L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE 29/01/2011 Raccolta di articoli a cura di Girolamo Valenza Articoli di Barbara Spinelli, Rossana Rossanda, Benedetta Tobagi, Giulia Bongiorno, Nadia Urbinati, Roberta De Monticelli L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE la Repubblica L' OSCENO NORMALIZZATO di BARBARA SPINELLI Ci fu un tempo, non lontano, in cui era vero scandalo, per un politico, dare a un uomo di mafia il bacio della complicità. Il solo sospetto frenò l' ascesa al Quirinale di Andreotti, riabilitato poi dal ceto politico ma non necessariamente dagli italiani né dalla magistratura, che estinse per prescrizione il reato di concorso in associazione mafiosa ma ne certificò la sussistenza fino al 1980. Quel sospetto brucia, dopo anni, e anche se non è provato ha aperto uno spiraglio sulla verità di un lungo sodalizio con la Cupola. Chi legga oggi le motivazioni della condanna in secondo grado di Dell' Utri avrà una strana impressione: lo scandalo è divenuto normalità, il tremendo s' è fatto banale e scuote poco gli animi. Nella villa di Arcore e negli uffici di Edilnord che Berlusconi - futuro Premier - avevaa Milano, entravano e uscivano con massima disinvoltura Stefano Bontate, Gaetano Cinà, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano, mafiosi di primo piano: per quasi vent' anni, almeno fino al ' 92. Dell' Utri, suo braccio destro, era non solo il garante di tutti costoro ma il luogotenente-ambasciatore. Fu nell' incontro a Milano della primavera ' 74 che venne deciso di mandare ad Arcore Mangano: che dovremmo smettere di chiamare stalliere perché fu il custode mafioso e il ricattatore del Cavaliere. Quest' ultimo lo sapeva, se è vero che fu Bontate in persona, nel vertice milanese, a promettergli il distaccamento a Arcore d' un «uomo di garanzia». La sentenza attesta che Berlusconi era legato a quel mondo parallelo, oscuro: ogni anno versava 50 milioni di lire, fatti pervenire a Bontate (nell' 87 Riina chiederà il doppio). A questo pizzo s' aggiunga il «regalo» a Riina (5 milioni) per «aggiustare la situazione delle antenne televisive» in Sicilia. Fu Dell' Utri, ancor oggi senatore di cui nessuno chiede l' allontanamento, a consigliare nel 1993 la discesa in politica. Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, dirà che altrimenti il Cavaliere sarebbe «finito sotto i ponti o in galera per mafia» ( la Repubblica, 25-62000). Il 10 febbraio 2010 Dell' Utri, in un' intervista a Beatrice Borromeo sul Fatto, spiega: «A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera». C' è dell' osceno in questo mondo parallelo, che non è nuovo ma oggi non è più relegato fuori scena, per prudenza o gusto. Oggi, il bacio lo si dà in Parlamento, come Alessandra Mussolini che bacia Cosentino indagato per camorra. Dacci oggi il nostro osceno quotidiano. Questo il paternoster che regna - nella Mafia le preghiere contano, spiega il teologo Augusto Cavadi - presso il Premier: vittima di ricatti, uomo non libero, incapace di liberarsi di personaggi loschi come Dell' Utrio il coordinatore Pdl in Campania Cosentino. Ai tempi di Andreotti non ci sarebbe stato un autorevole commentatore che afferma, come Giuliano Ferrara nel 2002 su Micromega: «Il punto fondamentale non è che tu devi essere capace di ricattare,è che tu devi essere ricattabile (...) Pagina 1 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE Per fare politica devi stare dentro un sistema che ti accetta perché sei disponibilea fare fronte,a essere compartecipe di un meccanismo comunitarioe associativo attraverso cui si selezionano le classi dirigenti. (...) Il giudice che decide il livelloe la soglia di tollerabilità di questi comportamenti è il corpo elettorale». Il corpo elettorale non ha autonoma dignità, ma è sprezzato nel momento stesso in cui lo si esalta: è usato, umiliato, tramutato in palo di politici infettati dalla mafia. Gli stranieri che si stupiscono degli italiani più che di Berlusconi trascurano spesso l' influenza che tutto ciò ha avuto sui cervelli: quanto pensiero prigioniero, ma anche quanta insicurezza e vergogna di fondo possa nascere da questo sprezzo metodico, esibito. Ai tempi di Andreotti non conoscemmo la perversione odierna: vali se ti pagano. La mazzetta ti dà valore, potere, prestigio. Non sei nessuno se non ti ricattano. L' 1 agosto 1998, Montanelli scrisse sul Corriere una lettera a Franco Modigliani, premio Nobel dell' economia: «Dopo tanti secoli che la pratichiamo, sotto il magistero di nostra Santa Madre Chiesa, ineguagliabile maestra d' indulgenze, perdoni e condoni, noi italiani siamo riusciti a corrompere anche la corruzioneea stabilire con essa il rapporto di pacifica convivenza che alcuni popoli africani hanno stabilito con la sifilide, ormai diventata nel loro sangue un' afflizioncella di ordine genetico senza più gravi controindicazioni». In realtà le controindicazioni ci sono: gli italiani intuiscono i danni non solo etici dell' illegalità. Da settimane Berlusconi agita lo spettro di una guerra civile se lo spodestano: guerra che nella crisi attuale- fa capire - potrebbe degenerare in collasso greco. È l' atomica che il Cavaliere brandisce contro Napolitano, Fini, Casini, il Pd, i media. I mercati diventano arma: «Se non vi adeguate ve li scateno contro». Sono lo spauracchio che ieri fu il terrorismo: un dispositivo della politica della paura. Poco importa se l' ordigno infine non funzionerà: l' atomica dissuade intimidendo, non agendo. Il mistero è la condiscendenza degli italiani, i consensi ancora dati a Berlusconi. Maè anche un mistero la loro ansia di cambiare, di esser diversi. Il loro giudizio