TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 117
Luca Beltrami
Dottore di Ricerca presso la
Facoltà di Lettere dell’Università
di Genova
Nievo e il Risorgimento
Bice carissima – Ti ricordi quand’io ti diceva –
“In Sicilia non c’è mai stato gran che
ed ora non c’è più nulla.
I nostri si fanno l’illusione come è il solito;
sarà la seconda edizione aumentata e ingrandita
di Pisacane e di Sapri”?!
Or bene – nulla di più vero de’ miei presentimenti”.
(Lettera a Bice giugno 1860)
TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 118
TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 119
Il Tempietto
Nievo e il
Risorgimento
Luca Beltrami
Nievo, Mazzini e la letteratura
È il 10 maggio 1859 quando Ippolito
Nievo, giunto a Torino sulle orme dei
due fratelli Carlo e Alessandro, già
arruolati nell’esercito regolare
piemontese, comunica alla cugina Bice
Gobio Melzi l’intenzione di prendere le
armi. L’approccio alla nuova realtà
crea inizialmente un lieve senso di
smarrimento, che non placa però
l’entusiasmo: «Ed io? Non so cosa farò
per ora: ma lo scriverò presto e vi
maraviglierete»1. Infatti tre giorni dopo
il soldato Nievo scrive alla madre
Adele Marin di essere stato arruolato
non nelle truppe regolari ma nelle
«Cento Guide di Garibaldi» e di
partire per il campo di battaglia la
settimana successiva2.
Nievo entra quindi nei Cacciatori delle
Alpi di Garibaldi e combatte fino
all’armistizio di Villafranca con cui
l’Austria cede la Lombardia ma non il
Mantovano e le terre venete, ovvero i
luoghi dell’infanzia e della formazione
dello scrittore nonché delle sue opere.
L’amarezza per la mancata liberazione
del Veneto e per la marcia militare
bruscamente conclusa sullo Stelvio
animerà alcune poesie degli Amori
garibaldini, raccolta di versi scritta nei
mesi immediatamente successivi. La
stesura delle Confessioni d’un Italiano
è stata invece ultimata da circa un
anno, come racconta lo stesso autore a
Bice Gobio Melzi il 17 agosto 1858
119
(«Ieri alla fine ho terminato il mio
Romanzo; son proprio contento di
riposarmi. Fu una confessione assai
lunga»)3, mentre l’anno ancora
precedente il fallimento della
spedizione di Pisacane a Sapri aveva
forse sancito il definitivo tramonto
dell’ideale insurrezionale e
repubblicano di Mazzini.
Il ripensamento critico di Nievo sulla
politica mazziniana giunge a un esito
maturo proprio nel periodo tra la fine
della composizione delle Confessioni e
la prima esperienza garibaldina.
L’urgenza di trovare una soluzione –
magari anche piemontese – alternativa
ai moti insurrezionali per risolvere la
situazione italiana traspare dalle
pagine degli scritti politici che l’autore
andava componendo in quei mesi,
come l’opuscolo Venezia e la libertà
d’Italia e il Frammento sulla
rivoluzione nazionale, nei quali il
problema dell’indipendenza e della
coesione unitaria degli italiani sembra
essere anteposto all’ideale libertario e
democratico di Mazzini4.
La divergenza politica si manifesta
anche attraverso una differente
interpretazione della letteratura, in
particolare riguardo al superamento
del romanzo storico. In accordo con
l’articolo pubblicato da Mazzini sulla
rivista «London and Westminster
Review» nel 1838 e poi tradotto con il
titolo Moto letterario in Italia, Nievo
avverte l’esigenza di innovare un
genere che, vent’anni dopo il saggio
mazziniano, era ancora fortemente
dipendente dal modello di Alessandro
Manzoni «felicemente regnante per
diritto del suo ingegno, da cui
TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 120
120
Il Tempietto
emanano le leggi del buon gusto»,
secondo la metafora proposta
dall’autore nell’articolo Romanzi e
drammi uscito sul «Pungolo» il 3
gennaio 18585. Mazzini infatti aveva
già intuito l’indebolimento della scuola
manzoniana, a cui attribuiva una
scarsa spinta ideologica, leggendo nei
romanzi dello stesso Manzoni, di
Grossi, D’Azeglio e altri un’ispirazione
cattolica e consolatoria incline
all’accettazione della realtà in attesa di
un riscatto oltremondano ma troppo
poco sensibile alle istanze sociali e
all’azione collettiva6.
