TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 117 Luca Beltrami Dottore di Ricerca presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Genova Nievo e il Risorgimento Bice carissima – Ti ricordi quand’io ti diceva – “In Sicilia non c’è mai stato gran che ed ora non c’è più nulla. I nostri si fanno l’illusione come è il solito; sarà la seconda edizione aumentata e ingrandita di Pisacane e di Sapri”?! Or bene – nulla di più vero de’ miei presentimenti”. (Lettera a Bice giugno 1860) TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 118 TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 119 Il Tempietto Nievo e il Risorgimento Luca Beltrami Nievo, Mazzini e la letteratura È il 10 maggio 1859 quando Ippolito Nievo, giunto a Torino sulle orme dei due fratelli Carlo e Alessandro, già arruolati nell’esercito regolare piemontese, comunica alla cugina Bice Gobio Melzi l’intenzione di prendere le armi. L’approccio alla nuova realtà crea inizialmente un lieve senso di smarrimento, che non placa però l’entusiasmo: «Ed io? Non so cosa farò per ora: ma lo scriverò presto e vi maraviglierete»1. Infatti tre giorni dopo il soldato Nievo scrive alla madre Adele Marin di essere stato arruolato non nelle truppe regolari ma nelle «Cento Guide di Garibaldi» e di partire per il campo di battaglia la settimana successiva2. Nievo entra quindi nei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi e combatte fino all’armistizio di Villafranca con cui l’Austria cede la Lombardia ma non il Mantovano e le terre venete, ovvero i luoghi dell’infanzia e della formazione dello scrittore nonché delle sue opere. L’amarezza per la mancata liberazione del Veneto e per la marcia militare bruscamente conclusa sullo Stelvio animerà alcune poesie degli Amori garibaldini, raccolta di versi scritta nei mesi immediatamente successivi. La stesura delle Confessioni d’un Italiano è stata invece ultimata da circa un anno, come racconta lo stesso autore a Bice Gobio Melzi il 17 agosto 1858 119 («Ieri alla fine ho terminato il mio Romanzo; son proprio contento di riposarmi. Fu una confessione assai lunga»)3, mentre l’anno ancora precedente il fallimento della spedizione di Pisacane a Sapri aveva forse sancito il definitivo tramonto dell’ideale insurrezionale e repubblicano di Mazzini. Il ripensamento critico di Nievo sulla politica mazziniana giunge a un esito maturo proprio nel periodo tra la fine della composizione delle Confessioni e la prima esperienza garibaldina. L’urgenza di trovare una soluzione – magari anche piemontese – alternativa ai moti insurrezionali per risolvere la situazione italiana traspare dalle pagine degli scritti politici che l’autore andava componendo in quei mesi, come l’opuscolo Venezia e la libertà d’Italia e il Frammento sulla rivoluzione nazionale, nei quali il problema dell’indipendenza e della coesione unitaria degli italiani sembra essere anteposto all’ideale libertario e democratico di Mazzini4. La divergenza politica si manifesta anche attraverso una differente interpretazione della letteratura, in particolare riguardo al superamento del romanzo storico. In accordo con l’articolo pubblicato da Mazzini sulla rivista «London and Westminster Review» nel 1838 e poi tradotto con il titolo Moto letterario in Italia, Nievo avverte l’esigenza di innovare un genere che, vent’anni dopo il saggio mazziniano, era ancora fortemente dipendente dal modello di Alessandro Manzoni «felicemente regnante per diritto del suo ingegno, da cui TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 120 120 Il Tempietto emanano le leggi del buon gusto», secondo la metafora proposta dall’autore nell’articolo Romanzi e drammi uscito sul «Pungolo» il 3 gennaio 18585. Mazzini infatti aveva già intuito l’indebolimento della scuola manzoniana, a cui attribuiva una scarsa spinta ideologica, leggendo nei romanzi dello stesso Manzoni, di Grossi, D’Azeglio e altri un’ispirazione cattolica e consolatoria incline all’accettazione della realtà in attesa di un riscatto oltremondano ma troppo poco sensibile alle istanze sociali e all’azione