenzi, i
proprietari della Ferriera di S. Croce (Porretta) e su per Corvella raggiungeva Casa Menante
(Porretta) in perlustrazione.
Nei dintorni compiva alcune razzie presso i contadini. Vennero avvertiti i partigiani, che col cap.
Toni prepararono un piano di azione, per circondarla e farla prigioniera. Con loro vi erano anche
partigiani sovietici. Scendendo dal crinale di Castelluccio-Capugnano (Castellare), suddivisi in tre
gruppi di otto (giù dalle Forre, per l'aia della Minella e nel mezzo), un primo gruppo riusciva a
circondare l'abitazione. Giovanni Mattioli (detto Bargiotto, perché proveniva da Bargi), uno sfollato
che stava alla Menante, riusciva a mettersi in salvo nel bosco. Faceva il contadino. Nello scontro
venivano uccisi tre militari tedeschi: il fuciliere maggiore Sommermeil, il caporale Rudat ed il
caporalmaggiore Meissl. Gli altri sette ripararono dentro Casa Menante, con uno ferito gravemente
(ma il cap. Toni nel suo resoconto cita due feriti), quando sopraggiunsero gli altri due gruppi
ritardatari col cap. Toni. I sovietici, vestiti con divise tedesche, erano stati presi per autentici
tedeschi. Da qui il ritardo. Quando arrivarono questi due gruppi, il primo, credendoli scorte
tedesche appostate nel bosco vicino, poco mancò che li prendesse a raffiche, ma segnali
tempestivi di riconoscimento evitarono il grave malinteso. Il maresciallo che guidava la pattuglia,
intanto, riusciva a fuggire, utilizzando un passaggio posteriore dell'abitazione. Nel bosco incrociava
il Bargiotto e gli urlò dietro qualcosa. I prigionieri furono convinti alla resa dal cap. Toni, che conosceva la lingua tedesca. Portati a Castellare, i partigiani evitarono un tentativo di linciaggio da
parte dei presenti e, quando arrivarono gli americani, furono loro consegnati.
4. - Inizia nel pomeriggio il rastrellamento
Dopo lo scontro — era circa mezzogiorno — il comando delle SS per ordine di un capitano
sguinzagliava tutte le sue pattuglie per una cieca azione di rappresaglia sulla porrettana e la diretta
di Siila fino a Molinaccio. Verso sera il maresciallo sfuggito ai partigiani tornava a Casa Menante
con altri quattro tedeschi, per raccogliere i corpi dei tre uccisi e trasferirli nel sottostante cimitero di
Porretta, utilizzando il birroccio del Bargiotto. Si fermarono anche presso i contadini, per bere un
bicchiere di vino, ma qualcuno vi sputò dentro. La cerimonia militare del seppellimento sarebbe
stata fatta il giorno dopo. Tra le ore 16/17 cominciava il rastrellamento di quanti venivano incontrati
sulla statale. Adelfo Giovanelli, Vincenzo Lenzi, Lidia e Laura Giovanelli, Francesco Mogano detto
«Mario», Armando Bettocchi e cinque toscani furono i primi rastrellati. Di questo gruppo solo tre
toscani furono uccisi, Vincenzo Lenzi riuscì a scappare, Francesco Mogano si salvò dentro una
fossa sotto i corpi di numerose vittime e gli altri furono rilasciati o riuscirono ad evitare il peggio.
Vincenzo Lenzi e Adelfo Giovanelli, capostazione di Porretta, furono presi tra le 16 e le 17 prima
della Pucciga, mentre erano andati dal calzolaio e contadino Paolo Cinotti (fratello di «Pompeo» di
Casa Fontana, lo scalpellino), a prendere del latte. Vincenzo Lenzi con la famiglia era sfollato a
Casa Tamarri (Casa Fazietto), ma stava a Ca' d'Campanerin sulla porrettana, che aveva lasciato
allo sfollato Adelfo Giovanelli con la moglie Maria Bianchi e tre figli. Di giorno vi ritornava, per
andare anche a coltivar l'orto o custodire il pollame dietro la Forgeria Lenzi e figli. Adelfo
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Giovanelli, denunciato per frasi oltraggiose contro Mussolini e il fascismo da Ermogene Giovannoni
(ex segretario del fascio porrettano) e da Filippo Gramegna della Polfer (reggente il fascio
repubblichino di Porretta), il 15 febbraio del '44 era stato arrestato ed imprigionato nelle carceri
bolognesi di S. Giovanni in Monte. Processato il 24 aprile del '44 dal Tribunale Straordinario
Provinciale di Bologna, fu assolto perché l'accusa nascondeva manovre per soffiargli il posto come
capostazione e il giorno dopo venne rilasciato.
Quando la pattuglia (tre o quattro tedeschi) passò davanti all'abitazione del Lenzi, qui nel giardino
sulla strada vi erano Lidia e Laura, le due figlie del capostazione. Scesero in strada, per sapere
cos'era successo, seguendo il gruppo e condividendone la sorte. Il fratello Giulio, che era in casa,
armatesi, cercò di seguire il gruppetto, ma ne fu dissuaso, e rimase con la madre. Guadato il Silla
tra le macerie del ponte (vi erano ancora tracce di sangue, ricordano le Giovanelli), nella zona tra
Molino Guccini e la mulattiera di Muiavacca veniva rastrellato anche Francesco Mogano.
Abitava a Ca' di Siila e forse era andato al Molino Guccini, oppure ridiscendeva o saliva alla Ca'
Lunga. Francesco Mogano era continuamente fuori casa, anche la notte, ed i familiari anche quella
volta non si preoccuparono ove potesse essere andato.
Sempre a piedi la pattuglia continuò la strada verso Molinaccio, che raggiunsero verso le ore 18.
Stava già facendo buio. Qui veniva rastrellato anche Armando Bettocchi, che in bicicletta era di
ritorno da Bologna. Come il solito avrebbe raggiunto Casa Bettocchi sulla diretta di Silla e, lasciata
qui la bicicletta, sarebbe salito a Capanna di Foresta nella casa dei Gualandi, ove era sfollato col
fratello Sergio.
Poco oltre Ca' di Cristo, «al curvone» di Molinaccio il gruppetto fu fatto scendere nella scarpata
verso il fiume Reno e fatto entrare in una vecchia casa di contadini a due piani. Mentre entravano,
il Lenzi riusciva a nascondersi dietro l'uscio, quindi, passati gli ultimi della fila, si buttava fuori,
dileguandosi dietro l'angolo della casa giù per la restante scarpata verso il vicino fiume Reno. Le
SS, sorprese, gli spararono dietro, ma non ebbero il tempo di colpirlo o di raggiungerlo. Francesco
Mogano e gli altri, pur avendo pensato alla fuga, non ci provarono. «Pagherete voi per lui» —
dissero i tedeschi —. Così ricorda Antonio Mogano dalle fugaci testimonianze del fratello
Francesco, che rimase sconvolto per tutta la vita, dopo essere riuscito a venirne fuori vivo sotto i
cadaveri dentro la buca, che fu loro fatta scavare la sera successiva. Risalito il corso del Reno,
quella stessa sera raggiungeva la famiglia, sfollata a Casa Tamarri. Erano circa le 23, così ricorda
la moglie, Maria Giulia Cattani detta «Nerina», che era già a letto. Presa con sé una pagnotta di
pane, il Lenzi si portò a Casa Fazietto, quindi a Castelluccio, poi verso Ponte della Venturina,
perché già correva voce che c'erano avanguardie americane. Adelfo Giovanelli, che gli mancava
un mese per compiere i 57 anni (era nato a Bologna l'I 1 novembre 1887) con le figlie fu posto in
un pagliericcio al piano di sopra per la notte. Mentre il sonno cercava di vincerlo, teneva strette tra
le sue mani quelle della sue figliole. Gli altri furono invece trattenuti al piano di sotto. Come ricorda
Antonio Mogano dalla testimonianza del fratello Francesco, anche questi sentì passi e voci di
quanti si trovavano al piano superiore.
