P.C &Kriste Cast
Marked
Marked,2007
Alla nostra splendida agente,
Meredith Bernstein,
che ha pronunciato le parole magiche:
«Scuola superiore per vampiri».
We y
❤ ou!
Dal poema di Esiodo a Nyx,
personificazione della notte per
gli antichi greci:
… Quaggiù le terribili case
son dell'oscura Notte, nascoste tra i
nuvoli negri.
Dinanzi a quelle porte, dritto il figliuol
di Giapèto
regge, col capo e le mani mai stanche,
la volta del cielo
solidamente, dove la Notte e il Giorno,
movendo
l'un verso l'altra, mutan parole; e la
soglia di bronzo
varcano alterni, che mai tutti e due non
li accoglie la casa…
Esiodo, Teogonia
1
Proprio quando pensavo che la giornata
non potesse andare
peggio di così, vidi il morto che se ne
stava in piedi vicino al mio
armadietto. Kayla stava sparando a
raffica le sue solite kaylate e
manco si era accorta di lui. All'inizio. A
dire il vero, adesso che ci
penso, nessuno si era accorto di lui
finché non aveva parlato,
dettaglio che, tragicamente, è una prova
in più della mia anomala
incapacità d'integrarmi con gli altri.
«Ma no, Zoey, giuro su Dio che Heath
non era poi così
sbronzo dopo la partita. Non dovresti
essere tanto dura con lui.»
«Sì, già. Certo», le avevo risposto
distratta. Poi mi ero messa
a tossire. Di nuovo. Mi sentivo da
schifo. Dovevo essermi presa
quella che Mr Wise, il mio non-proprioso-lo-un-po' pazzo
insegnante di biologia, chiamava peste
dei teenager. Se muoio,
pensavo, posso saltare il compito dì
geometrìa di domani?
Sperare non costa niente.
«Scusa, Zoey, ma mi stai ascoltando?
Credo si fosse fatto
solo… non so… sei birre, e forse un
paio di chupiti. Ma non è
questo il punto. Probabilmente non se ne
sarebbe sparato neanche
uno se i tuoi stupidi genitori non ti
avessero fatta andare a casa
subito dopo la partita.»
Ci eravamo scambiate un'occhiata da
quanto-mi-toc-casopportare, trovandoci del tutto
d'accordo sull'ultima ingiustizia
che mi avevano fatto mia madre e il
fallito-acquisito che aveva
sposato tre lunghissimi anni prima.
Poi, dopo una pausa di un nanosecondo
scarso, Kay aveva
ripreso a blaterare: «E poi stava
festeggiando. Voglio dire,
abbiamo battuto Union!» Kay aveva
iniziato a scuotermi per le
spalle e mi aveva cacciato la faccia
sotto il naso. «Ohiii! Il tuo
ragazzo…»
«Il mio quasi-ragazzo», l'avevo corretta,
cercando in tutti i
modi di non tossirle addosso.
«Quello che è. Heath è il nostro
quarterback, quindi è chiaro
che vada a festeggiare. Erano un milione
di anni che Broken
Arrow non batteva Union.»
«Sedici.» Sono negata in matematica, ma
Kay è una tale
incapace che mi fa sembrare un genio.
«Ok, quello che è. Il punto è che era
felice. Dovresti dargli
tregua ogni tanto!»
«Il punto è che è la quinta volta che si
sbronza questa
settimana. Mi dispiace ma non voglio
uscire con un ragazzo il cui
scopo principale nella vita oscilla tra
cercare di giocare a football
al college e buttar giù sei lattine di fila
senza vomitare. Per non
parlare del fatto che con tutta quella
birra diventerà grasso.» Mi
ero dovuta interrompere per tossire. Mi
girava un po' la testa e,
quando l'accesso di tosse era finito, mi
ero costretta a prendere dei
respiri lenti e profondi.
Non che la spara kaylate se ne fosse
accorta. «Uuuh! Heath
grasso! Non ci voglio neanche pensare.»
Ero riuscita a ignorare un altro stimolo a
tossire. «E baciarlo
è come succhiare un piede tenuto a
mollo nell'alcol.»
La faccia di Kay si era accartocciata.
«Okay, hai le tue cose.
Certo che è talmente figo…»
Io avevo alzato gli occhi al cielo, senza
preoccuparmi
minimamente di non far vedere quanto
fossi scocciata dalla sua
solita banalità.
«Sei così scorbutica quando hai le tue
cose! Be', comunque,
non hai idea dell'espressione da cocker
bastonato che aveva Heath
dopo che l'hai ignorato a pranzo. Non
riusciva neanche…»
In quel momento lo vidi. Il morto. Okay,
me ne accorsi in
fretta che non era tecnicamente «morto».
Era nonmorto. O nonumano. Quello che è. Gli scienziati
dicono una cosa, la gente
normale un'altra, ma il risultato è lo
stesso. Non ci si poteva
sbagliare su chi fosse e, anche se non
avessi percepito la forza e
l'oscurità che irradiavano da lui, non
avrei potuto in nessunissimo
modo non vedere il suo Marchio, la
mezzaluna blu zaffiro che
aveva sulla fronte e i tatuaggi di nodi
intrecciati che gli
incorniciavano gli occhi altrettanto
azzurri. Era un vampiro, anzi,
peggio: era un Rintracciatore.
E che diavolo, era in piedi vicino al mio
armadietto!
«Zoey, tu proprio non mi stai
ascoltando!»
Poi le parole formali del vampiro
scivolarono morbide a
riempire lo spazio che ci divideva,
pericolose e allettanti, come
sangue misto a cioccolato fuso: «Zoey
Montgomery! La Notte t'ha
prescelta; la tua morte sarà la tua
nascita. La Notte ti chiama;
presta ascolto alla Sua dolce voce. Il tuo
fato t'attende alla Casa
della Notte!» Sollevò un lungo dito
bianco e lo puntò verso di me.
Mentre la fronte mi esplodeva per il
dolore, Kayla aprì la
bocca e si mise a strillare.
Quando finalmente sparirono le macchie
bianche dalla vista,
alzai lo sguardo e vidi la faccia
stravolta di Kay che mi fissava.
Tanto per cambiare, dissi la prima
stupidata che mi venne in
mente. «Kay, ti stanno uscendo gli occhi
dalle orbite. Sembri un
pesce.»
«Ti ha Segnata. Oh, Zoey! Hai il profilo
di quella cosa sulla
fronte!» Si portò una mano tremolante
sulle labbra pallide nel
vano tentativo di trattenere un
singhiozzo.
Mi misi a sedere. Avevo un mal di testa
da spararsi e presi a
massaggiarmi la fronte proprio tra le
sopracciglia. Pungeva come
se mi avesse morsicata una vespa e
irradiava dolore intorno agli
occhi e sugli zigomi. Mi sentivo come se
stessi per vomitare.
Adesso Kay si era messa a piangere sul
serio e parlava tra un
singulto e l'altro. «Zoey! Oh. Mio. Dio.
Quel tizio era un
Rintracciatore – un Rintracciatore di
vampiri!»
Sbattei con forza le palpebre, cercando
di farmi passare il
male che mi attanagliava la testa.
«Smettila di piangere. Sai che
detesto vederti frignare.» Allungai la
mano con l'intenzione di
darle una pacca sulle spalle per
consolarla, ma lei
automaticamente si scansò.
Non ci potevo credere. Si era davvero
fatta piccola piccola,
come se avesse paura di me. Dovette
accorgersi che c'ero rimasta
male perché riprese subito con
un'interminabile tiritera di kaylate.
«Oh, Dio, Zoey! Cos'hai intenzione di
fare? Non puoi andare in
quel posto. Non puoi diventare una di
quelle cose. Non può essere
vero! Con chi dovrei andare a vedere
tutte le nostre partite di
football?»
Notai che mentre parlava non si era mai
sognata di venirmi
più vicino. Diedi un freno alla
sensazione di dolore e di nausea
che avevo dentro e che rischiava di
farmi scoppiare a piangere. I
miei occhi si asciugarono all'istante. Ero
brava a trattenere le
lacrime; dopotutto, avevo avuto tre anni
per fare pratica. «È tutto
okay. Risolverò la cosa. Probabilmente
si tratta di… un qualche
strano errore», mentii.
Non avevo realmente parlato, piuttosto
avevo fatto uscire
delle parole dalla bocca. Con una
smorfia per il gran male alla
testa, mi alzai e, guardandomi intorno,
vidi con un certo sollievo
che Kay e io eravamo sole nell'aula di
matematica. Dovetti
ricacciare indietro quella che sapevo
sarebbe stata una risata
isterica. Se non avessi sclerato per il
test di geometria del giorno
dopo e non mi fossi fiondata
all'armadietto per prendere il libro in
modo da poter studiare ossessivamente
(e inutilmente) tutta notte,
il Rintracciatore mi avrebbe beccata
fuori della scuola, davanti alla
maggior parte dei milletrecento ragazzi
della South Intermediate
High School di Broken Arrow che
aspettavano quelle che con
grande compiacimento la mia stupida
sorella clone di Barbie
amava chiamare «le grosse limousine
gialle». Io ho la macchina,
ma lei trova che starsene un po' coi
meno fortunati che devono
prendere il pulmino sia un ottimo
sistema per controllare chi ci
prova con chi.
A dirla proprio tutta, nella sala di
matematica c'era anche un
altro ragazzo, un babbo sfigato lungo e
secco con un disastro di
denti che, purtroppo, riuscivo a vedere
anche troppo bene, dato
che se ne stava a guardarmi a bocca
aperta come un merluzzo,
neanche avessi appena partorito una
nidiata di maialini volanti.
Tossii di nuovo, questa volta una
schifida tosse catarrosa, e lo
sfigato emise una sorta di squittio e se la
filò in corridoio verso la
stanza di Mrs Day stringendo una tavola
piatta e quadrata contro il
petto ossuto. A quanto pareva il club
degli scacchi aveva spostato
gli incontri al lunedì.
Chissà se i vampiri giocavano a scacchi.
E chissà se anche tra
loro c'erano branchi di sfigati. E le
cheerleader vampire sosia di
Barbie? Anche i vampiri suonavano in
un gruppo? E c'erano
vampiri emo con le loro stranezze tipo
indossare calzoni da
ragazza o coprirsi metà della faccia con
quelle orrende frangette?
Oppure erano tutti dark strampalati cui
non piace molto lavarsi?
Mi sarei trasformata in una dark? O
peggio ancora in un'emo? Non
amavo particolarmente vestirmi di nero,
o almeno non solo di
nero, e non provavo un'improvvisa e
imbarazzante avversione per
acqua e sapone, né avevo un ossessivo
desiderio di cambiare
pettinatura e mettermi troppo eyeliner.
Nella testa mi frullavano
tutte quelle domande, quando sentii che
stava per scapparmi
un'altra risatina isterica e fui quasi
contenta che dalla gola mi
uscisse invece un colpo di tosse.
«Zoey? Stai bene?» La voce di Kayla
era troppo acuta, come
se qualcuno le stesse dando un
pizzicotto, e aveva fatto un altro
passo indietro.
Sospirai e provai la mia prima scheggia
di rabbia. Mica
l'avevo chiesto io che succedesse. Kay
era la mia migliore amica
sin dalla terza elementare e adesso mi
guardava come fossi
diventata un mostro. «Kayla, sono
sempre io. La stessa di due
secondi fa, di due ore fa e di due giorni
fa.» Gesticolai con aria
frustrata in direzione della mia testa
dolorante. «Questo non
cambia quella che sono!»
Gli occhi di Kay si riempirono
nuovamente di lacrime, ma
per fortuna il suo cellulare cominciò a
suonare Material girl di
Madonna. Automaticamente diede
un'occhiata al display, e
dall'espressione da coniglio-beccato-dafari-d'auto capii che si
trattava di Jared, il suo ragazzo.
«Vai, torna a casa con lui», le dissi in
tono piatto e stanco.
Il suo evidente sollievo fu come uno
schiaffo in faccia.
«Mi chiami dopo?» mi gridò voltandosi
a malapena mentre
batteva in rapida ritirata fuori della
porta laterale.
La guardai correre sul prato in direzione
del parcheggio est.
Aveva il telefonino appiccicato
all'orecchio e parlava con Jared a
mitraglia. Ero certa che gli stesse già
dicendo che mi stavo
trasformando in un mostro.
Il problema, ovviamente, era che
trasformarmi in un mostro
era la migliore delle due alternative che
avevo. Alternativa
Numero 1: mi trasformo in vampiro,
termine equivalente a mostro
nella testa di qualunque essere umano.
Alternativa Numero 2: il
mio corpo rifiuta la Trasformazione e io
muoio. Per sempre.
Perciò la buona notizia era che il giorno
dopo non avrei
dovuto fare il test di geometria.
La notizia cattiva era che mi sarei
dovuta trasferire nella Casa
della Notte, un collegio privato nella
Midtown di Tulsa, nota a
tutti i miei amici come la Scuola
Superiore per Vampiri, dove
avrei trascorso i successivi quattro anni
sopportando bizzarre e
innominabili trasformazioni fisiche,
oltre a un totale e permanente
terremoto nella mia esistenza. Sempre
ammesso che l'intero
processo non mi uccidesse, è ovvio.
Grandioso. Non volevo fare nessuna
delle due cose. Volevo
soltanto cercare di essere normale,
nonostante il peso dei miei
genitori iper-reazionari, del mio
fratellino simile a un troll e della
mia io-sì-che-sono-perfetta sorella
maggiore. Volevo passare il
compito in classe di geometria. Volevo
prendere dei bei voti ed
essere accettata a veterinaria alla OSU,
entrare al college e
andarmene da Broken Arrow, Oklahoma.
Ma soprattutto volevo
sentirmi parte del gruppo, almeno a
scuola. Casa era diventata un
disastro, perciò mi restavano soltanto gli
amici e la mia vita
lontano dalla famiglia.
E adesso mi era stato tolto anche quello.
Mi massaggiai la fronte, quindi mi
arruffai i capelli in modo
che mi coprissero in parte gli occhi e,
con un po' di fortuna, anche
il Marchio che mi era comparso al di
sopra. A testa bassa, come se
fossi stata affascinata dalla sostanza
appiccicosa che chissà come
si era formata nella mia borsa, mi
affrettai a raggiungere la porta
da cui si arrivava al parcheggio studenti.
Mi fermai un attimo prima di uscire.
Attraverso i vetri del
portone vidi Heath, circondato da una
marea di ragazze che si
atteggiavano e scuotevano i capelli,
mentre i ragazzi smanettavano
con pickup talmente grossi da risultare
ridicoli e cercavano (quasi
tutti senza riuscirci) di avere un'aria
figa. Come si fa a essere
attratti da roba simile? A dirla tutta,
dovevo confessare che in
realtà Heath era sempre stato molto
dolce, e che aveva ancora i
suoi momenti. Soprattutto quando si
sprecava a essere sobrio.
Risatine sguaiate mi arrivavano dal
parcheggio. Grandioso.
Kathy Richter, la più grande troia della
scuola, stava fingendo di
colpire Heath. Persino da dove mi
trovavo io era evidente che
pensava che dargli un pugno fosse una
sorta di rituale di
accoppiamento, ma come al solito
quell'ingenuo di Heath non
faceva altro che starsene lì con un gran
sorriso stampato in faccia.
Oh, be', che diavolo, la mia giornata non
sarebbe proprio
migliorata. Ed eccolo là, il mio
maggiolino blu del '66, giusto
dietro di loro. No. Non potevo uscire da
quella parte. Non potevo
passare in mezzo a tutti con quella cosa
sulla fronte. Non sarei mai
più riuscita a far parte del gruppo.
Sapevo anche troppo bene
cos'avrebbero fatto. Mi ricordavo
dell'ultimo ragazzo scelto da un
Rintracciatore nella nostra scuola.
Era successo all'inizio dell'anno
precedente. Il Rintracciatore
era arrivato quando non erano ancora
cominciate le lezioni e lo
aveva puntato. Io non avevo visto il
Rintracciatore, però avevo
visto il ragazzo, dopo, giusto per un
secondo, quando aveva
lasciato cadere i libri ed era corso fuori
dell'edificio, il nuovo
Marchio che gli luccicava sulla fronte e
le lacrime che gli
scendevano sulla faccia troppo pallida.
Non avevo dimenticato
com'era piena la scuola quel giorno e
come tutti si erano tirati
indietro, allontanandosi, mentre lui
scappava di corsa dall'ingresso
principale, neanche avesse avuto la
peste. Ero stata anch'io una di
quelli che si erano fatti da parte per
lasciarlo passare e osservarlo,
anche se mi era dispiaciuto davvero per
lui. Solo che non volevo
essere etichettata come l'unica-ragazzache-è-amica-di-queglistrampalati. Piuttosto ironico, no?
Invece di andare alla macchina mi
diressi ai bagni più vicini
che, per fortuna, erano vuoti. C'erano tre
gabinetti – sì, controllai
più volte che non spuntassero dei piedi
da sotto – e due lavandini
attaccati a una parete, sopra ognuno dei
quali era appeso uno
specchio di grandezza media. Il muro
opposto era coperto da un
immenso specchio con sotto una mensola
su cui appoggiare
spazzole, trucchi e robe varie. Ci misi la
borsa e il libro di
geometria, presi un profondo respiro e
con un gesto rapido
sollevai la testa scostando i capelli.
Fu come fissare il viso di una
sconosciuta dall'aria familiare.
Sì, insomma, come quando si vede una
persona tra la folla e si
potrebbe giurare di conoscerla ma
invece non è vero. Solo che
adesso ero io, la sconosciuta dall'aria
familiare.
Aveva i miei occhi. Erano dello stesso
color nocciola che non
riusciva a decidersi se voleva essere
verde o marrone, ma i miei
non erano mai stati tanto grandi e
rotondi. Oppure sì? Aveva i
miei capelli, lunghi, dritti e scuri quasi
come quelli della nonna
prima che cominciassero a diventare
d'argento. La sconosciuta
aveva i miei zigomi alti, il mio naso,
lungo e importante, e la mia
bocca larga, altri tratti presi dalla nonna
e dai suoi antenati
cherokee. Ma la mia faccia non era mai
stata così pallida. Io sono
sempre stata olivastra, con la carnagione
molto più scura rispetto
al resto della mia famiglia. Ma forse non
era la pelle che
all'improvviso era diventata così
bianca… magari sembravo
pallida in confronto al contorno blu
scuro della mezzaluna
posizionata perfettamente al centro della
fronte. O magari era
colpa di quelle orribili luci al neon.
Speravo fosse per le luci.
Osservai il tatuaggio dall'aria esotica.
Unito ai miei decisi
lineamenti cherokee sembrava
marchiarmi con un segno
selvaggio, come se appartenessi a tempi
antichi, quando il mondo
era più grande, più… barbaro.
Da quel momento la mia vita non
sarebbe più stata la stessa.
E per un attimo – appena un istante –
dimenticai l'orrore della non
appartenenza al gruppo e provai una
sconvolgente scossa di
piacere, mentre dentro di me, nel
profondo, il sangue del popolo di
mia nonna gioiva.
2
Quando ritenni che fosse passato
abbastanza tempo e tutti se
ne fossero andati da scuola, mi
risistemai i capelli sulla fronte e
uscii dal bagno affrettandomi a
raggiungere il parcheggio degli
studenti. La strada sembrava libera:
c'era giusto un ragazzo con
quegli orribili pantaloni larghi e molli
da vorrei-far-parte-di-unabanda-ma-chi-mi-vuole che
attraversava, ma era lontano. In più,
dato che tenersi su i calzoni per evitare
che cadessero mentre
camminava assorbiva tutta la sua
attenzione, non mi avrebbe
neanche notata. Strinsi i denti per
sopportare il dolore pulsante alla
testa e schizzai fuori della porta, diretta
al mio maggiolino.
Appena messo piede all'esterno, il sole
cominciò a picchiare.
Non che fosse una giornata
particolarmente soleggiata: c'erano un
sacco di quelle nuvole grandi e
batuffolose che stanno così bene
nelle foto a semi-nascondere il sole.
Non aveva importanza.
Dovetti strizzare gli occhi come una
matta e tenere una mano a
proteggerli anche da quella luce
intermittente. Suppongo fu perché
mi stavo concentrando così tanto sul
dolore provocato da qualche
scarso raggio di sole che non mi accorsi
del pickup finché non si
fermò sgommando proprio davanti a me.
«Ehi, Zo! Non hai
trovato il mio messaggio?» Oh, cacchio
cacchio cacchio! Heath.
Alzai gli occhi, osservandolo tra le dita
come se stessi guardando
uno di quegli stupidi film splatter. Era
nel vano posteriore
scoperto del pickup del suo amico
Dustin, che sedeva in cabina
insieme col fratello Drew. I due stavano
facendo quello che fanno
di solito, cioè giocare alla lotta e
discutere su Dio solo sa quale
stupida roba da maschi. Per fortuna,
entrambi m'ignoravano.
Tornai a guardare Heath e sospirai.
Aveva una birra in mano
e un sorriso da scemo stampato in
faccia. Dimenticando per un
attimo che ero appena stata Segnata ed
ero destinata a diventare un
emarginato mostro succhiasangue, mi
misi a sgridarlo: «Stai
bevendo a scuola! Ma sei pazzo?»
Il suo sorriso da bambino diventò
ancora più largo. «Sì che
sono pazzo, piccola, ma di te!»
Scossi la testa e gli voltai le spalle per
aprire la scricchiolante
portiera del maggiolino e ficcare libri e
zaino sul sedile del
passeggero. «Come mai non siete
all'allenamento di football?»
chiesi, continuando a tenere la faccia
rivolta da un'altra parte.
«Non hai sentito? Abbiamo un giorno di
vacanza per il calcio
nel sedere che abbiamo dato a Union
venerdì!»
Dustin e Drew, che dopotutto dovevano
avere ascoltato la
nostra conversazione, si esibirono in un
paio di «ua-ua-ua-uau!» e
«sì-sì-sì!» di festeggiamento in tipico
stile Oklahoma.
«Oh. No. Devo essermi persa l'avviso.
Sono stata impegnata,
oggi. Sai, per il test di geometria.»
Cercavo di avere un'aria
tranquilla e disinvolta, poi tossii e
aggiunsi: «Per di più mi sta
venendo un raffreddore del cacchio».
«Zo, senti, sei incazzata o roba simile?
Cioè, Kayla ti ha
detto qualche stronzata sulla festa? Lo
sai che non ti ho tradita per
davvero.»
Come? Kayla non aveva detto neanche
una singola parola
riguardo a Heath che mi tradiva. Come
una cretina, mi dimenticai
(d'accordo, solo per un attimo) del mio
nuovo Marchio e girai di
scatto la testa per potergli tirare
un'occhiataccia. «E cos'è che non
avresti fatto, Heath?»
«Io, Zo? Lo sai che non farei mai…» Ma
la sua professione
d'innocenza condita da scuse varie si
sciolse in una poco attraente
espressione di shock con relativa bocca
spalancata non appena
vide il Marchio che avevo sulla fronte.
«Cosa ca…» iniziò a dire,
ma lo interruppi.
«Sstt!» Inclinai la testa in direzione di
Dustin e Drew, ancora
ignari, che adesso cantavano a pieni
stonatissimi polmoni l'ultimo
CD di Toby Keith.
Heath aveva ancora gli occhi sgranati e
sconvolti, ma
abbassò la voce. «È un trucco che ti
serve per le lezioni di teatro?»
«No. Niente del genere», bisbigliai.
«Ma non puoi essere Segnata. Noi
stiamo insieme.»
«Noi non stiamo insieme!» Proprio in
quel momento la mia
mini tregua dalla tosse cessò. In pratica
mi piegai in due, per un
schifoso accesso davvero catarroso.
«Ehi, Zo, devi piantarla con le
sigarette!» gridò Dustin dalla
cabina.
«Già, ancora un po' sputi un polmone»,
aggiunse Drew.
«Ragazzi, lasciatela in pace! Sapete che
non fuma. È
diventata un vampiro!»
Grandioso. Magnifico. Con la sua solita
totale e assoluta
mancanza di qualcosa che somigli anche
vagamente al buonsenso,
Heath pensava davvero di prendere le
mie difese mettendosi a
urlarlo ai suoi amici, che
immediatamente tirarono fuori la testa
dal finestrino e presero a fissarmi come
se fossi un esperimento di
scienze.
«Tieni chiusa quella bocca! Ho già
avuto una giornata del
cazzo e proprio non ho bisogno che ti ci
metta anche tu.» Poi mi
rivolsi a Drew e Dustin, che adesso
stavano zitti, con gli occhi
sgranati, quindi aggiunsi: «O voi».
Mentre sostenevo lo sguardo di
Dustin mi accorsi di una cosa, una cosa
che mi sconvolse e allo
stesso tempo mi eccitò non poco:
sembrava che lui avesse paura.
Paura sul serio. Diedi un'occhiataccia a
Drew e anche lui
sembrava spaventato. Poi lo sentii. Un
formicolio che mi passava
sulla pelle e faceva bruciare il mio
nuovo Marchio.
Potere. Sentivo il potere.
«Zo? Che cazzo ti prende?» La voce di
Heath spezzò la mia
concentrazione e mi fece staccare lo
sguardo dai fratelli.
«Via di qui!» Dustin mise la marcia e
pestò sull'acceleratore.
Il pickup sbandò in avanti facendo
perdere l'equilibrio a Heath,
che, con un gran mulinare di braccia e
volare di birra, scivolò e
cadde sull'asfalto del parcheggio.
Corsi da lui. «Stai bene?»
Heath era carponi e mi chinai per
aiutarlo a rialzarsi.
Poi lo annusai. Aveva un odore
incredibile: caldo, dolce e
delizioso. Aveva cambiato dopobarba?
O era una di quelle strane
robe al feromone che si presume attirino
le donne come un
gigantesco richiamo per insetti
geneticamente progettato? Non mi
ero accorta di essergli tanto vicino
finché non si alzò e i nostri
corpi si trovarono quasi appiccicati.
Abbassò lo sguardo, una domanda negli
occhi.
Io non mi allontanai. Avrei dovuto. E
prima l'avrei fatto, ma
non in quel momento. Non quel giorno.
«Zo?» disse piano, con voce profonda e
roca.
Non riuscii a non dirgli che aveva
proprio un buon odore. Il
cuore mi batteva così forte che ne
sentivo l'eco nelle tempie.
«Zoey, mi sei mancata tanto. Dobbiamo
rimetterci insieme.
Lo sai che ti amo sul serio.» Allungò la
mano per toccarmi il viso
e ci accorgemmo tutti e due che aveva il
palmo sporco di sangue.
«Ah, merda. Devo aver…» La sua voce
si spense appena mi
guardò in faccia.
Potevo solo immaginare cosa dovevo
sembrare, così pallida,
col mio nuovo Marchio blu zaffiro e gli
occhi fissi sul sangue.
Non riuscivo a muovermi; non riuscivo a
guardare da un'altra
parte. «Io voglio… Io voglio…»
mormorai. Cos'è che volevo?
Non riuscivo a dirlo. Anzi, no, non è
vero. Non potevo dirlo. Non
potevo parlare ad alta voce dell'ondata
di desiderio che stava
cercando di sommergermi. E non era
perché Heath mi stava così
vicino. Era già successo. Be', eravamo
usciti insieme per un anno,
ma non mi aveva mai fatto sentire così,
niente a che vedere. Mi
morsi il labbro e gemetti.
Il pickup stridette per fermarsi,
sterzando vicino a noi. Drew
saltò giù e afferrò Heath per la vita,
trascinandolo verso la cabina.
«Piantala! Sto parlando con Zoey!»
Heath cercò di opporsi a Drew, ma
quello era il linebacker
anziano di Broken Arrow, una vera
montagna. Dustin si allungò a
dargli una mano, poi chiuse con forza la
portiera.
«Lascialo stare, mostro!» mi strillò
Drew mentre Dustin dava
gas e stavolta partiva davvero a razzo.
Salii nel mio maggiolino. Le mani mi
tremavano tanto che
dovetti fare tre tentativi prima di
riuscire ad accendere il motore.
«Devo solo arrivare a casa. Devo solo
arrivare a casa.»
Continuai a ripetere quelle parole
mentre guidavo e tossivo da
maledetti. Non volevo pensare a quello
che era appena successo.
Non potevo pensare a quello che era
appena successo.
Alla fine ci misi un quarto d'ora, ma mi
sembrò un attimo.
Ero seduta in macchina nel vialetto e
cercavo di prepararmi alla
scenata che sapevo, sicuro come il tuono
segue al lampo, mi
aspettava dentro.
Ma perché ero stata così ansiosa di
andare a casa? Be',
suppongo che tecnicamente stessi
semplicemente scappando da
quello che era successo con Heath al
parcheggio.
Ah, no! Non ci dovevo pensare, non in
quel momento. E in
ogni caso con ogni probabilità c'era una
qualche spiegazione
razionale per tutto, una spiegazione
semplice e razionale. Dustin e
Drew erano dei ritardati, dei cervellini
alla birra sottosviluppati e
immaturi. Non avevo usato chissà quale
nuovo terrificante potere
per spaventarli, per prendersi una gran
strizza gli era bastato
vedere che ero stata Segnata. Tutto qui.
Insomma, la gente ha
paura dei vampiri.
«Ma io non sono un vampiro!» dissi.
Poi diedi un colpo di
tosse ripensando a quanto avevo trovato
bello e ipnotico il sangue
di Heath, e all'ondata di desiderio che
avevo provato. Non per lui,
ma per il suo sangue.
No! No! No! Il sangue non era né bello
né desiderabile.
Dovevo essere sotto shock. Ecco
com'era. Doveva essere così. Ero
sotto shock e non pensavo con chiarezza.
Okay… okay… mi
sfiorai distrattamente la fronte. Non
bruciava più, ma la sentivo
comunque diversa. Tossii per la
miliardesima volta. Benissimo.
Non volevo pensare a Heath ma non
potevo più negarlo: mi
sentivo diversa. La mia pelle era
ipersensibile, mi faceva male il
petto e, anche se mi ero messa sul naso i
miei fighissimi occhiali
da sole Maui Jim, gli occhi
continuavano a darmi un fastidio
terribile.
«Sto morendo…» gemetti, poi chiusi di
colpo la bocca. In
effetti, potevo stare morendo per
davvero. Alzai lo sguardo verso
la grande villa di mattoni che, dopo tre
anni, ancora non sembrava
casa. «Togliti il pensiero. Togliti il
pensiero e falla finita.»
Perlomeno mia sorella non doveva
essere ancora rientrata:
allenamento da cheerleader. E, se tutto
fosse andato per il meglio,
il troll sarebbe stato totalmente
ipnotizzato dal suo nuovo
videogioco Delta Force: Black Hawk
Down. Potevo avere la
mamma tutta per me. Magari avrebbe
capito… magari avrebbe
saputo cosa fare…
Ah, che cavolo! Avevo sedici anni, ma
all'improvviso mi
rendevo conto che non c'era niente che
volessi quanto la mia
mamma.
«Ti prego, fa' che capisca», mormorai in
una semplice
preghiera a qualunque dio o dea potesse
ascoltarmi.
Come al solito, entrai dal garage. Seguii
il corridoio fino alla
mia camera, dove buttai libro di
geometria, borsa e zaino sul letto.
Poi presi un bel respiro profondo e, un
po' incerta sulle gambe,
andai a cercare mia madre.
La trovai in salotto, raggomitolata sul
bordo del divano,
intenta a bere una tazza di caffè e a
leggere Una tisana calda per
l'anima delle donne. Sembrava così
normale, così simile a quella
che era sempre stata. Solo che una volta
leggeva romanzi stranieri
e si truccava, entrambe cose che il suo
nuovo marito non
permetteva (lo stronzo).
«Mamma?»
«Mmm?» Non alzò gli occhi.
Deglutii con forza. Usai l'abbreviazione
con cui la chiamavo
sempre, prima che sposasse John. «Ma',
ho bisogno del tuo aiuto.»
Non so se fosse stato l'inatteso uso del
«ma'» o se qualcosa
nella mia voce fosse andato a toccare un
vecchio pezzo d'intuito
materno che aveva ancora da qualche
parte dentro di sé, ma lo
sguardo che mi rivolse alzando gli occhi
dal libro fu dolce e pieno
di preoccupazione. «Cosa c'è,
bambina…» iniziò, ma le parole
sembrarono congelarsi sulle labbra non
appena vide il Marchio
sulla mia fronte. «Oh, Dio! Cos'altro hai
combinato adesso?»
Il cuore ricominciò a farmi male.
«Mamma, io non ho
combinato niente. È una cosa che è
successa a me, non a causa
mia. Io non ne ho colpa.»
«Oh, ti prego, no!» riprese a lagnarsi
come se non avessi
detto una parola. «Cosa dirà tuo padre?»
Avevo voglia di gridare: Come cavolo
potremmo sapere cosa
dirà mio padre, dato che non lo
vediamo e non lo sentiamo da
quattordici anni! Ma sapevo che non
sarebbe servito a niente e
che lei andava fuori di testa ogni volta
che le ricordavo che John
non era il mio vero padre. Perciò tentai
una tattica diversa, una che
avevo abbandonato da tre anni.
«Mamma, per favore. Non puoi
semplicemente non dirglielo? Almeno
per un paio di giorni. Resta
tra noi due finché non… non lo so… ci
facciamo l'abitudine o
qualcosa del genere.» Trattenni il fiato.
«Ma cosa potrei dire? Quella cosa non
si copre neanche col
fondotinta.» Le sue labbra s'incurvarono
in modo strano mentre
dava un'occhiata nervosa alla
mezzaluna.
«Non intendevo che sarei rimasta qui
mentre ci facciamo
l'abitudine. Io devo andare, mamma,
questo lo sai.» Dovetti
interrompermi per un accesso di tosse
che mi sconquassò le spalle.
«Il Rintracciatore mi ha Segnata. Devo
trasferirmi alla Casa della
Notte, altrimenti mi ammalerò sempre di
più.» E poi morirò,
cercai di dirle con lo sguardo, perché le
parole non riuscivo a
pronunciarle. «Mi servono solo un paio
di giorni prima di
affrontare…» M'interruppi di nuovo per
non dover pronunciare il
suo nome e questa volta tossii di
proposito, cosa per niente
difficile.
«Ma cosa dovrei dire a tuo padre?»
Sentendo la nota di panico nella sua
voce, provai paura. Ma
come, non era la mia mamma? Non si
presumeva avesse risposte
invece che domande? «Digli… digli che
sto da Kayla un paio di
giorni perché dobbiamo fare una ricerca
di biologia molto
importante.»
Vidi lo sguardo della mamma cambiare,
la preoccupazione
che scompariva e veniva sostituita da
una durezza che conoscevo
anche troppo bene. «Dunque mi stai
dicendo che dovrei
mentirgli.»
«No, mamma. Ti sto chiedendo per una
volta di mettere
quello di cui ho bisogno io prima di
quello che vuole lui. E io ho
bisogno che tu sia la mia ma'. Che mi
aiuti a fare i bagagli e mi
accompagni in quella nuova scuola
perché ho paura e sto male e
non so se posso farcela da sola!» Finii
di slancio, il fiato corto
mentre mi tossivo in mano.
«Non mi ero accorta di avere smesso di
essere tua madre»,
replicò gelida.
Mi fece sentire persino più stanca di
quanto fosse riuscita a
fare Kayla. Sospirai. «Penso che il
problema sia proprio questo,
mamma. Non te ne importa abbastanza
da accorgertene. Non ti è
importato di nient'altro che non fosse
John, da quando l'hai
sposato.»
I suoi occhi erano poco più che una
fessura. «Non so come tu
possa essere tanto egoista. Non ti rendi
conto di tutto quello che ha
fatto per noi? Grazie a lui ho lasciato
quell'orribile lavoro da
Dillards. Grazie a lui non dobbiamo
preoccuparci dei soldi e
abbiamo questa bella casa grande.
Grazie a lui abbiamo sicurezza
e un luminoso futuro.»
Avevo sentito quelle parole talmente
tanto spesso che avrei
potuto recitarle a memoria. Era a quel
punto della nostra nonconversazione che di solito mi scusavo e
andavo nella mia stanza.
Ma quel giorno non mi potevo scusare.
Era diverso. Tutto era
diverso. «No, mamma. La verità è che
grazie a lui non ti sei curata
dei tuoi figli per tre anni. Sapevi che
quella falsa di tua figlia
maggiore è diventata una puttanella
viziata che si è scopata mezza
squadra di football? Sai che videogiochi
schifosi, violenti e pieni
di sangue ti tiene nascosti Kevin? No,
certo che no! Loro due
fingono di essere felici e di apprezzare
John e tutta questa dannata
famiglia di facciata, così tu sorridi,
preghi per loro e lasci che
facciano quello che vogliono. E io?
Pensi che io sia la cattiva del
gruppo perché non fingo, perché sono
sincera. E la sai una cosa?
La mia vita mi fa talmente schifo che
sono contenta che il
Rintracciatore mi abbia Segnata! La
scuola dei vampiri la
chiamano Casa della Notte, ma non può
essere più cupa di questa
casa perfetta!» Prima di mettermi a
piangere o a urlare, girai sui
tacchi e tornai a grandi passi nella mia
stanza, sbattendo la porta.
Spero che affoghino tutti.
Attraverso le pareti troppo sottili potevo
sentirla fare una
telefonata isterica a John. Non c'era
dubbio che sarebbe corso a
casa ad affrontarmi. Il Problema. Invece
di sedermi sul letto a
piangere com'ero tentata di fare, svuotai
la roba di scuola dallo
zaino. Di certo non ne avrei avuto
bisogno nel posto in cui stavo
andando. Probabilmente non c'erano
neanche materie normali.
Probabilmente avevano corsi tipo:
Squarciamento di Gole le…
e… Introduzione alla Visione Notturna.
O quello che è.
Quello che mia mamma avrebbe o non
avrebbe fatto non
importava, io lì non potevo restare.
Dovevo andarmene.
Perciò, cosa mi serviva?
I miei due jeans preferiti oltre a quelli
che avevo su. Un paio
di T-shirt nere. Be', cos'altro si mettono i
vampiri? E poi
smagriscono. Pensavo di non portare la
mia fighissima camicia
scintillante color acquamarina, ma tutto
quel nero mi rendeva
ancora più depressa, perciò l'aggiunsi.
Poi ficcai tonnellate di
reggiseni e tanga e roba per i capelli e il
trucco dentro alla tasca
laterale. Stavo per lasciare il mio
peluche Otis il Pesse (quando
avevo due anni non riuscivo a dire la 'sc'
di pesce) sul cuscino ma
poi… be'… vampiro o non vampiro, non
pensavo sarei riuscita a
dormire bene senza di lui, quindi lo
infilai gentilmente in quel
maledetto zaino.
Udii bussare alla porta e la voce di
quello mi chiamò.
«Cosa?» strillai, per poi contorcermi in
una serie di
disgustosi colpi di tosse.
«Zoey. Tua madre e io dobbiamo
parlarti.»
Grandioso. Più che evidente che non
erano affogati.
Diedi una pacchetta a Otis il Pesse.
«Mio caro Otis, questa
sarà una grandissima rottura di palle!»
Raddrizzai la schiena, tossii
ancora e uscii ad affrontare il nemico.
3
A prima vista il mio fallito-acquisito,
John Heffer, sembra un
tipo okay, addirittura normale e, quando
lui e mia mamma
avevano cominciato a frequentarsi,
avevo persino sentito alcune
delle sue amiche definirlo «bello» e
«affascinante». All'inizio.
Ovviamente adesso mamma ha un
gruppo di amiche
completamente nuovo, tizie che Mr
Bello e Affascinante pensa
siano più appropriate delle divertenti
single con cui lei si trovava
prima.
A me non è mai piaciuto. Davvero. Dal
primo giorno che l'ho
incontrato ho visto soltanto una cosa: un
falso. Finge di essere un
tipo simpatico. Finge di essere un buon
marito. Finge persino di
essere un buon padre.
Ha l'aspetto di qualunque altro uomo in
età-da-papà: capelli
scuri, secche gambette da pollo e un
accenno di pancia. I suoi
occhi sono come la sua anima: di un
gelido marroncino slavato.
Quando arrivai in salotto, lui era in
piedi accanto al divano.
Mia madre era accartocciata sul bordo e
gli stringeva la mano, gli
occhi già rossi e acquosi. Grandioso.
Stava per interpretare la
Madre Ferita e Isterica. Un ruolo che le
riusciva benissimo.
John aveva cominciato a trapassarmi
con lo sguardo, ma il
mio Marchio lo distrasse. La sua faccia
si contorse per il disgusto.
«Allontanati da me, Satana!» citò con
quella che mi piace
considerare la sua voce da sermone.
Sospirai. «Non è Satana. Sono solo io.»
«Zoey, non è il momento per fare del
sarcasmo», disse la
mamma.
Il fallito-acquisito le assestò un distratto
colpetto sulla spalla.
«Me ne occupo io, tesoro.» Poi spostò
di nuovo l'attenzione su di
me. «Te l'avevo detto che il tuo cattivo
comportamento e il tuo
atteggiamento ti avrebbero procurato un
mare di guai. E non mi
stupisce nemmeno che sia capitato così
presto.»
Scossi la testa. Me l'aspettavo. Mi
aspettavo che sarebbe
andata così, eppure ero comunque
sconvolta. Il mondo intero
sapeva che la Trasformazione non
poteva essere provocata in
alcun modo. Tutta la menata del «se ti
morde un vampiro muori e
diventi vampiro anche tu» è
un'invenzione. Da anni gli scienziati
cercano d'individuare la causa della
sequenza di eventi fisici che
porta al vampirismo, nella speranza di
trovare una cura o
quantomeno di creare un vaccino che ne
impedisca il verificarsi.
Finora, nessun risultato. Ma adesso,
John Heffer, il mio fallitoacquisito, aveva scoperto di punto in
bianco che il cattivo
comportamento dei teenager, in modo
più specifico il mio cattivo
comportamento – che consisteva in
massima parte in una bugia
ogni tanto, qualche pensiero incazzoso e
dei commentini un po'
impertinenti diretti in particolare contro
i miei genitori, magari un
po' di lussuria semi-innocente per
Ashton Kutcher (peccato che gli
piacciano le donne più vecchie) –,
aveva realmente determinato
quella reazione fisica nel mio corpo.
Be', che diavolo! Chi poteva
saperlo?
«Non è una cosa che ho causato io»,
riuscii finalmente a dire.
«È una cosa che è capitata a me, non per
colpa mia! Tutti gli
scienziati del pianeta concordano su
questo.»
«Gli scienziati non sono onniscienti.
Loro non sono uomini
di Dio.»
Mi limitai a fissarlo. Era un Anziano del
Popolo della Fede,
posizione di cui oh! quant'era
orgoglioso. Era uno dei motivi per
cui mamma si era sentita attratta da lui e,
a livello strettamente
logico, potevo anche capire perché.
Essere un Anziano significava
essere un uomo di successo. Avere il
lavoro giusto. Una bella
casa. Una famiglia perfetta. Si
presumeva che facesse le scelte
giuste e credesse nelle cose giuste. Sulla
carta, avrebbe dovuto
essere un'ottima scelta come nuovo
marito e padre. Peccato che la
carta non avesse mostrato come stavano
realmente le cose e
adesso, come prevedibile, lui stava
giocando l'asso dell'Anziano e
mi gettava Dio in faccia. Avrei
scommesso le mie stupende nuove
ballerine Steve Madden che questo
irritava Dio almeno quanto
scocciava me.
Ritentai. «L'abbiamo studiato nel corso
di biologia avanzata.
Si tratta di una reazione fisiologica che
si verifica nell'organismo
di alcuni adolescenti quando salgono i
livelli ormonali.»
M'interruppi, concentrata e molto
orgogliosa di me stessa per
essermi ricordata qualcosa che avevo
studiato il semestre
precedente. «In alcune persone gli
ormoni scatenano qualcosa in
un… un…» Mi concentrai di più e
continuai: «… un filamento di
DNA, che dà il via all'intero processo di
Trasformazione». Sorrisi.
Non a John, a dire il vero, ma perché
ero gasata per non aver
dimenticato un modulo che avevamo
finito mesi prima.
Capii che quel sorriso era stato un
errore non appena vidi
John stringere la mascella in modo
familiare. «Il sapere di Dio
supera la scienza ed è blasfemo da parte
tua affermare il contrario,
signorina.»
«Non ho mai detto che gli scienziati
sono più intelligenti di
Dio!» Alzai le mani e cercai di
soffocare un colpo di tosse. «Sto
solo cercando di spiegarti questa cosa.»
«Non ho certo bisogno che sia una
sedicenne a spiegarmi
qualcosa.»
Be', dato che indossava quei pantaloni
davvero orribili e
quella schifezza di camicia, era chiaro
che avrebbe avuto bisogno
che una sedicenne gli spiegasse
qualcosa, ma pensai che non fosse
il momento adatto per accennare alle sue
imbarazzanti ed evidenti
lacune in fatto di moda.
Il viso di mia madre diventò ancora più
pallido mentre
soffocava un singhiozzo. «Ma John,
tesoro, cosa dobbiamo fare
con lei? Cosa penseranno i vicini? Cosa
dirà la gente all'incontro
della domenica?»
Quando aprii la bocca per rispondere lui
strinse le palpebre e
m'interruppe prima che potessi parlare.
«Faremo quello che
dovrebbe fare qualunque famiglia per
bene. Offriremo questo al
Signore.»
Volevano mandarmi in convento?
Purtroppo dovetti superare un'altra crisi
di tosse, quindi
continuò a parlare. «Chiameremo anche
il dottor Asher. Lui saprà
cosa fare per rasserenare la situazione.»
Splendido. Favoloso. Lui fa intervenire
lo strizzacervelli di
famiglia, l'Uomo Senza Espressione.
Perfetto.
«Linda, chiama il numero per le
emergenze del dottor Asher,
poi penso sarebbe saggio attivare la
catena telefonica di preghiera.
Accertati che gli altri Anziani sappiano
che devono riunirsi qui.»
Mia madre annuì e stava per alzarsi,
quando le parole che mi
uscirono di bocca la fecero precipitare
di nuovo sul divano.
«Cosa? La vostra risposta consiste nel
chiamare uno strizzacervelli
che non sa niente di ragazzi e far venire
qui tutti quegli Anziani
bacchettoni? Come se potessero anche
solo provare a cercare di
capire! No!
Ma non ci arrivate? Io me ne devo
andare. Stasera.» Tossii,
producendo un suono torcibudella che
rimbalzò nel petto
facendomi un male cane. «Vedete?
Questo non farà che
peggiorare se non riesco a trovare i…»
Esitai. Perché era tanto
difficile dire «vampiri»? Perché
suonava così esotico, così
definitivo e, una parte di me lo
ammetteva, così incredibile. «Devo
andare alla Casa della Notte.»
Mamma saltò in piedi e per un secondo
pensai che stesse
davvero per salvarmi. Poi John le mise
un braccio intorno alle
spalle con aria di possesso, lei alzò lo
sguardo nella sua direzione
e, quando lo spostò di nuovo su di me, i
suoi occhi sembravano
quasi dispiaciuti, ma le parole che disse
rispecchiavano soltanto
quello che John avrebbe voluto che
dicesse. «Zoey, non credo
proprio che farebbe male a nessuno se
restassi a casa ancora
stanotte, no?»
John intervenne rivolgendosi a lei: «Ma
certo che no. Di
sicuro il dottor Asher troverà il modo di
farci una visita a
domicilio e con lui qui non ci saranno
problemi». Le assestò
un'altra pacchetta sulla spalla, fingendo
che gliene importasse, ma
invece che dolce sembrò viscido.
Spostai lo sguardo da lui alla mamma.
Non intendevano
lasciarmi andare. Non stasera, forse
mai, o almeno non finché non
fossi stata trascinata fuori dai
paramedici del pronto intervento.
All'improvviso capii che non si trattava
solo del Marchio o del
fatto che la mia vita fosse
completamente cambiata. Si trattava del
controllo. Se mi avessero lasciata
andare, avrebbero perso
qualcosa. Nel caso della mamma, mi
piaceva pensare che temesse
di perdere me; quanto a John, sapevo
cosa non voleva perdere.
Non voleva perdere la sua preziosa
autorità e l'illusione che
fossimo una piccola famigliola perfetta.
Come aveva già detto la
mamma: Cosa penseranno i vicini?
Cosa dirà la gente
all'incontro della domenica? John
doveva mantenere l'illusione e,
se questo significava lasciare che mi
ammalassi tanto ma proprio
tanto, be', era un prezzo che era disposto
a pagare.
Io no però.
Pensai che fosse arrivato il momento di
prendere in mano la
situazione (dopotutto, le mie mani sono
piuttosto ben curate),
perciò dissi: «D'accordo. Chiamate il
dottor Asher. Iniziate la
catena telefonica di preghiera. Ma vi
dispiace se vado a sdraiarmi
finché non sono arrivati tutti?» Aggiunsi
un altro colpo di tosse,
tanto per chiarire il concetto.
«Certo che no, tesoro. Probabilmente
con un po' di riposo ti
sentirai meglio», replicò la mamma,
evidentemente sollevata.
Quindi si staccò dal braccio possessivo
di John, mi sorrise e mi
abbracciò. «Vuoi che ti porti un po' di
Vicks NyQuil?»
«No, starò bene», risposi,
aggrappandomi a lei per un
secondo, desiderando da morire che
fosse tre anni prima e lei fosse
ancora mia, ancora dalla mia parte. Poi
feci un respiro profondo e
mi allontanai. «Starò bene», ripetei.
Mi guardò e annuì, dicendomi che le
dispiaceva nell'unico
modo in cui poteva, con gli occhi.
Mentre me ne andavo, diretta verso la
mia stanza, il mio
fallito-acquisito disse alla mia schiena:
«E perché non fai un
favore a tutti noi e cerchi della cipria
per coprire quella cosa che
hai sulla fronte?»
Non mi fermai neanche e continuai a
camminare. E non mi
sarei nemmeno messa a piangere.
Questo me lo ricorderò, mi dissi seria.
Mi ricorderò di
quanto mi hanno fatta stare male oggi.
Perciò, quando sarò sola e
piena di paura e il resto che mi deve
succedere comincerà a
succedere, mi ricorderò che niente può
essere peggio del
rimanere bloccata qui. Niente.
4
Mi misi a sedere sul letto e tossii,
mentre ascoltavo la
mamma fare una telefonata convulsa al
numero per le emergenze
del nostro strizzacervelli, seguita subito
dopo da un'altra chiamata
altrettanto isterica che avrebbe attivato
la temuta catena di
preghiera del Popolo della Fede. Nel
giro di trenta minuti la nostra
casa avrebbe cominciato a riempirsi di
ciccione con relativi mariti
pedofili dagli occhietti porcini, poi mi
avrebbero chiamata per
andare in salotto e il mio Marchio
sarebbe stato ritenuto un
gigantesco e imbarazzante problema,
quindi con ogni probabilità
mi avrebbero unta con qualche
schifezza, che di sicuro mi avrebbe
tappato i pori e fatto venire un brufolo di
dimensioni ciclopiche,
prima d'imporre le mani su di me e
pregare. Avrebbero chiesto a
Dio di aiutarmi a smettere di essere
un'adolescente così terribile e
un problema per i miei genitori. Oh, già,
e anche la questioncina
del mio Marchio sarebbe dovuta èssere
risolta.
Magari fosse stato così semplice. Sarei
stata più che felice di
fare un patto con Dio ed essere una
brava bambina invece di dover
cambiare scuola e specie. Avrei persino
fatto volentieri il test di
geometria. Be', sì, insomma, magari non
volentieri e non il test di
geometria, ma non ero mica stata io a
chiedere di diventare un
mostro. Tutta quella storia significava
che me ne dovevo andare,
cominciare una nuova vita come una
ragazza nuova, in un posto
dove non avevo amici. Sbattei con forza
le palpebre,
imponendomi di non piangere. Ormai la
scuola era l'unico posto in
cui mi sentissi veramente a casa; i miei
amici erano tutta la
famiglia che avevo. Strinsi i pugni e ci
appoggiai sopra la faccia
per non piangere.
Un passo alla volta. Dovevo affrontare
la situazione un passo
alla volta.
Prima di tutto, non mi sognavo neanche
di fronteggiare i
cloni del fallito-acquisito. E, come se il
Popolo della Fede non
fosse stato sufficiente, all'orrenda seduta
di preghiera avrebbe fatto
seguito un'altrettanto scocciante seduta
col dottor Asher. Mi
avrebbe fatto un sacco di domande su
come mi faceva sentire
questo e quello, poi avrebbe continuato
a sproloquiare su come
rabbia e angoscia fossero normali in
un'adolescente, ma che
soltanto io potevo decidere che impatto
avrebbero avuto sulla mia
vita… bla… bla… bla… e, dato che si
trattava di un'«emergenza»,
con ogni probabilità mi avrebbe fatto
disegnare qualcosa che
rappresentasse la mia bambina interiore
o quello che è.
Non c'erano alternative, dovevo
andarmene da lì.
Era una fortuna che fossi sempre stata
«la figlia cattiva» e
che fossi ben preparata a una situazione
simile. D'accordo, quando
avevo nascosto la chiave di riserva
della mia auto nel vaso fuori
della finestra non pensavo esattamente
che mi sarebbe servita per
scappare di casa e unirmi a un gruppo di
vampiri, piuttosto che
avrei potuto volermela squagliare da
Kayla. O che, se avessi
voluto essere davvero cattiva, avrei
potuto incontrare Heath al
parco per strusciarci un po'. Ma poi
Heath si era messo a bere e io
avevo cominciato a trasformarmi in un
vampiro. A volte la vita
proprio non ha senso.
Afferrai lo zaino, aprii la finestra e, con
una facilità che
rifletteva la mia natura di peccatrice
molto più dei noiosi
predicozzi del fallito-acquisito, spinsi
all'esterno la zanzariera.
Inforcai gli occhiali da sole e guardai
fuori. Erano solo le quattro e
mezzo e non faceva ancora buio, perciò
ero felice che la nostra
staccionata mi nascondesse ai
rumorosissimi vicini. Su quel lato
della casa, le uniche altre finestre erano
quelle della stanza di mia
sorella e lei doveva essere ancora
all'allenamento da cheerleader
(mi sa che l'inferno si stava proprio
congelando perché per una
volta ero sinceramente contenta che il
mondo di mia sorella
ruotasse intorno a quello che lei
chiamava «lo sport del tifo»).
Prima lasciai cadere lo zaino, quindi lo
seguii piano fuori della
finestra, facendo attenzione a non fare
nemmeno il rumore di una
piuma quando atterrai sul prato. Lì mi
fermai per un'infinità di
minuti, nascondendomi il viso tra le
braccia per soffocare la mia
tremenda tosse. Poi mi girai e infilai la
mano nella piantina di
lavanda che mi aveva regalato nonna
Redbird e al tatto riconobbi
il duro metallo della chiave nascosta tra
l'erba schiacciata.
Il cancello nemmeno scricchiolò quando
lo aprii il minimo
indispensabile e sgattaiolai fuori come
una Charlie's Angel. Il mio
fighissimo maggiolino stava dove stava
sempre, proprio davanti
alla terza porta del nostro garage triplo.
Il fallito-acquisito non mi
lasciava parcheggiare dentro perché
diceva che il tosaerba era più
importante (più importante di una
Volkswagen d'epoca? E come?
Un'idea simile non sarebbe mai dovuta
passare nell'anticamera del
cervello di nessuno. Cavolo, sembravo
un maschio. Da quando
m'importava che la mia auto fosse
d'epoca? Mi stavo davvero
Trasformando). Guardai a destra e a
sinistra. Niente. Scattai verso
il maggiolino, ci saltai dentro, misi in
folle e ringraziai
sinceramente che il nostro vialetto fosse
ridicolmente ripido,
poiché la mia splendida macchina
scivolò tranquilla e silenziosa
fino in strada. A quel punto, nessun
problema ad accendere il
motore e telare via dal quartiere delle
Grandi Case Costose.
Non guardai neanche nello specchietto
retrovisore.
Allungai la mano e spensi il cellulare.
Non volevo sentire
nessuno.
Be', non era proprio così, perché una
persona con cui volevo
parlare c'era. L'unica persona al mondo
che guardando il mio
Marchio ero certa non avrebbe pensato
che ero un mostro o uno
scherzo della natura o una ragazza
davvero pessima.
Quasi mi avesse letto nel pensiero, il
maggiolino sembrò
svoltare di sua spontanea volontà sulla
rampa che portava alla
Muskogee Turnpike Highway e,
finalmente, al posto più
meraviglioso del mondo: il vivaio di
lavanda di nonna Redbird.
A differenza del tragitto scuola-casa, il
viaggio di un'ora e
mezzo fino al vivaio della nonna sembrò
durare un'eternità.
Quando lasciai la superstrada a due
corsie e imboccai la stradina
in terra battuta con cui si arrivava alla
fattoria, avevo male
ovunque, persino più di quando avevano
preso una nuova
insegnante di educazione fisica
completamente schizzata che
pensava dovessimo fare delle serie di
pesi allucinanti mentre lei
schioccava la frusta e ridacchiava. Sì,
d'accordo, magari la frusta
non ce l'aveva, ma il senso è quello. I
muscoli mi facevano un
male cane. Erano quasi le sei e il sole
cominciava finalmente a
calare, ma gli occhi mi pizzicavano
ancora. A dire il vero, anche il
sole al tramonto mi faceva formicolare
la pelle dandomi una strana
sensazione, che mi rendeva contenta che
fosse la fine di ottobre e
finalmente l'abbassarsi delle
temperature mi permettesse
d'indossare la mia giacca con cappuccio
Borg Invasion 4D (certo,
viene da Star Trek: The Next
Generation e l'ho presa durante una
gita a Las Vegas, e sì, lo ammetto, mi
capita di essere una fan
idiota e convinta di Star Trek) che per
fortuna mi copriva la
maggior parte della pelle. Prima di
scendere dal maggiolino cercai
sul sedile posteriore il vecchio
cappellino dell'università
dell'Oklahoma e me lo calcai in testa, in
modo da nascondere il
viso dal sole.
Casa della nonna si trovava in mezzo a
due campi di lavanda
ed era ombreggiata da immense vecchie
querce. Era stata costruita
nel 1942 in pietra grezza dell'Oklahoma,
con una comoda veranda
e finestre insolitamente grandi. Adoravo
quel posto. Già solo
salire la piccola scala in legno
dell'ingresso mi fece sentire
meglio… al sicuro. Poi vidi il biglietto
appiccicato fuori della
porta, su cui era facile riconoscere la
bella scrittura di nonna
Redbird:
Sono sul promontorio a raccogliere
fiori.
Sfiorai il foglietto lievemente profumato
di lavanda. Sapeva
sempre quando stavo per andare a
trovarla. Da piccola pensavo
fosse strano, ma crescendo avevo
apprezzato sempre di più il suo
sesto senso. Per tutta la vita ho sempre
saputo che, qualunque cosa
fosse successa, potevo contare su nonna
Redbird. Durante i primi
orrendi mesi dopo il matrimonio di
mamma con John credo che mi
sarei raggrinzita fino a morire se non
fossi potuta scappare a casa
della nonna tutti i fine settimana.
Per un attimo considerai l'idea di entrare
(la nonna non
chiudeva mai a chiave la porta) e
aspettarla, ma avevo bisogno di
vederla subito, bisogno che mi
abbracciasse e mi dicesse tutto
quello che avrei voluto mi avesse detto
la mamma: Non aver
paura… andrà tutto bene… faremo in
modo che vada tutto bene.
Perciò, invece di entrare, raggiunsi il
sentierino alla fine del
campo di lavanda più a nord e lo seguii,
sfiorando con la mano la
cima dei cespugli più vicini in modo che
rilasciassero nell'aria il
loro profumo dolce e argentato, come
una sorta di Bentornata a
casa.
Mi sembravano passati anni dall'ultima
volta che ero stata lì,
anche se sapevo che si trattava solo di
poche settimane. A John la
nonna non piaceva. Pensava che fosse
stramba. L'avevo persino
sentito dire alla mamma che la nonna era
«una strega e sarebbe
andata all'inferno». Era un tale
imbecille.
Poi fui colpita da un pensiero
strabiliante e mi fermai di
botto: i miei genitori non controllavano
più quello che facevo.
Non avrei più vissuto con loro. John non
poteva più dirmi cosa
dovevo fare.
Wow! Che sballo!!!
Un tale sballo che mi provocò un attacco
di tosse da farmi
piegare in due, le braccia strette al petto
come se cercassi di
tenerlo assieme. Dovevo trovare nonna
Redbird, e dovevo trovarla
subito.
5
Il sentiero che portava al promontorio
era sempre stato
ripido, ma ci ero salita almeno un
triliardo di volte, con e senza la
nonna, e non mi ero mai sentita così.
Ormai non si trattava più
solo della tosse, e nemmeno dei muscoli
indolenziti. Mi girava la
testa e lo stomaco aveva cominciato a
brontolare tanto forte da
farmi venire in mente Meg Ryan in
French kiss, dopo che aveva
mangiato tutto quel formaggio e le era
venuta una crisi da
intolleranza al lattosio (Kevin Kline è
davvero figo in quel film…
be', per essere un vecchietto).
E mi colava il naso. Non intendo dire
che ogni tanto tiravo un
po' su, intendo che me lo dovevo pulire
sulla manica della giacca
(schifezza colossale). Non riuscivo a
respirare a bocca chiusa e
aprirla mi faceva tossire ancora di più;
il petto mi faceva un male
da non crederci. Cercai di ricordare
cosa ufficialmente provocasse
la morte dei ragazzi che non
completavano la Trasformazione. Gli
veniva un attacco di cuore? O era
possibile che tossissero e
tirassero su col naso fino a morirne?
Smetti di pensare a queste
cose!
Dovevo trovare la nonna. Se non aveva
già le risposte, ci
sarebbe arrivata comunque. Nonna
Redbird capiva le persone.
Diceva che era perché non aveva perso
il contatto con le tradizioni
cherokee e con il sapere tribale delle
antiche Donne Sapienti che le
scorreva nel sangue. Persino in quel
momento mi venne da
sorridere pensando all'espressione della
nonna ogni volta che
viene sollevato l'argomento fallitoacquisito (lei è l'unico adulto a
sapere che lo chiamo così). Secondo la
nonna è chiaro che il
sangue delle Sapienti Redbird ha saltato
sua figlia, ma solo perché
io potessi avere una dose maggiore delle
antiche doti magiche
cherokee.
Da piccola avevo percorso quel sentiero
stringendo la mano
della nonna molte più volte di quante ne
potessi ricordare. Nei
campi di erba alta e fiori selvatici
stendevamo una coperta dai
colori vivaci e facevamo un picnic, poi
la nonna mi raccontava le
storie del popolo cherokee e
m'insegnava alcune parole nella loro
lingua, che per me aveva un suono
misterioso. Mentre risalivo a
fatica il sentiero tortuoso, quegli antichi
racconti sembrarono
vorticarmi nella testa, come il fumo di
un fuoco cerimoniale… La
triste storia della formazione delle
stelle, avvenuta quando un cane
era stato scoperto a rubare farina di
mais e per questo era stato
frustato dalla tribù. Quando il cane era
scappato ululando verso
nord per tornare a casa, la farina si era
sparsa nel cielo e la magia
che c'era in essa aveva creato la Via
Lattea. O quella del Grande
Avvoltoio, che con le ali aveva creato
vallate e montagne. E poi
arrivò la mia preferita, la storia della
giovane Donna Sole, che
viveva a est, e di suo fratello Luna, che
viveva a ovest, e del
Redbird, l'uccellino che era la figlia del
Sole.
«Non è strano? Io sono una Redbird,
figlia del sole, ma mi
sto trasformando in un mostro della
notte.» Mi accorsi che stavo
riflettendo ad alta voce e mi stupii che le
mie parole suonassero
tanto flebili, soprattutto perché parevano
echeggiarmi intorno,
come stessi parlando in un vibrante
tamburo.
Tamburo…
Pensare quella parola mi ricordò i pow
wow cui mi aveva
portata la nonna da bambina, poi non so
come i pensieri resero
vivi i ricordi e udii davvero il ritmico
battito dei tamburi
cerimoniali. Mi guardai intorno,
strizzando gli occhi nonostante la
scarsa luce del giorno morente. Mi
facevano ancora male e la vista
mi si era appannata. Non c'era vento, ma
le ombre delle rocce e
degli alberi sembravano muoversi…
allungarsi… tendersi verso di
me.
«Nonna, ho paura…» gridai tra i colpi
di tosse.
Zoeybird, uccellino mio, non bisogna
temere gli spiriti della
terra.
«Nonna?» Avevo davvero udito la sua
voce chiamarmi col
mio soprannome o si trattava solo di
altre stranezze e di echi che
stavolta venivano dalla memoria?
«Nonna!» gridai ancora, e poi
rimasi immobile in attesa di una
risposta.
Niente. Soltanto il vento.
U-no-le… Il termine cherokee per
indicare il vento fluttuò
nella mia mente come un sogno semi
dimenticato.
Vento? No, frena! Fino a un secondo
prima di vento non ce
n'era, ma adesso mi dovevo tenere il
cappuccio sulla testa e
scostare i capelli che mi frustavano la
faccia. Poi, nel vento, le
udii: voci, tante voci cherokee che
cantavano a tempo col battito
dei tamburi rituali. Attraverso un velo di
capelli e di lacrime vidi
del fumo. Il dolce aroma di pinoli del
bosco di pinyon pine mi
riempì la bocca e sentii il sapore dei
fuochi da campo dei miei
antenati. Cercai di trattenere il respiro.
Fu allora che ne percepii la presenza.
Mi stavano tutti
intorno, figure quasi invisibili che
brillavano debolmente, come le
onde di calore che d'estate salgono da
una strada asfaltata. Le
sentivo premere contro di me mentre
roteavano e danzavano con
passi complicati intorno alla confusa
immagine del fuoco di un
accampamento cherokee.
Unisciti a noi, U-we-tsi, a-ge-hu-tsa…
Unisciti a noi, figlia…
Fantasmi cherokee… annegavo nei miei
stessi polmoni… la
discussione coi miei genitori… la mia
vecchia vita finita…
Era davvero troppo. Mi misi a correre.
Quello che ci insegnano a biologia
riguardo all'adrenalina che
prende il controllo dell'organismo
quando c'è la necessità di
fuggire o di combattere il pericolo è
vero, perché, anche se il mio
petto pareva sul punto di esplodere e mi
sembrava di stare
cercando di respirare sott'acqua, feci
l'ultimo e più ripido pezzo
della salita a una tale velocità che si
sarebbe detto che avevano
aperto tutti i negozi del centro
commerciale e stessero regalando
scarpe.
Procedevo barcollando su per il
sentiero, sempre più su,
cercando di allontanarmi dagli spiriti
che mi aleggiavano intorno
come una nebbia mettendomi paura, ma
pareva che, invece di
lasciarmeli indietro, io stessi correndo
proprio nel loro mondo di
ombre e di fumo. Stavo morendo? Era
così che succedeva? Era per
quello che potevo vedere gli spiriti?
Dov'era la luce bianca?
Completamente in preda al panico, mi
precipitai avanti, le braccia
tese quasi potessero tenere lontano il
terrore che mi dava la caccia.
Non vidi la radice che sporgeva sul
sentiero. Nel
disorientamento più totale, cercai di non
perdere l'equilibrio, ma i
miei riflessi erano andati. Caddi di
peso. Il dolore alla testa fu
acuto, ma durò solo un istante prima che
l'oscurità m'inghiottisse.
Svegliarsi fu strano. Mi sarei aspettata
di avere male da tutte
le parti, soprattutto al petto e alla testa,
invece mi sentivo… be'…
mi sentivo bene. Anzi, a dire il vero, mi
sentivo più che bene. Non
tossivo. Braccia e gambe erano
incredibilmente leggere, calde e
formicolanti, come se mi fossi appena
infilata in una calda vasca
idromassaggio in una sera gelida.
E allora?
La sorpresa mi fece aprire gli occhi. Mi
ritrovai a fissare una
luce che miracolosamente non mi dava
fastidio. A differenza
dell'accecante bagliore del sole, questa
era più simile a una
pioggerella di lumi di candela che
cadeva dall'alto. Mi misi a
sedere e mi accorsi che mi sbagliavo:
non era la luce che
scendeva, ero io che salivo!
Sto andando in Paradiso. Be', questo
sarà un bello shock per
qualcuno. Abbassai lo sguardo e vidi il
mio corpo! Io o lui o…
o… quello che era, giaceva
pericolosamente vicino al ciglio del
promontorio. Immobile. Aveva un taglio
sulla fronte che
sanguinava un sacco e il sangue
gocciolava in una fessura nel
terreno roccioso, creando un sentiero di
lacrime rosse che
cadevano nel cuore del promontorio.
Era stranissimo vedersi lì in basso. Non
avevo paura. Eppure
avrei dovuto, no? Questo non significava
che ero morta? Magari
adesso sarei stata in grado di vedere
meglio gli spiriti cherokee.
Nemmeno quel pensiero mi spaventava.
In realtà, mi sentivo più
come un osservatore, come se niente di
tutto ciò potesse toccarmi
davvero (più o meno come quelle
ragazze che fanno sesso con
tutti e pensano che a loro non capiti di
rimanere incinte o di
prendersi una malattia venerea di quelle
toste che ti mangiano il
cervello e il resto. Be', ci risentiamo tra
una decina d'anni e poi mi
dite, okay?)
Mi piaceva l'aspetto che aveva il
mondo, luccicante e nuovo,
ma era il mio corpo che continuava ad
attirare la mia attenzione.
Mi ci avvicinai fluttuando. Respiravo
con affanno, in piccoli,
rapidi sbuffi. O meglio, il mio corpo
stava respirando così, non la
me che ero io (tanto per fare un po' di
confusione coi pronomi). E
io/lui non aveva un bell'aspetto. Era
pallidissimo e con le labbra
blu. Ehi! Faccia bianca, labbra blu e
sangue rosso! Ammazza che
americana patriottica!
Risi, e fu una cosa incredibile. Giuro
che potevo vedere la
mia risata fluttuarmi intorno, come quei
semi che sembrano un
paracadute e si fanno volare soffiandoci
sopra, solo che, invece di
essere bianca, era di un azzurro glassada-torta-di-compleanno.
Wow! Chi l'avrebbe mai detto che
picchiare la testa e svenire
sarebbe stato tanto divertente? Mi chiesi
se era così che ci si
sentiva a sballare.
La risata di soffione alla glassa si
spense e udii il suono
cristallino dell'acqua che scorre. Mi
avvicinai al mio corpo e
scoprii che quella che all'inizio avevo
creduto essere una fessura in
realtà era uno stretto crepaccio. Il
rumore d'acqua proveniva da lì,
dalle profondità della terra. Incuriosita,
sbirciai giù e dall'interno
della roccia salì uno scintillante accenno
di parole d'argento. Mi
sforzai di ascoltare e venni premiata da
un flebile sussurro
argentino.
Zoey Redbird… vieni da me…
«Nonna!» strillai nella fenditura della
roccia. Le mie parole
erano di un viola intenso e riempivano
l'aria che mi circondava.
«Nonna, sei tu?»
Vieni da me…
L'argento si mescolò al viola della mia
voce visibile, facendo
diventare le parole del luminoso colore
dei fiori di lavanda. Era un
presagio! Un segno! Per qualche
ragione, come gli spiriti guida in
cui il popolo cherokee ha creduto per
secoli, nonna Redbird mi
stava dicendo che dovevo penetrare
nella roccia.
Senza ulteriori esitazioni, il mio spirito
entrò nel crepaccio
seguendo la traccia del sangue e
l'argenteo ricordo del sussurro
della nonna fino ad arrivare sul liscio
pavimento di una sorta di
grotta. Nel mezzo della caverna
gorgogliava un piccolo corso
d'acqua, che liberava nell'aria tintinnanti
schegge luminose di
suono visibile. Mischiandosi alle gocce
scarlatte del mio sangue,
illuminavano la grotta con una luce
guizzante del colore delle
foglie secche.
Avrei voluto sedermi accanto all'acqua e
sfiorare l'aria con le
dita per giocare con la struttura della
musica, ma la voce mi
chiamò di nuovo. Zoey Redbird…
seguimi verso il tuo destino…
Così seguii il richiamo lungo il ruscello.
La grotta si fece più
stretta, diventando una galleria
tondeggiante, che curvò e
procedette in una morbida spirale,
finché non terminò
bruscamente davanti a una parete
coperta di simboli incisi
dall'aspetto familiare e allo stesso
tempo sconosciuto. Confusa,
osservai il ruscello riversarsi in una
fenditura e scomparire alla
vista. E adesso? Avrei dovuto seguirlo?
Tornai a guardare il tunnel. Non c'era
niente a parte la luce
danzante. Spostai lo sguardo ancora
verso la parete e provai una
scossa elettrica. Cavolo! C'era una
donna seduta a gambe
incrociate! Indossava un vestito bianco
con le frange, i cui disegni
di perline ripetevano i simboli sulla
parete alle sue spalle. Era di
una bellezza incredibile, con lunghi
capelli lisci così neri da
sembrare che avessero dei riflessi blu e
viola, come le ali dei
corvi.
Le labbra piene s'incurvarono verso
l'alto quando iniziò a
parlare, riempiendo l'aria tra noi della
forza argentina della sua
voce. Tsi-lu-gi U-we-tsi a-ge-hu-tsa.
Benvenuta, figlia. Hai agito
bene.
Parlava cherokee e, anche se nell'ultimo
paio di anni non mi
ero esercitata molto in quella lingua, ero
riuscita a capirla. «Tu
non sei mia nonna!» sbottai, sentendomi
impacciata e spaesata
mentre le mie parole viola si univano
alle sue creando nell'aria
fantastici arabeschi color lavanda.
Il suo sorriso era come il sole nascente.
No, figlia, non lo
sono, ma conosco molto bene Sylvia
Redbird.
Presi un respiro profondo. «Sono
morta?»
Avevo paura che potesse ridere di me,
invece i suoi occhi
scuri si mostrarono dolci e premurosi.
No, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.
Sei ben lontana dall'essere morta,
anche se il tuo spirito è
temporaneamente libero di vagare nel
regno dei Nunne 'hi.
«Il popolo degli spiriti!» Mi guardai
intorno, nel tunnel,
cercando di vedere volti e forme
nell'ombra.
Tua nonna ti ha insegnato bene, u-s-ti
Do-tsu-wa… piccola
Redbird, uccellino rosso. Sei un
miscuglio unico delle Antiche
Usanze e del Nuovo Mondo, dell'antico
sangue tribale e del
battito pulsante dei profani.
Le sue parole mi fecero provare caldo e
freddo allo stesso
tempo. «Chi sei?»
Sono conosciuta con molti nomi… La
Donna che si
Trasforma, Gea, A'akuluujjusi, Kuan
Yin, Nonna Ragno e anche
Alba… Mentre pronunciava ciascun
nome, il suo volto si
trasformava.
Quella dimostrazione di forza e di
potere mi fece girare la
testa.
Evidentemente se ne accorse perché
s'interruppe e mi rivolse
di nuovo il suo splendido sorriso, quindi
il suo viso tornò a essere
quello della donna che avevo visto
all'inizio. Ma tu, Zoeyhird,
figlia mia, puoi chiamarmi col nome
con cui oggi il mondo mi
conosce, Nyx.
«Nyx.» La mia voce era poco più che un
sussurro. «La dea
dei vampiri?»
In verità, furono gli antichi greci
toccati dalla
Trasformazione i primi a adorarmi
come la madre che cercavano
all'interno della loro notte infinita. Per
molti anni mi sono
compiaciuta di considerare i loro
discendenti come figli. E, sì, nel
tuo mondo questi miei figli sono detti
vampiri. Accetta questo
nome, U-we-tsi a-ge-hu-tsa; in esso
troverai il tuo destino.
Sentivo il Marchio sulla fronte bruciare
e tutto d'un tratto mi
venne voglia di piangere. «Io… io non
capisco. Devo trovare il
mio destino? A me basta trovare un
modo per affrontare la mia
nuova vita, per rendere okay tutto
questo. Dea, io voglio soltanto
integrarmi, sentirmi parte di qualcosa.
Non credo di essere in
grado di trovare il mio destino.»
Il viso di Nyx si addolcì ancora e,
quando parlò, la sua voce
era come quella di mia madre, solo
più… insomma, come se le sue
parole fossero intrise di tutto l'amore
materno del mondo. Credi in
te stessa, Zoey Redbird. Ti ho Segnata
come mia. Tu sarai la mia
prima vera U-we-tsi a-ge-hu-tsa v-hnai Sv-no-yi… Figlia della
Notte… in questo tempo. Tu sei
speciale. Accetta questo lato di te
e comincerai a capire che la tua vera
forza risiede nel tuo essere
unica. In te si combina il magico
sangue delle antiche Sapienti e
degli Anziani, oltre alla percezione e
alla comprensione del
mondo moderno. La Dea si alzò e con
estrema grazia venne verso
di me, la sua voce dipingeva nell'aria
argentei simboli di potere.
Quando mi raggiunse, mi asciugò le
lacrime, prima di prendere il
mio viso tra le mani. Zoey Redbird,
Piglia della Notte, ti nomino
miei occhi e mie orecchie nel mondo di
oggi, un mondo in cui
bene e male lottano per trovare un
equilibrio.
«Ma ho sedici anni! Non so neanche
parcheggiare dritto!
Come posso essere i tuoi occhi e le tue
orecchie?»
Lei si limitò a sorridere serena. Tu sei
più grande della tua
età, Zoeybird. Credi in te stessa e
troverai un modo. Ma ricorda:
non sempre l'oscurità s'identifica col
male, proprio come la luce
non sempre conduce al bene.
Quindi la Dea Nyx, l'antica
personificazione della Notte, si
chinò a baciarmi sulla fronte. E, per la
terza volta quel giorno,
svenni.
6
Bellezza, guarda la nuvola, la nuvola
appare. Bellezza,
guarda la pioggia, la pioggia si
avvicina…
Le parole della vecchia canzone mi
fluttuarono nella
mente. Si vede che stavo sognando
ancora nonna Redbird.
Questo mi fece sentire felice, al caldo e
al sicuro, sensazione
particolarmente piacevole dato che,
negli ultimi tempi, mi
ero sentita davvero da schifo… solo che
non riuscivo a
ricordare con esattezza perché. Oh.
Strano.
Chi ha parlato?
La piccola farfallina del mais,
lassù in cima allo stelo…
Il canto della nonna continuava e io mi
rannicchiai sul
fianco, sospirando mentre strofinavo la
guancia contro il
cuscino morbido. Purtroppo, muovere la
testa mi fece
scoppiare un dolore terribile all'altezza
delle tempie che,
come una pallottola sparata attraverso
una lastra di vetro,
mandò in frantumi la mia felicità
lasciando che il ricordo
della giornata appena trascorsa mi
sommergesse.
Mi stavo trasformando in un vampiro.
Ero scappata di casa.
Avevo avuto un incidente e una sorta di
strana
esperienza premorte.
Mi stavo trasformando in un vampiro.
Oh. Mio. Dio.
Ragazzi, se mi faceva male la testa.
«Zoeybird! Sei sveglia, bambina?»
Sbattei le palpebre per consentire ai
miei occhi annebbiati di
vedere nonna Redbird seduta su una
seggiolina accanto al mio
letto.
«Nonna!» gracchiai, allungandomi a
prenderle la mano. La
mia voce aveva un suono tanto orribile
almeno quanto si sentiva la
mia testa. «Cos'è successo? Dove
sono?»
«Sei al sicuro, uccellino mio. Sei al
sicuro.»
«Mi fa male la testa.» Portai la mano
dove mi sentivo tirare e
bruciare e trovai dei punti.
«Più che logico. Mi hai fatta invecchiare
di dieci anni per lo
spavento.» La nonna mi massaggiò
dolcemente il dorso della
mano. «Tutto quel sangue…»
Rabbrividì, quindi scosse il capo e
mi sorrise. «Che ne diresti di
promettermi di non farlo mai più?»
«Prometto. E così mi hai trovata…»
«Priva di sensi e in una pozza di sangue,
uccellino mio.» La
nonna mi scostò i capelli dalla fronte,
indugiando con delicatezza
sul mio Marchio. «E così pallida che la
mezzaluna scura sembrava
splendere, tanto era in contrasto con la
pelle. Sapevo che era
necessario portarti alla Casa della
Notte, ed è quello che ho fatto.»
Ridacchiò e la luce birichina negli occhi
la fece sembrare una
ragazzina. «Ho chiamato tua madre e le
ho detto che ti stavo
portando alla Casa della Notte, poi ho
finto che mi si stesse
scaricando il cellulare per poter
chiudere la conversazione. Temo
non sia contenta di nessuna di noi due.»
Risposi al suo sorriso. Hi hi, mamma
era arrabbiata anche
con lei.
«Ma, Zoey, cosa facevi in giro di
giorno? E perché non mi
hai detto prima che eri stata Segnata?»
Mi misi a sedere con fatica, gemendo
per il dolore alla testa.
Perlomeno, però, sembrava che avessi
smesso di tossire.
Dev'essere perché finalmente sono
davvero qui, alla Casa della
Notte… Ma il pensiero scomparve dalla
mente non appena
elaborai le parole della nonna. «Aspetta,
non potevo dirtelo prima,
perché il Rintracciatore è venuto a
scuola e mi ha Segnata soltanto
oggi. Poi sono andata a casa. Speravo
davvero che la mamma
avrebbe capito e sarebbe stata dalla mia
parte.» M'interruppi,
ricordando di nuovo l'orribile scena coi
miei genitori.
La nonna capiva benissimo e mi strinse
la mano.
«In pratica lei e John mi hanno chiusa in
camera mentre
chiamavano il loro strizzacervelli e
iniziavano la catena di
preghiera.»
La nonna fece una smorfia.
«Quindi sono strisciata fuori della
finestra per venire dritto
da te», conclusi.
«Sono felice che tu l'abbia fatto,
Zoeybird, ma questo non ha
senso.»
Sospirai. «Lo so. Neanch'io riesco a
credere di essere stata
Segnata. Perché io?»
«Non è quello che intendevo, bambina.
Non mi sorprende
affatto che tu sia stata Rintracciata e
Segnata. Nel sangue dei
Redbird scorre da sempre una forte
magia; era solo una questione
di tempo prima che uno di noi venisse
Scelto. Quello che
intendevo è che non ha senso che tu sia
appena stata Segnata. La
mezzaluna non è solo un contorno, è già
completa.»
«È impossibile!»
«Guarda da te, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.»
Usò il termine cherokee per figlia,
facendomi ricordare di
colpo della misteriosa Dea antica.
La nonna cercò nella borsetta il
portacipria d'argento che
aveva sempre con sé e, senza aggiungere
altro, me lo tese.
Feci scattare la piccola chiusura e
l'oggetto si aprì
mostrandomi il mio riflesso… la
sconosciuta dall'aria familiare…
la me che non ero proprio io. Aveva gli
occhi enormi e la pelle
troppo bianca, ma di quello mi accorsi a
malapena. Era dal
Marchio che non riuscivo a staccare gli
occhi, il Marchio che
adesso era una mezzaluna completa, i
bordi riempiti alla
perfezione dal caratteristico blu zaffiro
dei tatuaggi dei vampiri.
Con la sensazione di trovarmi ancora in
un sogno, allungai la
mano per seguire il contorno del disegno
dall'aria esotica e mi
parve di sentire ancora le labbra della
Dea sulla pelle.
«Cosa significa?», chiesi, incapace di
distogliere lo sguardo.
«Speravamo che avresti avuto tu una
risposta a questa
domanda, Zoey Redbird.» Aveva una
voce incredibile. Anche
prima di alzare gli occhi dal mio
riflesso sapevo che sarebbe stata
unica e splendida. Avevo ragione. Era
bella come una diva del
cinema, bella come Barbie. Non avevo
mai visto niente del genere
da vicino. Aveva grandissimi occhi a
mandorla di un intenso verde
muschio. Il viso era un cuore quasi
perfetto e la pelle aveva quella
cremosa compattezza priva del minimo
difetto che si vede in TV. I
capelli erano rosso scuro, non l'orribile
rosso-carota-tendenteall'arancio, né lo slavato biondo
rossiccio, ma un caldo e lucido
color rame che ricadeva in folte onde
fino a ben sotto le spalle. E
il suo fisico era… be', perfetto. Non era
magra come quelle
ragazze strampalate che vomitavano e
facevano la fame per
cercare di raggiungere quello che
pensavano fosse lo chic di Paris
Hilton («Questo è fiiigo!» Sì, certo,
Paris, se lo dici tu), il corpo di
quella donna era perfetto perché era
forte ma tutto curve. E aveva
delle grandi tette (come mi piacerebbe
avere le tette grandi!)
«Eh?» replicai come una babba.
La donna mi sorrise mostrando denti
straordinariamente
bianchi e dritti… e senza canini
sporgenti. Oh, suppongo di
essermi dimenticata di dire che a tutta
quella perfezione si
aggiungeva una mezzaluna color zaffiro
accuratamente tatuata al
centro della fronte, da cui partivano
delle linee sinuose che mi
ricordarono le onde dell'oceano e che
andavano a incorniciarle le
sopracciglia per poi estendersi fino agli
zigomi, che erano alti,
naturalmente.
Era un vampiro.
«Ho detto che speravamo avessi tu una
spiegazione riguardo
al fatto che una vampira novizia che non
si è ancora Trasformata
abbia sulla fronte il Marchio di un
adulto.»
Senza il sorriso e la nota di ansia nella
voce, le sue parole
sarebbero sembrate brusche. Invece, il
tono risultò preoccupato e
un po' confuso.
«Allora non sono un vampiro?» sbottai.
La sua risata era una musica. «Non
ancora, Zoey, ma direi
che l'avere il Marchio già completo sia
di ottimo auspicio.»
«Oh… io… cioè, bene. Questo è un
bene», farfugliai.
Per fortuna la nonna mi salvò
dall'umiliazione più totale.
«Zoey, lei è Neferet, Somma
Sacerdotessa della Casa della Notte.
Si è presa buona cura di te mentre
eri…» La nonna s'interruppe,
non volendo evidentemente pronunciare
la parola «svenuta». «…
Mentre dormivi.»
«Benvenuta nella Casa della Notte, Zoey
Redbird», disse con
calore Neferet.
Guardai la nonna, poi tornai a fissare
Neferet. Sentendomi
molto più che persa balbettai: «Io non…
non mi chiamo proprio
così. Il mio cognome è Montgomery».
«Davvero?» Neferet inarcò le
sopracciglia color ambra. «Uno
dei vantaggi dell'incominciare una nuova
vita consiste
nell'opportunità di ripartire daccapo, di
compiere scelte che prima
non erano possibili. Se potessi
scegliere, come ti chiameresti?»
«Zoey Redbird», replicai senza esitare.
«Allora da questo momento sarai Zoey
Redbird. Benvenuta
alla tua nuova vita.» Allungò la mano
come volesse stringere la
mia, che le tesi automaticamente, ma,
invece di afferrarla, mi
afferrò l'avambraccio, un gesto insolito,
che però non so come
sembrava appropriato.
La sua stretta era calda e forte, il suo
sorriso un luminoso
benvenuto. Era incredibile e solenne. In
verità, era quello che sono
tutti i vampiri, cioè più che umana: più
forte, più intelligente, più
dotata. Sembrava che qualcuno avesse
acceso una luce accecante
dentro di lei, descrizione decisamente
ironica, mi rendo conto,
considerando gli stereotipi relativi ai
vampiri (alcuni dei quali
ormai sapevo essere assolutamente
veri): evitano la luce del sole,
sono più forti di notte, devono bere
sangue per sopravvivere (iiih!)
e venerano una dea nota come la
personificazione della Notte.
«Gra-grazie. È un piacere conoscerla»,
dissi, cercando con un
certo brio di sembrare quantomeno
semi-intelligente e normale.
«Come stavo dicendo a tua nonna,
nessun novizio era mai
arrivato da noi in modo così poco
usuale: privo di sensi e col
Marchio completo. Ricordi cosa ti è
successo, Zoey?»
Aprii la bocca per dirle che ricordavo
tutto benissimo: la
caduta e la ferita alla testa, il vedere me
stessa come se fossi stata
uno spirito fluttuante, le parole
insolitamente visibili che avevo
seguito fino alla grotta, infine l'incontro
con la Dea Nyx. Ma,
prima che potessi parlare, provai una
strana sensazione, come se
qualcuno mi avesse colpita allo
stomaco. Era chiara e precisa, e mi
diceva di stare zitta. «Io… io a dire il
vero non ricordo molto…»
M'interruppi e le mie dita trovarono la
parte dolente dove
sporgevano i punti. «Almeno non dopo
che ho battuto la testa.
Cioè, di quello che è successo prima
ricordo tutto: il
Rintracciatore mi ha Segnata; l'ho detto
ai miei genitori e ho avuto
una mega discussione con loro; poi sono
scappata da mia nonna.
Mi sentivo proprio male, perciò, quando
mi sono arrampicata sul
sentiero che porta al promontorio…»
Ricordavo anche il resto –
tutto il resto – gli spiriti del popolo
cherokee, i balli e il fuoco
dell'accampamento.
Sta' zitta! mi urlava la sensazione.
«… Io, be', immagino di essere
scivolata perché tossivo da
matti e ho picchiato la testa. La cosa
successiva che ricordo è
nonna Redbird che canta e poi mi sono
svegliata qui.» Finii in
fretta. Volevo distogliere lo sguardo da
quei penetranti occhi
verdi, ma la stessa sensazione che mi
ordinava di tenere la bocca
chiusa mi stava anche dicendo
chiaramente che dovevo mantenere
il contatto visivo, che dovevo sforzarmi
di dare l'impressione di
non stare nascondendo niente, anche se
non avevo idea del perché
stessi nascondendo qualcosa.
«È normale perdere la memoria con una
ferita alla testa»,
intervenne pratica la nonna, spezzando il
silenzio.
L'avrei baciata.
«Sì, certo, è così», si affrettò a dire
Neferet, il viso che
perdeva ogni traccia di durezza. «Non
deve temere per la salute di
sua nipote, Sylvia Redbird. Starà
benissimo.»
Aveva parlato alla nonna con rispetto e
parte della tensione
che provavo si affievolì. Se le piaceva
nonna Red-bird, doveva
essere una persona okay, o vampira o
quello che è. Giusto?
Neferet sorrise. «Come sono certa
sappia già, anche i vampiri
novizi hanno speciali capacità di
ripresa. La sua guarigione sta
procedendo talmente bene che può già
lasciare l'infermeria.» Il suo
sguardo passò dalla nonna a me. «Zoey,
ti andrebbe di conoscere
la tua nuova compagna di stanza?»
No. Deglutii con forza e annuii.
«Eccellente!» commentò Neferet. Per
fortuna ignorò il fatto
che me ne stavo in piedi sorridendo
come uno stupido nano da
giardino.
«È certa che non sia meglio tenerla qui
in osservazione
ancora un po'?» chiese la nonna.
«Comprendo la sua preoccupazione, ma
le assicuro che le
ferite fisiche di Zoey stanno già
guarendo con una rapidità che
troverebbe straordinaria.»
Mi sorrise di nuovo e, anche se ero
spaventata e nervosa e
giusto un pochino paranoica, risposi al
sorriso. Sembrava fosse
davvero contenta che io fossi lì e, a
dirla tutta, mi fece pensare che
trasformarsi in vampiro non fosse poi
una cosa tanto brutta. «Sto
bene, nonna. Sul serio. La testa mi fa
ancora un po' male, ma poco,
e il resto va molto meglio.» Mentre lo
dicevo, mi resi conto che
era vero. Avevo del tutto smesso di
tossire. I muscoli non mi
facevano più male. A parte il leggero
dolore causato dalla ferita,
mi sentivo perfettamente normale.
Poi Neferet fece una cosa che non solo
mi stupì, ma che me
la fece piacere all'istante e… fece sì che
iniziassi a fidarmi di lei.
Si avvicinò alla nonna e le parlò con
lentezza e grande cura.
«Sylvia Redbird, le giuro solennemente
che qui sua nipote è al
sicuro. Ogni novizio è affiancato da un
mentore adulto e, per
rassicurarla sul mio giuramento, quello
di Zoey sarò io. Ora però
deve affidarla a me.» Neferet si portò il
pugno sul cuore e fece un
inchino formale.
La nonna esitò solo un istante prima di
risponderle: «Farò
conto sul mantenimento del giuramento,
Neferet, Somma
Sacerdotessa di Nyx». Poi anche lei si
mise il pugno sul cuore e
s'inchinò davanti a Neferet prima di
voltarsi verso di me e
abbracciarmi forte. «Chiamami, se hai
bisogno di me, Zoeybird.
Ti voglio bene.»
«Lo farò, nonna. Ti voglio bene anch'io.
E grazie di avermi
portata qui», mormorai, respirando il
suo familiare profumo di
lavanda e cercando di non piangere.
Lei mi baciò sulla guancia, quindi, col
suo passo rapido e
sicuro, uscì dalla stanza lasciandomi per
la prima volta in vita mia
sola con un vampiro.
«Bene, Zoey, sei pronta a iniziare la tua
nuova vita?»
Alzai lo sguardo verso di lei e pensai di
nuovo che era
davvero stupenda. Se mi fossi
Trasformata in vampiro, avrei avuto
anch'io la sua sicurezza e il suo potere, o
era qualcosa che avevano
solo le Somme Sacerdotesse? Per un
istante mi passò nella mente
l'idea che essere Somma Sacerdotessa
sarebbe stato proprio
magnifico. Poi recuperai la sanità
mentale. Ero solo una ragazzina.
E confusa, per giunta, di certo non avevo
la stoffa per diventare
Somma Sacerdotessa. Volevo solo
capire come fare a integrarmi
in quel posto e Neferet aveva senza
dubbio fatto sembrare più
facile da sopportare quello che mi stava
succedendo. «Sì, sono
pronta.» Ero felice che suonasse più
deciso di quanto mi sentissi in
realtà.
7
«Che ore sono?»
Stavamo camminando lungo uno stretto
corridoio che
curvava dolcemente, le cui pareti erano
fatte con un insolito misto
di pietra scura e mattoni a vista. Di
quando in quando, delle luci a
gas che pendevano da candelieri di ferro
nero dall'aria antica
emettevano un morbido bagliore giallo,
che per fortuna non mi
dava alcun fastidio agli occhi. Nel
corridoio non c'erano finestre e
non incontrammo nessuno (anche se
continuavo a guardarmi
nervosamente intorno, immaginando
come sarebbe stato vedere
per la prima volta dei ragazzi vampiro).
«Sono quasi le quattro del mattino, il
che significa che le
lezioni sono terminate da circa un'ora»,
rispose Neferet, quindi
sorrise leggermente di fronte alla mia
espressione che doveva
essere d'istupidimento totale. Spiegò:
«Le lezioni iniziano alle
venti e si concludono alle tre del
mattino. Gli insegnanti sono a
disposizione degli studenti fino alle tre e
trenta. La palestra è
aperta fino all'alba. Non appena avrai
completato la
Trasformazione, saprai sempre con
esattezza quando si verifica;
fino ad allora, troverai l'orario del levar
del sole chiaramente
esposto in tutte le aule, stanze comuni e
aree di aggregazione,
incluse sala da pranzo, biblioteca e
palestra. Naturalmente il
tempio di Nyx è aperto a tutte le ore, ma
i riti formali si tengono
due volte a settimana appena dopo la
scuola.
Il prossimo è domani». Mi guardò e il
sorriso si fece più
caloroso. «Adesso ti sembra
sconvolgente, ma ti ci abituerai
presto. La tua compagna di stanza ti
aiuterà, e anch'io.»
Stavo giusto per aprire bocca e farle
un'altra domanda,
quando all'improvviso una palla di pelo
color arancio spuntò in
corridoio e, senza il minimo rumore, le
si lanciò in braccio.
Io sobbalzai e credo di aver persino
fatto un gridolino idiota,
per poi sentirmi un'imbecille totale
quando vidi che la palla di pelo
non era uno spettro volante o roba
simile, ma un enorme gattone.
Neferet rise e diede una grattatina dietro
le orecchie del
micio. «Zoey, questo è Skylar. Ha
l'abitudine di aggirarsi da
queste parti in attesa di lanciarsi su di
me.»
«È il gatto più grande che abbia mai
visto», commentai,
allungando la mano per lasciare che mi
annusasse.
«Attenta, morde.»
Prima che potessi mettere al sicuro le
dita, Skylar ci strofinò
contro il muso. Trattenni il fiato.
Neferet inclinò la testa di lato, come
ascoltasse il vento. «Gli
piaci, questo è davvero insolito. A lui
non piace nessuno tranne
me. Tiene persino lontani gli altri gatti
da questa zona del campus.
È un vero tipaccio!» commentò con
affetto.
Con infinita attenzione accarezzai Skylar
tra le orecchie,
come aveva fatto Neferet. «Mi
piacciono i gatti. Ne avevo uno, ma
quando mia mamma si è risposata ho
dovuto portarlo
all'associazione Gatti di Strada perché
fosse adottato. A John, il
suo nuovo marito, i gatti non piacciono.»
«Ho scoperto che l'atteggiamento delle
persone nei confronti
dei gatti – e quello che hanno loro nei
confronti delle persone – di
solito è un ottimo metro di giudizio per
valutarne il carattere.»
Spostai lo sguardo da Skylar a Neferet e
lessi nei suoi occhi
verdi che capiva molto di più riguardo
ai rapporti familiari di
quanto non dicesse. Questo me la fece
sentire vicina e
automaticamente mi rilassai un po'. «Ci
sono molti gatti qui?»
«Oh, sì! I gatti sono da sempre stretti
alleati dei vampiri.»
Okay, in realtà quello già lo sapevo. A
Storia Mondiale, con
Mr Shaddox (meglio noto come Puff
Shaddy, ma non diteglielo)
avevamo imparato che, in passato, i gatti
venivano uccisi perché si
credeva che in qualche modo
trasformassero le persone in vampiri.
Già, certo, tanto per non essere
ridicoli. Ulteriore riprova
della stupidità degli umani… Il
pensiero mi spuntò nel cervello
lasciandomi stupefatta dalla facilità con
cui avevo cominciato a
considerare le persone «normali» degli
«umani», e per questo
diverse da me. «Pensa che potrei avere
un gatto?» chiesi.
«Se uno ti sceglie, gli o le apparterrai.»
«Se mi sceglie?»
Neferet sorrise e accarezzò Skylar, che
chiuse gli occhi e si
mise a fare rumorosamente le fusa.
«Sono i gatti a sceglierci; noi
non ne siamo i padroni.»
Come se volesse dimostrarlo, Skylar
saltò giù dalle sue
braccia e, con un presuntuoso colpo di
coda, sparì lungo il
corridoio.
Neferet rise. «È davvero terribile, ma io
lo adoro. Penso che
sarebbe così anche se lui non fosse parte
del dono che mi ha fatto
Nyx.»
«Dono? Skylar è un regalo della Dea?»
«In un certo senso, sì. La Dea dà a ogni
Somma Sacerdotessa
un'affinità, ciò che probabilmente
chiameresti poteri speciali. In
parte è così che riconosciamo le Somme
Sacerdotesse. Queste
affinità possono corrispondere a inusuali
capacità cognitive, come
leggere il pensiero o avere visioni in
grado di predire il futuro.
Oppure può trattarsi di un legame con
qualcosa del mondo fisico,
come un rapporto speciale con uno dei
quattro elementi o con gli
animali. Io possiedo due doni della Dea.
La mia affinità principale
è coi gatti; con loro ho un rapporto
insolito persino per un
vampiro. Ma Nyx mi ha anche dato
inusuali poteri curativi.»
Sorrise. «È per questo che so che tu stai
guarendo molto bene, me
lo dice il mio dono.»
«Wow, è incredibile», fu tutto quello che
riuscii a dire. La
testa mi girava ancora per i fatti del
giorno prima.
«Vieni, andiamo nella tua stanza. Sono
sicura che sarai
affamata e stanca. Si cena tra…» Neferet
inclinò la testa di lato
come se qualcuno le stesse suggerendo
la risposta. «… un'ora.» Mi
rivolse un sorriso d'intesa. «I vampiri
sanno sempre che ora è.»
«Anche questo è fantastico!»
«Questo, mia cara novizia, è soltanto la
punta dell'iceberg
delle cose fantastiche.»
Mi augurai che la sua analogia non
avesse a che vedere con
disastri tipo quello del Titanic. Mentre
continuavamo lungo il
corridoio e io pensavo all'orario e a un
sacco di altre cose, mi
ricordai della domanda che volevo farle
quando Skylar aveva
interrotto il fragilissimo filo dei miei
pensieri. «Scusi un attimo.
Ha detto che le lezioni iniziano alle otto
di sera?» Okay, di solito
non sono così bradipo, ma alcuni aspetti
della questione mi
risultavano ostici come se avesse
parlato in una lingua straniera.
Facevo una gran fatica a capire.
«Se ti soffermi un momento a riflettere,
ti renderai conto che
tenere le lezioni di notte è più che
logico. Naturalmente saprai che
i vampiri, adulti o novizi, non esplodono
né fanno le cose assurde
che s'inventano gli umani, se
direttamente esposti ai raggi del sole,
ma per noi è una condizione disagevole.
Non ti dava già fastidio il
sole oggi?»
Annuii. «E i miei Maui Jim servivano a
poco.» Quindi,
sentendomi di nuovo una cretina,
aggiunsi in tutta fretta: «Mmm, i
Maui Jim sono occhiali da sole».
«Sì, Zoey», replicò con pazienza
Neferet. «Conosco gli
occhiali da sole. E molto bene anche.»
«Oddio, mi scusi, io…» M'interruppi,
chiedendomi se fosse o
no corretto dire «Dio». Era forse
un'offesa per Neferet, una
Somma Sacerdotessa che portava con
tanto orgoglio il Marchio
della Dea? Diavolo, magari offendeva
Nyx? Oddio! E dire
«diavolo»? Assieme a «cavolo» era la
mia imprecazione preferita
(okay, in realtà era l'unica imprecazione
che usassi regolarmente).
Potevo dirlo ancora? Il Popolo della
Fede predicava che i vampiri
veneravano una falsa dea e che si
trattava di esseri egoisti e
tenebrosi che non pensavano ad altro
che ai soldi, al piacere e a
bere sangue e di sicuro sarebbero andati
dritti all'inferno, dunque
forse questo significava che dovevo fare
attenzione a come e
quando usavo…
«Zoey.»
Alzai lo sguardo e vidi che Neferet mi
fissava con aria
preoccupata, quindi mi resi conto che
probabilmente aveva cercato
di attirare la mia attenzione mentre ero
in preda a farneticazioni
mentali. «Mi scusi», ripetei.
«Zoey, smetti di scusarti. E ricordati che
qui abbiamo avuto
tutti la tua stessa esperienza. È stata una
cosa nuova per ciascuno
di noi, all'inizio. Sappiamo come ci si
sente, con la paura per la
Trasformazione e lo shock nel vedersi
cambiare la vita in modo
imprevedibile e sconosciuto.»
«Senza poter controllare niente di tutto
ciò», aggiunsi pacata.
«Certo, anche quello. Non sarà così
complicato per sempre.
Quando sarai un vampiro adulto, la vita
sembrerà appartenerti di
nuovo. Farai le tue scelte, seguirai la tua
strada andando dove il
cuore, l'anima e il talento ti porteranno.»
«Sempre che io diventi un vampiro
adulto.»
«Lo diventerai, Zoey.»
«Come può esserne tanto sicura?»
Lo sguardo di Neferet trovò il Marchio
completo sulla mia
fronte. «Nyx ti ha scelta. Ancora non
sappiamo per cosa, ma il suo
Marchio è stato apposto su di te con
molta chiarezza. Non ti
avrebbe toccata per poi vederti cadere.»
Ricordai le parole della Dea – Zoey
Redbird, Figlia della
Notte, ti nomino miei occhi e mie
orecchie nel mondo di oggi, un
mondo in cui bene e male lottano per
trovare un equilibrio – e
distolsi lo sguardo da quello penetrante
di Neferet, desiderando
disperatamente sapere perché l'istinto
continuava a dirmi di tenere
la bocca chiusa riguardo all'incontro con
la Dea. «È che… è che
sono successe tante cose in un giorno
solo.»
«Senza dubbio, soprattutto essendo a
stomaco vuoto.»
Avevamo ripreso a camminare, quando
lo squillo di un
telefonino mi fece saltare per aria.
Neferet sospirò e mi sorrise con
aria di scusa, quindi si tolse di tasca un
piccolo cellulare.
«Neferet», rispose. Ascoltò un istante e
la vidi corrugare la fronte
e socchiudere gli occhi. «No, hai fatto
bene a chiamarmi. Torno
subito a darle un'occhiata.» Dopo di che
richiuse il telefono.
«Scusami, Zoey. Oggi una delle novizie
si è rotta una gamba e
sembra avere problemi a riposare,
quindi devo tornare a vedere
che vada tutto bene. Perché non segui il
corridoio tenendoti sulla
sinistra fino a che non arrivi al portone
principale? Non ti puoi
sbagliare, perché è grande e di legno,
molto antico. Appena fuori
c'è una panchina di pietra. Puoi
aspettarmi lì. Non ci metterò
molto.»
«Okay, non c'è problema.» Non avevo
neanche finito di
parlare che Neferet era già sparita lungo
il corridoio sinuoso.
Sospirai. Non mi piaceva l'idea di
restare da sola in un posto
pieno di vampiri e di ragazzi vampiri e,
adesso che Neferet se ne
era andata, quelle luci tremolanti non
sembravano poi tanto
simpatiche e creavano ombre
preoccupanti sulle vecchie pareti di
pietra.
Decisa a non andare in paranoia, ripresi
a camminare e ben
presto cominciai quasi a desiderare
d'incontrare qualcuno (anche
se vampiro). C'era troppo silenzio. E
faceva venire i brividi. Un
paio di volte il corridoio si biforcò a
destra, ma, seguendo le
indicazioni di Neferet, continuai a tenere
la sinistra. A dire il vero,
tenevo gli occhi fissi a sinistra anche
perché i corridoi che
partivano da quello in cui mi trovavo io
in pratica non erano
illuminati.
Purtroppo, alla successiva biforcazione,
non tenni gli occhi
puntati dall'altra parte. Okay, un motivo
c'era. Avevo sentito
qualcosa. Per essere più precisa, avevo
udito una risata. La bassa
risata di una ragazza che per qualche
motivo mi aveva fatto
accapponare la pelle. E mi aveva fatto
anche fermare. Sbirciai nel
corridoio e mi sembrò di vedere un
movimento nell'oscurità.
Zoey… Il mio nome proveniva dalle
ombre, in un bisbiglio.
Sbattei le palpebre per la sorpresa.
L'avevo sentito davvero o
m'immaginavo le cose? La voce era
quasi familiare. Che fosse
ancora Nyx? Che la Dea mi stesse
chiamando? Impaurita e allo
stesso tempo curiosa, trattenni il fiato e
feci qualche passo nel
corridoio laterale.
Mentre superavo la leggera curva, vidi
qualcosa davanti a me
che mi fece bloccare e automaticamente
spiaccicare contro il
muro. In una piccola nicchia poco
distante c'erano due persone.
All'inizio il mio cervello non riuscì a
elaborare quello che vedevo,
poi, di colpo, capii benissimo.
Me ne sarei dovuta andare in quel
momento. Me ne sarei
dovuta tornare indietro zitta zitta
cercando di non pensare a quello
che avevo visto. Ma non feci nessuna di
queste due cose. Era
come se all'improvviso i miei piedi
fossero diventati talmente
pesanti da non riuscire a sollevarli.
Tutto quello che riuscivo a fare
era starmene lì a guardare.
L'uomo – poi, con un ulteriore shock, mi
resi conto che non
era un uomo ma un ragazzo, più vecchio
di me al massimo di un
paio d'anni – era in piedi con la schiena
contro la parete della
nicchia. Aveva la testa piegata
all'indietro e respirava forte. Aveva
il viso in ombra, ma, anche se lo si
poteva intravedere a malapena,
capivo che era bello. Poi un'altra
risatina roca mi fece spostare lo
sguardo più in basso.
Lei era in ginocchio davanti a lui, e tutto
quello che riuscivo
a vedere erano i capelli biondi. Ce
n'erano così tanti che sembrava
quasi indossasse una sorta di velo
antico. Poi le sue mani si
mossero verso l'alto, scorrendo sulle
cosce del ragazzo.
Vai! Mi gridò il cervello. Vattene via di
qui!
Cominciai a fare un passo indietro, ma
la voce di lui mi gelò.
«Fermati!»
Sgranai gli occhi perché per un istante
pensai parlasse con
me.
«Non vuoi davvero che mi fermi.»
Quasi mi girava la testa per il sollievo
quando parlò la
ragazza. Si era rivolto a lei, non a me.
Nemmeno sapevano che
fossi lì.
«Sì che lo voglio.» Sembrava che
pronunciasse le parole a
denti stretti. «Alzati.»
«Ti piace… lo sai che ti piace. Proprio
come sai di volermi
ancora.» La voce di lei era roca e
cercava di essere sexy, ma non
riusciva a nascondere il piagnucolio.
Sembrava disperata. Osservai
le sue dita muoversi e sbarrai gli occhi
quando fece correre
l'unghia dell'indice lungo la coscia di
lui. Sembra incredibile, ma
tagliò i jeans come fosse un coltello e
apparve una striscia di
sangue fresco, sorprendente nel suo
rosso liquido.
Non volevo che succedesse e la cosa mi
disgustò moltissimo,
ma la vista del sangue mi fece venire
l'acquolina in bocca.
«No!» sbottò lui, mettendole le mani
sulle spalle e cercando
di togliersela di dosso.
«Oh, piantala di fingere», rise di nuovo
la ragazza, con un
tono meschino e sarcastico. «Lo sai che
staremo sempre insieme.»
Si allungò a leccare la striscia di
sangue.
Rabbrividii; a dispetto della mia
volontà, ero affascinata.
«Falla finita!» Lui continuava ancora a
spingerla per le
spalle. «Non voglio farti del male ma
stai cominciando veramente
a farmi incazzare. Perché non vuoi
capire? Noi non lo facciamo
più. Io non ti voglio.»
«Oh, sì che mi vuoi! Tu mi vorrai
sempre!» Gli aprì la lampo
dei pantaloni.
Non dovrei essere qui. Non dovrei
vederlo. Staccai gli occhi
dalla coscia che sanguinava e feci un
passo indietro.
Il ragazzo alzò gli occhi. E mi vide.
A quel punto successe una cosa davvero
bizzarra. Sentivo il
suo tocco attraverso lo sguardo. Non
riuscivo a smettere di
guardarlo. La ragazza di fronte a lui
sembrò sparire, e nel
corridoio non ci fu altro che lui, io e il
dolce, meraviglioso
profumo del suo sangue.
«Non mi vuoi? Be', in questo momento
non si direbbe
proprio», disse lei con una sorta di
sgradevole fusa.
Sentii che la mia testa cominciava ad
agitarsi avanti e
indietro, avanti e indietro, e in quello
stesso momento lui gridò:
«No!» e cercò di liberarsi di lei per
poter venire verso di me.
Strappai gli occhi dai suoi e barcollai.
«No!» ripetè il ragazzo. Stavolta sapevo
che parlava con me
e non con lei.
E doveva essersene accorta anche la
ragazza, perché, con un
grido che somigliava in modo
preoccupante al ringhio di un
animale selvatico, cominciò a girarsi.
Mi scongelai all'istante, mi voltai di
scatto e mi misi a correre
nel corridoio, tornando indietro.
Mi aspettavo che mi seguissero, quindi
continuai a correre
finché non raggiunsi il portone antico
che mi aveva descritto
Neferet e mi ci appoggiai nel tentativo
di riprendere il controllo
del respiro in modo da poter sentire il
rumore di passi di corsa.
Cos'avrei fatto se mi avessero inseguita
davvero? La testa mi
faceva di nuovo un gran male, mi sentivo
debole e con una paura
folle. Oltre che assolutamente,
completamente disgustata.
Sì, certo, sapevo del sesso orale. Dubito
che al giorno d'oggi
in America ci sia un'adolescente che non
sia consapevole del fatto
che la maggior parte degli adulti pensa
che distribuiamo pompini
come loro distribuivano cicche (o lecca
lecca, per restare in tema).
Okay, questa è una stronzata clamorosa,
che mi ha sempre fatto
incazzare da matti. È ovvio che ci sono
ragazze che pensano sia
«figo» fare un bocchino ai ragazzi, ma,
be', si sbagliano. Quelle di
noi che hanno un cervello funzionante
sanno che non c'è niente di
figo nel farsi usare in quel modo.
Okay, quindi sapevo dei pompini, ma di
certo non ne avevo
mai visto fare uno. Perciò quello che era
appena successo mi
aveva decisamente fatta sbroccare. E a
farmi sbroccare più ancora
della schifezza che lei faceva a lui era
stata la mia reazione alla
vista del sangue.
Avrei voluto leccarlo anch'io.
E quello proprio non era normale.
E poi c'era la faccenda della strana
occhiata che avevo
scambiato con lui. Che cavolo voleva
dire?
«Zoey, stai bene?»
«Diavolo!» Feci un salto indietro.
Neferet era in piedi accanto a me e mi
guardava confusa. «Ti
senti male?»
«Io… be'…» Il mio cervello prese ad
agitarsi. Non le avrei
detto quello che avevo appena visto
neanche a morire. «Mi fa un
gran male la testa», riuscii finalmente a
dire. Ed era vero. Avevo
un'emicrania di quelle che uccidono.
Neferet aggrottò la fronte, preoccupata.
«Lascia che ti aiuti.»
Appoggiò con leggerezza la mano sulla
linea dei punti che avevo
sulla tempia, chiuse gli occhi e mormorò
qualcosa in una lingua
che non conoscevo. Poi il suo palmo
divenne caldo e fu come se il
calore si facesse liquido e venisse
assorbito dalla mia pelle. Chiusi
gli occhi anch'io e sospirai di sollievo,
il dolore alla testa
cominciava a svanire.
«Va meglio?»
«Sì», bisbigliai a stento.
Tolse la mano e aprii gli occhi. «Questo
dovrebbe tenere
lontano il dolore. Non so come mai sia
tornato con tanta
violenza.»
«Nemmeno io, però adesso se n'è
andato», replicai in fretta.
Mi squadrò in silenzio ancora per un po'
e io trattenni il fiato.
«Qualcosa ti preoccupa?» mi chiese alla
fine.
Deglutii. «Ho solo un po' paura a
incontrare la mia nuova
compagna di stanza.» Tecnicamente non
era una bugia. Non era
quello che mi preoccupava, ma ne avevo
paura.
Il sorriso di Neferet fu gentile. «Zoey,
andrà tutto bene.
Adesso lascia che ti avvìi alla tua nuova
vita.»
Neferet aprì il pesante portone di legno
e uscimmo nel vasto
cortile davanti la scuola. Si fece da
parte e mi lasciò a guardare a
bocca aperta. Adolescenti con indosso
divise che non so come
sembravano fighissime e uniche pur
essendo molto simili
camminavano a gruppetti nel cortile e
lungo il marciapiede.
Sentivo il suono apparentemente
normale delle loro voci mentre
ridevano e parlavano. Continuavo a
spostare lo sguardo da loro
alla scuola, non sapendo cosa fissare a
bocca aperta per prima.
Scelsi la scuola, perché m'intimoriva
meno (e perché avevo paura
di vedere lui): quel posto sembrava
uscito da un sogno, uno di
quelli che mettono i brividi. Eravamo
nel cuore della notte e
sarebbe dovuto essere buio pesto,
invece c'era una luna
luminosissima che splendeva sulle
enormi vecchie querce che
ombreggiavano ogni cosa. Luci a gas su
treppiedi di rame ossidato
seguivano il marciapiede che correva
parallelo all'immenso
edificio di mattoni rossi e pietra nera.
Era a tre piani, con un tetto
insolitamente lungo che puntava verso
l'alto e poi si appiattiva in
cima. Erano stati aperti dei tendoni
pesanti e morbide luci gialle
facevano danzare le ombre nelle stanze,
dando all'intera struttura
un'aria vivace e accogliente. Alla
facciata anteriore era collegata
una torre rotonda, che aumentava
l'illusione di trovarsi più in un
castello che in una scuola. Giuro che un
fossato sarebbe sembrato
molto più adatto del marciapiede
bordato da fitti cespugli di azalea
che delimitavano un prato tosato alla
perfezione.
Di fronte all'edificio principale ce n'era
uno più piccolo che
sembrava più antico e somigliava a una
chiesa. Dietro
s'intravedevano delle vecchie querce
che ombreggiavano il cortile
e l'ombra dell'immenso muro di cinta
che circondava tutta la
scuola. Davanti alla chiesa c'era una
statua di marmo che
raffigurava una donna con lunghe vesti
svolazzanti.
«Nyx!» esclamai.
Neferet inarcò un sopracciglio con aria
stupita. «Sì, Zoey,
quella è una statua della Dea, e l'edificio
lì dietro è il suo tempio.»
Mi fece cenno di proseguire con lei
lungo il marciapiede e
m'indicò lo splendido campus che si
apriva davanti a noi. «Quella
che oggi è conosciuta come Casa della
Notte era stata costruita in
stile neo normanno, con pietra importata
dall'Europa. In origine,
nella metà degli anni '20, era un
monastero agostiniano del Popolo
della Fede, poi trasformato in una scuola
media privata per
ragazzini umani ricchi che si chiamava
Cascia Hall. Cinque anni
fa, quando abbiamo deciso di aprire una
nostra scuola in questa
parte del Paese, l'abbiamo comprata.»
Ricordavo solo vagamente il periodo in
cui era stata una
spocchiosa scuola privata, anzi, a dire il
vero, l'unico motivo per
cui avevo anche solo rivolto un piccolo
pensiero a quel posto era
perché all'epoca un gruppo ben nutrito di
ragazzi che
frequentavano la Cascia era stato
arrestato per droga e gli adulti ne
erano rimasti shockati. Figuriamoci.
Nessun altro si era
minimamente stupito che quei ragazzini
ricchi di droga ne
vedessero tanta.
«Mi sorprende che l'abbiano venduta
proprio a voi», replicai
distratta.
La risata di Neferet risuonò bassa e un
po' pericolosa. «Non
volevano, ma abbiamo fatto al loro
arrogante preside un'offerta
che nemmeno lui poteva rifiutare.»
Avrei voluto chiederle cosa intendesse,
ma la sua risata mi
aveva fatto rabbrividire. E poi ero
impegnata. Non riuscivo a
smettere di guardarmi in giro con
sconfinata ammirazione. La
prima cosa che notai era che tutti quelli
che avevano un tatuaggio
da vampiro completo erano di una
bellezza incredibile. Cioè, era
una cosa folle. Sì, lo sapevo che i
vampiri sono avvenenti. Lo
sanno tutti. Gli attori e le attrici di
maggior successo al mondo
sono vampiri. Ci sono anche ballerini e
musicisti, scrittori e
cantanti. I vampiri dominano le arti e
questo è uno dei motivi per
cui hanno tanti soldi, oltre a essere uno
dei (tanti) motivi per cui il
Popolo della Fede li considera egoisti e
immorali. Ma la verità è
che sono solo gelosi perché non sono
altrettanto belli. Il Popolo
della Fede andava a vedere i loro film,
gli spettacoli, i concerti,
comprava i loro libri e le loro opere
d'arte, ma, allo stesso tempo,
ne sparlava e li disprezzava, e Dio sa
che non si sarebbe mai e poi
mai mischiato con loro. Mmm… ipocrita
sarà l'aggettivo giusto?
Comunque essere circondata da così
tante persone belle da
urlo mi fece venire voglia di strisciare
sotto una panchina, anche
se molte, dopo aver salutato Neferet,
sorrisero e dissero «ciao»
pure a me. Mentre rispondevo ai saluti
un po' esitante, di nascosto
lanciavo occhiate ai ragazzi che ci
passavano vicino e facevano un
rispettoso cenno con la testa rivolto a
Neferet. Parecchi
s'inchinarono in modo formale,
incrociando il pugno sul petto,
cosa che faceva sorridere e inchinare
leggermente anche Neferet.
Okay, i ragazzi non erano uno splendore
come gli adulti. Certo,
erano carini – interessanti, a essere più
precisa, col contorno della
mezzaluna e le divise che sembravano
più vestiti da passerella –
ma non avevano l'affascinante luce
patinata e non-umana che
emanava dai vampiri adulti. Ah, e notai
anche che, come avevo
immaginato, nelle divise c'era un sacco
di nero (si potrebbe
pensare che un gruppo di persone così
addentro nell'arte riconosca
un cliché quando uno va in giro in quel
noioso nero da dark.
Appunto…), ma, a essere onesta, dovetti
ammettere che su di loro
stava molto bene, quel nero mischiato
con sottili righe viola, blu e
verde smeraldo. Ogni divisa aveva un
motivo ricamato in oro o in
argento sul taschino della giacca o della
camicia. Capivo che
alcuni erano uguali, ma non riuscivo a
vedere con esattezza cosa
fossero. E poi c'erano un sacco di
ragazzi coi capelli lunghi. Ma
tanti, davvero. Le femmine avevano i
capelli lunghi, i maschi
avevano i capelli lunghi, gli insegnanti
avevano i capelli lunghi,
persino i gatti che ogni tanto passavano
sul marciapiede erano
palle di pelo molto lungo. Strano. Meno
male che mi ero convinta
a non tagliarmi i capelli come aveva
fatto Kayla la settimana
prima, con quella specie di coda
d'anatra alla Ispettore Derrick sul
dietro.
Notai anche che adulti e ragazzi avevano
una cosa in
comune: i loro occhi si fissavano tutti
sul mio Marchio.
Grandioso. Perciò stavo iniziando la
mia nuova vita come
un'anomalia ambulante, fatto che
prometteva d'un bene che non ti
dico.
8
La zona della Casa della Notte in cui si
trovavano i dormitori
era dall'altra parte del campus, perciò
avevamo un bel tratto da
fare e Neferet sembrava camminare
piano apposta per darmi il
tempo di fare domande e fissare le cose
a bocca aperta. Non che
mi dispiacesse. Camminare lungo il
gruppo di edifici simile a un
castello, con Neferet che m'indicava
piccoli dettagli e spiegava
cos'era cosa, mi dava un'idea del posto.
Era insolito, ma in un bel
modo. E poi, camminare mi faceva
sentire normale e, per quanto
strano possa sembrare, mi sentivo di
nuovo me stessa. Non tossivo
più. Non avevo più male da nessuna
parte, nemmeno alla testa. E
assolutamente, decisamente non pensavo
più all'inquietante scena
cui avevo assistito per caso. Me la stavo
dimenticando. Di
proposito. L'ultima cosa di cui avevo
bisogno erano altre questioni
di cui occuparmi oltre a una nuova vita e
a uno strano Marchio.
Perciò, pompino… dimenticato.
In preda alla negazione, mi dissi che, se
non avessi
camminato per un campus scolastico a
un'ora assurda accanto a
una vampira, avrei quasi potuto fingere
di essere la stessa del
giorno prima. Quasi.
Sì, okay, forse nemmeno quasi, ma la
testa andava molto
meglio e, quando finalmente Neferet aprì
la porta del dormitorio
delle ragazze, ero più o meno pronta a
conoscere la mia compagna
di stanza.
