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PRESENTAZIONE
L’idea di organizzare un evento che promuova la cultura della legalità e sostenga chi vive disagio
sociale, da un po’ mi balenava nella mente e riflettendo su quale fosse il motivo del disinteresse delle
istituzioni, nonostante il Ministero dell’ Interno, attraverso le Prefetture, conceda finanziamenti a
fronte di progetti validi, ed ove, anche gli enti locali possono partecipare con propri fondi, immagino
sia riconducibile alla carenza di progettualità, di strutture e di servizi.
Nell’organizzazione del Convegno il sostegno dei “soci” è stato di fondamentale importanza, mi ha
dato la forza di non arrendermi, nonostante la moltitudine di difficoltà riscontrate e l’inspiegabile
mancanza di appoggio da parte dell’amministrazione locale. Ciò non mi ha impedito di andare avanti,
anzi ha sortito l’effetto contrario, ho pensato, nessuno potrà mai impedirmi di realizzare una così
importante iniziativa. Grande approvazione e appoggio ho avuto da parte dei relatori che arricchiscono
questo convegno con la loro presenza.
Il progetto intende perseguire diversi obbiettivi, il più importante è di focalizzare l’attenzione sui
giovani, in particolare su quelli di animo buono, non nati per delinquere, ma, purtroppo, più
“vulnerabili”. Quei giovani che la società non accetta favorevolmente e, ove la piazza non offra niente
di meglio, o quantomeno di alternativo, nel tentativo di emulare gli altri che a volte operano al di fuori
della legalità e nei quali rivedono “pseudo valori”, li induce a perdere di vista la via maestra. Quei
soggetti che, in momenti di depressione, compiono azioni deprecabili ma che, certamente, potrebbero
essere scongiurate dai saggi consigli di una persona esperta.
Tantissimi sono i motivi per cui non sempre i giovani espongono i loro problemi a chi gli sta vicino,
come la famiglia che, nella normalità delle cose, dovrebbe dare forza e indirizzare i giovani verso le
giuste ideologie e verso i giusti comportamenti, ma, ciò nonostante, spesso percorrono altre vie. In
alcune zone o territori, spesso, il confine con l’illegalità è labile ed è frequente il rischio che i ragazzi
vengano coinvolti in attività e pratiche non legali. Purtroppo la mancanza di riferimenti familiari e
sociali forti rende questo confine praticamente inesistente.
La scintilla che mi ha spinto ad agire è scoccata durante il funerale di un giovane, certamente non il
primo ad aver compiuto un gesto estremo: altra vittima innocente di un sistema che non perdona.
Durante l’omelia, Don
Sebastiano
Leotta,
Arciprete di Calatabiano,
con grande rammarico,
esprimeva
il
proprio
disappunto per quanto
accaduto e ricordava a tutti
di non chiudersi a riccio ma
di esternare i propri
problemi a chi ci vuole
bene e ci sta accanto. Altri
giovani erano presenti al
funerale e oltre al dolore ed
alla frustrazione per il gesto
estremo compiuto dal loro
amico dimostravano tutte le
loro fragilità. In quel
Il Tavolo dei Relatori
preciso istante ho pensato
che doveva essere fatto qualcosa per questi ragazzi e scongiurare che simili fatti abbiano a ripetersi, far
si che, dal quel gesto estremo poteva e doveva nascere qualcosa di buono.
Mi rendevo conto che l’obbiettivo principale ed immediato è di prestare aiuto a coloro che si
trovano in serie difficoltà, dare un supporto a coloro che per problemi lavorativi, economici o
meramente personali con pesanti ricadute sulla loro vita di relazione di fronte alle tentazioni al di fuori
della legalità.
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A tal fine saranno resi noti dei numeri telefonici ai quali risponderanno degli operatori qualificati
che sapranno ascoltare e consigliare chi ha bisogno di un immediato aiuto psicologico o di un semplice
consiglio.
Le relazioni dei presenti che hanno aderito all’iniziativa, permetteranno la compilazione di un
opuscolo che sarà inviato tramite e-mail a scuole, parrocchie, comunità, gruppi e aggregazioni. La
Ser.T. di Giarre attraverso i propri funzionari, oltre i normali compiti istituzionali, a chi ne farà
richiesta telefonando ai numeri 095\934581, 095\7782687, darà un aiuto immediato.
Tutti abbiamo il dovere di affrontare con impegno la questione, attivandoci ad offrire qualcosa
di meglio, che fino ad oggi non c’è stato, ognuno per il ruolo che riveste, da quello istituzionale più
importante a quello socialmente meno importante.
L’ultimo obiettivo, non meno importante, che si intende perseguire con il convegno, è di
accendere i riflettori sul tema di oggi, nell’intenzione di sensibilizzare le Istituzioni a farsi carico di
avviare politiche mirate a favore dei giovani e diffondere con costanza una cultura di legalità che
stenta a prendere corpo non solo a Calatabiano.
Desidero infine ringraziare tutti i soci dell’Associazione: mia moglie, Lea Santisi, Giorgina Falanga,
Salvatore Samperi, il giovane Giuseppe Samperi , mia figlia Vanessa, l’artista Michele Patanè con
tutto il suo gruppo musicale, la Cultinvest che ci ha ospitati, la Prefettura e la Procura della
Repubblica di Catania che hanno accolto l’invito, onorandoci con un proprio rappresentate, i partner,
gli sponsor, un ringraziamento particolare è indirizzato al presidente dell’Associazione A. G. M.
dott.sa Agata Mazzaglia e ai suoi collaboratori.
Un sentito ringraziamento è,inoltre, rivolto a coloro che, a vario titolo, hanno prestato
collaborazione, sopratutto ai relatori che hanno permesso la realizzazione della presente
manifestazione. Grazie.
Dott. Gaetano Tradito
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LA LOCANDINA
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L’INVITO
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L A STRATEGIA MERITODEMOCRATICA
A SOSTEGNO DI UNA POLITICA DI INTERVENTO A FAVORE DEI GIOVANI,TRA
DISAGIO EDUCATIVO E PRECARIETA’ LAVORATIVA.
Il disagio giovanile, preludio di condotte antisociali e criminali, è un fenomeno sociale molto
diffuso.
Spesso sfocia in gravi comportamenti come: suicidio, tossicodipendenza, alcolismo, disturbi
alimentari, bullismo, violenza tra minori, nei casi meno gravi,genera comunque le premesse per la
comparsa di situazioni di disagio, in quanto impedisce la piena consapevolezza delle proprie
potenzialità in ambito familiare, scolastico e professionale.
Per contrastare tale fenomeno è necessario soddisfare il forte bisogno di essere ascoltati che esprimono
i giovani, contribuendo a valorizzare le loro capacità, le loro competenze, le loro potenzialità, la stima
di sé, la loro personalità, che in mancanza si tradurrebbe in una visione negativa, e quindi in un
disagio
Anche la trasgressione delle leggi e quindi la violazione del principio di legalità, crea disagio
sociale soprattutto nei giovani, che vedono, così, ledere le norme di comportamento che regolano la
pacifica convivenza sociale.
Ma è l’allarmante situazione dovuta alla crescente precarietà lavorativa, ossia la mancanza di
prospettive professionali,a creare un grave disagio sociale, in quanto i giovani, privi di certezze,
speranze e prospettive future, vengono travolti da un senso di smarrimento che gradualmente
causa la perdita di identità individuale, e che, inevitabilmente, si trasmette anche ai genitori.
L’attuale contesto necessità, quindi, delle riforme urgenti.
A sostegno di una politica di intervento a favore dei giovani, tra disagio educativo e precarietà
lavorativa, si potrebbe applicare uno strumento innovativo: la “Strategia Lavorativa
Meritodemocratica”.
Una società precaria è una società destinata a rimanere immobile, ancorata all’appartenenza di casta,
di classe, di ceto. E’ necessario rendersi conto che la crescita di un Paese è strettamente legata
all’esistenza di una società democratica basata sul lavoro, in cui l’impegno ed il merito di ciascun
individuo vengono premiati nell’ambito dell’interesse generale di crescita individuale e di
conseguenza di crescita sociale e nazionale.
E’ fondamentale, a tal fine, la diffusione ed affermazione di una Cultura Meritodemocratica: la
Meritodemocrazia.
La “Meritodemocrazia”, è un sistema di valorizzazione diretto a premiare, riabilitare, conservare e
difendere le risorse umane, attraverso il riconoscimento e la difesa del “diritto” alla giusta ricompensa
in proporzione alle proprie capacità, ai risultati conseguiti ed alle proprie potenzialità.
La Meritodemocrazia costituisce l’essenza della“Strategia Lavorativa Meritodemocratica”, che è
uno strumento diretto a garantire il diritto
sociale al lavoro e la sua tutela Costituzionale attraverso la valorizzazione meritevole delle risorse
umane, che nasce dall’esigenza di contrastare la
precarietà e l’insicurezza sociale nel campo lavorativo, fino a diventare uno strumento di giustizia, la
“Giustizia Meritodemocratica”, che è giustificata e legittimata dal “Superiore interesse nazionale alla
tutela e difesa delle risorse umane, in quanto fonti inesauribili per il progresso economico, sociale e
politico della Nazione”.
Criterio base è il Merito, l’unità di misura del merito è il Valore Meritodemocratico inteso come
valore di differenziazione del diverso contributo al progresso e allo sviluppo della nazione e che fa
acquisire ad ogni individuo il “diritto” alla stima ed alla riconoscenza di una giusta ricompensa.
L’esistenza del Valore Meritodemocratico di un individuo, così inteso, è riconosciuto dalla stessa
Costituzione, che ne ammette l’esistenza riconoscendo i meriti e premiando chi si è distinto in modo
particolare in campo sociale, scientifico, artistico, letterario, militare.
Il valore meritodemocratico viene calcolato attraverso l’applicazione di modelli matematici
quantitativi multicriteriali, ossia con le metodologie della Multiple Criteria Decision Analysis
(MCDA).
Il valore che misura il livello di qualità meritodemocratica è attribuito e riconosciuto con il rilascio
di un certificato, la Certificazione di Qualità Meritodemocratica delle Risorse Umane CQMRU,
rilasciata dai Nuclei di valutazione meritodemocratici, ossia da commissioni specializzate per
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l’occupazione e le competenze dirette a massimizzare la competitività economica del Paese e le
opportunità individuali, composti da professori
universitari, liberi professionisti dotati di alta competenza e professionalità.