è netto: affondano il Pdl come il Pd. Premiano i piccoli ribelli: Italia dei Valori, Futuro e Libertà. Se interrogati, applaudirebbero probabilmente le due donne - Veronica Lario, Mara Carfagnache hanno denunciato il «ciarpame senza pudore» del Cavaliere, e le «guerre per bande» orchestrate da Cosentino. Se interrogati, immagino approverebbero Saviano, indifferenti all' astio che suscita per il solo fatto che impersona un' Italia che ama molto le persone oneste, l' antimafia di Don Ciotti, il parlar vero. Questa normalizzazione dell' osceno è la vita che viviamo, nella quale politica e occulto sono separati in casa e non è chiaro, quale sia il mondo reale e quale l' apparente. Chi ha visto Essi Vivono, il film di John Carpenter, può immaginare tale condizione anfibia. La doppia vita italiana non nasce con Berlusconi, e uscirne vuol dire ammettere che destra e sinistra hanno più volte accettato patti mafiosi. C' è molto da chiarire,a distanza di anni, su quel che avvenne dopo l' assassinio di Falcone e Borsellino. In particolare, sulla decisione che il ministro della giustizia Conso prese nel novembre ' 92 - condividendo le opinioni del ministro dell' Interno Mancino e del capo della polizia Parisi - di abolire il carcere duro (41bis) a 140 mafiosi, con la scusa che esisteva nella Mafia una corrente anti-stragi favorevole a trattative. Congetturareè azzardato, ma si può supporre che da allora viviamo all' ombra di un patto. Il patto non è obbligatoriamente formale. L' universo parallelo ha le sue opache prudenze, ma esiste e contamina la sinistra. In Sicilia, anch' essa sembra costretta a muoversi nel perimetro dell' osceno. Osceno è l' accordo con la giunta Lombardo, presidente della Regione, indagato per «concorso esterno in associazione mafiosa». Osceno e tragico, perché avviene nella ricerca di un voto di sfiducia a Berlusconi. Non si può non avere un linguaggio inequivocabile, sulla legalità. Non ci si può comportare impunemente come quando Pagina 2 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE gli americani s' intesero con la Mafia per liberare l' Italia. L' accordo, scrive il magistrato Ingroia, fu liberatore ma ebbe l' effetto di rendere «antifascisti i mafiosi, assicurando loro un duraturo potere d' influenza». Non è chiaro quel che occorra fare, ma qualcosa bisogna dire, promettere. Non qualcosa «di sinistra», ma di ben più essenziale: l' era in cui la Mafia infiltrava la politica finirà, la legalità sarà la nuova cultura italiana. Fino a che non dirà questo il Pd è votato a fallire. Proclamerà di essere riformista, con «vocazione maggioritaria», ma l' essenza la mancherà. Non sarà il parlare onesto che i cittadini in fondo amano. Si tratta di salvare non l' anima, ma l' Italia da un lungo torbido. Sarebbe la sua seconda liberazione, dopo il ' 45 e la Costituzione. Sennò avrà avuto ragione Herbert Matthew, il giornalista Usa che nel novembre ' 44, sul mensile Mercurio, scrisse parole indimenticabili sul fascismo: «È un mostro col capo d' idra. Non crediate d' averlo ucciso». la Repubblica19 gennaio 2011 Il sermone della decenza di Barbara Spinelli Dovrebbe esser ormai chiaro a tutti, anche a chi vorrebbe parlar d'altro e tapparsi le orecchie, anche a chi non vede l'enormità della vergogna che colpisce una delle massime cariche dello Stato, che una cosa è ormai del tutto improponibile: che il presidente del Consiglio resti dov'è senza neppure presentarsi al Tribunale, e che addirittura pretenda di candidarsi in future elezioni come premier. Molti lo pensano da tempo, da quando per evitare condanne il capo di Fininvest considerò la politica come un sotterfugio. Non un piano nobile dove si sale ma uno scantinato in cui si «scende», si traffica, ci si acquatta meglio. La stessa ascesa al Colle resta, nei suoi sogni, una discesa in sotterranei sempre più inviolabili. Molti sono convinti che i suoi rapporti con la malavita, la stretta complicità con chi in due gradi di giudizio è stato condannato per concorso in associazione mafiosa (Dell'Utri), il contatto con un uomo – Mangano – che si faceva chiamare stalliere ed era il ricattatore distaccato da Cosa Nostra a Arcore – erano già motivi sufficienti per precludergli un luogo, il comando politico, che sisuppone occupato da chi ha avuto una vita rispettosa della legge. Ma adesso l'impegno a fermare quest'uomo infinitamente ricattabile perché incapace di controllare la sua sessualità deve esser esplicitamente preso dai responsabili politici tutti, dalla classe dirigente in senso lato, e non solo detto a mezza voce. È una specie di sermone che deve essere pronunciato, solenne come i giuramenti che costellano la vita dei popoli. Un sermone che non deleghi per l'ennesima volta il giudizio morale e civile alla magistratura. Che pur rispettando la presunzione d'innocenza, certifichi l'esistenza di un ceto politico determinato a considerare l'evidenza dello scandalo e a trarne le conseguenze prima ancora che i tribunali si pronuncino. Ci sono reati complessi da districare, per i giudici. Questo non vieta, anzi impone Pagina 3 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE alla politica di delimitare in piena autonomia la dignità o non dignità dei potenti. Non è più solo questione del conflitto di interessi, che grazie alla legge del 1957 avrebbe sin dall'inizio potuto vietare l'accesso a responsabilità politiche di un titolare di pubbliche concessioni (specie televisive). Chi è sospettato d'aver pagato prostitute o ragazze minorenni, d'aver indotto –sfruttando il proprio potere – un pubblico ufficiale a fare cose illecite, chi è talmente impaurito dall'arresto di Ruby dal presentarla in