L'interno fu una sorpresa. Non so bene
cosa mi aspettassi,
magari che fosse tutto nero e lugubre,
invece era carino, decorato
in azzurro pallido e giallo antico, con
divani comodosi e gruppi di
soffici cuscini grandi abbastanza da
sedercisi sopra che
punteggiavano la stanza come
gigantesche M&M's. La luce
delicata proveniente da numerosi
candelabri antichi di cristallo
faceva somigliare quel posto al castello
di una principessa. Sulle
pareti color crema c'erano grandi quadri
a olio, tutti ritratti di
donne di altre epoche dall'aria esotica e
potente, mentre su dei
tavolini, assieme a vasi di cristallo con
fiori freschi, soprattutto
rose, c'erano ammonticchiati libri, borse
e ammennicoli vari in
dotazione a qualunque ragazza normale.
Vidi diverse TV al
plasma e riconobbi la musica di Real
World di MTV. Notai tutte
queste cose in fretta, mentre cercavo di
sorridere e avere un'aria
amichevole nei confronti delle ragazze
che si erano zittite
nell'istante in cui avevo messo piede
nella stanza e che adesso mi
fissavano. Be', tirateci su una riga. Non
stavano propriamente
fissando me. Stavano fissando il
Marchio sulla mia fronte.
«Ragazze, questa è Zoey Redbird.
Salutatela e datele il
benvenuto nella Casa della Notte.»
Per un secondo pensai che nessuno
avrebbe aperto bocca e
avrei voluto scomparire per la
mortificazione da nuovo arrivato,
poi una ragazza si alzò dal gruppo
riunito davanti a un televisore.
Era una biondina praticamente perfetta.
A dire il vero mi ricordava
una versione giovane di Sarah Jessica
Parker (che non mi piace,
tra l'altro, perché è così… così…
noiosamente e innaturalmente
sgallettata).
«Ciao, Zoey. Benvenuta nella tua nuova
casa.» Il suo sorriso
simil-SJP era caldo e sincero, era
evidente che si sforzava sul serio
d'incrociare il mio sguardo invece che
fissare il mio Marchio
completo.
Mi sentii subito in colpa per averla
paragonata a qualcuno in
modo negativo.
«Io sono Afrodite», aggiunse.
Afrodite? Okay, d'accordo, magari non
ero stata troppo
frettolosa a fare paragoni. Come poteva
una persona normale
scegliere di chiamarsi Afrodite? Per
favore! Manie di grandezza in
stadio iper-avanzato! Mi appiccicai
comunque un sorriso sulla
faccia e dissi un allegro «Ciao,
Afrodite!»
«Neferet, vuole che accompagni io Zoey
nella sua stanza?»
Neferet esitò, cosa che mi parve molto
strana. Invece di
rispondere subito rimase lì ferma a
scambiare una veloce occhiata
con la bionda, poi il suo volto si aprì in
un sorriso. «Grazie,
Afrodite, sarebbe molto gentile da parte
tua. Io sono la mentore di
Zoey, ma sono certa che si sentirebbe
molto più a suo agio se
fosse qualcuno della sua età a mostrarle
la stanza.»
Era rabbia quella che vidi lampeggiare
negli occhi di
Afrodite? No, dovevo essermelo
immaginato, o almeno avrei
creduto di essermelo immaginato, se
quella strana sensazione allo
stomaco non mi avesse detto il
contrario. E non ci volle l'intuito
per capire che qualcosa non andava,
perché Afrodite rise, e io
riconobbi il suono di quella risata.
Sentendomi come se mi avessero dato un
pugno nello
stomaco, mi resi conto che era lei la
bionda che avevo visto col
ragazzo nel corridoio.
La risata di Afrodite, seguita dal suo
pimpante «È ovvio che
sono più che contenta di farle fare un
giro! Sa che sono sempre
felice di esserle d'aiuto, Neferet» erano
falsi e freddi come le
mostruose enormi tette di Pamela
Anderson.
Neferet si limitò ad assentire e si rivolse
a me. «Ora ti lascio,
Zoey. Afrodite ti accompagnerà nella tua
stanza e la tua nuova
compagna ti aiuterà a prepararti per la
cena. Ci vediamo in sala da
pranzo.» Mi sorrise, il suo caldo sorriso
materno, e sentii
l'infantile desiderio di abbracciarla e
implorarla di non mollarmi lì
da sola con Afrodite. «Starai bene», mi
disse, neanche potesse
leggermi nel pensiero. «Vedrai,
Zoeybird, andrà tutto bene»,
mormorò, somigliando tanto a mia nonna
che dovetti sbattere le
palpebre per non mettermi a piangere.
Poi salutò con un cenno del
capo Afrodite e le altre ragazze e se ne
andò.
La porta del dormitorio si chiuse con un
sordo rumore
soffocato. Oh, diavolo… volevo proprio
andare a casa!
«Vieni, Zoey, le camere sono da questa
parte.» Afrodite mi
fece cenno di seguirla sulla grande scala
che curvava a destra e,
mentre salivamo, cercai d'ignorare il
brusio di voci che
istantaneamente eruttò alle nostre spalle.
Nessuna delle due parlava e mi sentivo
così a disagio che mi
sarei messa a urlare. Che mi avesse
vista in corridoio? Be', era
sicuro come l'inferno che io non ne avrei
fatto parola. Mai. Per
quanto mi riguardava, non era mai
successo.
Mi schiarii la voce. «Il dormitorio
sembra carino. Cioè, è
proprio bello.»
Mi lanciò un'occhiata di sbieco. «Qui è
meglio che carino o
proprio bello: è favoloso.»
«Oh. Be'. Sono contenta di saperlo.»
Rise.
Il suono era assolutamente sgradevole,
quasi un ghigno, che
mi fece correre un brivido sulla schiena
come la prima volta che
l'avevo udito.
«Qui è favoloso soprattutto perché ci
sono io.»
La squadrai, pensando stesse
scherzando, e incrociai i suoi
gelidi occhi azzurri.
«Già, hai sentito bene. Questo posto è
fantastico perché io
sono fantastica.»
Oh. Mio. Dio. Una cosa ben strana da
dire e non avevo indizi
per replicare a quella presuntuosa
informazione. Cioè, mi mancava
solo di mettermi a litigare con Miss
Guarda-Che-Splendore-Che-
Sono tanto per aggiungere qualcosina al
cambiamento di
scuola/vita/specie, no? E ancora non
avevo capito se sapeva che
ero stata io a vederla nel corridoio.
Okay. Volevo solo trovare un modo per
integrarmi. Volevo
poter chiamare casa quella nuova
scuola. Perciò decisi di tenere il
becco chiuso.
Nessuna di noi due aggiunse altro. La
scala portava a un
largo corridoio con tante porte colorate
e, quando Afrodite si
fermò davanti a quella dipinta di un bel
viola chiaro, trattenni il
fiato.
Lei però, invece di bussare, si voltò
verso di me. Di colpo il
suo viso perfetto assunse un'aria odiosa,
gelida e decisamente non
tanto bella. «Okay, Zoey, le cose stanno
così. Tu hai quello strano
Marchio, perciò tutti parlano di te e si
chiedono chi cazzo sei.»
Alzò gli occhi al cielo e afferrò la
collana di perle con un gesto
drammatico, cambiando voce in modo
che sembrasse sciocca e
affettata. «Ooh! La nuova ha il Marchio
completo! Cosa potrà mai
significare? Che sia speciale? Che abbia
poteri favolosi? Ooh!
Ooh!» Tolse la mano dal collo e mi
guardò, a occhi stretti, mentre
la voce si faceva piatta e cattiva come lo
sguardo. «Ora ascoltami
bene: qui sono io che comando. Le cose
girano come voglio io.
Farai meglio a ricordartelo se vuoi
vivere tranquilla. Altrimenti, ti
troverai in un mare di merda.»
Okay, stava cominciando a farmi
incavolare, perciò replicai:
«Senti, sono appena arrivata, non cerco
guai e non posso
controllare quello che gli altri dicono
del mio Marchio».
I suoi occhi si strinsero ancora di più.
Oh, cavolo. Dovevo proprio fare a botte
con quella tipa? Non
mi ero mai battuta in vita mia! Mi si
annodò lo stomaco e mi
preparai a tirarmi indietro o a scappare
o a fare qualunque cosa
servisse a non prenderle.
Poi, con la stessa velocità con cui era
diventata inquietante e
odiosa, la sua faccia si rilassò in un
sorriso ed ecco ricomparsa la
dolce biondina (non che ci cascassi),
che mi disse: «Bene. Così ci
capiamo».
Eh? Avevo capito che si era dimenticata
di prendere i suoi
psicofarmaci, ma per il resto proprio
non avevo capito niente.
Afrodite non mi diede il tempo di
replicare e con un ultimo
sorriso stranamente caloroso bussò alla
porta.
«Avantiii!» gridò una voce vivace dal
forte accento
dell'Oklahoma.
Afrodite aprì la porta.
«Ma ciaaao! Ohmioddio, entra.» Con un
gran sorriso, la mia
nuova compagna di stanza, bionda pure
lei, si lanciò come un
piccolo tornado di campagna, ma, non
appena vide Afrodite, il
sorriso le scivolò via dalla faccia e
smise di correre verso di noi.
«Ti ho portato la tua nuova compagna di
stanza.» Non c'era
niente di sbagliato nelle parole di
Afrodite, ma il tono era
insopportabile e aveva preso un terribile
falso accento
dell'Oklahoma. «Stevie Rae Johnson,
questa è Zoey Redbird. Zoey
Redbird, questa è Stevie Rae Johnson.
Ecco qui, non stiamo belle
comode come tre piselli in un
baccello?»
Guardai Stevie Rae. Sembrava un
coniglietto terrorizzato.
«Grazie di avermi accompagnata,
Afrodite», dissi in fretta
facendo un passo verso di lei, che
automaticamente arretrò
ritrovandosi in corridoio. «Ci
vediamo.» Le chiusi la porta in
faccia mentre l'espressione stupita stava
appena cominciando a
trasformarsi in rabbia, poi mi voltai
verso Stevie Rae, che era
ancora pallida.
«Ma che problemi ha?» chiesi.
«Lei è… lei è…»
Anche se ancora non la conoscevo, era
chiaro che Stevie Rae
era nel dubbio su quanto dire o non dire,
perciò decisi di aiutarla.
Che cavolo, dovevamo essere compagne
di stanza. «È una
stronza!»
Stevie Rae sgranò gli occhi, poi si mise
a ridacchiare. «Non è
una gran simpaticona, questo è certo.»
«Ha bisogno di psicofarmaci, questo è
certo!» aggiunsi,
facendola ridere ancora di più.
«Credo proprio che andremo molto
d'accordo, Zoey
Redbird», disse, sempre sorridendo.
«Benvenuta nella tua nuova
casa!» Si spostò di lato e fece un ampio
gesto col braccio, come
se, invece che in una piccola stanza, mi
stesse facendo entrare in
un palazzo.
Mi guardai intorno e sbattei le palpebre.
Più volte. La prima
cosa che vidi fu il poster a grandezza
naturale di Kenny Chesney
appeso sopra uno dei due letti e il
cappello da cowboy (cowgirl?)
appoggiato su un comodino, quello su
cui c'era anche una lampada
dall'aria fuori moda con la base a forma
di stivale da cowboy.
Acci. Picchia. Stevie Rae era una vera
Okie, made in Oklahoma al
cento per cento!
Poi mi stupì con un forte abbraccio di
benvenuto, facendomi
venire in mente un bel cucciolo, coi
corti capelli ricci e il viso
tondo e sorridente. «Zoey, sono così
contenta che tu ti senta
meglio! Ero così preoccupata quando mi
hanno detto che ti eri
fatta male. Sono davvero felice che tu
sia finalmente qui.»
«Grazie», replicai, continuando a
guardarmi intorno in quella
che adesso era anche la mia stanza,
sentendomi stranamente
confusa e sul punto di scoppiare di
nuovo in lacrime.
«Mette un po' paura, vero?» Stevie Rae
mi osservava con seri
occhioni azzurri pieni di lacrime di
solidarietà.
Annuii, non fidandomi a parlare.
«Lo so. La prima notte l'ho passata a
piangere.»
«Da quanto sei qui?» domandai
ricacciando indietro le
lacrime.
«Da tre mesi. E, ragazzi, se ero contenta
quando mi hanno
detto che avrei avuto una compagna di
stanza!»
«Sapevi che stavo arrivando?»
«Ohssììì! Neferet me l'ha detto l'altroieri
che il Rintracciatore
ti aveva individuata e che stava per
Segnarti. Pensavo che saresti
arrivata ieri, ma poi ho saputo che avevi
avuto un incidente ed eri
stata portata in infermeria. Cosa ti è
successo?»
«Cercavo mia nonna, sono caduta e ho
battuto la testa.» Mi
strinsi nelle spalle. Non provavo la
strana sensazione che mi
diceva di tenere il becco chiuso, ma
ancora non sapevo quanto
potevo raccontare a Stevie Rae, perciò
mi sentii sollevata quando
annuì come se capisse e non chiese altro
sull'incidente. Né
menzionò il mio Marchio insolitamente
completo.
«I tuoi genitori hanno sclerato quando
sei stata Segnata?» mi
chiese.
«Sono andati fuori di testa. E i tuoi?»
«A dire il vero per mia mamma non
c'era problema. Ha
detto che qualunque cosa mi portasse via
da Henrietta era
una buona cosa.»
«Henrietta, Oklahoma?» chiesi, felice di
passare a un
argomento che non riguardava soltanto
me.
«Purtroppo sì.»
Stevie Rae si lasciò cadere sul letto
sotto il poster di
Kenny Chesney e m'indicò di sedermi su
quello dall'altra
parte della stanza. Lo feci e provai una
piacevole sorpresa
quando mi accorsi che ero sul favoloso
piumino verde e
fucsia di Ralph Lauren che avevo a casa.
Guardai sul
comodino e quasi non credetti ai miei
occhi: c'erano i miei
scoccianti, giganteschi e squallidi
occhiali per quando mi
davano fastidio le lenti a contatto e la
foto di me con la
nonna l'estate precedente. E sullo
scaffale dietro il computer
dalla mia parte della stanza vidi la mia
collezione di «Gossip
Girls» e di «Bubbles» (assieme ad
alcuni dei miei libri
preferiti, incluso Dracula di Bram
Stoker, cosa ben più che
ironica), dei CD, il mio portatile e – oh
Signore mio caro – le
mie figurine di Monsters & Co.
Imbarazzante è un lieve
eufemismo. E sul pavimento accanto al
letto c'era il mio
zaino.
«Tua nonna ti ha portato tutta la tua roba.
È proprio
simpatica», spiegò Stevie Rae.
«È più che simpatica. Bisogna essere
coraggiosi come
un leone per affrontare mia madre e il
suo stupido marito per
andare a prendere la mia roba. Riesco
appena a immaginare
la scena drammatica che avrà fatto la
mamma.» Sospirai, poi
scossi la testa.
«Giiiààà, immagino di essere fortunata.
Almeno mia
mamma l'ha presa bene.» Stevie Rae
indicò il contorno della
mezzaluna che aveva sulla fronte.
«Anche se papi era fuori
come un balcone e ripeteva che sono la
sua unica 'piccolina' e roba
simile.» Si strinse nelle spalle e
ridacchiò di nuovo. «I miei tre
fratelli pensavano fosse da urlo e
volevano sapere se potevo
aiutarli a conoscere un po' di
pollastrelle vampire.» Alzò gli occhi
al cielo. «Stupidi ragazzi.»
«Stupidi ragazzi», le feci eco,
sorridendo. Se pensava che i
ragazzi fossero stupidi, noi due saremmo
proprio andate d'accordo.
«Praticamente adesso sto okay con tutta
la situazione. Cioè,
le lezioni sono strane ma mi
piacciono… soprattutto il corso di
Tae Kwan Do. Pare che ci provi gusto a
prendere a calci dei
sederi.» Sogghignò birichina, come un
piccolo elfo biondo. «E mi
piace la divisa, che all'inizio mi ha
shockata. Cioè, chi pensa che
possa piacergli una divisa di scuola?
Ma possiamo aggiungerci
delle cose e renderle uniche, così non
sembrano le solite noiose
divise di quelli che se la tirano. E poi
qui ci sono dei veri fighi…
anche se i maschi sono stupidi.» Le
brillavano gli occhi.
«Praticamente sono così contenta di
essermene andata da Henrietta che del resto non mi frega, anche se
Tulsa fa una certa paura,
visto che è così grande.»
«Tulsa non fa paura», replicai in
automatico. A differenza di
troppi ragazzini del nostro sobborgo di
Broken Arrow, sapevo
girare per Tulsa, grazie a quelle che alla
nonna piaceva chiamare
«escursioni sul campo» assieme a lei.
«Basta sapere dove andare.
In centro, a Brady Street, c'è un
grandissimo negozio di perline
dove puoi farti i tuoi gioielli e al
negozio accanto trovi Lola's at
the Bowery, che fa i dolci più buoni
della città. È okay anche
Cherry Street. Non è molto lontano da
qui e, a dire il vero, siamo a
due passi dal superlativo Philbrook
Museum e da Utica Square. Lì
ci sono dei negozi favolosi dove…»
All'improvviso mi resi
conto di quello che stavo dicendo: i
ragazzi vampiri si
mescolavano a quelli normali? Mi
spremetti le meningi. No.
Non avevo mai visto ragazzi con la
mezzaluna in fronte
gironzolare intorno al Philbrook, al Gap
di Utica, al Banana
Republic o a Starbucks. Non li avevo
mai visti al cinema.
Diavolo! Fino a quel giorno non avevo
mai visto dei ragazzi
vampiro. Allora ci avrebbero tenuti
chiusi lì dentro per
quattro anni? Sentendomi un po' a corto
di fiato e
decisamente claustrofobica, chiesi: «Ma
usciamo mai di
qui?»
«Sì, ma ci sono un sacco di regole da
seguire.»
«Regole? Di che tipo?»
«Be', non puoi indossare nessuna parte
della divisa di
scuola…» S'interruppe di colpo. «Mi
venisse! Questo mi ha
ricordato che dobbiamo sbrigarci. La
cena è tra pochi minuti
e tu ti devi cambiare.» Schizzò in piedi e
prese a frugare
nell'armadio della mia parte di stanza,
continuando
imperterrita a chiacchierare. «Neferet ha
fatto portare dei
vestiti ieri sera. Non preoccuparti della
taglia. Non so come,
ma la conoscono ancora prima di averci
visti. Fa un po'
impressione che i vampiri adulti
sappiano molto più di
quanto dovrebbero. Comunque, non aver
paura. Dicevo sul
serio prima, che le divise non sono
terribili come si potrebbe
pensare. Puoi davvero aggiungerci
qualcosa di personale…
come ho fatto io.»
La guardai. Cioè, la guardai per
davvero. Giuro che
aveva un paio di Roper jeans, di quelli
che mettono i fighetti
e che sono mille taglie troppo stretti e
senza le tasche dietro.
Come qualcuno possa pensare che
qualcosa di troppo stretto
e senza tasche dietro stia bene,
sinceramente va al di là della
mia comprensione. Stevie Rae era secca
come un chiodo e
quei jeans riuscivano a far venire un
gran culone perfino a
lei. Ancora prima di abbassare lo
sguardo, sapevo che scarpe
doveva avere: stivali da cowboy.
Controllai e feci un sospiro. Già.
Stivali da cowboy di cuoio marrone, con
tacco basso e punte
all'insù. Nei jeans era infilata una
camicia nera di cotone a
maniche lunghe dall'aria costosa, del
genere che si trova da Saks o
da Neiman Marcus, ben diversa da
quelle più economiche e
trasparenti che il comunque troppo caro
Abercrombie cerca di
farci credere non siano stile battona.
Quando tornò a guardarmi
vidi che aveva due buchi alle orecchie
da cui pendevano dei cerchi
d'argento. Si voltò, tenendo in una mano
una camicia nera come la
sua e nell'altra un golfino, e decisi che,
anche se il suo look
country non faceva per me, lei era
proprio carina con quel mix di
campagnolo e chic.
«Eeccoo qui! Metti questi sopra i jeans
e possiamo andare.»
La luce tremolante che veniva dalla
lampada a stivale da
cowboy fece luccicare il ricamo
d'argento sul davanti del golfino
che Stevie Rae mi tendeva. Mi alzai e
presi la camicia, tenendo
alto il golf per vedere meglio: il ricamo
d'argento era a forma di
spirale e creava uno scintillante cerchio
che sarebbe risultato
giusto sopra il mio cuore.
«È il nostro simbolo», disse Stevie Rae.
«Il nostro simbolo?»
«Giààà, ogni classe – qui si chiamano
terza, quarta, quinta e
sesta – ha il suo simbolo. Noi siamo in
terza, perciò il nostro è il
labirinto d'argento della Dea Nyx.»
«Cosa significa?» chiesi, più a me
stessa che a lei mentre
seguivo col dito i cerchi d'argento.
«Rappresenta il nostro nuovo inizio, il
momento in cui
cominciamo a seguire la Via della Notte
e impariamo le usanze
della Dea e le possibilità che ci offre la
nostra nuova vita.»
Alzai gli occhi a guardarla, stupita che
all'improvviso
sembrasse così seria.
Lei mi fece un gran sorriso un po' timido
e si strinse nelle
spalle. «È una delle prime cose che
s'imparano a Sociologia
Vampira 101. È la materia che insegna
Neferet, ed è un casino
meglio di tutte quelle lezioni pallose che
seguivo all'Henrietta
High, sede delle galline da
combattimento. Bleah! Galline da
combattimento! Ma come si fa ad avere
una mascotte così
stupida?» Scosse la testa alzando gli
occhi al cielo, mentre io
scoppiavo a ridere. «Comunque»,
continuò. «Ho saputo che il tuo
mentore è Neferet e questa è una fortuna
pazzesca. Praticamente
non accetta più nuovi studenti e, oltre a
essere la Somma
Sacerdotessa, qui dentro è senza
alcunissimo dubbio l'insegnante
più favolosa.»
Quello che non disse era che non ero
semplicemente
fortunata, ero «speciale», col mio strano
Marchio già colorato.
Cosa che mi ricordò… «Stevie Rae,
perché non mi hai chiesto del
mio Marchio? Cioè, apprezzo molto il
fatto che tu non mi abbia
bombardata di domande, ma mentre
venivo qui tutti quelli che
incrociavo fissavano la mia fronte.
Afrodite ha affrontato
l'argomento zero secondi dopo che
eravamo rimaste sole, tu invece
non l'hai neanche guardato. Come mai?»
A quel punto squadrò per bene il mio
Marchio, poi si strinse
nelle spalle e tornò a incrociare il mio
sguardo. «Sei la mia
compagna di stanza. Ho pensato che me
ne avresti parlato quando
fossi stata pronta. Una delle cose che ho
imparato vivendo in una
città piccola come Henrietta è che, se si
vuole che gli altri restino
tuoi amici, è meglio farsi i fatti propri. E
be', noi divideremo la
camera per quattro anni…» S'interruppe
e nella pausa tra le parole
stava in agguato la grande, orribile
verità non detta: saremmo state
compagne di stanza per quattro anni solo
se entrambe fossimo
sopravvissute alla Trasformazione.
Stevie Rae deglutì con forza e
concluse in fretta: «Insomma, quello che
sto cercando di dire è che
voglio che siamo amiche, ecco».
Le sorrisi. Sembrava così giovane e
fiduciosa, così carina e
normale, niente affatto come avevo
immaginato sarebbe stata una
ragazza vampiro. Provai un fremito di
speranza. Magari avrei
trovato il modo d'integrarmi in quel
posto. «Anch'io voglio che
siamo amiche.»
«Evviiiva!» Giuro che sembrò di nuovo
un cucciolo che
scodinzola. «Andiamo però! Sbrigati…
mica vorrai fare tardi?»
Mi diede una spinta verso la porta tra i
due armadi, prima di
raggiungere di corsa lo specchio che
aveva sulla scrivania e
cominciare a spazzolarsi i capelli corti.
Entrai e trovai un bagno minuscolo, mi
tolsi in fretta la Tshirt dei Broken Arrow Tigers, la
squadra di baseball, e indossai la
camicia di cotone con sopra il golfino di
seta che era di un bel
viola intenso, con sottili righe nere che
creavano dei riquadri.
Stavo per tornare in camera a prendere
lo zaino per potermi
sistemare faccia e capelli col trucco e la
roba che mi ero portata da
casa, quando guardai nello specchio
sopra il lavandino. Ero ancora
pallida, ma non più di quel pallore poco
sano e preoccupante di
prima. I capelli erano un delirio,
arruffati e pieni di nodi, e si
vedevano anche i punti scuri appena
sopra la tempia sinistra. Ma
fu il Marchio color zaffiro ad attirare la
mia attenzione e, mentre
lo fissavo, incantata dalla sua bellezza
esotica, la luce del bagno
colpì il labirinto d'argento ricamato sul
mio cuore. Decisi che i due
simboli in qualche modo s'intonavano,
pur essendo di forma
diversa… di colore diverso…
Ma io m'intonavo a tutto ciò? A quello
strano nuovo mondo?
Chiusi gli occhi con forza, sperando con
tutta me stessa che
quello che ci avrebbero dato da
mangiare (oh, ti prego, fa' che non
sia necessario bere sangue) non facesse
a pugni col mio povero
stomaco già attorcigliato e nervoso.
«Oh, no…» mormorai tra me, «sarebbe
il mio tipico colpo di
fortuna beccarmi un attacco di diarrea
fulminante.»
9
Okay, la mensa – oops, volevo dire la
«sala da pranzo», come
affermava la targhetta d'argento
all'ingresso – era fantastica.
Niente a che vedere con la mostruosa
mensa della scuola di prima,
dove si moriva dal freddo e l'acustica
era talmente oscena che
anche se ero seduta vicino a Kayla per
metà del tempo nemmeno
riuscivo a sentire le sue kaylate sparate
a raffica. La stanza era
calda e accogliente, con le pareti nello
stesso strano misto di
mattoni a vista e pietra nera dell'esterno
dell'edificio, piena di
pesanti tavoli da picnic di legno
corredati di panche con seduta
imbottita e schienale. Ogni tavolo
ospitava circa sei ragazzi ed
erano tutti disposti a raggiera intorno a
un tavolone centrale dove
non era seduto nessuno e che
praticamente strabordava di frutta,
formaggio e carne; accanto al cibo c'era
un calice di cristallo pieno
di quello che somigliava in modo
sospetto a vino rosso (come?
Vino a scuola? Da quando?) Il soffitto
era basso e la parete sul
retro era tutta di vetro, con una porta
finestra centrale. I pesanti
tendoni di velluto bordeaux erano stati
tirati, perciò riuscivo a
vedere che fuori c'era un delizioso
giardinetto con panchine di
pietra, tortuosi sentierini, fiori, cespugli
ornamentali e in mezzo
una fontana di marmo, dalla cui cima,
che sembrava una sorta di
ananas, zampillava l'acqua. Era
bellissimo, soprattutto così,
illuminato dalla luna e da qualche antico
lume a gas.
La maggior parte dei tavoli era già piena
di ragazzi che
mangiavano e chiacchieravano, e che
ovviamente ci lanciarono
un'occhiata curiosa quando Stevie Rae e
io entrammo nella stanza.
Presi un bel respiro e tenni la testa alta.
Tanto valeva che
vedessero bene il Marchio da cui
sembravano essere tutti tanto
ossessionati. Stevie Rae mi portò sul
lato della stanza dove si
trovavano i tipici addetti alle mense che
passavano il cibo da
dietro un vetro stile buffet.
«A cosa serve il tavolo al centro?» le
chiesi mentre
camminavamo.
«È l'offerta simbolica alla Dea Nyx, A
quel tavolo c'è sempre
un posto apparecchiato per lei.
All'inizio sembra un po' strano, ma
poi passa e vedrai che ti sembrerà
okay.»
A dire il vero, a me non sembrava
affatto strano, anzi, aveva
senso: la Dea Nyx era così presente in
quel posto! Il suo Marchio
era ovunque. La sua statua si ergeva
orgogliosa davanti al suo
tempio e cominciavo anche a notare che
in tutta la scuola c'erano
piccoli quadri e statuine che la
raffiguravano. La sua Somma
Sacerdotessa era la mia mentore e
dovevo ammettere che già mi
sentivo legata a Nyx. Feci uno sforzo per
non toccare il suo
Marchio che avevo sulla fronte,
afferrando invece un vassoio per
seguire Stevie Rae che si era messa in
fila.
«Non ti preoccupare, il cibo è
buonissimo. Non ti fanno bere
sangue o mangiare carne cruda o roba
del genere», mi sussurrò.
Sollevata, rilassai le mascelle. La
maggior parte dei ragazzi
stava già mangiando, perciò non ci
mettemmo molto e, quando
Stevie Rae e io arrivammo all'altezza
del bancone, mi venne
l'acquolina in bocca. Spaghetti! Inspirai
a fondo: con l'aglio!
«Quelle storie che i vampiri non
sopportano l'aglio sono una
stronzata totale, se mi scusi
l'espressione», mi stava dicendo
sottovoce Stevie Rae mentre
riempivamo i piatti.
«Okay, lo sono anche quelle che i
vampiri devono bere il
sangue?» replicai sempre bisbigliando.
«No», rispose piano.
«No?»
«Non sono una stronzata.»
Grandioso. Stupendo. Fantastico.
Proprio quello che volevo
sentire: No.
Cercando di non pensare al sangue e a
chissà che altro, presi
un bicchiere di tè e seguii Stevie Rae a
un tavolo dove due
studenti stavano già chiacchierando
animatamente. Ovviamente la
conversazione s'interruppe di botto
quando mi unii a loro, cosa che
non sembrò turbare minimamente Stevie
Rae.
Mentre m'infilavo sulla panca di fronte a
lei, fece le
presentazioni con la sua pronuncia
nasale da vera Okie. «Ma
ciaaao, ragaaazzi! Questa è la mia nuova
compagna di stanza,
Zoey Redbird. Zoey, lei è Erin Bates.»
Indicò la bionda
assurdamente bella seduta al mio lato
del tavolo (e che cavolo!
Quante belle bionde possono esserci in
una scuola? Non esiste una
specie di limite?), poi, sempre col suo
tono pratico e concreto,
continuò disegnando nell'aria delle
virgolette per enfatizzare le sue
parole: «Erin è la 'bellona'. Ma è anche
simpatica e intelligente ed
è la persona con più scarpe che abbia
mai conosciuto».
Erin staccò gli occhioni azzurri dal mio
Marchio quanto
bastava per rivolgermi un rapido
«Ciao».
«E lui è il rappresentante maschile del
nostro gruppo,
Damien Maslin. Però è gay, quindi non
sono sicura che conti
davvero come un ragazzo.»
Invece di arrabbiarsi con Stevie Rae,
Damien mi guardò
tranquillo. «In realtà, dato che sono gay,
credo che dovrei contare
come due ragazzi e non uno soltanto.
Voglio dire, con me avete il
punto di vista maschile e non dovete
preoccuparvi che voglia
toccarvi le tette.»
Aveva un viso liscio, senza la minima
traccia di acne, capelli
castani e occhi marrone scuro che mi
fecero venire in mente un
cerbiatto. A dirla tutta, era proprio
bello. Non nel modo
effeminato di molti ragazzi quando
decidono di uscire allo
scoperto e dire a tutti quello che tutti
sanno già (be', tutti tranne i
loro genitori tipicamente tontoloni e/o in
fase di negazione),
Damien non era un tipo tutto moine da
femmina mancata, ma un
bel ragazzo dal sorriso simpatico. Che
per di più si sforzava di non
fissarmi la fronte, fatto che apprezzai
moltissimo.
«Be', forse hai ragione. Non l'avevo mai
vista in questo
modo», disse Stevie Rae
sgranocchiando un gran pezzo di pane
all'aglio.
Damien replicò: «Ignorala, Zoey. Il resto
di noi è abbastanza
normale. E siamo strafelici che tu sia
finalmente arrivata. Stevie
Rae stava facendo diventare tutti matti
chiedendosi come saresti
stata…»
«… se saresti stata una di quegli
strampalati che puzzano e
pensano che essere un vampiro
significhi fare a gara a chi fa più
schifo…» l'interruppe Erin.
«… o se saresti stata una di loro»,
concluse Damien con
un'occhiata di sbieco al tavolo alla
nostra sinistra.
Seguii il suo sguardo e mi saltarono i
nervi quando vidi di chi
stava parlando. «Intendi Afrodite?»
«Già. Lei e il suo gruppo di presuntuose
piaggiatrici», rispose
Damien.
Che? Lo fissai sbattendo le palpebre.
Stevie Rae sospirò. «Ti abituerai alla
sua ossessione per il
vocabolario. Per fortuna questa non è
una parola nuova, quindi
siamo riusciti a capire di cosa sta
parlando senza dovergli
implorare una traduzione. Di nuovo.
Piaggiatore: lusingatore
servile», disse con orgoglio, come
avesse dato la risposta giusta a
lezione d'inglese.
«Quello che è. In ogni caso loro mi
fanno venire voglia di
vomitare», intervenne Erin senza
staccare gli occhi dagli spaghetti.
«Loro?» chiesi.
«Le Figlie Oscure», rispose Stevie Rae,
e notai che aveva
automaticamente abbassato la voce.
«Considerale una sorta di associazione
femminile», spiegò
Damien.
«Di streghe infernali», aggiunse Erin.
«Ehi, ragaaazzi, non credo che
dovremmo mettere in testa a
Zoey dei pregiudizi. Magari lei ci va
d'accordo», osservò Stevie
Rae.
«Fanculo. Sono streghe infernali»,
confermò Erin.
«Attenta a cosa esce da quella tua
boccuccia di rosa, Erin», la
sgridò un po' compassato Damien.
Incredibilmente sollevata dal fatto che
Afrodite non piacesse
a nessuno di loro, stavo per farmi dare
qualche altra informazione,
quando arrivò di corsa una ragazza che,
sbuffando indignata,
s'infilò col suo vassoio vicino a Stevie
Rae. Era color cappuccino
(di quello che si prende al bar, non la
schifezza iperdolce che vien
giù dalle macchinette), tutta curve, con
labbra imbronciate e
zigomi alti che la facevano sembrare una
principessa africana.
Aveva anche dei capelli splendidi, scuri
e folti, che le scendevano
sulle spalle in onde lucide, e gli occhi
erano talmente neri che
sembrava non avessero pupilla.
«Scusatemi! No, scusatemi tanto!»
esordì fissando con
intenzione Erin. «Ma proprio a nessuno
è passato per l'anticamera
del cervello di venirmi a svegliare e
dirmi che era ora di cena?»
«Pensavo di essere la tua compagna di
stanza, non la tua
mammina», replicò pigramente Erin.
«Non costringermi ad alzarmi in piena
notte per tagliarti quei
capelli biondi da Jessica Simpson»,
replicò la principessa africana.
Damien precisò: «In realtà la frase
corretta avrebbe dovuto
essere: 'Non costringermi ad alzarmi in
pieno giorno per tagliarti
quei capelli biondi da Jessica Simpson'.
In pratica per noi il giorno
è la notte e quindi la notte è il giorno.
Qui il tempo è rovesciato».
La ragazza di colore gli lanciò
un'occhiataccia. «Damien, mi
stai dando sull'ultimo dei miei nervi sani
con tutte 'ste stronzate da
vocabolario.»
Stevie Rae intervenne: «Shaunee,
finalmente è arrivata la mia
compagna di stanza! Questa è Zoey
Redbird. Zoey, lei è la
compagna di Erin, Shaunee Cole».
«Ciao», dissi con in bocca una
forchettata di spaghetti
quando Shaunee spostò lo sguardo
assassino da Erin a me.
«Allora, Zoey, cos'è 'sta storia del
Marchio già tutto colorato?
Sei ancora una novizia, giusto?»
Tutti si zittirono, shockati dalla domanda
di Shaunee.
Lei si guardò intorno. «Be'? Non state lì
a fingere che non vi
chiedete anche voi la stessa cosa.»
«È possibile, ma è anche possibile che
siamo abbastanza
educati da non fare domande», replicò
decisa Stevie Rae.
Shaunee scrollò le spalle. «Oh, per
favore! Be', comunque
sia, è una questione troppo importante
per fare i sofistici. Tutti
vogliono sapere del suo Marchio e non
c'è tempo da perdere in
giochetti quando si ha sottomano un
pettegolezzo bello succoso.»
Tornò a rivolgersi a me. «Allora? Cos'è
'sta storia di 'sto strano
Marchio?»
Tanto vale affrontare la questione
adesso. Bevvi un sorso di
tè per schiarirmi la voce, mentre tutti e
quattro mi fissavano,
impazienti di avere una risposta. «Be',
sono ancora una novizia.
Non credo proprio di essere diversa da
voi.» Poi biascicai
qualcosa che avevo pensato mentre gli
altri parlavano. Insomma,
sapevo che prima o poi avrei dovuto
rispondere a quella domanda.
Non ero stupida – confusa, forse, ma non
stupida – e lo stomaco
mi diceva che non dovevo dire la verità
riguardo alla mia
esperienza extra corporea con Nyx.
«Non so perché il mio
Marchio è tutto colorato. Non era così
quando mi ha trovata il
Rintracciatore, ma poi, quello stesso
giorno, ho avuto un
incidente. Sono caduta e ho picchiato la
testa. Quando mi sono
risvegliata, il Marchio era com'è adesso.
Ci ho pensato su e tutto
quello che posso dire è che forse è stata
una reazione a quello che
mi è successo. Ho perso i sensi e un
sacco di sangue. Magari
questo ha accelerato il processo di
colorazione. Cioè, questo è
quello che ho pensato io.»
Shaunee sbuffò. «Uff, speravo in
qualcosa di più eccitante.
Qualcosa di pettegolosamente saporito.»
«Mi dispiace…» borbottai.
«Occhio, gemella, cominci a parlare
come se stessi seduta a
quel tavolo», disse Erin a Shaunee
indicando con la testa le Figlie
Oscure.
Il viso di Shaunee si contorse. «Non mi
farei mai beccare
non-morta con quelle stronze.»
«Stai incasinando le idee a Zoey»,
brontolò Stevie Rae.
Damien fece un sospiro lungo e sofferto.
«Spiego io,
dimostrando una volta di più quanto
sono utile a questo gruppo,
pene o non pene.»
«Gradirei che non usassi quella parola,
soprattutto quando sto
cercando di mangiare», lo rimbeccò
Stevie Rae.
Erin intervenne: «A me piace. Se tutti
chiamassero le cose
col loro nome, ci sarebbe molta meno
confusione. Per esempio,
quando devo andare in bagno affermo
ciò che è ovvio: ho
dell'urina che vuole uscire dalla mia
uretra. Semplice. Facile.
Chiaro».
«Disgustoso. Volgare. Rozzo», ribatté
Stevie Rae.
«Sto con te, gemella», fece Shaunee.
«Insomma, se
parlassimo apertamente di cose come
urinazione e mestruazioni e
robe così, la vita sarebbe molto più
semplice.»
«Okay. Basta parlare di mestruazioni
mentre mangiamo
spaghetti.» Damien sollevò una mano
come se potesse bloccare
fisicamente la conversazione. «Sarò
anche gay, ma c'è un limite a
quello che posso sopportare.» Si chinò
verso di me e si lanciò
nella spiegazione. «Primo, Shaunee ed
Erin si chiamano gemelle
perché, anche se è evidente che non
sono imparentate, visto che
Erin è una bianchissima ragazza di Tulsa
e Shaunee viene dal
Connecticut ed è di origine giamaicana,
fatto che le dà quel
meraviglioso color moca…»
«Ti ringrazio di apprezzare la mia
negritudine», commentò
Shaunee.
«Non c'è di che», replicò Damien, poi
riprese subito a
spiegare. «Comunque, anche se non
hanno un legame di sangue si
somigliano in modo impressionante.»
«È come se fossero state separate alla
nascita, sai, quel
genere di cose», intervenne Stevie Rae.
In quel momento Erin e Shaunee si
sorrisero e si strinsero
nelle spalle. Fu allora che mi accorsi
che erano vestite allo stesso
modo, con una giacca di jeans scuro con
delle bellissime ali dorate
ricamate sul taschino, T-shirt nera e
pantaloni neri a vita bassa.
Avevano anche gli stessi orecchini:
grandissimi cerchi d'oro.
«Abbiamo lo stesso numero di scarpe»,
intervenne Erin
allungando il piede in modo che potessi
vedere che portava stivali
neri a punta col tacco a spillo.
«E cosa conta una piccola differenza
nella melanina quando
si parla di vero e profondo amore per le
scarpe?» Sollevando il
piede, Shaunee mostrò un altro
bellissimo stivale, di pelle nera
liscia con fibbie d'argento alla caviglia.
«Prossimo argomento!» la bloccò
Damien alzando gli occhi
al cielo. «Le Figlie Oscure. La versione
breve è che sono un
gruppo formato in massima parte da
persone del ceto alto che
sostengono che lo spirito della scuola
sia affidato a loro e altre
cosette del genere.»
«No, la versione breve è che sono delle
streghe infernali»,
fece Shaunee.
«Proprio quello che avevo detto io,
gemella», rise Erin.
«Non è che voi due siate di grande
aiuto», le rimbeccò
Damien. «Allora, dov'ero arrivato?»
«Spirito della scuola e cosette del
genere», suggerii.
«Ah, sì, giusto. Insomma si presume che
siano questa grande
organizzazione pro-scuola e provampiri, ed è anche previsto che
la loro capa venga addestrata per
diventare Somma Sacerdotessa,
perciò si presume che lei sia il cuore, la
mente e lo spirito della
Casa della Notte, oltre che un futuro
capo nella società dei
vampiri, eccetera eccetera, bla bla bla.
Immagina un misto tra il
Miglior Studente della Nazione a capo
della Honor Society e un
gruppo di cheerleader e bandisti
finocchi.»
«Ehi, non è irrispettoso del tuo essere
gay chiamarli bandisti
finocchi?» chiese Stevie Rae.
«Uso quella parola in senso affettuoso»,
replicò Damien.
«E giocatori di football! Non
dimenticare che ci sono anche i
Figli Oscuri», intervenne Erin.
«Oh, sì, gemella. È un vero crimine e un
gran peccato che dei
bonazzi simili vengano risucchiati…»
«E intende in senso letterale»,
puntualizzò Erin con un
sorrisetto osceno.
«… da 'ste streghe infernali», concluse
Shaunee.
«Ma figuriamoci! Da quando dimentico i
maschietti? È solo
che vengo interrotto in continuazione»,
si lamentò Damien.
Le tre ragazze gli rivolsero un sorriso di
scuse. Stevie Rae
mimò di chiudersi la bocca con una zip e
buttare via la chiave;
Erin e Shaunee mossero le labbra per
formare la parola «penosa»,
ma se ne stettero zitte per lasciarlo
finire.
Mi ero accorta che avevano scherzato
sull'idea del
«succhiare», facendomi pensare che la
scenetta cui avevo assistito
non fosse troppo insolita.
Damien continuò: «Ma in realtà le Figlie
Oscure sono delle
stronze presuntuose che si eccitano a
comandare a bacchetta tutti
gli altri. Vogliono che tutti le seguano e
si adeguino alle loro
strampalate idee su cosa significhi
diventare vampiri. Soprattutto
odiano gli umani e, se non sei d'accordo
con loro, non ti cagano
neanche di striscio».
«Se non per crearti problemi», aggiunse
Stevie Rae.
Dalla sua espressione capivo che
doveva aver avuto
un'esperienza diretta dei «problemi» in
questione e mi ricordai di
quanto mi era sembrata pallida e
impaurita quando Afrodite mi
aveva accompagnata nella nostra stanza.
Presi mentalmente nota
di ricordarmi di chiederle cosa fosse
successo.
«Ma non lasciarti spaventare», riprese
Damien.
«Semplicemente guardati le spalle
quando sono in giro e…»
«Ciao, Zoey. È bello rivederti così
presto.»
Stavolta non ebbi alcun problema a
riconoscere la sua voce.
Decisi che era come il miele: scivolosa
e decisamente troppo
dolce.
Al tavolo sobbalzarono tutti, io inclusa.
Lei indossava un golf come il mio, solo
che all'altezza del
cuore aveva ricamata la sagoma di tre
donne simili a dee, una delle
quali teneva in mano quello che
sembrava un paio di forbici.
Aveva una gonna nera a pieghe molto
corta, calze nere con lustrini
d'argento e stivali al ginocchio, sempre
neri. Dietro di lei c'erano
due ragazze, vestite più o meno allo
stesso modo. Una era di
colore, con dei capelli di una lunghezza
impossibile e l'altra era
invece un'ennesima bionda (che però, a
un esame più ravvicinato
delle sopracciglia, decisi che con ogni
probabilità era bionda
naturale quanto me).
«Ciao, Afrodite», replicai mentre gli
altri sembravano troppo
sotto shock per parlare.
«Spero di non interrompere qualcosa
d'importante» , riprese
lei, falsa come Giuda.
«Per niente. Stavamo discutendo della
spazzatura da portare
fuori stasera», replicò Erin con un
sorriso per niente sincero.
«Ah be', se c'è qualcuno che conosce
l'argomento quelli siete
senz'altro voi», ribatté Afrodite con un
ghigno di superiorità,
quindi voltò con intenzione le spalle a
Erin, che stringeva i pugni e
aveva l'aria di volerle saltare addosso.
«Sai, Zoey, avrei dovuto
dirti una cosa prima, ma mi è proprio
passata di mente. Volevo
invitarti a unirti alle Figlie Oscure per il
nostro rito privato della
Luna Piena, domani sera. So che è
insolito prendervi parte per
qualcuno che è qui da poco, ma il tuo
Marchio dimostra con
chiarezza che sei… be', diversa dalla
media delle novizie.»
Abbassò il naso perfetto in direzione di
Stevie Rae. «L'ho già detto
a Neferet, che è d'accordo e ritiene
sarebbe un bene per te unirti a
noi. Ti fornirò i dettagli più tardi,
quando non sarai più così
impegnata con… mmm… la
spazzatura.» Rivolse al resto del
tavolo il suo sorriso sarcastico a labbra
strette, scostò i lunghi
capelli e lei e la sua scorta svolazzarono
via.
«Stronze streghe infernali»,
commentarono in stereo Shaunee
ed Erin.
10
«Continuo a pensare che alla fine tutta
quella burbanza
affosserà Afrodite», disse Damien.
«Burbanza: arroganza sprezzante»,
spiegò Stevie Rae.
«A dire il vero questa la sapevo»,
replicai tenendo gli occhi
su Afrodite e la sua cricca. «Abbiamo
appena finito di leggere
Medea al corso di letteratura. È stata
quella a rovinare Giasone.»
«Quanto mi piacerebbe tirargliela fuori
a pugni, la burbanza,
da quella testa piena di bacherozzi»,
sbottò Erin.
«Okay, gemella, te la tengo ferma io»,
disse Shaunee.
«No! Ragaaazzi, ne abbiamo già
discusso. La punizione per
aver fatto a botte è grave. Molto grave.
Non ne vale la pena.»
Vidi Erin e Shaunee impallidire nello
stesso istante e avrei
voluto chiedere cosa potesse esserci di
tanto grave, ma Stevie Rae
continuò a parlare, stavolta rivolta a me.
«Basta che stai attenta,
Zoey. Le Figlie Oscure, e soprattutto
Afrodite, a volte possono
sembrare okay, ed è allora che sono più
pericolose.»
Scossi la testa. «Ah, no no. Non ci vado
a quella loro roba
della luna piena.»
«Penso che tu debba farlo», intervenne
sottovoce Damien.
«Neferet ha dato l'okay», riprese Stevie
Rae mentre Erin e
Shaunee annuivano. «Questo significa
che si aspetta che tu ci
vada. Non puoi dire di no al tuo
mentore.»
«Specialmente quando il mentore in
questione è Neferet,
Somma Sacerdotessa di Nyx», rincarò la
dose Damien.
«Non posso semplicemente dire che non
sono pronta per…
per… qualunque cosa sia che vogliono
farmi fare e chiedere a
Neferet se per questa volta posso essere
assente giustificata – o
come diavolo si dice qui – per la loro
Festa della Luna Piena?»
«Be', sì, potresti, ma Neferet lo direbbe
alle Figlie Oscure e
loro penserebbero che hai paura.»
Pensai ai casini che erano già successi
tra Afrodite e me in
così poco tempo. «Sai, Stevie Rae, io
potrei avere davvero già
paura di loro.»
«Non farglielo capire. Mai.» Stevie Rae
abbassò lo sguardo
sul piatto, cercando di nascondere
l'imbarazzo. «È peggio che
mettercisi contro.»
Damien la consolò dandole dei colpetti
sulla mano. «Tesoro,
smetti di farti le menate per quello.»
Stevie Rae gli rivolse un dolce sorriso
di ringraziamento,
quindi tornò a darmi consigli. «Vai. Fatti
forza e vai. Durante il
rituale non faranno niente di troppo
orribile. Si tiene qui al
campus; non oserebbero.»
Shaunee annuì. «Già, le stronzate
peggiori le fanno lontano
da qui, dove per i vampiri è più difficile
beccarle. Quando restano
in zona, fingono di essere schifosamente
dolci, in modo che
nessuno sappia come sono realmente.»
«Nessuno tranne noi», intervenne Erin
con un gesto della
mano che includeva non solo il nostro
gruppetto, ma anche tutto il
resto della stanza.
«Ragaaazzi, non so, magari Zoey andrà
davvero d'accordo
con qualcuna di loro», disse Stevie Rae,
senza il minimo accenno
di sarcasmo o di gelosia.
Scossi la testa. «No, no. Non andrò
d'accordo con loro. Non
mi piace il genere, quelli che cercano di
controllare gli altri e li
fanno sentire fuori posto solo per
sentirsi meglio loro. E non
voglio andare a quel Rito della Luna
Piena!» Pensai al mio
patrigno e ai suoi amici e a quanto fosse
ironico che sembrassero
avere così tanto in comune con un
gruppo di ragazzine che si
proclamavano figlie di una dea.
«Verrei con te, se potessi. Lo faremmo
tutti, ma se non sei
una Figlia Oscura vieni ammessa solo se
invitata», aggiunse triste
Stevie Rae.
«Non ti preoccupare. Io… io me la
caverò.» All'improvviso
non avevo più fame. Mi sentivo solo
tanto, tanto stanca e volevo
proprio cambiare argomento. «Perché
non mi spieghi dei diversi
simboli che si portano qui? Mi hai detto
del nostro, la spirale di
Nyx, che ha anche Damien, quindi
dev'essere…» M'interruppi per
cercare di ricordare in che classe
andavano le matricole. «… in
terza. Ma Erin e Shaunee hanno delle
ali, e Afrodite
qualcos'altro.»
«Intendi oltre al manico di scopa ficcato
in quel culo secco?»
borbottò Erin.
«Intende le Tre Fate», interloquì
Damien, impedendo a
Shaunee di dire qualunque cosa stesse
per aggiungere. «Le Tre
Fate, ossia le Parche o Moire, sono
figlie di Nyx. In sesta, tutti
portano l'emblema delle Parche, con
Atropo che impugna le
forbici a simbolizzare la fine della
scuola.»
«E, per alcuni di noi, la fine della vita»,
aggiunse cupa Erin.
Questo zittì tutti. Quando non riuscii più
a sopportare quel
silenzio assordante, mi schiarii la gola e
chiesi cosa significassero
le ali di Erin e di Shaunee.
«Le ali di Eros, generato dall'Uovo di
Nyx…»
«Il dio dell'amore», chiarì Shaunee,
muovendo i fianchi da
seduta.
Damien le lanciò un'occhiataccia e
riprese. «Le ali d'oro di
Eros sono il simbolo della quarta.»
«Perché siamo la classe dell'amore»,
canticchiò Erin,
sollevando le braccia ed esibendosi
anche lei in un
ancheggiamento sexy.
«A dire il vero, è perché dovrebbe
ricordarci la capacità di
amare di Nyx, mentre le ali
simboleggiano il nostro continuo
procedere in avanti.»
«Qual è il simbolo della quinta?» chiesi.
«Il carro dorato di Nyx che trascina una
coda di stelle»,
rispose Damien.
«Per me è il più bello, quelle stelle
luccicano da matti»,
commentò Stevie Rae.
«Il carro indica che continuiamo il
viaggio verso Nyx, mentre
le stelle rappresentano la magia dei due
anni già trascorsi.»
«Damien, sei proprio un gran bravo
scolaretto», gli disse
Erin.
«Te l'avevo detto che ci saremmo dovute
far aiutare da lui a
studiare per il test di mitologia umana»,
intervenne Shaunee.
«Credevo di essere stata io a dire a te
che ci serviva il suo
aiuto, e…»
Damien alzò la voce per superare il loro
battibecco. «In ogni
caso, questo è più o meno tutto riguardo
ai quattro simboli delle
classi. Non c'è da spremersi tanto per
saperlo», aggiunse fissando
con intenzione le due gemelle che si
erano zittite. «A patto, è
ovvio, di stare attenti in classe invece di
scambiarsi bigliettini e
guardare i ragazzi carini.»
«Damien, sei un vero bacchettone»,
brontolò Shaunee.
«Soprattutto per un gay», aggiunse Erin.
«Sai, Erin, oggi i tuoi capelli sono un
po' crespi. Non vorrei
essere scortese, ma forse dovresti
pensare di cambiare shampoo e
balsamo. Non si è mai troppo attenti con
queste cose. Basta un
niente e ti ritrovi con le doppie punte.»
Gli occhi azzurri di Erin diventarono
immensi e la sua mano
andò automaticamente ai capelli.
«Oh, no no no. Damien, non posso
credere che tu abbia detto
una cosa simile! Lo sai che sbrocca
quando si parla dei suoi
capelli.» Shaunee cominciò a gonfiarsi
come un pesce palla color
caffellatte.
Nel frattempo, Damien si era limitato a
sorridere tornando a
dedicarsi agli spaghetti, nel ritratto della
più totale innocenza.
«Oh, ragaaazzi», intervenne veloce
Stevie Rae, alzandosi e
prendendomi per il braccio. «Zoey
sembra stanca. Ve lo ricordate
tutti com'è stato appena arrivati qui. Noi
torniamo nella nostra
stanza e, dato che devo studiare per il
test di sociologia vampira,
probabilmente ci rivediamo domani.»
«Okay, ciaaao. Zoey, è stato davvero un
piacere conoscerti»,
salutò Damien.
«Già, benvenuta al Liceo Inferno»,
dissero insieme Erin e
Shaunee prima che Stevie Rae mi
trascinasse fuori della stanza.
«Grazie, sono davvero cotta», confessai
a Stevie Rae mentre
attraversavamo un corridoio che per
fortuna era quello che portava
all'ingresso principale dell'edificio
centrale della scuola. Ci
bloccammo alla vista di un agile gatto
grigio argento che
inseguiva un soriano più piccolo e
dall'aria infastidita.
«Belzebù! Lascia in pace Cammy!
Damien finirà per
strapparti il pelo!» Stevie Rae cercò di
afferrare il micio grigio ma
non ci riuscì, però quello smise
comunque d'inseguire il soriano e
proseguì lungo il corridoio nella
direzione da cui venivamo noi,
seguito da un'occhiataccia di Stevie Rae.
«Shaunee ed Erin dovrebbero insegnare
un po' di educazione
a quel loro gatto; ne combina sempre
qualcuna.» Spostò lo
sguardo su di me e lasciammo l'edificio,
uscendo nella tenue
oscurità che precede l'alba. «Il micio
piccolo e carino che si
chiama Cameron è di Damien, mentre
Belzebù appartiene a Erin e
Shaunee. Le ha scelte entrambe…
insieme. Giààà. È strano come
sembra, ma tra un po' comincerai anche
tu come tutti a pensare
che devono essere davvero gemelle.»
«In ogni caso sembrano simpatiche.»
«Oh, lo sono. Bisticciano un sacco, ma
sono molto leali e non
lascerebbero mai che qualcuno
sparlasse di te.» Fece un gran
sorrisone. «Okay, potrebbero essere
loro a sparlare di te, ma è una
cosa diversa e lo fanno sempre in
faccia.»
«E Damien mi piace molto.»
«Damien è un tesoro, ed è molto
intelligente. Però a volte mi
dispiace per lui.»
«Perché?»
«Be', quand'è arrivato qui, circa sei
mesi fa, aveva un
compagno di stanza, ma, appena quello
ha scoperto che è gay –
cioè, non è certo che lui cerchi di
nasconderlo – è andato a
lamentarsi da Neferet dicendo che non
intendeva stare in camera
con un finocchio.»
Feci una smorfia. Gli omofobi non li
sopporto. «E Neferet ha
tollerato un atteggiamento simile?»
«No, ha chiarito bene al ragazzo, che, tra
parentesi, ha
cambiato nome in Thor, quand'è arrivato
qui» – scosse la testa e
alzò gli occhi al cielo – «questo ti dà già
un'ideina, no? Be',
comunque, Neferet ha fatto sapere che il
comportamento di Thor
non era accettabile e ha dato a Damien
la possibilità di scegliere se
trasferirsi da solo in un'altra stanza o
restare con Thor. Damien ha
deciso di andarsene. Voglio dire, non
l'avresti fatto anche tu?»
«Eccome. Non avrei mai diviso la
camera con Thor
l'Omofobo.»
«È quello che pensiamo tutti. Perciò da
allora Damien è in
stanza da solo.»
«Non ci sono altri omosessuali nella
scuola?»
Stevie Rae si strinse nelle spalle. «Ci
sono delle lesbiche
dichiarate, ma, anche se un paio sono
simpatiche e fanno gruppo
anche con noi, di solito stanno tra loro.
S'interessano molto
dell'aspetto religioso del culto della dea
e passano un sacco di
tempo al tempio di Nyx. Ovviamente ci
sono anche le cretine che
pensano solo a darsi da fare alle feste e
trovano sia figo strusciarsi
l'una addosso all'altra, ma di solito
soltanto se ci sono dei ragazzi
carini a guardarle.»
Scossi la testa. «Sai, non ho mai capito
perché le ragazze
pensano che riusciranno a trovarsi un
fidanzato mostrandosi omo.
A logica dovrebbe essere
controproducente.»
«E chi lo vorrebbe un moroso che pensa
che sono sexy se
bacio un'altra ragazza? Bah!»
«E altri ragazzi gay?»
Stevie Rae sospirò. «Ce n'è qualcuno
oltre a Damien, ma per
lui sono quasi tutti troppo strambi ed
effeminati. Mi dispiace,
perché penso si senta piuttosto solo. I
suoi genitori non scrivono
né niente.»
«Hanno sclerato per la storia del
vampirismo?»
«No, di quello non gl'importa. Non dirlo
a Damien perché
urta i suoi sentimenti, ma credo si siano
sentiti sollevati quand'è
stato Segnato. Non sapevano cosa fare
con un figlio gay.»
«E perché dovevano fare qualcosa? È
sempre loro figlio.
Semplicemente gli piacciono i ragazzi,
tutto qui.»
«Be', loro vivono a Dallas e suo padre è
uno importante del
Popolo della Fede. Credo sia un
ministro del culto o qualcosa di
simile…»
Sollevai la mano. «Ferma lì. Non
aggiungere altro. Ho capito
tutto.» Ed era proprio così. Ero fin
troppo pratica della mentalità
ristretta da «il nostro modo è l'unico
modo giusto» del Popolo
della Fede. Il solo pensiero mi faceva
sentire stanca e depressa.
Stevie Rae aprì la porta del dormitorio.
La zona salotto era
vuota, tranne che per qualche ragazza
che guardava delle repliche
di That '70s Show.
Stevie Rae le salutò distrattamente con
un cenno della mano,
poi mi chiese: «Ehi, vuoi qualcosa da
bere da portare su?»
Annuii e la seguii in una piccola stanza
laterale in cui c'erano
quattro frigoriferi, un grande lavello,
due microonde, parecchi
armadietti e un bel tavolo di legno
bianco proprio al centro.
Insomma, era come una cucina normale,
a parte il gran numero di
frigo. Era tutto pulito e in ordine. Stevie
Rae aprì un frigorifero e,
sbirciando oltre la sua spalla, vidi che
era pieno di roba da bere di
tutti i tipi, dalle bibite gassate ai succhi
di frutta a quell'acqua con
le bollicine che ha un sapore schifoso.
«Cosa vuoi?»
«Mi va bene qualunque cola: bollicine
marroni di qualunque
tipo», risposi.
«Questa roba è tutta per noi.» Mi tese
due lattine di CocaCola
e prese due Frescas per lei. «In quei due
frigo ci sono frutta e
verdura, mentre nell'altro c'è la carne
bianca per i panini. Sono
sempre pieni, ma i vampiri sono
abbastanza assillanti che
mangiamo sano, perciò non troverai
sacchetti di patatine,
merendine o roba simile.»
«E cioccolato?»
«Oh, sì, negli armadietti c'è del
cioccolato costoso. I vampiri
dicono che mangiarne con moderazione
ci fa bene.»
Okay, chi diavolo vuole mangiare
cioccolato con
moderazione?
Tenni per me quel pensiero mentre
riattraversavamo il salotto e ci
dirigevamo verso la nostra stanza.
«Dunque i, mmm, i vampiri» –
incespicai sulla parola – «sono
fissati sul mangiare sano?»
«Be', sì, ma credo che fondamentalmente
siano i novizi che
devono mangiare sano. Voglio dire, non
è che ci siano vampiri
grassi, ma non li vedi neanche
sgranocchiare sedano e carote e
piluccare insalata. Mangiano insieme
nella loro sala da pranzo e si
dice che mangino molto bene.» Mi
guardò e abbassò la voce. «Ho
sentito dire che mangiano un sacco di
carne rossa. Un sacco di
carne rossa speciale.»
«Iiiih!» commentai, non amando per
niente la bizzarra
visione di Neferet che addenta una
bistecca al sangue.
Stevie Rae rabbrividì, prima di
continuare. «A volte qualche
mentore pranza con un novizio, ma di
solito beve solo un paio di
bicchieri di vino e non tocca cibo.»
Stevie Rae aprì la porta; io mi sedetti
sul letto con un sospiro
e mi tolsi le scarpe. Dio, se ero stanca.
Massaggiandomi i piedi mi
chiesi perché i vampiri adulti non
mangiavano con noi, poi decisi
che non volevo proprio pensarci più di
tanto. Voglio dire, questo
sollevava troppe domande riguardo a
cosa mangiassero, no? E a
cosa avrei mangiato io quando e se fossi
diventata un vampiro
adulto. Arrghh!
E una parte del mio cervello sussurrava
che questo mi faceva
ricordare la reazione che avevo avuto di
fronte al sangue di Heath
il giorno prima (ma era passato davvero
soltanto un giorno?) e
anche ciò che mi aveva suscitato la vista
del sangue del ragazzo in
corridoio. No no. Decisamente non
volevo pensare a nessuna delle
due cose. Proprio per niente. Quindi mi
rifocalizzai in fretta sulla
questione del cibo sano.
«Okay, se non si preoccupano troppo
della loro
alimentazione, perché assillano noi?»
chiesi a Stevie Rae.
Lei incrociò il mio sguardo, con aria
turbata e piuttosto
impaurita. «Si preoccupano che
mangiamo sano per lo stesso
motivo per cui ci fanno fare ginnastica
tutti i giorni: vogliono
rendere il nostro organismo il più forte
possibile, così, se cominci
a sentirti debole, a ingrassare o a stare
male, si capisce subito che
il corpo sta rifiutando la
Trasformazione.»
«E poi muori», aggiunsi sottovoce.
«E poi muori», convenne.
11
Non pensavo che avrei dormito.
M'immaginavo che sarei
rimasta sdraiata sentendo la mancanza di
casa e pensando alla
strana svolta che aveva preso la mia
esistenza. Mi passavano per la
mente inquietanti flash degli occhi del
ragazzo in corridoio, ma
ero così stanca che non riuscivo a
metterli a fuoco. Persino la
psicopatica odiosità di Afrodite
sembrava sonnacchiosamente
lontana e l'ultimo pensiero preoccupato
di cui mi ricordavo prima
di non ricordare più niente era rivolto
alla mia fronte. Mi faceva
ancora male a causa del Marchio e del
taglio alla tempia o mi
stava venendo un mega brufolo? E come
sarebbero stati i miei
capelli per il primo giorno di vampscuola? Ma, mentre mi
raggomitolavo sotto la trapunta e
annusavo il familiare odore di
piuma d'oca e di casa, mi sentii
inaspettatamente al caldo e al
sicuro… e crollai.
E non ebbi neanche gli incubi, ma sognai
dei gatti. Logico.
Bonazzi pazzeschi? No. Favolosi nuovi
poteri da vampiro?
Figuriamoci. Solo gatti. C'era una
micetta in particolare, una
piccola soriana rossa che aveva zampine
minuscole e una pancetta
tonda che la faceva sembrare un
marsupiale. Continuava a
strillarmi con una voce da vecchia
signora, chiedendomi perché ci
avessi messo tanto ad arrivare. Poi la
voce della gatta divenne uno
scocciante suono intermittente e io…
«Dai, Zoey! Spegni quella stupida
sveglia!»
«Cos… eh?» Oh, diavolo. Odio la
mattina. Agitai a caso la
mano cercando di spegnere quella
rottura di sveglia. Ho già detto
che sono completamente, assolutamente
cieca senza le lenti a
contatto? Afferrai gli occhiali da sfigata
e guardai l'ora. Le 18.30 e
mi stavo giusto alzando. Tanto per
parlare di cose strane.
«Vuoi fare tu la doccia per prima o
preferisci che la faccia
io?» chiese assonnata Stevie Rae.
«Vado io, se non ti dispiace.»
«Non mi…» Sbadigliò.
«Okay.»
«Però dobbiamo fare in fretta perché
non so tu ma io devo
fare colazione se no prima di pranzo
finisce che muoio di fame.»
«Cereali?» Mi rianimai di colpo. Vado
davvero matta per i
cereali e da qualche parte ho persino
una maglietta con scritto I ❤
CEREALS che lo dimostra in modo
inconfutabile. Quelli che mi
piacciono di più sono i Conte Chocula,
tanto per continuare con
l'ironia vampira.
«Sì, ci sono sempre montagne di quelle
mini scatole di
cereali, ciambelle, frutta, uova sode e un
sacco d'altra roba.»
«Mi sbrigo.» All'improvviso avevo una
gran fame. «Ehi,
Stevie Rae, ha importanza cosa mi
metto?»
«Nooo, basta che prendi una delle
giacche o dei golf con su il
simbolo della terza e sei a posto»,
rispose con un altro sbadiglio.
Mi sbrigai davvero, anche se ero molto
preoccupata di non
avere il look giusto e avrei voluto avere
ore per sistemarmi trucco
e capelli. Usai lo specchio di Stevie Rae
intanto che lei faceva la
doccia e decisi che era meglio andarci
piano e truccarmi poco. Era
strano come il Marchio avesse cambiato
del tutto il centro focale
del mio viso.
Avevo sempre avuto dei begli occhi,
grandi, tondi e scuri,
con un sacco di ciglia, al punto che
Kayla si lamentava sempre che
non era giusto che io ne avessi
abbastanza per tre ragazze e lei
soltanto poche, corte e bionde (e a quel
proposito… mi mancava
Kayla, soprattutto quel giorno, mentre mi
preparavo ad andare a
scuola senza di lei. Magari dopo potevo
chiamarla. O mandarle
un'e-mail. O… mi ricordai del
commento fatto da Heath riguardo
alla festa e decisi che forse era meglio
di no). Comunque, il
Marchio faceva in qualche modo
sembrare i miei occhi persino più
grandi e più scuri. Li evidenziai con un
ombretto grigio fumo con
dentro dei brillantini d'argento. Non in
modo pesante come quelle
perdenti che credono che darci dentro
con l'eyeliner le faccia
sembrare una meraviglia. Figuriamoci.
Sembrano dei panda
spaventosi. Resi meno netta la riga,
aggiunsi il mascara, misi un
po' di terra abbronzante e poi il
lucidalabbra (per nascondere il
fatto che mi ero mordicchiata le labbra
per il nervosismo).
Quindi mi guardai.
Per fortuna i capelli erano a posto e
anche la punta a V sulla
fronte non stava dritta in piedi come
faceva ogni tanto.
Continuavo a sembrare… mmm…
diversa, ma la stessa. L'effetto
del Marchio sulla mia faccia non era
scomparso. Metteva in risalto
tutto ciò che nei miei lineamenti era
etnico: gli occhi scuri, gli
zigomi alti da cherokee, il naso dritto e
orgoglioso, persino il
colore olivastro della carnagione che mi
veniva dalla nonna. Il
Marchio color zaffiro della Dea pareva
aver premuto un
interruttore e illuminato quei tratti;
aveva liberato la ragazza
cherokee che era in me, consentendole
di mostrarsi e splendere.
«I tuoi capelli sono magnifici.» Stevie
Rae entrò in camera
asciugandosi i corti riccioli biondi.
«Magari anche i miei stessero
a posto quando sono lunghi! Invece
s'increspano e sembrano la
coda di un cavallo.»
«A me piacciono i tuoi capelli corti»,
replicai facendole
spazio e prendendo le mie favolose
ballerine di vernice nera.
«Sì, be', qui mi fanno sentire una
diversa. Hanno tutti i
capelli lunghi.»
«L'ho notato, ma non ho capito perché.»
«È una delle cose che succedono quando
avviene la
Trasformazione. I capelli dei vampiri
crescono con una velocità
incredibile e lo stesso vale per le
unghie.»
Cercai di non rabbrividire al ricordo
dell'unghia di Afrodite
che tagliava jeans e pelle.
Per fortuna Stevie Rae non aveva idea di
cosa mi passasse
per la testa e continuò: «Vedrai. Dopo un
po' non avrai più
bisogno di guardare il simbolo per
sapere a che anno sono gli altri.
Comunque tutte queste cose te le
insegnano a Sociologia Vampira.
Oh! Questo mi fa venire in mente…»
Scartabellò tra i fogli sulla
scrivania finché non trovò quello che
cercava e me lo tese.
«Questo è il tuo orario. Abbiamo
insieme la terza e la quinta ora.
Controlla l'elenco dei complementari
che hai alla seconda. Puoi
scegliere quello che vuoi.»
In cima all'orario c'era la data
d'iscrizione, che era di cinque
(?!) giorni prima che il Rintracciatore
mi Segnasse.
ZOEY REDBIRD, ISCRITTA ALLA
TERZA CLASSE
Prima ora Sociologia Vampira 101.
Aula 215, prof Neferet Seconda ora
Recitazione 101.
Centro Arti e Spettacolo, prof Nolan
oppure Disegno 101. Aula 312, prof
Doner
oppure Introduzione alla Musica. Aula
314, prof Vento Terza
ora Letteratura 101. Aula 214, prof
Pentesilea
Quarta ora Scherma. Palestra, prof D.
Lankford
PAUSA PRANZO
Quinta ora Spagnolo 101. Aula 216,
prof Garmy Sesta ora
Introduzione agli Studi Equestri.
Scuderie, prof Lenobia
«Niente geometria?» sbottai, sconvolta
dall'orario ma
tentando comunque di mantenere un
atteggiamento positivo.
«Grazie al cielo no. Il prossimo
semestre inizieremo
economia, ma non credo possa essere
altrettanto terribile.»
«Scherma? Introduzione agli Studi
Equestri?»
«Te l'ho detto che vogliono tenerci in
forma. Scherma è bella,
anche se difficile. Io non sono tanto
brava, ma ti mettono spesso in
coppia con altri studenti più esperti che
fanno un po' da insegnanti
coetanei e alcuni di quei ragazzi, wow,
sono davvero fighi da
morire! Io questo semestre non faccio
equitazione: mi hanno
messa a Tae Kwan Do, e devo dirti che
mi piaaace un sacco!»
«Davvero?» commentai dubbiosa. Come
diavolo saranno le
lezioni di equitazione?
«Già! Quale complementare pensi di
scegliere?»
Riguardai l'elenco. «Tu quale fai?»
«Introduzione alla Musica. Il professor
Vento è super e io…»
Stevie Rae sorrise e arrossì. «Be', io
voglio diventare una star della
musica country. Voglio dire, Kenny
Chesney, Faith Hill, Shania
Twain sono tutti vampiri e ne ho
nominati solo tre, ma sai, Garth
Brooks è cresciuto proprio qui in
Oklahoma e lui è il più super
vamp di tutti. Perciò non vedo perché
non potrei diventare una di
loro anch'io.»
«Mi pare del tutto logico», replicai.
Perché no?
«Vieni a fare musica con me?»
«Sarebbe divertente se sapessi cantare o
suonare qualcosa
che somigli anche vagamente a uno
strumento, ma sono negata.»
«Oh, be', allora forse è meglio di no.»
«A dire il vero stavo pensando al corso
di Recitazione. Alla
mia vecchia scuola lo facevo ed era
okay. Sai qualcosa del
professor Nolan?»
«Sì, è una donna, viene dal Texas e ha un
accento fortissimo,
ma ha studiato recitazione a New York e
piace a tutti.»
Quando Stevie Rae menzionò l'accento
della prof, quasi
scoppiai a ridere. Lei parlava così tanto
nel naso che sembrava la
pubblicità della vita in campagna, ma
non volevo offenderla
facendoglielo notare. «Allora che
Recitazione sia!»
«Okay, prendi l'orario e andiamo. Ehi,
magari sarai la
prossima Nicole Kidman!» aggiunse
mentre uscivamo dalla stanza
e ci fiondavamo giù dalle scale.
Be', immagino che essere la prossima
Nicole Kidman non
sarebbe male (anche se non è
esattamente nei miei piani sposare
un tipo bassottello e maniacale per poi
divorziare). Non appena ne
ebbe parlato Stevie Rae, mi venne in
mente che non avevo più
pensato molto alla mia futura carriera da
quando il Rintracciatore
aveva gettato la mia vita nel caos più
totale, ma, adesso che ci
riflettevo, volevo ancora diventare
veterinario.
Un obeso gatto bianco e nero a pelo
lungo scattò sui gradini
davanti a noi, all'inseguimento di un
micio più piccolo che
sembrava il suo clone. Con tutti quei
gatti in giro poteva proprio
esserci necessità di vampiri veterinari
(hi hi! Vamp vet… avrei
potuto chiamarla così la mia clinica per
animali, Vamp Vet, e
nella pubblicità scrivere: «Prelievi di
sangue gratuiti»!)
Cucina e salotto erano pieni di ragazze
che mangiavano,
chiacchieravano e camminavano in tutta
fretta. Cercavo di
rispondere ai saluti che ricevevo mentre
Stevie Rae mi presentava
a quello che sembrava un flusso
continuo e confuso di ragazze,
allo stesso tempo cercavo di restare
concentrata sulla ricerca di
una scatola di Conte Chocula. La trovai
quando stavo
cominciando a preoccuparmi, nascosta
dietro a parecchie grandi
confezioni di Frosted Flakes (non male
come seconda scelta,
anche se, be', non sono al cioccolato e
non hanno quelle squisite
caramelline morbide). Stevie Rae si
versò una ciotola di Lucky
Charms e ci appollaiammo al tavolo
della cucina, mangiando a
razzo.
«Ciao, Zoey!»
Quella voce. Sapevo chi era prima di
vedere Stevie Rae
abbassare la testa e mettersi a fissare la
ciotola di cereali.
Cercai di sembrare indifferente. «Ciao,
Afrodite.»
«Nel caso non ci vedessimo in giornata,
volevo essere sicura
che sapessi dove andare stasera. Il
Rituale della Luna Piena delle
Figlie Oscure inizierà alle quattro del
mattino, appena dopo il rito
della scuola. Ti perderai la cena, ma non
devi preoccuparti, perché
ti daremo da mangiare noi. Oh, si tiene
nella sala di ricreazione
vicino al muro a est. Se vuoi ci troviamo
davanti al tempio di Nyx
prima del rito della scuola, così
possiamo entrare insieme e dopo ti
accompagno io.»
«Veramente ho già promesso a Stevie
Rae di andare con lei.»
Detesto le persone invadenti.
«Giààà, mi spiace.» Fui contenta di
vedere che Stevie Rae
aveva rialzato la testa.
«Ehi, tu sai dov'è la sala ricreazione,
vero?» chiesi a Stevie
Rae col tono più vivacemente stupido
che mi riusciva.
«Certo.»
«Allora puoi farmi vedere come
arrivarci, giusto? E questo
significa che Afrodite non deve
preoccuparsi che mi perda.»
«Qualunque cosa pur di rendermi utile»,
cinguettò Stevie Rae
che sembrava tornata normale.
«Problema risolto», dissi con un
sorrisone ad Afrodite.
«Okay. Benissimo. Ci vediamo alle
quattro. Non fare tardi.»
Se ne andò di scatto.
«Ancora un po' che sculetta finisce per
rompere qualcosa»,
commentai.
Stevie Rae sbuffò e quasi le uscì il latte
dal naso. «Non farlo
più mentre mangio!» disse tossendo
dalle risate. Poi inghiottì e mi
sorrise. «Non hai lasciato che ti desse
ordini.»
«Neanche tu.» Mangiai di gusto l'ultima
cucchiaiata di
cereali. «Pronta?»
«Pronta. Okay, la prima ora sarà facile
perché la tua aula è
vicina alla mia. Tutte le lezioni
fondamentali di terza sono nello
stesso corridoio. Vieni, t'indirizzo dalla
parte giusta e sei a posto.»
Sciacquammo i piatti e li ficcammo in
una delle cinque
lavastoviglie, quindi corremmo fuori
nell'oscurità di una bella sera
d'autunno. Diavolo, era strano andare a
scuola la sera, anche se il
mio organismo diceva che era tutto
normale. Seguimmo la fila di
studenti oltre una delle pesanti porte di
legno.
«Il corridoio di terza è proprio qui.»
Stevie Rae mi guidò in
cima a una piccola rampa di scale.
«Quello è il bagno?» chiesi mentre
superavamo in fretta delle
fontane poste tra due porte.
«Già! E questa è la mia classe. La tua è
la prossima. Ci
vediamo dopo la lezione!»
«Okay, grazie», gridai.
Almeno il bagno era vicino. Se mi fosse
venuto un attacco
fulminante di diarrea nervosa, non avrei
dovuto fare molta strada.
12
«Zoey! Vieni qui!»
Quasi piansi di sollievo quando udii la
voce di Damien e lo
vidi agitare la mano in direzione di un
banco vuoto accanto al suo.
«Ciao.» Mi sedetti e gli sorrisi, piena di
gratitudine.
«Sei pronta per il tuo primo giorno?»
No. «Sì.» Avrei voluto dire qualcosina
di più, ma proprio in
quel momento una campanella suonò
cinque volte e, mentre
spariva l'eco di quel suono, Neferet
entrò nell'aula. Indossava una
lunga gonna nera sollevata di lato per
lasciar vedere un paio di
splendidi stivali col tacco a spillo e un
golf di seta viola scuro.
Sopra al seno sinistro, ricamata in
argento, c'era l'immagine di una
dea con le braccia alzate e le mani che
sostenevano una
mezzaluna. I capelli rossi erano legati in
una folta treccia e la serie
di delicati tatuaggi che le incorniciava il
viso la faceva sembrare
un'antica sacerdotessa guerriera. Ci
sorrise e percepii che tutta la
classe era affascinata dal suo potere
quanto me. «Buona sera! Non
vedevo l'ora d'iniziare questo modulo,
perché l'approfondimento
della ricca sociologia delle amazzoni è
uno dei miei argomenti
preferiti.» Poi m'indicò. «Per questo
sono felice che Zoey Redbird
si sia unita a noi proprio oggi. Io sono il
mentore di Zoey, quindi
mi aspetto che i miei studenti le diano il
benvenuto. Damien, per
favore, vorresti prendere un libro di
testo per Zoey? Il suo
armadietto è vicino al tuo. E, mentre le
spieghi il nostro sistema di
armadietti e contenitori, voglio che gli
altri scrivano quali idee
preconcette hanno delle antiche
guerriere vampire note come
amazzoni.»
Ci fu il tipico rumore di fogli
scartabellati e mormorio di
studenti, nel frattempo Damien mi portò
in fondo alla classe, dove
c'era una parete di armadietti e aprì
quello con sopra il numero 12
in argento. Dentro c'erano dei ripiani
ampi e ordinati pieni di libri
di testo e cancelleria varia.
«Nella Casa della Notte non ci sono
lucchetti come nelle
scuole normali. Questa della prima ora è
la nostra aula principale
dove abbiamo un armadietto ciascuno.
La stanza è sempre aperta,
quindi puoi venirci a recuperare libri o
quello che ti serve proprio
come facevi nel corridoio della tua
vecchia scuola. Tieni, questo è
il testo di sociologia.»
Mi tese un librone di pelle con stampato
in copertina il
profilo della Dea e il titolo: Sociologia
Vampira 101. Presi un
blocco per appunti e un paio di penne.
Chiusi lo sportello, poi
esitai. «Quindi non ci sono serrature né
niente?»
«No.» Damien abbassò la voce. «Qui
non servono, perché, se
qualcuno ruba qualcosa, i vampiri lo
sanno. Non voglio neanche
pensare cosa succederebbe a chi fosse
tanto stupido da fare una
cosa simile.»
Tornammo ai nostri posti e cominciai a
scrivere l'unica cosa
che sapevo sulle amazzoni – che erano
donne guerriere che non
avevano molto bisogno degli uomini –
ma non ci mettevo la testa.
Continuavo a pensare come mai Damien,
Stevie Rae e persino
Erin e Shaunee andassero in paranoia
all'idea di mettersi nei guai.
Voglio dire, sono una brava ragazza…
okay, non perfetta, ma
insomma… Fino a quel momento ero
stata trattenuta a scuola in
punizione soltanto una volta, e anche lì
non per colpa mia.
Davvero. Uno stronzo mi aveva detto di
succhiargli l'uccello, e io
cos'avrei dovuto fare? Piangere?
Ridacchiare? Mettere il broncio?
Mmm… no… Perciò gli avevo dato un
ceffone e a essere punita
ero stata io.
Comunque non era andata poi così male,
perché avevo fatto i
compiti e iniziato a leggere il nuovo
Gossip Girls. Evidentemente
alla Casa della Notte la punizione
prevedeva qualcosa di più
dell'essere trattenuti in classe con un
insegnante per
quarantacinque minuti di «silenzio»
dopo la scuola. Dovevo
ricordarmi di chiedere a Stevie Rae…
«Prima di tutto, quali aspetti delle
tradizioni amazzoni
pratichiamo ancora qui alla Casa della
Notte?» chiese Neferet,
riportando la mia mente a lezione.
Damien alzò la mano. «L'inchino in
segno di rispetto, col
pugno sul cuore, deriva dalle amazzoni,
e lo stesso vale per il
modo in cui ci diamo la mano,
stringendoci l'avambraccio.»
«Giusto, Damien.»
Ah. Questo spiegava lo strano gesto di
saluto.
«Allora, quali idee preconcette avete
sulle guerriere
amazzoni?» domandò Neferet alla
classe.
«Le amazzoni avevano una società
profondamente
matriarcale, tipica di tutte le civiltà
vampire», disse una bionda
seduta dall'altra parte della stanza.
Cavolo, sembrava intelligente.
«Questo è vero, Elizabeth, ma quando la
gente parla delle
amazzoni, tende ad aggiungere un'aura di
leggenda alla storia.
Cosa intendo con questo?»
«Be', la gente – soprattutto gli umani –
pensano che le
amazzoni odiassero gli uomini», rispose
Damien.
«Proprio così. Ciò che sappiamo è che,
solo perché la loro
società era matriarcale, come la nostra,
non significa
automaticamente che fosse sessista nei
confronti dei maschi.
Persino Nyx ha un consorte, il dio
Èrebo, cui è devota. Le
amazzoni, però, erano uniche poiché
avevano scelto di difendersi e
proteggersi da sole. Come molti di voi
già sanno, la nostra società
odierna è ancora matriarcale, ma
rispettiamo e apprezziamo i Figli
della Notte, li consideriamo nostri
protettori e consorti. Adesso
aprite il libro al capitolo tre e studiamo
la figura di Pentesilea, la
più grande delle guerriere amazzoni. Ma
badate a tenere separate
nella vostra mente la leggenda e la
storia.»
E da lì Neferet si lanciò in una delle
lezioni più interessanti
che avessi mai ascoltato. Non mi accorsi
neanche che era passata
un'ora e il suono della campanella fu una
vera sorpresa. Avevo
appena rimesso il libro di sociologia nel
mio cestone (okay, lo so
che Neferet e Damien li chiamavano
armadietti, ma su, dai… mi
facevano proprio venire in mente i
cestoni che usavamo all'asilo)
quando Neferet mi chiamò. Afferrai un
blocco e una penna e corsi
alla cattedra.
«Come stai?» mi chiese con un caldo
sorriso.
«Bene. Tutto okay.»
Mi guardò inarcando un sopracciglio.
«Be', immagino di essere nervosa e
confusa.»
«È ovvio che tu lo sia. Ci sono tante
cose da imparare, e
cambiare scuola è sempre difficile…
figuriamoci cambiare anche
vita.» Spostò lo sguardo oltre la mia
spalla. «Damien,
accompagneresti Zoey a Recitazione?»
«Certo», rispose subito Damien.
«Zoey, noi ci vediamo stasera al Rito.
Oh, Afrodite ti ha fatto
l'invito formale di unirti alle Figlie
Oscure nella cerimonia privata
che seguirà?»
«Sì.»
«Volevo controllare con te e accertarmi
che ti stesse bene
andarci. Ovviamente capirei la tua
reticenza, ma t'incoraggio lo
stesso a partecipare; voglio che sfrutti
tutte le opportunità che ci
sono qui e le Figlie Oscure sono
un'associazione esclusiva. È un
onore che si siano già interessate a te
come possibile neofita.»
«Mi sta bene andare.» Costrinsi voce e
sorriso a sembrare
disinvolti. Era ovvio che si aspettava
che partecipassi al loro rito e
l'ultima cosa che volevo era che Neferet
fosse dispiaciuta di me. E
poi per niente al mondo avrei fatto
qualcosa che facesse pensare
ad Afrodite che avevo paura di lei.
«Benissimo», commentò con entusiasmo
Neferet. Mi strinse
la mano e automaticamente le sorrisi.
«Se hai bisogno di me, il
mio ufficio si trova nella stessa ala
dell'infermeria.» Osservò la
mia fronte. «Vedo che i punti si sono
assorbiti quasi del tutto.
Eccellente. Ti fa ancora male la testa?»
D'istinto le mie dita sfiorarono la
tempia. Sentivo pizzicare
ancora soltanto un paio di punti, quando
fino al giorno prima
erano almeno dieci. Molto, molto strano.
E, ancora più strano,
quel mattino era la prima volta che
pensavo alla mia ferita.
Mi resi conto che non avevo pensato
neanche alla mamma,
né a Heath o alla nonna… «No»,
replicai, accorgendomi che
Neferet e Damien stavano aspettando
una risposta. «No, no, la
testa non mi fa più male. Per niente.»
«Bene! Voi due farete meglio ad andare
o arriverete in
ritardo. Ti piacerà Recitazione. Credo
che la professoressa Nolan
abbia appena iniziato a lavorare sui
monologhi.»
Ero già a metà del corridoio e mi
affrettavo per star dietro a
Damien, quando mi resi conto della
cosa. «Come faceva a sapere
che avrei scelto Recitazione? L'ho
deciso appena stamattina!»
«A volte i vampiri adulti sanno
decisamente troppo»,
sussurrò Damien. «Cancella quello che
ho detto. I vampiri adulti
sanno sempre troppo, a maggior ragione
quando si tratta della
Somma Sacerdotessa.»
Alla luce di quello che non avevo detto
a Neferet, preferivo
non pensarci.
«Ma ciaaao, ragazzi!» Stevie Rae arrivò
come un ciclone.
«Com'è stata SocioVamp? Avete iniziato
le amazzoni?»
«È stata grandiosa.» Ero felice di
cambiare argomento e
accantonare per un po' i misteri dei
vampiri. «Non avevo idea che
si tagliassero davvero il seno destro
perché gli dava fastidio.»
Stevie Rae si guardò il petto. «Non ne
avrebbero avuto
bisogno se fossero state piatte come
me.»
«O me», sospirò Damien con aria
teatrale.
Stavo ancora sogghignando quando lui
m'indicò l'aula di
Recitazione.
La professoressa Nolan non trasudava
forza e potere come
Neferet, piuttosto energia. Aveva un
fisico atletico, eppure allo
stesso tempo il suo corpo era
stranamente a forma di pera, mentre
i capelli castani erano lunghi e lisci. E
Stevie Rae aveva detto la
verità: aveva un accento texano davvero
terribile. «Zoey,
benvenuta! Siediti dove vuoi.»
Salutai e presi posto vicino alla
Elizabeth che aveva parlato a
lezione di Socio Vamp. Aveva un'aria
abbastanza amichevole e
sapevo già che era intelligente (non fa
mai male stare seduti vicino
a ragazzi intelligenti.)
«Stavamo per iniziare a scegliere il
monologo che ciascuno
di voi presenterà alla classe la settimana
prossima. Prima, però,
penso possa farvi piacere avere una
dimostrazione di come si
recita, perciò ho chiesto al vostro
talentuoso compagno della
classe superiore di fermarsi con noi e
recitare il famoso monologo
dell'Otello, scritto dall'antico
drammaturgo vampiro William
Shakespeare.» La professoressa Nolan
s'interruppe e guardò oltre
il vetro della porta. «Eccolo che
arriva.»
Lui entrò e, oh buon Dio caro, credetti
che il cuore mi si
fosse fermato. Di certo rimasi a bocca
spalancata come un'idiota.
Era il ragazzo più meravigliosamente
stupendo che avessi mai
visto. Era alto e aveva capelli scuri che
si arricciavano alla
Superman. Adorabile. E gli occhi erano
di un incredibile azzurro
zaffiro e…
Oh. Diavolo! Diavolo! Diavolo! Era il
ragazzo del corridoio.
«Vieni, Erik. Come sempre il tuo
tempismo per l'entrata è
perfetto. Siamo pronti per il tuo
monologo.» La professoressa
Nolan tornò a rivolgersi alla classe con
un gran sorriso. «La
maggior parte di voi conosce Erik Night,
l'allievo di quinta che lo
scorso anno ha vinto la gara di
monologhi che la Casa della Notte
tiene a livello mondiale, le cui finali si
sono svolte a Londra. Sta
anche creando scalpore a Hollywood,
oltre che a Broadway, per la
sua interpretazione di Tony nel West
Side Story che la scuola ha
prodotto lo scorso semestre.»
Come se di colpo mi fossi tramutata in
un automa, applaudii
col resto degli studenti.
Sorridente e sicuro, Erik salì sul piccolo
palco al centro della
grande aula. «Ciao, ragazzi, come va?»
Parlò rivolgendosi a me.
Intendo proprio rivolgendosi a me.
Sentivo che la faccia mi andava in
ebollizione.
«I monologhi possono mettere paura, ma
il trucco sta nel
cominciare immaginando di recitare con
un intero cast di attori.
Costringetevi a pensare di non essere
soli là sopra, in questo
modo…»
E cominciò il monologo dell'Otello.
Non so molto della
tragedia di Shakespeare, ma
l'interpretazione di Erik fu
stupefacente. Lui era alto, probabilmente
più di uno e ottanta, ma,
quando cominciò a parlare, sembrò
diventare ancora più alto, più
grande e più forte. La voce si fece più
profonda e prese
un'inflessione che non riuscii a
classificare. I suoi incredibili occhi
diventarono più scuri e le palpebre si
strinsero in una fessura;
quando pronunciò il nome di Desdemona
fu come se pregasse. Era
evidente che l'amava, anche prima che
recitasse le battute
conclusive:
Mi amava per i pericoli che avevo
affrontato, e io amavo che
lei ne provasse pietà.
Mentre pronunciava quell'ultima frase i
suoi occhi si
fermarono nei miei e, proprio come in
corridoio il giorno prima,
sembrò non esserci nessun altro nella
stanza, nessun altro al
mondo. Sentii un brivido nel profondo,
una sensazione molto
simile a quella provata le due volte che
avevo sentito l'odore del
sangue dopo che ero stata Segnata, solo
che in quel momento di
sangue non ce n'era. C'era solo Erik. E
poi mi sorrise, si sfiorò le
labbra con le dita come se mi stesse
mandando un bacio e fece
l'inchino. Tutti si misero ad applaudire
come matti, inclusa me.
Davvero. Non riuscii a evitarlo.
«Bene, è così che si fa», commentò la
Nolan. «Dunque, ci
sono copie di monologhi sugli scaffali
rossi in fondo all'aula.
Prendete dei libri ciascuno e cominciate
a dare un'occhiata. Quello
che dovete cercare è una scena che per
voi abbia un significato,
che tocchi qualche punto della vostra
anima. Io girerò tra i banchi
per rispondere a qualunque domanda sui
brani che vi sembrano
interessanti e, una volta che avrete
scelto il pezzo, vi spiegherò i
passi che dovrete fare per preparare la
vostra presentazione.» Con
un sorriso e un cenno del capo pieni di
energia, c'indicò di
cominciare a sfogliare la carrettata di
testi.
Mi sentivo ancora rossa come un
peperone e a corto di fiato,
ma mi alzai con gli altri, anche se non
riuscii a non sbirciare Erik
da dietro la spalla. Stava uscendo
(purtroppo) dall'aula, ma prima
si voltò e mi beccò a guardarlo come
una tonta. Arrossii (ancora),
lui incrociò il mio sguardo e mi sorrise
(ancora), poi se ne andò.
«Che bonazzo strafigo», mi bisbigliò
all'orecchio qualcuno.
Mi voltai e mi stupii vedendo che Miss
Studentessa Perfetta
Elizabeth fissava Erik facendosi vento.
«Non ce l'ha la ragazza?» chiesi da
idiota totale.
«Solo nei miei sogni. A dire il vero
corre voce che lui e
Afrodite stessero assieme, ma io sono
qui da qualche mese e,
quando sono arrivata, tra loro era già
finita. Ecco qui.» Mi diede
un paio di volumi di monologhi. «Io
sono Elizabeth, niente
cognome.»
La mia faccia era un punto interrogativo.
Sospirò. «Di cognome facevo Titsworth.
Hai idea di che vuol
dire chiamarsi 'bella zinna'? Quando
sono arrivata e il mio mentore
mi ha detto che potevo cambiarmi il
nome in quello che volevo,
sapevo che mi sarei liberata di
Titsworth, ma ho trovato la scelta
di un cognome nuovo un po' troppo
stressante, perciò ho deciso di
farne a meno e tenermi solo il nome.»
Elizabeth Niente Cognome
fece spallucce.
«Be', piacere di conoscerti.» Certo che
ce n'erano di tipi
strani in quel posto.
«Ehi, Erik ti guardava», riprese mentre
tornavamo a sedere.
«Ma no, guardava tutti», dissi, anche se
sentivo che la mia
stupida faccia diventava ancora più
rossa e bollente.
«Certo, ma te ti guardava sul serio.»
Sorrise e aggiunse: «Oh,
trovo che il tuo Marchio completo sia
favoloso».
«Grazie.» Probabilmente faceva un
effetto assurdo sullo
sfondo color peperone.
«Zoey, hai domande su come scegliere il
monologo?» chiese
la Nolan facendomi sobbalzare.
«No, professoressa. L'ho già fatto al
corso di recitazione della
mia scuola di prima.»
«Molto bene. Dimmi se posso darti dei
chiarimenti
sull'ambientazione o sul personaggio.»
Mi assestò una pacchetta
sul braccio e riprese a girare tra i
banchi. Aprii il primo libro e
tentai (senza successo) di dimenticare
Erik e concentrarmi sui
testi.
Era vero, mi aveva guardata sul serio.
Ma perché? Doveva
aver capito che ero io in corridoio,
quindi che tipo d'interesse stava
mostrando verso di me? E volevo
piacere a un tipo che si era fatto
fare un pompino da quell'odiosa di
Afrodite? Probabilmente non
avrei dovuto. Voglio dire, di certo non
avevo intenzione di
riprendere da dove aveva lasciato lei. O
magari era solo
incuriosito dal mio strano Marchio già
bell'e colorato, come tutti
del resto.
Ma non era sembrato così. Era sembrato
che stesse proprio
guardando me. E mi era piaciuto.
Tornai a studiare il libro che avevo
ignorato. La pagina era
aperta al capitolo: «Monologhi
femminili drammatici», e il
primo era tratto da Siempre en ridìculo,
di José Echegaray.
Be', che diavolo. Probabilmente era un
segno.
13
In realtà trovai da sola l'aula di
Letteratura. Okay, era proprio
vicino alla stanza di Neferet, ma mi
sentivo comunque meglio a
non dover chiedere di farmi
accompagnare in giro come il tipico
nuovo arrivato idiota.
«Zoey! Ti abbiamo tenuto il pooosto!»
gridò Stevie Rae non
appena misi piede in classe.
Era seduta accanto a Damien e
praticamente saltellava per
l'eccitazione, sembrando di nuovo un
cucciolo felice, cosa che mi
fece sorridere. Ero davvero contenta di
vederla.
«Dai, dai, dai! Dimmi tutto! Com'era
Recitazione? Ti è
piaciuto? Ti piace la professoressa
Nolan? Il suo tatuaggio non è
una favola? Mi fa venire in mente una
maschera… più o meno.»
Damien la prese per il braccio.
«Respira e lascia che la
ragazza risponda.»
«Scusa», replicò imbarazzata Stevie
Rae.
«I tatuaggi della Nolan saranno di certo
una favola», ribattei.
« Saranno? Ma non li hai guardati?»
«Be', ero distratta.»
Si stupì, poi i suoi occhi si strinsero a
fessura. «Cosa?
Qualcuno ti ha messa in imbarazzo per il
tuo Marchio? Certa gente
è proprio truce.»
«No, no, niente del genere. Anzi, quella
Elizabeth Niente
Cognome ha detto che le sembrava
favoloso. Ero distratta perché,
be'…» Mi sentivo di nuovo la faccia in
fiamme. Avevo deciso di
raccontargli di Erik, ma adesso che
avevo cominciato a parlare mi
chiedevo se facevo bene. Dovevo dirgli
anche del corridoio?
Damien si rianimò. «Sento che è in
arrivo qualcosa di
succoso. Avanti, Zoey. Eri distratta
perchééé?»
«Okay, okay. Posso riassumere la
questione in due parole:
Erik Night.»
La bocca di Stevie Rae si spalancò di
botto e Damien finse
uno svenimento, ma dovette raddrizzarsi
subito, perché in quel
momento suonò la campanella e la
professoressa Pentesilea entrò
in aula.
«Dopo!» mormorò Stevie Rae.
«Assolutamente!» rincalcò Damien.
Feci un sorriso innocente. Se non altro
ero certa che l'attesa li
avrebbe fatti impazzire.
La lezione di Letteratura fu
un'esperienza. Prima di tutto, la
classe in sé era completamente diversa
da quelle che avevo visto.
Poster, dipinti strani e interessanti e
quelle che sembravano opere
d'arte originali riempivano ogni
centimetro delle pareti. E dal
soffitto pendevano campane a vento e
cristalli in grande quantità.
La professoressa Pentesilea (che grazie
alla lezione di SocioVamp
sapevo essere il nome della più onorata
delle amazzoni), che tutti
chiamavano prof P, sembrava il
personaggio di un film (sì, be', di
quelli che danno su SciFi Channel).
Aveva lunghissimi capelli
biondo rossiccio, grandi occhi nocciola
e un corpo pieno di curve
che con ogni probabilità faceva sbavare
tutti i maschi (non che sia
difficile far sbavare degli adolescenti). I
suoi tatuaggi erano dei
minuscoli ed eleganti nodi celtici che le
incorniciavano il viso e
gli zigomi, che così sembravano alti e
marcati. Portava calzoni
sportivi neri a vita bassa dall'aria
costosa e un cardigan di seta
color muschio con ricamata sul petto la
stessa immagine della dea
che aveva Neferet. E, adesso che
pensavo a un argomento diverso
da Erik, mi resi conto che lo stesso
ricamo spiccava anche sul
taschino della camicia della Nolan.
Mmm…
«Sono nata nell'aprile del 1902», esordì
la professoressa
Pentesilea catturando subito la nostra
attenzione. Cioè, insomma, a
malapena le davi trent'anni. «Perciò
avevo dieci anni nell'aprile del
1912 e mi ricordo molto bene la
tragedia. Di cosa sto parlando?
Qualcuno di voi ha un'idea?»
Okay, sapevo esattamente di cosa stava
parlando, ma non
perché sia una sfigata senza speranza
che studia storia da mattina a
sera. È perché quando ero più giovane
pensavo di essere
innamorata di Leonardo Di Caprio, e per
il mio dodicesimo
compleanno la mamma mi aveva preso
la collezione completa dei
suoi film in DVD. E quel film in
particolare l'avevo visto talmente
tante volte che ancora me lo ricordavo
quasi tutto a memoria (e
non sto a dire quante volte ho pianto
come una disperata quando
lui viene portato via dalle onde come un
adorabile ghiacciolo).
Mi guardai intorno. Nessun altro
sembrava avere idee in
proposito, quindi sospirai e alzai la
mano.
La prof P sorrise e mi sollecitò a
rispondere. «Sì, signorina
Redbird?»
«Nell'aprile del 1912 è affondato il
Titanic. È stato colpito da
un iceberg la sera tardi del 14, ed è
affondato giusto qualche ora
dopo, il 15.»
Sentii Damien inspirare accanto a me e
il piccolo ooh
soffocato di Stevie Rae. Diavolo, mi ero
comportata così da scema
che si stupivano nel sentirmi dare una
risposta giusta?
«Adoro quando un novizio appena
arrivato sa qualcosa»,
disse la prof. «Tutto perfetto, signorina
Redbird. All'epoca della
tragedia io vivevo a Chicago e non
dimenticherò mai gli strilloni
che urlavano la tragica notizia agli
angoli delle strade. Fu un fatto
orribile, soprattutto perché la perdita di
vite sarebbe stata evitabile,
e segnò la fine di un'epoca e l'inizio di
un'altra, oltre che
determinare l'introduzione di molti
cambiamenti necessari nel
diritto marittimo. Studieremo tutto
questo, oltre ai fatti
deliziosamente melodrammatici di
quella notte, nel nostro
prossimo testo letterario, Titanic. La
vera storia, libro che Walter
Lord ha scritto in base a meticolose
ricerche. Benché Lord non
fosse un vampiro – e questo è un vero
peccato – trovo comunque
la sua descrizione di quella notte molto
avvincente e il suo stile e
il tono della scrittura interessanti e
leggibili. Okay, cominciamo!
Gli ultimi prendano i libri per l'intera
fila dall'armadietto lungo in
fondo alla classe.»
Wow, fantastico! Era decisamente più
interessante che
leggere Grandi speranze (Pip,
Estrella… chissene frega?!) Mi
sistemai con la mia copia di Titanic. La
vera storia e il blocco
aperto per prendere appunti. La prof P
cominciò a leggerci ad alta
voce il primo capitolo, e lo faceva
davvero bene. Tre ore di
lezione quasi finite e mi erano piaciute
tutte. Era mai possibile che
quella scuola di vampiri fosse davvero
qualcosa di più del posto
noioso dove andavo ogni giorno solo
perché dovevo e perché,
inoltre, ci andavano tutti i miei amici?
Non che tutte le lezioni alla
mia vecchia scuola fossero state noiose,
ma di certo non avremmo
studiato le amazzoni e il Titanic
(spiegato da un'insegnante che era
già viva quand'era affondato!)
Mentre la prof leggeva, mi guardai
intorno osservando gli
altri studenti. Eravamo una quindicina,
come, mi pareva, anche
negli altri corsi. Avevano tutti il libro
aperto e stavano attenti.
Poi con la coda dell'occhio intravidi
qualcosa di rosso e
cespuglioso dall'altra parte della stanza,
vicino al fondo. Avevo
parlato troppo presto: non tutti i ragazzi
stavano attenti. Quello
aveva la testa appoggiata sulle braccia e
dormiva come un sasso,
cosa di cui mi ero resa conto perché la
sua faccia grassoccia,
troppo bianca e piena di lentiggini, era
girata verso di me. Aveva
la bocca aperta e penso che stesse
persino sbavando un po'. Mi
chiesi cosa gli avrebbe fatto la prof.
Non sembrava il tipo da
restare imperturbabile con uno scansa
che ronfa in fondo all'aula,
ma continuò la lettura, intervallandola
con interessanti aneddoti di
prima mano riguardo l'inizio del XX
secolo, cosa che mi piacque
molto (soprattutto quando parlò delle
maschiette. Lo sarei stata
senz'altro anch'io, se fossi vissuta negli
anni '20). Fu soltanto
quando la campanella stava per suonare
e ci era già stato assegnato
di compito il capitolo successivo che la
prof agì come se
finalmente si fosse accorta del ragazzo
che dormiva. Lui aveva
cominciato a stiracchiarsi, quindi aveva
sollevato la testa
mostrando il segno rosso sulla tempia
che indicava dove si era
appoggiato sul braccio e che sembrava
incredibilmente fuori posto
accanto al Marchio.
«Elliott, ti devo parlare», disse la prof P
da dietro la cattedra.
Il rosso si prese tutto il tempo possibile
per alzarsi e
raggiungerla, strascicando i piedi nelle
scarpe mal tenute.
«Sììì?»
«Elliott, tu ovviamente sarai bocciato al
corso di Letteratura,
ma la cosa più importante è che anche la
vita ti boccerà. I vampiri
maschi sono forti, stimabili e unici.
Sono i nostri guerrieri e
protettori da infinite generazioni. Come
puoi pensare di
Trasformarti in un essere che è più
guerriero che uomo se non
riesci a mettere in pratica neppure
l'autocontrollo necessario a
stare sveglio in classe?»
Si strinse nelle spalle dall'aria
deboluccia.
L'espressione della prof s'indurì. «Ti
darò la possibilità di
recuperare lo zero che hai preso oggi
per la mancata
partecipazione in classe scrivendo un
breve saggio su un
argomento a tua scelta che fosse
importante nell'America
dell'inizio del XX secolo. Da
consegnare domani.»
Senza neanche replicare, il ragazzo
cominciò a voltarsi.
«Elliott.» La prof abbassò la voce e,
decisamente seccata, la
modulò in modo che mettesse molta più
paura di quanto non
avesse fatto mentre leggeva e spiegava.
Percepivo la forza che irradiava e mi
domandai se avrebbe
mai potuto avere bisogno di un maschio
che la proteggesse.
Il rosso si fermò e si girò per
affrontarla.
«Non ti avevo detto che te ne potevi
andare. Cos'hai deciso di
fare riguardo al compito per rimediare
allo zero di oggi?»
Lui si limitò a starsene lì senza dire
niente.
«A questa domanda serve una risposta,
Elliott. Subito!»
L'aria intorno a lei crepitava per la forza
dell'ordine, facendomi
pizzicare la pelle delle braccia.
Il rosso, invece, sembrava non essere
per niente colpito e fece
di nuovo spallucce. «Probabilmente non
lo farò.»
«Questo la dice lunga sul tuo carattere,
Elliott, e non è niente
di buono. Non solo tradisci te stesso, ma
tradisci anche il tuo
mentore.»
Ulteriore alzata di spalle, seguita da un
dito nel naso. «Il
Dragone sa già come sono.»
La campanella suonò e la prof P, con
un'espressione
disgustata, fece cenno a Elliott di
lasciare la stanza. Damien,
Stevie Rae e io ci eravamo appena alzati
e stavamo per uscire
dalla porta, quando Elliott ci superò
camminando ciondoloni, ma
si mosse più in fretta di quanto avrei mai
creduto possibile per un
simile scansa. Si scontrò con Damien,
che era in testa al nostro
gruppetto e che, con un «oops», barcollò
e quasi cadde.
«Finocchio di merda, levati di mezzo»,
ringhiò il rosso,
prendendo Damien per le spalle in modo
da passare dalla porta per
primo.
«Dovrei fargli un culo così a
quell'imbecille!» Stevie Rae si
affrettò a raggiungere Damien che ci
aspettava.
Lui scosse il capo. «Non ti preoccupare.
Quell'Elliott ha dei
grossi problemi.»
«Già, come avere la cacca al posto del
cervello», intervenni,
fissando la schiena del rosso che si
allontanava.
« Cacca al posto del cervello?» Damien
rise e prese
sottobraccio me da una parte e Stevie
Rae dall'altra,
accompagnandoci lungo il corridoio in
stile Mago di Oz. «È
questo che mi piace della nostra Zoey.
Ci sa proprio fare con le
volgarità.»
«Cacca non è volgare», replicai sulla
difensiva.
«Tesoro, credo proprio che il concetto
fosse quello», rise
Stevie Rae.
«Oh.» Risi anch'io. E mi era piaciuto
proprio tanto tanto
quando Damien aveva detto la «nostra»
Zoey… come se
appartenessi a quel gruppo e a quel
luogo… come se potesse
essere casa.
14
La lezione di scherma fu fantastica, e la
cosa mi stupì. Si
teneva fuori della palestra, in una grande
stanza che sembrava uno
studio di danza completo di parete a
specchi. Su un lato
pendevano dal soffitto degli insoliti
manichini a grandezza
naturale che mi fecero venire in mente
dei bersagli da tiro
tridimensionali. Tutti chiamavano il
professore Dragone Lankford,
o anche solo Dragone, e non mi ci era
voluto molto per capirne il
motivo: il suo tatuaggio rappresentava
due dragoni i cui corpi,
simili a serpenti, si avviluppavano lungo
la linea della mandibola.
Le teste erano al di sopra delle
sopracciglia, avevano la bocca
aperta e mandavano lingue di fuoco in
direzione della mezzaluna
sulla fronte. Era stupefacente e risultava
molto difficile non
guardarlo. Per di più Dragone era il
primo vampiro maschio adulto
che vedevo da vicino e all'inizio ero
confusa. Immagino che, se mi
avessero chiesto come mi aspettavo
fosse un vampiro, avrei
risposto l'opposto di quello che era lui.
Sinceramente nella testa
avevo il classico stereotipo
cinematografico: alto, bello,
pericoloso. Insomma, tipo Vin Diesel.
Invece Dragone era basso,
aveva lunghi capelli biondastri che
teneva legati a coda di cavallo
e (a parte il tatuaggio dall'aria feroce)
aveva un bel viso dal sorriso
gentile.
Avevo cominciato a rendermi conto
della sua forza solo
quando aveva dato inizio agli esercizi di
riscaldamento.
Dall'istante in cui aveva impugnato la
spada (che poi avrei
scoperto chiamarsi épée) nel saluto
tradizionale, era diventato un
altro, si muoveva con una rapidità e una
grazia incredibili. Fintava
e faceva affondi senza il minimo sforzo
apparente, facendo
sembrare gli alunni – persino i ragazzi
più bravi, come Damien –
dei goffi burattini. Concluso il
riscaldamento, Dragone aveva
diviso tutti in coppie per quelli che
chiamò «standard» e mi ero
sentita sollevata quando aveva fatto
cenno a Damien di fare coppia
con me.
«Zoey, è bello averti con noi alla Casa
della Notte.» Dragone
mi aveva stretto l'avambraccio nel
tradizionale saluto delle vampire amazzoni. «Damien ti può spiegare
quali sono le diverse parti
della divisa da scherma e io ti darò un
opuscolo da studiare nei
prossimi giorni. Posso presumere che tu
non abbia mai praticato
questo sport?»
«Sì, non l'ho mai fatto.» Poi, un po'
nervosa, avevo aggiunto:
«Ma sono contenta d'imparare. Voglio
dire, l'idea di usare una
spada è proprio forte».
Dragone mi aveva corretto con un
sorriso: «Fioretto,
imparerai a usare un fioretto. È la più
leggera delle tre armi che
abbiamo e una scelta eccellente per una
donna. Sapevi che la
scherma è uno dei pochissimi sport in
cui uomini e donne possono
competere alla pari?»
«No», avevo replicato interessata.
Quanto sarebbe stato
fantastico prendere a pedate nel didietro
un maschio in uno sport?!
«Questo perché uno schermidore
intelligente e concentrato
può compensare in modo efficace
qualunque eventuale carenza lui
o lei possa avere e magari addirittura
trasformare queste carenze –
per esempio in forza o in portata
dell'allungo – in risorse positive.
In altre parole, puoi non essere forte o
veloce quanto il tuo
avversario, ma puoi essere più
intelligente o mantenere una
maggiore concentrazione, e questo farà
pendere la bilancia in tuo
favore. Giusto, Damien?»
Damien si era aperto in un mega sorriso.
«Giusto.»
«Damien è uno degli schermidori più
concentrati cui abbia
avuto il privilegio d'insegnare in
decenni, e questo fa di lui un
temibile avversario.»
Avevo lanciato un'occhiata a Damien,
che era arrossito di
orgoglio e di piacere.
«Ti farò allenare con lui nelle mosse di
apertura per circa una
settimana. Ricorda sempre che la
scherma richiede
l'apprendimento di tecniche che per
natura sono sequenziali e
gerarchiche: se non ne viene acquisita
una, risulterà molto difficile
padroneggiare quelle successive e lo
schermidore avrà un grave
svantaggio permanente.»
«Okay, me lo ricorderò», avevo
replicato.
Dragone mi aveva rivolto un altro caldo
sorriso e si era
allontanato tra le coppie che si
allenavano.
«Quello che intendeva è che non ti devi
scoraggiare o
annoiare se ti farà ripetere un sacco di
volte lo stesso esercizio»,
aveva detto Damien.
«In pratica mi stai dicendo che sarà
noioso ma che c'è dietro
uno scopo?»
«Già. E parte di quello scopo ti sarà
utile per sollevare quel
tuo bel sederino», aveva risposto
sfrontato, assestandomi qualche
lieve colpo col suo fioretto.
Lo avevo spinto via alzando gli occhi al
cielo, ma, dopo venti
minuti di affondi e ritorno alla posizione
iniziale e altri affondi e
così via, avevo capito che aveva
ragione. Il giorno dopo il sedere
mi avrebbe fatto un male terribile.
Dopo la lezione ci eravamo fatti una
doccia veloce (per
fortuna nello spogliatoio femminile
c'erano docce singole chiuse
dalla tenda e non avevamo dovuto farci
una tragica e barbara
doccia tutte insieme come se fossimo
compagne di galera o cose
simili) e poi ero andata di corsa in sala
da pranzo con tutti gli altri.
E dico in senso letterale, perché morivo
di fame.
Lì trovai un immenso buffet per
prepararsi da soli mega
insalate e c'era di tutto, dal tonno a
quelle strane mini pannocchie
che non si capisce bene cosa siano e
nemmeno sanno di mais (cosa
saranno di preciso? Mais neonato? Mais
nano? Mais mutante?) Io
mi riempii un piattone e presi un grosso
pezzo di quello che
dall'aspetto e dal profumo sembrava
pane appena sfornato, quindi
mi sedetti al nostro tavolo accanto a
Stevie Rae, seguita da
Damien. Erin e Shaunee stavano già
begando per decidere quale
dei loro compiti di letteratura fosse
migliore, anche se tutt'e due
avevano preso 96.
«Allora, Zoey, spara. Cos'è 'sta storia di
Erik Night?» chiese
Stevie Rae nell'attimo in cui m'infilavo
in bocca una forchettata
d'insalata.
Le sue parole zittirono immediatamente
le gemelle e
concentrarono su di me l'attenzione di
tutto il tavolo.
Avevo riflettuto su cosa dire di Erik, e
avevo deciso che non
ero pronta a raccontare a nessuno della
shockante scena del
pompino, perciò mi limitai a dire:
«Continuava a guardarmi».
Quando mi fissarono tutti con aria
perplessa, capii che, con la
bocca piena, in realtà dovevo aver
detto: «Comtava a guddmmi».
Inghiottii e ritentai. «Continuava a
guardarmi. A Recitazione. È
stato, non lo so, strano.»
«Definisci 'guardarmi'», intervenne
Damien.
«Be', è successo appena ha messo piede
in aula, ma è stato
davvero evidente quando ci ha fatto un
esempio di monologo. Ha
recitato quello dell'Otello e, quand'è
arrivato alle frasi sull'amore e
così via, mi ha fissata proprio. Avrei
pensato che fosse un caso,
ma mi ha guardata anche prima d'iniziare
e poi di nuovo mentre
lasciava la stanza.» Sospirai,
sentendomi un po' a disagio sotto i
loro sguardi troppo penetranti. «Lasciate
perdere. Probabilmente
faceva parte della scena.»
«Erik Night è il bonazzo più figo di tutta
la scuola»,
commentò Shaunee.
«Non datele ascolto: è il bonazzo più
figo di tutto il pianeta»,
intervenne Erin.
«Non più di Kenny Chesney», replicò
rapida Stevie Rae.
«Oh, ti prego, basta con questa
ossessione per il country!»
Shaunee lanciò un'occhiataccia a Stevie
Rae, prima di riposare
l'attenzione su di me. « Non lasciarti
scappare l'occasione sotto il
naso.»
«Giààà», le fece eco Erin. « Non farlo.»
«Lasciarmi scappare l'occasione? E
cosa dovrei fare? Non mi
ha neanche rivolto la parola.»
«Mmm, Zoey, tesoro, hai risposto al suo
sorriso?» chiese
Damien.
Sbattei le palpebre. Avevo risposto al
suo sorriso? Ah,
cavolo, avrei scommesso di non averlo
fatto. Avrei scommesso di
essere rimasta lì a guardarlo come
un'idiota, magari sbavando
persino un po'. Okay, d'accordo, non
avrò sbavato, ma il concetto
è chiaro. «Non lo so», risposi invece di
confessare la triste verità,
ma senza riuscire a convincere Damien.
Lui sbuffò. «La prossima volta,
sorridigli.»
«E magari digli anche ciao», aggiunse
Stevie Rae.
«Pensavo che Erik fosse solo una bella
faccia», disse
Shaunee.
«E un bel corpo», le fece eco Erin.
«Finché non ha mollato Afrodite.
Quando l'ha fatto ho
pensato che il ragazzo avesse qualcosa
di funzionante anche ai
piani alti», continuò Shaunee.
«Riguardo ai piani bassi, di dubbi non
ce n'erano mai stati!»
commentò Erin facendo andare su e giù
le sopracciglia.
«Già-giààà!» Shaunee si leccò le labbra
come stesse
pensando di mangiarsi un grosso pezzo
di cioccolato.
«Certo che voi due siete davvero
oscene», disse Damien.
«Vogliamo solo dire che ha il più bel
culo di tutta la città,
cara Miss Perbenino», lo rimbeccò
Shaunee.
«Come se tu non te ne fossi accorto»,
aggiunse Erin.
«Se cominci a parlare con Erik, Afrodite
s'incazzerà»,
intervenne Stevie Rae.
Si voltarono tutti a guardarla come se
avesse appena diviso il
mar Rosso o robetta simile.
«È vero», convenne Damien.
«Più che vero», confermò Shaunee
mentre Erin annuiva.
«Allora, stando alle chiacchiere, lui
usciva con Afrodite»,
m'informai.
«Già», replicò Erin.
«E le chiacchiere sono grottesche ma
vere. Il che rende
ancora più piacevole 'sto fatto che
adesso gli piaci tu!» esclamò
Shaunee.
«Ragazzi, probabilmente guardava
soltanto il mio strano
Marchio», borbottai.
«Magari no. Tu sei davvero carina,
Zoey.» Stevie Rae fece
un dolce sorriso.
«O magari il tuo Marchio l'ha fatto
guardare, poi ha pensato
che fossi carina e ha continuato»,
aggiunse Damien.
«Comunque sia, se ti guarda, Afrodite
s'incazzerà», ripetè
Shaunee.
«E questa è una bella cosa», concluse
Erin.
Stevie Rae si dissociò dai loro
commenti con un gesto della
mano. «Dimenticati di Afrodite, del tuo
Marchio e di tutto il resto.
La prossima volta che ti sorride,
salutalo. Tutto qui.»
«Detto», disse Shaunee.
«Fatto», fece Erin.
«Okay», bofonchiai. Tornai alla mia
insalata e desiderai
disperatamente che la questione Erik
Night fosse davvero da
detto-fatto come pensavano loro.
Una cosa del pranzo alla Casa della
Notte era uguale anche
nella mia scuola precedente o in
qualunque altra scuola in cui
avessi pranzato: finiva troppo presto. E
la lezione di spagnolo fu
un po' nebulosa. La profesora Garmy era
una specie di piccola
tromba d'aria ispanica. Mi piacque
subito, e molto (i suoi tatuaggi
sembravano piume, quindi mi fece
pensare a un piccolo uccellino
spagnolo), ma spiegava completamente
in lingua. Completamente.
Forse dovrei chiarire che dopo la terza
media non avevo più fatto
spagnolo e ammetto senza problemi che
comunque non mi ero mai
impegnata molto. Perciò mi sentivo
persa, ma scrissi i compiti da
fare e mi ripromisi di darci dentro coi
vocaboli. Odio sentirmi
persa.
Introduzione agli Studi Equestri si
teneva nel Capanno, che
era un edificio di mattoni basso e lungo
vicino al muro di cinta
meridionale e attaccato a un immenso
maneggio coperto. Il posto
aveva quell'odore di cavallo e segatura
che, mischiato al cuoio,
andava a creare qualcosa di gradevole,
anche sapendo che parte
dell'odore «gradevole» era data dalla
cacca. Di cavallo, appunto.
Me ne stavo con un gruppetto di ragazzi
appena dentro il
recinto, dove uno studente più grande,
alto e dalla faccia seria, ci
aveva detto di aspettare. Eravamo solo
dieci, e tutti di terza. Oh
(grandioso), quella palla di Elliott testa
rossa era stravaccato
contro il muro e tirava calci alla
segatura, sollevando abbastanza
polvere da far starnutire la ragazza più
vicina, che gli lanciò
un'occhiataccia e si allontanò di qualche
passo. Dio, ma doveva
proprio dare fastidio a tutti? E perché
non metteva qualcosa
(magari anche solo un pettine) in quei
capelli crespi?
Il rumore di zoccoli distolse la mia
attenzione da Elliott e mi
fece alzare lo sguardo giusto in tempo
per vedere una splendida
giumenta nera entrare al galoppo nel
recinto. Si fermò in scivolata
a meno di un metro da noi e, mentre la
guardavamo a bocca
aperta, chi la montava scese di sella con
un movimento aggraziato.
Era una donna, con folti capelli lunghi
fino alla vita, di un biondo
talmente chiaro da sembrare quasi
bianco, e occhi di un insolito
grigio ardesia. Era minuta e, da come
stava dritta, mi ricordò
quelle ragazze talmente prese dai corsi
di danza che perfino
quando non stanno ballando sembra
comunque che abbiano
mangiato un manico di scopa. Il suo
tatuaggio era formato da una
complicata serie di nodi che
s'intrecciavano a incorniciarle il viso
e in quei disegni color zaffiro fui certa
di vedere dei cavalli al
galoppo.
