Allegoria
sul mondo
dei giornali
ORDINE DEI GIORNALISTI
CONSIGLIO NAZIONALE
Roma - Via Parigi, 11
di LUIGI EUGENIO VIGEVANO
giornalista e pittore
I
Grafica:
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PRESENTAZIONE
giornalisti hanno dovuto adattare il loro gergo a quello della tecnologia. Il “coccodrillo” non c’è più e nemmeno l’elzeviro. Le ore dei professionisti dell’informazione
hanno perduto il romanticismo dell’artigianato d’autore e si sono popolate di acronimi
il più delle volte “made in Usa”. Arrivano quantità impressionanti di file, allegati, e-mail,
sms, mms, cd e whs con contenuti a volte smisurati che non riescono a comunicare né la
freschezza della novità né il calore del sentimento.
Un mondo, quello dell’informazione, che si è frantumato in una quantità di mondi, diversi fra loro, in competizione e, non di rado, in polemica.
Il dipinto di Luigi E.Vigevano racconta tutto questo. Il salone della nuova sede dell’Ordine dei giornalisti ospita un pannello che - grande senza essere smisurato - disegna i capitoli di una grande avventura, iniziata con il torchio per la stampa e non ancora finita.
I giornalisti sanno che questo avvio di terzo millennio contiene gli elementi di una sfida
dalla cui soluzione dipendono la sopravvivenza dei giornali e la continuità di una professione. Le scelte non sono facili, soprattutto perché, il più delle volte, sono condizionate
da elementi esterni non determinabili e non controllabili.
Qualcuno dubita che l’esito finale sarà positivo?
L’informazione avrà un futuro. Ci sarà sempre bisogno di generazioni di giornalisti che
sappiano capire il mondo, leggerlo, interpretarlo e raccontarlo. Certo, i mezzi con cui si
lavorerà potranno cambiare e - chissà - un giorno si potrà comunicare con il tele-pensiero. Ma rimarrà inalterato - e indispensabile - l’occhio critico di chi dovrà scegliere che
cosa proporre, in che modo, con quale gerarchia di notizie, utilizzando quali espressioni
e immaginando quali chiavi di interpretazione. Per questo il giornalista bendato domina
il centro della scena del quadro di Vigevano. Essere obbligato a non vedere è una tortura,
quando i poteri forti risultano troppo forti. Non vedere di proposito finisce per essere un
errore o un tradimento.
L’Ordine dei giornalisti è stato istituito anche per indossare i panni dell’oculista: quello
che incoraggia i colleghi a tenere gli occhi aperti.
LORENZO DEL BOCA
Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti
È IL MONDO
DELLA STAMPA,
BELLEZZA!
O
gni volta che sono invitato a ... buttar giù quattro righe per qualcosa, sono assalito, quasi sempre, da due tipi di emozioni. La prima è una via di mezzo tra una forma
leggera d’ansia e la fretta di organizzare e concludere quanto mi è stato assegnato, la
seconda di essere all’altezza di onorare l’impegno.
Già il fatto di essere amico, da oltre una ventina di anni, di Luigi E. Vigevano, entrambi nel Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, non mi mette in una posizione
distaccata quanto basta e imparziale. L’amicizia è dovuta all’interesse che entrambi abbiamo in comune per il mondo dell’arte, lui come operatore, io come osservatore. Ci
troviamo a visitare mostre e seguire eventi culturali per poi discuterne e, perché no, arricchire e affinare le nostre conoscenze. La nuova e prestigiosa sede dell’Ordine è stata
abbellita, nella sala “Saro Ocera”, di un quadro di notevoli dimensioni. L’opera esprime
pittoricamente il mondo giornalistico nelle sue molteplici trasformazioni, dal sistema
detto “a caldo” al nuovo sistema di comporre e assemblare un giornale detto “a
freddo”.
Per cominciare il primo colpo d’occhio.
Beh, trovandoci di fronte a un’opera pittorica, della dimensione di metri 5,20 per 1,40,
non possono sfuggire la complessità, l’organizzazione e la distribuzione dei soggetti
rappresentati.
Non è casuale l’accostamento delle entità scelte per rappresentare nel tempo e nello spazio, con le tecniche del passato e quelle moderne, il mondo della comunicazione su carta.
Dai caratteri mobili di Gutenberg al rullo che inchiostra la forma, dalla mitica Olivetti
Lettera 22 alle linotype, dagli ingranaggi delle assordanti rotative alla telecamera, dai
computer al prodotto finito pronto per essere distribuito nelle varie zone all’uomo, il
giornalista - informatore che perde anche la vita per il suo lavoro, per le sue idee e per
le scottanti notizie che trasmette ai lettori. Accanto a un voluminoso pacco di quotidiani
un vetusto tram che porta ogni giorno la gente al lavoro. È curioso sapere che quei
mezzi di trasporto dell’Atm di Milano percorrono ora le strade di San Francisco perché acquistati dagli americani.