In merito esiste la prima pubblicazione scientifica, la certificazione meritodemocratica, infatti, è
stata proposta il 25 settembre 2012 in occasione del 18th IGWT Symposium “Technology and
Innovation for a Sustainable Future: a Commodity Science Perspective” - Roma Tre University Faculty of Economics “F.Caffè”- Department of Business and Law-“Merit Democratic business
Strategy for human resources development: proposal for a certification model”- Agata Giuseppa
Mazzaglia- Agata Matarazzo – Maria Teresa Clasadonte ISBN 978-88-8286-269-5.
Attualmente l’unica certificazione riconosciuta a livello internazionale è la certificazione l’Investor
in People.
La preliminare conoscenza della strategia da parte di alcune personalità, del campo accademico,
politico, economico, avendone accresciuto l’interesse, ha portato, ai fini di una sperimentazione
iniziale, in collaborazione, tramite protocolli d’intesa, con il dipartimento di Economia e Impresa
dell’Università degli Studi di Catania, con il Centro per l’Impiego di Catania, con l’Upla - Claai di
Catania, con vari comuni della provincia di Catania, con enti, istituzioni, associazioni di categoria e
sindacati,alla costituzione dell’Associazione A.G.M. “Autorità Garante della Giustizia
Meritodemocratica”.
L’Autorità ha lo scopo principale di promuovere e diffondere la Cultura Meritodemocratica agendo
attraverso una produzione strategica meritodemocratica, intesa come serie di proposte strategiche
innovative e multisettoriali, in nome di principi supremi, quali il Merito e la Democrazia, considerati
nella loro più profonda accezione, e come strumento di stimolo, incentivo e contributo di ciascuno, nei
limiti delle proprie potenzialità, professionalità ed esperienze, guardando allo sviluppo e al progresso
della società.
Inoltre si ispira ai supremi principi della Legalita’e della Giustizia, su cui si basa la Giustizia
Meritodemocratica, intesa come riconoscimento del giusto parametrandolo ai meriti, non ha tutti in
modo uguale ma a
ciascuno il proprio e che viene attuata attraverso l’applicazione di tre strumenti: l’Immunità
meritodemocratica, lo Scudo delle note di demerito, la Grazia e l’Amnistia Meritodemocratica.
La sperimentazione e l’attuazione della strategia prevede: 1) l’istituzione di un ufficio di
collocamento meritodemocratico; 2) la costituzione di Nuclei di valutazione meritodemocratici; 3)
l’applicazione a casi concreti; 4) la simulazione di processi riabilitativi meritodemocratici; 5) la
dimostrazione dell’utile attribuzione della “Giurisdizione Meritodemocratica” ad un’apposita “Autorità
Garante della Giustizia Meritodemocratica”.
L’Autorità Garante della Giustizia Meritodemocratica opererà attraverso Nuclei di valutazione
competenze e rilascio della Certificazione di Qualità delle Risorse Umane CQMRU.
In quest’ottica la strategia lavorativa meritodemocratica si propone come uno strumento innovativo
di gestione delle risorse umane diretto a garantire competenze, professionalità e competitività,
consentendo alle aziende di aumentare la propria performance attraverso la valorizzazione meritevole
delle risorse umane.
Uno degli strumenti fondamentali dell’Associazione sarà la Merito Card, una di carta di
riconoscimento della professionalità, rilasciata a tutti i soggetti accreditati per la certificazione di
qualità meritodemocratica.
L’Autorità opera anche sul Web, il cui indirizzo è http://www.autorita-meritodemocratica.eu.
L’ “Autorità Garante della Giustizia Meritodemocratica”collabora in stretta sinergia con l’ “Istituto
di Valutazione Meritodemocratica” I.S.VA.M.
Si tratta di un centro di ricerca scientifica, monitoraggio, vigilanza, controllo, valutazione,
certificazione e consulenza tecnico-scientifica in materia di qualità, trasparenza e merito.
L’Istituto ha lo scopo principale di vigilare al fine di garantire la trasparenza dei processi di
valutazione e merito nell’interesse degli associati e degli utenti in genere, sulla base del Codice
Trasparenza Meritodemocratico, che sancisce un articolato sistema di norme tecniche che
prevedono, per ogni settore, specifici standard qualitativi, nonché principi, criteri ed indicatori di
valutazione meritodemocratici.
L’attività dell’I.S.VA.M consiste, principalmente ma non esclusivamente, nella:
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- Ricerca scientifica, monitoraggio, vigilanza, controllo, valutazione, certificazione e consulenza
tecnico-scientifica in materia di qualità, trasparenza, valutazione e merito;
- Analisi comparativa (valutazione) di prassi di organizzazioni aziendali, analisi e valutazioni di
imprese, servizi di valutazioni aziendali e dei requisiti del personale, certificazione in materia di
qualità, trasparenza e merito.
L'I.S.VA.M è articolato in tre rami principali gestiti da tre organismi (Unità Organizzative di
Supporto):
- I.C.M. (Istituto per Certificazione Meritodemocratica) - Specializzato, principalmente ma non
esclusivamente, nell’attività di valutazione e certificazione;
- I.S.M. (Istituto di Studi Meritodemocratici) – Specializzato, principalmente ma non
esclusivamente, nel settore della ricerca sperimentale, sviluppo e innovazione;
- I.FOR.M. (Istituto per la Formazione Meritodemocratica) – specializzato, principalmente ma non
esclusivamente, nel settore
dell’Istruzione e della
Formazione Professionale;
L’Istituto opera anche sul
Web, il cui indirizzo è
http://www.isvam.eu
La
Strategia,
quindi,
rappresenta
un
importante
strumento per contrastare la
precarietà giovanile, nonché
uno strumento innovativo di
progresso e di benessere per
tutta la società in quanto,
essendo un efficiente strumento
di gestione delle risorse basato
sulla valorizzazione meritevole
delle risorse umane, diretto ad
ottimizzare la performance e la
Premiazione dott.ssa Agata Mazzaglia
qualità, consente di fornire un
vantaggio competitivo all’azienda e all’intero sistema economico. Il metodo proposto si basa sulla
profonda convinzione che tutelando il diritto al lavoro si tutela anche la dignità dell’uomo, in quanto
lavoro ed uomo sono strettamente collegati, non c’è uno se non c’è l’altro. Il lavoro come fonte
primaria di reddito per l’acquisto dei mezzi necessari per sopravvivere, come diritto fondamentale, ma
soprattutto come strumento di crescita e perfezionamento della persona, ed in quanto tale diventa
espressione della sua dignità.
La strategia si basa, anche, sul principio fondamentale che lo stato siamo noi e che esso sarà come
noi vogliamo che sia e ciò dipende solo ed esclusivamente dalle scelte sociali, politiche, economiche,
strategiche, innovative che noi faremo.
E’ quindi essenziale l’affermazione e diffusione di una vera e propria Cultura Meritodemocratica,
su cui si basano i principi, i metodi e le Strategie Meritodemocratiche Multisettoriali, volte allo studio,
alla ricerca scientifica, alla sperimentazione, all’attuazione, all’innovazione, alla promozione ed alla
diffusione di soluzioni innovative ed alternative ai problemi che caratterizzano i diversi settori della
società moderna, nell’ambito delle prospettive scientifiche di sviluppo delle Tecnologie e delle
Innovazioni per uno sviluppo strategico sostenibile.
Il Presidente Ass. A.G.M. Autorità Garante della Giustizia Meritodemocratica
e dell’I.S.V.A.M Istituto di Valutazione Meritodemocratica
Dott.ssa Agata Giuseppa Mazzaglia
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FUGA DEI CERVELLI O BRAIN DRAIN
Mi occupo dal 2009 della fuga dei cervelli o brain drain, alcuni lo dichiarano come slogan, altri
come titolo di ricerca, ma in realtà comincia a vedersi come disagio sociale di alcune fasce della nostra
popolazione.
Il brain drain del quale mi occupo è quello meno monitorato sotto il profilo dei dati: mi riferisco
alla fuga dei cervelli degli accademici.
E’ un ambito abbastanza scottante, la stampa ha dato molto risalto alle nostre ricerche, basta andare
su google e digitare “brain drain” e il nome dei ricercatori che ci lavoriamo, le prime otto pagine sono
tutte sulle nostre ricerche. Il che ci conforta molto perché rappresentano quei pochi dati esistenti sui
quali, devo dire, abbiamo fatto anche azione di politica attiva e quindi mi collego all’introduzione fatta
dal dott. Tradito non si vuole fare politica, ma ritengo qui si voglia fare fucina culturale. Il che è
certamente ben più di fare politica, poi occorre sperare nella lungimiranza dei politici di vedere nelle
parole, nelle nostre relazioni, nel nostro operato giornaliero, nelle idee della dott.ssa Mazzaglia
cogliere l’essenza e la spinta tecnica. I politici fanno i politici noi facciamo i tecnici, occorre trovarci
in un momento comune.
Oggi sono andato su internet, ho cercato il termine “meritocrazia”, quello che esce fuori nelle prime
pagine mi
piace leggervelo: “il merito? In Italia non esiste, lo sappiamo tutti, il nostro è un paese delle
raccomandazioni, della clientela, delle famiglie, delle caste, delle corporazione, delle oligarchie”; “un
solo dato: l’Italia è la società più ineguale dell’occidente. Ma come possiamo rimettere in moto questa
società che assomiglia molto agli Stati Uniti”? “La carenza del merito nella società italiana sta
diventando un tema sempre più urgente, ripreso ogni giorno dalla stampa, dagli studiosi e dai comuni
cittadini”.
Mancano però le soluzioni perché in realtà molto a fondo non si va o non si vuole andare, perché
spesse volte si toccano dei terreni decisamente minati.
Il tema che ho pensato per stasera: “la fuga dei cervelli per mancanza di meritocrazia, per un
ambiente di lavoro ostile e quindi disagio o per altri fattori”? Con i dati delle nostre ricerche possiamo
soddisfare tutti questi elementi.
In questo scenario (che alcuni vivono con disagio, mentre altri ci sguazzano con disinvoltura) una
parte della nostra società che produce cultura, ricerca, innovazione, futuro e speranze ritroviamo
coloro che sono impegnati nel mondo della ricerca scientifica, pubblica e privata. In questo ambiente
lavorativo spesse volte si consumano ogni giorno vittorie, ma anche sconfitte legate ad espressioni di
meritocrazia, a stati di benessere lavorativo non sempre ideale o idoneo. Insomma
qualità della vita lavorativa che spesso lascia molto a desiderare.