collettiva6. Foscolo e Byron nelle Confessioni La soluzione proposta per la «successione» ai Promessi sposi è però diversa tra Mazzini e Nievo. Indicando il valore fondante della letteratura nella lotta politico-patriottica contro l’oppressore i cui simboli sono la Nazione e la bandiera, Mazzini propone eroi mossi da fierezza, entusiasmo, passione, potenza, immagina il loro atteggiamento minaccioso e li raffigura nell’atto di brandire la spada. Francesco Domenico Guerrazzi è il romanziere che meglio rappresenta questa scuola, «emanazione di Foscolo e, in più vasto senso, di Byron»7. E proprio Foscolo e Byron si ritrovano come personaggi nelle Confessioni d’un Italiano, ma lo sguardo con cui Nievo li osserva muta radicalmente di segno. Il poeta dell’Ortis era già stato un importante bersaglio polemico nei Cento anni di Rovani, che aveva messo in crisi l’immagine galante del poeta tra i salotti dell’alta borghesia dell’epoca8. La critica di Nievo va però oltre e tende a rovesciare il modello politico incarnato da Foscolo, mostrandone l’inadeguatezza rispetto alla società che si va formando e la sua sostanziale inattualità. Nel ritrarre Foscolo all’indomani del trattato di Campoformio l’ironia graffiante dell’autore inventa il bestiario del «leoncino di Zante» dalla «fisionomia tempestosa» quanto il suo animo. Il suo ruggito si articola in poche parole che richiamano il mito repubblicano di Bruto, che sembra quasi stonare nei giorni in cui Venezia si risveglia bruscamente dal vagheggiato sogno della liberazione napoleonica. Questo «orsacchiotto repubblicano ringhioso e intrattabile» non può evidentemente proporsi come modello di virtù civica perché è troppo attento ad ammirare se stesso disprezzando gli altri, prigioniero della sua stessa apparenza altera e sdegnosa che lo rende «il più strano e comico esemplare di cittadino che si potesse vedere»9. L’altro «sublime misantropo» ritratto nelle Confessioni è lord Byron, che si era stabilito a Venezia tra il 1817 e il 1820, perché «i poeti sono come le rondini che volentieri fabbricano il loro nido tra le rovine». Il fascino quasi mefistofelico del poeta che nel 1823 si imbarca per liberare la Grecia dall’oppressione turca seduce l’animo ancora giovane e romantico di Luciano, uno dei figli di Carlo Altoviti, che decide di seguirlo nell’impresa. L’altera figura del lord non può però suscitare un senso di ammirazione altrettanto potente in Carlo, che avverte il figlio a diffidare TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 121 Il Tempietto dell’apparente grandezza del poeta dietro alla quale si cela «un’assoluta impotenza di comprendere la vita e di raggiungerne lo scopo»10. La «sterile filosofia del disprezzo» è ciò che accomuna Byron a Foscolo e rende i loro ritratti grotteschi, e persino comici, nelle stonature del loro portamento, dei loro sguardi e dei loro gesti in rapporto alla realtà concreta che vivono. La via dell’eroismo dichiarato, del mito costruito sullo sdegno e sulla protesta radicale è dunque, per Nievo, fallimentare. Il titanismo autobiografico alfieriano e poi foscoliano, la scuola della fierezza e della spada promossa da Mazzini, si tramuta piuttosto nella confessione onesta di un cittadino qualsiasi, che si propone come «un esemplare di quelle innumerevoli sorti individuali che dallo sfasciarsi dei vecchi ordinamenti politici al raffazzonarsi dei presenti composero la gran sorte nazionale italiana»11. Attraverso la morale umile e insieme forte di Carlino, Nievo percorre quindi una strada alternativa a quella del mito ortisiano che, come vedremo, morirà con Lucilio, Amilcare e Leopardo. Oltre il romanzo storico La critica mazziniana al romanzo storico si dimostra tuttavia acuta quando rileva anche nelle migliori opere guerrazziane l’insufficiente contatto con la situazione sociale e politica contemporanea. Le storie del passato narrate dai romanzieri, pur fissando evidenti analogie con le vicende del presente, non riescono infatti a muovere ed educare gli animi al sentimento della patria quanto 121 potrebbe una letteratura cavata