Anche cinque toscani furono presi quella stessa sera del 1° ottobre, mentre dal bolognese (forse
provenienti da S. Giovanni in Persiceto) stavano risalendo la porrettana, per rientrare in Toscana.
Si erano momentaneamente distesi in un campo a monte della SS 64, per rifocillarsi con alcune
mele del campo e riposarsi. Laceri e con la barba lunga furono presi per partigiani. Tempo addietro
il 20 agosto 1944 erano già caduti in un rastrellamento effettuato dai tedeschi in ritirata nella
lucchesia (Lucca, Pozzuolo, Marina di Pisa). Menotti Pesciatini, nascosto a Lucca in casa della
sorella, era voluto uscire ed incappò nel rastrellamento.
Anarchico come il padre, per il suo antifascismo da tempo era perseguito dal regime. Pio Stefani
venne preso nella sua casa contadina a Pozzuolo, assieme allo sfollato Antonio Puccinelli.
Giuseppe Neri fu preso presso la sua casa a Massa Pisana, mentre stava andando a governare le
bestie. Il quinto era un viareggino, capitano di marina, del quale nessuno ricorda il nome. In
precedenza aveva preferito affondare le navi, piuttosto che farle cadere in mano ai tedeschi. Con
loro fu preso a Pozzuolo anche il contadino Franco Roventini. Portati alla Casa Pia di Lucca, un
orfanotrofio, che veniva utilizzato come centro di raccolta e di smistamento per la Germania o per
la Todt Organisation, furono trattenuti qui due giorni, quindi una notte il Roventini li vide partire,
caricati su un camion militare.
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Presumibilmente fin verso il 12 settembre (quando gli americani occuparono Pistoia) questi toscani
furono impiegati nella costruzione di postazioni militari in territorio toscano ed in particolare a Le
Piastre. Infatti, in base alla testimonianza di Neva Puccinelli in Marcheschi, figlia di Antonio
Puccinelli, questi ed altri furono visti dal padre dell'on. Alfredo Pacini, insegnante all'Istituto tecnico
di Lucca, e da Leone Lucchesi. Quest'ultimo rimase ferito a Le Piastre in seguito ad un
cannoneggiamento e Antonio Puccinelli gli fasciò il braccio. Dopo di ciò furono divisi per il
passaggio del fronte. Inoltre verso la metà di settembre una donna, proveniente dal pistoiese,
riuscì a raggiungere la famiglia di Puccinelli, recapitando una sua lettera (un foglio di quaderno),
ove diceva che stavano facendo postazioni per cannoni e chiedeva ai figli di fare i bravi ed ai
familiari di stare tranquilli. Passato il fronte toscano per l'avanzata americana, questi cinque
rastrellati dovettero seguire i tedeschi in ritirata. Infatti — come ricordano le famiglie dei due
toscani che si salvarono dall'eccidio di Molinaccio — questi cinque toscani furono portati nella
pianura padana e fatti lavorare con la Todt nel ferrarese (a ridosso del Po) e a S. Giovanni in
Persiceto. Di notte venivano custoditi presso abitazioni di civili. Forse proprio dalla zona di S.
Giovanni in Persiceto verso la fine di settembre riuscirono a fuggire.
La notte tra il 1° e il 2 ottobre furono trattenuti presso una casa a monte della porrettana, poco
sopra il campo ove furono sorpresi (Molinaccio di sopra). Così traspare dalle testimonianze delle
famiglie dei due toscani che non furono uccisi e che poi dettero modo di rintracciarne i corpi.
Quella notte piovve e al cimitero i corpi dei tedeschi dentro il birroccio erano protetti da una
coperta.
La Todt Organisation o semplicemente Todt era stata fondata in Germania nel 1933 dall'ing. Fritz
Todt (1891-1942), per poter bloccare la disoccupazione e costruire circa settemila chilometri di
percorsi stradali e autostradali. Poco prima dello scoppio della II guerra mondiale divenne ausiliaria
della Wehrmacht, tanto che in seguito operò solo per fortificazioni militari, manutenzioni di
aereoporti, ponti, postazioni, sbarramenti bellici, ecc., raggiungendo in tutta Europa quasi due
milioni di operai, in parte reclutati e in parte fatti prigionieri nei Paesi occupati. In Italia si prestò
particolarmente sulle linee Gustav, Hitler, Gotica e sul Po.
I TRE TOSCANI UCCISI A MOLINACCIO DI SOPRA
MENOTTI PESCIATINI
Nato a Cecina il 24.11.1899 da Africano Pesciatini
ed Er-minia Danti. Anarchico come il padre, che
volle dargli il nome del noto esponente
risorgimentale, combattè sul Carso durante la
grande guerra del 1915/18. Colpito da lanci di gas,
gli trovarono addosso volantini contro la guerra e fu
considerato da allora un sovversivo. Dopo il
trasferimento all'ospedale di Genova, ebbe vita
raminga in varie città italiane, facendo il disegnatore
e il pittore. Prima di essere rastrellato il 20 agosto
del '44 a Lucca, fu incarcerato per un mese. Coi
fratelli soci impiantò anche un laboratorio fotografico. La sua ultima residenza fu Piombino. Con
altri due fu ucciso il 2.10.1944 all'età di 44 anni in
un'abitazione di Molinaccio di sopra (Gaggio).
Sepolto alla fine di ottobre del '44 nel cimitero di
Porretta, fu riconosciuto dai familiari per un orologio
che aveva con sé. Dal 26 novembre 1945 è sepolto
nel cimitero di Lucca.
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Nella foto un disegno di M. Pesciatini, pubblicato nel
giornale « II Lavoro » di giovedì 30 agosto 1934.
ANTONIO PUCCINELLI
Nato a Lucca il 28.1.1897 da Lorenzo Puccinelli e
Teresa Mecchi. Emigrato in America col padre,
rientrò in Italia nel 1921. Evitata la grande guerra,
nel 1943 fu chiamato sotto le armi, scavando trincee
nella zona di S. Rossore. La madre riuscì a farlo
tornare a casa, essendo padre di quattro figli. Come
professione fece il muratore. Rastrellato a Pezzuole
(Lucca) il 20 agosto del '44, ove era sfollato in casa
del contadino Pio Stefani, sua ultima residenza fu
Lucca. Con altri due fu ucciso il 2.10.1944 all'età di
47 anni in un'abitazione di Molinaccio di sopra
(Gaggio). Sepolto alla fine di ottobre del '44 nel
cimitero di Porretta, fu riconosciuto dai familiari per
un coltello da innesto che aveva con sé (con sopra
incise note iniziali), per il vestito ed un pettinino da
donna. Era quello della figlia. Dal 26 novembre 1945
è sepolto nel cimitero di Lucca.
PIO STEFANI
Nato a Lucca il 30.4.1893 da Adriano Stefani e Cleofe
Rugarti. Di famiglia contadina fece l'agricoltore a
Pezzuole (Lucca), ove fu rastrellato il 20 agosto del '44
assieme ad Antonio Puccinelli e altri. Sua ultima
residenza fu Lucca. Con altri due fu ucciso il 2.10.1944
all'età di 51 anni in un'abitazione di Molinaccio di sopra
(Gaggio). Sepolto alla fine di ottobre del '44 nel cimitero
di Porretta, fu riconosciuto dai familiari per una pipa
che aveva e da un lembo del gilet. Dal 23 novembre
1945 è sepolto nel piccolo cimitero di Pozzuolo
(Lucca).