Questi tre elementi: meritocrazia, ambiente lavorativo e qualità della vita rappresentano gli elementi
sui quali cercherò di soddisfare utilizzando dei dati.
I dati sono questi: in particolare noi abbiamo, dal 2009 ad oggi, con due questionari abbiamo
monitorato un gruppo di ricercatore italiani che vive all’estero di diversi livelli accademici, e in
particolare ne abbiamo monitorati 1400 e 4700 quelli che risiedono in Italia. Le difficoltà sono enormi,
perché mancano dati e principalmente manca il modo come raggiungerli. Ma noi siamo riusciti ad
avere qualche dato.
I ricercatori italiani all’estero sono attratti in particolare dalle università inglesi, canadesi, tedesche,
francesi, belghe, meno quelle italiane. Tutta la stampa nazionale e internazionale rileva che il sistema
della ricerca italiana non è competitiva e i dati lo dimostrano.
In Italia, nonostante la preparazione di base (l’università, la laurea, i dottorati) all’estero viene
riconosciuta ottima, il successo spesse volte non dipende dall’esperienza che questi colleghi hanno
maturato in Italia. Quindi, un modo come dire laurearsi in Italia ancora ne vale molto la pena, però
si trova successo evidentemente all’estero.
Circa il 68% degli intervistati aveva prestato già servizio in Italia e quindi sa come funziona il sistema,
ma è pure andato via. Il giudizio del rapporto tra università e impresa risulta all’estero molto buono e
cioè riconosciuto dal 72% degli intervistati. Oltre il 92% ritiene che all’estero riesce a fare ricerca con
risultati decisamente migliori.
Il 91% ritiene che il grado di avanzamento della carriera è assolutamente meritocratico. Per il 66%
non dipende dall’anzianità, ma il 100% pensa che dipenda dal curriculum che si è costruito.
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Quali sono i fattori che spingono a questo trasferimento all’estero? Uno di questi è innanzitutto il
prestigio dell’Università che ci ospita; il secondo dato è la valorizzazione delle proprie capacità, un
modo come dire che in Italia i nostri colleghi ritengono che non riescono ad avere valorizzate le
proprie competenze.
Se poi entriamo nei meandri del benessere organizzativo e dell’ambiente lavorativo all’estero,
all’estero i colleghi trovano un ambiente meno ostile, un ambiente partecipato, un ambiente dove il
lavoro di gruppo rappresenta la chiave vincente.
Qual è la propensione a ritornare in Italia? La maggior parte dice di non voler ritornare in Italia.
Questo dato è importante
perché può rappresentare l’inizio di una povertà dal punto di vista culturale.
Abbiamo chiesto a chi rimane in Italia. Le risposte se pur all’apparenza scontate, sono meno
scontate dal fatto che un
professore ordinario, un professore associato ha (come altrettanto oggi un ricercatore, ma con il
vecchio sistema contrattuale) una posizione contrattuale tale che potrebbe vivere tranquillo. Eppure
l’ambiente lavorativo è talmente ostile, con una bassa produttività che anche i senior, alcuni associati e
ordinari, nelle risposte dicono “me ne vorrei andare”. Questa per noi giovani ricercatori, per i
dottorandi, è una cosa disarmante. Nel tempo la presenza nei concorsi di dottorato di ricerca è sempre
inferiore, si trova meno manodopera per fare attività di ricerca. Una volta per poterci entrare si
facevano lunghe file, lunghi anni di dedizione, oggi è difficile trovare persone pronte per spendersi in
questo ambiente. Questo comincia ad essere vissuto come disagio.
Qual è la propensione dei nostri colleghi italiani ad andare via? Comincia ad essere alta. Se ne
vogliono andare perché ritrovano, nell’83% delle risposte, una maggiore e migliore valorizzazione
delle competenze e questo si coniuga sempre con il concetto della meritocrazia.
Come i colleghi vivono nell’ambiente lavorativo estero? Vivono molto bene, mentre in Italia
trovano difficoltà nel benessere organizzativo, nel benessere relazionale, quindi con
i colleghi il meccanismo di lavoro di gruppo spesse volte è conflittuale.
I ricercatori italiani scelgono quindi di
lavorare
all’estero
per
maggiore
valorizzazione del proprio curriculum,
migliori esperienze, maggiori opportunità
di lavoro, per alti livelli della qualità della
vita e del benessere lavorativo.
Forse molti non lo sanno, ma un
ricercatore in Italia inizia a lavorare la
mattina e finisce la notte, all’estero la
qualità della vita di un ricercatore è diversa
perché riesce a produrre, riesce ad avere un
carico didattico inferiore, una qualità della
ricerca migliore.
Quindi maggiori
incentivi nella produttività e adeguati tempi
di ricerca, ma sono disponibili a tornare
( Il Professor Benedetto Torrisi – primo a destra)
solo se trovassero determinate condizioni:
un ambiente lavorativo migliore, non cercano una maggiore contribuzione.
I ricercatori che rimangono in Italia rimangono per adattamento, perché siamo più attaccati alla
famiglia, da nord a sud, sfatiamo il concetto che i siciliani, i meridionali siamo più attaccati alla
famiglia dei colleghi del nord. Da nord a sud statisticamente risulta provato che c’è assoluta
indipendenza in questo atteggiamento verso il rapporto con la famiglia.
Rimangono perché vogliono sperare ad un cambiamento, vogliono avere una fiducia diversa verso il
sistema universitario.
Spesse volte non sono propensi ad andare perché l’età di un ricercatore comincia ad essere molto alta
rispetto ad un collega che va all’estero. Un ricercatore a 42 anni, a 50 anni deve pensarci dieci volte
perché sposta la famiglia; eppure in molti è matura l’idea “me ne voglio andare”.
Per i ricercatori italiani in Italia la fuga sembra essere ponderata, per i ricercatori all’estero la fuga è
permanente. Su questo dato: possibile disagio sociale, possibile campanello d’allarme, possibile
impoverimento del nostro sistema della ricerca italiana.
Professor Benedetto Torrisi
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LE INZIATIVE ISTITUZIONALI A SUPPORTO DEI GIOVANI E FINALIZZATE A
SUPPORTO DELLA CULTURA DELLA LEGALITA’
Ringrazio il dott. Tradito per questo invito. Sono qui in rappresentanza del Prefetto di Catania di cui
vi porto i saluti e che per altri impegni fuori sede non è potuto essere presente qui oggi. Per il mio
intervento sul tema di questo convegno “Il disagio dei giovani di oggi – Il valore della legalità”
vorrei partire dalla riflessione che molto spesso, oggigiorno, ci si trova a criticare con estrema facilità
l’atteggiamento dei giovani.
Una gioventù sempre più caratterizzata da un forte egoismo, dalla voglia di ottenere tutto e subito,
ma soprattutto da una serie di comportamenti devianti, quali l’uso di droghe, l’abuso di alcol, il
bullismo, la predilezione per i giochi pericolosi. Sovente questi sono segnali di debolezza e non sono
rari i casi di giovani incapaci di affrontare e risolvere anche i piccoli problemi della routine quotidiana
o di prendere una posizione di fronte alle diverse problematiche sociali.
Puntare il dito contro questi giovani risulta essere molto facile; più difficile, invece, è tentare di
comprendere le ragioni di questi comportamenti e del perché i giovani, impotenti e scontenti, sfogano
questa loro frustrazione attraverso l’aggressività nei confronti dei genitori, dei conoscenti e della
società in generale. Alla base di questo individualismo, di quest’aggressività, di questa mancanza di
autostima, troviamo frequentemente problemi e disagi che sorgono all’interno dei nuclei familiari,
favoriti anche dalla struttura di questa società non sempre disponibile ad ascoltarli. Non
dimentichiamo, poi, i mezzi di comunicazione di massa, che per la loro diffusione tanto potrebbero
fare per lo sviluppo positivo dell’individuo; al contrario, spesso, sono portatori di messaggi negativi e
malsani.
In tale quadro negativo va aggiunta l’attuale situazione economica che accentua il disagio, poiché
profila per i giovani la mancanza di lavoro e di prospettive per il futuro, inducendo i predetti a
scegliere la via d’uscita che sembra la più facile, quella della illegalità. Tutto ciò premesso, vorrei
soffermarmi su alcune attività che ravvisano l’impegno della Prefettura su più fronti, contribuendo in
più occasioni a intervenire a
favore dei giovani. In particolare
segnalo la competenza sui
progetti finanziati con i fondi
comunitari del Pon Sicurezza – il
cui obiettivo è la diffusione della
“Cultura della legalità” - che
vede la Prefettura di Catania nel
ruolo di coordinatrice della
Sicilia orientale. Ebbene, più
volte si è riusciti ad ottenere
l’approvazione a livello centrale
di progetti incentrati sul recupero
del disagio giovanile.
Preme, però, sottolineare che
l’opportunità di questi aiuti
comunitari non sempre vengono
Premiazione dott.ssa Cettina Pennisi
sfruttati in pieno proprio per
mancanza di idee, mancanza di progettualità, o scarsa attenzione e cura in tal senso. Altro fronte,
peraltro curato da me personalmente, è quello dei beni confiscati alla mafia che testimoniano il
percorso di patrimoni che fuoriescono dal circuito della illegalità per essere immessi in quello della
legalità. Con la fattiva collaborazione prestata all’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e
Confiscati, posso testimoniare che molti di questi beni – grazie alla collaborazione dei Sindaci dei
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Comuni in cui ricadono i medesimi e con il supporto delle associazioni di volontariato, delle Onlus,
ecc.. - sono stati messi a disposizione dei giovani attraverso la creazione di circoli sportivi, centri
ricreativi, punti di aggregazione e quant’altro.
In questo senso, sono state avviate diverse collaborazioni con i vari Enti istituzionali interessati e
con le Forze dell’Ordine onde consentire il più tempestivo utilizzo dei beni confiscati e la risoluzione
di alcuni gravami, quali ad es.: occupazione indebita degli immobili, interventi di ristrutturazione,
sgravio da ipoteche. Concludo dicendo che bisogna ad ogni costo evitare che i giovani scelgano la via
alternativa della illegalità, ed a tal fine è necessario individuare forme di aiuto e supporto ai giovani. E’
per questo che rivolgo il mio apprezzamento all’iniziativa presentata quest’oggi e all’impegno profuso
dall’associazione organizzatrice dell’evento; un’iniziativa non solo volta a difendere il valore della
legalità in quanto tale, ma che vuole soprattutto preservare la gioventù dei nostri giorni che,
consentitemi di ricordare, rappresenta il nostro futuro.