questura come nipote di Mubarak, chi ha avuto rapporti con mafiosi e corrotto testimoni o giudici, deve trovare chiuse le porte della politica, anche se i Tribunali ancora tacciono o se vi son state prescrizioni. Attorno a lui deve essere eretto una sorta di alto muro, che impersoni la legge, la riluttanza interiore d'un popolo a farsi rappresentare da un individuo dal losco passato e dal losco presente. Tra Berlusconi e la politica questo muro non è stato mai eretto, nemmeno dall'opposizione quando governava. Se non ora, quando? È così da millenni, nella nostra civiltà: una società ha anticorpi che espellono le cellule malate, o non li ha e decade. L'ostracismo fu un prodotto della democrazia ateniese, nel VI secolo a.C. Eraclito scrive: «Combattere a difesa della legge è necessario, per il popolo, proprio come a difesa delle mura». Berlusconi non avrebbe dovuto divenire premier, e non perché si disprezzi il popolo che lo ha eletto: non avrebbe dovuto neanche potersi candidare. Comunque, oggi, non può restare o tornare in luoghi del comando che hanno una loro sacralità: non può, se la coerenza non è una quisquilia, nemmeno presentarsi come patrono del proprio successore. Non è un monarca che va in pensione. Gli italiani più restii a vedere lo sanno, altrimenti non avrebbero acclamato in simultanea, da 16 anni, Berlusconi e tre capi dello Stato. È segno che in un angolo della coscienza, sognano quel decalogo che nelle parole di Thomas Mann «altro non è che la quintessenza dell'umana decenza»: il non rubare, il non pronunciare il nome di Dio invano, il non dire il falso, il non sbandierare valori senza rispettarli, il non adulterare ciò che è chiaro e puro confondendolo con il torbido e l'impuro. È come se i padri costituenti avessero presentito tutto questo, vietando plebisciti di capi di governo o di Stato: come se condividessero la diffidenza di Piero Calamandrei per l'inclinazione italiana alla «putrefazione morale, all'indifferenza, alla sistematica vigliaccheria». La responsabilità del sermone è dunque per intero nelle mani dei parlamentari, liberi per legge da vincolo di mandato. Così come è in mano ai contro-poteri che costituzionalmente limitano il dominio d'uno solo (parlamento, magistratura, stampa). Contro-poteri su cui la sovranità popolare non ha il primato, se è vero che essa viene «esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art 1). Già una volta, nella «chiamata di correo» di Craxi, i politici caddero nel baratro, degradando se stessi. Fu il buco nero di Tangentopoli, e spiega come mai ancora abitiamo un girone dantesco fatto di menzogna e omertosi sortilegi. Il buco nero sono le parole di Craxi in Parlamento, il 3 luglio '92:«Nessun partito è in grado di scagliare la prima pietra. (...) Ciò che bisogna dire, e che tutti del resto sanno, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale.(...) Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia (...) criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare Pagina 4 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi, i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro». Difficile dimenticare il silenzio che seguì: nessun deputato si alzò, e ancor oggi la nostra storia stenta a non essere storia criminale. Ancor oggi si vorrebbe sapere perché i deputati che si ritenevano onesti rimasero appiccicati alla poltrona. Craxi pagò appropriatamente, perché le sentenze erano passate in giudicato e la legge è legge, ma pagò per molti: anche per Berlusconi, che con il suo aiuto costruì il proprio apparato di persuasione televisiva e profittò del crollo della Prima Repubblica sostituendola con un suo privato giro di corrotti e corruttori. I deputati rischiano di restar seduti anche oggi, come allora: per schiavitù volontaria, o peggio. Il sermone oggi necessario deve essere un impegno a che simili ignominie non si ripetano. Proprio perché il conflitto d'interessi è sorpassato, e siamo di fronte a un conflitto fra decenza e oscenità, fra servizio dello Stato e servizio dei propri comodi, fra libertinaggio innocente e libertinaggio commisto a reati. Da molto tempo, c'è chi ha smesso di parlare di Palazzo Chigi: preferisce parlare di palazzo Grazioli come sede dell'esecutivo, e fa bene. Che si salvi, almeno, l'aura associata ai luoghi italiani del potere. Domenica scorsa, Berlusconi ha fatto dichiarazioni singolari, oltre che ridicole. Definendo gravissima, inaccettabile, illegale, l'intromissione dei magistrati nella vita degli italiani ha detto:«Perché quello che i cittadini di una libera democrazia fanno nelle mura domestiche riguarda solo loro. Questo è un principio valido per tutti, e deve valere per tutti. Anche per me». L'uguaglianza fra cittadini equivale per lui alla libertà di fare quel che si vuole, in casa: anche un reato, magari. Non riguarda certo l'uguaglianza di fronte alla legge. L'antinomia stride, e offende. Siamo ben lontani dall'ingiunzione di Eraclito, se tutto diventa lecito nelle mura domestiche, e non appena succede qualcosa di criminoso l'uguaglianza cessa d'un colpo, e comincia l'età dei porci di Orwell, in cui tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Pagina 5 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE “il manifesto” 22 gennaio 2011 E ora su la testa di Rossana Rossanda Non è piacevole essere oggi un'italiana all'estero. Tanto meno se si è stata una sia pur minuscola tessera di ceto politico, due volte consigliere comunale e una volta deputata, una cui l'antipolitica fa venire il nervoso. E per di più comunista libertaria, specie rarissima, orgogliosa di sé e di un paese che, fino agli anni Sessanta e con diverse code