COMUNE DI PORRETTA TERME - ANPI DI PORRETTA TERME BIBLIOTECA PUBBLICA DI PORRETTA DEL CONSORZIO PROVINCIALE Con il patrocinio del: COMITATO PROVINCIALE DELLA RESISTENZA E DELLA LOTTA DI LIBERAZIONE DI BOLOGNA Resistenza nell’Alto Reno sul fronte porrettano-gaggese della linea gotica: L'ECCIDIO DI MOLINACCIO 2 Ottobre 1944 Una prima completa ricostruzione dopo minuziose indagini a distanza di trentasette anni Testo e Ricerca Fotografica: Prof Pier Angelo Ciucci ____________________________________________________________________________________________ In occasione dell'inaugurazione ufficiale della lapide-cippo alla memoria durante le celebrazioni del 25 aprile 1981 e nel XXXVII anniversario dell'eccidio. Porretta Terme - Aprile 1981 1 2 PER NON DIMENTICARE In questi anni di recrudescenza terroristica e di violenza antidemocratica molte volte il ricordo è tornato agli anni, quando il fascismo dominava l'Italia e negava ai popolo italiano i principali diritti della libertà e della democrazia. Tra il 1943 ed il 1945 {il periodo bellico sul quale ci siamo soffermati) la guerra contro l’ex alleato nazista col nuovo alleato anglo-americano (ma entrambi stranieri) imperversò anche sul nostro Appennino e nell'alto Reno, dove la barbarie delle SS commise ciechi soprusi e indimenticabili tragedie. Anche qui la violenta irrazionalità bellica scrisse pagine di sangue contro la lotta attiva e silenziosa delle nostre popolazioni e dei partigiani: — eccidio di 9 vittime il 4 luglio 1944 a Biagioni ( Comune di Granaglione); — di altre 5 il 12 agosto l944 a Castelluccio (Comune di Porretta Terme); — di altre 29 il 27 settembre 1944 a Ca' Berna (Comune di Lizzano in Belvedere); — di altre 69 il 29 settembre 1944 a Ronchidoso (Comune di Gaggio Montano). Ma sulle strade, nelle case e tra i monti caddero tante altre vittime residenti o sfollate sotto il piombo nazista, anche per cannoneggiamenti e bombardamenti di entrambi gli schieramenti stranieri, dei vecchi e dei nuovi alleati. E nella guerra c'era un'altra guerra: quella civile dì italiani (fascisti e repubblichini) contro italiani (antifascisti antinazisti). Fu complessivamente la guerra di Resistenza e di Liberazione Nazionale. In questo opuscolo vengano ricordate: — 4 vittime uccise dalle SS a Silla nel fiume Reno e in quello del Silla il 24 ed li 29 settembre 1944; — ed i 17 massacrati dell'eccidio di Molinaccio (Comune di Gaggio Montano), l'ultimo perpetrato dalle SS nell’alto Reno il 2 ottobre 1944: 3 a Molinaccio di sopra e 14 a Molinaccio di sotto. Erano amici, compagni, lavoratori, contadini, meccanici, artigiani, ferrovieri, residenti e sfollati, rastrellati a Silla (Comune di Gaggio Montano), a Casa Fontana (Comune di Porretta Terme), sulla porrettana, la strada del fondovalle del Reno, (da Molinaccio a Silla fino a Porretta) e sulla diretta di Silla (o provinciale di Gaggio Montano). Non è stato facile ricostruire la meccanica dì quegli avvenimenti in questo fondovalle strategico e secondario della Linea Gotica, mentre i nazisti si ritiravano sulle alture di Gaggio e Montese o verso il bolognese, e gli americani avanzavano dalla Toscana su per il Passo della Collina e per la traversa di Pracchia, trentasette anni fa. La gotica e il Po erano l'ultima difesa a sud del Reich nazista. Un ultimo dato significativo. Secondo quanto il maggiore Walter Reder affermò al processo dì Bologna (18 settembre - 31 ottobre 1951), egli col suo 16° battaglione Aufklarung “Recce Unit” (appartenente alla XVI Div. SS Panzer Grenadier del gen. Max Simon) il 15 settembre 1944 dal carrarese raggiungeva S. Marcello Pistoiese e si fermava a Prunetta fino al 21. All’alba del 29 settembre iniziava la strage di Marzabotto. In quel fine settembre, dunque, Walter Reder transitava per i valichi tosco-bolognesi-modenesi dell'Appennino con le sue SS di morte: c 'è chi ha scritto giù dal lago Scaffaiolo e da Pian d'Ivo verso Ca' Berna... Non abbiamo indagato su questo aspetto, in quanto nostro compito era disseppellire dalle pagine storiche dell'epoca il dimenticato eccidio di Molinaccio, il terzo e l’ultimo perpetrato in quei giorni nell'alto Reno. Ciò spetta di dovere a quanti vivono e ricordano a Ca' Berna, a Ronchidoso, e nei dintorni, per una irrinunciabile e doverosa ricostruzione critica anche di questi due eccidi. 3 Allora l'alto Reno brulicò, accanto a più coscienziosi reparti della Wehrmacht, di famigerate squadre e pattuglie di SS (anche se talune dimostrarono a loro rischio elementi di umanità), e di genieri e guastatori, che tra loro e le avanzanti avanguardie americane facevano «terra bruciata». Una lapide-cippo e questo opuscolo vogliono perpetuare nel tempo il ricordo delle vittime di Molinaccio e dell'alto Reno ad opera dei superstiti attraverso i Comuni di Porretta Terme e di Gaggio Montano. All'inizio di una riunione del Consiglio comunale di Porretta, fatta nella sala della Biblioteca pubblica il 19 settembre 1979, mi fu chiesto di ricostruire questo terzo ed ultimo eccidio nell'alto Reno, nel quale furono coinvolti anche molti porrettani direttamente o di riflesso. Dalle ricerche, iniziate già nell'inverno 1976/77 e portate a termine, è stato tratto il presente opuscolo come doveroso omaggio alla memoria dei caduti, per non dimenticare e per continuare ancor oggi la battaglia per la pace, la libertà e la giustizia, sancite già nel 1944 dal sangue non solo di queste vittime, ma di quanti caddero o lottarono durante e dopo la Resistenza. Un sentito ringraziamento a tutti coloro che, con grande passione ideale e onestà storica, hanno contribuito alla presente ricostruzione: 1. - Comuni: Bologna, Castel di Casio, Cecina, Gaggio Montano, Lucca, Modena, Piombino, Porretta Terme. 2. - Parrocchie: Porretta Terme, Silla (Gaggio Montano). 3. - Reduci: Americani, Brasiliani, Partigiani bolognesi. 4. - Famiglie caduti nei fiumi Reno e Silla: Agostini, Guccini, Lenzi, Mondani. 5. - Famiglie e amici dei caduti di Molinaccio: a) Toscani: Neri, Pesciatini, Puccinelli, Roventini, Stefani, Trovatelli. b) Emiliani: Alberini, Bernardi, Bernardini, Borgognoni, Brunetti, Carboni, Cinotti, Falci, Gentilini, Lizzari, Mogano, Vellani, Vitali. 6. - Altri superstiti e testimoni: Domenico Agostini, don Enea Albertazzi, Aldo Bettocchi, Sergio Bellocchi, Vilo Bortolotti, Giovanni Cantini, Maria Cattani, Maria Giulia Canoni in Lenzi, Libero Cinotti, Maria Fortuzzi, Enzo Franchi, Giulio Giovanelli, Laura Giovanelli, Lidia Giovanelli, Rina Gualandi in Melchioni, Roberto Guccini, Rosina Guccini, Ruggero Guccini, Fanny Lenzi in Pranzini, Ivo Lenzi, Lina Lenzi, Lea Lolli in Palmieri, Renato Managlia, Luciano Musini, Edolo Melchioni, Bonfìglio Mondani, Urio Nanni, Giuseppe Negretti, Alfredo Palmieri, Dante Pastorelli, Vittorio Piccinelli, Francesco Zangheri, Ermanno Zinchi, ecc. Mi scusino amici e superstiti per eventuali omissioni sfuggitemi, per inesattezze o particolari trascurati e tralasciati. Quanti credono di dover completare o correggere il presente testo, ricostruito con notevoli difficoltà — purtroppo a distanza di trentasette anni — non temano di scomodare alcuno e si rivolgano o scrivano all'autore presso il Comune di Porretta Terme. P.A.C. 4 CAPITOLO I QUATTRO VITTIME NEL FIUME RENO E NEL SILLA Tornando da Roma, al Passo della Collina tra il 20 ed il 22 settembre veniva fatto prigioniero con un'arma in tasca il diciottenne Aldo Agostini. Stava tornando a casa, a Porretta, ignaro di trovare una situazione peggiore che nella capitale liberata. Rinchiuso per due giorni nel magazzino della casa cantoniera sulla porrettana, sotto il cimitero di Porretta, nel pomeriggio domenicale del 24 settembre del 1944 la Gina, moglie di Domenico Cattani, lo vide prelevare e trasferire dai tedeschi in direzione di Silla. Guadato il ponte, non ancora minato dai guastatori tedeschi, fu condotto oltre la zona del Molino Guccini, in località Singiarello (Silla), e qui dalla porrettana fatto scendere sul greto del fiume Reno. Denudato, veniva barbaramente ucciso verso le ore 17 dalle SS, che gli spararono in mezzo alla fronte tra gli occhi. La Gina vide tornare i tedeschi coi vestiti di Aldo Agostini e comprese quello che era accaduto. Raggiunto il fondo della diretta di Silla, per salire a Capanna di Foresta, incontrò Bonfiglio Mondani, al quale raccontò l'accaduto e gli chiese di accompagnarla. Anche i Bettocchi, contadini che stavano di là dal fiume Reno in territorio di Castel di Casio, videro il corpo di Aldo Agostini, senza sapere chi poteva essere, e avvertirono i sillani. Nel pomeriggio del 25 settembre Bonfiglio Mondani, rassicuratesi che non ci fossero tedeschi in giro, raggiungeva località Singiarello, per prelevare il corpo di Aldo Agostini, ma la madre che gli era corsa dietro lo fece rincasare, dopo aver rannicchiato il corpo in un anfratto. ALDO AGOSTINI Nato a Bagni della Porretta il 27.7.1926 da Luigi Agostini ed Elvezia Bettocchi. Aiutava il padre, commerciante di professione. Residente a Porretta, fu ucciso all'età di 18 anni in località Singiarello (Silla). È sepolto nel cimitero di Porretta Terme. 5 FEDERICO LENZI Nato a Gaggio Montano il 16.1.1880 da Luigi Lenzi e Mitilde Brunetti. Fece la carriera militare in Toscana e divenne maresciallo nei RR.CC. Residente a Gaggio, fu ucciso all'età di 64 anni al ponte distrutto di Silla. Fu provvisoriamente sepolto nella sua trattoria dentro una cassa, che una certa Pia, madre di quattro figli, era andata a prendere verso Bombiana, ove stava recandosi. È oggi sepolto nel cimitero di Porretta Terme. Quello stesso pomeriggio i Mondani assieme ai Guccini del Molino prepararono una rudimentale cassa, per raccogliervi il corpo di Agostini, ma una pioggia torrenziale impedì loro di muoversi. Portato via dalla piena del fiume Reno, in seguito il corpo di Agostini fu trovato a-dagiato sul greto del fiume in una piana nei pressi dell'imbocco della galleria di Pian di Casale, guardante Bologna. Mani pietose l'avevano legato su una scaletta di legno. Nella notte tra il 28 ed il 29 settembre i guastatori tedeschi con cariche di tritolo facevano saltare completamente i piloni del ponte di Siila. Fin dall'estate aerei angloamericani avevano tentato di abbatterlo e in parte lo colpirono il 3 ed il 13 settembre. In quest'ultimo bombardamento perse la vita Silvio Cattani, che si trovava nei pressi. A causa di questi tentativi aerei la popolazione e lo stesso abitato di Siila erano continuamente minacciati, cosicché don Enea Alber-tazzi, parroco di Siila dall'aprile di quell'anno, consigliò i partigiani di abbattere il ponte, ma la continua presenza dei tedeschi in zona non permise l'attuazione del progetto. Il 29 settembre era la festa di S. Michele di Capugnano (Porretta) e da quel giorno alcuni sfollati cominciarono a scendere nella cittadina termale. Porretta e tutto il fondovalle della por-rettana e del Reno, da