Viceprefetto Aggiunto – Prefettura di Catania
Dott.ssa Cettina Pennisi
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L’EDUCAZIONE ALLA LEGALITA’ E’UN’OPPORTUNITA’ PER
MIGLIORARE LA SOCIETA’.
Vorrei iniziare questo mio breve intervento soffermandomi sul concetto di legalità, la legalità è un
parola che sentiamo spesso, forse a volte anche abusata, ma sul cui significato probabilmente non è
stata fatta chiarezza, dal dizionario Italiano si legge: rispetto per le norme, questo è il suo significato,
tuttavia, dalla mia esperienza professionale , molto spesso si tende a pensare che il concetto di legalità
vada interpretata in termini repressivi, si pone il problema del rispetto delle regole e quando queste non
vengono rispettate, devono intervenire le forze di polizia, i carabinieri i tribunali, questa
interpretazione ritengo sia limitativa,soprattutto perché quando si rende necessario l’intervento delle
forze di polizia si è prossimi al fallimento.
Invece, il concetto della legalità
non deve essere vissuto come un
problema di repressione, ma come
un problema di educazione che
parta dalla famiglia e dalle scuole
per insegnare un cammino di vita,
come a un modello positivo che
vada nella direzione di cogliere il
disagio giovanile, che non sempre è
limitato ai giovani che non si
sentono valorizzati nella propria
professionalità, ma, si va oltre, alla
devianza, all’ambiente della droga
e del crimine ai comportamenti
illeciti che in Sicilia sono molto
Premiazione dott. Pasquale Pacifico
forti e presenti.
A mio avviso la società non è in
grado di proporre, a partire dalle istituzioni basilari, come la famiglia, la scuola, un modello positivo,
questo il primo punto sul quale si deve compiere una riflessione collettiva, la legalità non deve essere
un concetto astratto, distante da noi, la legalità deve essere un concetto in cui la famiglia, la scuola
devono riuscire a far sentire come propria l’esperienza quotidiana, soltanto cosi può iniziare un
cammino complesso che vada nella direzione opposta a quella di devianza giovanile.
Il valore della legalità deve essere vissuto non come un costo, io sento molto spesso parlare
impropriamente di costi della legalità, la legalità va vissuta in termini di
opportunità , perché
soltanto una società con certe regole, ove tutti abbiano le stessa opportunità e chi ha più meriti vada
avanti , e non si veda scavalcato da chi è raccomandato, soltanto questo tipo di società può produrre
benessere.
Mi volevo riallacciare agli interventi che mi hanno preceduto, la costituzione sancisce che l’Italia
è una Repubblica fondata sul lavoro e non sulla raccomandazione, malcostume, invece, consolidatosi
nel tempo,quando non c’è lavoro non c’è dignità e senza dignità non può esserci legalità, è necessario
investire sui giovani e creare le condizioni in termini di qualificazione dal punto di vista lavorativo, si
può superare il disagio mettendo i giovani nelle condizioni giuste, la legalità non è appannaggio di
avvocati e magistrati, la legalità è un affare che ci interessa direttamente da quando inizia la giornata,
da qui bisogna partire per migliorare la società.
In Sicilia vent’anni fa non si poteva parlare di legalità o di lotta alla mafia, oggi nei convegni si
parla di legalità, di mafia , tanta strada è stata fatta, rispetto a vent’anni fa, sono stati necessari dei
sacrifici di due eroi nazionali, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, affinché si prendesse coscienza.
Eppure, vent’anni fa, avevano capito perfettamente quando fosse centrale, per un magistrato,
affrontare il problema della formazione giovanile, motivo per il quale questa sera mi trovo presente
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qui, dalla visione di una lettera che Paolo Borsellino ebbe a scrivere a studenti di una scuola media del
nord Italia, che richiedevano una lezione di legalità,è riuscito far comprendere in maniere chiara un
concetto di legalità, con un’ esempio personale di quando non era magistrato, quando ragazzo, egli
stesso provava ammirazione per un compagno che aveva un padre “uomo di rispetto”, con la vergogna
di una persona cinquantenne, proprio in questo bisogna lavorare, facendo capire che non bisogna
ammirare chi ha il padre di rispetto, ciò appartiene ad una mentalità negativa che non aiuta la legalità.
I nostri giovani non devono mai ammirare chi ha il padre di rispetto bisogna lavorare su questo
aspetto, ognuno di noi deve impegnarsi in questa direzione, nelle scuole, nei gruppi di lavoro, bisogna
formare i giovani alla legalità e questa va sviluppata giorno dopo giorno solo così si potrà migliorare
la società. Grazie.
Sostituto Procuratore - Procura della Repubblica di Catania
Dott. Pasquale Pacifico
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E’ STUPIDO ESSERE GIUSTI QUANDO CHI E’ INGIUSTO OTTIENE
MIGLIORE GIUSTIZIA?
“E' stupido essere giusti quando chi è ingiusto ottiene migliore giustizia”, così scriveva Esiodo, nell’
VIII sec. a.C.
Il lettore che, dopo più di duemilasettecento anni, provando a riflettere su questa affermazione di
Esiodo, ne ricava che le mutate condizioni storiche, sociali, culturali, politiche, del mondo, obbligano
chiunque a sostenere che essa non sia più attuale, erra profondamente, dimostrando di essere digiuno
dei processi costitutivi del vivere civile e di quelli che producono i dinamici costrutti psicologici
individuali e collettivi e le loro fattuali conseguenze.
Nei fatti, l’uomo è un animale gregario che ha bisogno di procedere attraverso modelli e progetti di
vita, appresi più per inconsapevole lettura dei comportamenti reali dei propri simili e delle loro
istituzioni che attraverso una lettura astratta di principi enunciati da teorici illustri (questi ultimi hanno
influenza,
soprattutto,
su
una
consapevole minoranza di colti). Se gli
uomini e le loro istituzioni con cui un
individuo è chiamato a convivere
predicano (quasi tutti) la probità e la
rettitudine di comportamenti e, nel
contempo, la incarnano nel loro
procedere storico (lasciando ad una
inevitabile minoranza la funzione
necessaria di delinquere), allora la
pretesa di comportamenti virtuosi nei
confronti della stragrande maggioranza
degli uomini di quel determinato tempo
non solo è legittima, ma diventa
conseguente proiezione di quei modelli
positivi di vita. Ma, se prevale, nelle
Premiazione Professor Antonino Alibrandi
élite di potere e conseguentemente negli
strati sociali più avveduti, la degenerazione delle scelte fattuali, nella convinzione che l’illegittima e
illegale scelta di comportamento, camuffato sovente di legale forma, sia l’esercizio necessario per il
proprio arricchimento o per la propria ascesa politica, sociale o professionale, allora l’intera società si
adagerà sullo scontato, e apparentemente remunerativo, largo sentiero dell’illegalità.
Stein Rokkan ha posto l’accento, nelle sue novecentesche riflessioni sui partiti politici, su come
questi siano frutto, nel loro diverso modo di presentarsi nella storia, di “fratture” che a loro
impongono non solo la loro ragion d’essere in un determinato tempo storico, ma anche il senso della
loro “missione”. Le vicende storiche d’Italia, in quest’ultimo quarantennio, hanno dimostrato,
inconfutabilmente, come, sempre viepiù (a dispetto del “punto critico di Tangentopoli, del 1992-94),
l’interdipendenza fra l’azione politica delle istituzioni e dei partiti che ne sono stati l’ossatura
essenziale e l’ ”illegale” comportamento degli stessi è stata tale da costituire una cifra di persistenza
superiore al limite di tollerabilità nella coscienza dei molti uomini virtuosi. E poiché, spesso, il
comportamento non “legale”, di chi dovrebbe assumere la funzione pubblica della salvaguardia e della
difesa della legalità, ha dimostrato essere fortemente remunerativo per i gruppi sociali e per gli
individui che se ne sono fatti carico, allora risulta evidente come, nella coscienza collettiva della
nazione e dei singoli individui che la compongono, si è imposta, sempre più, la convinzione che “E'
stupido essere giusti quando chi è ingiusto ottiene migliore giustizia”, fino alla catastrofe politica,
economica e sociale di quest’ultimo tempo, quando l’Italia così si è presentata all’appuntamento con la
grave congiuntura internazionale che tutti stiamo attraversando.
In queste condizioni e fino a quando queste, speriamo ancora per poco, permarranno, come
possiamo pretendere che la maggioranza degli uomini, e soprattutto dei giovani, persegua educate
scelte, virtuosamente giuste oltre i maggioritari limiti di negatività politica, sociale e culturale
prevalenti, nei collettivi e individuali comportamenti?
Professor Antonino Alibrandi
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IL DISAGIO GIOVANILE
Preliminarmente, intendo ringraziare l'Associazione Culturale "Trinacria", ed il Suo Presidente
per aver organizzato questo incontro. Li ringrazio, inoltre, di avermi invitato a dire anche la
mia sull'argomento del giorno. Che ben vengano iniziative del genere! Soprattutto per il bene della
nostra società. È necessario che ognuno, con le proprie possibilità e capacità, faccia qualcosa
affinché si possa rimuovere il terreno di coltura ove attecchisce il disagio, che nelle sue forme più
gravi diventa disadattamento, devianza e, di conseguenza, l'illegalità giovanil e: mancanza di
dialogo nelle famiglie, carenza di centri di aggregazione culturale e sportiva, mancanza di
prospettive lavorative per il futuro, ciò favorito dall'alto tasso di disoccupazione giovanile.
Ogni giorno leggendo i giornali ci troviamo dinanzi un gioventù che appare allo sbando sinistri
stradali causati da giovani alla guida dei loro bolidi in stato di ebbrezza derivante dall'assunzione di
alcolici e/o droghe; atti di violenza; commissione di reati; furti, rapine, violenze fisiche e sessuali
individuali e di branco, il bullismo, atti di autolesionismo sino alle sue estreme conseguenze (alto
numero di suicidi) ed altro ancora. Ma da dove nasce tutto ciò. Dalla mancata assunzione di una
reale responsabilità di tutte le istituzioni e non parlo solamente di quelle pubbliche ma anche del
nucleo fondamentale la famiglia. Essa negli ultimi anni ha subito uno stravolgimento.
