zione ", vedrà e s a p r à . . . perchè, in fondo (in) fondo, io mi sia deciso al « pretesto » delle 32 odi tradotte ». La serotina fatica oraziana di Giustino Fortunato un pretesto ? per far che ? Un « pretesto » l'opuscolo oraziano, sì, come « pretesto », insomma, eran state, già prima, quelle sue a noi note e mirabili monografie su particolarissimi argomenti di storia locale — le Notizie storiche della Valle dì Vitalba, il Riccarda di Venosa, la Badia di Monticchio ecc. — in cui la ricerca sull'argomento minuto, pure perfetta in sè di rigore e di documentazione, è sempre essenzialmente un «pretesto », ripetiam pure la parola, per intessere intorno al tenue nucleo un capitolo di storia del Mezzodì e dell'Italia, e per dare ai lettori una indimenticabile lezione di serietà, di austerità, di italianità. Del resto, se è vero, che tutta la s t o ria sia storia contemporanea, e che tutta la storia contemporanea sia insomma autobiografìa così come ogni ritratto è un autoritratto, sempre, mi pare, lo studio storico è di fatto « un pretesto », un pretesto che l'autore coglie, o cerca, per dire, non dei Greci o dei Bizantini o dei Normanni e delle cose loro, ma di sè e delle proprie cose: sempre insomma l'annoso e risaputo « trasferir sè negli antichi ». Ohe la legge sia stata formulata dopo il periodo positivistico non importa affatto che ad essa non sian stati ossequenti anche gl' « impassibili » studiosi di storia di quell'indirizzo e di quel tempo, sol che davvero fossero e storici e studiosi. Giustino Fortunato fu studioso di storia di quel periodo, Giustino Fortunato non sfuggì a quella legge; non ci sfuggiva nelle monografie in cui il « disinteresse assoluto » era il primo dei suoi propositi, figuriamoci se ci poteva sfuggire in questo Rileggendo Orazio in cui l'abbandonarsi all' « interesse » era già un suo dichiarato proponimento. La « prefazione » si trovava già tutta in compendio, in quei primi cenni di quelle sue prime succitate lettere : i suoi