dall’attualità: sarà proprio l’esperienza insurrezionale mazziniana a dare nuova linfa alla narrativa italiana attraverso il filone memorialistico e autobiografico sulle esperienze carcerarie di Silvio Pellico, Carlo Bini e dello stesso Guerrazzi. Autobiografismo e contemporaneità che troviamo anche nel Lorenzo Benoni di Giovanni Ruffini12. L’autore racconta dall’Inghilterra una storia attinta dalla propria esperienza, prima di carbonaro e poi di esule, ispirata dall’incontro all’Università con Fantasio-Mazzini. Ruffini imbocca una strada che recupera e sviluppa il filone memorialistico ma anticipa anche alcune soluzioni perfezionate da Nievo nelle Confessioni, e forse non è del tutto casuale che il saggio Romanzi e drammi, l’articolo con cui Nievo riflette sulla situazione della narrativa italiana all’altezza del 1858, sia vergato proprio con lo pseudonimo di Fantasio. Se lo spostamento del romanzo verso l’attualità trova già in Rovani e nei suoi Cento anni una prima autorevole messa in atto, l’innovazione di un personaggio autonomo dallo scrittore che narra in prima persona la propria esistenza, è ascrivibile alle Confessioni. Il racconto dell’ottuagenario Carlino non coincide con la vita del ventisettenne Nievo, tuttavia offre un’originale soluzione al problema del vero storico nel romanzo, garantito non dall’espediente letterario di qualche documento ritrovato in biblioteca ma dalla testimonianza oculare dell’io narrante. Più ancora che alla memorialistica di impronta mazziniana, l’autobiografia fittizia del TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 122 122 Il Tempietto romanzo di Nievo sembra trovare la sua origine nel genere settecentesco dei memoires francesi, svelando la radice illuminista del romanziere, avido lettore dei filosofi d’oltralpe, fra tutti Voltaire e il Rousseau dell’Emile e delle Confessions, evocate fin dal titolo dell’opera. Un’autobiografia dunque fittizia ma onesta, perché tesa a svelare anche i dubbi e gli errori di Carlino, lontana dai ritratti eroici di Alfieri e Foscolo. La fiducia mazziniana nel progresso dei popoli non si incarna quindi in un personaggio in conflitto e in disarmonia con il mondo ma in un uomo capace di far confluire la propria coscienza individuale in quella politica e sociale. Si tratta di una morale fondata sull’umiltà e sulla collaborazione, sul continuo sforzo ad adeguare il proprio animo alla realtà effettiva, in antitesi con gli atteggiamenti idealistici e assolutistici, che sia l’idealismo politico del “mazziniano” Lucilio, o quello religioso di Clara. Lucilio (come Clara) è prigioniero del proprio fervore ideologico, dei discorsi filosofici sulla libertà e la patria, nobili ma sterili. Questa condizione lo conduce a una sostanziale incapacità all’azione e all’inattuabilità dell’amore per Clara che lo chiudono in una sorta di loquace mutismo. Tuttavia, a conclusione del libro, Nievo offre il riscatto a un ormai vecchio Lucilio attraverso un rapido discorso contro il suicidio che scaccia lo spettro dell’Ortis13. La soluzione foscoliana della morte volontaria dell’eroe tradito dalla patria e dall’amore è quindi fermamente rigettata da Nievo. La morte non è mai «giusta ed utile» mentre la vita «può esserlo in qualche maniera»14, dice Lucilio a Carlino, e il suicidio di Leopardo è l’esempio più chiaro del naufragio ortisiano. Nievo smonta la tragica scena della morte di Jacopo per ricomporre una commedia dai toni gelidamente ironici, dove il gesto supremo del togliersi la vita è sminuito dalla banalità delle cause: oltre alla delusione per le sorti della patria, c’è infatti il tradimento della moglie con Raimondo, consumato nella stanza accanto e svolto contemporaneamente alla scena principale15. La risposta sta quindi per Nievo in un atteggiamento concretamente operativo nei confronti della vita, fondato sul senso della giustizia: Chi per temperamento e persuasion propria sarà in tutto giusto verso se stesso verso gli altri verso l’umanità intera, colui sarà l’uomo più innocente utile e generoso che sia mai passato pel mondo. La sua vita sarà un bene