«Buona sera. Io sono Lenobia, e questo»
– prima di finire la
frase indicò la giumenta e diede
un'occhiata sprezzante al nostro
gruppetto – «è un cavallo.» La sua voce
rimbalzò tra le pareti e la
giumenta sbuffò quasi a sottolineare le
sue parole. «E voi siete il
mio nuovo gruppo di terza. Ciascuno di
voi è stato scelto per
questo corso perché riteniamo che
possiate avere una certa
attitudine per l'equitazione. La verità è
che meno della metà di voi
proseguirà dopo questo semestre e meno
della metà di quelli che
proseguiranno diventeranno davvero dei
cavallerizzi decenti.
Avete domande?» Non si fermò
abbastanza da lasciare tempo a
qualcuno di farne. «Bene. Allora
seguitemi che iniziamo.» Si voltò
e tornò a passo di marcia nelle scuderie.
La seguimmo.
Avrei voluto chiederle chi erano quelli
che ritenevano che
potessi avere una certa attitudine per
l'equitazione, ma avevo paura
di parlare, perciò le arrancai dietro
come tutti gli altri.
Si fermò di fronte a una fila di poste
vuote, al cui esterno
c'erano forconi e carriole. Lenobia si
voltò a guardarci. «I cavalli
non sono cani grandi. E neppure il sogno
romantico da ragazzine
del perfetto migliore amico che ti
capisce sempre.»
Due ragazze vicino a me si dimenarono
con aria colpevole e
Lenobia le trapassò con un lampo dei
grandi occhi grigi.
«I cavalli sono lavoro. I cavalli
richiedono dedizione,
intelligenza e tempo. Cominceremo con
la parte del lavoro. Nella
stanza dei finimenti là in fondo troverete
degli stivali. Sceglietene
un paio in fretta, poi mettetevi i guanti.
Dopo di che ognuno di voi
prende una posta e si dà da fare.»
«Professoressa Lenobia?» intervenne
una ragazza paffuta con
uno splendido viso, alzando la mano un
po' nervosa.
«Basta Lenobia. Il nome che ho scelto in
onore dell'antica
regina vampira non richiede altro
titolo.»
Non avevo idea di chi fosse Lenobia e
presi mentalmente
nota di fare ricerche in proposito.
«Continua, Amanda. Hai qualcosa da
chiedere?»
«Già, mmm, sì.»
Lenobia la guardò inarcando le
sopracciglia.
Amanda deglutì rumorosamente. «Ci
diamo da fare a fare
cosa, profes…, cioè, Lenobia, signora?»
«A pulire le poste, è ovvio. Lo sterco va
nelle carriole e,
quando sono piene, potete rovesciare il
contenuto nell'area per il
compostaggio sul lato delle scuderie
rivolto verso il muro di cinta.
Nel magazzino accanto alla stanza dei
finimenti c'è della segatura.
Avete cinquanta minuti. Torno tra
quarantacinque a controllare il
lavoro.»
La fissammo tutti sbattendo le palpebre.
«Potete cominciare. Subito.»
Cominciammo.
Okay. Sul serio. Lo so che suonerà
strano, ma non mi dava
fastidio pulire la mia posta. Voglio dire,
lo sterco di cavallo non è
poi così schifoso. Soprattutto perché era
evidente che quelle poste
venivano pulite più volte durante la
giornata. Presi gli stivali da
lavoro (che erano stivaloni di gomma
assolutamente orribili che
però mi coprivano i jeans fino alle
ginocchia), un paio di guanti e
mi misi all'opera. Ottimi altoparlanti
diffondevano una musica che
ero quasi certa fosse l'ultimo CD di
Enya (prima di sposare John,
mia mamma ascoltava Enya, ma poi lui
aveva deciso che poteva
essere musica da streghe e lei non
l'ascoltò più, motivo per cui a
me Enya era sempre piaciuta). Perciò mi
ritrovai ad ascoltare le
ammalianti canzoni gaeliche mentre
tiravo su forconate di cacca di
cavallo. Mi sembrò che fosse passato un
niente quando mi ritrovai
a svuotare la carriola e a riempirla di
segatura pulita. La stavo
giusto spargendo e lisciando nella posta
quando un pizzicorino
alla schiena mi disse che qualcuno mi
stava osservando.
«Ottimo lavoro, Zoey.»
Sobbalzai, girai sui tacchi e vidi
Lenobia appena fuori della
mia posta.
In una mano teneva una grossa spazzola
morbida, nell'altra le
briglie di una giumenta roana dagli occhi
da cerbiatta. «L'avevi già
fatto.»
«Una volta mia nonna aveva un
dolcissimo castrone grigio
che avevo chiamato Bunny.» Quando mi
resi conto di quanto
suonasse stupido, ormai l'avevo detto.
Con le guance in fiamme,
mi affrettai a finire il discorso: «Be',
avevo dieci anni allora e il
suo colore mi faceva venire in mente
Bugs Bunny, perciò ho
cominciato a chiamarlo così e il nome è
rimasto».
Le labbra di Lenobia si sollevarono in
un infinitesimale
accenno di sorriso. «Ed era la posta di
Bunny che pulivi?»
«Sì. Mi piaceva montarlo e la nonna
diceva che nessuno
dovrebbe montare un cavallo se poi non
pulisce dove sporca.» Mi
strinsi nelle spalle. «Così pulivo dove
sporcava.»
«Tua nonna è una donna saggia.»
Assentii.
«E non ti dava fastidio pulire dove
sporcava Bunny?»
«No, per niente.»
«Bene. Ti presento Persefone.» Lenobia
indicò con la testa la
giumenta. «Hai appena pulito la sua
posta.»
La cavalla entrò nel box e si diresse
verso di me, mi
appoggiò il muso contro la faccia e
soffiò piano, facendomi il
solletico. Ridacchiai, le accarezzai il
naso e le stampai un bacio
sul muso caldo e vellutato. «Ciao,
Persefone, ma come sei bella!»
Lenobia fece un cenno di approvazione
mentre la cavalla e io
facevamo conoscenza. «Mancano solo
cinque minuti prima che
suoni la campana della fine delle
lezioni, perciò non è necessario
che ti fermi, ma, se vuoi, credo ti sia
guadagnata il privilegio di
spazzolare Persefone.»
Stupita, alzai gli occhi dal collo della
giumenta. «Nessun
problema, mi fermo», mi sentii dire.
«Eccellente. Quando hai finito, puoi
riportare la spazzola
nella stanza dei finimenti. Ci vediamo
domani, Zoey.» Lenobia mi
tese la striglia, diede una pacca
affettuosa alla cavalla e ci lasciò
sole.
Persefone infilò la testa nella
rastrelliera di metallo che
conteneva la biada fresca e cominciò a
masticare mentre io la
spazzolavo. Bunny era morto per un
attacco di cuore fulmineo e
spaventoso due anni prima e la nonna
era rimasta troppo sconvolta
per prendere un altro cavallo. Diceva
che «il coniglio» (era così
che le piaceva chiamarlo) era
insostituibile. Perciò era da due anni
che non ne vedevo uno, ma mi tornò
subito tutto in mente: gli
odori, il caldo, rilassante rumore di un
cavallo che mangia, il
sommesso svuusc della striglia che
scivolava sul lucido mantello
della giumenta.
A margine della mia soglia di attenzione,
udii vagamente la
voce di Lenobia, tagliente e rabbiosa,
che strigliava (hi, hi) un
alunno, che immaginai fosse testa rossa
la palla. Sbirciai oltre la
spalla di Persefone e diedi una rapida
occhiata. Eccolo lì, il rosso,
appoggiato con aria strafottente di fronte
alla sua posta. Accanto a
lui Lenobia, mani sui fianchi. Anche così
di sbieco riuscivo a
vedere che era arrabbiata come una
biscia. Ma la missione di quel
ragazzo era quella di fare incavolare a
sangue ogni singolo
insegnante? E il suo mentore era
Dragone? Okay, il tipo sembrava
gentile, finché non prendeva in mano una
spada – cioè, un fioretto
– e non diventava un letale guerriero
vampiro.
«Quello scansafatiche testa rossa deve
aver voglia di morire
presto», dissi a Persefone mentre
ricominciavo a spazzolarla.
La giumenta girò l'orecchio verso di me
e sbuffò.
«Già, sapevo che saresti stata d'accordo.
Vuoi sentire la mia
teoria su come la mia generazione
potrebbe spazzare via con una
sola mano dall'America tutti i ragazzi
sfigati e scansa?» Sembrava
interessata, quindi mi lanciai nella mia
tirata sul Non Procreate
con Sfigati e Falliti…
«Zoey! Eccoti qui!»
«Ohmioddio! Stevie Rae! Mi hai fatto
venire una strizza!»
Diedi una pacca a Persefone per
tranquillizzarla, perché, quando
avevo gridato, si era impaurita.
«Che accidenti stai facendo?»
Agitai la spazzola verso di lei. «A te
cosa sembra stia
facendo, la pedicure?»
«Smetti di perdere tempo. Lo sai che il
Rituale della Luna
Piena comincia tra un paio di minuti?»
«Ah, diavolo!» Un'altra pacchetta a
Persefone e mi precipitai
dalla scuderia alla stanza dei finimenti.
«Ti eri dimenticata, vero?» Stevie Rae
mi tenne la mano per
aiutarmi a stare in equilibrio mentre mi
toglievo gli stivali di
gomma e rimettevo su le mie fighissime
ballerine.
«No», mentii.
Poi mi resi conto che avevo scordato
anche il rito delle Figlie
Oscure che si sarebbe tenuto dopo.
«Oh, diavolo!»
15
Circa a metà strada dal tempio di Nyx
mi accorsi che Stevie
Rae era insolitamente silenziosa, quindi
la osservai di sottecchi.
Era anche pallida? Mi venne un brivido.
«Stevie Rae, c'è qualcosa
che non va?»
«Sì, be', è una cosa triste e che mette
anche paura.»
«Cosa? Il Rituale della Luna Piena?»
Cominciò a farmi male
lo stomaco.
«No, ti piacerà… almeno, questo. »
Sapevo a cosa si riferiva, al confronto
tra il rito della scuola e
quello delle Figlie Oscure, cui avrei
dovuto partecipare dopo, ma
non avevo voglia di parlarne.
Le successive parole di Stevie Rae però
fecero sembrare la
questione Figlie Oscure un problemino
secondario. «Un'ora fa è
morta una ragazza.»
«Cosa? Come?»
«Come muoiono tutti. Non è riuscita a
Trasformarsi e il suo
organismo…» Stevie Rae s'interruppe,
rabbrividendo. «È successo
verso la fine della lezione di Tae Kwan
Do. All'inizio degli
esercizi di riscaldamento aveva
cominciato a tossire, come fosse
senza fiato. Non ci ho fatto caso più di
tanto. O forse sì, ma ho
preferito non pensarci.»
Stevie Rae mi fece un sorriso timido e
triste e parve
vergognarsi di se stessa.
«C'è modo di salvare un ragazzo? Sì,
insomma, dopo che ha
cominciato…» Lasciai la frase in
sospeso e feci un gesto vago e
imbarazzato.
«No, non c'è modo di essere salvati se
l'organismo inizia a
rifiutare la Trasformazione.»
«Allora non devi sentirti in colpa per
non aver pensato alle
conseguenze della tosse di quella
ragazza. Non avresti potuto fare
niente comunque.»
«Lo so. È che io… è stato orribile. Ed
Elizabeth era così
simpatica!»
Sentii una fitta in un punto imprecisato a
metà del mio corpo.
«Elizabeth Niente Cognome? È lei che è
morta?»
Stevie Rae annuì, sbattendo con forza le
palpebre nel
tentativo più che evidente di non
piangere.
«È terribile», commentai, la voce tanto
flebile da essere
appena un sussurro. Ricordavo com'era
stata premurosa riguardo
al mio Marchio e come si era accorta
che Erik mi guardava. «Ma
l'ho vista a lezione di Recitazione e
stava bene!»
«È così che succede. Un momento il
ragazzo o la ragazza
seduto vicino a te sembra del tutto
normale, e il momento
successivo…» Stevie Rae rabbrividì
ancora.
«E gli altri vanno avanti come se niente
fosse? Anche se
qualcuno della scuola è appena morto?»
Mi ricordavo che l'anno
prima, quando un gruppo di fagioli del
mio vecchio liceo aveva
avuto un incidente in macchina nel fine
settimana e due erano
rimasti uccisi, il lunedì erano stati fatti
venire a scuola degli
psicologi in più oltre a quello solito e
gli eventi sportivi erano stati
cancellati per tutta la settimana.
«Continua tutto in modo normale. È
previsto che ci
abituiamo all'idea che possa succedere a
chiunque di noi. Vedrai.
Si comporteranno tutti come se non fosse
successo niente,
soprattutto quelli delle classi superiori.
Saranno solo quelli di terza e i migliori
amici di Elizabeth a
mostrare una qualche reazione. Quelli di
terza – che siamo noi –
devono comportarsi bene e superare la
cosa. Probabilmente la sua
compagna di stanza e gli amici più stretti
staranno un po' in
disparte per un paio di giorni, ma poi ci
si aspetta che si
riprendano.» Abbassò la voce. «A dirti
la verità, io non penso che
i vampiri pensino a noi come reali
finché non ci Trasformiamo.»
Ci riflettei su. Neferet non sembrava
trattarmi come se fossi
temporanea, aveva persino detto che era
un'ottima cosa che il mio
Marchio fosse già completato, anche se
io non ero altrettanto
sicura del mio futuro. Ma di certo non
avrei detto niente che
potesse suonare come se Neferet avesse
un trattamento speciale
per me. Non volevo essere «quella
diversa». Volevo solo essere
amica di Stevie Rae e integrarmi col
mio nuovo gruppo. «È
davvero tremendo», commentai alla fine.
«Già, ma almeno, se succede, succede in
fretta.»
Una parte di me voleva conoscere i
dettagli, ma un'altra
aveva troppa paura anche solo di
chiedere.
Per fortuna Shaunee c'interruppe prima
che riuscissi a farmi
abbastanza coraggio da domandare
quello che in realtà ero troppo
spaventata per voler sapere. «Scusate
tanto, ma quanto ci avete
messo?» gridò dalla scalinata davanti al
tempio. «Erin e Damien
sono già dentro a tenerci il posto nel
cerchio, ma sapete che una
volta che il rito è iniziato non può più
entrare nessuno.
Spicciatevi!»
Ci precipitammo su per le scale e ci
affrettammo dietro a
Shaunee. Un dolce fumo d'incenso mi
avvolse non appena misi
piede nell'atrio ad arco del tempio di
Nyx. D'istinto esitai e Stevie
Rae e Shaunee si voltarono verso di me.
«Va tutto bene. Non c'è niente per cui
essere nervosa o avere
paura.» Stevie Rae incrociò il mio
sguardo e aggiunse: «Almeno
non qui dentro».
«Il Rituale della Luna Piena è magnifico.
Ti piacerà. Oh,
quando la vamp ti traccia il pentacolo
sulla fronte e dice:
'Benedetta sia', devi soltanto rispondere
anche tu con: 'Benedetta
sia'», mi spiegò Shaunee. «Poi ci segui
al nostro posto nel
cerchio.» Mi fece un sorriso
rassicurante ed entrò per prima nella
stanza scarsamente illuminata.
Afferrai la manica di Stevie Rae.
«Aspetta. Non voglio
sembrare stupida, ma il pentacolo non è
un segno del male o roba
del genere?»
«È quello che pensavo anch'io prima di
arrivare qui. Ma tutte
quelle storie sul male sono stronzate che
mette in giro il Popolo
della Fede in modo che…» Fece
spallucce. «Diamine, non so
neanche perché gli freghi così tanto che
la gente – be', gli umani, è
ovvio – creda che è un simbolo del
male. La verità è che per circa
un fantastiliardo di anni il pentacolo ha
significato saggezza,
protezione e perfezione. Cose positive
così. È solo una stella a
cinque punte. Quattro punte stanno per
gli elementi e la quinta,
quella rivolta in alto, per lo spirito.
Tutto qui. Nessuna diavoleria.»
«Il controllo», borbottai, felice di avere
un motivo per
smettere di pensare a Elizabeth e alla
morte.
«Eh?»
«Il Popolo della Fede vuole controllare
tutto, e parte di quel
controllo consiste nel fatto che tutti
devono sempre credere
esattamente la stessa cosa. È per questo
che vogliono che la gente
pensi che il pentacolo sia male.» Scossi
la testa con disgusto.
«Lascia perdere. Andiamo. Sono più
pronta di quanto pensassi.
Entriamo.»
Procedemmo nell'atrio e sentii un suono
di acqua corrente.
Superammo una bella fontana, poi
l'ingresso curvò leggermente a
sinistra. Nel vano ad arco di una porta
c'era una vampira che non
conoscevo, vestita completamente di
nero, con una gonna lunga e
una camicetta di seta con le maniche
scampanate. L'unica
decorazione che aveva era un ricamo
d'argento della dea sul petto.
Aveva lunghi capelli color grano e dalla
mezzaluna sulla fronte
partivano spirali color zaffiro che le
incorniciavano il viso
perfetto.
«Quella è Anastasia. Insegna Incantesimi
e Rituali, ed è
anche la moglie di Dragone», bisbigliò
Stevie Rae prima di
presentarsi davanti alla vampira e
posare il pugno sul cuore in
segno di rispetto.
Anastasia sorrise e intinse le dita nella
ciotola di pietra che
teneva in mano, quindi tracciò una stella
a cinque punte sulla
fronte di Stevie Rae. «Benedetta sia»,
disse.
«Benedetta sia», rispose lei, poi mi
lanciò un'occhiata
d'incoraggiamento e sparì nella stanza
fumosa.
Respirai a fondo e presi la consapevole
decisione di scacciare
dalla mente ogni pensiero relativo a
Elizabeth, alla morte e cose
simili… almeno durante il rituale. Mi
misi di fronte ad Anastasia
e, imitando Stevie Rae, appoggiai il
pugno chiuso sul cuore.
La vampira tuffò le dita in quello che
scoprii essere olio.
«Ben trovata, Zoey Redbird, benvenuta
alla Casa della Notte e alla
tua nuova vita.» Tracciò il pentacolo
sopra la mia mezzaluna. «E
benedetta sia.»
«Benedetta sia», mormorai, stupita del
fremito che mi aveva
attraversata quando la stella umida
aveva preso forma sulla fronte.
«Entra e unisciti ai tuoi amici. Non hai
motivo di essere
nervosa, credo che la Dea si stia già
prendendo cura di te.»
«Gr-grazie», replicai, quindi entrai in
fretta nella stanza.
C'erano candele ovunque. Bianche,
immense, erano disposte
lungo i muri o appese al soffitto tramite
lampadari di ferro. Nel
tempio, i candelabri da parete non
reggevano lampade a olio come
nel resto della scuola, ma facevano
davvero il loro mestiere.
Sapevo che quel posto in origine era una
chiesa del Popolo della
Fede dedicata a sant'Agostino, ma non
somigliava alle altre chiese,
non a quelle che avevo visto io, almeno.
Oltre a essere illuminato
soltanto da candele, non c'erano i banchi
(tra l'altro, a me i banchi
proprio non piacciono: non potrebbero
essere più scomodi!) In
realtà l'unico pezzo di arredamento nella
grande sala era un antico
tavolo di legno posto al centro che
somigliava a quello in sala da
pranzo. Solo che non era pieno soltanto
di cibo e di vino, ma
ospitava anche una statua di marmo
della Dea con le braccia
sollevate, molto simile al ricamo che
portavano i vampiri. Sul
tavolo c'erano parecchi bastoncini
d'incenso e un enorme
candelabro, le cui grosse candele
bianche splendevano luminose.
Poi i miei occhi furono attratti da una
fiamma libera che si
alzava da un incavo nel pavimento e
guizzava con foga arrivando
quasi all'altezza della vita. Era un
bellissimo fuoco giallo e dava
un senso di pericolo controllato, che
sembrò trascinarmi a sé. Per
fortuna il movimento delle mani di
Stevie Rae mi distrasse prima
che potessi seguire l'impulso di
avvicinarmi alla fiamma. Fu allora
che mi accorsi, stupendomi di non
averlo notato prima, che c'era
un immenso cerchio di persone, formato
sia da studenti sia da
vampiri adulti, che si estendeva lungo il
perimetro della stanza.
Sentendomi allo stesso tempo nervosa e
intimorita, obbligai i piedi
a muoversi in modo da prendere posto
vicino a Stevie Rae.
«Finalmente», disse sottovoce Damien.
«Scusate il ritardo», replicai.
«Lasciala stare, è già abbastanza
nervosa», mi difese Stevie
Rae.
« Sstt! Comincia», sibilò Shaunee.
Quattro sagome parvero materializzarsi
negli angoli bui della
sala, poi divennero donne e raggiunsero
quattro punti all'interno
del cerchio vivente, come fossero le
direzioni di una bussola. Altre
due entrarono dalla porta da cui ero
passata anch'io e vidi che una
era un uomo alto – ah, tirateci sopra una
riga, volevo dire un
vampiro (tutti gli adulti erano vampiri) –
e, oh. Mio. Dio. Era da
urlo. Un eccellente esempio dello
stereotipo del vampiro
bellissimo, anzi splendido, visto da
vicino e dal vero. Era alto
almeno un metro e ottantacinque e
sembrava uscito dallo schermo
del cinema.
«Ecco l'unico motivo per cui come
complementare ho scelto
quel cavolo di Poesia», mormorò
Shaunee.
«Condivido pienamente, gemella»,
sussurrò sognante Erin.
«Chi è?» domandai a Stevie Rae.
«Loren Blake, Poeta Laureato Vampiro.
È il primo Poeta
Laureato degli ultimi duecento anni»,
bisbigliò. «E pensa che è
solo sulla ventina, e in anni reali, non
soltanto nell'aspetto.»
Prima che potessi chiedere altro, lui
cominciò a parlare e la
mia bocca si ritrovò troppo impegnata a
spalancarsi al suono della
sua voce perché potessi fare altro che
ascoltare.
Ella splendida incede, come notte di
limpido immenso e cieli
di stelle.
Mentre parlava, si muoveva lentamente
verso il cerchio e,
come se la sua voce fosse stata una
musica, la donna che era
entrata nella sala con lui cominciò a
ondeggiare, quindi a danzare
con grazia intorno alla parte esterna del
cerchio vivente.
E tutto il meglio di oscuro e di luce
negli occhi e nell'aspetto
suo rifulge.
La donna che ballava aveva attirato
l'attenzione di tutti e
quasi trasalii accorgendomi che era
Neferet. Indossava un lungo
abito di seta tempestato di minuscole
perline di cristallo che
consentivano alla luce delle candele di
cogliere ogni suo
movimento e di farla splendere come un
cielo stellato. I suoi gesti
sembravano dare vita alle parole
dell'antica poesia (perlomeno il
mio cervello lavorava ancora
abbastanza bene da farmela
riconoscere come Ella splendida incede
di Lord Byron).
Dolce in quel tenero chiarore
che il cielo nega allo sfarzo del giorno.
Non so come, Neferet e Loren riuscirono
a trovarsi al centro
del cerchio proprio mentre lui finiva di
recitare i versi.
Poi Neferet prese un calice dal tavolo e
lo sollevò, come a
offrire da bere al cerchio. «Benvenuti,
figli di Nyx, alle
celebrazioni della Dea in occasione
della luna piena!»
«Ti salutiamo con gioia», risposero in
coro tutti gli adulti.
Neferet sorrise e rimise a posto il
calice, prendendo invece un
lungo accenditoio per candele. Quindi
attraversò il cerchio e si
fermò davanti a una vampira che non
conoscevo, in piedi in quello
che doveva essere il punto d'inizio.
Salutò Neferet con la mano sul
cuore prima di voltarsi dandole le
spalle.
« Psstt!» bisbigliò Stevie Rae. «Mentre
Neferet evoca i
quattro elementi e percorre il cerchio di
Nyx, noi dobbiamo
rivolgerci nelle quattro direzioni. La
prima è l'est, che rappresenta
l'aria.»
Quindi tutti, inclusa me con la mia
rapidità da bradipo, ci
voltammo verso est.
Con la coda dell'occhio vidi Neferet
sollevare le braccia
sopra la testa mentre la sua voce
risuonava sulle pareti di pietra del
tempio. «Da est io ti chiamo, aria, e ti
chiedo di portare in questo
cerchio il dono della sapienza, in modo
che il nostro rituale sia
pieno di discernimento.»
Nell'attimo in cui Neferet cominciò a
pronunciare
l'invocazione sentii l'aria cambiare. Si
mosse intorno a me,
scompigliandomi i capelli e
riempiendomi le orecchie dei suoni
del vento che sospira tra le foglie. Mi
guardai intorno,
aspettandomi di vedere che pure tutti gli
altri erano stati travolti da
un mini tornado, ma nessuno aveva i
capelli spettinati come me.
Strano.
La vamp nel punto dell'est trasse dalle
pieghe dell'abito una
grossa candela gialla che Neferet
accese. La sollevò, quindi la
posò ai suoi piedi.
«Girati a destra per il fuoco», mormorò
Stevie Rae.
Ci voltammo e Neferet riprese. «Da sud
io ti chiamo, fuoco, e
ti chiedo di accendere in questo cerchio
il dono della forza di
volontà, in modo che il nostro rituale sia
vincolante e autorevole.»
Il vento che aveva soffiato con forza su
di me fu sostituito da
una sensazione di calore. Non era
sgradevole, piuttosto somigliava
alla vampata che si prova quando si
entra in una vasca bollente,
ma abbastanza intensa da farmi sudare
leggermente. Guardai
Stevie Rae. Teneva la testa un po'
sollevata e gli occhi chiusi. Ma
sul suo viso non c'era traccia di sudore.
Il calore aumentò di colpo
e voltandomi vidi che Neferet aveva
acceso la grande candela
rossa tenuta in mano da Pentesilea che,
come aveva fatto la
vampira rivolta a est, la sollevò in
offerta prima di posarla a terra
davanti a sé.
Questa volta non servì il colpo di
gomito di Stevie Rae per
farmi girare ancora a destra in direzione
ovest. Non so come,
sapevo già non solo che dovevamo
voltarci, ma anche che il
successivo elemento a essere chiamato
sarebbe stato l'acqua.
«Da ovest io ti chiamo, acqua, e ti
chiedo d'impregnare
questo cerchio di compassione, in modo
che la luce della luna
piena possa essere usata per concedere
al nostro gruppo la
guarigione oltre che la comprensione.»
Neferet accese la candela blu della
vampira rivolta a ovest,
che la sollevò e se la posò ai piedi, e
l'odore salmastro del mare mi
riempì le narici. Impaziente, completai il
cerchio voltandomi verso
nord, sapendo che avrei abbracciato la
terra.
«Da nord io ti chiamo, terra, e ti chiedo
di far crescere in
questo cerchio il dono del palesamento,
in modo che i desideri e le
preghiere di stanotte abbiano buon
esito.»
Di colpo potei percepire sotto i piedi la
morbidezza di un
campo erboso, sentii l'odore del fieno e
udii il canto degli uccelli.
Una candela verde venne accesa e posta
ai piedi della «terra».
Probabilmente avrei dovuto spaventarmi
per quelle strane
sensazioni che nascevano in me, invece
mi riempivano di una
leggerezza quasi esagerata: mi sentivo
bene. Talmente bene che,
quando Neferet si volse verso la fiamma
che ardeva al centro della
sala e tutti ci voltammo in quella
direzione, dovetti stringere le
labbra con forza per evitare di
scoppiare in una risata. Il poeta
bello da morire era in piedi dall'altra
parte del fuoco rispetto a
Neferet e vidi che teneva in mano una
candela viola.
«E infine io chiamo te, spirito, a
completare il nostro cerchio,
e ti chiedo di colmarci di legami, in
modo che, in quanto tuoi figli,
possiamo prosperare insieme.»
Non potevo crederci, ma, quando il
poeta accese la candela
alla grande fiamma nel pavimento e la
posò sul tavolo, sentii il
mio spirito agitarsi, come se dentro al
mio petto ci fosse un grande
batter d'ali.
Poi Neferet cominciò a girare intorno
all'interno del cerchio,
parlando con noi, incrociando il nostro
sguardo, includendoci nelle
sue parole. «Questo è il momento della
pienezza lunare. Tutte le
cose crescono e calano, persino i figli di
Nyx, i suoi vampiri. Ma
in questa notte le forze della vita, della
magia e della creazione
sono al loro massimo fulgore, come la
luna della nostra Dea.
Questo è il momento di costruire… di
fare.»
Il cuore mi batteva forte mentre la
ascoltavo e mi resi conto
con un certo sussulto che in realtà stava
facendo una predica. Si
trattava di un servizio religioso, ma la
creazione del cerchio e le
parole di Neferet mi toccarono come
mai nessun sermone aveva
neanche minimamente cominciato a fare.
Mi guardai intorno.
Magari era l'ambiente. La sala era resa
nebbiosa dal fumo
dell'incenso e magica dal guizzare delle
candele. E Neferet era
tutto quello che doveva essere una
Somma Sacerdotessa. La sua
bellezza era una fiamma di per sé e la
sua voce aveva una magia
che incantava tutti. Nessuno era
accasciato sul banco a
sonnecchiare o giocava a sudoku di
nascosto.
«Questo è un momento in cui il velo tra
il mondo terreno e lo
splendido e singolare regno della Dea si
fa davvero sottile. In
questa notte si possono trascendere con
facilità i confini tra i
mondi, e conoscere la bellezza e
l'incanto di Nyx.»
Sentivo le parole di Neferet scivolare su
di me e stringermi la
gola. Rabbrividii e all'improvviso il
mio Marchio divenne caldo e
prese a pizzicare.
Quindi il poeta disse con la sua voce
profonda e intensa:
«Questo è un momento in cui dare vita
all'etereo, intessendo i fili
di spazio e tempo per dare inizio alla
Creazione. Perché la vita è
un cerchio oltre che un mistero. La
nostra Dea lo capisce e lo
stesso vale per il suo consorte, Erebo».
Improvvisamente mi sentii meglio
riguardo alla morte di
Elizabeth, che non mi sembrò più tanto
orribile e spaventosa, ma
piuttosto una parte del mondo naturale,
un mondo in cui tutti
avevamo un posto.
Loren continuò: «Luce… buio…
giorno… notte… morte…
vita… è tutto legato insieme dallo
spirito e dal tocco della Dea. Se
manteniamo l'equilibrio e guardiamo
alla Dea, possiamo imparare
a tessere un incantesimo coi raggi di
luna e creare con esso un
tessuto di pura materia magica, da tenere
con noi tutti i giorni
della nostra esistenza».
«Chiudete gli occhi, figli di Nyx», disse
Neferet. «E inviate
un desiderio segreto alla vostra Dea.
Stanotte, quando il velo tra i
mondi è sottile, quando la magia agisce
nel mondo terreno, forse
Nyx esaudirà le vostre richieste e vi
avvolgerà nella foschia lieve
come la ragnatela dei sogni realizzati.»
Magia! Stavano realmente pregando per
la magia! Avrebbe
funzionato? Poteva funzionare? C'era
davvero la magia in questo
mondo? Ricordavo la maniera in cui il
mio spirito era stato in
grado di vedere le parole e come la Dea
mi aveva chiamata nel
crepaccio con la sua voce visibile, e poi
mi aveva baciato la fronte
cambiando la mia vita per sempre. E
come, appena un attimo fa,
avevo percepito la forza del richiamo
degli elementi fatto da
Neferet. Non me l'ero immaginato, non
potevo essermelo
immaginato.
Chiusi gli occhi e pensai alla magia che
sembrava
circondarmi, quindi mi rivolsi alla notte:
Il mio desiderio segreto è
d'integrarmi e sentirmi parte di un
gruppo… di avere finalmente
trovato una casa che nessuno mi possa
togliere.
Nonostante l'insolito calore del mio
Marchio, avevo la testa
leggera e mi sentivo inspiegabilmente
felice.
Neferet ci disse di aprire gli occhi e,
con una voce allo stesso
tempo dolce e potente, di donna e
guerriera assieme, continuò il
rito. «Questo è il momento in cui
viaggiare non visti alla luce della
luna. Il momento per ascoltare musica
non creata da mani umane o
vampire. È il momento di comunione coi
venti che ci
accarezzano» – Neferet chinò
leggermente la testa a est – «e col
fulmine che imita la primigenia scintilla
di vita.» Chinò la testa a
sud. «È il momento in cui trovare diletto
nel mare eterno e nella
calda pioggia che ci placa, come nella
terra verdeggiante che ci
circonda e ci sostiene.» Indicò col capo
prima l'ovest e poi il nord.
E ogni volta che Neferet nominava un
elemento avevo la
sensazione di essere attraversata da una
dolce scossa elettrica.
Poi le quattro donne che impersonavano
gli elementi si
mossero all'unisono verso il tavolo
dove, assieme a Neferet e a
Loren, sollevarono ciascuna un calice.
«Salute a te, Dea della Notte e della
luna piena!» disse
Neferet. «Salute a te, Notte, da cui
deriva la nostra benedizione. In
questa notte ti rendiamo grazie!»
Col calice in mano, le quattro donne si
separarono tornando
al proprio posto nel cerchio.
«Nel potente nome di Nyx», riprese
Neferet.
«E di Erebo», aggiunse il poeta.
«Chiediamo dall'interno del tuo sacro
cerchio che tu ci dia la
conoscenza per parlare il linguaggio
della natura, di volare liberi
come gli uccelli, di vivere la forza e la
grazia dei felini e di trovare
nella vita un'estasi e una gioia che
portino alla pienezza del nostro
essere. Benedetta sia!»
Non riuscivo a smettere di sorridere. In
chiesa non avevo mai
ascoltato parole simili e, sicuro come
l'inferno, lì non mi ero
neanche mai sentita così piena di
energia!
Neferet bevve dal calice che teneva in
mano, quindi l'offrì a
Loren, che bevve e disse: «Benedetta
sia».
Ripetendo i loro gesti, le quattro donne
si spostarono rapide
intorno al cerchio, permettendo a tutti,
novizi e adulti, di bere da
uno dei calici. Quando fu il mio turno fui
felice di vedere che a
offrirmi da bere e la benedizione fosse il
volto familiare di
Pentesilea. Era vino rosso e mi
aspettavo che fosse aspro, come il
sorso del Cabernet che mia mamma tiene
nascosto che avevo
assaggiato una volta (e che proprio non
mi era piaciuto), ma non
era così. Era dolce e speziato e rese la
mia testa ancora più
leggera.
Quando tutti ebbero bevuto, i calici
furono riportati al tavolo.
«Stasera voglio che ciascuno di voi
passi almeno un
momento da solo nella luce della luna
piena: che i suoi raggi vi
ristorino e vi aiutino a ricordare quanto
siete straordinari… o
quanto lo diventerete.» Neferet sorrise
ad alcuni novizi, me
inclusa. «Compiacetevi della vostra
unicità. Crogiolatevi nella
vostra forza. Noi stiamo separati dal
mondo a causa del nostro
dono. Non dimenticatelo mai, perché
potete essere certi che il
mondo non lo farà. Ora chiudiamo il
cerchio e abbracciamo la
notte.»
In ordine inverso, Neferet ringraziò
ciascun elemento,
allontanandosi quando ciascuna candela
veniva spenta. Mentre lo
faceva, percepii una punta di tristezza,
come stessi dicendo addio a
degli amici. Poi terminò il rituale. «Il
rito è concluso. Ben trovati,
ben lasciati e ben trovati di nuovo!»
I presenti le fecero eco. «Ben trovati,
ben lasciati e ben
trovati di nuovo!»
E questo fu tutto. Il mio primo rito della
Dea era finito.
Il cerchio si spezzò in fretta, più di
quanto avrei voluto. Avrei
desiderato rimanere lì a pensare alle
cose incredibili che avevo
provato, soprattutto al momento della
chiamata degli elementi, ma
non fu possibile. Venni trascinata fuori
del tempio su un'onda di
chiacchiere. Ero contenta che fossero
tutti così impegnati a parlare
da non accorgersi di quant'ero
silenziosa; non pensavo proprio di
riuscire a spiegare ad altri quello che mi
era appena successo.
Diavolo! Non riuscivo a spiegarlo
nemmeno a me stessa.
«Ehi, pensate che stasera ci sarà di
nuovo cibo cinese? Mi era
piaciuta un sacco la strana roba che ci
avevano dato dopo l'ultimo
rito della luna piena», disse Shaunee.
«Per non parlare del mio
biscotto della fortuna che diceva: 'Ti
farai un nome nella vita', che
è una gran figata.»
«Ho talmente fame che non m'importa
cosa, basta che ci
diano da mangiare», replicò Erin.
«Anch'io», intervenne Stevie Rae.
«Per una volta siamo perfettamente
d'accordo», convenne
Damien prendendo sottobraccio Stevie
Rae e me. «Andiamo a
mangiare.»
E di colpo, ricordai. «Oh, ragazzi.» Il
piacevole fremito che
mi aveva procurato il rito era
scomparso. «Non posso venire. Io
devo…»
«Che cretini!» Stevie Rae si assestò una
manata in fronte
tanto forte da fare uno schiocco. «Ce ne
siamo completamente
dimenticati.»
«Ah, merda!» sbottò Shaunee.
«Le streghe infernali», concluse Erin.
«Vuoi che ti tenga un piatto di
qualcosa?» mi chiese con
gentilezza Damien.
«No. Afrodite ha detto che mi daranno
da mangiare loro.»
«Probabilmente carne cruda», commentò
Shaunee.
«Già, di qualche poveretto preso nella
sua schifosa
ragnatela», aggiunse Erin.
«Intende quella che ha in mezzo alle
gambe», esplicito
Shaunee.
«Smettetela, state mandando Zoey in
paranoia!» Stevie Rae
cominciò a spingermi verso la porta.
«Le faccio vedere dov'è la
sala di ricreazione, poi noi ci troviamo a
tavola.»
«Okay, dimmi che stavano scherzando
sulla carne cruda», la
implorai quando fummo fuori.
«Stavano scherzando?» ripetè Stevie
Rae in modo per niente
convincente.
«Grandioso. Non mi piace neanche la
bistecca al sangue. Che
faccio se vogliono davvero farmi
mangiare carne cruda?» Mi
rifiutavo di pensare a che tipo di carne
potesse essere.
«Credo di avere un Digerix in borsa. Lo
vuoi?» chiese Stevie
Rae.
«Sì», risposi sentendo già arrivare la
nausea.
16
«Ecco qui.» Stevie Rae si era fermata
con un'evidente aria di
disagio e di scuse davanti alla scalinata
che portava a un edificio
rotondo di mattoni posto su una
collinetta che dominava il lato est
del muro di cinta. Immense querce
creavano buio nel buio, al
punto che riuscivo a malapena a
intravedere il guizzare delle luci
che illuminavano l'entrata. Dall'interno
non proveniva nessun
chiarore, perché le lunghe finestre ad
arco, dai vetri probabilmente
colorati, erano state oscurate.
Cercavo di sembrare coraggiosa. «Okay,
sì. Be', grazie del
Digerix. E tienimi il posto. Questa roba
non potrà mica durare
tanto. Dovrei riuscire a raggiungervi per
cena.»
«Non metterti fretta. Davvero. Potresti
incontrare qualcuno
che ti piace e volerti fermare un po'.
Non ti devi preoccupare se va
così, perché io non mi arrabbio e dirò a
Damien e alle gemelle che
sei in ricognizione.»
«Stevie Rae, io non diventerò una di
loro.»
«Ti credo», disse, ma i suoi occhi erano
sgranati in maniera
sospetta.
«Allora ci vediamo presto.»
«Okay. A presto», replicò percorrendo il
marciapiede che
riportava all'edificio principale.
Non mi andava di vederla andare via:
aveva l'aria triste e
derelitta di un cucciolo che è stato
sgridato. Perciò salii la scala e
mi dissi che non sarebbe stata poi una
gran cosa, comunque niente
di peggio di quando la mia sorella similBarbie mi aveva convinta
ad andare con lei al campo per
cheerleader (okay, non so cosa mi
fosse passato per la testa). Perlomeno il
disastro non sarebbe
durato una settimana. Probabilmente
avrebbero creato un altro
cerchio – cosa che, a dire il vero, era
stata fantastica –,
pronunciato qualche strana preghiera
come aveva fatto Neferet e
poi ci sarebbe stata la cena. Quello
sarebbe stato il momento per
me di fare un bel sorriso e andarmene
via. Detto-fatto.
Le torce ai lati dello spesso portone di
legno erano a gas, non
a fiamma libera come nel tempio di Nyx.
Allungai la mano verso
il pesante battente di ferro ma, con un
preoccupante rumore simile
a un sospiro, la porta si aprì verso
l'interno.
«Ben trovata, Zoey.»
Oh. Mio. Dio. Era Erik. Era tutto vestito
di nero e con quei
capelli ricci e scuri e gli occhi di un
azzurro impossibile mi fece
venire in mente Clark Kent – be', okay,
nella versione senza
occhiali da sfigato e penosi capelli
impomatati… perciò…
immagino che questo significhi che mi
fece venire in mente
(ancora) Superman –, be', senza
mantello o tutina o grande S…
Quel gran blaterare nel cervello mi si
spense di botto quando
lui appoggiò il dito bagnato nell'olio
sulla mia fronte e tracciò le
cinque punte del pentacolo. «Benedetta
sia.»
«Benedetta sia», replicai, e non dirò mai
grazie abbastanza
perché la mia voce non uscì a gracchio,
raschio o strilletto. Ah,
ragazzi, che buon odore aveva. Ma non
riuscivo a capire che cosa
fosse. Non si trattava dei noiosi,
iperusati dopobarba che i maschi
si mettono a litri. Era un odore di… un
odore di… di foresta e di
notte dopo la pioggia… di qualcosa di
legato alla terra e al pulito
e…
«Puoi entrare», mi stava dicendo.
«Oh, ah, grazie», replicai con grande
sfoggio di genialità.
Entrai. E mi fermai. L'interno era
costituito da un'unica grande
sala, le cui pareti circolari erano
coperte da tendoni di velluto nero
che bloccavano completamente le
finestre e la luce argentata della
luna. Riuscivo a vedere che sotto ai teli
c'erano delle strane
sagome e stavo cominciando a darci
dentro di paranoia quando mi
ricordai che – guarda guarda – era una
sala ricreativa, quindi
dovevano aver spostato televisori e
giochi vari ai lati,
nascondendo il tutto per creare
un'atmosfera più inquietante. Poi la
mia attenzione venne attirata dal cerchio
in mezzo alla stanza,
realizzato con candele messe in alti
contenitori di vetro rosso,
simili ai ceri votivi che si possono
comprare nel reparto cibi
messicani delle drogherie e che odorano
di rosa e vecchie signore.
Dovevano essercene oltre un centinaio e
illuminavano con una
spettrale luce rossa i ragazzi, che
formavano un secondo cerchio
poco più ampio e intanto parlavano e
ridevano. Erano tutti vestiti
di nero e notai subito che nessuno aveva
ricamato emblemi che
indicassero la classe ma portavano
invece una grossa catena
d'argento da cui pendeva uno strano
simbolo. Sembrava formato
da due mezzelune messe una contro
l'altra con le punte all'esterno
e appoggiate su una luna piena.
«Eccoti qui, Zoey!» La voce di Afrodite
scivolò nella stanza
un passo avanti a lei. Indossava un abito
nero lungo che scintillava
di perline di onice, facendomi venire in
mente una versione dark
del bel vestito di Neferet. Portava lo
stesso ciondolo degli altri, ma
il suo era più grande e contornato di
pietre rosse che potevano
essere granati. I capelli biondi tenuti
sciolti la circondavano come
un velo. Era davvero troppo bella.
«Grazie, Erik, di avere dato il
benvenuto a Zoey. Adesso posso
occuparmene io.» Si comportava
in modo normale e per un istante
appoggiò persino la punta delle
dita curate alla perfezione sul braccio di
Erik, in quello che una
persona non al corrente avrebbe
considerato un gesto amichevole,
ma l'espressione della sua faccia
raccontava una storia del tutto
diversa. Era dura e gelida e i suoi occhi
sembravano bruciare in
quelli di lui.
Erik la guardò a malapena e levò il
braccio con intenzione,
poi mi rivolse un rapido sorriso e, senza
degnare Afrodite di
un'altra occhiata, si allontanò.
Grandioso. Mi mancava solo di trovarmi
in mezzo a una
brutta rottura tra quei due, ma,
nonostante tutto, sembrava non
riuscissi a impedire che i miei occhi
seguissero lui dall'altra parte
della stanza.
Stupida. Di nuovo. Sigh.
Afrodite si schiarì la voce e io cercai
(con risultati pessimi) di
non sembrare una beccata a fare
qualcosa che non doveva. Il suo
sorriso furbo e maligno diceva che non
c'erano dubbi sul fatto che
avesse notato il mio interesse per Erik
(e il suo per me) e, di
nuovo, mi chiesi se sapesse che il giorno
prima in corridoio c'ero
io.
Be', di certo non potevo domandarglielo.
«Devi spicciarti, ma ti ho portato
qualcosa per cambiarti.»
Afrodite parlava in fretta, intanto mi
faceva segno di seguirla nel
bagno delle ragazze. Mi lanciò
un'occhiata piena di disgusto da
dietro le spalle. «Non puoi certo venire
al rito delle Figlie Oscure
vestita così.» In bagno, mi tese
bruscamente un abito appeso a una
delle pareti divisorie e in pratica mi
spinse a forza nel cubicolo.
«Puoi mettere i tuoi vestiti sull'ometto e
riportarteli al
dormitorio così.»
Sembrava che non ci fosse la possibilità
di discutere con lei
e, comunque, mi sentivo già abbastanza
un'estranea. Vestire in
modo diverso dagli altri mi faceva
sentire come se fossi andata a
un party con un costume da papera
perché nessuno mi aveva detto
che non era una festa in maschera e tutti
avrebbero messo i jeans.
M'infilai il vestito nero dalla testa,
sospirando di sollievo
quando vidi che mi andava bene. Era
semplice ma mi donava. Era
fatto con una stoffa di quelle morbide e
aderenti che non si
stropicciano, aveva le maniche lunghe e
uno scollo tondo che
mostrava molto delle mie spalle (meno
male che avevo il
reggiseno nero). Intorno alla scollatura,
in fondo alle maniche e
sull'orlo, che mi arrivava giusto sopra il
ginocchio, erano cucite
delle piccole perline rosse. Era proprio
bello. Mi rinfilai le scarpe
pensando, soddisfatta, che un bel paio di
ballerine va praticamente
con tutto e uscii dal bagno. «Be',
perlomeno è della misura
giusta», commentai.
Mi accorsi però che Afrodite non
guardava il vestito ma
fissava il mio Marchio, cosa che mi
scocciava da matti. Okay, il
mio Marchio è tutto colorato. Lo
sappiamo e adesso basta! Però
non dissi niente. Insomma, quella era la
sua «festa» e io ero
un'ospite. Traduzione: gli altri erano
decisamente in
soprannumero, quindi meglio fare la
brava.
«Ovviamente sarò io a condurre il rito,
quindi sarò troppo
impegnata per tenerti per manina.»
Okay, avrei dovuto tenere la bocca
chiusa, ma mi stava
dando davvero sui nervi. «Senti,
Afrodite, non ho bisogno che tu
mi tenga per mano.»
Socchiuse le palpebre e mi preparai ad
affrontare un'altra
scenata da isterica. Invece si esibì in un
sorriso assolutamente
sgradevole, che la fece sembrare un
cane ringhioso. Con questo
non intendevo darle della cagna, ma
l'analogia sembrava accurata
in modo preoccupante. «È ovvio che tu
non abbia bisogno che ti si
tenga per mano. Supererai con
disinvoltura anche questo piccolo
rituale come hai fatto con tutto il resto.
Insomma, dopotutto sei la
nuova prediletta di Neferet.»
Splendido. Oltre alla questione Erik e al
problema del mio
strano Marchio, era pure gelosa perché
Neferet era la mia mentore.
«Afrodite, non credo di essere la nuova
prediletta di Neferet.
Sono soltanto nuova.» Cercai di
sembrare logica, sorrisi perfino.
«Come vuoi. Allora, sei pronta?»
Abbandonai il tentativo di ragionare con
lei e annuii. Non
vedevo l'ora che tutta quella menata del
rituale fosse finita.
«Bene. Andiamo.» Mi accompagnò fuori
dei bagni e fino al
cerchio, dove raggiungemmo due
ragazze che riconobbi come le
altre «streghe infernali» che l'avevano
seguita in mensa. Solo che,
invece della smorfia da ho-appenamangiato-un-limone, mi
accolsero con un sorriso caloroso.
No. Non mi facevo fare fessa, ma
costrinsi anche la mia
faccia a sorridere. Quando si è in
territorio nemico è meglio
mimetizzarsi e avere un'aria modesta e/o
stupida.
«Ciao, io sono Enio», esordì la più alta
delle due.
Naturalmente era bionda, ma i suoi
lunghi riccioli fluenti erano
più color grano che color oro, anche se
alla luce delle candele era
difficile essere certi di quale cliché
rappresentasse la descrizione
più appropriata. E continuavo a non
credere che fosse bionda
naturale.
«Ciao», risposi.
«E io sono Deino», le fece eco l'altra.
Era evidentemente lo
splendido risultato di un mix di razze,
una strabiliante
combinazione di meravigliosa pelle
caffè-con-molta-panna e
stupendi riccioli folti che probabilmente
non avevano mai osato
diventare crespi neanche in caso
d'iperumidità.
Tutte e due erano perfette in modo
sconcertante.
«Ciao», salutai di nuovo. Sentendomi
ben più che
claustrofobica, mi spostai nello spazio
che mi avevano fatto in
mezzo a loro.
«Godetevi il rituale, voi tre», cinguettò
Afrodite.
«Oh, lo faremo!» risposero in stereo
Enio e Deino.
Le tre amiche si scambiarono
un'occhiata che mi fece venire
la pelle d'oca.
Distolsi l'attenzione da loro prima che il
buonsenso avesse la
meglio sull'orgoglio e decidessi di
schizzare via da quel posto.
Adesso avevo una buona visuale della
parte interna del
cerchio, simile a quello nel tempio di
Nyx, tranne che vicino al
tavolo c'era una sedia su cui era seduto
qualcuno. Be', più o meno
seduto. A dire il vero, chiunque fosse
era mezzo stravaccato e
aveva il cappuccio di un mantello sulla
testa.
Mirati…
Comunque, il tavolo era decorato con lo
stesso velluto nero
delle pareti e vi era posta sopra una
statua della Dea assieme a un
portafrutta, del pane, parecchi calici,
una brocca. E un coltello.
Strizzai gli occhi per essere sicura di
aver visto bene. Già. Era
proprio un coltello, col manico d'osso e
una lunga lama ricurva
dall'aria pericolosa e decisamente
troppo affilata perché fosse
prudente tagliarci il pane o la frutta. Una
ragazza che mi sembrava
di aver visto al dormitorio stava
accendendo numerosi grossi
bastoncini d'incenso posti in eleganti
bruciaessenze intagliati
sistemati sul tavolo, ignorando del tutto
la persona stravaccata
sulla sedia. Cavolo, ma stava
dormendo?
L'aria cominciò immediatamente a
riempirsi di fumo e giuro
che era verdognolo e che si muoveva
nella stanza in spirali
dall'aria spettrale. Mi aspettavo che
avesse un odore dolce, come
l'incenso nel tempio di Nyx, ma, quando
mi raggiunse e lo
respirai, mi stupì per il suo gusto amaro.
Mi risultava familiare e
cercai di capire cosa fosse. C'erano
sicuramente alloro e chiodi di
garofano (dovevo ricordarmi di
ringraziare nonna Redbird per
avermi insegnato a riconoscere le spezie
dall'odore). Annusai di
nuovo, interessata, e mi si annebbiò un
po' la testa. Strano. Okay,
l'incenso era insolito e sembrava
cambiare mentre riempiva la
stanza, come il profumo costoso che si
modifica a seconda della
persona che lo mette. Inspirai ancora.
Già. Chiodi di garofano e
alloro, ma alla fine c'era anche
qualcos'altro; qualcosa che rendeva
quell'odore penetrante e amaro… oscuro
e mistico e seducente e…
ammiccante.
Ammiccante? Avevo capito.
Oh, diavolo, stavano riempiendo la
stanza di marijuana mista
a spezie! Incredibile. Avevo resistito
alle pressioni dei compagni e
per anni avevo detto «no» anche
all'offerta più gentile di provare
uno di quei grossi cannoni fatti in casa
che si fanno passare alle
feste e a tutto il resto (cioè, fatemi il
piacere! Ma non è neanche
igienico! E poi perché dovrei volermi
fare con una droga che mi
farà voler mangiare in modo ossessivo
merendine e schifezze
varie iperingrassanti?) e adesso eccomi
lì, immersa nel fumo di
erba. Sigh. Kayla non ci avrebbe mai
creduto.
Poi, in preda alla paranoia
(probabilmente un altro effetto
collaterale dell'assalto dell'erba), mi
guardai intorno, certa di
vedere un professore pronto a schizzare
dentro all'improvviso e a
trascinarci tutti via per portarci in…
in… non so, qualche posto
particolarmente orribile, come un campo
di rieducazione per
adolescenti problematici.
Per fortuna, a differenza che nel cerchio
di Nyx, lì non erano
presenti adulti, ma soltanto una ventina
di ragazzi, che parlavano
tranquilli e si comportavano come se
l'assolutamente illegale
incenso alla marijuana non fosse niente
di che (teste fumate).
Cercando di fare respiri poco profondi,
mi rivolsi alla ragazza alla
mia destra. Quando non sai che fare (o
sei nel panico),
chiacchiera. «Be'… Deino è un nome…
originale. Significa
qualcosa di speciale?»
«Deino significa terribile», rispose con
un dolce sorriso.
Dall'altra parte, intervenne tutta allegra
la stangona bionda:
«Ed Enio significa bellicosa».
«Ah…» commentai, sforzandomi di
essere educata.
«Già. E quella che accende l'incenso si
chiama Pefredo, che
significa vespa», spiegò Enio.
«Abbiamo preso i nomi dalla
mitologia greca. Erano le tre sorelle
delle Gorgoni. Il mito dice
che sono nate vecchie e che avevano un
solo occhio in tre, ma
abbiamo deciso che probabilmente sono
stronzate della
propaganda maschilista scritte da uomini
che volevano reprimere
le donne forti.»
«Davvero?» Non sapevo cos'altro dire.
Davvero.
«Già. I maschi umani fanno schifo»,
replicò Deino.
«Dovrebbero morire tutti», aggiunse
Enio.
Su quell'amorevole concetto,
all'improvviso iniziò una
musica che rese impossibile (per
fortuna) continuare a parlare.
Okay, la musica era inquietante. Aveva
un ritmo pulsante,
allo stesso tempo antico e moderno,
come se qualcuno avesse
mixato una di quelle oscene canzoni
arrapanti con una danza
tribale di accoppiamento. E poi,
lasciandomi sotto shock, Afrodite
cominciò a girare ballando intorno al
cerchio. Sì, immagino si
possa dire che era sexy. Voglio dire,
aveva un bel corpo e si
muoveva come Catherine Zeta-Jones in
Chicago, ma non so come
su di me non funzionava. E non perché
non sono gay (anche se
non sono gay), non funzionava perché
sembrava un'imitazione
volgare della danza di Neferet sui versi
di Ella splendida incede.
Se quella musica fosse stata una poesia,
sarebbe stata piuttosto
Una sgualdrina ancheggia e sculetta.
Durante l'esibizione in gran
dimenamento di Afrodite tutti,
naturalmente, guardavano lei,
perciò diedi uno sguardo intorno al
cerchio, fingendo di non stare
davvero cercando Erik, finché… oh,
cavolo… lo trovai proprio
quasi di fronte a me. Ed era l'unico
ragazzo nella stanza a non
fissare Afrodite. Perché guardava me.
Prima di riuscire a decidere
se distogliere lo sguardo, sorridergli,
fargli un cenno o chissà
cos'altro (Damien mi aveva detto di
sorridergli, e Damien era un
autoproclamato esperto di ragazzi), la
musica si fermò e spostai gli
occhi da lui ad Afrodite. Era al centro
del cerchio, di fronte al
tavolo, dove prese un grosso cero viola
in una mano e il coltello
nell'altra. La candela era accesa e lei,
tenendola davanti a sé come
a illuminare la strada, la portò a lato
dove mi accorsi che, tra tutti i
ceri rossi, ce n'era uno giallo. Non ebbi
bisogno delle indicazioni
di Bellicosa né di quelle di Terribile
(hiii!) per girarmi verso est.
Mentre il vento mi scompigliava i
capelli, con la coda dell'occhio
vidi che Afrodite aveva acceso la
candela gialla e sollevava il
coltello, incidendo nell'aria un
pentacolo mentre recitava:
O venti di tempesta, nel nome di Nyx io
vi evoco, mandate la
vostra benedizione, io vi chiedo, sul
cerchio magico che qui verrà
creato!
Devo ammettere che era brava. Anche se
non aveva la forza
di Neferet, era chiaro che si era
esercitata a controllare la voce e il
suono delle sue parole di seta si
propagava con facilità. Ci
voltammo a sud e lei si avvicinò a una
grande candela rossa in
mezzo ad altre dello stesso colore,
mentre io potevo percepire
sulla pelle quello che già riconoscevo
come il potere del fuoco e
del cerchio magico.
O fuoco del fulmine, nel nome di Nyx io
ti evoco,
portatore di tempeste e della forza
della magia,
io chiedo il tuo aiuto per l'incantesimo
che qui sto creando!
Ci voltammo ancora e, assieme ad
Afrodite, mi sentii
avvampare e incredibilmente attratta
dalla candela blu che stava in
mezzo a quelle rosse. Anche se mi
spaventava da morire, dovetti
trattenermi dall'uscire dal cerchio e
unirmi a lei nell'invocazione
all'acqua.
O torrenti di pioggia, nel nome di Nyx
io vi evoco, unitevi a
me con la vostra forza travolgente, nel
realizzare questo potente
rituale!
Cosa diavolo c'era di sbagliato in me?
Sudavo e, invece di
essere un po' accaldata come nel rito
precedente, il Marchio sulla
mia fronte si era fatto bollente e giuro
che nelle orecchie sentivo il
ruggito del mare. Stordita, mi voltai
ancora a destra.
O terra, profonda e umida, nel nome di
Nyx io ti evoco,
che io possa percepire il tuo movimento
nel rombo della
tempesta di potere
che si compie quando mi assisti in
questo rito!
Afrodite fendette di nuovo l'aria e sentii
pizzicare il palmo
della mano destra, come se mi facesse
male per avere stretto il
coltello. Sentii l'odore di erba falciata e
udii il grido di un
caprimulgo, quasi avesse un nido
invisibile nell'aria proprio
accanto a me. Afrodite tornò al centro,
quindi rimise al suo posto
la candela viola ancora accesa e
completò la creazione del cerchio.
O spirito, libero e selvaggio, nel nome
di Nyx io ti evoco
a me!
Rispondimi! Restami accanto durante
questo grandioso
rituale
e concedimi il potere della tua Dea!
Chissà come, sapevo cosa stava per
fare. Potevo udire le
parole nella mia mente… nel mio
spirito.
Quando Afrodite sollevò il calice e
cominciò a camminare
intorno al cerchio, percepii le sue parole
e, anche se non aveva
l'eleganza e la forza di Neferet, ciò che
disse mi accese, come
bruciassi dall'interno.
«Questo è il tempo della pienezza della
luna della nostra Dea.
C'è qualcosa di magnifico in questa notte
di cui gli antichi
conoscevano i misteri, che usavano per
diventare più forti… e per
strappare il velo tra i mondi e vivere
avventure che oggi possiamo
soltanto sognare. Segreta…
misteriosa… magica… vera bellezza e
vero potere in forma vampira, non
contaminata da regole o leggi
umane. Noi non siamo umani!» Con
quelle parole, la sua voce
risuonò contro le pareti in modo molto
simile a quella di Neferet.
«E tutto ciò che voi, Figlie e Figli
Oscuri, chiedete in questa notte
durante questo rito è quanto abbiamo
domandato a ogni luna piena
lo scorso anno: di liberare il potere che
c'è in noi in modo che,
come i possenti felini selvatici, siamo in
grado di conoscere la
sinuosa agilità dei nostri fratelli animali
e non essere legati dalle
catene degli umani né ingabbiati dalla
loro ignorante debolezza.»
Afrodite si era fermata giusto davanti a
me. Sapevo di essere
arrossita e di avere il fiato corto,
proprio come lei. Che sollevò il
calice e me lo offrì. «Bevi, Zoey
Redbird, e unisciti a noi nel
domandare a Nyx ciò che è nostro per
diritto di sangue e di corpo,
il Marchio della grande
Trasformazione… quel Marchio che ha
già apposto su di te.»
Sì, lo so. Probabilmente avrei dovuto
dire di no. Ma come
facevo? E all'improvviso non volevo
dire di no. Afrodite
decisamente non mi piaceva e non mi
fidavo di lei, ma quello che
stava dicendo non era fondamentalmente
vero? Mi tornò alla
mente forte e chiara la reazione di mia
madre e del mio patrigno al
mio Marchio, oltre all'espressione
spaventata di Kayla e al
disgusto di Drew e Dustin. E come
nessuno mi avesse chiamata,
nemmeno messaggiata, da quando ero
andata via. Avevano
semplicemente lasciato che venissi
scaricata lì ad affrontare una
vita nuova tutta da sola.
Questo mi rattristò, ma mi fece anche
molto arrabbiare.
Presi il calice di Afrodite e bevvi un bel
sorso. Era vino, ma
non aveva lo stesso sapore di quello
nell'altro rituale della luna
piena. Era dolce anche questo, ma c'era
in più una spezia che
aveva un sapore mai assaggiato prima.
Provocò un'esplosione di
sensazioni nella mia bocca, che tracciò
un sentiero bollente, dolce
e amaro, lungo tutta la gola e mi riempì
di un vertiginoso desiderio
di berne ancora, e ancora, e ancora.
«Benedetta sia», mi sibilò Afrodite
levandomi il calice dalle
mani così di scatto da rovesciarmi sulle
dita qualche goccia di
liquido rosso. Quindi mi rivolse un
sorriso tirato e trionfante.
«Benedetta sia», replicai in automatico,
la testa che ancora
girava per il gusto del vino.
Afrodite si spostò da Enio, offrendole il
calice, e io non potei
evitare di leccarmi le dita. Quel vino era
molto più che delizioso.
E aveva un profumo… aveva un
profumo familiare, ma in tutto
quel giramento di testa non riuscii a
concentrarmi abbastanza da
capire dove potevo avere già sentito
l'odore di una cosa tanto
incredibile.
Afrodite impiegò un niente per terminare
il cerchio, dando a
ciascuno da bere un sorso dal calice. La
osservai con attenzione,
desiderando di poter avere altro vino
mentre tornava al tavolo. Lì
sollevò di nuovo la coppa. «Grande e
magica Dea della Notte e
della luna piena, colei che cavalca nel
tuono e nella tempesta,
guidando gli spiriti e gli Anziani, bella e
terribile, cui anche i più
antichi devono obbedienza, aiutaci in
ciò che chiediamo. Colmaci
del tuo potere, della tua magia, della tua
forza!» Quindi inclinò il
calice e la guardai, invidiosa, bere fino
all'ultima goccia. Quando
ebbe finito, la musica ricominciò e,
muovendosi a tempo
ripercorse il cerchio, danzando e
ridendo mentre spegneva le
candele e salutava gli elementi.
E non so come, mentre ballava, la vista
mi andò in palla
perché il suo corpo s'increspò, cambiò e
tutto d'un tratto mi parve
di stare guardando ancora Neferet, solo
che adesso si trattava di
una versione più giovane e grezza della
Somma Sacerdotessa.
«Ben trovati, ben lasciati e ben trovati
di nuovo!» disse
infine.
Rispondemmo tutti, mentre a furia di
sbattere le palpebre
riuscii a tornare a vedere bene e la
stravagante immagine di
Afrodite-Neferet scomparve, come il
bruciore del mio Marchio.
Ma sulla lingua sentivo ancora il gusto
del vino. Strano. A me non
piacciono gli alcolici. Sul serio. Proprio
non mi piace il sapore che
hanno. Ma in quel vino c'era qualcosa di
talmente delizioso da
superare persino… be', persino i tartufi
neri della Godiva (eh, lo
so, è difficile a credersi). E continuavo
a non capire perché quel
gusto mi pareva in qualche modo
familiare.
Poi, mentre il cerchio si scioglieva,
ricominciarono tutti a
chiacchierare e a ridere. Si accesero le
luci a gas che per un attimo
sembrarono fortissime e, mentre
guardavo dall'altra parte della
stanza per vedere se per caso Erik stava
ancora guardando me, con
la coda dell'occhio colsi un movimento
sul tavolo. La persona che
era rimasta stravaccata e immobile
durante l'intero rito finalmente
adesso si muoveva. Sobbalzò
goffamente per mettersi a sedere
meglio e, quando il cappuccio del
mantello scuro ricadde
all'indietro, restai sconcertata vedendo
dei brutti capelli arruffati
rosso arancio e una faccia grassoccia
troppo bianca e con tante
lentiggini.
Era quella palla di Elliott! Molto ma
molto strano che fosse
lì. Cosa potevano volere da lui le Figlie
e i Figli Oscuri? Mi
guardai di nuovo intorno. Già, come
previsto. Nella stanza non
c'era un singolo ragazzo o ragazza con
l'aria da babbo sfigato. A
parte Elliott, erano tutti belli, dico sul
serio. Decisamente non
faceva parte del gruppo.
Sbatteva le palpebre e sbadigliava come
se avesse annusato
troppo incenso. Sollevò la mano per
togliersi qualcosa dal naso
(probabilmente una delle caccole che si
dava tanto da fare a
scavare) e vidi il bianco di grosse bende
che gli fasciavano i polsi.
Ma cosa dia…?
Un'orribile sensazione strisciante mi
risalì la schiena. Enio e
Deino non erano molto lontane da me,
intente a parlare con
Pefredo. Le raggiunsi e aspettai che ci
fosse una pausa nella
conversazione, quindi, fingendo che lo
stomaco non mi si stesse
strizzando a morte, sorrisi e accennai
vagamente con la testa a Elliott. «Che ci fa qui quello?»
Enio lanciò uno sguardo a Elliott e alzò
gli occhi al cielo.
«Lui non è niente. Giusto il frigorifero
che abbiamo usato
stanotte.»
«Che sfigato», disse Deino, archiviando
il caso Elliott con
grande disprezzo.
«È praticamente umano. Non c'è da
stupirsi che sia buono
solo come snack bar», commentò
disgustata Pefredo.
Avevo la sensazione che il mio stomaco
stesse per rivoltarsi.
«Scusate, non capisco. Frigorifero?
Snack bar?»
Deino la Terribile rivolse su di me i
suoi altezzosi occhi color
cioccolato. «È così che chiamiamo gli
umani: frigoriferi e snack
bar. Sai, colazione, pranzo e cena.»
«O qualunque spuntino tra l'uno e
l'altro», aggiunse la
Bellicosa Enio facendo praticamente le
fusa.
«Io ancora non…» cominciai.
«Oh, dai! Non fingere di non aver capito
cosa c'era nel vino e
che non ti sia piaciuto moltissimo»,
m'interruppe Deino.
«Già, Zoey, ammettilo. Era evidente. Te
lo saresti bevuto
tutto. Lo volevi ancora più di quanto lo
volessimo noi. Abbiamo
visto che ti leccavi le dita», aggiunse
Enio chinandosi e invadendo
il mio spazio personale per osservarmi
il Marchio. «Questo ti
rende una diversa, giùsto? Sei una
novizia e allo stesso tempo una
vampira, e avresti voluto ben più di un
assaggio del sangue di quel
ragazzo.»
«Sangue?» Non riconobbi la mia voce.
La parola «diversa»
continuava a rimbalzarmi nella testa.
«Sì, sangue», confermò Terribile.
Avevo caldo e freddo allo stesso tempo,
e staccai gli occhi
dalle loro facce presuntuose per fissarli
in quelli di Afrodite. Era
dall'altra parte della stanza a parlare con
Erik e, quando i nostri
sguardi s'incrociarono, lei sorrise,
lentamente e con intenzione.
Teneva di nuovo in mano il calice e lo
sollevò in un gesto di saluto
quasi impercettibile prima di bere un
sorso e voltarsi a ridere per
qualcosa che aveva appena detto Erik.
Cercando di mantenere un contegno,
m'inventai una scusa
qualunque con Bellicosa, Terribile e
Vespa e uscii con calma dalla
stanza. Nell'attimo in cui il pesante
portone della sala ricreazione
si chiuse dietro di me, mi misi a correre
alla cieca come impazzita.
Non sapevo dove stessi andando,
sapevo solo che volevo
allontanarmi da lì.
Ho bevuto sangue – sangue di
quell'orribile Elliott testa
rossa-e mi è piaciuto! E, a peggiorare le
cose, quell'odore
delizioso mi era sembrato familiare
perché l'avevo già sentito
quando Heath si era ferito alle mani.
Non era stato il nuovo
dopobarba a sembrarmi irresistibile, era
stato il suo sangue. E
l'avevo annusato ancora in corridoio, il
giorno in cui Afrodite
aveva graffiato la coscia di Erik e
anch'io avrei voluto assaggiarlo.
Ero una diversa, un mostro.
A furia di correre non riuscivo più a
respirare e crollai contro
la gelida pietra del muro di cinta della
scuola, ansimando in cerca
di aria e dando violentemente di
stomaco.
17
Sconvolta, mi passai il dorso della mano
sulla bocca, quindi
barcollai via dal punto in cui avevo
vomitato (mi rifiutavo anche
solo di pensare a cosa avevo vomitato e
all'aspetto che doveva
avere) finché non arrivai a un'enorme
quercia cresciuta talmente
vicino alla recinzione che metà dei suoi
rami si allungavano
all'esterno. Mi appoggiai al tronco,
concentrandomi sul non star
male di nuovo.
Cos'avevo fatto? Cosa mi stava
succedendo?
Poi, da qualche parte tra i rami
dell'albero, udii un miagolio.
Okay, non era proprio il solito, normale
miagolio di un gatto, ma
piuttosto un brontolio scocciato simile a
«miii-uff-miii-uff-pfuff».
Alzai lo sguardo. Appollaiata su un
ramo che si appoggiava
al muro di cinta c'era una gattina rossa
che mi guardava a occhi
sgranati e con un'aria decisamente
scontenta.
«Come ci sei arrivata lì sopra?»
«Mii-uff», rispose, quindi starnutì e
cominciò a camminare
lentamente sul ramo, venendo nella mia
direzione.
«Okay, vieni, micia-micia-micia», la
chiamai.
«Miii-uff-ao», disse strisciando verso di
me.
«Brava, piccolina, vieni. Muovi quelle
zampette da questa
parte.» Sì, stavo accantonando il mio
momentaneo sballo e
incanalando le energie per salvare la
gatta, ma la verità era che
non potevo pensare a quello che era
appena successo. Non in quel
momento. Era troppo presto. Troppo
fresco. Perciò la micia
rappresentava un'ottima distrazione. In
più, sembrava familiare.
«Vieni, piccolina, vieni…» Continuai a
parlarle e intanto trovai un
appoggio per la scarpa tra i mattoni a
vista del muro, riuscendo a
sollevarmi abbastanza da afferrare la
parte terminale del ramo su
cui era la gattina. A quel punto la usai
come una sorta di corda per
arrampicarmi ancora un po', mentre lei
continuava a brontolare.
Alla fine arrivai abbastanza vicino da
poterla toccare.
Restammo a fissarci a lungo e cominciai
a chiedermi se sapesse
chi ero. Riusciva a capire che avevo
appena assaggiato il sangue (e
che mi era pure piaciuto)? Avevo l'alito
che puzzava di sangue
vomitato? Sembravo diversa? Mi erano
cresciuti i canini come
zanne? (Okay, quest'ultimo interrogativo
era ridicolo. I vampiri
adulti non hanno le zanne, ma avete
capito il senso.)
Mi miagolobrontolò di nuovo e si
avvicinò ancora.
Io allungai la mano a grattarle la testa,
lei abbassò le
orecchie, chiuse gli occhi e si mise a
fare le fusa. «Sembri una
piccola leonessa», le dissi. «Vedi come
sei più carina quando non
ti lamenti?» Poi sbattei le palpebre per
la sorpresa, rendendomi
conto del perché mi fosse sembrata
familiare. «Tu eri nel mio
sogno.» E una piccola gioia si aprì un
varco nel muro di nausea e
di paura che avevo dentro di me. «Tu sei
la mia gatta!»
La micia aprì gli occhi, sbadigliò e
starnutì di nuovo, come a
commentare il fatto che ci avessi messo
tanto a capire.
Con un grugnito per lo sforzo mi
arrampicai fino a sedermi in
cima al muro accanto al ramo su cui era
appollaiata, mentre lei,
con un sospiro felino, saltò
delicatamente e s'incamminò sulle
minuscole zampette bianche per
raggiungermi e sedermi in
braccio.
Sembrava non mi restasse altro da fare
che darle qualche
ulteriore grattatina sulla testa; lei chiuse
gli occhi e partirono delle
fusa alquanto sonore. Continuai ad
accarezzarla e nello stesso
tempo cercai di fermare il tumulto che
avevo in testa. Nell'aria
c'era un odore che faceva prevedere
pioggia, ma la notte era
insolitamente calda per la fine di
ottobre, quindi piegai la testa
all'indietro respirando a fondo e
lasciandomi calmare dalla luna
che faceva capolino tra le nuvole.
Guardai la gatta. «Be', Neferet ha detto
che dovevamo
sederci alla luce della luna.» Alzai di
nuovo gli occhi verso il
cielo. «Certo che sarebbe meglio se
quelle stupide nuvole si
levassero di torno, comunque…»
Avevo appena pronunciato quelle
parole, quando una ventata
improvvisa prese a fischiarmi intorno,
spingendo via le nubi.
«Be', grazie», dissi ad alta voce rivolta
a niente e a nessuno in
particolare. «È stato un soffio di vento
molto opportuno,»
La gatta brontolò, facendomi notare che
avevo avuto il
coraggio di smettere di farle i grattini
sulla testa.
«Visto che sei una piccola leonessa,
credo che ti chiamerò
Nala, come la protagonista del Re
leone», le annunciai
ricominciando con le carezze. «Sai,
piccolina, sono felice di averti
trovata oggi; avevo proprio bisogno che
mi succedesse qualcosa di
bello dopo la notte che ho passato. Tu
non ci crederesti…»
Uno strano odore raggiunse il mio naso.
Era così insolito che
interruppi la frase a metà. Cos'era?
Annusai e feci una smorfia.
Era asciutto e sapeva di vecchio, come
una casa rimasta chiusa
troppo a lungo o un seminterrato pieno
di ragnatele. Non era un
buon odore, ma non era neanche tanto
schifoso da darmi la
nausea. Era solo… sbagliato, come se
non appartenesse a quel
luogo, all'aria aperta o alla notte.
Poi intravidi qualcosa con la coda
dell'occhio. Guardai lungo
il sinuoso muro di mattoni e lì, girata di
tre quarti rispetto a me,
come se non sapesse decidere da che
parte andare, c'era una
ragazza. La luce della luna e la mia
nuova capacità di novizia di
vedere bene di notte mi consentirono di
scorgerla anche se non
c'erano luci nei paraggi. M'irrigidii. Che
una di quelle odiose
Figlie Oscure mi avesse seguita? Quella
sera non avevo proprio
voglia di avere ancora a che fare con le
loro stronzate.
Il mio frustrato grugnito mentale doveva
essere stato anche
sonoro, perché la ragazza si voltò nella
mia direzione.
Restai senza fiato per lo shock e sentii la
paura corrermi su
per la schiena.
Era Elizabeth! Quell'Elizabeth Niente
Cognome che si
presumeva essere morta. Quando mi
vide seduta in cima al muro
di cinta sgranò gli occhi, che erano di un
incredibile rosso acceso,
e lanciò un grido stridulo; poi girò sui
tacchi e sparì nella notte
con una velocità non umana.
Nello stesso istante, Nala inarcò la
schiena e soffiò con tanta
intensità da far tremare tutto il suo
corpicino.
«Va tutto bene, va tutto bene», continuai
a ripetere, cercando
di calmare me e la gatta. Tremavamo
tutt'e due e Nala non la
smetteva di ringhiare. «Non poteva
essere un fantasma. Non
poteva. Era solo… solo… una ragazza
strana. Probabilmente l'ho
spaventata e lei…»
«Zoey! Zoey! Sei tu?»
Sobbalzai e quasi caddi dal muro. Per
Nala era troppo e, con
un ultimo soffio feroce, saltò a terra con
grazia. Ormai ero
completamente e assolutamente
schizzata, quindi afferrai il ramo
per tenermi in equilibrio e scrutai nella
notte. «Chi… chi c'è?»
chiesi superando il frastuono del mio
cuore. Poi venni accecata dal
raggio di due torce puntate dritte su di
me.
«Ma certo che è lei! Vuoi che non
riconosca la voce della
mia migliore amica? Cavolo, mica se n'è
andata da così tanto!»
«Kayla?» Cercai di schermarmi gli
occhi con la mano che
tremava da pazzi.
«Visto? Te l'avevo detto che l'avremmo
trovata», intervenne
una voce maschile. «Vuoi sempre
rinunciare troppo presto.»
«Heath?» Forse stavo sognando.
«Già! Iuh-uh, bambina! Ti abbiamo
trovata!» strillò Heath e
anche in quell'orribile luce di torcia a
pile riuscii a vederlo mentre
si lanciava sul muro e iniziava a
scalarlo come una scimmia alta,
bionda e giocatrice di football.
Incredibilmente sollevata che fosse lui e
non un mostro in
libera uscita, lo sgridai: «Heath! Sta'
attento. Se cadi finisce che ti
rompi qualcosa». Be', a meno che non
atterrasse di testa, perché in
quel caso non si sarebbe fatto niente.
«Non io!» Si tirò su e si mise a sedere
vicino a me a
cavalcioni del muro. «Ehi, Zoey,
guardami: sono il re del mondo!»
Allargò le braccia e sorrise come un
tronco scemo, fiatandomi
addosso un alito che sapeva di alcol.
Non c'era da stupirsi che mi fossi
rifiutata di uscire con lui.
«Okay, non c'è bisogno di menarmela a
vita per la mia
passata infatuazione per Leonardo Di
Caprio.» Gli lanciai
un'occhiataccia, sentendomi più me
stessa di quanto non mi
capitasse da ore. «Che, a dire il vero,
somiglia alla mia passata
infatuazione per te, solo che non è durata
altrettanto a lungo e tu
non hai fatto un mucchio di film di scemi
ma mooolto carini.»
«Ehi, non sarai ancora arrabbiata per
Dustin e Drew, vero?
Scordati di quei due! Sono dei
ritardati.» Heath mi guardò con la
sua aria da cucciolone che era davvero
una meraviglia quando
andava alle medie. Peccato che l'effetto
meraviglia fosse finito un
paio di anni fa. «E poi siamo venuti fin
qui per farti evadere.»
«Cosa?» scossi la testa e lo guardai
strizzando gli occhi.
«Aspetta. Spegnete quelle torce, mi
stanno distruggendo gli
occhi.»
«Se le spegniamo non vediamo niente»,
replicò Heath.
«Benissimo. Allora fate luce da un'altra
parte. Laggiù, per
esempio.» Indicai un punto non meglio
identificato lontano dalla
scuola (e da me). Lo fecero, così potei
abbassare la mano, che ero
contenta di notare aveva smesso col
tremito isterico, e non
strizzare più gli occhi.
Quelli di Heath, invece, si spalancarono
alla vista del mio
Marchio. «Guarda qui! Adesso è tutto
colorato anche dentro! È
come… come… in TV o roba del
genere.»
Be', era bello vedere che alcune cose
non cambiano mai.
Heath era sempre Heath: un gran figo,
ma di certo non il più astuto
del mazzo.
«Ehi! E io? Sono qui, ve lo ricordate o
no?» strillò Kayla.
«Qualcuno mi aiuti a salire lì sopra, ma
con un po' di attenzione.
Prima appoggio la mia borsa nuova. Oh,
è meglio che mi tolga le
scarpe. Zoey, non hai idea dei saldi che
ti sei persa ieri da Bakers.
Tutti i modelli estivi in liquidazione. E
intendo liquidazione vera.
Sconto del settanta per cento. Ne ho
prese cinque paia per…»
Mi rivolsi a Heath: «Aiutala a salire.
Subito. È l'unico modo
per farla smettere di parlare». Già.
Certe cose proprio non
cambiano.
Lui si girò fino a trovarsi sdraiato sullo
stomaco, quindi si
chinò offrendo le mani a Kayla, che le
afferrò ridacchiando e si
lasciò trascinare in cima al muro
assieme a noi. Fu proprio mentre
lei ridacchiava e lui la tirava su che me
ne accorsi: il modo
inequivocabile in cui Kayla sorrideva e
ridacchiava e arrossiva a
Heath. Conoscevo quell'atteggiamento
almeno quanto il fatto che
non sarei mai stata una matematica. A
Kayla piaceva Heath. Okay,
non le piaceva. Le piaceva.
All'improvviso il commento colpevole
di Heath riguardo al fare il cretino alle
mie spalle alla festa che mi
ero persa aveva senso.
«Allora, come sta Jared?» chiesi
bruscamente, interrompendo
di botto kaylate e risolini.
«Okay, credo», rispose lei senza
incrociare il mio sguardo.
«Credi?»
Mosse le spalle e vidi che sotto alla sua
strafiga giacca di
pelle portava la minuscola camicia di
pizzo color crema che
chiamavamo Camicetta della Tetta,
perché non solo lasciava
vedere un bel po' di scollatura, ma,
essendo color pelle, sembrava
mostrare anche più di quello che era in
realtà. «Non lo so. A dire il
vero non ci siamo sentiti molto
nell'ultimo paio di giorni.»
Continuava a non guardarmi, ma
lanciava occhiate a Heath, che
aveva un'espressione spaesata… okay,
non è che ne avesse altre di
espressioni.
Dunque la mia migliore amica stava
dietro al mio ragazzo.
La cosa mi fece davvero incavolare e
per un secondo desiderai che
la serata non fosse così piacevolmente
tiepida. Desiderai che fosse
freddissima e che a Kayla si
congelassero immediatamente quelle
stupide tette ipersviluppate.
Di colpo fummo avvolti dal vento del
nord, cattivo, di un
freddo da mettere quasi paura.
Cercando di non farsi notare troppo,
Kayla si chiuse la giacca
e ridacchiò di nuovo, stavolta in modo
nervoso, però, non da
civetta, e mi arrivò un'altra zaffata di
birra e qualcos'altro.
Qualcosa che si era impresso così di
recente nei miei sensi che mi
stupii di non essermene accorta subito.
«Kayla, hai bevuto e pure
fumato?»
Lei rabbrividì e mi guardò sbattendo le
palpebre come un
coniglio tonto. «Solo un paio. Di birre
intendo. E, be', mmm,
Heath aveva giusto uno spinello piccolo
piccolo e io avevo paura
di venire qui e così ho fatto un paio di
tiri. Piccoli piccoli.»
«Le serviva un aiutino, un
corroborante», spiegò Heath
usando una parola davvero difficile per
un tipo come lui.
«E da quando avete cominciato a fumare
erba?» gli chiesi.
Lui sorrise. «Non è niente di che, Zo. Mi
faccio uno spinello
giusto una volta ogni tanto. Fanno meno
male delle sigarette.»
Odiavo che mi chiamasse Zo. Cercai di
sembrare
comprensiva. «Heath, non fanno meno
male delle sigarette e,
anche se fosse così, non è mica una gran
cosa. Le sigarette sono
disgustose e ti uccidono. E poi solo i più
sfigati della scuola
fumano erba. Oltre al fatto che proprio
non ti puoi permettere di
uccidere altre cellule cerebrali.» Stavo
per aggiungere «o
spermatozoi», ma non volevo toccare
quell'argomento. Heath si
sarebbe fatto un'idea del tutto sbagliata
se avessi fatto riferimento
alle sue parti virili.
«Na na», fece Kayla.
«Come, Kayla?»
Stringeva ancora la giacca per
difendersi dal freddo e i suoi
occhi erano passati da quelli dì un
patetico coniglio a quelli di un
gatto furbo che fa andare la coda.
Riconobbi il cambiamento. Lo faceva
sempre con le persone
che non considerava parte del suo giro
di amiche. Mi aveva
sempre dato sui nervi e la sgridavo
dicendole di non essere così
antipatica. E adesso si comportava da
stronza con me?
«Ho detto 'na na' perché non sono solo
gli sfigati a fumare,
almeno non a farlo ogni tanto. Sai quei
due running back iper
bonazzi che giocano per Union, Chris
Ford e Brad Higeons? Li ho
visti alla festa di Katie l'altra sera. Loro
fumano.»
«Ehi, non sono poi così fighi»,
intervenne Heath.
Kayla lo ignorò e continuò a parlare. «E
anche Morgan fuma
qualche volta.»
«Morgan, cioè Morgana la fata un po'
puttana?» Sì, ero
arrabbiata con Kayla, ma un buon
pettegolezzo è sempre un buon
pettegolezzo.
«Sì. Si è anche appena fatta il piercing
alla lingua e al…»
Kayla s'interruppe e mimò la parola
«clitoride». «T'immagini
quanto deve far male?»
«Dove? Dov'è che si è fatta fare il
piercing?» chiese Heath.
«Da nessuna parte», dicemmo in stereo
Kay e io, sembrando
stranamente per un momento le due
amiche del cuore che eravamo
state.
Poi però ripresi a discutere: «Kayla, hai
cambiato argomento.
Di nuovo. I giocatori di Union si sono
sempre fatti. Che scoperta!
Ricordati un po' tutti quegli steroidi, che
sono il motivo per cui ci
abbiamo messo sedici anni a batterli».
«Forza Tigers! Giààà, li abbiamo presi a
calci in culo!»
sbottò Heath.
Lo guardai alzando gli occhi al cielo. «E
chiaramente
Morgan ha cominciato a perdere la testa,
ed è per questo che si è
fatta il piercing al…» Guardai Heath e
cambiai idea. «Che si è
fatta il piercing e si è messa a fumare.
Trovami qualcuno di
normale che fuma.»
Kay ci pensò un secondo. «Io!»
Sospirai. «Senti, a me proprio non
sembra una cosa tanto
astuta.»
«Be', non è che tu sappia sempre tutto.»
Quell'odioso lampo
negli occhi era tornato.
Passai lo sguardo da lei a Heath e
ritorno. «È chiaro che hai
ragione. Non so tutto.»
L'espressione da stronza tornò sbigottita,
quindi si appiattì
ancora nella stronzaggme e non potei
non paragonare Kay a Stevie
Rae che, anche se la conoscevo solo da
un paio di giorni, ero
assolutamente più che certa non avrebbe
mai fatto il filo al mio
ragazzo, che fosse ormai quasi ex o
meno. E pensavo che non
sarebbe nemmeno scappata via da me
trattandomi come un mostro
nel momento in cui avevo più bisogno di
lei. Fissai Kayla. «Penso
che dovreste andare.»
«Benissimo», replicò.
«E probabilmente non è una buona idea
che torniate.»
Alzò le spalle e la giacca si aprì e face
scivolare la spallina
della camicia, rendendo evidente che
non portava il reggiseno.
«Come vuoi.»
«Heath, aiutala a scendere.» In generale,
Heath era piuttosto
bravo a seguire semplici istruzioni,
quindi sollevò Kayla e la mise
giù.
Lei prese la torcia e ci guardò dal basso.
«Spicciati, Heath.
Mi sta venendo davvero freddo.» Quindi
girò sui tacchi e prese a
incamminarsi verso la strada.
«Be'… È venuto freddo di colpo»,
commentò Heath un po'
goffo.
«Già. Adesso può anche bastare»,
replicai distratta, e non
badai molto al fatto che il vento smise
immediatamente di soffiare.
«Ehi, senti, Zo. Io sono venuto sul serio
a portarti via.»
«No.»
«Eh?»
«Heath, guarda la mia fronte.»
«Sì, hai quella roba a forma di
mezzaluna. Ed è tutta colorata,
e questo è strano perché prima non era
tutta colorata.»
«Be', adesso lo è. Okay, Heath,
concentrati. Sono stata
Segnata col Marchio. Questo significa
che il mio corpo sta
affrontando la Trasformazione per farmi
diventare un vampiro.»
Lo sguardo di Heath si spostò dal
Marchio e scese lungo tutto
il mio corpo. Lo vidi esitare all'altezza
di tette e gambe, cosa che
mi fece rendere conto che erano in bella
vista fin quasi alle
mutande perché, quando mi ero
arrampicata sul muro, la gonna era
salita.
«Zo, a me sta benissimo qualunque cosa
stia succedendo al
tuo corpo. Sei davvero sexy. Sei sempre
stata bella, ma adesso
sembri proprio una dea.» Mi sorrise e
mi sfiorò gentilmente la
guancia, facendomi ricordare perché mi
era piaciuto tanto per così
tanto tempo. Nonostante i difetti, Heath
poteva essere davvero
dolce, e mi faceva sempre sentire uno
schianto.
«Heath, mi dispiace, ma le cose sono
cambiate», sussurrai.
«No, che non sono cambiate.»
Cogliendomi di sorpresa si
chinò in avanti, mi fece scivolare una
mano sul ginocchio e mi
baciò.
Feci un salto indietro e gli afferrai il
polso. «Fermati, Heath!
Sto cercando di parlarti.»
«Che ne diresti se tu parli e io bacio?»
mormorò.
Cominciai a ripetergli di no.
Poi lo sentii.
Il pulsare del suo sangue sotto le mie
dita.
Batteva forte e veloce. Giuro che lo
percepivo e lo udivo allo
stesso tempo. E, quando si chinò per
baciarmi ancora, vidi la vena
che gli correva sul collo. Si muoveva,
pulsando forte mentre il
sangue pompava nel suo corpo.
Sangue… Le sue labbra sfiorarono
le mie e mi ricordai il sapore del sangue
nel calice. Quel sangue
era freddo e misto al vino, oltre a venire
da un debole sfigato che
non valeva niente. Ma quello di Heath
doveva essere caldo,
denso… dolce… molto più dolce di
quello di Elliott il Frigorifero.
«Ahi! Accidenti, Zoey, mi hai graffiato!»
Allontanò il polso.
«Merda, Zo, mi hai fatto sanguinare. Se
non volevi che ti baciassi,
bastava dirlo.»
Si portò il polso alle labbra e succhiò la
scintillante goccia
rossa che si era formata. Quindi incrociò
lo sguardo col mio e si
gelò.
Aveva del sangue sul labbro. Ne sentivo
l'odore: era come il
vino, solo meglio, molto meglio. Quel
profumo mi avvolse,
facendomi venire la pelle d'oca. Volevo
assaggiarlo. Volevo
assaggiarlo più di quanto avessi mai
voluto fare qualcosa in vita
mia. «Io voglio…» mi udii mormorare
con una voce che non
conoscevo.
«Sì…» Heath rispose come se fosse in
trance. «Sì… tutto
quello che vuoi. Farò tutto quello che
vuoi.»
Questa volta fui io a chinarmi verso di
lui e a sfiorargli il
labbro con la lingua, prendendo in bocca
la goccia di sangue, che
esplose in un calore, in un'ondata di
piacere che non avevo mai
provato. «Ancora», gracchiai.
Quasi avesse perso la capacità di
parlare e potesse solo
annuire, Heath mi tese il braccio.
Sanguinava poco e quando
leccai la sottile striscia scarlatta, Heath
gemette. Il contatto con la
mia lingua sembrò fare qualcosa al
graffio, perché prese
immediatamente a perdere sangue più in
fretta… molto più in
fretta. Mentre mi portavo il polso alla
bocca e posavo le labbra
sulla sua pelle calda, mi tremavano le
mani. Rabbrividii e gemetti
di piacere e…
«Oh, mio Dio! Cosa gli stai facendo?»
Il grido di Kayla lacerò la nebbia
scarlatta nella mia mente.
Lasciai andare il polso di Heath come se
scottasse.
«Sta' lontana da lui! Lascialo in pace!»
strillava Kayla.
Heath non si mosse.
«Vai. Vai e non tornare più», gli dissi.
«No», replicò lui, sembrando
stranamente sobrio nella voce e
nell'aspetto.
«Sì. Vattene da qui.»
«Lascialo andare!» urlò Kayla.
«Kayla, se non chiudi quella bocca volo
giù e succhio ogni
singola goccia di sangue da quel tuo
stupido corpo di vacca
traditrice!» replicai rabbiosa.
Lei squittì e scappò via.
Mi voltai verso Heath, che mi stava
ancora fissando. «Adesso
devi andare anche tu.»
«Zo, io non ho paura di te.»
«Heath, ho abbastanza paura io per tutti
e due.»
«Ma non mi dispiace quello che hai
fatto. Zoey, io ti amo.
Adesso più che mai.»
«Smettila!» Non avevo intenzione di
gridare, ma l'intensità
delle mie parole lo fece sobbalzare.
Deglutii e abbassai la voce. «È
meglio che vai. Per favore.» Poi,
cercando qualcosa che lo
convincesse ad andarsene, aggiunsi:
«Probabilmente in questo
momento Kayla sta chiamando la
polizia. Non sarebbe un bene
per nessuno di noi».
«Okay, vado. Ma tornerò.»
Mi diede un bacio forte e veloce e,
quando sentii il sapore del
sangue che aveva ancora sulle labbra,
provai una pugnalata di
piacere. Poi scivolò giù dal muro e
scomparve nel buio finché di
lui non vidi altro che il puntino di luce
della torcia e, infine,
neanche più quello.
Non mi sarei data il tempo di pensare.
Non ancora.
Muovendomi per abitudine, come un
robot, usai il ramo per
aiutarmi a scendere. Mi tremavano
talmente tanto le ginocchia che
riuscii a fare giusto i pochi passi fino
all'albero, dove mi accasciai,
la schiena appoggiata alla solida
sicurezza del vecchio tronco.
Nala si materializzò, saltandomi in
braccio come fosse stata il
mio gatto da anni e non da pochi minuti
e, quando cominciai a
singhiozzare, si arrampicò su di me fino
a premere il musetto
caldo sulla mia guancia bagnata.
Dopo quello che mi sembrò un tempo
lunghissimo, i
singhiozzi si trasformarono in…
singhiozzo, e avrei tanto voluto
non essere corsa via dalla sala di
ricreazione senza la borsetta.
Avevo proprio bisogno di un Kleenex.
«Tieni. Si direbbe che ti possa servire.»
Nala si lamentò quando, udendo la voce,
sobbalzai per la
sorpresa e allontanai le lacrime a
sufficienza per vedere che
qualcuno mi tendeva un fazzoletto. «Grgrazie.» Lo presi e mi
soffiai il naso.
«Non c'è di che», disse Erik Night.
18
«Ti senti bene?»
«Sì, sto bene. Benissimo. Tutto a posto»,
mentii.
«Non sembra che tu stia bene. Ti scoccia
se mi siedo?»
chiese Erik.
«No, fai pure», replicai con aria
indifferente. Sapevo di avere
il naso rosso come un peperone. Quando
lui si era fatto avanti mi
stava praticamente colando il moccio
addosso e avevo il vago
sospetto che fosse stato presente almeno
a parte dell'incubo tra
Heath e me. La nottata non faceva che
peggiorare. Lo guardai e
decisi: Che cavolo, tanto vale
continuare nella stessa direzione.
«Nel caso non l'avessi capito, ero io
quella che ha visto la piccola
scenata fra te e Afrodite, ieri, in
corridoio.»
Lui non ebbe la minima esitazione. «Lo
so, e vorrei non fosse
successo. Non voglio che ti faccia idee
sbagliate su di me.»
«E quali idee sarebbero?»
«Che tra Afrodite e me ci sia più di
quanto non c'è in realtà.»
«Non sono affari miei», replicai.
Si strinse nelle spalle. «Voglio solo che
tu sappia che lei e io
non stiamo più insieme.»
Stavo per dirgli che di certo non
sembrava che Afrodite
avesse afferrato quell'ultima parte, ma
poi ripensai a quello che era
appena successo tra Heath e me, e con
stupore mi resi conto che
forse non avrei dovuto giudicare troppo
duramente Erik. «Okay.
Voi due non state insieme», conclusi.
Rimase seduto in silenzio vicino a me
per un po' e, quando
riprese a parlare, mi sembrò fosse quasi
arrabbiato. «Afrodite non
ti aveva spiegato del sangue nel vino.»
Non l'aveva detto come fosse una
domanda, ma risposi lo
stesso: «No».
Scosse la testa e vidi che la mascella
s'irrigidiva. «Mi aveva
detto che l'avrebbe fatto. Mi aveva
assicurato che ti avrebbe
avvisata mentre ti cambiavi, così, se non
ti andava, potevi fare a
meno di bere dal calice.»
«Ha mentito.»
«Non è una grande sorpresa.»
Mi sentivo crescere dentro una gran
rabbia. «Tu credi? Tutta
questa storia era sbagliata fin dall'inizio.
Insomma, prima vengo
spinta a partecipare al rito delle Figlie
Oscure, dove m'imbrogliano
per farmi bere sangue. Poi incontro il
mio quasi-ex-ragazzo, che si
dà il caso sia umano al cento per cento,
e nessuno si era
minimamente sprecato a dirmi che anche
la più infinitesimale
gocciolina del suo sangue mi avrebbe
fatta diventare un… un
mostro.» Mi morsi il labbro e mi
aggrappai alla collera per non
ricominciare a piangere. Decisi di non
dire niente del fantasma di
Elizabeth: c'erano già troppe cose strane
da accettare per una notte
sola.
«Nessuno te l'ha spiegato perché è una
cosa che non avrebbe
dovuto iniziare ad avere effetto su di te
prima della sesta», replicò
pacato.
«Eh?» Avevo ripreso a essere di
un'eloquenza travolgente.
«La brama di sangue di solito comincia
quando si è in sesta
classe e si è già quasi completamente
Trasformati. Qualche volta
si sente di qualcuno di quinta che deve
affrontare la cosa in
anticipo, ma non succede spesso.»
«Frena un attimo. Cosa stai dicendo?»
Mi sembrava di avere
la testa piena di api che ronzano.
«Si comincia ad avere lezioni sulla
brama di sangue e altri
aspetti che si dovranno affrontare da
vampiri adulti quando si è in
quinta, e poi, l'ultimo anno, i corsi si
concentrano soprattutto su
questi argomenti. Oltre alla materia in
cui hai deciso di
specializzarti.»
«Ma io sono in terza! E a malapena,
anche, dato che ho il
Marchio da pochi giorni.»
«Il tuo Marchio è diverso; tu sei
diversa.»
«Io non voglio essere diversa!» Mi
accorsi che stavo
gridando e abbassai la voce. «Voglio
soltanto imparare a gestire
questa cosa come tutti gli altri.»
«Troppo tardi, Zy.»
«E allora che faccio?»
«Credo sarebbe meglio che ne parlassi
col tuo mentore. È
Neferet, vero?»
«Già», risposi con aria avvilita.
«Ehi, stai allegra. Neferet è grandiosa.
Ormai non fa più da
mentore quasi a nessun novizio, quindi
deve credere davvero
molto in te.»
«Lo so, lo so. È solo che questo mi fa
sentire…» Com'è che
mi sentivo all'idea di parlare a Neferet
di quanto accaduto quella
sera? Imbarazzata. Come se avessi di
nuovo dodici anni e dovessi
dire al prof di ginnastica che mi erano
venute le mie cose e dovevo
andare in spogliatoio a cambiarmi i
calzoncini. Sbirciai di
nascosto Erik. Eccolo lì, splendido,
attento e perfetto. Diavolo.
Non potevo dirglielo, quindi cambiai
aggettivo. «Stupida. Mi fa
sentire stupida.» Che in realtà non era
una bugia, anche se, oltre a
imbarazzata e stupida, mi sentivo
soprattutto spaventata. Non
volevo che tutto questo m'impedisse
d'inserirmi.
«Non sentirti stupida. La verità è che sei
molto più avanti di
tutti noi.»
«Allora…» Esitai, poi presi un bel
respiro e mi lanciai: «Ti è
piaciuto il sapore del sangue nel calice,
stasera?»
«Be', il nodo della faccenda è proprio
questo: il mio primo
Rito della Luna Piena con le Figlie
Oscure è stato alla fine della
terza e, a parte il 'frigorifero', ero l'unico
di quell'età, proprio come
te stasera.» Fece una risatina per niente
divertita. «Mi avevano
invitato solo perché ero in finale nel
concorso di monologhi
shakespeariani e il giorno successivo
dovevo partire per Londra
per la gara.» Mi guardò e sembrò un po'
in imbarazzo. «Nessuno
di questa Casa della Notte era mai
arrivato fino a Londra. Era una
cosa importante.» Scosse la testa come a
prendersi in giro. «A dire
il vero, ero io che pensavo fosse una
cosa importante. Quindi le
Figlie Oscure m'invitarono a unirmi a
loro e io ci andai. Sapevo
del sangue. Mi diedero la possibilità di
rifiutare, ma non lo feci.»
«E ti è piaciuto?»
Questa volta la risata fu sincera. «Mi
vennero i conati di
vomito e diedi di stomaco. Era la cosa
più schifosa che avessi mai
assaggiato.»
Gemetti, mi cadde la testa in avanti e
presi la faccia tra le
mani. «Non mi sei d'aiuto.»
«Perché, tu l'hai trovato buono?»
«Più che buono. Hai detto che era la
cosa più schifosa che
avessi mai assaggiato? Io l'ho trovato la
cosa più deliziosa. Be', la
cosa più deliziosa finché non…»
M'interruppi, rendendomi conto
di quanto stavo per dire.
«Finché non hai assaggiato il sangue
fresco?» mi chiese con
gentilezza.
Feci di sì con la testa, non osando
parlare.
Lui mi prese le mani, costringendomi a
liberare la faccia,
quindi mi mise un dito sotto il mento e
mi obbligò a guardarlo
dritto negli occhi.
«Non devi provare imbarazzo o
vergogna. È normale.»
«Trovare squisito il sapore del sangue
non è normale. Non
per me.»
«Sì che lo è. Tutti i vampiri devono
affrontare la brama di
sangue.»
«Ma io non sono un vampiro!»
«Forse no, non ancora. Ma di certo non
sei neanche una
normale novizia e in questo non c'è
niente di male. Tu sei speciale,
Zoey, e quello che è speciale può essere
stupefacente.» Con
lentezza, mi tolse il dito di sotto il mento
e, come aveva già fatto
quella notte, disegnò gentilmente la
sagoma del pentacolo sul mio
Marchio scurito.
Mi piaceva la sensazione che mi dava il
suo dito sulla pelle:
caldo e leggermente ruvido. Mi piaceva
pure il fatto che, stando
vicino a lui, non si scatenassero tutte le
strane reazioni che avevo
avuto accanto a Heath. Cioè, non sentivo
pulsare il sangue di Erik
nelle vene e non vedevo battere la vena
sul suo collo. Non che mi
sarebbe dispiaciuto se mi avesse
baciata…
Diavolo! Ma stavo diventando una
vampira zoccola?
Cos'altro doveva succedere? Nessun
maschio di nessuna specie (e
questo avrebbe potuto includere anche
Damien) sarebbe stato al
sicuro nelle mie vicinanze? Forse avrei
dovuto evitare i ragazzi
finché non avessi capito cosa mi stava
succedendo e non avessi
imparato a controllarmi.
Poi mi ricordai che avevo cercato dì
evitare tutti e che era
proprio per quel motivo che mi trovavo
lì fuori. «Erik, tu che ci fai
qui?»
«Ti ho seguita», rispose semplicemente.
«Perché?»
«Ho immaginato cos'avesse combinato
Afrodite e ho pensato
che ti potesse servire un amico. Sei in
stanza con Stevie Rae,
giusto?»
Annuii.
«Appunto. Avevo pensato di cercarla e
farla venire qui da te
ma non sapevo se volevi che lei sapesse
del…» S'interruppe e fece
un vago gesto in direzione della sala di
ricreazione.
«No! Io… io non voglio che lo sappia.»
Inciampai sulle
parole, da tanto le pronunciai in fretta.
«È quello che pensavo. Ecco perché ti
sei beccata me al suo
posto.» Sorrise, poi sembrò un po' a
disagio. «Non avevo
intenzione di ascoltare quello che vi
dicevate tu e Heath. Mi
dispiace che sia successo.»
Mi concentrai sulle coccole a Nala.
Quindi aveva visto Heath
che mi baciava e poi tutta la faccenda
del sangue. Dio, com'era
imbarazzante… Poi mi colpì un pensiero
e alzai gli occhi verso di
lui con un sorrisetto ironico. «Suppongo
che con questo siamo
pari. Nemmeno io avevo intenzione di
ascoltare quello che
dicevate tu e Afrodite.»
Ricambiò il sorriso. «Siamo pari.
Questo mi piace.»
Il suo sorriso provocò strane cose nel
mio stomaco. «Non
sarei davvero volata giù a bermi il
sangue di Kayla», riuscii a dire.
Rise (aveva proprio una bella risata).
«Lo so. I vampiri non
volano.»
«Però le ho messo una gran strizza.»
«Per quanto ho visto, se lo meritava.»
Aspettò un attimo,
quindi aggiunse: «Posso chiederti una
cosa? È piuttosto
personale».
«Ehi, mi hai vista bere sangue da un
calice e godermela un
mondo, vomitare, baciare un ragazzo,
leccargli il sangue come
fossi un cagnolino e poi piangere sino a
farmi uscire gli occhi. E io
ti ho visto rifiutare un pompino. Direi
che potrei proprio
rispondere a una domanda piuttosto
personale.»
«Lui era davvero in trance? Dall'aspetto
e da come parlava
sembrava di sì.»
Mi dimenai un po', a disagio, e Nala si
lamentò finché non la
feci stare tranquilla a furia di coccole.
Alla fine riuscii a dire: «In
apparenza sembrava così. Non so se
fosse trance o no – e non
avevo la minima intenzione di tenerlo in
mio potere o altre strane
cose del genere –, ma era diverso. Non
lo so. Aveva bevuto e
fumato. Magari era solo un po' fatto».
Udii di nuovo la voce di
Heath, che mi tornava alla mente come
una foschia soffocante:
Sì… tutto quello che vuoi. Farò tutto
quello che vuoi. E rividi lo
sguardo intenso che mi aveva lanciato.
Diavolo, non avevo mai
pensato che Heath il Fustacchione fosse
capace di dimostrare una
simile intensità (almeno fuori del campo
da football), di certo non
era in grado di sillabare la parola
(intensità, non football).
«È sempre stato così o solo dopo che
tu… mmm… hai
cominciato a…»
«Non sempre. Perché?»
«Be', questo elimina due cose che
avrebbero potuto essere la
causa del suo comportamento insolito.
La prima: se fosse stato
soltanto fatto o bevuto, sarebbe stato
così anche prima. La
seconda: avrebbe potuto comportarsi
così perché sei davvero bella
e questo basta a far sentire in trance un
ragazzo che ti sta vicino.»
Le sue parole rimisero in agitazione
qualcosa in fondo al mio
stomaco, qualcosa che in precedenza
non si era mai mosso per
nessun ragazzo. Né per Heath il
Fustacchione né per Jordon il
Bradipo, né per Jonathan lo Stupido
Ragazzino della Banda (la
mia storia sentimentale non è lunga ma
decisamente pittoresca).
«Sul serio?» chiesi come una cretina
totale.
«Sul serio.» Sorrise in un modo che di
cretino non aveva
proprio niente.
Com'era possibile che piacessi a quel
ragazzo? Ero una
sfigata bevitrice di sangue.
«Ma nemmeno questo è possibile,
perché doveva pure aver
notato quanto sei sexy anche prima che
lo baciassi e, a quanto dici,
non sembrava rapito finché nel quadretto
non è entrato un po' di
sangue.»
(«Rapito» – hi hi hi! –, aveva detto
davvero «rapito».) Ero
troppo presa a sorridere come un'idiota
per il suo uso di vocaboli
complicati per pensare prima di
rispondere: «A dire il vero è
cominciato quando ho iniziato a sentire
il rumore del suo sangue
che pulsava nelle vene».
«Ripeti un po'?!»
Ah, cavolo. Non era quello che avrei
voluto dire. Mi schiarii
la voce. «Heath ha cominciato a
cambiare quando ho sentito il
rumore del sangue che gli pulsava nelle
vene.»
«Soltanto i vampiri adulti riescono a
sentirlo.» S'interruppe e
poi, con un rapido sorriso, aggiunse: «E
Heath sembra il nome del
protagonista gay di una soap».
«Ci sei andato vicino. È il miglior
quarterback di Broken
Arrow.»
Erik annuì e sembrò divertito.
«Ah, già che ci siamo, mi piace il nome
che ti sei scelto.
Night è un cognome molto figo»,
aggiunsi, cercando di cavarmela
almeno con l'ultima parte della
conversazione e dire qualcosa di
vagamente sensato.
Il suo sorriso si fece ancora più ampio.
«Non l'ho scelto. Erik
Night è il nome con cui sono nato.»
«Ah, sì? Be', mi piace.» Perché
qualcuno non mi sparava e la
facevamo finita?
«Grazie.»
Guardò l'orologio e io mi accorsi che
erano quasi le sei e
mezzo. Del mattino, cosa che mi
sembrava ancora assurda.
«Farà giorno presto», disse.
Immaginando che quella fosse la battuta
che indicava che ci
dovevamo separare, avvicinai i piedi e
presi meglio in braccio
Nala, in modo da potermi alzare, e
trovai la mano di Erik sotto il
gomito che mi sosteneva.
Mi aiutò a sollevarmi e rimase lì, tanto
vicino che la coda di
Nala gli sfiorava il maglione nero. «Ti
chiederei se vuoi mangiare
qualcosa, ma l'unico posto in cui
servono cibo a quest'ora è la sala
di ricreazione e non credo ti vada di
tornarci.»
«No, proprio no. E comunque non ho
fame.» Affermazione
che, mi resi subito conto, era una bugia
bella e buona, perché solo
sentendo nominare il cibo provai un
buco allo stomaco.
«D'accordo. Ti dispiace se ti
accompagno al dormitorio?»
chiese.
«No.» Cercai di avere un'aria
disinvolta.
Stevie Rae, Damien e le gemelle
sarebbero morti sul colpo se
mi avessero vista con Erik.
Incamminandoci, non dicemmo niente,
ma non era il silenzio
sgradevole di chi si sente a disagio. A
dire il vero era molto
carino. Di quando in quando le nostre
braccia si sfioravano e io
pensavo a quant'era alto e figo e a
quanto mi sarebbe piaciuto che
mi prendesse la mano.
Dopo un po' disse: «Oh, prima non ho
finito di rispondere
alla tua domanda. La prima volta che ho
assaggiato il sangue a
uno dei riti delle Figlie Oscure l'ho
trovato schifoso, ma ogni volta
successiva il gusto mi sembrava
migliore. Non posso dire di
trovarlo delizioso, ma comincia a
piacermi. E di certo mi piace il
modo in cui mi fa sentire».
Lo fissai. «Con la testa che gira e le
ginocchia molli? Come
se fossi sbronzo ma invece non lo sei?»
«Già. Ehi, lo sapevi che i vampiri non si
ubriacano?»
Scossi la testa.
«È per un qualcosa che la
Trasformazione fa al nostro
metabolismo. Persino per un novizio è
difficile prendersi una
sbronza.»
«Perciò i vampiri si ubriacano bevendo
sangue?»
Si strinse nelle spalle. «Suppongo.
Comunque ai novizi è
vietato bere sangue umano.»
«E allora perché nessuno ha informato
gli insegnanti di
quello che fa Afrodite?»
«Lei non beve sangue umano.»
«Senti, Erik, ero lì anch'io. Nel vino
c'era decisamente
sangue e proveniva da quel ragazzo,
Elliott.» Rabbrividii.
«Pessima scelta, tra l'altro.»
«Ma lui non è umano.»
«Frena un attimo… è proibito bere
sangue umano», dissi
lentamente (oh, diavolo! Era quello che
avevo appena fatto). «Ma
non c'è problema a bere quello di un
altro novizio?»
«A patto che sia d'accordo.»
«Non ha senso.»
«Sì che ne ha, invece. È normale che,
mentre il nostro
organismo si Trasforma, si sviluppi la
brama di sangue, quindi ci
serve uno sfogo. I novizi guariscono in
fretta, perciò nessuno si fa
male. E non ci sono effetti collaterali,
come capita invece quando
un vampiro beve da un umano vivo.»
Quello che stava dicendo mi picchiava
in testa come la
fastidiosa musica a manetta che urlava in
continuazione al negozio
Wet Seal e afferrai l'unica cosa che mi
era arrivata forte e chiara.
«Umano vivo?» strillai. «Dimmi che non
l'intendevi come
alternativa al bere da un cadavere!» Mi
stava tornando la nausea.
Rise. «No, l'intendevo come alternativa
al sangue avuto dai
donatori dei vampiri.»
«Mai sentita una roba simile.»
«La maggior parte degli umani non ne sa
niente. Anche noi
lo scopriamo solo in quinta.»
Poi qualcos'altro di quanto aveva detto
si fece strada nella
confusione che avevo in testa. «Cosa
intendevi per effetti
collaterali?»
«Abbiamo appena cominciato a studiarli
in Socio Vamp 312.
Sembra che, quando un vampiro adulto
beve da un umano vivo, si
possa creare un legame molto forte. Da
parte del vampiro, non
sempre, ma gli umani s'invaghiscono con
grande facilità. E per
loro è pericoloso. Insomma, prova a
pensarci. Di per sé una
perdita di sangue non è una buona cosa,
se aggiungi poi che noi
viviamo decenni più degli umani, a volte
secoli, dal loro punto di
vista dev'essere orribile essere
innamorato lesso di qualcuno che
sembra non invecchiare mai mentre tu
diventi rugoso e rinsecchito
e muori.»
Ripensai ancora all'aria meravigliata ma
intensa con cui mi
aveva guardata Heath e capii che, per
quanto duro potesse essere,
dovevo raccontare tutto a Neferet. «Già,
dev'essere orribile»,
replicai con un filo di voce.
«Siamo arrivati.»
Mi stupii vedendo che ci eravamo
fermati davanti al
dormitorio femminile. Alzai gli occhi a
guardare il mio
accompagnatore. «Be' ti sono grata per
avermi seguita… credo»,
dissi con un sorriso ironico.
«Ah, be', ogni volta che vuoi che
qualcuno venga a ficcare il
naso nei fatti tuoi non invitato, conta
pure su di me.»
«Lo terrò a mente. Grazie.» Mi
appoggiai Nala sul fianco e
cominciai ad aprire la porta.
«Ehi, Zy.»
Mi voltai.
«Non restituire il vestito ad Afrodite.
Includendoti nel
cerchio di stanotte ti ha formalmente
offerto un posto tra le Figlie
Oscure ed è tradizione che la futura
Somma Sacerdotessa faccia
un dono a ogni nuovo membro al suo
primo rito. Non credo che
vorrai fare parte del gruppo, ma hai
comunque diritto a tenerti il
vestito. Soprattutto perché sta molto
meglio a te che a lei.» Si
allungò a prendermi la mano (quella con
cui non tenevo il gatto) e
la rivoltò palmo in su. Poi col dito seguì
la vena più grande,
facendo impazzire i miei battiti. «E devi
anche sapere che puoi
contare su di me se decidi di aver voglia
di assaggiare un altro
sorso di sangue. Tieni a mente pure
questo.» Erik si chinò e, gli
occhi sempre fissi nei miei, diede un
leggerissimo morso in un
punto del mio polso, che poi baciò
dolcemente.
Questa volta l'agitazione di ali nello
stomaco fu frenetica e
fece ribollire l'interno delle mie cosce e
accelerare il respiro. Il suo
sguardo, mentre teneva le labbra sul mio
polso, mi provocò un
fremito di desiderio. Sapevo che mi
sentiva tremare. Fece guizzare
la punta della lingua sulla vena, e anche
questo mi diede un
fremito. Poi mi sorrise e si allontanò nel
vago chiarore che precede
l'alba.
19
Il mio polso bruciava e formicolava
ancora per l'inatteso
bacio di Erik (e morso e leccatina), e
non ero certa di essere già in
grado di parlare, perciò mi sentii
sollevata vedendo che nella
grande sala all'ingresso c'erano
pochissime ragazze che mi
riservarono giusto un'occhiata prima di
tornare a guardare quello
che dalla musica sembrava America's
Next Top Model. Corsi in
cucina e misi Nala sul pavimento,
sperando che non scappasse
mentre mi preparavo un panino. Non lo
fece, preferì invece
seguirmi per tutta la stanza come un
minuscolo cagnolino arancio
e continuare a lamentarsi con quello
strano non-miagolio.
Continuavo a dirle «lo so» e «hai
ragione», perché immaginavo mi
stesse dando della cretina per come mi
ero comportata quella sera
e, be', aveva ragione sul serio.
Fatto il panino, presi un sacchetto di
pretzel (Stevie Rae
aveva detto la verità: non riuscii a
trovare cibo spazzatura decente
in nessuno degli armadietti), delle
bollicine marroni (non
m'importa quale bibita sia, basta che sia
marrone e non diet e
abbia le bolle – iiih!), la mia gatta e
salii le scale.
«Zoey! Ero così preoccupata per te!
Raccontami tutto.»
Stevie Rae era raggomitolata nel letto
con un libro ed era ovvio
che mi stesse aspettando. Portava un
pigiama con disegnati
cappelli da cowboy e aveva i capelli
appiccicati su un lato della
faccia come se ci si fosse addormentata
sopra. Giuro che sembrava
avesse dodici anni.
Esordii allegra: «Pare che abbiamo un
animaletto». Mi voltai
in modo che Stevie Rae potesse vedere
Nala schiacciata contro il
mio fianco. «Tieni, aiutami prima che
faccia cadere qualcosa.
Perché se fosse la gatta, poi non la
smetterebbe più di lamentarsi.»
«È un amore!» Stevie Rae saltò giù dal
letto e si affrettò
verso di me per prendere Nala, ma la
micetta mi si aggrappò
addosso come se pensasse che qualcuno
l'avrebbe ammazzata se si
fosse staccata dal mio fianco, quindi
Stevie Rae piazzò il cibo sul
mio comodino.
«Ehi, quel vestito è favoloso.»
«Già, mi sono cambiata prima del rito.»
Questo mi ricordò
che dovevo restituirlo ad Afrodite.
Sicuro. Non mi sarei certo
tenuta il «regalo», anche se Erik aveva
detto che avrei dovuto. E
poi restituirglielo mi dava l'occasione di
«ringraziarla» per essersi
«dimenticata» di avvisarmi del sangue.
Strega e stronza.
«Allora… com'era?»
Mi sedetti sul letto e diedi un pretzel a
Nala, che cominciò
subito a sbatacchiarlo da tutte le parti
(perlomeno aveva smesso di
brontolare), poi addentai un gran
boccone di panino. Sì, avevo
fame, ma stavo anche guadagnando
tempo. Non sapevo cosa dire a
Stevie Rae, e cosa non dire. La faccenda
del sangue era così
sconcertante… e così disgustosa.
Avrebbe pensato che ero
orribile? Avrebbe avuto paura di me?
Inghiottii e decisi di deviare
la conversazione su un argomento più
innocuo. «Erik Night mi ha
accompagnata al dormitorio.»
Stevie Rae prese a saltellare sul letto
come un gioppino in
stile country. «Spara! Devi dirmi tutto.»
«Mi ha baciata», dissi, ammiccando con
le sopracciglia.
«Stai scherzando! E dove? Come? È
stato bello?»
«Mi ha baciato la mano.» Decisi in
fretta di mentire. Non
volevo spiegare tutta la storia del
polso/vena/sangue/morso. «È
stato quando mi ha dato la buona notte.
Eravamo proprio davanti
al dormitorio. E, sì, è stato bello.» Le
sorrisi su un altro boccone di
panino.
«Scommetto che Afrodite ha cagato
piastrelle quando hai
lasciato la sala di ricreazione con lui.»
«Be', a dire il vero me ne sono andata
prima di lui, che mi ha
raggiunta dopo. Ero uscita per…
mmm… una passeggiata lungo il
muro di cinta, dove ho anche trovato
Nala.» Diedi una grattatina
dietro le orecchie della gatta.
Lei si rannicchiò vicino a me, chiuse gli
occhi e iniziò a fare
le fusa.
«A dire il vero, credo sia stata lei a
trovare me. Comunque,
mi ero arrampicata sul muro perché
pensavo avesse bisogno di
essere salvata e poi – e a questo so che
non crederai – ho visto
qualcosa che sembrava il fantasma di
Elizabeth, poi sono comparsi
Heath, il mio quasi-ex-ragazzo della mia
vecchia scuola, e la mia
ex-migliore-amica.»
«Cosa? Chi? Rallenta. Comincia col
fantasma di Elizabeth.»
Scossi la testa e masticai. Tra un
boccone e l'altro, provai a
spiegare. «È stato davvero strano e
spaventoso. Ero seduta lì sul
muro ad accarezzare Nala, quando
qualcosa ha attirato la mia
attenzione. Ho guardato giù e c'era
questa ragazza, non molto
distante da me. Mi ha guardata con degli
strani occhi rossi e giuro
che era proprio Elizabeth.»
«Ma va? Chissà che impressione!»
«Eccome. E lei appena mi ha vista ha
cacciato uno strillo
orribile ed è scappata via.»
«Io mi sarei presa una strizza
micidiale.»
«Anch'io, solo che non ho avuto neanche
il tempo di pensarci
che sono arrivati Heath e Kayla.»
«Cosa vuoi dire? Come facevano a
essere qui?»
«No, non erano qui, erano dall'altra
parte del muro. Devono
avermi sentita mentre cercavo di
calmare Nala dopo che aveva
sclerato del tutto per il fantasma di
Elizabeth.»
«L'ha visto anche Nala?»
Annuii.
Stevie Rae rabbrividì. «Allora doveva
esserci per davvero.»
La mia voce divenne quasi un sussurro:
«Tu sei sicura che sia
morta? Non è che magari c'è stato un
errore ed è ancora viva e se
ne va in giro per la scuola?» Suonava
ridicolo, ma non più del
fatto che avessi visto un fantasma.
Stevie Rae deglutì con forza. «È morta.
L'ho vista morire.
Tutti in classe l'hanno vista.»
Sembrava che stesse per mettersi a
piangere e
quell'argomento mi metteva una gran
fifa, perciò passai a qualcosa
di meno pauroso. «Be', potrei essermi
sbagliata. Magari era
soltanto una con gli occhi strani che le
somigliava. Era buio e poi
sono arrivati subito Heath e Kayla.»
«E come mai sono venuti?»
Alzai gli occhi al cielo. «Heath ha detto
che volevano 'farmi
evadere'. Te l'immagini?»
«Ma sono stupidi?»
«Si direbbe. Oh, e poi Kayla, la mia exmigliore-amica, ha
dimostrato in modo evidente di stare
dietro a Heath!»
Stevie Rae restò senza fiato. «Che
zoccola!»
«Hai detto bene. Be', comunque, gli ho
detto di andarsene e
di non tornare, e poi mi sentivo un po'
sconvolta ed è stato allora
che mi ha trovata Erik.»
«Wooow! È stato dolce e romantico?»
«Be', sì, abbastanza. E mi ha chiamata
Zy.»