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2 Ottobre 1944
5. - Continua il rastrellamento
Tra le ore 7-8
Quella mattina del 2 ottobre si verificarono vari episodi in punti diversi e lontani tra loro, ma legati
alle vicende che stiamo raccontando. Alcuni partigiani della Matteotti ridiscesero a Casa Menante
per raccogliere i corpi dei tre tedeschi uccisi il giorno prima, ma i contadini mostrarono loro che
erano stati già trasferiti al cimitero di Porretta con un birroccio dai tedeschi. A Molinaccio di sotto,
invece, quella mattina presto un sergente pensò di fare andar via i Giovanelli, ma il rilascio dovette
essere rinviato. In zona c'era il capitano delle SS e quel sottufficiale poteva andarci di mezzo. Tra
quelle giovani SS — ricordano le Giovanelli — c'era chi meno era infatuato di nazismo e quindi
meno propenso a rendersi disponibile agli ordini severi e più biechi dei superiori. Il sergente
accese anche un sigaro al capostazione porrettano, che era un incallito fumatore. Alcune SS
riuscirono anche a non partecipare quella stessa sera all'uccisione dei rastrellati, che furono portati
lì durante la giornata, e rimasero nella casa. Anche di questo episodio si ricordano le Giovanelli,
che non sanno quale sorte potè in seguito essere riservata a questi più umani militari tedeschi.
Secondo la testimonianza di Sergio Bettocchi, fratello di Armando, questi gli raccontò che quella
mattina bevve un surrogato di caffè e che offrì da fumare ad un tedesco, chiedendogli anche di
accendere le sigarette. Quindi con la massima disinvoltura, come se fosse un contadino del luogo,
Armando Bettocchi si sarebbe portato lentamente verso un angolo della casa ove c'era la sua
bicicletta. Senza che quel tedesco gli dicesse nulla, si sarebbe portato sulla porrettana, dirigendosi
verso Bologna. Raggiunta una curva, Armando Bettocchi avrebbe abbandonato la bicicletta, inoltrandosi in un bosco, per dirigersi in direzione di S. Maria Villiana. Ospitato qui dalla famiglia
Zanini, il giorno successivo, 3 ottobre, raggiungeva Capanna di Foresta, ove era sfollato col fratello
Sergio (che aveva già raggiunto Capugnano), accompagnato da una lavandaia, l'«Ada di
Piccone», che gli fece da guida e da staffetta. Mi pare attendibile affermare che anche i toscani
non furono uccisi quella mattina, in quanto — dalle testimonianze raccolte presso le famiglie degli
uccisi e di quella di uno dei due scampati (Giuseppe Neri, nato nel 1889 e morto nel 1977) —
questi ultimi avrebbero detto di aver visto diversi rastrellati quel giorno lavorare su e giù tra il fiume
e la strada. Questi uomini, infatti, furono trasferiti a Molinaccio solo nel pomeriggio del 2 ottobre.
Tra le 7 e le 8 di quel mattino un gruppo di SS ebbe l'ordine di rastrellare altri uomini in fondo alla
diretta di Siila e precisamente a Ca' di Silla (Silla di sopra). Dovevano essere sicuri del fatto loro e
delle informazioni ricevute. Ca' di Silla, infatti, era abitata da numerose famiglie residenti, sfollate o
in affitto, circa una quarantina di persone. A Casa del Marino, in fondo quasi alla diretta di Silla, le
SS presero l'erta che conduceva direttamente a Ca' di Siila, ove nell'aia piazzarono come il solito
le mitragliatrici. In quel momento stava rientrando anche Vito Bortolotti, che — in base alla sua
testimonianza — era uscito presto per nascondere uova e conserva. Allora molti — quando
potevano e se riuscivano praticavano il mercato nero, per poter sbarcare il lunario. Portati giù sulla
diretta di Siila a Casa del Morino, qui le donne e i bambini furono divisi e fatti rientrare, mentre gli
uomini vennero incolonnati. Dentro Casa del Morino Giuseppe Gentilini detto «Gentilone» (che poi
fu preso nel pomeriggio) con la moglie e il figlio Fn/o sentirono tutto il movimento e le urla delle
donne. Non si mossero, e i tedeschi non s'accorsero della loro presenza. A parte Vito Bortolotti,
che fu l'unico di questo gruppo di rastrellati a non essere ucciso, ecco i nomi degli otto, che poi
furono massacrati a Molinaccio: Augusto Mogano detto «Gaetanino», Cleto Francesco Carlo
Brunetti, Silvio Augusto Falci, Paolo Bernardi, Luigi Lizzari, Vittorino Bernardini, Adelmo Alberini e
Domenico Mogano. Silvio Falci era ancora fasciato alla testa, perché — pare — era ammalato di
orecchioni od era stato ferito da una scheggia, secondo altre testimonianze.
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LE OTTO VITTIME RASTRELLATE A CA' DI SILLA
AUGUSTO MOGANO
Nato a Bologna il 29.10.1878 da NN. Di professione
agricoltore, la sua ultima residenza fu Gaggio.
Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di
Siila (Siila di sopra), fu ucciso all'età di 65 anni
quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio).
Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di
Porretta Terme.
CLETO FRANCESCO CARLO BRUNETTI
Nato a Camugnano il 15.11.1887 da Adolfo Brunetti
e Serafina Sabattini. Di professione colono, sua
ultima residenza fu Gaggio. Rastrellato la mattina
del 2 ottobre 1944 a Ca' di Siila (Siila di sopra), fu
ucciso all'età di 56 anni quella stessa sera a
Molinaccio di sotto (Gaggio). Verso la fine di ottobre
del '44, quando furono dissepolti da quella fossa i
corpi delle quattordici vittime, quello del Brunetti non
c'era. Fu ritrovato, a pochi metri dalla fossa, da un
contadino che stava arando il campo nel marzo del
1945. Dal 26 marzo del '45 fu sepolto nel cimitero di
Porretta e in seguito la salma fu portata nel cimitero
di Gaggio Montano.
SILVIO AUGUSTO FALCI
Nato a Bologna il 12.5.1889 da NN. Di professione
ferroviere, nel 1944 era in pensione. Ultima
residenza Gaggio. Rastrellato la mattina del 2
ottobre 1944 a Ca' di Siila (Siila di sopra), fu ucciso
all'età di 55 anni quella stessa sera a Molinaccio di
sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto
nel cimitero di Porretta.
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PAOLO BERNARDI
Nato a Bagni della Porretta il 29.6.1890 da Gaetano
Bernardi e Angela Gandolfi. Di professione operaio.
Ultima residenza Porretta. Rastrellato la mattina del
2 ottobre 1944 a Ca' di Siila (Siila di sopra), fu
ucciso all'età di 54 anni quella stessa sera a
Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del
'44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme.
LUIGI LIZZARI
Nato a Lodi il 14.4.1895 da Leone Lizzari ed Elisa
Mandrioli.
Capo-gestione
ferroviario.
Ultima
residenza Casalecchio di Reno. Rastrellato la
mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di Siila (Siila di
sopra) ove era sfollato, fu ucciso all'età di 49 anni
quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio).
Verso la fine di ottobre del '44 fu sepolto nel cimitero
di Porretta, quindi nella Certosa di Bologna dal 29
gennaio del 1946.
VITTORINO BERNARDINI
Nato a Gaggio Montano il 5.5.1904 da Luigi
Bernardini e Innocente Adele Gandolfì. Di
professione bracciante. Ultima residenza Gaggio.
Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di
Siila (Siila di sopra), fu ucciso all'età di 40 anni
quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio).
Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di
Torretta Terme.
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ADELMO ALBERINI
Nato a Bologna il 6.4.1908 da NN. Il 23 maggio
1908 l'Ospizio Esposti ed Asilo di Maternità lo
affidava alla maestra Amalia Nanetti, moglie di
Ausilio Sammarchi, abitante a Ca' della Guarda
(Loiano). Di professione colono. Ultima residenza
Gaggio. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a
Ca' di Silla (Silla di sopra), fu ucciso all'età di 36 anni
quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio).
Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di
Porretta Terme.
DOMENICO MOGANO
Nato a Gaggio Montano il 16.10.1909 da Augusto
Mogano e Maria Doralice Raimondi. Di professione
agricoltore. Ultima residenza Gaggio. Rastrellato la
mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di Silla (Silla di
sopra), fu ucciso all'età di 34 anni quella stessa sera
a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre
del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme.