nei Settanta, pareva il laboratorio politico più interessante d'Europa. Oggi gli amici che incontro non dicono più: ma che disgrazia quel vostro Berlusconi! Mi chiedono: Com'è che l'avete votato tre volte? Che è successo all'Italia? Una come me si trova a balbettare.Perché hanno ragione, non si può più fare del premier il caso personale di uno che ha fatto troppi soldi, che ha tre televisioni, che prende il paese per un'azienda di sua proprietà, che sa che molti sono acquistabili e li acquista, e adesso, gallo attempato, si vanta dei suoi exploits su un numero illimitato di pollastrine: «Vorreste tutti essere come me, eh??». E' vero che l'Italia lo ha votato e rivotato. E' vero che non c'è traccia di una destra formalmente civile che di lui ne ha abbastanza, né di un sedicente centro deciso a liberarsene. E neanche di una sinistra capace di rischiare un «buttiamolo fuori con le elezioni». La destra tutta perché gli è ancora complice, il centro perché lo è stato, la sinistra perché il sistema elettorale bipolare le faceva comodo contro le sue ali meno docili. Metà dell'Italia è berlusconiana, l'altra metà è azzittita, e non c'è imputazione - ignoranza, prevaricazione, corruzione, soldi, attentato ai minori - mossa al personaggio che sia in grado di scuoterla. Anzi. C'è qualche verità nelle vanterie di costui, se più se ne sente più tutti si accucciano per calcoli loro. Perfino i media, che sarebbero di opposizione, sono diventati un buco della serratura per voyeurs intenti a sfogliare pagine su pagine o ad ascoltare minuti su minuti di dialoghi sul prezzo per un appalto o per togliersi le mutande. Che ci è successo? Da quando? Perché? Sarebbe una discussione interessante. Si potrebbe sprofondare in una storia secolare di servaggi, Francia o Spagna pur che se magna. O di una unità nazionale sotto una monarchia codina, tardiva e ben epurata di ogni fermento rivoluzionario - i giacobini napoletani decapitati o appesi nel giubilo dei lazzari e sanfedisti, la repubblica romana repressa, e soltanto le tracce dell'ammodernamento giuridico di Napoleone al nord. Non sarà del tutto casuale che siamo stati noi a inventare il primo fascismo europeo. Ci deve essere qualcosa di guasto nella coscienza della penisola. Alcuni di noi pensano che soltanto la presenza di un partito comunista che non mollava sui diritti sociali ha costretto il paese alla democrazia, come un tessuto fragile ma fortemente intelaiato, che non si è lacerato finché i comunisti non si sono uccisi da soli. Tutto da vedere, se se ne avesse voglia. Ma chi ne ha? Lo slogan nazionale è: fatti gli affari tuoi. Vota chi si fa i suoi. Non è una storia soltanto italiana, tutta l'Europa va a destra. Ma da Pagina 6 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE noi si esagera. In Francia un vecchio ed elegante signore, Stephan Hessel, che non alza la voce ma non ha mai taciuto, ha scritto un opuscolo: Indignatevi! Ne sono sparite subito quasi un milione di copie.Una settimana fa voleva parlare della Palestina, glielo hanno impedito. E lui e i suoi lettori si sono trovati fuori, in migliaia, di notte, con un freddo polare, nella piazza del Pantheon, a gridare: Basta! Perché noi no? Si sta meglio con la testa alta, invece che fra le spalle e gli occhi a terra. Non so se lo farà Vendola. Non credo che lo farà Bersani. Ma chiudiamo con il cinismo del chi se ne frega. Indigniamoci ! Pagina 7 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE la Repubblica 22 gennaio 2011 La riscoperta dell'indignazione di Benedetta Tobagi Trentadue pagine in cui articola l'imperativo morale "Indignatevi!" - di fronte alle abissali ingiustizie della globalizzazione selvaggia, alla deumanizzazione dei migranti, all'emergenza ambientale - e il 93enne ex partigiano e diplomatico franco-tedesco Stéphane Hessel ha venduto in pochi mesi quasi mezzo milione di copie in Francia. Il prezzo stracciato e il lancio a ridosso del Natale ne hanno fatto il perfetto cadeau politicamente corretto, ma questo non basta a spiegare il successo clamoroso del pamphlet. Di certo cade su un terreno fertile. A partire dal 2000, con il collasso della bolla speculativa e lo stillicidio di scandali che, da Enron in poi, hanno portato sul lastrico migliaia di risparmiatori e lavoratori, si incrina l'immagine di broker, amministratori delegati, manager: un modello di successo, ricchezza e privilegio che suscitava ammirazione e invidia. Il piccolo libro Indignez-vous! monta sulle spalle di una fioritura di saggi e opere cinematografiche,letterarie e teatrali; i documentari The Corporation, Il caso Enron, Goodbye mr.Capitalism, i drammi di Edward Bond, Deb Margolin, David Hare, i saggi di Naomi Klein, il libro che mette a nudo i responsabili del crack di Merril Lynch, per citarne alcuni, denunciano le perversioni del capitalismo delle multinazionali, i vizi della speculazione selvaggia e dei suoi protagonisti, che per decenni - finché l'economia occidentale reggeva hanno agito indisturbati, nella latitanza della politica e nell'acquiescenza di larga parte dell'opinione pubblica. Col crollo del 2009, gli dèi del capitalismo rampante sono caduti, è morta l'illusione della crescita indefinita e dagli Usa all'Europa la cittadinanza comincia a fremere, esasperata. E non solo dalle infamie del capitalismo: gli scandali politici sono fonte di frequenti esplosioni di sdegno, dagli Usa al Regno Unito a - ovviamente l'Italia: qui è appena nato il sito indignati.org, reazione al vaso di Pandora scoperchiato dall'affaire Ruby. L'affiorare di sussulti d'indignazione popolare che rompono l'indifferenza compiacente o rassegnata è salutato con speranza ed