RAFFAELE LAURO
LA SIGNORILITA’ SORRENTINA
E L’ARTE DELL’ACCOGLIENZA,
QUALITÀ ANTROPOLOGICHE
O FALSO STORICO?
DUE ESEMPLARI FIGURE, ORMAI
MITICHE: CARLO DI LEVA
E GIOVANNI CASOLA
Sorrento (Porta del Castello). Stampa di anonimo del XVII secolo
GOLDENGATE EDIZIONI 2016
Intervento tenuto, a Sorrento, al “Circolo Sorrentino” di Piazza Tasso, venerdì 22
gennaio 2015, su invito del Presidente, Alfonso Cascone, e del nuovo Direttivo del
sodalizio.
Tutti i diritti riservati all’Autore e alla casa editrice GoldenGate Edizioni.
Amici del Circolo Sorrentino,
Gentili Signore e Signori,
consentitemi di ringraziare, per l’invito, il Presidente, Alfonso Cascone,
il Vice Presidente, Antonino Pane, e i membri del nuovo Direttivo di questo
prestigioso sodalizio, a tenere questa conversazione in uno dei luoghi
storici di Sorrento, un “locus sacer”, un luogo sacro, un sancta sanctorum
della sorrentinità, su un tema, quasi provocatorio, che coinvolge la
nostra storia civile, economica e turistica, costruita con i sacrifici e con le
professionalità di generazioni e generazioni di sorrentini: amministratori
pubblici, imprenditori alberghieri, ristoratori, commercianti, operatori
del settore, senza tralasciare le maestranze, un vero esercito di maestri di
cucina, di maestri di sala, di concierge, di camerieri di sala, di cameriere ai
piani e di conduttori.
Potrei continuare all’infinito, rischiando, tuttavia, di essere sopraffatto
dalla commozione, perché ad ogni categoria citata, la mia mente si affolla di
volti di persone scomparse, verso le quali continuo a nutrire sentimenti di
viva gratitudine, perché sono stati, per me, anche maestri di vita. Qualcuno
di Voi, forse, generosamente ricorda che il mio “incontro con il lavoro”
è avvenuto, a dodici anni, quando andai a lavorare, per intercessione di
mio zio Ermanno Apreda, nell’estate del 1957, come boy di portineria,
al Grand Hôtel Europa Palace, gestito dal Comm. Angelo Foddai, con
Antonino Gargiulo in direzione e Carmine Buonagura in portineria. Fu,
allora, infatti, che aprii gli occhi sul mondo, osservando da vicino, le grandi
famiglie inglesi, francesi, belghe, olandesi e tedesche, nonché i personaggi
del cinema e dello spettacolo, le personalità politiche, che soggiornavano
all’Europa Palace. Per, poi, dopo decenni, diventare presidente di una
scuola alberghiera, a Sorrento, che formava gli apprendisti dei diversi
reparti, sotto la guida di un manager straordinario, venuto dal Nord,
Rolando Prandi.
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Per tali ragioni, anche da pubblico amministratore di Sorrento,
negli anni Settanta e Ottanta, prima del mio trasferimento a Roma, ho
manifestato sempre attenzione e un costante interesse, intellettuale prima
che politico, per i fautori sorrentini dell’arte dell’accoglienza, quelli famosi e
quelli ormai dimenticati, alcuni dei quali meriterebbero di essere strappati
all’oblio e consegnati alla conoscenza dei giovani, come esempio di garbo, di
lungimiranza e di coraggio. Sulle spalle di questo pantheon di “costruttori”
sono stati edificati la fama e il benessere di Sorrento, una raffinata cultura
turistica, una ricchezza etica, prima che finanziaria o immobiliare.
Vengo al tema, che ho definito provocatorio, perché l’interrogativo non
risulta affatto retorico, ma reale:
“La signorilità sorrentina e l’arte dell’accoglienza, qualità antropologiche o falso storico? Due esemplari figure, ormai mitiche: Carlo Di
Leva e Giovanni Casola”.
Per tentare di rispondere a questa domanda, devo fare ricorso, anche
se per cenni, almeno a cinque richiami storici, quelli che giudico i più
significativi, anche se non gli unici, per tentare di capire come la fama
della signorilità dei sorrentini e la loro arte dell’accoglienza abbiano
travalicato, nell’arco di cinque secoli, dapprima i confini del Regno di
Napoli, del Regno delle Due Sicilie, del Regno d’Italia e, infine, i confini
della Repubblica democratica, nata dalla Resistenza.
Mi riferisco:
- al matrimonio celebrato e festeggiato, a Sorrento, della principessa
di Durazzo, Giovanna (Zara, 25 giugno 1373 - Napoli, 2 febbraio 1435),
sorella del re Ladislao I (Napoli, 11 luglio 1376 -Napoli, 6 agosto 1414),
andata in sposa al duca Guglielmo d’Austria (Vienna, 1370 - Vienna, 15
luglio 1406), nel 1401;
- al lungo soggiorno sorrentino, nella primavera del 1871, della Zarina
Maria Alexandrowna (Darmstadt, 8 agosto 1824 - San Pietroburgo, 8
giugno 1880), moglie dello Zar Alessandro II (Mosca, 29 aprile 1818 - San
Pietroburgo, 13 marzo 1881);
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- alla due giorni sorrentina del primo ministro del Regno d’Italia,
Giuseppe Zanardelli (Brescia, 26 ottobre 1826 - Cesano Maderno, 26
dicembre 1903), in viaggio verso la Basilica, da cui nasce, per l’intelligenza di un’altra personalità straordinaria della sorrentinità, il sindacoalbergatore, Guglielmo Tramontano, la più geniale operazione di marketing
territoriale nella storia del turismo: la canzone “Torna a Surriento”;
- il Grand Tour, dal Settecento in poi, fino alla pubblicazione de “La
Terra delle Sirene”, di Norman Douglas (Thüringen, 8 dicembre 1868 Capri, 7 febbraio 1952);
- la composizione di “Caruso”, il capolavoro di Lucio Dalla (Bologna, 4
marzo 1943 - Montreaux, 1 marzo 2012), nella suite “Caruso” del Grand
Hôtel Excelsior Vittoria e, poi, al Sorrento Palace, ospite di un altro
campione della signorilità sorrentina, Giovanni Russo.
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LA SIGNORILITA’ SORRENTINA
E L’ARTE DELL’ACCOGLIENZA, QUALITÀ
ANTROPOLOGICHE O FALSO STORICO?
DUE ESEMPLARI FIGURE, ORMAI MITICHE:
CARLO DI LEVA E GIOVANNI CASOLA
IL MATRIMONIO CELEBRATO E FESTEGGIATO, A SORRENTO,
DELLA PRINCIPESSA DI DURAZZO, GIOVANNA (ZARA, 25
GIUGNO 1373 - NAPOLI, 2 FEBBRAIO 1435), SORELLA DEL RE
LADISLAO I (NAPOLI, 11 LUGLIO 1376 -NAPOLI, 6 AGOSTO 1414),
ANDATA IN SPOSA AL DUCA GUGLIELMO D’AUSTRIA (VIENNA,
1370 - VIENNA, 15 LUGLIO 1406), NEL 1401
La primazia politica ed economica della nobile famiglia sorrentina dei
Correale era collegata alla speciale autonomia, di cui godeva Sorrento,
come città demaniale, appartenente alla Corona di Napoli, non concessa
mai in feudo da due regine, nonché dai successori: Giovanna I d’Angiò,
nipote del re Roberto d’Angiò, il Saggio, divenuta, a 15 anni, nel 1343,
regina di Napoli, la quale aveva ereditato Sorrento dal padre Carlo, duca di
Calabria, premortole nel 1328; Giovanna II d’Angiò-Durazzo, sorella del
re Ladislao, divenuta, nel 1414, a 41 anni, regina di Napoli, succedendo al
fratello ed essendo già vedova, dal 1406, del duca Guglielmo d’Austria, e
rimaritatasi, nel 1415, con Giacomo II di Borbone. Fu appunto Giovanna
I, non appena salita al trono, a concedere a favore di Sorrento il dazio del
quarto sui viaggi delle barche e sulla vendita delle merci. Fu, poi, Giovanna
II ad accordare ai Correale il privilegio proprietario di Capo Cervo,
con tutti i terreni, dal castello fino al mare, anche come compenso per
l’accoglienza ricevuta, in occasione del suo primo matrimonio, celebrato
proprio a Sorrento.
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I destini politici e le vicende umane di queste regine risultarono molto
complessi e travagliati, tra lotte di potere, guerre baronali, congiure
sanguinose, mariti e amanti, ma il loro legame con la città di Sorrento
non fu mai rinnegato o interrotto. Il popolino malignava, tuttavia, per la
Durazzo, che la terra sorrentina fosse divenuta il luogo prescelto non solo
dei soggiorni della regina, a Vico Equense, a Massa Lubrense e al Capo
di Santa Fortunata, ma, particolarmente, delle innumerevoli avventure
amorose, delle quali la più celebre con un suo favorito, nominato gran
siniscalco del regno, Sergianni Caracciolo del Sole. Quando il Caracciolo
fu assassinato, nel 1432, da una congiura di palazzo per il troppo potere
cumulato e per la grande avidità di ricchezza, la sovrana fu accusata
di averla ordita in prima persona. Non più giovanissima, Giovanna la
Pazza, ancorché insaziabile ape regina, sfrenata, cinica e godereccia,
costretta a barcamenarsi nei marosi della politica, divenne famosa per
le intemperanze amorose, a Napoli e a Sorrento, prediligendo centinaia
di gagliardi amatori, maschi molto dotati, investiti talvolta del potere e,
poi, fatti puntualmente eliminare, magari dopo un amplesso. La fervida
fantasia popolare narrava addirittura che la voracità della regina si fosse
spinta fino a rapporti intimi con equini.
Dello sfarzoso matrimonio sorrentino di Giovanna, sorella del re e futura
sovrana di Napoli, con Guglielmo D’Austria, al quale, nel 1401, parteciparono i regnanti di Napoli e gli esponenti delle dinastie degli Asburgo e dei
Visconti, si era favoleggiato, a Sorrento, sin da subito e per i secoli a venire:
la cerimonia religiosa, celebrata nella Basilica di Sant’Antonino e officiata
dall’arcivescovo di Sorrento, Roberto Brancia. Lo sfavillante percorso del
corteo nuziale, attraverso le strade sorrentine, decorate con archi di foglie
e frutta, arazzi pendenti dai balconi e lanci di petali di rose dalle finestre.