Questo gruppo di rastrellati fu momentaneamente trasferito a Casa Alessio (Porretta), ove c'era un
comando tedesco e dormì quella stessa pattuglia, che era stata circondata dai partigiani a Casa
Menante. Casa Alessio (Ca' d'Alessi) ebbe questo nome — secondo la testimonianza di Ivo Lenzi
— da Alessio Lenzi, il proprietario che l'avrebbe costruita con l'annessa Ferriera di S. Croce, così
detta perché edificata su terreno di proprietà religiosa. I tedeschi nella Ferriera tenevano armi,
mine, munizioni e filo spinato di sbarramento. Nell'abitazione quella mattina vi fu condotta anche
Corinna Cattani in Gualandi, che come ogni mattina dal Sasso Rosso (Casa Gigiotto) — guadando
il Silla su una passerella provvisoria si recava alla casa cantoniera sulla SS 64, sotto il cimitero
porrettano, ove abitava col marito cantoniere, Galileo Gualandi. Quella passerella, che collegava la
diretta di Silla in territorio gaggese con via Ortacci (oggi via Zagnoli) in territorio porrettano, era
stata costruita dai tedeschi e si trovava sotto Casa Egidio (o Casa Ortacci) in direzione di Casa
Romani. Di là dalla passerella, in via Ortacci, la Cattani fu rastrellata da due tedeschi, che la
portarono a Casa Alessio. Aperto l'uscio vide davanti a sé su per le scale i rastrellati di Ca' di Silla,
seduti qua e là. Questi, appena la videro — ignari di ciò che sarebbe stato loro riservato quella
stessa sera — dissero: «Finalmente una donna!». Dalla cucina la Lina Lenzi, affacciatasi alla
porta, la chiamò con la scusa di bere un caffè e sul primo pomeriggio, quando i rastrellati furono
condotti verso Molinaccio, la fece uscire come una di casa.
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Verso le ore 9
Intanto la pattuglia delle SS continuò il rastrellamento su per la porrettana e dalla Ferriera si portò
verso Porretta. A Casa Fontana, piazzata una mitragliatrice davanti a Casa Carboni contro l'uscio
di quella dello scalpellino Pietro Cinotti detto «Pompeo», i tedeschi penetrarono dentro e,
spintonati gli anziani genitori, rastrellarono al piano superiore i figli Tullio e Giuseppe Cinotti, che
stavano spannocchiando il granturco contro il muro, ed il loro amico più anziano Gino Carboni, che
li aiutava.
Lo avevano chiamato poco prima dalla finestra sulla strada, perché abitava nella casa di fronte con
la sorella Gina, che si vide anch'essa i tedeschi in casa. Questi però non vi trovarono nessun
uomo e Vittorio Piccinelli, marito della Gina, da dietro era riuscito già a mettersi in salvo verso il
fiume Reno. La sorella di Gino Carboni non fu prelevata e dovette sopportare i tedeschi, che
misero a soqquadro l'abitazione.
LE TRE VITTIME RASTRELLATE A CASA FONTANA
GINO CARBONI
Nato a Bagni della Porretta l'I.8.1914 da Primo Carboni
e Giacoma Giacinti. Di professione operaio meccanico.
Ultima residenza Porretta. Rastrellato la mattina del 2
ottobre 1944 a Casa Fontana (Porretta), fu ucciso
all'età di 30 anni quella stessa sera a Molinaccio di
sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto
nel cimitero di Porretta Terme.
TULLIO CINOTTI
Nato a Bagni della Porretta il 4.7.1921 da Pietro
Cinottì, detto «Pompeo», e Adele Lenzi. Di professione
operaio meccanico. Ultima residenza Porretta.
Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Casa
Fontana (Porretta), fu ucciso all'età di 23 anni quella
stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di
ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme.
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GIUSEPPE CINOTTI
Nato a Bagni della Porretta il 10.3.1926 da Pietro
Cinotti, detto «Pompeo», e Adele Lenzi. Di professione
operaio meccanico. Ultima residenza Porretta.
Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Casa
Fontana (Porretta), fu ucciso all'età di 18 anni quella
stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di
ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme.
Verso le ore 9,30
Coi tre rastrellati di Casa Fontana la pattuglia delle SS continuò la strada verso Porretta. In
prossimità della casa cantoniera sulla porrettana, poco sotto il cimitero di Porretta, rastrellò anche
Alfonso Vitali, un calzolaio sordomuto. Proveniva da Porreda (Castel di Casio) sopra la Berzantina
e, passando per Porretta, stava recandosi dal fratello a Casa Egidio (Porretta) vicino a Silla,
portando pece e un paio di scarpe.
Il Vitali girava di frequente nell'alta valle del Reno, per lavorare — soffermandosi anche molti giorni
— nelle varie borgate, presso le famiglie che avevano bisogno di lui.
LA VITTIMA RASTRELLATA ALLA CASA CANTONIERA
ALFONSO VITALI
Nato il 21.9.1895 a Castel di Casio da Carlo Eliseo
Vitali e Clelia Bassi. Aveva altri due fratelli ed una
sorella. Rimasto sordomuto a dodici anni, stette a
Firenze per otto anni in un istituto per sordomuti, ove
imparò a leggere e a scrivere. Abitò a Selva Maiore
fino al '39, poi a Casa Egidio sino al '41 e infine a
Porreda (Castel di Casio) con la mamma. Lavorò col
calzolaio Chinni, ma anche da solo, qua e là, stando
vari giorni presso le famiglie che avevano bisogno di
lui. Ultima residenza Castel di Casio. Rastrellato la
mattina del 2 ottobre 1944 sulla porrettana, nei
pressi della casa cantoniera, sotto il cimitero, fu
ucciso all'età di 49 anni quella stessa sera a
Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del
'44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme.
Dalle ore 9,30 alle 12-12,30
A questo punto la pattuglia delle SS si divise in due gruppi. Uno, guidato dal maresciallo sfuggito a
Casa Menante, coi quattro ultimi rastrellati si diresse direttamente al cimitero di Porretta e l'altro
continuò la strada verso Porretta, fermandosi nella zona del collegio Albergati in via Mazzini, ove
c'erano i padri barnabiti, sfollati da Genova.
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Erano circa le ore 10. Su per una stradina nei paraggi di villa Masini, sovrastante il collegio, veniva
rastrellato anche Umberto Domenichini, il domestico di don Augusto Smeraldi, che non c'era, e fu
portato davanti all'ingresso del collegio, ove era stata piazzata una mitragliatrice. Mentre alcune
SS perquisivano i piani superiori, facendosi guidare da padre Alfredo Maria Toffetti, fuori sulla
strada — come ricorda e precisa Alfredo Palmieri — padre Giuseppe Maria Musazzi (1908-1979)
riusciva dal tenente delle SS a far rilasciare il Domenichini e fratel Francesco, un barnabita laico in
borghese. Aveva mostrato al tenente un foglietto elogiativo del Kommandantur, rilasciategli per
aver prestato la sua opera in occasione del grande bombardamento di Porretta, verificatosi il 6
luglio del '44, quando fu colpita anche la Daldi & Matteucci, che bruciò tra nuvole di fumo per molto
tempo. Le SS cercarono di rastrellare anche Alfredo Palmieri, che si trovava in cucina, ma poi a
questi e a padre Musazzi il tenente disse di preparare una croce, per scrivervi sopra i nomi dei tre
tedeschi uccisi. Padre Musazzi conosceva il tedesco. Dopo di ciò questi dovettero accompagnare
le SS al cimitero. Qui il maresciallo aveva ordinato ai fratelli Cinotti e al Carboni di scavare una
fossa, per seppellire i tedeschi che erano sul birroccio. Durante la notte era piovuto e la terra era
bagnata. Alfonso Vitali nel frattempo veniva invece maltrattato con calci negli stinchi dalle SS, che
lo sentivano borbottare e non credevano che fosse sordomuto, ma che lo facesse apposta.