entusiasmo. L'indignazione viene invocata, non solo in Francia, come una panacea, il sentimento che può guidare una società in stallo fuori dalla palude della crisi, morale e materiale. Eppure è un sentimento prepolitico, e, come suggerisce una recente (2007) riflessione teoretica di Álvarez González, è tipica di "un'etica in tempi di impotenza". Qual è dunque lo specifico dell'indignazione? Quale funzione può svolgere nella società del capitalismo globale postfordista? L'indignazione si mescola ad altri sentimenti scatenati dall'ingiustizia, come l'odio e la rabbia. Rispetto a queste emozioni, spiccatamente difensive, irriflessive e distruttive, l'indignazione è sottilmente diversa. Definita come "condizione spirituale caratterizzata da vibrante sentimento verso qualcosa che si ritiene riprovevole e ingiusto" - indegno, appunto - presuppone il sentimento confuso, se non ancora la speranza, di qualcosa di diverso, un ideale di giustizia. Il filosofo Paul Ricoeur poneva i termini della questione in modo cristallino (Il giusto, 1995): Pagina 8 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE "il nostro primo ingresso nella regione del diritto non è stato, forse, segnato dal grido ‘È ingiusto!'?". Nell'indignazione diventiamo testimoni empatici delle ingiustizie del mondo: anche se ancora non ci toccano direttamente, o siamo "fuori pericolo", sentiamo - come ama ripetere Roberto Saviano -che quel male ci riguarda. In questa chiave possiamo leggere, ad esempio, le critiche di J.K. Rowling alla risibile politica "simbolica" di sostegno alle famiglie del premier conservatore Cameron: senza il welfare per le madri sole non avrebbe mai potuto creare la saga di Harry Potter. L'invito a indignarsi, più che ai giovani magrebini e europei già in protesta, è rivolto alla massa critica dei cittadini che non sono ancora stati toccati nella carne dall'impatto distruttivo delle forze impersonali dell'economia e dovrebbe riscuotersi dal virus letale dell'indifferenza prima che sia troppo tardi. Dall'oscuro senso di colpa che, scriveva Bobbio, si domanda "Perché a lui e non a me?" deve germogliare la presa di coscienza che ogni lesione della giustizia nuoce all'intero corpo sociale, nel lungo periodo. L'indignazione marca il punto di rottura della sopportazione, segna il risveglio della coscienza morale ed è un formidabile impulso verso l'agire politico. Dunque è davvero la chiave per uscire dalla crisi? Attenzione, il "grido dell'indignazione" non basta, ammonisce Ricoeur. Primo, esso difetta della definizione di criteri positivi: quale giustizia realizzare, con che mezzi, per chi. Aveva un bel dire, Rousseau, che il senso d'ingiustizia è il contrassegno universale dell'umanità: l'indignazione, spesso, è selettiva. Nel '68 tutti si disperavano per i vietnamiti, molto meno per il suicidio di Jan Palach. Per non parlare di chi, laddove confliggono due diritti, come nel conflitto israelo-palesinese, si indigna a senso unico. Ideologie, appartenenze, moda e visibilità mediatica hanno un peso determinante. Esiste poi, latente, il rischio di provocare nuove violenze e sopraffazioni, per vendicare quelle esistenti. L'uomo indignato odia l'ingiustizia e l'argine che lo trattiene dal volgere quell'odio contro i suoi attori è un campo di tensione instabile. Se Hessel addita la non violenza come l'unica via possibile (è ormai lontana la retorica rivoluzionaria dei Dannati della terra di Fanon, 1961), altrove è diverso: il già citato Álvarez González, immerso nella dura realtà sudamericana, non esplicita tale rifiuto. Il senso di giustizia dovrebbe trattenere dall'uso della violenza, ma, come ammonisce il noto brocardo, summum ius, summa iniuria. Il "maestro del sospetto" Nietzsche, ci ricorda Natoli, insegnò a diffidare dello sdegno sociale, in cui può annidarsi un'"utopia dell'invidia" nutrita di risentimenti assai poco nobili. Linea argomentativa ripresa da von Hayek, un padre del pensiero liberal-conservatore, in polemica col "miraggio della giustizia sociale". Ma il pericolo forse più diffuso nella nostra società è che l'indignazione si riduca a una falsa coscienza consolatoria: un'"etica-anestetica". Lo sdegno monta (e si sgonfia) seguendo il ritmo convulso della cronaca. Indignarsi fa sentire buoni, poi la vita va avanti come prima, ha velenosamente contestato a Hessel il filosofo Luc Berry. La parabola italiana di Mani Pulite insegna: la crisi sopraggiunse quando i giudici toccarono il ventre molle della microcorruzione diffusa. La rabbia si mescola all'ipocrisia: tutti si indignano davanti al politico ladro, molto meno se un professionista offre un forte sconto a chi rinuncia alla ricevuta fiscale. Pagina 9 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE Coerenza e continuità sono il banco di prova cruciale. L'indignazione, se non prosegue in un programma politico, è destinata a spegnersi. È indispensabile, ma come un detonatore o la carta con cui accendiamo il fuoco, che ha bisogno di ceppi di legna asciutti per bruciare a lungo. C'è un vuoto politico e concettuale da riempire. Cominciano a emergere nuovi modelli e direzioni di sviluppo per un capitalismo temprato dall'etica e dalla conoscenza (tra i nomi noti il nobel Sen, il padre del microcredito Yunus, Rifkin con l'economia dell'empatia, la radicale americana Susan George con "Attac", acronimo della proposta di tassare le transazioni finanziarie transnazionali per sostenere politiche di welfare), ma la strada è lunga e le controversie molteplici. In un orizzonte confuso e secolarizzato, beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno indignati. E da lì, forse, potrà nascere qualcosa. Pagina 10 