«Ooh, un nomignolo è un gran buon
segno!»
«È quello che ho pensato anch'io.»
«E allora ti ha accompagnata al
dormitorio?»
«Già, ha detto che mi avrebbe portata a
mangiare qualcosa,
ma l'unico posto aperto a quell'ora era la
sala di ricreazione e io
non volevo tornarci.» Ah, cavolo. Lo
capii subito di aver detto
troppo.
«Le Figlie Oscure sono state orribili?»
Guardai Stevie Rae coi suoi occhioni da
cerbiatto e capii che
non potevo dirle che avevo bevuto
sangue. Non ancora. «Be', hai
presente Neferet, com'era sexy, bella
e… di classe?»
Stevie Rae annuì.
«Afrodite ha fatto più o meno quello che
aveva fatto lei, solo
che sembrava una sgualdrina.»
«Ho sempre pensato che fosse davvero
volgare.» Stevie Rae
scosse la testa con aria disgustata.
«Non dirlo a me.» La guardai e sbottai:
«Ieri, prima che
Neferet mi portasse qui al dormitorio,
ho visto Afrodite che
cercava di fare un pompino a Erik».
«Ma va? Dio se è disgustosa. Aspetta,
hai detto che cercava
di farlo. Com'è 'sta storia?»
«Lui le diceva di no e la spingeva via.
Le ha detto che non la
voleva più.»
«Scommetto che questo le ha fatto
perdere anche quel poco
di rotelle che ancora le restavano»,
ridacchiò Stevie Rae.
Mi ricordavo come gli stava addosso,
anche se lui le diceva
chiaramente di no. «A dire il vero, mi
sarebbe persino dispiaciuto
per lei se non fosse così… così…» Mi
sforzai di trovare le parole
giuste.
«Così strega infernale?» suggerì
premurosa Stevie Rae.
«Già, credo sia proprio così. Ha
quell'atteggiamento… come
se avesse il diritto di essere antipatica e
sgradevole finché vuole e
noi dovessimo tutti inchinarci e
sopportare.»
Stevie Rae annuì. «E le sue amiche sono
lo stesso.»
«Già, ho incontrato l'orribile trio.»
«Intendi Bellicosa, Terribile e Vespa?»
«Proprio loro. Ma a cosa pensavano
quando hanno scelto
quei nomi orrendi?» chiesi infilandomi
in bocca una manciata di
pretzel.
«Esattamente a quello che pensa tutto il
suo gruppo: di essere
meglio di chiunque altro e intoccabili,
perché la volgare Afrodite
sarà la nuova Somma Sacerdotessa.»
Replicai non appena le parole mi
passarono bisbigliando
nella mente: «Non credo che Nyx lo
consentirà».
«Che vuoi dire? Sono già il gruppo
'giusto', Afrodite è a capo
delle Figlie Oscure sin da quand'era in
quinta e la sua affinità è
diventata evidente.»
«Cos'è la sua affinità?»
«Ha delle visioni, per esempio di
disgrazie future», spiegò
accigliata Stevie Rae.
«Pensi che finga?»
«Oh, diavolo, no! È incredibilmente
precisa. Quello che
penso, e Damien e le gemelle sono
d'accordo con me, è che le
racconti solo quando le ha mentre è
presente qualcuno al di fuori
del suo gruppetto.»
«Un momento, stai dicendo che sa che
succederanno delle
brutte cose prima che accadano ma non
fa niente per evitarle?»
«Già. La settimana scorsa ha avuto una
visione all'ora di
pranzo, ma le streghe hanno stretto i
ranghi intorno a lei e hanno
cominciato a portarla fuori della sala da
pranzo. Se Damien non ci
avesse sbattuto contro perché era in
ritardo, facendole sparpagliare
e riuscendo così a vedere che Afrodite
era nel bel mezzo di una
visione, nessuno l'avrebbe mai saputo. E
con ogni probabilità
sarebbero morti tutti i passeggeri di un
intero aereo.»
Quasi mi strozzai con un pretzel e, tra
una tossita e l'altra,
riuscii a farfugliare: «Tutti i passeggeri
di un aereo? Oh cavolo!»
«Giààà, Damien era sicuro che lei stesse
avendo una visione,
perciò è andato da Neferet e Afrodite ha
dovuto spiegare ciò che
aveva visto, cioè un jet che si schiantava
appena dopo il decollo.
Le sue visioni sono talmente chiare che
è riuscita a descrivere
l'aeroporto e leggere i numeri sulla coda
dell'aereo. Quindi Neferet
ha contattato lo scalo di Denver. Loro
hanno fatto dei controlli e
hanno scoperto dei problemi di cui non
si erano accorti prima.
Hanno detto che, se non li avessero
risolti, l'aereo sarebbe caduto
immediatamente dopo il decollo. Ma so
benissimo che Afrodite
non avrebbe detto niente, se non fosse
stata beccata, anche se ha
raccontato la balla che le sue amiche la
stavano portando fuori
della sala da pranzo sapendo che
sarebbe voluta andare subito da
Neferet. Emerita stronzata.»
Stavo per dire che non potevo credere
che Afrodite e le sue
streghe potessero lasciare di proposito
che morissero centinaia di
persone, ma poi mi ricordai le parole
odiose che avevano detto
quella sera: I maschi umani fanno
schifo… Dovrebbero morire
tutti. Allora mi resi conto che non
avevano solo aperto la bocca e
dato fiato: avevano parlato sul serio. «E
allora perché Afrodite non
ha mentito a Neferet? Cioè, dicendole
l'aeroporto sbagliato o
invertendo i numeri del volo o roba
simile?»
«È quasi impossibile mentire ai vampiri,
soprattutto quando
ti fanno una domanda diretta. E poi
ricordati che Afrodite vuole
diventare Somma Sacerdotessa più di
ogni altra cosa, quindi, se
Neferet scoprisse quanto è falsa, i suoi
piani per il futuro ne
risentirebbero di brutto.»
«Afrodite non può diventare Somma
Sacerdotessa. È egoista
e odiosa, e lo sono anche le sue
amiche.»
«Sì, già, però Neferet non la pensa così
e lei era la sua
mentore.»
Sbattei le palpebre per la sorpresa.
«Vorrai scherzare! E si è
lasciata infinocchiare dalle stronzate di
Afrodite?» Non era
possibile. Neferet era troppo
intelligente.
Stevie Rae si strinse nelle spalle. «Si
comporta in modo
diverso quando c'è Neferet.»
«Ma comunque…»
«E poi ha davvero una forte affinità, il
che significa che Nyx
ha dei progetti speciali per lei.»
«Oppure è un diavolo dell'inferno e trae
i suoi poteri dal lato
oscuro della forza. Pronto? Nessuno ha
visto Guerre Stellari? Era
difficile pensare che Anakin Skywalker
potesse diventare cattivo e
guarda invece com'è andata.»
«Be', Zoey, quella è tutta roba
inventata.»
«Sì, però credo che chiarisca bene il
concetto.»
«Puoi sempre provare a dirlo a
Neferet.»
Masticai il panino e riflettei sulla cosa.
Magari avrei dovuto.
Neferet sembrava infinitamente troppo
intelligente per cadere nei
giochetti di Afrodite. Probabilmente
sapeva già che le streghe
infernali avevano in mente qualcosa.
Magari aveva solo bisogno
che qualcuno si prendesse la briga di
parlargliene. «Quindi
nessuno ha mai provato a dire a Neferet
di Afrodite?»
«Non che io sappia.»
«Perché no?»
Stevie Rae mi parve a disagio. «Be',
credo che sembri un po'
come fare la spia. E poi, cosa potremmo
dire a Neferet? Che
pensiamo che Afrodite potrebbe
nascondere le visioni che ha, ma
che la nostra unica prova a favore è che
è una stronza odiosa?»
Stevie Rae scosse la testa. «Non credo
che la Somma Sacerdotessa
apprezzerebbe una cosa del genere e,
anche se per qualche
miracolo ci credesse, cosa potrebbe
fare? Non può mica buttarla
fuori a calci dalla scuola in modo che
possa tossire a morte in
qualche angolo di strada. Continuerebbe
comunque a stare qui col
suo gruppo di streghe e tutti quei ragazzi
che farebbero qualunque
cosa per lei, basta che faccia schioccare
le sue ditine munite di
artigli. Direi che proprio non ne vale la
pena.»
Stevie Rae aveva fatto un'osservazione
giusta, ma non mi
piaceva. Non mi piaceva proprio per
niente.
Le cose potrebbero essere diverse se
una novizia più potente
prendesse il posto di Afrodite a capo
delle Figlie Oscure.
Sobbalzai con aria colpevole e cercai di
nasconderlo dietro una
gran sorsata di bollicine marroni. Ma
cosa andavo pensando? Non
avevo fame di potere. Non volevo
diventare Somma Sacerdotessa
o venire coinvolta nell'immensa rottura
di scatole di una battaglia
con Afrodite e metà della scuola (la
metà più affascinante,
peraltro), io volevo solo trovarmi un
posto in questa nuova vita, un
posto che sentissi casa… un posto dove
integrarmi ed essere come
tutti gli altri.
Poi mi ricordai delle scosse elettriche
che avevo provato
durante la realizzazione di entrambi i
cerchi e di come gli elementi
erano sembrati crepitare attraverso di
me; mi tornò in mente anche
di quanto mi ero dovuta sforzare per
rimanere nel cerchio e non
unirmi ad Afrodite al centro. «Stevie
Rae, quando viene creato un
cerchio, tu senti qualcosa?» chiesi di
punto in bianco.
«Cosa intendi?»
«Be', quando nel cerchio viene chiamato
il fuoco, tu senti
caldo?»
«Naaa. Cioè, mi piace molto la
cerimonia e a volte, quando
Neferet prega, sento l'energia che si
propaga nel cerchio stesso,
tutto qui.»
«Quindi non senti mai soffiare la brezza
quando viene
chiamato il vento né senti odore di
pioggia quand'è il turno
dell'acqua, e nemmeno l'erba sotto i
piedi quand'è il momento
della terra?»
«No di certo. Soltanto una Somma
Sacerdotessa con
un'affinità superiore per gli elementi
potrebbe…» S'interruppe di
colpo e sgranò gli occhi. «Mi stai
dicendo che tu hai percepito
qualcuna di queste cose? Tutte?»
Mi dimenai a disagio. «Forse.»
«Forse!» squittì. «Ma Zoey! Hai idea di
cosa potrebbe
significare?»
Scossi la testa.
«Giusto la settimana scorsa a lezione di
Sociologia abbiamo
studiato le più famose Somme
Sacerdotesse della storia. Non ce
n'è una con un'affinità per tutti e quattro
gli elementi da centinaia
di anni.»
«Cinque», la corressi, mogia.
«Tutti e cinque! Hai provato qualcosa
anche con lo spirito?!»
«Già, credo di sì.»
«Zoey! È incredibile. Non penso ci sia
mai stata una Somma
Sacerdotessa in grado di percepire tutti
e cinque gli elementi.»
Accennò al mio Marchio. «È questo.
Significa che sei diversa, e lo
sei davvero.»
«Stevie Rae, non potremmo tenercelo
per noi per un po'?
Cioè, non dirlo nemmeno a Damien e
alle gemelle? Io vorrei…
vorrei cominciare a capirci qualcosa da
sola. Ho la sensazione che
stia succedendo tutto troppo in fretta.»
«Ma Zoey, io…»
L'interruppi subito: «E poi potrei
sbagliarmi. Che
succederebbe se fossi stata soltanto
eccitata e nervosa perché era
la prima volta che partecipavo al rito?
Capisci come mi sentirei in
imbarazzo se dicessi in giro: 'Ehi, sono
l'unica novizia ad avere
affinità per tutti gli elementi' e poi
venisse fuori che è stato tutto
uno scherzo dei miei nervi?»
Stevie Rae si mordicchiò la guancia.
«Non lo so, continuo a
pensare che dovresti dirlo a qualcuno.»
«Già, così poi Afrodite e il suo branco
avrebbero tutti i
motivi per esultare, se risultasse che
m'immagino le cose.»
Stevie Rae impallidì. «Oh, ragazzi. Hai
proprio ragione.
Sarebbe davvero terribile. Non dirò
niente finché non sei pronta.
Promesso.»
La sua reazione mi fece tornare in mente
una cosa. «Senti,
scusa, posso chiederti che cosa ti ha
fatto Afrodite?»
Stevie Rae abbassò gli occhi, unì le
mani e ingobbì le spalle
come se all'improvviso sentisse freddo.
«Mi ha invitata a un
rituale. Non ero qui da molto, un mese
circa, ed ero così eccitata
che il gruppo 'giusto' mi volesse…»
Scosse la testa, continuando a
non guardarmi. «Sono stata una stupida,
ma allora non conoscevo
nessuno e pensavo che magari potevano
essere loro le mie amiche.
Così sono andata. Ma non volevano che
diventassi una di loro.
Volevano che fossi un… un… donatore
di sangue per il rito. Mi
hanno addirittura chiamata 'frigorifero',
come non fossi buona a
fare altro che contenere sangue per loro.
Mi hanno fatta piangere
e, quando ho detto di no, mi hanno presa
in giro e cacciata via. È
così che ho incontrato Damien, e poi
Erin e Shaunee.
Passeggiavano insieme e mi hanno vista
uscire di corsa dalla sala
di ricreazione, perciò mi hanno seguita e
mi hanno detto di non
preoccuparmi per quello che era
successo. Sono miei amici da
allora.» Finalmente mi guardò. «Mi
dispiace. Avrei dovuto dirti
qualcosa prima che tu ci andassi, ma
sapevo che con te non
l'avrebbero fatto. Tu sei troppo forte e
Afrodite è curiosa del tuo
Marchio. E poi sei molto bella e puoi
essere una di loro.»
«Ehi, sei bella anche tu!» Mi si era
rivoltato lo stomaco al
pensiero di Stevie Rae riversa sulla
sedia come Elliott… al
pensiero di bere il sangue di Stevie Rae.
«No, io sono giusto abbastanza carina.
Io non sono una di
loro.»
«Neanch'io sono una di loro!» strillai,
svegliando Nala, che
prese a brontolare.
«Lo so che non lo sei. Non è quello che
intendevo. Volevo
solo dire che sapevo che ti avrebbero
voluta nel gruppo e che
quindi non avrebbero cercato di usarti
come hanno fatto con me.»
No, erano riuscite a imbrogliarmi e
avevano fatto il possibile
per mettermi una gran strizza. Ma
perché?
Un momento! Sapevo cos'avevano in
mente. Erik aveva detto
che, quando aveva bevuto sangue per la
prima volta, gli aveva
fatto schifo ed era corso fuori a
vomitare. Io ero lì solo da due
giorni. Avevano voluto fare qualcosa
che mi avrebbe disgustata e
spaventata al punto da tenermi per
sempre lontana dal loro rituale.
Non volevano che entrassi a far parte
delle Figlie Oscure, ma
non volevano neanche dire a Neferet che
non mi volevano.
Intendevano fare in modo che fossi io a
rifiutarmi di unirmi a loro.
Per un qualche motivo contorto, quella
prepotente di Afrodite
voleva tenermi fuori delle Figlie
Oscure. I bulli mi avevano
sempre fatta incavolare come una biscia,
il che significava,
purtroppo, che sapevo cosa dovevo fare.
Oh, diavolo. Mi toccava
entrare nel gruppo delle Figlie Oscure.
«Zoey, non sei arrabbiata con me,
vero?» chiese Stevie Rae
con una vocina sottile.
Sbattei le palpebre, cercando di
chiarirmi le idee. «Certo che
no! Avevi ragione: Afrodite non ha
cercato di costringermi a dare
il sangue.» Mi cacciai in bocca l'ultimo
pezzo di panino,
masticando in fretta. «Ooh, sono proprio
distrutta. Pensi di
potermi aiutare a trovare una lettiera per
Nala, così riesco a
dormire un po'?»
Stevie Rae s'illuminò all'istante e saltò
giù dal letto con la sua
solita vitalità. «Guarda un po' qui.»
Schizzò dall'altra parte della
stanza e sollevò una grande borsa verde,
con sopra stampato a
caratteri cubitali: FELICIA'S
SOUTHERN AGRICULTURE STORE,
2616 S. HARVARD, TULSA, da cui
rovesciò sul pavimento una
lettiera, ciotoline per il cibo e per
l'acqua, una scatola di
croccantini Friskies (con protezione
speciale contro i grumi di
pelo) e un sacco di sabbietta.
«Come facevi a saperlo?»
«Non lo sapevo. L'ho trovata davanti
alla nostra porta quando
sono tornata dopo la cena.» Frugò in
fondo alla borsa e ne tolse
una busta e un adorabile collarino di
pelle rosa con sopra
minuscole punte d'argento.
«Tieni, è per te.»
Prima d'iniziare a convincere con
gentilezza Nala a
indossare il collare, Stevie Rae mi tese
la busta, che scoprii
aver scritto sopra il mio nome. Al suo
interno, una bella
calligrafia svolazzante su un costoso
biglietto di carta color
avorio diceva:
Skylar mi ha detto che lei stava
arrivando.
Era firmato soltanto con una lettera: N.
20
Dovevo proprio andare a parlare con
Neferet. Il mattino
dopo, mentre Stevie Rae e io facevamo
colazione in tutta fretta,
non facevo altro che pensarci. Non
volevo dirle della mia ipotetica
insolita reazione agli elementi. Insomma,
mica avevo raccontato
balle a Stevie Rae: era possibile che mi
fossi immaginata tutto e se
l'avessi riferito a Neferet e lei mi avesse
fatto fare chissà quale
strano test per le affinità (in quella
scuola, non si poteva mai dire)
scoprendo che non avevo altro che
un'immaginazione iperattiva?
Non mi sognavo neanche di affrontare
una cosa del genere, quindi
avrei tenuto la bocca chiusa finché non
ne avessi saputo di più. E
non volevo parlarle neanche del fatto
che pensavo di aver visto il
fantasma di Elizabeth. Mica volevo
pensasse che ero fuori di
melone. Neferet era fantastica, ma era
comunque un adulto e
riuscivo già quasi a sentire la menata
dell'«è stata solo la tua
immaginazione perché hai dovuto
affrontare così tanti
cambiamenti» che mi sarei beccata se
avessi ammesso di aver
visto uno spettro. Però dovevo parlarle
della questione della brama
di sangue (diavolo, se mi piaceva così
tanto, perché il solo
pensarci mi faceva venire la nausea?)
Stevie Rae indicò Nala. «Credi che
abbia intenzione di venire
in classe con te?»
Abbassai lo sguardo verso i miei piedi,
dove la gattina si era
acciambellata a fare le fusa. «Può?»
«Intendi dire se le è permesso farlo?»
Annuii.
«Sì, i gatti possono andare dove
vogliono.»
Mi chinai ad accarezzarle la testa.
«Allora immagino che
potrebbe venirmi dietro tutto il giorno.»
«Be', sono contenta che sia tua e non
mia. Da quanto ho visto
quando mi sono svegliata, è una vera
rubacuscini.»
Risi. «Hai proprio ragione. Come riesca
un affarino tanto
piccolo a spingermi via dal mio cuscino
davvero non lo so.» Le
feci un altro grattino in testa. «Andiamo,
se no arriviamo in
ritardo.»
Mi alzai con la ciotola in mano e quasi
andai a sbattere
contro Afrodite, che, come al solito,
aveva al fianco Terribile e
Bellicosa. Vespa non si vedeva (magari
quella mattina si era fatta
la doccia e si era sciolta al contatto con
l'acqua – hi hi hi!)
Il sorriso maligno di Afrodite mi ricordò
un piranha che
avevo visto al Jenks Aquarium l'anno
prima, durante una gita con
la classe di biologia. «Ciao, Zoey.
Diamine, ieri sera sei scappata
via tanto in fretta che non ho avuto modo
di salutarti. Mi dispiace
che non ti sia trovata bene. È un vero
peccato, ma le Figlie Oscure
non sono adatte a tutti.» Lanciò
un'occhiata a Stevie Rae e incurvò
le labbra.
«A dire il vero ieri sera mi è piaciuta un
sacco e il vestito che
mi hai dato è proprio un amore!»
esclamai con esagerato
entusiasmo. «Ti ringrazio di avermi
invitata a fare parte delle
Figlie Oscure. Accetto. Assolutamente.»
Il sorriso feroce di Afrodite sbiadì.
«Davvero?»
Sorrisi a mia volta, ma come un'idiota
totale e inconsapevole.
«Davvero! Quand'è il prossimo incontro
o rituale o quello che è…
o devo chiederlo a Neferet? Devo
vederla stamattina. So che sarà
contenta di sapere che ieri sera mi hai
fatto proprio sentire la
benvenuta e che adesso sono anch'io una
Figlia Oscura!»
Afrodite esitò soltanto un istante, poi
riprese a sorridere e si
adeguò alla perfezione al mio tono da
ingenua. «Già, scommetto
che sarà felice di sapere che ti sei unita
a noi, ma il capo delle
Figlie Oscure sono io e conosco i nostri
programmi a memoria,
perciò non è necessario scocciarla con
domande stupide. Domani
c'è la nostra celebrazione di Samhain.
Metti il tuo vestito.»
Aveva enfatizzato il possessivo e il mio
sorriso si fece ancora
più grande. La mia intenzione era di
stuzzicarla, e c'ero riuscita.
«Ci troviamo alla sala di ricreazione
alle quattro precise.»
«Grandioso. Ci sarò.»
«Bene, è proprio una bella sorpresa»,
commentò mielosa.
Poi, seguita da Terribile e Bellicosa
(che avevano l'aria sconvolta
di due reduci da un bombardamento),
lasciò la cucina.
«Streghe infernali», borbottai sottovoce.
Guardai Stevie Rae,
che mi osservava con espressione
afflitta.
«Ti unisci al loro gruppo?» sussurrò.
«Non è come pensi. Vieni, ti spiego
mentre andiamo in
classe.» Misi i piatti della colazione
nella lavastoviglie e guidai
una Stevie Rae troppo silenziosa fuori
del dormitorio.
Nala ci seguiva soffiando a qualunque
gatto osasse
avvicinarsi troppo a me.
«Sono in ricognizione, proprio come hai
detto tu ieri sera»,
spiegai a Stevie Rae.
«No. Non mi piace.» Scosse la testa con
tanta forza da far
ballonzolare i corti capelli biondi.
«Hai mai sentito quel vecchio detto:
'Tienti gli amici vicino e
i nemici ancora più vicino?'»
«Sì, ma…»
«È quello che sto facendo. Afrodite se la
cava troppo liscia
per tutte le stronzate che fa. È cattiva. È
egoista. Non può essere
lei quella che Nyx vuole come Somma
Sacerdotessa.»
Stevie Rae sgranò gli occhi. «Hai
intenzione di fermarla?»
«Be' almeno ci proverò.» E, mentre lo
dicevo, sentii pizzicare
la mezzaluna color zaffiro che mi
decorava la fronte.
«Grazie per le cose da gatto che mi ha
preso per Nala»,
esordii.
Neferet alzò gli occhi dai compiti che
stava correggendo e
sorrise. «Nala… proprio un bel nome
per lei. Ma dovresti
ringraziare Skylar, non me. È lui che mi
ha detto che stava
arrivando.» Poi guardò la palla di pelo
arancio che si strusciava
impaziente contro le mie caviglie. «Ti è
davvero affezionata.» Gli
occhi si spostarono di nuovo a guardare
me. «Dimmi, Zoey, ti
capita di sentire la sua voce nella mente,
o di sapere esattamente
dove si trova anche se non è nella stessa
stanza in cui sei tu?»
Sbattei le palpebre. Neferet pensava che
potessi avere
un'affinità coi gatti! «No, io… io non la
sento nella mente, però
brontola in continuazione. E non so se
saprei dove si trova se non
fosse con me perché finora mi è sempre
rimasta vicino.»
«È deliziosa. Vieni, piccolina.» Neferet
mosse un dito per
attirare Nala.
La gatta saltò sulla scrivania,
sparpagliando tutti i fogli.
«Oh, mamma mia, Neferet, mi dispiace.»
Feci per afferrare la
gatta ma Neferet mi allontanò con un
gesto.
Accarezzò la testa di Nala, che chiuse
gli occhi e prese a fare
le fusa. «I gatti sono sempre i benvenuti
e i fogli si rimettono a
posto in fretta. Ora dimmi, Zoeybird, di
cosa sei venuta a parlarmi
in realtà?»
L'uso del soprannome che mi aveva dato
la nonna mi strinse
il cuore e all'improvviso sentii la sua
mancanza con un'intensità
che mi costrinse a ricacciare indietro le
lacrime.
«Ti manca la tua vecchia casa?» chiese
gentilmente Neferet.
«No, per niente. Be', tranne la nonna, ma
sono stata talmente
impegnata che me ne sono resa conto
soltanto ora», replicai
sentendomi in colpa.
«Non ti mancano mamma e papà.»
L'aveva detto come un'affermazione, ma
sentii di doverle
rispondere comunque. «No. Be', in
realtà non ho un papà. Ci ha
lasciati quando ero piccola. La mamma
si è risposata tre anni fa
e…»
«A me lo puoi dire. Ti do la mia parola
che capirò»,
intervenne Neferet.
Sbottai con più rabbia di quanta non
pensassi di provare: «Lo
odio! Da quand'è entrato a far parte
della nostra famiglia» – diedi
appositamente al termine un tono
sarcastico –, «non ne è andata
dritta una. La mamma è cambiata
completamente. È come se non
potesse essere allo stesso tempo sua
moglie e mia madre. Perciò è
da tanto che quella non è più casa per
me».
«Mia madre morì quando avevo dieci
anni. Mio padre non si
risposò, ma iniziò invece a usare me
come moglie.
Da allora, ha abusato di me fino al
momento in cui Nyx mi
ha salvata Segnandomi col suo Marchio.
Avevo quindici anni.»
Neferet s'interruppe e lasciò che lo
shock delle sue parole mi
diventasse del tutto comprensibile,
prima di riprendere. «Perciò,
vedi, quando ho detto che capivo che
cosa si prova nel momento
in cui la propria casa diventa un luogo
insopportabile, non parlavo
per frasi fatte.»
«È una cosa terribile.» Non sapevo che
altro dire.
«All'epoca lo era. Adesso è
semplicemente un ricordo come
tanti. Vedi, Zoey, gli umani del tuo
passato, anche quelli del
presente e del futuro, diventeranno
sempre meno importanti per te,
sinché, alla fine, non proverai quasi più
nulla per loro. Lo capirai
meglio proseguendo nella
Trasformazione.»
La sua voce era piatta e gelida e mi fece
una strana
sensazione, quindi mi sentii dire: «Non
voglio smettere di voler
bene alla nonna».
«Ma certo che no», replicò, il tono
tornato di nuovo caldo e
premuroso. «Sono solo le ventuno,
perché non le telefoni? Puoi
arrivare in ritardo alla lezione di
Recitazione: farò sapere alla
professoressa Nolan che sei
giustificata.»
«Grazie, mi farebbe molto piacere. Ma
non è di questo che
volevo parlarle.» Trassi un profondo
respiro. «Ieri sera ho bevuto
del sangue.»
Neferet annuì. «Spesso le Figlie Oscure
mischiano del
sangue di novizio al loro vino rituale. È
una cosa che ai giovani
piace fare. Ti ha disturbata molto?»
«Be', l'ho saputo solo a cose fatte, e
allora sì, mi ha
disturbata.»
Neferet aggrottò la fronte. «Non è stato
etico da parte di
Afrodite non dirtelo prima. Avresti
dovuto avere la possibilità di
decidere. Le parlerò.»
«No!» replicai un po' troppo in fretta,
quindi mi costrinsi a
sembrare più calma. «Davvero, non ce
n'è bisogno. Me ne occupo
io. Ho deciso di far parte delle Figlie
Oscure, quindi non voglio
cominciare mettendo nei guai Afrodite.
Non sarebbe certo un buon
inizio.»
«Probabilmente hai ragione. Afrodite
può essere
imprevedibile e sono sicura che tu
saprai badare a te stessa. Se
appena possibile, incoraggiamo i novizi
a risolvere tra loro gli
eventuali problemi che possono avere.»
Mi scrutò con aria
preoccupata. «È normale che i primi
sorsi di sangue non risultino
affatto invitanti. Lo sapresti se fossi con
noi da più tempo.»
«Non è questo. È che… l'ho trovato
delizioso. Erik mi ha
detto che la mia era una reazione
insolita.»
Le sopracciglia perfette di Neferet
schizzarono verso l'alto.
«Lo è davvero. Per caso ti sei sentita
anche eccitata o ti girava un
po' la testa?»
«Entrambe le cose», replicai sottovoce.
Neferet squadrò il mio Marchio. «Tu sei
unica, Zoey
Redbird. Be', penso sarebbe meglio
toglierti dall'attuale sezione di
Sociologia e spostarti a Sociologia
415.»
«Preferirei che non lo facesse. Mi sento
già abbastanza
diversa così, con tutti che guardano il
mio Marchio e controllano
per vedere se faccio qualcosa di strano.
Se mi sposta in una classe
con ragazzi qui già da tre anni,
penseranno davvero tutti che sono
anormale.»
Neferet esitò, accarezzando la testa di
Nala mentre rifletteva.
«Capisco quello che vuoi dire, Zoey.
Non sono più un'adolescente
da oltre cent'anni, ma i vampiri sono
dotati di una memoria lunga
e precisa, perciò mi ricordo benissimo
com'è stato affrontare la
Trasformazione.» Sospirò. «Senti, che
ne diresti di un
compromesso? Ti lascio restare nella
sezione di terza di
Sociologia, ma ti darò anche il testo che
usiamo nelle classi
superiori. Tu dovrai leggere un capitolo
a settimana e promettere
di discutere con me qualunque dubbio o
domanda tu abbia.»
«Andata.»
«Sai, Zoey, mentre è in corso la
Trasformazione, tu diventi
gradualmente un essere del tutto nuovo. I
vampiri non sono esseri
umani, anche se una volta lo erano.
Adesso questo ti può sembrare
riprovevole, ma il tuo desiderio di
sangue è normale nella tua
nuova vita quanto il desiderio per…»
S'interruppe e sorrise. «… le
'bollicine marroni' in quella vecchia.»
«Diavolo! Ma lei sa tutto?»
«Nyx è stata generosa con me. Oltre
all'affinità coi nostri
amatissimi felini e le capacità
terapeutiche, mi ha donato anche un
profondo intuito.»
«Può leggermi nel pensiero?» chiesi,
nervosa.
«Non proprio. Ma posso cogliere
spizzichi e bocconi delle
cose. Per esempio, so che c'è
qualcos'altro che mi vuoi dire
riguardo alla scorsa notte.»
Presi un altro respirone. «Ero turbata
per aver scoperto la
faccenda del sangue, perciò sono corsa
via dalla sala di
ricreazione. È così che ho trovato Nala.
Stava su un albero
vicinissimo al muro di cinta, perciò mi
sono arrampicata sulla
recinzione per tirarla giù e, mentre le
parlavo, sono arrivati due
ragazzi della mia vecchia scuola.»
«Cos'è successo?» La mano di Neferet
si era fermata: non
accarezzava più la gatta e rivolgeva a
me tutta la sua attenzione.
«Non è stato bello. Loro… loro erano
andati, un po' fatti e un
po' sbronzi.» Okay, quello non volevo
dirlo ma mi era scappato!
«Hanno cercato di farti del male?»
«Oh, no, niente del genere. Erano la mia
ex-migliore-amica e
il mio quasi-ex-ragazzo.»
Neferet aggrottò di nuovo le
sopracciglia.
«Cioè, avevo smesso di uscire con lui,
ma tra di noi c'era
comunque qualcosa.»
Annuì come se capisse. «Continua.»
«Kayla e io abbiamo quasi litigato. Mi
vede in modo diverso,
adesso, e immagino di vederla in modo
diverso anch'io. E a
nessuna delle due piace questo nuovo
punto di vista.» Mentre lo
dicevo, mi resi conto che era vero. Non
è che Kay fosse cambiata,
in realtà era sempre stata così, solo che
le piccole cose cui prima
non facevo caso, come le kaylate prive
di senso o il suo lato
cattivo, di colpo erano diventate troppo
irritanti da sopportare.
«Comunque poi se n'è andata e io sono
rimasta sola con Heath.»
Mi fermai, incerta se raccontare il resto.
Neferet strinse le palpebre. «Hai
provato brama di sangue per
lui?»
«Sì», mormorai.
«Zoey, hai anche bevuto il suo sangue?»
Il tono era brusco.
«Ne ho assaggiata solo una goccia.
L'avevo graffiato. Non
l'ho fatto apposta, ma quando ho udito il
pulsare delle sue vene…
mi è venuto così.»
«Perciò non hai bevuto direttamente
dalla ferita?»
«Avevo cominciato, ma Kayla è tornata
e ci ha interrotti. Era
del tutto fuori di testa e a quel punto
sono riuscita a far andare via
Heath.»
«Perché, non voleva?»
Scossi la testa. «No, non voleva.» Mi
sembrava di essere sul
punto di scoppiare di nuovo a piangere.
«Neferet, mi dispiace
tanto! Io non avevo intenzione di farlo.
Non sapevo neanche cosa stessi facendo
finché Kayla non si
è messa a strillare!»
«Ovvio che tu non sapessi cosa stava
succedendo. Come
potrebbe essere a conoscenza della
brama di sangue una novizia
Segnata da poco?» Mi sfiorò il braccio
con un gesto rassicurante,
da mamma. «Probabilmente non c'è stato
nessun Imprinting con
lui.»
«Imprinting?»
«È quello che succede quando i vampiri
bevono direttamente
dagli umani, soprattutto se esiste già un
legame tra loro precedente
allo scambio di sangue. Per questo ai
novizi è proibito bere sangue
umano e, a dire il vero, è fortemente
sconsigliato anche ai vampiri
adulti. Esiste un'intera setta di vampiri
che lo considera
moralmente sbagliato e vorrebbe
renderlo illegale», spiegò.
Mentre parlava, i suoi occhi si fecero
più scuri e l'espressione
che vi lessi mi rese nervosa al punto da
farmi rabbrividire. Poi
Neferet sbatté le palpebre e gli occhi
tornarono normali.
Che me la fossi solo immaginata quella
strana oscurità?
«Ma questa è una dissertazione adatta
alla mia classe di
sesta.»
«Cosa devo fare con Heath?»
«Niente. Fammi sapere se cerca di
rivederti. Se ti chiama,
non rispondere. Se ha iniziato
l'Imprinting, anche il suono della
tua voce può avere effetto su di lui e
agire come un richiamo per
attirarlo verso di te.»
«Sembra una roba tratta da Dracula»,
borbottai.
«Non ha niente a che vedere con quel
maledetto libro!»
scattò. «Stoker ha diffamato i vampiri, e
questo ha causato infiniti
piccoli screzi con gli umani.»
«Mi scusi, io non volevo…»
Con un gesto della mano, chiuse la
questione. «No, sono io
che non avrei dovuto riversare su di te
le mie frustrazioni riguardo
al libro di quel vecchio pazzo. E non
preoccuparti per il tuo amico
Heath. Sono sicura che starà benissimo.
Hai detto che aveva
bevuto e fumato? Immagino intendessi
marijuana.»
Annuii. «Ma io non fumo. E, a dire il
vero, non avevano mai
fumato neanche lui e Kayla. Non capisco
cosa stia succedendo a
quei due. Credo stiano uscendo con
qualcuno di quei drogati di
giocatori di football di Union e che non
abbiano avuto il
buonsenso di dire di no.»
«Be', la sua reazione nei tuoi confronti
potrebbe avere avuto
a che fare più col livello
d'intossicazione che con un possibile
Imprinting.» S'interruppe, estrasse un
block notes dal cassetto
della scrivania e mi tese una penna. «In
caso non fosse così,
perché non mi scrivi per esteso il nome
dei tuoi amici e il loro
indirizzo? Oh e, se lo conosci, aggiungi
anche il nome dei
giocatori di Union.»
Mi sentii precipitare il cuore sotto i
tacchi «Perché le servono
i nomi? Non ha intenzione di chiamare i
loro genitori, vero?»
Neferet rise. «No di certo. Il cattivo
comportamento degli
adolescenti umani non è di mia
competenza. Te lo chiedo solo in
modo da poter concentrare i pensieri su
quel gruppo e magari
scoprire eventuali tracce di possibile
Imprinting tra loro.»
«E cosa succede se le trova? Cosa
succederà a Heath?»
«È molto giovane e l'Imprinting, se ci
fosse, sarebbe debole,
quindi alla fine si dissolverebbe col
tempo e la lontananza. Se
invece avesse realmente un Imprinting
completo, ci sono modi per
spezzarlo.» Stavo per dirle che forse era
meglio che facesse quello
che doveva fare per spezzarlo, quando
aggiunse: «Nessuno di quei
modi è piacevole».
«Oh, okay.»
Scrissi nome e indirizzo di Kayla e di
Heath. Non avevo idea
di dove abitassero i ragazzi di Union,
ma ricordavo come si
chiamavano.
Neferet si alzò e andò in fondo alla
stanza a prendere un
grosso libro di testo il cui titolo in
lettere d'argento recitava:
Sociologia 415. «Comincia col primo
capitolo e piano piano
leggiti tutto il libro. Finché non l'avrai
finito, considera che sia
questo il tuo compito, invece di quelli
che assegnerò al resto della
classe di Sociologia 101.»
Presi il libro. Era pesante e la copertina
risultò fredda nella
mia stretta bollente e nervosa.
«Se hai delle domande, qualunque
domanda, vieni subito da
me. Se non sono qui, puoi trovarmi nel
mio appartamento presso il
tempio di Nyx. Raggiungi l'ingresso
principale e segui le scale
sulla destra. Al momento sono l'unica
sacerdotessa della scuola,
quindi ho per me tutto il primo piano. E
non aver paura di
disturbarmi. Sei la mia novizia, perciò
disturbarmi è un tuo
dovere», aggiunse con un caldo sorriso.
«Grazie, Neferet.»
«Cerca di non preoccuparti. Nyx ti ha
sfiorata e la dea bada a
coloro che le appartengono.» Mi
abbracciò. «Adesso vado dalla
professoressa Nolan a spiegarle cosa ti
trattiene. Rimani qui e
adopera pure il telefono sulla mia
scrivania per chiamare tua
nonna.» Mi abbracciò di nuovo e poi si
chiuse delicatamente la
porta alle spalle.
Mi sedetti alla sua scrivania e pensai
quant'era magnifica la
mia mentore e da quanto tempo mia
mamma non mi abbracciava a
quel modo. E per qualche ragione
scoppiai a piangere.
21
«Ciao, nonna, sono io.»
«Oh! La mia Zoeybird! Stai bene,
gioia?»
Sorrisi nel telefono e mi asciugai gli
occhi. «Va tutto bene,
nonna, è solo che mi manchi.»
«Mio piccolo uccellino, anche tu mi
manchi.» Fece una
pausa. «Tua madre ti ha chiamata?»
«No.»
La nonna sospirò. «Be', gioia, magari
non vuole disturbarti
mentre ti stai organizzando nella tua
nuova vita. Le ho detto che
Neferet mi ha spiegato che per te il
giorno e la notte sono
invertiti.»
«Grazie, nonna, ma non credo sia per
questo che non mi ha
telefonato.»
«Magari ha provato e hai perso la
chiamata. Ieri ho fatto il
numero del tuo cellulare, ma mi ha
risposto la segreteria.»
Provai una fitta di senso di colpa. Non
avevo neanche
guardato il telefonino per i messaggi.
«Ho dimenticato di
ricaricare la batteria. È in camera. Scusa
se non ti ho risposto,
nonna.» Poi, per farla sentire meglio (e
per fare in modo che
cambiasse argomento), aggiunsi:
«Quando torno in stanza
controllo. Magari la mamma ha chiamato
davvero».
«Magari l'ha fatto, gioia. Allora,
raccontami, come si sta lì?»
«È bello. Cioè, ci sono un sacco di cose
che mi piacciono. Le
lezioni sono favolose. Sai, nonna, faccio
persino scherma ed
equitazione.»
«Che meraviglia! Mi ricordo quanto ti
piaceva cavalcare
Bunny.»
«E ho anche una gatta!»
«Oh, Zoeybird, sono così contenta. Ti
sono sempre piaciuti i
gatti. E stai facendo amicizie?»
«Sì, la mia compagna di stanza è
fortissima. Si chiama Stevie
Rae. E mi piacciono anche i suoi
amici.»
«Allora, se va tutto bene, perché quelle
lacrime?»
Avrei dovuto saperlo che non potevo
nasconderle niente. «È
solo che… che alcune delle cose che
riguardano la Trasformazione
sono davvero complicate da affrontare.»
La sua voce era carica di ansia. «Però
stai bene, vero? La
testa è a posto?»
«Sì, sì, non c'entra. È che…» Mi fermai.
Volevo dirglielo;
volevo dirglielo così tanto che sarei
potuta esplodere, ma non
sapevo come. E avevo paura, paura che
poi non mi avrebbe più
voluto bene. Insomma, la mamma non me
ne voleva più, giusto?
O quantomeno mi aveva scambiata con
un nuovo marito e, in un
certo senso, questo era anche peggio che
smettere di volermi bene.
Cos'avrei fatto se anche la nonna si
fosse allontanata da me?
«Zoeybird, lo sai che puoi raccontarmi
tutto», mi disse con
dolcezza.
«È difficile, nonna.» Mi morsi il labbro
per non piangere.
«Allora provo a rendertelo più
semplice. Non c'è niente che
tu possa dire che mi faccia smettere di
volerti bene. Sono tua
nonna oggi e lo sarò domani e il
prossimo anno. Sarò tua nonna
anche dopo aver raggiunto i nostri
antenati nel mondo degli spiriti
e anche da lì continuerò a volerti bene,
uccellino mio.»
«Ho bevuto del sangue e mi è piaciuto!»
«Ma, gioia, non è questo che fanno i
vampiri?» replicò lei
senza la minima esitazione.
«Sì, ma io non sono un vampiro, sono
una novizia soltanto da
pochi giorni.»
«Zoey, ma tu sei speciale. Lo sei sempre
stata. Perché le cose
dovrebbero cambiare adesso?»
«Io non mi sento speciale. Mi sento
diversa, un mostro.»
«Allora ricordati una cosa: tu sei
sempre tu. Non importa che
sia stata Segnata col Marchio. Non
importa che stia affrontando la
Trasformazione. Dentro, il tuo spirito è
sempre il tuo spirito, la tua
anima. Dall'esterno potrai sembrare una
sconosciuta dall'aria
familiare, ma devi solo guardarti dentro
per ritrovare quella te
stessa che conosci da sedici anni.»
«La sconosciuta dall'aria familiare…»
mormorai. «Come
facevi a saperlo?»
«Gioia, tu sei la mia bambina. Sei figlia
del mio spirito. Non
è difficile capire come ti devi sentire…
molto simile a come
immagino mi sentirei io.»
«Grazie, nonna.»
«Non c'è di che, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.»
Sorrisi. Amavo il suono del termine
cherokee per «figlia»:
così magico e speciale, quasi fosse un
titolo dato da una Dea. Dato
da una Dea… «Nonna, c'è un'altra
cosa.»
«Dimmi, uccellino.»
«Credo di percepire tutti e cinque gli
elementi, quando viene
creato il cerchio.»
«Se è vero, Zoey, ti è stato dato un
potere davvero grande. E
sai che a un grande potere si associa una
grande responsabilità. La
nostra famiglia ha una lunga storia di
Anziani Tribali, Uomini di
Medicina e Donne Sapienti. Bada
sempre a pensare prima di agire,
uccellino mio. La Dea non ti avrebbe
concesso poteri speciali per
capriccio. Usali con attenzione e fa' in
modo che Nyx, oltre ai tuoi
antenati, abbassi lo sguardo su di te e
sorrida.» «Farò del mio
meglio, nonna.» «È tutto quello che ti
chiedo, Zoeybird.» «Qui c'è
un'altra ragazza che ha dei poteri
speciali, ma è orribile. È
prepotente e racconta bugie. Nonna, io
credo… io credo…» Presi
l'ennesimo respirane e dissi quello che
mi si era agitato nella testa
per tutta la mattina. «Credo di essere più
forte di lei e che forse
Nyx mi ha Segnata in modo che potessi
allontanarla dalla
posizione che occupa. Ma… ma questo
vorrebbe dire che devo
prendere il suo posto e non so se sono
pronta, non ora. Magari non
lo sarò mai.»
«Zoeybird, segui ciò che ti dice il tuo
spirito.» Dopo una
lieve esitazione, aggiunse: «Gioia, ti
ricordi la preghiera di
purificazione del nostro popolo?»
Mi tornarono subito in mente le
innumerevoli volte in cui ero
andata con la nonna al ruscello dietro
casa sua e l'avevo guardata
fare il bagno rituale nell'acqua corrente
e pronunciare la preghiera
di purificazione. A volte entravo anch'io
nel torrente e recitavo la
preghiera con lei. Quel rito era parte
della mia infanzia, ripetuto al
cambio di stagione in ringraziamento per
il raccolto di lavanda o
in preparazione dell'inverno in arrivo,
oltre che ogni volta in cui la
nonna doveva prendere una decisione
difficile. A volte nemmeno
sapevo perché si purificasse e recitasse
la preghiera:
semplicemente c'era sempre stata nel
rapporto tra lei e me. «Me la
ricordo.»
«C'è dell'acqua corrente nell'area della
scuola?»
«Non lo so, nonna.»
«Be', se non ci fosse trova qualcosa da
usare come smudge
stick per la fumigazione. Salvia e
lavanda insieme sono la cosa
migliore, ma puoi usare anche del pino
se non hai alternative. Sai
cosa devi fare, Zoeybird?»
«Devo passarmi intorno lo smudge,
cominciando dai piedi e
risalendo, davanti e dietro», declamai,
come fossi stata ancora
piccola, quando la nonna m'insegnava le
usanze del nostro popolo.
«Poi mi volto verso est e recito la
preghiera di purificazione.»
«Molto bene, te lo ricordi. Chiedi aiuto
alla Dea, Zoey. Sono
convinta che ti ascolterà. Puoi farlo
prima dell'alba di domani?»
«Penso di sì.»
«Reciterò la preghiera anch'io,
aggiungendo la voce di una
nonna alla richiesta alla Dea perché ti
guidi.»
E di colpo mi sentii meglio. La nonna
non si sbagliava mai in
questo genere di cose: se era convinta
che sarebbe andata bene,
sarebbe senz'altro stato così. «Reciterò
la preghiera di
purificazione prima dell'alba.
Promesso.»
«Brava, uccellino mio. Adesso è meglio
che questa vecchia
signora ti lasci andare. In questo
momento sei nel bel mezzo di
una giornata di studio, giusto?»
«Sì, sto per andare al corso di
Recitazione. E, nonna, tu non
sarai mai vecchia.»
«Non finché posso ascoltare la tua voce,
uccellino mio. Ti
voglio bene, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.»
«Anch'io ti voglio bene, nonna.»
Parlare con la nonna mi aveva tolto un
peso tremendo dal
cuore. Ero ancora preoccupata e
spaventata riguardo al futuro, e
non è che l'idea di portare via il posto
ad Afrodite mi riempisse di
gioia. Proprio non sapevo come fare,
però avevo un piano. Be',
okay, forse non era un «piano», ma
almeno era qualcosa con cui
tenermi occupata. Avrei portato a
termine la preghiera di
purificazione e poi… poi avrei cercato
di capire cosa dovevo fare
dopo.
Sì, funzionerà. O almeno era quello che
continuai a ripetermi
durante le lezioni del mattino. Per l'ora
di pranzo avevo deciso il
luogo del mio rituale: sotto l'albero
vicino al muro di cinta dove
avevo trovato Nala. Ci pensai mentre
seguivo le gemelle al banco
delle insalate. Gli alberi, in particolare
le querce, erano sacri al
popolo cherokee, quindi mi sembrò una
buona scelta. In più era
riparato e facile da raggiungere. Certo,
Heath e Kayla mi avevano
trovata lì, ma non avevo intenzione di
sedermi di nuovo sul muro
e non riuscivo a immaginare Heath che
si presentava all'alba due
giorni di fila, Imprinting o no. Voglio
dire, era il tipo che d'estate
dormiva fino alle due del pomeriggio,
ogni giorno. Ci volevano
due sveglie e gli strilli di sua madre per
farlo alzare per andare a
scuola. Probabilmente avrebbe
impiegato un paio di mesi per
riprendersi dalla levataccia del giorno
prima, anche se
probabilmente era uscito di casa di
nascosto, aveva incontrato Kay
(per lei uscire di nascosto è sempre
stato facile dato che i suoi
genitori sono dei tonti totali) ed erano
stati in piedi tutta la notte. Il
che significava che non era andato a
scuola e che sarebbe stato
assonnato e rinco per i prossimi due
giorni. In ogni caso, non mi
preoccupavo che potesse comparire.
«Non trovi che le mini pannocchie
facciano impressione? C'è
qualcosa di sbagliato in quei corpicini
in miniatura.»
Sobbalzai e feci quasi cadere il mestolo
della salsa ranch nel
grosso recipiente pieno di liquido
bianco, quindi alzai gli occhi a
incrociare quelli azzurri e allegri di
Erik.
«Oh, ciao. Mi hai spaventata.»
«Zy, credo di star prendendo l'abitudine
di arrivarti alle spalle
di soppiatto.»
Ridacchiai nervosa, più che
consapevole che le gemelle
osservavano ogni nostra mossa.
«Sembra che ti sia ripresa da ieri.»
«Sì, nessun problema. Sto bene. E
stavolta non sto
mentendo.»
«E ho sentito che sei entrata a far parte
delle Figlie Oscure.»
Shaunee ed Erin inspirarono
rumorosamente all'unisono.
Feci bene attenzione a non guardarle.
«Già.»
«Ottimo. A quel gruppo serve sangue
nuovo.»
«Hai detto 'quel gruppo' come se tu non
ne facessi parte. Non
sei un Figlio Oscuro?»
«Sì, ma non è lo stesso che essere una
Figlia Oscura. Noi
siamo giusto decorativi. Un po'
l'opposto di come va nel mondo
degli umani. Tutti i ragazzi sanno di
essere lì solo perché hanno un
aspetto carino e per far divertire
Afrodite.»
Tornai a guardarlo negli occhi,
leggendoci qualcos'altro. «Ed
è questo che continui a fare, divertire
Afrodite?»
«Come ho detto ieri sera, non più ormai,
ed è uno dei motivi
per cui non mi considero davvero parte
del gruppo. Sono certo che
mi avrebbero già sbattuto fuori a pedate
se non fosse per quel poco
di recitazione che faccio.»
«Con 'poco' intendi il fatto che a
Broadway e a Los Angeles
s'interessano già a te?»
Mi fece un gran sorriso. «È quello che
intendo. Non è reale,
sai. Recitare è tutto una finta. Non è
quello che sono davvero.» Si
chinò a bisbigliarmi all'orecchio. «In
realtà, sono uno sfigato.»
«Ma per favore! Non dirmi che qualcuno
ci casca con questa
recita.»
Esagerò un'aria offesa. «Recita? No, Zy,
non è una recita e te
lo posso dimostrare.»
«Come no.»
«Invece sì. Vediamoci stasera.
Guarderemo i miei DVD
preferiti in assoluto.»
«E questo cosa dimostrerebbe?»
«Sono i DVD di Guerre Stellari, gli
originali. Conosco le
battute di tutti i personaggi.» Si avvicinò
di più e bisbigliò ancora.
«So a memoria anche la parte di
Chewbacca.»
Risi. «Hai ragione. Sei uno sfigato.»
«Te l'avevo detto.»
Eravamo arrivati alla fine del banco
delle insalate e lui
s'incamminò con me verso il tavolo
dove erano già seduti Damien,
Stevie Rae e le gemelle. Che no, non
facevano niente per
nascondere il fatto che ci stessero
osservando a bocca aperta.
«Allora stasera… vieni… con me?»
Potevo sentire i miei quattro amici
trattenere il fiato. In senso
letterale.
«Mi piacerebbe, ma stasera non posso.
Io… ho già un
impegno.»
«Oh. Okay. Allora… la prossima volta.
Ci vediamo.» Fece
un cenno con la testa al resto del tavolo
e se ne andò.
Mi sedetti.
Mi fissavano tutti.
«Be'?» chiesi.
«Tu devi aver perso anche l'ultima
piccolissima rotella che
avevi nel cervello», esordì Shaunee.
«Proprio quello che pensavo io,
gemella», convenne Erin.
«Spero che tu abbia un motivo
veramente buono per dargli
un due di picche», intervenne Stevie
Rae. «È chiaro che hai urtato
i suoi sentimenti.»
«Pensi che potrei consolarlo io?» chiese
Damien, che
continuava a fissare Erik con occhi
sognanti.
«Piantala», lo rimbeccò Erin.
«Giocate in due squadre diverse»,
aggiunse Shaunee.
«Zitti!» sbottò Stevie Rae. Si voltò a
guardarmi negli occhi.
«Perché gli hai detto di no? Cosa può
esserci di più importante che
uscire con lui?»
«Liberarsi di Afrodite», replicai
semplicemente.
22
«Non ha tutti i torti», commentò Damien.
«È entrata a far parte delle Figlie
Oscure», intervenne
Shaunee.
«Cosa?» squittì Damien, la voce più alta
di almeno venti
ottave.
Stevie Rae accorse subito in mia difesa.
«Lasciatela stare! È
in ricognizione.»
«Ricognizione un cavolo! Se si è unita
alle Figlie Oscure, ha
ingaggiato battaglia col nemico, altro
che», disse Damien.
«Be', l'ha fatto», fece Shaunee.
«Abbiamo sentito che lo diceva»,
concluse Erin.
«Salve! Sono ancora qui, non l'avete
notato?» sbottai.
«Allora, cos'hai intenzione di fare?» mi
chiese Damien.
«A dire il vero non lo so.»
«Sarà meglio che tu elabori un piano, e
in fretta anche, o
quelle streghe ti mangeranno a pranzo»,
riprese Erin.
«Giààà», convenne Shaunee, addentando
con foga l'insalata
per rendere meglio l'idea.
«Ehi! Non deve fare tutto da sola. Lei ha
noi.» Stevie Rae
incrociò le braccia sul petto e lanciò
un'occhiataccia alle gemelle.
Le sorrisi un grosso grazie. «Be',
un'ideina forse ce l'avrei.»
«Bene. Diccela e ci riflettiamo
insieme», decise Stevie Rae.
Mi fissarono tutti, in attesa.
Sospirai. «Be'… mmm…» Cominciai
esitante, per paura di
sembrare un'idiota, poi decisi che tanto
valeva raccontare loro
quello che mi turbinava nella testa da
quando avevo parlato con la
nonna, perciò finii di slancio. «Pensavo
di eseguire un'antica
preghiera di purificazione basata su un
rito cherokee e chiedere a
Nyx di aiutarmi a escogitare un piano.»
Il silenzio che scese sul tavolo sembrò
durare in eterno. Alla
fine, però, fu Damien a intervenire:
«Chiedere l'aiuto di Nyx non è
una cattiva idea».
«Ma sei cherokee?» chiese Shaunee.
«Sembri cherokee», disse Erin.
«Sveglia! Di cognome fa Redbird. Certo
che è cherokee»,
sentenziò Stevie Rae.
«Be', può andare», commentò Shaunee,
ma aveva ancora
un'aria dubbiosa.
«Io penso che Nyx potrebbe ascoltarmi
davvero e – magari –
darmi qualche dritta su cosa fare
riguardo all'orribile Afrodite.»
Guardai i miei amici. «Qualcosa dentro
di me mi dice che non è
giusto lasciarla continuare con le
stronzate che sta facendo,
passandola pure liscia.»
«Lascia che glielo dica!» sbottò
all'improvviso Stevie Rae.
«Non lo racconteranno a nessuno.
Davvero. E credo sia utile che
lo sappiano.»
«Di cosa cassius stai parlando?» chiese
Erin.
«Okay, adesso non hai scelta.» Shaunee
indicò Stevie Rae
con la forchetta. «Sapeva che dicendolo
l'avremmo martellata
finché non ci avrebbe spifferato tutto.»
Guardai male Stevie Rae, che si strinse
nelle spalle
imbarazzata e chiese scusa.
Riluttante, abbassai la voce e mi chinai
in avanti. «Promettete
di non dirlo a nessuno.»
«Promesso», fecero in coro.
«Quando viene creato il cerchio riesco a
percepire tutti e
cinque gli elementi.»
Silenzio. Erano lì e mi fissavano, tre
sotto shock, Stevie Rae
compiaciuta.
«Adesso pensate ancora che non possa
cacciare Afrodite?»
chiese la mia compagna di stanza.
«Lo sapevo che il tuo Marchio non era
così solo perché eri
caduta e avevi battuto la testa!»
commentò Shaunee.
«Wow. Questo sì che è un pettegolezzo
coi fiocchi!» esclamò
Erin.
«Non deve saperlo nessuno!» replicai in
fretta.
«Ma ti prego», intervenne Shaunee.
«Stavamo solo dicendo
che un giorno o l'altro questo sarà il
gossip dei gossip.»
«Sappiamo aspettare quando si tratta di
un pettegolezzo
davvero super», riprese Erin.
Damien ignorò entrambe. «Non credo
sia documentata
l'esistenza di una Somma Sacerdotessa
che avesse affinità con tutti
e cinque gli elementi.» Man mano che
parlava, la sua voce era
sempre più concitata. «Sai cosa
significa?» Non mi diede la
possibilità di rispondere. «Significa che
potenzialmente potresti
essere la più incommensurabile Somma
Sacerdotessa che i
vampiri abbiano mai avuto.»
«Eh?» commentai. Incommensurabile?
«Grande, potente», spiegò con tono
impaziente. «Potresti
davvero riuscire a togliere Afrodite
dalla circolazione!»
«Ah, questa sì che è una buona notizia»,
commentò Erin
mentre Shaunee assentiva con
entusiasmo.
«Allora, quando e dove facciamo quella
cosa di
purificazione?» chiese Stevie Rae.
«Facciamo?» replicai.
«Zoey, non sei sola in questo», chiarì.
Aprii la bocca per protestare: insomma,
non ero nemmeno
sicura di cosa avrei fatto. Non volevo
coinvolgere i miei amici in
quello che poteva essere – che in verità
aveva molte probabilità di
essere – un casino totale.
Ma Damien non mi lasciò il tempo di
dissuaderli. «Hai
bisogno di noi. Anche la più
incommensurabile Somma
Sacerdotessa ha bisogno del suo
cerchio.»
«Be', a dire il vero io non avevo pensato
di realizzare un
cerchio. Volevo solo fare una sorta di
preghiera di purificazione.»
«Non puoi creare il cerchio e poi
recitare la preghiera e
chiedere l'aiuto di Nyx?» domandò
Stevie Rae.
«Sembra logico», intervenne Shaunee.
«E poi, se davvero hai un'affinità coi
cinque elementi,
scommetto che riusciremo a percepirlo
quando creerai il tuo
cerchio. Giusto, Damien?» disse Stevie
Rae.
Guardammo tutti il nostro sapientone
gay.
«A me sembra un ragionamento molto
sensato», sentenziò
lui.
Stavo per rimettermi a discutere, anche
se mi sentivo
sollevata, felice e grata che i miei amici
sarebbero stati lì con me,
che non mi avrebbero lasciata affrontare
da sola tutta
quell'incertezza.
Apprezzali; sono perle di grande
valore.
La voce familiare mi fluttuò nella mente
e mi resi conto che
non dovevo mettere in dubbio il nuovo
istinto che sembrava essere
nato quando Nyx mi aveva baciato la
fronte cambiando in modo
permanente il mio Marchio e la mia
esistenza.
«Okay, mi servirà uno smudge stick.»
Mi guardarono con espressione assente.
«È una fascina di erbe da usare per la
purificazione, dato che
non ho a portata di mano dell'acqua
corrente. O invece ce l'ho?»
«Intendi un ruscello o un fiume o
qualcosa di simile?» chiese
Stevie Rae.
«Già.»
«Be', c'è un ruscelletto che attraversa il
cortile fuori della sala
da pranzo e sparisce non so dove sotto
la scuola», disse Damien.
«Non va bene, è troppo visibile.
Dovremo usare lo smudge.
Quello che funziona meglio è un misto di
lavanda essiccata e
salvia, ma se proprio devo posso usare
del pino.»
«Io posso procurare salvia e lavanda»,
si offrì Damien.
«Hanno quel genere di cose nel
magazzino riservato alle classi
d'Incantesimi e Rituali di quinta e di
sesta. Basta che dica che sto
aiutando uno di una classe superiore
prendendogliene un po'.
Cos'altro ti serve?»
«Be', nel rito di purificazione la nonna
ringraziava sempre le
sette direzioni sacre venerate dal popolo
cherokee: nord, sud, est,
ovest, sole, terra e se stessa. Ma credo
di voler rendere la
preghiera più specifica per Nyx.» Mi
mordicchiai il labbro,
riflettendo.
«Penso sia un'idea intelligente»,
approvò Shaunee.
«Già», aggiunse Erin. «Cioè, Nyx non è
legata al sole. Lei è
la Notte.»
«Io credo che dovresti seguire l'istinto»,
mi consigliò Stevie
Rae.
«La fiducia in se stessa è una delle
prime cose che deve
imparare una Somma Sacerdotessa»,
sentenziò Damien.
«Okay, allora mi serve anche una
candela per ognuno dei
cinque elementi», decisi.
«Detto-fatto», intervenne Shaunee.
«Già, il tempio non è mai chiuso a
chiave e lì ci sono miliardi
di candele per i cerchi.»
«Ma non ci sono problemi a prenderle?»
Rubare qualcosa dal
tempio di Nyx non mi sembrava
esattamente un'idea astuta.
«Basta che poi le riportiamo», spiegò
Damien. «Che altro?»
«Tutto qui.» Credo. Diavolo, non ne ero
certa. Non è che
sapessi davvero cosa stavo facendo.
«Quando e dove?» chiese Damien.
«Dopo cena. Diciamo alle cinque e
mezzo. E non possiamo
andarci insieme. L'ultima cosa di cui
abbiamo bisogno è che
Afrodite o una qualunque delle altre
Figlie Oscure pensi che
facciamo una specie di riunione e decida
di voler ficcare il naso.
Troviamoci direttamente alla grande
quercia vicino al muro est.»
Rivolsi loro un sorriso d'intesa. «È
facile da trovare immaginando
di essere appena corsi fuori da uno dei
riti delle Figlie Oscure
nella sala di ricreazione e di voler
scappare il più lontano possibile
da quelle streghe.»
«Non ci vuole molta immaginazione per
questo», commentò
Shaunee.
Erin sbuffò.
«Okay, noi portiamo il materiale», disse
Damien.
«Già, noi portiamo il materiale, tu porta
l'incommensurabileria.» Shaunee lanciò
un'occhiata da saputella a
Damien.
«Il termine non è corretto. Sai, dovresti
proprio leggere di
più. Magari il tuo vocabolario
migliorerebbe», ribatté lui.
«Dillo a tua sorella di leggere di più»,
replicò Shaunee, poi
lei ed Erin si squagliarono in risatine
per la battutaccia.
Io ero stracontenta di non essere più il
loro argomento di
conversazione e di poter mangiare
l'insalata e pensare abbastanza
tranquilla intanto che battibeccavano.
Mentre masticavo e cercavo
di ricordarmi tutte le parole della
preghiera di purificazione, Nala
saltò sulla panca accanto a me e mi fissò
con quei suoi occhioni
dolci; poi mi si appoggiò contro e iniziò
a fare le fusa come un
trattore. Non so perché, ma mi fece
sentire meglio.
E, quando suonò la campanella e tutti ci
precipitammo in
classe, i miei quattro amici mi sorrisero,
mi fecero l'occhiolino con
aria d'intesa e dissero: «A dopo, Zy».
Anche questo mi fece sentire meglio,
anche se la facilità con
cui avevano adottato il vezzeggiativo di
Erik mi diede una fitta al
cuore.
La lezione di spagnolo passò in un
lampo, tutta dedicata a
imparare a dire che una cosa ci piace o
non ci piace. La profe
Garmy mi faceva morire dal ridere.
Diceva che ci avrebbe
cambiato la vita. Me gustan los gatos
(mi piacciono i gatti); me
gusta ir de compras (mi piace fare
shopping); no me gusta cocinar
(non mi piace cucinare); no me gusta
lavar el gato (non mi piace
lavare il gatto). Queste erano le frasi
preferite della profe Garmy, e
passammo l'ora a proporre quelle che
preferivamo noi.
Cercai di non scrivere cose come me
gusta Erik… oppure no
me gusta la estrega Afrodite. Okay,
sono sicura che in spagnolo
strega non si dice estrega, ma il concetto
è chiaro. Comunque, la
lezione fu divertente e riuscii persino a
capire quello che
dicevamo. L'ora di equitazione, invece,
non passò esattamente in
un lampo. Pulire le poste dei cavalli è
ottimo per pensare – e io mi
ripetei mentalmente all'infinito la
preghiera di purificazione –, ma
la lezione sembrò durare proprio un'ora.
Questa volta Stevie Rae
non dovette venirmi a prendere: ero
troppo in apprensione per
perdere la cognizione del tempo.
Quando suonò la campanella
stavo rimettendo a posto le spazzole,
felice che Lenobia mi avesse
di nuovo lasciato strigliare Persefone e
preoccupata perché mi
aveva detto che pensava che dalla
settimana successiva avrei
addirittura potuto cavalcarla. Corsi fuori
della scuderia,
desiderando che nel mondo «reale» non
fosse tanto tardi per poter
telefonare alla nonna e raccontarle i
progressi che stavo facendo
coi cavalli.
«So cosa sta succedendo.»
Giuro che quasi soffocai. «Oddio,
Afrodite! Ma non potresti
fare almeno un pochino di rumore? Cosa
sei, in parte ragno? Mi
hai fatto venire una strizza…»
«Qualcosa non va?» disse come se
facesse le fusa.
«Coscienza sporca?»
«Sai, se strisci alle spalle della gente, la
spaventi. La
coscienza più o meno sporca non
c'entra.»
«Perciò la tua è pulita?»
«Afrodite, non so di cosa stai parlando.»
«So cosa stai architettando per stasera.»
«E io invece continuo a non sapere di
cosa parli.» Ah,
cacchio! Come aveva fatto a scoprirlo?
« Tutti pensano che sei così carina, così
innocentina, e sono
tutti tanto colpiti da quel tuo strano
Marchio. Tutti tranne me.» Si
voltò a guardarmi in faccia e ci
fermammo in mezzo al
marciapiede. I suoi occhi azzurri si
strinsero in una fessura e la sua
faccia si distorse al punto di sembrare
quella di una stregacela
spaventosa. Huh.
Mi chiesi (per un istante) se le gemelle
si rendevano conto di
quanto fosse azzeccato il soprannome
che le avevano dato.
«Non importa quali stronzate puoi avere
sentito in giro: lui è
ancora mio. Sarà sempre mio.»
Sgranai gli occhi e provai un tale
sollievo che scoppiai a
ridere. Stava parlando di Erik, non della
preghiera di
purificazione! «Cavolo, sembri la
mamma di Erik. Lui lo sa che lo
controlli?»
«Ti sembravo la mamma di Erik quando
mi hai vista che
glielo succhiavo in corridoio?»
Allora lo sapeva. Vabbè. Immagino
fosse inevitabile che noi
due avessimo quella conversazione.
«No, non sembravi la mamma
di Erik. Sembravi quello che sei –
disperata – mentre cercavi in
modo patetico di buttarti su un ragazzo
che ti diceva chiaramente
che non ti vuole più.»
«Stronza puttana! Nessuno può parlarmi
così!»
Sollevò la mano e la mosse per darmi
uno schiaffo o cavarmi
gli occhi, ma poi sembrò che il mondo si
fermasse, lasciandoci in
una bolla al rallentatore. Le afferrai il
polso, bloccandola con una
facilità… esagerata. Era come se fosse
una bambina piccola e
malata che aveva cercato di colpire per
rabbia ma fosse troppo
debole per far male. La tenni ferma per
un istante, incrociando il
suo sguardo odioso. «Non cercare mai
più di colpirmi. Non sono
una di quelle ragazzine con cui puoi fare
la prepotente. Ascoltami
bene e capiscimi meglio: io non ho
paura di te.» Poi allontanai da
me il suo polso e restai shockata
vedendola barcollare indietro di
oltre un metro.
Mi lanciò un'occhiataccia mentre si
massaggiava il polso.
«Non sprecarti a venire domani.
Considerati non invitata e non più
una Figlia Oscura.»
«Sul serio?» Mi sentivo di una calma
incredibile. Sapevo di
avere in mano un asso in quella partita e
decisi di giocarlo.
«Allora hai intenzione di spiegare alla
mia mentore, la Somma
Sacerdotessa Neferet, ossia la vampira
che ha avuto l'idea di farmi
entrare a far parte delle Figlie Oscure,
che mi hai buttata fuori
perché sei gelosa del fatto che piaccio al
tuo ex-ragazzo?»
Impallidì.
«Oh, e puoi stare certa che quando
Neferet me ne parlerà io
mi dimostrerò davvero sconvolta.» Finsi
di tirar su col naso e
singhiozzare.
«Lo sai cosa significa essere parte di un
gruppo quando non
ti ci vuole nessuno?» ringhiò a denti
stretti.
Mi sentii stringere lo stomaco e dovetti
faticare per non
lasciarle vedere che aveva toccato un
nervo scoperto. Sì, sapevo
esattamente cosa significava essere
parte di un gruppo – una
presunta famiglia – e avere la
sensazione che nessuno mi ci
volesse, ma Afrodite non doveva
saperlo. Perciò sorrisi e, col tono
di voce più dolce che mi riusciva, dissi:
«Ma sai, Afrodite, non
credo sia come dici perché proprio oggi
a pranzo Erik, che è uno
dei Figli Oscuri, mi ha detto che era
tanto felice che fossi entrata a
far parte delle Figlie Oscure».
«Vieni al rituale. Fingi di essere una di
noi. Ma farai meglio a
ricordarti una cosa: loro sono le mie
Figlie Oscure e tu sei
l'estranea, quella non voluta. E ricordati
anche questo: tra Erik
Night e me c'è un legame che tu non
potrai mai capire. Lui non è il
mio ex. Non sei rimasta a vedere la fine
del nostro giochetto in
corridoio. Allora e adesso era ed è
esattamente quello che voglio
che sia: mio.» Quindi con un colpo di
collo scostò una gran massa
di capelli biondissimi e si allontanò a
grandi passi.
Circa due respiri dopo, la testa di Stevie
Rae spuntò da dietro
una vecchia quercia non troppo lontana
dal marciapiede. «Se n'è
andata?»
«Per fortuna. Ma tu che ci fai lì dietro?»
«Vuoi scherzare? Mi nascondo. Mi mette
una strizza
ipergalattica. Ti stavo venendo incontro
e vi ho viste litigare.
Ragazzi, ha davvero cercato di darti uno
schiaffo!»
«Afrodite ha dei seri problemi nella
gestione della rabbia.»
Stevie Rae rise.
«Oh, senti, adesso puoi anche uscire da
dietro la pianta.»
Sempre ridendo, Stevie Rae mi
raggiunse quasi con un solo
salto e mi prese sottobraccio. «Le hai
davvero tenuto testa!»
«Eh, sì, l'ho fatto.»
«Ti odia proprio proprio a morte.»
«Eh, sì, proprio proprio.»
«Lo sai che significa questo?» chiese
Stevie Rae.
«Sì. Che adesso non ho più scelta.
Dovrò farle abbassare la
cresta.»
«Già.»
Ma sapevo di non avere scelta già da
prima che Afrodite
cercasse di cavarmi gli occhi. Non
avevo avuto scelta dal
momento in cui Nyx mi aveva Segnata
col suo Marchio e, mentre
Stevie Rae e io camminavamo insieme
nell'intensità della notte
illuminata dalle luci a gas, le parole
della Dea continuavano a
risuonarmi nella mente: Tu sei più
grande della tua età, Zoeybird.
Credi in te stessa e troverai un modo.
Ma ricorda: non sempre
l'oscurità s'identifica col male, proprio
come la luce non sempre
conduce al bene.
23
«Spero che riescano a trovarla anche gli
altri.» Mi guardai
intorno mentre Stevie Rae e io
aspettavamo vicino alla grande
quercia. «Non sembrava tanto buio ieri
notte.»
«Non lo era. Stasera è molto nuvoloso,
quindi la luna ha
qualche problemino a farsi vedere. Ma
non ti preoccupare, la
Trasformazione sta facendo meraviglie
con la nostra visione
notturna. Diamine, credo di vedere bene
quanto Nala.» Stevie Rae
accarezzò con affetto la testa della gatta,
che chiuse gli occhi e
partì con le fusa. «Ci troveranno.»
Mi appoggiai all'albero e ripresi a
preoccuparmi. La cena era
stata buona – pollo arrosto da leccarsi le
dita, riso con spezie e
taccole (una cosa che si poteva dire di
quel posto senza rischio di
essere smentiti era che cucinavano alla
grande) – e tutto andava a
meraviglia. Finché Erik non si era
avvicinato al nostro tavolo e
aveva detto «ciao». Okay, non era un
ciao da «ciao, Zy, mi piaci
sempre», ma solo un «ciao, Zoey».
Punto. Eh già, proprio così.
Aveva preso da mangiare e camminava
con un paio di ragazzi che
le gemelle avevano definito da arrapo.
Ammetto di non averli
neanche notati. Ero troppo impegnata a
notare Erik. Arrivati al
nostro tavolo, io avevo alzato gli occhi e
avevo sorriso. Lui aveva
incrociato il mio sguardo per un
millisecondo, aveva detto «Ciao,
Zoey»
e se n'era andato. Di colpo il pollo non
mi era più sembrato
così buono.
«Hai ferito il suo amor proprio. Sii
carina con lui e vedrai che
ti chiederà di nuovo di uscire», disse
Stevie Rae, riportando me e i
miei pensieri sotto l'albero.
«Come facevi a sapere che stavo
pensando a Erik?» chiesi.
Stevie Rae aveva smesso di coccolare
Nala, perciò allungai la
mano per accarezzarla prima che
cominciasse a lamentarsi con
me.
«Perché è quello cui starei pensando
io.»
«Già, invece dovrei pensare al cerchio
che devo creare senza
averne mai creato uno in vita mia e al
rito di purificazione che
devo eseguire, non a un ragazzo.»
«Non è 'un ragazzo'. È un favoloooso
ragazzo», disse Stevie
Rae strascicando l'aggettivo e facendomi
ridere.
«Dovete stare parlando di Erik.»
Damien uscì dall'ombra del
muro di cinta. «Non preoccuparti. Ho
visto come ti guardava oggi
a pranzo. Ti chiederà di nuovo di
uscire.»
«Giààà, ha parlato l'esperto», disse
Shaunee.
«L'esperto di Tutto Ciò Che Riguarda il
Pene del nostro
amabile gruppetto», terminò Erin mentre
ci raggiungevano sotto
l'albero.
«Più che vero», commentò Damien.
Prima che mi facessero venire il mal di
testa, cambiai
argomento. «Avete trovato quello che ci
serve?»
«Ho dovuto mettere assieme io salvia e
lavanda, perciò spero
che vada bene il modo in cui ho legato
questa specie di fascina.»
Damien si tolse dalla manica della
giacca lo smudge e me lo diede.
Era grosso e lungo circa trenta
centimetri e sentii immediatamente
la familiare dolcezza della lavanda.
Aveva avvolto strettamente il
mazzetto a un'estremità con quello che
pareva del filo extra forte.
«È perfetto», gli dissi sorridendo.
Sembrò sollevato, quindi un po'
timidamente aggiunse: «Ho
usato il mio filo per il punto croce».
«Ehi, ti ho già detto mille volte che non
ti devi vergognare se
ti piace il punto croce. È un passatempo
fighissimo, e poi sei pure
molto bravo», fece Stevie Rae.
«Magari la pensasse così anche mio
padre», replicò Damien.
Mi fece male sentire la tristezza nella
sua voce. «Mi
piacerebbe che m'insegnassi prima o
poi. È una cosa che avrei
sempre voluto imparare», mentii, e fui
felice di vedere il viso di
Damien illuminarsi.
«Quando vuoi, Zy», replicò.
«E le candele?» chiesi alle gemelle.
«Ehi, te l'avevamo assicurato. Detto…»
Shaunee aprì la borsa
e ne tolse tre candele votive, una verde,
una gialla e una blu, poste
in recipienti di vetro spesso dello stesso
colore.
«… fatto.» Dalla sua borsa, Erin ne
prese una rossa e una
viola con relativi contenitori di vetro
della tonalità corrispondente.
«Bene. Okay, vediamo. Mettiamoci qui,
a una certa distanza
dal tronco ma abbastanza vicini da
rimanere comunque sotto i
rami.»
Mi seguirono mentre mi allontanavo
dall'albero.
Guardai le candele. Cosa dovevo fare?
Forse… e, mentre ci
pensavo, seppi. Senza fermarmi a
chiedermi come o perché o a
mettere in dubbio l'istinto che
improvvisamente si era fatto vivo in
me, agii. «Darò una candela a ognuno di
voi. Poi, come le vampire
nel Rito della Luna Piena di Neferet,
rappresenterete l'elemento
corrispondente. Io sarò lo spirito.»
Erin mi tese il cero viola.
«Io sono il centro del cerchio e voi
prenderete posto intorno a
me.» Senza esitazione, presi la candela
rossa e la diedi a Shaunee.
«Tu sarai il fuoco.»
«Mi suona benissimo. Cioè, lo sanno
tutti quanto sono
bollente!» Sorrise e sculettò fino
all'estremità sud del cerchio.
La candela verde fu la successiva. Mi
voltai verso Stevie
Rae. «Tu sei la terra.»
«E il verde è il mio colore preferito!»
disse felice,
posizionandosi di fronte a Shaunee.
«Erin, tu sei l'acqua.»
«Bene. Prima mi piaceva un sacco
prendere il sole e questo
implicava nuotare quando dovevo
rinfrescarmi.» Erin si spostò in
posizione dell'ovest.
Damien prese la candela gialla. «Perciò
io sarò l'aria.»
«Proprio così. Il tuo elemento è quello
che apre il cerchio.»
«Così come vorrei poter aprire la mente
delle persone»,
replicò posizionandosi a est.
Gli feci un gran sorriso. «Già, qualcosa
del genere.»
«Okay, e adesso che si fa?» chiese
Stevie Rae.
«Be', usiamo il fumo dello smudge per
purificarci.» Sistemai
la candela viola accanto ai miei piedi in
modo da potermi
concentrare sulla fascina di erbe. Poi
alzai gli occhi al cielo. «Oh,
diavolo! Non è che qualcuno si è
ricordato di prendere dei
fiammiferi o un accendino o qualcosa
del genere?»
«Naturalmente.» Damien si levò di tasca
un accendino.
«Grazie, aria.»
«Non c'è di che, Somma Sacerdotessa.»
Non dissi niente, ma, quando mi chiamò
a quel modo, mi
sentii attraversare da un fremito di
eccitazione. «Ecco come si usa
lo smudge.» Fui felice che la mia voce
suonasse molto più calma
di quanto in realtà mi sentivo. Mi
piazzai davanti a Damien,
decidendo che fosse meglio iniziare da
dove cominciava il
cerchio, e, rendendomi conto di stare
imitando la nonna e le
lezioni della mia infanzia, spiegai il
procedimento ai miei amici.
«Quello del fumo è un sistema rituale
per purificare una persona,
un luogo o un oggetto liberandoli da
energie, spiriti o influssi
negativi. La cerimonia della fumigazione
richiede che siano
bruciate delle piante speciali, sacre, e
delle resine vegetali; inoltre
prevede che l'oggetto sia fatto passare
nel fumo o che il fumo
stesso venga agitato intorno a una
persona o a un luogo. Lo spirito
delle piante purifica tutto quello che è
stato insozzato.» Sorrisi a
Damien. «Pronto?»
«Affermativo», rispose in tipico stile
Damien.
Accesi lo smudge e lasciai che il fuoco
bruciasse per un po' le
erbe essiccate, quindi spensi la fiamma
in modo che restassero
delle piccole braci fumanti. Poi,
iniziando dai piedi, lo avvolsi col
fumo e risalii piano piano continuando
la descrizione dell'antica
cerimonia. «È molto importante
ricordare che chiediamo agli
spiriti delle piante sacre che stiamo
utilizzando di aiutarci, quindi
dobbiamo mostrare loro il dovuto
rispetto riconoscendone il
potere.»
«E cosa fanno la lavanda e la salvia?»
chiese Stevie Rae
dall'altra parte del cerchio.
Risposi continuando a lavorare intorno a
Damien. «La salvia
bianca è molto usata nelle cerimonie
tradizionali perché scaccia
energie, spiriti e influssi negativi. A dire
il vero può andare bene
qualunque tipo di salvia, ma preferisco
quella bianca perché ha un
aroma più dolce.» Raggiunsi la testa di
Damien e gli feci un gran
sorriso. «Ottima scelta.»
«A volte penso che potrei essere un po'
sensitivo», commentò
lui.
Erin e Shaunee sbuffarono, ma le
ignorammo.
«Okay, adesso girati in senso orario così
ti passo an che la
schiena», gli dissi. Si voltò e continuai.
«La nonna usa sempre la
lavanda nei suoi smudge. Sono certa che
in parte il motivo sia che
ha un vivaio di lavanda.»
«Che figata!» esclamò Stevie Rae.
«Già, è un posto da urlo.» Le sorrisi da
dietro la spalla senza
smettere di avvolgere Damien nel fumo.
«L'altra parte del motivo
per cui la usa è perché è in grado di
riportare l'equilibrio e di
creare un'atmosfera rilassante. Attira
anche l'energia d'amore e gli
spiriti positivi.» Battei sulla spalla di
Damien per farlo voltare.
«Tu sei a posto.» Poi raggiunsi Shaunee,
che rappresentava il
fuoco, e cominciai a passare il fumo su
di lei.
«Spiriti positivi?» chiese Stevie Rae
con una vocina che la
fece sembrare piccola e spaventata.
«Non sapevo che avremmo
evocato qualcosa oltre agli elementi del
cerchio.»
«Oh, ti prego, Stevie Rae!» Shaunee le
lanciò un'occhiataccia
attraverso il fumo. «Non puoi essere un
vampiro e aver paura dei
fantasmi.»
«Eh no, proprio non suona bene»,
aggiunse Erin.
Guardai Stevie Rae e ci squadrammo
per un istante: stavamo
pensando tutt'e due al mio incontro con
quello che avrebbe potuto
essere lo spettro di Elizabeth, ma né lei
né io sembravamo avere
voglia di parlarne.
«Io non sono un vampiro. Non ancora.
Sono solo una
novizia, quindi posso tranquillamente
avere paura dei fantasmi.»
«Un momento», intervenne Damien,
«Zoey non sta parlando
di spiriti cherokee? Probabilmente non
baderanno molto a una
cerimonia tenuta da un gruppo di novizi
vampiri la cui non-nativo
americanità sovrasta la cherokeità della
nostra Somma
Sacerdotessa per quattro a uno.»
Terminai con Shaunee e passai a Erin.
«Non credo conti
molto quello che siamo esternamente»,
replicai, percependo subito
che quanto dicevo era giusto. «Penso
che l'importante sia
l'intenzione. Il punto è più o meno
questo: Afrodite e il suo gruppo
sono tra le ragazze più belle e di
maggiore talento di tutta la scuola
e quella delle Figlie Oscure dovrebbe
essere un'associazione
fantastica. Invece le chiamiamo streghe e
in fondo non sono altro
che un ammasso di prepotenti viziate.»
Mi chiesi come Erik
entrasse in tutto ciò. Faceva davvero
parte del gruppo un po' per
caso come diceva lui o era coinvolto in
modo più profondo come
faceva intendere Afrodite?
«O di ragazze costrette a farne parte e
che sono solo
spettatrici», aggiunse Erin.
«Esatto.» Cercai di scuotermi
mentalmente: non era il
momento di sognare Erik a occhi aperti.
Finii la schiena di Erin e
mi posizionai di fronte a Stevie Rae.
«Quello che voglio dire è che
credo davvero che gli spiriti dei miei
antenati ci possano sentire,
così come credo che gli spiriti della
salvia e della lavanda stiano
lavorando per noi. Ma non penso ci sia
niente di cui aver paura,
Stevie Rae. La nostra intenzione non è di
evocarli e poi usarli per
dare una pedata nel sedere ad Afrodite.»
M'interruppi per
aggiungere: «Anche se a quella ragazza
un bel calcione starebbe
tanto ma tanto bene. E non credo che
stasera da queste parti ci
saranno fantasmi che mettono spavento».
Lo dissi con sicurezza,
quindi tesi a Stevie Rae lo smudge.
«Okay, adesso passalo tu su di
me.»
Iniziò a imitare i miei gesti e io mi
rilassai nel dolce odore
familiare del fumo che mi circondava.
«Non chiederemo il loro aiuto per
prenderla a calci?»
Shaunee era delusa in modo più che
evidente.
«No. Ci stiamo purificando per chiedere
a Nyx di guidarci.
Non voglio pestare Afrodite.» Mi
ricordai di quanto mi ero sentita
bene allontanandola da me con la forza e
sgridandola. «Be', okay,
ci potrei anche trovare gusto, ma la
verità è che non risolverebbe il
problema delle Figlie Oscure.»
Stevie Rae aveva finito di passarmi il
fumo addosso quindi le
presi lo smudge e lo strofinai per terra
con molta attenzione, dopo
di che tornai al centro del cerchio dove
Nala si era acciambellata
contenta vicino alla candela dello
spirito. Guardai uno per uno i
miei amici. «È vero che Afrodite non ci
piace, ma credo sia
importante non focalizzarci su idee
negative come prenderla a
calci nel sedere o cacciarla dalle Figlie
Oscure. È quello che
farebbe lei al nostro posto, ma noi
vogliamo ciò che è giusto. Più
giustizia che vendetta, insomma. Noi
siamo diversi da lei e, se in
qualche modo riusciremo a prendere il
suo posto all'interno delle
Figlie Oscure, anche quel gruppo sarà
diverso.»
«Vedi, è per questo che tu sarai la
Somma Sacerdotessa ed
Erin e io soltanto le tue
affascinantissime assistenti. Perché noi
siamo superficiali e vogliamo solo
staccarle dal collo quella testa
di cavolo», commentò Shaunee con
l'evidente approvazione di
Erin.
«Solo pensieri positivi, per favore,
stiamo facendo un rito di
purificazione», intervenne brusco
Damien.
Prima che Shaunee potesse fare
qualcosa di più che guardare
storto Damien, si fece sentire la voce
cinguettante di Stevie Rae.
«Okay! Sto pensando solo a cose
positive, come a quanto sarebbe
fantastico se Zoey fosse a capo delle
Figlie Oscure.»
«Ottima idea, Stevie Rae. Sto pensando
alla stessa cosa»,
disse Damien.
«Ehi! Quello è anche il mio pensiero
positivo. Finisci il
coretto con me, gemella», aggiunse Erin.
Shaunee smise di guardare male Damien
e replicò: «Lo sai
che sono sempre pronta ad avere
pensieri gioiosi, e sarebbe
proprio super se a capo delle Figlie
Oscure ci fosse Zoey, prima di
diventare per davvero Somma
Sacerdotessa».
Diventare per davvero Somma
Sacerdotessa… Per un istante
mi domandai se fosse un bene o un male
che quelle parole mi
avessero fatto venire voglia di vomitare.
Di nuovo. Sospirando,
accesi la candela viola. «Pronti?» chiesi
a tutti e quattro.
«Pronti!» replicarono all'unisono.
«Okay, prendete le vostre candele.»
Senza esitare (che significa che non
volevo lasciarmi il
tempo di tirarmi indietro per la fifa),
portai la candela da Damien.
Non ero brillante e piena di esperienza
come Neferet, e neppure
seducente e sicura come Afrodite. Ero
solo io. Solo Zoey, la
sconosciuta dall'aria familiare che era
passata dall'essere una
liceale quasi normale a una novizia
vampira che di normale aveva
assai pochino. Presi un profondo
respiro. Come avrebbe detto la
nonna, tutto quello che potevo fare era
fare del mio meglio.
«L'aria è ovunque, quindi ha senso che
sia il primo elemento
chiamato a realizzare il cerchio. Ti
chiedo di ascoltarmi, aria, e ti
convoco qui in questo cerchio.» Accesi
la candela gialla di
Damien con la mia e la fiamma prese
subito a guizzare con grande
intensità. Vidi i suoi occhi farsi grandi
grandi e stupefatti quando
all'improvviso il vento creò intorno a
noi una mini tromba d'aria
che ci sollevò i capelli e ci accarezzò la
pelle.
«È proprio vero, puoi sul serio far
manifestare gli elementi»,
mormorò Damien, fissandomi.
«Be', quantomeno uno. Vediamo se
arrivo a due», bisbigliai
di rimando, un po' frastornata.
Raggiunsi Shaunee, che sollevò pronta
la candela e mi fece
sorridere dicendo: «Sono pronta per il
fuoco… chiamalo!»
«Il fuoco mi ricorda le fredde sere
d'inverno e il calore e la
sicurezza del camino che riscalda la
casa di mia nonna. Ti chiedo
di ascoltarmi, fuoco, e ti convoco qui in
questo cerchio.» Accesi la
candela rossa e la fiamma si alzò molto
più del normale per un
cero votivo, mentre l'aria intorno a
Shaunee e a me si riempiva
dell'odore intenso e legnoso di un
caminetto acceso oltre che del
suo calore intimo e accogliente.
«Wow! Be', questo sì che è favoloso!»
esclamò Shaunee, gli
occhi scuri che danzavano per il riflesso
guizzante della fiamma.
«E sono due», disse Damien.
Erin stava sorridendo quando presi
posto di fronte a lei.
«Sono pronta per l'acqua.»
«L'acqua è un sollievo nelle torride
giornate estive
dell'Oklahoma. È l'incredibile oceano
che un giorno o l'altro vorrei
tanto vedere ed è la pioggia che fa
crescere la lavanda. Ti chiedo
di ascoltarmi, acqua, e ti convoco qui in
questo cerchio.» Accesi la
candela blu e immediatamente percepii
sulla pelle un senso di
freschezza e sentii un odore pulito e
salmastro che doveva essere
tipico dell'oceano che non avevo mai
visto.
«Da paura! Davvero da paura»,
commentò Erin inspirando a
fondo l'aria di mare.
«E sono tre», fece Damien.
«Non sono più spaventata», esordì
Stevie Rae quando mi
misi davanti a lei.
«Bene», replicai, per poi concentrarmi
sul quarto elemento,
la terra. «La terra ci sostiene e ci
circonda. Non saremmo nulla
senza di lei. Ti chiedo di ascoltarmi,
terra, e ti convoco qui in
questo cerchio.» Accesi la candela
verde con facilità e di colpo
Stevie Rae e io fummo sopraffatte dal
dolce profumo dell'erba
appena tagliata. Udii frusciare le foglie
della quercia e, alzando gli
occhi, vedemmo tutti i grandi rami
letteralmente curvi su di noi,
come a proteggerci da ogni male.
«Assolutamente stupefacente», sussurrò
Stevie Rae.
«Quattro.» La voce di Damien tremava
per l'emozione.
Raggiunsi in fretta il centro del cerchio e
sollevai la mia
candela viola. «L'ultimo elemento è
quello che ricolma tutto e
tutti, che ci rende unici e che alita la vita
in ogni cosa. Ti chiedo di
ascoltarmi, spirito, e ti convoco qui in
questo cerchio.»
Fu incredibile perché all'improvviso fu
come se fossi
circondata dai quattro elementi, come se
mi trovassi in mezzo a un
tifone fatto di aria e di fuoco, di acqua e
di terra. Ma non metteva
paura, neanche un po'. Mi riempì di
pace, mentre allo stesso tempo
percepivo un'ondata di potere e di forza
incandescente e dovetti
stringere le labbra per non scoppiare in
una risata di gioia.
«Guardate! Guardate il cerchio!» gridò
Damien.
Mi schiarii la vista sbattendo le
palpebre e istantaneamente
percepii che gli elementi si
acquietavano, quasi fossero gattini
giocherelloni seduti intorno a me in
festante attesa che li facessi
divertire agitando un nastrino o cose
simili. Stavo sorridendo per il
paragone, quando vidi l'intensa luce che
avvolgeva la
circonferenza del cerchio, unendo
Damien, Shaunee, Erin e Stevie
Rae. Era luminosa e limpida, forte e
argentata come quella della
luna piena.
«E con questo sono cinque», sentenziò
Damien.
«Cazzarola!» sbottai, in modo davvero
molto poco da
Somma Sacerdotessa, e i miei quattro
amici risero, riempiendo la
notte con dei suoni gioiosi. Per la prima
volta capii perché durante
il rituale Neferet e Afrodite avevano
ballato: avevo anch'io voglia
di ballare e di ridere e di gridare di
felicità. Un'altra volta, mi
dissi. Quella sera c'erano cose più serie
da fare. «Okay, sto per
pronunciare la preghiera di
purificazione. E, mentre lo faccio, mi
volterò a fissare i quattro elementi, uno
alla volta.»
«E noi cosa vuoi che facciamo?» chiese
Stevie Rae.
«Concentratevi sulla preghiera.
Focalizzatevi. Siate convinti
che gli elementi la porteranno a Nyx, e
che la Dea risponderà
aiutandomi a capire quello che devo
fare», replicai con maggiore
sicurezza di quella che in realtà sentivo.
Mi rivolsi di nuovo a est, dove Damien
mi fece un sorriso
d'incoraggiamento. E cominciai a
recitare l'antica preghiera di
purificazione che avevo detto tante volte
assieme alla nonna, con
giusto qualche cambiamento che avevo
deciso in precedenza.
Grande Dea della Notte, la cui voce
odo nel vento, che alita
il soffio vitale nei Suoi figli. Ascoltami;
ho bisogno della tua forza
e della tua saggezza.
Feci una brevissima pausa e mi voltai a
sud.
Lascia che io possa camminare nella
bellezza e rendi i miei
occhi capaci di guardare il rosso e il
viola del tramonto che
precede lo splendore della tua notte.
Rendi le mie mani capaci di
rispettare le cose che hai creato e le
mie orecchie pronte a udire
la tua voce. Rendimi saggia in modo
che possa comprendere ciò
che tu hai insegnato al tuo popolo.
Ancora un quarto di giro a destra e la
mia voce divenne più
forte mentre venivo trascinata dal ritmo
della preghiera.
Aiutami a rimanere calma e forte di
fronte a tutto quello che
viene verso di me. Consentimi
d'imparare la lezione che hai celato
in ogni foglia e in ogni pietra. Aiutami
a ricercare pensieri puri e
ad agire con l'intento di aiutare gli
altri. Aiutami a provare
compassione senza che l'empatia mi
travolga.
Fissai Stevie Rae, che teneva le
palpebre strette come se si
stesse concentrando con tutte le sue
forze.
lo cerco forza, non per essere più
grande degli altri, ma per
combattere il mio maggiore nemico, i
dubbi dentro di me.
Tornai al centro del cerchio e, per la
prima volta in vita mia,
ebbi la sensazione che la forza delle
antiche parole scorresse
violentemente fuori di me per
raggiungere quella che con tutto il
cuore e l'anima speravo fosse la mia
Dea in ascolto.
Rendimi pronta a venire a te in ogni
momento con le mani
pulite e lo sguardo limpido, in modo
che, quando la vita si
affievolirà come il tramonto che
declina, il mio spirito possa
giungere a te senza vergogna.
Tecnicamente era quella la conclusione
della preghiera
cherokee che mi aveva insegnato la
nonna, ma provai la necessità
di aggiungere qualcosa di totalmente
mio. «E, Nyx, non capisco
perché tu mi abbia Segnata e mi abbia
donato l'affinità con gli
elementi. Ma non devo neanche saperlo.
Quello che voglio
chiedere è che tu mi aiuti a comprendere
qual è la cosa giusta da
fare, e poi mi dia il coraggio di farla.»
Quindi terminai la
preghiera nel modo in cui ricordavo che
Neferet aveva completato
il rito: «Benedetta sia!»
24
«È stata la più sublime creazione di un
cerchio cui abbia mai
assistito!» sentenziò entusiasta Damien
mentre stavamo radunando
le candele e lo smudge.
«Pensavo che 'sublime' volesse dire
'delizioso'», commentò
Shaunee.
«Può anche indicare un eccitato stupore
e riferirsi a qualcosa
di stupendo e grandioso», spiegò
Damien.
«Per stavolta non discuterò con te»,
sentenziò Shaunee,
meravigliando tutti tranne Erin.
«Già, quel cerchio era sublime»,
confermò la gemella.
«Sapete che ho davvero percepito la
terra quando Zoey l'ha
evocata?» disse Stevie Rae. «È stato
come se all'improvviso mi
fossi trovata in mezzo a un campo di
grano non ancora maturo.
No, anzi, più di così. È stato come se ne
facessi parte.»
«So esattamente cosa intendi. Quando ha
evocato il fuoco è
stato come se dentro di me esplodesse
un incendio», raccontò
Shaunee.
Mentre i quattro parlavano allegramente,
cercai di capire
cosa provavo. Ero decisamente felice,
ma anche turbata e
parecchio confusa. Allora era vero,
avevo sul serio una qualche
affinità con tutti e cinque gli elementi.
Perché?
Solo per scalzare Afrodite (cosa che,
peraltro, ancora non
avevo la minima idea di come
realizzare)? No, non pensavo.
Perché Nyx avrebbe dovuto toccarmi
con un potere tanto insolito
solo per impedire che una prepotente
viziata fosse a capo di
un'associazione?
Okay, le Figlie Oscure erano più che un
consiglio
studentesco o roba simile, comunque mi
pareva esagerato.
«Zoey, ti senti bene?»
Il tono preoccupato di Damien mi fece
alzare gli occhi da
Nala e mi accorsi che ero seduta al
centro di quello che era stato il
cerchio, con la gatta in braccio e
totalmente persa nei miei
pensieri. «Oh, sì. Scusate. Sto bene, mi
ero solo distratta un
attimo.»
«Dovremmo rientrare. Si sta facendo
tardi», disse Stevie Rae.
«Okay, hai ragione.» Mi alzai, sempre
tenendo in braccio
Nala. Ma non riuscii a convincere i miei
piedi a seguirli mentre
s'incamminavano verso i dormitori.
«Zoey?» Damien, il primo a notare la
mia esitazione, si
fermò e si voltò a chiamarmi, quindi
anche le mie tre amiche si
bloccarono e mi fissarono con
espressioni che andavano dal
preoccupato al confuso.
«Oh, be', perché voi ragazzi non
cominciate ad andare?
Credo che mi fermerò qui ancora un
momento.»
«Potremmo rimanere con te…»
cominciò Damien, ma Stevie
Rae (sia benedetta la sua testolina
country) lo interruppe. «Zoey
deve riflettere un po' da sola. Non credi
che lo faresti anche tu se
avessi appena scoperto di essere l'unico
novizio della storia ad
avere un'affinità con tutti e cinque gli
elementi?»
«Immagino di sì», replicò riluttante
Damien.
«Ma non dimenticare che farà chiaro tra
poco», disse Erin.
Sorrisi con aria rassicurante. «Non
preoccupatevi. Tornerò
prestissimo al dormitorio.»
«Ti preparerò un panino e cercherò di
rimediarti un po' di
patatine da mettere assieme alle tue
bollicine marroni non-diet. È
importante che una Somma Sacerdotessa
mangi dopo aver
eseguito un rituale», aggiunse Stevie Rae
con un sorriso e un gesto
di saluto trascinando via gli altri tre.
Le gridai un grazie mentre sparivano nel
buio. Quindi mi
avvicinai all'albero e mi sedetti, la
schiena appoggiata al tronco.
Chiusi gli occhi e accarezzai Nala. Le
sue fusa erano qualcosa di
normale, di familiare e
d'incredibilmente rilassante, e
sembrarono
aiutarmi a tenere i piedi per terra.
«Sono sempre io», le mormorai.
«Proprio come ha detto la
nonna. Tutto il resto può cambiare, ma la
vera Zoey – quello che è
stata Zoey per sedici anni – è sempre
Zoey.»
Magari, se avessi continuato a
ripetermelo, avrei cominciato
a crederci sul serio. Appoggiai il viso
su una mano e accarezzai la
gattina con l'altra, dicendomi che ero
sempre la stessa… sempre la
stessa… sempre la stessa…
«Guarda come poggia la guancia sulla
mano! Oh, foss'io un
guanto su quella mano, per poter sfiorare
quella guancia!»
Nala fece il solito brontolomiagolio
quando sobbalzai per la
sorpresa.
«Sembra proprio che io continui a
trovarti vicino a
quest'albero.» Erik mi sorrise dall'alto
in basso, come una sorta di
dio.
Mi fece di nuovo sentire cose strane
nello stomaco, ma anche
qualcos'altro. Perché mai continuava a
«trovarmi»? E da quanto
tempo stava a guardare stavolta? «Che
ci fai qui fuori, Erik?»
«Ciao, anch'io sono contento di vederti.
E sì, mi piacerebbe
sedermi, grazie.» Si sistemò accanto a
me.
Mi alzai, prendendomi un'altra
brontolata di Nala. «A dire il
vero stavo giusto per rientrare al
dormitorio.»
«Ehi, non avevo intenzione di
ficcanasare. Solo che non
riuscivo a concentrarmi sui compiti e
così sono uscito a fare due
passi. Immagino che i piedi mi abbiano
portato qui senza che
glielo ordinassi, perché la cosa
successiva di cui mi sono accorto
era che c'eri tu. Non ti sto spiando, te
l'assicuro.»
Si ficcò le mani in tasca, sembrando
molto in imbarazzo. Be',
sembrando molto bello e in imbarazzo, e
mi tornò in mente quanto
avrei voluto accettare il suo invito a
guardare assieme film da
sfigati. E adesso eccomi di nuovo lì a
rifiutarlo ancora e a farlo
sentire a disagio. C'era da stupirsi che
mi avesse anche soltanto
rivolto la parola. Era evidente che stavo
prendendo quella storia
della Somma Sacerdotessa troppo sul
serio. «Allora che ne diresti
di accompagnarmi al dormitorio? Di
nuovo», chiesi.
«Mi sembra una buona idea.»
Questa volta Nala si lamentò quando
feci per prenderla in
braccio e preferì seguirci trotterellando,
mentre Erik e io
procedevamo affiancati con la stessa
naturalezza della sera prima.
Restammo in silenzio per un po'. Avrei
voluto chiedergli di
Afrodite, o almeno riferirgli quello che
lei mi aveva detto su di lui,
ma non mi veniva un modo adatto per
affrontare un argomento su
cui probabilmente non avevo il minimo
diritto di fargli domande.
«Allora cosa stavi facendo qui fuori
stavolta?» mi chiese.
«Pensavo», risposi, e tecnicamente non
era una bugia. Avevo
pensato. Un sacco. Prima, durante e
dopo aver creato il cerchio di
cui opportunamente non intendevo
parlargli.
«Oh. Sei preoccupata per quel Heath?»
A dire il vero non avevo più pensato né
a Heath né a Kayla
da quando ne avevo parlato con Neferet,
ma mi strinsi nelle spalle
perché non volevo entrare nei dettagli.
«Cioè, immagino che probabilmente sia
dura rompere con
qualcuno solo perché sei stato Segnato»,
aggiunse.
«Non ho rotto con lui perché sono stata
Segnata. Avevamo
più o meno chiuso già da prima e il
Marchio ha reso solo più
definitiva la cosa.» Lo guardai e presi
un bel respiro. «E tu e
Afrodite?»
Sbatté gli occhi, stupito. «Cosa
intendi?»
«Intendo che oggi mi ha detto che non
sarai mai il suo ex
perché sarai sempre suo.»
Strinse gli occhi e sembrò davvero
incazzato. «Afrodite ha
dei seri problemi a dire la verità.»
«Non che siano affari miei, ma…»
«Sono affari tuoi», mi rimbeccò subito.
Poi, provocandomi
uno shock totale e assoluto, mi prese la
mano. «O almeno io vorrei
che lo fossero.»
«Oh. Okay, allora… okay.» Ero certa di
averlo di nuovo
strabiliato con l'arguzia e la profondità
della mia eloquenza.
«Perciò stasera non mi stavi
semplicemente evitando, ma
avevi davvero qualcosa su cui
riflettere?» chiese lentamente.
«Non ti stavo evitando. È solo che…»
Esitai, non sapendo
come cavolo spiegargli qualcosa che ero
più che sicura che non
avrei dovuto spiegargli. «In questo
momento stanno succedendo
un sacco di cose. Tutta questa faccenda
della Trasformazione a
volte mi confonde un casino.»
«Vedrai che andrà meglio.» Mi strinse la
mano.
«Non so bene perché, ma nel mio caso
ne dubito», mormorai.
Rise e picchiettò il dito sul mio
Simbolo. «Sei solo più avanti
di molti di noi. All'inizio è dura, ma,
credimi, diventerà più
facile… anche per te.»
Sospirai. «Lo spero proprio.» Ma
continuavo a dubitarne.
Ci fermammo davanti al dormitorio e si
voltò verso di me, la
voce di colpo bassa e seria. «Zy, non
credere alle stronzate che
dice Afrodite. Lei e io non stiamo
insieme da mesi.»
«Prima sì, però», replicai.
Annuì, l'aria tesa.
«Erik, non è una bella persona.»
«Lo so.»
E poi mi resi conto di cos'era a darmi
tanto fastidio e decisi
che, be', che diavolo, tanto valeva che lo
dicessi e basta. «Non mi
piace che tu sia stato con una così
meschina. Mi fa sentire strana
all'idea di mettermi con te.» Aprì la
bocca per replicare ma io
continuai a parlare, non volendo
ascoltare delle scuse cui non ero
certa di volere o poter credere. «Grazie
di avermi accompagnata.
Sono felice che tu mi abbia trovata di
nuovo.»
«Anch'io sono felice di averti trovata.
Vorrei rivederti, Zy, e
non solo incontrandoti per caso.»
Esitai. E mi chiesi perché cavolo stessi
esitando. Volevo
rivederlo. Avevo bisogno di dimenticare
Afrodite. Insomma, lei è
davvero bella, e lui è un maschio.
Probabilmente era caduto tra le
sue stronze (e calde) grinfie prima di
rendersi conto di quello che
stava succedendo. Cioè, i modi di lei mi
ricordavano un po' i
ragni, no? Dovevo essere contenta che
non se lo fosse mangiato
vivo e dare un'occasione a quel ragazzo.
«Okay, che ne dici di
guardare assieme quei DVD da sfigati
questo sabato?» dissi di
getto, prima di sclerare all'idea di uscire
col più stupendo della
scuola e non riuscire più ad aprire
bocca.
«Allora abbiamo un appuntamento»,
replicò.
Dandomi in modo evidente il tempo di
tirarmi indietro se
avessi voluto, Erik si chinò con lentezza
a baciarmi. Aveva le
labbra calde e davvero un buon odore, e
il bacio fu dolce e
delicato. A dirla tutta, mi fece venire
voglia che mi baciasse
ancora. Finì troppo presto, ma lui non si
allontanò. Eravamo in
piedi vicini e mi accorsi di avergli
appoggiato le mani sul petto,
mentre le sue stavano sulle mie spalle.
Alzai il viso e gli sorrisi. «Sono felice
che tu mi abbia chiesto
ancora di uscire.»
«Sono felice che stavolta tu abbia detto
di sì.» Poi mi baciò
di nuovo, ma stavolta non in modo
esitante.
Il bacio si fece più profondo e le mie
braccia si aggrapparono
alle sue spalle. Percepii, più che sentii,
il suo gemito e, mentre mi
baciava a lungo e con forza, fu come
avesse acceso un interruttore
da qualche parte dentro di me e fui
attraversata da una scossa di
desiderio intenso e dolce. Era pazzesco
e incredibile, molto più di
quanto mi avesse mai fatto provare un
bacio di chiunque altro.
Adoravo il modo in cui il mio corpo si
adattava al suo, duro contro
morbido, e mi strinsi a lui dimenticando
Afrodite e il cerchio che
avevo appena creato e tutto il resto del
mondo. Quando ci
sciogliemmo dal bacio, eravamo tutti e
due senza fiato e restammo
a fissarci. Tornando lentamente in me mi
resi conto che gli ero
tutta spalmata addosso e che mi trovavo
davanti all'ingresso del
dormitorio a strusciarmi come una
zoccolona, quindi cominciai a
districarmi dal suo abbraccio.
«Cosa c'è che non va? Perché di colpo
sembri diversa?»
chiese Erik tenendomi stretta.
«Erik, io non sono come Afrodite.»
Strattonai con più forza e
mi lasciò andare.
«Lo so benissimo. Non mi piaceresti se
fossi come lei.»
«Non sto parlando solo della mia
personalità. Quello che
voglio dire è che starmene qui fuori a
limonare con te non è il mio
comportamento normale.»
«Okay.» Allungò una mano verso di me
come volesse
attirarmi di nuovo tra le sue braccia, ma
poi si vede che cambiò
idea, perché la mano ricadde lungo il
fianco. «Zoey, nessuna mi ha
mai fatto provare quello che provo con
te.»
Sentii la faccia diventare bollente e non
avrei saputo dire se
era per la rabbia o per l'imbarazzo.
«Erik, non trattarmi come se
fossi scema. Ti ho visto nel corridoio
con Afrodite. È evidente che
hai già provato questo genere di cose e
anche di più.»
Scosse la testa e capii che si sentiva
ferito. «Quello che mi
faceva provare Afrodite era soltanto
fisico. Tu, invece, mi tocchi il
cuore. Conosco la differenza, Zoey, e
pensavo la conoscessi anche
tu.»
Lo fissai in quegli splendidi occhi
azzurri che erano sembrati
toccarmi la prima volta che mi aveva
guardata. «Scusami. È stato
meschino da parte mia. Conosco la
differenza.»
«Promettimi che non lascerai che
Afrodite si metta tra noi.»
«Te lo prometto.» Mi spaventava molto,
ma dicevo sul serio.
«Bene.»
Nala si materializzò dal buio e cominciò
a girarmi intorno
alle gambe lamentandosi. «È meglio se
la porto dentro e la metto a
nanna.»
«Okay.» Sorrise e mi diede un rapido
bacio. «Ci vediamo
sabato, Zy.»
Continuarono a pizzicarmi le labbra per
tutta la strada fino
alla mia stanza.
25
Il giorno successivo cominciò con
quella che, col senno di
poi, avrei considerato una normalità
sospetta. Stevie Rae e io
facemmo colazione, sempre bisbigliando
su quanto fosse strafigo
Erik e cercando di pensare a cosa mi
sarei messa per il nostro
appuntamento di sabato. Neppure
vedemmo Afrodite e il trio di
streghe, Bellicosa, Terribile e Vespa. La
lezione di Socio Vamp fu
così interessante – eravamo passati
dalle amazzoni all'antica festa
vampira greca che si chiamava coregia –
che avevo smesso di
pensare al rito delle Figlie Oscure
previsto per la sera e per un po'
persino di preoccuparmi per quello che
dovevo fare con Afrodite.
Anche l'ora di recitazione fu piacevole e
decisi di scegliere uno dei
monologhi di Caterina della Bisbetica
domata (quella commedia
mi piace da matti, sin da quando ho visto
il vecchio film
interpretato da Elizabeth Taylor e
Richard Burton). Poi, mentre
lasciavo la classe, Neferet mi bloccò in
corridoio per chiedermi
quanto avessi letto del testo avanzato di
Socio Vamp e fui
costretta a dirle che non avevo ancora
fatto molto (traduzione:
neanche aperto il libro) e, quando mi
affrettai ad andare a
letteratura, ero del tutto distratta dalla
sua ovvia delusione. Mi ero
appena seduta tra Damien e Stevie Rae,
quando scoppiò il
finimondo, cancellando ogni parvenza di
normalità da quella
giornata. Pentesilea aveva iniziato a
leggere il quarto capitolo del
Titanic – la vera storia, che è proprio
un bel libro, e stavamo
ascoltando tutti come al solito, quando
quello stupido di Elliott
aveva cominciato a tossire. Dio, che
palla, quel ragazzo.
A un certo punto, tra lettura e tossite,
avevo cominciato a
sentire un odore. Era intenso e dolce,
delizioso e sfuggente.
D'istinto, avevo inspirato a fondo,
sempre cercando di
concentrarmi sul libro.
La tosse di Elliott era peggiorata e io mi
ero voltata a dargli
un'occhiataccia assieme al resto della
classe. Insomma, per favore!
Non poteva prendere una caramella o un
goccio d'acqua o quello
che era?
E poi avevo visto il sangue.
Elliott non era stravaccato e
semiaddormentato come al
solito, ma sedeva dritto e si fissava le
mani, che erano coperte di
sangue fresco. Mentre lo osservavo,
aveva tossito di nuovo,
facendo un orribile rumore bagnaticcio
che mi aveva ricordato il
giorno in cui ero stata Segnata. Solo che,
quando Elliott tossiva,
dalla bocca gli schizzava lucente sangue
scarlatto.
«Cos…?» aveva gorgogliato.
«Chiamate Neferet!» Pentesilea aveva
dato il secco ordine
mentre apriva un cassetto della scrivania
e ne tirava fuori un
asciugamano ben piegato, per
raggiungere poi in fretta Elliott.
Il ragazzo più vicino alla porta era
partito a razzo.
Nel più completo silenzio avevamo
osservato Pentesilea
arrivare da Elliott appena in tempo per
la successiva tossita
sanguinolenta, che aveva raccolto
nell'asciugamano.
Lui si era portato la salvietta sulla
faccia, mentre
tossicchiava, sputava e vomitava.
Quando alla fine aveva alzato
gli occhi, sulle sue guance pallide e
tonde scendevano lacrime di
sangue, e sanguinava talmente tanto
anche dal naso che sembrava
un rubinetto dimenticato aperto. Poi,
quando si era voltato per
guardare Pentesilea, avevo visto che
pure dall'orecchio usciva un
rivolo rosso.
«No!» aveva sbottato Elliott con una
passione che non gli
avevo mai sentito. «No! Non voglio
morire!»
«Sstt», aveva cercato di calmarlo
Pentesilea, levandogli dalla
fronte sudata i capelli color carota.
«Vedrai che il dolore finirà
presto.»
«Ma… ma, no, io…» Aveva
ricominciato a protestare con
una voce piagnucolosa che sembrava
molto più sua, poi era stato
interrotto da un'altra serie di colpi di
tosse. Aveva avuto di nuovo i
conati e aveva vomitato sangue
nell'asciugamano già zuppo.
Neferet era entrata in aula seguita da due
vampiri alti dall'aria
atletica che portavano una barella e una
coperta. Neferet, invece,
aveva in mano soltanto una fialetta piena
di un liquido color latte.
Neanche due respiri dopo di loro,
Dragone Lankford si era
precipitato in classe.
«Lui è il suo mentore», aveva
bisbigliato Stevie Rae talmente
piano che quasi non aveva emesso
suono.
Avevo annuito, ricordando di quando
Pentesilea aveva
sgridato Elliott per aver tradito
Dragone.
Neferet aveva dato a Dragone la fiala
che aveva portato,
quindi si era messa dietro a Elliott e gli
aveva posto le mani sulle
spalle. Tosse e conati si erano attenuati
immediatamente.
«Bevi subito questo, Elliott», gli aveva
detto Dragone. E,
quando il ragazzo aveva cominciato a
scuotere debolmente la testa
per dire di no, aveva aggiunto con
gentilezza: «Farà finire il tuo
dolore».
«Lei… lei resterà con me?» aveva
chiesto senza fiato Elliott.
«Ma certo. Non ti lascerò solo neanche
un istante.»
«Chiamerà la mia mamma?» aveva
sussurrato Elliott.
«Sicuro.»
Elliott aveva chiuso gli occhi per un
secondo, poi, con le
mani tremanti, si era portato la fialetta
alle labbra e aveva bevuto.
Neferet aveva fatto un cenno ai due
vampiri, che lo avevano
sollevato e messo sulla barella come
fosse una bambola, non un
ragazzo morente, e poi, affiancati da
Dragone, si erano affrettati a
lasciare la stanza. Prima di seguirli,
Neferet si era girata a
guardare noi sconvolti alunni di terza.
«Potrei dirvi che Elliott starà bene, che
si riprenderà, ma
sarebbe una bugia.» Il suo tono era
sereno, ma pieno di una forza
che incuteva rispetto. «La verità è che il
suo organismo ha respinto
la Trasformazione. Entro qualche minuto
morirà della morte
eterna e non diventerà un vampiro.
Potrei dirvi di non
preoccuparvi, che a voi non succederà.
Ma sarebbe una menzogna
anche questa. In media, uno su dieci di
voi non completerà la
Trasformazione. Alcuni novizi muoiono
all'inizio della terza,
come Elliott. Altri sono più forti e
resistono fino alla sesta, dopo di
che si ammalano e muoiono
all'improvviso. Vi dico questo non
perché viviate nella paura, ma per due
ragioni ben precise. Per
prima cosa, voglio che sappiate che, in
quanto vostra Somma
Sacerdotessa, non vi mentirò mai, ma vi
aiuterò a rendere più
facile il passaggio nell'altro mondo, se
fosse necessario. E la
seconda ragione è che voglio che viviate
come vorreste essere
ricordati se moriste domani, perché è
possibile che succeda. In
questo modo, se doveste morire, il
vostro spirito potrebbe riposare
in pace sapendo di avere lasciato un
buon ricordo e, se invece non
morirete, avrete posto le fondamenta per
una lunga vita
caratterizzata da onestà e rettitudine.»
Pronunciando le parole conclusive, mi
aveva guardato dritto
negli occhi. «Chiedo che la benedizione
di Nyx vi sia di conforto
oggi, e che ricordiate che la morte è una
parte naturale
dell'esistenza, anche di quella dei
vampiri. Perché un giorno
dovremo tornare tutti in seno alla Dea.»
E detto questo si era
chiusa la porta alle spalle con un suono
che aveva un che di
definitivo.
Pentesilea si era mossa in modo rapido
ed efficiente, pulendo
gli schizzi di sangue che macchiavano il
banco di Elliott e, quando
ogni traccia del ragazzo morente era
scomparsa, era tornata a
mettersi di fronte a noi per un momento
di silenzio per il nostro
compagno. Poi aveva ripreso in mano il
libro e aveva ricominciato
a leggere da dove si era interrotta.
Avevo cercato di ascoltare. Avevo
cercato di escludere dalla
mente l'immagine di Elliott che perdeva
sangue da occhi, orecchie,
naso e bocca. E avevo cercato anche di
non pensare al fatto che
l'odore delizioso che avevo notato era
senz'altro quello del sangue
di Elliott che usciva dal suo corpo
morente.
Lo so che, in teoria, dopo la morte di un
novizio, le cose
dovrebbero continuare come al solito,
ma, a quanto pareva, era
insolito che ne morissero due a distanza
di così poco tempo, e tutti
stettero innaturalmente zitti e tranquilli
per il resto della giornata.
Il pranzo fu silenzioso e deprimente e
notai che il cibo veniva
piluccato più che mangiato. Le gemelle
nemmeno battibeccarono
con Damien, il che sarebbe stata una
bella novità se non avessi
saputo il terribile motivo che ne era la
causa. Quando Stevie Rae
s'inventò una scusa qualunque per
lasciare la tavola presto e
tornarsene in camera prima dell'inizio
della quinta ora, fui più che
felice di andare con lei.
Seguimmo il marciapiede nella fitta
oscurità di un'altra notte
nuvolosa e le luci a gas non sembravano
più calde e allegre, ma
piuttosto gelide e non abbastanza forti.
«Elliott non piaceva a nessuno», esordì
Stevie Rae. «E credo
che questo peggiori la situazione.
Stranamente è stato più facile
con Elizabeth, perché almeno potevamo
sentirci sinceramente
dispiaciuti che se ne fosse andata.»
«So cosa vuoi dire. Sono sconvolta, ma
so di esserlo per aver
visto cosa ci può succedere e perché
adesso non riesco a
togliermelo dalla testa, non perché lui è
morto.»
«Almeno succede in fretta», replicò
sottovoce.
Rabbrividii. «Chissà se fa male.»
«Ti danno una cosa, quel liquido bianco
che ha bevuto Elliott, così non senti più dolore. Però
rimani cosciente sino alla fine.
E Neferet aiuta sempre con la morte
vera e propria.»
«Fa paura, vero?»
«Già.»
Restammo in silenzio per un po', poi la
luna fece capolino tra
le nuvole dipingendo le foglie degli
alberi di un innaturale argento
da acquerello che di colpo mi ricordò
Afrodite e il suo rito. «È
possibile che Afrodite cancelli il rito di
Samhain stasera?»
«Neanche per sogno. I rituali delle
Figlie Oscure non
vengono mai cancellati.»
Lanciai un'occhiata a Stevie Rae. «Be',
che diavolo, era il
loro frigorifero!»
Mi guardò stupefatta. «Elliott?»
«Già, è stato davvero disgustoso e lui
sembrava drogato e
strano. Doveva stare respingendo la
Trasformazione già allora.»
Seguì un silenzio impacciato, poi
aggiunsi: «Non ti avevo detto
niente perché… soprattutto dopo che mi
hai raccontato del…
be'… lo sai. Sei sicura che Afrodite non
cancellerà il rito stasera?
Insomma, con Elizabeth prima e adesso
Elliott…»
«Non importa. E alle Figlie Oscure non
frega di quelli che
usano come frigorifero. Troveranno
qualcun altro.» Esitò. «Senti,
Zoey, ci ho pensato e credo che forse
non ci dovresti andare. Ho
sentito quello che ti ha detto ieri
Afrodite. Farà in modo che
nessuno ti accetti. Sarà davvero
meschina.»
«Andrà tutto bene, Stevie Rae.»
«No, ho una brutta sensazione. Non ce
l'hai ancora un piano,
vero?»
«Be', no. Sono ancora in fase di
ricognizione», dissi,
cercando di rendere meno pesante il
discorso.
«Vacci un'altra volta in ricognizione.
Oggi è già stata una
giornata troppo orribile. Sono tutti
sconvolti. Credo che dovresti
aspettare.»
«Non posso non farmi vedere,
soprattutto dopo quello che
Afrodite mi ha detto ieri. Penserebbe di
potermi mettere paura.»
Stevie Rae prese un grande respiro.
«Be', allora credo che
dovresti portarmi con te.» Cominciai a
scuotere la testa, ma lei
continuò a parlare: «Sei una Figlia
Oscura, adesso, e tecnicamente
puoi invitare chi vuoi ai riti. Quindi
invita me. Io vengo e ti
guardo le spalle».
Pensai al fatto che avrei bevuto sangue,
perché mi era
piaciuto tanto che persino Bellicosa e
Terribile se ne erano
accorte. E provai, senza riuscire, a non
pensare all'odore del
sangue… quello di Heath, quello di Erik
e persino quello di Elliott. Prima o poi Stevie Rae avrebbe
scoperto che effetto aveva
già il sangue su di me, ma non sarebbe
stato quella notte. Anzi, se
potevo evitarlo, non sarebbe stato
neanche presto. Non volevo
correre il rischio di perdere lei o le
gemelle o Damien e avevo
paura che sarebbe andata così. Certo,
sapevano che ero «speciale»,
mi accettavano perché quella diversità
per loro significava Somma
Sacerdotessa e questo andava bene. La
mia brama di sangue, però,
non andava altrettanto bene. L'avrebbero
accettata con la stessa
facilità? «Neanche per sogno, Stevie
Rae.»