L'intervento di padre Musazzi presso le SS, spiegò che le cose stavano diversamente, da quello
che credevano. I tre corpi dei tedeschi furono seppelliti uno sull'altro, il primo e il terzo col capo
rivolto verso la parte posteriore del cimitero e quello in mezzo al rovescio. Ciò per un futuro riconoscimento, come poi si verificò. Sopra vi fu buttata un po' di terra, quindi la pattuglia si dispose
ai due lati. Cantato l'inno militare e sparati colpi in aria di saluto, la cerimonia ebbe termine. Il
tenente ordinò al Palmieri ed a padre Musazzi di sistemare la buca e preparare la croce: «Io
tornare domattina a vedere», ma non tornò. Le mitraglie appostate sui muri del cimitero furono
tolte ed il maresciallo con alcuni uscì dal cimitero, passando dal cancellino posteriore, dirigendosi
verso Casa Giorgi. Erano circa le ore 11. Le altre SS col tenente e i rastrellati sporchi di fango si
portarono sulla porrettana, per tornare a Casa Alessio.
Durante il pomeriggio Alfredo Palmieri e padre Musazzi sistemarono la buca e prepararono una
croce, sulla quale furono pennellati, con catrame liquido trovato lungo la strada, i tre nomi dei
tedeschi uccisi. Le salme di questi e di altri tedeschi sepolti nei cimiteri comunali di Porretta furono
esumate il 12 novembre del 1953 e su un automezzo il giorno dopo furono trasferite con altre,
provenienti dal cimitero di Pieve delle Capanne (Granaglione), verso la Certosa di Bologna. Giù
per la porrettana, passata la Pucciga e Ca' d'Campanerin, la pattuglia coi rastrellati si ritrovò
davanti a Casa Fontana. Pietro Cinotti, la moglie e la sorella di Carboni, che si rivide le SS in casa,
rividero i loro cari. «Fate i bravi ragazzi» — disse loro «Pompeo» — e, rivolgendosi al tenente,
«Hanno già lavorato con la Todt». «Se sono bravi ragazzi, lo vedremo» — rispose il tenente. Il
gruppo proseguì la strada verso Casa Alessio. Ivo Lenzi ricorda, quando a Casa Alessio furono
portati anche questi ultimi quattro malconci rastrellati, ma non Giuseppe Gentilini.
Tra le 12,30-13,30
Certamente in questo periodo due o tre tedeschi rastrellavano nel tratto della porrettana tra Ca'
d'Campanerin e Casa Fontana Giuseppe Gentilini detto «Gentilone», che come ogni giorno con
solerzia dalla sua abitazione di Casa del Morino sulla diretta di Silla, con la bicicletta — passato il
fiume Siila tra le macerie del ponte o sulla passerella provvisoria sotto Casa Egidio — si dirigeva
verso Porretta alla Castanea. Giulio Giovanelli, che stava a Ca' d'Campanerin, ricorda che sulla
strada «Gentilone» ripeteva ai tedeschi: «Io arbeiten a Porretta, alla Castanea!», ma per loro
nessuna spiegazione era sufficiente. Giuseppe Gentilini — che quella mattina aveva sentito da
dentro casa le urla delle donne di Ca' di Siila — con altri cinque faceva il sorvegliante alla
Castanea, che era chiusa. Vi erano tre turni continui di sorveglianza con due sorveglianti alla volta:
dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6. Il turno di « Gentilone » era quello delle ore 14-22,
e per raggiungere la Castanea partiva da casa circa un'ora prima. In questa azienda porrettana
lavorarono un'ottantina di persone, parte all'esterno (ammassamento del legno di castagno in
cataste) e parte all'interno (macerazione del legno, per estrarne un liquido, il tannino, utilizzato per
la concia delle pelli, per scarpe e borse, ecc.).
LA VITTIMA RASTRELLATA TRA CA' D'CAMPANERIN E
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CASA FONTANA
GIUSEPPE GENTILINI
Nato il 15.5.1889 a Gaggio Montano da Luigi
Gentilini e Palma Mazzetti. Di professione operaio.
Lavorò anche alla Castanea. Ultima sua residenza
fu Gaggio. Rastrellato nel primo pomeriggio del 2
ottobre 1944 sulla porrettana tra Ca' d'Campanerin e
Casa Fontana (Porretta), fu ucciso all'età di 55 anni
quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio).
Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di
Porretta Terme.
Tra le ore 13 e le ore 18-19
Giuseppe Gentilini fu portato verso Casa Alessio certamente in quel momento, quando all'esterno
dell'abitazione venivano radunati tutti i rastrellati, per essere incolonnati e portati verso Molinaccio.
L'orario poteva essere tra le ore 13 e le 13,30. Nei pressi della Filanda Papi alcune giovani donne
raggiunsero i rastrellati, ai quali portarono qualcosa da mangiare. Le SS osservarono quello che
facevano, quindi le lasciarono ripartire. Pare che tra loro ci fosse l'Eòe Bernardi, la Giovanna Abeti
e la Lorena. Verso le 15-15,30 tutto il gruppo raggiungeva Molinaccio, distante km 5,5 da Silla. La
strada era tutta per aria a causa delle cannonate e dei bombardamenti — ricorda Vito Bortolotti —
che si tolse anche le scarpe durante il tragitto.
Molinaccio è un ampio territorio arido e di calanchi in Comune di Gaggio tra Silla e Marano, e la
porrettana lo divide in due parti, cosicché quella a monte è detta Molinaccio di sopra e quella tra la
porrettana e il fiume Reno, Molinaccio di sotto. Dista km 9 da Porretta (o km 5,5 da Siila) e km 2,4
da Riola di Vergato (o km 2 da Marano). Poco prima del «curvone», a sinistra sulla porrettana
scendendo da Silla vi è un'abitazione detta Ca' di Cristo, in quanto un contadino che l'abitava
aveva quel soprannome. Da qui poco più avanti, in un punto sovrastante il «curvone» della
porrettana (ove, nel campo sottostante la carreggiata, fu perpetrato l'eccidio), vi era un fabbricato
rurale, una stalla (teggia), di proprietà di quel contadino. Qui furono portati i rastrellati e ciò spiega
perché generalmente la voce popolare diceva che l'eccidio fu effettuato a Ca' di Cristo. Nella
scarpata sotto il «curvone» e vicina al Reno vi era la casa ove furono portati nel pomeriggio del 1°
ottobre Francesco Mogano, Armando Bellocchi, Vincenzo Lenzi e i Giovanelli. Il Bettocchi e il
Lenzi — come abbiamo detto — non c'erano più, i Giovanelli rimasero chiusi dentro il piano
superiore di quell'abitazione e Francesco Mogano detto «Mario» da tempo era al lavoro. Gli
facevano portare su e giù l'acqua del fiume Reno, tenendolo occupato. Salvatosi dentro la fossa
sotto i corpi delle vittime di Molinaccio di sotto, in seguito «Mario» raccontò anche di aver visto
quel giorno alcuni toscani al lavoro. Questi stessi nel pomeriggio del 2 ottobre videro i nuovi
rastrellati provenienti da Silla e ciò appare dalle testimonianze delle famiglie dei due toscani, che
non vennero uccisi. Durante quel pomeriggio un'altra persona veniva rastrellata in zona. Era Mario
Vellani, che coi familiari era sfollato a Lustrala (Granaglione). Come ricorda il figlio Oliano, suo
padre fu preso proprio tra gli ultimi e stava ritornando da Bologna in bicicletta con soldi e viveri.
Qualche giorno prima era andato a Bologna, ove aveva una piccola azienda, che faceva zoccoli e
tacchi per scarpe da donna. L'episodio del suo rastrellamento Oliano lo seppe in seguito, da
quanto raccontò lo scampato Francesco Mogano. In base alla testimonianza di Sergio Bettocchi,
quest'ultimo rastrellato sarebbe riuscito a far pervenire un suo scritto alla moglie, attraverso una
donna.