Ponte della Venturina alla Ferriera di S. Croce e Casa Alessio (Porretta), poco distante dal ponte di Siila, fino alla mattina del 5 ottobre fu « terra bruciata » e libera « terra di nessuno ». Di notte qualche retroguardia nazista si ritirava ancora verso il bolognese e verso le alture di Gaggio, Montese e Sestola, ove si stava assestando l'arretrato fronte tedesco in questa parte secondaria della linea gotica (dal Tirreno toscano alla porrettana). Queste alture — dominanti da una parte la valle del Leo e del Panare e dall'altra quella della Dardagna e dell'alto Reno — erano già state perlustrate dai tedeschi sin dal luglio del '44. Questa parte della linea gotica (Gotenstellung) o linea verde (Grùne Linie) era stata fortificata sui seguenti crinali: Abetone, Cima Tauffi, M. Spigolino, Monti della Riva, M. Belvedere, Corona, M. Gorgolesco, Ronchidoso, Cargè, M. Castello, M. Torraccia (M. Francescone), M. delle Vedette. Ebbene quella mattina del 29 settembre anche al trivio stradale di Siila (sulla SS 64 per Porretta o per Bologna e sulla provinciale di Gaggio per Lizzano, Gaggio, Montese), si andava raccogliendo un crocchio di persone. In quel punto della porrettana da un lato c'era l'abitazione (tra Molino Guccini e l'oratorio di S. Bar-tolomeo) di Alberto Mondani e di fronte la trattoria del maresciallo in pensione Federico Lenzi, detto Antonio (« Tugnin »). Il magazzino della « trattoria del maresciallo » — come la chiamavano — era ben rifornito e per questo faceva gola a tanti, specie ai tedeschi di passaggio o in perlustrazione. Il maresciallo non era voluto sfollare, cosi l'antifascista Alberto Mondani. Qualche giorno prima il maresciallo ebbe il viso tumefatto dai tedeschi, che volevano entrare per forza nella trattoria. La sua abitazione era però sulla diretta di Siila e quella mattina del 29 da qui stava dirigendosi verso il trivio con un ombrello in mano. Alberto Mondani era davanti a casa con altri. 6 ALBERTO MONDANI Nato a Grizzana il 25.4.1888 da Luigi Mondani e Maddalena Zanini. Antifascista, fece il manovale, il terraiolo e l'operaio alla Daldi & Matteucci nel 1942 e nel 1944. Residente a Gaggio, fu ucciso all'età di 56 anni al ponte distrutto di Silla. Rimase impigliato tra le macerie sotto l'acqua in una burga. Fu provvisoriamente sepolto nella sua abitazione presso l'oratorio di S. Bartolomeo dentro quella cassa — preparata dai Guccini di Molino Guccini e da Bonfiglio Mondani, il nipote — che avrebbe dovuto contenere il corpo di Aldo Agostini, trascinato via dalla piena a Singiarello. È sepolto nel cimitero di Porretta Terme. In quest'unica foto che abbiamo rintracciato del Mondani, si vedono ancora le macchie di sangue, quando venne ucciso. Teneva la foto nel portafoglio. Alcune SS presenti in zona, certo retroguardie nervose in perlustrazione, ebbero da ridire con l'energico maresciallo, che non voleva dar loro. l'ombrello. Lasciando andare le donne presenti, la «Maria» ovvero l'Agrippina (madre di Bonfiglio Mondani) e la Romana Guidoreni, prelevarono il maresciallo e Alberto Mondani, e li trascinarono sul limitare del ponte abbattuto di Silla. Federico Lenzi aveva al braccio la sua fascia dell'UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), con la quale poteva girare, perlustrando linee elettriche e case per eventuali rifugi. Colpiti entrambi da un colpo di baionetta allo stomaco, le SS li finirono sparando loro nel petto, poi furono precipitati giù tra i flutti del fiume Siila e le macerie del ponte. Erano circa le ore 9. Furono raccolti il 30 settembre e questa apparve come la loro data di morte in documenti ufficiali, nei quali la dicitura di morte presso il « ponte di ferro » (pur alla data del 2 ottobre '44) è senza dubbio successiva. Il « ponte di ferro » o « Bailey bridge » fu infatti costruito dopo l'arrivo degli americani, che raggiunsero Porret-ta solo nella mattina avanzata del 5 ottobre, come risulta da un loro diario militare. Quella stessa mattina del 30 il corpo di Etneo Guccini — come diremo dopo — fu trovato affiancato a quello del maresciallo dal padre e da Vittorio Piccinelli, che erano andati a prelevarlo. I corpi del maresciallo Lenzi e di Guccini furono deposti su assi nel greto del fiume da Augusto Lenzi e Luigi Chiari. Così ricorda Bonfiglio Mondani, nipote dell'ucciso Alberto, detto «Berto». Quella mattina lui stesso con la zia Angela Mondani cercò il corpo dello zio. Prima di trovarlo dovettero darsi da fare. Era rimasto sotto l'acqua, impigliato in una burga. Fu agganciato per la giacca con un bastone che avevano approntato ed al cui capo sistemato un ferro a mo' di uncino. Il Chiari e il Lenzi li aiutarono per trasferire il corpo di « Berto » nella loro abitazione. Furono aiutati anche da altri, che erano nei paraggi del fiume per raccogliere legna. Anche nel libro delle esequie presso il parroco di Siila la data della morte del maresciallo Lenzi e del Mondani è data al 29 settembre. Questi appunti, attendibili senza dubbio — come lo sono anche per gli uccisi di Molinaccio — venivano scritti su foglietti di carta dal barnabita padre Musazzi. Quella stessa mattina del 29 settembre da Capugnano (Porretta) scesero a Porretta diversi sfollati, perché i tedeschi nella notte se n'erano andati. Scesero anche i Guccini e ci fu chi pensò di far sventolare un drappo rosso sulla torretta della casa del fascio. Con loro c'era anche Etneo Guccini, un ragazzo di 17 anni. In precedenza e-ra già stato prelevato dai tedeschi, che lo fecero lavorare verso Castel di Casio, trattenendolo di notte nelle carceri porrettane. Fatto uscire per l'intervento della madre, per qualche tempo se ne stette a M. Cavallo col gruppo partigiano di Urio Nanni, poi tornò a casa. Nella mattinata del 29 settembre una pattuglia tedesca veniva da Siila su per la porrettana verso Porretta, sparando colpi in aria e facendo credere di volersi arrendere e di voler andare coi partigiani. Così raccontò Galileo Gualandi, il cantoniere, che in bicicletta se ne venne 7 verso Porretta, avvertendo del fatto coloro che incontrava, come Renato Managlia, Vito Venturi detto « Mimina » e un altro, i quali in quel momento — provenendo da Corvella — si trovavano davanti al collegio Albergati. Anche loro sentirono i colpi sparati per aria e in direzione della Berzantina dalla pattuglia in arrivo. Al racconto del cantoniere risposero: « Se i tedeschi vogliono andare coi parti-giani, dì loro che vengano avanti disarmati! », ma il Gualandi continuò verso il centro di Por-retta. Anche i Guccini da via Terme udirono colpi d'arma da fuoco provenire da oltre via Mazzini e preferirono rientrare, ma Etneo Guccini corse a vedere, ritrovandosi al centro della porrettana (tra i giardini del monumento ai caduti del 1915/18 e l'albergo Roma), tra un crocchio di persone, fra le quali Febo Baccolini. Il cantoniere raccontò cosa stava succedendo ed Etneo Guccini, con un'arma in tasca, sicuro del fatto suo disse: « So io come fare per fermarli. Se vogliono andare coi partigiani, so io dove sono! ». Inforcata la bicicletta del cantoniere, partì in direzione della pattuglia su per via Mazzini. Nella zona della vecchia officina Demm, ove oggi vi sono i distributori della Esso, Etneo incrociò i tre che provenivano da Corvella, ma non volle fermarsi al loro richiamo di tornare indietro. Gli corsero dietro. All'altezza di villa Baldi sulla SS 64 (poco prima di villa Uguccioni) lo videro incontrare la pattuglia. Venne fatto scendere dalla bicicletta e gli fu caricato sulle spalle uno zaino, contenente forse armi o munizioni. Era circa poco prima di mezzogiorno. Dopo di ciò la pattuglia con Etneo tornò indietro verso il cimitero, sparendo agli occhi de* tre giovani di Corvella oltre il curvone. Cosa successe dopo non sappiamo. Dal cimitero di Torretta al ponte di Siila vi è circa una mezz'ora di strada e l'atto di morte precisa che Etneo Guccini fu ucciso verso le ore 19. In quel periodo forse la pattuglia si fermò da qualche parte per il pranzo? Etneo Guccini fu perquisito e gli trovarono addosso l'arma che a-veva o questi tentò, per fuggire, un'azione di sorpresa? Non abbiamo fino al presente trovato testimonianze al riguardo. Verso le 19 Etneo Guccini fu portato al ponte di Siila e fu ucciso tra le macerie, vicino al luogo ove in mattinata i tedeschi avevano fatto fuori anche il maresciallo e il Mondani. Mani pietose la mattina dopo affiancarono il corpo di Guccini a quello del maresciallo. Quella stessa mattina del 30 settembre il babbo Amedeo scese a Siila e, fattosi accompagnare a Casa Fontana da Vittorio Piccinelli, raggiunse il luogo, per raccogliere il corpo del figlio. Era scalzo ed era stato colpito da raffiche al ventre e alle ginocchia. Trasferito a spalle fino alla « Trattoria della Mariuccia » (cioè di Elisa Bernardi detta Maria), oggi bar Pallino, alla Pucciga, da qui su una scaletta il corpo di Etneo Guccini fu poi trasportato a Porretta, quindi al cimitero di Capugnano, passando dalla zona del la-ghetto termale. Anche Augusto Mogano e Giuseppe Gentilini — due caduti di Molinaccio — videro sul greto del Siila, lambito dall'acqua, il corpo del Lenzi. Erano andati a cercar legna, trasportata dal fiume. ETNEO GUCCINI Nato a Bagni della Porretta il 18.5.1927 da Amedeo Guccini e Isolina Guidotti. Fece l'aiuto fornaio dai Corsini. Residente a Porretta, fu ucciso tra le macerie del ponte di Silla all'età di 17 anni. Trasferito nel cimitero di Capugnano (Porretta), in seguito fu sepolto nel cimitero di Porretta Terme assieme ad altri caduti partigiani. 