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE la Repubblica 21 gennaio 2011 Noi donne calpestate non possiamo tacere GIULIA BONGIORNO ________________________________________ Caro direttore, quando è in corso un´indagine che riguarda un personaggio pubblico, l´immancabile amplificazione mediatica che ne consegue è insidiosissima. Di solito, gli elementi divulgati sono soltanto quelli raccolti dai pubblici ministeri. Si finisce così per attribuire il crisma di verità a tesi parziali. E l´idea che se ne fa l´opinione pubblica può risultarne alterata. Da avvocato, sento quindi l´obbligo di sottolineare che l´indagine sul premier Silvio Berlusconi non deve fare eccezione: prima di formulare giudizi in merito alla fondatezza delle accuse mossegli dalla Procura, bisogna senza dubbio attendere gli sviluppi processuali. Fatta questa doverosa premessa, voglio però subito precisare che non sono affatto d´accordo con quanti usano questo ragionamento come arma per stroncare ogni tipo di riflessione critica: in questi giorni ho infatti sentito invocare la presunzione di innocenza per mettere a tacere chi contestava non la consumazione di reati ma fatti storici oggettivamente emersi, fatti che nessun processo potrà mai cancellare. In definitiva, se prima di condannare è necessario aspettare che si faccia chiarezza sulla sussistenza di certi reati, non si può ignorare che non tutto quanto è emerso in questi giorni è "in attesa di giudizio": il contesto oggettivo in cui sarebbero maturate le vicende processuali non ha improvvisamente squarciato un velo e mostrato un profilo imprevisto e del tutto inedito del premier. Nelle aule di Milano si discuterà se Silvio Berlusconi abbia o meno consumato i reati di prostituzione minorile e di concussione, ma non erano necessarie le vicende sottostanti a queste contestazioni – né una sentenza – per conoscere la sua opinione sulle donne. Un´opinione che, se non ha rilevanza penale, ha tuttavia un´enorme rilevanza politica. Un´opinione da lui stesso espressa in modo inequivocabile con battute, barzellette, colloqui pubblici e privati. Un´opinione già delineatasi attraverso le dichiarazioni di Veronica Lario, quelle più recenti di Barbara Berlusconi (due testimoni molto attendibili), le vicende di Noemi Letizia e Patrizia D´Addario, nonché attraverso la singolare questione di alcune donne prima forse inserite nelle liste delle candidature alle Europee del 2009 e poi da quelle liste sicuramente scomparse. Quello che Silvio Berlusconi sembra maggiormente apprezzare nel genere femminile è l´avvenenza, al punto da far passare in secondo piano requisiti di ben altro spessore (credo sia rimasta impressa nella memoria di tutti la rozzezza della battuta all´onorevole Rosy Bindi); ancora meglio, poi, se a un aspetto fisico di un certo tipo si accompagnano giovane età, accondiscendenza e disponibilità ad abdicare al proprio spirito critico. Pagina 11 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE Di fronte a tutto ciò, ho sentito obiettare che si tratterebbe di questioni attinenti alla vita privata del premier e che dunque – appunto per questo – dovrebbero riguardare soltanto lui e la sua coscienza. No, non è così. Non c´è spazio per sostenerlo: lo stile e la filosofia di vita di un uomo che riveste la carica di presidente del Consiglio non possono non ripercuotersi sulla vita pubblica. Lo dimostra il fatto che Berlusconi, con le sue parole e i suoi comportamenti, ha inferto una ferita a tutte le donne italiane: alle donne che studiano e lavorano (spesso percependo stipendi inadeguati o, come nel caso delle casalinghe, senza percepirli affatto), a tutte noi che facciamo fatica un giorno dopo l´altro; alle donne che per raggiungere ruoli di rilievo non soltanto a certe feste non ci sono andate, ma hanno semmai dovuto rinunciare a vedere gli amici; a quante, invece di cercare scorciatoie, hanno percorso con dignità la strada dell´impegno e del sacrificio. E a coloro alle quali è stato chiesto, più o meno esplicitamente, di scegliere tra vita privata e vita pubblica, perché conciliare un figlio con il successo sarebbe stato troppo difficile: con il risultato che hanno rinunciato alla maternità o che ci sono arrivate ben oltre il momento in cui avrebbero voluto. A ciascuna di loro – nel momento in cui le donne vengono scelte e "premiate" in base non al merito ma a qualcos´altro che con la professionalità, l´impegno, l´intelligenza ha poco o nulla a che fare – è stata riversata addosso l´inutilità del suo sacrificio. Brucia, questa ferita. Brucia anche perché non sfugge che sono davvero in tanti a sottolineare, forse persino con un pizzico d´invidia, la fortuna e il fascino di un uomo più che maturo circondato da giovanissime più o meno avvenenti che si contendono i suoi favori, pronte a tutto pur di compiacerlo. Anche se, in un paese maschilista come il nostro, la complicità tra uomini turba ma non sorprende. Ma non si tratta esclusivamente di una ferita inferta alla dignità della donna, c´è di più; mai le battaglie del presidente del Consiglio hanno coinciso con le battaglie delle donne. Basterebbe a tal proposito ricordare che negli elenchi delle priorità di questo governo, che via via vengono snocciolate, figura di tutto – in primis, battaglie contro magistrati "comunisti" – , ma mai, mai, battaglie a favore delle donne. Come se le donne non avessero problemi concreti e indifferibili. Come si può ipotizzare che le leggi per combattere pm "politicizzati" siano più urgenti di quelle che dovrebbero venire incontro alle necessità di tutte noi? E allora non copriamo con l´alibi del segreto istruttorio, o con il fragile scudo