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L'ULTIMA VITTIMA RASTRELLATA A MOLINACCIO
MARIO VELLANI
Nato a Modena il 4.11.1905 da NN. e Giustina Vellani.
Questa si sposò con un certo Lugli, vedovo, che aveva
ed ebbe vari figli. Combattè a Fiume con D'Annunzio
tra le Camicie Azzurre, nazionalisti. A Bologna, ove
emigrò nel 1905, fece diversi lavori: il camionista, il
manovale-muratore (stadio) ed il vigile verso il 1928.
Quell'anno si sposò con Maria Parenti. Mise su a
Bologna una piccola falegnameria per fare zoccoli e
tacchi di scarpe per donna, che segui fino ai primi
bombardamenti della città nel 1942. Sfollò con la
famiglia a Lustrala (Granaglione). Sua ultima residenza
Bologna. Fu rastrellato a Molinaccio sulla porrettana,
mentre tornava in bicicletta da Bologna con soldi e
viveri nel primo pomeriggio del 2 ottobre 1944. Fu
ucciso quella stessa sera all'età di 38 anni a Molinaccio
di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 fu sepolto
nel cimitero di Porretta Terme. Dopo l'ultima
esumazione fu sistemato nell'ossario comune dentro la
cappella del cimitero di Porretta.
Questi rastrellati furono impegnati dalle SS tra la «teggia» del contadino di Ca' di Cristo, la
sottostante porrettana e la scarpata da qui al fiume Reno per tutto quel pomeriggio. Le Giovanelli
ricordano il movimento di quel giorno, ma dovettero starsene col padre nell'abitazione a due piani,
presso il fiume. Ai rastrellati le SS fecero raccogliere vanghe e zappe nelle poche case e stalle dei
contadini vicini e fu loro ordinato di scavare una fossa nel campo, proprio poco sotto il ciglio della
porrettana, nella zona del « curvo-ne ». Fu loro fatto credere che li sarebbe stata preparata una
postazione bellica contro gli americani in arrivo dalla Toscana.
Tra le 18-19 l'eccidio
Secondo la testimonianza di Vito Bortolotti. Augusto Mogano e Silvio Falci, fasciato alla testa,
furono trattenuti a sedere presso quella cosiddetta «postazione» in costruzione, l'uno perché era
anziano e l'altro perché impedito, in quanto malato o ferito. Ad un certo punto pare che Gino
Carboni, trovandosi presso l'abitazione a due piani sul fiume, comprendesse la tragedia che stava
per esplodere. Aveva ascoltato quanto fra loro dicevano alcune SS, e un po' di tedesco lo
conosceva. Tornato alla «postazione», avvertì i compagni di sventura, ma nessuno gli credeva.
Quando la fossa fu pronta, profonda circa mezzo metro e larga circa m 3 x 7 — racconta Vito
Bortolotti — e ai bordi c'era la terra di riporto, un maresciallo ordinava a tutti di entrarvi. Anche il
maresciallo vi entrò. Fece depositare sul bordo della fossa vanghe e zappe e fece finta di contare
gli attrezzi. Nel frattempo la pattuglia delle SS si disponeva tra la «postazione» e di spalle al fiume
Reno. Secondo gli atti di morte di Gaggio erano circa le ore 20,30, secondo quelli di Porretta,
invece, le ore 19. Secondo le testimonianze fino ad oggi raccolte era già abbastanza buio, ma un
barlume di luce c'era ancora. In quei giorni piovosi di ottobre e sulla base di queste testimonianze
l'orario più attendibile era forse tra le 18 e le 19 o poco prima. Dentro la fossa furono fatti entrare
anche Augusto Mogano e Silvio Falci, che erano seduti presso la siepe dislocata tra il ciglio della
porrettana e il campo. Fatta la conta degli attrezzi, il maresciallo usciva dalla fossa ed
immediatamente faceva aprire il fuoco contro gli uomini dentro la buca da quella pattuglia, che si
era trasformata in plotone di esecuzione. L'eccidio veniva consumato con un ulteriore giro
d'ispezione sui corpi crivellati. Sempre secondo la testimonianza di Vito Bortolotti, le SS con una
lampadina tascabile osservarono se tutti erano morti e, su quanti davano ancora segnali di vita, fu
sparato il colpo di grazia.
Anche Francesco Mogano detto «Mario» cadde sotto quei corpi straziati e crivellati. Quell'ultimo
colpo lo ferì marginalmente alla tempia destra e sopra l'occhio, e per un certo tempo rimase sotto
gli altri corpi, il cui sangue gli macchiò tutto il vestito.
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Circa nello stesso orario, quando fu perpetuato l'eccidio di Molinaccio di sotto (o forse poco prima),
a Molinaccio di sopra un gruppetto di SS — secondo gli ordini ricevuti da un capitano presente in
zona — dopo aver fatto lavorare i cinque toscani per tutta la giornata, ne uccideva tre dentro
un'abitazione. Gli altri due, più robusti, furono portati via, per essere impiegati altrove a lavorare di
nuovo con la Todt o per trasportare armi e munizioni, forse tra i monti modenesi e bolognesi.
In base alle testimonianze raccolte dalla Neva Puccinelli, pare che suo padre, prima di essere
ucciso con un colpo alla testa, ferito, implorasse le SS di non lasciarlo morire, avendo lasciato a
casa quattro figli. Una di loro parlava molto bene l'italiano.
Durante quella stessa notte Vito Bortolotti sarebbe riuscito a rimanere illeso e — secondo la sua
versione — sarebbe riuscito a venir fuori dalla buca. Portatesi sulla porrettana e costeggiandola
lungo la siepe verso Bologna, si sarebbe portato a monte, fuggendo su per una valletta e in mezzo
ai campi. C'era la luna quella notte, ricorda. Raggiunta Ca' Lunga, si sarebbe poi diretto a Ca' di
Siila, raggiungendo e svegliando la moglie che era a letto. Ma vari superstiti non concordano su
questa testimonianza, in particolare perché il Bortolotti la mattina del 3 ottobre non si sarebbe fatto
vedere subito come Francesco Mogano, non dette l'allarme e non si presentò come «Mario» con
gli abiti sporchi di sangue. Sulla base, invece, della testimonianza di Vito Bortolotti, questi —
appena raggiunse Ca' di Silla — tentò di svegliare la moglie, che dormiva all'ultimo piano, tirando
sassolini alla finestra, ma nessuno apri.
La moglie, Maria Mogano ved. Tondi (figlia di Augusto Mogano e sorella di Domenico Mogano,
uccisi entrambi a Molinaccio), dormiva con la madre Maria Doralice Raimondi in Mogano. Il
Bortolotti, utilizzando una grondaia, riuscì ad entrare in casa attraverso una finestra coi vetri rotti.
Raggiunta la porta della camera bussò e si fece aprire. Non parlò dell'eccidio, essendoci la
cognata. La moglie l'aiutò a cambiarsi i vestiti e seppe che il padre e il fratello cogli altri erano
rimasti a Molinaccio e che non erano potuti venire con lui. «Ne hai fatta una delle tue!» — gli disse
la moglie, alla vista della camicia con tracce di sangue, ma il marito preferì non dare spiegazioni.
Nascosti i vestiti nel tassello morto del soffitto assieme ai bacchetti, la moglie si fece dire ove il
marito avrebbe passato la notte. Questi, vestitesi con doppio abbigliamento, poco dopo uscì,
andando a dormire in un bosco poco distante da casa. Era circa mezzanotte. La mattina la moglie
l'avrebbe raggiunto prima dell'arrivo di Francesco Mogano e gli avrebbe portato da mangiare,
mettendo in una pozza d'acqua i vestiti del marito, nascosti durante la notte nel tassello. Quella
notte alla Ca' Lunga i due scampati non s'erano incontrati. Francesco Mogano — come ricorda il
fratello Antonio — non svenne dentro la fossa, quando le SS gli dettero il mancato colpo di grazia.