8 CAPITOLO II LE 17 VITTIME DI MOLINACCIO 1. - Situazione bellica sul fronte gotico occidentale dell'Appennino e nell'alto Reno In quel fine settembre pattuglie di retroguardia, sconfinando da Siila, perlustravano il porrettano con azioni certo avventate. Aspettavano l'ordine di ritirarsi definitivamente, ma dovevano anche riferire — via radio — sulla presenza dei partigiani e l'avanzata americana. Altrettanto facevano gruppi americani in ricognizione avanzata. Dall'estate fino ai primi di ottobre del '44 solo formazioni partigiane tennero testa ai tedeschi sull'Appennino gotico dal Tirreno alla SS 64: i garibaldini della T div. Modena del gen. Armando (Mario Ricci) sui monti reggiano-modenesi; i garibaldini di Gino Bozzi, il gruppo di Urio Nanni e del Toscanino (Alfredo Mattioli), i matteottini della brigata Matteotti di montagna del cap. Toni (Antonio Giuriolo) e la Giustizia e Libertà di Pietro Pandiani sui monti tosco-bolognesi. Nella valle del Setta fino a M. Vigese e M. Ovolo vi erano quelli della brigata Stella Rossa del «Lupo» (Mario Musolesi). Notevole fu l'esperienza militare dei partigiani di Armando. Tra l'8 e il 18 giugno del '44 avevano conquistato ai nazisti un ampio territorio intercomunale di circa 1200 kmq (Montefiorino, Frignano, Frassinoro, Polinago, Toano, Ligonchio, Villa Minozzo), creando quella che fu definita la «repubblica di Montefiorino». Quest'ultimo Comune fu occupato il 17 e 18 giugno. Furono insediati i CLN e rieletti sindaci ed amministrazioni comunali, ed i partigiani ridistribuiti in sei divisioni (I « Ciro Menotti » di Giuseppe Barbolini; II di Mario di Modena; III di Renato Giorgi detto «Angelo»; IV di Marcelle Catellani; una V detta « d'assalto » e in riserva di Mario Nardi con un insieme di quattro battaglioni; ed una VI in fase di costituzione di A. M. Ettore Sighieri). Dopo 45 giorni la repubblica fu attaccata dai tedeschi in una morsa concentrica per tre giorni consecutivi dal 30 luglio (una domenica) al 1° agosto '44 e riconquistata, debellando le ultime resistenze partigiane il 3 e 4 agosto a Gom-Jjola (Polinago). I paesi furono dati alle fiamme, così Montefiorino il 6 agosto, ed i partigiani dovettero evacuare la zona verso la pianura padana, la valle del Panare, i crinali tra il M. Cimone ed il Corno alle Scale (Monti della Riva) e la Toscana. Da allora su tutto l'Appennino tosco-bolognese e modenese fu attuata contro i tedeschi in ritirata quella «guerriglia sulle strade», che fu delineata dal CUMER (Comando Unico Militare per l'Emilia Romagna). Sorto verso la fine di aprile del '44, era questo un organo militare, dipendente da quello politico, il CLNER (Comitato di Liberazione Nazionale dell'Emilia Romagna, sorto a Bologna il 16 settembre 1943), e doveva cercare di collegare e inquadrare renitenti alle leve repubblichine, sbandati, partigiani, sia in pianura che in montagna, contro nazisti e fascisti. Così anche nell'alto Reno. Alla fine di settembre i partigiani di Armando filtravano tra i tedeschi in ritirata e dai Monti della Riva si portavano verso il lizzanese ed il porretta-no, congiungendosi coi partigiani bolognesi: il 27 settembre erano a Ca' Berna (ove i tedeschi stavano effettuando un eccidio di 29 persone), il 28 raggiungevano Pianaccio (Lizzano) ed il 29 (mentre i tedeschi compivano l'eccidio di Ronchidoso) erano coi partigiani bolognesi sul crinale porrettano Capugnano-CastelluccioPennola, avviando congiuntamente l'occupazione dell'alto Reno e di alcuni vicini Comuni toscani, mentre le frazioni alte del porrettano (Capugnano, Castelluccio) erano già in mano ai partigiani sin dal 26 settembre. Nel '44 la campagna militare estiva del nuovo alleato straniero (gli «angloamericani») era iniziata l'11 maggio e veniva terminata il 13 novembre. Il 7 giugno del '44 il gen. sir Harold Rupert Leofric George Alexander, comandante supremo fino al 16 dicembre '44 (quando fu sostituito dal gen. Mark W. Clark) del XV Gruppo di Armate angloamericane presenti sul suolo italiano, e composto da due armate (5a Army USA: gen. Mark W. Clark fino al 16 dicembre '44, poi il gen. Lucian K. Truscott; 8a Army britannica: gen. sir Oliver Leese fino al 1° ottobre '44, poi il gen. Richard McCreery), aveva dato il via per fare arretrare dal Lazio le forze naziste. Il feldmaresciallo Albert Kesselring era il comandante supremo delle forze tedesche allora presenti sul fronte italiano, il Gruppo d'Armate «C», anch'esso composto da due armate (14 Armee: gen. Joachim Lemelsen fino al 23 ottobre, poi il gen. Heinz Ziegler; 10a Armee: gen. Heinrich von Vietinghoff-Scheel fino al 23 ottobre, quindi il gen. J, Lemelsen fino al 24 novembre, infine il gen. Traugott Herr). Attraverso la Toscana e l'Umbria le divisioni tedesche, inseguite dagli angloamericani ed ostacolate dai partigiani, raggiungevano la linea gotica, detta anche linea Pisa-Rimini o linea Livorno- 9 Ancona (ma anche linea Churchill o linea Rommel o linea Gengis Khan) il 25 agosto del '44. Il piano originario di sfondamento della linea gotica (piano Harding-Alexander), elaborato il 6 giugno del '44, fu modificato ad Orvieto il 4 agosto da John Harding, Alexander ed Oliver Leese (piano Olive). Il 26 agosto iniziava lo sfondamento, che però fu cessato il 27 ottobre per faziose ragioni politico-militari internazionali. In Toscana, dal Tirreno alla porrettana ed alla Futa (SS 65 e SS 503) Kesselring aveva distribuito la sua 14a Armee (gen. Lemelsen) alla quale Alexander aveva contrapposto la sua 5a Army (gen. Clark). Il 19 settembre gli angloamericani conquistavano il Passo del Giogo, il 22 il fortificato Passo della Futa (aggirato sulla SS 503) ed il 27 il Passo della Raticosa. Oramai erano a 14 chilometri da Bologna. Il fianco sinistro della gotica dal Tirreno alla porrettana doveva servire solo come fronte di finto attacco e di alleggerimento. Nella notte tra il 7 e l'8 settembre i partigiani entravano a Pistoia, raggiunta dal IV Corpo USA corazzato (gen. Willis Crittenberger) il 12. Il 29 e 30 settembre questo corpo si preparava nella zona di Montecatini Terme per raggiungere Porretta dal paese della Collina e da Pracchia. Da allora al 5 ottobre verso Porretta («terra bruciata» e libera «terra di nessuno») furono inviati gruppi d'avanguardia in ricognizione e perlustrazione. La mattina del 1° ottobre gli americani si mettevano in marcia verso il Passo della Collina su per la porrettana, ma anche per la traversa di Pracchia, approntando «Bailey bridges», laddove i guastatori tedeschi avevano minato i ponti ed anche bloccato la strada con fili spinati di sbarramento. Quel giorno il comando fu posto in località Signorino, poco sotto il Passo della Collina. Erano le ore 11,05. Un comando dell'OSS (Offices Strategie Service) s'insediò a Pracchia. Era questa un'organizzazione politico-militare, creata da un amico di Roosevelt, William Donovan (detto Wild Bill, selvaggio Bill) e trasformatasi nel dopoguerra nell'attuale CIA (Central Intelligence Service). Il 5 ottobre alle ore 10 gli americani raggiungevano Bellavalle e poco dopo l’11° battaglione della la Div. USA (gen. Vernon E. Prichard) del IV Corpo USA della 5a Army «occupava» Porretta, Capugnano e Castelluccio («The llth Infantry Battalion troops occupied Porretta Terme»). I brasiliani, affiancati alla 5a Army ed in particolare al IV Corpo USA, dalla valle del Serchio raggiunsero l'alto Reno tra il 30 ottobre ed il 9 novembre del '44. I primi arrivarono a Porretta il 2 novembre col 2° battaglione (magg. Abilio Cunha Pontes) del 6° reggimento di fanteria della Forza di Spedizione Brasiliana (gen. maresciallo Joào Baptista Mascarenhas de Moraes). Tra la fine di settembre e i primi di ottobre del '44 il tempo fu bruttissimo. La pioggia cadde a scrosci incessantemente, i fiumi erano in piena e sui monti più alti gli alleati videro le cime innevate. Anche per questi motivi l'avanzata americana procedette lentamente ed i comandi dovettero fornire ai soldati stivali e giacconi. 2. - I precedenti del rastrellamento delle vittime di Molinaccio Nel mattino avanzato del 30 settembre 1944 una pattuglia tedesca in perlustrazione arrischiata dal fiume Siila si era portata verso Capugnano, per controllare le mosse dei partigiani, di stanza a Castellare e a Castelluccio. Nascostasi in una pinetina (presso la Ca' d'ia Maria Chiotti), da qui vide scendere da Castelluccio verso Porretta sulla strada Castelluccio-Capugnano-Porretta un side-car con sopra Urio Nanni, Vincenzo Dondarini detto «Dondarone» e un altro, i quali precedevano un automezzo con sopra un gruppo di partigiani, guidato da Alberto Degli Esposti. Stavano dirigendosi verso Porretta, per prenderne il controllo. Lasciato passare il side-car, la pattuglia aprì il fuoco contro l'automezzo ed i partigiani, sorpresi da quell'imboscata, tentarono una difesa ed una risposta. Nello scontro cadde ucciso il partigiano sovietico Kisielov Alexey Kirillovic di 17 anni. Era nato nel 1927. Anche un altro partigiano sovietico rimase ferito e successivamente fu trasferito in un ospedale di Firenze, per curarsi. Cadde ferito gravemente anche l'autista Degli Esposti, detto «Giramai» perché visitò vari Paesi esteri. Il Degli Esposti fu trasportato dai compagni di lotta nella pensione Manservisi di Castelluccio (affiancata all'omonimo castello ottocentesco), ove era sfollato l'ospedale porrettano, e quivi morì quella stessa sera verso le ore 19. Il side-car dovette tornare indietro assieme all'automezzo, rinunciando a Porretta, e la pattuglia si ritirò in fuga giù per la Biricioccola, Gadelle e Salgastri oltre il Silla. Come scrisse Antonio Giuriolo, il cap. Toni, in un suo resoconto, il giorno dopo i matteottini e altri vendicarono l'imboscata, circondando un'altra pattuglia tedesca (qualcuno pensò fosse la stessa) a la M'nent, Casa Menante (Porretta), in località Bellavista sopra il cimitero porrettano. 10 1° Ottobre 1944 3. - Insediato il CLN di Porretta - Lo scontro di Casa Menante Domenica 1° ottobre nella sede delle scuole elementari di Castelluccio i partigiani assieme alle forze politiche insediavano il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Porretta con presidente e anche come sindaco del Comune il dr. Emilio Buini, che già lo era stato dal 1909 al 1912. Questi gli altri componenti del CLN: — per il PCI: Adriano Santi, Enrico Agostini; — per il PSI: Vincenzo Masotti, Federico Baia; — per il Pd'A: Eutimie Gandolfi, Vittorio Abo-laffio; — per la DC: Mario Facchini, Florindo Bernardini; — per i giovani: Vincenzo Zagnoli, Adler Asmara (segretario del CLN). Solo il 12 ottobre fu insediata la Giunta comunale: — per Porretta: Folco Lorenzini, Francesco Cencini, Giuseppe Pozzi, don Augusto Smeraldi; — per Castelluccio: Daniele Borgognoni; — per Capugnano: Ferruccio Baldanza; — per Corvella: Augusto Poli. In quella mattinata del 1° ottobre una pattuglia partiva da Casa Alessio, l'abitazione dei Lenzi, i proprietari della Ferriera di S. Croce (Porretta) e su per Corvella raggiungeva Casa Menante (Porretta) in perlustrazione. Nei dintorni compiva alcune razzie presso i contadini. Vennero avvertiti i partigiani, che col cap. Toni prepararono un piano di azione, per circondarla e farla prigioniera. Con loro vi erano anche partigiani sovietici. Scendendo dal crinale di Castelluccio-Capugnano (Castellare), suddivisi in tre gruppi di otto (giù dalle Forre, per l'aia della Minella e nel mezzo), un primo gruppo riusciva a circondare l'abitazione. Giovanni Mattioli (detto Bargiotto, perché proveniva da Bargi), uno sfollato che stava alla Menante, riusciva a mettersi in salvo nel bosco. Faceva il contadino. Nello scontro venivano uccisi tre militari tedeschi: il fuciliere maggiore Sommermeil, il caporale Rudat ed il caporalmaggiore Meissl. Gli altri sette ripararono dentro Casa Menante, con uno ferito gravemente (ma il cap. Toni nel suo resoconto cita due feriti), quando sopraggiunsero gli altri due gruppi ritardatari col cap. Toni. I sovietici, vestiti con divise tedesche, erano stati presi per autentici tedeschi. Da qui il ritardo. Quando arrivarono questi due gruppi, il primo, credendoli scorte tedesche appostate nel bosco vicino, poco mancò che li prendesse a raffiche, ma segnali tempestivi di riconoscimento evitarono il grave malinteso. Il maresciallo che guidava la pattuglia, intanto, riusciva a fuggire, utilizzando un passaggio posteriore dell'abitazione. Nel bosco incrociava il Bargiotto e gli urlò dietro qualcosa. I prigionieri furono convinti alla resa dal cap. Toni, che conosceva la lingua tedesca. Portati a Castellare, i partigiani evitarono un tentativo di linciaggio da parte dei presenti e, quando arrivarono gli americani, furono loro consegnati. 