Le fanciulle nobili di Sorrento, vestite di bianco, le quali, come damigelle,
seguivano gli sposi. La magnificenza luculliana del banchetto di nozze, nei
giardini sul mare, ricco di piatti di selvaggina e di pesce, bagnati dai vini
delle colline. Le musiche, le danze, durate fino a notte, e, infine, la tenera
serenata, dedicata ai principi reali, cantata e ballata da coppie di giovani
patrizi sorrentini.
Questo è l’esordio storico della fama della signorilità sorrentina e
dell’arte dell’accoglienza, che, tramite la nobiltà ospitata a Sorrento,
anche in occasione del matrimonio della principessa di Durazzo, si
diffuse presso tutte le corti reali e nobiliari europee.
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IL LUNGO SOGGIORNO SORRENTINO, NELLA PRIMAVERA DEL
1871, DELLA ZARINA MARIA ALEXANDROWNA (DARMSTADT,
8 AGOSTO 1824 - SAN PIETROBURGO, 8 GIUGNO 1880), MOGLIE
DELLO ZAR ALESSANDRO II (MOSCA, 29 APRILE 1818 - SAN
PIETROBURGO, 13 MARZO 1881)
I proprietari dell’Hôtel Tramontano, i Tramontano, appunto, autentici
imprenditori-mecenati, avevano ospitato, nel loro albergo, Johann
Wolfgang von Goethe, George Gordon Byron, Walter Scott, Percy Bysshe
Shelley e anche, per circa due mesi, nella primavera del 1871, Maria
Alexandrowna, la moglie dello zar Alessandro II, con un seguito di
duecento persone e più di trecento militari italiani, addetti alla sicurezza
della sovrana.
Le immagini dell’imperatrice di Russia, soggiornante a Sorrento,
apparvero su tutti i grandi giornali europei, con le dichiarazioni entusiastiche,
a lei attribuite, su quel luogo incantato, diventando, in tal modo, uno straordinario veicolo di pubblicità per la nostra terra, anche perché la zarina, afflitta
da una grave malattia polmonare, sembrò, dopo quel soggiorno sorrentino,
nel quale aveva respirato il profumo degli aranceti in fiore, riprendersi dalla
terribile malattia. Sorrento si preparò ad accogliere degnamente l’illustre
ospite e l’imperatrice, la quale, nel corso del soggiorno, ricevette in udienza
molti principi e principesse, con lei imparentati.
Da allora fino alla fine del secolo, nobili di tutta Europa arrivarono a
Sorrento per alloggiare all’Hôtel Tramontano, ribattezzato dai proprietari,
in omaggio all’imperatrice, Imperial Hôtel Tramontano. Oltre ai nobili,
continuarono ad affollare l’albergo artisti e letterati, come il drammaturgo
norvegese Henrik Ibsen, che vi scrisse “Gli spettri”.
Il soggiorno di grandi artisti e, in particolare, il soggiorno della
zarina trasformarono la fama dell’ospitalità sorrentina e dell’arte
dell’accoglienza, da conoscenza ristretta alle elite nobiliari a conoscenza
diffusa presso la borghesia europea e a livello popolare, attraverso i
grandi quotidiani del mondo anglosassone. L’immagine della zarina,
che dipinge il paesaggio sorrentino, e le dichiarazioni entusiastiche, a
lei attribuite, sulla salubrità dell’aria di Sorrento, divennero un potente
veicolo di promozione.
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LA DUE GIORNI SORRENTINA DEL PRIMO MINISTRO DEL REGNO
D’ITALIA, GIUSEPPE ZANARDELLI (BRESCIA, 26 OTTOBRE 1826 CESANO MADERNO, 26 DICEMBRE 1903), IN VIAGGIO VERSO LA
BASILICA, DA CUI NASCE, PER L’INTELLIGENZA DI UN’ALTRA
PERSONALITÀ STRAORDINARIA DELLA SORRENTINITÀ, IL
SINDACO-ALBERGATORE, GUGLIELMO TRAMONTANO, LA PIÙ
GENIALE OPERAZIONE DI MARKETING TERRITORIALE NELLA
STORIA DEL TURISMO: LA CANZONE “TORNA A SURRIENTO”
Don Guglielmo Tramontano, un uomo massiccio nel fisico ed elegante
nei modi, era insieme sindaco di Sorrento, proprietario di due bellissimi
alberghi sul mare (Tramontano e Syrene) e munifico mecenate, nonché
committente di artisti partenopei (pittori, cantanti, compositori e
musicisti). Don Gugliè, come lo chiamavano affettuosamente i concittadini, informato dal senatore del suo collegio elettorale, del desiderio
espresso dal primo ministro Zanardelli, in visita alle terre meridionali,
di ammirare de visu Sorrento, dopo Napoli, Capri (e Anacapri), ebbe
un’idea geniale, genialissima (oggi potremo parlare di un’idea-marketing,
superiore a mille campagne promozionali per il lancio di una località o
di un prodotto). Far preparare una canzonetta, una composizione canora,
una melodia, per dedicarla all’illustre ospite, onde rendere memorabile
l’occasione della visita e, in ogni caso, per ingraziare la città al potente
uomo politico nazionale.
Naturalmente, al di là delle interpretazioni successive (e riduttive, come
ha dimostrato in un recente saggio l’ex-sindaco di Sorrento, Nino Cuomo)
di una canzone raccomandazione (per ottenere la concessione di un ufficio
postale, utile ai turisti), nessuno può escludere che il sindaco-imprenditore, acutissimo uomo di mondo, volesse fare non solo una bella figura,
ma sperasse, in cuor suo, pur senza dichiararlo esplicitamente, per ragioni
di etichetta (né in privato, né in pubblico, neppure al brindisi ufficiale in
onore di Zanardelli), in un qualche beneficio futuro per la città, graziosamente concesso dal governo nazionale. “Che gli rimanga - pensava -, nel
cuore, il ricordo della bella contrada e la bontà dei suoi abitanti. Il ricordo
di Sorrento”.
In quel periodo, si trovava ospite (da due anni) del suo albergo, un
pittore napoletano: Giambattista De Curtis, che provvedeva a ricambiare
l’ospitalità, decorando le stanze degli alberghi, con carte dipinte in stile
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liberty. Il De Curtis, compositore anche di versi, autore unico della già
nota “Carmela”, faceva coppia con il fratello Ernesto, valente musicista.
Don Guglielmo, pressante e determinato, si rivolse a lui. Giambattista, in
fretta e furia, riadattò i versi di una sua vecchia composizione d’amore,
dedicata, sei anni prima, ad una ragazza. Li fece musicare dal fratello, il
quale, si dice, si ispirò, per il motivo principale, ad un canto mattutino
d’usignolo, captato, passeggiando per una via a mare e tradotto subito in
note, di ritorno in albergo, sul monumentale pianoforte di Tramontano.
Infine, scelse, di intesa con don Guglielmo, la prima (storica) interprete:
naturalmente, una sorrentina, studentessa di bel canto del conservatorio
di Napoli, a San Pietro a Majella. Maria Cappiello si preparò, in pochi
giorni (non in poche ore), sotto la guida esperta e severa degli autori, ad
eseguirla. La cartolina, stampata dalla casa editrice musicale Bideri, con
la dedica a Zanardelli (S.E.), i versi della canzone e la data di nascita del
capolavoro musicale sorrentino (15 settembre 1902) era pronta, insieme
con la melodia, ad iniziare il suo lungo viaggio per il mondo. Attraverso
i cuori. Don Guglielmo scrisse un bel manifesto di benvenuto, affisso
su tutti i muri della città, insieme con scritte di evviva all’ospite; invitò
tutti i sindaci e le popolazioni della penisola; definì, con fatica, il numero
dei partecipanti al banchetto ufficiale (sessanta persone, tra cui senatori,
deputati, i sindaci di Roma e di Napoli); fece riaccordare il pianoforte;
riascoltò, fino a notte fonda, commuovendosi fino alle lacrime (sicuro
ormai che la melodia avrebbe fatto centro su Zanardelli), le prove della
signorina Cappiello, con i fratelli De Curtis, perfezionisti e incontentabili, che sbraitavano (si rendevano conto che la ghiotta occasione per
loro, come autori, fosse irripetibile); fece accendere tre grandi candelabri
a luce elettrica per illuminare la sala del banchetto, prospiciente il mare,
e l’illuminazione alla veneziana del giardino esotico-orientale, coi magici
lampioncini di carta; scelse le edere e i fiori (garofani bianchi e rossi), per
i patriottici addobbi dei tavoli; fece potenziare l’illuminazione elettrica
della città; controllò, sul percorso cittadino, fino all’albergo, la collocazione
delle bandiere (e la direzione del vento, affinché sventolassero a distesa),
degli archi trionfali, delle luminarie, dei fuochi d’artificio e degli striscioni
di saluto; fece distribuire alla popolazione, in gran quantità, fiaccole, torce
e bengala; si accertò che la banda musicale eseguisse bene, senza salti o
stonature, l’Inno Reale; compose e scompose, decine di volte, facendo
appello a tutti i sacri testi della cucina francese, e con la consulenza degli
chef sorrentini, il complesso menu e la lista dei vini, degli champagne e
dei liquori (il limoncello, allora, non aveva ancora dignità di presenza alle
tavole ufficiali!); ispezionò, nel pomeriggio fissato per l’arrivo di cotanto
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ospite, le stanze, la biancheria dei letti, le sale da bagno, terrorizzato che
qualche particolare sgradevole potesse infastidire l’illustre visitatore;
scelse la carrozza più nuova, elegante e comoda per i sacri lombi presidenziali, nonché un altero cavallo di alta rappresentanza, tra quelli scaramanticamente disponibili (cioè, tra quelli non impiegati, di solito, nel tiro dei
carri funebri); ordinò a tutti i collaboratori un’accoglienza impeccabile,
suggestiva e perfetta. “Il presidente non dovrà mai dimenticare Sorrento
e i sorrentini!”.
Il sindaco declinò l’invito per il pranzo ufficiale al Quisisana del suo
collega di Capri, per rimanere in campo organizzativo e di controllo fino
all’ultimo. A causa della scelta del presidente, all’ultimo momento (prima
di ripartire da Capri per Sorrento), di voler visitare anche il sindaco e il
comune di Anacapri (qualcuno gli aveva soffiato nell’orecchio la notizia
del malcontento degli anacapresi per non essere stati inseriti nel tour
ufficiale, in presenza di uno storico dissidio tra i due comuni isolani), ci fu
un ritardo dell’arrivo a Sorrento, rispetto ai tempi preannunziati. Tuttavia,
don Guglielmo, pur teso, non si impensierì più di tanto. Sarebbe stato
ancor più suggestivo il colpo d’occhio a salire dal porto in carrozza, nella
strada tagliata tra le rocce, in mezzo al vallone, con tutte le luci accese della
città, fino alla collina. Una scenografia mozzafiato. Tutto era pronto per il
gran momento.