Foscolo e Byron nelle
Confessioni
La soluzione proposta per la
«successione» ai Promessi sposi è però
diversa tra Mazzini e Nievo. Indicando
il valore fondante della letteratura nella
lotta politico-patriottica contro
l’oppressore i cui simboli sono la
Nazione e la bandiera, Mazzini propone
eroi mossi da fierezza, entusiasmo,
passione, potenza, immagina il loro
atteggiamento minaccioso e li raffigura
nell’atto di brandire la spada.
Francesco Domenico Guerrazzi è il
romanziere che meglio rappresenta
questa scuola, «emanazione di Foscolo
e, in più vasto senso, di Byron»7.
E proprio Foscolo e Byron si ritrovano
come personaggi nelle Confessioni d’un
Italiano, ma lo sguardo con cui Nievo
li osserva muta radicalmente di segno.
Il poeta dell’Ortis era già stato un
importante bersaglio polemico nei
Cento anni di Rovani, che aveva messo
in crisi l’immagine galante del poeta
tra i salotti dell’alta borghesia
dell’epoca8. La critica di Nievo va però
oltre e tende a rovesciare il modello
politico incarnato da Foscolo,
mostrandone l’inadeguatezza rispetto
alla società che si va formando e la
sua sostanziale inattualità. Nel ritrarre
Foscolo all’indomani del trattato di
Campoformio l’ironia graffiante
dell’autore inventa il bestiario del
«leoncino di Zante» dalla «fisionomia
tempestosa» quanto il suo animo. Il
suo ruggito si articola in poche parole
che richiamano il mito repubblicano di
Bruto, che sembra quasi stonare nei
giorni in cui Venezia si risveglia
bruscamente dal vagheggiato sogno
della liberazione napoleonica. Questo
«orsacchiotto repubblicano ringhioso e
intrattabile» non può evidentemente
proporsi come modello di virtù civica
perché è troppo attento ad ammirare se
stesso disprezzando gli altri,
prigioniero della sua stessa apparenza
altera e sdegnosa che lo rende «il più
strano e comico esemplare di cittadino
che si potesse vedere»9.
L’altro «sublime misantropo» ritratto
nelle Confessioni è lord Byron, che si
era stabilito a Venezia tra il 1817 e il
1820, perché «i poeti sono come le
rondini che volentieri fabbricano il
loro nido tra le rovine». Il fascino
quasi mefistofelico del poeta che nel
1823 si imbarca per liberare la Grecia
dall’oppressione turca seduce l’animo
ancora giovane e romantico di
Luciano, uno dei figli di Carlo Altoviti,
che decide di seguirlo nell’impresa.
L’altera figura del lord non può però
suscitare un senso di ammirazione
altrettanto potente in Carlo, che
avverte il figlio a diffidare
TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 121
Il Tempietto
dell’apparente grandezza del poeta
dietro alla quale si cela «un’assoluta
impotenza di comprendere la vita e di
raggiungerne lo scopo»10.
La «sterile filosofia del disprezzo» è ciò
che accomuna Byron a Foscolo e rende i
loro ritratti grotteschi, e persino comici,
nelle stonature del loro portamento, dei
loro sguardi e dei loro gesti in rapporto
alla realtà concreta che vivono. La via
dell’eroismo dichiarato, del mito
costruito sullo sdegno e sulla protesta
radicale è dunque, per Nievo,
fallimentare. Il titanismo autobiografico
alfieriano e poi foscoliano, la scuola
della fierezza e della spada promossa da
Mazzini, si tramuta piuttosto nella
confessione onesta di un cittadino
qualsiasi, che si propone come «un
esemplare di quelle innumerevoli sorti
individuali che dallo sfasciarsi dei
vecchi ordinamenti politici al
raffazzonarsi dei presenti composero la
gran sorte nazionale italiana»11.