4. - Inizia nel pomeriggio il rastrellamento Dopo lo scontro — era circa mezzogiorno — il comando delle SS per ordine di un capitano sguinzagliava tutte le sue pattuglie per una cieca azione di rappresaglia sulla porrettana e la diretta di Siila fino a Molinaccio. Verso sera il maresciallo sfuggito ai partigiani tornava a Casa Menante con altri quattro tedeschi, per raccogliere i corpi dei tre uccisi e trasferirli nel sottostante cimitero di Porretta, utilizzando il birroccio del Bargiotto. Si fermarono anche presso i contadini, per bere un bicchiere di vino, ma qualcuno vi sputò dentro. La cerimonia militare del seppellimento sarebbe stata fatta il giorno dopo. Tra le ore 16/17 cominciava il rastrellamento di quanti venivano incontrati sulla statale. Adelfo Giovanelli, Vincenzo Lenzi, Lidia e Laura Giovanelli, Francesco Mogano detto «Mario», Armando Bettocchi e cinque toscani furono i primi rastrellati. Di questo gruppo solo tre toscani furono uccisi, Vincenzo Lenzi riuscì a scappare, Francesco Mogano si salvò dentro una fossa sotto i corpi di numerose vittime e gli altri furono rilasciati o riuscirono ad evitare il peggio. Vincenzo Lenzi e Adelfo Giovanelli, capostazione di Porretta, furono presi tra le 16 e le 17 prima della Pucciga, mentre erano andati dal calzolaio e contadino Paolo Cinotti (fratello di «Pompeo» di Casa Fontana, lo scalpellino), a prendere del latte. Vincenzo Lenzi con la famiglia era sfollato a Casa Tamarri (Casa Fazietto), ma stava a Ca' d'Campanerin sulla porrettana, che aveva lasciato allo sfollato Adelfo Giovanelli con la moglie Maria Bianchi e tre figli. Di giorno vi ritornava, per andare anche a coltivar l'orto o custodire il pollame dietro la Forgeria Lenzi e figli. Adelfo 11 Giovanelli, denunciato per frasi oltraggiose contro Mussolini e il fascismo da Ermogene Giovannoni (ex segretario del fascio porrettano) e da Filippo Gramegna della Polfer (reggente il fascio repubblichino di Porretta), il 15 febbraio del '44 era stato arrestato ed imprigionato nelle carceri bolognesi di S. Giovanni in Monte. Processato il 24 aprile del '44 dal Tribunale Straordinario Provinciale di Bologna, fu assolto perché l'accusa nascondeva manovre per soffiargli il posto come capostazione e il giorno dopo venne rilasciato. Quando la pattuglia (tre o quattro tedeschi) passò davanti all'abitazione del Lenzi, qui nel giardino sulla strada vi erano Lidia e Laura, le due figlie del capostazione. Scesero in strada, per sapere cos'era successo, seguendo il gruppo e condividendone la sorte. Il fratello Giulio, che era in casa, armatesi, cercò di seguire il gruppetto, ma ne fu dissuaso, e rimase con la madre. Guadato il Silla tra le macerie del ponte (vi erano ancora tracce di sangue, ricordano le Giovanelli), nella zona tra Molino Guccini e la mulattiera di Muiavacca veniva rastrellato anche Francesco Mogano. Abitava a Ca' di Siila e forse era andato al Molino Guccini, oppure ridiscendeva o saliva alla Ca' Lunga. Francesco Mogano era continuamente fuori casa, anche la notte, ed i familiari anche quella volta non si preoccuparono ove potesse essere andato. Sempre a piedi la pattuglia continuò la strada verso Molinaccio, che raggiunsero verso le ore 18. Stava già facendo buio. Qui veniva rastrellato anche Armando Bettocchi, che in bicicletta era di ritorno da Bologna. Come il solito avrebbe raggiunto Casa Bettocchi sulla diretta di Silla e, lasciata qui la bicicletta, sarebbe salito a Capanna di Foresta nella casa dei Gualandi, ove era sfollato col fratello Sergio. Poco oltre Ca' di Cristo, «al curvone» di Molinaccio il gruppetto fu fatto scendere nella scarpata verso il fiume Reno e fatto entrare in una vecchia casa di contadini a due piani. Mentre entravano, il Lenzi riusciva a nascondersi dietro l'uscio, quindi, passati gli ultimi della fila, si buttava fuori, dileguandosi dietro l'angolo della casa giù per la restante scarpata verso il vicino fiume Reno. Le SS, sorprese, gli spararono dietro, ma non ebbero il tempo di colpirlo o di raggiungerlo. Francesco Mogano e gli altri, pur avendo pensato alla fuga, non ci provarono. «Pagherete voi per lui» — dissero i tedeschi —. Così ricorda Antonio Mogano dalle fugaci testimonianze del fratello Francesco, che rimase sconvolto per tutta la vita, dopo essere riuscito a venirne fuori vivo sotto i cadaveri dentro la buca, che fu loro fatta scavare la sera successiva. Risalito il corso del Reno, quella stessa sera raggiungeva la famiglia, sfollata a Casa Tamarri. Erano circa le 23, così ricorda la moglie, Maria Giulia Cattani detta «Nerina», che era già a letto. Presa con sé una pagnotta di pane, il Lenzi si portò a Casa Fazietto, quindi a Castelluccio, poi verso Ponte della Venturina, perché già correva voce che c'erano avanguardie americane. Adelfo Giovanelli, che gli mancava un mese per compiere i 57 anni (era nato a Bologna l'I 1 novembre 1887) con le figlie fu posto in un pagliericcio al piano di sopra per la notte. Mentre il sonno cercava di vincerlo, teneva strette tra le sue mani quelle della sue figliole. Gli altri furono invece trattenuti al piano di sotto. Come ricorda Antonio Mogano dalla testimonianza del fratello Francesco, anche questi sentì passi e voci di quanti si trovavano al piano superiore. Anche cinque toscani furono presi quella stessa sera del 1° ottobre, mentre dal bolognese (forse provenienti da S. Giovanni in Persiceto) stavano risalendo la porrettana, per rientrare in Toscana. Si erano momentaneamente distesi in un campo a monte della SS 64, per rifocillarsi con alcune mele del campo e riposarsi. Laceri e con la barba lunga furono presi per partigiani. Tempo addietro il 20 agosto 1944 erano già caduti in un rastrellamento effettuato dai tedeschi in ritirata nella lucchesia (Lucca, Pozzuolo, Marina di Pisa). Menotti Pesciatini, nascosto a Lucca in casa della sorella, era voluto uscire ed incappò nel rastrellamento. Anarchico come il padre, per il suo antifascismo da tempo era perseguito dal regime. Pio Stefani venne preso nella sua casa contadina a Pozzuolo, assieme allo sfollato Antonio Puccinelli. Giuseppe Neri fu preso presso la sua casa a Massa Pisana, mentre stava andando a governare le bestie. Il quinto era un viareggino, capitano di marina, del quale nessuno ricorda il nome. In precedenza aveva preferito affondare le navi, piuttosto che farle cadere in mano ai tedeschi. Con loro fu preso a Pozzuolo anche il contadino Franco Roventini. Portati alla Casa Pia di Lucca, un orfanotrofio, che veniva utilizzato come centro di raccolta e di smistamento per la Germania o per la Todt Organisation, furono trattenuti qui due giorni, quindi una notte il Roventini li vide partire, caricati su un camion militare. 12 Presumibilmente fin verso il 12 settembre (quando gli americani occuparono Pistoia) questi toscani furono impiegati nella costruzione di postazioni militari in territorio toscano ed in particolare a Le Piastre. Infatti, in base alla testimonianza di Neva Puccinelli in Marcheschi, figlia di Antonio Puccinelli, questi ed altri furono visti dal padre dell'on. Alfredo Pacini, insegnante all'Istituto tecnico di Lucca, e da Leone Lucchesi. Quest'ultimo rimase ferito a Le Piastre in seguito ad un cannoneggiamento e Antonio Puccinelli gli fasciò il braccio. Dopo di ciò furono divisi per il passaggio del fronte. Inoltre verso la metà di settembre una donna, proveniente dal pistoiese, riuscì a raggiungere la famiglia di Puccinelli, recapitando una sua lettera (un foglio di quaderno), ove diceva che stavano facendo postazioni per cannoni e chiedeva ai figli di fare i bravi ed ai familiari di stare tranquilli. Passato il fronte toscano per l'avanzata americana, questi cinque rastrellati dovettero seguire i tedeschi in ritirata. Infatti — come ricordano le famiglie dei due toscani che si salvarono dall'eccidio di Molinaccio — questi cinque toscani furono portati nella pianura padana e fatti lavorare con la Todt nel ferrarese (a ridosso del Po) e a S. Giovanni in Persiceto. Di notte venivano custoditi presso abitazioni di civili. Forse proprio dalla zona di S. Giovanni in Persiceto verso la fine di settembre riuscirono a fuggire. La notte tra il 1° e il 2 ottobre furono trattenuti presso una casa a monte della porrettana, poco sopra il campo ove furono sorpresi (Molinaccio di sopra). Così traspare dalle testimonianze delle famiglie dei due toscani che non furono uccisi e che poi dettero modo di rintracciarne i corpi. Quella notte piovve e al cimitero i corpi dei tedeschi dentro il birroccio erano protetti da una coperta. La Todt Organisation o semplicemente Todt era stata fondata in Germania nel 1933 dall'ing. Fritz Todt (1891-1942), per poter bloccare la disoccupazione e costruire circa settemila chilometri di percorsi stradali e autostradali. Poco prima dello scoppio della II guerra mondiale divenne ausiliaria della Wehrmacht, tanto che in seguito operò solo per fortificazioni militari, manutenzioni di aereoporti, ponti, postazioni, sbarramenti bellici, ecc., raggiungendo in tutta Europa quasi due milioni di operai, in parte reclutati e in parte fatti prigionieri nei Paesi occupati. In Italia si prestò particolarmente sulle linee Gustav, Hitler, Gotica e sul Po. I TRE TOSCANI UCCISI A MOLINACCIO DI SOPRA MENOTTI PESCIATINI Nato a Cecina il 24.11.1899 da Africano Pesciatini ed Er-minia Danti. Anarchico come il padre, che volle dargli il nome del noto esponente risorgimentale, combattè sul Carso durante la grande guerra del 1915/18. Colpito da lanci di gas, gli trovarono addosso volantini contro la guerra e fu considerato da allora un sovversivo. Dopo il trasferimento all'ospedale di Genova, ebbe vita raminga in varie città italiane, facendo il disegnatore e il pittore. Prima di essere rastrellato il 20 agosto del '44 a Lucca, fu incarcerato per un mese. Coi fratelli soci impiantò anche un laboratorio fotografico. La sua ultima residenza fu Piombino. Con altri due fu ucciso il 2.10.1944 all'età di 44 anni in un'abitazione di Molinaccio di sopra (Gaggio). Sepolto alla fine di ottobre del '44 nel cimitero di Porretta, fu riconosciuto dai familiari per un orologio che aveva con sé. Dal 26 novembre 1945 è sepolto nel cimitero di Lucca. 