Quando il battello arrivò nel porticciolo, alla riva, erano le 19.30
precise. Di prima sera. Che sera d’incanto! Una luna settembrina curiosa,
immensa, sorridente, partecipe, beneaugurante, benevola ed avida di gioia
- così come aveva auspicato don Guglielmo, recandosi, a fini protettivi,
prima di scendere al porto, a pregare sulle reliquie del santo patrono,
Sant’Antonino - rischiarava, in modo suggestivo, il mare e l’alta costa,
da punta del Capo fino a Scutolo. Un immenso abbraccio di luce accolse
Zanardelli, misto a quel particolare respiro del mare, che rende inconfondibili e suggestive le notti sorrentine.
L’incantesimo si ruppe non appena sceso a terra, salutato dal sindaco,
a causa delle note dell’Inno reale, attaccato dalla banda. Subito dopo il suo
sguardo fu rapito dai mille fuochi accesi lungo il percorso fin sopra la costa,
in un interminabile scintillio di luci. Tutte le popolazioni della penisola,
accalcate all’inverosimile lungo il percorso, salutarono il presidente tra
luci, fuochi, bengala, archi, bandiere, musiche, canti, acclamazioni, grida
gioiose di accoglienza e strette di mano. Zanardelli stringeva mani e
salutava tutti. Il volto era stupito per il grande calore umano della gente,
attento a non perdere nessun particolare, intento ad imprimere nella
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memoria tutto quanto gli si parava innanzi. Uno spettacolo, per lui, uomo
del nord, del tutto inconsueto ed irripetibile. Don Guglielmo era al colmo
della gioia e dell’apoteosi. Pur essendo più alto e massiccio del presidente
sembrava volersi fisicamente restringere, rattrappire, accorciare per non
togliere la scena all’ospite. Lo sguardo, dopo le tensioni della vigilia, era
finalmente disteso e soddisfatto...
Zanardelli, al tavolo d’onore, gran gourmet e bevitore di champagne,
con alla destra don Guglielmo, gustò e degustò tutto il menu, dall’inizio
alla fine, allietato dalla voce di Maria: la crème de volaille au champagne;
l’escalope des filets de soles en surprise; il coeur de filet de boeuf à la
prince de Galles; i raffinati contorni. Apprezzò il gateau Sultan, facendo
il bis. Bevve sia lo Cherim Chablis che il Sorrento Rouge. Ma brindò con
lo champagne, a differenza di Capri, al Quisisana, dove aveva levato un
calice ricolmo di vino caprese. Pronunziò, in risposta al brindisi di don
Guglielmo, parole dolcissime sullo splendore della natura sorrentina,
associata all’arte, alla poesia e alla musica. “Questa canzone è stata
composta per lei, signor presidente!”, gli si era rivolto don Guglielmo.
Alle prime battute musicali, Zanardelli ripose le posate e sospese di
mangiare, come tutti i convitati, nella grande sala. Tutto lo staff di sala e
di cucina se ne stava nascosto dietro le mura e i tendaggi della sala, come
quinte del grande palcoscenico del San Carlo o della Scala. Man mano
che la giovine e fresca voce della Cappiello diffondeva la melodia dalla
loggetta alla sala, dispiegando i suoi effluvi amorosi, sul volto luminoso
del presidente si esplicitava la vittoria senza riserve dell’intuizione di
don Guglielmo. Vi si leggeva un’emozione sincera, una gioia intima, una
commozione crescente, uno stupore compiaciuto, la stessa espressione
dell’estasi lunare, all’ingresso del porto, neppure interrotta dallo scrosciante
applauso finale. “E’ bellissima!”, proruppe il presidente. “Di grazia, la potrei
riascoltare, signor sindaco?”. Don Guglielmo si alzò di scatto ed euforico
si avviò verso la loggetta, dove erano collocati il pianoforte, il pianista e
gli interpreti (c’era anche un tenore interprete di altri brani), per chiedere
quel bis inatteso. La seconda esecuzione mandò in visibilio lo statista, che
chiese subito di complimentarsi con la cantante e con i De Curtis. Torna a
Surriento ha avuto, quindi, questo battesimo memorabile.
Da quel momento, Zanardelli non volle parlare d’altro, se non della
sua canzone. Se ci fosse stato un pianoforte al teatro estivo, nel dopo cena,
ne avrebbe chiesto ancora l’esecuzione, al posto della tarantella e dello
spettacolo di varietà. Per tutta la notte. Soddisfece questo desiderio il giorno
dopo, nella seconda ed ultima giornata sorrentina, dopo la visita a Meta.
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Riascoltò ancora la sua canzone. Sul Deserto, poi, a Sant’Agata, dall’eremitaggio dei frati, confidò, sottovoce, al priore, a padre Matteo: “Solo chi
ha negli occhi questi scenari può comporre musica tanto divina!”. Alla
partenza, il presidente abbracciò don Guglielmo e lo salutò con espressioni
entusiaste: “Caro sindaco Tramontano, con questa canzone Voi mi avete
fatto il dono dell’immortalità. Soltanto la musica è immortale. Tra cento
anni, pochi ricorderanno gli atti del mio governo. Nessuno questo mio
viaggio doloroso in terra di Basilicata e nel Mezzogiorno. Tutti canteranno
la nostra canzone. Grazie a Voi, per avermi trasformato nell’inconsapevole
pretesto di questa straordinaria melodia che ti possiede la mente e il cuore,
con sentimenti di gioia, di tenerezza, di nostalgia e di malinconia, in un
misto inestricabile, in un equilibrio perfetto. Non so, signor sindaco, se
tornerò a Surriento. Lascio, comunque, nella vostra terra, fatata e fatale, il
mio cuore di bresciano. Le Sirene sorrentine hanno colpito ancora. Mi sento
l’erede di Ulisse...”. Quelle parole furono suggellate da un poco protocollare abbraccio tra il primo ministro e un don Gugliemo emozionatissimo.
Quella canzone regalerà a Sorrento, per merito di don Guglielmo
Tramontano e dei De Curtis, il sigillo di luogo dell’amore, dell’amore
sincero ed indissolubile. Migliaia di coppie di sposi, nel corso di un secolo,
vi trascorreranno la luna di miele con negli occhi la stessa luna di quella
sera del 15 settembre 1902. Si giureranno amore eterno e dedizione
assoluta.
La canzone “Torna a Surriento” è stata un eccezionale veicolo di
marketing territoriale per Sorrento e per la Penisola Sorrentina, in un
arco di tempo che va dal 1902 ad oggi, e continuerà ad esserlo anche in
futuro.
IL GRAND TOUR, DAL SETTECENTO IN POI, FINO ALLA
PUBBLICAZIONE DE “LA TERRA DELLE SIRENE”, DI NORMAN
DOUGLAS (THÜRINGEN, 8 DICEMBRE 1868 - CAPRI, 7 FEBBRAIO
1952)
Il viaggio in Italia, denominato, fin dal ’700, Grand Tour, espressione
che, pare, abbia fatto la comparsa sulla guida “An Italian Voyage” di
Richard Lessels, del 1668, ha radici lontanissime. Dal Medioevo, epoca
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cui l’itinerare fu estremamente congeniale, le strade d’Italia sono state
battute da pellegrini, da mercanti, da artisti e da studiosi. Il viaggio a
Roma, in particolare, anche quando vennero meno i dominanti caratteri
penitenziali, restò una tappa fondamentale nella vita di molti, nuovi
viaggiatori, divenendo occasione mondana e, dal XV secolo, viaggio laico
ed erudito. A Roma, si affiancarono presto città nuove: Milano, Venezia,
Firenze, Napoli.
Le lontane radici del viaggio in Italia, però, non hanno sempre prodotto
la letteratura sviluppatasi dai secoli XVIII e XIX. Proprio da quei periodi,
infatti, nella storia della mentalità collettiva, il viaggio acquistò valore per le
sue intrinseche proprietà: indipendente dalla soddisfazione di un bisogno
particolare, si propose esso stesso come unico e solo fine, in nome di una
curiosità intellettuale, fattasi più audace, del sapere e della conoscenza, del
piacere dell’evasione e del puro divertimento.
Questa idea innovativa cominciò a diffondersi in Europa sul finire del
XVI secolo e si incarnò nella voga del viaggio in Italia, il quale, dunque,
seppur praticato da tempo, si configurò come istituzione solo alla fine del
secolo successivo, quando diventò la tappa privilegiata di un “giro” che
giovani rampolli dell’aristocrazia europea, artisti e uomini di cultura,
incominciano a intraprendere con regolarità, assumendo i caratteri di
vera e propria moda, resa famosa dalla dicitura internazionale di “Grand
Tour”. Questa denominazione imprese a indicare un viaggio di istruzione,
che aveva come fine la formazione del giovane gentiluomo, attraverso
il salutare esercizio del confronto. Il termine tour, che soppiantò quelli
di travel, journey o voyage, chiarì come la moda di questo viaggio si
specificasse in un “giro”, particolarmente lungo e senza soluzione di
continuità, che attraversasse anche i paesi dell’Europa continentale ma
avesse, comunque, come traguardo prediletto e irrinunciabile, l’Italia, la
sua storia, la sua cultura, le sue vestigia, i suoi paesaggi.
Dal fascino di tutte queste suggestioni, non fu immune Norman Douglas.
Nato in Austria nel 1868, da padre scozzese e madre tedesca, giunse, per la
prima volta, a Capri, nel 1888, dove si stabilì, definitivamente, nell’autunno
del 1903, alloggiando, inizialmente, a Villa San Michele, di proprietà del
principe Caracciolo. Nel 1904, pubblicò due monografie, sulla Grotta
Azzurra e sulla situazione forestale dell’isola (“The Forestal Conditions of
Capri”) . Ebbe molto a cuore tutte le piccole curiosità dell’isola, tanto da
voler creare monografie per ogni campo, pur accorgendosi, ben presto, del
basso numero di potenziali lettori.