È una pagina figurativa fortemente descrittiva e, in parte frutto di struggente nostalgia che indaga anche sui problemi di un’esistenza innovativa rispetto al passato, comunicata da una ideale catena di immagini, che mette in risalto le risorse intellettuali
e tecniche.
Il segno deciso, efficace fa da traccia per realizzare una storia con immagini, segni e colori equilibrati, strettamente collegati fra loro dalla creatività dell’autore. Se ne ricava
la percezione del trascorrere del tempo, dei cambiamenti degli strumenti, della storia
del giornalismo. Una avvincente avventura.
L’inizio delle tecniche di stampa e le moderne tecnologie, le difficoltà iniziali contrapposte alle apparecchiature di ultima generazione hanno, sullo sfondo, la sky line di
città che sono oggetto e soggetto dell’informazione.
Luigi E. Vigevano descrive tutto questo con una simbologia leggibile, facilmente comprensibile quasi fosse una grande copertina. Si rifà, nelle atmosfere, a un collage di
espressioni, a mio avviso, futuriste e postmoderne che rappresentano la forza e la tecnica della macchina dell’informazione mettendo, come sotto una lente che spazia dal
passato al futuro, la complessa e lunga storia del giornalismo.
L’allegoria sta nella sequenza temporale dove gli oggetti diventano soggetti di un racconto che vive, si esalta, patisce, grida, sussurra e informa. È così che la composizione
va letta e interpretata in tutta la sua completezza, dall’inizio alla fine, soffermando le
attenzioni sui tanti e vari momenti che la caratterizzano.
La tecnica. È stata adoperata la tecnica della tempera fissata a caldo, che richiede una
padronanza nell’uso dell’espressione pittorica. Il termine “espressione” è più che appropriato perché l’autore si è preoccupato di comunicare tutto il percorso della notizia, dal recupero alla trasmissione, un settore dove l’uomo, il giornalista, il tecnico e le
macchine, sempre più sofisticate, trasmettono notizie, anche quelle che, oggi come oggi,
sono, per usare un eufemismo, discutibili.
Si dà voce a un mondo emblematico, interrogativo, rassicurante, fazioso, problematico,
tragico, tumultuoso, veritiero, necessario, curioso, instancabile, bugiardo, vigoroso, affascinante, intrigante. Tanti aggettivi, ma ognuno ne può certamente aggiungere molti
altri, perché il mondo dell’informazione è complesso e vario e, talvolta, indefinibile.
È il mondo della Stampa, bellezza!
SILVANO BERTOSSI
bellire le pareti di quella spoglia sala offrendo il mio modesto contributo
di artista e omaggiando al tempo stesso la figura del giornalista attraverso un excursus sullo sviluppo della stampa, ma l’imminente trasferimento della sede in via Parigi, mi fece accantonare l’idea.
Intervista a LUIGI E. VIGEVANO
giornalista e pittore
Quella che leggerete di seguito non è una consueta intervista, ma una
chiacchierata fra un figlio, ormai in età matura, e il proprio padre per
svelare l’animo di un artista prestato alla professione del giornalista.
L’opera di mio padre ha permesso al sottoscritto di meglio comprendere
come la sensibilità di artista e la curiosità del giornalista abbiano albergato da sempre nel suo animo e di rispondere finalmente a quella banale
domanda che da bambino non volevo mai mi fosse rivolta: “che mestiere
fa tuo padre?”.
D.
E poi quale evento ti ha fatto riprendere la voglia di dare forma al tuo
progetto?
R.
È stato un puro caso. Quando il destino vuole che si compia qualcosa,
spazza la strada, facilita il percorso. Così, il 7 dicembre 2008 - data che
per noi milanesi è facile ricordare poiché si festeggia il patrono della città
- passavo da Romagnano Sesia per recarmi nella mia casa in Valsesia,
quando una voce mi spinse a telefonare al presidente dell’Ordine, Lorenzo
Del Boca, per raccontargli la mia idea. Non solo lo trovai, ma ci incontrammo proprio quel giorno al Bar Cavour di Romagnano Sesia - tappa
per me obbligata per un caffè tutte le volte che mi recavo alla casa delle
vacanze. Il presidente, infatti risiede da sempre in quella storica cittadina e, nonostante la conoscenza risalga negli anni, non lo avevo mai incontrato in quel luogo.
Illustrai a lui la mia idea che con il passare del tempo prendeva sempre
più le sembianze di un’opera pittorica significativa nei contenuti, per diventare un’allegoria che avrebbe reso un giusto tributo alla difficile professione del giornalista, attraverso la raffigurazione della storia della
stampa.
D.
E il presidente?
R.
Poche parole come si conviene all’uomo e il progetto è partito.