«Ma, Zoey, non dovresti andare da sola
in quel covo di
streghe.»
«Non sarò sola. Ci sarà anche Erik.»
«Certo, ma lui è stato il ragazzo di
Afrodite. Chi può sapere
se o quanto si opporrà se lei diventasse
davvero odiosa con te?»
«Tesoro, so difendermi da me.»
«Lo so, ma…» S'interruppe e mi guardò
con un'espressione
buffa. «Zy, stai vibrando?»
«Eh? Cos'è che sto facendo?» Poi lo
udii anch'io e mi misi a
ridere. «È il mio cellulare. L'ho ficcato
in borsa ieri sera dopo
averlo caricato.» Lo presi e guardai
l'ora sul display. «È
mezzanotte passata, chi cavolo…» Aprii
lo sportellino e restai
stupefatta vedendo che avevo quindici
nuovi messaggi e cinque
chiamate perse. «Oddio, qualcuno ha
continuato a chiamare e
chiamare e io non me ne sono neanche
accorta.» Controllai prima i
messaggi e nel leggerli mi si annodò lo
stomaco.
ZO KIAMA
T V TTT B
ZO KIAMA X FAV
DEVO VDRT
C6?
M KIAMI?
VOGLIO PARLARTI
ZO!
KIAMAMI
Non c'era bisogno che ne leggessi altri,
dato che erano tutti
praticamente uguali. «Ah, cacchio. Sono
tutti di Heath.»
«Il tuo ex?»
Sospirai. «Già.»
«E cosa vuole?»
«A quanto sembra, me.» Riluttante,
digitai il codice di
accesso alla casella vocale e la bella
voce sonnacchiosa di Heath
mi colpì per il tono acceso e animato.
Zo! Chiamami. Senti, lo so che è tardi,
ma… cioè, per te non
è tardi ma è tardi per me. Ma va bene
perché non me ne importa.
Voglio solo che mi chiami. Okay.
Allora. Ciao. Chiama.
Grugnii e cancellai il messaggio. Il
successivo sembrava
ancora più isterico.
Zoey! Okay, senti, mi devi chiamare.
Davvero. E non ti
arrabbiare. Ehi, Kayla neanche mi
piace. È una scema. Io ti amo
ancora, Zo, amo solo te. Allora chiama.
Non importa quando.
Tanto mi sveglio.
«Ragaaazzi, oh, ragaaazzi!» disse Stevie
Rae dopo aver
ascoltato la voce eccitata di Heath.
«Quello è ossessionato. Mica
da stupirsi che l'hai piantato.»
«Già.» Cancellai in fretta anche il
secondo messaggio. Il
terzo somigliava molto ai primi due, era
solo più disperato.
Abbassai il volume e pestai col piede
con impazienza mentre
controllavo anche quelli successivi
ascoltando solo quanto bastava
per sapere che potevo cancellarli.
«Devo vedere Neferet», dissi,
più a me stessa che a Stevie Rae.
«Perché? Vuoi impedirgli di chiamare o
qualcosa di simile?»
«No. Sì. Qualcosa di simile. È che le
devo parlare per, be',
per sapere cosa devo fare.» Evitai lo
sguardo curioso di Stevie
Rae. «Insomma, è già venuto qui e non
voglio che torni a piantare
casini.»
«Ah, già, hai ragione. Sarebbe un guaio
se incontrasse Erik.»
«Sarebbe orribile. Okay, meglio che mi
spicci e cerchi di
beccare Neferet prima della quinta ora.
Ci vediamo dopo la
scuola.»
Non aspettai il saluto di Stevie Rae e
schizzai in direzione
dello studio della Somma Sacerdotessa.
Che quella giornata
potesse persino peggiorare? Elliott
muore e io sono attratta dal suo
sangue. Alla sera devo andare al rito di
Samhain con un gruppo di
ragazzi che mi odiano e vogliono
assicurarsi che io lo sappia, e
con ogni probabilità ho stabilito un
Imprinting col mio quasi-exragazzo.
Già. Oggi fa proprio, proprio schifo.
26
Se Skylar che soffiava e ringhiava col
pelo dritto non avesse
attirato la mia attenzione, non avrei mai
visto Afrodite accasciata
nella piccola alcova in fondo al
corridoio in cui si trovava lo
studio di Neferet.
«Cosa c'è, Skylar?» Avevo allungato la
mano con cautela,
ricordando che Neferet aveva detto che
il suo gatto aveva il morso
facile. Ero anche sinceramente contenta
che Nala non mi stesse
seguendo come faceva di solito perché
probabilmente Skylar si
sarebbe mangiato la mia povera micetta
per pranzo. «Miciomicio.»
Il gattone rosso mi aveva squadrato
meditabondo
(probabilmente ponderava se staccarmi
un dito oppure no), poi
aveva preso la sua decisione e con uno
sbuffo era trotterellato
verso di me. Si era strusciato contro le
mie gambe, quindi aveva
rivolto un'ultima soffiata alla nicchia
poco più avanti e se ne era
andato, sparendo in direzione della
stanza di Neferet.
«Che diavolo ha?» Avevo sbirciato
nell'alcova con una certa
esitazione, chiedendomi cos'avesse
potuto far gonfiare e soffiare
un gattaccio come Skylar, e avevo
provato un discreto shock.
Era seduta sul pavimento, molto poco
visibile nell'ombra
sotto la mensola che ospitava una bella
statua di Nyx, teneva la
testa piegata all'indietro e degli occhi si
vedeva soltanto il bianco.
Mi mise una strizza folle. Restai
bloccata, aspettandomi da un
momento all'altro di vedere il sangue
rigarle la faccia. Poi però
gemette e borbottò qualcosa che non
riuscii a capire, mentre gli
occhi si muovevano sotto le palpebre
chiuse come se stesse
osservando una scena. Capii cosa stava
succedendo: Afrodite
aveva una visione. Probabilmente
l'aveva sentita arrivare e si era
nascosta nella nicchia in modo che
nessuno la trovasse per poter
tenere per sé le informazioni su morti e
distruzioni che avrebbe
potuto evitare. Vacca odiosa. Strega.
Be', non avrei lasciato che se la cavasse
ancora con tutte
quelle sue stronzate. Mi chinai e
l'afferrai sotto le braccia,
tirandola in piedi (lasciate che ve lo
dica, pesa molto più di quanto
sembri).
«Andiamo, facciamoci un giretto lungo il
corridoio e
vediamo un po' che tipo di tragedia
vorresti tenerti per te.» Dovetti
quasi trascinarla, visto che barcollava
alla cieca.
Per fortuna la stanza di Neferet non era
distante e, quando
entrammo traballando, lei si alzò di
scatto da dietro la scrivania e
corse verso di noi. «Zoey! Cos'è
successo?» Ma, non appena riuscì
a guardare bene Afrodite, capì e smise
di preoccuparsi. «Aiutami a
portarla qui sulla mia poltrona. Starà più
comoda.»
Sostenemmo Afrodite fino alla grande
poltrona di pelle e la
mettemmo a sedere, poi Neferet si
accovacciò vicino a lei
prendendole la mano.
«Afrodite, con la voce della Dea io ti
supplico di dire alla tua
Sacerdotessa cosa vedi.» Il tono di
Neferet era dolce ma
persuasivo e si percepiva la forza della
sua richiesta.
Afrodite iniziò subito a battere le
palpebre, prese un respiro
profondo e rantolante, quindi di colpo
sbarrò gli occhi, che
sembravano immensi e vitrei. «Quanto
sangue! C'è così tanto
sangue che esce dal suo corpo!»
«Chi è, Afrodite? Concentrati. Focalizza
e rendi chiara la
visione», ordinò Neferet.
Afrodite prese un altro respiro a rantolo.
«Sono morti! No.
No. Non è possibile! Non è giusto. No.
Non è normale! Io non
capisco… Io non…» Sbatté di nuovo le
palpebre e il suo sguardo
sembrò schiarirsi. Si guardò intorno
nella stanza, come se non
riconoscesse il posto, poi i suoi occhi si
posarono su di me. «Tu…
Tu sai», disse debolmente.
«Sì», risposi, intanto pensavo: certo che
so che stai cercando
di nascondere la tua visione. Però
replicai soltanto: «Ti ho trovata
in corridoio e…»
Neferet sollevò la mano per fermarmi.
«No, non ha finito.
Non dovrebbe rinvenire così presto. La
visione è ancora troppo
astratta», mi spiegò in fretta, quindi
abbassò di nuovo la voce e
riprese il tono persuasivo e di comando.
«Afrodite, torna indietro.
Osserva quello che era previsto vedessi
e potessi cambiare.»
Ha hai Eccola lì! Non riuscii a evitare
di sentirmi un po'
compiaciuta. Dopotutto, giusto il giorno
prima aveva cercato di
cavarmi gli occhi.
«I morti…» Diventava sempre più
difficile capire cosa stesse
mormorando, ma suonava più o meno
come: «Tunnel…
uccidono… qualcuno lì… io non… non
posso…» Era frenetica e
quasi mi dispiaceva per lei. Era
evidente che, qualunque cosa
stesse vedendo, la spaventava da matti.
Poi il suo sguardo che
vagava per la stanza trovò Neferet; vidi
che l'aveva riconosciuta e
cominciai a rilassarmi. Stava
riprendendo i sensi e tutta quella
strana situazione si sarebbe chiarita. Ma,
proprio mentre pensavo
quelle cose, gli occhi di Afrodite, che
sembravano fissi su Neferet,
si allargarono all'inverosimile, mentre
sulla sua faccia comparve
un'espressione di puro terrore e lei si
mise a gridare.
Neferet le strinse le mani sulle spalle
tremanti. «Svegliati!» A
malapena si voltò verso di me per un
millisecondo e mi disse:
«Vai adesso, Zoey. La sua visione è
confusa. La morte di Elliott
l'ha turbata e io devo accertarmi che
torni in sé».
Non c'era bisogno che me lo dicesse due
volte. Dimenticata
l'ossessione di Heath, mi precipitai fuori
della stanza e mi diressi a
lezione di spagnolo.
Non riuscivo a concentrarmi sulla
scuola. Continuavo a
rivedere mentalmente la scena con
Neferet e Afrodite. Era ovvio
che avesse avuto una visione su persone
che morivano, ma dalla
reazione di Neferet sembrava che non
fosse stata una visione
normale (ammesso che ne esistessero).
Stevie Rae aveva detto che
le premonizioni di Afrodite erano
talmente chiare che era riuscita
a indicare l'aeroporto giusto e persino lo
specifico aereo che aveva
visto cadere, eppure quel giorno,
all'improvviso, di chiaro non
c'era stato niente. Be', a parte l'aver
visto me e detto cose strane e
l'aver strillato come un'assatanata verso
Neferet. Proprio non
aveva senso. Avevo quasi voglia di
vedere come si sarebbe
comportata quella sera. Quasi. Misi via
le spazzole di Persefone e
presi Nala, che era rimasta appollaiata
in cima alla mangiatoia del
cavallo a guardare e a miagolarmi i suoi
strani miagolii, quindi
cominciai lentamente a tornare al
dormitorio. Questa volta non
c'era Afrodite a rompere, ma, quando
girai l'angolo vicino alla
vecchia quercia, vidi che Stevie Rae,
Damien e le gemelle si erano
riuniti lì e parlavano fitto fitto. Per
smettere appena mi videro. Mi
fissarono tutti con aria colpevole e non
fu molto difficile capire di
chi stessero parlando.
«Che c'è?» chiesi.
«Ti aspettavamo», replicò Stevie Rae,
senza la solita allegra
vitalità.
«Hai qualcosa che non va?»
«È preoccupata per te», mi rispose
Shaunee.
«Siamo preoccupati per te», specificò
Erin.
«Che sta succedendo col tuo ex?»
domandò Damien.
«Rompe, tutto qui. Se non rompesse, non
sarebbe il mio ex.»
Cercai di parlare con disinvoltura, senza
guardare nessuno dei
miei quattro amici troppo a lungo negli
occhi (non sono mai stata
granché come bugiarda.)
«Noi pensiamo che dovrei venire con te
stasera», riprese
Stevie Rae.
«A dire il vero, pensiamo che noi
dovremmo venire con te
stasera», la corresse Damien.
Aggrottai la fronte. Non esisteva proprio
che tutti e quattro
mi vedessero bere il sangue dello
sfigato di turno che quella sera
sarebbe stato mischiato al vino. «No.»
«Zoey, è stata davvero una giornata
orribile. Siamo tutti
stressati. In più, Afrodite ce l'ha con te.
Mi pare logico che stasera
stiamo uniti», ribatté sensato Damien.
Be', sì, era sensato, ma loro non
conoscevano tutta la storia.
Non volevo che conoscessero tutta la
storia. Non ancora. La verità
era che m'importava troppo di loro. Mi
facevano sentire accettata e
al sicuro, mi facevano sentire integrata,
parte di un qualcosa. Non
potevo perderlo proprio adesso, non
quando tutto quello che stava
succedendo era ancora così nuovo e
metteva così paura. Perciò
feci quello che avevo imparato a fare
bene a casa quando avevo
paura ed ero preoccupata e non sapevo
che altro fare: mi
dimostravo scocciata e sulla difensiva.
«Voi ragazzi dite che ho
dei poteri che un giorno mi faranno
diventare la vostra Somma
Sacerdotessa?»
Annuirono subito e mi sorrisero, cosa
che mi strinse il cuore.
Ce la misi tutta e resi la mia voce
davvero gelida. «Allora mi
dovete ascoltare quando dico no. Non vi
voglio lì stasera. È una
cosa che devo affrontare io. Da sola. E
non ne voglio più parlare.»
Dopo di che mi allontanai a grandi
passi.
Naturalmente entro mezz'ora ero
dispiaciuta di essere stata
così antipatica. Continuavo ad andare
avanti e indietro sotto la
grande quercia, che in un certo senso era
diventata il mio rifugio,
disturbando Nala e desiderando che
Stevie Rae comparisse per
permettermi di chiederle scusa. I miei
amici non sapevano perché
non volevo che fossero presenti, loro
avevano solo intenzione di
prendersi cura di me. Magari… magari
avrebbero capito la
faccenda del sangue. Erik sembrava
capire. Okay, certo, lui era in
quinta, però magari… Era previsto che
ci passassimo tutti. Era
previsto che cominciassimo ad avere
voglia di sangue… oppure
che morissimo. Mi rasserenai un po' e
accarezzai Nala. «Quando
l'alternativa è la morte, bere sangue non
sembra poi tanto male,
giusto?»
Fece le fusa, e lo presi per un sì.
Controllai l'ora al mio
orologio. Cacchio. Dovevo tornare al
dormitorio, cambiarmi e
andare all'incontro con le Figlie Oscure.
Senza nessuna voglia,
m'incamminai. Era di nuovo nuvoloso,
ma l'oscurità non mi dava
fastidio. A dire il vero, la notte
cominciava a piacermi. Era giusto.
Avrebbe dovuto essere il mio elemento
per molto, molto tempo.
Se fossi sopravvissuta.
Come se potesse leggere i miei pensieri
morbosi, Nala mi
rivolse un «miii-au-uuff» di rimprovero
mentre mi trotterellava
accanto.
«Sì, lo so. Non dovrei essere così
negativa. Ci lavorerò sopra
dopo che…»
Il basso ringhio di Nala mi stupì. Si era
fermata, la schiena
ingobbita, il pelo ritto e gonfio che la
facevano sembrare un
pompon peloso, ma gli occhi stretti a
fessura non erano uno
scherzo e neppure il feroce soffio che
usciva dalla sua boccuccia.
«Nala, cosa…»
Un gelo terribile si propagò lungo la mia
schiena anche prima
che mi voltassi a guardare nella
direzione in cui puntava la gatta.
In seguito, non sarei riuscita a capire
perché non avessi gridato.
Ricordo che mi si era aperta la bocca
per inghiottire aria, ma ero
rimasta nel più assoluto silenzio. Mi
sembrava di essere inebetita,
ma era impossibile, perché se lo fossi
stata non sarei potuta
rimanere pietrificata a quel modo.
Elliott era in piedi a meno di tre metri
da me, nel buio che
scuriva lo spazio vicino al muro di
cinta. Doveva essere diretto
dalla stessa parte in cui stavamo
andando Nala e io, poi ci aveva
sentito e si era voltato un po' verso di
noi. La gatta soffiò ancora e
lui, con un movimento di una rapidità da
paura, si girò per
affrontarci.
Giuro che non riuscivo a respirare. Era
un fantasma…
doveva esserlo, ma sembrava così
fisico, così reale. Se non avessi
visto il suo organismo rifiutare la
Trasformazione, avrei pensato
che fosse soltanto un po' più pallido del
solito e… e… strano. Era
bianco in modo anormale, ma non era
l'unica cosa che non andava
in lui. Gli occhi erano cambiati.
Riflettevano la poca luce presente
e splendevano di un terribile rosso
rugginoso, come sangue secco.
Proprio come gli occhi del fantasma di
Elizabeth.
C'era anche qualcos'altro di diverso in
lui. Il suo corpo
sembrava strano, più magro. Com'era
possibile? Poi mi arrivò il
puzzo. Di vecchio, asciutto e fuori posto,
come un armadio che
non veniva aperto da anni o un'orribile
cantina ammuffita. Era lo
stesso odore che avevo notato appena
prima di vedere Elizabeth.
Nala ringhiò ed Elliott si mise in una
strana posa semiaccucciata e le soffiò. Quindi mostrò i
denti e riuscii a vedere che i
canini erano zanne! Fece un passo verso
Nala, quasi volesse
attaccarla.
Non pensai, reagii e basta. «Lasciala
stare e vattene da qui!»
Mi stupì che sembrasse che non stessi
facendo niente di più
interessante che strillare contro un cane
cattivo, perché avevo una
strizza inimmaginabile.
Elliott girò la testa verso di me e la
luminosità dei suoi occhi
mi toccò per la prima volta.
Sbagliato! urlava la vocina interiore che
era diventata una
presenza familiare. Questo è un
abominio!
«Tu…» La voce di Elliott era orribile.
Era stridula e
gutturale, come se qualcosa gli avesse
danneggiato la gola. «Io ti
avrò!» Dopo di che cominciò a venire
verso di me.
Una paura primordiale mi avvolse come
un vento tagliente.
Un miagolio da battaglia squarciò la
notte e Nala si lanciò
contro il fantasma. Restai a guardare,
completamente sotto shock,
aspettandomi che la micia finisse a dare
zampate all'aria. Invece
atterrò ad artigli sguainati sulla coscia
di Elliott, graffiando e
ringhiando come un animale tre volte più
grande. Lui gridò,
l'afferrò per la collottola e la scagliò
lontano. Poi, con una velocità
e una forza impossibili, saltò
letteralmente in cima al muro di cinta
e scomparve nella notte che circondava
la scuola.
Tremavo talmente tanto che inciampai.
«Nala!» singhiozzai.
«Dove sei, piccolina?»
Ancora ringhiando tutta gonfia, mi
raggiunse a passettini
felpati, gli occhi a fessura sempre
puntati sul muro di cinta.
Mi accovacciai accanto a lei per
controllare che fosse tutta
intera e, siccome sembrava stesse bene,
la presi in braccio e mi
allontanai di corsa, più in fretta che
potevo. «Va tutto bene. Noi
stiamo bene. Se n'è andato. Sei stata una
micina così coraggiosa!»
Mentre continuavo a parlarle, mi si
arrampicò sulla spalla, in
modo da poter guardare dietro di noi,
senza smettere di ringhiare.
Al primo lampione a gas, non lontano
dalla sala di
ricreazione, mi fermai e spostai Nala,
per controllare meglio che
stesse davvero bene, e quello che
scoprii mi attorcigliò lo stomaco
al punto che pensai di stare per
vomitare. Sulle sue zampe c'era del
sangue. Solo che non apparteneva a lei.
E non aveva l'odore
delizioso dell'altro, ma risentiva della
puzza di cantina vecchia e
ammuffita. Mentre le pulivo le zampe
sulla poca erba invernale,
mi sforzai di non rigettare, quindi la
ripresi in braccio e mi
affrettai lungo il marciapiede che
portava al dormitorio. Nala
continuò imperterrita a guardare dietro
di noi e a ringhiare.
Stevie Rae, le gemelle e Damien erano
tutti vistosamente
assenti dal dormitorio. Non stavano
guardando la TV, non erano
nella stanza dei computer né in
biblioteca e non erano neppure in
cucina. Salii in fretta le scale, sperando
con tutta me stessa che
almeno Stevie Rae fosse nella nostra
camera. Non fui così
fortunata.
Mi sedetti sul letto a coccolare Nala,
che era ancora
sconvolta. Dovevo andare a cercare i
miei amici? O era meglio
che restassi lì? Prima o poi Stevie Rae
sarebbe comunque dovuta
tornare in camera. Guardai il suo
ancheggiante orologio Elvis:
avevo circa dieci minuti per cambiarmi
e arrivare in sala di
ricreazione. Ma come potevo andare al
rito dopo quanto era
appena successo?
E cosa era appena successo?
Un fantasma aveva cercato di assalirmi.
No. Non era così.
Come avrebbe potuto sanguinare un
fantasma? E poi, quello che
avevo visto era davvero sangue? Non ne
aveva l'odore. E non
avevo idea di cosa stesse accadendo.
Dovrei andare dritta da Neferet a
riferirle quello che mi è
capitato. Dovrei alzarmi all'istante per
portare me e la mia gatta
stravolta da Neferet e dirle di Elizabeth
la scorsa notte e di Elliott
poco fa. Dovrei… dovrei…
No. Questa volta non fu un grido dentro
di me, fu la forza
della certezza. Non potevo dirlo a
Neferet, almeno non in quel
momento.
«Devo andare al rito, devo essere
presente a quel rito», dissi,
ripetendo ad alta voce le parole che mi
echeggiavano nella testa.
Mentre indossavo il vestito nero e
cercavo le ballerine
nell'armadio, mi sentii di colpo
diventare calma. Le cose in quel
posto non seguivano le stesse regole del
mio vecchio mondo –
della mia vecchia vita – ed era tempo
che accettassi la situazione e
cominciassi ad abituarmici.
Avevo un'affinità coi cinque elementi, il
che significava che
un'antica Dea mi aveva dotata di poteri
incredibili. E, come mi
aveva ricordato la nonna, con un grande
potere viene anche una
grande responsabilità. Magari mi era
consentito di vedere delle
cose – come per esempio fantasmi che
non si comportavano né
odoravano come dovrebbero fare i
fantasmi – per un motivo.
Anche se ancora non sapevo cosa questo
significasse. A dire il
vero, sapevo ben poco a parte i due
pensieri che avevo chiari in
mente: non potevo dirlo a Neferet e
dovevo andare al rito.
Mentre mi affrettavo a raggiungere la
sala di ricreazione,
cercai almeno di pensare positivo.
Magari Afrodite non si sarebbe
fatta vedere quella sera, oppure ci
sarebbe stata ma si sarebbe
dimenticata di tormentarmi.
Ma non era la mia serata fortunata,
perché non sarebbe
successa né l'una né l'altra cosa.
27
«Bel vestito, Zoey, somiglia molto al
mio. Ah, no, aspetta!
Una volta era mio!» Afrodite si lanciò in
una risata di gola, che
diceva io-sono-grande-e-tu-sei-solouna-bambina.
Detesto le ragazze che lo fanno.
Insomma, è vero che lei è
più grande, ma le tette ce le ho anch'io.
Sorrisi e, aggiungendo una
dose extra d'innocente tontolaggine alla
mia voce, mi lanciai in
una balla clamorosa, che devo aver
detto piuttosto bene,
considerando che come bugiarda valgo
proprio poco, ma ero
appena stata assalita da un fantasma e
tutti ci stavano ascoltando:
«Ciao, Afrodite! Cavolo, ho appena
letto in un capitolo del libro di
Socio Vamp 415 che mi ha dato Neferet
quant'è importante che la
leader delle Figlie Oscure faccia sentire
benvenuto e accettato
ogni nuovo del gruppo. Devi essere
orgogliosa dell'ottimo lavoro
che stai facendo». Poi mi avvicinai a lei
un po' di più e abbassai la
voce, in modo che le altre non potessero
ascoltare. «E devo dire
che hai un aspetto decisamente migliore
dell'ultima volta che ti ho
vista.»
La vidi impallidire e sono sicura che
negli occhi le passò un
lampo di paura.
Con stupore mi accorsi che questo non
mi faceva sentire
vincente e soddisfatta, piuttosto
meschina, squallida e stanca.
Sospirai. «Scusa, non avrei dovuto
dirlo.»
La sua espressione s'indurì. «Vaffanculo,
mostro», sibilò.
Quindi rise come avesse fatto una battuta
spiritosissima (a mie
spese), mi voltò le spalle e con un
odioso movimento di capelli
raggiunse il centro della stanza.
Okay, non mi sentivo più meschina.
Vacca odiosa. Sollevò
un braccio esile e tutti quelli che erano
rimasti a fissarmi a bocca
aperta rivolsero la loro attenzione (per
fortuna) su di lei. Indossava
un vestito di seta rossa dall'aria antica
che le stava come se
gliel'avessero dipinto addosso. Avrei
proprio voluto sapere dove
cavolo si vestiva. Nella boutique
zoccola dark?
«Ieri è morta una novizia, e oggi un
novizio.»
La sua voce era forte e chiara e pareva
quasi
compassionevole, cosa che mi stupì. Per
un secondo mi ricordò
davvero Neferet e mi chiesi se stesse
per dire qualcosa di
profondo, da vero capo.
«Li conoscevamo entrambi. Elizabeth
era carina e tranquilla.
Elliott è stato il nostro frigorifero per
parecchi degli ultimi riti.» Di
colpo sorrise, feroce e cattiva, e
qualunque somiglianza potesse
aver avuto con la Somma Sacerdotessa
scomparve. «Ma erano
deboli e ai vampiri non servono
elementi deboli.» Alzò le spalle
coperte di rosso. «Se fossimo umani la
definiremmo legge della
selezione naturale. Grazie alla Dea non
siamo umani, quindi
chiamiamolo soltanto Fato e stasera
festeggiamo che non abbia
assestato una pedata al fondoschiena di
qualcuno di noi.»
Trovai disgustoso che tutti
mormorassero frasi di
approvazione. Non avevo conosciuto
davvero Elizabeth, ma era
stata gentile con me. Okay, ammetto che
Elliott non mi piaceva
proprio e che non piaceva a nessuno.
Era una palla, scocciante e
brutto (e il suo fantasma o quello che era
sembrava avere
mantenuto quelle caratteristiche), ma non
ero contenta che fosse
morto. Se mai sarò a capo delle Figlie
Oscure, non mi prenderò
gioco della morte di un novizio, per
quanto insignificante possa
essere stato. Lo promisi a me stessa, ma
mi resi anche conto di
averlo pensato come una preghiera.
Sperai che Nyx mi ascoltasse,
e che approvasse.
«Ma basta con le tristezze», stava
dicendo Afrodite. «È
Samhain! La notte in cui celebriamo la
fine della stagione del
raccolto e, ancor meglio, è il momento
in cui ricordiamo i nostri
antenati, tutti i grandi vampiri che sono
vissuti e morti prima di
noi.» Aveva un tono che metteva i
brividi, come se si fosse calata
troppo nella parte e, quando continuò,
non potei non alzare gli
occhi al soffitto. «È la notte in cui il
velo tra la vita e la morte si fa
più sottile ed è più probabile che gli
spiriti si manifestino sulla
terra.»
S'interruppe e si guardò intorno nella
stanza, facendo bene
attenzione a ignorarmi (come peraltro
facevano tutti gli altri), e nel
momento di pausa ebbi il tempo di
riflettere su quanto aveva
appena detto. E se ciò che era successo
con Elliott avesse avuto a
che fare col velo tra la vita e la morte
che era più sottile e col fatto
che era morto il giorno di Samhain?
Ma non ebbi il tempo di chiedermi altro
perché Afrodite alzò
la voce e gridò: «Perciò cosa
facciamo?»
«Usciamo!» strillarono per tutta risposta
le Figlie e i Figli
Oscuri.
La risata di Afrodite era davvero troppo
sexy per essere
appropriata e giuro che si stava
toccando. Proprio davanti a tutti.
Dio, se era disgustosa! «Giusto. Ho
scelto un posto super per noi
stasera e ad aspettarci là con le ragazze
c'è anche un nuovo piccolo
frigorifero.»
Arrgh! Con «le ragazze» intendeva forse
Bellicosa, Terribile
e Vespa? Diedi una rapida occhiata in
giro ma non le vidi.
Grandioso. Potevo giusto immaginare
cosa quelle tre più Afrodite
potevano considerare «super». E non
volevo neppure pensare a
quel poveretto o poveretta che era stato
convinto a chiacchiere a
fare da nuovo frigorifero.
E sì, ero in fase di negazione totale
anche del fatto che mi era
venuta l'acquolina in bocca non appena
Afrodite aveva detto che
c'era un frigorifero ad attenderci, il che
significava che avrei di
nuovo bevuto sangue.
«Allora usciamo di qui. E ricordatevi di
non fare rumore.
Concentratevi sull'essere invisibili e
qualunque umano dovesse
essere ancora sveglio semplicemente
non ci vedrà.» Poi Afrodite
mi fissò dritto negli occhi. «E che Nyx
abbia pietà di chiunque ci
faccia scoprire, perché noi di certo non
ne avremo.» Rivolse un
sorriso viscido al gruppo. «Seguitemi,
Figlie e Figli Oscuri!»
In silenzio, a coppie o in piccoli gruppi,
tutti la seguirono
fuori della porta posteriore.
Naturalmente m'ignorarono. Stavo
quasi per non andare con loro. Non ne
avevo proprio voglia.
Insomma, per quella sera di emozioni ne
avevo avute più che a
sufficienza. Avrei fatto meglio a tornare
al dormitorio per
scusarmi con Stevie Rae, poi potevamo
cercare le gemelle e
Damien e io avrei raccontato a tutti di
Elliott (mi fermai a
controllare se la sensazione allo
stomaco mi avvisava di non dire
niente ai miei amici, ma restò zitta).
Okay. Benone. Potevo
dirglielo. Sembrava un'idea molto più
carina del seguire quella
stronza di Afrodite e un gruppo di
ragazzi che non mi
sopportavano. Ma il mio intuito, che se
n'era stato tranquillo
mentre pensavo di parlare coi miei
amici, s'impennò di colpo.
Dovevo proprio partecipare al rito.
Sospirai.
«Andiamo, Zy, non vorrai perderti lo
spettacolo, vero?» Erik
era in piedi accanto alla porta, aspetto
da Superman e occhi azzurri
sorridenti.
Be', che diavolo. «Stai scherzando?
Ragazze odiose, uno
psicodramma da setta e una grande
occasione d'imbarazzo e
spargimento di sangue. Che cosa c'è di
meglio? Non me ne
perderei neanche un istante.»
Insieme, Erik e io seguimmo il gruppo.
Camminavano tutti in silenzio verso il
muro dietro la sala di
ricreazione, che era troppo vicino al
punto in cui avevo visto
Elizabeth ed Elliott perché non mi
sentissi a disagio. E poi, chissà
come, i ragazzi sembrarono sparire nel
muro.
«Ma che…?» mormorai.
«È solo un'illusione. Vedrai.»
Vidi. In realtà si trattava di una porta
segreta, tipo quelle che
ci sono nei vecchi film gialli, solo che,
invece di essere in una
libreria o dentro un caminetto (come nei
film d'Indiana Jones… sì,
sono una sfigata), questa era una piccola
sezione dello spesso e
altrove massiccio muro di cinta della
scuola. Una parte ruotava
verso l'esterno quel tanto che bastava
per far passare una persona
(o novizio o vampiro o magari anche
uno o due terrificanti
fantasmi solidi). Erik e io fummo gli
ultimi ad attraversare, quindi
udii un rumore soffocato e mi voltai in
tempo per vedere il muro
richiudersi alla perfezione.
«Funziona con un tastierino numerico,
come la portiera di
un'auto», bisbigliò Erik.
«Ooh. Chi ne è al corrente?»
«Chiunque sia mai stato una Figlia o un
Figlio Oscuro.»
«Ooh.» Supposi che questo significasse
la maggioranza dei
vampiri adulti. Mi guardai intorno e non
vidi nessuno che ci
osservasse o ci seguisse.
Erik notò la mia occhiata. «Non gliene
importa. È nella
tradizione della scuola che sgattaioliamo
fuori per qualche rituale.
Finché non facciamo niente di troppo
stupido, fingono di non
sapere che usciamo.» Si strinse nelle
spalle. «La cosa funziona,
immagino.»
«Finché non facciamo niente di troppo
stupido.»
«Sstt!» sibilò qualcuno davanti a noi.
Chiusi la bocca e decisi di concentrarmi
su dove eravamo
diretti.
Erano le quattro e mezzo del mattino. E
di sveglio non c'era
nessuno, guarda un po' che sorpresa. Era
strano camminare in
quella zona elegante di Tulsa – un
quartiere pieno di palazzi
costruiti coi vecchi petroldollari – senza
che nessuno si accorgesse
di noi. Tagliavamo per giardini
incredibilmente curati e non c'era
un cane che ci abbaiasse dietro. Era
come se fossimo ombre… o
fantasmi… Il pensiero mi diede un
brivido di paura. La luna, che
prima era quasi del tutto oscurata dalle
nuvole, adesso brillava
bianco-argentea in un cielo
inaspettatamente limpido. Giuro che
con quella luce avrei potuto leggere
anche prima di venire
Segnata. Faceva freddo, ma non mi dava
fastidio come invece
sarebbe successo appena una settimana
prima. Cercai di non
pensare a ciò che questo significava
riguardo alla Trasformazione
che stava avvenendo nel mio organismo.
Attraversammo una strada, poi
scivolammo senza far rumore
tra due giardini. Udii dell'acqua corrente
prima ancora di vedere il
pìccolo ponte pedonale. La luna
rischiarava il ruscello come se
qualcuno ci avesse versato sopra del
mercurio. Mi sentii catturata
da tanta bellezza e rallentai, ricordando
che ormai la notte era il
mio nuovo giorno. Speravo di non
abituarmi mai alla sua oscura
maestosità.
«Andiamo, Zy», mormorò Erik dall'altra
parte del ponte.
Alzai lo sguardo verso di lui. Si
stagliava sullo sfondo di una
magnifica abitazione che si estendeva
sulla collina con l'immenso
prato terrazzato e laghetto e gazebo e
fontane e cascatelle (quella
gente aveva decisamente,
clamorosamente troppi soldi), e mi
ricordò quegli eroi romantici della
Storia, come… come… Be', gli
unici due eroi cui riuscivo a pensare
erano Superman e Zorro, e
nessuno di loro era davvero un
personaggio storico. Ma aveva
proprio un'aria da cavaliere, e pure
romantico.
Poi capii in quale stupenda proprietà
stavamo entrando di
straforo, quindi mi affrettai a
raggiungerlo e bisbigliai frenetica:
«Erik, questo è il Philbrook Museum! Ci
metteremo davvero nei
casini se ci beccano qui intorno».
«Non ci beccheranno.»
Dovetti faticare per stargli dietro.
Camminava in fretta,
desiderando molto più di me di
raggiungere il gruppo silenzioso e
spettrale.
«Okay, questa non è la casa di un
riccone. Questo è un
museo. Qui ci sono le guardie
ventiquattr'ore su ventiquattro.»
«Afrodite le avrà drogate.»
«Cosa?!»
«Sstt! Non gli fa male. Saranno intontite
per un po', poi se ne
andranno a casa e non si ricorderanno
niente. Roba da poco.»
Non replicai, ma proprio non mi piaceva
che fosse così
«chissene» riguardo al fatto di drogare
delle guardie della
sicurezza. Non mi sembrava giusto,
anche se potevo capirne
l'utilità. Stavamo entrando di nascosto
dove non si poteva. Non
volevamo essere beccati. Quindi si
dovevano drogare le guardie.
Ci arrivavo. Solo che non mi piaceva, e
mi suonava come un'altra
cosa che implorava di essere cambiata
riguardo alle Figlie Oscure
e al loro atteggiamento da santarelline.
Mi ricordavano sempre di
più il Popolo della Fede, e non era un
paragone lusinghiero.
Afrodite non era un Dio (o una Dea, per
essere più precisi), a
prescindere da come amasse definirsi.
Erik e io ci unimmo al gruppo che aveva
formato un ampio
cerchio intorno al gazebo a cupola posto
ai piedi del pendio che
portava al museo. Era vicino al laghetto
ornamentale che finiva
esattamente dove iniziavano le terrazze
da cui si raggiungeva
l'ingresso dell'edificio. Quel posto era
davvero di una bellezza
incredibile. C'ero stata due o tre volte,
una anche con la classe di
Arte, e in quell'occasione mi ero sentita
ispirata a fare uno schizzo
dei curatissimi giardini, anche se in
disegno sono negata. Adesso
la notte l'aveva trasformato in un magico
regno fatato, sfumato
dalla luna e ombreggiato da strati di
grigio, di argento e di blu.
Anche lo stesso gazebo era incredibile.
Era posto in cima ad
ampie scale rotonde, come un trono, in
modo che per arrivarci
bisognasse salire. Era fatto di colonne
bianche scolpite e la cupola
era illuminata da sotto; somigliava a
qualcosa che si sarebbe
potuto trovare nell'antica Grecia e che
era stato riportato al suo
antico splendore e illuminato per essere
visibile nella notte.
Afrodite salì la scala per prendere posto
al centro del gazebo,
dove naturalmente c'erano anche
Bellicosa, Terribile e Vespa,
oltre a un'altra ragazza che non
conoscevo. Avrei potuto averla
vista un miliardo di volte senza poi
ricordarmene, dato che era
solo un'altra bionda simil-Barbie (anche
se con ogni probabilità il
suo nome significava qualcosa tipo
Odiosa o Malvagia). Lì
avevano sistemato un tavolino coperto
con un telo nero e vidi che
sopra c'erano delle candele, oltre ad
altra roba tra cui un calice e
un coltello. Un poveretto era chino con
la testa sul tavolo e gli
avevano messo addosso un mantello che
lo copriva, facendolo
somigliare molto a Elliott la notte in cui
aveva fatto da frigorifero.
Dare il sangue per i riti di Afrodite
doveva davvero mettere
fuori uso e mi chiesi se non avesse in
qualche modo contribuito a
causare la morte di Elliott. Bloccai fuori
del cervello il fatto che
mi veniva l'acquolina in bocca al
pensiero del sangue del ragazzo
mischiato al vino nel calice. Strano
come potessi desiderare da
matti una cosa che allo stesso tempo
trovavo disgustosa
all'ennesima potenza.
«Realizzerò il cerchio e chiamerò gli
spiriti degli antenati a
danzare con noi al suo interno»,
annunciò Afrodite. Parlava piano,
ma la sua voce si propagò tra di noi
come una foschia velenosa.
Metteva strizza pensare a dei fantasmi
attirati nel cerchio,
soprattutto dopo le mie recenti
esperienze, ma devo ammettere che
la curiosità era quasi pari alla paura.
Magari ero così certa di dover
essere lì perché ci avrei trovato qualche
indizio riguardo a
Elizabeth e a Elliott. E poi era evidente
che non era la prima volta
che le Figlie Oscure tenevano quel rito,
quindi non poteva essere
tanto spaventoso o pericoloso. Afrodite
se la tirava un casino
facendo la gran figa, ma avevo la
sensazione che fosse una
commedia. Sotto sotto, era come tutti i
bulli: insicura e immatura.
E poi i prepotenti tendono a evitare
chiunque sia più tosto di loro,
quindi era più che logico che, se
intendeva chiamare degli spiriti
in un cerchio, significava che erano
innocui, probabilmente
persino simpatici. Lei non avrebbe certo
affrontato un mostraccio
grande, grosso e cattivo.
Né qualcosa di realmente spaventoso
come quello che era
diventato Elliott.
Cominciai a rilassarmi per accogliere
quella che stava già
diventando una familiare vibrazione di
energia, quando le quattro
Figlie Oscure che rappresentavano gli
elementi presero le candele
votive e si posizionarono nei punti giusti
del mini-cerchio nel
gazebo. Afrodite chiamò il vento e i
miei capelli si sollevarono
dolcemente in una brezza che soltanto io
potevo percepire. Chiusi
gli occhi, gustandomi la scossa che mi
faceva pizzicare la pelle. A
dire il vero, nonostante Afrodite e quelle
presuntuose delle Figlie
Oscure, trovavo piacevole l'inizio del
rito. E poi Erik mi stava
accanto, il che mi aiutava a non
preoccuparmi del fatto che nessun
altro dei presenti mi avrebbe rivolto la
parola.
Mi rilassai ancora di più,
improvvisamente certa che il futuro
non sarebbe stato poi tanto terribile.
Avrei fatto pace coi miei
amici, insieme avremmo risolto il
mistero di quegli strani fantasmi
e magari mi sarei persino fatta un
ragazzo ipersuperstrafigo.
Sarebbe andato tutto bene. Aprii gli
occhi e guardai Afrodite
muoversi intorno al cerchio. Ciascun
elemento mi attraversò come
una scossa elettrica e mi chiesi come
potesse non accorgersene
Erik standomi tanto vicino. Gli diedi
perfino un'occhiatina di
nascosto, aspettandomi quasi che mi
stesse guardando mentre gli
elementi giocavano sulla mia pelle, ma
anche lui, come tutti gli
altri, fissava Afrodite (il che a dire il
vero mi scocciava pure un
po': non avrebbe dovuto darmi anche lui
occhiatine di nascosto?)
Poi Afrodite iniziò a evocare gli spiriti
ancestrali e persino io non
potei non rivolgere a lei tutta la mia
attenzione. Era accanto al
tavolo e teneva una lunga treccia di erba
secca sopra la fiamma
viola dello spirito, perché prendesse
fuoco in fretta. La lasciò
bruciare un po', quindi la spense e prese
ad agitarla con delicatezza
intorno a sé mentre cominciava a
parlare, riempiendo l'aria di
riccioli di fumo. Odorai e riconobbi il
profumo d'ierocloe, una
delle erbe cerimoniali più sacre perché
attira l'energia spirituale e
che viene chiamata sweet grass, un
nome che mi è sempre piaciuto
un sacco. La nonna l'usava spesso nelle
sue preghiere. Poi
aggrottai la fronte e provai un fremito di
preoccupazione. La
ierocloe doveva essere usata soltanto
dopo che l'aria era stata
pulita e purificata bruciando della
salvia, altrimenti avrebbe potuto
attirare qualunque tipo di energia. E
«qualunque» non sempre
significa buona. Ma, anche se avessi
potuto fermare la cerimonia,
ormai era troppo tardi per dire qualcosa,
perché Afrodite aveva già
iniziato a chiamare gli spiriti e la sua
voce aveva preso un tono
cantilenante che in un certo senso veniva
intensificato dal denso
fumo che si arricciava intorno a lei.
In questa notte di Samhain, ascoltate il
mio antico richiamo,
voi tutti spiriti dei nostri antenati. In
questa notte di Samhain, che
la mia voce giunga con questo fumo nel
mondo ultraterreno, dove
gli spiriti luminosi danzano nella dolce
foschia del ricordo. In
questa notte di Samhain, io non chiamo
gli spiriti dei nostri
antenati umani. No, li lascio dormire,
perché non ho bisogno di
loro nella vita né nella morte. In questa
notte di Samhain, io
chiamo gli antenati magici, gli antenati
mistici, quelli che un
tempo erano più che umani e che sono
più che umani anche nella
morte.
Affascinata, osservai con tutti gli altri il
fumo che
ondeggiava, mutava e cominciava ad
assumere delle forme.
All'inizio pensai di star immaginando le
cose e cercai di schiarirmi
la vista sbattendo le palpebre, ma presto
capii che non erano i miei
occhi ad avere dei problemi e che
all'interno del fumo si stavano
davvero formando delle persone. Erano
indistinte, più contorni di
corpi che corpi veri e propri, ma col
continuo ondeggiare della
treccia d'ierocloe si facevano sempre
più consistenti e
all'improvviso il cerchio fu pieno di
figure spettrali con bui occhi
cavernosi e bocche spalancate.
Non somigliavano affatto a Elizabeth o a
Elliott, piuttosto a
come avevo sempre immaginato fossero
i fantasmi: fumosi,
trasparenti e spaventosi. Annusai l'aria.
No, decisamente non c'era
quello schifoso odore di cantina
ammuffita.
Afrodite posò la treccia ancora fumante
e prese il calice.
Anche da dove mi trovavo io, sembrava
insolitamente pallida,
come avesse assunto alcune delle
caratteristiche fisiche degli
spettri. Il vestito rosso strideva in modo
quasi esagerato in quel
cerchio di fumo, di grigio e di foschia.
«Io vi do il benvenuto,
spiriti ancestrali, e vi chiedo di
accettare la nostra offerta di vino e
sangue affinché possiate ricordarvi cosa
significa assaporare la
vita.» Sollevò il calice e le figure di
fumo presero ad agitarsi in
modo turbolento e confuso,
evidentemente eccitate. «Io vi do il
benvenuto, spiriti ancestrali, e
all'interno della protezione del mio
cerchio…»
«Zo! Lo sapevo che ti avrei trovata se
mi ci fossi messo
d'impegno!»
La voce di Heath tagliò la notte come un
coltello,
interrompendo le parole di Afrodite.
28
«Heath! Che diavolo ci fai qui?»
«Be', non mi hai richiamato.» Senza
curarsi di tutti gli altri,
mi abbracciò. Non mi serviva la
splendente luce della luna per
vedere che aveva gli occhi iniettati di
sangue. «Zo, mi mancavi!»
sbottò, alitandomi addosso un fiato alla
birra.
«Heath, te ne devi andare…»
«No. Lascia che rimanga», m'interruppe
Afrodite.
Heath spostò lo sguardo su di lei, e
immaginai cosa dovesse
sembrargli: lei era al centro della
chiazza luminosa creata dalle
luci del gazebo, che splendevano nel
fumo della sweet grass e la
illuminavano quasi come se si trovasse
sott'acqua. Il vestito rosso
era iperaderente, i folti capelli biondi le
scendevano oltre le spalle
e aveva le labbra tese in un sorriso
cattivo che ero sicura Heath
avrebbe preso per un gentile benvenuto.
Probabilmente non si era
neanche accorto degli spettri fumosi che
avevano smesso di
fluttuare intorno al calice e avevano
rivolto le orbite vuote verso di
lui. E di certo non si era accorto
nemmeno che la voce di Afrodite
aveva un tono strano e cupo e che i suoi
occhi erano vitrei e fissi.
Diavolo, conoscendo Heath, l'unica cosa
di cui doveva essersi
accorto erano le sue grandi tette.
«Figo, una sirena vampira.» Heath mi
dimostrò che avevo
ragione.
«Portalo via di qui.» La voce di Erik era
tesa e preoccupata.
Heath staccò gli occhi dalle tette di
Afrodite per guardare
male Erik. «E tu chi sei?»
Ah, cacchio. Conoscevo quel tono. Era
quello che Heath
usava quando stava per avere un attacco
di gelosia (un altro
motivo per cui era il mio ex).
«Heath, devi andare via di qui»,
intervenni.
«No.» Si avvicinò e mi mise un braccio
intorno alle spalle
con aria possessiva, ma senza
guardarmi. Continuava a fissare
Erik. «Sono venuto per vedere la mia
ragazza, e vedrò la mia
ragazza.»
Ignorai il fatto che riuscivo a percepire
il battito di Heath nel
punto in cui il suo braccio era
appoggiato sulla mia spalla e,
invece di fare qualcosa di assolutamente
disgustoso e inquietante
come mordergli il polso, me lo scrollai
di dosso e l'afferrai in
modo che guardasse me e non Erik. «Io
non sono la tua ragazza.»
«'azz, Zo, l'hai appena detto.»
Digrignai i denti. Dio se era tonto (ecco
un'altra ragione per
cui era il mio ex).
«Ma sei scemo?» fece Erik.
«Senti, stronzo succhiasangue, io…»
cominciò Heath, ma la
strana voce echeggiante di Afrodite lo
sommerse. «Vieni qui,
umano.»
Come se i nostri occhi fossero stati
calamitati dal suo insolito
fascino, Heath, Erik e io (e peraltro
anche il resto delle Figlie e dei
Figli Oscuri) li alzammo verso di lei.
Il suo corpo sembrava strano. Stava
pulsando? E com'era
possibile? Gettò i capelli all'indietro e
si passò addosso una mano
come una spogliarellista oscena,
portandosela a coppa sul seno e
poi strofinandosela in mezzo alle gambe.
L'altra mano si sollevò
per fare cenno a Heath di avvicinarsi.
«Vieni da me, umano. Fatti
assaggiare.»
Questo era male; questo era sbagliato.
Sarebbe successo
qualcosa di terribile se Heath fosse
entrato nel cerchio.
Completamente affascinato da lei, lui
barcollò avanti senza
esitazione (né buonsenso).
Gli afferrai un braccio e fui felice di
vedere che Erik gli
prendeva l'altro. «Basta, Heath! Voglio
che te ne vada. Subito.
Non devi stare qui.»
Con uno sforzo, lui staccò gli occhi da
Afrodite, si liberò
dalla stretta di Erik e praticamente gli
ringhiò. Poi si voltò verso di
me. «Tu mi tradisci!»
«Ma proprio non ascolti? Non posso
tradirti, dato che non
stiamo insieme! Adesso esci da…»
«Se si oppone al nostro richiamo, allora
andremo noi da lui.»
Girai la testa di scatto e vidi Afrodite in
preda alle
convulsioni mentre dal suo corpo
uscivano dei filamenti di fumo
grigio e lei emetteva un sospiro a metà
tra un singhiozzo e un
grido. Gli spiriti, inclusi quelli da cui
era evidentemente stata
posseduta, si precipitarono al margine
del cerchio, facendo
pressione nel tentativo di liberarsi e
gettarsi su Heath.
«Afrodite, fermali o lo uccideranno!»
Damien sbucò da
dietro una siepe ornamentale che
circondava il laghetto.
«Damien, cosa…» cominciai, ma lui
scosse la testa.
«Non c'è tempo di spiegare», ribatté in
fretta prima di
riportare l'attenzione su Afrodite. «Tu
sai cosa sono, devi
trattenerli all'interno del cerchio
altrimenti lui morirà», le gridò.
Afrodite era così pallida che sembrava
un fantasma anche lei.
Si allontanò dalle figure di fumo, che
tentavano ancora
d'infrangere l'invisibile confine del
cerchio, fino a ritrovarsi
appoggiata contro il tavolo. «Non li
fermerò. Se lo vogliono,
possono averlo. Meglio lui di me… o
del resto di noi.»
«Già, non vogliamo avere niente a che
fare con questa
merda!» Terribile lasciò cadere la
candela, che sfrigolò e si
spense. Senza aggiungere altro, corse
via dal cerchio e giù dalle
scale del gazebo.
Le altre tre ragazze che personificavano
gli elementi
seguirono il suo esempio e scomparvero
in fretta nella notte,
lasciando le candele rovesciate e spente.
Piena di orrore, osservai una delle
figure grigie cominciare a
sciogliersi attraverso il cerchio, il fumo
del suo corpo spettrale che
scivolava come un serpente lungo la
scala, nella nostra direzione.
Percepii un movimento tra le Figlie e i
Figli Oscuri e mi guardai
intorno: stavano arretrando
nervosamente con un'espressione
spaventata che ne distorceva i volti.
«Tocca a te, Zoey.»
«Stevie Rae!»
La mia amica vacillava in mezzo al
cerchio. Si era levata di
dosso il mantello che l'aveva coperta
fino a quel momento
mostrando così le bende bianche ai
polsi. «Te l'avevo detto che
dovevamo restare uniti.» Stevie Rae mi
rivolse un debole sorriso.
«Meglio che ti spicci», disse Shaunee.
«Quei fantasmi stanno facendo cagare
sotto il tuo ex»,
concluse Erin.
Mi girai e vidi le gemelle accanto a un
Heath pallido e con la
bocca spalancata, e provai un moto di
gioia totale: non mi avevano
abbandonata! Non ero sola!
«Sistemiamo 'sta faccenda. Tienilo
lì», ordinai a Erik che mi fissava sullo
sconvolto andante.
Senza bisogno di controllare che i miei
amici mi seguissero,
mi affrettai a salire fino al gazebo pieno
di spettri. Quando
raggiunsi il confine del cerchio, esitai un
istante. Gli spiriti si
stavano lentamente dissolvendo
attraverso di esso, l'attenzione
focalizzata interamente su Heath. Presi
un respiro profondo e
oltrepassai la barriera invisibile,
provando un freddo tremendo
mentre i morti mi sfioravano.
«Non hai il diritto di stare qui. Questo è
il mio cerchio!»
Afrodite si riprese quanto bastava per
increspare il labbro in un
ringhio e bloccarmi l'accesso al tavolo e
alla candela dello spirito,
che era l'unica ancora accesa.
« Era il tuo cerchio. Adesso devi
startene zitta e levarti dai
piedi», ribattei.
Afrodite mi fissò, gli occhi a fessura.
Ah, cacchio, proprio non avevo tempo
per quello.
«Senti, testa di cavolfiore sfiorito, devi
fare quello che dice
Zoey. Sono due anni che muoio dalla
voglia di dartene una
sorba!» Shaunee venne al mio fianco.
«Anch'io, stronza di una strega zoccola.»
Erin si sistemò
sull'altro lato.
Prima che le gemelle potessero
avventarsi su Afrodite, il
grido di Heath mandò in pezzi la notte.
Girai sui tacchi e vidi che
la nebbia gli stava strisciando sulle
gambe, lasciando lunghi
strappi sottili che cominciarono subito a
sanguinare. In preda al
panico, Heath scalciava e strillava. Erik
non se n'era andato e
prendeva anche lui a calci la foschia,
anche se, ogni volta che
quella gli si appiccicava addosso, gli
strappava vestiti e pelle.
«Presto! Ai vostri posti», urlai prima
che l'allettante odore del
loro sangue potesse rovinarmi la
concentrazione.
I miei amici corsero a prendere le
candele abbandonate e si
misero ad aspettare ciascuno nella
propria posizione.
Girai intorno ad Afrodite, che stava
fissando Heath ed Erik,
le mani premute sulla bocca come a
trattenere un grido.
Afferrai la candela viola e mi precipitai
da Damien. «Aria! Io
ti convoco in questo cerchio», strillai,
accostando il cero viola a
quello giallo. Avrei voluto piangere di
sollievo quando l'ormai
familiare vortice salì roteando intorno a
me, sollevandomi i
capelli. Proteggendo la fiamma con la
mano, corsi da Shaunee.
«Fuoco! Io ti convoco in questo
cerchio!» Mentre accendevo la
candela rossa, il calore montò assieme
al vento vorticoso. Non mi
fermai, continuando invece a spostarmi
in senso orario intorno al
cerchio. «Acqua! Io ti convoco in questo
cerchio!» Ed ecco il
mare, salmastro e dolce. «Terra! Io ti
convoco in questo cerchio!»
Sfiorai con la fiamma la candela di
Stevie Rae, cercando di non
trasalire alla vista delle bende che le
coprivano i polsi. Era pallida
in modo anormale, ma fece un gran
sorriso quando l'aria sì riempì
del profumo dell'erba appena tagliata.
Heath gridò di nuovo e io corsi al centro
del cerchio,
sollevando la candela viola. «Spirito! Io
ti convoco in questo
cerchio!» Fui attraversata da una scarica
di energia e, quando
guardai il mio cerchio, vidi senza ombra
di dubbio la striscia di
forza che ne delimitava la circonferenza.
Chiusi un attimo gli
occhi. Oh, Nyx, grazie!
Poi posai il cero viola sul tavolo e presi
il calice del vino,
quindi mi voltai verso Heath, Erik e
l'orda di fantasmi. «Ecco il
vostro sacrificio!» gridai, versando il
contenuto del calice in un
arco disordinato intorno a me, che andò
a creare un cerchio color
sangue sul pavimento del gazebo. «Non
siete stati chiamati qui per
uccidere. Siete stati evocati perché è
Samhain e volevamo rendervi
onore.» Rovesciai dell'altro vino,
sforzandomi d'ignorare
l'attrattiva che aveva su di me il profumo
del sangue che vi era
stato mescolato.
Gli spettri interruppero il loro attacco.
Mi concentrai su di
loro, non volevo lasciarmi distrarre dal
terrore negli occhi di
Heath e dal dolore in quelli di Erik.
Sacerdotessa, noi preferiamo questo
sangue giovane e caldo.
L'arcana voce echeggiò fino a me,
mandandomi brividi lungo
la schiena. Giuro che sentivo l'odore di
carne decomposta in
quell'alito soprannaturale. Deglutii con
forza. «Lo capisco, ma
quelle vite non sono per voi. Stanotte è
un'occasione di festa, non
di morte.»
E tuttavia noi scegliamo la morte, che
ci è più cara. Una
risata spettrale fluttuò nell'aria col fumo
contaminato della
ierocloe, e gli spiriti ripresero a
convergere su Heath.
Gettai il calice e alzai le mani. «Allora
non ve lo chiedo più,
ve lo ordino. Vento, fuoco, acqua, terra e
spirito! Vi comando, in
nome di Nyx, di chiudere questo
cerchio, riportando indietro i
morti cui è stato consentito di fuggire.
Ora!» Mi sentii attraversare
da un'ondata di calore che uscì dalle mie
braccia tese.
In una ventata bollente e profumata di
mare, una luminosa
foschia verde partì frusciando da me e
scese le scale per
avvolgersi intorno a Heath e a Erik,
facendo agitare furiosamente i
loro vestiti e i capelli. Il vento magico
catturò le figure fumose e le
strappò alle vittime, quindi, con un
rombo assordante, le risucchiò
all'interno dei confini del mio cerchio.
Mi ritrovai circondata da
figure spettrali, da cui percepivo un
pericolo e una fame pulsante
con la stessa chiarezza con cui prima
avevo percepito il sangue di
Heath.
Afrodite era raggomitolata sulla sedia
per la paura e, quando
un fantasma la sfiorò, lanciò uno
strilletto che sembrò agitarli
ancora di più, quindi mi si premettero
addosso con violenza.
«Zoey!» Stevie Rae gridò il mio nome,
la voce resa acuta
dalla paura. La vidi muovere un passo
esitante verso di me.
Damien intervenne: «No! Non spezzare
il cerchio. Non
possono far male a Zoey… non possono
far male a nessuno di noi,
perché il cerchio è troppo forte. Ma solo
se non lo spezziamo».
«Noi non andiamo da nessuna parte»,
gridò Shaunee.
«No di certo, sto bene dove sto», ribadì
Erin, giusto un po' a
corto di fiato.
Percepivo la loro lealtà, la loro fiducia
e accettazione come
fossero un sesto elemento, che mi diede
molta sicurezza.
Raddrizzai la schiena e fissai i fantasmi
che vorticavano rabbiosi.
«Dunque, dato che noi non ce ne
andiamo, vuol dire che dovete
proprio andarvene voi.» Indicai il vino e
il sangue versati a terra.
«Accettate il vostro sacrificio e
andatevene da qui. Questo è tutto
il sangue che vi è dovuto stanotte.»
L'orda fumosa smise di agitarsi.
Sapevo di averli in pugno, quindi presi
un bel respiro e diedi
fine alla cosa. «Col potere degli
elementi, io ve lo ordino: via di
qui!»
Subito, come se li avesse colpiti un
gigante invisibile, si
dissolsero nel pavimento del gazebo
zuppo di vino e di sangue,
assorbendo chissà come il liquido, che
sparì assieme a loro.
Emisi un lungo e stremato sospiro di
sollievo, quindi d'istinto
mi voltai verso Damien. «Grazie, vento,
puoi lasciarci.»
Damien stava per spegnere la candela,
ma non ce ne fu
bisogno perché fu un lieve e giocoso
soffio di brezza a farlo per
lui, che mi rivolse un sorrisone, poi
sgranò da matti gli occhi.
«Zoey! Il tuo Marchio!»
«Cosa?» Mi portai la mano alla fronte,
che bruciava e
pizzicava, come peraltro anche il collo e
le spalle (il che quadrava,
dato che ho sempre male a spalle e collo
quando sono
iperstressata). In più vibravo ancora
tutta per i postumi dei poteri
elementari, quindi non me n'ero neanche
accorta.
La sua espressione sconvolta diventò
felice. «Finisci di
chiudere il cerchio, poi puoi usare uno
degli innumerevoli specchi
di Erin per vedere cos'è successo.»
Mi voltai verso Shaunee per salutare il
fuoco.
«Wow… incredibile», disse lei
fissandomi.
«Ehi, tu, come fai a sapere che in borsa
ho più di uno
specchio?» Dall'altra parte del cerchio,
Erin si stava lamentando
con Damien, ma, quando mi voltai verso
di lei per congedare
l'acqua, vedendo la mia fronte, anche i
suoi occhi diventarono
immensi. «Cazzarola!»
«Erin, non dovresti imprecare in un
cerchio sacro. Sappiamo
tutti che non è…» stava dicendo Stevie
Rae nella sua dolce
inflessione Okie, quando mi girai a
salutare la terra e le parole le si
bloccarono in gola per lasciare posto a
un semisoffocato:
«Masssantocielo!»
Sospirai. Diavolo, cos'altro è successo?
Tornai al tavolo e
sollevai la candela dello spirito.
«Grazie, spirito, puoi andare.»
«Perché?» Afrodite si era alzata
talmente di scatto da far
cadere la sedia. Come tutti gli altri, mi
fissava con un'espressione
shockata assolutamente ridicola.
«Perché tu? Perché non io?»
«E adesso di cosa stai parlando,
Afrodite?»
«Sta parlando di questo.» Erin mi tese il
portacipria che
aveva preso dall'elegante borsa di pelle
che teneva sempre sulla
spalla.
L'aprii e guardai nello specchio.
All'inizio non capii cosa
stavo vedendo perché era troppo
insolito, troppo stupefacente.
Poi, vicino a me, Stevie Rae mormorò:
«È bellissimo…»
E mi resi conto che aveva ragione. Era
bellissimo. Al mio
Marchio erano state aggiunte delle parti:
delicate volute di
tatuaggio color zaffiro lieve come un
pizzo m'incorniciavano gli
occhi. Non era un disegno complesso e
grande come quelli dei
vampiri adulti, ma non si era mai visto
su un novizio. Seguii con
le dita il motivo sinuoso, pensando che
sembrava qualcosa che
poteva decorare il viso di un'esotica
principessa straniera… o
magari la Somma Sacerdotessa di una
Dea. E fissai attentamente
quella me che non ero proprio io, quella
sconosciuta che stava
diventando sempre più familiare.
«E questo non è tutto, Zoey. Guardati la
spalla», bisbigliò
Damien.
Diedi un'occhiata alla profonda
scollatura sulla schiena del
mio favoloso vestito e mi sentii
attraversare da una scossa per lo
stupore. Ero tatuata anche lì. Dal collo e
fin sulla schiena mi
scendevano dei sinuosi ricami color
zaffiro molto simili a quelli
che avevo in faccia, solo che questi
sembravano ancora più
antichi, ancora più misteriosi, perché
erano disseminati di simboli
simili a lettere. Aprii la bocca per dire
qualcosa, ma non ne uscì
niente.
«Zy, lui ha bisogno di aiuto.»
Erik interruppe il mio stato di shock;
alzai gli occhi dalla mia
spalla e lo vidi barcollare fino al gazebo
trasportando di peso un
Heath privo di sensi.
«Non importa. Lascialo qui. Domattina
qualcuno lo troverà.
Dobbiamo andarcene prima che si
sveglino le guardie», intervenne
Afrodite.
Mi girai come un fulmine. «E ti chiedi
perché io e non tu?
Magari perché Nyx è stanca e stufa di
una prepotente, egoista,
viziata, odiosa…» M'interruppi,
incazzata al punto da non riuscire
a trovare altri termini adatti.
«Carogna!» aggiunsero in stereo Erin e
Shaunee.
«Già, certo, carogna.» Mi avvicinai e le
dissi tutto sul muso.
«Questa storia della Trasformazione è
già abbastanza incasinata
senza una come te. A meno che non si
voglia essere tuoi…» Diedi
un'occhiata a Damien e sorrisi. «…
piaggiatori, ci fai sentire come
se non c'entrassimo con tutto questo,
come se non contassimo
niente. Be', Afrodite, adesso è finita.
Quello che hai fatto stasera
era completamente, assolutamente
sbagliato. Hai quasi fatto
morire Heath e magari sarebbe potuto
succedere anche a Erik e
chissà a quanti altri, tutto per il tuo
egoismo.»
«Non è stata colpa mia se il tuo ragazzo
ti ha rintracciata
qui», strillò.
«No, la presenza di Heath non è stata
colpa tua, ma è l'unica
cosa di cui non sei responsabile stanotte.
È stata colpa tua se le tue
cosiddette amiche non ti hanno sostenuta
per mantenere forte il
cerchio. Ed è stata colpa tua se gli
spiriti negativi hanno trovato il
cerchio, tanto per cominciare.»
Sembrava confusa e questo mi fece
incavolare ancora di più. «La salvia,
strega odiosa! Bisogna usare
la salvia per ripulire dall'energia
negativa, prima di usare la treccia
di sweet grass. Non c'è da stupirsi che
tu abbia evocato degli
spiriti tanto orrendi.»
«Già, perché sei orrenda pure tu»,
commentò Stevie Rae.
«Tu devi soltanto tenere chiusa quella
bocca di merda,
frigorifero», ringhiò Afrodite.
«No!» Le misi un dito in faccia. «Questa
stronzata del
frigorifero sarà la prima a finire.»
«Oh, adesso vorresti fingere di non
desiderare il sangue più
di chiunque di noi?»
Guardai i miei amici, che incrociarono
il mio sguardo senza
tentennamenti. Damien mi fece un
sorriso d'incoraggiamento,
Stevie Rae assentì, le gemelle
strizzarono l'occhio. E mi resi conto
di essere stata una stupida. Non avevano
intenzione di mollarmi.
Erano i miei amici. Avrei dovuto fidarmi
di più di loro, anche se
non avevo ancora imparato a fidarmi di
me stessa.
«Alla fine tutti arriviamo a desiderare il
sangue», replicai
semplicemente. «Oppure moriamo. Ma
questo non ci rende dei
mostri, ed è ora che le Figlie Oscure
smettano di recitare quella
parte. Hai chiuso, Afrodite. Non sei più
a capo delle Figlie
Oscure.»
«E suppongo che adesso creda di essere
tu il capo, giusto?»
Annuii. «Proprio così. Non sono venuta
alla Casa della Notte
in cerca di questi poteri, non volevo
altro che un posto in cui
sentirmi accettata. Be', immagino che
questo sia il modo di Nyx di
rispondere alla mia preghiera.»
Sorrisi ai miei amici, che risposero con
altrettanto slancio.
«Evidentemente, la Dea ha senso
dell'umorismo.»
«Stupida troia, non puoi mica prenderti
il posto così. Soltanto
una Somma Sacerdotessa può cambiare
la leader del gruppo.»
«Opportuno, quindi, che io sia qui, ti
pare?» intervenne
Neferet.
29
Neferet uscì dall'ombra e raggiunse il
gazebo, andando subito
da Heath e da Erik. Per prima cosa
sfiorò il viso di Erik e controllò
i tagli sulle braccia che si era procurato
cercando invano di
strappare Heath alla furia dei fantasmi.
Il sangue delle ferite si
asciugò al solo passaggio della mano
della Somma Sacerdotessa
ed Erik emise un sospiro di sollievo,
come se il dolore fosse
scomparso.
«Queste guariranno. Quando torniamo a
scuola, vieni in
infermeria così ti do dell'unguento che
ridurrà le fitte.» Neferet gli
diede un buffetto sulla guancia e lui
arrossì come un pomodoro.
«Rimanendo a proteggere il ragazzo hai
dimostrato il coraggio di
un guerriero vampiro. Sono orgogliosa
di te, Erik Night, e lo è
anche la Dea.»
Alle sue parole provai un'ondata di
piacere: anch'io ero
orgogliosa di lui.
Poi udii un mormorio di consenso e mi
accorsi che le Figlie e
i Figli Oscuri erano tornati e affollavano
le scale che portavano al
gazebo. Da quanto erano lì a guardare?
Neferet rivolse la sua attenzione a Heath
e io mi dimenticai
degli altri. Sollevò le gambe dei calzoni
sbrindellati ed esaminò i
segni sanguinolenti che aveva lì e sulle
braccia. Poi gli prese tra le
mani il volto pallido e rigido e chiuse
gli occhi. Osservai il corpo
di Heath irrigidirsi ulteriormente ed
essere preda delle
convulsioni, poi però lui emise un
sospiro e, come Erik, si rilassò.
Dopo un istante sembrò dormisse
tranquillo invece di lottare
silenziosamente contro la morte.
«Si riprenderà», disse Neferet ancora
inginocchiata accanto a
lui. «E non ricorderà niente di questa
notte, tranne di essersi
ubriacato e quindi perso nel tentativo di
trovare la sua quasi-exragazza.» Guardò verso di me, gli occhi
gentili e pieni di
comprensione.
«Grazie», mormorai.
Neferet mi rivolse un cenno di assenso
con la testa, prima di
alzarsi ad affrontare Afrodite. «Io sono
responsabile di quanto è
successo qui stasera quanto te. Sapevo
da anni del tuo egoismo,
ma avevo deciso di passarci sopra
sperando che con l'età e l'aiuto
della Dea saresti maturata. Mi
sbagliavo.» La sua voce assunse il
tono limpido e potente del comando.
«Afrodite, io ti sollevo
ufficialmente dalla posizione di leader
delle Figlie e dei Figli
Oscuri. Non verrai più istruita per
diventare Somma Sacerdotessa.
Da questo momento sei uguale a tutti gli
altri novizi.» Con un
unico movimento fluido, Neferet allungò
la mano, afferrò la
collana d'argento e granati che portava
Afrodite e gliela strappò
dal collo.
Afrodite non emise suono ma, mentre
fissava Neferet senza
abbassare lo sguardo, il suo viso
sembrava di gesso.
La Somma Sacerdotessa le diede le
spalle e si avvicinò a me.
«Zoey Redbird, sapevo che eri speciale
fin dal giorno in cui Nyx
mi ha lasciato prevedere che saresti
stata Segnata.» Mi sorrise e mi
mise un dito sotto il mento,
sollevandomi la testa per poter
guardare meglio le nuove aggiunte al
mio Marchio, quindi mi
scostò i capelli rendendo visibili anche i
tatuaggi che mi erano
comparsi su collo, spalle e schiena.
Udii le Figlie e i Figli Oscuri restare
senza fiato mentre anche
loro davano una prima occhiata alle mie
insolite decorazioni.
«Straordinario, davvero straordinario»,
mormorò Neferet,
lasciando poi ricadere la mano lungo il
fianco per riprendere il
discorso ad alta voce. «Stanotte hai reso
evidente la saggezza della
scelta della Dea nel farti dono di poteri
speciali. Ti sei guadagnata
la posizione di leader delle Figlie e dei
Figli Oscuri e di futura
Somma Sacerdotessa, grazie ai doni
elargiti dalla Dea e alla tua
personale compassione e saggezza.» Mi
tese la collana di
Afrodite, che mi risultò calda e pesante
in mano. «Indossala con
maggiore buonsenso di quanto non abbia
fatto chi ti ha
preceduta.» Poi fece un gesto davvero
incredibile. Neferet,
Somma Sacerdotessa di Nyx, mi rivolse
il saluto formale, pugno
incrociato sul petto e testa china, nel
segno di rispetto dei vampiri.
A parte Afrodite, tutti intorno a noi
l'imitarono.
Avevo la vista annebbiata dalle lacrime
quando i miei quattro
amici mi fecero un gran sorrisone e
s'inchinarono assieme agli altri
membri delle Figlie e dei Figli Oscuri.
Ma anche nel bel mezzo di una felicità
così assoluta, percepii
l'ombra della confusione. Come avevo
potuto dubitare di potermi
confidare con Neferet?
«Torna alla Casa della Notte, mi
occuperò io di quanto
dev'essere fatto qui», mi disse Neferet.
Mi abbracciò brevemente
sussurrando: «Sono così orgogliosa di
te, Zoey Redbird». Quindi
mi diede una leggera spinta in direzione
dei miei amici. «Date il
benvenuto alla nuova leader delle Figlie
e dei Figli Oscuri!»
Damien, Stevie Rae, Shaunee ed Erin
capitanavano le
acclamazioni, poi tutti mi vennero
intorno e mi sembrò di essere
trascinata via dal gazebo da
un'esuberante ondata di risa e di
congratulazioni. Annuii e sorrisi ai miei
nuovi «amici», ma non
ero una stupida e non avevo certo
dimenticato che appena qualche
attimo prima avevano approvato tutto
quello che diceva Afrodite.
Senza dubbio ci sarebbe voluto
parecchio tempo per
cambiare le cose.
Arrivati al ponte, ricordai a tutti che
dovevamo stare in
silenzio tornando a scuola e feci cenno
al gruppo di precedermi.
Quando Stevie Rae, Damien e le
gemelle stavano per attraversare
il ruscello, li fermai. «No, ragazzi, voi
camminate con me.»
Con un sorriso che arrivava alle
orecchie, i quattro mi si
misero intorno. Incrociai lo sguardo
luminoso di Stevie Rae. «Non
avresti dovuto offrirti volontaria come
frigorifero. So quanto ti
facesse paura.»
Il sorriso della mia amica si affievolì
sotto il tono di
rimprovero della mia voce. «Ma, Zoey,
se non l'avessi fatto, non
avremmo saputo dove si teneva il
rituale. In questo modo ho
potuto mandare un messaggio a Damien
e lui e le gemelle sono
arrivati qui. Sapevamo che avevi
bisogno di noi.»
Sollevai le mani e lei smise di parlare,
ma sembrava sul
punto di mettersi a piangere, quindi le
sorrisi con gentilezza. «Non
mi hai lasciata finire. Stavo per dire che
non avresti dovuto farlo,
ma che sono tanto felice che tu l'abbia
fatto!» L'abbracciai e tra le
lacrime sorrisi anche agli altri tre.
«Grazie. Sono davvero felice
che ci foste tutti voi.»
«Ehi, Zy, è questo che fanno gli amici»,
replicò Damien.
«Già», convenne Shaunee.
«Esatto», concluse Erin.
E si strinsero intorno a me in un
gigantesco, soffocante
abbraccio di gruppo. Che mi piacque da
matti.
«Ehi, posso partecipare?»
Alzai lo sguardo e vidi Erik in piedi lì
vicino.
«Oh, sì, come no, devi assolutamente»,
rispose subito
Damien, illuminandosi.
Stevie Rae si sciolse in risatine, mentre
Shaunee sospirò e
disse: «Piantala, Damien. Altra squadra,
ricordi?»
Poi Erin mi spinse fuori del centro del
gruppo, verso Erik.
«Dai un bell'abbraccio a 'sto poveretto.
Stanotte ha cercato di
salvare il tuo ragazzo.»
«Il mio ex-ragazzo», replicai in fretta,
finendo tra le braccia
di Erik, decisamente sopraffatta
dall'odore del sangue fresco che
ancora resisteva su di lui e dal fatto che
mi stava, be',
abbracciando.
Poi, in aggiunta al resto, Erik mi baciò
con tanta forza che
giuro credetti che mi sarebbe saltata via
la testa.
«Ma, per favore, un po' di contegno»,
sentii dire a Shaunee.
«Trovatevi una camera!» aggiunse Erin.
Damien sogghignava mentre io,
imbarazzata, mi liberavo
dalla stretta di Erik.
«Se non mangio svengo, 'sta storia del
frigorifero ti mette una
fame da lupo!» esclamò Stevie Rae.
«Be', andiamo a cercarti qualcosa di
buono», replicai.
I miei amici s'incamminarono e sentii
Shaunee battibeccare
con Damien sulla scelta tra pizza e
panini.
«Ti rompe se ti faccio compagnia?»
chiese Erik.
«Nooo, ormai ci ho fatto l'abitudine»,
replicai con un sorriso.
Lui scoppiò a ridere e raggiunse il
ponte.
Poi dall'oscurità alle mie spalle udii un
chiarissimo e
scocciatissimo «miii-au-uff!»
«Vai pure, vi raggiungo in un attimo»,
dissi a Erik tornando
indietro verso il prato. «Nala? Miciamicia-micia…»
E, sicuro come l'oro, una brontolante
palla di pelo spuntò
fuori dei cespugli. Mi chinai a prenderla
in braccio e lei iniziò
immediatamente a fare le fusa. «Allora,
sciocchina, perché mi hai
seguita fin qui se poi non ti piace
camminare? Come se non ti
fosse già capitato abbastanza per
stanotte», mormorai, ma, prima
di poter raggiungere di nuovo il ponte,
Afrodite uscì dall'ombra e
mi bloccò la strada.
«Puoi anche aver vinto, stasera, ma non
è finita», esordì.
Mi fece sentire davvero stanca. «Non
stavo cercando di
'vincere' un bel niente, volevo solo
aggiustare le cose.»
«Ed è questo che pensi di aver fatto?» Il
suo sguardo si
spostava nervoso da me al sentiero che
portava al gazebo, quasi
come se qualcuno la stesse seguendo.
«Tu non sai cos'è successo
realmente stanotte. Sei solo stata usata…
noi siamo state usate.
Siamo dei burattini, ecco cosa siamo.»
Si passò una mano sul viso
con gesto rabbioso e mi accorsi che
stava piangendo.
«Senti, Afrodite, tra noi non deve andare
necessariamente
così», dissi sottovoce.
«Oh, sì, invece! È la parte che si
presume dobbiamo recitare.
Vedrai… vedrai…» Fece per
allontanarsi.
Un pensiero inatteso mi passò nella
mente, un ricordo. Era di
lei, durante la sua visione. Come se
stesse succedendo di nuovo, le
sentii dire: Sono morti! No. No. Non è
possibile! Non è giusto. No.
Non è normale! Io non capisco… Io
non… Tu… tu sai. Il suo grido
di terrore mi echeggiò nella testa e
pensai a Elizabeth, a Elliott, al
fatto che erano apparsi a me.
All'improvviso, troppo di quanto
aveva detto aveva senso. «Afrodite,
aspetta!»
Si voltò a guardarmi oltre la spalla.
«La visione che hai avuto oggi nello
studio di Neferet, a cosa
si riferiva?»
Scosse lentamente la testa. «È solo
l'inizio. Succederà di
molto peggio.» Si girò e per un attimo
ebbe un'esitazione, perché
cinque ragazzi – i miei amici – le
bloccavano la strada.
«Va tutto bene, lasciatela andare», dissi.
Shaunee ed Erin si separarono per farla
passare, Afrodite
sollevò la testa, scosse i capelli
all'indietro e superò il gruppetto a
grandi passi, come fosse la padrona del
mondo. La osservai
attraversare il ponte e mi si aggrovigliò
lo stomaco. Lei sapeva
qualcosa di Elizabeth e di Elliott, e
prima o poi sarei riuscita a
scoprire di cosa si trattava.
«Ehi», disse Stevie Rae.
Guardai la mia compagna di stanza e
nuova migliore amica.
«Qualunque cosa succeda, ci siamo
dentro insieme.»
Sentii il nodo allo stomaco sciogliersi di
parecchio.
«Andiamo», li esortai.
E, circondata dai miei amici, tornai a
casa.
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P.C &Kriste Cast
Marked
Marked,2007
Alla nostra splendida agente,
Meredith Bernstein,
che ha pronunciato le parole magiche:
«Scuola superiore per vampiri».
We y
❤ ou!
Dal poema di Esiodo a Nyx,
personificazione della notte per
gli antichi greci:
… Quaggiù le terribili case
son dell'oscura Notte, nascoste tra i
nuvoli negri.
Dinanzi a quelle porte, dritto il figliuol
di Giapèto
regge, col capo e le mani mai stanche,
la volta del cielo
solidamente, dove la Notte e il Giorno,
movendo
l'un verso l'altra, mutan parole; e la
soglia di bronzo
varcano alterni, che mai tutti e due non
li accoglie la casa…
Esiodo, Teogonia
1
Proprio quando pensavo che la giornata
non potesse andare
peggio di così, vidi il morto che se ne
stava in piedi vicino al mio
armadietto. Kayla stava sparando a
raffica le sue solite kaylate e
manco si era accorta di lui. All'inizio. A
dire il vero, adesso che ci
penso, nessuno si era accorto di lui
finché non aveva parlato,
dettaglio che, tragicamente, è una prova
in più della mia anomala
incapacità d'integrarmi con gli altri.
«Ma no, Zoey, giuro su Dio che Heath
non era poi così
sbronzo dopo la partita. Non dovresti
essere tanto dura con lui.»
«Sì, già. Certo», le avevo risposto
distratta. Poi mi ero messa
a tossire. Di nuovo. Mi sentivo da
schifo. Dovevo essermi presa
quella che Mr Wise, il mio non-proprioso-lo-un-po' pazzo
insegnante di biologia, chiamava peste
dei teenager. Se muoio,
pensavo, posso saltare il compito dì
geometrìa di domani?
Sperare non costa niente.
«Scusa, Zoey, ma mi stai ascoltando?
Credo si fosse fatto
solo… non so… sei birre, e forse un
paio di chupiti. Ma non è
questo il punto. Probabilmente non se ne
sarebbe sparato neanche
uno se i tuoi stupidi genitori non ti
avessero fatta andare a casa
subito dopo la partita.»
Ci eravamo scambiate un'occhiata da
quanto-mi-toc-casopportare, trovandoci del tutto
d'accordo sull'ultima ingiustizia
che mi avevano fatto mia madre e il
fallito-acquisito che aveva
sposato tre lunghissimi anni prima.
Poi, dopo una pausa di un nanosecondo
scarso, Kay aveva
ripreso a blaterare: «E poi stava
festeggiando. Voglio dire,
abbiamo battuto Union!» Kay aveva
iniziato a scuotermi per le
spalle e mi aveva cacciato la faccia
sotto il naso. «Ohiii! Il tuo
ragazzo…»
«Il mio quasi-ragazzo», l'avevo corretta,
cercando in tutti i
modi di non tossirle addosso.
«Quello che è. Heath è il nostro
quarterback, quindi è chiaro
che vada a festeggiare. Erano un milione
di anni che Broken
Arrow non batteva Union.»
«Sedici.» Sono negata in matematica, ma
Kay è una tale
incapace che mi fa sembrare un genio.
«Ok, quello che è. Il punto è che era
felice. Dovresti dargli
tregua ogni tanto!»
«Il punto è che è la quinta volta che si
sbronza questa
settimana. Mi dispiace ma non voglio
uscire con un ragazzo il cui
scopo principale nella vita oscilla tra
cercare di giocare a football
al college e buttar giù sei lattine di fila
senza vomitare. Per non
parlare del fatto che con tutta quella
birra diventerà grasso.» Mi
ero dovuta interrompere per tossire. Mi
girava un po' la testa e,
quando l'accesso di tosse era finito, mi
ero costretta a prendere dei
respiri lenti e profondi.
Non che la spara kaylate se ne fosse
accorta. «Uuuh! Heath
grasso! Non ci voglio neanche pensare.»
Ero riuscita a ignorare un altro stimolo a
tossire. «E baciarlo
è come succhiare un piede tenuto a
mollo nell'alcol.»
La faccia di Kay si era accartocciata.
«Okay, hai le tue cose.
Certo che è talmente figo…»
Io avevo alzato gli occhi al cielo, senza
preoccuparmi
minimamente di non far vedere quanto
fossi scocciata dalla sua
solita banalità.
«Sei così scorbutica quando hai le tue
cose! Be', comunque,
non hai idea dell'espressione da cocker
bastonato che aveva Heath
dopo che l'hai ignorato a pranzo. Non
riusciva neanche…»
In quel momento lo vidi. Il morto. Okay,
me ne accorsi in
fretta che non era tecnicamente «morto».
Era nonmorto. O nonumano. Quello che è. Gli scienziati
dicono una cosa, la gente
normale un'altra, ma il risultato è lo
stesso. Non ci si poteva
sbagliare su chi fosse e, anche se non
avessi percepito la forza e
l'oscurità che irradiavano da lui, non
avrei potuto in nessunissimo
modo non vedere il suo Marchio, la
mezzaluna blu zaffiro che
aveva sulla fronte e i tatuaggi di nodi
intrecciati che gli
incorniciavano gli occhi altrettanto
azzurri. Era un vampiro, anzi,
peggio: era un Rintracciatore.
E che diavolo, era in piedi vicino al mio
armadietto!
«Zoey, tu proprio non mi stai
ascoltando!»
Poi le parole formali del vampiro
scivolarono morbide a
riempire lo spazio che ci divideva,
pericolose e allettanti, come
sangue misto a cioccolato fuso: «Zoey
Montgomery! La Notte t'ha
prescelta; la tua morte sarà la tua
nascita. La Notte ti chiama;
presta ascolto alla Sua dolce voce. Il tuo
fato t'attende alla Casa
della Notte!» Sollevò un lungo dito
bianco e lo puntò verso di me.
Mentre la fronte mi esplodeva per il
dolore, Kayla aprì la
bocca e si mise a strillare.
Quando finalmente sparirono le macchie
bianche dalla vista,
alzai lo sguardo e vidi la faccia
stravolta di Kay che mi fissava.
Tanto per cambiare, dissi la prima
stupidata che mi venne in
mente. «Kay, ti stanno uscendo gli occhi
dalle orbite. Sembri un
pesce.»
«Ti ha Segnata. Oh, Zoey! Hai il profilo
di quella cosa sulla
fronte!» Si portò una mano tremolante
sulle labbra pallide nel
vano tentativo di trattenere un
singhiozzo.
Mi misi a sedere. Avevo un mal di testa
da spararsi e presi a
massaggiarmi la fronte proprio tra le
sopracciglia. Pungeva come
se mi avesse morsicata una vespa e
irradiava dolore intorno agli
occhi e sugli zigomi. Mi sentivo come se
stessi per vomitare.
Adesso Kay si era messa a piangere sul
serio e parlava tra un
singulto e l'altro. «Zoey! Oh. Mio. Dio.
Quel tizio era un
Rintracciatore – un Rintracciatore di
vampiri!»
Sbattei con forza le palpebre, cercando
di farmi passare il
male che mi attanagliava la testa.
«Smettila di piangere. Sai che
detesto vederti frignare.» Allungai la
mano con l'intenzione di
darle una pacca sulle spalle per
consolarla, ma lei
automaticamente si scansò.
Non ci potevo credere. Si era davvero
fatta piccola piccola,
come se avesse paura di me. Dovette
accorgersi che c'ero rimasta
male perché riprese subito con
un'interminabile tiritera di kaylate.
«Oh, Dio, Zoey! Cos'hai intenzione di
fare? Non puoi andare in
quel posto. Non puoi diventare una di
quelle cose. Non può essere
vero! Con chi dovrei andare a vedere
tutte le nostre partite di
football?»
Notai che mentre parlava non si era mai
sognata di venirmi
più vicino. Diedi un freno alla
sensazione di dolore e di nausea
che avevo dentro e che rischiava di
farmi scoppiare a piangere. I
miei occhi si asciugarono all'istante. Ero
brava a trattenere le
lacrime; dopotutto, avevo avuto tre anni
per fare pratica. «È tutto
okay. Risolverò la cosa. Probabilmente
si tratta di… un qualche
strano errore», mentii.
Non avevo realmente parlato, piuttosto
avevo fatto uscire
delle parole dalla bocca. Con una
smorfia per il gran male alla
testa, mi alzai e, guardandomi intorno,
vidi con un certo sollievo
che Kay e io eravamo sole nell'aula di
matematica. Dovetti
ricacciare indietro quella che sapevo
sarebbe stata una risata
isterica. Se non avessi sclerato per il
test di geometria del giorno
dopo e non mi fossi fiondata
all'armadietto per prendere il libro in
modo da poter studiare ossessivamente
(e inutilmente) tutta notte,
il Rintracciatore mi avrebbe beccata
fuori della scuola, davanti alla
maggior parte dei milletrecento ragazzi
della South Intermediate
High School di Broken Arrow che
aspettavano quelle che con
grande compiacimento la mia stupida
sorella clone di Barbie
amava chiamare «le grosse limousine
gialle». Io ho la macchina,
ma lei trova che starsene un po' coi
meno fortunati che devono
prendere il pulmino sia un ottimo
sistema per controllare chi ci
prova con chi.
A dirla proprio tutta, nella sala di
matematica c'era anche un
altro ragazzo, un babbo sfigato lungo e
secco con un disastro di
denti che, purtroppo, riuscivo a vedere
anche troppo bene, dato
che se ne stava a guardarmi a bocca
aperta come un merluzzo,
neanche avessi appena partorito una
nidiata di maialini volanti.
Tossii di nuovo, questa volta una
schifida tosse catarrosa, e lo
sfigato emise una sorta di squittio e se la
filò in corridoio verso la
stanza di Mrs Day stringendo una tavola
piatta e quadrata contro il
petto ossuto. A quanto pareva il club
degli scacchi aveva spostato
gli incontri al lunedì.
Chissà se i vampiri giocavano a scacchi.
E chissà se anche tra
loro c'erano branchi di sfigati. E le
cheerleader vampire sosia di
Barbie? Anche i vampiri suonavano in
un gruppo? E c'erano
vampiri emo con le loro stranezze tipo
indossare calzoni da
ragazza o coprirsi metà della faccia con
quelle orrende frangette?
Oppure erano tutti dark strampalati cui
non piace molto lavarsi?
Mi sarei trasformata in una dark? O
peggio ancora in un'emo? Non
amavo particolarmente vestirmi di nero,
o almeno non solo di
nero, e non provavo un'improvvisa e
imbarazzante avversione per
acqua e sapone, né avevo un ossessivo
desiderio di cambiare
pettinatura e mettermi troppo eyeliner.
Nella testa mi frullavano
tutte quelle domande, quando sentii che
stava per scapparmi
un'altra risatina isterica e fui quasi
contenta che dalla gola mi
uscisse invece un colpo di tosse.
«Zoey? Stai bene?» La voce di Kayla
era troppo acuta, come
se qualcuno le stesse dando un
pizzicotto, e aveva fatto un altro
passo indietro.
Sospirai e provai la mia prima scheggia
di rabbia. Mica
l'avevo chiesto io che succedesse. Kay
era la mia migliore amica
sin dalla terza elementare e adesso mi
guardava come fossi
diventata un mostro. «Kayla, sono
sempre io. La stessa di due
secondi fa, di due ore fa e di due giorni
fa.» Gesticolai con aria
frustrata in direzione della mia testa
dolorante. «Questo non
cambia quella che sono!»
Gli occhi di Kay si riempirono
nuovamente di lacrime, ma
per fortuna il suo cellulare cominciò a
suonare Material girl di
Madonna. Automaticamente diede
un'occhiata al display, e
dall'espressione da coniglio-beccato-dafari-d'auto capii che si
trattava di Jared, il suo ragazzo.
«Vai, torna a casa con lui», le dissi in
tono piatto e stanco.
Il suo evidente sollievo fu come uno
schiaffo in faccia.
«Mi chiami dopo?» mi gridò voltandosi
a malapena mentre
batteva in rapida ritirata fuori della
porta laterale.
La guardai correre sul prato in direzione
del parcheggio est.
Aveva il telefonino appiccicato
all'orecchio e parlava con Jared a
mitraglia. Ero certa che gli stesse già
dicendo che mi stavo
trasformando in un mostro.
Il problema, ovviamente, era che
trasformarmi in un mostro
era la migliore delle due alternative che
avevo. Alternativa
Numero 1: mi trasformo in vampiro,
termine equivalente a mostro
nella testa di qualunque essere umano.
Alternativa Numero 2: il
mio corpo rifiuta la Trasformazione e io
muoio. Per sempre.
Perciò la buona notizia era che il giorno
dopo non avrei
dovuto fare il test di geometria.
La notizia cattiva era che mi sarei
dovuta trasferire nella Casa
della Notte, un collegio privato nella
Midtown di Tulsa, nota a
tutti i miei amici come la Scuola
Superiore per Vampiri, dove
avrei trascorso i successivi quattro anni
sopportando bizzarre e
innominabili trasformazioni fisiche,
oltre a un totale e permanente
terremoto nella mia esistenza. Sempre
ammesso che l'intero
processo non mi uccidesse, è ovvio.
Grandioso. Non volevo fare nessuna
delle due cose. Volevo
soltanto cercare di essere normale,
nonostante il peso dei miei
genitori iper-reazionari, del mio
fratellino simile a un troll e della
mia io-sì-che-sono-perfetta sorella
maggiore. Volevo passare il
compito in classe di geometria. Volevo
prendere dei bei voti ed
essere accettata a veterinaria alla OSU,
entrare al college e
andarmene da Broken Arrow, Oklahoma.
Ma soprattutto volevo
sentirmi parte del gruppo, almeno a
scuola. Casa era diventata un
disastro, perciò mi restavano soltanto gli
amici e la mia vita
lontano dalla famiglia.
E adesso mi era stato tolto anche quello.
Mi massaggiai la fronte, quindi mi
arruffai i capelli in modo
che mi coprissero in parte gli occhi e,
con un po' di fortuna, anche
il Marchio che mi era comparso al di
sopra. A testa bassa, come se
fossi stata affascinata dalla sostanza
appiccicosa che chissà come
si era formata nella mia borsa, mi
affrettai a raggiungere la porta
da cui si arrivava al parcheggio studenti.
Mi fermai un attimo prima di uscire.
Attraverso i vetri del
portone vidi Heath, circondato da una
marea di ragazze che si
atteggiavano e scuotevano i capelli,
mentre i ragazzi smanettavano
con pickup talmente grossi da risultare
ridicoli e cercavano (quasi
tutti senza riuscirci) di avere un'aria
figa. Come si fa a essere
attratti da roba simile? A dirla tutta,
dovevo confessare che in
realtà Heath era sempre stato molto
dolce, e che aveva ancora i
suoi momenti. Soprattutto quando si
sprecava a essere sobrio.
Risatine sguaiate mi arrivavano dal
parcheggio. Grandioso.
Kathy Richter, la più grande troia della
scuola, stava fingendo di
colpire Heath. Persino da dove mi
trovavo io era evidente che
pensava che dargli un pugno fosse una
sorta di rituale di
accoppiamento, ma come al solito
quell'ingenuo di Heath non
faceva altro che starsene lì con un gran
sorriso stampato in faccia.
Oh, be', che diavolo, la mia giornata non
sarebbe proprio
migliorata. Ed eccolo là, il mio
maggiolino blu del '66, giusto
dietro di loro. No. Non potevo uscire da
quella parte. Non potevo
passare in mezzo a tutti con quella cosa
sulla fronte. Non sarei mai
più riuscita a far parte del gruppo.
Sapevo anche troppo bene
cos'avrebbero fatto. Mi ricordavo
dell'ultimo ragazzo scelto da un
Rintracciatore nella nostra scuola.
Era successo all'inizio dell'anno
precedente. Il Rintracciatore
era arrivato quando non erano ancora
cominciate le lezioni e lo
aveva puntato. Io non avevo visto il
Rintracciatore, però avevo
visto il ragazzo, dopo, giusto per un
secondo, quando aveva
lasciato cadere i libri ed era corso fuori
dell'edificio, il nuovo
Marchio che gli luccicava sulla fronte e
le lacrime che gli
scendevano sulla faccia troppo pallida.
Non avevo dimenticato
com'era piena la scuola quel giorno e
come tutti si erano tirati
indietro, allontanandosi, mentre lui
scappava di corsa dall'ingresso
principale, neanche avesse avuto la
peste. Ero stata anch'io una di
quelli che si erano fatti da parte per
lasciarlo passare e osservarlo,
anche se mi era dispiaciuto davvero per
lui. Solo che non volevo
essere etichettata come l'unica-ragazzache-è-amica-di-queglistrampalati. Piuttosto ironico, no?
Invece di andare alla macchina mi
diressi ai bagni più vicini
che, per fortuna, erano vuoti. C'erano tre
gabinetti – sì, controllai
più volte che non spuntassero dei piedi
da sotto – e due lavandini
attaccati a una parete, sopra ognuno dei
quali era appeso uno
specchio di grandezza media. Il muro
opposto era coperto da un
immenso specchio con sotto una mensola
su cui appoggiare
spazzole, trucchi e robe varie. Ci misi la
borsa e il libro di
geometria, presi un profondo respiro e
con un gesto rapido
sollevai la testa scostando i capelli.
Fu come fissare il viso di una
sconosciuta dall'aria familiare.
Sì, insomma, come quando si vede una
persona tra la folla e si
potrebbe giurare di conoscerla ma
invece non è vero. Solo che
adesso ero io, la sconosciuta dall'aria
familiare.
Aveva i miei occhi. Erano dello stesso
color nocciola che non
riusciva a decidersi se voleva essere
verde o marrone, ma i miei
non erano mai stati tanto grandi e
rotondi. Oppure sì? Aveva i
miei capelli, lunghi, dritti e scuri quasi
come quelli della nonna
prima che cominciassero a diventare
d'argento. La sconosciuta
aveva i miei zigomi alti, il mio naso,
lungo e importante, e la mia
bocca larga, altri tratti presi dalla nonna
e dai suoi antenati
cherokee. Ma la mia faccia non era mai
stata così pallida. Io sono
sempre stata olivastra, con la carnagione
molto più scura rispetto
al resto della mia famiglia. Ma forse non
era la pelle che
all'improvviso era diventata così
bianca… magari sembravo
pallida in confronto al contorno blu
scuro della mezzaluna
posizionata perfettamente al centro della
fronte. O magari era
colpa di quelle orribili luci al neon.
Speravo fosse per le luci.
Osservai il tatuaggio dall'aria esotica.
Unito ai miei decisi
lineamenti cherokee sembrava
marchiarmi con un segno
selvaggio, come se appartenessi a tempi
antichi, quando il mondo
era più grande, più… barbaro.
Da quel momento la mia vita non
sarebbe più stata la stessa.
E per un attimo – appena un istante –
dimenticai l'orrore della non
appartenenza al gruppo e provai una
sconvolgente scossa di
piacere, mentre dentro di me, nel
profondo, il sangue del popolo di
mia nonna gioiva.
2
Quando ritenni che fosse passato
abbastanza tempo e tutti se
ne fossero andati da scuola, mi
risistemai i capelli sulla fronte e
uscii dal bagno affrettandomi a
raggiungere il parcheggio degli
studenti. La strada sembrava libera:
c'era giusto un ragazzo con
quegli orribili pantaloni larghi e molli
da vorrei-far-parte-di-unabanda-ma-chi-mi-vuole che
attraversava, ma era lontano. In più,
dato che tenersi su i calzoni per evitare
che cadessero mentre
camminava assorbiva tutta la sua
attenzione, non mi avrebbe
neanche notata. Strinsi i denti per
sopportare il dolore pulsante alla
testa e schizzai fuori della porta, diretta
al mio maggiolino.
Appena messo piede all'esterno, il sole
cominciò a picchiare.
Non che fosse una giornata
particolarmente soleggiata: c'erano un
sacco di quelle nuvole grandi e
batuffolose che stanno così bene
nelle foto a semi-nascondere il sole.
Non aveva importanza.
Dovetti strizzare gli occhi come una
matta e tenere una mano a
proteggerli anche da quella luce
intermittente. Suppongo fu perché
mi stavo concentrando così tanto sul
dolore provocato da qualche
scarso raggio di sole che non mi accorsi
del pickup finché non si
fermò sgommando proprio davanti a me.
«Ehi, Zo! Non hai
trovato il mio messaggio?» Oh, cacchio
cacchio cacchio! Heath.
Alzai gli occhi, osservandolo tra le dita
come se stessi guardando
uno di quegli stupidi film splatter. Era
nel vano posteriore
scoperto del pickup del suo amico
Dustin, che sedeva in cabina
insieme col fratello Drew. I due stavano
facendo quello che fanno
di solito, cioè giocare alla lotta e
discutere su Dio solo sa quale
stupida roba da maschi. Per fortuna,
entrambi m'ignoravano.
Tornai a guardare Heath e sospirai.
Aveva una birra in mano
e un sorriso da scemo stampato in
faccia. Dimenticando per un
attimo che ero appena stata Segnata ed
ero destinata a diventare un
emarginato mostro succhiasangue, mi
misi a sgridarlo: «Stai
bevendo a scuola! Ma sei pazzo?»
Il suo sorriso da bambino diventò
ancora più largo. «Sì che
sono pazzo, piccola, ma di te!»
Scossi la testa e gli voltai le spalle per
aprire la scricchiolante
portiera del maggiolino e ficcare libri e
zaino sul sedile del
passeggero. «Come mai non siete
all'allenamento di football?»
chiesi, continuando a tenere la faccia
rivolta da un'altra parte.
«Non hai sentito? Abbiamo un giorno di
vacanza per il calcio
nel sedere che abbiamo dato a Union
venerdì!»
Dustin e Drew, che dopotutto dovevano
avere ascoltato la
nostra conversazione, si esibirono in un
paio di «ua-ua-ua-uau!» e
«sì-sì-sì!» di festeggiamento in tipico
stile Oklahoma.
«Oh. No. Devo essermi persa l'avviso.
Sono stata impegnata,
oggi. Sai, per il test di geometria.»
Cercavo di avere un'aria
tranquilla e disinvolta, poi tossii e
aggiunsi: «Per di più mi sta
venendo un raffreddore del cacchio».
«Zo, senti, sei incazzata o roba simile?
Cioè, Kayla ti ha
detto qualche stronzata sulla festa? Lo
sai che non ti ho tradita per
davvero.»
Come? Kayla non aveva detto neanche
una singola parola
riguardo a Heath che mi tradiva. Come
una cretina, mi dimenticai
(d'accordo, solo per un attimo) del mio
nuovo Marchio e girai di
scatto la testa per potergli tirare
un'occhiataccia. «E cos'è che non
avresti fatto, Heath?»
«Io, Zo? Lo sai che non farei mai…» Ma
la sua professione
d'innocenza condita da scuse varie si
sciolse in una poco attraente
espressione di shock con relativa bocca
spalancata non appena
vide il Marchio che avevo sulla fronte.
«Cosa ca…» iniziò a dire,
ma lo interruppi.
«Sstt!» Inclinai la testa in direzione di
Dustin e Drew, ancora
ignari, che adesso cantavano a pieni
stonatissimi polmoni l'ultimo
CD di Toby Keith.
Heath aveva ancora gli occhi sgranati e
sconvolti, ma
abbassò la voce. «È un trucco che ti
serve per le lezioni di teatro?»
«No. Niente del genere», bisbigliai.
«Ma non puoi essere Segnata. Noi
stiamo insieme.»
«Noi non stiamo insieme!» Proprio in
quel momento la mia
mini tregua dalla tosse cessò. In pratica
mi piegai in due, per un
schifoso accesso davvero catarroso.
«Ehi, Zo, devi piantarla con le
sigarette!» gridò Dustin dalla
cabina.
«Già, ancora un po' sputi un polmone»,
aggiunse Drew.
«Ragazzi, lasciatela in pace! Sapete che
non fuma. È
diventata un vampiro!»
Grandioso. Magnifico. Con la sua solita
totale e assoluta
mancanza di qualcosa che somigli anche
vagamente al buonsenso,
Heath pensava davvero di prendere le
mie difese mettendosi a
urlarlo ai suoi amici, che
immediatamente tirarono fuori la testa
dal finestrino e presero a fissarmi come
se fossi un esperimento di
scienze.
«Tieni chiusa quella bocca! Ho già
avuto una giornata del
cazzo e proprio non ho bisogno che ti ci
metta anche tu.» Poi mi
rivolsi a Drew e Dustin, che adesso
stavano zitti, con gli occhi
sgranati, quindi aggiunsi: «O voi».
Mentre sostenevo lo sguardo di
Dustin mi accorsi di una cosa, una cosa
che mi sconvolse e allo
stesso tempo mi eccitò non poco:
sembrava che lui avesse paura.
Paura sul serio. Diedi un'occhiataccia a
Drew e anche lui
sembrava spaventato. Poi lo sentii. Un
formicolio che mi passava
sulla pelle e faceva bruciare il mio
nuovo Marchio.
Potere. Sentivo il potere.
«Zo? Che cazzo ti prende?» La voce di
Heath spezzò la mia
concentrazione e mi fece staccare lo
sguardo dai fratelli.
«Via di qui!» Dustin mise la marcia e
pestò sull'acceleratore.
Il pickup sbandò in avanti facendo
perdere l'equilibrio a Heath,
che, con un gran mulinare di braccia e
volare di birra, scivolò e
cadde sull'asfalto del parcheggio.
Corsi da lui. «Stai bene?»
Heath era carponi e mi chinai per
aiutarlo a rialzarsi.
Poi lo annusai. Aveva un odore
incredibile: caldo, dolce e
delizioso. Aveva cambiato dopobarba?
O era una di quelle strane
robe al feromone che si presume attirino
le donne come un
gigantesco richiamo per insetti
geneticamente progettato? Non mi
ero accorta di essergli tanto vicino
finché non si alzò e i nostri
corpi si trovarono quasi appiccicati.
Abbassò lo sguardo, una domanda negli
occhi.
Io non mi allontanai. Avrei dovuto. E
prima l'avrei fatto, ma
non in quel momento. Non quel giorno.
«Zo?» disse piano, con voce profonda e
roca.
Non riuscii a non dirgli che aveva
proprio un buon odore. Il
cuore mi batteva così forte che ne
sentivo l'eco nelle tempie.
«Zoey, mi sei mancata tanto. Dobbiamo
rimetterci insieme.
Lo sai che ti amo sul serio.» Allungò la
mano per toccarmi il viso
e ci accorgemmo tutti e due che aveva il
palmo sporco di sangue.
«Ah, merda. Devo aver…» La sua voce
si spense appena mi
guardò in faccia.
Potevo solo immaginare cosa dovevo
sembrare, così pallida,
col mio nuovo Marchio blu zaffiro e gli
occhi fissi sul sangue.
Non riuscivo a muovermi; non riuscivo a
guardare da un'altra
parte. «Io voglio… Io voglio…»
mormorai. Cos'è che volevo?
Non riuscivo a dirlo. Anzi, no, non è
vero. Non potevo dirlo. Non
potevo parlare ad alta voce dell'ondata
di desiderio che stava
cercando di sommergermi. E non era
perché Heath mi stava così
vicino. Era già successo. Be', eravamo
usciti insieme per un anno,
ma non mi aveva mai fatto sentire così,
niente a che vedere. Mi
morsi il labbro e gemetti.
Il pickup stridette per fermarsi,
sterzando vicino a noi. Drew
saltò giù e afferrò Heath per la vita,
trascinandolo verso la cabina.
«Piantala! Sto parlando con Zoey!»
Heath cercò di opporsi a Drew, ma
quello era il linebacker
anziano di Broken Arrow, una vera
montagna. Dustin si allungò a
dargli una mano, poi chiuse con forza la
portiera.
«Lascialo stare, mostro!» mi strillò
Drew mentre Dustin dava
gas e stavolta partiva davvero a razzo.
Salii nel mio maggiolino. Le mani mi
tremavano tanto che
dovetti fare tre tentativi prima di
riuscire ad accendere il motore.
«Devo solo arrivare a casa. Devo solo
arrivare a casa.»
Continuai a ripetere quelle parole
mentre guidavo e tossivo da
maledetti. Non volevo pensare a quello
che era appena successo.
Non potevo pensare a quello che era
appena successo.
Alla fine ci misi un quarto d'ora, ma mi
sembrò un attimo.
Ero seduta in macchina nel vialetto e
cercavo di prepararmi alla
scenata che sapevo, sicuro come il tuono
segue al lampo, mi
aspettava dentro.
Ma perché ero stata così ansiosa di
andare a casa? Be',
suppongo che tecnicamente stessi
semplicemente scappando da
quello che era successo con Heath al
parcheggio.
Ah, no! Non ci dovevo pensare, non in
quel momento. E in
ogni caso con ogni probabilità c'era una
qualche spiegazione
razionale per tutto, una spiegazione
semplice e razionale. Dustin e
Drew erano dei ritardati, dei cervellini
alla birra sottosviluppati e
immaturi. Non avevo usato chissà quale
nuovo terrificante potere
per spaventarli, per prendersi una gran
strizza gli era bastato
vedere che ero stata Segnata. Tutto qui.
Insomma, la gente ha
paura dei vampiri.
«Ma io non sono un vampiro!» dissi.
Poi diedi un colpo di
tosse ripensando a quanto avevo trovato
bello e ipnotico il sangue
di Heath, e all'ondata di desiderio che
avevo provato. Non per lui,
ma per il suo sangue.
No! No! No! Il sangue non era né bello
né desiderabile.
Dovevo essere sotto shock. Ecco
com'era. Doveva essere così. Ero
sotto shock e non pensavo con chiarezza.
Okay… okay… mi
sfiorai distrattamente la fronte. Non
bruciava più, ma la sentivo
comunque diversa. Tossii per la
miliardesima volta. Benissimo.
Non volevo pensare a Heath ma non
potevo più negarlo: mi
sentivo diversa. La mia pelle era
ipersensibile, mi faceva male il
petto e, anche se mi ero messa sul naso i
miei fighissimi occhiali
da sole Maui Jim, gli occhi
continuavano a darmi un fastidio
terribile.
«Sto morendo…» gemetti, poi chiusi di
colpo la bocca. In
effetti, potevo stare morendo per
davvero. Alzai lo sguardo verso
la grande villa di mattoni che, dopo tre
anni, ancora non sembrava
casa. «Togliti il pensiero. Togliti il
pensiero e falla finita.»
Perlomeno mia sorella non doveva
essere ancora rientrata:
allenamento da cheerleader. E, se tutto
fosse andato per il meglio,
il troll sarebbe stato totalmente
ipnotizzato dal suo nuovo
videogioco Delta Force: Black Hawk
Down. Potevo avere la
mamma tutta per me. Magari avrebbe
capito… magari avrebbe
saputo cosa fare…
Ah, che cavolo! Avevo sedici anni, ma
all'improvviso mi
rendevo conto che non c'era niente che
volessi quanto la mia
mamma.
«Ti prego, fa' che capisca», mormorai in
una semplice
preghiera a qualunque dio o dea potesse
ascoltarmi.
Come al solito, entrai dal garage. Seguii
il corridoio fino alla
mia camera, dove buttai libro di
geometria, borsa e zaino sul letto.
Poi presi un bel respiro profondo e, un
po' incerta sulle gambe,
andai a cercare mia madre.
La trovai in salotto, raggomitolata sul
bordo del divano,
intenta a bere una tazza di caffè e a
leggere Una tisana calda per
l'anima delle donne. Sembrava così
normale, così simile a quella
che era sempre stata. Solo che una volta
leggeva romanzi stranieri
e si truccava, entrambe cose che il suo
nuovo marito non
permetteva (lo stronzo).
«Mamma?»
«Mmm?» Non alzò gli occhi.
Deglutii con forza. Usai l'abbreviazione
con cui la chiamavo
sempre, prima che sposasse John. «Ma',
ho bisogno del tuo aiuto.»
Non so se fosse stato l'inatteso uso del
«ma'» o se qualcosa
nella mia voce fosse andato a toccare un
vecchio pezzo d'intuito
materno che aveva ancora da qualche
parte dentro di sé, ma lo
sguardo che mi rivolse alzando gli occhi
dal libro fu dolce e pieno
di preoccupazione. «Cosa c'è,
bambina…» iniziò, ma le parole
sembrarono congelarsi sulle labbra non
appena vide il Marchio
sulla mia fronte. «Oh, Dio! Cos'altro hai
combinato adesso?»
Il cuore ricominciò a farmi male.
«Mamma, io non ho
combinato niente. È una cosa che è
successa a me, non a causa
mia. Io non ne ho colpa.»
«Oh, ti prego, no!» riprese a lagnarsi
come se non avessi
detto una parola. «Cosa dirà tuo padre?»
Avevo voglia di gridare: Come cavolo
potremmo sapere cosa
dirà mio padre, dato che non lo
vediamo e non lo sentiamo da
quattordici anni! Ma sapevo che non
sarebbe servito a niente e
che lei andava fuori di testa ogni volta
che le ricordavo che John
non era il mio vero padre. Perciò tentai
una tattica diversa, una che
avevo abbandonato da tre anni.
«Mamma, per favore. Non puoi
semplicemente non dirglielo? Almeno
per un paio di giorni. Resta
tra noi due finché non… non lo so… ci
facciamo l'abitudine o
qualcosa del genere.» Trattenni il fiato.
«Ma cosa potrei dire? Quella cosa non
si copre neanche col
fondotinta.» Le sue labbra s'incurvarono
in modo strano mentre
dava un'occhiata nervosa alla
mezzaluna.
«Non intendevo che sarei rimasta qui
mentre ci facciamo
l'abitudine. Io devo andare, mamma,
questo lo sai.» Dovetti
interrompermi per un accesso di tosse
che mi sconquassò le spalle.
«Il Rintracciatore mi ha Segnata. Devo
trasferirmi alla Casa della
Notte, altrimenti mi ammalerò sempre di
più.» E poi morirò,
cercai di dirle con lo sguardo, perché le
parole non riuscivo a
pronunciarle. «Mi servono solo un paio
di giorni prima di
affrontare…» M'interruppi di nuovo per
non dover pronunciare il
suo nome e questa volta tossii di
proposito, cosa per niente
difficile.
«Ma cosa dovrei dire a tuo padre?»
Sentendo la nota di panico nella sua
voce, provai paura. Ma
come, non era la mia mamma? Non si
presumeva avesse risposte
invece che domande? «Digli… digli che
sto da Kayla un paio di
giorni perché dobbiamo fare una ricerca
di biologia molto
importante.»
Vidi lo sguardo della mamma cambiare,
la preoccupazione
che scompariva e veniva sostituita da
una durezza che conoscevo
anche troppo bene. «Dunque mi stai
dicendo che dovrei
mentirgli.»
«No, mamma. Ti sto chiedendo per una
volta di mettere
quello di cui ho bisogno io prima di
quello che vuole lui. E io ho
bisogno che tu sia la mia ma'. Che mi
aiuti a fare i bagagli e mi
accompagni in quella nuova scuola
perché ho paura e sto male e
non so se posso farcela da sola!» Finii
di slancio, il fiato corto
mentre mi tossivo in mano.
«Non mi ero accorta di avere smesso di
essere tua madre»,
replicò gelida.
Mi fece sentire persino più stanca di
quanto fosse riuscita a
fare Kayla. Sospirai. «Penso che il
problema sia proprio questo,
mamma. Non te ne importa abbastanza
da accorgertene. Non ti è
importato di nient'altro che non fosse
John, da quando l'hai
sposato.»
I suoi occhi erano poco più che una
fessura. «Non so come tu
possa essere tanto egoista. Non ti rendi
conto di tutto quello che ha
fatto per noi? Grazie a lui ho lasciato
quell'orribile lavoro da
Dillards. Grazie a lui non dobbiamo
preoccuparci dei soldi e
abbiamo questa bella casa grande.
Grazie a lui abbiamo sicurezza
e un luminoso futuro.»
Avevo sentito quelle parole talmente
tanto spesso che avrei
potuto recitarle a memoria. Era a quel
punto della nostra nonconversazione che di solito mi scusavo e
andavo nella mia stanza.
Ma quel giorno non mi potevo scusare.
Era diverso. Tutto era
diverso. «No, mamma. La verità è che
grazie a lui non ti sei curata
dei tuoi figli per tre anni. Sapevi che
quella falsa di tua figlia
maggiore è diventata una puttanella
viziata che si è scopata mezza
squadra di football? Sai che videogiochi
schifosi, violenti e pieni
di sangue ti tiene nascosti Kevin? No,
certo che no! Loro due
fingono di essere felici e di apprezzare
John e tutta questa dannata
famiglia di facciata, così tu sorridi,
preghi per loro e lasci che
facciano quello che vogliono. E io?
Pensi che io sia la cattiva del
gruppo perché non fingo, perché sono
sincera. E la sai una cosa?
La mia vita mi fa talmente schifo che
sono contenta che il
Rintracciatore mi abbia Segnata! La
scuola dei vampiri la
chiamano Casa della Notte, ma non può
essere più cupa di questa
casa perfetta!» Prima di mettermi a
piangere o a urlare, girai sui
tacchi e tornai a grandi passi nella mia
stanza, sbattendo la porta.
Spero che affoghino tutti.
Attraverso le pareti troppo sottili potevo
sentirla fare una
telefonata isterica a John. Non c'era
dubbio che sarebbe corso a
casa ad affrontarmi. Il Problema. Invece
di sedermi sul letto a
piangere com'ero tentata di fare, svuotai
la roba di scuola dallo
zaino. Di certo non ne avrei avuto
bisogno nel posto in cui stavo
andando. Probabilmente non c'erano
neanche materie normali.
Probabilmente avevano corsi tipo:
Squarciamento di Gole le…
e… Introduzione alla Visione Notturna.
O quello che è.
Quello che mia mamma avrebbe o non
avrebbe fatto non
importava, io lì non potevo restare.
Dovevo andarmene.
Perciò, cosa mi serviva?
I miei due jeans preferiti oltre a quelli
che avevo su. Un paio
di T-shirt nere. Be', cos'altro si mettono i
vampiri? E poi
smagriscono. Pensavo di non portare la
mia fighissima camicia
scintillante color acquamarina, ma tutto
quel nero mi rendeva
ancora più depressa, perciò l'aggiunsi.
Poi ficcai tonnellate di
reggiseni e tanga e roba per i capelli e il
trucco dentro alla tasca
laterale. Stavo per lasciare il mio
peluche Otis il Pesse (quando
avevo due anni non riuscivo a dire la 'sc'
di pesce) sul cuscino ma
poi… be'… vampiro o non vampiro, non
pensavo sarei riuscita a
dormire bene senza di lui, quindi lo
infilai gentilmente in quel
maledetto zaino.
Udii bussare alla porta e la voce di
quello mi chiamò.
«Cosa?» strillai, per poi contorcermi in
una serie di
disgustosi colpi di tosse.
«Zoey. Tua madre e io dobbiamo
parlarti.»
Grandioso. Più che evidente che non
erano affogati.
Diedi una pacchetta a Otis il Pesse.
«Mio caro Otis, questa
sarà una grandissima rottura di palle!»
Raddrizzai la schiena, tossii
ancora e uscii ad affrontare il nemico.
3
A prima vista il mio fallito-acquisito,
John Heffer, sembra un
tipo okay, addirittura normale e, quando
lui e mia mamma
avevano cominciato a frequentarsi,
avevo persino sentito alcune
delle sue amiche definirlo «bello» e
«affascinante». All'inizio.
Ovviamente adesso mamma ha un
gruppo di amiche
completamente nuovo, tizie che Mr
Bello e Affascinante pensa
siano più appropriate delle divertenti
single con cui lei si trovava
prima.
A me non è mai piaciuto. Davvero. Dal
primo giorno che l'ho
incontrato ho visto soltanto una cosa: un
falso. Finge di essere un
tipo simpatico. Finge di essere un buon
marito. Finge persino di
essere un buon padre.
Ha l'aspetto di qualunque altro uomo in
età-da-papà: capelli
scuri, secche gambette da pollo e un
accenno di pancia. I suoi
occhi sono come la sua anima: di un
gelido marroncino slavato.
Quando arrivai in salotto, lui era in
piedi accanto al divano.
Mia madre era accartocciata sul bordo e
gli stringeva la mano, gli
occhi già rossi e acquosi. Grandioso.
Stava per interpretare la
Madre Ferita e Isterica. Un ruolo che le
riusciva benissimo.
John aveva cominciato a trapassarmi
con lo sguardo, ma il
mio Marchio lo distrasse. La sua faccia
si contorse per il disgusto.
«Allontanati da me, Satana!» citò con
quella che mi piace
considerare la sua voce da sermone.
Sospirai. «Non è Satana. Sono solo io.»
«Zoey, non è il momento per fare del
sarcasmo», disse la
mamma.
Il fallito-acquisito le assestò un distratto
colpetto sulla spalla.
«Me ne occupo io, tesoro.» Poi spostò
di nuovo l'attenzione su di
me. «Te l'avevo detto che il tuo cattivo
comportamento e il tuo
atteggiamento ti avrebbero procurato un
mare di guai. E non mi
stupisce nemmeno che sia capitato così
presto.»
Scossi la testa. Me l'aspettavo. Mi
aspettavo che sarebbe
andata così, eppure ero comunque
sconvolta. Il mondo intero
sapeva che la Trasformazione non
poteva essere provocata in
alcun modo. Tutta la menata del «se ti
morde un vampiro muori e
diventi vampiro anche tu» è
un'invenzione. Da anni gli scienziati
cercano d'individuare la causa della
sequenza di eventi fisici che
porta al vampirismo, nella speranza di
trovare una cura o
quantomeno di creare un vaccino che ne
impedisca il verificarsi.
Finora, nessun risultato. Ma adesso,
John Heffer, il mio fallitoacquisito, aveva scoperto di punto in
bianco che il cattivo
comportamento dei teenager, in modo
più specifico il mio cattivo
comportamento – che consisteva in
massima parte in una bugia
ogni tanto, qualche pensiero incazzoso e
dei commentini un po'
impertinenti diretti in particolare contro
i miei genitori, magari un
po' di lussuria semi-innocente per
Ashton Kutcher (peccato che gli
piacciano le donne più vecchie) –,
aveva realmente determinato
quella reazione fisica nel mio corpo.
Be', che diavolo! Chi poteva
saperlo?
«Non è una cosa che ho causato io»,
riuscii finalmente a dire.
«È una cosa che è capitata a me, non per
colpa mia! Tutti gli
scienziati del pianeta concordano su
questo.»
«Gli scienziati non sono onniscienti.
Loro non sono uomini
di Dio.»
Mi limitai a fissarlo. Era un Anziano del
Popolo della Fede,
posizione di cui oh! quant'era
orgoglioso. Era uno dei motivi per
cui mamma si era sentita attratta da lui e,
a livello strettamente
logico, potevo anche capire perché.
Essere un Anziano significava
essere un uomo di successo. Avere il
lavoro giusto. Una bella
casa. Una famiglia perfetta. Si
presumeva che facesse le scelte
giuste e credesse nelle cose giuste. Sulla
carta, avrebbe dovuto
essere un'ottima scelta come nuovo
marito e padre. Peccato che la
carta non avesse mostrato come stavano
realmente le cose e
adesso, come prevedibile, lui stava
giocando l'asso dell'Anziano e
mi gettava Dio in faccia. Avrei
scommesso le mie stupende nuove
ballerine Steve Madden che questo
irritava Dio almeno quanto
scocciava me.
Ritentai. «L'abbiamo studiato nel corso
di biologia avanzata.
Si tratta di una reazione fisiologica che
si verifica nell'organismo
di alcuni adolescenti quando salgono i
livelli ormonali.»
M'interruppi, concentrata e molto
orgogliosa di me stessa per
essermi ricordata qualcosa che avevo
studiato il semestre
precedente. «In alcune persone gli
ormoni scatenano qualcosa in
un… un…» Mi concentrai di più e
continuai: «… un filamento di
DNA, che dà il via all'intero processo di
Trasformazione». Sorrisi.