Attraverso la morale umile e insieme
forte di Carlino, Nievo percorre quindi
una strada alternativa a quella del mito
ortisiano che, come vedremo, morirà con
Lucilio, Amilcare e Leopardo.
Oltre il romanzo storico
La critica mazziniana al romanzo
storico si dimostra tuttavia acuta
quando rileva anche nelle migliori
opere guerrazziane l’insufficiente
contatto con la situazione sociale e
politica contemporanea. Le storie del
passato narrate dai romanzieri, pur
fissando evidenti analogie con le
vicende del presente, non riescono
infatti a muovere ed educare gli animi
al sentimento della patria quanto
121
potrebbe una letteratura cavata
dall’attualità: sarà proprio l’esperienza
insurrezionale mazziniana a dare nuova
linfa alla narrativa italiana attraverso il
filone memorialistico e autobiografico
sulle esperienze carcerarie di Silvio
Pellico, Carlo Bini e dello stesso
Guerrazzi.
Autobiografismo e contemporaneità che
troviamo anche nel Lorenzo Benoni di
Giovanni Ruffini12. L’autore racconta
dall’Inghilterra una storia attinta dalla
propria esperienza, prima di carbonaro
e poi di esule, ispirata dall’incontro
all’Università con Fantasio-Mazzini.
Ruffini imbocca una strada che
recupera e sviluppa il filone
memorialistico ma anticipa anche
alcune soluzioni perfezionate da Nievo
nelle Confessioni, e forse non è del tutto
casuale che il saggio Romanzi e
drammi, l’articolo con cui Nievo riflette
sulla situazione della narrativa italiana
all’altezza del 1858, sia vergato proprio
con lo pseudonimo di Fantasio.
Se lo spostamento del romanzo verso
l’attualità trova già in Rovani e nei suoi
Cento anni una prima autorevole messa
in atto, l’innovazione di un personaggio
autonomo dallo scrittore che narra in
prima persona la propria esistenza, è
ascrivibile alle Confessioni. Il racconto
dell’ottuagenario Carlino non coincide
con la vita del ventisettenne Nievo,
tuttavia offre un’originale soluzione al
problema del vero storico nel romanzo,
garantito non dall’espediente letterario
di qualche documento ritrovato in
biblioteca ma dalla testimonianza
oculare dell’io narrante. Più ancora che
alla memorialistica di impronta
mazziniana, l’autobiografia fittizia del
TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 122
122
Il Tempietto
romanzo di Nievo sembra trovare la
sua origine nel genere settecentesco
dei memoires francesi, svelando la
radice illuminista del romanziere,
avido lettore dei filosofi d’oltralpe, fra
tutti Voltaire e il Rousseau dell’Emile
e delle Confessions, evocate fin dal
titolo dell’opera.
Un’autobiografia dunque fittizia ma
onesta, perché tesa a svelare anche i
dubbi e gli errori di Carlino, lontana
dai ritratti eroici di Alfieri e Foscolo.
La fiducia mazziniana nel progresso
dei popoli non si incarna quindi in un
personaggio in conflitto e in
disarmonia con il mondo ma in un
uomo capace di far confluire la propria
coscienza individuale in quella
politica e sociale. Si tratta di una
morale fondata sull’umiltà e sulla
collaborazione, sul continuo sforzo ad
adeguare il proprio animo alla realtà
effettiva, in antitesi con gli
atteggiamenti idealistici e assolutistici,
che sia l’idealismo politico del
“mazziniano” Lucilio, o quello
religioso di Clara. Lucilio (come Clara)
è prigioniero del proprio fervore
ideologico, dei discorsi filosofici sulla
libertà e la patria, nobili ma sterili.
Questa condizione lo conduce a una
sostanziale incapacità all’azione e
all’inattuabilità dell’amore per Clara
che lo chiudono in una sorta di
loquace mutismo. Tuttavia, a
conclusione del libro, Nievo offre il
riscatto a un ormai vecchio Lucilio
attraverso un rapido discorso contro il
suicidio che scaccia lo spettro
dell’Ortis13.