per lui e per tutti, e lascerà un’orma onorata e profonda nella storia della patria. Ecco l’archetipo dell’uomo vero ed intero16. Il “vangelo” personale del servo Martino che Carlino scopre alla sua morte, lontano tanto dai dogmi astratti della fede politica quanto da quella religiosa, ma aperto a una fede più umile e autentica, tutta costruita sull’esperienza, è forse la testimonianza più forte di questa coscienza17. TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 123 Il Tempietto Nievo, Garibaldi e la spedizione dei Mille Il ventitreesimo e ultimo capitolo delle Confessioni, se letto in rapporto alle vicende biografiche dell’autore negli anni seguenti alla stesura dell’opera, sembra inoltre sancire il superamento della politica insurrezionalista e repubblicana di Mazzini affidando la nuova speranza di liberazione a Garibaldi. Come fosse un romanzo nel romanzo, la sezione conclusiva del libro riporta infatti il diario di Giulio, il figlio più scapestrato di Carlo, che riscatta la sua esistenza combattendo a fianco del Generale a Roma nel 1848 e poi seguendolo con giovanile entusiasmo in America, dove troverà la morte nel 1855. Un viaggio per mare meno lungo ma non meno avventuroso è quello compiuto – questa volta nella realtà – da Nievo, che il 5 maggio 1860, senza informare la famiglia, si imbarca a Quarto sul Lombardo comandato da Bixio. Il racconto del viaggio è affidato alla lettera a Bice del 28 maggio: Partiti il 5 Maggio all’alba da Genova, il 6 si approdò a Telamone in Toscana donde devi aver ricevuto un mio biglietto. L’undici (il mio giorno benaugurato) fummo in vista della Sicilia. Ancorammo nel porto di Marsalla ove un quarto d’ora dopo giunsero due fregate e una corvetta Napoletana. Lo sbarco dei nostri fu pronto e felice; ma mentre io attendeva a scaricare le munizioni del secondo nostro vapore Il Lombardo cominciò il cannoneggiamento. Rimasimo 123 colle polveri e colle granate sulla spiaggia, sotto una gragnuola di palle, finché le carrette si risolsero a scendere dalla città. Le nostre schiere assicurate dietro agli argini del molo rispondevano alle bordate col grido – Viva l’Italia! –18. I resoconti di altri testimoni oculari non garibaldini sollevano qualche dubbio sull’effettiva resistenza delle imbarcazioni napoletane, tuttavia l’epopea dei Mille in Sicilia è cominciata19. A Calatafimi e Palermo Nievo è in prima linea a combattere e Giuseppe Cesare Abba ne descrive il «profilo tagliente», l’«occhio soave» che guarda «innanzi, lontano, come volesse allargare a occhiate l’orizzonte»20. La marcia verso la liberazione dai Borboni per Nievo si arresta però a Palermo, dove assume l’incarico di vice Intendente con il compito di curare gli aspetti organizzativi e amministrativi della spedizione. Sbarcato in Sicilia insieme a soldati male equipaggiati e mal vestiti, Nievo confessa che la presa di Palermo è stata un «miracolo» e l’iniziale entusiasmo cede già al disincanto e al pessimismo: Bice carissima – Ti ricordi quand’io ti diceva – “In Sicilia non c’è mai stato gran che ed ora non c’è più nulla. I nostri si fanno l’illusione come è il solito; sarà la seconda edizione aumentata e ingrandita di Pisacane e di Sapri”?! Or bene – nulla di più vero de’ miei presentimenti21. TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 124 124 Il Tempietto Mentre il cammino dei garibaldini prosegue tra nuovi successi ed episodi meno edificanti, come la dura repressione della rivolta contadina a Bronte tra il luglio e l’agosto 1860, Nievo continua a «intisichire a Palermo in mezzo a Eccellenze ed a Ministri». La nostalgia per «le nebbie di Fossato e la frescura autunnale del lago di Como» si acuisce a fronte di un congedo che non arriva, intanto il lavoro si fa sempre più pesante: «Certo il provveder di tutto un’armata regolare è un lavoro imponente; ma non puoi farti un’idea degli stenti, delle fatiche, della responsabilità immensa che costa la direzione di truppe rivoluzionarie come le nostre»22. «Ballano come se la guerra fosse già passata da anni» Nel frattempo la situazione a Palermo si normalizza («De Pretis tiene soirée tutti i Lunedì, e ballano come se la guerra fosse già passata da anni»)23, si organizza un plebiscito-farsa per l’annessione al Piemonte, Nievo rimane l’unico a indossare ancora la camicia rossa e, avvertendo il tramonto dell’impresa garibaldina, si sente abbandonato in una terra ormai estranea: Ora poi dopo gli ultimi fatti di Napoli noi restiamo quasi dimenticati e se ci capita un Vapore è per miracolo [...]