D.
Come reagì nell’apprendere questa tua vocazione artistica avendoti conosciuto da sempre come giornalista?
Domanda. Perché quest’opera pittorica per l’Ordine nazionale dei Giornalisti?
Da cosa è nata?
Risposta.
D.
R.
Il percorso è assai lungo. Come spesso accade a un artista, un’idea, per
poter essere concretizzata in un’opera strutturata, deve essere realizzata
dopo un percorso di maturazione che attraversa fasi di riflessione e ripensamenti. Difatti, le opere migliori sono frutto di idee che nascono e poi vengono accantonate per essere rielaborate in tempi più maturi.
Dunque l’idea di realizzare un’opera per l’Ordine dei giornalisti risale a
qualche anno addietro?
Si. Erano molti anni che durante le sedute dell’Ordine nazionale nel salone in Lungotevere dei Cenci percepivo la volontà di contribuire ad ab-
R.
Devo ammettere che accettare la mia proposta per il presidente che non
conosceva la mia attività di pittore professionista, fu inizialmente un atto
di fiducia. Nei giorni seguenti illustrai a lui le diapositive delle mie opere
più importanti. Fra le tante mi piace ricordare la pala raffigurante la deposizione di Cristo esposta a Milano nella chiesa Regina Pacis nel quartiere QT8, perché davanti alla mia opera si è inginocchiato Papa Giovanni
Paolo II in una sua visita a Milano, come documentato da una foto esposta nella basilica.
D.
E così il presidente si è convinto delle tue doti artistiche?
R.
Mi piace pensare che la convinzione del presidente si sia consolidata al cospetto dell’opera compiuta. Ora il giudizio spetta a tutti gli ospiti della
sala dove verrà esposta e, in particolare, ai miei colleghi giornalisti. Sì
perché io sono pittore o meglio giornalista e pittore come ho vergato nella
firma del quadro.
nella mia opera l’importante contributo che le donne hanno apportato alla
professione. La Fallaci fu un’inviata di grande spessore professionale,
scrisse per L’Europeo pagine memorabili sulla guerra del Vietnam. Il suo
pensiero, racchiuso nell’aforisma che ho citato, rappresenta il primo dovere
deontologico di ogni vero giornalista. Secondo, perché la conobbi personalmente all’inizio della mia carriera giornalistica quando lavoravo nella
redazione di Annabella, il giornale femminile che vive ancora oggi con la
testata “A”. Quelli sì che furono anni ruggenti.
D.
Come sei riuscito a conciliare la professione con la tua voglia di esprimerti
mediante la pittura?
R.
Gli anni passati nelle redazioni di giornali, prima del Gruppo Rizzoli, poi
della Mondatori, furono veri e propri anni di apprendistato. Mi ritenevo
“allievo apprendista giornalista”, poiché ebbi la fortuna di lavorare con
grandi professionisti. Ma solo nella grande redazione di Panorama, con il
direttore Lamberto Sechi, si compì la mia vera formazione professionale.
Furono, come affermo da sempre, vent’anni di università. Il grande fermento politico sociale che caratterizzò gli anni ’70 e ’80 mi assorbiva completamente e cosi dedicavo tutto il mio tempo libero all’attività di pittore.
D.
Veniamo all’opera. Hai attribuito un titolo?
R.
“Allegoria sul mondo dei giornali”.
D.
Perché?
D.
Perché ti sei soffermato sui mezzi tecnici tipografici in uso nel corso del
tempo?
R.
Perché si parte dalla stampa a caratteri mobili di Gutenberg, per passare
poi alla mitica macchina da scrivere della Olivetti, modello lettera 22, per
arrivare alle tecniche telematiche attuali.
R.
Perché il dovere di un’opera di questo tipo è quello di rappresentare storicamente i mezzi a disposizione del giornalista che si sono via via evoluti.
Dai caratteri mobili, alla macchina da scrivere, passando poi ai mezzi tipografici quali la linotype che negli anni ’80 rappresentava la più perfetta
tecnologia conosciuta.
D.
Leggo nei tuoi occhi la nostalgia dei tempi passati.
D.
Perchè nel foglio inserito nella macchina da scrivere vi è un aforisma di
Oriana Fallaci?
R.
Per due motivi fondamentali. Il primo perché non ho voluto dimenticare
R.
Ricordo le ore trascorse in tipografia a scoprire da vicino la realizzazione
del giornale, dove ho incontrato figure storiche quali il “Proto”. Costui era
in grado di comporre i titoli delle pagine del giornale con caratteri mobili
manualmente a una velocità incredibile e successivamente con la linotype.
Mi auguro che la mia opera venga guardata con interesse dalle nuove generazioni che certo non hanno avuto la fortuna – dico io – di conoscere la
“cassetta Rossi”, cioè il contenitore dei caratteri mobili.