Il suo spirito libero, anticonformista, curioso, assetato di sapere e di
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esperienze, lo portò, poi, a viaggiare per il Sud Italia. Da ciò, trasse il
materiale per scrivere e pubblicare, nel 1915, “Vecchia Calabria” (Old
Calabria), considerato, ancora oggi, uno dei migliori libri di viaggio su
questa regione del Sud Italia. L’Autore percorre l’itinerario da Lucera a
Crotone, interessandosi, soprattutto, al paesaggio esotico e lussureggiante,
agli abitanti, ricchi di vitalità, all’archeologia e alle vicende storiche di quei
luoghi nell’età classica. Frequenti anche le considerazioni sulle condizioni
sociali ed economiche della Calabria dei primi del XX secolo e costante è il
confronto tra l’ambiente calabrese, pur aspro e difficile, con la “patologica
mestizia degli uomini del Nord Europa”.
Qualche anno più tardi, nel 1917, pubblicò un altro fondamentale
volume della sua produzione letteraria: “Vento del Sud” (South Wind), un
romanzo la cui azione si svolge a Nepente, un’isola immaginaria del Mar
Mediterraneo, situata nel tratto di mare tra la Sicilia e l’Africa. Nepente è, in
realtà, una trasposizione di Capri, e i personaggi del romanzo fanno parte
della società “ultracosmopolita” che frequentava l’isola azzurra durante
la Belle Époque. Douglas narra di Thomas Heard, vescovo anglicano di
Bampopo, in Africa, giunto in nave a Nepente per visitare una sua cugina,
la signora Meadows, il quale assiste a un omicidio: l’assassinio del malvagio
signor Muhlen, fatto precipitare da un dirupo. Il libro, più che assumere
le caratteristiche del giallo, è costituito da un susseguirsi di conversazioni
fra i numerosi personaggi, il cui argomento principale è l’influenza dello
scirocco, il vento del Sud, il vento caldo che muta il comportamento degli
uomini, soprattutto degli anglosassoni, spingendoli in una sorta di follia,
verso la corruzione dei costumi.
L’opera, però, che ha consacrato l’amore incondizionato di Norman
Douglas per le terre sorrentine e amalfitane è, senza dubbio, “La Terra delle
Sirene” (Siren Land), pubblicata nel 1911. Un quaderno di viaggio che è
divenuto un vero e proprio vademecum di mediterraneità. La Penisola
Sorrentina e l’isola di Capri sono state descritte da Douglas quando in
esse erano ancora tangibile quella arcadica classicità, oggi, probabilmente,
perduta in maniera irrimediabile. “La Terra delle Sirene” si presentò,
immediatamente, come un’opera molto particolare: non una guida
di viaggio e neppure un saggio. Era e rimane un libro di emozioni e di
curiosità, in cui il suggestivo acquista valore antropologico e l’erudizione si
tramuta in gratificazione della conoscenza, riflesso dell’indole dell’Autore,
un umanista rinascimentale nato con secoli di ritardo. Personalità dai tanti
interessi ma da un unico amore: quello per la nostra terra e per lo stile di
vita mediterraneo, entrambi intesi come esempi di bellezza, di armonia e,
spiritualmente, di edonismo epicureo.
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Norman Douglas, mosso dalla sua “devouring curiosity”, la curiosità
vorace, aveva percorso, a piedi, tutti i sentieri che si inerpicano attraverso
i borghi della Penisola Sorrentina, godendo panorami di straordinario
splendore, ascoltando i racconti fantastici dei genuini abitanti, indugiando,
spesso, sul vino sincero dalle loro cantine. Nonostante la sua formazione
culturale e sentimentale, totalmente laica, fosse tale da tenerlo lontano
da superstizioni e preconcetti, si convinse che in questi luoghi avessero
vissuto gli dei del mondo classico, vi avessero cantato le Sirene, assunte,
nel titolo e nello spirito della sua opera, a simbolo di una terra tanto carica
di miti e di fascino.
“Una volta - scrive Douglas -, le Sirene sfidarono le Muse ad una gara
di canto; ne uscirono battute e le Muse vollero ornarsi con le penne
delle avversarie sconfitte... Nel corso del viaggio verso Occidente,
si fermarono a lungo sul promontorio Ateneo, che ora è chiamato
Punta della Campanella e costituisce il braccio meridionale del golfo
di Napoli, e sulle isole del golfo stesso. Su quel promontorio, battuto
dalle onde, sorse in loro onore un candido tempio, una delle meraviglie
del mondo occidentale. Nell’antichità, infatti, i promontori erano
considerati sacri per i pericoli che costituiscono per la navigazione.
Statue e colonne furono presto spazzate via ma il ricordo del tempio
rimane, racchiuso nel nome del villaggio di Massa Lubrense (delubrum).
Splendida forma di sopravvivenza, se si rifletta: un tempio racchiuso e
conservato nelle lettere di una parola della quale è stato dimenticato
il significato, anche se è stata trasmessa da padre in figlio, attraverso i
secoli tumultuosi dei Romani e dei Goti, dei Saraceni, dei Normanni,
dei Francesi, degli Spagnoli; parola misteriosa per il volgo, che riesce a
sopravvivere in eterno, anche dopo che documenti più labili, di pietra
e di marmo, sono completamente spariti dalla terra… Un’impressione
abbastanza soddisfacente della zona si può avere dal famoso convento
del Deserto, sopra Sorrento, oppure dalla vetta del Monte San Costanzo,
più vicina all’estremità del promontorio. San Costanzo dovrebbe essere
un’isola, come la vicina Capri; ma, probabilmente, rimarrà attaccato
alla terraferma ancora per altre poche migliaia di anni. Da quell’altezza,
l’occhio può spaziare sui due golfi di Napoli e di Salerno, separati da una
catena di colline; la massa imponente e scoscesa del Sant’Angelo, che si
allunga attraverso la penisola, preclude alla vista il mondo retrostante.
Questa la Terra delle Sirene. A sud giacciono le isolette delle Sirene,
chiamate oggi Li Galli; a occidente Capri, giustamente associata ad esse
dall’aspetto roccioso e seducente; Sorrento, il cui nome derivato dalle
medesime isolette, si stende sul versante settentrionale…”.
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Ancora oggi, Norman Douglas è tutt’uno con questa sua opera. Risulta
difficile apprezzarla senza amarne l’autore: “La Terra delle Sirene” è
Douglas e Douglas è “La Terra delle Sirene”. Per troppo tempo la sua fama
è rimasta lontana dai luoghi che amò e a cui aveva scelto di legarsi (basti
pensare che “La Terra delle Sirene” è stata pubblicata, in italiano, soltanto
nel 1972, a più di sessanta anni dalla prima edizione inglese!). Tuttavia, da
qualche tempo, studiosi e ammiratori hanno riscoperto quest’opera di un
personaggio spigoloso e, a volte, anche contraddittorio, ma, certamente,
maestro eccelso nel rappresentare il benessere che deriva all’animo umano
dall’armonia e dalla conoscenza dell’ambiente che lo circonda.
“La Terra delle Sirene” di Norman Douglas rappresentò, nel mondo
anglosassone, la più documentata e raffinata descrizione delle bellezze
naturalistiche della costiera sorrentina e amalfitana, oltre che di Capri.
Divenne, in tal modo, per le classi dirigenti anglosassoni, uno stimolo a
conoscere le nostre terre, seguendo i percorsi di una straordinaria guida
turistica. Un ulteriore consolidamento della fama di Sorrento nel Mondo.
LA COMPOSIZIONE DI “CARUSO”, IL CAPOLAVORO DI LUCIO
DALLA (BOLOGNA, 4 MARZO 1943 - MONTREAUX, 1 MARZO
2012), NELLA SUITE “CARUSO” DEL GRAND HÔTEL EXCELSIOR
VITTORIA E, POI, AL SORRENTO PALACE, OSPITE DI UN ALTRO
CAMPIONE DELLA SIGNORILITÀ SORRENTINA, GIOVANNI
RUSSO.
Nell’estate del 1986, Lucio Dalla era premuto dai suoi collaboratori, organizzatori e manager per creare un inedito che potesse fare da
battistrada al long playing di tutti i suoi pezzi più famosi, che aveva cantato
in Canada e negli Stati Uniti, durante il tour della primavera precedente.
Improvvisamente, Lucio si distaccò dagli amici con i quali collaborava a
Bologna e, come sempre, si rifugiò a Sorrento. Lo diceva spesso: “Inventavo
di dover scrivere qualcosa solo per tornare a Sorrento”. Questa volta, però,
non immaginava che l’invenzione di tornare a Sorrento, in quell’estate, con
la sua barca, desse origine al suo capolavoro.
La sua barca andò in avaria, non come hanno raccontato, anche di
recente, tutti i suoi biografi musicali, davanti a Sorrento, in navigazione. Si
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ruppe, invece, a causa di un incidente, per un groviglio di ancore, nel porto
di Capri. Lucio chiamò il suo amico più caro di Sorrento, Peppino Jannuzzi,
in quanto, l’altro grande amico, il fratello Franco, era scomparso nel 1984,
due anni prima. Peppino si precipitò in navigazione con la sua barca, il
Sant’Antonio, a Capri, lo rimorchiò e decisero di ricoverare la barca di
Lucio, Il Catarro, alla Marina di Cassano. Lucio avrebbe voluto ricoverarla
a Torre Annunziata, ma Peppino lo convinse a farlo a Piano. Purtroppo, nel
caricare la barca nell’invaso, troppo piccolo, a Marina di Cassano, questa si
spaccò in due. Quindi, una riparazione, che avrebbe impiegato due giorni,
occupò, invece, due settimane. Ebbene, la provvidenza volle che quel
periodo diventasse il tempo della creazione del suo capolavoro “Caruso”.
Lucio si ricordò della vicenda del grande tenore. Non è vero, come lui
ha detto e ripetuto anche nelle interviste, che non sapesse nulla di Caruso.
Dalla madre degli Jannuzzi, fin dal 1964-1965, aveva conosciuto la vicenda
del grande tenore all’Hôtel Excelsior, della malattia, della favola della
morte a Sorrento, del trasporto al Napoli. Questi elementi, poi, erano stati
arricchiti dai racconti dell’amico Angelo Leonelli del Bar La Scogliera, il
quale, nella vicenda è risultato essere determinante perché gli raccontò
tutta la storia, le favole inventate intorno alla morte di Caruso, l’ipotesi
dell’innamoramento per la fanciulla sorrentina. Lucio colse al volo quella
serie degli elementi e volle alloggiare proprio all’Excelsior, in quei giorni,
nella stessa suite dove, si diceva, fosse morto Caruso o dove, certamente,
Caruso aveva trascorso le ultime settimane della sua vita.