Quando sopra i corpi fu buttato pietrisco e terra, «Mario» si sentì soffocare per la mancanza d'aria.
Poi non ce la faceva più a sopportare il sangue che gli colava addosso, e si trovava anche tra le
interiora degli uccisi...
Passò un quarto d'ora, una mezz'ora? Venne fuori e si buttò già alla ventura verso la scarpata del
fiume. Inciampò anche nel filo spinato, provocando rumori, che fecero ridestare le SS presso
l'abitazione, ove c'erano i Giovanelli. « Mario » si buttò dentro la piena del fiume Reno, rischiando
di annegare e si aggrappò ad un masso, che gli fece anche da riparo. Le SS, infatti, spararono
raffiche all'impazzata, e le pallottole rimbalzarono tutt'attorno. Non lo colpirono. Terminato
quell'inferno, Francesco Mogano passò sull'altra sponda del fiume. Quindi raggiunse il granaio
della Ca' Lunga, ove dormì, e la mattina si portò a Ca' di Siila, ove dette l'allarme. In seguito si
portò a Castelluccio nella pensione Manservisi, ove era sfollato l'ospedale porrettano. Qui si fece
curare, rimanendo a letto per diversi giorni in stato confusionale. Quando arrivarono gli americani
(5 ottobre), un certo Sergio Valdiserri di Silla raccontò ad Antonio Mogano, sfollato nei boschi di
Castelluccio, ciò che era successo. Lo andò a trovare e «Mario», piangendo, riuscì a raccontargli
tutto. Si sfogò, perché non solo gli americani, ma anche altri credevano che fosse andato giù di
testa. Quella tremenda esperienza lo sconvolse per tutta la vita e poche volte ne riparlò. La mattina
del 3 ottobre, dopo ciò che aveva raccontato «Mario», disse la Jolanda Lizzari: «Chi è che ha il
coraggio di venire con me laggiù? Se si è salvato "Mario", si può essere salvato anche qualcuno
dei nostri!». Giovanna Abeti la seguì. Le due donne tagliarono giù per i boschi fino a Serra Zanetti,
ove furono fermate da un tedesco.
«Dove andate?» — chiese. La Jolanda: «Ho saputo che a Riola c'è stato un combattimento.
Aspetto mio marito, che è capo-gestione in ferrovia e deve arrivare da Bologna. Andiamo a vedere,
se è arrivato». «Dove abitate?», chiese. «A Silla», rispose la Jolanda. Il tedesco: «A Silla tanti
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partigiani avere ucciso nostri camerati. Ora kaputt». «Ma noi non stiamo proprio a Siila. Abitiamo
nei dintorni». Il tedesco fece un fischio ed arrivò un altro, che era nei paraggi. Le due donne furono
accompagnate sulla porrettana nella zona di Molinaccio. Un nuovo graduato le interrogò ancora e
la Jolanda Lizzari ripetè le stesse cose. Il tedesco disse loro che le avrebbe fatte prigioniere. A
quel punto la donna s'inginocchiò davanti al tedesco, scongiurandolo di lasciarle andar via, perché
avevano vari figli. «Allora devi avere un marito» — disse il tedesco e chiese di che classe era. La
Lizzari rispose, dicendo che non lo sapeva e che suo marito era comunque militarizzato. Dopo
ulteriori implorazioni il tedesco le fece rilasciare con un lasciapassare e disse loro di tornare
indietro per la strada. In seguito anche altri cercarono di raggiungere il luogo dell'eccidio, ma gli
americani — che erano arrivati — qualche volta li rimandavano indietro, perché i tedeschi
sparavano dalle alture di Bombiana.
Quella mattina del 3 ottobre un tenente disse ai Giovanelli che potevano ripartire. Risalita la
scarpata verso la porrettana, quasi nei pressi del luogo dell'eccidio, videro arrivare un capitano
slanciato delle SS, che s'infuriò contro i subalterni. I Giovanelli intanto s'incamminarono su per la
porrettana e nessuno li fermò. Raggiunta Ca' d'Campanerin, fecero appena in tempo a cambiarsi,
che qualcuno li avvertì dell'arrivo di un gruppo di SS. Cercavano l'uomo col cagnolino e le due
figlie. Si chiamava Mucci quel cagnolino ed era stato affidato ai Giovanelli da un'ebrea tedesca,
perché non avrebbe potuto badarlo. Le SS arrivarono a perquisire le case fino a quella ove c'erano
i Giovanelli. Questi intanto riuscivano a fuggire, dirigendosi verso la zona di Sambuca Pistoiese,
perché si diceva che qui c'erano già gli americani.
Quello stesso giorno un contadino di Molinaccio di sotto vedeva trascinare qui in un campo da
un'abitazione di Molinaccio di sopra i corpi di tre uomini. Erano quelli dei tre toscani. Furono
trascinati giù con una fune legata ai piedi. Due corpi furono infilati con la testa, uno di qua e uno di
là, ai due lati di un tubo, nel quale scorreva l'acqua del campo, ed il terzo abbandonato dentro un
vicino tombino a cielo aperto, o-ve cadeva l'acqua di un fosso. Questa testimonianza siamo riusciti
a raccoglierla dal figlio di questo contadino, morto tempo fa.
6. - Un epilogo
II governatore americano dette l'ordine di disseppellire i corpi degli uccisi dopo un primo diniego
verso la fine di ottobre. Alfredo Palmieri e la moglie Lea Lolli ricordano che quel triste incarico fu
portato a termine «prima dei morti» ed in particolare il 28 e 29 ottobre del 1944. Sul luogo si portò
anche il governatore americano, che non credeva a quella storia. Fu chiesto l'aiuto di alcuni operai,
che stavano lavorando con una cooperativa, per mettere a posto l'ospedale di Porretta. Tra questi
Ermanno Zinchi, Enzo Franchi e Vittorio Piccinelli. Oltre ai familiari vi erano Alfredo Palmieri ed il
barnabita padre Musazzi. Sul luogo si portarono anche Edolo Melchioni, dottorino alle prime armi,
ed il medico di Gaggio, Stefano Filippi. Prestarono la loro opera di soccorso anche diversi
partigiani della Stella Rossa, che stavano passando lungo la strada. I corpi — tra nubi di fumo, per
nascondere quella triste operazione ai tedeschi, appostati in alto sui crinali, il puzzo e nugoli di mosche furono portati al cimitero di Porretta, utilizzando un camion. Le salme dei tre toscani furono
trasportate tra le ultime. Tra le quattordici vittime dentro la buca di Molinaccio di sotto doveva
assolutamente esserci anche il corpo di Cleto Brunetti. Una bara rimase vuota, perché questo
corpo non fu trovato.
Nel dicembre del '44 i due toscani, che i tedeschi preferirono non uccidere a Molinaccio di sopra,
Giuseppe Neri e il viareggino, riuscirono a tornare a casa, in Toscana. Era Natale. Secondo le
testimonianze della famiglia Neri e di quelle degli uccisi, i due toscani superstiti erano riusciti a
sfuggire ancora una volta al controllo tedesco. Tornarono a casa congelati e parlarono del M.
Cimone, del Passo del Cancellino (tra il Corno alle Scale e M. Gennaio) e di una bufera di neve.
Forse per tutto quel periodo furono utilizzati sull'arretrata linea gotica modenese-bolognese per
postazioni militari o trasporto di armi e munizioni.