Per le nuove generazioni il regolo tipometrico o il rullo tiraprove rappresentano certamente l’archeologia giornalistica, ma questi stessi strumenti
mi ricordano l’importanza che rivestivano per la formazione, per esempio, della velina della pagina del giornale che sarebbe andata poi, con i
negativi delle foto, ad incidere il cilindro per la stampa.
D.
Cosa significa quel grande rullo al centro della tela?
R.
Il grande rullo con i quattro colori di stampa rappresenta il confine della
rivoluzione tecnologica fra la composizione del giornale detta a “caldo” e
le nuove tecniche di composizione “a freddo”. Il rullo dei quattro colori
sopravvive ancora oggi nella stampa telematica. Ecco il perché di quest’opera, una pagina di storia aperta sulla nostra professione. Un’allegoria appunto.
D.
Nel tuo quadro si vede un uomo bendato, cosa rappresenta?
R.
Rappresenta il giornalista che viene torturato. Infatti la più grande tortura
inflitta a un giornalista è quella di non poter udire o vedere la verità. Ai
suoi piedi ho raffigurato una macchina da presa che gronda sangue. Si
tratta di un tributo a tutti quei giornalisti che hanno perso la vita cercando di raccontare la verità. Infatti la macchina è collocata sopra il codice deontologico il cui primo articolo impone al giornalista di raccontare
proprio e solo la verità.
D.
Un vecchio tipico tram milanese chiude il quadro, perché?
R.
Ho voluto che quel modello di tram assurgesse a simbolo di tutti i mezzi
di trasporto che portano i lavoratori nelle fabbriche o negli uffici dove si
svolge quella vita che, nel bene o nel male, diventerà notizia.
D.
Quale tecnica è stata usata per dipingere quest’opera?
R.
La tempera: una tecnica antica quanto la pittura. La tempera era usata
già nelle tombe egizie per decorarne le pareti. La si ritrova nelle tavole
del Duecento toscano da Cavallini, a Cimabue, da Giotto fino al tondo
Doni di Michelangelo o al Cristo in prospettiva del Mantegna. La tempera è la tecnica di tutti gli artisti completi e molto più difficile della pittura a olio. Richiede una grande tecnica e occorrono anni di esperienza
per poterla usare con padronanza e disinvoltura. Oggi, purtroppo, la tempera cede il passo ai colori acrilici e agli altri composti chimici di cui, però,
non conosciamo la resistenza nel tempo.
D.
Perché invece la tempera resiste nei secoli?
R.
Il vero segreto della tempera è nel fissaggio finale che rende impermeabile
la tela e i colori. La tempera, infatti, sino a quando non è fissata risulta
deperibile, è sufficiente una goccia d’acqua per rovinare l’opera.
D.
E tu che tecnica per il fissaggio finale hai usato?
R.
Dipingere un quadro a tempera di queste dimensioni richiede un’attenzione costante. Non è concesso commettere errori. Il mio fissaggio è una
tecnica a caldo che ha inventato il mio grande maestro, Mino Buttafava.
Prevede l’utilizzo di vari composti fatti cuocere a lungo a “bagnomaria” e
stesi sulla tela portata a elevata temperatura. Una ricetta che non in-
tendo svelare ma che porta a un risultato finale fantastico, molto simile
alla pittura a olio anzi, a mio avviso, migliore. La tela così trattata risulta al tatto morbida e setosa. Per rinnovare la lucentezza della tela dipinta, semmai il passare del tempo opacizzasse l’opera, è sufficiente
strofinarla con un panno di pura lana.
D.
Secondo la tua visione sino a quando resisterà la carta stampata?
R.
La carta stampata ha un fascino che difficilmente sarà rimpiazzato da
altri mezzi di comunicazione. Nel mio quadro la pagina del moderno giornale fluttua nell’aria perché la tecnologia permette di poterlo stampare in
ogni parte del mondo in tempo reale. E se è vero il detto secondo il quale
il giornale del giorno prima serve solo per incartare l’insalata, con cosa incarteremo le insalate di oggi? Non certo con i file di domani. Scherzi a
parte, ritengo che il futuro della carta stampata dipenderà esclusivamente
dal desiderio dei lettori di approfondire le notizie apprese troppo fugacemente dai nuovi strumenti di comunicazione di massa.
Nessuno può prevedere il futuro, soprattutto ora che corre a una velocità
tre volte superiore a quella di una decina di anni addietro. Amo il futuro
e vorrei vivere il più possibile per vedere questo periodo transitorio concluso. Chissà come sarà affascinante la nuova era.
Certamente, ma per il momento godiamoci la tua opera
DIEGO MASSIMILIANO VIGEVANO
Luigi E. Vigevano,
giornalista e pittore
Stampa
Società Cooperativa Editoriale
Cultura e Lavoro
Roma
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