Oggi il senso di famiglia si è molto modificato e ciò senza distinzione di classi sociali. I genitori
badano più all'apparire dei loro figli: non deve loro mancare nulla; devono essere uguali agli altri
ragazzi; devono poter esibire in pubblico il nuovi IPHON, IPAD, vestiti ed orologi di marca, il
vespino e il cinquantino. Ma per fare ciò hanno abdicato al loro reale e naturale ruolo genitoriale,
lavorano entrambi, non hanno tempo da dedicare ai loro figli e li lasciano soli, senza alcun controllo,
dinanzi la TV ed ai videogiochi (per la maggior parte diseducativi e stimolanti la violenza), o
addirittura per strada divenendo facile fonte di rigenerazione della criminalità. I ragazzi,
soprattutto, dagli undici anni sino alla maggiore età,hanno, costante, bisogno di avere accanto una
figura di adulto in cui identificarsi. Una guida che li segua, li sorregga, li protegga e risponda
alle loro inesauribili domande, che dica loro ciò che giusto e ciò che non lo è ma che, soprattutto, li
ascolti. Insomma il genitore dovrebbe essere un solido palo, conficcato nel terreno, in cui la giovane e
tenera piantina possa crescere protetta dagli agenti atmosferici e curata sino a quanto non sarà
diventata un solido albero adulto. Il genitore è il primo e più importante educatore. È nella famiglia
che vengono impartite le prime e fondamentali regole di vita, il rispetto verso gli altri le
prime norme comportamentali da rispettare. È qui che incomincia a formarsi il senso di legalità.
Non vi è dubbio che i comportamenti degli adulti, nell'ambito famigliare, fungono da esempio per i
bambini, modelli da imitare ed emulare.
La prima Istituzione pubblica con cui i ragazzi si confrontano è la scuola. Il primo volto che lo Stato
assume è quello di maestri e insegnanti. Qui il giovane si trova in un contesto sociale diverso dalla
famiglia insegnati e compagni di classe, gerarchie professionali, m a soprattutto nuove e diverse
regole legate alla disciplina scolastica. È qui che si concentrano le prime vere difficoltà, il minore,
sino a questo momento, ha vissuto protetto nell'ambito famigliare, ora deve inserirsi in un ambiente
diverso dove gli si impone, improvvisamente di relazionare con altri, di mettersi in competizione con
altri, di dare prova delle proprie capacità, della propria intelligenza deve dimostrare di poter
raggiungere i risultati che gli vengono richiesti. È qui che il bambino si scontra con i primi insuccessi
con le prime reali difficoltà della vita, Sempre nell'ambito scolastico, soprattutto nella classe, si
incominciano a manifestare e scontrare le diversità educative, culturali ed economiche tra il fanciullo
ed suoi coetanei. È in tutto questo contesto che attecchisce il germe del disagio e che si
sviluppa all'interno dell'individuo man mano che si presentano i primi insuccessi le prime
discriminazioni.
Queste manifestazioni si manifestano durante tutta la fase di crescita dalla fanciullezza per trovare
l’apice nel raggiungimento dell’età adulta. Infatti è nel giovane, oramai adulto, che deve confrontarsi
con la società, con la mancanza di lavoro e con le delusioni, le insoddisfazioni e con gli insuccessi che
ha accumulato, che si manifestano le forme più gravi di disagio.
16
IL DISAGIO
Ma che cos’è il disagio?
Secondo alcuni studiosi, il disagio giovanile "è la manifestazione presso le nuove generazioni
delle difficoltà di assolvere ai compiti evolutivi che vengono l oro r i ch i e st i dal
co nt es t o s o ci al e p e r i l c ons e gui m e nt o del l 'i d e nt i t à personale e per l'acquisizione
delle abilità necessarie alla soddisfacente gestione delle relazioni quotidiane".
Per altri, invece, "è una domanda non patologica inerente i bisogni
psicologici ed affettivi, le difficoltà familiari e di relazione, le difficoltà scolastiche, il più generale
malessere esistenziale connesso agli squilibri che il processo di costruzione dell'identità
produce"..
Il termine disagio, nel linguaggio
comune, comprende tutte le difficoltà che
possono investire diversi ambiti della vita
di un giovane, sia a livello affettivo, che
familiare, che scolastico o sociale.
Dunque, il disagio è una condizione legata
a percezioni soggettive di malessere (il
disagio "si sente", ma non necessariamente
"si vede"). Possiamo individuare tre
diversi livelli del disagio:
1) Disagio evolutivo endogeno, legato
alla
crisi
di
transizione
dell'età
adolescenziale;
Disagio socio-culturale esogeno, legato
Al centro - in piedi - Avvocato Vincenzo Filippello
ai
condizionamenti
della
società
complessa;
Disagio cronicizzante, legato all'interazione di fattori-rischio individuali con le precedenti
forme di disagio; è questa la forma più grave di disagio, che prepara il terreno al disadattamento vero e
proprio e alla devianza. Il disagio può manifestarsi sia in forma emotiva, attraverso alcuni segnali
come stati d’ansia, cambiamenti di umore, irrequietezza che possono poi diventare veri e propri
sintomi, quali disturbi psicosomatici, dell'alimentazione, del sonno o altro. Mentre, diverso, è il disagio
espresso attraverso comportamenti devianti; questa forma di disagio invece, è più facile da cogliere
poiché è qualcosa di molto diverso dai segnali dai sintomi, è un vero e proprio disadattamento che si
manifesta con l'azione. Quindi, il disagio giovanile ha diverse e molteplici forme e trova espressione
nelle varie fasi della crescita si può manifestare in modo diverso in ogni fascia d’età. Dunque, è molto
importante il ruolo dei genitori, educatori ed insegnanti in quanto sono chiamati a cogliere questi
segnali di esordio del disagio; infatti, se il disagio viene trattato prima che si radichi, potranno evitarsi
in futuro altre forme più gravi di natura psicopatologica. È quindi fondamentale porre la massima
attenzione ai segnali precoci che possono emergere già durante i primi anni di vita del bambino. Ancor
più rilevanti sono i disturbi di carattere comportamentale, sempre più frequenti in bambini anche
molto piccoli, intorno ai due/tre anni, quando iniziano ad acquisire e ad interiorizzare le prime regole
della vita sociale. In questo contesto così delicato è molto importante il ruolo di entrambe le
figure genitoriali che devono, sempre, rimanere distinte. Per il bambino/a è necessaria e la presenza
paterna, la quale deve integrare e supportare l'azione educativa della madre; già Freud sottolineava il
ruolo cardine svolto dal padre nella costruzione del Super-io infantile, il quale rende capaci di
controllare le esigenze della realtà con le pulsioni e gli istinti. Il disagio, dunque, già nelle prime fasi
dell'età evolutiva se non viene tempestivamente individuato e preso in considerazione, viene esternato
in altri momenti della vita, ed in particolare, nel periodo adolescenziale dove possono
presentarsi sintomi di disadattamento, quali: diffi coltà di apprendimento e di rendimento
scolastico, disturbi della condotta, rifiuto improvvisi della scuola. Al fianco dell'importante ruolo dei
genitori, c'è quello della scuola, ancor di più quando le famiglie presentano aspetti carenti o
problematici; in questi casi, infatti, l'ambiente della scuola può diventare uno spazio di accoglienza per
il giovane in una circostanza delicata, dove il rifiuto e il disprezzo nei confronti del mondo degli
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adulti la fanno da padrone. Dunque, occorre un intervento di rete che riesca ad assumere anche
una valenza preventiva mediante la collaborazione tra scuola, associazioni ed operatori socio-sanitari,
attraverso attività mirate rivolte al gruppo classe ed ai genitori.
LA DEVIANZA MINORILE
Non esiste una visione univoca del concetto di devianza, il quale ha assunto nel tempo, molteplici
significati e valenze. Dal punto di vista strettamente sociologico, non esiste di per sé un atto deviante,
ma esiste una definizione sociale di ciò che è deviante in riferimento ad uno sp ecifico contesto
culturale e normativo che, modificandosi, modifica anche la definizione di devianza. Ciò significa che
la definizione di ciò che è o non è deviante non è uniforme e condivisa da tutti i gruppi sociali;
anzi l'esperienza ci dice che quasi tutti i comportamenti che noi consideriamo devianti, in paesi,
classi sociali ed epoche diverse, possono essere valutati in modo del tutto opposto.
"Fino a pochi anni fa la cultura giuridica minorile era ancorata alla suddistinzione dei
fenomeni patologici dell'infanzia e dell'adolescenza tra disagio, devianza e delinquenza
minorile. Essi venivano abitualmente rappresentati come i tre cerchi concentrici di cui il più
ampio era quello relativo al disagio (termine con cui si faceva riferimento alle situazioni
pregiudizievoli ed emarginanti vissute dal minore) quello intermedio era costituito dalla devianza,
che si riferiva alle manifestazioni di regolarità della sua condotta (fughe da casa, assunzione di
stupefacenti) senza consumazioni di reati, e quello più piccolo rappresentava la delinquenza
minorile, connotata da condotte devianti comportanti la consumazione di reati.
Ad essi corrispondevano anche tre tradizionali competenze dei tribunali minorili: quella civile, quella
amministrativa o rieducativa e quella penale. Ora, invece, tutto è cambiato; vanno infatti emergendo
nuove forme di manifestazione di criminalità come quella del "malessere del benessere" che non
sono precedute ne da manifestazioni di disagio ne tanto meno da forme di devianza, ma
esplodono improvvisamente nei ragazzi dalla condotta precedentemente irreprensibile. D'altro
canto anche il termine criminalità minorile tende ad essere per lo più assorbito in quello di devianza.
Possiamo, dunque, affermare che la complessità del disagio e della devianza sta articolando gli stessi in
vari modelli e sottocategorie, tanto da iniziare a parlare di "devianze" e "disagi".
MANCANZA DI ASCOLTO
Tra le cause del disagio giovanile emerge prepotentemente la mancanza di disponibilità, nella
società adultocratica, all’ascolto dei minori. Gli adulti assillati dalla moltitudine dei loro problemi non
tentano, neppure, di capire quelli dei minori, ritenendoli privi di fondamento, puerili ed il più delle
volte risibili.
Dimenticando, a loro volta, di essere stati anche loro dei minori, anche loro, inascoltati.
Dimenticando, soprattutto, la sofferenza subita per l’incomprensione dell’adulto e l’assoluta assenza di
dialogo. Anche nelle vicende più importanti della famiglia il bambino non viene ascoltato, anzi gli
viene assolutamente impedito di dire la sua: sono cose da grandi. Ciò non è accaduto solo nel contesto
famigliare ma anche in quello sociale. La società ha sempre ritenuto i minori come elementi della
comunità da proteggere e per tal motivo non venivano e non venivano ascoltati.