La soluzione foscoliana della morte
volontaria dell’eroe tradito dalla patria e
dall’amore è quindi fermamente rigettata
da Nievo. La morte non è mai «giusta ed
utile» mentre la vita «può esserlo in
qualche maniera»14, dice Lucilio a
Carlino, e il suicidio di Leopardo è
l’esempio più chiaro del naufragio
ortisiano. Nievo smonta la tragica scena
della morte di Jacopo per ricomporre una
commedia dai toni gelidamente ironici,
dove il gesto supremo del togliersi la vita
è sminuito dalla banalità delle cause:
oltre alla delusione per le sorti della
patria, c’è infatti il tradimento della
moglie con Raimondo, consumato nella
stanza accanto e svolto
contemporaneamente alla scena
principale15. La risposta sta quindi per
Nievo in un atteggiamento concretamente
operativo nei confronti della vita, fondato
sul senso della giustizia:
Chi per temperamento e persuasion
propria sarà in tutto giusto verso se
stesso verso gli altri verso
l’umanità intera, colui sarà l’uomo
più innocente utile e generoso che
sia mai passato pel mondo. La sua
vita sarà un bene per lui e per
tutti, e lascerà un’orma onorata e
profonda nella storia della patria.
Ecco l’archetipo dell’uomo vero ed
intero16.
Il “vangelo” personale del servo
Martino che Carlino scopre alla sua
morte, lontano tanto dai dogmi astratti
della fede politica quanto da quella
religiosa, ma aperto a una fede più
umile e autentica, tutta costruita
sull’esperienza, è forse la
testimonianza più forte di questa
coscienza17.
TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 123
Il Tempietto
Nievo, Garibaldi e
la spedizione dei Mille
Il ventitreesimo e ultimo capitolo delle
Confessioni, se letto in rapporto alle
vicende biografiche dell’autore negli
anni seguenti alla stesura dell’opera,
sembra inoltre sancire il superamento
della politica insurrezionalista e
repubblicana di Mazzini affidando la
nuova speranza di liberazione a
Garibaldi. Come fosse un romanzo nel
romanzo, la sezione conclusiva del
libro riporta infatti il diario di Giulio, il
figlio più scapestrato di Carlo, che
riscatta la sua esistenza combattendo a
fianco del Generale a Roma nel 1848 e
poi seguendolo con giovanile
entusiasmo in America, dove troverà la
morte nel 1855.
Un viaggio per mare meno lungo ma
non meno avventuroso è quello
compiuto – questa volta nella realtà –
da Nievo, che il 5 maggio 1860, senza
informare la famiglia, si imbarca a
Quarto sul Lombardo comandato da
Bixio. Il racconto del viaggio è affidato
alla lettera a Bice del 28 maggio:
Partiti il 5 Maggio all’alba da
Genova, il 6 si approdò a Telamone
in Toscana donde devi aver ricevuto
un mio biglietto. L’undici (il mio
giorno benaugurato) fummo in
vista della Sicilia. Ancorammo nel
porto di Marsalla ove un quarto
d’ora dopo giunsero due fregate e
una corvetta Napoletana. Lo sbarco
dei nostri fu pronto e felice; ma
mentre io attendeva a scaricare le
munizioni del secondo nostro
vapore Il Lombardo cominciò il
cannoneggiamento. Rimasimo
123
colle polveri e colle granate sulla
spiaggia, sotto una gragnuola di
palle, finché le carrette si risolsero
a scendere dalla città. Le nostre
schiere assicurate dietro agli argini
del molo rispondevano alle bordate
col grido – Viva l’Italia! –18.