Non a John, a dire il vero, ma perché
ero gasata per non aver
dimenticato un modulo che avevamo
finito mesi prima.
Capii che quel sorriso era stato un
errore non appena vidi
John stringere la mascella in modo
familiare. «Il sapere di Dio
supera la scienza ed è blasfemo da parte
tua affermare il contrario,
signorina.»
«Non ho mai detto che gli scienziati
sono più intelligenti di
Dio!» Alzai le mani e cercai di
soffocare un colpo di tosse. «Sto
solo cercando di spiegarti questa cosa.»
«Non ho certo bisogno che sia una
sedicenne a spiegarmi
qualcosa.»
Be', dato che indossava quei pantaloni
davvero orribili e
quella schifezza di camicia, era chiaro
che avrebbe avuto bisogno
che una sedicenne gli spiegasse
qualcosa, ma pensai che non fosse
il momento adatto per accennare alle sue
imbarazzanti ed evidenti
lacune in fatto di moda.
Il viso di mia madre diventò ancora più
pallido mentre
soffocava un singhiozzo. «Ma John,
tesoro, cosa dobbiamo fare
con lei? Cosa penseranno i vicini? Cosa
dirà la gente all'incontro
della domenica?»
Quando aprii la bocca per rispondere lui
strinse le palpebre e
m'interruppe prima che potessi parlare.
«Faremo quello che
dovrebbe fare qualunque famiglia per
bene. Offriremo questo al
Signore.»
Volevano mandarmi in convento?
Purtroppo dovetti superare un'altra crisi
di tosse, quindi
continuò a parlare. «Chiameremo anche
il dottor Asher. Lui saprà
cosa fare per rasserenare la situazione.»
Splendido. Favoloso. Lui fa intervenire
lo strizzacervelli di
famiglia, l'Uomo Senza Espressione.
Perfetto.
«Linda, chiama il numero per le
emergenze del dottor Asher,
poi penso sarebbe saggio attivare la
catena telefonica di preghiera.
Accertati che gli altri Anziani sappiano
che devono riunirsi qui.»
Mia madre annuì e stava per alzarsi,
quando le parole che mi
uscirono di bocca la fecero precipitare
di nuovo sul divano.
«Cosa? La vostra risposta consiste nel
chiamare uno strizzacervelli
che non sa niente di ragazzi e far venire
qui tutti quegli Anziani
bacchettoni? Come se potessero anche
solo provare a cercare di
capire! No!
Ma non ci arrivate? Io me ne devo
andare. Stasera.» Tossii,
producendo un suono torcibudella che
rimbalzò nel petto
facendomi un male cane. «Vedete?
Questo non farà che
peggiorare se non riesco a trovare i…»
Esitai. Perché era tanto
difficile dire «vampiri»? Perché
suonava così esotico, così
definitivo e, una parte di me lo
ammetteva, così incredibile. «Devo
andare alla Casa della Notte.»
Mamma saltò in piedi e per un secondo
pensai che stesse
davvero per salvarmi. Poi John le mise
un braccio intorno alle
spalle con aria di possesso, lei alzò lo
sguardo nella sua direzione
e, quando lo spostò di nuovo su di me, i
suoi occhi sembravano
quasi dispiaciuti, ma le parole che disse
rispecchiavano soltanto
quello che John avrebbe voluto che
dicesse. «Zoey, non credo
proprio che farebbe male a nessuno se
restassi a casa ancora
stanotte, no?»
John intervenne rivolgendosi a lei: «Ma
certo che no. Di
sicuro il dottor Asher troverà il modo di
farci una visita a
domicilio e con lui qui non ci saranno
problemi». Le assestò
un'altra pacchetta sulla spalla, fingendo
che gliene importasse, ma
invece che dolce sembrò viscido.
Spostai lo sguardo da lui alla mamma.
Non intendevano
lasciarmi andare. Non stasera, forse
mai, o almeno non finché non
fossi stata trascinata fuori dai
paramedici del pronto intervento.
All'improvviso capii che non si trattava
solo del Marchio o del
fatto che la mia vita fosse
completamente cambiata. Si trattava del
controllo. Se mi avessero lasciata
andare, avrebbero perso
qualcosa. Nel caso della mamma, mi
piaceva pensare che temesse
di perdere me; quanto a John, sapevo
cosa non voleva perdere.
Non voleva perdere la sua preziosa
autorità e l'illusione che
fossimo una piccola famigliola perfetta.
Come aveva già detto la
mamma: Cosa penseranno i vicini?
Cosa dirà la gente
all'incontro della domenica? John
doveva mantenere l'illusione e,
se questo significava lasciare che mi
ammalassi tanto ma proprio
tanto, be', era un prezzo che era disposto
a pagare.
Io no però.
Pensai che fosse arrivato il momento di
prendere in mano la
situazione (dopotutto, le mie mani sono
piuttosto ben curate),
perciò dissi: «D'accordo. Chiamate il
dottor Asher. Iniziate la
catena telefonica di preghiera. Ma vi
dispiace se vado a sdraiarmi
finché non sono arrivati tutti?» Aggiunsi
un altro colpo di tosse,
tanto per chiarire il concetto.
«Certo che no, tesoro. Probabilmente
con un po' di riposo ti
sentirai meglio», replicò la mamma,
evidentemente sollevata.
Quindi si staccò dal braccio possessivo
di John, mi sorrise e mi
abbracciò. «Vuoi che ti porti un po' di
Vicks NyQuil?»
«No, starò bene», risposi,
aggrappandomi a lei per un
secondo, desiderando da morire che
fosse tre anni prima e lei fosse
ancora mia, ancora dalla mia parte. Poi
feci un respiro profondo e
mi allontanai. «Starò bene», ripetei.
Mi guardò e annuì, dicendomi che le
dispiaceva nell'unico
modo in cui poteva, con gli occhi.
Mentre me ne andavo, diretta verso la
mia stanza, il mio
fallito-acquisito disse alla mia schiena:
«E perché non fai un
favore a tutti noi e cerchi della cipria
per coprire quella cosa che
hai sulla fronte?»
Non mi fermai neanche e continuai a
camminare. E non mi
sarei nemmeno messa a piangere.
Questo me lo ricorderò, mi dissi seria.
Mi ricorderò di
quanto mi hanno fatta stare male oggi.
Perciò, quando sarò sola e
piena di paura e il resto che mi deve
succedere comincerà a
succedere, mi ricorderò che niente può
essere peggio del
rimanere bloccata qui. Niente.
4
Mi misi a sedere sul letto e tossii,
mentre ascoltavo la
mamma fare una telefonata convulsa al
numero per le emergenze
del nostro strizzacervelli, seguita subito
dopo da un'altra chiamata
altrettanto isterica che avrebbe attivato
la temuta catena di
preghiera del Popolo della Fede. Nel
giro di trenta minuti la nostra
casa avrebbe cominciato a riempirsi di
ciccione con relativi mariti
pedofili dagli occhietti porcini, poi mi
avrebbero chiamata per
andare in salotto e il mio Marchio
sarebbe stato ritenuto un
gigantesco e imbarazzante problema,
quindi con ogni probabilità
mi avrebbero unta con qualche
schifezza, che di sicuro mi avrebbe
tappato i pori e fatto venire un brufolo di
dimensioni ciclopiche,
prima d'imporre le mani su di me e
pregare. Avrebbero chiesto a
Dio di aiutarmi a smettere di essere
un'adolescente così terribile e
un problema per i miei genitori. Oh, già,
e anche la questioncina
del mio Marchio sarebbe dovuta èssere
risolta.
Magari fosse stato così semplice. Sarei
stata più che felice di
fare un patto con Dio ed essere una
brava bambina invece di dover
cambiare scuola e specie. Avrei persino
fatto volentieri il test di
geometria. Be', sì, insomma, magari non
volentieri e non il test di
geometria, ma non ero mica stata io a
chiedere di diventare un
mostro. Tutta quella storia significava
che me ne dovevo andare,
cominciare una nuova vita come una
ragazza nuova, in un posto
dove non avevo amici. Sbattei con forza
le palpebre,
imponendomi di non piangere. Ormai la
scuola era l'unico posto in
cui mi sentissi veramente a casa; i miei
amici erano tutta la
famiglia che avevo. Strinsi i pugni e ci
appoggiai sopra la faccia
per non piangere.
Un passo alla volta. Dovevo affrontare
la situazione un passo
alla volta.
Prima di tutto, non mi sognavo neanche
di fronteggiare i
cloni del fallito-acquisito. E, come se il
Popolo della Fede non
fosse stato sufficiente, all'orrenda seduta
di preghiera avrebbe fatto
seguito un'altrettanto scocciante seduta
col dottor Asher. Mi
avrebbe fatto un sacco di domande su
come mi faceva sentire
questo e quello, poi avrebbe continuato
a sproloquiare su come
rabbia e angoscia fossero normali in
un'adolescente, ma che
soltanto io potevo decidere che impatto
avrebbero avuto sulla mia
vita… bla… bla… bla… e, dato che si
trattava di un'«emergenza»,
con ogni probabilità mi avrebbe fatto
disegnare qualcosa che
rappresentasse la mia bambina interiore
o quello che è.
Non c'erano alternative, dovevo
andarmene da lì.
Era una fortuna che fossi sempre stata
«la figlia cattiva» e
che fossi ben preparata a una situazione
simile. D'accordo, quando
avevo nascosto la chiave di riserva
della mia auto nel vaso fuori
della finestra non pensavo esattamente
che mi sarebbe servita per
scappare di casa e unirmi a un gruppo di
vampiri, piuttosto che
avrei potuto volermela squagliare da
Kayla. O che, se avessi
voluto essere davvero cattiva, avrei
potuto incontrare Heath al
parco per strusciarci un po'. Ma poi
Heath si era messo a bere e io
avevo cominciato a trasformarmi in un
vampiro. A volte la vita
proprio non ha senso.
Afferrai lo zaino, aprii la finestra e, con
una facilità che
rifletteva la mia natura di peccatrice
molto più dei noiosi
predicozzi del fallito-acquisito, spinsi
all'esterno la zanzariera.
Inforcai gli occhiali da sole e guardai
fuori. Erano solo le quattro e
mezzo e non faceva ancora buio, perciò
ero felice che la nostra
staccionata mi nascondesse ai
rumorosissimi vicini. Su quel lato
della casa, le uniche altre finestre erano
quelle della stanza di mia
sorella e lei doveva essere ancora
all'allenamento da cheerleader
(mi sa che l'inferno si stava proprio
congelando perché per una
volta ero sinceramente contenta che il
mondo di mia sorella
ruotasse intorno a quello che lei
chiamava «lo sport del tifo»).
Prima lasciai cadere lo zaino, quindi lo
seguii piano fuori della
finestra, facendo attenzione a non fare
nemmeno il rumore di una
piuma quando atterrai sul prato. Lì mi
fermai per un'infinità di
minuti, nascondendomi il viso tra le
braccia per soffocare la mia
tremenda tosse. Poi mi girai e infilai la
mano nella piantina di
lavanda che mi aveva regalato nonna
Redbird e al tatto riconobbi
il duro metallo della chiave nascosta tra
l'erba schiacciata.
Il cancello nemmeno scricchiolò quando
lo aprii il minimo
indispensabile e sgattaiolai fuori come
una Charlie's Angel. Il mio
fighissimo maggiolino stava dove stava
sempre, proprio davanti
alla terza porta del nostro garage triplo.
Il fallito-acquisito non mi
lasciava parcheggiare dentro perché
diceva che il tosaerba era più
importante (più importante di una
Volkswagen d'epoca? E come?
Un'idea simile non sarebbe mai dovuta
passare nell'anticamera del
cervello di nessuno. Cavolo, sembravo
un maschio. Da quando
m'importava che la mia auto fosse
d'epoca? Mi stavo davvero
Trasformando). Guardai a destra e a
sinistra. Niente. Scattai verso
il maggiolino, ci saltai dentro, misi in
folle e ringraziai
sinceramente che il nostro vialetto fosse
ridicolmente ripido,
poiché la mia splendida macchina
scivolò tranquilla e silenziosa
fino in strada. A quel punto, nessun
problema ad accendere il
motore e telare via dal quartiere delle
Grandi Case Costose.
Non guardai neanche nello specchietto
retrovisore.
Allungai la mano e spensi il cellulare.
Non volevo sentire
nessuno.
Be', non era proprio così, perché una
persona con cui volevo
parlare c'era. L'unica persona al mondo
che guardando il mio
Marchio ero certa non avrebbe pensato
che ero un mostro o uno
scherzo della natura o una ragazza
davvero pessima.
Quasi mi avesse letto nel pensiero, il
maggiolino sembrò
svoltare di sua spontanea volontà sulla
rampa che portava alla
Muskogee Turnpike Highway e,
finalmente, al posto più
meraviglioso del mondo: il vivaio di
lavanda di nonna Redbird.
A differenza del tragitto scuola-casa, il
viaggio di un'ora e
mezzo fino al vivaio della nonna sembrò
durare un'eternità.
Quando lasciai la superstrada a due
corsie e imboccai la stradina
in terra battuta con cui si arrivava alla
fattoria, avevo male
ovunque, persino più di quando avevano
preso una nuova
insegnante di educazione fisica
completamente schizzata che
pensava dovessimo fare delle serie di
pesi allucinanti mentre lei
schioccava la frusta e ridacchiava. Sì,
d'accordo, magari la frusta
non ce l'aveva, ma il senso è quello. I
muscoli mi facevano un
male cane. Erano quasi le sei e il sole
cominciava finalmente a
calare, ma gli occhi mi pizzicavano
ancora. A dire il vero, anche il
sole al tramonto mi faceva formicolare
la pelle dandomi una strana
sensazione, che mi rendeva contenta che
fosse la fine di ottobre e
finalmente l'abbassarsi delle
temperature mi permettesse
d'indossare la mia giacca con cappuccio
Borg Invasion 4D (certo,
viene da Star Trek: The Next
Generation e l'ho presa durante una
gita a Las Vegas, e sì, lo ammetto, mi
capita di essere una fan
idiota e convinta di Star Trek) che per
fortuna mi copriva la
maggior parte della pelle. Prima di
scendere dal maggiolino cercai
sul sedile posteriore il vecchio
cappellino dell'università
dell'Oklahoma e me lo calcai in testa, in
modo da nascondere il
viso dal sole.
Casa della nonna si trovava in mezzo a
due campi di lavanda
ed era ombreggiata da immense vecchie
querce. Era stata costruita
nel 1942 in pietra grezza dell'Oklahoma,
con una comoda veranda
e finestre insolitamente grandi. Adoravo
quel posto. Già solo
salire la piccola scala in legno
dell'ingresso mi fece sentire
meglio… al sicuro. Poi vidi il biglietto
appiccicato fuori della
porta, su cui era facile riconoscere la
bella scrittura di nonna
Redbird:
Sono sul promontorio a raccogliere
fiori.
Sfiorai il foglietto lievemente profumato
di lavanda. Sapeva
sempre quando stavo per andare a
trovarla. Da piccola pensavo
fosse strano, ma crescendo avevo
apprezzato sempre di più il suo
sesto senso. Per tutta la vita ho sempre
saputo che, qualunque cosa
fosse successa, potevo contare su nonna
Redbird. Durante i primi
orrendi mesi dopo il matrimonio di
mamma con John credo che mi
sarei raggrinzita fino a morire se non
fossi potuta scappare a casa
della nonna tutti i fine settimana.
Per un attimo considerai l'idea di entrare
(la nonna non
chiudeva mai a chiave la porta) e
aspettarla, ma avevo bisogno di
vederla subito, bisogno che mi
abbracciasse e mi dicesse tutto
quello che avrei voluto mi avesse detto
la mamma: Non aver
paura… andrà tutto bene… faremo in
modo che vada tutto bene.
Perciò, invece di entrare, raggiunsi il
sentierino alla fine del
campo di lavanda più a nord e lo seguii,
sfiorando con la mano la
cima dei cespugli più vicini in modo che
rilasciassero nell'aria il
loro profumo dolce e argentato, come
una sorta di Bentornata a
casa.
Mi sembravano passati anni dall'ultima
volta che ero stata lì,
anche se sapevo che si trattava solo di
poche settimane. A John la
nonna non piaceva. Pensava che fosse
stramba. L'avevo persino
sentito dire alla mamma che la nonna era
«una strega e sarebbe
andata all'inferno». Era un tale
imbecille.
Poi fui colpita da un pensiero
strabiliante e mi fermai di
botto: i miei genitori non controllavano
più quello che facevo.
Non avrei più vissuto con loro. John non
poteva più dirmi cosa
dovevo fare.
Wow! Che sballo!!!
Un tale sballo che mi provocò un attacco
di tosse da farmi
piegare in due, le braccia strette al petto
come se cercassi di
tenerlo assieme. Dovevo trovare nonna
Redbird, e dovevo trovarla
subito.
5
Il sentiero che portava al promontorio
era sempre stato
ripido, ma ci ero salita almeno un
triliardo di volte, con e senza la
nonna, e non mi ero mai sentita così.
Ormai non si trattava più
solo della tosse, e nemmeno dei muscoli
indolenziti. Mi girava la
testa e lo stomaco aveva cominciato a
brontolare tanto forte da
farmi venire in mente Meg Ryan in
French kiss, dopo che aveva
mangiato tutto quel formaggio e le era
venuta una crisi da
intolleranza al lattosio (Kevin Kline è
davvero figo in quel film…
be', per essere un vecchietto).
E mi colava il naso. Non intendo dire
che ogni tanto tiravo un
po' su, intendo che me lo dovevo pulire
sulla manica della giacca
(schifezza colossale). Non riuscivo a
respirare a bocca chiusa e
aprirla mi faceva tossire ancora di più;
il petto mi faceva un male
da non crederci. Cercai di ricordare
cosa ufficialmente provocasse
la morte dei ragazzi che non
completavano la Trasformazione. Gli
veniva un attacco di cuore? O era
possibile che tossissero e
tirassero su col naso fino a morirne?
Smetti di pensare a queste
cose!
Dovevo trovare la nonna. Se non aveva
già le risposte, ci
sarebbe arrivata comunque. Nonna
Redbird capiva le persone.
Diceva che era perché non aveva perso
il contatto con le tradizioni
cherokee e con il sapere tribale delle
antiche Donne Sapienti che le
scorreva nel sangue. Persino in quel
momento mi venne da
sorridere pensando all'espressione della
nonna ogni volta che
viene sollevato l'argomento fallitoacquisito (lei è l'unico adulto a
sapere che lo chiamo così). Secondo la
nonna è chiaro che il
sangue delle Sapienti Redbird ha saltato
sua figlia, ma solo perché
io potessi avere una dose maggiore delle
antiche doti magiche
cherokee.
Da piccola avevo percorso quel sentiero
stringendo la mano
della nonna molte più volte di quante ne
potessi ricordare. Nei
campi di erba alta e fiori selvatici
stendevamo una coperta dai
colori vivaci e facevamo un picnic, poi
la nonna mi raccontava le
storie del popolo cherokee e
m'insegnava alcune parole nella loro
lingua, che per me aveva un suono
misterioso. Mentre risalivo a
fatica il sentiero tortuoso, quegli antichi
racconti sembrarono
vorticarmi nella testa, come il fumo di
un fuoco cerimoniale… La
triste storia della formazione delle
stelle, avvenuta quando un cane
era stato scoperto a rubare farina di
mais e per questo era stato
frustato dalla tribù. Quando il cane era
scappato ululando verso
nord per tornare a casa, la farina si era
sparsa nel cielo e la magia
che c'era in essa aveva creato la Via
Lattea. O quella del Grande
Avvoltoio, che con le ali aveva creato
vallate e montagne. E poi
arrivò la mia preferita, la storia della
giovane Donna Sole, che
viveva a est, e di suo fratello Luna, che
viveva a ovest, e del
Redbird, l'uccellino che era la figlia del
Sole.
«Non è strano? Io sono una Redbird,
figlia del sole, ma mi
sto trasformando in un mostro della
notte.» Mi accorsi che stavo
riflettendo ad alta voce e mi stupii che le
mie parole suonassero
tanto flebili, soprattutto perché parevano
echeggiarmi intorno,
come stessi parlando in un vibrante
tamburo.
Tamburo…
Pensare quella parola mi ricordò i pow
wow cui mi aveva
portata la nonna da bambina, poi non so
come i pensieri resero
vivi i ricordi e udii davvero il ritmico
battito dei tamburi
cerimoniali. Mi guardai intorno,
strizzando gli occhi nonostante la
scarsa luce del giorno morente. Mi
facevano ancora male e la vista
mi si era appannata. Non c'era vento, ma
le ombre delle rocce e
degli alberi sembravano muoversi…
allungarsi… tendersi verso di
me.
«Nonna, ho paura…» gridai tra i colpi
di tosse.
Zoeybird, uccellino mio, non bisogna
temere gli spiriti della
terra.
«Nonna?» Avevo davvero udito la sua
voce chiamarmi col
mio soprannome o si trattava solo di
altre stranezze e di echi che
stavolta venivano dalla memoria?
«Nonna!» gridai ancora, e poi
rimasi immobile in attesa di una
risposta.
Niente. Soltanto il vento.
U-no-le… Il termine cherokee per
indicare il vento fluttuò
nella mia mente come un sogno semi
dimenticato.
Vento? No, frena! Fino a un secondo
prima di vento non ce
n'era, ma adesso mi dovevo tenere il
cappuccio sulla testa e
scostare i capelli che mi frustavano la
faccia. Poi, nel vento, le
udii: voci, tante voci cherokee che
cantavano a tempo col battito
dei tamburi rituali. Attraverso un velo di
capelli e di lacrime vidi
del fumo. Il dolce aroma di pinoli del
bosco di pinyon pine mi
riempì la bocca e sentii il sapore dei
fuochi da campo dei miei
antenati. Cercai di trattenere il respiro.
Fu allora che ne percepii la presenza.
Mi stavano tutti
intorno, figure quasi invisibili che
brillavano debolmente, come le
onde di calore che d'estate salgono da
una strada asfaltata. Le
sentivo premere contro di me mentre
roteavano e danzavano con
passi complicati intorno alla confusa
immagine del fuoco di un
accampamento cherokee.
Unisciti a noi, U-we-tsi, a-ge-hu-tsa…
Unisciti a noi, figlia…
Fantasmi cherokee… annegavo nei miei
stessi polmoni… la
discussione coi miei genitori… la mia
vecchia vita finita…
Era davvero troppo. Mi misi a correre.
Quello che ci insegnano a biologia
riguardo all'adrenalina che
prende il controllo dell'organismo
quando c'è la necessità di
fuggire o di combattere il pericolo è
vero, perché, anche se il mio
petto pareva sul punto di esplodere e mi
sembrava di stare
cercando di respirare sott'acqua, feci
l'ultimo e più ripido pezzo
della salita a una tale velocità che si
sarebbe detto che avevano
aperto tutti i negozi del centro
commerciale e stessero regalando
scarpe.
Procedevo barcollando su per il
sentiero, sempre più su,
cercando di allontanarmi dagli spiriti
che mi aleggiavano intorno
come una nebbia mettendomi paura, ma
pareva che, invece di
lasciarmeli indietro, io stessi correndo
proprio nel loro mondo di
ombre e di fumo. Stavo morendo? Era
così che succedeva? Era per
quello che potevo vedere gli spiriti?
Dov'era la luce bianca?
Completamente in preda al panico, mi
precipitai avanti, le braccia
tese quasi potessero tenere lontano il
terrore che mi dava la caccia.
Non vidi la radice che sporgeva sul
sentiero. Nel
disorientamento più totale, cercai di non
perdere l'equilibrio, ma i
miei riflessi erano andati. Caddi di
peso. Il dolore alla testa fu
acuto, ma durò solo un istante prima che
l'oscurità m'inghiottisse.
Svegliarsi fu strano. Mi sarei aspettata
di avere male da tutte
le parti, soprattutto al petto e alla testa,
invece mi sentivo… be'…
mi sentivo bene. Anzi, a dire il vero, mi
sentivo più che bene. Non
tossivo. Braccia e gambe erano
incredibilmente leggere, calde e
formicolanti, come se mi fossi appena
infilata in una calda vasca
idromassaggio in una sera gelida.
E allora?
La sorpresa mi fece aprire gli occhi. Mi
ritrovai a fissare una
luce che miracolosamente non mi dava
fastidio. A differenza
dell'accecante bagliore del sole, questa
era più simile a una
pioggerella di lumi di candela che
cadeva dall'alto. Mi misi a
sedere e mi accorsi che mi sbagliavo:
non era la luce che
scendeva, ero io che salivo!
Sto andando in Paradiso. Be', questo
sarà un bello shock per
qualcuno. Abbassai lo sguardo e vidi il
mio corpo! Io o lui o…
o… quello che era, giaceva
pericolosamente vicino al ciglio del
promontorio. Immobile. Aveva un taglio
sulla fronte che
sanguinava un sacco e il sangue
gocciolava in una fessura nel
terreno roccioso, creando un sentiero di
lacrime rosse che
cadevano nel cuore del promontorio.
Era stranissimo vedersi lì in basso. Non
avevo paura. Eppure
avrei dovuto, no? Questo non significava
che ero morta? Magari
adesso sarei stata in grado di vedere
meglio gli spiriti cherokee.
Nemmeno quel pensiero mi spaventava.
In realtà, mi sentivo più
come un osservatore, come se niente di
tutto ciò potesse toccarmi
davvero (più o meno come quelle
ragazze che fanno sesso con
tutti e pensano che a loro non capiti di
rimanere incinte o di
prendersi una malattia venerea di quelle
toste che ti mangiano il
cervello e il resto. Be', ci risentiamo tra
una decina d'anni e poi mi
dite, okay?)
Mi piaceva l'aspetto che aveva il
mondo, luccicante e nuovo,
ma era il mio corpo che continuava ad
attirare la mia attenzione.
Mi ci avvicinai fluttuando. Respiravo
con affanno, in piccoli,
rapidi sbuffi. O meglio, il mio corpo
stava respirando così, non la
me che ero io (tanto per fare un po' di
confusione coi pronomi). E
io/lui non aveva un bell'aspetto. Era
pallidissimo e con le labbra
blu. Ehi! Faccia bianca, labbra blu e
sangue rosso! Ammazza che
americana patriottica!
Risi, e fu una cosa incredibile. Giuro
che potevo vedere la
mia risata fluttuarmi intorno, come quei
semi che sembrano un
paracadute e si fanno volare soffiandoci
sopra, solo che, invece di
essere bianca, era di un azzurro glassada-torta-di-compleanno.
Wow! Chi l'avrebbe mai detto che
picchiare la testa e svenire
sarebbe stato tanto divertente? Mi chiesi
se era così che ci si
sentiva a sballare.
La risata di soffione alla glassa si
spense e udii il suono
cristallino dell'acqua che scorre. Mi
avvicinai al mio corpo e
scoprii che quella che all'inizio avevo
creduto essere una fessura in
realtà era uno stretto crepaccio. Il
rumore d'acqua proveniva da lì,
dalle profondità della terra. Incuriosita,
sbirciai giù e dall'interno
della roccia salì uno scintillante accenno
di parole d'argento. Mi
sforzai di ascoltare e venni premiata da
un flebile sussurro
argentino.
Zoey Redbird… vieni da me…
«Nonna!» strillai nella fenditura della
roccia. Le mie parole
erano di un viola intenso e riempivano
l'aria che mi circondava.
«Nonna, sei tu?»
Vieni da me…
L'argento si mescolò al viola della mia
voce visibile, facendo
diventare le parole del luminoso colore
dei fiori di lavanda. Era un
presagio! Un segno! Per qualche
ragione, come gli spiriti guida in
cui il popolo cherokee ha creduto per
secoli, nonna Redbird mi
stava dicendo che dovevo penetrare
nella roccia.
Senza ulteriori esitazioni, il mio spirito
entrò nel crepaccio
seguendo la traccia del sangue e
l'argenteo ricordo del sussurro
della nonna fino ad arrivare sul liscio
pavimento di una sorta di
grotta. Nel mezzo della caverna
gorgogliava un piccolo corso
d'acqua, che liberava nell'aria tintinnanti
schegge luminose di
suono visibile. Mischiandosi alle gocce
scarlatte del mio sangue,
illuminavano la grotta con una luce
guizzante del colore delle
foglie secche.
Avrei voluto sedermi accanto all'acqua e
sfiorare l'aria con le
dita per giocare con la struttura della
musica, ma la voce mi
chiamò di nuovo. Zoey Redbird…
seguimi verso il tuo destino…
Così seguii il richiamo lungo il ruscello.
La grotta si fece più
stretta, diventando una galleria
tondeggiante, che curvò e
procedette in una morbida spirale,
finché non terminò
bruscamente davanti a una parete
coperta di simboli incisi
dall'aspetto familiare e allo stesso
tempo sconosciuto. Confusa,
osservai il ruscello riversarsi in una
fenditura e scomparire alla
vista. E adesso? Avrei dovuto seguirlo?
Tornai a guardare il tunnel. Non c'era
niente a parte la luce
danzante. Spostai lo sguardo ancora
verso la parete e provai una
scossa elettrica. Cavolo! C'era una
donna seduta a gambe
incrociate! Indossava un vestito bianco
con le frange, i cui disegni
di perline ripetevano i simboli sulla
parete alle sue spalle. Era di
una bellezza incredibile, con lunghi
capelli lisci così neri da
sembrare che avessero dei riflessi blu e
viola, come le ali dei
corvi.
Le labbra piene s'incurvarono verso
l'alto quando iniziò a
parlare, riempiendo l'aria tra noi della
forza argentina della sua
voce. Tsi-lu-gi U-we-tsi a-ge-hu-tsa.
Benvenuta, figlia. Hai agito
bene.
Parlava cherokee e, anche se nell'ultimo
paio di anni non mi
ero esercitata molto in quella lingua, ero
riuscita a capirla. «Tu
non sei mia nonna!» sbottai, sentendomi
impacciata e spaesata
mentre le mie parole viola si univano
alle sue creando nell'aria
fantastici arabeschi color lavanda.
Il suo sorriso era come il sole nascente.
No, figlia, non lo
sono, ma conosco molto bene Sylvia
Redbird.
Presi un respiro profondo. «Sono
morta?»
Avevo paura che potesse ridere di me,
invece i suoi occhi
scuri si mostrarono dolci e premurosi.
No, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.
Sei ben lontana dall'essere morta,
anche se il tuo spirito è
temporaneamente libero di vagare nel
regno dei Nunne 'hi.
«Il popolo degli spiriti!» Mi guardai
intorno, nel tunnel,
cercando di vedere volti e forme
nell'ombra.
Tua nonna ti ha insegnato bene, u-s-ti
Do-tsu-wa… piccola
Redbird, uccellino rosso. Sei un
miscuglio unico delle Antiche
Usanze e del Nuovo Mondo, dell'antico
sangue tribale e del
battito pulsante dei profani.
Le sue parole mi fecero provare caldo e
freddo allo stesso
tempo. «Chi sei?»
Sono conosciuta con molti nomi… La
Donna che si
Trasforma, Gea, A'akuluujjusi, Kuan
Yin, Nonna Ragno e anche
Alba… Mentre pronunciava ciascun
nome, il suo volto si
trasformava.
Quella dimostrazione di forza e di
potere mi fece girare la
testa.
Evidentemente se ne accorse perché
s'interruppe e mi rivolse
di nuovo il suo splendido sorriso, quindi
il suo viso tornò a essere
quello della donna che avevo visto
all'inizio. Ma tu, Zoeyhird,
figlia mia, puoi chiamarmi col nome
con cui oggi il mondo mi
conosce, Nyx.
«Nyx.» La mia voce era poco più che un
sussurro. «La dea
dei vampiri?»
In verità, furono gli antichi greci
toccati dalla
Trasformazione i primi a adorarmi
come la madre che cercavano
all'interno della loro notte infinita. Per
molti anni mi sono
compiaciuta di considerare i loro
discendenti come figli. E, sì, nel
tuo mondo questi miei figli sono detti
vampiri. Accetta questo
nome, U-we-tsi a-ge-hu-tsa; in esso
troverai il tuo destino.
Sentivo il Marchio sulla fronte bruciare
e tutto d'un tratto mi
venne voglia di piangere. «Io… io non
capisco. Devo trovare il
mio destino? A me basta trovare un
modo per affrontare la mia
nuova vita, per rendere okay tutto
questo. Dea, io voglio soltanto
integrarmi, sentirmi parte di qualcosa.
Non credo di essere in
grado di trovare il mio destino.»
Il viso di Nyx si addolcì ancora e,
quando parlò, la sua voce
era come quella di mia madre, solo
più… insomma, come se le sue
parole fossero intrise di tutto l'amore
materno del mondo. Credi in
te stessa, Zoey Redbird. Ti ho Segnata
come mia. Tu sarai la mia
prima vera U-we-tsi a-ge-hu-tsa v-hnai Sv-no-yi… Figlia della
Notte… in questo tempo. Tu sei
speciale. Accetta questo lato di te
e comincerai a capire che la tua vera
forza risiede nel tuo essere
unica. In te si combina il magico
sangue delle antiche Sapienti e
degli Anziani, oltre alla percezione e
alla comprensione del
mondo moderno. La Dea si alzò e con
estrema grazia venne verso
di me, la sua voce dipingeva nell'aria
argentei simboli di potere.
Quando mi raggiunse, mi asciugò le
lacrime, prima di prendere il
mio viso tra le mani. Zoey Redbird,
Piglia della Notte, ti nomino
miei occhi e mie orecchie nel mondo di
oggi, un mondo in cui
bene e male lottano per trovare un
equilibrio.
«Ma ho sedici anni! Non so neanche
parcheggiare dritto!
Come posso essere i tuoi occhi e le tue
orecchie?»
Lei si limitò a sorridere serena. Tu sei
più grande della tua
età, Zoeybird. Credi in te stessa e
troverai un modo. Ma ricorda:
non sempre l'oscurità s'identifica col
male, proprio come la luce
non sempre conduce al bene.
Quindi la Dea Nyx, l'antica
personificazione della Notte, si
chinò a baciarmi sulla fronte. E, per la
terza volta quel giorno,
svenni.
6
Bellezza, guarda la nuvola, la nuvola
appare. Bellezza,
guarda la pioggia, la pioggia si
avvicina…
Le parole della vecchia canzone mi
fluttuarono nella
mente. Si vede che stavo sognando
ancora nonna Redbird.
Questo mi fece sentire felice, al caldo e
al sicuro, sensazione
particolarmente piacevole dato che,
negli ultimi tempi, mi
ero sentita davvero da schifo… solo che
non riuscivo a
ricordare con esattezza perché. Oh.
Strano.
Chi ha parlato?
La piccola farfallina del mais,
lassù in cima allo stelo…
Il canto della nonna continuava e io mi
rannicchiai sul
fianco, sospirando mentre strofinavo la
guancia contro il
cuscino morbido. Purtroppo, muovere la
testa mi fece
scoppiare un dolore terribile all'altezza
delle tempie che,
come una pallottola sparata attraverso
una lastra di vetro,
mandò in frantumi la mia felicità
lasciando che il ricordo
della giornata appena trascorsa mi
sommergesse.
Mi stavo trasformando in un vampiro.
Ero scappata di casa.
Avevo avuto un incidente e una sorta di
strana
esperienza premorte.
Mi stavo trasformando in un vampiro.
Oh. Mio. Dio.
Ragazzi, se mi faceva male la testa.
«Zoeybird! Sei sveglia, bambina?»
Sbattei le palpebre per consentire ai
miei occhi annebbiati di
vedere nonna Redbird seduta su una
seggiolina accanto al mio
letto.
«Nonna!» gracchiai, allungandomi a
prenderle la mano. La
mia voce aveva un suono tanto orribile
almeno quanto si sentiva la
mia testa. «Cos'è successo? Dove
sono?»
«Sei al sicuro, uccellino mio. Sei al
sicuro.»
«Mi fa male la testa.» Portai la mano
dove mi sentivo tirare e
bruciare e trovai dei punti.
«Più che logico. Mi hai fatta invecchiare
di dieci anni per lo
spavento.» La nonna mi massaggiò
dolcemente il dorso della
mano. «Tutto quel sangue…»
Rabbrividì, quindi scosse il capo e
mi sorrise. «Che ne diresti di
promettermi di non farlo mai più?»
«Prometto. E così mi hai trovata…»
«Priva di sensi e in una pozza di sangue,
uccellino mio.» La
nonna mi scostò i capelli dalla fronte,
indugiando con delicatezza
sul mio Marchio. «E così pallida che la
mezzaluna scura sembrava
splendere, tanto era in contrasto con la
pelle. Sapevo che era
necessario portarti alla Casa della
Notte, ed è quello che ho fatto.»
Ridacchiò e la luce birichina negli occhi
la fece sembrare una
ragazzina. «Ho chiamato tua madre e le
ho detto che ti stavo
portando alla Casa della Notte, poi ho
finto che mi si stesse
scaricando il cellulare per poter
chiudere la conversazione. Temo
non sia contenta di nessuna di noi due.»
Risposi al suo sorriso. Hi hi, mamma
era arrabbiata anche
con lei.
«Ma, Zoey, cosa facevi in giro di
giorno? E perché non mi
hai detto prima che eri stata Segnata?»
Mi misi a sedere con fatica, gemendo
per il dolore alla testa.
Perlomeno, però, sembrava che avessi
smesso di tossire.
Dev'essere perché finalmente sono
davvero qui, alla Casa della
Notte… Ma il pensiero scomparve dalla
mente non appena
elaborai le parole della nonna. «Aspetta,
non potevo dirtelo prima,
perché il Rintracciatore è venuto a
scuola e mi ha Segnata soltanto
oggi. Poi sono andata a casa. Speravo
davvero che la mamma
avrebbe capito e sarebbe stata dalla mia
parte.» M'interruppi,
ricordando di nuovo l'orribile scena coi
miei genitori.
La nonna capiva benissimo e mi strinse
la mano.
«In pratica lei e John mi hanno chiusa in
camera mentre
chiamavano il loro strizzacervelli e
iniziavano la catena di
preghiera.»
La nonna fece una smorfia.
«Quindi sono strisciata fuori della
finestra per venire dritto
da te», conclusi.
«Sono felice che tu l'abbia fatto,
Zoeybird, ma questo non ha
senso.»
Sospirai. «Lo so. Neanch'io riesco a
credere di essere stata
Segnata. Perché io?»
«Non è quello che intendevo, bambina.
Non mi sorprende
affatto che tu sia stata Rintracciata e
Segnata. Nel sangue dei
Redbird scorre da sempre una forte
magia; era solo una questione
di tempo prima che uno di noi venisse
Scelto. Quello che
intendevo è che non ha senso che tu sia
appena stata Segnata. La
mezzaluna non è solo un contorno, è già
completa.»
«È impossibile!»
«Guarda da te, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.»
Usò il termine cherokee per figlia,
facendomi ricordare di
colpo della misteriosa Dea antica.
La nonna cercò nella borsetta il
portacipria d'argento che
aveva sempre con sé e, senza aggiungere
altro, me lo tese.
Feci scattare la piccola chiusura e
l'oggetto si aprì
mostrandomi il mio riflesso… la
sconosciuta dall'aria familiare…
la me che non ero proprio io. Aveva gli
occhi enormi e la pelle
troppo bianca, ma di quello mi accorsi a
malapena. Era dal
Marchio che non riuscivo a staccare gli
occhi, il Marchio che
adesso era una mezzaluna completa, i
bordi riempiti alla
perfezione dal caratteristico blu zaffiro
dei tatuaggi dei vampiri.
Con la sensazione di trovarmi ancora in
un sogno, allungai la
mano per seguire il contorno del disegno
dall'aria esotica e mi
parve di sentire ancora le labbra della
Dea sulla pelle.
«Cosa significa?», chiesi, incapace di
distogliere lo sguardo.
«Speravamo che avresti avuto tu una
risposta a questa
domanda, Zoey Redbird.» Aveva una
voce incredibile. Anche
prima di alzare gli occhi dal mio
riflesso sapevo che sarebbe stata
unica e splendida. Avevo ragione. Era
bella come una diva del
cinema, bella come Barbie. Non avevo
mai visto niente del genere
da vicino. Aveva grandissimi occhi a
mandorla di un intenso verde
muschio. Il viso era un cuore quasi
perfetto e la pelle aveva quella
cremosa compattezza priva del minimo
difetto che si vede in TV. I
capelli erano rosso scuro, non l'orribile
rosso-carota-tendenteall'arancio, né lo slavato biondo
rossiccio, ma un caldo e lucido
color rame che ricadeva in folte onde
fino a ben sotto le spalle. E
il suo fisico era… be', perfetto. Non era
magra come quelle
ragazze strampalate che vomitavano e
facevano la fame per
cercare di raggiungere quello che
pensavano fosse lo chic di Paris
Hilton («Questo è fiiigo!» Sì, certo,
Paris, se lo dici tu), il corpo di
quella donna era perfetto perché era
forte ma tutto curve. E aveva
delle grandi tette (come mi piacerebbe
avere le tette grandi!)
«Eh?» replicai come una babba.
La donna mi sorrise mostrando denti
straordinariamente
bianchi e dritti… e senza canini
sporgenti. Oh, suppongo di
essermi dimenticata di dire che a tutta
quella perfezione si
aggiungeva una mezzaluna color zaffiro
accuratamente tatuata al
centro della fronte, da cui partivano
delle linee sinuose che mi
ricordarono le onde dell'oceano e che
andavano a incorniciarle le
sopracciglia per poi estendersi fino agli
zigomi, che erano alti,
naturalmente.
Era un vampiro.
«Ho detto che speravamo avessi tu una
spiegazione riguardo
al fatto che una vampira novizia che non
si è ancora Trasformata
abbia sulla fronte il Marchio di un
adulto.»
Senza il sorriso e la nota di ansia nella
voce, le sue parole
sarebbero sembrate brusche. Invece, il
tono risultò preoccupato e
un po' confuso.
«Allora non sono un vampiro?» sbottai.
La sua risata era una musica. «Non
ancora, Zoey, ma direi
che l'avere il Marchio già completo sia
di ottimo auspicio.»
«Oh… io… cioè, bene. Questo è un
bene», farfugliai.
Per fortuna la nonna mi salvò
dall'umiliazione più totale.
«Zoey, lei è Neferet, Somma
Sacerdotessa della Casa della Notte.
Si è presa buona cura di te mentre
eri…» La nonna s'interruppe,
non volendo evidentemente pronunciare
la parola «svenuta». «…
Mentre dormivi.»
«Benvenuta nella Casa della Notte, Zoey
Redbird», disse con
calore Neferet.
Guardai la nonna, poi tornai a fissare
Neferet. Sentendomi
molto più che persa balbettai: «Io non…
non mi chiamo proprio
così. Il mio cognome è Montgomery».
«Davvero?» Neferet inarcò le
sopracciglia color ambra. «Uno
dei vantaggi dell'incominciare una nuova
vita consiste
nell'opportunità di ripartire daccapo, di
compiere scelte che prima
non erano possibili. Se potessi
scegliere, come ti chiameresti?»
«Zoey Redbird», replicai senza esitare.
«Allora da questo momento sarai Zoey
Redbird. Benvenuta
alla tua nuova vita.» Allungò la mano
come volesse stringere la
mia, che le tesi automaticamente, ma,
invece di afferrarla, mi
afferrò l'avambraccio, un gesto insolito,
che però non so come
sembrava appropriato.
La sua stretta era calda e forte, il suo
sorriso un luminoso
benvenuto. Era incredibile e solenne. In
verità, era quello che sono
tutti i vampiri, cioè più che umana: più
forte, più intelligente, più
dotata. Sembrava che qualcuno avesse
acceso una luce accecante
dentro di lei, descrizione decisamente
ironica, mi rendo conto,
considerando gli stereotipi relativi ai
vampiri (alcuni dei quali
ormai sapevo essere assolutamente
veri): evitano la luce del sole,
sono più forti di notte, devono bere
sangue per sopravvivere (iiih!)
e venerano una dea nota come la
personificazione della Notte.
«Gra-grazie. È un piacere conoscerla»,
dissi, cercando con un
certo brio di sembrare quantomeno
semi-intelligente e normale.
«Come stavo dicendo a tua nonna,
nessun novizio era mai
arrivato da noi in modo così poco
usuale: privo di sensi e col
Marchio completo. Ricordi cosa ti è
successo, Zoey?»
Aprii la bocca per dirle che ricordavo
tutto benissimo: la
caduta e la ferita alla testa, il vedere me
stessa come se fossi stata
uno spirito fluttuante, le parole
insolitamente visibili che avevo
seguito fino alla grotta, infine l'incontro
con la Dea Nyx. Ma,
prima che potessi parlare, provai una
strana sensazione, come se
qualcuno mi avesse colpita allo
stomaco. Era chiara e precisa, e mi
diceva di stare zitta. «Io… io a dire il
vero non ricordo molto…»
M'interruppi e le mie dita trovarono la
parte dolente dove
sporgevano i punti. «Almeno non dopo
che ho battuto la testa.
Cioè, di quello che è successo prima
ricordo tutto: il
Rintracciatore mi ha Segnata; l'ho detto
ai miei genitori e ho avuto
una mega discussione con loro; poi sono
scappata da mia nonna.
Mi sentivo proprio male, perciò, quando
mi sono arrampicata sul
sentiero che porta al promontorio…»
Ricordavo anche il resto –
tutto il resto – gli spiriti del popolo
cherokee, i balli e il fuoco
dell'accampamento.
Sta' zitta! mi urlava la sensazione.
«… Io, be', immagino di essere
scivolata perché tossivo da
matti e ho picchiato la testa. La cosa
successiva che ricordo è
nonna Redbird che canta e poi mi sono
svegliata qui.» Finii in
fretta. Volevo distogliere lo sguardo da
quei penetranti occhi
verdi, ma la stessa sensazione che mi
ordinava di tenere la bocca
chiusa mi stava anche dicendo
chiaramente che dovevo mantenere
il contatto visivo, che dovevo sforzarmi
di dare l'impressione di
non stare nascondendo niente, anche se
non avevo idea del perché
stessi nascondendo qualcosa.
«È normale perdere la memoria con una
ferita alla testa»,
intervenne pratica la nonna, spezzando il
silenzio.
L'avrei baciata.
«Sì, certo, è così», si affrettò a dire
Neferet, il viso che
perdeva ogni traccia di durezza. «Non
deve temere per la salute di
sua nipote, Sylvia Redbird. Starà
benissimo.»
Aveva parlato alla nonna con rispetto e
parte della tensione
che provavo si affievolì. Se le piaceva
nonna Red-bird, doveva
essere una persona okay, o vampira o
quello che è. Giusto?
Neferet sorrise. «Come sono certa
sappia già, anche i vampiri
novizi hanno speciali capacità di
ripresa. La sua guarigione sta
procedendo talmente bene che può già
lasciare l'infermeria.» Il suo
sguardo passò dalla nonna a me. «Zoey,
ti andrebbe di conoscere
la tua nuova compagna di stanza?»
No. Deglutii con forza e annuii.
«Eccellente!» commentò Neferet. Per
fortuna ignorò il fatto
che me ne stavo in piedi sorridendo
come uno stupido nano da
giardino.
«È certa che non sia meglio tenerla qui
in osservazione
ancora un po'?» chiese la nonna.
«Comprendo la sua preoccupazione, ma
le assicuro che le
ferite fisiche di Zoey stanno già
guarendo con una rapidità che
troverebbe straordinaria.»
Mi sorrise di nuovo e, anche se ero
spaventata e nervosa e
giusto un pochino paranoica, risposi al
sorriso. Sembrava fosse
davvero contenta che io fossi lì e, a
dirla tutta, mi fece pensare che
trasformarsi in vampiro non fosse poi
una cosa tanto brutta. «Sto
bene, nonna. Sul serio. La testa mi fa
ancora un po' male, ma poco,
e il resto va molto meglio.» Mentre lo
dicevo, mi resi conto che
era vero. Avevo del tutto smesso di
tossire. I muscoli non mi
facevano più male. A parte il leggero
dolore causato dalla ferita,
mi sentivo perfettamente normale.
Poi Neferet fece una cosa che non solo
mi stupì, ma che me
la fece piacere all'istante e… fece sì che
iniziassi a fidarmi di lei.
Si avvicinò alla nonna e le parlò con
lentezza e grande cura.
«Sylvia Redbird, le giuro solennemente
che qui sua nipote è al
sicuro. Ogni novizio è affiancato da un
mentore adulto e, per
rassicurarla sul mio giuramento, quello
di Zoey sarò io. Ora però
deve affidarla a me.» Neferet si portò il
pugno sul cuore e fece un
inchino formale.
La nonna esitò solo un istante prima di
risponderle: «Farò
conto sul mantenimento del giuramento,
Neferet, Somma
Sacerdotessa di Nyx». Poi anche lei si
mise il pugno sul cuore e
s'inchinò davanti a Neferet prima di
voltarsi verso di me e
abbracciarmi forte. «Chiamami, se hai
bisogno di me, Zoeybird.
Ti voglio bene.»
«Lo farò, nonna. Ti voglio bene anch'io.
E grazie di avermi
portata qui», mormorai, respirando il
suo familiare profumo di
lavanda e cercando di non piangere.
Lei mi baciò sulla guancia, quindi, col
suo passo rapido e
sicuro, uscì dalla stanza lasciandomi per
la prima volta in vita mia
sola con un vampiro.
«Bene, Zoey, sei pronta a iniziare la tua
nuova vita?»
Alzai lo sguardo verso di lei e pensai di
nuovo che era
davvero stupenda. Se mi fossi
Trasformata in vampiro, avrei avuto
anch'io la sua sicurezza e il suo potere, o
era qualcosa che avevano
solo le Somme Sacerdotesse? Per un
istante mi passò nella mente
l'idea che essere Somma Sacerdotessa
sarebbe stato proprio
magnifico. Poi recuperai la sanità
mentale. Ero solo una ragazzina.
E confusa, per giunta, di certo non avevo
la stoffa per diventare
Somma Sacerdotessa. Volevo solo
capire come fare a integrarmi
in quel posto e Neferet aveva senza
dubbio fatto sembrare più
facile da sopportare quello che mi stava
succedendo. «Sì, sono
pronta.» Ero felice che suonasse più
deciso di quanto mi sentissi in
realtà.
7
«Che ore sono?»
Stavamo camminando lungo uno stretto
corridoio che
curvava dolcemente, le cui pareti erano
fatte con un insolito misto
di pietra scura e mattoni a vista. Di
quando in quando, delle luci a
gas che pendevano da candelieri di ferro
nero dall'aria antica
emettevano un morbido bagliore giallo,
che per fortuna non mi
dava alcun fastidio agli occhi. Nel
corridoio non c'erano finestre e
non incontrammo nessuno (anche se
continuavo a guardarmi
nervosamente intorno, immaginando
come sarebbe stato vedere
per la prima volta dei ragazzi vampiro).
«Sono quasi le quattro del mattino, il
che significa che le
lezioni sono terminate da circa un'ora»,
rispose Neferet, quindi
sorrise leggermente di fronte alla mia
espressione che doveva
essere d'istupidimento totale. Spiegò:
«Le lezioni iniziano alle
venti e si concludono alle tre del
mattino. Gli insegnanti sono a
disposizione degli studenti fino alle tre e
trenta. La palestra è
aperta fino all'alba. Non appena avrai
completato la
Trasformazione, saprai sempre con
esattezza quando si verifica;
fino ad allora, troverai l'orario del levar
del sole chiaramente
esposto in tutte le aule, stanze comuni e
aree di aggregazione,
incluse sala da pranzo, biblioteca e
palestra. Naturalmente il
tempio di Nyx è aperto a tutte le ore, ma
i riti formali si tengono
due volte a settimana appena dopo la
scuola.
Il prossimo è domani». Mi guardò e il
sorriso si fece più
caloroso. «Adesso ti sembra
sconvolgente, ma ti ci abituerai
presto. La tua compagna di stanza ti
aiuterà, e anch'io.»
Stavo giusto per aprire bocca e farle
un'altra domanda,
quando all'improvviso una palla di pelo
color arancio spuntò in
corridoio e, senza il minimo rumore, le
si lanciò in braccio.
Io sobbalzai e credo di aver persino
fatto un gridolino idiota,
per poi sentirmi un'imbecille totale
quando vidi che la palla di pelo
non era uno spettro volante o roba
simile, ma un enorme gattone.
Neferet rise e diede una grattatina dietro
le orecchie del
micio. «Zoey, questo è Skylar. Ha
l'abitudine di aggirarsi da
queste parti in attesa di lanciarsi su di
me.»
«È il gatto più grande che abbia mai
visto», commentai,
allungando la mano per lasciare che mi
annusasse.
«Attenta, morde.»
Prima che potessi mettere al sicuro le
dita, Skylar ci strofinò
contro il muso. Trattenni il fiato.
Neferet inclinò la testa di lato, come
ascoltasse il vento. «Gli
piaci, questo è davvero insolito. A lui
non piace nessuno tranne
me. Tiene persino lontani gli altri gatti
da questa zona del campus.
È un vero tipaccio!» commentò con
affetto.
Con infinita attenzione accarezzai Skylar
tra le orecchie,
come aveva fatto Neferet. «Mi
piacciono i gatti. Ne avevo uno, ma
quando mia mamma si è risposata ho
dovuto portarlo
all'associazione Gatti di Strada perché
fosse adottato. A John, il
suo nuovo marito, i gatti non piacciono.»
«Ho scoperto che l'atteggiamento delle
persone nei confronti
dei gatti – e quello che hanno loro nei
confronti delle persone – di
solito è un ottimo metro di giudizio per
valutarne il carattere.»
Spostai lo sguardo da Skylar a Neferet e
lessi nei suoi occhi
verdi che capiva molto di più riguardo
ai rapporti familiari di
quanto non dicesse. Questo me la fece
sentire vicina e
automaticamente mi rilassai un po'. «Ci
sono molti gatti qui?»
«Oh, sì! I gatti sono da sempre stretti
alleati dei vampiri.»
Okay, in realtà quello già lo sapevo. A
Storia Mondiale, con
Mr Shaddox (meglio noto come Puff
Shaddy, ma non diteglielo)
avevamo imparato che, in passato, i gatti
venivano uccisi perché si
credeva che in qualche modo
trasformassero le persone in vampiri.
Già, certo, tanto per non essere
ridicoli. Ulteriore riprova
della stupidità degli umani… Il
pensiero mi spuntò nel cervello
lasciandomi stupefatta dalla facilità con
cui avevo cominciato a
considerare le persone «normali» degli
«umani», e per questo
diverse da me. «Pensa che potrei avere
un gatto?» chiesi.
«Se uno ti sceglie, gli o le apparterrai.»
«Se mi sceglie?»
Neferet sorrise e accarezzò Skylar, che
chiuse gli occhi e si
mise a fare rumorosamente le fusa.
«Sono i gatti a sceglierci; noi
non ne siamo i padroni.»
Come se volesse dimostrarlo, Skylar
saltò giù dalle sue
braccia e, con un presuntuoso colpo di
coda, sparì lungo il
corridoio.
Neferet rise. «È davvero terribile, ma io
lo adoro. Penso che
sarebbe così anche se lui non fosse parte
del dono che mi ha fatto
Nyx.»
«Dono? Skylar è un regalo della Dea?»
«In un certo senso, sì. La Dea dà a ogni
Somma Sacerdotessa
un'affinità, ciò che probabilmente
chiameresti poteri speciali. In
parte è così che riconosciamo le Somme
Sacerdotesse. Queste
affinità possono corrispondere a inusuali
capacità cognitive, come
leggere il pensiero o avere visioni in
grado di predire il futuro.
Oppure può trattarsi di un legame con
qualcosa del mondo fisico,
come un rapporto speciale con uno dei
quattro elementi o con gli
animali. Io possiedo due doni della Dea.
La mia affinità principale
è coi gatti; con loro ho un rapporto
insolito persino per un
vampiro. Ma Nyx mi ha anche dato
inusuali poteri curativi.»
Sorrise. «È per questo che so che tu stai
guarendo molto bene, me
lo dice il mio dono.»
«Wow, è incredibile», fu tutto quello che
riuscii a dire. La
testa mi girava ancora per i fatti del
giorno prima.
«Vieni, andiamo nella tua stanza. Sono
sicura che sarai
affamata e stanca. Si cena tra…» Neferet
inclinò la testa di lato
come se qualcuno le stesse suggerendo
la risposta. «… un'ora.» Mi
rivolse un sorriso d'intesa. «I vampiri
sanno sempre che ora è.»
«Anche questo è fantastico!»
«Questo, mia cara novizia, è soltanto la
punta dell'iceberg
delle cose fantastiche.»
Mi augurai che la sua analogia non
avesse a che vedere con
disastri tipo quello del Titanic. Mentre
continuavamo lungo il
corridoio e io pensavo all'orario e a un
sacco di altre cose, mi
ricordai della domanda che volevo farle
quando Skylar aveva
interrotto il fragilissimo filo dei miei
pensieri. «Scusi un attimo.
Ha detto che le lezioni iniziano alle otto
di sera?» Okay, di solito
non sono così bradipo, ma alcuni aspetti
della questione mi
risultavano ostici come se avesse
parlato in una lingua straniera.
Facevo una gran fatica a capire.
«Se ti soffermi un momento a riflettere,
ti renderai conto che
tenere le lezioni di notte è più che
logico. Naturalmente saprai che
i vampiri, adulti o novizi, non esplodono
né fanno le cose assurde
che s'inventano gli umani, se
direttamente esposti ai raggi del sole,
ma per noi è una condizione disagevole.
Non ti dava già fastidio il
sole oggi?»
Annuii. «E i miei Maui Jim servivano a
poco.» Quindi,
sentendomi di nuovo una cretina,
aggiunsi in tutta fretta: «Mmm, i
Maui Jim sono occhiali da sole».
«Sì, Zoey», replicò con pazienza
Neferet. «Conosco gli
occhiali da sole. E molto bene anche.»
«Oddio, mi scusi, io…» M'interruppi,
chiedendomi se fosse o
no corretto dire «Dio». Era forse
un'offesa per Neferet, una
Somma Sacerdotessa che portava con
tanto orgoglio il Marchio
della Dea? Diavolo, magari offendeva
Nyx? Oddio! E dire
«diavolo»? Assieme a «cavolo» era la
mia imprecazione preferita
(okay, in realtà era l'unica imprecazione
che usassi regolarmente).
Potevo dirlo ancora? Il Popolo della
Fede predicava che i vampiri
veneravano una falsa dea e che si
trattava di esseri egoisti e
tenebrosi che non pensavano ad altro
che ai soldi, al piacere e a
bere sangue e di sicuro sarebbero andati
dritti all'inferno, dunque
forse questo significava che dovevo fare
attenzione a come e
quando usavo…
«Zoey.»
Alzai lo sguardo e vidi che Neferet mi
fissava con aria
preoccupata, quindi mi resi conto che
probabilmente aveva cercato
di attirare la mia attenzione mentre ero
in preda a farneticazioni
mentali. «Mi scusi», ripetei.
«Zoey, smetti di scusarti. E ricordati che
qui abbiamo avuto
tutti la tua stessa esperienza. È stata una
cosa nuova per ciascuno
di noi, all'inizio. Sappiamo come ci si
sente, con la paura per la
Trasformazione e lo shock nel vedersi
cambiare la vita in modo
imprevedibile e sconosciuto.»
«Senza poter controllare niente di tutto
ciò», aggiunsi pacata.
«Certo, anche quello. Non sarà così
complicato per sempre.
Quando sarai un vampiro adulto, la vita
sembrerà appartenerti di
nuovo. Farai le tue scelte, seguirai la tua
strada andando dove il
cuore, l'anima e il talento ti porteranno.»
«Sempre che io diventi un vampiro
adulto.»
«Lo diventerai, Zoey.»
«Come può esserne tanto sicura?»
Lo sguardo di Neferet trovò il Marchio
completo sulla mia
fronte. «Nyx ti ha scelta. Ancora non
sappiamo per cosa, ma il suo
Marchio è stato apposto su di te con
molta chiarezza. Non ti
avrebbe toccata per poi vederti cadere.»
Ricordai le parole della Dea – Zoey
Redbird, Figlia della
Notte, ti nomino miei occhi e mie
orecchie nel mondo di oggi, un
mondo in cui bene e male lottano per
trovare un equilibrio – e
distolsi lo sguardo da quello penetrante
di Neferet, desiderando
disperatamente sapere perché l'istinto
continuava a dirmi di tenere
la bocca chiusa riguardo all'incontro con
la Dea. «È che… è che
sono successe tante cose in un giorno
solo.»
«Senza dubbio, soprattutto essendo a
stomaco vuoto.»
Avevamo ripreso a camminare, quando
lo squillo di un
telefonino mi fece saltare per aria.
Neferet sospirò e mi sorrise con
aria di scusa, quindi si tolse di tasca un
piccolo cellulare.
«Neferet», rispose. Ascoltò un istante e
la vidi corrugare la fronte
e socchiudere gli occhi. «No, hai fatto
bene a chiamarmi. Torno
subito a darle un'occhiata.» Dopo di che
richiuse il telefono.
«Scusami, Zoey. Oggi una delle novizie
si è rotta una gamba e
sembra avere problemi a riposare,
quindi devo tornare a vedere
che vada tutto bene. Perché non segui il
corridoio tenendoti sulla
sinistra fino a che non arrivi al portone
principale? Non ti puoi
sbagliare, perché è grande e di legno,
molto antico. Appena fuori
c'è una panchina di pietra. Puoi
aspettarmi lì. Non ci metterò
molto.»
«Okay, non c'è problema.» Non avevo
neanche finito di
parlare che Neferet era già sparita lungo
il corridoio sinuoso.
Sospirai. Non mi piaceva l'idea di
restare da sola in un posto
pieno di vampiri e di ragazzi vampiri e,
adesso che Neferet se ne
era andata, quelle luci tremolanti non
sembravano poi tanto
simpatiche e creavano ombre
preoccupanti sulle vecchie pareti di
pietra.
Decisa a non andare in paranoia, ripresi
a camminare e ben
presto cominciai quasi a desiderare
d'incontrare qualcuno (anche
se vampiro). C'era troppo silenzio. E
faceva venire i brividi. Un
paio di volte il corridoio si biforcò a
destra, ma, seguendo le
indicazioni di Neferet, continuai a tenere
la sinistra. A dire il vero,
tenevo gli occhi fissi a sinistra anche
perché i corridoi che
partivano da quello in cui mi trovavo io
in pratica non erano
illuminati.
Purtroppo, alla successiva biforcazione,
non tenni gli occhi
puntati dall'altra parte. Okay, un motivo
c'era. Avevo sentito
qualcosa. Per essere più precisa, avevo
udito una risata. La bassa
risata di una ragazza che per qualche
motivo mi aveva fatto
accapponare la pelle. E mi aveva fatto
anche fermare. Sbirciai nel
corridoio e mi sembrò di vedere un
movimento nell'oscurità.
Zoey… Il mio nome proveniva dalle
ombre, in un bisbiglio.
Sbattei le palpebre per la sorpresa.
L'avevo sentito davvero o
m'immaginavo le cose? La voce era
quasi familiare. Che fosse
ancora Nyx? Che la Dea mi stesse
chiamando? Impaurita e allo
stesso tempo curiosa, trattenni il fiato e
feci qualche passo nel
corridoio laterale.
Mentre superavo la leggera curva, vidi
qualcosa davanti a me
che mi fece bloccare e automaticamente
spiaccicare contro il
muro. In una piccola nicchia poco
distante c'erano due persone.
All'inizio il mio cervello non riuscì a
elaborare quello che vedevo,
poi, di colpo, capii benissimo.
Me ne sarei dovuta andare in quel
momento. Me ne sarei
dovuta tornare indietro zitta zitta
cercando di non pensare a quello
che avevo visto. Ma non feci nessuna di
queste due cose. Era
come se all'improvviso i miei piedi
fossero diventati talmente
pesanti da non riuscire a sollevarli.
Tutto quello che riuscivo a fare
era starmene lì a guardare.
L'uomo – poi, con un ulteriore shock, mi
resi conto che non
era un uomo ma un ragazzo, più vecchio
di me al massimo di un
paio d'anni – era in piedi con la schiena
contro la parete della
nicchia. Aveva la testa piegata
all'indietro e respirava forte. Aveva
il viso in ombra, ma, anche se lo si
poteva intravedere a malapena,
capivo che era bello. Poi un'altra
risatina roca mi fece spostare lo
sguardo più in basso.
Lei era in ginocchio davanti a lui, e tutto
quello che riuscivo
a vedere erano i capelli biondi. Ce
n'erano così tanti che sembrava
quasi indossasse una sorta di velo
antico. Poi le sue mani si
mossero verso l'alto, scorrendo sulle
cosce del ragazzo.
Vai! Mi gridò il cervello. Vattene via di
qui!
Cominciai a fare un passo indietro, ma
la voce di lui mi gelò.
«Fermati!»
Sgranai gli occhi perché per un istante
pensai parlasse con
me.
«Non vuoi davvero che mi fermi.»
Quasi mi girava la testa per il sollievo
quando parlò la
ragazza. Si era rivolto a lei, non a me.
Nemmeno sapevano che
fossi lì.
«Sì che lo voglio.» Sembrava che
pronunciasse le parole a
denti stretti. «Alzati.»
«Ti piace… lo sai che ti piace. Proprio
come sai di volermi
ancora.» La voce di lei era roca e
cercava di essere sexy, ma non
riusciva a nascondere il piagnucolio.
Sembrava disperata. Osservai
le sue dita muoversi e sbarrai gli occhi
quando fece correre
l'unghia dell'indice lungo la coscia di
lui. Sembra incredibile, ma
tagliò i jeans come fosse un coltello e
apparve una striscia di
sangue fresco, sorprendente nel suo
rosso liquido.
Non volevo che succedesse e la cosa mi
disgustò moltissimo,
ma la vista del sangue mi fece venire
l'acquolina in bocca.
«No!» sbottò lui, mettendole le mani
sulle spalle e cercando
di togliersela di dosso.
«Oh, piantala di fingere», rise di nuovo
la ragazza, con un
tono meschino e sarcastico. «Lo sai che
staremo sempre insieme.»
Si allungò a leccare la striscia di
sangue.
Rabbrividii; a dispetto della mia
volontà, ero affascinata.
«Falla finita!» Lui continuava ancora a
spingerla per le
spalle. «Non voglio farti del male ma
stai cominciando veramente
a farmi incazzare. Perché non vuoi
capire? Noi non lo facciamo
più. Io non ti voglio.»
«Oh, sì che mi vuoi! Tu mi vorrai
sempre!» Gli aprì la lampo
dei pantaloni.
Non dovrei essere qui. Non dovrei
vederlo. Staccai gli occhi
dalla coscia che sanguinava e feci un
passo indietro.
Il ragazzo alzò gli occhi. E mi vide.
A quel punto successe una cosa davvero
bizzarra. Sentivo il
suo tocco attraverso lo sguardo. Non
riuscivo a smettere di
guardarlo. La ragazza di fronte a lui
sembrò sparire, e nel
corridoio non ci fu altro che lui, io e il
dolce, meraviglioso
profumo del suo sangue.
«Non mi vuoi? Be', in questo momento
non si direbbe
proprio», disse lei con una sorta di
sgradevole fusa.
Sentii che la mia testa cominciava ad
agitarsi avanti e
indietro, avanti e indietro, e in quello
stesso momento lui gridò:
«No!» e cercò di liberarsi di lei per
poter venire verso di me.
Strappai gli occhi dai suoi e barcollai.
«No!» ripetè il ragazzo. Stavolta sapevo
che parlava con me
e non con lei.
E doveva essersene accorta anche la
ragazza, perché, con un
grido che somigliava in modo
preoccupante al ringhio di un
animale selvatico, cominciò a girarsi.
Mi scongelai all'istante, mi voltai di
scatto e mi misi a correre
nel corridoio, tornando indietro.
Mi aspettavo che mi seguissero, quindi
continuai a correre
finché non raggiunsi il portone antico
che mi aveva descritto
Neferet e mi ci appoggiai nel tentativo
di riprendere il controllo
del respiro in modo da poter sentire il
rumore di passi di corsa.
Cos'avrei fatto se mi avessero inseguita
davvero? La testa mi
faceva di nuovo un gran male, mi sentivo
debole e con una paura
folle. Oltre che assolutamente,
completamente disgustata.
Sì, certo, sapevo del sesso orale. Dubito
che al giorno d'oggi
in America ci sia un'adolescente che non
sia consapevole del fatto
che la maggior parte degli adulti pensa
che distribuiamo pompini
come loro distribuivano cicche (o lecca
lecca, per restare in tema).
Okay, questa è una stronzata clamorosa,
che mi ha sempre fatto
incazzare da matti. È ovvio che ci sono
ragazze che pensano sia
«figo» fare un bocchino ai ragazzi, ma,
be', si sbagliano. Quelle di
noi che hanno un cervello funzionante
sanno che non c'è niente di
figo nel farsi usare in quel modo.
Okay, quindi sapevo dei pompini, ma di
certo non ne avevo
mai visto fare uno. Perciò quello che era
appena successo mi
aveva decisamente fatta sbroccare. E a
farmi sbroccare più ancora
della schifezza che lei faceva a lui era
stata la mia reazione alla
vista del sangue.
Avrei voluto leccarlo anch'io.
E quello proprio non era normale.
E poi c'era la faccenda della strana
occhiata che avevo
scambiato con lui. Che cavolo voleva
dire?
«Zoey, stai bene?»
«Diavolo!» Feci un salto indietro.
Neferet era in piedi accanto a me e mi
guardava confusa. «Ti
senti male?»
«Io… be'…» Il mio cervello prese ad
agitarsi. Non le avrei
detto quello che avevo appena visto
neanche a morire. «Mi fa un
gran male la testa», riuscii finalmente a
dire. Ed era vero. Avevo
un'emicrania di quelle che uccidono.
Neferet aggrottò la fronte, preoccupata.
«Lascia che ti aiuti.»
Appoggiò con leggerezza la mano sulla
linea dei punti che avevo
sulla tempia, chiuse gli occhi e mormorò
qualcosa in una lingua
che non conoscevo. Poi il suo palmo
divenne caldo e fu come se il
calore si facesse liquido e venisse
assorbito dalla mia pelle. Chiusi
gli occhi anch'io e sospirai di sollievo,
il dolore alla testa
cominciava a svanire.
«Va meglio?»
«Sì», bisbigliai a stento.
Tolse la mano e aprii gli occhi. «Questo
dovrebbe tenere
lontano il dolore. Non so come mai sia
tornato con tanta
violenza.»
«Nemmeno io, però adesso se n'è
andato», replicai in fretta.
Mi squadrò in silenzio ancora per un po'
e io trattenni il fiato.
«Qualcosa ti preoccupa?» mi chiese alla
fine.
Deglutii. «Ho solo un po' paura a
incontrare la mia nuova
compagna di stanza.» Tecnicamente non
era una bugia. Non era
quello che mi preoccupava, ma ne avevo
paura.
Il sorriso di Neferet fu gentile. «Zoey,
andrà tutto bene.
Adesso lascia che ti avvìi alla tua nuova
vita.»
Neferet aprì il pesante portone di legno
e uscimmo nel vasto
cortile davanti la scuola. Si fece da
parte e mi lasciò a guardare a
bocca aperta. Adolescenti con indosso
divise che non so come
sembravano fighissime e uniche pur
essendo molto simili
camminavano a gruppetti nel cortile e
lungo il marciapiede.
Sentivo il suono apparentemente
normale delle loro voci mentre
ridevano e parlavano. Continuavo a
spostare lo sguardo da loro
alla scuola, non sapendo cosa fissare a
bocca aperta per prima.
Scelsi la scuola, perché m'intimoriva
meno (e perché avevo paura
di vedere lui): quel posto sembrava
uscito da un sogno, uno di
quelli che mettono i brividi. Eravamo
nel cuore della notte e
sarebbe dovuto essere buio pesto,
invece c'era una luna
luminosissima che splendeva sulle
enormi vecchie querce che
ombreggiavano ogni cosa. Luci a gas su
treppiedi di rame ossidato
seguivano il marciapiede che correva
parallelo all'immenso
edificio di mattoni rossi e pietra nera.
Era a tre piani, con un tetto
insolitamente lungo che puntava verso
l'alto e poi si appiattiva in
cima. Erano stati aperti dei tendoni
pesanti e morbide luci gialle
facevano danzare le ombre nelle stanze,
dando all'intera struttura
un'aria vivace e accogliente. Alla
facciata anteriore era collegata
una torre rotonda, che aumentava
l'illusione di trovarsi più in un
castello che in una scuola. Giuro che un
fossato sarebbe sembrato
molto più adatto del marciapiede
bordato da fitti cespugli di azalea
che delimitavano un prato tosato alla
perfezione.
Di fronte all'edificio principale ce n'era
uno più piccolo che
sembrava più antico e somigliava a una
chiesa. Dietro
s'intravedevano delle vecchie querce
che ombreggiavano il cortile
e l'ombra dell'immenso muro di cinta
che circondava tutta la
scuola. Davanti alla chiesa c'era una
statua di marmo che
raffigurava una donna con lunghe vesti
svolazzanti.
«Nyx!» esclamai.
Neferet inarcò un sopracciglio con aria
stupita. «Sì, Zoey,
quella è una statua della Dea, e l'edificio
lì dietro è il suo tempio.»
Mi fece cenno di proseguire con lei
lungo il marciapiede e
m'indicò lo splendido campus che si
apriva davanti a noi. «Quella
che oggi è conosciuta come Casa della
Notte era stata costruita in
stile neo normanno, con pietra importata
dall'Europa. In origine,
nella metà degli anni '20, era un
monastero agostiniano del Popolo
della Fede, poi trasformato in una scuola
media privata per
ragazzini umani ricchi che si chiamava
Cascia Hall. Cinque anni
fa, quando abbiamo deciso di aprire una
nostra scuola in questa
parte del Paese, l'abbiamo comprata.»
Ricordavo solo vagamente il periodo in
cui era stata una
spocchiosa scuola privata, anzi, a dire il
vero, l'unico motivo per
cui avevo anche solo rivolto un piccolo
pensiero a quel posto era
perché all'epoca un gruppo ben nutrito di
ragazzi che
frequentavano la Cascia era stato
arrestato per droga e gli adulti ne
erano rimasti shockati. Figuriamoci.
Nessun altro si era
minimamente stupito che quei ragazzini
ricchi di droga ne
vedessero tanta.
«Mi sorprende che l'abbiano venduta
proprio a voi», replicai
distratta.
La risata di Neferet risuonò bassa e un
po' pericolosa. «Non
volevano, ma abbiamo fatto al loro
arrogante preside un'offerta
che nemmeno lui poteva rifiutare.»
Avrei voluto chiederle cosa intendesse,
ma la sua risata mi
aveva fatto rabbrividire. E poi ero
impegnata. Non riuscivo a
smettere di guardarmi in giro con
sconfinata ammirazione. La
prima cosa che notai era che tutti quelli
che avevano un tatuaggio
da vampiro completo erano di una
bellezza incredibile. Cioè, era
una cosa folle. Sì, lo sapevo che i
vampiri sono avvenenti. Lo
sanno tutti. Gli attori e le attrici di
maggior successo al mondo
sono vampiri. Ci sono anche ballerini e
musicisti, scrittori e
cantanti. I vampiri dominano le arti e
questo è uno dei motivi per
cui hanno tanti soldi, oltre a essere uno
dei (tanti) motivi per cui il
Popolo della Fede li considera egoisti e
immorali. Ma la verità è
che sono solo gelosi perché non sono
altrettanto belli. Il Popolo
della Fede andava a vedere i loro film,
gli spettacoli, i concerti,
comprava i loro libri e le loro opere
d'arte, ma, allo stesso tempo,
ne sparlava e li disprezzava, e Dio sa
che non si sarebbe mai e poi
mai mischiato con loro. Mmm… ipocrita
sarà l'aggettivo giusto?
Comunque essere circondata da così
tante persone belle da
urlo mi fece venire voglia di strisciare
sotto una panchina, anche
se molte, dopo aver salutato Neferet,
sorrisero e dissero «ciao»
pure a me. Mentre rispondevo ai saluti
un po' esitante, di nascosto
lanciavo occhiate ai ragazzi che ci
passavano vicino e facevano un
rispettoso cenno con la testa rivolto a
Neferet. Parecchi
s'inchinarono in modo formale,
incrociando il pugno sul petto,
cosa che faceva sorridere e inchinare
leggermente anche Neferet.
Okay, i ragazzi non erano uno splendore
come gli adulti. Certo,
erano carini – interessanti, a essere più
precisa, col contorno della
mezzaluna e le divise che sembravano
più vestiti da passerella –
ma non avevano l'affascinante luce
patinata e non-umana che
emanava dai vampiri adulti. Ah, e notai
anche che, come avevo
immaginato, nelle divise c'era un sacco
di nero (si potrebbe
pensare che un gruppo di persone così
addentro nell'arte riconosca
un cliché quando uno va in giro in quel
noioso nero da dark.
Appunto…), ma, a essere onesta, dovetti
ammettere che su di loro
stava molto bene, quel nero mischiato
con sottili righe viola, blu e
verde smeraldo. Ogni divisa aveva un
motivo ricamato in oro o in
argento sul taschino della giacca o della
camicia. Capivo che
alcuni erano uguali, ma non riuscivo a
vedere con esattezza cosa
fossero. E poi c'erano un sacco di
ragazzi coi capelli lunghi. Ma
tanti, davvero. Le femmine avevano i
capelli lunghi, i maschi
avevano i capelli lunghi, gli insegnanti
avevano i capelli lunghi,
persino i gatti che ogni tanto passavano
sul marciapiede erano
palle di pelo molto lungo. Strano. Meno
male che mi ero convinta
a non tagliarmi i capelli come aveva
fatto Kayla la settimana
prima, con quella specie di coda
d'anatra alla Ispettore Derrick sul
dietro.
Notai anche che adulti e ragazzi avevano
una cosa in
comune: i loro occhi si fissavano tutti
sul mio Marchio.
Grandioso. Perciò stavo iniziando la
mia nuova vita come
un'anomalia ambulante, fatto che
prometteva d'un bene che non ti
dico.
8
La zona della Casa della Notte in cui si
trovavano i dormitori
era dall'altra parte del campus, perciò
avevamo un bel tratto da
fare e Neferet sembrava camminare
piano apposta per darmi il
tempo di fare domande e fissare le cose
a bocca aperta. Non che
mi dispiacesse. Camminare lungo il
gruppo di edifici simile a un
castello, con Neferet che m'indicava
piccoli dettagli e spiegava
cos'era cosa, mi dava un'idea del posto.
Era insolito, ma in un bel
modo. E poi, camminare mi faceva
sentire normale e, per quanto
strano possa sembrare, mi sentivo di
nuovo me stessa. Non tossivo
più. Non avevo più male da nessuna
parte, nemmeno alla testa. E
assolutamente, decisamente non pensavo
più all'inquietante scena
cui avevo assistito per caso. Me la stavo
dimenticando. Di
proposito. L'ultima cosa di cui avevo
bisogno erano altre questioni
di cui occuparmi oltre a una nuova vita e
a uno strano Marchio.
Perciò, pompino… dimenticato.
In preda alla negazione, mi dissi che, se
non avessi
camminato per un campus scolastico a
un'ora assurda accanto a
una vampira, avrei quasi potuto fingere
di essere la stessa del
giorno prima. Quasi.
Sì, okay, forse nemmeno quasi, ma la
testa andava molto
meglio e, quando finalmente Neferet aprì
la porta del dormitorio
delle ragazze, ero più o meno pronta a
conoscere la mia compagna
di stanza.
L'interno fu una sorpresa. Non so bene
cosa mi aspettassi,
magari che fosse tutto nero e lugubre,
invece era carino, decorato
in azzurro pallido e giallo antico, con
divani comodosi e gruppi di
soffici cuscini grandi abbastanza da
sedercisi sopra che
punteggiavano la stanza come
gigantesche M&M's. La luce
delicata proveniente da numerosi
candelabri antichi di cristallo
faceva somigliare quel posto al castello
di una principessa. Sulle
pareti color crema c'erano grandi quadri
a olio, tutti ritratti di
donne di altre epoche dall'aria esotica e
potente, mentre su dei
tavolini, assieme a vasi di cristallo con
fiori freschi, soprattutto
rose, c'erano ammonticchiati libri, borse
e ammennicoli vari in
dotazione a qualunque ragazza normale.
Vidi diverse TV al
plasma e riconobbi la musica di Real
World di MTV. Notai tutte
queste cose in fretta, mentre cercavo di
sorridere e avere un'aria
amichevole nei confronti delle ragazze
che si erano zittite
nell'istante in cui avevo messo piede
nella stanza e che adesso mi
fissavano. Be', tirateci su una riga. Non
stavano propriamente
fissando me. Stavano fissando il
Marchio sulla mia fronte.
«Ragazze, questa è Zoey Redbird.
Salutatela e datele il
benvenuto nella Casa della Notte.»
Per un secondo pensai che nessuno
avrebbe aperto bocca e
avrei voluto scomparire per la
mortificazione da nuovo arrivato,
poi una ragazza si alzò dal gruppo
riunito davanti a un televisore.
Era una biondina praticamente perfetta.
A dire il vero mi ricordava
una versione giovane di Sarah Jessica
Parker (che non mi piace,
tra l'altro, perché è così… così…
noiosamente e innaturalmente
sgallettata).
«Ciao, Zoey. Benvenuta nella tua nuova
casa.» Il suo sorriso
simil-SJP era caldo e sincero, era
evidente che si sforzava sul serio
d'incrociare il mio sguardo invece che
fissare il mio Marchio
completo.
Mi sentii subito in colpa per averla
paragonata a qualcuno in
modo negativo.
«Io sono Afrodite», aggiunse.
Afrodite? Okay, d'accordo, magari non
ero stata troppo
frettolosa a fare paragoni. Come poteva
una persona normale
scegliere di chiamarsi Afrodite? Per
favore! Manie di grandezza in
stadio iper-avanzato! Mi appiccicai
comunque un sorriso sulla
faccia e dissi un allegro «Ciao,
Afrodite!»
«Neferet, vuole che accompagni io Zoey
nella sua stanza?»
Neferet esitò, cosa che mi parve molto
strana. Invece di
rispondere subito rimase lì ferma a
scambiare una veloce occhiata
con la bionda, poi il suo volto si aprì in
un sorriso. «Grazie,
Afrodite, sarebbe molto gentile da parte
tua. Io sono la mentore di
Zoey, ma sono certa che si sentirebbe
molto più a suo agio se
fosse qualcuno della sua età a mostrarle
la stanza.»
Era rabbia quella che vidi lampeggiare
negli occhi di
Afrodite? No, dovevo essermelo
immaginato, o almeno avrei
creduto di essermelo immaginato, se
quella strana sensazione allo
stomaco non mi avesse detto il
contrario. E non ci volle l'intuito
per capire che qualcosa non andava,
perché Afrodite rise, e io
riconobbi il suono di quella risata.
Sentendomi come se mi avessero dato un
pugno nello
stomaco, mi resi conto che era lei la
bionda che avevo visto col
ragazzo nel corridoio.
La risata di Afrodite, seguita dal suo
pimpante «È ovvio che
sono più che contenta di farle fare un
giro! Sa che sono sempre
felice di esserle d'aiuto, Neferet» erano
falsi e freddi come le
mostruose enormi tette di Pamela
Anderson.
Neferet si limitò ad assentire e si rivolse
a me. «Ora ti lascio,
Zoey. Afrodite ti accompagnerà nella tua
stanza e la tua nuova
compagna ti aiuterà a prepararti per la
cena. Ci vediamo in sala da
pranzo.» Mi sorrise, il suo caldo sorriso
materno, e sentii
l'infantile desiderio di abbracciarla e
implorarla di non mollarmi lì
da sola con Afrodite. «Starai bene», mi
disse, neanche potesse
leggermi nel pensiero. «Vedrai,
Zoeybird, andrà tutto bene»,
mormorò, somigliando tanto a mia nonna
che dovetti sbattere le
palpebre per non mettermi a piangere.
Poi salutò con un cenno del
capo Afrodite e le altre ragazze e se ne
andò.
La porta del dormitorio si chiuse con un
sordo rumore
soffocato. Oh, diavolo… volevo proprio
andare a casa!
«Vieni, Zoey, le camere sono da questa
parte.» Afrodite mi
fece cenno di seguirla sulla grande scala
che curvava a destra e,
mentre salivamo, cercai d'ignorare il
brusio di voci che
istantaneamente eruttò alle nostre spalle.
Nessuna delle due parlava e mi sentivo
così a disagio che mi
sarei messa a urlare. Che mi avesse
vista in corridoio? Be', era
sicuro come l'inferno che io non ne avrei
fatto parola. Mai. Per
quanto mi riguardava, non era mai
successo.
Mi schiarii la voce. «Il dormitorio
sembra carino. Cioè, è
proprio bello.»
Mi lanciò un'occhiata di sbieco. «Qui è
meglio che carino o
proprio bello: è favoloso.»
«Oh. Be'. Sono contenta di saperlo.»
Rise.
Il suono era assolutamente sgradevole,
quasi un ghigno, che
mi fece correre un brivido sulla schiena
come la prima volta che
l'avevo udito.
«Qui è favoloso soprattutto perché ci
sono io.»
La squadrai, pensando stesse
scherzando, e incrociai i suoi
gelidi occhi azzurri.
«Già, hai sentito bene. Questo posto è
fantastico perché io
sono fantastica.»
Oh. Mio. Dio. Una cosa ben strana da
dire e non avevo indizi
per replicare a quella presuntuosa
informazione. Cioè, mi mancava
solo di mettermi a litigare con Miss
Guarda-Che-Splendore-Che-
Sono tanto per aggiungere qualcosina al
cambiamento di
scuola/vita/specie, no? E ancora non
avevo capito se sapeva che
ero stata io a vederla nel corridoio.
Okay. Volevo solo trovare un modo per
integrarmi. Volevo
poter chiamare casa quella nuova
scuola. Perciò decisi di tenere il
becco chiuso.
Nessuna di noi due aggiunse altro. La
scala portava a un
largo corridoio con tante porte colorate
e, quando Afrodite si
fermò davanti a quella dipinta di un bel
viola chiaro, trattenni il
fiato.
Lei però, invece di bussare, si voltò
verso di me. Di colpo il
suo viso perfetto assunse un'aria odiosa,
gelida e decisamente non
tanto bella. «Okay, Zoey, le cose stanno
così. Tu hai quello strano
Marchio, perciò tutti parlano di te e si
chiedono chi cazzo sei.»
Alzò gli occhi al cielo e afferrò la
collana di perle con un gesto
drammatico, cambiando voce in modo
che sembrasse sciocca e
affettata. «Ooh! La nuova ha il Marchio
completo! Cosa potrà mai
significare? Che sia speciale? Che abbia
poteri favolosi? Ooh!
Ooh!» Tolse la mano dal collo e mi
guardò, a occhi stretti, mentre
la voce si faceva piatta e cattiva come lo
sguardo. «Ora ascoltami
bene: qui sono io che comando. Le cose
girano come voglio io.
Farai meglio a ricordartelo se vuoi
vivere tranquilla. Altrimenti, ti
troverai in un mare di merda.»
Okay, stava cominciando a farmi
incavolare, perciò replicai:
«Senti, sono appena arrivata, non cerco
guai e non posso
controllare quello che gli altri dicono
del mio Marchio».
I suoi occhi si strinsero ancora di più.
Oh, cavolo. Dovevo proprio fare a botte
con quella tipa? Non
mi ero mai battuta in vita mia! Mi si
annodò lo stomaco e mi
preparai a tirarmi indietro o a scappare
o a fare qualunque cosa
servisse a non prenderle.
Poi, con la stessa velocità con cui era
diventata inquietante e
odiosa, la sua faccia si rilassò in un
sorriso ed ecco ricomparsa la
dolce biondina (non che ci cascassi),
che mi disse: «Bene. Così ci
capiamo».
Eh? Avevo capito che si era dimenticata
di prendere i suoi
psicofarmaci, ma per il resto proprio
non avevo capito niente.
Afrodite non mi diede il tempo di
replicare e con un ultimo
sorriso stranamente caloroso bussò alla
porta.
«Avantiii!» gridò una voce vivace dal
forte accento
dell'Oklahoma.
Afrodite aprì la porta.
«Ma ciaaao! Ohmioddio, entra.» Con un
gran sorriso, la mia
nuova compagna di stanza, bionda pure
lei, si lanciò come un
piccolo tornado di campagna, ma, non
appena vide Afrodite, il
sorriso le scivolò via dalla faccia e
smise di correre verso di noi.
«Ti ho portato la tua nuova compagna di
stanza.» Non c'era
niente di sbagliato nelle parole di
Afrodite, ma il tono era
insopportabile e aveva preso un terribile
falso accento
dell'Oklahoma. «Stevie Rae Johnson,
questa è Zoey Redbird. Zoey
Redbird, questa è Stevie Rae Johnson.
Ecco qui, non stiamo belle
comode come tre piselli in un
baccello?»
Guardai Stevie Rae. Sembrava un
coniglietto terrorizzato.
«Grazie di avermi accompagnata,
Afrodite», dissi in fretta
facendo un passo verso di lei, che
automaticamente arretrò
ritrovandosi in corridoio. «Ci
vediamo.» Le chiusi la porta in
faccia mentre l'espressione stupita stava
appena cominciando a
trasformarsi in rabbia, poi mi voltai
verso Stevie Rae, che era
ancora pallida.
«Ma che problemi ha?» chiesi.
«Lei è… lei è…»
Anche se ancora non la conoscevo, era
chiaro che Stevie Rae
era nel dubbio su quanto dire o non dire,
perciò decisi di aiutarla.
Che cavolo, dovevamo essere compagne
di stanza. «È una
stronza!»
Stevie Rae sgranò gli occhi, poi si mise
a ridacchiare. «Non è
una gran simpaticona, questo è certo.»
«Ha bisogno di psicofarmaci, questo è
certo!» aggiunsi,
facendola ridere ancora di più.
«Credo proprio che andremo molto
d'accordo, Zoey
Redbird», disse, sempre sorridendo.
«Benvenuta nella tua nuova
casa!» Si spostò di lato e fece un ampio
gesto col braccio, come
se, invece che in una piccola stanza, mi
stesse facendo entrare in
un palazzo.
Mi guardai intorno e sbattei le palpebre.
Più volte. La prima
cosa che vidi fu il poster a grandezza
naturale di Kenny Chesney
appeso sopra uno dei due letti e il
cappello da cowboy (cowgirl?)
appoggiato su un comodino, quello su
cui c'era anche una lampada
dall'aria fuori moda con la base a forma
di stivale da cowboy.
Acci. Picchia. Stevie Rae era una vera
Okie, made in Oklahoma al
cento per cento!
Poi mi stupì con un forte abbraccio di
benvenuto, facendomi
venire in mente un bel cucciolo, coi
corti capelli ricci e il viso
tondo e sorridente. «Zoey, sono così
contenta che tu ti senta
meglio! Ero così preoccupata quando mi
hanno detto che ti eri
fatta male. Sono davvero felice che tu
sia finalmente qui.»
«Grazie», replicai, continuando a
guardarmi intorno in quella
che adesso era anche la mia stanza,
sentendomi stranamente
confusa e sul punto di scoppiare di
nuovo in lacrime.
«Mette un po' paura, vero?» Stevie Rae
mi osservava con seri
occhioni azzurri pieni di lacrime di
solidarietà.
Annuii, non fidandomi a parlare.
«Lo so. La prima notte l'ho passata a
piangere.»
«Da quanto sei qui?» domandai
ricacciando indietro le
lacrime.
«Da tre mesi. E, ragazzi, se ero contenta
quando mi hanno
detto che avrei avuto una compagna di
stanza!»
«Sapevi che stavo arrivando?»
«Ohssììì! Neferet me l'ha detto l'altroieri
che il Rintracciatore
ti aveva individuata e che stava per
Segnarti. Pensavo che saresti
arrivata ieri, ma poi ho saputo che avevi
avuto un incidente ed eri
stata portata in infermeria. Cosa ti è
successo?»
«Cercavo mia nonna, sono caduta e ho
battuto la testa.» Mi
strinsi nelle spalle. Non provavo la
strana sensazione che mi
diceva di tenere il becco chiuso, ma
ancora non sapevo quanto
potevo raccontare a Stevie Rae, perciò
mi sentii sollevata quando
annuì come se capisse e non chiese altro
sull'incidente. Né
menzionò il mio Marchio insolitamente
completo.
«I tuoi genitori hanno sclerato quando
sei stata Segnata?» mi
chiese.
«Sono andati fuori di testa. E i tuoi?»
«A dire il vero per mia mamma non
c'era problema. Ha
detto che qualunque cosa mi portasse via
da Henrietta era
una buona cosa.»
«Henrietta, Oklahoma?» chiesi, felice di
passare a un
argomento che non riguardava soltanto
me.
«Purtroppo sì.»
Stevie Rae si lasciò cadere sul letto
sotto il poster di
Kenny Chesney e m'indicò di sedermi su
quello dall'altra
parte della stanza. Lo feci e provai una
piacevole sorpresa
quando mi accorsi che ero sul favoloso
piumino verde e
fucsia di Ralph Lauren che avevo a casa.
Guardai sul
comodino e quasi non credetti ai miei
occhi: c'erano i miei
scoccianti, giganteschi e squallidi
occhiali per quando mi
davano fastidio le lenti a contatto e la
foto di me con la
nonna l'estate precedente. E sullo
scaffale dietro il computer
dalla mia parte della stanza vidi la mia
collezione di «Gossip
Girls» e di «Bubbles» (assieme ad
alcuni dei miei libri
preferiti, incluso Dracula di Bram
Stoker, cosa ben più che
ironica), dei CD, il mio portatile e – oh
Signore mio caro – le
mie figurine di Monsters & Co.
Imbarazzante è un lieve
eufemismo. E sul pavimento accanto al
letto c'era il mio
zaino.
«Tua nonna ti ha portato tutta la tua roba.
È proprio
simpatica», spiegò Stevie Rae.
«È più che simpatica. Bisogna essere
coraggiosi come
un leone per affrontare mia madre e il
suo stupido marito per
andare a prendere la mia roba. Riesco
appena a immaginare
la scena drammatica che avrà fatto la
mamma.» Sospirai, poi
scossi la testa.
«Giiiààà, immagino di essere fortunata.
Almeno mia
mamma l'ha presa bene.» Stevie Rae
indicò il contorno della
mezzaluna che aveva sulla fronte.
«Anche se papi era fuori
come un balcone e ripeteva che sono la
sua unica 'piccolina' e roba
simile.» Si strinse nelle spalle e
ridacchiò di nuovo. «I miei tre
fratelli pensavano fosse da urlo e
volevano sapere se potevo
aiutarli a conoscere un po' di
pollastrelle vampire.» Alzò gli occhi
al cielo. «Stupidi ragazzi.»
«Stupidi ragazzi», le feci eco,
sorridendo. Se pensava che i
ragazzi fossero stupidi, noi due saremmo
proprio andate d'accordo.
«Praticamente adesso sto okay con tutta
la situazione. Cioè,
le lezioni sono strane ma mi
piacciono… soprattutto il corso di
Tae Kwan Do. Pare che ci provi gusto a
prendere a calci dei
sederi.» Sogghignò birichina, come un
piccolo elfo biondo. «E mi
piace la divisa, che all'inizio mi ha
shockata. Cioè, chi pensa che
possa piacergli una divisa di scuola?
Ma possiamo aggiungerci
delle cose e renderle uniche, così non
sembrano le solite noiose
divise di quelli che se la tirano. E poi
qui ci sono dei veri fighi…
anche se i maschi sono stupidi.» Le
brillavano gli occhi.
«Praticamente sono così contenta di
essermene andata da Henrietta che del resto non mi frega, anche se
Tulsa fa una certa paura,
visto che è così grande.»
«Tulsa non fa paura», replicai in
automatico. A differenza di
troppi ragazzini del nostro sobborgo di
Broken Arrow, sapevo
girare per Tulsa, grazie a quelle che alla
nonna piaceva chiamare
«escursioni sul campo» assieme a lei.
«Basta sapere dove andare.
In centro, a Brady Street, c'è un
grandissimo negozio di perline
dove puoi farti i tuoi gioielli e al
negozio accanto trovi Lola's at
the Bowery, che fa i dolci più buoni
della città. È okay anche
Cherry Street. Non è molto lontano da
qui e, a dire il vero, siamo a
due passi dal superlativo Philbrook
Museum e da Utica Square. Lì
ci sono dei negozi favolosi dove…»
All'improvviso mi resi
conto di quello che stavo dicendo: i
ragazzi vampiri si
mescolavano a quelli normali? Mi
spremetti le meningi. No.
Non avevo mai visto ragazzi con la
mezzaluna in fronte
gironzolare intorno al Philbrook, al Gap
di Utica, al Banana
Republic o a Starbucks. Non li avevo
mai visti al cinema.
Diavolo! Fino a quel giorno non avevo
mai visto dei ragazzi
vampiro. Allora ci avrebbero tenuti
chiusi lì dentro per
quattro anni? Sentendomi un po' a corto
di fiato e
decisamente claustrofobica, chiesi: «Ma
usciamo mai di
qui?»
«Sì, ma ci sono un sacco di regole da
seguire.»
«Regole? Di che tipo?»
«Be', non puoi indossare nessuna parte
della divisa di
scuola…» S'interruppe di colpo. «Mi
venisse! Questo mi ha
ricordato che dobbiamo sbrigarci. La
cena è tra pochi minuti
e tu ti devi cambiare.» Schizzò in piedi e
prese a frugare
nell'armadio della mia parte di stanza,
continuando
imperterrita a chiacchierare. «Neferet ha
fatto portare dei
vestiti ieri sera. Non preoccuparti della
taglia. Non so come,
ma la conoscono ancora prima di averci
visti. Fa un po'
impressione che i vampiri adulti
sappiano molto più di
quanto dovrebbero. Comunque, non aver
paura. Dicevo sul
serio prima, che le divise non sono
terribili come si potrebbe
pensare. Puoi davvero aggiungerci
qualcosa di personale…
come ho fatto io.»
La guardai. Cioè, la guardai per
davvero. Giuro che
aveva un paio di Roper jeans, di quelli
che mettono i fighetti
e che sono mille taglie troppo stretti e
senza le tasche dietro.
Come qualcuno possa pensare che
qualcosa di troppo stretto
e senza tasche dietro stia bene,
sinceramente va al di là della
mia comprensione. Stevie Rae era secca
come un chiodo e
quei jeans riuscivano a far venire un
gran culone perfino a
lei. Ancora prima di abbassare lo
sguardo, sapevo che scarpe
doveva avere: stivali da cowboy.
Controllai e feci un sospiro. Già.
Stivali da cowboy di cuoio marrone, con
tacco basso e punte
all'insù. Nei jeans era infilata una
camicia nera di cotone a
maniche lunghe dall'aria costosa, del
genere che si trova da Saks o
da Neiman Marcus, ben diversa da
quelle più economiche e
trasparenti che il comunque troppo caro
Abercrombie cerca di
farci credere non siano stile battona.
Quando tornò a guardarmi
vidi che aveva due buchi alle orecchie
da cui pendevano dei cerchi
d'argento. Si voltò, tenendo in una mano
una camicia nera come la
sua e nell'altra un golfino, e decisi che,
anche se il suo look
country non faceva per me, lei era
proprio carina con quel mix di
campagnolo e chic.
«Eeccoo qui! Metti questi sopra i jeans
e possiamo andare.»
La luce tremolante che veniva dalla
lampada a stivale da
cowboy fece luccicare il ricamo
d'argento sul davanti del golfino
che Stevie Rae mi tendeva. Mi alzai e
presi la camicia, tenendo
alto il golf per vedere meglio: il ricamo
d'argento era a forma di
spirale e creava uno scintillante cerchio
che sarebbe risultato
giusto sopra il mio cuore.
«È il nostro simbolo», disse Stevie Rae.
«Il nostro simbolo?»
«Giààà, ogni classe – qui si chiamano
terza, quarta, quinta e
sesta – ha il suo simbolo. Noi siamo in
terza, perciò il nostro è il
labirinto d'argento della Dea Nyx.»
«Cosa significa?» chiesi, più a me
stessa che a lei mentre
seguivo col dito i cerchi d'argento.
«Rappresenta il nostro nuovo inizio, il
momento in cui
cominciamo a seguire la Via della Notte
e impariamo le usanze
della Dea e le possibilità che ci offre la
nostra nuova vita.»
Alzai gli occhi a guardarla, stupita che
all'improvviso
sembrasse così seria.
Lei mi fece un gran sorriso un po' timido
e si strinse nelle
spalle. «È una delle prime cose che
s'imparano a Sociologia
Vampira 101. È la materia che insegna
Neferet, ed è un casino
meglio di tutte quelle lezioni pallose che
seguivo all'Henrietta
High, sede delle galline da
combattimento. Bleah! Galline da
combattimento! Ma come si fa ad avere
una mascotte così
stupida?» Scosse la testa alzando gli
occhi al cielo, mentre io
scoppiavo a ridere. «Comunque»,
continuò. «Ho saputo che il tuo
mentore è Neferet e questa è una fortuna
pazzesca. Praticamente
non accetta più nuovi studenti e, oltre a
essere la Somma
Sacerdotessa, qui dentro è senza
alcunissimo dubbio l'insegnante
più favolosa.»
Quello che non disse era che non ero
semplicemente
fortunata, ero «speciale», col mio strano
Marchio già colorato.
Cosa che mi ricordò… «Stevie Rae,
perché non mi hai chiesto del
mio Marchio? Cioè, apprezzo molto il
fatto che tu non mi abbia
bombardata di domande, ma mentre
venivo qui tutti quelli che
incrociavo fissavano la mia fronte.
Afrodite ha affrontato
l'argomento zero secondi dopo che
eravamo rimaste sole, tu invece
non l'hai neanche guardato. Come mai?»
A quel punto squadrò per bene il mio
Marchio, poi si strinse
nelle spalle e tornò a incrociare il mio
sguardo. «Sei la mia
compagna di stanza. Ho pensato che me
ne avresti parlato quando
fossi stata pronta. Una delle cose che ho
imparato vivendo in una
città piccola come Henrietta è che, se si
vuole che gli altri restino
tuoi amici, è meglio farsi i fatti propri. E
be', noi divideremo la
camera per quattro anni…» S'interruppe
e nella pausa tra le parole
stava in agguato la grande, orribile
verità non detta: saremmo state
compagne di stanza per quattro anni solo
se entrambe fossimo
sopravvissute alla Trasformazione.
Stevie Rae deglutì con forza e
concluse in fretta: «Insomma, quello che
sto cercando di dire è che
voglio che siamo amiche, ecco».
Le sorrisi. Sembrava così giovane e
fiduciosa, così carina e
normale, niente affatto come avevo
immaginato sarebbe stata una
ragazza vampiro. Provai un fremito di
speranza. Magari avrei
trovato il modo d'integrarmi in quel
posto. «Anch'io voglio che
siamo amiche.»
«Evviiiva!» Giuro che sembrò di nuovo
un cucciolo che
scodinzola. «Andiamo però! Sbrigati…
mica vorrai fare tardi?»
Mi diede una spinta verso la porta tra i
due armadi, prima di
raggiungere di corsa lo specchio che
aveva sulla scrivania e
cominciare a spazzolarsi i capelli corti.
Entrai e trovai un bagno minuscolo, mi
tolsi in fretta la Tshirt dei Broken Arrow Tigers, la
squadra di baseball, e indossai la
camicia di cotone con sopra il golfino di
seta che era di un bel
viola intenso, con sottili righe nere che
creavano dei riquadri.
Stavo per tornare in camera a prendere
lo zaino per potermi
sistemare faccia e capelli col trucco e la
roba che mi ero portata da
casa, quando guardai nello specchio
sopra il lavandino. Ero ancora
pallida, ma non più di quel pallore poco
sano e preoccupante di
prima. I capelli erano un delirio,
arruffati e pieni di nodi, e si
vedevano anche i punti scuri appena
sopra la tempia sinistra. Ma
fu il Marchio color zaffiro ad attirare la
mia attenzione e, mentre
lo fissavo, incantata dalla sua bellezza
esotica, la luce del bagno
colpì il labirinto d'argento ricamato sul
mio cuore. Decisi che i due
simboli in qualche modo s'intonavano,
pur essendo di forma
diversa… di colore diverso…
Ma io m'intonavo a tutto ciò? A quello
strano nuovo mondo?
Chiusi gli occhi con forza, sperando con
tutta me stessa che
quello che ci avrebbero dato da
mangiare (oh, ti prego, fa' che non
sia necessario bere sangue) non facesse
a pugni col mio povero
stomaco già attorcigliato e nervoso.
«Oh, no…» mormorai tra me, «sarebbe
il mio tipico colpo di
fortuna beccarmi un attacco di diarrea
fulminante.»
9
Okay, la mensa – oops, volevo dire la
«sala da pranzo», come
affermava la targhetta d'argento
all'ingresso – era fantastica.
Niente a che vedere con la mostruosa
mensa della scuola di prima,
dove si moriva dal freddo e l'acustica
era talmente oscena che
anche se ero seduta vicino a Kayla per
metà del tempo nemmeno
riuscivo a sentire le sue kaylate sparate
a raffica. La stanza era
calda e accogliente, con le pareti nello
stesso strano misto di
mattoni a vista e pietra nera dell'esterno
dell'edificio, piena di
pesanti tavoli da picnic di legno
corredati di panche con seduta
imbottita e schienale. Ogni tavolo
ospitava circa sei ragazzi ed
erano tutti disposti a raggiera intorno a
un tavolone centrale dove
non era seduto nessuno e che
praticamente strabordava di frutta,
formaggio e carne; accanto al cibo c'era
un calice di cristallo pieno
di quello che somigliava in modo
sospetto a vino rosso (come?
Vino a scuola? Da quando?) Il soffitto
era basso e la parete sul
retro era tutta di vetro, con una porta
finestra centrale. I pesanti
tendoni di velluto bordeaux erano stati
tirati, perciò riuscivo a
vedere che fuori c'era un delizioso
giardinetto con panchine di
pietra, tortuosi sentierini, fiori, cespugli
ornamentali e in mezzo
una fontana di marmo, dalla cui cima,
che sembrava una sorta di
ananas, zampillava l'acqua. Era
bellissimo, soprattutto così,
illuminato dalla luna e da qualche antico
lume a gas.
La maggior parte dei tavoli era già piena
di ragazzi che
mangiavano e chiacchieravano, e che
ovviamente ci lanciarono
un'occhiata curiosa quando Stevie Rae e
io entrammo nella stanza.
Presi un bel respiro e tenni la testa alta.
Tanto valeva che
vedessero bene il Marchio da cui
sembravano essere tutti tanto
ossessionati. Stevie Rae mi portò sul
lato della stanza dove si
trovavano i tipici addetti alle mense che
passavano il cibo da
dietro un vetro stile buffet.
«A cosa serve il tavolo al centro?» le
chiesi mentre
camminavamo.
«È l'offerta simbolica alla Dea Nyx, A
quel tavolo c'è sempre
un posto apparecchiato per lei.
All'inizio sembra un po' strano, ma
poi passa e vedrai che ti sembrerà
okay.»
A dire il vero, a me non sembrava
affatto strano, anzi, aveva
senso: la Dea Nyx era così presente in
quel posto! Il suo Marchio
era ovunque. La sua statua si ergeva
orgogliosa davanti al suo
tempio e cominciavo anche a notare che
in tutta la scuola c'erano
piccoli quadri e statuine che la
raffiguravano. La sua Somma
Sacerdotessa era la mia mentore e
dovevo ammettere che già mi
sentivo legata a Nyx. Feci uno sforzo per
non toccare il suo
Marchio che avevo sulla fronte,
afferrando invece un vassoio per
seguire Stevie Rae che si era messa in
fila.
«Non ti preoccupare, il cibo è
buonissimo. Non ti fanno bere
sangue o mangiare carne cruda o roba
del genere», mi sussurrò.
Sollevata, rilassai le mascelle. La
maggior parte dei ragazzi
stava già mangiando, perciò non ci
mettemmo molto e, quando
Stevie Rae e io arrivammo all'altezza
del bancone, mi venne
l'acquolina in bocca. Spaghetti! Inspirai
a fondo: con l'aglio!
«Quelle storie che i vampiri non
sopportano l'aglio sono una
stronzata totale, se mi scusi
l'espressione», mi stava dicendo
sottovoce Stevie Rae mentre
riempivamo i piatti.
«Okay, lo sono anche quelle che i
vampiri devono bere il
sangue?» replicai sempre bisbigliando.
«No», rispose piano.
«No?»
«Non sono una stronzata.»
Grandioso. Stupendo. Fantastico.
Proprio quello che volevo
sentire: No.
Cercando di non pensare al sangue e a
chissà che altro, presi
un bicchiere di tè e seguii Stevie Rae a
un tavolo dove due
studenti stavano già chiacchierando
animatamente. Ovviamente la
conversazione s'interruppe di botto
quando mi unii a loro, cosa che
non sembrò turbare minimamente Stevie
Rae.
Mentre m'infilavo sulla panca di fronte a
lei, fece le
presentazioni con la sua pronuncia
nasale da vera Okie. «Ma
ciaaao, ragaaazzi! Questa è la mia nuova
compagna di stanza,
Zoey Redbird. Zoey, lei è Erin Bates.»
Indicò la bionda
assurdamente bella seduta al mio lato
del tavolo (e che cavolo!
Quante belle bionde possono esserci in
una scuola? Non esiste una
specie di limite?), poi, sempre col suo
tono pratico e concreto,
continuò disegnando nell'aria delle
virgolette per enfatizzare le sue
parole: «Erin è la 'bellona'. Ma è anche
simpatica e intelligente ed
è la persona con più scarpe che abbia
mai conosciuto».
Erin staccò gli occhioni azzurri dal mio
Marchio quanto
bastava per rivolgermi un rapido
«Ciao».
«E lui è il rappresentante maschile del
nostro gruppo,
Damien Maslin. Però è gay, quindi non
sono sicura che conti
davvero come un ragazzo.»
Invece di arrabbiarsi con Stevie Rae,
Damien mi guardò
tranquillo. «In realtà, dato che sono gay,
credo che dovrei contare
come due ragazzi e non uno soltanto.
Voglio dire, con me avete il
punto di vista maschile e non dovete
preoccuparvi che voglia
toccarvi le tette.»
Aveva un viso liscio, senza la minima
traccia di acne, capelli
castani e occhi marrone scuro che mi
fecero venire in mente un
cerbiatto. A dirla tutta, era proprio
bello. Non nel modo
effeminato di molti ragazzi quando
decidono di uscire allo
scoperto e dire a tutti quello che tutti
sanno già (be', tutti tranne i
loro genitori tipicamente tontoloni e/o in
fase di negazione),
Damien non era un tipo tutto moine da
femmina mancata, ma un
bel ragazzo dal sorriso simpatico. Che
per di più si sforzava di non
fissarmi la fronte, fatto che apprezzai
moltissimo.
«Be', forse hai ragione. Non l'avevo mai
vista in questo
modo», disse Stevie Rae
sgranocchiando un gran pezzo di pane
all'aglio.
Damien replicò: «Ignorala, Zoey. Il resto
di noi è abbastanza
normale. E siamo strafelici che tu sia
finalmente arrivata. Stevie
Rae stava facendo diventare tutti matti
chiedendosi come saresti
stata…»
«… se saresti stata una di quegli
strampalati che puzzano e
pensano che essere un vampiro
significhi fare a gara a chi fa più
schifo…» l'interruppe Erin.
«… o se saresti stata una di loro»,
concluse Damien con
un'occhiata di sbieco al tavolo alla
nostra sinistra.
Seguii il suo sguardo e mi saltarono i
nervi quando vidi di chi
stava parlando. «Intendi Afrodite?»
«Già. Lei e il suo gruppo di presuntuose
piaggiatrici», rispose
Damien.
Che? Lo fissai sbattendo le palpebre.
Stevie Rae sospirò. «Ti abituerai alla
sua ossessione per il
vocabolario. Per fortuna questa non è
una parola nuova, quindi
siamo riusciti a capire di cosa sta
parlando senza dovergli
implorare una traduzione. Di nuovo.
Piaggiatore: lusingatore
servile», disse con orgoglio, come
avesse dato la risposta giusta a
lezione d'inglese.
«Quello che è. In ogni caso loro mi
fanno venire voglia di
vomitare», intervenne Erin senza
staccare gli occhi dagli spaghetti.
«Loro?» chiesi.
«Le Figlie Oscure», rispose Stevie Rae,
e notai che aveva
automaticamente abbassato la voce.
«Considerale una sorta di associazione
femminile», spiegò
Damien.
«Di streghe infernali», aggiunse Erin.
«Ehi, ragaaazzi, non credo che
dovremmo mettere in testa a
Zoey dei pregiudizi. Magari lei ci va
d'accordo», osservò Stevie
Rae.
«Fanculo. Sono streghe infernali»,
confermò Erin.
«Attenta a cosa esce da quella tua
boccuccia di rosa, Erin», la
sgridò un po' compassato Damien.
Incredibilmente sollevata dal fatto che
Afrodite non piacesse
a nessuno di loro, stavo per farmi dare
qualche altra informazione,
quando arrivò di corsa una ragazza che,
sbuffando indignata,
s'infilò col suo vassoio vicino a Stevie
Rae. Era color cappuccino
(di quello che si prende al bar, non la
schifezza iperdolce che vien
giù dalle macchinette), tutta curve, con
labbra imbronciate e
zigomi alti che la facevano sembrare una
principessa africana.
Aveva anche dei capelli splendidi, scuri
e folti, che le scendevano
sulle spalle in onde lucide, e gli occhi
erano talmente neri che
sembrava non avessero pupilla.
«Scusatemi! No, scusatemi tanto!»
esordì fissando con
intenzione Erin. «Ma proprio a nessuno
è passato per l'anticamera
del cervello di venirmi a svegliare e
dirmi che era ora di cena?»
«Pensavo di essere la tua compagna di
stanza, non la tua
mammina», replicò pigramente Erin.
«Non costringermi ad alzarmi in piena
notte per tagliarti quei
capelli biondi da Jessica Simpson»,
replicò la principessa africana.
Damien precisò: «In realtà la frase
corretta avrebbe dovuto
essere: 'Non costringermi ad alzarmi in
pieno giorno per tagliarti
quei capelli biondi da Jessica Simpson'.
In pratica per noi il giorno
è la notte e quindi la notte è il giorno.
Qui il tempo è rovesciato».
La ragazza di colore gli lanciò
un'occhiataccia. «Damien, mi
stai dando sull'ultimo dei miei nervi sani
con tutte 'ste stronzate da
vocabolario.»
Stevie Rae intervenne: «Shaunee,
finalmente è arrivata la mia
compagna di stanza! Questa è Zoey
Redbird. Zoey, lei è la
compagna di Erin, Shaunee Cole».
«Ciao», dissi con in bocca una
forchettata di spaghetti
quando Shaunee spostò lo sguardo
assassino da Erin a me.
«Allora, Zoey, cos'è 'sta storia del
Marchio già tutto colorato?
Sei ancora una novizia, giusto?»
Tutti si zittirono, shockati dalla domanda
di Shaunee.
Lei si guardò intorno. «Be'? Non state lì
a fingere che non vi
chiedete anche voi la stessa cosa.»
«È possibile, ma è anche possibile che
siamo abbastanza
educati da non fare domande», replicò
decisa Stevie Rae.
Shaunee scrollò le spalle. «Oh, per
favore! Be', comunque
sia, è una questione troppo importante
per fare i sofistici. Tutti
vogliono sapere del suo Marchio e non
c'è tempo da perdere in
giochetti quando si ha sottomano un
pettegolezzo bello succoso.»
Tornò a rivolgersi a me. «Allora? Cos'è
'sta storia di 'sto strano
Marchio?»
Tanto vale affrontare la questione
adesso. Bevvi un sorso di
tè per schiarirmi la voce, mentre tutti e
quattro mi fissavano,
impazienti di avere una risposta. «Be',
sono ancora una novizia.
Non credo proprio di essere diversa da
voi.» Poi biascicai
qualcosa che avevo pensato mentre gli
altri parlavano. Insomma,
sapevo che prima o poi avrei dovuto
rispondere a quella domanda.
Non ero stupida – confusa, forse, ma non
stupida – e lo stomaco
mi diceva che non dovevo dire la verità
riguardo alla mia
esperienza extra corporea con Nyx.
«Non so perché il mio
Marchio è tutto colorato. Non era così
quando mi ha trovata il
Rintracciatore, ma poi, quello stesso
giorno, ho avuto un
incidente. Sono caduta e ho picchiato la
testa. Quando mi sono
risvegliata, il Marchio era com'è adesso.
Ci ho pensato su e tutto
quello che posso dire è che forse è stata
una reazione a quello che
mi è successo. Ho perso i sensi e un
sacco di sangue. Magari
questo ha accelerato il processo di
colorazione. Cioè, questo è
quello che ho pensato io.»
Shaunee sbuffò. «Uff, speravo in
qualcosa di più eccitante.
Qualcosa di pettegolosamente saporito.»
«Mi dispiace…» borbottai.
«Occhio, gemella, cominci a parlare
come se stessi seduta a
quel tavolo», disse Erin a Shaunee
indicando con la testa le Figlie
Oscure.
Il viso di Shaunee si contorse. «Non mi
farei mai beccare
non-morta con quelle stronze.»
«Stai incasinando le idee a Zoey»,
brontolò Stevie Rae.
Damien fece un sospiro lungo e sofferto.
«Spiego io,
dimostrando una volta di più quanto
sono utile a questo gruppo,
pene o non pene.»
«Gradirei che non usassi quella parola,
soprattutto quando sto
cercando di mangiare», lo rimbeccò
Stevie Rae.
Erin intervenne: «A me piace. Se tutti
chiamassero le cose
col loro nome, ci sarebbe molta meno
confusione. Per esempio,
quando devo andare in bagno affermo
ciò che è ovvio: ho
dell'urina che vuole uscire dalla mia
uretra. Semplice. Facile.
Chiaro».
«Disgustoso. Volgare. Rozzo», ribatté
Stevie Rae.
«Sto con te, gemella», fece Shaunee.
«Insomma, se
parlassimo apertamente di cose come
urinazione e mestruazioni e
robe così, la vita sarebbe molto più
semplice.»
«Okay. Basta parlare di mestruazioni
mentre mangiamo
spaghetti.» Damien sollevò una mano
come se potesse bloccare
fisicamente la conversazione. «Sarò
anche gay, ma c'è un limite a
quello che posso sopportare.» Si chinò
verso di me e si lanciò
nella spiegazione. «Primo, Shaunee ed
Erin si chiamano gemelle
perché, anche se è evidente che non
sono imparentate, visto che
Erin è una bianchissima ragazza di Tulsa
e Shaunee viene dal
Connecticut ed è di origine giamaicana,
fatto che le dà quel
meraviglioso color moca…»
«Ti ringrazio di apprezzare la mia
negritudine», commentò
Shaunee.
«Non c'è di che», replicò Damien, poi
riprese subito a
spiegare. «Comunque, anche se non
hanno un legame di sangue si
somigliano in modo impressionante.»
«È come se fossero state separate alla
nascita, sai, quel
genere di cose», intervenne Stevie Rae.
In quel momento Erin e Shaunee si
sorrisero e si strinsero
nelle spalle. Fu allora che mi accorsi
che erano vestite allo stesso
modo, con una giacca di jeans scuro con
delle bellissime ali dorate
ricamate sul taschino, T-shirt nera e
pantaloni neri a vita bassa.
Avevano anche gli stessi orecchini:
grandissimi cerchi d'oro.
«Abbiamo lo stesso numero di scarpe»,
intervenne Erin
allungando il piede in modo che potessi
vedere che portava stivali
neri a punta col tacco a spillo.
«E cosa conta una piccola differenza
nella melanina quando
si parla di vero e profondo amore per le
scarpe?» Sollevando il
piede, Shaunee mostrò un altro
bellissimo stivale, di pelle nera
liscia con fibbie d'argento alla caviglia.
«Prossimo argomento!» la bloccò
Damien alzando gli occhi
al cielo. «Le Figlie Oscure. La versione
breve è che sono un
gruppo formato in massima parte da
persone del ceto alto che
sostengono che lo spirito della scuola
sia affidato a loro e altre
cosette del genere.»
«No, la versione breve è che sono delle
streghe infernali»,
fece Shaunee.
«Proprio quello che avevo detto io,
gemella», rise Erin.
«Non è che voi due siate di grande
aiuto», le rimbeccò
Damien. «Allora, dov'ero arrivato?»
«Spirito della scuola e cosette del
genere», suggerii.
«Ah, sì, giusto. Insomma si presume che
siano questa grande
organizzazione pro-scuola e provampiri, ed è anche previsto che
la loro capa venga addestrata per
diventare Somma Sacerdotessa,
perciò si presume che lei sia il cuore, la
mente e lo spirito della
Casa della Notte, oltre che un futuro
capo nella società dei
vampiri, eccetera eccetera, bla bla bla.
Immagina un misto tra il
Miglior Studente della Nazione a capo
della Honor Society e un
gruppo di cheerleader e bandisti
finocchi.»
«Ehi, non è irrispettoso del tuo essere
gay chiamarli bandisti
finocchi?» chiese Stevie Rae.
«Uso quella parola in senso affettuoso»,
replicò Damien.
«E giocatori di football! Non
dimenticare che ci sono anche i
Figli Oscuri», intervenne Erin.
«Oh, sì, gemella. È un vero crimine e un
gran peccato che dei
bonazzi simili vengano risucchiati…»
«E intende in senso letterale»,
puntualizzò Erin con un
sorrisetto osceno.
«… da 'ste streghe infernali», concluse
Shaunee.
«Ma figuriamoci! Da quando dimentico i
maschietti? È solo
che vengo interrotto in continuazione»,
si lamentò Damien.
Le tre ragazze gli rivolsero un sorriso di
scuse. Stevie Rae
mimò di chiudersi la bocca con una zip e
buttare via la chiave;
Erin e Shaunee mossero le labbra per
formare la parola «penosa»,
ma se ne stettero zitte per lasciarlo
finire.
Mi ero accorta che avevano scherzato
sull'idea del
«succhiare», facendomi pensare che la
scenetta cui avevo assistito
non fosse troppo insolita.
Damien continuò: «Ma in realtà le Figlie
Oscure sono delle
stronze presuntuose che si eccitano a
comandare a bacchetta tutti
gli altri. Vogliono che tutti le seguano e
si adeguino alle loro
strampalate idee su cosa significhi
diventare vampiri. Soprattutto
odiano gli umani e, se non sei d'accordo
con loro, non ti cagano
neanche di striscio».
«Se non per crearti problemi», aggiunse
Stevie Rae.
Dalla sua espressione capivo che
doveva aver avuto
un'esperienza diretta dei «problemi» in
questione e mi ricordai di
quanto mi era sembrata pallida e
impaurita quando Afrodite mi
aveva accompagnata nella nostra stanza.
Presi mentalmente nota
di ricordarmi di chiederle cosa fosse
successo.
«Ma non lasciarti spaventare», riprese
Damien.