Oggi, per fortuna ciò sta cambiando soprattutto nell’ambito della giustizia minorile e di quella civile
riguardante situazioni che comunque coinvolgono minori. Pur rientrando il processo minorile
nell'ambito dello spazio proprio del sistema delle tutele e delle garanzie dei diritti e pur essendo
collocato quindi nell'area ascritta agli interventi diretti ad assicurare al minore il diritto alla
protezione, è tuttavia da rilevare che al minore coinvolto nel processo sia civile che penale
vengono riconosciuti molteplici spazi di autonomia .Il minore infatti può essere: protagonista del
processo penale, se gli sono addebitati comportamenti integranti gli estremi di un reato; testimone di
fatti per i quali è indispensabile sentire la sua versione, sia in campo civile che penale; destinatario
diretto o indiretto di accertamenti sulla sua personalità, quando viene esaminato un caso di vita che lo
riguarda profondamente .
Va ricordato che in tutti questi casi, per un minore che comincia a sentirsi parte del contesto
sociale in cui vive, diventa di fondamentale importanza dargli spazio e considerazione, avvicinarsi a
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lui con delicatezza, tenendo conto della sua psicologia e della sua personalità, al fine di evitare che la
realtà giudiziaria sia percepita come violenta e autoritaria. Sono tre gli spazi di intervento riconosciuti
al minore in ambito processuale I1 minore coinvolto in un processo penale ne diventa protagonista se
ha compiuto il quattordicesimo anno perché l'imputabilità minorile è esclusa per legge (art. 97 c.p.)
prima del compimento di tale età. Egli ha diritto di difendersi e, quindi, di nominare un proprio
difensore.
Va aggiunto che il principale mezzo giuridico utilizzato a tal fine è l'interrogatorio, che tende
all'accertamento della verità, consentendo al minore imputato di esporre le proprie ragioni. Peraltro
esso si riferisce a una serie di atti compiuti a fine di investigazione, contestazione dei fatti e altro da
parte della polizia giudiziaria, del PM e dal GIP; ma per l'imputato minorenne ha anche finalità
ulteriori, che vanno dal non pregiudicare il percorso educativo in atto, ad attivare interventi e
supporti educativi, se se ne ravvisa la necessità. È dunque una comunicazione più ampia, diretta non
soltanto all'accertamento dei fatti ma anche a indagare nel vissuto del minore, a capire quali siano le
sue inclinazioni e aspettative, al fine di incidere positivamente sul suo percorso educativo. A
conclusione del procedimento compete al giudice illustrare al minorenne imputato il significato delle
attività processuali e il contenuto e le ragioni anche etico - sociali delle decisioni.
Quando invece il minore ultraquattordicenne è persona offesa, gli viene riconosciuto il diritto di
proporre querela, diritto peraltro che viene riconosciuto anche al genitore, nonostante ogni
declinazione di volontà contraria del minore (art.120 c.p.) Il secondo spazio di protagonismo è
relativo alle situazioni in cui il minore è testimone sia nell'ambito di processi civili che penali in
relazione a fatti di cui egli è informato. Va rilevato che non esiste un'età minima al di sotto
della quale il minore non può essere sentito, salva ovviamente la valutazione dell'attendibilità
delle sue dichiarazioni. Incide significativamente a questo proposito, in ambito penale, la particolare
condizione del soggetto minorenne e l'esigenza che l'audizione assuma in casi particolari
caratteristiche diversificate. Si parla dì "audizione protetta" con riferimento alla testimonianza che
può essere resa dal testimone infrasedicenne, vittima di reati sessuali.
Questa audizione può avvenire in un luogo protetto diverso dal tribunale oppure presso strutture
specializzate di assistenza oppure presso l'abitazione del minore. Inoltre la struttura specializzata deve
essere munita di specchio unidirezionale, impianto di registrazione e di citofono interno che
permettano ai soggetti processuali (giudice, pubblico ministero, difensori) situati in una stanza
adiacente di intervenire sullo svolgimento dell'atto, comunicando attraverso il citofono eventuali
domande che il perito (o consulente del PM) comunicherà al minore in un linguaggio
comprensibile e adeguato all'età.
Vengono in tal modo conciliate le esigenze di tutelare il diritto di protezione del minore come
soggetto in età evolutiva con le garanzie di difesa dell'imputato, per lo più maggiorenne. Inoltre,
istituzionalizzando le modalità di audizione a misura di ragazzo, si tende anche ad affermarne in
qualche misura il suo ruolo di protagonista. Nulla invece è previsto per le dichiarazioni del
minorenne sentito come testimone nel procedimento civile, se non la previsione che egli se non ha
compiuto il quattordicesimo anno di età non è chiamato a pronunziare la dichiarazione di assunzione di
responsabilità. Infine, il terzo spazio va creato nelle situazioni in cui il minore è coinvolto in un
procedimento civile che comunque lo riguarda; in questo caso si propone il discorso del suo ascolto.
Merita tuttavia di essere ricordata sin da questo momento la decisione assunta dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 1/2002, nella quale al minore viene attribuita la qualità di parte nei
procedimenti riguardanti l’ablazione e la limitazione della potestà genitoriale. Dice testualmente la Corte
che tale disposizione: «ormai entrata nell’ordinamento, è idonea -ove necessario- la disciplina dell’art.336,
c. 2, cc, nel senso di configurare il minore come "parte" del procedimento, con la necessità del
contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale ai sensi dell'art.
78 c. p .c. Ed è ancora una volta rilevante il richiamo alla legge n. 149 del 2001, dalla quale
chiaramente si evince l'attribuzione al minore (nonché ai genitori) della qualità di parte, con tutte le
conseguenti implicazioni. Nonostante non si siano ancora affermati ampi spazi di applicazione, si sta
ormai delineando nelle pratiche un utilizzo appropriato e rispettoso dell'ascolto del minore. Una
dimensione nella quale il rapporto parentale si integra con la specializzazione dei servizi
consentendo di far giungere all'interno del procedimento civile il punto di vista del
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minore.
E si integra altresì con la specializzazione del giudice, che potrebbe consentire il superamento di
dualismi di procedure e iter giudiziari che l'attuale distinzione tra tribunali per i minorenni e
tribunali ordinari determina. Il tribunale per la famiglia si va quindi ponendo come un
traguardo indispensabile, insieme alla presenza di servizi territoriali specialistici, perché
all'infanzia e all'adolescenza venga riconosciuta quella priorità sancita dal diritto convenzionale, ma
non ancora affermata nella realtà dei tribunali.
Peraltro in questa sede, ai fini del discorso che si sta svolgendo a proposito del riconoscimento del
minore come soggetto di diritto - come persona alla quale in tal modo si dà voce, mentre fino a
qualche anno fa era tra coloro che non avevano voce –, va sottolineato l'affermarsi sempre più
accentuato del diritto del minore all'ascolto, la sua centralità. Si tratta di un ruolo centrale perché, pur
nascendo nell'ambito degli interventi di protezione e tutela, tende a proporre il bambino e
l'adolescente come protagonista dell'azione.
Qui peraltro la distinzione tra protezione e protagonismo non è lasciata al caso, ma
trova una specifica disciplina che li distingue nella previsione normativa di uno specifico istituto,
quello della capacità di discernimento che costituisce il crinale che distingue i minorenni per i quali è
affermato il diritto a essere ascoltati e a ottenere che la loro opinione incida sulla decisione
processuale e quelli di cui si verifica l'incapacità di discernimento, che comporta
l'esclusione per loro del diritto all'ascolto.
L'istituto dell'ascolto del minore diventa quindi il punto di convergenza delle linee evolutive
della condizione dell'infanzia sopra esposte e crea un modello unitario di collegamento, nel quale
trovano una sintesi efficace l'istanza di protagonismo e quella di protezione del minore. Un
modello che potrà in futuro estendersi anche ad altri contesti.
Tale convergenza si attua con la previsione della disciplina relativa al concetto di capacità di
discernimento, il cui accertamento è essenziale per dare luogo al diritto all'ascolto e la cui mancanza è
la base per realizzare in via esclusiva quel diritto di protezione del minore che abbiamo esaminato in
precedenza. D'altra parte, essa si attua anche nei modi in cui questo diritto viene rispettato. Se
talora, infatti, esso è assoluto (nel senso che non sono previste
normativamente sue limitazioni) – come avviene a proposito del diritto del minore alla partecipazione
sociale –, in altri casi è subordinato alla presenza di importanti presupposti: l'adeguata informazione
sui fatti su cui verterà l'ascolto e la conoscenza degli effetti che le sue dichiarazioni avranno sulla
decisione che sarà pronunciata.
È quindi necessario soffermarsi diffusamente sull'istituto dell'ascolto, facendo riferimento alla sua
legislazione (che è la più ampia e puntuale rispetto a quella di ogni altro istituto) e al modo in cui si è
venuta creando sulla base del diritto convenzionale e di quello italiano, della giurisprudenza e di
alcune prassi operative.
Negli ultimi anni l'ascolto del minore ha acquistato sempre più la dignità giuridica di
diritto soggettivo del bambino. Ma ciò è avvenuto più grazie alle leggi di ratifica delle
convenzioni internazionali in materia che non per effetto della legislazione nazionale vera e propria.
Quattro sono state le principali convenzioni che hanno consentito all'ascolto di acquisire tale dignità.
Le Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile (cosiddette Regole di Pechino)
approvate a New York il 29 novembre 1989, riconoscono al minore presunto autore di reato il
diritto di partecipare al processo e di esprimersi liberamente. a Convenzione ONU sui diritti del
fanciullo del 1989 con l'art. 12 introduce in modo innovativo la conciliazione tra l'esigenza di
protezione e quella di promozione dei diritti del fanciullo. Nel riconoscere il diritto di ascolto, si
prende atto che il fanciullo non è solo una persona debole, meritevole di una protezione generica
derivante dall'alto, ma anche componente di una comunità capace di accoglierlo come cittadino in
formazione.
L'Aja del 29 maggio 1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione
internazionale, ratificata dall'Italia con legge 31 dicembre 1998, n. 476, prevede che il minore
da adottare nel suo Paese d'origine, tenuto conto della sua età e maturità, sia stato assistito
mediante una consulenza e informato delle conseguenze dell'adozione e del suo consenso a
essa; che il suo consenso sia stato liberamente dato e che i desideri e le opinioni del minore
siano stati presi in debita considerazione (art. 4, lett. d); che sia consultato quando,
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successivamente al suo trasferimento nello Stato di accoglienza, la permanenza nella famiglia che lo
ha accolto non sia più conforme al suo interesse (art. 21, e. 2). Il nostro ordinamento ha dato
attuazione alla Convenzione de L'Aja con la legge di ratifica n. 476/1998 e con le modifiche alla L.