I resoconti di altri testimoni oculari
non garibaldini sollevano qualche
dubbio sull’effettiva resistenza delle
imbarcazioni napoletane, tuttavia
l’epopea dei Mille in Sicilia è
cominciata19. A Calatafimi e Palermo
Nievo è in prima linea a combattere e
Giuseppe Cesare Abba ne descrive il
«profilo tagliente», l’«occhio soave»
che guarda «innanzi, lontano, come
volesse allargare a occhiate
l’orizzonte»20. La marcia verso la
liberazione dai Borboni per Nievo si
arresta però a Palermo, dove assume
l’incarico di vice Intendente con il
compito di curare gli aspetti
organizzativi e amministrativi della
spedizione. Sbarcato in Sicilia
insieme a soldati male equipaggiati e
mal vestiti, Nievo confessa che la
presa di Palermo è stata un
«miracolo» e l’iniziale entusiasmo
cede già al disincanto e al
pessimismo:
Bice carissima – Ti ricordi
quand’io ti diceva – “In Sicilia
non c’è mai stato gran che ed ora
non c’è più nulla. I nostri si fanno
l’illusione come è il solito; sarà la
seconda edizione aumentata e
ingrandita di Pisacane e di
Sapri”?! Or bene – nulla di più
vero de’ miei presentimenti21.
TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 124
124
Il Tempietto
Mentre il cammino dei garibaldini
prosegue tra nuovi successi ed episodi
meno edificanti, come la dura
repressione della rivolta contadina a
Bronte tra il luglio e l’agosto 1860,
Nievo continua a «intisichire a
Palermo in mezzo a Eccellenze ed a
Ministri». La nostalgia per «le nebbie
di Fossato e la frescura autunnale del
lago di Como» si acuisce a fronte di un
congedo che non arriva, intanto il
lavoro si fa sempre più pesante: «Certo
il provveder di tutto un’armata regolare
è un lavoro imponente; ma non puoi
farti un’idea degli stenti, delle fatiche,
della responsabilità immensa che costa
la direzione di truppe rivoluzionarie
come le nostre»22.
«Ballano come se la guerra
fosse già passata da anni»
Nel frattempo la situazione a Palermo
si normalizza («De Pretis tiene soirée
tutti i Lunedì, e ballano come se la
guerra fosse già passata da anni»)23, si
organizza un plebiscito-farsa per
l’annessione al Piemonte, Nievo
rimane l’unico a indossare ancora la
camicia rossa e, avvertendo il tramonto
dell’impresa garibaldina, si sente
abbandonato in una terra ormai
estranea:
Ora poi dopo gli ultimi fatti di
Napoli noi restiamo quasi
dimenticati e se ci capita un Vapore
è per miracolo [...]. Come vedi fanno
sì gran conto delle mie qualità
politico-amministrative che vogliono
tenermi inchiodato qui ad ogni
costo [...]. Vi sono giornate nelle
quali la mia vita è una serie non
interrotta di gridate e di strapazzate
dalla mattina alla sera24.
Oltre alle grida e ai fastidi
amministrativi, gli impedimenti alla
partenza provengono dalla campagna
di La Farina e dei cavouriani contro
l’operato di Garibaldi nelle Sicilie. Le
notizie di possibili aderenze con i
mazziniani, di squilibri e ingiustizie
nell’amministrazione,
dell’organizzazione segreta di nuove
azioni rivoluzionarie iniziano a
circolare anche in alcuni giornali di
Piemonte e Lombardia e Nievo è
costretto a rimanere per difendere il
Generale:
Tu pure devi aver avuto sentore o
poco o tanto dei gravi appunti che
si facevano all’Amministrazione
del Generale Garibaldi. Figurati
se quelli che ci avevano ingerenza
e che fortunatamente a forza di
sacrifizii e di fatiche eran rimasti
superiori a queste accuse non
dovevano subire il martirio
piuttosto che darvi qualunque
lontanissimo appiglio25.