In un processo creativo provvidenziale e straordinario, si saldò, anzi,
si saldarono, varie fonti d’ispirazione: la prima, il suo antico desiderio di
dedicare una canzone a Sorrento; la seconda, il dramma del grande tenore;
la terza, il suo amore per il melodramma, perché come hanno detto molti
critici, “Caruso” è un piccolo melodramma, è la prova della contaminazione, praticata da Dalla, con la canzone classica napoletana e con la lirica.
Ma anche un dramma che Lucio si portava addosso da sempre. Quel
dramma che si era acceso con la morte del padre, lui bambino, che morì tra
sofferenze atroci, con un tumore. Il piccolo assistette a quelle sofferenze.
Il dramma dell’amore e della morte, della vita e della morte. E in quei
giorni, in quei pochi giorni in cui Lucio rimase nella suite dell’Excelsior,
e lì si saldarono l’insieme di queste conoscenze, notizie, intuizioni e il suo
dramma, il suo rapporto con la morte.
Ogni mattina Lucio Dalla scendeva con l’ascensore dell’albergo, si
portava sulla terrazza di Marina Piccola, da Angelo Leonelli e gli leggeva
i versi, man mano che li componeva. Il soggiorno all’Excelsior durò poco.
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Lucio si rese conto del costo della suite. Il concierge Galano racconta che,
dopo i primi tre giorni di soggiorno, Lucio scese nella hall e, resosi conto
del costo della suite, urlò, davanti a tutti: “Il costo è tale che io laverò i piatti
o devo creare un capolavoro che mi faccia guadagnare e pagare il conto”.
È una battuta, tramandata dal personale dell’albergo, ma è molto veritiera.
In effetti, Lucio aveva intuito di avere in mano un capolavoro ma doveva
completarlo, rifinirlo. Per cui, non lavò i piatti, i proprietari, gentilissimi
con lui, praticarono un forte sconto e lo soccorse, da questo punto di
vista, Giovanni Russo, il più grande amico di Lucio a Sorrento, insieme
con Franco Jannuzzi, Peppino Jannuzzi e Angelo Leonelli, proprietario
del Sorrento Palace, ora Hilton Sorrento Palace, che lo ospitò in una
grande suite, che guarda sul Golfo di Napoli, col Vesuvio di fronte, con un
pianoforte coreano.
Lì, nelle due settimane successive, Lucio, assistito dal personale del
Sorrento Palace e dagli amici Russo, completò e rifinì il suo capolavoro.
Lucio si convinse di aver creato capolavoro ma desiderava che ciò gli
fosse confermato dall’unico giudice nel quale aveva sempre creduto: il suo
pubblico.
Cominciò a fare il giro per presentarlo agli amici, ai suoi amici di
Bologna, ai suoi amici di Napoli, a Peppino di Capri. Ma continuava a
richiedere il giudizio del pubblico. Il primo pubblico che ebbe la fortuna
di ascoltare “Caruso”, fu proprio quello degli amici sorrentini. Infatti,
al Blumare Club, Bruno Acanfora, altro amico di Lucio, organizzò un
happening musicale dove, per la prima volta, Lucio cantò “Caruso”, prima
di eseguirlo, a Lampedusa, su richiesta di Bettino Craxi e, infine, a San
Martino Valle Caudina, ospite di Gianni Raviele e della rassegna “Estate
Sammartinese”. Cominciò, così, il cammino di “Caruso” verso la fama
immortale.
Le quaranta milioni di copie vendute e la diffusione, a livello
mondiale, del capolavoro di Lucio Dalla, “Caruso”, hanno rappresentato, per Sorrento, dopo “Torna a Surriento”, la seconda eccezionale
operazione di marketing territoriale, destinata a non concludersi mai
più. La fortuna di “Caruso” nel mondo nasce, documentatamente,
dall’incontro amicale tra Lucio Dalla e Luciano Pavarotti e inaugura il
“crossover”, cioè il miscuglio di generi musicali, dei due artisti: Lucio,
con “Caruso”, parte dal pop e arriva alla lirica, con “Tosca - Amore
disperato”; Pavarotti dalla lirica passa al pop, creando la grande
manifestazione “Pavarotti&Friends”, misurandosi, nei duetti, con tutti
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i grandi artisti del pop mondiale: da Elton John a Celine Dion; da Lou
Reed a James Brown; da Lucio Dalla a Zucchero; da Bono (memorabile
il duetto ne l’“Ave Maria”!) a Liza Minelli; da Sting a Jovanotti. Tanto per
citarne alcuni. Per me risulta indimenticabile, la serata organizzata allo
Splendide di Lugano, da mio fratello Nello, in onore di Pavarotti, di cui
era grande amico, per inaugurare la mostra congiunta di pittura (Nello,
come Pavarotti, si dilettava a dipingere) e la vendita per beneficenza
delle loro opere. Dopo la cena, innaffiata da lambruschi e champagne,
Pavarotti, per ringraziare Nello, cantò, accompagnato dall’anziano
pianista dello Splendide, due canzoni: “Torna a Surriento” e “Caruso”. Fu
allora, e solo allora, che mi resi conto cosa queste due melodie rappresentassero, per Sorrento, nell’immaginario collettivo internazionale.
Da queste premesse storiche si comprende bene come la signorilità
dei sorrentini e la loro arte dell’accoglienza non siano affatto un falso
storico, ma vere qualità antropologiche, tuttavia non estensibili a tutti.
Costituiscono, comunque, un “patrimonio antropologico collettivo”, da
non dimenticare, da non tradire e da non asservire a interessi di bottega.
Due campioni assoluti di queste qualità e portatori prestigiosi di questo
straordinario patrimonio antropologico collettivo, sono stati, senza
alcun dubbio, Carlo Di Leva e Giovanni Casola, figure ormai mitiche
della sorrentinità. Entrambi usciti dalla covata del leggendario sindaco,
Agostino Schisano, entrambi amministratori di Sorrento, ancorché su
sponde politiche diverse, entrambi esempi inimitabili di signorilità e
dell’arte dell’accoglienza.
Una signorilità, quella del professore di Matematica e Fisica, Carlo, più
distaccata, dal tratto quasi aristocratico.
Una signorilità, quella dell’onorevole, Giannino, più popolare, oserei
dire, sine diminutione, popolana.
Entrambi, comunque, amati e rispettati dalla gente comune di Sorrento,
dagli abitatori dei decumani del centro storico, a partire dagli artigiani
dell’intarsio, come quelli delle frazioni collinari e delle marine, la Marina
Grande e la Marina Piccola.
Entrambi rimasti piantati, con sentimenti di ammirazione e di
gratitudine, nella mia mente e nel mio cuore.
Il mio amato professore, il primo.
Il mio amico fraterno, il secondo.
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CARLO DI LEVA: LA SIGNORILITÀ ARISTOCRATICA
Più volte, nelle stagioni estive di lavoro, come ragazzo di portineria,
dal 1958 al 1960, avevo visto arrivare il sindaco di Sorrento, il professor
Carlo Di Leva, all’Europa Palace, in visita a personalità politiche nazionali,
soggiornanti nel prestigioso albergo, o per occasioni particolari, come il
matrimonio del ministro democristiano, Fiorentino Sullo, o le sessioni di
lavoro del “Premio Italia” della RAI. Ero, fin da allora, un ragazzo molto
curioso e un grande osservatore delle molte personalità che frequentavano l’ambiente, perché mi divertivo a “narrare”, a mia madre Angela,
quanto osservavo in albergo (lei era sempre ghiotta di notizie sui politici
democristiani, fanatica, come si dichiarava, dello scudo crociato, della
“libertas” e di Alcide De Gasperi: l’aver votato, come donna, a trentasei
anni, nel 1946, per il referendum istituzionale, a favore della Repubblica,
infatti, la inorgogliva, come femminista ante litteram). Inoltre, quelle
mie narrazioni, condite da dettagli fantasiosi e non di rado pruriginosi,
specie se riguardavano bellissime donne o attrici famose, mi facevano
sentire importante e considerato, presso i compagni di scuola o di gioco
di via Angri, a Sant’Agnello. Insomma, con un’espressione giovanile, “me
la tiravo”, quasi fossi diventato io stesso una persona importante e un
membro di quel mondo dorato.
Ebbene, il sindaco Di Leva, mi aveva colpito per due dettagli, che mi
rimarranno sempre impressi nella mente e che avrei riscontrato anche in
seguito: il modo elegante di fumare le sigarette e l’altro modo, altrettanto
elegante, di accavallare le gambe, ostentando grande sicurezza e disinvoltura. Dovendo eseguire, noi ragazzi di portineria, l’ordine perentorio del
concierge, Carmine Buonagura, di tenere sempre (sempre, capitoooo?)
pulite le ceneriere nei saloni, trovandosi, un pomeriggio, il sindaco, in
attesa di qualcuno, nel giardino d’inverno, e sfumacchiando, a più non
posso, mi appostai dietro una colonna e non appena il primo cittadino
depositava la cenere, lesto come una faina, mi avvicinavo e gli sostituivo
la ceneriera sporca con un’altra pulita. Mi tese una simpatica trappola.
Fu la prima, ma non l’ultima volta, che rimasi vittima della sua brillante
ironia. Capitò anche al liceo. Dopo il mio quarto cambio di ceneriera,
finse di deporre la cenere e, quando mi accostai per fare il quinto cambio,
mi gelò con una battuta fulminante: “Apprezzo la sua solerzia, ragazzo,
ma lei non vorrà mica sostituire anche una ceneriera pulita?”. Arrossii,
volevo sprofondare, rimasi pietrificato, con, tra le mani, uno straccio e la
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ceneriera di porcellana. Il sindaco, allora, si alzò di colpo, anche perché
si stava avvicinando l’ospite atteso, mi diede un leggero buffettino sulla
guancia e pronunciò la profetica (per me) frase: “Ragazzo, continua così e
farai carriera!”. Quante volte, in futuro, quella frase mi ritornerà in mente
e mi farà sorridere.