184/1983 sull'adozione e sull'affidamento.
La Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996 in un'ottica di
complementarità, non crea nuovi diritti sostanziali, rispetto a quelli previsti dalla Convenzione sui
diritti dell'infanzia, ma ne facilita l'esercizio, mediante l'attribuzione al minore, che secondo
l'ordinamento interno abbia capacità di discernimento, di diritti processuali, da esercit arsi
personalmente o mediante altre persone, con finalità più di -promozione" che di protezione di tali
diritti. Tutto ciò attraverso il riconoscimento del diritto del bambino e dell'adolescente a essere
ascoltato e informato in relazione alle questioni giudiziarie che lo riguardano, nonché attraverso la
possibilità di chiedere la designazione di un rappresentante speciale nelle ipotesi di conflitto di
interessi con i detentori delle responsabilità parentali, per giungere, in una prospettiva futura, a essere
assistito in giudizio, a potere nominare un rappresentante al di là delle ipotesi di conflitto di interessi e
essere riconosciuto in qualità di parte processuale (artt. 3 e 6).
Il nostro ordinamento ha ratificato la Convenzione europea con la legge 20 marzo 2003, n. 77, ma
per il momento essa ha applicazione molto limitata in quanto sono stati scelti, come campi di
applicazione della Convenzione, solo tre sub-procedimenti di scarso rilievo, lasciando fuori per
ora quelli di adozione, di separazione coniugale e divorzio, delle tutele, di controllo
sull'esercizio della potestà genitoriale. Per quanto riguarda la legislazione italiana, non c'è
dubbio che si tratta di una normativa frammentaria e disorganica, nell'ambito della quale si
coglie – sia pure in modo indiretto – l'esistenza di un inderogabile dovere di ascolto per i
genitori, desumibile dall'art. 147 cc e derivante dall'art. 30 della Costituzione, in attuazione del
principio che lo svolgimento del compito educativo comporta il saper ascoltare il figlio, tenendo conto
delle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. Se anche molte norme prevedono non solo
l'ascolto, ma il consenso del minore con riferimento a vari istituti, va tuttavia ribadito che due sole
norme fanno riferimento in modo specifico al tema dell'ascolto: l'art. 10, c. 5, L. 149/2001,
relativa al procedimento di adottabilità, per la quale il tribunale, prima di confermare, modificare o
revocare i provvedimenti monocratici assunti d'urgenza, deve sentire il minore che ha compiuto i 12
anni e anche quello di età inferiore in considerazione della sua capacità di discernimento, e l'art.
155 sexties cc in tema di affidamento condiviso, che ribadisce il principio dell'ascolto del minore
ultradodicenne o anche di età inferiore se capace di discernimento.
Da quanto si è esposto si può pervenire alla conclusione che, se anche la legislazione
internazionale ha influito sulla nostra legislazione, tuttavia l'applicazione del principio dell'ascolto è
tuttora lenta e parziale per la mancanza di una consapevolezza culturale unanime che causa
resistenza soprattutto nella pratica giudiziaria. Non c'è però dubbio che essa stia crescendo a livello
nazionale. Ciò vuol dire che, se anche la legislazione italiana non introduce quello dell'ascolto del
minore come principio generale, avendone limitato il riferimento alle sole disposizioni suddette,
tuttavia la ratifica della legislazione convenzionale in materia – e soprattutto dell'art. 12 della
Convenzione ONU– sta divenendo un efficace strumento di affermazione dei principi che essa
sostiene. Si può dunque ritenere che l'ascolto abbia assunto carattere generale e debba essere
applicato in Italia in tutti i procedimenti giudiziari e amministrativi che coinvolgono minori. Ciò non
toglie che l'introduzione normativa di una disposizione di carattere generale in materia
comporterebbe il superamento definitivo di ogni ulteriore dubbio.
L'esame della normativa (soprattutto di quella internazionale) consente, come già accennato,
di affermare che il diritto del minore all'ascolto non può svolgersi sic et simpli-citer, che non trova
applicazione senza limiti, ma esige la presenza di due
presupposti. Il primo è l'accertamento che il minore da ascoltare abbia capacità di
discernimento; il secondo riguarda il suo diritto all'informazione in ordine ai fatti sui quali
verterà l'ascolto.
Avvocato Vincenzo Filippello
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PRINCIPIO DI LEGALITA’
Il principio della legalità, valore universalmente condiviso, è spesso oggetto di violazioni che
generano disagio sociale e inquietudine soprattutto nei giovani.
L’INDULGENZA EDUCATIVA
Oggi ci troviamo a condividere il tetto con dei giovani che non temono le direttive genitoriali e
si trovano in difficoltà ad attenersi alle regole.
E’ stato davvero duro per la generazione di persone oggi quaranta/cinquantenni, attivare quella
funzione genitoriale in grado di educare e sostenere la crescita con un misto di severità e idealismo
accompagnati da una attenzione al riconoscimento del talento naturale dei figli. Siamo invecchiati
mettendo in discussione il ruolo che i nostri genitori avevano avuto nelle nostre vite e abbiamo fatto
figli cercando di negare il vincolo che ancora ci legava ai nostri discussi padri, senza mai davvero
sganciarci da esso. Il risultato quindi dell’educazione che abbiamo impartito ai nostri figli è un
risultato falsato da un nostro bisogno. Ci sentivamo feriti per alcune costrizioni che sentivamo di avere
avuto noi, e così ingenuamente e narcisisticamente abbiamo adottato con i figli una tecnica educativa
da fratelli maggiori.
Il problema infatti è che i nostri figli non ci hanno chiesto la libertà dall’inizio della loro
esistenza. La libertà è un processo lungo che implica la coscienza della costrizione. La libertà è sentire
la forza di poter agire un cambiamento perché si immagina. La sazietà materiale impigrisce purtroppo
oppure rende ingordi, incapaci di sentire il limite. Noi genitori invece abbiamo saltato totalmente il
territorio della capacità di conquista. Abbiamo quindi giovani ignavi che senza chiedere hanno
ottenuto; che senza lottare posseggono e sono infatti deboli, senza ideali per cui lottare. La verità è che
noi genitori siamo cresciuti con genitori che si sacrificavano per noi, pensando di darci di più rispetto a
quello che loro stessi avevano avuto.
Abbiamo fatto figli pensando di poter fermare il tempo alla nostra giovinezza. In virtù di questo
quindi non diamo spazio alle generazioni, ci sostituiamo ai figli.
Troppo assorbiti nella riuscita sociale abbiamo demandato ai vecchi nonni la cura dei nostri
piccoli.
IMPARARE DIVERTENDOTI
Fare bene qualcosa implica impegno e piacere nel riuscire a compiere qualcosa. La passione
per qualcosa è durevole e implica il dovere e il piacere.
L’impegno per qualcosa deve superare il divertimento perché per definizione il divertimento è
momentaneo e privo di ambivalenze: mi diverto fino a quando non mi sento frustrato. Ciò è un
paradiso per merchandising. Più cose provo, più spendo. L’uomo nuovo quindi è pensato come un
consumatore compulsivo già piccolo.
LA COMUNICAZIONE GENITORI-FIGLI
Nella comunicazione familiare il dialogo, l'ascolto, l'attenzione sono gli elementi fondamentali
per la crescita, lo sviluppo e la maturità dei figli.
Per instaurare una comunicazione efficace è importante partire da una dimensione di ascolto,
prestando attenzione alle emozioni e alle opinioni che i figli possono esprimere. E' una modalità di
comunicazione che va costruita quotidianamente, con pazienza e attenzione, cominciando dai primi
scambi verbali e non verbali.
La comunicazione fra genitori e figli può, quindi, diventare difficile, i genitori possono sentirsi
insicuri, poco informati, e i figli possono sentirsi incompresi, non ascoltati, e non trovare argomenti da
condividere con i genitori. Per i genitori è importante essere flessibili e cambiare le modalità
comunicative adottate.
Mantenere il rapporto maturato con il figlio dall'infanzia rischia, infatti, di portare
incomprensioni, continue ed esasperate richieste e provocazioni da parte del ragazzo, con il rischio di
compromettere il dialogo e di rompere i rapporti.
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Quando i bambini sono piccoli è importante la funzione e la modalità della comunicazione numero di scambi, varietà di segnali,
ricchezza del linguaggio - per aiutarli a sviluppare il linguaggio, le competenze comunicative e
l’intelligenza. E' fondamentale prendere seriamente quello che dice il bambino, che ha bisogno di
essere ascoltato attentamente e non superficialmente. L'essere sempre interrotto o criticato non gli
permette di acquisire sicurezza nei suoi stessi pensieri e di sviluppare un buon livello di autostima, ma
anche, dargli sempre ragione, lasciarlo parlare continuamente quando ha bisogno di essere contenuto,
non gli permettere di sviluppare un proprio senso critico e la capacità di interpretare in modo obiettivo
ed equilibrato un evento, una situazione, un argomento, ecc. Il sostegno maggiore è dato dall'essere
ascoltato fino in fondo, dal sentirsi compreso, appoggiato e contenuto e dalla possibilità di confrontarsi
con l'adulto quando questi ha un'opinione diversa dalla sua.
Un aspetto fondamentale della comunicazione in famiglia è l’apertura al dialogo, infatti, è
possibile uno sviluppo più armonico e sereno della personalità se c’è maggiore confidenza con i
genitori e se si creano situazioni in cui è possibile per ognuno raccontare le proprie esperienze,
esempio quanto accade durante la giornata; i bambini, i ragazzi risultano emotivamente più equilibrati
e socialmente maturi.
Una fase dello sviluppo che mette a dura prova la comunicazione fra genitori e figli è la fase
adolescenziale: la conflittualità tra i bisogni di autonomia e di protezione dell'adolescente si
esprimono all'interno della famiglia attraverso nuove e diverse forme di comunicazione sia verbali
come silenzi, aggressività verbale, aumento dei conflitti, provocazioni; che non verbali come modo di
vestire e di atteggiarsi, rapporto con il cibo, modalità di gestire gli spazi personali.
La fase dell'adolescenza caratterizzata da comportamenti che vanno dalla solitudine
all'irrequietezza, dal rifiuto delle regole familiari (fino ad allora accettate) al rifiuto scolastico, dalle
nuove richieste ed esigenze relative al desiderio di avere il motorino, di andare in discoteca, di non
avere orari da rispettare, comporta delle irregolarità di condotta nel contesto familiare, che rischiano di
compromettere in modo drastico la comunicazione all'interno della famiglia.