13 Nella foto un disegno di M. Pesciatini, pubblicato nel giornale « II Lavoro » di giovedì 30 agosto 1934. ANTONIO PUCCINELLI Nato a Lucca il 28.1.1897 da Lorenzo Puccinelli e Teresa Mecchi. Emigrato in America col padre, rientrò in Italia nel 1921. Evitata la grande guerra, nel 1943 fu chiamato sotto le armi, scavando trincee nella zona di S. Rossore. La madre riuscì a farlo tornare a casa, essendo padre di quattro figli. Come professione fece il muratore. Rastrellato a Pezzuole (Lucca) il 20 agosto del '44, ove era sfollato in casa del contadino Pio Stefani, sua ultima residenza fu Lucca. Con altri due fu ucciso il 2.10.1944 all'età di 47 anni in un'abitazione di Molinaccio di sopra (Gaggio). Sepolto alla fine di ottobre del '44 nel cimitero di Porretta, fu riconosciuto dai familiari per un coltello da innesto che aveva con sé (con sopra incise note iniziali), per il vestito ed un pettinino da donna. Era quello della figlia. Dal 26 novembre 1945 è sepolto nel cimitero di Lucca. PIO STEFANI Nato a Lucca il 30.4.1893 da Adriano Stefani e Cleofe Rugarti. Di famiglia contadina fece l'agricoltore a Pezzuole (Lucca), ove fu rastrellato il 20 agosto del '44 assieme ad Antonio Puccinelli e altri. Sua ultima residenza fu Lucca. Con altri due fu ucciso il 2.10.1944 all'età di 51 anni in un'abitazione di Molinaccio di sopra (Gaggio). Sepolto alla fine di ottobre del '44 nel cimitero di Porretta, fu riconosciuto dai familiari per una pipa che aveva e da un lembo del gilet. Dal 23 novembre 1945 è sepolto nel piccolo cimitero di Pozzuolo (Lucca). 14 2 Ottobre 1944 5. - Continua il rastrellamento Tra le ore 7-8 Quella mattina del 2 ottobre si verificarono vari episodi in punti diversi e lontani tra loro, ma legati alle vicende che stiamo raccontando. Alcuni partigiani della Matteotti ridiscesero a Casa Menante per raccogliere i corpi dei tre tedeschi uccisi il giorno prima, ma i contadini mostrarono loro che erano stati già trasferiti al cimitero di Porretta con un birroccio dai tedeschi. A Molinaccio di sotto, invece, quella mattina presto un sergente pensò di fare andar via i Giovanelli, ma il rilascio dovette essere rinviato. In zona c'era il capitano delle SS e quel sottufficiale poteva andarci di mezzo. Tra quelle giovani SS — ricordano le Giovanelli — c'era chi meno era infatuato di nazismo e quindi meno propenso a rendersi disponibile agli ordini severi e più biechi dei superiori. Il sergente accese anche un sigaro al capostazione porrettano, che era un incallito fumatore. Alcune SS riuscirono anche a non partecipare quella stessa sera all'uccisione dei rastrellati, che furono portati lì durante la giornata, e rimasero nella casa. Anche di questo episodio si ricordano le Giovanelli, che non sanno quale sorte potè in seguito essere riservata a questi più umani militari tedeschi. Secondo la testimonianza di Sergio Bettocchi, fratello di Armando, questi gli raccontò che quella mattina bevve un surrogato di caffè e che offrì da fumare ad un tedesco, chiedendogli anche di accendere le sigarette. Quindi con la massima disinvoltura, come se fosse un contadino del luogo, Armando Bettocchi si sarebbe portato lentamente verso un angolo della casa ove c'era la sua bicicletta. Senza che quel tedesco gli dicesse nulla, si sarebbe portato sulla porrettana, dirigendosi verso Bologna. Raggiunta una curva, Armando Bettocchi avrebbe abbandonato la bicicletta, inoltrandosi in un bosco, per dirigersi in direzione di S. Maria Villiana. Ospitato qui dalla famiglia Zanini, il giorno successivo, 3 ottobre, raggiungeva Capanna di Foresta, ove era sfollato col fratello Sergio (che aveva già raggiunto Capugnano), accompagnato da una lavandaia, l'«Ada di Piccone», che gli fece da guida e da staffetta. Mi pare attendibile affermare che anche i toscani non furono uccisi quella mattina, in quanto — dalle testimonianze raccolte presso le famiglie degli uccisi e di quella di uno dei due scampati (Giuseppe Neri, nato nel 1889 e morto nel 1977) — questi ultimi avrebbero detto di aver visto diversi rastrellati quel giorno lavorare su e giù tra il fiume e la strada. Questi uomini, infatti, furono trasferiti a Molinaccio solo nel pomeriggio del 2 ottobre. Tra le 7 e le 8 di quel mattino un gruppo di SS ebbe l'ordine di rastrellare altri uomini in fondo alla diretta di Siila e precisamente a Ca' di Silla (Silla di sopra). Dovevano essere sicuri del fatto loro e delle informazioni ricevute. Ca' di Silla, infatti, era abitata da numerose famiglie residenti, sfollate o in affitto, circa una quarantina di persone. A Casa del Marino, in fondo quasi alla diretta di Silla, le SS presero l'erta che conduceva direttamente a Ca' di Siila, ove nell'aia piazzarono come il solito le mitragliatrici. In quel momento stava rientrando anche Vito Bortolotti, che — in base alla sua testimonianza — era uscito presto per nascondere uova e conserva. Allora molti — quando potevano e se riuscivano praticavano il mercato nero, per poter sbarcare il lunario. Portati giù sulla diretta di Siila a Casa del Morino, qui le donne e i bambini furono divisi e fatti rientrare, mentre gli uomini vennero incolonnati. Dentro Casa del Morino Giuseppe Gentilini detto «Gentilone» (che poi fu preso nel pomeriggio) con la moglie e il figlio Fn/o sentirono tutto il movimento e le urla delle donne. Non si mossero, e i tedeschi non s'accorsero della loro presenza. A parte Vito Bortolotti, che fu l'unico di questo gruppo di rastrellati a non essere ucciso, ecco i nomi degli otto, che poi furono massacrati a Molinaccio: Augusto Mogano detto «Gaetanino», Cleto Francesco Carlo Brunetti, Silvio Augusto Falci, Paolo Bernardi, Luigi Lizzari, Vittorino Bernardini, Adelmo Alberini e Domenico Mogano. Silvio Falci era ancora fasciato alla testa, perché — pare — era ammalato di orecchioni od era stato ferito da una scheggia, secondo altre testimonianze. 15 LE OTTO VITTIME RASTRELLATE A CA' DI SILLA AUGUSTO MOGANO Nato a Bologna il 29.10.1878 da NN. Di professione agricoltore, la sua ultima residenza fu Gaggio. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di Siila (Siila di sopra), fu ucciso all'età di 65 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme. CLETO FRANCESCO CARLO BRUNETTI Nato a Camugnano il 15.11.1887 da Adolfo Brunetti e Serafina Sabattini. Di professione colono, sua ultima residenza fu Gaggio. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di Siila (Siila di sopra), fu ucciso all'età di 56 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Verso la fine di ottobre del '44, quando furono dissepolti da quella fossa i corpi delle quattordici vittime, quello del Brunetti non c'era. Fu ritrovato, a pochi metri dalla fossa, da un contadino che stava arando il campo nel marzo del 1945. Dal 26 marzo del '45 fu sepolto nel cimitero di Porretta e in seguito la salma fu portata nel cimitero di Gaggio Montano. SILVIO AUGUSTO FALCI Nato a Bologna il 12.5.1889 da NN. Di professione ferroviere, nel 1944 era in pensione. Ultima residenza Gaggio. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di Siila (Siila di sopra), fu ucciso all'età di 55 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta. 16 PAOLO BERNARDI Nato a Bagni della Porretta il 29.6.1890 da Gaetano Bernardi e Angela Gandolfi. Di professione operaio. Ultima residenza Porretta. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di Siila (Siila di sopra), fu ucciso all'età di 54 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme. LUIGI LIZZARI Nato a Lodi il 14.4.1895 da Leone Lizzari ed Elisa Mandrioli. Capo-gestione ferroviario. Ultima residenza Casalecchio di Reno. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di Siila (Siila di sopra) ove era sfollato, fu ucciso all'età di 49 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Verso la fine di ottobre del '44 fu sepolto nel cimitero di Porretta, quindi nella Certosa di Bologna dal 29 gennaio del 1946. VITTORINO BERNARDINI Nato a Gaggio Montano il 5.5.1904 da Luigi Bernardini e Innocente Adele Gandolfì. Di professione bracciante. Ultima residenza Gaggio. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di Siila (Siila di sopra), fu ucciso all'età di 40 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Torretta Terme. 17 ADELMO ALBERINI Nato a Bologna il 6.4.1908 da NN. Il 23 maggio 1908 l'Ospizio Esposti ed Asilo di Maternità lo affidava alla maestra Amalia Nanetti, moglie di Ausilio Sammarchi, abitante a Ca' della Guarda (Loiano). Di professione colono. Ultima residenza Gaggio. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di Silla (Silla di sopra), fu ucciso all'età di 36 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme. DOMENICO MOGANO Nato a Gaggio Montano il 16.10.1909 da Augusto Mogano e Maria Doralice Raimondi. Di professione agricoltore. Ultima residenza Gaggio. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Ca' di Silla (Silla di sopra), fu ucciso all'età di 34 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme. Questo gruppo di rastrellati fu momentaneamente trasferito a Casa Alessio (Porretta), ove c'era un comando tedesco e dormì quella stessa pattuglia, che era stata circondata dai partigiani a Casa Menante. Casa Alessio (Ca' d'Alessi) ebbe questo nome — secondo la testimonianza di Ivo Lenzi — da Alessio Lenzi, il proprietario che l'avrebbe costruita con l'annessa Ferriera di S. Croce, così detta perché edificata su terreno di proprietà religiosa. I tedeschi nella Ferriera tenevano armi, mine, munizioni e filo spinato di sbarramento. Nell'abitazione quella mattina vi fu condotta anche Corinna Cattani in Gualandi, che come ogni mattina dal Sasso Rosso (Casa Gigiotto) — guadando il Silla su una passerella provvisoria si recava alla casa cantoniera sulla SS 64, sotto il cimitero porrettano, ove abitava col marito cantoniere, Galileo Gualandi. Quella passerella, che collegava la diretta di Silla in territorio gaggese con via Ortacci (oggi via Zagnoli) in territorio porrettano, era stata costruita dai tedeschi e si trovava sotto Casa Egidio (o Casa Ortacci) in direzione di Casa Romani. Di là dalla passerella, in via Ortacci, la Cattani fu rastrellata da due tedeschi, che la portarono a Casa Alessio. Aperto l'uscio vide davanti a sé su per le scale i rastrellati di Ca' di Silla, seduti qua e là. Questi, appena la videro — ignari di ciò che sarebbe stato loro riservato quella stessa sera — dissero: «Finalmente una donna!». Dalla cucina la Lina Lenzi, affacciatasi alla porta, la chiamò con la scusa di bere un caffè e sul primo pomeriggio, quando i rastrellati furono condotti verso Molinaccio, la fece uscire come una di casa. 18 Verso le ore 9 Intanto la pattuglia delle SS continuò il rastrellamento su per la porrettana e dalla Ferriera si portò verso Porretta. A Casa Fontana, piazzata una mitragliatrice davanti a Casa Carboni contro l'uscio di quella dello scalpellino Pietro Cinotti detto «Pompeo», i tedeschi penetrarono dentro e, spintonati gli anziani genitori, rastrellarono al piano superiore i figli Tullio e Giuseppe Cinotti, che stavano spannocchiando il granturco contro il muro, ed il loro amico più anziano Gino Carboni, che li aiutava. Lo avevano chiamato poco prima dalla finestra sulla strada, perché abitava nella casa di fronte con la sorella Gina, che si vide anch'essa i tedeschi in casa. Questi però non vi trovarono nessun uomo e Vittorio Piccinelli, marito della Gina, da dietro era riuscito già a mettersi in salvo verso il fiume Reno. La sorella di Gino Carboni non fu prelevata e dovette sopportare i tedeschi, che misero a soqquadro l'abitazione. LE TRE VITTIME RASTRELLATE A CASA FONTANA GINO CARBONI Nato a Bagni della Porretta l'I.8.1914 da Primo Carboni e Giacoma Giacinti. Di professione operaio meccanico. Ultima residenza Porretta. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Casa Fontana (Porretta), fu ucciso all'età di 30 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme. TULLIO CINOTTI Nato a Bagni della Porretta il 4.7.1921 da Pietro Cinottì, detto «Pompeo», e Adele Lenzi. Di professione operaio meccanico. Ultima residenza Porretta. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Casa Fontana (Porretta), fu ucciso all'età di 23 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme. 19 GIUSEPPE CINOTTI Nato a Bagni della Porretta il 10.3.1926 da Pietro Cinotti, detto «Pompeo», e Adele Lenzi. Di professione operaio meccanico. Ultima residenza Porretta. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 a Casa Fontana (Porretta), fu ucciso all'età di 18 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme. Verso le ore 9,30 Coi tre rastrellati di Casa Fontana la pattuglia delle SS continuò la strada verso Porretta. In prossimità della casa cantoniera sulla porrettana, poco sotto il cimitero di Porretta, rastrellò anche Alfonso Vitali, un calzolaio sordomuto. Proveniva da Porreda (Castel di Casio) sopra la Berzantina e, passando per Porretta, stava recandosi dal fratello a Casa Egidio (Porretta) vicino a Silla, portando pece e un paio di scarpe. Il Vitali girava di frequente nell'alta valle del Reno, per lavorare — soffermandosi anche molti giorni — nelle varie borgate, presso le famiglie che avevano bisogno di lui. LA VITTIMA RASTRELLATA ALLA CASA CANTONIERA ALFONSO VITALI Nato il 21.9.1895 a Castel di Casio da Carlo Eliseo Vitali e Clelia Bassi. Aveva altri due fratelli ed una sorella. Rimasto sordomuto a dodici anni, stette a Firenze per otto anni in un istituto per sordomuti, ove imparò a leggere e a scrivere. Abitò a Selva Maiore fino al '39, poi a Casa Egidio sino al '41 e infine a Porreda (Castel di Casio) con la mamma. Lavorò col calzolaio Chinni, ma anche da solo, qua e là, stando vari giorni presso le famiglie che avevano bisogno di lui. Ultima residenza Castel di Casio. Rastrellato la mattina del 2 ottobre 1944 sulla porrettana, nei pressi della casa cantoniera, sotto il cimitero, fu ucciso all'età di 49 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme. Dalle ore 9,30 alle 12-12,30 A questo punto la pattuglia delle SS si divise in due gruppi. Uno, guidato dal maresciallo sfuggito a Casa Menante, coi quattro ultimi rastrellati si diresse direttamente al cimitero di Porretta e l'altro continuò la strada verso Porretta, fermandosi nella zona del collegio Albergati in via Mazzini, ove c'erano i padri barnabiti, sfollati da Genova. 20 Erano circa le ore 10. Su per una stradina nei paraggi di villa Masini, sovrastante il collegio, veniva rastrellato anche Umberto Domenichini, il domestico di don Augusto Smeraldi, che non c'era, e fu portato davanti all'ingresso del collegio, ove era stata piazzata una mitragliatrice. Mentre alcune SS perquisivano i piani superiori, facendosi guidare da padre Alfredo Maria Toffetti, fuori sulla strada — come ricorda e precisa Alfredo Palmieri — padre Giuseppe Maria Musazzi (1908-1979) riusciva dal tenente delle SS a far rilasciare il Domenichini e fratel Francesco, un barnabita laico in borghese. Aveva mostrato al tenente un foglietto elogiativo del Kommandantur, rilasciategli per aver prestato la sua opera in occasione del grande bombardamento di Porretta, verificatosi il 6 luglio del '44, quando fu colpita anche la Daldi & Matteucci, che bruciò tra nuvole di fumo per molto tempo. Le SS cercarono di rastrellare anche Alfredo Palmieri, che si trovava in cucina, ma poi a questi e a padre Musazzi il tenente disse di preparare una croce, per scrivervi sopra i nomi dei tre tedeschi uccisi. Padre Musazzi conosceva il tedesco. Dopo di ciò questi dovettero accompagnare le SS al cimitero. Qui il maresciallo aveva ordinato ai fratelli Cinotti e al Carboni di scavare una fossa, per seppellire i tedeschi che erano sul birroccio. Durante la notte era piovuto e la terra era bagnata. Alfonso Vitali nel frattempo veniva invece maltrattato con calci negli stinchi dalle SS, che lo sentivano borbottare e non credevano che fosse sordomuto, ma che lo facesse apposta. L'intervento di padre Musazzi presso le SS, spiegò che le cose stavano diversamente, da quello che credevano. I tre corpi dei tedeschi furono seppelliti uno sull'altro, il primo e il terzo col capo rivolto verso la parte posteriore del cimitero e quello in mezzo al rovescio. Ciò per un futuro riconoscimento, come poi si verificò. Sopra vi fu buttata un po' di terra, quindi la pattuglia si dispose ai due lati. Cantato l'inno militare e sparati colpi in aria di saluto, la cerimonia ebbe termine. Il tenente ordinò al Palmieri ed a padre Musazzi di sistemare la buca e preparare la croce: «Io tornare domattina a vedere», ma non tornò. Le mitraglie appostate sui muri del cimitero furono tolte ed il maresciallo con alcuni uscì dal cimitero, passando dal cancellino posteriore, dirigendosi verso Casa Giorgi. Erano circa le ore 11. Le altre SS col tenente e i rastrellati sporchi di fango si portarono sulla porrettana, per tornare a Casa Alessio. Durante il pomeriggio Alfredo Palmieri e padre Musazzi sistemarono la buca e prepararono una croce, sulla quale furono pennellati, con catrame liquido trovato lungo la strada, i tre nomi dei tedeschi uccisi. Le salme di questi e di altri tedeschi sepolti nei cimiteri comunali di Porretta furono esumate il 12 novembre del 1953 e su un automezzo il giorno dopo furono trasferite con altre, provenienti dal cimitero di Pieve delle Capanne (Granaglione), verso la Certosa di Bologna. Giù per la porrettana, passata la Pucciga e Ca' d'Campanerin, la pattuglia coi rastrellati si ritrovò davanti a Casa Fontana. Pietro Cinotti, la moglie e la sorella di Carboni, che si rivide le SS in casa, rividero i loro cari. «Fate i bravi ragazzi» — disse loro «Pompeo» — e, rivolgendosi al tenente, «Hanno già lavorato con la Todt». «Se sono bravi ragazzi, lo vedremo» — rispose il tenente. Il gruppo proseguì la strada verso Casa Alessio. Ivo Lenzi ricorda, quando a Casa Alessio furono portati anche questi ultimi quattro malconci rastrellati, ma non Giuseppe Gentilini. Tra le 12,30-13,30 Certamente in questo periodo due o tre tedeschi rastrellavano nel tratto della porrettana tra Ca' d'Campanerin e Casa Fontana Giuseppe Gentilini detto «Gentilone», che come ogni giorno con solerzia dalla sua abitazione di Casa del Morino sulla diretta di Silla, con la bicicletta — passato il fiume Siila tra le macerie del ponte o sulla passerella provvisoria sotto Casa Egidio — si dirigeva verso Porretta alla Castanea. Giulio Giovanelli, che stava a Ca' d'Campanerin, ricorda che sulla strada «Gentilone» ripeteva ai tedeschi: «Io arbeiten a Porretta, alla Castanea!», ma per loro nessuna spiegazione era sufficiente. Giuseppe Gentilini — che quella mattina aveva sentito da dentro casa le urla delle donne di Ca' di Siila — con altri cinque faceva il sorvegliante alla Castanea, che era chiusa. Vi erano tre turni continui di sorveglianza con due sorveglianti alla volta: dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6. Il turno di « Gentilone » era quello delle ore 14-22, e per raggiungere la Castanea partiva da casa circa un'ora prima. In questa azienda porrettana lavorarono un'ottantina di persone, parte all'esterno (ammassamento del legno di castagno in cataste) e parte all'interno (macerazione del legno, per estrarne un liquido, il tannino, utilizzato per la concia delle pelli, per scarpe e borse, ecc.). LA VITTIMA RASTRELLATA TRA CA' D'CAMPANERIN E 21 CASA FONTANA GIUSEPPE GENTILINI Nato il 15.5.1889 a Gaggio Montano da Luigi Gentilini e Palma Mazzetti. Di professione operaio. Lavorò anche alla Castanea. Ultima sua residenza fu Gaggio. Rastrellato nel primo pomeriggio del 2 ottobre 1944 sulla porrettana tra Ca' d'Campanerin e Casa Fontana (Porretta), fu ucciso all'età di 55 anni quella stessa sera a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 è sepolto nel cimitero di Porretta Terme. Tra le ore 13 e le ore 18-19 Giuseppe Gentilini fu portato verso Casa Alessio certamente in quel momento, quando all'esterno dell'abitazione venivano radunati tutti i rastrellati, per essere incolonnati e portati verso Molinaccio. L'orario poteva essere tra le ore 13 e le 13,30. Nei pressi della Filanda Papi alcune giovani donne raggiunsero i rastrellati, ai quali portarono qualcosa da mangiare. Le SS osservarono quello che facevano, quindi le lasciarono ripartire. Pare che tra loro ci fosse l'Eòe Bernardi, la Giovanna Abeti e la Lorena. Verso le 15-15,30 tutto il gruppo raggiungeva Molinaccio, distante km 5,5 da Silla. La strada era tutta per aria a causa delle cannonate e dei bombardamenti — ricorda Vito Bortolotti — che si tolse anche le scarpe durante il tragitto. Molinaccio è un ampio territorio arido e di calanchi in Comune di Gaggio tra Silla e Marano, e la porrettana lo divide in due parti, cosicché quella a monte è detta Molinaccio di sopra e quella tra la porrettana e il fiume Reno, Molinaccio di sotto. Dista km 9 da Porretta (o km 5,5 da Siila) e km 2,4 da Riola di Vergato (o km 2 da Marano). Poco prima del «curvone», a sinistra sulla porrettana scendendo da Silla vi è un'abitazione detta Ca' di Cristo, in quanto un contadino che l'abitava aveva quel soprannome. Da qui poco più avanti, in un punto sovrastante il «curvone» della porrettana (ove, nel campo sottostante la carreggiata, fu perpetrato l'eccidio), vi era un fabbricato rurale, una stalla (teggia), di proprietà di quel contadino. Qui furono portati i rastrellati e ciò spiega perché generalmente la voce popolare diceva che l'eccidio fu effettuato a Ca' di Cristo. Nella scarpata sotto il «curvone» e vicina al Reno vi era la casa ove furono portati nel pomeriggio del 1° ottobre Francesco Mogano, Armando Bellocchi, Vincenzo Lenzi e i Giovanelli. Il Bettocchi e il Lenzi — come abbiamo detto — non c'erano più, i Giovanelli rimasero chiusi dentro il piano superiore di quell'abitazione e Francesco Mogano detto «Mario» da tempo era al lavoro. Gli facevano portare su e giù l'acqua del fiume Reno, tenendolo occupato. Salvatosi dentro la fossa sotto i corpi delle vittime di Molinaccio di sotto, in seguito «Mario» raccontò anche di aver visto quel giorno alcuni toscani al lavoro. Questi stessi nel pomeriggio del 2 ottobre videro i nuovi rastrellati provenienti da Silla e ciò appare dalle testimonianze delle famiglie dei due toscani, che non vennero uccisi. Durante quel pomeriggio un'altra persona veniva rastrellata in zona. Era Mario Vellani, che coi familiari era sfollato a Lustrala (Granaglione). Come ricorda il figlio Oliano, suo padre fu preso proprio tra gli ultimi e stava ritornando da Bologna in bicicletta con soldi e viveri. Qualche giorno prima era andato a Bologna, ove aveva una piccola azienda, che faceva zoccoli e tacchi per scarpe da donna. L'episodio del suo rastrellamento Oliano lo seppe in seguito, da quanto raccontò lo scampato Francesco Mogano. In base alla testimonianza di Sergio Bettocchi, quest'ultimo rastrellato sarebbe riuscito a far pervenire un suo scritto alla moglie, attraverso una donna. 