«Semplicemente guardati le spalle
quando sono in giro e…»
«Ciao, Zoey. È bello rivederti così
presto.»
Stavolta non ebbi alcun problema a
riconoscere la sua voce.
Decisi che era come il miele: scivolosa
e decisamente troppo
dolce.
Al tavolo sobbalzarono tutti, io inclusa.
Lei indossava un golf come il mio, solo
che all'altezza del
cuore aveva ricamata la sagoma di tre
donne simili a dee, una delle
quali teneva in mano quello che
sembrava un paio di forbici.
Aveva una gonna nera a pieghe molto
corta, calze nere con lustrini
d'argento e stivali al ginocchio, sempre
neri. Dietro di lei c'erano
due ragazze, vestite più o meno allo
stesso modo. Una era di
colore, con dei capelli di una lunghezza
impossibile e l'altra era
invece un'ennesima bionda (che però, a
un esame più ravvicinato
delle sopracciglia, decisi che con ogni
probabilità era bionda
naturale quanto me).
«Ciao, Afrodite», replicai mentre gli
altri sembravano troppo
sotto shock per parlare.
«Spero di non interrompere qualcosa
d'importante» , riprese
lei, falsa come Giuda.
«Per niente. Stavamo discutendo della
spazzatura da portare
fuori stasera», replicò Erin con un
sorriso per niente sincero.
«Ah be', se c'è qualcuno che conosce
l'argomento quelli siete
senz'altro voi», ribatté Afrodite con un
ghigno di superiorità,
quindi voltò con intenzione le spalle a
Erin, che stringeva i pugni e
aveva l'aria di volerle saltare addosso.
«Sai, Zoey, avrei dovuto
dirti una cosa prima, ma mi è proprio
passata di mente. Volevo
invitarti a unirti alle Figlie Oscure per il
nostro rito privato della
Luna Piena, domani sera. So che è
insolito prendervi parte per
qualcuno che è qui da poco, ma il tuo
Marchio dimostra con
chiarezza che sei… be', diversa dalla
media delle novizie.»
Abbassò il naso perfetto in direzione di
Stevie Rae. «L'ho già detto
a Neferet, che è d'accordo e ritiene
sarebbe un bene per te unirti a
noi. Ti fornirò i dettagli più tardi,
quando non sarai più così
impegnata con… mmm… la
spazzatura.» Rivolse al resto del
tavolo il suo sorriso sarcastico a labbra
strette, scostò i lunghi
capelli e lei e la sua scorta svolazzarono
via.
«Stronze streghe infernali»,
commentarono in stereo Shaunee
ed Erin.
10
«Continuo a pensare che alla fine tutta
quella burbanza
affosserà Afrodite», disse Damien.
«Burbanza: arroganza sprezzante»,
spiegò Stevie Rae.
«A dire il vero questa la sapevo»,
replicai tenendo gli occhi
su Afrodite e la sua cricca. «Abbiamo
appena finito di leggere
Medea al corso di letteratura. È stata
quella a rovinare Giasone.»
«Quanto mi piacerebbe tirargliela fuori
a pugni, la burbanza,
da quella testa piena di bacherozzi»,
sbottò Erin.
«Okay, gemella, te la tengo ferma io»,
disse Shaunee.
«No! Ragaaazzi, ne abbiamo già
discusso. La punizione per
aver fatto a botte è grave. Molto grave.
Non ne vale la pena.»
Vidi Erin e Shaunee impallidire nello
stesso istante e avrei
voluto chiedere cosa potesse esserci di
tanto grave, ma Stevie Rae
continuò a parlare, stavolta rivolta a me.
«Basta che stai attenta,
Zoey. Le Figlie Oscure, e soprattutto
Afrodite, a volte possono
sembrare okay, ed è allora che sono più
pericolose.»
Scossi la testa. «Ah, no no. Non ci vado
a quella loro roba
della luna piena.»
«Penso che tu debba farlo», intervenne
sottovoce Damien.
«Neferet ha dato l'okay», riprese Stevie
Rae mentre Erin e
Shaunee annuivano. «Questo significa
che si aspetta che tu ci
vada. Non puoi dire di no al tuo
mentore.»
«Specialmente quando il mentore in
questione è Neferet,
Somma Sacerdotessa di Nyx», rincarò la
dose Damien.
«Non posso semplicemente dire che non
sono pronta per…
per… qualunque cosa sia che vogliono
farmi fare e chiedere a
Neferet se per questa volta posso essere
assente giustificata – o
come diavolo si dice qui – per la loro
Festa della Luna Piena?»
«Be', sì, potresti, ma Neferet lo direbbe
alle Figlie Oscure e
loro penserebbero che hai paura.»
Pensai ai casini che erano già successi
tra Afrodite e me in
così poco tempo. «Sai, Stevie Rae, io
potrei avere davvero già
paura di loro.»
«Non farglielo capire. Mai.» Stevie Rae
abbassò lo sguardo
sul piatto, cercando di nascondere
l'imbarazzo. «È peggio che
mettercisi contro.»
Damien la consolò dandole dei colpetti
sulla mano. «Tesoro,
smetti di farti le menate per quello.»
Stevie Rae gli rivolse un dolce sorriso
di ringraziamento,
quindi tornò a darmi consigli. «Vai. Fatti
forza e vai. Durante il
rituale non faranno niente di troppo
orribile. Si tiene qui al
campus; non oserebbero.»
Shaunee annuì. «Già, le stronzate
peggiori le fanno lontano
da qui, dove per i vampiri è più difficile
beccarle. Quando restano
in zona, fingono di essere schifosamente
dolci, in modo che
nessuno sappia come sono realmente.»
«Nessuno tranne noi», intervenne Erin
con un gesto della
mano che includeva non solo il nostro
gruppetto, ma anche tutto il
resto della stanza.
«Ragaaazzi, non so, magari Zoey andrà
davvero d'accordo
con qualcuna di loro», disse Stevie Rae,
senza il minimo accenno
di sarcasmo o di gelosia.
Scossi la testa. «No, no. Non andrò
d'accordo con loro. Non
mi piace il genere, quelli che cercano di
controllare gli altri e li
fanno sentire fuori posto solo per
sentirsi meglio loro. E non
voglio andare a quel Rito della Luna
Piena!» Pensai al mio
patrigno e ai suoi amici e a quanto fosse
ironico che sembrassero
avere così tanto in comune con un
gruppo di ragazzine che si
proclamavano figlie di una dea.
«Verrei con te, se potessi. Lo faremmo
tutti, ma se non sei
una Figlia Oscura vieni ammessa solo se
invitata», aggiunse triste
Stevie Rae.
«Non ti preoccupare. Io… io me la
caverò.» All'improvviso
non avevo più fame. Mi sentivo solo
tanto, tanto stanca e volevo
proprio cambiare argomento. «Perché
non mi spieghi dei diversi
simboli che si portano qui? Mi hai detto
del nostro, la spirale di
Nyx, che ha anche Damien, quindi
dev'essere…» M'interruppi per
cercare di ricordare in che classe
andavano le matricole. «… in
terza. Ma Erin e Shaunee hanno delle
ali, e Afrodite
qualcos'altro.»
«Intendi oltre al manico di scopa ficcato
in quel culo secco?»
borbottò Erin.
«Intende le Tre Fate», interloquì
Damien, impedendo a
Shaunee di dire qualunque cosa stesse
per aggiungere. «Le Tre
Fate, ossia le Parche o Moire, sono
figlie di Nyx. In sesta, tutti
portano l'emblema delle Parche, con
Atropo che impugna le
forbici a simbolizzare la fine della
scuola.»
«E, per alcuni di noi, la fine della vita»,
aggiunse cupa Erin.
Questo zittì tutti. Quando non riuscii più
a sopportare quel
silenzio assordante, mi schiarii la gola e
chiesi cosa significassero
le ali di Erin e di Shaunee.
«Le ali di Eros, generato dall'Uovo di
Nyx…»
«Il dio dell'amore», chiarì Shaunee,
muovendo i fianchi da
seduta.
Damien le lanciò un'occhiataccia e
riprese. «Le ali d'oro di
Eros sono il simbolo della quarta.»
«Perché siamo la classe dell'amore»,
canticchiò Erin,
sollevando le braccia ed esibendosi
anche lei in un
ancheggiamento sexy.
«A dire il vero, è perché dovrebbe
ricordarci la capacità di
amare di Nyx, mentre le ali
simboleggiano il nostro continuo
procedere in avanti.»
«Qual è il simbolo della quinta?» chiesi.
«Il carro dorato di Nyx che trascina una
coda di stelle»,
rispose Damien.
«Per me è il più bello, quelle stelle
luccicano da matti»,
commentò Stevie Rae.
«Il carro indica che continuiamo il
viaggio verso Nyx, mentre
le stelle rappresentano la magia dei due
anni già trascorsi.»
«Damien, sei proprio un gran bravo
scolaretto», gli disse
Erin.
«Te l'avevo detto che ci saremmo dovute
far aiutare da lui a
studiare per il test di mitologia umana»,
intervenne Shaunee.
«Credevo di essere stata io a dire a te
che ci serviva il suo
aiuto, e…»
Damien alzò la voce per superare il loro
battibecco. «In ogni
caso, questo è più o meno tutto riguardo
ai quattro simboli delle
classi. Non c'è da spremersi tanto per
saperlo», aggiunse fissando
con intenzione le due gemelle che si
erano zittite. «A patto, è
ovvio, di stare attenti in classe invece di
scambiarsi bigliettini e
guardare i ragazzi carini.»
«Damien, sei un vero bacchettone»,
brontolò Shaunee.
«Soprattutto per un gay», aggiunse Erin.
«Sai, Erin, oggi i tuoi capelli sono un
po' crespi. Non vorrei
essere scortese, ma forse dovresti
pensare di cambiare shampoo e
balsamo. Non si è mai troppo attenti con
queste cose. Basta un
niente e ti ritrovi con le doppie punte.»
Gli occhi azzurri di Erin diventarono
immensi e la sua mano
andò automaticamente ai capelli.
«Oh, no no no. Damien, non posso
credere che tu abbia detto
una cosa simile! Lo sai che sbrocca
quando si parla dei suoi
capelli.» Shaunee cominciò a gonfiarsi
come un pesce palla color
caffellatte.
Nel frattempo, Damien si era limitato a
sorridere tornando a
dedicarsi agli spaghetti, nel ritratto della
più totale innocenza.
«Oh, ragaaazzi», intervenne veloce
Stevie Rae, alzandosi e
prendendomi per il braccio. «Zoey
sembra stanca. Ve lo ricordate
tutti com'è stato appena arrivati qui. Noi
torniamo nella nostra
stanza e, dato che devo studiare per il
test di sociologia vampira,
probabilmente ci rivediamo domani.»
«Okay, ciaaao. Zoey, è stato davvero un
piacere conoscerti»,
salutò Damien.
«Già, benvenuta al Liceo Inferno»,
dissero insieme Erin e
Shaunee prima che Stevie Rae mi
trascinasse fuori della stanza.
«Grazie, sono davvero cotta», confessai
a Stevie Rae mentre
attraversavamo un corridoio che per
fortuna era quello che portava
all'ingresso principale dell'edificio
centrale della scuola. Ci
bloccammo alla vista di un agile gatto
grigio argento che
inseguiva un soriano più piccolo e
dall'aria infastidita.
«Belzebù! Lascia in pace Cammy!
Damien finirà per
strapparti il pelo!» Stevie Rae cercò di
afferrare il micio grigio ma
non ci riuscì, però quello smise
comunque d'inseguire il soriano e
proseguì lungo il corridoio nella
direzione da cui venivamo noi,
seguito da un'occhiataccia di Stevie Rae.
«Shaunee ed Erin dovrebbero insegnare
un po' di educazione
a quel loro gatto; ne combina sempre
qualcuna.» Spostò lo
sguardo su di me e lasciammo l'edificio,
uscendo nella tenue
oscurità che precede l'alba. «Il micio
piccolo e carino che si
chiama Cameron è di Damien, mentre
Belzebù appartiene a Erin e
Shaunee. Le ha scelte entrambe…
insieme. Giààà. È strano come
sembra, ma tra un po' comincerai anche
tu come tutti a pensare
che devono essere davvero gemelle.»
«In ogni caso sembrano simpatiche.»
«Oh, lo sono. Bisticciano un sacco, ma
sono molto leali e non
lascerebbero mai che qualcuno
sparlasse di te.» Fece un gran
sorrisone. «Okay, potrebbero essere
loro a sparlare di te, ma è una
cosa diversa e lo fanno sempre in
faccia.»
«E Damien mi piace molto.»
«Damien è un tesoro, ed è molto
intelligente. Però a volte mi
dispiace per lui.»
«Perché?»
«Be', quand'è arrivato qui, circa sei
mesi fa, aveva un
compagno di stanza, ma, appena quello
ha scoperto che è gay –
cioè, non è certo che lui cerchi di
nasconderlo – è andato a
lamentarsi da Neferet dicendo che non
intendeva stare in camera
con un finocchio.»
Feci una smorfia. Gli omofobi non li
sopporto. «E Neferet ha
tollerato un atteggiamento simile?»
«No, ha chiarito bene al ragazzo, che, tra
parentesi, ha
cambiato nome in Thor, quand'è arrivato
qui» – scosse la testa e
alzò gli occhi al cielo – «questo ti dà già
un'ideina, no? Be',
comunque, Neferet ha fatto sapere che il
comportamento di Thor
non era accettabile e ha dato a Damien
la possibilità di scegliere se
trasferirsi da solo in un'altra stanza o
restare con Thor. Damien ha
deciso di andarsene. Voglio dire, non
l'avresti fatto anche tu?»
«Eccome. Non avrei mai diviso la
camera con Thor
l'Omofobo.»
«È quello che pensiamo tutti. Perciò da
allora Damien è in
stanza da solo.»
«Non ci sono altri omosessuali nella
scuola?»
Stevie Rae si strinse nelle spalle. «Ci
sono delle lesbiche
dichiarate, ma, anche se un paio sono
simpatiche e fanno gruppo
anche con noi, di solito stanno tra loro.
S'interessano molto
dell'aspetto religioso del culto della dea
e passano un sacco di
tempo al tempio di Nyx. Ovviamente ci
sono anche le cretine che
pensano solo a darsi da fare alle feste e
trovano sia figo strusciarsi
l'una addosso all'altra, ma di solito
soltanto se ci sono dei ragazzi
carini a guardarle.»
Scossi la testa. «Sai, non ho mai capito
perché le ragazze
pensano che riusciranno a trovarsi un
fidanzato mostrandosi omo.
A logica dovrebbe essere
controproducente.»
«E chi lo vorrebbe un moroso che pensa
che sono sexy se
bacio un'altra ragazza? Bah!»
«E altri ragazzi gay?»
Stevie Rae sospirò. «Ce n'è qualcuno
oltre a Damien, ma per
lui sono quasi tutti troppo strambi ed
effeminati. Mi dispiace,
perché penso si senta piuttosto solo. I
suoi genitori non scrivono
né niente.»
«Hanno sclerato per la storia del
vampirismo?»
«No, di quello non gl'importa. Non dirlo
a Damien perché
urta i suoi sentimenti, ma credo si siano
sentiti sollevati quand'è
stato Segnato. Non sapevano cosa fare
con un figlio gay.»
«E perché dovevano fare qualcosa? È
sempre loro figlio.
Semplicemente gli piacciono i ragazzi,
tutto qui.»
«Be', loro vivono a Dallas e suo padre è
uno importante del
Popolo della Fede. Credo sia un
ministro del culto o qualcosa di
simile…»
Sollevai la mano. «Ferma lì. Non
aggiungere altro. Ho capito
tutto.» Ed era proprio così. Ero fin
troppo pratica della mentalità
ristretta da «il nostro modo è l'unico
modo giusto» del Popolo
della Fede. Il solo pensiero mi faceva
sentire stanca e depressa.
Stevie Rae aprì la porta del dormitorio.
La zona salotto era
vuota, tranne che per qualche ragazza
che guardava delle repliche
di That '70s Show.
Stevie Rae le salutò distrattamente con
un cenno della mano,
poi mi chiese: «Ehi, vuoi qualcosa da
bere da portare su?»
Annuii e la seguii in una piccola stanza
laterale in cui c'erano
quattro frigoriferi, un grande lavello,
due microonde, parecchi
armadietti e un bel tavolo di legno
bianco proprio al centro.
Insomma, era come una cucina normale,
a parte il gran numero di
frigo. Era tutto pulito e in ordine. Stevie
Rae aprì un frigorifero e,
sbirciando oltre la sua spalla, vidi che
era pieno di roba da bere di
tutti i tipi, dalle bibite gassate ai succhi
di frutta a quell'acqua con
le bollicine che ha un sapore schifoso.
«Cosa vuoi?»
«Mi va bene qualunque cola: bollicine
marroni di qualunque
tipo», risposi.
«Questa roba è tutta per noi.» Mi tese
due lattine di CocaCola
e prese due Frescas per lei. «In quei due
frigo ci sono frutta e
verdura, mentre nell'altro c'è la carne
bianca per i panini. Sono
sempre pieni, ma i vampiri sono
abbastanza assillanti che
mangiamo sano, perciò non troverai
sacchetti di patatine,
merendine o roba simile.»
«E cioccolato?»
«Oh, sì, negli armadietti c'è del
cioccolato costoso. I vampiri
dicono che mangiarne con moderazione
ci fa bene.»
Okay, chi diavolo vuole mangiare
cioccolato con
moderazione?
Tenni per me quel pensiero mentre
riattraversavamo il salotto e ci
dirigevamo verso la nostra stanza.
«Dunque i, mmm, i vampiri» –
incespicai sulla parola – «sono
fissati sul mangiare sano?»
«Be', sì, ma credo che fondamentalmente
siano i novizi che
devono mangiare sano. Voglio dire, non
è che ci siano vampiri
grassi, ma non li vedi neanche
sgranocchiare sedano e carote e
piluccare insalata. Mangiano insieme
nella loro sala da pranzo e si
dice che mangino molto bene.» Mi
guardò e abbassò la voce. «Ho
sentito dire che mangiano un sacco di
carne rossa. Un sacco di
carne rossa speciale.»
«Iiiih!» commentai, non amando per
niente la bizzarra
visione di Neferet che addenta una
bistecca al sangue.
Stevie Rae rabbrividì, prima di
continuare. «A volte qualche
mentore pranza con un novizio, ma di
solito beve solo un paio di
bicchieri di vino e non tocca cibo.»
Stevie Rae aprì la porta; io mi sedetti
sul letto con un sospiro
e mi tolsi le scarpe. Dio, se ero stanca.
Massaggiandomi i piedi mi
chiesi perché i vampiri adulti non
mangiavano con noi, poi decisi
che non volevo proprio pensarci più di
tanto. Voglio dire, questo
sollevava troppe domande riguardo a
cosa mangiassero, no? E a
cosa avrei mangiato io quando e se fossi
diventata un vampiro
adulto. Arrghh!
E una parte del mio cervello sussurrava
che questo mi faceva
ricordare la reazione che avevo avuto di
fronte al sangue di Heath
il giorno prima (ma era passato davvero
soltanto un giorno?) e
anche ciò che mi aveva suscitato la vista
del sangue del ragazzo in
corridoio. No no. Decisamente non
volevo pensare a nessuna delle
due cose. Proprio per niente. Quindi mi
rifocalizzai in fretta sulla
questione del cibo sano.
«Okay, se non si preoccupano troppo
della loro
alimentazione, perché assillano noi?»
chiesi a Stevie Rae.
Lei incrociò il mio sguardo, con aria
turbata e piuttosto
impaurita. «Si preoccupano che
mangiamo sano per lo stesso
motivo per cui ci fanno fare ginnastica
tutti i giorni: vogliono
rendere il nostro organismo il più forte
possibile, così, se cominci
a sentirti debole, a ingrassare o a stare
male, si capisce subito che
il corpo sta rifiutando la
Trasformazione.»
«E poi muori», aggiunsi sottovoce.
«E poi muori», convenne.
11
Non pensavo che avrei dormito.
M'immaginavo che sarei
rimasta sdraiata sentendo la mancanza di
casa e pensando alla
strana svolta che aveva preso la mia
esistenza. Mi passavano per la
mente inquietanti flash degli occhi del
ragazzo in corridoio, ma
ero così stanca che non riuscivo a
metterli a fuoco. Persino la
psicopatica odiosità di Afrodite
sembrava sonnacchiosamente
lontana e l'ultimo pensiero preoccupato
di cui mi ricordavo prima
di non ricordare più niente era rivolto
alla mia fronte. Mi faceva
ancora male a causa del Marchio e del
taglio alla tempia o mi
stava venendo un mega brufolo? E come
sarebbero stati i miei
capelli per il primo giorno di vampscuola? Ma, mentre mi
raggomitolavo sotto la trapunta e
annusavo il familiare odore di
piuma d'oca e di casa, mi sentii
inaspettatamente al caldo e al
sicuro… e crollai.
E non ebbi neanche gli incubi, ma sognai
dei gatti. Logico.
Bonazzi pazzeschi? No. Favolosi nuovi
poteri da vampiro?
Figuriamoci. Solo gatti. C'era una
micetta in particolare, una
piccola soriana rossa che aveva zampine
minuscole e una pancetta
tonda che la faceva sembrare un
marsupiale. Continuava a
strillarmi con una voce da vecchia
signora, chiedendomi perché ci
avessi messo tanto ad arrivare. Poi la
voce della gatta divenne uno
scocciante suono intermittente e io…
«Dai, Zoey! Spegni quella stupida
sveglia!»
«Cos… eh?» Oh, diavolo. Odio la
mattina. Agitai a caso la
mano cercando di spegnere quella
rottura di sveglia. Ho già detto
che sono completamente, assolutamente
cieca senza le lenti a
contatto? Afferrai gli occhiali da sfigata
e guardai l'ora. Le 18.30 e
mi stavo giusto alzando. Tanto per
parlare di cose strane.
«Vuoi fare tu la doccia per prima o
preferisci che la faccia
io?» chiese assonnata Stevie Rae.
«Vado io, se non ti dispiace.»
«Non mi…» Sbadigliò.
«Okay.»
«Però dobbiamo fare in fretta perché
non so tu ma io devo
fare colazione se no prima di pranzo
finisce che muoio di fame.»
«Cereali?» Mi rianimai di colpo. Vado
davvero matta per i
cereali e da qualche parte ho persino
una maglietta con scritto I ❤
CEREALS che lo dimostra in modo
inconfutabile. Quelli che mi
piacciono di più sono i Conte Chocula,
tanto per continuare con
l'ironia vampira.
«Sì, ci sono sempre montagne di quelle
mini scatole di
cereali, ciambelle, frutta, uova sode e un
sacco d'altra roba.»
«Mi sbrigo.» All'improvviso avevo una
gran fame. «Ehi,
Stevie Rae, ha importanza cosa mi
metto?»
«Nooo, basta che prendi una delle
giacche o dei golf con su il
simbolo della terza e sei a posto»,
rispose con un altro sbadiglio.
Mi sbrigai davvero, anche se ero molto
preoccupata di non
avere il look giusto e avrei voluto avere
ore per sistemarmi trucco
e capelli. Usai lo specchio di Stevie Rae
intanto che lei faceva la
doccia e decisi che era meglio andarci
piano e truccarmi poco. Era
strano come il Marchio avesse cambiato
del tutto il centro focale
del mio viso.
Avevo sempre avuto dei begli occhi,
grandi, tondi e scuri,
con un sacco di ciglia, al punto che
Kayla si lamentava sempre che
non era giusto che io ne avessi
abbastanza per tre ragazze e lei
soltanto poche, corte e bionde (e a quel
proposito… mi mancava
Kayla, soprattutto quel giorno, mentre mi
preparavo ad andare a
scuola senza di lei. Magari dopo potevo
chiamarla. O mandarle
un'e-mail. O… mi ricordai del
commento fatto da Heath riguardo
alla festa e decisi che forse era meglio
di no). Comunque, il
Marchio faceva in qualche modo
sembrare i miei occhi persino più
grandi e più scuri. Li evidenziai con un
ombretto grigio fumo con
dentro dei brillantini d'argento. Non in
modo pesante come quelle
perdenti che credono che darci dentro
con l'eyeliner le faccia
sembrare una meraviglia. Figuriamoci.
Sembrano dei panda
spaventosi. Resi meno netta la riga,
aggiunsi il mascara, misi un
po' di terra abbronzante e poi il
lucidalabbra (per nascondere il
fatto che mi ero mordicchiata le labbra
per il nervosismo).
Quindi mi guardai.
Per fortuna i capelli erano a posto e
anche la punta a V sulla
fronte non stava dritta in piedi come
faceva ogni tanto.
Continuavo a sembrare… mmm…
diversa, ma la stessa. L'effetto
del Marchio sulla mia faccia non era
scomparso. Metteva in risalto
tutto ciò che nei miei lineamenti era
etnico: gli occhi scuri, gli
zigomi alti da cherokee, il naso dritto e
orgoglioso, persino il
colore olivastro della carnagione che mi
veniva dalla nonna. Il
Marchio color zaffiro della Dea pareva
aver premuto un
interruttore e illuminato quei tratti;
aveva liberato la ragazza
cherokee che era in me, consentendole
di mostrarsi e splendere.
«I tuoi capelli sono magnifici.» Stevie
Rae entrò in camera
asciugandosi i corti riccioli biondi.
«Magari anche i miei stessero
a posto quando sono lunghi! Invece
s'increspano e sembrano la
coda di un cavallo.»
«A me piacciono i tuoi capelli corti»,
replicai facendole
spazio e prendendo le mie favolose
ballerine di vernice nera.
«Sì, be', qui mi fanno sentire una
diversa. Hanno tutti i
capelli lunghi.»
«L'ho notato, ma non ho capito perché.»
«È una delle cose che succedono quando
avviene la
Trasformazione. I capelli dei vampiri
crescono con una velocità
incredibile e lo stesso vale per le
unghie.»
Cercai di non rabbrividire al ricordo
dell'unghia di Afrodite
che tagliava jeans e pelle.
Per fortuna Stevie Rae non aveva idea di
cosa mi passasse
per la testa e continuò: «Vedrai. Dopo un
po' non avrai più
bisogno di guardare il simbolo per
sapere a che anno sono gli altri.
Comunque tutte queste cose te le
insegnano a Sociologia Vampira.
Oh! Questo mi fa venire in mente…»
Scartabellò tra i fogli sulla
scrivania finché non trovò quello che
cercava e me lo tese.
«Questo è il tuo orario. Abbiamo
insieme la terza e la quinta ora.
Controlla l'elenco dei complementari
che hai alla seconda. Puoi
scegliere quello che vuoi.»
In cima all'orario c'era la data
d'iscrizione, che era di cinque
(?!) giorni prima che il Rintracciatore
mi Segnasse.
ZOEY REDBIRD, ISCRITTA ALLA
TERZA CLASSE
Prima ora Sociologia Vampira 101.
Aula 215, prof Neferet Seconda ora
Recitazione 101.
Centro Arti e Spettacolo, prof Nolan
oppure Disegno 101. Aula 312, prof
Doner
oppure Introduzione alla Musica. Aula
314, prof Vento Terza
ora Letteratura 101. Aula 214, prof
Pentesilea
Quarta ora Scherma. Palestra, prof D.
Lankford
PAUSA PRANZO
Quinta ora Spagnolo 101. Aula 216,
prof Garmy Sesta ora
Introduzione agli Studi Equestri.
Scuderie, prof Lenobia
«Niente geometria?» sbottai, sconvolta
dall'orario ma
tentando comunque di mantenere un
atteggiamento positivo.
«Grazie al cielo no. Il prossimo
semestre inizieremo
economia, ma non credo possa essere
altrettanto terribile.»
«Scherma? Introduzione agli Studi
Equestri?»
«Te l'ho detto che vogliono tenerci in
forma. Scherma è bella,
anche se difficile. Io non sono tanto
brava, ma ti mettono spesso in
coppia con altri studenti più esperti che
fanno un po' da insegnanti
coetanei e alcuni di quei ragazzi, wow,
sono davvero fighi da
morire! Io questo semestre non faccio
equitazione: mi hanno
messa a Tae Kwan Do, e devo dirti che
mi piaaace un sacco!»
«Davvero?» commentai dubbiosa. Come
diavolo saranno le
lezioni di equitazione?
«Già! Quale complementare pensi di
scegliere?»
Riguardai l'elenco. «Tu quale fai?»
«Introduzione alla Musica. Il professor
Vento è super e io…»
Stevie Rae sorrise e arrossì. «Be', io
voglio diventare una star della
musica country. Voglio dire, Kenny
Chesney, Faith Hill, Shania
Twain sono tutti vampiri e ne ho
nominati solo tre, ma sai, Garth
Brooks è cresciuto proprio qui in
Oklahoma e lui è il più super
vamp di tutti. Perciò non vedo perché
non potrei diventare una di
loro anch'io.»
«Mi pare del tutto logico», replicai.
Perché no?
«Vieni a fare musica con me?»
«Sarebbe divertente se sapessi cantare o
suonare qualcosa
che somigli anche vagamente a uno
strumento, ma sono negata.»
«Oh, be', allora forse è meglio di no.»
«A dire il vero stavo pensando al corso
di Recitazione. Alla
mia vecchia scuola lo facevo ed era
okay. Sai qualcosa del
professor Nolan?»
«Sì, è una donna, viene dal Texas e ha un
accento fortissimo,
ma ha studiato recitazione a New York e
piace a tutti.»
Quando Stevie Rae menzionò l'accento
della prof, quasi
scoppiai a ridere. Lei parlava così tanto
nel naso che sembrava la
pubblicità della vita in campagna, ma
non volevo offenderla
facendoglielo notare. «Allora che
Recitazione sia!»
«Okay, prendi l'orario e andiamo. Ehi,
magari sarai la
prossima Nicole Kidman!» aggiunse
mentre uscivamo dalla stanza
e ci fiondavamo giù dalle scale.
Be', immagino che essere la prossima
Nicole Kidman non
sarebbe male (anche se non è
esattamente nei miei piani sposare
un tipo bassottello e maniacale per poi
divorziare). Non appena ne
ebbe parlato Stevie Rae, mi venne in
mente che non avevo più
pensato molto alla mia futura carriera da
quando il Rintracciatore
aveva gettato la mia vita nel caos più
totale, ma, adesso che ci
riflettevo, volevo ancora diventare
veterinario.
Un obeso gatto bianco e nero a pelo
lungo scattò sui gradini
davanti a noi, all'inseguimento di un
micio più piccolo che
sembrava il suo clone. Con tutti quei
gatti in giro poteva proprio
esserci necessità di vampiri veterinari
(hi hi! Vamp vet… avrei
potuto chiamarla così la mia clinica per
animali, Vamp Vet, e
nella pubblicità scrivere: «Prelievi di
sangue gratuiti»!)
Cucina e salotto erano pieni di ragazze
che mangiavano,
chiacchieravano e camminavano in tutta
fretta. Cercavo di
rispondere ai saluti che ricevevo mentre
Stevie Rae mi presentava
a quello che sembrava un flusso
continuo e confuso di ragazze,
allo stesso tempo cercavo di restare
concentrata sulla ricerca di
una scatola di Conte Chocula. La trovai
quando stavo
cominciando a preoccuparmi, nascosta
dietro a parecchie grandi
confezioni di Frosted Flakes (non male
come seconda scelta,
anche se, be', non sono al cioccolato e
non hanno quelle squisite
caramelline morbide). Stevie Rae si
versò una ciotola di Lucky
Charms e ci appollaiammo al tavolo
della cucina, mangiando a
razzo.
«Ciao, Zoey!»
Quella voce. Sapevo chi era prima di
vedere Stevie Rae
abbassare la testa e mettersi a fissare la
ciotola di cereali.
Cercai di sembrare indifferente. «Ciao,
Afrodite.»
«Nel caso non ci vedessimo in giornata,
volevo essere sicura
che sapessi dove andare stasera. Il
Rituale della Luna Piena delle
Figlie Oscure inizierà alle quattro del
mattino, appena dopo il rito
della scuola. Ti perderai la cena, ma non
devi preoccuparti, perché
ti daremo da mangiare noi. Oh, si tiene
nella sala di ricreazione
vicino al muro a est. Se vuoi ci troviamo
davanti al tempio di Nyx
prima del rito della scuola, così
possiamo entrare insieme e dopo ti
accompagno io.»
«Veramente ho già promesso a Stevie
Rae di andare con lei.»
Detesto le persone invadenti.
«Giààà, mi spiace.» Fui contenta di
vedere che Stevie Rae
aveva rialzato la testa.
«Ehi, tu sai dov'è la sala ricreazione,
vero?» chiesi a Stevie
Rae col tono più vivacemente stupido
che mi riusciva.
«Certo.»
«Allora puoi farmi vedere come
arrivarci, giusto? E questo
significa che Afrodite non deve
preoccuparsi che mi perda.»
«Qualunque cosa pur di rendermi utile»,
cinguettò Stevie Rae
che sembrava tornata normale.
«Problema risolto», dissi con un
sorrisone ad Afrodite.
«Okay. Benissimo. Ci vediamo alle
quattro. Non fare tardi.»
Se ne andò di scatto.
«Ancora un po' che sculetta finisce per
rompere qualcosa»,
commentai.
Stevie Rae sbuffò e quasi le uscì il latte
dal naso. «Non farlo
più mentre mangio!» disse tossendo
dalle risate. Poi inghiottì e mi
sorrise. «Non hai lasciato che ti desse
ordini.»
«Neanche tu.» Mangiai di gusto l'ultima
cucchiaiata di
cereali. «Pronta?»
«Pronta. Okay, la prima ora sarà facile
perché la tua aula è
vicina alla mia. Tutte le lezioni
fondamentali di terza sono nello
stesso corridoio. Vieni, t'indirizzo dalla
parte giusta e sei a posto.»
Sciacquammo i piatti e li ficcammo in
una delle cinque
lavastoviglie, quindi corremmo fuori
nell'oscurità di una bella sera
d'autunno. Diavolo, era strano andare a
scuola la sera, anche se il
mio organismo diceva che era tutto
normale. Seguimmo la fila di
studenti oltre una delle pesanti porte di
legno.
«Il corridoio di terza è proprio qui.»
Stevie Rae mi guidò in
cima a una piccola rampa di scale.
«Quello è il bagno?» chiesi mentre
superavamo in fretta delle
fontane poste tra due porte.
«Già! E questa è la mia classe. La tua è
la prossima. Ci
vediamo dopo la lezione!»
«Okay, grazie», gridai.
Almeno il bagno era vicino. Se mi fosse
venuto un attacco
fulminante di diarrea nervosa, non avrei
dovuto fare molta strada.
12
«Zoey! Vieni qui!»
Quasi piansi di sollievo quando udii la
voce di Damien e lo
vidi agitare la mano in direzione di un
banco vuoto accanto al suo.
«Ciao.» Mi sedetti e gli sorrisi, piena di
gratitudine.
«Sei pronta per il tuo primo giorno?»
No. «Sì.» Avrei voluto dire qualcosina
di più, ma proprio in
quel momento una campanella suonò
cinque volte e, mentre
spariva l'eco di quel suono, Neferet
entrò nell'aula. Indossava una
lunga gonna nera sollevata di lato per
lasciar vedere un paio di
splendidi stivali col tacco a spillo e un
golf di seta viola scuro.
Sopra al seno sinistro, ricamata in
argento, c'era l'immagine di una
dea con le braccia alzate e le mani che
sostenevano una
mezzaluna. I capelli rossi erano legati in
una folta treccia e la serie
di delicati tatuaggi che le incorniciava il
viso la faceva sembrare
un'antica sacerdotessa guerriera. Ci
sorrise e percepii che tutta la
classe era affascinata dal suo potere
quanto me. «Buona sera! Non
vedevo l'ora d'iniziare questo modulo,
perché l'approfondimento
della ricca sociologia delle amazzoni è
uno dei miei argomenti
preferiti.» Poi m'indicò. «Per questo
sono felice che Zoey Redbird
si sia unita a noi proprio oggi. Io sono il
mentore di Zoey, quindi
mi aspetto che i miei studenti le diano il
benvenuto. Damien, per
favore, vorresti prendere un libro di
testo per Zoey? Il suo
armadietto è vicino al tuo. E, mentre le
spieghi il nostro sistema di
armadietti e contenitori, voglio che gli
altri scrivano quali idee
preconcette hanno delle antiche
guerriere vampire note come
amazzoni.»
Ci fu il tipico rumore di fogli
scartabellati e mormorio di
studenti, nel frattempo Damien mi portò
in fondo alla classe, dove
c'era una parete di armadietti e aprì
quello con sopra il numero 12
in argento. Dentro c'erano dei ripiani
ampi e ordinati pieni di libri
di testo e cancelleria varia.
«Nella Casa della Notte non ci sono
lucchetti come nelle
scuole normali. Questa della prima ora è
la nostra aula principale
dove abbiamo un armadietto ciascuno.
La stanza è sempre aperta,
quindi puoi venirci a recuperare libri o
quello che ti serve proprio
come facevi nel corridoio della tua
vecchia scuola. Tieni, questo è
il testo di sociologia.»
Mi tese un librone di pelle con stampato
in copertina il
profilo della Dea e il titolo: Sociologia
Vampira 101. Presi un
blocco per appunti e un paio di penne.
Chiusi lo sportello, poi
esitai. «Quindi non ci sono serrature né
niente?»
«No.» Damien abbassò la voce. «Qui
non servono, perché, se
qualcuno ruba qualcosa, i vampiri lo
sanno. Non voglio neanche
pensare cosa succederebbe a chi fosse
tanto stupido da fare una
cosa simile.»
Tornammo ai nostri posti e cominciai a
scrivere l'unica cosa
che sapevo sulle amazzoni – che erano
donne guerriere che non
avevano molto bisogno degli uomini –
ma non ci mettevo la testa.
Continuavo a pensare come mai Damien,
Stevie Rae e persino
Erin e Shaunee andassero in paranoia
all'idea di mettersi nei guai.
Voglio dire, sono una brava ragazza…
okay, non perfetta, ma
insomma… Fino a quel momento ero
stata trattenuta a scuola in
punizione soltanto una volta, e anche lì
non per colpa mia.
Davvero. Uno stronzo mi aveva detto di
succhiargli l'uccello, e io
cos'avrei dovuto fare? Piangere?
Ridacchiare? Mettere il broncio?
Mmm… no… Perciò gli avevo dato un
ceffone e a essere punita
ero stata io.
Comunque non era andata poi così male,
perché avevo fatto i
compiti e iniziato a leggere il nuovo
Gossip Girls. Evidentemente
alla Casa della Notte la punizione
prevedeva qualcosa di più
dell'essere trattenuti in classe con un
insegnante per
quarantacinque minuti di «silenzio»
dopo la scuola. Dovevo
ricordarmi di chiedere a Stevie Rae…
«Prima di tutto, quali aspetti delle
tradizioni amazzoni
pratichiamo ancora qui alla Casa della
Notte?» chiese Neferet,
riportando la mia mente a lezione.
Damien alzò la mano. «L'inchino in
segno di rispetto, col
pugno sul cuore, deriva dalle amazzoni,
e lo stesso vale per il
modo in cui ci diamo la mano,
stringendoci l'avambraccio.»
«Giusto, Damien.»
Ah. Questo spiegava lo strano gesto di
saluto.
«Allora, quali idee preconcette avete
sulle guerriere
amazzoni?» domandò Neferet alla
classe.
«Le amazzoni avevano una società
profondamente
matriarcale, tipica di tutte le civiltà
vampire», disse una bionda
seduta dall'altra parte della stanza.
Cavolo, sembrava intelligente.
«Questo è vero, Elizabeth, ma quando la
gente parla delle
amazzoni, tende ad aggiungere un'aura di
leggenda alla storia.
Cosa intendo con questo?»
«Be', la gente – soprattutto gli umani –
pensano che le
amazzoni odiassero gli uomini», rispose
Damien.
«Proprio così. Ciò che sappiamo è che,
solo perché la loro
società era matriarcale, come la nostra,
non significa
automaticamente che fosse sessista nei
confronti dei maschi.
Persino Nyx ha un consorte, il dio
Èrebo, cui è devota. Le
amazzoni, però, erano uniche poiché
avevano scelto di difendersi e
proteggersi da sole. Come molti di voi
già sanno, la nostra società
odierna è ancora matriarcale, ma
rispettiamo e apprezziamo i Figli
della Notte, li consideriamo nostri
protettori e consorti. Adesso
aprite il libro al capitolo tre e studiamo
la figura di Pentesilea, la
più grande delle guerriere amazzoni. Ma
badate a tenere separate
nella vostra mente la leggenda e la
storia.»
E da lì Neferet si lanciò in una delle
lezioni più interessanti
che avessi mai ascoltato. Non mi accorsi
neanche che era passata
un'ora e il suono della campanella fu una
vera sorpresa. Avevo
appena rimesso il libro di sociologia nel
mio cestone (okay, lo so
che Neferet e Damien li chiamavano
armadietti, ma su, dai… mi
facevano proprio venire in mente i
cestoni che usavamo all'asilo)
quando Neferet mi chiamò. Afferrai un
blocco e una penna e corsi
alla cattedra.
«Come stai?» mi chiese con un caldo
sorriso.
«Bene. Tutto okay.»
Mi guardò inarcando un sopracciglio.
«Be', immagino di essere nervosa e
confusa.»
«È ovvio che tu lo sia. Ci sono tante
cose da imparare, e
cambiare scuola è sempre difficile…
figuriamoci cambiare anche
vita.» Spostò lo sguardo oltre la mia
spalla. «Damien,
accompagneresti Zoey a Recitazione?»
«Certo», rispose subito Damien.
«Zoey, noi ci vediamo stasera al Rito.
Oh, Afrodite ti ha fatto
l'invito formale di unirti alle Figlie
Oscure nella cerimonia privata
che seguirà?»
«Sì.»
«Volevo controllare con te e accertarmi
che ti stesse bene
andarci. Ovviamente capirei la tua
reticenza, ma t'incoraggio lo
stesso a partecipare; voglio che sfrutti
tutte le opportunità che ci
sono qui e le Figlie Oscure sono
un'associazione esclusiva. È un
onore che si siano già interessate a te
come possibile neofita.»
«Mi sta bene andare.» Costrinsi voce e
sorriso a sembrare
disinvolti. Era ovvio che si aspettava
che partecipassi al loro rito e
l'ultima cosa che volevo era che Neferet
fosse dispiaciuta di me. E
poi per niente al mondo avrei fatto
qualcosa che facesse pensare
ad Afrodite che avevo paura di lei.
«Benissimo», commentò con entusiasmo
Neferet. Mi strinse
la mano e automaticamente le sorrisi.
«Se hai bisogno di me, il
mio ufficio si trova nella stessa ala
dell'infermeria.» Osservò la
mia fronte. «Vedo che i punti si sono
assorbiti quasi del tutto.
Eccellente. Ti fa ancora male la testa?»
D'istinto le mie dita sfiorarono la
tempia. Sentivo pizzicare
ancora soltanto un paio di punti, quando
fino al giorno prima
erano almeno dieci. Molto, molto strano.
E, ancora più strano,
quel mattino era la prima volta che
pensavo alla mia ferita.
Mi resi conto che non avevo pensato
neanche alla mamma,
né a Heath o alla nonna… «No»,
replicai, accorgendomi che
Neferet e Damien stavano aspettando
una risposta. «No, no, la
testa non mi fa più male. Per niente.»
«Bene! Voi due farete meglio ad andare
o arriverete in
ritardo. Ti piacerà Recitazione. Credo
che la professoressa Nolan
abbia appena iniziato a lavorare sui
monologhi.»
Ero già a metà del corridoio e mi
affrettavo per star dietro a
Damien, quando mi resi conto della
cosa. «Come faceva a sapere
che avrei scelto Recitazione? L'ho
deciso appena stamattina!»
«A volte i vampiri adulti sanno
decisamente troppo»,
sussurrò Damien. «Cancella quello che
ho detto. I vampiri adulti
sanno sempre troppo, a maggior ragione
quando si tratta della
Somma Sacerdotessa.»
Alla luce di quello che non avevo detto
a Neferet, preferivo
non pensarci.
«Ma ciaaao, ragazzi!» Stevie Rae arrivò
come un ciclone.
«Com'è stata SocioVamp? Avete iniziato
le amazzoni?»
«È stata grandiosa.» Ero felice di
cambiare argomento e
accantonare per un po' i misteri dei
vampiri. «Non avevo idea che
si tagliassero davvero il seno destro
perché gli dava fastidio.»
Stevie Rae si guardò il petto. «Non ne
avrebbero avuto
bisogno se fossero state piatte come
me.»
«O me», sospirò Damien con aria
teatrale.
Stavo ancora sogghignando quando lui
m'indicò l'aula di
Recitazione.
La professoressa Nolan non trasudava
forza e potere come
Neferet, piuttosto energia. Aveva un
fisico atletico, eppure allo
stesso tempo il suo corpo era
stranamente a forma di pera, mentre
i capelli castani erano lunghi e lisci. E
Stevie Rae aveva detto la
verità: aveva un accento texano davvero
terribile. «Zoey,
benvenuta! Siediti dove vuoi.»
Salutai e presi posto vicino alla
Elizabeth che aveva parlato a
lezione di Socio Vamp. Aveva un'aria
abbastanza amichevole e
sapevo già che era intelligente (non fa
mai male stare seduti vicino
a ragazzi intelligenti.)
«Stavamo per iniziare a scegliere il
monologo che ciascuno
di voi presenterà alla classe la settimana
prossima. Prima, però,
penso possa farvi piacere avere una
dimostrazione di come si
recita, perciò ho chiesto al vostro
talentuoso compagno della
classe superiore di fermarsi con noi e
recitare il famoso monologo
dell'Otello, scritto dall'antico
drammaturgo vampiro William
Shakespeare.» La professoressa Nolan
s'interruppe e guardò oltre
il vetro della porta. «Eccolo che
arriva.»
Lui entrò e, oh buon Dio caro, credetti
che il cuore mi si
fosse fermato. Di certo rimasi a bocca
spalancata come un'idiota.
Era il ragazzo più meravigliosamente
stupendo che avessi mai
visto. Era alto e aveva capelli scuri che
si arricciavano alla
Superman. Adorabile. E gli occhi erano
di un incredibile azzurro
zaffiro e…
Oh. Diavolo! Diavolo! Diavolo! Era il
ragazzo del corridoio.
«Vieni, Erik. Come sempre il tuo
tempismo per l'entrata è
perfetto. Siamo pronti per il tuo
monologo.» La professoressa
Nolan tornò a rivolgersi alla classe con
un gran sorriso. «La
maggior parte di voi conosce Erik Night,
l'allievo di quinta che lo
scorso anno ha vinto la gara di
monologhi che la Casa della Notte
tiene a livello mondiale, le cui finali si
sono svolte a Londra. Sta
anche creando scalpore a Hollywood,
oltre che a Broadway, per la
sua interpretazione di Tony nel West
Side Story che la scuola ha
prodotto lo scorso semestre.»
Come se di colpo mi fossi tramutata in
un automa, applaudii
col resto degli studenti.
Sorridente e sicuro, Erik salì sul piccolo
palco al centro della
grande aula. «Ciao, ragazzi, come va?»
Parlò rivolgendosi a me.
Intendo proprio rivolgendosi a me.
Sentivo che la faccia mi andava in
ebollizione.
«I monologhi possono mettere paura, ma
il trucco sta nel
cominciare immaginando di recitare con
un intero cast di attori.
Costringetevi a pensare di non essere
soli là sopra, in questo
modo…»
E cominciò il monologo dell'Otello.
Non so molto della
tragedia di Shakespeare, ma
l'interpretazione di Erik fu
stupefacente. Lui era alto, probabilmente
più di uno e ottanta, ma,
quando cominciò a parlare, sembrò
diventare ancora più alto, più
grande e più forte. La voce si fece più
profonda e prese
un'inflessione che non riuscii a
classificare. I suoi incredibili occhi
diventarono più scuri e le palpebre si
strinsero in una fessura;
quando pronunciò il nome di Desdemona
fu come se pregasse. Era
evidente che l'amava, anche prima che
recitasse le battute
conclusive:
Mi amava per i pericoli che avevo
affrontato, e io amavo che
lei ne provasse pietà.
Mentre pronunciava quell'ultima frase i
suoi occhi si
fermarono nei miei e, proprio come in
corridoio il giorno prima,
sembrò non esserci nessun altro nella
stanza, nessun altro al
mondo. Sentii un brivido nel profondo,
una sensazione molto
simile a quella provata le due volte che
avevo sentito l'odore del
sangue dopo che ero stata Segnata, solo
che in quel momento di
sangue non ce n'era. C'era solo Erik. E
poi mi sorrise, si sfiorò le
labbra con le dita come se mi stesse
mandando un bacio e fece
l'inchino. Tutti si misero ad applaudire
come matti, inclusa me.
Davvero. Non riuscii a evitarlo.
«Bene, è così che si fa», commentò la
Nolan. «Dunque, ci
sono copie di monologhi sugli scaffali
rossi in fondo all'aula.
Prendete dei libri ciascuno e cominciate
a dare un'occhiata. Quello
che dovete cercare è una scena che per
voi abbia un significato,
che tocchi qualche punto della vostra
anima. Io girerò tra i banchi
per rispondere a qualunque domanda sui
brani che vi sembrano
interessanti e, una volta che avrete
scelto il pezzo, vi spiegherò i
passi che dovrete fare per preparare la
vostra presentazione.» Con
un sorriso e un cenno del capo pieni di
energia, c'indicò di
cominciare a sfogliare la carrettata di
testi.
Mi sentivo ancora rossa come un
peperone e a corto di fiato,
ma mi alzai con gli altri, anche se non
riuscii a non sbirciare Erik
da dietro la spalla. Stava uscendo
(purtroppo) dall'aula, ma prima
si voltò e mi beccò a guardarlo come
una tonta. Arrossii (ancora),
lui incrociò il mio sguardo e mi sorrise
(ancora), poi se ne andò.
«Che bonazzo strafigo», mi bisbigliò
all'orecchio qualcuno.
Mi voltai e mi stupii vedendo che Miss
Studentessa Perfetta
Elizabeth fissava Erik facendosi vento.
«Non ce l'ha la ragazza?» chiesi da
idiota totale.
«Solo nei miei sogni. A dire il vero
corre voce che lui e
Afrodite stessero assieme, ma io sono
qui da qualche mese e,
quando sono arrivata, tra loro era già
finita. Ecco qui.» Mi diede
un paio di volumi di monologhi. «Io
sono Elizabeth, niente
cognome.»
La mia faccia era un punto interrogativo.
Sospirò. «Di cognome facevo Titsworth.
Hai idea di che vuol
dire chiamarsi 'bella zinna'? Quando
sono arrivata e il mio mentore
mi ha detto che potevo cambiarmi il
nome in quello che volevo,
sapevo che mi sarei liberata di
Titsworth, ma ho trovato la scelta
di un cognome nuovo un po' troppo
stressante, perciò ho deciso di
farne a meno e tenermi solo il nome.»
Elizabeth Niente Cognome
fece spallucce.
«Be', piacere di conoscerti.» Certo che
ce n'erano di tipi
strani in quel posto.
«Ehi, Erik ti guardava», riprese mentre
tornavamo a sedere.
«Ma no, guardava tutti», dissi, anche se
sentivo che la mia
stupida faccia diventava ancora più
rossa e bollente.
«Certo, ma te ti guardava sul serio.»
Sorrise e aggiunse: «Oh,
trovo che il tuo Marchio completo sia
favoloso».
«Grazie.» Probabilmente faceva un
effetto assurdo sullo
sfondo color peperone.
«Zoey, hai domande su come scegliere il
monologo?» chiese
la Nolan facendomi sobbalzare.
«No, professoressa. L'ho già fatto al
corso di recitazione della
mia scuola di prima.»
«Molto bene. Dimmi se posso darti dei
chiarimenti
sull'ambientazione o sul personaggio.»
Mi assestò una pacchetta
sul braccio e riprese a girare tra i
banchi. Aprii il primo libro e
tentai (senza successo) di dimenticare
Erik e concentrarmi sui
testi.
Era vero, mi aveva guardata sul serio.
Ma perché? Doveva
aver capito che ero io in corridoio,
quindi che tipo d'interesse stava
mostrando verso di me? E volevo
piacere a un tipo che si era fatto
fare un pompino da quell'odiosa di
Afrodite? Probabilmente non
avrei dovuto. Voglio dire, di certo non
avevo intenzione di
riprendere da dove aveva lasciato lei. O
magari era solo
incuriosito dal mio strano Marchio già
bell'e colorato, come tutti
del resto.
Ma non era sembrato così. Era sembrato
che stesse proprio
guardando me. E mi era piaciuto.
Tornai a studiare il libro che avevo
ignorato. La pagina era
aperta al capitolo: «Monologhi
femminili drammatici», e il
primo era tratto da Siempre en ridìculo,
di José Echegaray.
Be', che diavolo. Probabilmente era un
segno.
13
In realtà trovai da sola l'aula di
Letteratura. Okay, era proprio
vicino alla stanza di Neferet, ma mi
sentivo comunque meglio a
non dover chiedere di farmi
accompagnare in giro come il tipico
nuovo arrivato idiota.
«Zoey! Ti abbiamo tenuto il pooosto!»
gridò Stevie Rae non
appena misi piede in classe.
Era seduta accanto a Damien e
praticamente saltellava per
l'eccitazione, sembrando di nuovo un
cucciolo felice, cosa che mi
fece sorridere. Ero davvero contenta di
vederla.
«Dai, dai, dai! Dimmi tutto! Com'era
Recitazione? Ti è
piaciuto? Ti piace la professoressa
Nolan? Il suo tatuaggio non è
una favola? Mi fa venire in mente una
maschera… più o meno.»
Damien la prese per il braccio.
«Respira e lascia che la
ragazza risponda.»
«Scusa», replicò imbarazzata Stevie
Rae.
«I tatuaggi della Nolan saranno di certo
una favola», ribattei.
« Saranno? Ma non li hai guardati?»
«Be', ero distratta.»
Si stupì, poi i suoi occhi si strinsero a
fessura. «Cosa?
Qualcuno ti ha messa in imbarazzo per il
tuo Marchio? Certa gente
è proprio truce.»
«No, no, niente del genere. Anzi, quella
Elizabeth Niente
Cognome ha detto che le sembrava
favoloso. Ero distratta perché,
be'…» Mi sentivo di nuovo la faccia in
fiamme. Avevo deciso di
raccontargli di Erik, ma adesso che
avevo cominciato a parlare mi
chiedevo se facevo bene. Dovevo dirgli
anche del corridoio?
Damien si rianimò. «Sento che è in
arrivo qualcosa di
succoso. Avanti, Zoey. Eri distratta
perchééé?»
«Okay, okay. Posso riassumere la
questione in due parole:
Erik Night.»
La bocca di Stevie Rae si spalancò di
botto e Damien finse
uno svenimento, ma dovette raddrizzarsi
subito, perché in quel
momento suonò la campanella e la
professoressa Pentesilea entrò
in aula.
«Dopo!» mormorò Stevie Rae.
«Assolutamente!» rincalcò Damien.
Feci un sorriso innocente. Se non altro
ero certa che l'attesa li
avrebbe fatti impazzire.
La lezione di Letteratura fu
un'esperienza. Prima di tutto, la
classe in sé era completamente diversa
da quelle che avevo visto.
Poster, dipinti strani e interessanti e
quelle che sembravano opere
d'arte originali riempivano ogni
centimetro delle pareti. E dal
soffitto pendevano campane a vento e
cristalli in grande quantità.
La professoressa Pentesilea (che grazie
alla lezione di SocioVamp
sapevo essere il nome della più onorata
delle amazzoni), che tutti
chiamavano prof P, sembrava il
personaggio di un film (sì, be', di
quelli che danno su SciFi Channel).
Aveva lunghissimi capelli
biondo rossiccio, grandi occhi nocciola
e un corpo pieno di curve
che con ogni probabilità faceva sbavare
tutti i maschi (non che sia
difficile far sbavare degli adolescenti). I
suoi tatuaggi erano dei
minuscoli ed eleganti nodi celtici che le
incorniciavano il viso e
gli zigomi, che così sembravano alti e
marcati. Portava calzoni
sportivi neri a vita bassa dall'aria
costosa e un cardigan di seta
color muschio con ricamata sul petto la
stessa immagine della dea
che aveva Neferet. E, adesso che
pensavo a un argomento diverso
da Erik, mi resi conto che lo stesso
ricamo spiccava anche sul
taschino della camicia della Nolan.
Mmm…
«Sono nata nell'aprile del 1902», esordì
la professoressa
Pentesilea catturando subito la nostra
attenzione. Cioè, insomma, a
malapena le davi trent'anni. «Perciò
avevo dieci anni nell'aprile del
1912 e mi ricordo molto bene la
tragedia. Di cosa sto parlando?
Qualcuno di voi ha un'idea?»
Okay, sapevo esattamente di cosa stava
parlando, ma non
perché sia una sfigata senza speranza
che studia storia da mattina a
sera. È perché quando ero più giovane
pensavo di essere
innamorata di Leonardo Di Caprio, e per
il mio dodicesimo
compleanno la mamma mi aveva preso
la collezione completa dei
suoi film in DVD. E quel film in
particolare l'avevo visto talmente
tante volte che ancora me lo ricordavo
quasi tutto a memoria (e
non sto a dire quante volte ho pianto
come una disperata quando
lui viene portato via dalle onde come un
adorabile ghiacciolo).
Mi guardai intorno. Nessun altro
sembrava avere idee in
proposito, quindi sospirai e alzai la
mano.
La prof P sorrise e mi sollecitò a
rispondere. «Sì, signorina
Redbird?»
«Nell'aprile del 1912 è affondato il
Titanic. È stato colpito da
un iceberg la sera tardi del 14, ed è
affondato giusto qualche ora
dopo, il 15.»
Sentii Damien inspirare accanto a me e
il piccolo ooh
soffocato di Stevie Rae. Diavolo, mi ero
comportata così da scema
che si stupivano nel sentirmi dare una
risposta giusta?
«Adoro quando un novizio appena
arrivato sa qualcosa»,
disse la prof. «Tutto perfetto, signorina
Redbird. All'epoca della
tragedia io vivevo a Chicago e non
dimenticherò mai gli strilloni
che urlavano la tragica notizia agli
angoli delle strade. Fu un fatto
orribile, soprattutto perché la perdita di
vite sarebbe stata evitabile,
e segnò la fine di un'epoca e l'inizio di
un'altra, oltre che
determinare l'introduzione di molti
cambiamenti necessari nel
diritto marittimo. Studieremo tutto
questo, oltre ai fatti
deliziosamente melodrammatici di
quella notte, nel nostro
prossimo testo letterario, Titanic. La
vera storia, libro che Walter
Lord ha scritto in base a meticolose
ricerche. Benché Lord non
fosse un vampiro – e questo è un vero
peccato – trovo comunque
la sua descrizione di quella notte molto
avvincente e il suo stile e
il tono della scrittura interessanti e
leggibili. Okay, cominciamo!
Gli ultimi prendano i libri per l'intera
fila dall'armadietto lungo in
fondo alla classe.»
Wow, fantastico! Era decisamente più
interessante che
leggere Grandi speranze (Pip,
Estrella… chissene frega?!) Mi
sistemai con la mia copia di Titanic. La
vera storia e il blocco
aperto per prendere appunti. La prof P
cominciò a leggerci ad alta
voce il primo capitolo, e lo faceva
davvero bene. Tre ore di
lezione quasi finite e mi erano piaciute
tutte. Era mai possibile che
quella scuola di vampiri fosse davvero
qualcosa di più del posto
noioso dove andavo ogni giorno solo
perché dovevo e perché,
inoltre, ci andavano tutti i miei amici?
Non che tutte le lezioni alla
mia vecchia scuola fossero state noiose,
ma di certo non avremmo
studiato le amazzoni e il Titanic
(spiegato da un'insegnante che era
già viva quand'era affondato!)
Mentre la prof leggeva, mi guardai
intorno osservando gli
altri studenti. Eravamo una quindicina,
come, mi pareva, anche
negli altri corsi. Avevano tutti il libro
aperto e stavano attenti.
Poi con la coda dell'occhio intravidi
qualcosa di rosso e
cespuglioso dall'altra parte della stanza,
vicino al fondo. Avevo
parlato troppo presto: non tutti i ragazzi
stavano attenti. Quello
aveva la testa appoggiata sulle braccia e
dormiva come un sasso,
cosa di cui mi ero resa conto perché la
sua faccia grassoccia,
troppo bianca e piena di lentiggini, era
girata verso di me. Aveva
la bocca aperta e penso che stesse
persino sbavando un po'. Mi
chiesi cosa gli avrebbe fatto la prof.
Non sembrava il tipo da
restare imperturbabile con uno scansa
che ronfa in fondo all'aula,
ma continuò la lettura, intervallandola
con interessanti aneddoti di
prima mano riguardo l'inizio del XX
secolo, cosa che mi piacque
molto (soprattutto quando parlò delle
maschiette. Lo sarei stata
senz'altro anch'io, se fossi vissuta negli
anni '20). Fu soltanto
quando la campanella stava per suonare
e ci era già stato assegnato
di compito il capitolo successivo che la
prof agì come se
finalmente si fosse accorta del ragazzo
che dormiva. Lui aveva
cominciato a stiracchiarsi, quindi aveva
sollevato la testa
mostrando il segno rosso sulla tempia
che indicava dove si era
appoggiato sul braccio e che sembrava
incredibilmente fuori posto
accanto al Marchio.
«Elliott, ti devo parlare», disse la prof P
da dietro la cattedra.
Il rosso si prese tutto il tempo possibile
per alzarsi e
raggiungerla, strascicando i piedi nelle
scarpe mal tenute.
«Sììì?»
«Elliott, tu ovviamente sarai bocciato al
corso di Letteratura,
ma la cosa più importante è che anche la
vita ti boccerà. I vampiri
maschi sono forti, stimabili e unici.
Sono i nostri guerrieri e
protettori da infinite generazioni. Come
puoi pensare di
Trasformarti in un essere che è più
guerriero che uomo se non
riesci a mettere in pratica neppure
l'autocontrollo necessario a
stare sveglio in classe?»
Si strinse nelle spalle dall'aria
deboluccia.
L'espressione della prof s'indurì. «Ti
darò la possibilità di
recuperare lo zero che hai preso oggi
per la mancata
partecipazione in classe scrivendo un
breve saggio su un
argomento a tua scelta che fosse
importante nell'America
dell'inizio del XX secolo. Da
consegnare domani.»
Senza neanche replicare, il ragazzo
cominciò a voltarsi.
«Elliott.» La prof abbassò la voce e,
decisamente seccata, la
modulò in modo che mettesse molta più
paura di quanto non
avesse fatto mentre leggeva e spiegava.
Percepivo la forza che irradiava e mi
domandai se avrebbe
mai potuto avere bisogno di un maschio
che la proteggesse.
Il rosso si fermò e si girò per
affrontarla.
«Non ti avevo detto che te ne potevi
andare. Cos'hai deciso di
fare riguardo al compito per rimediare
allo zero di oggi?»
Lui si limitò a starsene lì senza dire
niente.
«A questa domanda serve una risposta,
Elliott. Subito!»
L'aria intorno a lei crepitava per la forza
dell'ordine, facendomi
pizzicare la pelle delle braccia.
Il rosso, invece, sembrava non essere
per niente colpito e fece
di nuovo spallucce. «Probabilmente non
lo farò.»
«Questo la dice lunga sul tuo carattere,
Elliott, e non è niente
di buono. Non solo tradisci te stesso, ma
tradisci anche il tuo
mentore.»
Ulteriore alzata di spalle, seguita da un
dito nel naso. «Il
Dragone sa già come sono.»
La campanella suonò e la prof P, con
un'espressione
disgustata, fece cenno a Elliott di
lasciare la stanza. Damien,
Stevie Rae e io ci eravamo appena alzati
e stavamo per uscire
dalla porta, quando Elliott ci superò
camminando ciondoloni, ma
si mosse più in fretta di quanto avrei mai
creduto possibile per un
simile scansa. Si scontrò con Damien,
che era in testa al nostro
gruppetto e che, con un «oops», barcollò
e quasi cadde.
«Finocchio di merda, levati di mezzo»,
ringhiò il rosso,
prendendo Damien per le spalle in modo
da passare dalla porta per
primo.
«Dovrei fargli un culo così a
quell'imbecille!» Stevie Rae si
affrettò a raggiungere Damien che ci
aspettava.
Lui scosse il capo. «Non ti preoccupare.
Quell'Elliott ha dei
grossi problemi.»
«Già, come avere la cacca al posto del
cervello», intervenni,
fissando la schiena del rosso che si
allontanava.
« Cacca al posto del cervello?» Damien
rise e prese
sottobraccio me da una parte e Stevie
Rae dall'altra,
accompagnandoci lungo il corridoio in
stile Mago di Oz. «È
questo che mi piace della nostra Zoey.
Ci sa proprio fare con le
volgarità.»
«Cacca non è volgare», replicai sulla
difensiva.
«Tesoro, credo proprio che il concetto
fosse quello», rise
Stevie Rae.
«Oh.» Risi anch'io. E mi era piaciuto
proprio tanto tanto
quando Damien aveva detto la «nostra»
Zoey… come se
appartenessi a quel gruppo e a quel
luogo… come se potesse
essere casa.
14
La lezione di scherma fu fantastica, e la
cosa mi stupì. Si
teneva fuori della palestra, in una grande
stanza che sembrava uno
studio di danza completo di parete a
specchi. Su un lato
pendevano dal soffitto degli insoliti
manichini a grandezza
naturale che mi fecero venire in mente
dei bersagli da tiro
tridimensionali. Tutti chiamavano il
professore Dragone Lankford,
o anche solo Dragone, e non mi ci era
voluto molto per capirne il
motivo: il suo tatuaggio rappresentava
due dragoni i cui corpi,
simili a serpenti, si avviluppavano lungo
la linea della mandibola.
Le teste erano al di sopra delle
sopracciglia, avevano la bocca
aperta e mandavano lingue di fuoco in
direzione della mezzaluna
sulla fronte. Era stupefacente e risultava
molto difficile non
guardarlo. Per di più Dragone era il
primo vampiro maschio adulto
che vedevo da vicino e all'inizio ero
confusa. Immagino che, se mi
avessero chiesto come mi aspettavo
fosse un vampiro, avrei
risposto l'opposto di quello che era lui.
Sinceramente nella testa
avevo il classico stereotipo
cinematografico: alto, bello,
pericoloso. Insomma, tipo Vin Diesel.
Invece Dragone era basso,
aveva lunghi capelli biondastri che
teneva legati a coda di cavallo
e (a parte il tatuaggio dall'aria feroce)
aveva un bel viso dal sorriso
gentile.
Avevo cominciato a rendermi conto
della sua forza solo
quando aveva dato inizio agli esercizi di
riscaldamento.
Dall'istante in cui aveva impugnato la
spada (che poi avrei
scoperto chiamarsi épée) nel saluto
tradizionale, era diventato un
altro, si muoveva con una rapidità e una
grazia incredibili. Fintava
e faceva affondi senza il minimo sforzo
apparente, facendo
sembrare gli alunni – persino i ragazzi
più bravi, come Damien –
dei goffi burattini. Concluso il
riscaldamento, Dragone aveva
diviso tutti in coppie per quelli che
chiamò «standard» e mi ero
sentita sollevata quando aveva fatto
cenno a Damien di fare coppia
con me.
«Zoey, è bello averti con noi alla Casa
della Notte.» Dragone
mi aveva stretto l'avambraccio nel
tradizionale saluto delle vampire amazzoni. «Damien ti può spiegare
quali sono le diverse parti
della divisa da scherma e io ti darò un
opuscolo da studiare nei
prossimi giorni. Posso presumere che tu
non abbia mai praticato
questo sport?»
«Sì, non l'ho mai fatto.» Poi, un po'
nervosa, avevo aggiunto:
«Ma sono contenta d'imparare. Voglio
dire, l'idea di usare una
spada è proprio forte».
Dragone mi aveva corretto con un
sorriso: «Fioretto,
imparerai a usare un fioretto. È la più
leggera delle tre armi che
abbiamo e una scelta eccellente per una
donna. Sapevi che la
scherma è uno dei pochissimi sport in
cui uomini e donne possono
competere alla pari?»
«No», avevo replicato interessata.
Quanto sarebbe stato
fantastico prendere a pedate nel didietro
un maschio in uno sport?!
«Questo perché uno schermidore
intelligente e concentrato
può compensare in modo efficace
qualunque eventuale carenza lui
o lei possa avere e magari addirittura
trasformare queste carenze –
per esempio in forza o in portata
dell'allungo – in risorse positive.
In altre parole, puoi non essere forte o
veloce quanto il tuo
avversario, ma puoi essere più
intelligente o mantenere una
maggiore concentrazione, e questo farà
pendere la bilancia in tuo
favore. Giusto, Damien?»
Damien si era aperto in un mega sorriso.
«Giusto.»
«Damien è uno degli schermidori più
concentrati cui abbia
avuto il privilegio d'insegnare in
decenni, e questo fa di lui un
temibile avversario.»
Avevo lanciato un'occhiata a Damien,
che era arrossito di
orgoglio e di piacere.
«Ti farò allenare con lui nelle mosse di
apertura per circa una
settimana. Ricorda sempre che la
scherma richiede
l'apprendimento di tecniche che per
natura sono sequenziali e
gerarchiche: se non ne viene acquisita
una, risulterà molto difficile
padroneggiare quelle successive e lo
schermidore avrà un grave
svantaggio permanente.»
«Okay, me lo ricorderò», avevo
replicato.
Dragone mi aveva rivolto un altro caldo
sorriso e si era
allontanato tra le coppie che si
allenavano.
«Quello che intendeva è che non ti devi
scoraggiare o
annoiare se ti farà ripetere un sacco di
volte lo stesso esercizio»,
aveva detto Damien.
«In pratica mi stai dicendo che sarà
noioso ma che c'è dietro
uno scopo?»
«Già. E parte di quello scopo ti sarà
utile per sollevare quel
tuo bel sederino», aveva risposto
sfrontato, assestandomi qualche
lieve colpo col suo fioretto.
Lo avevo spinto via alzando gli occhi al
cielo, ma, dopo venti
minuti di affondi e ritorno alla posizione
iniziale e altri affondi e
così via, avevo capito che aveva
ragione. Il giorno dopo il sedere
mi avrebbe fatto un male terribile.
Dopo la lezione ci eravamo fatti una
doccia veloce (per
fortuna nello spogliatoio femminile
c'erano docce singole chiuse
dalla tenda e non avevamo dovuto farci
una tragica e barbara
doccia tutte insieme come se fossimo
compagne di galera o cose
simili) e poi ero andata di corsa in sala
da pranzo con tutti gli altri.
E dico in senso letterale, perché morivo
di fame.
Lì trovai un immenso buffet per
prepararsi da soli mega
insalate e c'era di tutto, dal tonno a
quelle strane mini pannocchie
che non si capisce bene cosa siano e
nemmeno sanno di mais (cosa
saranno di preciso? Mais neonato? Mais
nano? Mais mutante?) Io
mi riempii un piattone e presi un grosso
pezzo di quello che
dall'aspetto e dal profumo sembrava
pane appena sfornato, quindi
mi sedetti al nostro tavolo accanto a
Stevie Rae, seguita da
Damien. Erin e Shaunee stavano già
begando per decidere quale
dei loro compiti di letteratura fosse
migliore, anche se tutt'e due
avevano preso 96.
«Allora, Zoey, spara. Cos'è 'sta storia di
Erik Night?» chiese
Stevie Rae nell'attimo in cui m'infilavo
in bocca una forchettata
d'insalata.
Le sue parole zittirono immediatamente
le gemelle e
concentrarono su di me l'attenzione di
tutto il tavolo.
Avevo riflettuto su cosa dire di Erik, e
avevo deciso che non
ero pronta a raccontare a nessuno della
shockante scena del
pompino, perciò mi limitai a dire:
«Continuava a guardarmi».
Quando mi fissarono tutti con aria
perplessa, capii che, con la
bocca piena, in realtà dovevo aver
detto: «Comtava a guddmmi».
Inghiottii e ritentai. «Continuava a
guardarmi. A Recitazione. È
stato, non lo so, strano.»
«Definisci 'guardarmi'», intervenne
Damien.
«Be', è successo appena ha messo piede
in aula, ma è stato
davvero evidente quando ci ha fatto un
esempio di monologo. Ha
recitato quello dell'Otello e, quand'è
arrivato alle frasi sull'amore e
così via, mi ha fissata proprio. Avrei
pensato che fosse un caso,
ma mi ha guardata anche prima d'iniziare
e poi di nuovo mentre
lasciava la stanza.» Sospirai,
sentendomi un po' a disagio sotto i
loro sguardi troppo penetranti. «Lasciate
perdere. Probabilmente
faceva parte della scena.»
«Erik Night è il bonazzo più figo di tutta
la scuola»,
commentò Shaunee.
«Non datele ascolto: è il bonazzo più
figo di tutto il pianeta»,
intervenne Erin.
«Non più di Kenny Chesney», replicò
rapida Stevie Rae.
«Oh, ti prego, basta con questa
ossessione per il country!»
Shaunee lanciò un'occhiataccia a Stevie
Rae, prima di riposare
l'attenzione su di me. « Non lasciarti
scappare l'occasione sotto il
naso.»
«Giààà», le fece eco Erin. « Non farlo.»
«Lasciarmi scappare l'occasione? E
cosa dovrei fare? Non mi
ha neanche rivolto la parola.»
«Mmm, Zoey, tesoro, hai risposto al suo
sorriso?» chiese
Damien.
Sbattei le palpebre. Avevo risposto al
suo sorriso? Ah,
cavolo, avrei scommesso di non averlo
fatto. Avrei scommesso di
essere rimasta lì a guardarlo come
un'idiota, magari sbavando
persino un po'. Okay, d'accordo, non
avrò sbavato, ma il concetto
è chiaro. «Non lo so», risposi invece di
confessare la triste verità,
ma senza riuscire a convincere Damien.
Lui sbuffò. «La prossima volta,
sorridigli.»
«E magari digli anche ciao», aggiunse
Stevie Rae.
«Pensavo che Erik fosse solo una bella
faccia», disse
Shaunee.
«E un bel corpo», le fece eco Erin.
«Finché non ha mollato Afrodite.
Quando l'ha fatto ho
pensato che il ragazzo avesse qualcosa
di funzionante anche ai
piani alti», continuò Shaunee.
«Riguardo ai piani bassi, di dubbi non
ce n'erano mai stati!»
commentò Erin facendo andare su e giù
le sopracciglia.
«Già-giààà!» Shaunee si leccò le labbra
come stesse
pensando di mangiarsi un grosso pezzo
di cioccolato.
«Certo che voi due siete davvero
oscene», disse Damien.
«Vogliamo solo dire che ha il più bel
culo di tutta la città,
cara Miss Perbenino», lo rimbeccò
Shaunee.
«Come se tu non te ne fossi accorto»,
aggiunse Erin.
«Se cominci a parlare con Erik, Afrodite
s'incazzerà»,
intervenne Stevie Rae.
Si voltarono tutti a guardarla come se
avesse appena diviso il
mar Rosso o robetta simile.
«È vero», convenne Damien.
«Più che vero», confermò Shaunee
mentre Erin annuiva.
«Allora, stando alle chiacchiere, lui
usciva con Afrodite»,
m'informai.
«Già», replicò Erin.
«E le chiacchiere sono grottesche ma
vere. Il che rende
ancora più piacevole 'sto fatto che
adesso gli piaci tu!» esclamò
Shaunee.
«Ragazzi, probabilmente guardava
soltanto il mio strano
Marchio», borbottai.
«Magari no. Tu sei davvero carina,
Zoey.» Stevie Rae fece
un dolce sorriso.
«O magari il tuo Marchio l'ha fatto
guardare, poi ha pensato
che fossi carina e ha continuato»,
aggiunse Damien.
«Comunque sia, se ti guarda, Afrodite
s'incazzerà», ripetè
Shaunee.
«E questa è una bella cosa», concluse
Erin.
Stevie Rae si dissociò dai loro
commenti con un gesto della
mano. «Dimenticati di Afrodite, del tuo
Marchio e di tutto il resto.
La prossima volta che ti sorride,
salutalo. Tutto qui.»
«Detto», disse Shaunee.
«Fatto», fece Erin.
«Okay», bofonchiai. Tornai alla mia
insalata e desiderai
disperatamente che la questione Erik
Night fosse davvero da
detto-fatto come pensavano loro.
Una cosa del pranzo alla Casa della
Notte era uguale anche
nella mia scuola precedente o in
qualunque altra scuola in cui
avessi pranzato: finiva troppo presto. E
la lezione di spagnolo fu
un po' nebulosa. La profesora Garmy era
una specie di piccola
tromba d'aria ispanica. Mi piacque
subito, e molto (i suoi tatuaggi
sembravano piume, quindi mi fece
pensare a un piccolo uccellino
spagnolo), ma spiegava completamente
in lingua. Completamente.
Forse dovrei chiarire che dopo la terza
media non avevo più fatto
spagnolo e ammetto senza problemi che
comunque non mi ero mai
impegnata molto. Perciò mi sentivo
persa, ma scrissi i compiti da
fare e mi ripromisi di darci dentro coi
vocaboli. Odio sentirmi
persa.
Introduzione agli Studi Equestri si
teneva nel Capanno, che
era un edificio di mattoni basso e lungo
vicino al muro di cinta
meridionale e attaccato a un immenso
maneggio coperto. Il posto
aveva quell'odore di cavallo e segatura
che, mischiato al cuoio,
andava a creare qualcosa di gradevole,
anche sapendo che parte
dell'odore «gradevole» era data dalla
cacca. Di cavallo, appunto.
Me ne stavo con un gruppetto di ragazzi
appena dentro il
recinto, dove uno studente più grande,
alto e dalla faccia seria, ci
aveva detto di aspettare. Eravamo solo
dieci, e tutti di terza. Oh
(grandioso), quella palla di Elliott testa
rossa era stravaccato
contro il muro e tirava calci alla
segatura, sollevando abbastanza
polvere da far starnutire la ragazza più
vicina, che gli lanciò
un'occhiataccia e si allontanò di qualche
passo. Dio, ma doveva
proprio dare fastidio a tutti? E perché
non metteva qualcosa
(magari anche solo un pettine) in quei
capelli crespi?
Il rumore di zoccoli distolse la mia
attenzione da Elliott e mi
fece alzare lo sguardo giusto in tempo
per vedere una splendida
giumenta nera entrare al galoppo nel
recinto. Si fermò in scivolata
a meno di un metro da noi e, mentre la
guardavamo a bocca
aperta, chi la montava scese di sella con
un movimento aggraziato.
Era una donna, con folti capelli lunghi
fino alla vita, di un biondo
talmente chiaro da sembrare quasi
bianco, e occhi di un insolito
grigio ardesia. Era minuta e, da come
stava dritta, mi ricordò
quelle ragazze talmente prese dai corsi
di danza che perfino
quando non stanno ballando sembra
comunque che abbiano
mangiato un manico di scopa. Il suo
tatuaggio era formato da una
complicata serie di nodi che
s'intrecciavano a incorniciarle il viso
e in quei disegni color zaffiro fui certa
di vedere dei cavalli al
galoppo.
«Buona sera. Io sono Lenobia, e questo»
– prima di finire la
frase indicò la giumenta e diede
un'occhiata sprezzante al nostro
gruppetto – «è un cavallo.» La sua voce
rimbalzò tra le pareti e la
giumenta sbuffò quasi a sottolineare le
sue parole. «E voi siete il
mio nuovo gruppo di terza. Ciascuno di
voi è stato scelto per
questo corso perché riteniamo che
possiate avere una certa
attitudine per l'equitazione. La verità è
che meno della metà di voi
proseguirà dopo questo semestre e meno
della metà di quelli che
proseguiranno diventeranno davvero dei
cavallerizzi decenti.
Avete domande?» Non si fermò
abbastanza da lasciare tempo a
qualcuno di farne. «Bene. Allora
seguitemi che iniziamo.» Si voltò
e tornò a passo di marcia nelle scuderie.
La seguimmo.
Avrei voluto chiederle chi erano quelli
che ritenevano che
potessi avere una certa attitudine per
l'equitazione, ma avevo paura
di parlare, perciò le arrancai dietro
come tutti gli altri.
Si fermò di fronte a una fila di poste
vuote, al cui esterno
c'erano forconi e carriole. Lenobia si
voltò a guardarci. «I cavalli
non sono cani grandi. E neppure il sogno
romantico da ragazzine
del perfetto migliore amico che ti
capisce sempre.»
Due ragazze vicino a me si dimenarono
con aria colpevole e
Lenobia le trapassò con un lampo dei
grandi occhi grigi.
«I cavalli sono lavoro. I cavalli
richiedono dedizione,
intelligenza e tempo. Cominceremo con
la parte del lavoro. Nella
stanza dei finimenti là in fondo troverete
degli stivali. Sceglietene
un paio in fretta, poi mettetevi i guanti.
Dopo di che ognuno di voi
prende una posta e si dà da fare.»
«Professoressa Lenobia?» intervenne
una ragazza paffuta con
uno splendido viso, alzando la mano un
po' nervosa.
«Basta Lenobia. Il nome che ho scelto in
onore dell'antica
regina vampira non richiede altro
titolo.»
Non avevo idea di chi fosse Lenobia e
presi mentalmente
nota di fare ricerche in proposito.
«Continua, Amanda. Hai qualcosa da
chiedere?»
«Già, mmm, sì.»
Lenobia la guardò inarcando le
sopracciglia.
Amanda deglutì rumorosamente. «Ci
diamo da fare a fare
cosa, profes…, cioè, Lenobia, signora?»
«A pulire le poste, è ovvio. Lo sterco va
nelle carriole e,
quando sono piene, potete rovesciare il
contenuto nell'area per il
compostaggio sul lato delle scuderie
rivolto verso il muro di cinta.
Nel magazzino accanto alla stanza dei
finimenti c'è della segatura.
Avete cinquanta minuti. Torno tra
quarantacinque a controllare il
lavoro.»
La fissammo tutti sbattendo le palpebre.
«Potete cominciare. Subito.»
Cominciammo.
Okay. Sul serio. Lo so che suonerà
strano, ma non mi dava
fastidio pulire la mia posta. Voglio dire,
lo sterco di cavallo non è
poi così schifoso. Soprattutto perché era
evidente che quelle poste
venivano pulite più volte durante la
giornata. Presi gli stivali da
lavoro (che erano stivaloni di gomma
assolutamente orribili che
però mi coprivano i jeans fino alle
ginocchia), un paio di guanti e
mi misi all'opera. Ottimi altoparlanti
diffondevano una musica che
ero quasi certa fosse l'ultimo CD di
Enya (prima di sposare John,
mia mamma ascoltava Enya, ma poi lui
aveva deciso che poteva
essere musica da streghe e lei non
l'ascoltò più, motivo per cui a
me Enya era sempre piaciuta). Perciò mi
ritrovai ad ascoltare le
ammalianti canzoni gaeliche mentre
tiravo su forconate di cacca di
cavallo. Mi sembrò che fosse passato un
niente quando mi ritrovai
a svuotare la carriola e a riempirla di
segatura pulita. La stavo
giusto spargendo e lisciando nella posta
quando un pizzicorino
alla schiena mi disse che qualcuno mi
stava osservando.
«Ottimo lavoro, Zoey.»
Sobbalzai, girai sui tacchi e vidi
Lenobia appena fuori della
mia posta.
In una mano teneva una grossa spazzola
morbida, nell'altra le
briglie di una giumenta roana dagli occhi
da cerbiatta. «L'avevi già
fatto.»
«Una volta mia nonna aveva un
dolcissimo castrone grigio
che avevo chiamato Bunny.» Quando mi
resi conto di quanto
suonasse stupido, ormai l'avevo detto.
Con le guance in fiamme,
mi affrettai a finire il discorso: «Be',
avevo dieci anni allora e il
suo colore mi faceva venire in mente
Bugs Bunny, perciò ho
cominciato a chiamarlo così e il nome è
rimasto».
Le labbra di Lenobia si sollevarono in
un infinitesimale
accenno di sorriso. «Ed era la posta di
Bunny che pulivi?»
«Sì. Mi piaceva montarlo e la nonna
diceva che nessuno
dovrebbe montare un cavallo se poi non
pulisce dove sporca.» Mi
strinsi nelle spalle. «Così pulivo dove
sporcava.»
«Tua nonna è una donna saggia.»
Assentii.
«E non ti dava fastidio pulire dove
sporcava Bunny?»
«No, per niente.»
«Bene. Ti presento Persefone.» Lenobia
indicò con la testa la
giumenta. «Hai appena pulito la sua
posta.»
La cavalla entrò nel box e si diresse
verso di me, mi
appoggiò il muso contro la faccia e
soffiò piano, facendomi il
solletico. Ridacchiai, le accarezzai il
naso e le stampai un bacio
sul muso caldo e vellutato. «Ciao,
Persefone, ma come sei bella!»
Lenobia fece un cenno di approvazione
mentre la cavalla e io
facevamo conoscenza. «Mancano solo
cinque minuti prima che
suoni la campana della fine delle
lezioni, perciò non è necessario
che ti fermi, ma, se vuoi, credo ti sia
guadagnata il privilegio di
spazzolare Persefone.»
Stupita, alzai gli occhi dal collo della
giumenta. «Nessun
problema, mi fermo», mi sentii dire.
«Eccellente. Quando hai finito, puoi
riportare la spazzola
nella stanza dei finimenti. Ci vediamo
domani, Zoey.» Lenobia mi
tese la striglia, diede una pacca
affettuosa alla cavalla e ci lasciò
sole.
Persefone infilò la testa nella
rastrelliera di metallo che
conteneva la biada fresca e cominciò a
masticare mentre io la
spazzolavo. Bunny era morto per un
attacco di cuore fulmineo e
spaventoso due anni prima e la nonna
era rimasta troppo sconvolta
per prendere un altro cavallo. Diceva
che «il coniglio» (era così
che le piaceva chiamarlo) era
insostituibile. Perciò era da due anni
che non ne vedevo uno, ma mi tornò
subito tutto in mente: gli
odori, il caldo, rilassante rumore di un
cavallo che mangia, il
sommesso svuusc della striglia che
scivolava sul lucido mantello
della giumenta.
A margine della mia soglia di attenzione,
udii vagamente la
voce di Lenobia, tagliente e rabbiosa,
che strigliava (hi, hi) un
alunno, che immaginai fosse testa rossa
la palla. Sbirciai oltre la
spalla di Persefone e diedi una rapida
occhiata. Eccolo lì, il rosso,
appoggiato con aria strafottente di fronte
alla sua posta. Accanto a
lui Lenobia, mani sui fianchi. Anche così
di sbieco riuscivo a
vedere che era arrabbiata come una
biscia. Ma la missione di quel
ragazzo era quella di fare incavolare a
sangue ogni singolo
insegnante? E il suo mentore era
Dragone? Okay, il tipo sembrava
gentile, finché non prendeva in mano una
spada – cioè, un fioretto
– e non diventava un letale guerriero
vampiro.
«Quello scansafatiche testa rossa deve
aver voglia di morire
presto», dissi a Persefone mentre
ricominciavo a spazzolarla.
La giumenta girò l'orecchio verso di me
e sbuffò.
«Già, sapevo che saresti stata d'accordo.
Vuoi sentire la mia
teoria su come la mia generazione
potrebbe spazzare via con una
sola mano dall'America tutti i ragazzi
sfigati e scansa?» Sembrava
interessata, quindi mi lanciai nella mia
tirata sul Non Procreate
con Sfigati e Falliti…
«Zoey! Eccoti qui!»
«Ohmioddio! Stevie Rae! Mi hai fatto
venire una strizza!»
Diedi una pacca a Persefone per
tranquillizzarla, perché, quando
avevo gridato, si era impaurita.
«Che accidenti stai facendo?»
Agitai la spazzola verso di lei. «A te
cosa sembra stia
facendo, la pedicure?»
«Smetti di perdere tempo. Lo sai che il
Rituale della Luna
Piena comincia tra un paio di minuti?»
«Ah, diavolo!» Un'altra pacchetta a
Persefone e mi precipitai
dalla scuderia alla stanza dei finimenti.
«Ti eri dimenticata, vero?» Stevie Rae
mi tenne la mano per
aiutarmi a stare in equilibrio mentre mi
toglievo gli stivali di
gomma e rimettevo su le mie fighissime
ballerine.
«No», mentii.
Poi mi resi conto che avevo scordato
anche il rito delle Figlie
Oscure che si sarebbe tenuto dopo.
«Oh, diavolo!»
15
Circa a metà strada dal tempio di Nyx
mi accorsi che Stevie
Rae era insolitamente silenziosa, quindi
la osservai di sottecchi.
Era anche pallida? Mi venne un brivido.
«Stevie Rae, c'è qualcosa
che non va?»
«Sì, be', è una cosa triste e che mette
anche paura.»
«Cosa? Il Rituale della Luna Piena?»
Cominciò a farmi male
lo stomaco.
«No, ti piacerà… almeno, questo. »
Sapevo a cosa si riferiva, al confronto
tra il rito della scuola e
quello delle Figlie Oscure, cui avrei
dovuto partecipare dopo, ma
non avevo voglia di parlarne.
Le successive parole di Stevie Rae però
fecero sembrare la
questione Figlie Oscure un problemino
secondario. «Un'ora fa è
morta una ragazza.»
«Cosa? Come?»
«Come muoiono tutti. Non è riuscita a
Trasformarsi e il suo
organismo…» Stevie Rae s'interruppe,
rabbrividendo. «È successo
verso la fine della lezione di Tae Kwan
Do. All'inizio degli
esercizi di riscaldamento aveva
cominciato a tossire, come fosse
senza fiato. Non ci ho fatto caso più di
tanto. O forse sì, ma ho
preferito non pensarci.»
Stevie Rae mi fece un sorriso timido e
triste e parve
vergognarsi di se stessa.
«C'è modo di salvare un ragazzo? Sì,
insomma, dopo che ha
cominciato…» Lasciai la frase in
sospeso e feci un gesto vago e
imbarazzato.
«No, non c'è modo di essere salvati se
l'organismo inizia a
rifiutare la Trasformazione.»
«Allora non devi sentirti in colpa per
non aver pensato alle
conseguenze della tosse di quella
ragazza. Non avresti potuto fare
niente comunque.»
«Lo so. È che io… è stato orribile. Ed
Elizabeth era così
simpatica!»
Sentii una fitta in un punto imprecisato a
metà del mio corpo.
«Elizabeth Niente Cognome? È lei che è
morta?»
Stevie Rae annuì, sbattendo con forza le
palpebre nel
tentativo più che evidente di non
piangere.
«È terribile», commentai, la voce tanto
flebile da essere
appena un sussurro. Ricordavo com'era
stata premurosa riguardo
al mio Marchio e come si era accorta
che Erik mi guardava. «Ma
l'ho vista a lezione di Recitazione e
stava bene!»
«È così che succede. Un momento il
ragazzo o la ragazza
seduto vicino a te sembra del tutto
normale, e il momento
successivo…» Stevie Rae rabbrividì
ancora.
«E gli altri vanno avanti come se niente
fosse? Anche se
qualcuno della scuola è appena morto?»
Mi ricordavo che l'anno
prima, quando un gruppo di fagioli del
mio vecchio liceo aveva
avuto un incidente in macchina nel fine
settimana e due erano
rimasti uccisi, il lunedì erano stati fatti
venire a scuola degli
psicologi in più oltre a quello solito e
gli eventi sportivi erano stati
cancellati per tutta la settimana.
«Continua tutto in modo normale. È
previsto che ci
abituiamo all'idea che possa succedere a
chiunque di noi. Vedrai.
Si comporteranno tutti come se non fosse
successo niente,
soprattutto quelli delle classi superiori.
Saranno solo quelli di terza e i migliori
amici di Elizabeth a
mostrare una qualche reazione. Quelli di
terza – che siamo noi –
devono comportarsi bene e superare la
cosa. Probabilmente la sua
compagna di stanza e gli amici più stretti
staranno un po' in
disparte per un paio di giorni, ma poi ci
si aspetta che si
riprendano.» Abbassò la voce. «A dirti
la verità, io non penso che
i vampiri pensino a noi come reali
finché non ci Trasformiamo.»
Ci riflettei su. Neferet non sembrava
trattarmi come se fossi
temporanea, aveva persino detto che era
un'ottima cosa che il mio
Marchio fosse già completato, anche se
io non ero altrettanto
sicura del mio futuro. Ma di certo non
avrei detto niente che
potesse suonare come se Neferet avesse
un trattamento speciale
per me. Non volevo essere «quella
diversa». Volevo solo essere
amica di Stevie Rae e integrarmi col
mio nuovo gruppo. «È
davvero tremendo», commentai alla fine.
«Già, ma almeno, se succede, succede in
fretta.»
Una parte di me voleva conoscere i
dettagli, ma un'altra
aveva troppa paura anche solo di
chiedere.
Per fortuna Shaunee c'interruppe prima
che riuscissi a farmi
abbastanza coraggio da domandare
quello che in realtà ero troppo
spaventata per voler sapere. «Scusate
tanto, ma quanto ci avete
messo?» gridò dalla scalinata davanti al
tempio. «Erin e Damien
sono già dentro a tenerci il posto nel
cerchio, ma sapete che una
volta che il rito è iniziato non può più
entrare nessuno.
Spicciatevi!»
Ci precipitammo su per le scale e ci
affrettammo dietro a
Shaunee. Un dolce fumo d'incenso mi
avvolse non appena misi
piede nell'atrio ad arco del tempio di
Nyx. D'istinto esitai e Stevie
Rae e Shaunee si voltarono verso di me.
«Va tutto bene. Non c'è niente per cui
essere nervosa o avere
paura.» Stevie Rae incrociò il mio
sguardo e aggiunse: «Almeno
non qui dentro».
«Il Rituale della Luna Piena è magnifico.
Ti piacerà. Oh,
quando la vamp ti traccia il pentacolo
sulla fronte e dice:
'Benedetta sia', devi soltanto rispondere
anche tu con: 'Benedetta
sia'», mi spiegò Shaunee. «Poi ci segui
al nostro posto nel
cerchio.» Mi fece un sorriso
rassicurante ed entrò per prima nella
stanza scarsamente illuminata.
Afferrai la manica di Stevie Rae.
«Aspetta. Non voglio
sembrare stupida, ma il pentacolo non è
un segno del male o roba
del genere?»
«È quello che pensavo anch'io prima di
arrivare qui. Ma tutte
quelle storie sul male sono stronzate che
mette in giro il Popolo
della Fede in modo che…» Fece
spallucce. «Diamine, non so
neanche perché gli freghi così tanto che
la gente – be', gli umani, è
ovvio – creda che è un simbolo del
male. La verità è che per circa
un fantastiliardo di anni il pentacolo ha
significato saggezza,
protezione e perfezione. Cose positive
così. È solo una stella a
cinque punte. Quattro punte stanno per
gli elementi e la quinta,
quella rivolta in alto, per lo spirito.
Tutto qui. Nessuna diavoleria.»
«Il controllo», borbottai, felice di avere
un motivo per
smettere di pensare a Elizabeth e alla
morte.
«Eh?»
«Il Popolo della Fede vuole controllare
tutto, e parte di quel
controllo consiste nel fatto che tutti
devono sempre credere
esattamente la stessa cosa. È per questo
che vogliono che la gente
pensi che il pentacolo sia male.» Scossi
la testa con disgusto.
«Lascia perdere. Andiamo. Sono più
pronta di quanto pensassi.
Entriamo.»
Procedemmo nell'atrio e sentii un suono
di acqua corrente.
Superammo una bella fontana, poi
l'ingresso curvò leggermente a
sinistra. Nel vano ad arco di una porta
c'era una vampira che non
conoscevo, vestita completamente di
nero, con una gonna lunga e
una camicetta di seta con le maniche
scampanate. L'unica
decorazione che aveva era un ricamo
d'argento della dea sul petto.
Aveva lunghi capelli color grano e dalla
mezzaluna sulla fronte
partivano spirali color zaffiro che le
incorniciavano il viso
perfetto.
«Quella è Anastasia. Insegna Incantesimi
e Rituali, ed è
anche la moglie di Dragone», bisbigliò
Stevie Rae prima di
presentarsi davanti alla vampira e
posare il pugno sul cuore in
segno di rispetto.
Anastasia sorrise e intinse le dita nella
ciotola di pietra che
teneva in mano, quindi tracciò una stella
a cinque punte sulla
fronte di Stevie Rae. «Benedetta sia»,
disse.
«Benedetta sia», rispose lei, poi mi
lanciò un'occhiata
d'incoraggiamento e sparì nella stanza
fumosa.
Respirai a fondo e presi la consapevole
decisione di scacciare
dalla mente ogni pensiero relativo a
Elizabeth, alla morte e cose
simili… almeno durante il rituale. Mi
misi di fronte ad Anastasia
e, imitando Stevie Rae, appoggiai il
pugno chiuso sul cuore.
La vampira tuffò le dita in quello che
scoprii essere olio.
«Ben trovata, Zoey Redbird, benvenuta
alla Casa della Notte e alla
tua nuova vita.» Tracciò il pentacolo
sopra la mia mezzaluna. «E
benedetta sia.»
«Benedetta sia», mormorai, stupita del
fremito che mi aveva
attraversata quando la stella umida
aveva preso forma sulla fronte.
«Entra e unisciti ai tuoi amici. Non hai
motivo di essere
nervosa, credo che la Dea si stia già
prendendo cura di te.»
«Gr-grazie», replicai, quindi entrai in
fretta nella stanza.
C'erano candele ovunque. Bianche,
immense, erano disposte
lungo i muri o appese al soffitto tramite
lampadari di ferro. Nel
tempio, i candelabri da parete non
reggevano lampade a olio come
nel resto della scuola, ma facevano
davvero il loro mestiere.
Sapevo che quel posto in origine era una
chiesa del Popolo della
Fede dedicata a sant'Agostino, ma non
somigliava alle altre chiese,
non a quelle che avevo visto io, almeno.
Oltre a essere illuminato
soltanto da candele, non c'erano i banchi
(tra l'altro, a me i banchi
proprio non piacciono: non potrebbero
essere più scomodi!) In
realtà l'unico pezzo di arredamento nella
grande sala era un antico
tavolo di legno posto al centro che
somigliava a quello in sala da
pranzo. Solo che non era pieno soltanto
di cibo e di vino, ma
ospitava anche una statua di marmo
della Dea con le braccia
sollevate, molto simile al ricamo che
portavano i vampiri. Sul
tavolo c'erano parecchi bastoncini
d'incenso e un enorme
candelabro, le cui grosse candele
bianche splendevano luminose.
Poi i miei occhi furono attratti da una
fiamma libera che si
alzava da un incavo nel pavimento e
guizzava con foga arrivando
quasi all'altezza della vita. Era un
bellissimo fuoco giallo e dava
un senso di pericolo controllato, che
sembrò trascinarmi a sé. Per
fortuna il movimento delle mani di
Stevie Rae mi distrasse prima
che potessi seguire l'impulso di
avvicinarmi alla fiamma. Fu allora
che mi accorsi, stupendomi di non
averlo notato prima, che c'era
un immenso cerchio di persone, formato
sia da studenti sia da
vampiri adulti, che si estendeva lungo il
perimetro della stanza.
Sentendomi allo stesso tempo nervosa e
intimorita, obbligai i piedi
a muoversi in modo da prendere posto
vicino a Stevie Rae.
«Finalmente», disse sottovoce Damien.
«Scusate il ritardo», replicai.
«Lasciala stare, è già abbastanza
nervosa», mi difese Stevie
Rae.
« Sstt! Comincia», sibilò Shaunee.
Quattro sagome parvero materializzarsi
negli angoli bui della
sala, poi divennero donne e raggiunsero
quattro punti all'interno
del cerchio vivente, come fossero le
direzioni di una bussola. Altre
due entrarono dalla porta da cui ero
passata anch'io e vidi che una
era un uomo alto – ah, tirateci sopra una
riga, volevo dire un
vampiro (tutti gli adulti erano vampiri) –
e, oh. Mio. Dio. Era da
urlo. Un eccellente esempio dello
stereotipo del vampiro
bellissimo, anzi splendido, visto da
vicino e dal vero. Era alto
almeno un metro e ottantacinque e
sembrava uscito dallo schermo
del cinema.
«Ecco l'unico motivo per cui come
complementare ho scelto
quel cavolo di Poesia», mormorò
Shaunee.
«Condivido pienamente, gemella»,
sussurrò sognante Erin.
«Chi è?» domandai a Stevie Rae.
«Loren Blake, Poeta Laureato Vampiro.
È il primo Poeta
Laureato degli ultimi duecento anni»,
bisbigliò. «E pensa che è
solo sulla ventina, e in anni reali, non
soltanto nell'aspetto.»
Prima che potessi chiedere altro, lui
cominciò a parlare e la
mia bocca si ritrovò troppo impegnata a
spalancarsi al suono della
sua voce perché potessi fare altro che
ascoltare.
Ella splendida incede, come notte di
limpido immenso e cieli
di stelle.
Mentre parlava, si muoveva lentamente
verso il cerchio e,
come se la sua voce fosse stata una
musica, la donna che era
entrata nella sala con lui cominciò a
ondeggiare, quindi a danzare
con grazia intorno alla parte esterna del
cerchio vivente.
E tutto il meglio di oscuro e di luce
negli occhi e nell'aspetto
suo rifulge.
La donna che ballava aveva attirato
l'attenzione di tutti e
quasi trasalii accorgendomi che era
Neferet. Indossava un lungo
abito di seta tempestato di minuscole
perline di cristallo che
consentivano alla luce delle candele di
cogliere ogni suo
movimento e di farla splendere come un
cielo stellato. I suoi gesti
sembravano dare vita alle parole
dell'antica poesia (perlomeno il
mio cervello lavorava ancora
abbastanza bene da farmela
riconoscere come Ella splendida incede
di Lord Byron).
Dolce in quel tenero chiarore
che il cielo nega allo sfarzo del giorno.
Non so come, Neferet e Loren riuscirono
a trovarsi al centro
del cerchio proprio mentre lui finiva di
recitare i versi.
Poi Neferet prese un calice dal tavolo e
lo sollevò, come a
offrire da bere al cerchio. «Benvenuti,
figli di Nyx, alle
celebrazioni della Dea in occasione
della luna piena!»
«Ti salutiamo con gioia», risposero in
coro tutti gli adulti.
Neferet sorrise e rimise a posto il
calice, prendendo invece un
lungo accenditoio per candele. Quindi
attraversò il cerchio e si
fermò davanti a una vampira che non
conoscevo, in piedi in quello
che doveva essere il punto d'inizio.
Salutò Neferet con la mano sul
cuore prima di voltarsi dandole le
spalle.
« Psstt!» bisbigliò Stevie Rae. «Mentre
Neferet evoca i
quattro elementi e percorre il cerchio di
Nyx, noi dobbiamo
rivolgerci nelle quattro direzioni. La
prima è l'est, che rappresenta
l'aria.»
Quindi tutti, inclusa me con la mia
rapidità da bradipo, ci
voltammo verso est.
Con la coda dell'occhio vidi Neferet
sollevare le braccia
sopra la testa mentre la sua voce
risuonava sulle pareti di pietra del
tempio. «Da est io ti chiamo, aria, e ti
chiedo di portare in questo
cerchio il dono della sapienza, in modo
che il nostro rituale sia
pieno di discernimento.»
Nell'attimo in cui Neferet cominciò a
pronunciare
l'invocazione sentii l'aria cambiare. Si
mosse intorno a me,
scompigliandomi i capelli e
riempiendomi le orecchie dei suoni
del vento che sospira tra le foglie. Mi
guardai intorno,
aspettandomi di vedere che pure tutti gli
altri erano stati travolti da
un mini tornado, ma nessuno aveva i
capelli spettinati come me.
Strano.
La vamp nel punto dell'est trasse dalle
pieghe dell'abito una
grossa candela gialla che Neferet
accese. La sollevò, quindi la
posò ai suoi piedi.
«Girati a destra per il fuoco», mormorò
Stevie Rae.
Ci voltammo e Neferet riprese. «Da sud
io ti chiamo, fuoco, e
ti chiedo di accendere in questo cerchio
il dono della forza di
volontà, in modo che il nostro rituale sia
vincolante e autorevole.»
Il vento che aveva soffiato con forza su
di me fu sostituito da
una sensazione di calore. Non era
sgradevole, piuttosto somigliava
alla vampata che si prova quando si
entra in una vasca bollente,
ma abbastanza intensa da farmi sudare
leggermente. Guardai
Stevie Rae. Teneva la testa un po'
sollevata e gli occhi chiusi. Ma
sul suo viso non c'era traccia di sudore.
Il calore aumentò di colpo
e voltandomi vidi che Neferet aveva
acceso la grande candela
rossa tenuta in mano da Pentesilea che,
come aveva fatto la
vampira rivolta a est, la sollevò in
offerta prima di posarla a terra
davanti a sé.
Questa volta non servì il colpo di
gomito di Stevie Rae per
farmi girare ancora a destra in direzione
ovest. Non so come,
sapevo già non solo che dovevamo
voltarci, ma anche che il
successivo elemento a essere chiamato
sarebbe stato l'acqua.
«Da ovest io ti chiamo, acqua, e ti
chiedo d'impregnare
questo cerchio di compassione, in modo
che la luce della luna
piena possa essere usata per concedere
al nostro gruppo la
guarigione oltre che la comprensione.»
Neferet accese la candela blu della
vampira rivolta a ovest,
che la sollevò e se la posò ai piedi, e
l'odore salmastro del mare mi
riempì le narici. Impaziente, completai il
cerchio voltandomi verso
nord, sapendo che avrei abbracciato la
terra.
«Da nord io ti chiamo, terra, e ti chiedo
di far crescere in
questo cerchio il dono del palesamento,
in modo che i desideri e le
preghiere di stanotte abbiano buon
esito.»
Di colpo potei percepire sotto i piedi la
morbidezza di un
campo erboso, sentii l'odore del fieno e
udii il canto degli uccelli.
Una candela verde venne accesa e posta
ai piedi della «terra».
Probabilmente avrei dovuto spaventarmi
per quelle strane
sensazioni che nascevano in me, invece
mi riempivano di una
leggerezza quasi esagerata: mi sentivo
bene. Talmente bene che,
quando Neferet si volse verso la fiamma
che ardeva al centro della
sala e tutti ci voltammo in quella
direzione, dovetti stringere le
labbra con forza per evitare di
scoppiare in una risata. Il poeta
bello da morire era in piedi dall'altra
parte del fuoco rispetto a
Neferet e vidi che teneva in mano una
candela viola.
«E infine io chiamo te, spirito, a
completare il nostro cerchio,
e ti chiedo di colmarci di legami, in
modo che, in quanto tuoi figli,
possiamo prosperare insieme.»
Non potevo crederci, ma, quando il
poeta accese la candela
alla grande fiamma nel pavimento e la
posò sul tavolo, sentii il
mio spirito agitarsi, come se dentro al
mio petto ci fosse un grande
batter d'ali.
Poi Neferet cominciò a girare intorno
all'interno del cerchio,
parlando con noi, incrociando il nostro
sguardo, includendoci nelle
sue parole. «Questo è il momento della
pienezza lunare. Tutte le
cose crescono e calano, persino i figli di
Nyx, i suoi vampiri. Ma
in questa notte le forze della vita, della
magia e della creazione
sono al loro massimo fulgore, come la
luna della nostra Dea.
Questo è il momento di costruire… di
fare.»
Il cuore mi batteva forte mentre la
ascoltavo e mi resi conto
con un certo sussulto che in realtà stava
facendo una predica. Si
trattava di un servizio religioso, ma la
creazione del cerchio e le
parole di Neferet mi toccarono come
mai nessun sermone aveva
neanche minimamente cominciato a fare.
Mi guardai intorno.
Magari era l'ambiente. La sala era resa
nebbiosa dal fumo
dell'incenso e magica dal guizzare delle
candele. E Neferet era
tutto quello che doveva essere una
Somma Sacerdotessa. La sua
bellezza era una fiamma di per sé e la
sua voce aveva una magia
che incantava tutti. Nessuno era
accasciato sul banco a
sonnecchiare o giocava a sudoku di
nascosto.
«Questo è un momento in cui il velo tra
il mondo terreno e lo
splendido e singolare regno della Dea si
fa davvero sottile. In
questa notte si possono trascendere con
facilità i confini tra i
mondi, e conoscere la bellezza e
l'incanto di Nyx.»
Sentivo le parole di Neferet scivolare su
di me e stringermi la
gola. Rabbrividii e all'improvviso il
mio Marchio divenne caldo e
prese a pizzicare.
Quindi il poeta disse con la sua voce
profonda e intensa:
«Questo è un momento in cui dare vita
all'etereo, intessendo i fili
di spazio e tempo per dare inizio alla
Creazione. Perché la vita è
un cerchio oltre che un mistero. La
nostra Dea lo capisce e lo
stesso vale per il suo consorte, Erebo».
Improvvisamente mi sentii meglio
riguardo alla morte di
Elizabeth, che non mi sembrò più tanto
orribile e spaventosa, ma
piuttosto una parte del mondo naturale,
un mondo in cui tutti
avevamo un posto.
Loren continuò: «Luce… buio…
giorno… notte… morte…
vita… è tutto legato insieme dallo
spirito e dal tocco della Dea. Se
manteniamo l'equilibrio e guardiamo
alla Dea, possiamo imparare
a tessere un incantesimo coi raggi di
luna e creare con esso un
tessuto di pura materia magica, da tenere
con noi tutti i giorni
della nostra esistenza».
«Chiudete gli occhi, figli di Nyx», disse
Neferet. «E inviate
un desiderio segreto alla vostra Dea.
Stanotte, quando il velo tra i
mondi è sottile, quando la magia agisce
nel mondo terreno, forse
Nyx esaudirà le vostre richieste e vi
avvolgerà nella foschia lieve
come la ragnatela dei sogni realizzati.»
Magia! Stavano realmente pregando per
la magia! Avrebbe
funzionato? Poteva funzionare? C'era
davvero la magia in questo
mondo? Ricordavo la maniera in cui il
mio spirito era stato in
grado di vedere le parole e come la Dea
mi aveva chiamata nel
crepaccio con la sua voce visibile, e poi
mi aveva baciato la fronte
cambiando la mia vita per sempre. E
come, appena un attimo fa,
avevo percepito la forza del richiamo
degli elementi fatto da
Neferet. Non me l'ero immaginato, non
potevo essermelo
immaginato.
Chiusi gli occhi e pensai alla magia che
sembrava
circondarmi, quindi mi rivolsi alla notte:
Il mio desiderio segreto è
d'integrarmi e sentirmi parte di un
gruppo… di avere finalmente
trovato una casa che nessuno mi possa
togliere.
Nonostante l'insolito calore del mio
Marchio, avevo la testa
leggera e mi sentivo inspiegabilmente
felice.
Neferet ci disse di aprire gli occhi e,
con una voce allo stesso
tempo dolce e potente, di donna e
guerriera assieme, continuò il
rito. «Questo è il momento in cui
viaggiare non visti alla luce della
luna. Il momento per ascoltare musica
non creata da mani umane o
vampire. È il momento di comunione coi
venti che ci
accarezzano» – Neferet chinò
leggermente la testa a est – «e col
fulmine che imita la primigenia scintilla
di vita.» Chinò la testa a
sud. «È il momento in cui trovare diletto
nel mare eterno e nella
calda pioggia che ci placa, come nella
terra verdeggiante che ci
circonda e ci sostiene.» Indicò col capo
prima l'ovest e poi il nord.
E ogni volta che Neferet nominava un
elemento avevo la
sensazione di essere attraversata da una
dolce scossa elettrica.
Poi le quattro donne che impersonavano
gli elementi si
mossero all'unisono verso il tavolo
dove, assieme a Neferet e a
Loren, sollevarono ciascuna un calice.
«Salute a te, Dea della Notte e della
luna piena!» disse
Neferet. «Salute a te, Notte, da cui
deriva la nostra benedizione. In
questa notte ti rendiamo grazie!»
Col calice in mano, le quattro donne si
separarono tornando
al proprio posto nel cerchio.
«Nel potente nome di Nyx», riprese
Neferet.
«E di Erebo», aggiunse il poeta.
«Chiediamo dall'interno del tuo sacro
cerchio che tu ci dia la
conoscenza per parlare il linguaggio
della natura, di volare liberi
come gli uccelli, di vivere la forza e la
grazia dei felini e di trovare
nella vita un'estasi e una gioia che
portino alla pienezza del nostro
essere. Benedetta sia!»
Non riuscivo a smettere di sorridere. In
chiesa non avevo mai
ascoltato parole simili e, sicuro come
l'inferno, lì non mi ero
neanche mai sentita così piena di
energia!
Neferet bevve dal calice che teneva in
mano, quindi l'offrì a
Loren, che bevve e disse: «Benedetta
sia».
Ripetendo i loro gesti, le quattro donne
si spostarono rapide
intorno al cerchio, permettendo a tutti,
novizi e adulti, di bere da
uno dei calici. Quando fu il mio turno fui
felice di vedere che a
offrirmi da bere e la benedizione fosse il
volto familiare di
Pentesilea. Era vino rosso e mi
aspettavo che fosse aspro, come il
sorso del Cabernet che mia mamma tiene
nascosto che avevo
assaggiato una volta (e che proprio non
mi era piaciuto), ma non
era così. Era dolce e speziato e rese la
mia testa ancora più
leggera.
Quando tutti ebbero bevuto, i calici
furono riportati al tavolo.
«Stasera voglio che ciascuno di voi
passi almeno un
momento da solo nella luce della luna
piena: che i suoi raggi vi
ristorino e vi aiutino a ricordare quanto
siete straordinari… o
quanto lo diventerete.» Neferet sorrise
ad alcuni novizi, me
inclusa. «Compiacetevi della vostra
unicità. Crogiolatevi nella
vostra forza. Noi stiamo separati dal
mondo a causa del nostro
dono. Non dimenticatelo mai, perché
potete essere certi che il
mondo non lo farà. Ora chiudiamo il
cerchio e abbracciamo la
notte.»
In ordine inverso, Neferet ringraziò
ciascun elemento,
allontanandosi quando ciascuna candela
veniva spenta. Mentre lo
faceva, percepii una punta di tristezza,
come stessi dicendo addio a
degli amici. Poi terminò il rituale. «Il
rito è concluso. Ben trovati,
ben lasciati e ben trovati di nuovo!»
I presenti le fecero eco. «Ben trovati,
ben lasciati e ben
trovati di nuovo!»
E questo fu tutto. Il mio primo rito della
Dea era finito.
Il cerchio si spezzò in fretta, più di
quanto avrei voluto. Avrei
desiderato rimanere lì a pensare alle
cose incredibili che avevo
provato, soprattutto al momento della
chiamata degli elementi, ma
non fu possibile. Venni trascinata fuori
del tempio su un'onda di
chiacchiere. Ero contenta che fossero
tutti così impegnati a parlare
da non accorgersi di quant'ero
silenziosa; non pensavo proprio di
riuscire a spiegare ad altri quello che mi
era appena successo.
Diavolo! Non riuscivo a spiegarlo
nemmeno a me stessa.
«Ehi, pensate che stasera ci sarà di
nuovo cibo cinese? Mi era
piaciuta un sacco la strana roba che ci
avevano dato dopo l'ultimo
rito della luna piena», disse Shaunee.
«Per non parlare del mio
biscotto della fortuna che diceva: 'Ti
farai un nome nella vita', che
è una gran figata.»
«Ho talmente fame che non m'importa
cosa, basta che ci
diano da mangiare», replicò Erin.
«Anch'io», intervenne Stevie Rae.
«Per una volta siamo perfettamente
d'accordo», convenne
Damien prendendo sottobraccio Stevie
Rae e me. «Andiamo a
mangiare.»
E di colpo, ricordai. «Oh, ragazzi.» Il
piacevole fremito che
mi aveva procurato il rito era
scomparso. «Non posso venire. Io
devo…»
«Che cretini!» Stevie Rae si assestò una
manata in fronte
tanto forte da fare uno schiocco. «Ce ne
siamo completamente
dimenticati.»
«Ah, merda!» sbottò Shaunee.
«Le streghe infernali», concluse Erin.
«Vuoi che ti tenga un piatto di
qualcosa?» mi chiese con
gentilezza Damien.
«No. Afrodite ha detto che mi daranno
da mangiare loro.»
«Probabilmente carne cruda», commentò
Shaunee.
«Già, di qualche poveretto preso nella
sua schifosa
ragnatela», aggiunse Erin.
«Intende quella che ha in mezzo alle
gambe», esplicito
Shaunee.
«Smettetela, state mandando Zoey in
paranoia!» Stevie Rae
cominciò a spingermi verso la porta.
«Le faccio vedere dov'è la
sala di ricreazione, poi noi ci troviamo a
tavola.»
«Okay, dimmi che stavano scherzando
sulla carne cruda», la
implorai quando fummo fuori.
«Stavano scherzando?» ripetè Stevie
Rae in modo per niente
convincente.
«Grandioso. Non mi piace neanche la
bistecca al sangue. Che
faccio se vogliono davvero farmi
mangiare carne cruda?» Mi
rifiutavo di pensare a che tipo di carne
potesse essere.
«Credo di avere un Digerix in borsa. Lo
vuoi?» chiese Stevie
Rae.
«Sì», risposi sentendo già arrivare la
nausea.
16
«Ecco qui.» Stevie Rae si era fermata
con un'evidente aria di
disagio e di scuse davanti alla scalinata
che portava a un edificio
rotondo di mattoni posto su una
collinetta che dominava il lato est
del muro di cinta. Immense querce
creavano buio nel buio, al
punto che riuscivo a malapena a
intravedere il guizzare delle luci
che illuminavano l'entrata. Dall'interno
non proveniva nessun
chiarore, perché le lunghe finestre ad
arco, dai vetri probabilmente
colorati, erano state oscurate.
Cercavo di sembrare coraggiosa. «Okay,
sì. Be', grazie del
Digerix. E tienimi il posto. Questa roba
non potrà mica durare
tanto. Dovrei riuscire a raggiungervi per
cena.»
«Non metterti fretta. Davvero. Potresti
incontrare qualcuno
che ti piace e volerti fermare un po'.
Non ti devi preoccupare se va
così, perché io non mi arrabbio e dirò a
Damien e alle gemelle che
sei in ricognizione.»
«Stevie Rae, io non diventerò una di
loro.»
«Ti credo», disse, ma i suoi occhi erano
sgranati in maniera
sospetta.
«Allora ci vediamo presto.»
«Okay. A presto», replicò percorrendo il
marciapiede che
riportava all'edificio principale.
Non mi andava di vederla andare via:
aveva l'aria triste e
derelitta di un cucciolo che è stato
sgridato. Perciò salii la scala e
mi dissi che non sarebbe stata poi una
gran cosa, comunque niente
di peggio di quando la mia sorella similBarbie mi aveva convinta
ad andare con lei al campo per
cheerleader (okay, non so cosa mi
fosse passato per la testa). Perlomeno il
disastro non sarebbe
durato una settimana. Probabilmente
avrebbero creato un altro
cerchio – cosa che, a dire il vero, era
stata fantastica –,
pronunciato qualche strana preghiera
come aveva fatto Neferet e
poi ci sarebbe stata la cena. Quello
sarebbe stato il momento per
me di fare un bel sorriso e andarmene
via. Detto-fatto.
Le torce ai lati dello spesso portone di
legno erano a gas, non
a fiamma libera come nel tempio di Nyx.
Allungai la mano verso
il pesante battente di ferro ma, con un
preoccupante rumore simile
a un sospiro, la porta si aprì verso
l'interno.
«Ben trovata, Zoey.»
Oh. Mio. Dio. Era Erik. Era tutto vestito
di nero e con quei
capelli ricci e scuri e gli occhi di un
azzurro impossibile mi fece
venire in mente Clark Kent – be', okay,
nella versione senza
occhiali da sfigato e penosi capelli
impomatati… perciò…
immagino che questo significhi che mi
fece venire in mente
(ancora) Superman –, be', senza
mantello o tutina o grande S…
Quel gran blaterare nel cervello mi si
spense di botto quando
lui appoggiò il dito bagnato nell'olio
sulla mia fronte e tracciò le
cinque punte del pentacolo. «Benedetta
sia.»
«Benedetta sia», replicai, e non dirò mai
grazie abbastanza
perché la mia voce non uscì a gracchio,
raschio o strilletto. Ah,
ragazzi, che buon odore aveva. Ma non
riuscivo a capire che cosa
fosse. Non si trattava dei noiosi,
iperusati dopobarba che i maschi
si mettono a litri. Era un odore di… un
odore di… di foresta e di
notte dopo la pioggia… di qualcosa di
legato alla terra e al pulito
e…
«Puoi entrare», mi stava dicendo.
«Oh, ah, grazie», replicai con grande
sfoggio di genialità.
Entrai. E mi fermai. L'interno era
costituito da un'unica grande
sala, le cui pareti circolari erano
coperte da tendoni di velluto nero
che bloccavano completamente le
finestre e la luce argentata della
luna. Riuscivo a vedere che sotto ai teli
c'erano delle strane
sagome e stavo cominciando a darci
dentro di paranoia quando mi
ricordai che – guarda guarda – era una
sala ricreativa, quindi
dovevano aver spostato televisori e
giochi vari ai lati,
nascondendo il tutto per creare
un'atmosfera più inquietante. Poi la
mia attenzione venne attirata dal cerchio
in mezzo alla stanza,
realizzato con candele messe in alti
contenitori di vetro rosso,
simili ai ceri votivi che si possono
comprare nel reparto cibi
messicani delle drogherie e che odorano
di rosa e vecchie signore.
Dovevano essercene oltre un centinaio e
illuminavano con una
spettrale luce rossa i ragazzi, che
formavano un secondo cerchio
poco più ampio e intanto parlavano e
ridevano. Erano tutti vestiti
di nero e notai subito che nessuno aveva
ricamato emblemi che
indicassero la classe ma portavano
invece una grossa catena
d'argento da cui pendeva uno strano
simbolo. Sembrava formato
da due mezzelune messe una contro
l'altra con le punte all'esterno
e appoggiate su una luna piena.
«Eccoti qui, Zoey!» La voce di Afrodite
scivolò nella stanza
un passo avanti a lei. Indossava un abito
nero lungo che scintillava
di perline di onice, facendomi venire in
mente una versione dark
del bel vestito di Neferet. Portava lo
stesso ciondolo degli altri, ma
il suo era più grande e contornato di
pietre rosse che potevano
essere granati. I capelli biondi tenuti
sciolti la circondavano come
un velo. Era davvero troppo bella.
«Grazie, Erik, di avere dato il
benvenuto a Zoey. Adesso posso
occuparmene io.» Si comportava
in modo normale e per un istante
appoggiò persino la punta delle
dita curate alla perfezione sul braccio di
Erik, in quello che una
persona non al corrente avrebbe
considerato un gesto amichevole,
ma l'espressione della sua faccia
raccontava una storia del tutto
diversa. Era dura e gelida e i suoi occhi
sembravano bruciare in
quelli di lui.