Come mi sovvenne, quella frase, qualche anno dopo, quando entrò in
classe, alla seconda liceo classico del Sant’Anna, come nuovo professore
di Matematica e Fisica, e iniziò subito a spiegare, alla lavagna, un
teorema fondamentale di geometria. In giacca e cravatta, elegantissimo,
perfettamente rasato e profumato, con quei gesti eleganti delle mani, che
sembravano disegnare algoritmi nell’aria, e quelle frasi secche, chiare,
reiterate in maniera esemplificativa, intercalate con alcuni suoi must
espressivi, in grado di far capire la trigonometria, anche ad un asino,
come me. Un feroce contrasto, un impossibile confronto, quello, con
un avvocato di Caivano, del quale neppure ricordo più il nome, il quale
era stato chiamato ad insegnarci Storia della Filosofia, disciplina che,
poveretto, ignorava, per intercessione di non so quale vescovo, vestito come
un rigattiere, orribile visu, oggetto dei nostri scherni canzonatori, con la
sfiga di tenere lezione (si fa per dire!), prima del collega di Matematica e
Fisica. Erano agli antipodi! Fortuna per lui (rischiava il linciaggio!) e per
noi alunni (rischiavamo il buio filosofico più assoluto), che Suor Angela,
la preside, lo sostituì con il brillantissimo Ettore Cuomo. Fu giocoforza
che ci “innamorassimo” tutti della Matematica e della Fisica, nonché del
sindaco-professore, che divenne, così, il nostro mito. Il mio mito, del
quale cominciai a seguire anche l’attività amministrativa e politica, fino
a quando, nel 1963, non lasciò la carica sindacale a Gioacchino Lauro, e,
dopo due anni, nel 1965, non andò a sostituire il suo maestro scomparso,
Agostino Schisano, alla presidenza dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e
Turismo, incarico che onorò, con impegno e rigore, per ventotto anni, fino
al 1993, divenendo il centro motore e la lucida guida del grande sviluppo
turistico di Sorrento e della Penisola Sorrentina, nel secondo dopoguerra
fino agli anni novanta.
La storia della nostra città rimane a lui, indissolubilmente legata. Non
abdicò mai alla sua proverbiale correttezza, alla sua indiscutibile classe,
alla sua rigorosa professionalità e alla sua accattivante ironia, espressione
di una intelligenza superiore, rara, vivida, moderna e lungimirante, nonché
alle sue intuizioni amministrative e alle sue realizzazioni programmatiche,
nel luogo arco della sua vita, sia nella sfera pubblica che in quella privata.
Come studente di liceo, al Seminario Arcivescovile e al Plinio Seniore di
Castellammare; come universitario, nella disciplina ingegneristica; come
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presidente dell’azione cattolica; come ufficiale di fanteria; come assessore
ed erede politico designato del mitico Agostino Schisano; come sindaco di
Sorrento; come leader del turismo sorrentino; come docente ordinario di
Matematica, per 40 anni, presso l’Istituto Statale d’Arte; come eccezionale
insegnate privato, con una didattica cartesiana e di grande comunicativa,
di centinaia di giovani.
E, non da ultimo, come marito e padre dolcissimo di quattro figli
(Giancarlo, Flavia, Nino e Paola), i quali ne hanno onorato l’eredità morale,
nelle rispettive vicende umane e professionali.
Protagonista assoluto, nell’impegno politico con la Democrazia
Cristiana, a livello nazionale e locale, della rinascita democratica ed
economica di Sorrento, portata avanti, sempre, con sobrietà, con senso
della misura, con entusiasmo, con ragionevolezza e con tolleranza, nel
nome dei valori della libertà, Carlo Di Leva fu apprezzatissimo da tutti,
dagli avversari politici e dai leader nazionali del suo partito, come Giorgio
La Pira, Silvio Gava, Aldo Moro e Vincenzo Scotti, mantenendo rapporti
di amicizia, contrassegnati da rispetto e riservatezza.
L’elenco delle sue tante realizzazioni ne fanno un campione delle
signorilità sorrentina, quasi aristocratica, e dell’arte dell’ospitalità,
concepita in un’ottica comprensoriale, di grande respiro internazionale,
mai campanilistica, mai provinciale, mai miope: l’apertura alle grandi
agenzie turistiche inglesi e ai tour operator anglosassoni; i concorsi ippici;
la convegnistica; i gemellaggi, in particolare, quello Sorrento-Nizza; le
infrastrutture; la qualità dell’offerta turistica; i servizi; la promozione
culturale; le grandi mostre; le grandi esposizioni; gli incontri internazionali del cinema e le estati musicali. Sempre entusiasta, sempre combattente,
con uno stile british, quasi da Pari d’Inghilterra, mai dismesso, e con uno
smoking bianco, sempre indossato con impareggiabile classe.
Un giorno, al liceo, nel corso dell’intervallo, lo intravidi seduto, da
solo, nella sala dei professori, stava fumando, incurante dei divieti della
suora-preside, facendo roteare nell’aria anelli di fumo, le gambe accavallate
e la sigaretta, maestosa tiranna, tra le dita, con la cenere quasi penzolante.
Avevo tra le mani dei fogli di quaderno, in pochi secondi li trasformai in
una piccola barchetta-ceneriera, mi avvicinai e l’appoggiai sul tavolo, alla
sua portata. Mi squadrò, come colto di sorpresa nei suoi pensieri, si ricordò,
si aprì in un sorriso solare, spense il mozzicone nella barchetta di carta,
si alzò e, nell’uscire dalla sala, mi assestò, di nuovo, un leggero buffettino
sulla guancia. E, mostrando, così, di aver apprezzato quel premuroso e
delicato gesto di cortesia, pronunciò, per la seconda volta, con aristocra22
tico distacco, la frase (per me) profetica, ricordando, incredibile dictu, il
mio nome: “Raffaele, continua così e farai carriera!”.
GIANNINO CASOLA: LA SIGNORILITÀ POPOLARE
Dopo un maestro di stile, come Carlo Di Leva, non risulta facile
descrivere l’altra faccia della stessa medaglia, il campione della signorilità
sorrentina, di matrice popolare: Giovanni Casola. Quando il professor Di
Leva attraversava gli antichi decumani, a piedi, tutti lo salutavano, con
rispettosa deferenza. Buongiorno, sindaco! Buon giorno, presidente! Buon
giorno, professore! Nessuno mai che osasse chiamarlo per nome, anche
se quell’atteggiamento rispettoso, misto a timore reverenziale, celava un
sentimento di affettuosa ammirazione, piuttosto che un distacco, una
separatezza, una incomunicabilità. Quando, invece, Giannino Casola
attraversava gli stessi antichi decumani era un tripudio di saluti, di
abbracci e di baci. Tutti a chiamarlo, per nome: buon giorno, Giannino! E
neppure quando divenne vice sindaco, di fatto il sindaco, con Gioacchino
Lauro prima e, poi, con il comandante Achille, o parlamentare nazionale,
quell’approccio cambiò. Tutti continuarono a chiamarlo “Giannino”,
l’amico del popolo, l’amico fraterno di tutti!
Anche per me, Giannino fu un amico fraterno, che ha inciso, in
modo determinante, nella mia vita, come in quella di molti di noi. E il
suo esempio di signorilità, di gentilezza e di generosità, continuerà a
farlo. Questo nessuno potrà e dovrà mai dimenticarlo! Sorrento e l’intera
Penisola Sorrentina, dai centri urbani alle colline, dalle colline alle marine,
può vantare, nella sua storia civile, l’orgoglio di aver dati i natali a questo
illustre figlio, di averlo avuto come integerrimo amministratore comunale,
di averlo mandato, in Parlamento, come rappresentante della nostra terra
meravigliosa e delle nostre gentili popolazioni. Della nostra gente!
Ero legato a lui da profondi, antichi e ricambiati sentimenti di affetto,
di stima, di consiglio e di personale confidenza, mai sfiorati, in tanti anni,
da una nube o da una piccola incomprensione. Bellissimi ricordi sono
collegati alle nostre famiglie, da antica data, in particolare il suo legame,
molto speciale, con mia madre Angela. Giannino era uno della “triade”
degli amici più stretti di mia madre: lui, Alfonso Fiorentino e Antonino
Stinga. Per cui, quando, a Roma, dal 1990 al 2001, Giannino veniva
a pranzo, per mia madre era un giornata memorabile, un momento di
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gioia, una cavalcata di memorie complici del passato e di considerazioni
sull’attualità politica. Tanti sono, poi, i rimandi della memoria, legati alla
nostra diretta collaborazione, sempre fervida e attiva, nell’amministrazione municipale di Sorrento. Noi tutti avvertiamo, ancora oggi, l’energia,
la lucidità, la determinazione, la generosa dedizione e il carisma popolare,
che riusciva a trasmettere, anche con le sue intuizioni esaltanti, stimolanti
e accessibili alla gente comune, al popolo.
La personalità di “Giannino” (per tutti era semplicemente “Giannino”,
non l’onorevole, il vice sindaco o l’assessore!) era straordinaria e ricca (e
sarà irripetibile), per la non comune capacità di relazioni interpersonali,
per la squisita sensibilità, per il continuo dialogo con tutti, per lo spirito di
amicizia, per il senso dell’onore, per il garbo, per la signorilità e per l’eleganza
del tratto umano (e non solo di quello!). E, non da ultimo, per quell’attaccamento, quasi morboso, alla sua Sorrento, per il rispetto della tradizione
popolare, civile e religiosa della comunità; per lo spirito di servizio alla
collettività e per l’assoluto disinteresse personale, dimostrato in tutti i
pubblici incarichi ricoperti: da parlamentare nazionale ad amministratore locale. Della nostra Sorrento, Giannino costituiva il simbolo civico
vivente, la sintesi di tutte le virtù popolari sorrentine: la gioia di vivere,
l’amore per gli altri, lo spirito dell’accoglienza, l’amicizia disinteressata,
l’attenzione alle persone semplici e a chiunque gli si rivolgesse.
Vorrei ricordare anche la punta di diamante del suo carattere: il
coraggio delle proprie idee e la coerenza nel difenderle; il coraggio di
intraprendere progetti a prima vista impossibili, talvolta privi di ritorni
immediati, ma proiettati nel futuro; il coraggio di non arrendersi mai
di fronte agli ostacoli, anche se apparentemente insuperabili, ma, e
soprattutto, la tenacia di non adagiarsi mai sugli allori dei molti traguardi
raggiunti, continuando a lottare per crescere, in mezzo alla gente, alla sua
gente. Di questa tenacia, derivazione di una intelligenza, fine e acuta, ne
avremmo avuto ancora tanto bisogno. Gli abbiamo voluto bene, ma non
tanto, quanto e come lui ce ne ha voluto, di bene. Questo ci rende, forse,
egoisticamente sazi. Giannino ha lavorato tanto per noi, per renderci
migliori e questo ci fa sentire responsabili e impegnati. Il suo esempio sarà
uno stimolo e ci darà la forza per continuare a lavorare, per Sorrento e per
la Penisola Sorrentina.