22 L'ULTIMA VITTIMA RASTRELLATA A MOLINACCIO MARIO VELLANI Nato a Modena il 4.11.1905 da NN. e Giustina Vellani. Questa si sposò con un certo Lugli, vedovo, che aveva ed ebbe vari figli. Combattè a Fiume con D'Annunzio tra le Camicie Azzurre, nazionalisti. A Bologna, ove emigrò nel 1905, fece diversi lavori: il camionista, il manovale-muratore (stadio) ed il vigile verso il 1928. Quell'anno si sposò con Maria Parenti. Mise su a Bologna una piccola falegnameria per fare zoccoli e tacchi di scarpe per donna, che segui fino ai primi bombardamenti della città nel 1942. Sfollò con la famiglia a Lustrala (Granaglione). Sua ultima residenza Bologna. Fu rastrellato a Molinaccio sulla porrettana, mentre tornava in bicicletta da Bologna con soldi e viveri nel primo pomeriggio del 2 ottobre 1944. Fu ucciso quella stessa sera all'età di 38 anni a Molinaccio di sotto (Gaggio). Dalla fine di ottobre del '44 fu sepolto nel cimitero di Porretta Terme. Dopo l'ultima esumazione fu sistemato nell'ossario comune dentro la cappella del cimitero di Porretta. Questi rastrellati furono impegnati dalle SS tra la «teggia» del contadino di Ca' di Cristo, la sottostante porrettana e la scarpata da qui al fiume Reno per tutto quel pomeriggio. Le Giovanelli ricordano il movimento di quel giorno, ma dovettero starsene col padre nell'abitazione a due piani, presso il fiume. Ai rastrellati le SS fecero raccogliere vanghe e zappe nelle poche case e stalle dei contadini vicini e fu loro ordinato di scavare una fossa nel campo, proprio poco sotto il ciglio della porrettana, nella zona del « curvo-ne ». Fu loro fatto credere che li sarebbe stata preparata una postazione bellica contro gli americani in arrivo dalla Toscana. Tra le 18-19 l'eccidio Secondo la testimonianza di Vito Bortolotti. Augusto Mogano e Silvio Falci, fasciato alla testa, furono trattenuti a sedere presso quella cosiddetta «postazione» in costruzione, l'uno perché era anziano e l'altro perché impedito, in quanto malato o ferito. Ad un certo punto pare che Gino Carboni, trovandosi presso l'abitazione a due piani sul fiume, comprendesse la tragedia che stava per esplodere. Aveva ascoltato quanto fra loro dicevano alcune SS, e un po' di tedesco lo conosceva. Tornato alla «postazione», avvertì i compagni di sventura, ma nessuno gli credeva. Quando la fossa fu pronta, profonda circa mezzo metro e larga circa m 3 x 7 — racconta Vito Bortolotti — e ai bordi c'era la terra di riporto, un maresciallo ordinava a tutti di entrarvi. Anche il maresciallo vi entrò. Fece depositare sul bordo della fossa vanghe e zappe e fece finta di contare gli attrezzi. Nel frattempo la pattuglia delle SS si disponeva tra la «postazione» e di spalle al fiume Reno. Secondo gli atti di morte di Gaggio erano circa le ore 20,30, secondo quelli di Porretta, invece, le ore 19. Secondo le testimonianze fino ad oggi raccolte era già abbastanza buio, ma un barlume di luce c'era ancora. In quei giorni piovosi di ottobre e sulla base di queste testimonianze l'orario più attendibile era forse tra le 18 e le 19 o poco prima. Dentro la fossa furono fatti entrare anche Augusto Mogano e Silvio Falci, che erano seduti presso la siepe dislocata tra il ciglio della porrettana e il campo. Fatta la conta degli attrezzi, il maresciallo usciva dalla fossa ed immediatamente faceva aprire il fuoco contro gli uomini dentro la buca da quella pattuglia, che si era trasformata in plotone di esecuzione. L'eccidio veniva consumato con un ulteriore giro d'ispezione sui corpi crivellati. Sempre secondo la testimonianza di Vito Bortolotti, le SS con una lampadina tascabile osservarono se tutti erano morti e, su quanti davano ancora segnali di vita, fu sparato il colpo di grazia. Anche Francesco Mogano detto «Mario» cadde sotto quei corpi straziati e crivellati. Quell'ultimo colpo lo ferì marginalmente alla tempia destra e sopra l'occhio, e per un certo tempo rimase sotto gli altri corpi, il cui sangue gli macchiò tutto il vestito. 23 Circa nello stesso orario, quando fu perpetuato l'eccidio di Molinaccio di sotto (o forse poco prima), a Molinaccio di sopra un gruppetto di SS — secondo gli ordini ricevuti da un capitano presente in zona — dopo aver fatto lavorare i cinque toscani per tutta la giornata, ne uccideva tre dentro un'abitazione. Gli altri due, più robusti, furono portati via, per essere impiegati altrove a lavorare di nuovo con la Todt o per trasportare armi e munizioni, forse tra i monti modenesi e bolognesi. In base alle testimonianze raccolte dalla Neva Puccinelli, pare che suo padre, prima di essere ucciso con un colpo alla testa, ferito, implorasse le SS di non lasciarlo morire, avendo lasciato a casa quattro figli. Una di loro parlava molto bene l'italiano. Durante quella stessa notte Vito Bortolotti sarebbe riuscito a rimanere illeso e — secondo la sua versione — sarebbe riuscito a venir fuori dalla buca. Portatesi sulla porrettana e costeggiandola lungo la siepe verso Bologna, si sarebbe portato a monte, fuggendo su per una valletta e in mezzo ai campi. C'era la luna quella notte, ricorda. Raggiunta Ca' Lunga, si sarebbe poi diretto a Ca' di Siila, raggiungendo e svegliando la moglie che era a letto. Ma vari superstiti non concordano su questa testimonianza, in particolare perché il Bortolotti la mattina del 3 ottobre non si sarebbe fatto vedere subito come Francesco Mogano, non dette l'allarme e non si presentò come «Mario» con gli abiti sporchi di sangue. Sulla base, invece, della testimonianza di Vito Bortolotti, questi — appena raggiunse Ca' di Silla — tentò di svegliare la moglie, che dormiva all'ultimo piano, tirando sassolini alla finestra, ma nessuno apri. La moglie, Maria Mogano ved. Tondi (figlia di Augusto Mogano e sorella di Domenico Mogano, uccisi entrambi a Molinaccio), dormiva con la madre Maria Doralice Raimondi in Mogano. Il Bortolotti, utilizzando una grondaia, riuscì ad entrare in casa attraverso una finestra coi vetri rotti. Raggiunta la porta della camera bussò e si fece aprire. Non parlò dell'eccidio, essendoci la cognata. La moglie l'aiutò a cambiarsi i vestiti e seppe che il padre e il fratello cogli altri erano rimasti a Molinaccio e che non erano potuti venire con lui. «Ne hai fatta una delle tue!» — gli disse la moglie, alla vista della camicia con tracce di sangue, ma il marito preferì non dare spiegazioni. Nascosti i vestiti nel tassello morto del soffitto assieme ai bacchetti, la moglie si fece dire ove il marito avrebbe passato la notte. Questi, vestitesi con doppio abbigliamento, poco dopo uscì, andando a dormire in un bosco poco distante da casa. Era circa mezzanotte. La mattina la moglie l'avrebbe raggiunto prima dell'arrivo di Francesco Mogano e gli avrebbe portato da mangiare, mettendo in una pozza d'acqua i vestiti del marito, nascosti durante la notte nel tassello. Quella notte alla Ca' Lunga i due scampati non s'erano incontrati. Francesco Mogano — come ricorda il fratello Antonio — non svenne dentro la fossa, quando le SS gli dettero il mancato colpo di grazia. Quando sopra i corpi fu buttato pietrisco e terra, «Mario» si sentì soffocare per la mancanza d'aria. Poi non ce la faceva più a sopportare il sangue che gli colava addosso, e si trovava anche tra le interiora degli uccisi... Passò un quarto d'ora, una mezz'ora? Venne fuori e si buttò già alla ventura verso la scarpata del fiume. Inciampò anche nel filo spinato, provocando rumori, che fecero ridestare le SS presso l'abitazione, ove c'erano i Giovanelli. « Mario » si buttò dentro la piena del fiume Reno, rischiando di annegare e si aggrappò ad un masso, che gli fece anche da riparo. Le SS, infatti, spararono raffiche all'impazzata, e le pallottole rimbalzarono tutt'attorno. Non lo colpirono. Terminato quell'inferno, Francesco Mogano passò sull'altra sponda del fiume. Quindi raggiunse il granaio della Ca' Lunga, ove dormì, e la mattina si portò a Ca' di Siila, ove dette l'allarme. In seguito si portò a Castelluccio nella pensione Manservisi, ove era sfollato l'ospedale porrettano. Qui si fece curare, rimanendo a letto per diversi giorni in stato confusionale. Quando arrivarono gli americani (5 ottobre), un certo Sergio Valdiserri di Silla raccontò ad Antonio Mogano, sfollato nei boschi di Castelluccio, ciò che era successo. Lo andò a trovare e «Mario», piangendo, riuscì a raccontargli tutto. Si sfogò, perché non solo gli americani, ma anche altri credevano che fosse andato giù di testa. Quella tremenda esperienza lo sconvolse per tutta la vita e poche volte ne riparlò. La mattina del 3 ottobre, dopo ciò che aveva raccontato «Mario», disse la Jolanda Lizzari: «Chi è che ha il coraggio di venire con me laggiù? Se si è salvato "Mario", si può essere salvato anche qualcuno dei nostri!». Giovanna Abeti la seguì. Le due donne tagliarono giù per i boschi fino a Serra Zanetti, ove furono fermate da un tedesco. «Dove andate?» — chiese. La Jolanda: «Ho saputo che a Riola c'è stato un combattimento. Aspetto mio marito, che è capo-gestione in ferrovia e deve arrivare da Bologna. Andiamo a vedere, se è arrivato». «Dove abitate?», chiese. «A Silla», rispose la Jolanda. Il tedesco: «A Silla tanti 24 partigiani avere ucciso nostri camerati. Ora kaputt». «Ma noi non stiamo proprio a Siila. Abitiamo nei dintorni». Il tedesco fece un fischio ed arrivò un altro, che era nei paraggi. Le due donne furono accompagnate sulla porrettana nella zona di Molinaccio. Un nuovo graduato le interrogò ancora e la Jolanda Lizzari ripetè le stesse cose. Il tedesco disse loro che le avrebbe fatte prigioniere. A quel punto la donna s'inginocchiò davanti al tedesco, scongiurandolo di lasciarle andar via, perché avevano vari figli. «Allora devi avere un marito» — disse il tedesco e chiese di che classe era. La Lizzari rispose, dicendo che non lo sapeva e che suo marito era comunque militarizzato. Dopo ulteriori