Una comunicazione funzionale, posta ad un livello condiviso permette al genitore di conoscere
ciò che i figli sanno, i loro punti di vista, per questo motivo l'ascolto dovrebbe essere empatico e non
giudicante, questo permette di capire le reali richieste dei figli rispetto alle loro conoscenze del
l'ambiente circostante e rispetto al sostegno che inconsciamente richiedono ai genitori riguardo
alle loro scelte e ai loro comportamenti.
Anche nelle decisioni da prendere e
nella definizione delle regole è importante
cercare di mantenere un atteggiamento di
negoziazione. L'atteggiamento più efficace, in
base all'età, potrebbe essere quello di stabilire
degli orientamenti, dopo averli discussi, con i
figli, cercando di arrivare a delle regole il più
possibile condivise, senza imposizioni troppo
rigide. Nella famiglia, il dialogo e il confronto
rappresentano, un mezzo per creare senso di
fiducia, affetto e senso di appartenenza.
Parlare ai figli in modo da tenere aperti
i canali di comunicazione
permette di superare i disaccordi. Mettersi in
Premiazione dott.ssa Rosaria Franco
una posizione di ascolto può modificare molto
ciò che si vuole dire e anche il modo di dirlo. In questo caso l'intervento psicologico propone percorsi
di approfondimento e miglioramento degli stili educativi e della comunicazione
in famiglia attraverso un coinvolgimento attivo e concreto. Partendo dalle situazioni di
difficoltà quotidiana si possono individuare dei percorsi per facilitare la comunicazione nel rapporto
educativo con i figli, entrare in empatia con loro, acquisire abilità nell'ascolto e nella riformulazione
dei messaggi, saper esprimere i sentimenti, negoziare le regole, la disciplina, educare alla gestione dei
conflitti.
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Favorire la comunicazione, l'espressione ed il confronto sulle diverse reazioni emotive (amore,
rabbia, insofferenza,tenerezza, frustrazione, affetto, passione, attaccamento, avversione, indifferenza,
solidarietà, ostilità, ecc.) dei singoli membri della famiglia, permette di individuare e verificare
modalità alternative di comportamento così da ampliare il repertorio espressivo verso canali più adatti
e funzionali.
Dott.ssa Rosaria Franco
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IL BENE RELAZIONALE:
ANTIDOTO AL DISAGIO GIOVANILE
Recandoci in reparto non abbiamo trovato una neonata tra le braccia della madre, ma una neonata
che da qualche tempo piangeva, dimenandosi, pur avendo mangiato. Dopo esserci soffermati ad
osservarla e scrutarla è matura una idea: in uno spazio appartato, in un letto, fare giacere Maia su un
petto nudo e rilassato di donna. Dopo quasi un’ora l’atteggiamento della piccola era totalmente mutato:
dormiva serena,su quel petto come mai prima. Una esperienza di vita a conferma di una verità: quando
si viene alla luce siamo esseri affamati non solo di latte ma pure di contato umano: di calore.
In maniera intensa e viscerale siamo affamati della relazione con l’altro.
Desiderosi delle sue attenzioni,del suo sguardo,della sua
presenza premurosa vogliamo sentire che per lui esistiamo.
Vogliamo essere rassicurati sul fatto che egli si sia accorto di
noi, dei nostri bisogni e sentimenti,del nostro semplice ed unico
esserci. Ciascuno di noi da subito esperimenta l’importanza
della relazione con l’altro: nostra madre sentendoci,
osservandoci e conoscendoci ha colto ed
interpretato suoni, espressioni e la nostra postura leggendoli
come nostri segnali di stato di bisogno inespressi. Allora si è
prodigata fornendo a noi l’aiuto di cui necessitavamo per
continuare a stare meglio. Corrisposti ed appagati da questa
presenza abbiamo esperimentato la relazione con l’altro come
luogo di riconoscimento personale di rassicurata appartenenza.
Appartenenza e individuazione costituiscono le fondamentali
esperienze da cui scaturisce la nostra identità personale.
Non saremmo senza questa relazione.
Da questa relazione e dalla sua qualità dipende la nostra
Premiazione dott. Concetto LaSpina
maturazione
la salute mentale, la felicità o la nostra
disperazione come afferma Pietro Cavalieri. 1
La relazione con l’altro è per la psiche quello che l’ossigeno è per il corpo.
La nostra vita mentale si nutre di questa. Da una buona e nutrita relazione tracciamo il sostegno
quotidiano per la nostra crescita personale. Diversamente una relazione può rivelarsi densa di elementi
di tossicità che inquinano la mente. C’è un fatto dal quale Maia e ognuno di noi non può prescindere. Il
nostro essere nel mondo passa attraverso lo stare con gli altri: con l’altro ci incontriamo, ci
rapportiamo, ci confrontiamo, ci scontriamo. Guardando la nostra esperienza dobbiamo prendere atto
che noi abitiamo costantemente un luogo: il rapporto. Lì si ritrovano la nostre mente,il cuore, i gesti, i
pensieri. In questo luogo\casa si cresce, si cambia. 2 La psicoterapia della GESTAL infatti afferma: “la
relazione cura”. La relazione dunque è indispensabile nella vita di tutti noi. Alla luce di queste
considerazioni la relazione con l’altro non tarda a svelarsi come un bene.
Il bene relazionale, di cui tuttavia poco o nulla ci curiamo e attenzioniamo da diversi decenni, come
nel caso di Maia: gli si davano latte e cure credendola solo affamata di questo. E’ difficile oggi trovare
qualcuno che insegni in quale modo produrre ed avere cura del bene relazionale che insegna come
vivere con se stessi e con l’altro, come comunicare con lui, come gestire i conflitti e le differenze che
da lui ci separano.
Oggi diviene sempre più difficile soprattutto per le nuove generazioni,imparare a vivere con se
stessi con l’altro, sapendo scoprire nella relazione con lui il bene più importante per la crescita
personale. Il bene relazionale è il nostro bene: è presupposto di crescita e felicità.
Avviandomi alla conclusione di questo mio apporto avanzo una proposta: Visto che ci proponiamo
di essere protagonisti nella vita, un senso di scopo e un senso di missione possiamo darcelo,
confermandoci seri artigiani produttori di beni relazionali.
E come tanti Pollicino disseminare nelle relazioni che quotidianamente intraprendiamo e curiamo
comportamenti e\o atteggiamenti di disponibilità.
1 Sul bene relazionale, c f. P.A. CAVALIERI,Vivere con l’altro. Per una cultura della relazione,CITTA’ NUOVA - ROMA 2007.
2 Sulla relazione come incontro tra persone,c f. V.M. SANESE, PERCHE’ TI AMO. Un uomo una donna. MARIETTI,GENOVA 2006
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Teniamo presente che noi accogliamo l’altro prima di incontralo; in ambito sociale noi possiamo
fare il bene ed eludere il male. Un detto Cinese recita : “Tu non sai quanto bene fai quando fai il bene
e quanto male fai quando fai il male”. Quando un giovane mostra di vivere condizioni di vita
sgradevoli, situazioni devianti, si mostra mancante di cose necessarie o opportune o risulta afflitto da
difficoltà,li dobbiamo attivarci dimostrando di avere le competenze al contatto elementare; come stare
all’erta, vigili,capaci di osservazioni, tenere la porta del nostro cuore aperta andare col cuore lì dove
l’altro soffre, mettergli a disposizione i beni di cui disponiamo.
In pratica cercare di fare il bene predisponendosi all’intesa disseminando il contatto buone
intenzioni divenendo così come tanti Pollicino per sostenere e promuovere nella vita di relazione ogni
forma di comunione dove il disagio non viene giudicato ma viene condiviso,compreso nella sua
portata comunicativa e impiegato come input per l’educazione. Competenza al contato significa
paziente attitudine dell’ascolto,capacità di mettersi nei panni dell’altro, disponibilità a condividere e ad
essere solidali.
Auguro a tutti una buona avventura relazionale.
Dott. Concetto La Spina
26
Personale Associazione A.G.M.
da sinistra - Marco Di Franco, Elisa Sciacca, Maria Monaco, Agata Mazzaglia (Presidente),
Francesca Bonaventura, Grazia Scuderi
L’intermezzo musicale
Da sinistra : Amedeo Bucalo - Desiree’ Torre
Salvatore Previtera – Michele Patanè
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RASSEGNA STAMPA
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L’ANTIDOTO PER IL DISAGIO GIOVANILE
INDICE
Presentazione (Dott. Gaetano Tradito)…….…………………..........................................pag.1
Locandina e Invito……………………………………………………………………….......pag.4
La Strategia Lavorativa Meritodemocratica a sostegno di una politica di intervento a favore dei
giovani, tra disagio educativo e precarietà lavorativa (Dott.ssa Agata Giuseppa
Mazzaglia…….......................................................................................................................pag.5
Brain Drain - (Prof. BenedettoTorrisi)…………………………..…………………….…….pag.6
Le iniziative istituzionali a supporto dei giovani e finalizzate alla diffusione della cultura della
Legalità (dott.ssa Cettina Pennisi).………………………………………..…………….…pag.9
L’educazione alla Legalità è un’opportunità per migliorare la società (Dott. Pasquale
Pacifico)……………………………………………………………………………………..pag.12
E’stupido essere giusti quando chi è ingiusto ottiene miglior giustizia (Prof. Antonino Alibrandi)
………………………………..……………………………………………………………..pag.14
Disagio giovanile (Avv. Vincenzo Filippello)…...........................................................pag.16
Il disagio dei giovani di oggi. Il valore della legalità (Dott.ssa Rosaria Franco)..………….pag.23
Il bene relazionale Antidoto al disagio giovanile (Dott. Concetto La Spina)……………....pag.26
Rassegna stampa .…………………….…..……………………………….……….……....pag.28
I collaboratori…………………………………………………………….………………….pag.29
La galleria fotografica…………………………………………………….…………………pag.31
La Brochure……………………………………………………………….…………………pag.36
Su https://www.sangiorgiocooperativa.com trovi tutte le pubblicazioni
dell’Associazione Culturale Trinacria O.n.l.u.s.
I video del Convegno sono presenti su You tube scrivendo: Il disagio dei giovani di oggi. Il valore della Legalità
(prima parte).
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LA GALLERIA FOTOGRAFICA
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LA BROCHURE
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