Il 2 dicembre il vice Intendente è in
procinto di partire per Genova, «quando
a questi stupidi e bestiali Lafariniani
saltò in capo di stampare un bigliettino
indirizzato a Sua Maestà e pieno di vili
calunnie contro Mordini, il Ministero»26
e contro lo stesso Nievo, che nel
gennaio 1861 invia un resoconto
sull’amministrazione della spedizione in
Sicilia al direttore della
«Perseveranza». Questa relazione è uno
dei documenti con cui Nievo cerca di
TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 125
Il Tempietto
fare chiarezza sul periodo successivo
allo sbarco insieme al Giornale della
spedizione in Sicilia, pubblicato sul
Supplemento n. 196 del «Pungolo» nel
giugno 1860 e al Resoconto
amministrativo della prima spedizione in
Sicilia, in cui sottolinea subito come
«toccato il suolo di Sicilia era precisa
volontà del Generale che non si
gravasse né sui Comuni né sui privati,
neppur colle solite contribuzioni di
guerra, e che si usasse a ciò la massima
delicatezza per non emungere un paese
già abbastanza impoverito dal mal
Governo e dalle estorsioni Borboniche»,
anche se probabilmente la situazione
era ben più complessa27.
«Ti confesso che, se avessi creduto
d’imbarcarmi per questa galera a
Genova il 5 Maggio, mi sarei
annegato», scrive Nievo alla cugina
poco prima di partire per la licenza28. Il
tragico destino si compie pochi mesi
più avanti. Tornato a Palermo per
sbrigare gli ultimi affari, Nievo si
imbarca alla volta di Napoli sull’Ercole
con diversi bauli ricchi di documenti
sull’amministrazione delle Sicilie.
All’imbarco il mare non sembra
particolarmente mosso, ma una
tempesta all’altezza di Capri nella notte
tra il 4 e il 5 marzo inabissa il
piroscafo. La ricerca del relitto da parte
delle navi napoletane è piuttosto lenta e
approssimativa. Non si trovano i resti.
Si diffondono voci non confermate su
un incendio a bordo oppure su una
possibile spedizione in Albania.
Quest’ultima notizia per un po’ illude la
famiglia dello scrittore, ma non trova
riscontro. Si fa strada anche l’ipotesi
del complotto: i garibaldini insinuano
125
una possibile implicazione dei
piemontesi per nascondere la verità, i
cavouriani accusano le camicie rosse di
aver volontariamente distrutto i
documenti che testimoniavano la loro
condotta non sempre irreprensibile nel
Meridione29.
Comunque si siano svolti i fatti, la
spedizione in Sicilia e la successiva
annessione al nuovo Regno non sono
sufficienti a mutare le radici politicosociali dell’isola. Il trasformismo dei
nobili e della classe dirigente consentirà
all’aristocrazia locale di governare
anche nel periodo post-rivoluzionario.
Nievo lo intuisce quando scrive a Bice
che a pochi mesi dallo sbarco la vita a
Palermo era ripresa uguale a prima, ma
qui la sua penna si esaurisce e lascia
spazio a quella importante linea
letteraria che dai Vicerè di De Roberto
porta fino al Gattopardo di Giuseppe
Tomasi di Lampedusa.
Note
1 I. Nievo, Lettere, a cura di M. Gorra, lettera a
Bice Gobio Melzi, Torino, 10 maggio 1859,
Milano, Mondadori, 1981, pp. 568-569.
2 Ivi, lettera ad Adele Marin, Torino, 13
maggio 1859, pp. 570-571.
3 Ivi, lettera a Bice Gobio Melzi, Mantova, 17
agosto 1858, pp. 514-515.
4 Sul nodo politico Nievo-Mazzini si veda S.
Casini, Nievo e Mazzini. Le rivoluzioni del
1849 tra biografia e finzione, in Ippolito
Nievo tra letteratura e storia, a cura di S.
Casini, E. Ghidetti, R. Turchi, Roma,
Bulzoni, 2004, pp. 117-135.
5 I. Nievo, Romanzi e drammi, in Id. Le
confessioni d’un Italiano. Scritti vari, a cura
di F. Portinari, Milano, Mursia, 1967, pp.
799-805.
TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 126
126
6
Il Tempietto
Su questi argomenti, specie nella prospettiva
ligure, si veda Q. Marini, Un’occasione
mancata. La narrativa risorgimentale ligure
tra racconto storico, autobiografia e romanzo
(Mazzini, Canale, Ruffini, Barrili, Abba), in
Politica e cultura nel Risorgimento italiano.