implorazioni il tedesco le fece rilasciare con un lasciapassare e disse loro di tornare indietro per la strada. In seguito anche altri cercarono di raggiungere il luogo dell'eccidio, ma gli americani — che erano arrivati — qualche volta li rimandavano indietro, perché i tedeschi sparavano dalle alture di Bombiana. Quella mattina del 3 ottobre un tenente disse ai Giovanelli che potevano ripartire. Risalita la scarpata verso la porrettana, quasi nei pressi del luogo dell'eccidio, videro arrivare un capitano slanciato delle SS, che s'infuriò contro i subalterni. I Giovanelli intanto s'incamminarono su per la porrettana e nessuno li fermò. Raggiunta Ca' d'Campanerin, fecero appena in tempo a cambiarsi, che qualcuno li avvertì dell'arrivo di un gruppo di SS. Cercavano l'uomo col cagnolino e le due figlie. Si chiamava Mucci quel cagnolino ed era stato affidato ai Giovanelli da un'ebrea tedesca, perché non avrebbe potuto badarlo. Le SS arrivarono a perquisire le case fino a quella ove c'erano i Giovanelli. Questi intanto riuscivano a fuggire, dirigendosi verso la zona di Sambuca Pistoiese, perché si diceva che qui c'erano già gli americani. Quello stesso giorno un contadino di Molinaccio di sotto vedeva trascinare qui in un campo da un'abitazione di Molinaccio di sopra i corpi di tre uomini. Erano quelli dei tre toscani. Furono trascinati giù con una fune legata ai piedi. Due corpi furono infilati con la testa, uno di qua e uno di là, ai due lati di un tubo, nel quale scorreva l'acqua del campo, ed il terzo abbandonato dentro un vicino tombino a cielo aperto, o-ve cadeva l'acqua di un fosso. Questa testimonianza siamo riusciti a raccoglierla dal figlio di questo contadino, morto tempo fa. 6. - Un epilogo II governatore americano dette l'ordine di disseppellire i corpi degli uccisi dopo un primo diniego verso la fine di ottobre. Alfredo Palmieri e la moglie Lea Lolli ricordano che quel triste incarico fu portato a termine «prima dei morti» ed in particolare il 28 e 29 ottobre del 1944. Sul luogo si portò anche il governatore americano, che non credeva a quella storia. Fu chiesto l'aiuto di alcuni operai, che stavano lavorando con una cooperativa, per mettere a posto l'ospedale di Porretta. Tra questi Ermanno Zinchi, Enzo Franchi e Vittorio Piccinelli. Oltre ai familiari vi erano Alfredo Palmieri ed il barnabita padre Musazzi. Sul luogo si portarono anche Edolo Melchioni, dottorino alle prime armi, ed il medico di Gaggio, Stefano Filippi. Prestarono la loro opera di soccorso anche diversi partigiani della Stella Rossa, che stavano passando lungo la strada. I corpi — tra nubi di fumo, per nascondere quella triste operazione ai tedeschi, appostati in alto sui crinali, il puzzo e nugoli di mosche furono portati al cimitero di Porretta, utilizzando un camion. Le salme dei tre toscani furono trasportate tra le ultime. Tra le quattordici vittime dentro la buca di Molinaccio di sotto doveva assolutamente esserci anche il corpo di Cleto Brunetti. Una bara rimase vuota, perché questo corpo non fu trovato. Nel dicembre del '44 i due toscani, che i tedeschi preferirono non uccidere a Molinaccio di sopra, Giuseppe Neri e il viareggino, riuscirono a tornare a casa, in Toscana. Era Natale. Secondo le testimonianze della famiglia Neri e di quelle degli uccisi, i due toscani superstiti erano riusciti a sfuggire ancora una volta al controllo tedesco. Tornarono a casa congelati e parlarono del M. Cimone, del Passo del Cancellino (tra il Corno alle Scale e M. Gennaio) e di una bufera di neve. Forse per tutto quel periodo furono utilizzati sull'arretrata linea gotica modenese-bolognese per postazioni militari o trasporto di armi e munizioni. Nel marzo del 1945 il contadino che stava arando il campo, ove era la fossa delle quattordici vittime, a pochi metri da questa vide sporgere un braccio. Furono avvertite le autorità. Era il corpo della quattordicesima vittima, che non era stata trovata alla fine di ottobre del 1944, quello di Cleto Brunetti. Cosa poteva essere successo? Quella sera del 2 ottobre del '44 tentò una fuga prima dell'eccidio? Né Francesco Mogano, né Vito Bortolotti hanno mai ricordato un tale episodio, che certo non poteva venire dimenticato. Forse dopo l'eccidio anche Cleto Brunetti, ferito a morte, 25 riusciva a venir fuori da quell'inferno e nell'agonia morì all'aria aperta, dove questa si poteva respirare. Però fu trovato sepolto sotto uno strato di terra. Chi poteva averlo fatto? Probabilmente le SS, dopo la fuga di Francesco Mogano tornarono a fare una perlustrazione nel luogo dell'eccidio e fuori vi trovarono il Brunetti... Ma questa è solo una ipotesi, forse non lontana dalla verità. Il 26 marzo del 1945 Cleto Brunetti veniva provvisoriamente sepolto nel cimitero di Porretta. Finita la guerra, i familiari dei tre toscani uccisi erano ancora alla ricerca di notizie dei loro cari. Non sapevano ancora nulla. Erano finiti in Germania o erano in Italia? Finalmente da Giuseppe Neri e dal viareggino si venne a sapere che una sera questi due, in compagnia coi toscani ricercati, nel bolognese... Iniziarono le ricerche, finché don Mazzoni confermò che nel cimitero porrettano erano stati sepolti tre sconosciuti.. Nel novembre del '45, avuto il permesso del Comune porrettano, i familiari dei tre toscani procedettero al riconoscimento. Un orologio, un coltello da innesto, una pipa, un lembo del gilet ed altri reperti fecero loro capire che li avevano ritrovati. Il trasporto delle salme fu effettuato congiuntamente dalle tre famiglie. Alla fine di questa ricostruzione vogliamo tentare una sintesi. Come tutti ricorderanno o sapranno, per ogni militare tedesco ucciso le SS uccidevano dieci italiani. Anche in questo eccidio fu rispettato questo bieco comando? Vediamo: 1 ) Dieci ci risultano le persone che in vario modo furono rilasciate: Àdelfo Giovanelli, Lidia Giovanelli, Laura Giovanelli, Armando Bet-tocchi, Corinna Cattani in Gualandi, fratel Francesco, Umberto Domenichini, Alfredo Palmieri, Giuseppe Neri e il «viareggino». 2) Tre quelle che riuscirono a salvarsi: Vincenzo Lenzi, Francesco Mogano detto «Mario» e Vito Bortolotti. 3) Diciassette quelle che furono uccise: Menotti Pesciatini, Pio Stefani, Antonio Puccinelli, Augusto Mogano, Cleto Brunetti, Silvio Falci, Paolo Bernardi, Luigi Lizzari, Vittorino Bernardini, Adelmo Alberini, Domenico Mogano, Tullio Cinotti, Giuseppe Cinotti, Gino Carboni, Alfonso Vitali, Giuseppe Gentilini e Mario Vellani. Trenta persone. Anche in questo caso le SS rispettarono quel loro disumano ed irrazionale comando. ALCUNI SCAMPATI ALL'ECCIDIO II capostazione porrettano Adelfo Giovanelli. Nato a Bologna PII. 11.1887, è morto a Forli il 24.12.1949. È sepolto nel cimitero di Cesena. Vincenzo Lenzi nato a Bagni della Porretta il 6.1.1900 (ma denunciato il 7), faceva il fabbro. Morto a Porretta il 21.9.1976, è sepolto nel cimitero porrettano. 26 Francesco Mogano detto « Mario » nato a Gaggio Montano il 3.7.1914. Si salvò sotto i corpi delle vittime di Molinaccio di sotto. Morto a Bologna il 30.7.1979 è sepolto a Porretta. Vito Bortolotti, altro scampato tra le vittime di Molinaccio di sotto. Vive a Laigueglia (Savona). 27 BIBLIOGRAFIA Vogliamo ricordare alcuni testi, sui quali direttamente o di riflesso vi è un aggancio ai fatti di Molinaccio. Per non annoiare il lettore, ci siamo dispensati di metterne in luce passi erronei, date sbagliate e testimonianze inattendibili. Sulla base di questa ricostruzione gli stessi lettori potranno fare le debite comparazioni. 1. - Archivi comunali e lapidi di Porretta e Gaggio. 2. - Archivi parrocchiali di Siila e Porretta. 3. - Giornale dell'Emilia, anno I, n. 18, 5 agosto 1945, in: « I tedeschi mi hanno fucilato » di Enzo Biagi. 4. - Bologna partigiana 1943-1945, a cura dell'ANPI, Arti grafiche, Bologna, 1951: A) Caduti di Molinaccio. Sono ricordati con la foto: Adelmo Alberini a pag. 16 (foto a pag. 19), Vittorino Bernardini a pag. 16 (foto a pag. 23), Mario Vellani a pag. 34 (foto a pag. 53). Sono semplicemente ricordati senza foto: Paolo Bernardi (pag. 156), Silvio Falci e Giuseppe Gentilini (pag. 157), Luigi Lizzari e Augusto Mogano (pag. 158). B) Caduti nel fiume Siila e nel Reno. Sono ricordati con la foto: Aldo Agostini (pag. 131) ed Etneo Guccini (sotto Guccini, pag. 132). Sono semplicemente ricordati senza foto: Alberto Mondani (sotto il cognome Modani a pag. 158) e di nuovo Etneo Guccini (sotto Guccini Edmo a pag. i 57). 5. - La Casa Missionaria dei Padri Barnabiti nel ventennale della sua fondazione, a cura dei barnabiti, Genova, s.a. (1953). Si veda a pagg. 71-72. 6. - La Squilla, giornale bolognese del PSI: si vedano i nn. 47 e 48 del 1955 e i nn. 3,4, 5, 6 del 1963. 7. - Brigata « Giacomo Matteotti » di Montagna. Diario delle principali operazioni di guerra 19441945, a cura del C.V.L. dell'Emilia-Romagna, Tip. L. Parma, Bologna, 1964. Si veda a pag. 13. 8. - Bergonzini Luciano, La Resistenza a Bologna - Testimonianze e Documenti, voi. Ili, Istituto per la Storia di Bologna, Galeati, Imola, 1970. Si veda l'accenno a Casa Menante a pag. 366 nel resoconto di Antonio Giuriolo. 9. - Onofri Nazario Sauro, Documenti dei socialisti bolognesi sulla Resistenza, La Squilla, Bologna, 1975. Si veda l'accenno a Casa Menante a pagg. 15-16 nel diario matteottino e a pag. 34 nel resoconto di Antonio Giuriolo. Si veda un accenno ad Etneo Guccini nella nota 29 a pag. 25. 28 Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio non colla terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità non colla neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono non colla primavera di queste valli che ti vide fuggire ma soltanto col silenzio dei torturati più duro d'ogni macigno soltanto colla roccia di questo patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità non per odio decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroverai morti e vivi collo stesso impegno popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre RESISTENZA Testo dettato da Piero Calamandrei (Firenze, 1889-1956) sulla lapide per la città di Cuneo in occasione, dell'VIII anniversario di Tancredo Galimberti detto Duccio il 3 dicembre 1952, in risposta all'affermazione di Kesselring, comandante delle divisioni tedesche in Italia: «Gli italiani dovrebbero farmi un monumento». Duccio Galimberti (Cuneo, 1906, Centallo 1944) avvocato e patriota il 26.7.1943 in un discorso tenuto nella piazza principale di Cuneo chiese per primo la guerra contro la Germania. Ferito il 17.1.1944 in Val Grana, fu personaggio di primo piano nella lotta partigiana piemontese. Arrestato casualmente a Torino il 28 novembre 1944, venne ucciso dai fascisti il 3 dicembre 1944. Citato l'8 dicembre all'ordine del giorno del CLN piemontese quale eroe nazionale, ebbe la medaglia d'oro al valor militare alla memoria, la prima concessa a un partigiano. 29