. Come vedi fanno sì gran conto delle mie qualità politico-amministrative che vogliono tenermi inchiodato qui ad ogni costo [...]. Vi sono giornate nelle quali la mia vita è una serie non interrotta di gridate e di strapazzate dalla mattina alla sera24. Oltre alle grida e ai fastidi amministrativi, gli impedimenti alla partenza provengono dalla campagna di La Farina e dei cavouriani contro l’operato di Garibaldi nelle Sicilie. Le notizie di possibili aderenze con i mazziniani, di squilibri e ingiustizie nell’amministrazione, dell’organizzazione segreta di nuove azioni rivoluzionarie iniziano a circolare anche in alcuni giornali di Piemonte e Lombardia e Nievo è costretto a rimanere per difendere il Generale: Tu pure devi aver avuto sentore o poco o tanto dei gravi appunti che si facevano all’Amministrazione del Generale Garibaldi. Figurati se quelli che ci avevano ingerenza e che fortunatamente a forza di sacrifizii e di fatiche eran rimasti superiori a queste accuse non dovevano subire il martirio piuttosto che darvi qualunque lontanissimo appiglio25. Il 2 dicembre il vice Intendente è in procinto di partire per Genova, «quando a questi stupidi e bestiali Lafariniani saltò in capo di stampare un bigliettino indirizzato a Sua Maestà e pieno di vili calunnie contro Mordini, il Ministero»26 e contro lo stesso Nievo, che nel gennaio 1861 invia un resoconto sull’amministrazione della spedizione in Sicilia al direttore della «Perseveranza». Questa relazione è uno dei documenti con cui Nievo cerca di TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 125 Il Tempietto fare chiarezza sul periodo successivo allo sbarco insieme al Giornale della spedizione in Sicilia, pubblicato sul Supplemento n. 196 del «Pungolo» nel giugno 1860 e al Resoconto amministrativo della prima spedizione in Sicilia, in cui sottolinea subito come «toccato il suolo di Sicilia era precisa volontà del Generale che non si gravasse né sui Comuni né sui privati, neppur colle solite contribuzioni di guerra, e che si usasse a ciò la massima delicatezza per non emungere un paese già abbastanza impoverito dal mal Governo e dalle estorsioni Borboniche», anche se probabilmente la situazione era ben più complessa27. «Ti confesso che, se avessi creduto d’imbarcarmi per questa galera a Genova il 5 Maggio, mi sarei annegato», scrive Nievo alla cugina poco prima di partire per la licenza28. Il tragico destino si compie pochi mesi più avanti. Tornato a Palermo per sbrigare gli ultimi affari, Nievo si imbarca alla volta di Napoli sull’Ercole con diversi bauli ricchi di documenti sull’amministrazione delle Sicilie. All’imbarco il mare non sembra particolarmente mosso, ma una tempesta all’altezza di Capri nella notte tra il 4 e il 5 marzo inabissa il piroscafo. La ricerca del relitto da parte delle navi napoletane è piuttosto lenta e approssimativa. Non si trovano i resti. Si diffondono voci non confermate su un incendio a bordo oppure su una possibile spedizione in Albania. Quest’ultima notizia per un po’ illude la famiglia dello scrittore, ma non trova riscontro. Si fa strada anche l’ipotesi del complotto: i garibaldini insinuano 125 una possibile implicazione dei piemontesi per nascondere la verità, i cavouriani accusano le camicie rosse di aver volontariamente distrutto i documenti che testimoniavano la loro condotta non sempre irreprensibile nel Meridione29. Comunque si siano svolti i fatti, la spedizione in Sicilia e la successiva annessione al nuovo Regno non sono sufficienti a mutare le radici politicosociali dell’isola. Il trasformismo dei nobili e della classe dirigente consentirà all’aristocrazia locale di governare anche nel periodo post-rivoluzionario. Nievo lo intuisce quando scrive a Bice che a pochi mesi dallo sbarco la vita a Palermo era ripresa uguale a prima, ma qui la sua penna si esaurisce e lascia spazio a quella importante linea letteraria che dai Vicerè di De Roberto porta fino al Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Note 1 I. Nievo, Lettere, a cura di M. Gorra, lettera a Bice Gobio Melzi, Torino, 10 maggio 1859, Milano, Mondadori, 1981, pp. 568-569. 