Nel marzo del 1945 il contadino che stava arando il campo, ove era la fossa delle quattordici
vittime, a pochi metri da questa vide sporgere un braccio. Furono avvertite le autorità. Era il corpo
della quattordicesima vittima, che non era stata trovata alla fine di ottobre del 1944, quello di Cleto
Brunetti. Cosa poteva essere successo? Quella sera del 2 ottobre del '44 tentò una fuga prima
dell'eccidio? Né Francesco Mogano, né Vito Bortolotti hanno mai ricordato un tale episodio, che
certo non poteva venire dimenticato. Forse dopo l'eccidio anche Cleto Brunetti, ferito a morte,
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riusciva a venir fuori da quell'inferno e nell'agonia morì all'aria aperta, dove questa si poteva
respirare. Però fu trovato sepolto sotto uno strato di terra. Chi poteva averlo fatto? Probabilmente
le SS, dopo la fuga di Francesco Mogano tornarono a fare una perlustrazione nel luogo dell'eccidio
e fuori vi trovarono il Brunetti... Ma questa è solo una ipotesi, forse non lontana dalla verità.
Il 26 marzo del 1945 Cleto Brunetti veniva provvisoriamente sepolto nel cimitero di Porretta.
Finita la guerra, i familiari dei tre toscani uccisi erano ancora alla ricerca di notizie dei loro cari. Non
sapevano ancora nulla. Erano finiti in Germania o erano in Italia? Finalmente da Giuseppe Neri e
dal viareggino si venne a sapere che una sera questi due, in compagnia coi toscani ricercati, nel
bolognese... Iniziarono le ricerche, finché don Mazzoni confermò che nel cimitero porrettano erano
stati sepolti tre sconosciuti.. Nel novembre del '45, avuto il permesso del Comune porrettano, i
familiari dei tre toscani procedettero al riconoscimento. Un orologio, un coltello da innesto, una
pipa, un lembo del gilet ed altri reperti fecero loro capire che li avevano ritrovati. Il trasporto delle
salme fu effettuato congiuntamente dalle tre famiglie.
Alla fine di questa ricostruzione vogliamo tentare una sintesi. Come tutti ricorderanno o sapranno,
per ogni militare tedesco ucciso le SS uccidevano dieci italiani. Anche in questo eccidio fu
rispettato questo bieco comando? Vediamo:
1 ) Dieci ci risultano le persone che in vario modo furono rilasciate: Àdelfo Giovanelli, Lidia
Giovanelli, Laura Giovanelli, Armando Bet-tocchi, Corinna Cattani in Gualandi, fratel Francesco,
Umberto Domenichini, Alfredo Palmieri, Giuseppe Neri e il «viareggino».
2) Tre quelle che riuscirono a salvarsi: Vincenzo Lenzi, Francesco Mogano detto «Mario» e Vito
Bortolotti.
3) Diciassette quelle che furono uccise: Menotti Pesciatini, Pio Stefani, Antonio Puccinelli, Augusto
Mogano, Cleto Brunetti, Silvio Falci, Paolo Bernardi, Luigi Lizzari, Vittorino Bernardini, Adelmo
Alberini, Domenico Mogano, Tullio Cinotti, Giuseppe Cinotti, Gino Carboni, Alfonso Vitali,
Giuseppe Gentilini e Mario Vellani.
Trenta persone. Anche in questo caso le SS rispettarono quel loro disumano ed irrazionale
comando.
ALCUNI SCAMPATI ALL'ECCIDIO
II capostazione porrettano Adelfo Giovanelli. Nato a
Bologna PII. 11.1887, è morto a Forli il 24.12.1949.
È sepolto nel cimitero di Cesena.
Vincenzo Lenzi nato a Bagni della Porretta il
6.1.1900 (ma denunciato il 7), faceva il fabbro.
Morto a Porretta il 21.9.1976, è sepolto nel cimitero
porrettano.
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Francesco Mogano detto « Mario » nato a Gaggio
Montano il 3.7.1914. Si salvò sotto i corpi delle
vittime di Molinaccio di sotto. Morto a Bologna il
30.7.1979 è sepolto a Porretta.
Vito Bortolotti, altro scampato tra le vittime di
Molinaccio di sotto. Vive a Laigueglia (Savona).
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BIBLIOGRAFIA
Vogliamo ricordare alcuni testi, sui quali direttamente o di riflesso vi è un aggancio ai fatti di
Molinaccio. Per non annoiare il lettore, ci siamo dispensati di metterne in luce passi erronei, date
sbagliate e testimonianze inattendibili. Sulla base di questa ricostruzione gli stessi lettori potranno
fare le debite comparazioni.
1. - Archivi comunali e lapidi di Porretta e Gaggio.
2. - Archivi parrocchiali di Siila e Porretta.
3. - Giornale dell'Emilia, anno I, n. 18, 5 agosto 1945, in: « I tedeschi mi hanno fucilato » di Enzo
Biagi.
4. - Bologna partigiana 1943-1945, a cura dell'ANPI, Arti grafiche, Bologna, 1951:
A) Caduti di Molinaccio.
Sono ricordati con la foto: Adelmo Alberini a pag. 16 (foto a pag. 19), Vittorino Bernardini a pag. 16
(foto a pag. 23), Mario Vellani a pag. 34 (foto a pag. 53).
Sono semplicemente ricordati senza foto: Paolo Bernardi (pag. 156), Silvio Falci e Giuseppe
Gentilini (pag. 157), Luigi Lizzari e Augusto Mogano (pag. 158).
B) Caduti nel fiume Siila e nel Reno.
Sono ricordati con la foto: Aldo Agostini (pag. 131) ed Etneo Guccini (sotto Guccini, pag. 132).
Sono semplicemente ricordati senza foto: Alberto Mondani (sotto il cognome Modani a pag. 158) e
di nuovo Etneo Guccini (sotto Guccini Edmo a pag. i 57).
5. - La Casa Missionaria dei Padri Barnabiti nel ventennale della sua fondazione, a cura dei
barnabiti, Genova, s.a. (1953). Si veda a pagg. 71-72.
6. - La Squilla, giornale bolognese del PSI: si vedano i nn. 47 e 48 del 1955 e i nn. 3,4, 5, 6 del
1963.
7. - Brigata « Giacomo Matteotti » di Montagna. Diario delle principali operazioni di guerra 19441945, a cura del C.V.L. dell'Emilia-Romagna, Tip. L. Parma, Bologna, 1964. Si veda a pag. 13.
8. - Bergonzini Luciano, La Resistenza a Bologna - Testimonianze e Documenti, voi. Ili, Istituto per
la Storia di Bologna, Galeati, Imola, 1970. Si veda l'accenno a Casa Menante a pag. 366 nel
resoconto di Antonio Giuriolo.
9. - Onofri Nazario Sauro, Documenti dei socialisti bolognesi sulla Resistenza, La Squilla, Bologna,
1975. Si veda l'accenno a Casa Menante a pagg. 15-16 nel diario matteottino e a pag. 34 nel
resoconto di Antonio Giuriolo. Si veda un accenno ad Etneo Guccini nella nota 29 a pag. 25.
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Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi
non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti vide fuggire
ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro d'ogni macigno soltanto colla roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità non per odio
decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo
su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
Testo dettato da Piero Calamandrei (Firenze, 1889-1956) sulla lapide per la città di Cuneo in
occasione, dell'VIII anniversario di Tancredo Galimberti detto Duccio il 3 dicembre 1952, in
risposta all'affermazione di Kesselring, comandante delle divisioni tedesche in Italia: «Gli italiani
dovrebbero farmi un monumento».
Duccio Galimberti (Cuneo, 1906, Centallo 1944) avvocato e patriota il 26.7.1943 in un discorso
tenuto nella piazza principale di Cuneo chiese per primo la guerra contro la Germania. Ferito il
17.1.1944 in Val Grana, fu personaggio di primo piano nella lotta partigiana piemontese. Arrestato
casualmente a Torino il 28 novembre 1944, venne ucciso dai fascisti il 3 dicembre 1944. Citato l'8
dicembre all'ordine del giorno del CLN piemontese quale eroe nazionale, ebbe la medaglia d'oro al
valor militare alla memoria, la prima concessa a un partigiano.
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2 Ottobre 1944 - Comune di Porretta Terme