La vita non è mai un percorso semplice e troppo spesso non è ciò
che ci si aspettava potesse essere. Ma è una vita degna, se è fondata sulla
coscienza di se stessi. Se è coscienza di sé stessi! E Giannino sapeva cosa
volesse dire, essere vivi e vivere, essere coscienti di se stessi. Sempre!
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Vivere consapevolmente è la più grande conquista della vita umana. Per
tutto il tempo in cui ho avuto il privilegio di essere vicino a lui, ho sempre
avvertito questa consapevolezza e l’orgoglio di vivere, in armonia con
sé stesso, in armonia con chi gli è stato vicino. Armonia che Giannino
cercava con tutti, al di là della famiglia e degli amici più cari! Per tale
aspirazione all’armonia, Giannino ha sempre voluto rispettare tutto e
tutti. È stato umile, modesto, indifferente alle correnti, pieno di dignità,
sensibile alla sofferenza, disponibile al bisogno, capace di comprensione,
ricco di speranza e pronto al perdono. Ha lottato e difeso le cose, in cui ha
creduto, quelle per le quali ha vissuto. Schietto e diretto, talvolta persino
brusco, senza mai coltivare inutili ipocrisie, ha saputo preservare la sua
personalità dal cinismo della politica, dall’inganno degli altri e dalla
sopraffazione dei deboli, che, ahinoi!, dilaga, in questi tempi, di malversazione e di spudoratezza. Giannino ha circondato la sua vita dei valori
della sensibilità umana, della bontà e dell’amore per l’altro da sé! Adesso,
nel tempo senza tempo, Giannino può cogliere il significato stesso della
sua esistenza terrena e dei valori che ha sempre coltivato, anche per noi,
assicurandoci quella premura e quella quasi discreta protezione, di cui ci
ha fatto dono, sempre e disinteressatamente.
Per me nulla, da questo punto di vista, è cambiato, anche se mi
mancano le sue telefonate, nel mezzo di una riunione, con le quali, quasi
ogni mattina, mi richiamava all’ordine e ai miei doveri, con ferma cortesia:
Quando scendi a Sorrento? Non abbandonare la Tua gente! Noi tutti, non
dimenticheremo neppure quel suo volto scavato, energico, supremamente
sorridente e cordiale; quella fronte alta e nobile; quelle mani pronte alla
stretta forte, leale e confortatrice; quegli occhi profondi, severi, capaci di
sondare, fulminei, l’intimo; quel sorriso fraterno e luminoso (il “sorriso
di Giannino”, recitava mia madre, con enfasi!); quel gestire sobrio e
composto, ma così carico di intima forza di persuasione; quella voce dal
timbro chiaro e denso, scandito e posseduto fino alle ultime vibrazioni e,
neanche, dimenticheremo, degli ultimi tempi, quel suo andamento incerto,
che celava fatica e, talvolta, anche sofferenza, senza mai cedere un briciolo
alla sua compostezza, alla sua dignità e alla sua “regalità”.
La sua straordinaria eleganza nel vestire (i vestiti classici, le camicie
di seta, le cravatte, i fazzoletti, le cinghie e le amate scarpe!), merito
anche dell’amatissima moglie Adele, non era un superficiale orpello di
vanità maschile, civetterie fine a se stesse, ma disvelavano il suo bisogno
profondo, identitario, esistenziale e quasi ancestrale di bellezza per la vita,
di amore per gli altri e di armonia con il mondo! Quasi riflesso, come
in uno specchio, della bellezza del suo paese: Sorrento! In tanti anni di
25
frequentazione, non ho visto mai Giannino in disordine, neppure quando,
gli ho fatto visita, d’improvviso, a casa: mai! Neppure quando Giannino,
abbronzato del sole dei Caraibi, sfidava, con la camicia aperta sul petto,
la tramontana, in piazza Tasso, di fronte a me che tra cappotto, sciarpa
e cappello di lana, gli apparivo, intabarrato, come un marziano, come se
fossi stato un suo avo! I miei cappottini da vecchio e i suoi impermeabili
“Burberry”, comprati a Londra, a Kinghtsbridge, a confronto! Ero del tutto
perdente! E, su questo, ha continuato a canzonarmi, affettuosamente, fino
alla fine.
Questa distanza estetica, tuttavia, non ci ha impedito di essere grandi
amici e di volerci bene, come fratelli! Lo voglio ricordare così, anche
oggi, nel suo Circolo Sorrentino, dove regnava sovrano, ancora una volta,
abbronzato, sorridente e incurante della feroce tramontana battente, in
Piazza Tasso, mentre mi raccontava, felice come un bambino, della luce e
dei colori dei Caraibi!
Giannino è stato e rimane uno dei “principi” di Sorrento, del cui ricordo
non ci dovremo privare mai!
Carlo Di Leva e Giovanni Casola, quindi, con sensibilità ed approcci
diversi, sono stati due “principi” di Sorrento! Hanno rappresentato due
esempi inimitabili della signorilità sorrentina, due espressioni irripetibili dell’arte dell’ospitalità, inverando la fama di Sorrento nel Mondo e
che meriterebbero di essere ricordati, per saecula saeculorum, non solo
in una conversazione, come questa, meritevolmente promossa, ma in
luoghi significativi della nostra amata città!
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INDICE DEI NOMI
A
Acanfora, Bruno, imprenditore sorrentino
Aiello Lauro, Angela, madre di Raffaele Lauro
Alessandro II Romanov (Mosca, 29 aprile 1818 - San Pietroburgo, 13
marzo 1881), zar di Russia
Leonelli, Angelo, ristoratore sorrentino della Marina Piccola
Antonino, Santo (Campagna, VI secolo - Sorrento, 14 febbraio 625),
abate benedettino, santo patrono di Sorrento
Apreda, Ermanno, albergatore sorrentino e zio di Raffaele Lauro
B
Barba, Davide, politico napoletano ed esponente della Democrazia
Cristiana
Brancia, Roberto, arcivescovo di Sorrento dal 9 maggio 1390 al 5
settembre 1409
Buonagura, Carmine, concierge del Grand Hôtel Europa Palace di
Sorrento
Byron, George Gordon (Londra, 22 gennaio 1788 - Missolungi, 19
aprile 1824), politico e poeta romantico inglese
C
Caracciolo del Sole, Sergianni (Napoli, 1372 - Napoli, 19 agosto 1432),
amante ufficiale della regina Giovanna II di Napoli e gran siniscalco
del Regno
Cariello, Gabriele, collaboratore di Carlo Di Leva
Carlo d’Angiò (Napoli, 1298 - 9 novembre 1328), duca di Calabria,
Vicario generale e principe ereditario del Regno di Napoli
Caruso, Enrico (Napoli, 25 febbraio 1873 - Napoli, 2 agosto 1921),
tenore italiano
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Cascone, Alfonso, imprenditore sorrentino, patron del Fauno Bar e
presidente del Circolo Sorrentino
Casola, Giovanni, deputato e vice sindaco di Sorrento
Craxi, Bettino (Milano, 24 febbraio 1934 - Hammamet, 19 gennaio
2000), politico e presidente del Consiglio italiano
Cuomo, Antonino, avvocato e sindaco di Sorrento
Cuomo, Ettore, docente di Storia e Filosofia nei licei, ordinario di Storia
delle Dottrine Politiche all’Università
D
Dalla, Lucio (Bologna, 4 marzo 1943 - Montreaux, 1 marzo 2012),
cantautore italiano
De Curtis, Ernesto, (Napoli, 4 ottobre 1875 - Napoli, 31 dicembre
1937), compositore italiano
De Curtis, Giambattista, (Napoli, 20 luglio 1860 - Napoli, 15 gennaio
1926), pittore e poeta italiano
De Gasperi, Alcide Pieve Tesino, 3 aprile 1881 - Borgo Valsugana, 19
agosto 1954), politico italiano esponente della Democrazia Cristiana,
presidente del Consiglio dei ministri e più volte ministro
De Nicola, Raffaela, moglie di Carlo Di Leva
De Rosa, Armando, politico napoletano, esponente della Democrazia
Cristiana e assessore della Regione Campania
Di Leva, Fulvia, figlia di Carlo Di Leva
Di Leva, Giancarlo, figlio di Carlo Di Leva
Di Leva, Nino, figlio di Carlo Di Leva
Di Leva, Paola, figlia di Carlo Di Leva
Di Leva, Carlo, sindaco di Sorrento e presidente dell’Azienda Autonoma
di Soggiorno e Turismo di Sorrento-Sant’Agnello
Di Leva, Giovanni, padre di Carlo Di Leva
Di Leva, Salvatore, pescatore sorrentino
Di Maio, Eleonora, attrice e regista teatrale
Di Maio, Francesco, amico sorrentino di Giovanni Casola
Douglas, Norman (Thüringen, 8 dicembre 1868 - Capri, 7 febbraio
1952), scrittore scozzese
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E
Ercolano, Franco, amico sorrentino di Giovanni Casola
Ercolano, Romolo, amico sorrentino di Giovanni Casola
F
Fiorentino, Alfonso, imprenditore turistico sorrentino
Foddai, Angelo, albergatore e gestore del Grand Hôtel Europa Palace
di Sorrento
G
Gargiulo, Antonino, direttore del Grand Hôtel Europa Palace di
Sorrento
Gargiulo, Giuseppe (Peppino di Francischiello), ristoratore massese e
proprietario del ristorante “Antico Francischiello”
Gava, Silvio, (Vittorio Veneto, 25 aprile 1901 - Roma, 23 dicembre
1999), politico e ministro della Repubblica italiano
Giacomo II di Borbone-La Marche (1370 - Besançon, 24 settembre
1438), secondo marito della regina Giovanna II e re consorte di Napoli
Gina Di Maio, madre del poeta Gianni Terminiello
Giovanna I d’Angiò, (Napoli, 1327 circa - Muro Lucano, 12 maggio
1382), regina di Napoli
Giovanna II d’Angiò-Durazzo (Zara, 25 giugno 1373 - Napoli, 2
febbraio 1435), regina di Napoli
Goethe, Johann Wolfgang von, (Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 Weimar, 22 marzo 1832), scrittore, poeta e drammaturgo tedesco
Guglielmo d’Austria (Vienna, 1370 - Vienna, 15 luglio 1406), duca di
Carinzia, primo marito di Giovanna II d’Angiò
I
Iaccarino, Giulio, docente dell’Istituto Statale d’Arte di Sorrento e
cugino di Carlo Di Leva
Iaccarino, Maria Antonina, madre di Carlo Di Leva