2 Ivi, lettera ad Adele Marin, Torino, 13 maggio 1859, pp. 570-571. 3 Ivi, lettera a Bice Gobio Melzi, Mantova, 17 agosto 1858, pp. 514-515. 4 Sul nodo politico Nievo-Mazzini si veda S. Casini, Nievo e Mazzini. Le rivoluzioni del 1849 tra biografia e finzione, in Ippolito Nievo tra letteratura e storia, a cura di S. Casini, E. Ghidetti, R. Turchi, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 117-135. 5 I. Nievo, Romanzi e drammi, in Id. Le confessioni d’un Italiano. Scritti vari, a cura di F. Portinari, Milano, Mursia, 1967, pp. 799-805. TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 126 126 6 Il Tempietto Su questi argomenti, specie nella prospettiva ligure, si veda Q. Marini, Un’occasione mancata. La narrativa risorgimentale ligure tra racconto storico, autobiografia e romanzo (Mazzini, Canale, Ruffini, Barrili, Abba), in Politica e cultura nel Risorgimento italiano. Genova 1857 e la fondazione della Società Ligure di Storia Patria, Atti del Convegno, a cura di L. Lo Basso, Genova, 4-6 febbraio 2008, Genova, Società Ligure di Storia Patria, 2008, pp. 285-315. 7 G. Mazzini, Moto letterario in Italia, in Scritti editi e inediti, vol. VIII (Letteratura – vol. II), Imola, Galeati, 1910, pp. 283343 e 347-391. 8 Sull’argomento si veda G. Nicoletti, Il “metodo” dell’«Ortis» e altri studi foscoliani, spec. cap. Ugo Foscolo «personaggio» fra Rovani e Nievo, Firenze, La Nuova Italia, 1978, pp. 191-211. Sulla ripresa dell’Ortis in Nievo si veda M. Palumbo, Dalla patria perduta alla patria trovata: le «Ultime lettere di Jacopo Ortis» e «Le confessioni di un Italiano», in Politica e cultura nel Risorgimento italiano, cit., pp. 317-331. 9 I. Nievo, Le confessioni d’un Italiano, a cura di S. Romagnoli, introduzione di C. De Michelis, Venezia, Marsilio, 2000, cap. 11, p. 443 segg. 10 Ivi, cap. 21, p. 816 segg. 11 Ivi, cap. 1, p. 4. 12 Q. Marini, Un’occasione mancata, cit., p. 294 segg.; Id., Letteratura memorialistica e narrativa autobiografica: Pellico, Maroncelli, Andryane, Confalonieri, Bini, Guerrazzi, Giusti, Settembrini, D’Azeglio, Ruffini e altri, in Storia delle letteratura italiana, diretta da E. Malato, vol. VII, Il primo Ottocento, Roma, Salerno, 1998, pp. 867-874. 13 I. Nievo, Le confessioni d’un Italiano, cit., cap. 20, p. 792 segg. 14 Ivi, cap. 20, p. 793. 15 Ivi, cap. 13, p. 493 segg. 16 Ivi, cap. 23, p. 914. 17 Ivi, cap. 8, p. 317 segg. 18 I. Nievo, Lettere garibaldine, a cura di A. Ciceri, Torino, Einaudi, 1961, lettera a Bice Gobio Melzi, Palermo, 28 maggio 1860, pp. 7-9. 19 G. Di Fiore, Controstoria dell’unità d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento, Milano, Rizzoli, 2007, p. 112 segg. 20 G.C. Abba, Da Quarto a Volturno. Noterelle d’uno dei Mille, introduzione di G. De Rienzo, Milano, Mondadori, 1980, p. 62 e 101. 21 I. Nievo, Lettere garibaldine, cit., lettera a Bice Gobio Melzi, Palermo, 24 giugno1860, pp. 17-21. 22 Ivi, lettere a Bice Gobio Melzi, Palermo, 2 agosto 1860, pp. 43-45 e 9 ottobre 1860, pp. 70-72. 23 Ivi, lettera a Bice Gobio Melzi, Palermo, 11 settembre 1860, pp. 60-63. 24 Ivi, lettera ad Adele Marin, Palermo, 14 ottobre 1860, pp. 75-76. 25 Ivi, lettera a Bice Gobio Melzi, Palermo, 20 novembre 1860, pp. 108-110. 26 Ivi, lettera a Bice Gobio Melzi, Palermo, 2 dicembre 1860, pp. 114-115. 27 Ivi, p. 161. Sulla situazione storica si veda G. Di Fiore, Controstoria dell’unità d’Italia, cit., pp. 88-134. 28 I. Nievo, Lettere garibaldine, cit., lettera a Bice Gobio Melzi, Palermo, 2 dicembre 1860, pp. 114-115. 29 Ivi, p. XLIV e segg.; G. Di Fiore, Controstoria dell’unità d’Italia, cit., pp. 98-99.