della privacy, ciò che segreto non è, e nemmeno riservato. Ma sono le donne che per prime devono farsi forti della loro dignità e della consapevolezza del loro valore – senza distinzione di età, credo politico, provenienza geografica – per esprimere a voce alta lo sdegno che questa mentalità suscita, ne sono sicura, nella stragrande maggioranza di noi. Se credono, gli uomini continuino pure ad ammirare e a sostenere Silvio Berlusconi; le donne, per favore, no. Presidente commissione Giustizia della Camera Pagina 12 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE la Repubblica IL PREMIER E IL FATTORE SESSUALE NADIA URBINATI ________________________________________ Citando la massima evangelica "chi è senza peccato..." il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ha commentato che «quello che sta venendo a galla [a proposito del presidente del Consiglio] non è qualcosa di confortante, ma si tratta di accompagnare alla malinconia di quello che sta uscendo anche la considerazione del fatto che va rispettato il diritto di privacy di qualcuno». Questo argomento ripete uno schema popolare - quello morale e religioso che viene riproposto ogni qual volta Silvio Berlusconi deve fare i conti con gli effetti pubblici della sua vita privata. Ma questo argomento è assolutamente fuori luogo nella riflessione politica e al più retorico, fatto più per giustificare il presidente del Consiglio che per dar conto di quel che sta avvenendo nel nostro Paese. Quanto si legge in questi giorni sulle abitudini private del premier collima con quando Veronica Lario aveva a suo tempo affermato circa la patologia del marito e dovrebbe essere la base per una riflessione che non è per nulla di tipo morale o spirituale, ma ha invece a che vedere con la competenza stessa del primo ministro a svolgere le sue funzioni. A questo giudizio si può giungere se si prendono in considerazione gli studi sulle emozioni in politica, un settore di ricerca sempre più importante e attrezzato scientificamente. Le emozioni sono stati fisiopsicologici che gli studiosi includono tra i "fattori viscerali" del comportamento, fattori che la ragione fa una certa fatica a dominare, tanto da aver bisogno di appoggiarsi su strategie supplettive o di sostegno. Gli studiosi del comportamento includono questi "fattori viscerali" nella categoria generale di quelli fisiologici, come la fame, la sete, il bisogno di evacuare; il desiderio sessuale è tra questi. E come gli altri, esso può generare comportamenti compulsivi che sono di ostacolo alla decisione perché nelle loro forme estreme interferiscono fortemente con il comportamento razionale e le sue regole. Per questa ragione, si mettono in campo strategie supplettive, come quando si suggerisce per esempio ai mediatori di conflitti o ai negoziatori di non bere caffè prima del lavoro che devono compiere perché essendo un diuretico esso può interferire con l´azione razionale e distrarre l´agente al punto di fargli fallire il suo compito. Lo stesso si fa con gli studenti che si presentano a un concorso quando si suggerisce loro di astenersi dal bere o mangiare determinate sostanze prima della Pagina 13 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE prova d´esame per evitare di trovarsi a dover gestire bisogni non controllabili nel momento meno opportuno. Il fattore sessuale non controllato è un "fattore viscerale" di questo tipo - la cultura, ovvero l´educazione morale e dei comportamenti pratici opera sugli esseri umani fin da piccoli proprio per renderli in grado di regolare queste emozioni. La questione non è moralistica dunque, ma funzionale e pratica: lo scopo dell´educazione delle emozioni deve mirare a fare degli individui persone capaci di gestirsi autonomamente nel rapporto con gli altri ed essere agenti collettivi efficaci. Questo è il caso che riguarda gli italiani oggi, un caso legato all´abnorme vita sessuale del loro premier, rispetto alla quale gli attori pubblici, dai politici ai media agli stessi cittadini, non dovrebbero che pronunciare giudizi di efficienza, pertinenza e competenza. Una persona che sente acuto il bisogno di mangiare, che soffre la fame, è probabilmente non un buon politico; non perché ciò mette in dubbio le sue incapacità cognitive - probabilmente si tratta anzi di una persona dalle grandi potenzialità - ma per la sua fattuale e oggettiva dipendenza da fattori che sono fuori del suo controllo e urgenti. Soddisfare l´appetito per chi è affamato è il primo e più impellente bisogno: tutto il resto viene dopo. Così, una persona che organizza la propria vita lavorativa in funzione di un dopolavoro di rilassamento sessuale del tipo di quelli al quale il nostro premier si dedica con studio sistematico, non è la più adatta a occuparsi degli affari di Stato, perché altro ha per la testa che più urge e che lo distrae non semplicemente dalla sua funzione pubblica, ma dall´interesse a fare della sua funzione pubblica una funzione efficiente e direttamente soggetta al suo controllo sempre, non qualche ora del giorno. Il politico, soprattutto quando occupa ruoli di responsabilità così alti come quello della presidenza del Consiglio dei ministri non è attore politico solo qualche ora della sua giornata, ma ventiquattro ore, sempre a disposizione poiché sempre responsabile di qualsiasi evento anche d´eccezione che può capitare a una comunità e rispetto al quale egli ha il dover prendere decisioni. Per questa ragione, anche il dopolavoro di rilassatezza, certamente umanissimo e necessario, non può essere mai un totale dopolavoro con una totale rilassatezza. Le emozioni sono dunque un fatto del quale non è possibile non