Iaccarino, Riccardo, architetto, docente dell’Istituto Statale d’Arte di
Sorrento e cugino di Carlo Di Leva
29
Ibsen, Henrik (Skien, 20 marzo 1828 - Oslo, 23 maggio 1906), scrittore,
drammaturgo, poeta e regista teatrale norvegese
J
Jannuzzi, Bigia, cognata di Giovanni Casola
Jannuzzi, Franco, imprenditore sorrentino e cognato di Giovanni
Casola
Jannuzzi, Peppino, imprenditore sorrentino e cognato di Giovanni
Casola
L
La Pira, Giorgio (Pozzallo, 9 gennaio 1904 - Firenze, 5 novembre 1977)
politico, docente italiano e sindaco di Firenze
Ladislao I d’Angiò-Durazzo (Napoli, 11 luglio 1376 - Napoli, 6 agosto
1414), re di Napoli
Lauro, Achille (Piano di Sorrento, 16 giugno 1887 - Napoli, 15 novembre
1982) armatore, politico, editore, dirigente sportivo italiano e sindaco
di Sorrento
Lauro, Gioacchino Piano di Sorrento, 30 marzo 1920 - Napoli, 1º
maggio 1970 politico, armatore e dirigente sportivo italiano e sindaco
di Sorrento
Lauro, Raffaele, docente, pubblicista, prefetto, senatore e scrittore
sorrentino
Lessels, Richard (1603 - 1668), prete cattolico romano e scrittore inglese
M
Maria Alexandrowna (Darmstadt, 8 agosto 1824 - San Pietroburgo, 8
giugno 1880), zarina di Russia, moglie dello zar Alessandro II
Maria Cappiello, soprano sorrentino
Moro, Aldo (Maglie, 23 settembre 1916 - Roma, 9 maggio 1978),
politico, accademico e giurista italiano, presidente del Consiglio dei
ministri, segretario politico e presidente del consiglio nazionale della
Democrazia Cristiana
30
P
Pane, Antonino, giornalista sorrentino, capo redattore de “Il Mattino”
di Napoli e vice presidente del Circolo Sorrentino
Peppino di Capri, pseudonimo di Giuseppe Fajella, cantante e
compositore musicale italiano
Prandi, Rolando, manager emiliano, direttore e gestore della Scuola
Alberghiera di Sorrento
R
Raviele, Gianni, giornalista televisivo e scrittore italiano, responsabile
dei servizi culturali del TG1, inventore e patron della Rassegna San
Martino Arte
Roberto d’Angiò, detto il Saggio (Santa Maria Capua Vetere, 1277 Napoli, 16 gennaio 1343), re di Napoli e di Sicilia
Russo, Giovanni, albergatore sorrentino, patron dell’albergo Bellevue
Syrene e dell’Hilton Sorrento Palace
S
Schisano, Agostino, medico-chirurgo, sindaco di Sorrento e presidente
dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di SorrentoSant’Agnello
Schisano, Gigliola, figlia di Agostino Schisano e direttrice dell’Azienda
Autonoma di Soggiorno e Turismo di Sorrento-Sant’Agnello
Scott, Walter, (Edimburgo, 15 agosto 1771 - Abbotsford House, 21
settembre 1832) scrittore, poeta e romanziere scozzese
Scotti, Vincenzo (Napoli, 16 settembre 1933) politico italiano e più
volte ministro della Repubblica
Shelley, Percy Bysshe (Field Place, Sussex, 4 agosto 1792 - mare di
Viareggio, 8 luglio 1822), poeta romantico e filosofo inglese
Simioli, Franco, direttore dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e
Turismo di Sorrento-Sant’Agnello
Sirene, figure mitologiche greche, abitatrici degli isolotti de Li Galli
Stinga, Antonino, imprenditore sorrentino dei trasporti
31
T
Terminiello, Gianni, poeta sorrentino
Tramontano, Guglielmo, albergatore e sindaco di Sorrento
U
Ulisse, personaggio mitologico greco, protagonista dell’Odissea di
Omero
Z
Zanardelli, Giuseppe (Brescia, 26 ottobre 1826 - Cesano Maderno, 26
dicembre 1903), patriota e politico italiano, presidente del Consiglio
dei Ministri del Regno d’Italia
32
APPENDICE POETICA
33
La gentilezza di un’anima
Ricordi… di quelle fine mani pelose
a firmare le ragioni di un’esistenza,
dalle profonde radici.
Sento bagni di odori… tra quella sua
dialettica sparsa sulla città, dal profumo
delle sigarette accese a spargere condite
luci di sorrentinità.
Era una coscienza mai graffiata dal greto
di un’anima sublime… a tracciare entusiasmi
scolpiti dal vetro del tempo.
Vorrei ritornare al fascino della sua vita
succhiata tra scuola, comune, azienda…
le sue condite foglie dalle ali ventose,
a spargere percorsi di rose profumate di signorilità.
Rivedo il suo sorriso che cammina ancora sul rumore
di ruscelli freschi di una pura classe istituzionale
e così, da spostarsi al suo passaggio… tra le note
di un’eco mai dimenticata.
Quanti buchi di pensieri… e rami cresciuti,
rimasti ancora lì, a quel momento in cui tinteggiava
la sua vita macinata dall’avorio della sua esistenza.
Indelebile grandezza tra fumanti serate, passate
al fonema del vermiglio incanto dei suoi antichi
trascorsi matematici, così intensi da spezzare
34
l’ostia del suo intelletto e limarci sopra, i frutti
di angoli insonni.
Oggi… voci di intelligenze, regalano lastricati di
momenti colmi di natali, concerti, sfilate di auto,
squadre di calcio, i fratelli D’Inzeo, incontri del
cinema, sorrento inverno, estati musicali, concerti
pasquali, tutti terrazzi di schermi imbellettati che
passano scorrendo, nei graffiti del tempo.
Grazie professore… grazie per i risvegli mai
appassiti di sentieri lasciati a chi, ha dei sogni
lontani come il Vostro… così cammina e cammina
ancora, il richiamo di decenni passati all’antico
sapore di grotte paterne.
Gianni Terminiello
Lirica dedicata alla famiglia Di Leva nelle persone dei figli Giancarlo,
Nino, Fulvia e Paola.
Un ringraziamento particolare al professore Raffaele Lauro, fortemente
interessato al ricordo di Carlo Di Leva, da prospettare un “excursus storico”
della sua vita personale ed istituzionale.
Il professore Carlo Di Leva è deceduto il 21 marzo 1994, a Sorrento,
andandosene con la stessa classe e semplicità che lo ha contraddistinto
nella sua vita di persona pubblica (G. T.).
35
Giannino
Sorrento… sei sempre più bella,
lo so, ti seguo nel mio batacchiare
a piedi nudi i tuoi terrazzamenti ai
richiami del tempo passato.
Su albe filigranate, rivedo le solite
sciàbiche ritirarsi dal suo mare…
a guardare da sotto, muri a secco, tra
filiere di ulivi tremanti e limoni intrisi
delle notti rubate al grecale che li percuote.
Tutto è scolpito nella mia anima…
come lei che mi rimase come profumo
di fiore fugace, quando da bambina, le
regalavo i vestiti dei soldati americani
e far finta poi, di venderli per orologi
ripieni dei pensieri inventati.
Allora come ora… mi ricordo del mio
giocare, lì, con palle rubate alle moto
e con me… Eleonora, Franco, Francesco,
Romolo, Gina, Bigia, Salvatore, Giuseppe…
amici di infanzia, nella fragranza di tenerezze,
al mio richiamo di ora.
Colgo i rumori delle scogliere del Capo, amiche
delle stelle ad aspettarmi con quelle conchiglie
cantanti e con la mia risacca di rabbia profonda,
per non poter regalarle la mia pura incoscienza
di allora.
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In quei sassi sparsi a Puolo… puntellavo le voglie
di stringermi a questa terra, con nuove storie,
diverse… ad affacciarsi dai terrazzi della mia
dignità o dal singhiozzo delle lacrime dei fuenti
sorrentini, in fila a scorrermi dentro.
Quasi medico senza un pelo di coscienza, poi
deputato fuori moda, ad assaggiare le sassate
di cadaveri pensanti, ma il mio grano fiero di una
sana identità, lo regalai solo ai miei amici
dell’infanzia passata, che leggevano nelle mie
mani pulite.
Sorrento dai frutti maturi… lasciami un segno
del mio amore per te, negli scaffali custoditi…
e come unico concime che mi attraversa il pensiero.
E alla fine… quei vuoti mentali, sempre più impazienti
e così, di fronte al viso di quel mare ad aspettare, cavalcai
intensamente i miei ricordi di marmo, senza più scalini
per poterli attraversare e lasciarci nuovi spicchi dal
sapore intenso.
Gianni Terminiello
Lei: un amore fanciullesco, ma intenso verso una fanciulla sorrentina
che indico solo con le iniziali: GS; Eleonora: Eleonora Di Maio; Franco:
Franco Ercolano; Francesco: Francesco Di Maio (spogliamaronna);
Romolo: Romolo Ercolano; Gina: Gina Di Maio (mia madre); Bigia: Bigia
Jannuzzi; Salvatore: Salvatore Di Leva (pescatore); Giuseppe: Peppino di
Francischiello (G. T.).
37
BIBLIOGRAFIA
Douglas, Norman, “La terra delle Sirene, La Conchiglia, 2002
Douglas, Norman, “Vecchia Calabria”, La Conchiglia, 2004
Douglas, Norman, “Vento del Sud”, La Conchiglia, 2003
Lauro, Raffaele,“Caruso The Song - Lucio Dalla e Sorrento”, GoldenGate
Edizioni, 2015, pagg. 422-423
Lauro Raffaele, “Quel film mai girato”, Vol. II, GoldenGate Edizioni,
2003, pagg. 181-187
Lauro, Raffaele, “Sorrento The Romance”, GoldenGate Edizioni, 2013,
pagg. 133-134
“Lucio Dalla e Sorrento - I Luoghi dell’Anima”, docufilm (54’, sottotitolato in inglese) scritto, narrato e diretto da Raffaele Lauro, GoldenGate
Edizioni, 2015, Capp. IV e V
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SOMMARIO
1.La signorilità sorrentina e l’arte dell’accoglienza, qualità
antropologiche o falso storico? Due esemplari figure,
ormai mitiche: Carlo Di Leva e Giovanni Casola. . . . . . . . . . . . . . . 5
2.Indice dei nomi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
3.Appendice poetica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
4.Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
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Per info su Raffaele Lauro:
www.raffaelelauro.it
www.carusothesong.com
Del presente opuscolo sono state stampate 50 copie, firmate dall’Autore.
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