Genova 1857 e la fondazione della Società
Ligure di Storia Patria, Atti del Convegno, a
cura di L. Lo Basso, Genova, 4-6 febbraio
2008, Genova, Società Ligure di Storia
Patria, 2008, pp. 285-315.
7 G. Mazzini, Moto letterario in Italia, in
Scritti editi e inediti, vol. VIII (Letteratura
– vol. II), Imola, Galeati, 1910, pp. 283343 e 347-391.
8 Sull’argomento si veda G. Nicoletti, Il
“metodo” dell’«Ortis» e altri studi
foscoliani, spec. cap. Ugo Foscolo
«personaggio» fra Rovani e Nievo, Firenze,
La Nuova Italia, 1978, pp. 191-211. Sulla
ripresa dell’Ortis in Nievo si veda M.
Palumbo, Dalla patria perduta alla patria
trovata: le «Ultime lettere di Jacopo Ortis»
e «Le confessioni di un Italiano», in
Politica e cultura nel Risorgimento italiano,
cit., pp. 317-331.
9 I. Nievo, Le confessioni d’un Italiano, a
cura di S. Romagnoli, introduzione di C. De
Michelis, Venezia, Marsilio, 2000, cap. 11,
p. 443 segg.
10 Ivi, cap. 21, p. 816 segg.
11 Ivi, cap. 1, p. 4.
12 Q. Marini, Un’occasione mancata, cit., p. 294
segg.; Id., Letteratura memorialistica e
narrativa autobiografica: Pellico, Maroncelli,
Andryane, Confalonieri, Bini, Guerrazzi,
Giusti, Settembrini, D’Azeglio, Ruffini e altri,
in Storia delle letteratura italiana, diretta da
E. Malato, vol. VII, Il primo Ottocento,
Roma, Salerno, 1998, pp. 867-874.
13 I. Nievo, Le confessioni d’un Italiano, cit.,
cap. 20, p. 792 segg.
14 Ivi, cap. 20, p. 793.
15 Ivi, cap. 13, p. 493 segg.
16 Ivi, cap. 23, p. 914.
17 Ivi, cap. 8, p. 317 segg.
18 I. Nievo, Lettere garibaldine, a cura di A.
Ciceri, Torino, Einaudi, 1961, lettera a
Bice Gobio Melzi, Palermo, 28 maggio
1860, pp. 7-9.
19 G. Di Fiore, Controstoria dell’unità d’Italia.
Fatti e misfatti del Risorgimento, Milano,
Rizzoli, 2007, p. 112 segg.
20 G.C. Abba, Da Quarto a Volturno. Noterelle
d’uno dei Mille, introduzione di G. De
Rienzo, Milano, Mondadori, 1980, p. 62 e
101.
21 I. Nievo, Lettere garibaldine, cit., lettera a
Bice Gobio Melzi, Palermo, 24 giugno1860,
pp. 17-21.
22 Ivi, lettere a Bice Gobio Melzi, Palermo, 2
agosto 1860, pp. 43-45 e 9 ottobre 1860,
pp. 70-72.
23 Ivi, lettera a Bice Gobio Melzi, Palermo, 11
settembre 1860, pp. 60-63.
24 Ivi, lettera ad Adele Marin, Palermo, 14
ottobre 1860, pp. 75-76.
25 Ivi, lettera a Bice Gobio Melzi, Palermo, 20
novembre 1860, pp. 108-110.
26 Ivi, lettera a Bice Gobio Melzi, Palermo, 2
dicembre 1860, pp. 114-115.
27 Ivi, p. 161. Sulla situazione storica si veda
G. Di Fiore, Controstoria dell’unità d’Italia,
cit., pp. 88-134.
28 I. Nievo, Lettere garibaldine, cit., lettera a
Bice Gobio Melzi, Palermo, 2 dicembre
1860, pp. 114-115.
29 Ivi, p. XLIV e segg.; G. Di Fiore,
Controstoria dell’unità d’Italia, cit.,
pp. 98-99.
Scarica

Nievo e il Risorgimento