tener conto, soprattutto quando esse riguardano funzioni non facilmente razionalizzabili. Le loro forme estreme o compulsive non solo condizionano la cognizione, ma in molti casi la tengono sotto scacco. Sosteneva Michael Liebowitz che "l´alchimia dell´amore" - cioè del desiderio sessuale - "è simile a quella prodotta dalle anfetamine poiché riduce l´attenzione, ha effetti acuti sulla consapevolezza del mondo e le percezioni della realtà e può perfino condizionare altre emozioni fisiopsicologiche come la fame e la sete. Inoltre, ha effetti che durano prevedibilmente diverse ore mettendo la persona in una oggettiva condizione di difficoltà cognitiva e pratica. Chi di noi affiderebbe i propri interessi a una persona che ha questo genere di emozioni? La questione che sta di fronte al nostro Paese è quella del tipo chiarito da questa domanda; ed è una questione di incompetenza funzionale non tanto di peccato, veniale o mortale che sia. Pagina 14 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE Pagina 15 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE UNITA' 20 dicembre, 2010 Gli italiani e la sindrome della bandiera bianca di Roberta De Monticelliì, in “l'Unità” del 17 dicembre 2010 Il teologo Vito Mancuso era intervenuto nei giorni scorsi sul tema della questione morale. Quella che segue è la risposta-riflessione della filosofa Roberta De Monticelli Caro Vito, in questi giorni in cui il disprezzo per le istituzioni repubblicane, l’etica e perfino la politica ha toccato il suo zenit, vorrei che cominciassero a riaprirsi le finestre almeno al vento fresco el pensiero. Prendo spunto dalla tua riflessione sulla questione morale (la Repubblica, 11dicembre), e tento di tradurre in atto lo spirito di libertà, di ricerca e di critica che spero continuerà ad animare la nostra Università, anche con la tua presenza e il tuo aiuto. Nonostante l’ombra che laminaccia: il sospetto che brillanti centri di ricerca come il nostro siano accomunati con un imbroglio come l’università-Cepu, agli occhi del pubblico, dal fatto che attingano anche a risorse pubbliche. .Questo, io credo, tutti i docenti dovrebbero chiedere a gran voce, che fino all’ultimo centesimo l’erogazione di risorse pubbliche sia, in perfetta trasparenza, giustificata in proporzione al merito:ma l’abbiamo fatto? No, non l’abbiamo fatto, o non abbastanza fermamente e chiaramente, tutti, auna sola voce. E perché non l’abbiamo fatto? Per scetticismo. È solo un esempio, quello da cui riparto. Il saggio da cui ha preso spunto la tua riflessione cerca di identificare le radici dello scetticismo pratico che divora la vita civile del nostro Paese. .Lo scetticismo, cioè, che corrode non solo l’etica pubblica, ma ha invaso tutte le sfere dove il nostroagire è guidato dai nostri giudizi di valore. E soprattutto blocca ogni tentativo di ricostruire quella che ho chiamato l’unità della ragione pratica, vale a dire una fondazione nuova, e se possibile feconda di nuove scoperte, dei nessi fra etica, diritto e politica. Intese fra l’altro tutte come sfereaperte anche alla ricerca di conoscenza, cioè in ultima analisi di verità. So di trovarti su questo ultimo punto in sintonia con il mio tentativo. Ma vorrei che si aprisse una discussione su quello chea me sembra continui a gravare, irrisolto equivoco, su questo tipo di ricerca. Perché da una parte leviene detto: l’etica è l’etica, la politica è la politica, e cercare il nesso fra le due già significa“criminalizzare l’avversario”, preparare lo Stato etico, Robespierre, la virtù e il terrore (interpretocosì, magari nobilitandole un po’, le recenti obiezioni di Marcello Veneziani, il Giornale, 27novembre e 4 dicembre). In altre parole, non c’è possibile radicalità etica, ma solo radicalismo politico, tanto più pericoloso in quanto giustizialista e moralista. Ma dall’altra parte le viene detto:c’è un enigma del male, cui è la politica che è chiamata a far fronte, e a volerlo combattere risvegliando le coscienze alla serietà dell’esperienza morale “si entra in monastero, non nelParlamento italiano”. Tu dici giusto: ma “serietà” è in primo luogo una proprietà che si Pagina 16 L'INDIGNAZIONE DELLE DONNE riconosceall’esperienza morale, se la si considera vera esperienza del bene e del male, capace di nutrire vera conoscenza: e se non ricominciamo da qui, se non la prendiamo sul serio neppure noi filosofi, chimai potrà farlo? A lasciar la mano ai cosiddetti realisti politici non si sta finendo per dire, ancorauna volta, che nelle Città e nelle Istituzioni - tutte, comprese quelle del sapere e della ricerca, le nostre università, pubbliche e private, ferite ma anche colpevoli che la ricerca di ragione e giustificazione là dove impera la forza è cosa da “anime belle”? Ma non è così che nel secolo scorsoi filosofi hanno tradito il loro compito, e lasciato la civiltà in mano ai demagoghi?Ecco: nell’insegnarci a chiedere “perché?” a noi stessi e agli altri, in ogni punto e in ogni momento del nostro dire, ma anche del nostro fare, è il cuore sempre pulsante della ragione e della filosofia. Socrate insegna a Eutifrone che non la tradizione, la religione o il mito sono risorsa normativa, malo è il fatto che vediamo il male. Dimenticarlo è una grande parte dell’equivoco, caro Vito: non hanno rimproverato anche a te una sorta di intellettualismo, di ignoranza del male di cui l’uomo è capace, contro il quale appunto nascono etica, diritto, politica? Come se Socrate, come se la filosofia o la ragione ignorassero il dato, il dato stesso che le risveglia: il male, appunto, che sappiamo fare. Torti, ineguaglianze, illibertà, ingiustizie e altre cose che gridano vendetta Pagina 17