Erik la guardò a malapena e levò il
braccio con intenzione,
poi mi rivolse un rapido sorriso e, senza
degnare Afrodite di
un'altra occhiata, si allontanò.
Grandioso. Mi mancava solo di trovarmi
in mezzo a una
brutta rottura tra quei due, ma,
nonostante tutto, sembrava non
riuscissi a impedire che i miei occhi
seguissero lui dall'altra parte
della stanza.
Stupida. Di nuovo. Sigh.
Afrodite si schiarì la voce e io cercai
(con risultati pessimi) di
non sembrare una beccata a fare
qualcosa che non doveva. Il suo
sorriso furbo e maligno diceva che non
c'erano dubbi sul fatto che
avesse notato il mio interesse per Erik
(e il suo per me) e, di
nuovo, mi chiesi se sapesse che il giorno
prima in corridoio c'ero
io.
Be', di certo non potevo domandarglielo.
«Devi spicciarti, ma ti ho portato
qualcosa per cambiarti.»
Afrodite parlava in fretta, intanto mi
faceva segno di seguirla nel
bagno delle ragazze. Mi lanciò
un'occhiata piena di disgusto da
dietro le spalle. «Non puoi certo venire
al rito delle Figlie Oscure
vestita così.» In bagno, mi tese
bruscamente un abito appeso a una
delle pareti divisorie e in pratica mi
spinse a forza nel cubicolo.
«Puoi mettere i tuoi vestiti sull'ometto e
riportarteli al
dormitorio così.»
Sembrava che non ci fosse la possibilità
di discutere con lei
e, comunque, mi sentivo già abbastanza
un'estranea. Vestire in
modo diverso dagli altri mi faceva
sentire come se fossi andata a
un party con un costume da papera
perché nessuno mi aveva detto
che non era una festa in maschera e tutti
avrebbero messo i jeans.
M'infilai il vestito nero dalla testa,
sospirando di sollievo
quando vidi che mi andava bene. Era
semplice ma mi donava. Era
fatto con una stoffa di quelle morbide e
aderenti che non si
stropicciano, aveva le maniche lunghe e
uno scollo tondo che
mostrava molto delle mie spalle (meno
male che avevo il
reggiseno nero). Intorno alla scollatura,
in fondo alle maniche e
sull'orlo, che mi arrivava giusto sopra il
ginocchio, erano cucite
delle piccole perline rosse. Era proprio
bello. Mi rinfilai le scarpe
pensando, soddisfatta, che un bel paio di
ballerine va praticamente
con tutto e uscii dal bagno. «Be',
perlomeno è della misura
giusta», commentai.
Mi accorsi però che Afrodite non
guardava il vestito ma
fissava il mio Marchio, cosa che mi
scocciava da matti. Okay, il
mio Marchio è tutto colorato. Lo
sappiamo e adesso basta! Però
non dissi niente. Insomma, quella era la
sua «festa» e io ero
un'ospite. Traduzione: gli altri erano
decisamente in
soprannumero, quindi meglio fare la
brava.
«Ovviamente sarò io a condurre il rito,
quindi sarò troppo
impegnata per tenerti per manina.»
Okay, avrei dovuto tenere la bocca
chiusa, ma mi stava
dando davvero sui nervi. «Senti,
Afrodite, non ho bisogno che tu
mi tenga per mano.»
Socchiuse le palpebre e mi preparai ad
affrontare un'altra
scenata da isterica. Invece si esibì in un
sorriso assolutamente
sgradevole, che la fece sembrare un
cane ringhioso. Con questo
non intendevo darle della cagna, ma
l'analogia sembrava accurata
in modo preoccupante. «È ovvio che tu
non abbia bisogno che ti si
tenga per mano. Supererai con
disinvoltura anche questo piccolo
rituale come hai fatto con tutto il resto.
Insomma, dopotutto sei la
nuova prediletta di Neferet.»
Splendido. Oltre alla questione Erik e al
problema del mio
strano Marchio, era pure gelosa perché
Neferet era la mia mentore.
«Afrodite, non credo di essere la nuova
prediletta di Neferet.
Sono soltanto nuova.» Cercai di
sembrare logica, sorrisi perfino.
«Come vuoi. Allora, sei pronta?»
Abbandonai il tentativo di ragionare con
lei e annuii. Non
vedevo l'ora che tutta quella menata del
rituale fosse finita.
«Bene. Andiamo.» Mi accompagnò fuori
dei bagni e fino al
cerchio, dove raggiungemmo due
ragazze che riconobbi come le
altre «streghe infernali» che l'avevano
seguita in mensa. Solo che,
invece della smorfia da ho-appenamangiato-un-limone, mi
accolsero con un sorriso caloroso.
No. Non mi facevo fare fessa, ma
costrinsi anche la mia
faccia a sorridere. Quando si è in
territorio nemico è meglio
mimetizzarsi e avere un'aria modesta e/o
stupida.
«Ciao, io sono Enio», esordì la più alta
delle due.
Naturalmente era bionda, ma i suoi
lunghi riccioli fluenti erano
più color grano che color oro, anche se
alla luce delle candele era
difficile essere certi di quale cliché
rappresentasse la descrizione
più appropriata. E continuavo a non
credere che fosse bionda
naturale.
«Ciao», risposi.
«E io sono Deino», le fece eco l'altra.
Era evidentemente lo
splendido risultato di un mix di razze,
una strabiliante
combinazione di meravigliosa pelle
caffè-con-molta-panna e
stupendi riccioli folti che probabilmente
non avevano mai osato
diventare crespi neanche in caso
d'iperumidità.
Tutte e due erano perfette in modo
sconcertante.
«Ciao», salutai di nuovo. Sentendomi
ben più che
claustrofobica, mi spostai nello spazio
che mi avevano fatto in
mezzo a loro.
«Godetevi il rituale, voi tre», cinguettò
Afrodite.
«Oh, lo faremo!» risposero in stereo
Enio e Deino.
Le tre amiche si scambiarono
un'occhiata che mi fece venire
la pelle d'oca.
Distolsi l'attenzione da loro prima che il
buonsenso avesse la
meglio sull'orgoglio e decidessi di
schizzare via da quel posto.
Adesso avevo una buona visuale della
parte interna del
cerchio, simile a quello nel tempio di
Nyx, tranne che vicino al
tavolo c'era una sedia su cui era seduto
qualcuno. Be', più o meno
seduto. A dire il vero, chiunque fosse
era mezzo stravaccato e
aveva il cappuccio di un mantello sulla
testa.
Mirati…
Comunque, il tavolo era decorato con lo
stesso velluto nero
delle pareti e vi era posta sopra una
statua della Dea assieme a un
portafrutta, del pane, parecchi calici,
una brocca. E un coltello.
Strizzai gli occhi per essere sicura di
aver visto bene. Già. Era
proprio un coltello, col manico d'osso e
una lunga lama ricurva
dall'aria pericolosa e decisamente
troppo affilata perché fosse
prudente tagliarci il pane o la frutta. Una
ragazza che mi sembrava
di aver visto al dormitorio stava
accendendo numerosi grossi
bastoncini d'incenso posti in eleganti
bruciaessenze intagliati
sistemati sul tavolo, ignorando del tutto
la persona stravaccata
sulla sedia. Cavolo, ma stava
dormendo?
L'aria cominciò immediatamente a
riempirsi di fumo e giuro
che era verdognolo e che si muoveva
nella stanza in spirali
dall'aria spettrale. Mi aspettavo che
avesse un odore dolce, come
l'incenso nel tempio di Nyx, ma, quando
mi raggiunse e lo
respirai, mi stupì per il suo gusto amaro.
Mi risultava familiare e
cercai di capire cosa fosse. C'erano
sicuramente alloro e chiodi di
garofano (dovevo ricordarmi di
ringraziare nonna Redbird per
avermi insegnato a riconoscere le spezie
dall'odore). Annusai di
nuovo, interessata, e mi si annebbiò un
po' la testa. Strano. Okay,
l'incenso era insolito e sembrava
cambiare mentre riempiva la
stanza, come il profumo costoso che si
modifica a seconda della
persona che lo mette. Inspirai ancora.
Già. Chiodi di garofano e
alloro, ma alla fine c'era anche
qualcos'altro; qualcosa che rendeva
quell'odore penetrante e amaro… oscuro
e mistico e seducente e…
ammiccante.
Ammiccante? Avevo capito.
Oh, diavolo, stavano riempiendo la
stanza di marijuana mista
a spezie! Incredibile. Avevo resistito
alle pressioni dei compagni e
per anni avevo detto «no» anche
all'offerta più gentile di provare
uno di quei grossi cannoni fatti in casa
che si fanno passare alle
feste e a tutto il resto (cioè, fatemi il
piacere! Ma non è neanche
igienico! E poi perché dovrei volermi
fare con una droga che mi
farà voler mangiare in modo ossessivo
merendine e schifezze
varie iperingrassanti?) e adesso eccomi
lì, immersa nel fumo di
erba. Sigh. Kayla non ci avrebbe mai
creduto.
Poi, in preda alla paranoia
(probabilmente un altro effetto
collaterale dell'assalto dell'erba), mi
guardai intorno, certa di
vedere un professore pronto a schizzare
dentro all'improvviso e a
trascinarci tutti via per portarci in…
in… non so, qualche posto
particolarmente orribile, come un campo
di rieducazione per
adolescenti problematici.
Per fortuna, a differenza che nel cerchio
di Nyx, lì non erano
presenti adulti, ma soltanto una ventina
di ragazzi, che parlavano
tranquilli e si comportavano come se
l'assolutamente illegale
incenso alla marijuana non fosse niente
di che (teste fumate).
Cercando di fare respiri poco profondi,
mi rivolsi alla ragazza alla
mia destra. Quando non sai che fare (o
sei nel panico),
chiacchiera. «Be'… Deino è un nome…
originale. Significa
qualcosa di speciale?»
«Deino significa terribile», rispose con
un dolce sorriso.
Dall'altra parte, intervenne tutta allegra
la stangona bionda:
«Ed Enio significa bellicosa».
«Ah…» commentai, sforzandomi di
essere educata.
«Già. E quella che accende l'incenso si
chiama Pefredo, che
significa vespa», spiegò Enio.
«Abbiamo preso i nomi dalla
mitologia greca. Erano le tre sorelle
delle Gorgoni. Il mito dice
che sono nate vecchie e che avevano un
solo occhio in tre, ma
abbiamo deciso che probabilmente sono
stronzate della
propaganda maschilista scritte da uomini
che volevano reprimere
le donne forti.»
«Davvero?» Non sapevo cos'altro dire.
Davvero.
«Già. I maschi umani fanno schifo»,
replicò Deino.
«Dovrebbero morire tutti», aggiunse
Enio.
Su quell'amorevole concetto,
all'improvviso iniziò una
musica che rese impossibile (per
fortuna) continuare a parlare.
Okay, la musica era inquietante. Aveva
un ritmo pulsante,
allo stesso tempo antico e moderno,
come se qualcuno avesse
mixato una di quelle oscene canzoni
arrapanti con una danza
tribale di accoppiamento. E poi,
lasciandomi sotto shock, Afrodite
cominciò a girare ballando intorno al
cerchio. Sì, immagino si
possa dire che era sexy. Voglio dire,
aveva un bel corpo e si
muoveva come Catherine Zeta-Jones in
Chicago, ma non so come
su di me non funzionava. E non perché
non sono gay (anche se
non sono gay), non funzionava perché
sembrava un'imitazione
volgare della danza di Neferet sui versi
di Ella splendida incede.
Se quella musica fosse stata una poesia,
sarebbe stata piuttosto
Una sgualdrina ancheggia e sculetta.
Durante l'esibizione in gran
dimenamento di Afrodite tutti,
naturalmente, guardavano lei,
perciò diedi uno sguardo intorno al
cerchio, fingendo di non stare
davvero cercando Erik, finché… oh,
cavolo… lo trovai proprio
quasi di fronte a me. Ed era l'unico
ragazzo nella stanza a non
fissare Afrodite. Perché guardava me.
Prima di riuscire a decidere
se distogliere lo sguardo, sorridergli,
fargli un cenno o chissà
cos'altro (Damien mi aveva detto di
sorridergli, e Damien era un
autoproclamato esperto di ragazzi), la
musica si fermò e spostai gli
occhi da lui ad Afrodite. Era al centro
del cerchio, di fronte al
tavolo, dove prese un grosso cero viola
in una mano e il coltello
nell'altra. La candela era accesa e lei,
tenendola davanti a sé come
a illuminare la strada, la portò a lato
dove mi accorsi che, tra tutti i
ceri rossi, ce n'era uno giallo. Non ebbi
bisogno delle indicazioni
di Bellicosa né di quelle di Terribile
(hiii!) per girarmi verso est.
Mentre il vento mi scompigliava i
capelli, con la coda dell'occhio
vidi che Afrodite aveva acceso la
candela gialla e sollevava il
coltello, incidendo nell'aria un
pentacolo mentre recitava:
O venti di tempesta, nel nome di Nyx io
vi evoco, mandate la
vostra benedizione, io vi chiedo, sul
cerchio magico che qui verrà
creato!
Devo ammettere che era brava. Anche se
non aveva la forza
di Neferet, era chiaro che si era
esercitata a controllare la voce e il
suono delle sue parole di seta si
propagava con facilità. Ci
voltammo a sud e lei si avvicinò a una
grande candela rossa in
mezzo ad altre dello stesso colore,
mentre io potevo percepire
sulla pelle quello che già riconoscevo
come il potere del fuoco e
del cerchio magico.
O fuoco del fulmine, nel nome di Nyx io
ti evoco,
portatore di tempeste e della forza
della magia,
io chiedo il tuo aiuto per l'incantesimo
che qui sto creando!
Ci voltammo ancora e, assieme ad
Afrodite, mi sentii
avvampare e incredibilmente attratta
dalla candela blu che stava in
mezzo a quelle rosse. Anche se mi
spaventava da morire, dovetti
trattenermi dall'uscire dal cerchio e
unirmi a lei nell'invocazione
all'acqua.
O torrenti di pioggia, nel nome di Nyx
io vi evoco, unitevi a
me con la vostra forza travolgente, nel
realizzare questo potente
rituale!
Cosa diavolo c'era di sbagliato in me?
Sudavo e, invece di
essere un po' accaldata come nel rito
precedente, il Marchio sulla
mia fronte si era fatto bollente e giuro
che nelle orecchie sentivo il
ruggito del mare. Stordita, mi voltai
ancora a destra.
O terra, profonda e umida, nel nome di
Nyx io ti evoco,
che io possa percepire il tuo movimento
nel rombo della
tempesta di potere
che si compie quando mi assisti in
questo rito!
Afrodite fendette di nuovo l'aria e sentii
pizzicare il palmo
della mano destra, come se mi facesse
male per avere stretto il
coltello. Sentii l'odore di erba falciata e
udii il grido di un
caprimulgo, quasi avesse un nido
invisibile nell'aria proprio
accanto a me. Afrodite tornò al centro,
quindi rimise al suo posto
la candela viola ancora accesa e
completò la creazione del cerchio.
O spirito, libero e selvaggio, nel nome
di Nyx io ti evoco
a me!
Rispondimi! Restami accanto durante
questo grandioso
rituale
e concedimi il potere della tua Dea!
Chissà come, sapevo cosa stava per
fare. Potevo udire le
parole nella mia mente… nel mio
spirito.
Quando Afrodite sollevò il calice e
cominciò a camminare
intorno al cerchio, percepii le sue parole
e, anche se non aveva
l'eleganza e la forza di Neferet, ciò che
disse mi accese, come
bruciassi dall'interno.
«Questo è il tempo della pienezza della
luna della nostra Dea.
C'è qualcosa di magnifico in questa notte
di cui gli antichi
conoscevano i misteri, che usavano per
diventare più forti… e per
strappare il velo tra i mondi e vivere
avventure che oggi possiamo
soltanto sognare. Segreta…
misteriosa… magica… vera bellezza e
vero potere in forma vampira, non
contaminata da regole o leggi
umane. Noi non siamo umani!» Con
quelle parole, la sua voce
risuonò contro le pareti in modo molto
simile a quella di Neferet.
«E tutto ciò che voi, Figlie e Figli
Oscuri, chiedete in questa notte
durante questo rito è quanto abbiamo
domandato a ogni luna piena
lo scorso anno: di liberare il potere che
c'è in noi in modo che,
come i possenti felini selvatici, siamo in
grado di conoscere la
sinuosa agilità dei nostri fratelli animali
e non essere legati dalle
catene degli umani né ingabbiati dalla
loro ignorante debolezza.»
Afrodite si era fermata giusto davanti a
me. Sapevo di essere
arrossita e di avere il fiato corto,
proprio come lei. Che sollevò il
calice e me lo offrì. «Bevi, Zoey
Redbird, e unisciti a noi nel
domandare a Nyx ciò che è nostro per
diritto di sangue e di corpo,
il Marchio della grande
Trasformazione… quel Marchio che ha
già apposto su di te.»
Sì, lo so. Probabilmente avrei dovuto
dire di no. Ma come
facevo? E all'improvviso non volevo
dire di no. Afrodite
decisamente non mi piaceva e non mi
fidavo di lei, ma quello che
stava dicendo non era fondamentalmente
vero? Mi tornò alla
mente forte e chiara la reazione di mia
madre e del mio patrigno al
mio Marchio, oltre all'espressione
spaventata di Kayla e al
disgusto di Drew e Dustin. E come
nessuno mi avesse chiamata,
nemmeno messaggiata, da quando ero
andata via. Avevano
semplicemente lasciato che venissi
scaricata lì ad affrontare una
vita nuova tutta da sola.
Questo mi rattristò, ma mi fece anche
molto arrabbiare.
Presi il calice di Afrodite e bevvi un bel
sorso. Era vino, ma
non aveva lo stesso sapore di quello
nell'altro rituale della luna
piena. Era dolce anche questo, ma c'era
in più una spezia che
aveva un sapore mai assaggiato prima.
Provocò un'esplosione di
sensazioni nella mia bocca, che tracciò
un sentiero bollente, dolce
e amaro, lungo tutta la gola e mi riempì
di un vertiginoso desiderio
di berne ancora, e ancora, e ancora.
«Benedetta sia», mi sibilò Afrodite
levandomi il calice dalle
mani così di scatto da rovesciarmi sulle
dita qualche goccia di
liquido rosso. Quindi mi rivolse un
sorriso tirato e trionfante.
«Benedetta sia», replicai in automatico,
la testa che ancora
girava per il gusto del vino.
Afrodite si spostò da Enio, offrendole il
calice, e io non potei
evitare di leccarmi le dita. Quel vino era
molto più che delizioso.
E aveva un profumo… aveva un
profumo familiare, ma in tutto
quel giramento di testa non riuscii a
concentrarmi abbastanza da
capire dove potevo avere già sentito
l'odore di una cosa tanto
incredibile.
Afrodite impiegò un niente per terminare
il cerchio, dando a
ciascuno da bere un sorso dal calice. La
osservai con attenzione,
desiderando di poter avere altro vino
mentre tornava al tavolo. Lì
sollevò di nuovo la coppa. «Grande e
magica Dea della Notte e
della luna piena, colei che cavalca nel
tuono e nella tempesta,
guidando gli spiriti e gli Anziani, bella e
terribile, cui anche i più
antichi devono obbedienza, aiutaci in
ciò che chiediamo. Colmaci
del tuo potere, della tua magia, della tua
forza!» Quindi inclinò il
calice e la guardai, invidiosa, bere fino
all'ultima goccia. Quando
ebbe finito, la musica ricominciò e,
muovendosi a tempo
ripercorse il cerchio, danzando e
ridendo mentre spegneva le
candele e salutava gli elementi.
E non so come, mentre ballava, la vista
mi andò in palla
perché il suo corpo s'increspò, cambiò e
tutto d'un tratto mi parve
di stare guardando ancora Neferet, solo
che adesso si trattava di
una versione più giovane e grezza della
Somma Sacerdotessa.
«Ben trovati, ben lasciati e ben trovati
di nuovo!» disse
infine.
Rispondemmo tutti, mentre a furia di
sbattere le palpebre
riuscii a tornare a vedere bene e la
stravagante immagine di
Afrodite-Neferet scomparve, come il
bruciore del mio Marchio.
Ma sulla lingua sentivo ancora il gusto
del vino. Strano. A me non
piacciono gli alcolici. Sul serio. Proprio
non mi piace il sapore che
hanno. Ma in quel vino c'era qualcosa di
talmente delizioso da
superare persino… be', persino i tartufi
neri della Godiva (eh, lo
so, è difficile a credersi). E continuavo
a non capire perché quel
gusto mi pareva in qualche modo
familiare.
Poi, mentre il cerchio si scioglieva,
ricominciarono tutti a
chiacchierare e a ridere. Si accesero le
luci a gas che per un attimo
sembrarono fortissime e, mentre
guardavo dall'altra parte della
stanza per vedere se per caso Erik stava
ancora guardando me, con
la coda dell'occhio colsi un movimento
sul tavolo. La persona che
era rimasta stravaccata e immobile
durante l'intero rito finalmente
adesso si muoveva. Sobbalzò
goffamente per mettersi a sedere
meglio e, quando il cappuccio del
mantello scuro ricadde
all'indietro, restai sconcertata vedendo
dei brutti capelli arruffati
rosso arancio e una faccia grassoccia
troppo bianca e con tante
lentiggini.
Era quella palla di Elliott! Molto ma
molto strano che fosse
lì. Cosa potevano volere da lui le Figlie
e i Figli Oscuri? Mi
guardai di nuovo intorno. Già, come
previsto. Nella stanza non
c'era un singolo ragazzo o ragazza con
l'aria da babbo sfigato. A
parte Elliott, erano tutti belli, dico sul
serio. Decisamente non
faceva parte del gruppo.
Sbatteva le palpebre e sbadigliava come
se avesse annusato
troppo incenso. Sollevò la mano per
togliersi qualcosa dal naso
(probabilmente una delle caccole che si
dava tanto da fare a
scavare) e vidi il bianco di grosse bende
che gli fasciavano i polsi.
Ma cosa dia…?
Un'orribile sensazione strisciante mi
risalì la schiena. Enio e
Deino non erano molto lontane da me,
intente a parlare con
Pefredo. Le raggiunsi e aspettai che ci
fosse una pausa nella
conversazione, quindi, fingendo che lo
stomaco non mi si stesse
strizzando a morte, sorrisi e accennai
vagamente con la testa a Elliott. «Che ci fa qui quello?»
Enio lanciò uno sguardo a Elliott e alzò
gli occhi al cielo.
«Lui non è niente. Giusto il frigorifero
che abbiamo usato
stanotte.»
«Che sfigato», disse Deino, archiviando
il caso Elliott con
grande disprezzo.
«È praticamente umano. Non c'è da
stupirsi che sia buono
solo come snack bar», commentò
disgustata Pefredo.
Avevo la sensazione che il mio stomaco
stesse per rivoltarsi.
«Scusate, non capisco. Frigorifero?
Snack bar?»
Deino la Terribile rivolse su di me i
suoi altezzosi occhi color
cioccolato. «È così che chiamiamo gli
umani: frigoriferi e snack
bar. Sai, colazione, pranzo e cena.»
«O qualunque spuntino tra l'uno e
l'altro», aggiunse la
Bellicosa Enio facendo praticamente le
fusa.
«Io ancora non…» cominciai.
«Oh, dai! Non fingere di non aver capito
cosa c'era nel vino e
che non ti sia piaciuto moltissimo»,
m'interruppe Deino.
«Già, Zoey, ammettilo. Era evidente. Te
lo saresti bevuto
tutto. Lo volevi ancora più di quanto lo
volessimo noi. Abbiamo
visto che ti leccavi le dita», aggiunse
Enio chinandosi e invadendo
il mio spazio personale per osservarmi
il Marchio. «Questo ti
rende una diversa, giùsto? Sei una
novizia e allo stesso tempo una
vampira, e avresti voluto ben più di un
assaggio del sangue di quel
ragazzo.»
«Sangue?» Non riconobbi la mia voce.
La parola «diversa»
continuava a rimbalzarmi nella testa.
«Sì, sangue», confermò Terribile.
Avevo caldo e freddo allo stesso tempo,
e staccai gli occhi
dalle loro facce presuntuose per fissarli
in quelli di Afrodite. Era
dall'altra parte della stanza a parlare con
Erik e, quando i nostri
sguardi s'incrociarono, lei sorrise,
lentamente e con intenzione.
Teneva di nuovo in mano il calice e lo
sollevò in un gesto di saluto
quasi impercettibile prima di bere un
sorso e voltarsi a ridere per
qualcosa che aveva appena detto Erik.
Cercando di mantenere un contegno,
m'inventai una scusa
qualunque con Bellicosa, Terribile e
Vespa e uscii con calma dalla
stanza. Nell'attimo in cui il pesante
portone della sala ricreazione
si chiuse dietro di me, mi misi a correre
alla cieca come impazzita.
Non sapevo dove stessi andando,
sapevo solo che volevo
allontanarmi da lì.
Ho bevuto sangue – sangue di
quell'orribile Elliott testa
rossa-e mi è piaciuto! E, a peggiorare le
cose, quell'odore
delizioso mi era sembrato familiare
perché l'avevo già sentito
quando Heath si era ferito alle mani.
Non era stato il nuovo
dopobarba a sembrarmi irresistibile, era
stato il suo sangue. E
l'avevo annusato ancora in corridoio, il
giorno in cui Afrodite
aveva graffiato la coscia di Erik e
anch'io avrei voluto assaggiarlo.
Ero una diversa, un mostro.
A furia di correre non riuscivo più a
respirare e crollai contro
la gelida pietra del muro di cinta della
scuola, ansimando in cerca
di aria e dando violentemente di
stomaco.
17
Sconvolta, mi passai il dorso della mano
sulla bocca, quindi
barcollai via dal punto in cui avevo
vomitato (mi rifiutavo anche
solo di pensare a cosa avevo vomitato e
all'aspetto che doveva
avere) finché non arrivai a un'enorme
quercia cresciuta talmente
vicino alla recinzione che metà dei suoi
rami si allungavano
all'esterno. Mi appoggiai al tronco,
concentrandomi sul non star
male di nuovo.
Cos'avevo fatto? Cosa mi stava
succedendo?
Poi, da qualche parte tra i rami
dell'albero, udii un miagolio.
Okay, non era proprio il solito, normale
miagolio di un gatto, ma
piuttosto un brontolio scocciato simile a
«miii-uff-miii-uff-pfuff».
Alzai lo sguardo. Appollaiata su un
ramo che si appoggiava
al muro di cinta c'era una gattina rossa
che mi guardava a occhi
sgranati e con un'aria decisamente
scontenta.
«Come ci sei arrivata lì sopra?»
«Mii-uff», rispose, quindi starnutì e
cominciò a camminare
lentamente sul ramo, venendo nella mia
direzione.
«Okay, vieni, micia-micia-micia», la
chiamai.
«Miii-uff-ao», disse strisciando verso di
me.
«Brava, piccolina, vieni. Muovi quelle
zampette da questa
parte.» Sì, stavo accantonando il mio
momentaneo sballo e
incanalando le energie per salvare la
gatta, ma la verità era che
non potevo pensare a quello che era
appena successo. Non in quel
momento. Era troppo presto. Troppo
fresco. Perciò la micia
rappresentava un'ottima distrazione. In
più, sembrava familiare.
«Vieni, piccolina, vieni…» Continuai a
parlarle e intanto trovai un
appoggio per la scarpa tra i mattoni a
vista del muro, riuscendo a
sollevarmi abbastanza da afferrare la
parte terminale del ramo su
cui era la gattina. A quel punto la usai
come una sorta di corda per
arrampicarmi ancora un po', mentre lei
continuava a brontolare.
Alla fine arrivai abbastanza vicino da
poterla toccare.
Restammo a fissarci a lungo e cominciai
a chiedermi se sapesse
chi ero. Riusciva a capire che avevo
appena assaggiato il sangue (e
che mi era pure piaciuto)? Avevo l'alito
che puzzava di sangue
vomitato? Sembravo diversa? Mi erano
cresciuti i canini come
zanne? (Okay, quest'ultimo interrogativo
era ridicolo. I vampiri
adulti non hanno le zanne, ma avete
capito il senso.)
Mi miagolobrontolò di nuovo e si
avvicinò ancora.
Io allungai la mano a grattarle la testa,
lei abbassò le
orecchie, chiuse gli occhi e si mise a
fare le fusa. «Sembri una
piccola leonessa», le dissi. «Vedi come
sei più carina quando non
ti lamenti?» Poi sbattei le palpebre per
la sorpresa, rendendomi
conto del perché mi fosse sembrata
familiare. «Tu eri nel mio
sogno.» E una piccola gioia si aprì un
varco nel muro di nausea e
di paura che avevo dentro di me. «Tu sei
la mia gatta!»
La micia aprì gli occhi, sbadigliò e
starnutì di nuovo, come a
commentare il fatto che ci avessi messo
tanto a capire.
Con un grugnito per lo sforzo mi
arrampicai fino a sedermi in
cima al muro accanto al ramo su cui era
appollaiata, mentre lei,
con un sospiro felino, saltò
delicatamente e s'incamminò sulle
minuscole zampette bianche per
raggiungermi e sedermi in
braccio.
Sembrava non mi restasse altro da fare
che darle qualche
ulteriore grattatina sulla testa; lei chiuse
gli occhi e partirono delle
fusa alquanto sonore. Continuai ad
accarezzarla e nello stesso
tempo cercai di fermare il tumulto che
avevo in testa. Nell'aria
c'era un odore che faceva prevedere
pioggia, ma la notte era
insolitamente calda per la fine di
ottobre, quindi piegai la testa
all'indietro respirando a fondo e
lasciandomi calmare dalla luna
che faceva capolino tra le nuvole.
Guardai la gatta. «Be', Neferet ha detto
che dovevamo
sederci alla luce della luna.» Alzai di
nuovo gli occhi verso il
cielo. «Certo che sarebbe meglio se
quelle stupide nuvole si
levassero di torno, comunque…»
Avevo appena pronunciato quelle
parole, quando una ventata
improvvisa prese a fischiarmi intorno,
spingendo via le nubi.
«Be', grazie», dissi ad alta voce rivolta
a niente e a nessuno in
particolare. «È stato un soffio di vento
molto opportuno,»
La gatta brontolò, facendomi notare che
avevo avuto il
coraggio di smettere di farle i grattini
sulla testa.
«Visto che sei una piccola leonessa,
credo che ti chiamerò
Nala, come la protagonista del Re
leone», le annunciai
ricominciando con le carezze. «Sai,
piccolina, sono felice di averti
trovata oggi; avevo proprio bisogno che
mi succedesse qualcosa di
bello dopo la notte che ho passato. Tu
non ci crederesti…»
Uno strano odore raggiunse il mio naso.
Era così insolito che
interruppi la frase a metà. Cos'era?
Annusai e feci una smorfia.
Era asciutto e sapeva di vecchio, come
una casa rimasta chiusa
troppo a lungo o un seminterrato pieno
di ragnatele. Non era un
buon odore, ma non era neanche tanto
schifoso da darmi la
nausea. Era solo… sbagliato, come se
non appartenesse a quel
luogo, all'aria aperta o alla notte.
Poi intravidi qualcosa con la coda
dell'occhio. Guardai lungo
il sinuoso muro di mattoni e lì, girata di
tre quarti rispetto a me,
come se non sapesse decidere da che
parte andare, c'era una
ragazza. La luce della luna e la mia
nuova capacità di novizia di
vedere bene di notte mi consentirono di
scorgerla anche se non
c'erano luci nei paraggi. M'irrigidii. Che
una di quelle odiose
Figlie Oscure mi avesse seguita? Quella
sera non avevo proprio
voglia di avere ancora a che fare con le
loro stronzate.
Il mio frustrato grugnito mentale doveva
essere stato anche
sonoro, perché la ragazza si voltò nella
mia direzione.
Restai senza fiato per lo shock e sentii la
paura corrermi su
per la schiena.
Era Elizabeth! Quell'Elizabeth Niente
Cognome che si
presumeva essere morta. Quando mi
vide seduta in cima al muro
di cinta sgranò gli occhi, che erano di un
incredibile rosso acceso,
e lanciò un grido stridulo; poi girò sui
tacchi e sparì nella notte
con una velocità non umana.
Nello stesso istante, Nala inarcò la
schiena e soffiò con tanta
intensità da far tremare tutto il suo
corpicino.
«Va tutto bene, va tutto bene», continuai
a ripetere, cercando
di calmare me e la gatta. Tremavamo
tutt'e due e Nala non la
smetteva di ringhiare. «Non poteva
essere un fantasma. Non
poteva. Era solo… solo… una ragazza
strana. Probabilmente l'ho
spaventata e lei…»
«Zoey! Zoey! Sei tu?»
Sobbalzai e quasi caddi dal muro. Per
Nala era troppo e, con
un ultimo soffio feroce, saltò a terra con
grazia. Ormai ero
completamente e assolutamente
schizzata, quindi afferrai il ramo
per tenermi in equilibrio e scrutai nella
notte. «Chi… chi c'è?»
chiesi superando il frastuono del mio
cuore. Poi venni accecata dal
raggio di due torce puntate dritte su di
me.
«Ma certo che è lei! Vuoi che non
riconosca la voce della
mia migliore amica? Cavolo, mica se n'è
andata da così tanto!»
«Kayla?» Cercai di schermarmi gli
occhi con la mano che
tremava da pazzi.
«Visto? Te l'avevo detto che l'avremmo
trovata», intervenne
una voce maschile. «Vuoi sempre
rinunciare troppo presto.»
«Heath?» Forse stavo sognando.
«Già! Iuh-uh, bambina! Ti abbiamo
trovata!» strillò Heath e
anche in quell'orribile luce di torcia a
pile riuscii a vederlo mentre
si lanciava sul muro e iniziava a
scalarlo come una scimmia alta,
bionda e giocatrice di football.
Incredibilmente sollevata che fosse lui e
non un mostro in
libera uscita, lo sgridai: «Heath! Sta'
attento. Se cadi finisce che ti
rompi qualcosa». Be', a meno che non
atterrasse di testa, perché in
quel caso non si sarebbe fatto niente.
«Non io!» Si tirò su e si mise a sedere
vicino a me a
cavalcioni del muro. «Ehi, Zoey,
guardami: sono il re del mondo!»
Allargò le braccia e sorrise come un
tronco scemo, fiatandomi
addosso un alito che sapeva di alcol.
Non c'era da stupirsi che mi fossi
rifiutata di uscire con lui.
«Okay, non c'è bisogno di menarmela a
vita per la mia
passata infatuazione per Leonardo Di
Caprio.» Gli lanciai
un'occhiataccia, sentendomi più me
stessa di quanto non mi
capitasse da ore. «Che, a dire il vero,
somiglia alla mia passata
infatuazione per te, solo che non è durata
altrettanto a lungo e tu
non hai fatto un mucchio di film di scemi
ma mooolto carini.»
«Ehi, non sarai ancora arrabbiata per
Dustin e Drew, vero?
Scordati di quei due! Sono dei
ritardati.» Heath mi guardò con la
sua aria da cucciolone che era davvero
una meraviglia quando
andava alle medie. Peccato che l'effetto
meraviglia fosse finito un
paio di anni fa. «E poi siamo venuti fin
qui per farti evadere.»
«Cosa?» scossi la testa e lo guardai
strizzando gli occhi.
«Aspetta. Spegnete quelle torce, mi
stanno distruggendo gli
occhi.»
«Se le spegniamo non vediamo niente»,
replicò Heath.
«Benissimo. Allora fate luce da un'altra
parte. Laggiù, per
esempio.» Indicai un punto non meglio
identificato lontano dalla
scuola (e da me). Lo fecero, così potei
abbassare la mano, che ero
contenta di notare aveva smesso col
tremito isterico, e non
strizzare più gli occhi.
Quelli di Heath, invece, si spalancarono
alla vista del mio
Marchio. «Guarda qui! Adesso è tutto
colorato anche dentro! È
come… come… in TV o roba del
genere.»
Be', era bello vedere che alcune cose
non cambiano mai.
Heath era sempre Heath: un gran figo,
ma di certo non il più astuto
del mazzo.
«Ehi! E io? Sono qui, ve lo ricordate o
no?» strillò Kayla.
«Qualcuno mi aiuti a salire lì sopra, ma
con un po' di attenzione.
Prima appoggio la mia borsa nuova. Oh,
è meglio che mi tolga le
scarpe. Zoey, non hai idea dei saldi che
ti sei persa ieri da Bakers.
Tutti i modelli estivi in liquidazione. E
intendo liquidazione vera.
Sconto del settanta per cento. Ne ho
prese cinque paia per…»
Mi rivolsi a Heath: «Aiutala a salire.
Subito. È l'unico modo
per farla smettere di parlare». Già.
Certe cose proprio non
cambiano.
Lui si girò fino a trovarsi sdraiato sullo
stomaco, quindi si
chinò offrendo le mani a Kayla, che le
afferrò ridacchiando e si
lasciò trascinare in cima al muro
assieme a noi. Fu proprio mentre
lei ridacchiava e lui la tirava su che me
ne accorsi: il modo
inequivocabile in cui Kayla sorrideva e
ridacchiava e arrossiva a
Heath. Conoscevo quell'atteggiamento
almeno quanto il fatto che
non sarei mai stata una matematica. A
Kayla piaceva Heath. Okay,
non le piaceva. Le piaceva.
All'improvviso il commento colpevole
di Heath riguardo al fare il cretino alle
mie spalle alla festa che mi
ero persa aveva senso.
«Allora, come sta Jared?» chiesi
bruscamente, interrompendo
di botto kaylate e risolini.
«Okay, credo», rispose lei senza
incrociare il mio sguardo.
«Credi?»
Mosse le spalle e vidi che sotto alla sua
strafiga giacca di
pelle portava la minuscola camicia di
pizzo color crema che
chiamavamo Camicetta della Tetta,
perché non solo lasciava
vedere un bel po' di scollatura, ma,
essendo color pelle, sembrava
mostrare anche più di quello che era in
realtà. «Non lo so. A dire il
vero non ci siamo sentiti molto
nell'ultimo paio di giorni.»
Continuava a non guardarmi, ma
lanciava occhiate a Heath, che
aveva un'espressione spaesata… okay,
non è che ne avesse altre di
espressioni.
Dunque la mia migliore amica stava
dietro al mio ragazzo.
La cosa mi fece davvero incavolare e
per un secondo desiderai che
la serata non fosse così piacevolmente
tiepida. Desiderai che fosse
freddissima e che a Kayla si
congelassero immediatamente quelle
stupide tette ipersviluppate.
Di colpo fummo avvolti dal vento del
nord, cattivo, di un
freddo da mettere quasi paura.
Cercando di non farsi notare troppo,
Kayla si chiuse la giacca
e ridacchiò di nuovo, stavolta in modo
nervoso, però, non da
civetta, e mi arrivò un'altra zaffata di
birra e qualcos'altro.
Qualcosa che si era impresso così di
recente nei miei sensi che mi
stupii di non essermene accorta subito.
«Kayla, hai bevuto e pure
fumato?»
Lei rabbrividì e mi guardò sbattendo le
palpebre come un
coniglio tonto. «Solo un paio. Di birre
intendo. E, be', mmm,
Heath aveva giusto uno spinello piccolo
piccolo e io avevo paura
di venire qui e così ho fatto un paio di
tiri. Piccoli piccoli.»
«Le serviva un aiutino, un
corroborante», spiegò Heath
usando una parola davvero difficile per
un tipo come lui.
«E da quando avete cominciato a fumare
erba?» gli chiesi.
Lui sorrise. «Non è niente di che, Zo. Mi
faccio uno spinello
giusto una volta ogni tanto. Fanno meno
male delle sigarette.»
Odiavo che mi chiamasse Zo. Cercai di
sembrare
comprensiva. «Heath, non fanno meno
male delle sigarette e,
anche se fosse così, non è mica una gran
cosa. Le sigarette sono
disgustose e ti uccidono. E poi solo i più
sfigati della scuola
fumano erba. Oltre al fatto che proprio
non ti puoi permettere di
uccidere altre cellule cerebrali.» Stavo
per aggiungere «o
spermatozoi», ma non volevo toccare
quell'argomento. Heath si
sarebbe fatto un'idea del tutto sbagliata
se avessi fatto riferimento
alle sue parti virili.
«Na na», fece Kayla.
«Come, Kayla?»
Stringeva ancora la giacca per
difendersi dal freddo e i suoi
occhi erano passati da quelli dì un
patetico coniglio a quelli di un
gatto furbo che fa andare la coda.
Riconobbi il cambiamento. Lo faceva
sempre con le persone
che non considerava parte del suo giro
di amiche. Mi aveva
sempre dato sui nervi e la sgridavo
dicendole di non essere così
antipatica. E adesso si comportava da
stronza con me?
«Ho detto 'na na' perché non sono solo
gli sfigati a fumare,
almeno non a farlo ogni tanto. Sai quei
due running back iper
bonazzi che giocano per Union, Chris
Ford e Brad Higeons? Li ho
visti alla festa di Katie l'altra sera. Loro
fumano.»
«Ehi, non sono poi così fighi»,
intervenne Heath.
Kayla lo ignorò e continuò a parlare. «E
anche Morgan fuma
qualche volta.»
«Morgan, cioè Morgana la fata un po'
puttana?» Sì, ero
arrabbiata con Kayla, ma un buon
pettegolezzo è sempre un buon
pettegolezzo.
«Sì. Si è anche appena fatta il piercing
alla lingua e al…»
Kayla s'interruppe e mimò la parola
«clitoride». «T'immagini
quanto deve far male?»
«Dove? Dov'è che si è fatta fare il
piercing?» chiese Heath.
«Da nessuna parte», dicemmo in stereo
Kay e io, sembrando
stranamente per un momento le due
amiche del cuore che eravamo
state.
Poi però ripresi a discutere: «Kayla, hai
cambiato argomento.
Di nuovo. I giocatori di Union si sono
sempre fatti. Che scoperta!
Ricordati un po' tutti quegli steroidi, che
sono il motivo per cui ci
abbiamo messo sedici anni a batterli».
«Forza Tigers! Giààà, li abbiamo presi a
calci in culo!»
sbottò Heath.
Lo guardai alzando gli occhi al cielo. «E
chiaramente
Morgan ha cominciato a perdere la testa,
ed è per questo che si è
fatta il piercing al…» Guardai Heath e
cambiai idea. «Che si è
fatta il piercing e si è messa a fumare.
Trovami qualcuno di
normale che fuma.»
Kay ci pensò un secondo. «Io!»
Sospirai. «Senti, a me proprio non
sembra una cosa tanto
astuta.»
«Be', non è che tu sappia sempre tutto.»
Quell'odioso lampo
negli occhi era tornato.
Passai lo sguardo da lei a Heath e
ritorno. «È chiaro che hai
ragione. Non so tutto.»
L'espressione da stronza tornò sbigottita,
quindi si appiattì
ancora nella stronzaggme e non potei
non paragonare Kay a Stevie
Rae che, anche se la conoscevo solo da
un paio di giorni, ero
assolutamente più che certa non avrebbe
mai fatto il filo al mio
ragazzo, che fosse ormai quasi ex o
meno. E pensavo che non
sarebbe nemmeno scappata via da me
trattandomi come un mostro
nel momento in cui avevo più bisogno di
lei. Fissai Kayla. «Penso
che dovreste andare.»
«Benissimo», replicò.
«E probabilmente non è una buona idea
che torniate.»
Alzò le spalle e la giacca si aprì e face
scivolare la spallina
della camicia, rendendo evidente che
non portava il reggiseno.
«Come vuoi.»
«Heath, aiutala a scendere.» In generale,
Heath era piuttosto
bravo a seguire semplici istruzioni,
quindi sollevò Kayla e la mise
giù.
Lei prese la torcia e ci guardò dal basso.
«Spicciati, Heath.
Mi sta venendo davvero freddo.» Quindi
girò sui tacchi e prese a
incamminarsi verso la strada.
«Be'… È venuto freddo di colpo»,
commentò Heath un po'
goffo.
«Già. Adesso può anche bastare»,
replicai distratta, e non
badai molto al fatto che il vento smise
immediatamente di soffiare.
«Ehi, senti, Zo. Io sono venuto sul serio
a portarti via.»
«No.»
«Eh?»
«Heath, guarda la mia fronte.»
«Sì, hai quella roba a forma di
mezzaluna. Ed è tutta colorata,
e questo è strano perché prima non era
tutta colorata.»
«Be', adesso lo è. Okay, Heath,
concentrati. Sono stata
Segnata col Marchio. Questo significa
che il mio corpo sta
affrontando la Trasformazione per farmi
diventare un vampiro.»
Lo sguardo di Heath si spostò dal
Marchio e scese lungo tutto
il mio corpo. Lo vidi esitare all'altezza
di tette e gambe, cosa che
mi fece rendere conto che erano in bella
vista fin quasi alle
mutande perché, quando mi ero
arrampicata sul muro, la gonna era
salita.
«Zo, a me sta benissimo qualunque cosa
stia succedendo al
tuo corpo. Sei davvero sexy. Sei sempre
stata bella, ma adesso
sembri proprio una dea.» Mi sorrise e
mi sfiorò gentilmente la
guancia, facendomi ricordare perché mi
era piaciuto tanto per così
tanto tempo. Nonostante i difetti, Heath
poteva essere davvero
dolce, e mi faceva sempre sentire uno
schianto.
«Heath, mi dispiace, ma le cose sono
cambiate», sussurrai.
«No, che non sono cambiate.»
Cogliendomi di sorpresa si
chinò in avanti, mi fece scivolare una
mano sul ginocchio e mi
baciò.
Feci un salto indietro e gli afferrai il
polso. «Fermati, Heath!
Sto cercando di parlarti.»
«Che ne diresti se tu parli e io bacio?»
mormorò.
Cominciai a ripetergli di no.
Poi lo sentii.
Il pulsare del suo sangue sotto le mie
dita.
Batteva forte e veloce. Giuro che lo
percepivo e lo udivo allo
stesso tempo. E, quando si chinò per
baciarmi ancora, vidi la vena
che gli correva sul collo. Si muoveva,
pulsando forte mentre il
sangue pompava nel suo corpo.
Sangue… Le sue labbra sfiorarono
le mie e mi ricordai il sapore del sangue
nel calice. Quel sangue
era freddo e misto al vino, oltre a venire
da un debole sfigato che
non valeva niente. Ma quello di Heath
doveva essere caldo,
denso… dolce… molto più dolce di
quello di Elliott il Frigorifero.
«Ahi! Accidenti, Zoey, mi hai graffiato!»
Allontanò il polso.
«Merda, Zo, mi hai fatto sanguinare. Se
non volevi che ti baciassi,
bastava dirlo.»
Si portò il polso alle labbra e succhiò la
scintillante goccia
rossa che si era formata. Quindi incrociò
lo sguardo col mio e si
gelò.
Aveva del sangue sul labbro. Ne sentivo
l'odore: era come il
vino, solo meglio, molto meglio. Quel
profumo mi avvolse,
facendomi venire la pelle d'oca. Volevo
assaggiarlo. Volevo
assaggiarlo più di quanto avessi mai
voluto fare qualcosa in vita
mia. «Io voglio…» mi udii mormorare
con una voce che non
conoscevo.
«Sì…» Heath rispose come se fosse in
trance. «Sì… tutto
quello che vuoi. Farò tutto quello che
vuoi.»
Questa volta fui io a chinarmi verso di
lui e a sfiorargli il
labbro con la lingua, prendendo in bocca
la goccia di sangue, che
esplose in un calore, in un'ondata di
piacere che non avevo mai
provato. «Ancora», gracchiai.
Quasi avesse perso la capacità di
parlare e potesse solo
annuire, Heath mi tese il braccio.
Sanguinava poco e quando
leccai la sottile striscia scarlatta, Heath
gemette. Il contatto con la
mia lingua sembrò fare qualcosa al
graffio, perché prese
immediatamente a perdere sangue più in
fretta… molto più in
fretta. Mentre mi portavo il polso alla
bocca e posavo le labbra
sulla sua pelle calda, mi tremavano le
mani. Rabbrividii e gemetti
di piacere e…
«Oh, mio Dio! Cosa gli stai facendo?»
Il grido di Kayla lacerò la nebbia
scarlatta nella mia mente.
Lasciai andare il polso di Heath come se
scottasse.
«Sta' lontana da lui! Lascialo in pace!»
strillava Kayla.
Heath non si mosse.
«Vai. Vai e non tornare più», gli dissi.
«No», replicò lui, sembrando
stranamente sobrio nella voce e
nell'aspetto.
«Sì. Vattene da qui.»
«Lascialo andare!» urlò Kayla.
«Kayla, se non chiudi quella bocca volo
giù e succhio ogni
singola goccia di sangue da quel tuo
stupido corpo di vacca
traditrice!» replicai rabbiosa.
Lei squittì e scappò via.
Mi voltai verso Heath, che mi stava
ancora fissando. «Adesso
devi andare anche tu.»
«Zo, io non ho paura di te.»
«Heath, ho abbastanza paura io per tutti
e due.»
«Ma non mi dispiace quello che hai
fatto. Zoey, io ti amo.
Adesso più che mai.»
«Smettila!» Non avevo intenzione di
gridare, ma l'intensità
delle mie parole lo fece sobbalzare.
Deglutii e abbassai la voce. «È
meglio che vai. Per favore.» Poi,
cercando qualcosa che lo
convincesse ad andarsene, aggiunsi:
«Probabilmente in questo
momento Kayla sta chiamando la
polizia. Non sarebbe un bene
per nessuno di noi».
«Okay, vado. Ma tornerò.»
Mi diede un bacio forte e veloce e,
quando sentii il sapore del
sangue che aveva ancora sulle labbra,
provai una pugnalata di
piacere. Poi scivolò giù dal muro e
scomparve nel buio finché di
lui non vidi altro che il puntino di luce
della torcia e, infine,
neanche più quello.
Non mi sarei data il tempo di pensare.
Non ancora.
Muovendomi per abitudine, come un
robot, usai il ramo per
aiutarmi a scendere. Mi tremavano
talmente tanto le ginocchia che
riuscii a fare giusto i pochi passi fino
all'albero, dove mi accasciai,
la schiena appoggiata alla solida
sicurezza del vecchio tronco.
Nala si materializzò, saltandomi in
braccio come fosse stata il
mio gatto da anni e non da pochi minuti
e, quando cominciai a
singhiozzare, si arrampicò su di me fino
a premere il musetto
caldo sulla mia guancia bagnata.
Dopo quello che mi sembrò un tempo
lunghissimo, i
singhiozzi si trasformarono in…
singhiozzo, e avrei tanto voluto
non essere corsa via dalla sala di
ricreazione senza la borsetta.
Avevo proprio bisogno di un Kleenex.
«Tieni. Si direbbe che ti possa servire.»
Nala si lamentò quando, udendo la voce,
sobbalzai per la
sorpresa e allontanai le lacrime a
sufficienza per vedere che
qualcuno mi tendeva un fazzoletto. «Grgrazie.» Lo presi e mi
soffiai il naso.
«Non c'è di che», disse Erik Night.
18
«Ti senti bene?»
«Sì, sto bene. Benissimo. Tutto a posto»,
mentii.
«Non sembra che tu stia bene. Ti scoccia
se mi siedo?»
chiese Erik.
«No, fai pure», replicai con aria
indifferente. Sapevo di avere
il naso rosso come un peperone. Quando
lui si era fatto avanti mi
stava praticamente colando il moccio
addosso e avevo il vago
sospetto che fosse stato presente almeno
a parte dell'incubo tra
Heath e me. La nottata non faceva che
peggiorare. Lo guardai e
decisi: Che cavolo, tanto vale
continuare nella stessa direzione.
«Nel caso non l'avessi capito, ero io
quella che ha visto la piccola
scenata fra te e Afrodite, ieri, in
corridoio.»
Lui non ebbe la minima esitazione. «Lo
so, e vorrei non fosse
successo. Non voglio che ti faccia idee
sbagliate su di me.»
«E quali idee sarebbero?»
«Che tra Afrodite e me ci sia più di
quanto non c'è in realtà.»
«Non sono affari miei», replicai.
Si strinse nelle spalle. «Voglio solo che
tu sappia che lei e io
non stiamo più insieme.»
Stavo per dirgli che di certo non
sembrava che Afrodite
avesse afferrato quell'ultima parte, ma
poi ripensai a quello che era
appena successo tra Heath e me, e con
stupore mi resi conto che
forse non avrei dovuto giudicare troppo
duramente Erik. «Okay.
Voi due non state insieme», conclusi.
Rimase seduto in silenzio vicino a me
per un po' e, quando
riprese a parlare, mi sembrò fosse quasi
arrabbiato. «Afrodite non
ti aveva spiegato del sangue nel vino.»
Non l'aveva detto come fosse una
domanda, ma risposi lo
stesso: «No».
Scosse la testa e vidi che la mascella
s'irrigidiva. «Mi aveva
detto che l'avrebbe fatto. Mi aveva
assicurato che ti avrebbe
avvisata mentre ti cambiavi, così, se non
ti andava, potevi fare a
meno di bere dal calice.»
«Ha mentito.»
«Non è una grande sorpresa.»
Mi sentivo crescere dentro una gran
rabbia. «Tu credi? Tutta
questa storia era sbagliata fin dall'inizio.
Insomma, prima vengo
spinta a partecipare al rito delle Figlie
Oscure, dove m'imbrogliano
per farmi bere sangue. Poi incontro il
mio quasi-ex-ragazzo, che si
dà il caso sia umano al cento per cento,
e nessuno si era
minimamente sprecato a dirmi che anche
la più infinitesimale
gocciolina del suo sangue mi avrebbe
fatta diventare un… un
mostro.» Mi morsi il labbro e mi
aggrappai alla collera per non
ricominciare a piangere. Decisi di non
dire niente del fantasma di
Elizabeth: c'erano già troppe cose strane
da accettare per una notte
sola.
«Nessuno te l'ha spiegato perché è una
cosa che non avrebbe
dovuto iniziare ad avere effetto su di te
prima della sesta», replicò
pacato.
«Eh?» Avevo ripreso a essere di
un'eloquenza travolgente.
«La brama di sangue di solito comincia
quando si è in sesta
classe e si è già quasi completamente
Trasformati. Qualche volta
si sente di qualcuno di quinta che deve
affrontare la cosa in
anticipo, ma non succede spesso.»
«Frena un attimo. Cosa stai dicendo?»
Mi sembrava di avere
la testa piena di api che ronzano.
«Si comincia ad avere lezioni sulla
brama di sangue e altri
aspetti che si dovranno affrontare da
vampiri adulti quando si è in
quinta, e poi, l'ultimo anno, i corsi si
concentrano soprattutto su
questi argomenti. Oltre alla materia in
cui hai deciso di
specializzarti.»
«Ma io sono in terza! E a malapena,
anche, dato che ho il
Marchio da pochi giorni.»
«Il tuo Marchio è diverso; tu sei
diversa.»
«Io non voglio essere diversa!» Mi
accorsi che stavo
gridando e abbassai la voce. «Voglio
soltanto imparare a gestire
questa cosa come tutti gli altri.»
«Troppo tardi, Zy.»
«E allora che faccio?»
«Credo sarebbe meglio che ne parlassi
col tuo mentore. È
Neferet, vero?»
«Già», risposi con aria avvilita.
«Ehi, stai allegra. Neferet è grandiosa.
Ormai non fa più da
mentore quasi a nessun novizio, quindi
deve credere davvero
molto in te.»
«Lo so, lo so. È solo che questo mi fa
sentire…» Com'è che
mi sentivo all'idea di parlare a Neferet
di quanto accaduto quella
sera? Imbarazzata. Come se avessi di
nuovo dodici anni e dovessi
dire al prof di ginnastica che mi erano
venute le mie cose e dovevo
andare in spogliatoio a cambiarmi i
calzoncini. Sbirciai di
nascosto Erik. Eccolo lì, splendido,
attento e perfetto. Diavolo.
Non potevo dirglielo, quindi cambiai
aggettivo. «Stupida. Mi fa
sentire stupida.» Che in realtà non era
una bugia, anche se, oltre a
imbarazzata e stupida, mi sentivo
soprattutto spaventata. Non
volevo che tutto questo m'impedisse
d'inserirmi.
«Non sentirti stupida. La verità è che sei
molto più avanti di
tutti noi.»
«Allora…» Esitai, poi presi un bel
respiro e mi lanciai: «Ti è
piaciuto il sapore del sangue nel calice,
stasera?»
«Be', il nodo della faccenda è proprio
questo: il mio primo
Rito della Luna Piena con le Figlie
Oscure è stato alla fine della
terza e, a parte il 'frigorifero', ero l'unico
di quell'età, proprio come
te stasera.» Fece una risatina per niente
divertita. «Mi avevano
invitato solo perché ero in finale nel
concorso di monologhi
shakespeariani e il giorno successivo
dovevo partire per Londra
per la gara.» Mi guardò e sembrò un po'
in imbarazzo. «Nessuno
di questa Casa della Notte era mai
arrivato fino a Londra. Era una
cosa importante.» Scosse la testa come a
prendersi in giro. «A dire
il vero, ero io che pensavo fosse una
cosa importante. Quindi le
Figlie Oscure m'invitarono a unirmi a
loro e io ci andai. Sapevo
del sangue. Mi diedero la possibilità di
rifiutare, ma non lo feci.»
«E ti è piaciuto?»
Questa volta la risata fu sincera. «Mi
vennero i conati di
vomito e diedi di stomaco. Era la cosa
più schifosa che avessi mai
assaggiato.»
Gemetti, mi cadde la testa in avanti e
presi la faccia tra le
mani. «Non mi sei d'aiuto.»
«Perché, tu l'hai trovato buono?»
«Più che buono. Hai detto che era la
cosa più schifosa che
avessi mai assaggiato? Io l'ho trovato la
cosa più deliziosa. Be', la
cosa più deliziosa finché non…»
M'interruppi, rendendomi conto
di quanto stavo per dire.
«Finché non hai assaggiato il sangue
fresco?» mi chiese con
gentilezza.
Feci di sì con la testa, non osando
parlare.
Lui mi prese le mani, costringendomi a
liberare la faccia,
quindi mi mise un dito sotto il mento e
mi obbligò a guardarlo
dritto negli occhi.
«Non devi provare imbarazzo o
vergogna. È normale.»
«Trovare squisito il sapore del sangue
non è normale. Non
per me.»
«Sì che lo è. Tutti i vampiri devono
affrontare la brama di
sangue.»
«Ma io non sono un vampiro!»
«Forse no, non ancora. Ma di certo non
sei neanche una
normale novizia e in questo non c'è
niente di male. Tu sei speciale,
Zoey, e quello che è speciale può essere
stupefacente.» Con
lentezza, mi tolse il dito di sotto il mento
e, come aveva già fatto
quella notte, disegnò gentilmente la
sagoma del pentacolo sul mio
Marchio scurito.
Mi piaceva la sensazione che mi dava il
suo dito sulla pelle:
caldo e leggermente ruvido. Mi piaceva
pure il fatto che, stando
vicino a lui, non si scatenassero tutte le
strane reazioni che avevo
avuto accanto a Heath. Cioè, non sentivo
pulsare il sangue di Erik
nelle vene e non vedevo battere la vena
sul suo collo. Non che mi
sarebbe dispiaciuto se mi avesse
baciata…
Diavolo! Ma stavo diventando una
vampira zoccola?
Cos'altro doveva succedere? Nessun
maschio di nessuna specie (e
questo avrebbe potuto includere anche
Damien) sarebbe stato al
sicuro nelle mie vicinanze? Forse avrei
dovuto evitare i ragazzi
finché non avessi capito cosa mi stava
succedendo e non avessi
imparato a controllarmi.
Poi mi ricordai che avevo cercato dì
evitare tutti e che era
proprio per quel motivo che mi trovavo
lì fuori. «Erik, tu che ci fai
qui?»
«Ti ho seguita», rispose semplicemente.
«Perché?»
«Ho immaginato cos'avesse combinato
Afrodite e ho pensato
che ti potesse servire un amico. Sei in
stanza con Stevie Rae,
giusto?»
Annuii.
«Appunto. Avevo pensato di cercarla e
farla venire qui da te
ma non sapevo se volevi che lei sapesse
del…» S'interruppe e fece
un vago gesto in direzione della sala di
ricreazione.
«No! Io… io non voglio che lo sappia.»
Inciampai sulle
parole, da tanto le pronunciai in fretta.
«È quello che pensavo. Ecco perché ti
sei beccata me al suo
posto.» Sorrise, poi sembrò un po' a
disagio. «Non avevo
intenzione di ascoltare quello che vi
dicevate tu e Heath. Mi
dispiace che sia successo.»
Mi concentrai sulle coccole a Nala.
Quindi aveva visto Heath
che mi baciava e poi tutta la faccenda
del sangue. Dio, com'era
imbarazzante… Poi mi colpì un pensiero
e alzai gli occhi verso di
lui con un sorrisetto ironico. «Suppongo
che con questo siamo
pari. Nemmeno io avevo intenzione di
ascoltare quello che
dicevate tu e Afrodite.»
Ricambiò il sorriso. «Siamo pari.
Questo mi piace.»
Il suo sorriso provocò strane cose nel
mio stomaco. «Non
sarei davvero volata giù a bermi il
sangue di Kayla», riuscii a dire.
Rise (aveva proprio una bella risata).
«Lo so. I vampiri non
volano.»
«Però le ho messo una gran strizza.»
«Per quanto ho visto, se lo meritava.»
Aspettò un attimo,
quindi aggiunse: «Posso chiederti una
cosa? È piuttosto
personale».
«Ehi, mi hai vista bere sangue da un
calice e godermela un
mondo, vomitare, baciare un ragazzo,
leccargli il sangue come
fossi un cagnolino e poi piangere sino a
farmi uscire gli occhi. E io
ti ho visto rifiutare un pompino. Direi
che potrei proprio
rispondere a una domanda piuttosto
personale.»
«Lui era davvero in trance? Dall'aspetto
e da come parlava
sembrava di sì.»
Mi dimenai un po', a disagio, e Nala si
lamentò finché non la
feci stare tranquilla a furia di coccole.
Alla fine riuscii a dire: «In
apparenza sembrava così. Non so se
fosse trance o no – e non
avevo la minima intenzione di tenerlo in
mio potere o altre strane
cose del genere –, ma era diverso. Non
lo so. Aveva bevuto e
fumato. Magari era solo un po' fatto».
Udii di nuovo la voce di
Heath, che mi tornava alla mente come
una foschia soffocante:
Sì… tutto quello che vuoi. Farò tutto
quello che vuoi. E rividi lo
sguardo intenso che mi aveva lanciato.
Diavolo, non avevo mai
pensato che Heath il Fustacchione fosse
capace di dimostrare una
simile intensità (almeno fuori del campo
da football), di certo non
era in grado di sillabare la parola
(intensità, non football).
«È sempre stato così o solo dopo che
tu… mmm… hai
cominciato a…»
«Non sempre. Perché?»
«Be', questo elimina due cose che
avrebbero potuto essere la
causa del suo comportamento insolito.
La prima: se fosse stato
soltanto fatto o bevuto, sarebbe stato
così anche prima. La
seconda: avrebbe potuto comportarsi
così perché sei davvero bella
e questo basta a far sentire in trance un
ragazzo che ti sta vicino.»
Le sue parole rimisero in agitazione
qualcosa in fondo al mio
stomaco, qualcosa che in precedenza
non si era mai mosso per
nessun ragazzo. Né per Heath il
Fustacchione né per Jordon il
Bradipo, né per Jonathan lo Stupido
Ragazzino della Banda (la
mia storia sentimentale non è lunga ma
decisamente pittoresca).
«Sul serio?» chiesi come una cretina
totale.
«Sul serio.» Sorrise in un modo che di
cretino non aveva
proprio niente.
Com'era possibile che piacessi a quel
ragazzo? Ero una
sfigata bevitrice di sangue.
«Ma nemmeno questo è possibile,
perché doveva pure aver
notato quanto sei sexy anche prima che
lo baciassi e, a quanto dici,
non sembrava rapito finché nel quadretto
non è entrato un po' di
sangue.»
(«Rapito» – hi hi hi! –, aveva detto
davvero «rapito».) Ero
troppo presa a sorridere come un'idiota
per il suo uso di vocaboli
complicati per pensare prima di
rispondere: «A dire il vero è
cominciato quando ho iniziato a sentire
il rumore del suo sangue
che pulsava nelle vene».
«Ripeti un po'?!»
Ah, cavolo. Non era quello che avrei
voluto dire. Mi schiarii
la voce. «Heath ha cominciato a
cambiare quando ho sentito il
rumore del sangue che gli pulsava nelle
vene.»
«Soltanto i vampiri adulti riescono a
sentirlo.» S'interruppe e
poi, con un rapido sorriso, aggiunse: «E
Heath sembra il nome del
protagonista gay di una soap».
«Ci sei andato vicino. È il miglior
quarterback di Broken
Arrow.»
Erik annuì e sembrò divertito.
«Ah, già che ci siamo, mi piace il nome
che ti sei scelto.
Night è un cognome molto figo»,
aggiunsi, cercando di cavarmela
almeno con l'ultima parte della
conversazione e dire qualcosa di
vagamente sensato.
Il suo sorriso si fece ancora più ampio.
«Non l'ho scelto. Erik
Night è il nome con cui sono nato.»
«Ah, sì? Be', mi piace.» Perché
qualcuno non mi sparava e la
facevamo finita?
«Grazie.»
Guardò l'orologio e io mi accorsi che
erano quasi le sei e
mezzo. Del mattino, cosa che mi
sembrava ancora assurda.
«Farà giorno presto», disse.
Immaginando che quella fosse la battuta
che indicava che ci
dovevamo separare, avvicinai i piedi e
presi meglio in braccio
Nala, in modo da potermi alzare, e
trovai la mano di Erik sotto il
gomito che mi sosteneva.
Mi aiutò a sollevarmi e rimase lì, tanto
vicino che la coda di
Nala gli sfiorava il maglione nero. «Ti
chiederei se vuoi mangiare
qualcosa, ma l'unico posto in cui
servono cibo a quest'ora è la sala
di ricreazione e non credo ti vada di
tornarci.»
«No, proprio no. E comunque non ho
fame.» Affermazione
che, mi resi subito conto, era una bugia
bella e buona, perché solo
sentendo nominare il cibo provai un
buco allo stomaco.
«D'accordo. Ti dispiace se ti
accompagno al dormitorio?»
chiese.
«No.» Cercai di avere un'aria
disinvolta.
Stevie Rae, Damien e le gemelle
sarebbero morti sul colpo se
mi avessero vista con Erik.
Incamminandoci, non dicemmo niente,
ma non era il silenzio
sgradevole di chi si sente a disagio. A
dire il vero era molto
carino. Di quando in quando le nostre
braccia si sfioravano e io
pensavo a quant'era alto e figo e a
quanto mi sarebbe piaciuto che
mi prendesse la mano.
Dopo un po' disse: «Oh, prima non ho
finito di rispondere
alla tua domanda. La prima volta che ho
assaggiato il sangue a
uno dei riti delle Figlie Oscure l'ho
trovato schifoso, ma ogni volta
successiva il gusto mi sembrava
migliore. Non posso dire di
trovarlo delizioso, ma comincia a
piacermi. E di certo mi piace il
modo in cui mi fa sentire».
Lo fissai. «Con la testa che gira e le
ginocchia molli? Come
se fossi sbronzo ma invece non lo sei?»
«Già. Ehi, lo sapevi che i vampiri non si
ubriacano?»
Scossi la testa.
«È per un qualcosa che la
Trasformazione fa al nostro
metabolismo. Persino per un novizio è
difficile prendersi una
sbronza.»
«Perciò i vampiri si ubriacano bevendo
sangue?»
Si strinse nelle spalle. «Suppongo.
Comunque ai novizi è
vietato bere sangue umano.»
«E allora perché nessuno ha informato
gli insegnanti di
quello che fa Afrodite?»
«Lei non beve sangue umano.»
«Senti, Erik, ero lì anch'io. Nel vino
c'era decisamente
sangue e proveniva da quel ragazzo,
Elliott.» Rabbrividii.
«Pessima scelta, tra l'altro.»
«Ma lui non è umano.»
«Frena un attimo… è proibito bere
sangue umano», dissi
lentamente (oh, diavolo! Era quello che
avevo appena fatto). «Ma
non c'è problema a bere quello di un
altro novizio?»
«A patto che sia d'accordo.»
«Non ha senso.»
«Sì che ne ha, invece. È normale che,
mentre il nostro
organismo si Trasforma, si sviluppi la
brama di sangue, quindi ci
serve uno sfogo. I novizi guariscono in
fretta, perciò nessuno si fa
male. E non ci sono effetti collaterali,
come capita invece quando
un vampiro beve da un umano vivo.»
Quello che stava dicendo mi picchiava
in testa come la
fastidiosa musica a manetta che urlava in
continuazione al negozio
Wet Seal e afferrai l'unica cosa che mi
era arrivata forte e chiara.
«Umano vivo?» strillai. «Dimmi che non
l'intendevi come
alternativa al bere da un cadavere!» Mi
stava tornando la nausea.
Rise. «No, l'intendevo come alternativa
al sangue avuto dai
donatori dei vampiri.»
«Mai sentita una roba simile.»
«La maggior parte degli umani non ne sa
niente. Anche noi
lo scopriamo solo in quinta.»
Poi qualcos'altro di quanto aveva detto
si fece strada nella
confusione che avevo in testa. «Cosa
intendevi per effetti
collaterali?»
«Abbiamo appena cominciato a studiarli
in Socio Vamp 312.
Sembra che, quando un vampiro adulto
beve da un umano vivo, si
possa creare un legame molto forte. Da
parte del vampiro, non
sempre, ma gli umani s'invaghiscono con
grande facilità. E per
loro è pericoloso. Insomma, prova a
pensarci. Di per sé una
perdita di sangue non è una buona cosa,
se aggiungi poi che noi
viviamo decenni più degli umani, a volte
secoli, dal loro punto di
vista dev'essere orribile essere
innamorato lesso di qualcuno che
sembra non invecchiare mai mentre tu
diventi rugoso e rinsecchito
e muori.»
Ripensai ancora all'aria meravigliata ma
intensa con cui mi
aveva guardata Heath e capii che, per
quanto duro potesse essere,
dovevo raccontare tutto a Neferet. «Già,
dev'essere orribile»,
replicai con un filo di voce.
«Siamo arrivati.»
Mi stupii vedendo che ci eravamo
fermati davanti al
dormitorio femminile. Alzai gli occhi a
guardare il mio
accompagnatore. «Be' ti sono grata per
avermi seguita… credo»,
dissi con un sorriso ironico.
«Ah, be', ogni volta che vuoi che
qualcuno venga a ficcare il
naso nei fatti tuoi non invitato, conta
pure su di me.»
«Lo terrò a mente. Grazie.» Mi
appoggiai Nala sul fianco e
cominciai ad aprire la porta.
«Ehi, Zy.»
Mi voltai.
«Non restituire il vestito ad Afrodite.
Includendoti nel
cerchio di stanotte ti ha formalmente
offerto un posto tra le Figlie
Oscure ed è tradizione che la futura
Somma Sacerdotessa faccia
un dono a ogni nuovo membro al suo
primo rito. Non credo che
vorrai fare parte del gruppo, ma hai
comunque diritto a tenerti il
vestito. Soprattutto perché sta molto
meglio a te che a lei.» Si
allungò a prendermi la mano (quella con
cui non tenevo il gatto) e
la rivoltò palmo in su. Poi col dito seguì
la vena più grande,
facendo impazzire i miei battiti. «E devi
anche sapere che puoi
contare su di me se decidi di aver voglia
di assaggiare un altro
sorso di sangue. Tieni a mente pure
questo.» Erik si chinò e, gli
occhi sempre fissi nei miei, diede un
leggerissimo morso in un
punto del mio polso, che poi baciò
dolcemente.
Questa volta l'agitazione di ali nello
stomaco fu frenetica e
fece ribollire l'interno delle mie cosce e
accelerare il respiro. Il suo
sguardo, mentre teneva le labbra sul mio
polso, mi provocò un
fremito di desiderio. Sapevo che mi
sentiva tremare. Fece guizzare
la punta della lingua sulla vena, e anche
questo mi diede un
fremito. Poi mi sorrise e si allontanò nel
vago chiarore che precede
l'alba.
19
Il mio polso bruciava e formicolava
ancora per l'inatteso
bacio di Erik (e morso e leccatina), e
non ero certa di essere già in
grado di parlare, perciò mi sentii
sollevata vedendo che nella
grande sala all'ingresso c'erano
pochissime ragazze che mi
riservarono giusto un'occhiata prima di
tornare a guardare quello
che dalla musica sembrava America's
Next Top Model. Corsi in
cucina e misi Nala sul pavimento,
sperando che non scappasse
mentre mi preparavo un panino. Non lo
fece, preferì invece
seguirmi per tutta la stanza come un
minuscolo cagnolino arancio
e continuare a lamentarsi con quello
strano non-miagolio.
Continuavo a dirle «lo so» e «hai
ragione», perché immaginavo mi
stesse dando della cretina per come mi
ero comportata quella sera
e, be', aveva ragione sul serio.
Fatto il panino, presi un sacchetto di
pretzel (Stevie Rae
aveva detto la verità: non riuscii a
trovare cibo spazzatura decente
in nessuno degli armadietti), delle
bollicine marroni (non
m'importa quale bibita sia, basta che sia
marrone e non diet e
abbia le bolle – iiih!), la mia gatta e
salii le scale.
«Zoey! Ero così preoccupata per te!
Raccontami tutto.»
Stevie Rae era raggomitolata nel letto
con un libro ed era ovvio
che mi stesse aspettando. Portava un
pigiama con disegnati
cappelli da cowboy e aveva i capelli
appiccicati su un lato della
faccia come se ci si fosse addormentata
sopra. Giuro che sembrava
avesse dodici anni.
Esordii allegra: «Pare che abbiamo un
animaletto». Mi voltai
in modo che Stevie Rae potesse vedere
Nala schiacciata contro il
mio fianco. «Tieni, aiutami prima che
faccia cadere qualcosa.
Perché se fosse la gatta, poi non la
smetterebbe più di lamentarsi.»
«È un amore!» Stevie Rae saltò giù dal
letto e si affrettò
verso di me per prendere Nala, ma la
micetta mi si aggrappò
addosso come se pensasse che qualcuno
l'avrebbe ammazzata se si
fosse staccata dal mio fianco, quindi
Stevie Rae piazzò il cibo sul
mio comodino.
«Ehi, quel vestito è favoloso.»
«Già, mi sono cambiata prima del rito.»
Questo mi ricordò
che dovevo restituirlo ad Afrodite.
Sicuro. Non mi sarei certo
tenuta il «regalo», anche se Erik aveva
detto che avrei dovuto. E
poi restituirglielo mi dava l'occasione di
«ringraziarla» per essersi
«dimenticata» di avvisarmi del sangue.
Strega e stronza.
«Allora… com'era?»
Mi sedetti sul letto e diedi un pretzel a
Nala, che cominciò
subito a sbatacchiarlo da tutte le parti
(perlomeno aveva smesso di
brontolare), poi addentai un gran
boccone di panino. Sì, avevo
fame, ma stavo anche guadagnando
tempo. Non sapevo cosa dire a
Stevie Rae, e cosa non dire. La faccenda
del sangue era così
sconcertante… e così disgustosa.
Avrebbe pensato che ero
orribile? Avrebbe avuto paura di me?
Inghiottii e decisi di deviare
la conversazione su un argomento più
innocuo. «Erik Night mi ha
accompagnata al dormitorio.»
Stevie Rae prese a saltellare sul letto
come un gioppino in
stile country. «Spara! Devi dirmi tutto.»
«Mi ha baciata», dissi, ammiccando con
le sopracciglia.
«Stai scherzando! E dove? Come? È
stato bello?»
«Mi ha baciato la mano.» Decisi in
fretta di mentire. Non
volevo spiegare tutta la storia del
polso/vena/sangue/morso. «È
stato quando mi ha dato la buona notte.
Eravamo proprio davanti
al dormitorio. E, sì, è stato bello.» Le
sorrisi su un altro boccone di
panino.
«Scommetto che Afrodite ha cagato
piastrelle quando hai
lasciato la sala di ricreazione con lui.»
«Be', a dire il vero me ne sono andata
prima di lui, che mi ha
raggiunta dopo. Ero uscita per…
mmm… una passeggiata lungo il
muro di cinta, dove ho anche trovato
Nala.» Diedi una grattatina
dietro le orecchie della gatta.
Lei si rannicchiò vicino a me, chiuse gli
occhi e iniziò a fare
le fusa.
«A dire il vero, credo sia stata lei a
trovare me. Comunque,
mi ero arrampicata sul muro perché
pensavo avesse bisogno di
essere salvata e poi – e a questo so che
non crederai – ho visto
qualcosa che sembrava il fantasma di
Elizabeth, poi sono comparsi
Heath, il mio quasi-ex-ragazzo della mia
vecchia scuola, e la mia
ex-migliore-amica.»
«Cosa? Chi? Rallenta. Comincia col
fantasma di Elizabeth.»
Scossi la testa e masticai. Tra un
boccone e l'altro, provai a
spiegare. «È stato davvero strano e
spaventoso. Ero seduta lì sul
muro ad accarezzare Nala, quando
qualcosa ha attirato la mia
attenzione. Ho guardato giù e c'era
questa ragazza, non molto
distante da me. Mi ha guardata con degli
strani occhi rossi e giuro
che era proprio Elizabeth.»
«Ma va? Chissà che impressione!»
«Eccome. E lei appena mi ha vista ha
cacciato uno strillo
orribile ed è scappata via.»
«Io mi sarei presa una strizza
micidiale.»
«Anch'io, solo che non ho avuto neanche
il tempo di pensarci
che sono arrivati Heath e Kayla.»
«Cosa vuoi dire? Come facevano a
essere qui?»
«No, non erano qui, erano dall'altra
parte del muro. Devono
avermi sentita mentre cercavo di
calmare Nala dopo che aveva
sclerato del tutto per il fantasma di
Elizabeth.»
«L'ha visto anche Nala?»
Annuii.
Stevie Rae rabbrividì. «Allora doveva
esserci per davvero.»
La mia voce divenne quasi un sussurro:
«Tu sei sicura che sia
morta? Non è che magari c'è stato un
errore ed è ancora viva e se
ne va in giro per la scuola?» Suonava
ridicolo, ma non più del
fatto che avessi visto un fantasma.
Stevie Rae deglutì con forza. «È morta.
L'ho vista morire.
Tutti in classe l'hanno vista.»
Sembrava che stesse per mettersi a
piangere e
quell'argomento mi metteva una gran
fifa, perciò passai a qualcosa
di meno pauroso. «Be', potrei essermi
sbagliata. Magari era
soltanto una con gli occhi strani che le
somigliava. Era buio e poi
sono arrivati subito Heath e Kayla.»
«E come mai sono venuti?»
Alzai gli occhi al cielo. «Heath ha detto
che volevano 'farmi
evadere'. Te l'immagini?»
«Ma sono stupidi?»
«Si direbbe. Oh, e poi Kayla, la mia exmigliore-amica, ha
dimostrato in modo evidente di stare
dietro a Heath!»
Stevie Rae restò senza fiato. «Che
zoccola!»
«Hai detto bene. Be', comunque, gli ho
detto di andarsene e
di non tornare, e poi mi sentivo un po'
sconvolta ed è stato allora
che mi ha trovata Erik.»
«Wooow! È stato dolce e romantico?»
«Be', sì, abbastanza. E mi ha chiamata
Zy.»
«Ooh, un nomignolo è un gran buon
segno!»
«È quello che ho pensato anch'io.»
«E allora ti ha accompagnata al
dormitorio?»
«Già, ha detto che mi avrebbe portata a
mangiare qualcosa,
ma l'unico posto aperto a quell'ora era la
sala di ricreazione e io
non volevo tornarci.» Ah, cavolo. Lo
capii subito di aver detto
troppo.
«Le Figlie Oscure sono state orribili?»
Guardai Stevie Rae coi suoi occhioni da
cerbiatto e capii che
non potevo dirle che avevo bevuto
sangue. Non ancora. «Be', hai
presente Neferet, com'era sexy, bella
e… di classe?»
Stevie Rae annuì.
«Afrodite ha fatto più o meno quello che
aveva fatto lei, solo
che sembrava una sgualdrina.»
«Ho sempre pensato che fosse davvero
volgare.» Stevie Rae
scosse la testa con aria disgustata.
«Non dirlo a me.» La guardai e sbottai:
«Ieri, prima che
Neferet mi portasse qui al dormitorio,
ho visto Afrodite che
cercava di fare un pompino a Erik».
«Ma va? Dio se è disgustosa. Aspetta,
hai detto che cercava
di farlo. Com'è 'sta storia?»
«Lui le diceva di no e la spingeva via.
Le ha detto che non la
voleva più.»
«Scommetto che questo le ha fatto
perdere anche quel poco
di rotelle che ancora le restavano»,
ridacchiò Stevie Rae.
Mi ricordavo come gli stava addosso,
anche se lui le diceva
chiaramente di no. «A dire il vero, mi
sarebbe persino dispiaciuto
per lei se non fosse così… così…» Mi
sforzai di trovare le parole
giuste.
«Così strega infernale?» suggerì
premurosa Stevie Rae.
«Già, credo sia proprio così. Ha
quell'atteggiamento… come
se avesse il diritto di essere antipatica e
sgradevole finché vuole e
noi dovessimo tutti inchinarci e
sopportare.»
Stevie Rae annuì. «E le sue amiche sono
lo stesso.»
«Già, ho incontrato l'orribile trio.»
«Intendi Bellicosa, Terribile e Vespa?»
«Proprio loro. Ma a cosa pensavano
quando hanno scelto
quei nomi orrendi?» chiesi infilandomi
in bocca una manciata di
pretzel.
«Esattamente a quello che pensa tutto il
suo gruppo: di essere
meglio di chiunque altro e intoccabili,
perché la volgare Afrodite
sarà la nuova Somma Sacerdotessa.»
Replicai non appena le parole mi
passarono bisbigliando
nella mente: «Non credo che Nyx lo
consentirà».
«Che vuoi dire? Sono già il gruppo
'giusto', Afrodite è a capo
delle Figlie Oscure sin da quand'era in
quinta e la sua affinità è
diventata evidente.»
«Cos'è la sua affinità?»
«Ha delle visioni, per esempio di
disgrazie future», spiegò
accigliata Stevie Rae.
«Pensi che finga?»
«Oh, diavolo, no! È incredibilmente
precisa. Quello che
penso, e Damien e le gemelle sono
d'accordo con me, è che le
racconti solo quando le ha mentre è
presente qualcuno al di fuori
del suo gruppetto.»
«Un momento, stai dicendo che sa che
succederanno delle
brutte cose prima che accadano ma non
fa niente per evitarle?»
«Già. La settimana scorsa ha avuto una
visione all'ora di
pranzo, ma le streghe hanno stretto i
ranghi intorno a lei e hanno
cominciato a portarla fuori della sala da
pranzo. Se Damien non ci
avesse sbattuto contro perché era in
ritardo, facendole sparpagliare
e riuscendo così a vedere che Afrodite
era nel bel mezzo di una
visione, nessuno l'avrebbe mai saputo. E
con ogni probabilità
sarebbero morti tutti i passeggeri di un
intero aereo.»
Quasi mi strozzai con un pretzel e, tra
una tossita e l'altra,
riuscii a farfugliare: «Tutti i passeggeri
di un aereo? Oh cavolo!»
«Giààà, Damien era sicuro che lei stesse
avendo una visione,
perciò è andato da Neferet e Afrodite ha
dovuto spiegare ciò che
aveva visto, cioè un jet che si schiantava
appena dopo il decollo.
Le sue visioni sono talmente chiare che
è riuscita a descrivere
l'aeroporto e leggere i numeri sulla coda
dell'aereo. Quindi Neferet
ha contattato lo scalo di Denver. Loro
hanno fatto dei controlli e
hanno scoperto dei problemi di cui non
si erano accorti prima.
Hanno detto che, se non li avessero
risolti, l'aereo sarebbe caduto
immediatamente dopo il decollo. Ma so
benissimo che Afrodite
non avrebbe detto niente, se non fosse
stata beccata, anche se ha
raccontato la balla che le sue amiche la
stavano portando fuori
della sala da pranzo sapendo che
sarebbe voluta andare subito da
Neferet. Emerita stronzata.»
Stavo per dire che non potevo credere
che Afrodite e le sue
streghe potessero lasciare di proposito
che morissero centinaia di
persone, ma poi mi ricordai le parole
odiose che avevano detto
quella sera: I maschi umani fanno
schifo… Dovrebbero morire
tutti. Allora mi resi conto che non
avevano solo aperto la bocca e
dato fiato: avevano parlato sul serio. «E
allora perché Afrodite non
ha mentito a Neferet? Cioè, dicendole
l'aeroporto sbagliato o
invertendo i numeri del volo o roba
simile?»
«È quasi impossibile mentire ai vampiri,
soprattutto quando
ti fanno una domanda diretta. E poi
ricordati che Afrodite vuole
diventare Somma Sacerdotessa più di
ogni altra cosa, quindi, se
Neferet scoprisse quanto è falsa, i suoi
piani per il futuro ne
risentirebbero di brutto.»
«Afrodite non può diventare Somma
Sacerdotessa. È egoista
e odiosa, e lo sono anche le sue
amiche.»
«Sì, già, però Neferet non la pensa così
e lei era la sua
mentore.»
Sbattei le palpebre per la sorpresa.
«Vorrai scherzare! E si è
lasciata infinocchiare dalle stronzate di
Afrodite?» Non era
possibile. Neferet era troppo
intelligente.
Stevie Rae si strinse nelle spalle. «Si
comporta in modo
diverso quando c'è Neferet.»
«Ma comunque…»
«E poi ha davvero una forte affinità, il
che significa che Nyx
ha dei progetti speciali per lei.»
«Oppure è un diavolo dell'inferno e trae
i suoi poteri dal lato
oscuro della forza. Pronto? Nessuno ha
visto Guerre Stellari? Era
difficile pensare che Anakin Skywalker
potesse diventare cattivo e
guarda invece com'è andata.»
«Be', Zoey, quella è tutta roba
inventata.»
«Sì, però credo che chiarisca bene il
concetto.»
«Puoi sempre provare a dirlo a
Neferet.»
Masticai il panino e riflettei sulla cosa.
Magari avrei dovuto.
Neferet sembrava infinitamente troppo
intelligente per cadere nei
giochetti di Afrodite. Probabilmente
sapeva già che le streghe
infernali avevano in mente qualcosa.
Magari aveva solo bisogno
che qualcuno si prendesse la briga di
parlargliene. «Quindi
nessuno ha mai provato a dire a Neferet
di Afrodite?»
«Non che io sappia.»
«Perché no?»
Stevie Rae mi parve a disagio. «Be',
credo che sembri un po'
come fare la spia. E poi, cosa potremmo
dire a Neferet? Che
pensiamo che Afrodite potrebbe
nascondere le visioni che ha, ma
che la nostra unica prova a favore è che
è una stronza odiosa?»
Stevie Rae scosse la testa. «Non credo
che la Somma Sacerdotessa
apprezzerebbe una cosa del genere e,
anche se per qualche
miracolo ci credesse, cosa potrebbe
fare? Non può mica buttarla
fuori a calci dalla scuola in modo che
possa tossire a morte in
qualche angolo di strada. Continuerebbe
comunque a stare qui col
suo gruppo di streghe e tutti quei ragazzi
che farebbero qualunque
cosa per lei, basta che faccia schioccare
le sue ditine munite di
artigli. Direi che proprio non ne vale la
pena.»
Stevie Rae aveva fatto un'osservazione
giusta, ma non mi
piaceva. Non mi piaceva proprio per
niente.
Le cose potrebbero essere diverse se
una novizia più potente
prendesse il posto di Afrodite a capo
delle Figlie Oscure.
Sobbalzai con aria colpevole e cercai di
nasconderlo dietro una
gran sorsata di bollicine marroni. Ma
cosa andavo pensando? Non
avevo fame di potere. Non volevo
diventare Somma Sacerdotessa
o venire coinvolta nell'immensa rottura
di scatole di una battaglia
con Afrodite e metà della scuola (la
metà più affascinante,
peraltro), io volevo solo trovarmi un
posto in questa nuova vita, un
posto che sentissi casa… un posto dove
integrarmi ed essere come
tutti gli altri.
Poi mi ricordai delle scosse elettriche
che avevo provato
durante la realizzazione di entrambi i
cerchi e di come gli elementi
erano sembrati crepitare attraverso di
me; mi tornò in mente anche
di quanto mi ero dovuta sforzare per
rimanere nel cerchio e non
unirmi ad Afrodite al centro. «Stevie
Rae, quando viene creato un
cerchio, tu senti qualcosa?» chiesi di
punto in bianco.
«Cosa intendi?»
«Be', quando nel cerchio viene chiamato
il fuoco, tu senti
caldo?»
«Naaa. Cioè, mi piace molto la
cerimonia e a volte, quando
Neferet prega, sento l'energia che si
propaga nel cerchio stesso,
tutto qui.»
«Quindi non senti mai soffiare la brezza
quando viene
chiamato il vento né senti odore di
pioggia quand'è il turno
dell'acqua, e nemmeno l'erba sotto i
piedi quand'è il momento
della terra?»
«No di certo. Soltanto una Somma
Sacerdotessa con
un'affinità superiore per gli elementi
potrebbe…» S'interruppe di
colpo e sgranò gli occhi. «Mi stai
dicendo che tu hai percepito
qualcuna di queste cose? Tutte?»
Mi dimenai a disagio. «Forse.»
«Forse!» squittì. «Ma Zoey! Hai idea di
cosa potrebbe
significare?»
Scossi la testa.
«Giusto la settimana scorsa a lezione di
Sociologia abbiamo
studiato le più famose Somme
Sacerdotesse della storia. Non ce
n'è una con un'affinità per tutti e quattro
gli elementi da centinaia
di anni.»
«Cinque», la corressi, mogia.
«Tutti e cinque! Hai provato qualcosa
anche con lo spirito?!»
«Già, credo di sì.»
«Zoey! È incredibile. Non penso ci sia
mai stata una Somma
Sacerdotessa in grado di percepire tutti
e cinque gli elementi.»
Accennò al mio Marchio. «È questo.
Significa che sei diversa, e lo
sei davvero.»
«Stevie Rae, non potremmo tenercelo
per noi per un po'?
Cioè, non dirlo nemmeno a Damien e
alle gemelle? Io vorrei…
vorrei cominciare a capirci qualcosa da
sola. Ho la sensazione che
stia succedendo tutto troppo in fretta.»
«Ma Zoey, io…»
L'interruppi subito: «E poi potrei
sbagliarmi. Che
succederebbe se fossi stata soltanto
eccitata e nervosa perché era
la prima volta che partecipavo al rito?
Capisci come mi sentirei in
imbarazzo se dicessi in giro: 'Ehi, sono
l'unica novizia ad avere
affinità per tutti gli elementi' e poi
venisse fuori che è stato tutto
uno scherzo dei miei nervi?»
Stevie Rae si mordicchiò la guancia.
«Non lo so, continuo a
pensare che dovresti dirlo a qualcuno.»
«Già, così poi Afrodite e il suo branco
avrebbero tutti i
motivi per esultare, se risultasse che
m'immagino le cose.»
Stevie Rae impallidì. «Oh, ragazzi. Hai
proprio ragione.
Sarebbe davvero terribile. Non dirò
niente finché non sei pronta.
Promesso.»
La sua reazione mi fece tornare in mente
una cosa. «Senti,
scusa, posso chiederti che cosa ti ha
fatto Afrodite?»
Stevie Rae abbassò gli occhi, unì le
mani e ingobbì le spalle
come se all'improvviso sentisse freddo.
«Mi ha invitata a un
rituale. Non ero qui da molto, un mese
circa, ed ero così eccitata
che il gruppo 'giusto' mi volesse…»
Scosse la testa, continuando a
non guardarmi. «Sono stata una stupida,
ma allora non conoscevo
nessuno e pensavo che magari potevano
essere loro le mie amiche.
Così sono andata. Ma non volevano che
diventassi una di loro.
Volevano che fossi un… un… donatore
di sangue per il rito. Mi
hanno addirittura chiamata 'frigorifero',
come non fossi buona a
fare altro che contenere sangue per loro.
Mi hanno fatta piangere
e, quando ho detto di no, mi hanno presa
in giro e cacciata via. È
così che ho incontrato Damien, e poi
Erin e Shaunee.
Passeggiavano insieme e mi hanno vista
uscire di corsa dalla sala
di ricreazione, perciò mi hanno seguita e
mi hanno detto di non
preoccuparmi per quello che era
successo. Sono miei amici da
allora.» Finalmente mi guardò. «Mi
dispiace. Avrei dovuto dirti
qualcosa prima che tu ci andassi, ma
sapevo che con te non
l'avrebbero fatto. Tu sei troppo forte e
Afrodite è curiosa del tuo
Marchio. E poi sei molto bella e puoi
essere una di loro.»
«Ehi, sei bella anche tu!» Mi si era
rivoltato lo stomaco al
pensiero di Stevie Rae riversa sulla
sedia come Elliott… al
pensiero di bere il sangue di Stevie Rae.
«No, io sono giusto abbastanza carina.
Io non sono una di
loro.»
«Neanch'io sono una di loro!» strillai,
svegliando Nala, che
prese a brontolare.
«Lo so che non lo sei. Non è quello che
intendevo. Volevo
solo dire che sapevo che ti avrebbero
voluta nel gruppo e che
quindi non avrebbero cercato di usarti
come hanno fatto con me.»
No, erano riuscite a imbrogliarmi e
avevano fatto il possibile
per mettermi una gran strizza. Ma
perché?
Un momento! Sapevo cos'avevano in
mente. Erik aveva detto
che, quando aveva bevuto sangue per la
prima volta, gli aveva
fatto schifo ed era corso fuori a
vomitare. Io ero lì solo da due
giorni. Avevano voluto fare qualcosa
che mi avrebbe disgustata e
spaventata al punto da tenermi per
sempre lontana dal loro rituale.
Non volevano che entrassi a far parte
delle Figlie Oscure, ma
non volevano neanche dire a Neferet che
non mi volevano.
Intendevano fare in modo che fossi io a
rifiutarmi di unirmi a loro.
Per un qualche motivo contorto, quella
prepotente di Afrodite
voleva tenermi fuori delle Figlie
Oscure. I bulli mi avevano
sempre fatta incavolare come una biscia,
il che significava,
purtroppo, che sapevo cosa dovevo fare.
Oh, diavolo. Mi toccava
entrare nel gruppo delle Figlie Oscure.
«Zoey, non sei arrabbiata con me,
vero?» chiese Stevie Rae
con una vocina sottile.
Sbattei le palpebre, cercando di
chiarirmi le idee. «Certo che
no! Avevi ragione: Afrodite non ha
cercato di costringermi a dare
il sangue.» Mi cacciai in bocca l'ultimo
pezzo di panino,
masticando in fretta. «Ooh, sono proprio
distrutta. Pensi di
potermi aiutare a trovare una lettiera per
Nala, così riesco a
dormire un po'?»
Stevie Rae s'illuminò all'istante e saltò
giù dal letto con la sua
solita vitalità. «Guarda un po' qui.»
Schizzò dall'altra parte della
stanza e sollevò una grande borsa verde,
con sopra stampato a
caratteri cubitali: FELICIA'S
SOUTHERN AGRICULTURE STORE,
2616 S. HARVARD, TULSA, da cui
rovesciò sul pavimento una
lettiera, ciotoline per il cibo e per
l'acqua, una scatola di
croccantini Friskies (con protezione
speciale contro i grumi di
pelo) e un sacco di sabbietta.
«Come facevi a saperlo?»
«Non lo sapevo. L'ho trovata davanti
alla nostra porta quando
sono tornata dopo la cena.» Frugò in
fondo alla borsa e ne tolse
una busta e un adorabile collarino di
pelle rosa con sopra
minuscole punte d'argento.
«Tieni, è per te.»
Prima d'iniziare a convincere con
gentilezza Nala a
indossare il collare, Stevie Rae mi tese
la busta, che scoprii
aver scritto sopra il mio nome. Al suo
interno, una bella
calligrafia svolazzante su un costoso
biglietto di carta color
avorio diceva:
Skylar mi ha detto che lei stava
arrivando.
Era firmato soltanto con una lettera: N.
20
Dovevo proprio andare a parlare con
Neferet. Il mattino
dopo, mentre Stevie Rae e io facevamo
colazione in tutta fretta,
non facevo altro che pensarci. Non
volevo dirle della mia ipotetica
insolita reazione agli elementi. Insomma,
mica avevo raccontato
balle a Stevie Rae: era possibile che mi
fossi immaginata tutto e se
l'avessi riferito a Neferet e lei mi avesse
fatto fare chissà quale
strano test per le affinità (in quella
scuola, non si poteva mai dire)
scoprendo che non avevo altro che
un'immaginazione iperattiva?
Non mi sognavo neanche di affrontare
una cosa del genere, quindi
avrei tenuto la bocca chiusa finché non
ne avessi saputo di più. E
non volevo parlarle neanche del fatto
che pensavo di aver visto il
fantasma di Elizabeth. Mica volevo
pensasse che ero fuori di
melone. Neferet era fantastica, ma era
comunque un adulto e
riuscivo già quasi a sentire la menata
dell'«è stata solo la tua
immaginazione perché hai dovuto
affrontare così tanti
cambiamenti» che mi sarei beccata se
avessi ammesso di aver
visto uno spettro. Però dovevo parlarle
della questione della brama
di sangue (diavolo, se mi piaceva così
tanto, perché il solo
pensarci mi faceva venire la nausea?)
Stevie Rae indicò Nala. «Credi che
abbia intenzione di venire
in classe con te?»
Abbassai lo sguardo verso i miei piedi,
dove la gattina si era
acciambellata a fare le fusa. «Può?»
«Intendi dire se le è permesso farlo?»
Annuii.
«Sì, i gatti possono andare dove
vogliono.»
Mi chinai ad accarezzarle la testa.
«Allora immagino che
potrebbe venirmi dietro tutto il giorno.»
«Be', sono contenta che sia tua e non
mia. Da quanto ho visto
quando mi sono svegliata, è una vera
rubacuscini.»
Risi. «Hai proprio ragione. Come riesca
un affarino tanto
piccolo a spingermi via dal mio cuscino
davvero non lo so.» Le
feci un altro grattino in testa. «Andiamo,
se no arriviamo in
ritardo.»
Mi alzai con la ciotola in mano e quasi
andai a sbattere
contro Afrodite, che, come al solito,
aveva al fianco Terribile e
Bellicosa. Vespa non si vedeva (magari
quella mattina si era fatta
la doccia e si era sciolta al contatto con
l'acqua – hi hi hi!)
Il sorriso maligno di Afrodite mi ricordò
un piranha che
avevo visto al Jenks Aquarium l'anno
prima, durante una gita con
la classe di biologia. «Ciao, Zoey.
Diamine, ieri sera sei scappata
via tanto in fretta che non ho avuto modo
di salutarti. Mi dispiace
che non ti sia trovata bene. È un vero
peccato, ma le Figlie Oscure
non sono adatte a tutti.» Lanciò
un'occhiata a Stevie Rae e incurvò
le labbra.
«A dire il vero ieri sera mi è piaciuta un
sacco e il vestito che
mi hai dato è proprio un amore!»
esclamai con esagerato
entusiasmo. «Ti ringrazio di avermi
invitata a fare parte delle
Figlie Oscure. Accetto. Assolutamente.»
Il sorriso feroce di Afrodite sbiadì.
«Davvero?»
Sorrisi a mia volta, ma come un'idiota
totale e inconsapevole.
«Davvero! Quand'è il prossimo incontro
o rituale o quello che è…
o devo chiederlo a Neferet? Devo
vederla stamattina. So che sarà
contenta di sapere che ieri sera mi hai
fatto proprio sentire la
benvenuta e che adesso sono anch'io una
Figlia Oscura!»
Afrodite esitò soltanto un istante, poi
riprese a sorridere e si
adeguò alla perfezione al mio tono da
ingenua. «Già, scommetto
che sarà felice di sapere che ti sei unita
a noi, ma il capo delle
Figlie Oscure sono io e conosco i nostri
programmi a memoria,
perciò non è necessario scocciarla con
domande stupide. Domani
c'è la nostra celebrazione di Samhain.
Metti il tuo vestito.»
Aveva enfatizzato il possessivo e il mio
sorriso si fece ancora
più grande. La mia intenzione era di
stuzzicarla, e c'ero riuscita.
«Ci troviamo alla sala di ricreazione
alle quattro precise.»
«Grandioso. Ci sarò.»
«Bene, è proprio una bella sorpresa»,
commentò mielosa.
Poi, seguita da Terribile e Bellicosa
(che avevano l'aria sconvolta
di due reduci da un bombardamento),
lasciò la cucina.
«Streghe infernali», borbottai sottovoce.
Guardai Stevie Rae,
che mi osservava con espressione
afflitta.
«Ti unisci al loro gruppo?» sussurrò.
«Non è come pensi. Vieni, ti spiego
mentre andiamo in
classe.» Misi i piatti della colazione
nella lavastoviglie e guidai
una Stevie Rae troppo silenziosa fuori
del dormitorio.
Nala ci seguiva soffiando a qualunque
gatto osasse
avvicinarsi troppo a me.
«Sono in ricognizione, proprio come hai
detto tu ieri sera»,
spiegai a Stevie Rae.
«No. Non mi piace.» Scosse la testa con
tanta forza da far
ballonzolare i corti capelli biondi.
«Hai mai sentito quel vecchio detto:
'Tienti gli amici vicino e
i nemici ancora più vicino?'»
«Sì, ma…»
«È quello che sto facendo. Afrodite se la
cava troppo liscia
per tutte le stronzate che fa. È cattiva. È
egoista. Non può essere
lei quella che Nyx vuole come Somma
Sacerdotessa.»
Stevie Rae sgranò gli occhi. «Hai
intenzione di fermarla?»
«Be' almeno ci proverò.» E, mentre lo
dicevo, sentii pizzicare
la mezzaluna color zaffiro che mi
decorava la fronte.
«Grazie per le cose da gatto che mi ha
preso per Nala»,
esordii.
Neferet alzò gli occhi dai compiti che
stava correggendo e
sorrise. «Nala… proprio un bel nome
per lei. Ma dovresti
ringraziare Skylar, non me. È lui che mi
ha detto che stava
arrivando.» Poi guardò la palla di pelo
arancio che si strusciava
impaziente contro le mie caviglie. «Ti è
davvero affezionata.» Gli
occhi si spostarono di nuovo a guardare
me. «Dimmi, Zoey, ti
capita di sentire la sua voce nella mente,
o di sapere esattamente
dove si trova anche se non è nella stessa
stanza in cui sei tu?»
Sbattei le palpebre. Neferet pensava che
potessi avere
un'affinità coi gatti! «No, io… io non la
sento nella mente, però
brontola in continuazione. E non so se
saprei dove si trova se non
fosse con me perché finora mi è sempre
rimasta vicino.»
«È deliziosa. Vieni, piccolina.» Neferet
mosse un dito per
attirare Nala.
La gatta saltò sulla scrivania,
sparpagliando tutti i fogli.
«Oh, mamma mia, Neferet, mi dispiace.»
Feci per afferrare la
gatta ma Neferet mi allontanò con un
gesto.
Accarezzò la testa di Nala, che chiuse
gli occhi e prese a fare
le fusa. «I gatti sono sempre i benvenuti
e i fogli si rimettono a
posto in fretta. Ora dimmi, Zoeybird, di
cosa sei venuta a parlarmi
in realtà?»
L'uso del soprannome che mi aveva dato
la nonna mi strinse
il cuore e all'improvviso sentii la sua
mancanza con un'intensità
che mi costrinse a ricacciare indietro le
lacrime.
«Ti manca la tua vecchia casa?» chiese
gentilmente Neferet.
«No, per niente. Be', tranne la nonna, ma
sono stata talmente
impegnata che me ne sono resa conto
soltanto ora», replicai
sentendomi in colpa.
«Non ti mancano mamma e papà.»
L'aveva detto come un'affermazione, ma
sentii di doverle
rispondere comunque. «No. Be', in
realtà non ho un papà. Ci ha
lasciati quando ero piccola. La mamma
si è risposata tre anni fa
e…»
«A me lo puoi dire. Ti do la mia parola
che capirò»,
intervenne Neferet.
Sbottai con più rabbia di quanta non
pensassi di provare: «Lo
odio! Da quand'è entrato a far parte
della nostra famiglia» – diedi
appositamente al termine un tono
sarcastico –, «non ne è andata
dritta una. La mamma è cambiata
completamente. È come se non
potesse essere allo stesso tempo sua
moglie e mia madre. Perciò è
da tanto che quella non è più casa per
me».
«Mia madre morì quando avevo dieci
anni. Mio padre non si
risposò, ma iniziò invece a usare me
come moglie.
Da allora, ha abusato di me fino al
momento in cui Nyx mi
ha salvata Segnandomi col suo Marchio.
Avevo quindici anni.»
Neferet s'interruppe e lasciò che lo
shock delle sue parole mi
diventasse del tutto comprensibile,
prima di riprendere. «Perciò,
vedi, quando ho detto che capivo che
cosa si prova nel momento
in cui la propria casa diventa un luogo
insopportabile, non parlavo
per frasi fatte.»
«È una cosa terribile.» Non sapevo che
altro dire.
«All'epoca lo era. Adesso è
semplicemente un ricordo come
tanti. Vedi, Zoey, gli umani del tuo
passato, anche quelli del
presente e del futuro, diventeranno
sempre meno importanti per te,
sinché, alla fine, non proverai quasi più
nulla per loro. Lo capirai
meglio proseguendo nella
Trasformazione.»
La sua voce era piatta e gelida e mi fece
una strana
sensazione, quindi mi sentii dire: «Non
voglio smettere di voler
bene alla nonna».
«Ma certo che no», replicò, il tono
tornato di nuovo caldo e
premuroso. «Sono solo le ventuno,
perché non le telefoni? Puoi
arrivare in ritardo alla lezione di
Recitazione: farò sapere alla
professoressa Nolan che sei
giustificata.»
«Grazie, mi farebbe molto piacere. Ma
non è di questo che
volevo parlarle.» Trassi un profondo
respiro. «Ieri sera ho bevuto
del sangue.»
Neferet annuì. «Spesso le Figlie Oscure
mischiano del
sangue di novizio al loro vino rituale. È
una cosa che ai giovani
piace fare. Ti ha disturbata molto?»
«Be', l'ho saputo solo a cose fatte, e
allora sì, mi ha
disturbata.»
Neferet aggrottò la fronte. «Non è stato
etico da parte di
Afrodite non dirtelo prima. Avresti
dovuto avere la possibilità di
decidere. Le parlerò.»
«No!» replicai un po' troppo in fretta,
quindi mi costrinsi a
sembrare più calma. «Davvero, non ce
n'è bisogno. Me ne occupo
io. Ho deciso di far parte delle Figlie
Oscure, quindi non voglio
cominciare mettendo nei guai Afrodite.
Non sarebbe certo un buon
inizio.»
«Probabilmente hai ragione. Afrodite
può essere
imprevedibile e sono sicura che tu
saprai badare a te stessa. Se
appena possibile, incoraggiamo i novizi
a risolvere tra loro gli
eventuali problemi che possono avere.»
Mi scrutò con aria
preoccupata. «È normale che i primi
sorsi di sangue non risultino
affatto invitanti. Lo sapresti se fossi con
noi da più tempo.»
«Non è questo. È che… l'ho trovato
delizioso. Erik mi ha
detto che la mia era una reazione
insolita.»
Le sopracciglia perfette di Neferet
schizzarono verso l'alto.
«Lo è davvero. Per caso ti sei sentita
anche eccitata o ti girava un
po' la testa?»
«Entrambe le cose», replicai sottovoce.
Neferet squadrò il mio Marchio. «Tu sei
unica, Zoey
Redbird. Be', penso sarebbe meglio
toglierti dall'attuale sezione di
Sociologia e spostarti a Sociologia
415.»
«Preferirei che non lo facesse. Mi sento
già abbastanza
diversa così, con tutti che guardano il
mio Marchio e controllano
per vedere se faccio qualcosa di strano.
Se mi sposta in una classe
con ragazzi qui già da tre anni,
penseranno davvero tutti che sono
anormale.»
Neferet esitò, accarezzando la testa di
Nala mentre rifletteva.
«Capisco quello che vuoi dire, Zoey.
Non sono più un'adolescente
da oltre cent'anni, ma i vampiri sono
dotati di una memoria lunga
e precisa, perciò mi ricordo benissimo
com'è stato affrontare la
Trasformazione.» Sospirò. «Senti, che
ne diresti di un
compromesso? Ti lascio restare nella
sezione di terza di
Sociologia, ma ti darò anche il testo che
usiamo nelle classi
superiori. Tu dovrai leggere un capitolo
a settimana e promettere
di discutere con me qualunque dubbio o
domanda tu abbia.»
«Andata.»
«Sai, Zoey, mentre è in corso la
Trasformazione, tu diventi
gradualmente un essere del tutto nuovo. I
vampiri non sono esseri
umani, anche se una volta lo erano.
Adesso questo ti può sembrare
riprovevole, ma il tuo desiderio di
sangue è normale nella tua
nuova vita quanto il desiderio per…»
S'interruppe e sorrise. «… le
'bollicine marroni' in quella vecchia.»
«Diavolo! Ma lei sa tutto?»
«Nyx è stata generosa con me. Oltre
all'affinità coi nostri
amatissimi felini e le capacità
terapeutiche, mi ha donato anche un
profondo intuito.»
«Può leggermi nel pensiero?» chiesi,
nervosa.
«Non proprio. Ma posso cogliere
spizzichi e bocconi delle
cose. Per esempio, so che c'è
qualcos'altro che mi vuoi dire
riguardo alla scorsa notte.»
Presi un altro respirone. «Ero turbata
per aver scoperto la
faccenda del sangue, perciò sono corsa
via dalla sala di
ricreazione. È così che ho trovato Nala.
Stava su un albero
vicinissimo al muro di cinta, perciò mi
sono arrampicata sulla
recinzione per tirarla giù e, mentre le
parlavo, sono arrivati due
ragazzi della mia vecchia scuola.»
«Cos'è successo?» La mano di Neferet
si era fermata: non
accarezzava più la gatta e rivolgeva a
me tutta la sua attenzione.
«Non è stato bello. Loro… loro erano
andati, un po' fatti e un
po' sbronzi.» Okay, quello non volevo
dirlo ma mi era scappato!
«Hanno cercato di farti del male?»
«Oh, no, niente del genere. Erano la mia
ex-migliore-amica e
il mio quasi-ex-ragazzo.»
Neferet aggrottò di nuovo le
sopracciglia.
«Cioè, avevo smesso di uscire con lui,
ma tra di noi c'era
comunque qualcosa.»
Annuì come se capisse. «Continua.»
«Kayla e io abbiamo quasi litigato. Mi
vede in modo diverso,
adesso, e immagino di vederla in modo
diverso anch'io. E a
nessuna delle due piace questo nuovo
punto di vista.» Mentre lo
dicevo, mi resi conto che era vero. Non
è che Kay fosse cambiata,
in realtà era sempre stata così, solo che
le piccole cose cui prima
non facevo caso, come le kaylate prive
di senso o il suo lato
cattivo, di colpo erano diventate troppo
irritanti da sopportare.
«Comunque poi se n'è andata e io sono
rimasta sola con Heath.»
Mi fermai, incerta se raccontare il resto.
Neferet strinse le palpebre. «Hai
provato brama di sangue per
lui?»
«Sì», mormorai.
«Zoey, hai anche bevuto il suo sangue?»
Il tono era brusco.
«Ne ho assaggiata solo una goccia.
L'avevo graffiato. Non
l'ho fatto apposta, ma quando ho udito il
pulsare delle sue vene…
mi è venuto così.»
«Perciò non hai bevuto direttamente
dalla ferita?»
«Avevo cominciato, ma Kayla è tornata
e ci ha interrotti. Era
del tutto fuori di testa e a quel punto
sono riuscita a far andare via
Heath.»
«Perché, non voleva?»
Scossi la testa. «No, non voleva.» Mi
sembrava di essere sul
punto di scoppiare di nuovo a piangere.
«Neferet, mi dispiace
tanto! Io non avevo intenzione di farlo.
Non sapevo neanche cosa stessi facendo
finché Kayla non si
è messa a strillare!»
«Ovvio che tu non sapessi cosa stava
succedendo. Come
potrebbe essere a conoscenza della
brama di sangue una novizia
Segnata da poco?» Mi sfiorò il braccio
con un gesto rassicurante,
da mamma. «Probabilmente non c'è stato
nessun Imprinting con
lui.»
«Imprinting?»
«È quello che succede quando i vampiri
bevono direttamente
dagli umani, soprattutto se esiste già un
legame tra loro precedente
allo scambio di sangue. Per questo ai
novizi è proibito bere sangue
umano e, a dire il vero, è fortemente
sconsigliato anche ai vampiri
adulti. Esiste un'intera setta di vampiri
che lo considera
moralmente sbagliato e vorrebbe
renderlo illegale», spiegò.
Mentre parlava, i suoi occhi si fecero
più scuri e l'espressione
che vi lessi mi rese nervosa al punto da
farmi rabbrividire. Poi
Neferet sbatté le palpebre e gli occhi
tornarono normali.
Che me la fossi solo immaginata quella
strana oscurità?
«Ma questa è una dissertazione adatta
alla mia classe di
sesta.»
«Cosa devo fare con Heath?»
«Niente. Fammi sapere se cerca di
rivederti. Se ti chiama,
non rispondere. Se ha iniziato
l'Imprinting, anche il suono della
tua voce può avere effetto su di lui e
agire come un richiamo per
attirarlo verso di te.»
«Sembra una roba tratta da Dracula»,
borbottai.
«Non ha niente a che vedere con quel
maledetto libro!»
scattò. «Stoker ha diffamato i vampiri, e
questo ha causato infiniti
piccoli screzi con gli umani.»
«Mi scusi, io non volevo…»
Con un gesto della mano, chiuse la
questione. «No, sono io
che non avrei dovuto riversare su di te
le mie frustrazioni riguardo
al libro di quel vecchio pazzo. E non
preoccuparti per il tuo amico
Heath. Sono sicura che starà benissimo.
Hai detto che aveva
bevuto e fumato? Immagino intendessi
marijuana.»
Annuii. «Ma io non fumo. E, a dire il
vero, non avevano mai
fumato neanche lui e Kayla. Non capisco
cosa stia succedendo a
quei due. Credo stiano uscendo con
qualcuno di quei drogati di
giocatori di football di Union e che non
abbiano avuto il
buonsenso di dire di no.»
«Be', la sua reazione nei tuoi confronti
potrebbe avere avuto
a che fare più col livello
d'intossicazione che con un possibile
Imprinting.» S'interruppe, estrasse un
block notes dal cassetto
della scrivania e mi tese una penna. «In
caso non fosse così,
perché non mi scrivi per esteso il nome
dei tuoi amici e il loro
indirizzo? Oh e, se lo conosci, aggiungi
anche il nome dei
giocatori di Union.»
Mi sentii precipitare il cuore sotto i
tacchi «Perché le servono
i nomi? Non ha intenzione di chiamare i
loro genitori, vero?»
Neferet rise. «No di certo. Il cattivo
comportamento degli
adolescenti umani non è di mia
competenza. Te lo chiedo solo in
modo da poter concentrare i pensieri su
quel gruppo e magari
scoprire eventuali tracce di possibile
Imprinting tra loro.»
«E cosa succede se le trova? Cosa
succederà a Heath?»
«È molto giovane e l'Imprinting, se ci
fosse, sarebbe debole,
quindi alla fine si dissolverebbe col
tempo e la lontananza. Se
invece avesse realmente un Imprinting
completo, ci sono modi per
spezzarlo.» Stavo per dirle che forse era
meglio che facesse quello
che doveva fare per spezzarlo, quando
aggiunse: «Nessuno di quei
modi è piacevole».
«Oh, okay.»
Scrissi nome e indirizzo di Kayla e di
Heath. Non avevo idea
di dove abitassero i ragazzi di Union,
ma ricordavo come si
chiamavano.
Neferet si alzò e andò in fondo alla
stanza a prendere un
grosso libro di testo il cui titolo in
lettere d'argento recitava:
Sociologia 415. «Comincia col primo
capitolo e piano piano
leggiti tutto il libro. Finché non l'avrai
finito, considera che sia
questo il tuo compito, invece di quelli
che assegnerò al resto della
classe di Sociologia 101.»
Presi il libro. Era pesante e la copertina
risultò fredda nella
mia stretta bollente e nervosa.
«Se hai delle domande, qualunque
domanda, vieni subito da
me. Se non sono qui, puoi trovarmi nel
mio appartamento presso il
tempio di Nyx. Raggiungi l'ingresso
principale e segui le scale
sulla destra. Al momento sono l'unica
sacerdotessa della scuola,
quindi ho per me tutto il primo piano. E
non aver paura di
disturbarmi. Sei la mia novizia, perciò
disturbarmi è un tuo
dovere», aggiunse con un caldo sorriso.
«Grazie, Neferet.»
«Cerca di non preoccuparti. Nyx ti ha
sfiorata e la dea bada a
coloro che le appartengono.» Mi
abbracciò. «Adesso vado dalla
professoressa Nolan a spiegarle cosa ti
trattiene. Rimani qui e
adopera pure il telefono sulla mia
scrivania per chiamare tua
nonna.» Mi abbracciò di nuovo e poi si
chiuse delicatamente la
porta alle spalle.
Mi sedetti alla sua scrivania e pensai
quant'era magnifica la
mia mentore e da quanto tempo mia
mamma non mi abbracciava a
quel modo. E per qualche ragione
scoppiai a piangere.
21
«Ciao, nonna, sono io.»
«Oh! La mia Zoeybird! Stai bene,
gioia?»
Sorrisi nel telefono e mi asciugai gli
occhi. «Va tutto bene,
nonna, è solo che mi manchi.»
«Mio piccolo uccellino, anche tu mi
manchi.» Fece una
pausa. «Tua madre ti ha chiamata?»
«No.»
La nonna sospirò. «Be', gioia, magari
non vuole disturbarti
mentre ti stai organizzando nella tua
nuova vita. Le ho detto che
Neferet mi ha spiegato che per te il
giorno e la notte sono
invertiti.»
«Grazie, nonna, ma non credo sia per
questo che non mi ha
telefonato.»
«Magari ha provato e hai perso la
chiamata. Ieri ho fatto il
numero del tuo cellulare, ma mi ha
risposto la segreteria.»
Provai una fitta di senso di colpa. Non
avevo neanche
guardato il telefonino per i messaggi.
«Ho dimenticato di
ricaricare la batteria. È in camera. Scusa
se non ti ho risposto,
nonna.» Poi, per farla sentire meglio (e
per fare in modo che
cambiasse argomento), aggiunsi:
«Quando torno in stanza
controllo. Magari la mamma ha chiamato
davvero».
«Magari l'ha fatto, gioia. Allora,
raccontami, come si sta lì?»
«È bello. Cioè, ci sono un sacco di cose
che mi piacciono. Le
lezioni sono favolose. Sai, nonna, faccio
persino scherma ed
equitazione.»
«Che meraviglia! Mi ricordo quanto ti
piaceva cavalcare
Bunny.»
«E ho anche una gatta!»
«Oh, Zoeybird, sono così contenta. Ti
sono sempre piaciuti i
gatti. E stai facendo amicizie?»
«Sì, la mia compagna di stanza è
fortissima. Si chiama Stevie
Rae. E mi piacciono anche i suoi
amici.»
«Allora, se va tutto bene, perché quelle
lacrime?»
Avrei dovuto saperlo che non potevo
nasconderle niente. «È
solo che… che alcune delle cose che
riguardano la Trasformazione
sono davvero complicate da affrontare.»
La sua voce era carica di ansia. «Però
stai bene, vero? La
testa è a posto?»
«Sì, sì, non c'entra. È che…» Mi fermai.
Volevo dirglielo;
volevo dirglielo così tanto che sarei
potuta esplodere, ma non
sapevo come. E avevo paura, paura che
poi non mi avrebbe più
voluto bene. Insomma, la mamma non me
ne voleva più, giusto?
O quantomeno mi aveva scambiata con
un nuovo marito e, in un
certo senso, questo era anche peggio che
smettere di volermi bene.
Cos'avrei fatto se anche la nonna si
fosse allontanata da me?
«Zoeybird, lo sai che puoi raccontarmi
tutto», mi disse con
dolcezza.
«È difficile, nonna.» Mi morsi il labbro
per non piangere.
«Allora provo a rendertelo più
semplice. Non c'è niente che
tu possa dire che mi faccia smettere di
volerti bene. Sono tua
nonna oggi e lo sarò domani e il
prossimo anno. Sarò tua nonna
anche dopo aver raggiunto i nostri
antenati nel mondo degli spiriti
e anche da lì continuerò a volerti bene,
uccellino mio.»
«Ho bevuto del sangue e mi è piaciuto!»
«Ma, gioia, non è questo che fanno i
vampiri?» replicò lei
senza la minima esitazione.
«Sì, ma io non sono un vampiro, sono
una novizia soltanto da
pochi giorni.»
«Zoey, ma tu sei speciale. Lo sei sempre
stata. Perché le cose
dovrebbero cambiare adesso?»
«Io non mi sento speciale. Mi sento
diversa, un mostro.»
«Allora ricordati una cosa: tu sei
sempre tu. Non importa che
sia stata Segnata col Marchio. Non
importa che stia affrontando la
Trasformazione. Dentro, il tuo spirito è
sempre il tuo spirito, la tua
anima. Dall'esterno potrai sembrare una
sconosciuta dall'aria
familiare, ma devi solo guardarti dentro
per ritrovare quella te
stessa che conosci da sedici anni.»
«La sconosciuta dall'aria familiare…»
mormorai. «Come
facevi a saperlo?»
«Gioia, tu sei la mia bambina. Sei figlia
del mio spirito. Non
è difficile capire come ti devi sentire…
molto simile a come
immagino mi sentirei io.»
«Grazie, nonna.»
«Non c'è di che, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.»
Sorrisi. Amavo il suono del termine
cherokee per «figlia»:
così magico e speciale, quasi fosse un
titolo dato da una Dea. Dato
da una Dea… «Nonna, c'è un'altra
cosa.»
«Dimmi, uccellino.»
«Credo di percepire tutti e cinque gli
elementi, quando viene
creato il cerchio.»
«Se è vero, Zoey, ti è stato dato un
potere davvero grande. E
sai che a un grande potere si associa una
grande responsabilità. La
nostra famiglia ha una lunga storia di
Anziani Tribali, Uomini di
Medicina e Donne Sapienti. Bada
sempre a pensare prima di agire,
uccellino mio. La Dea non ti avrebbe
concesso poteri speciali per
capriccio. Usali con attenzione e fa' in
modo che Nyx, oltre ai tuoi
antenati, abbassi lo sguardo su di te e
sorrida.» «Farò del mio
meglio, nonna.» «È tutto quello che ti
chiedo, Zoeybird.» «Qui c'è
un'altra ragazza che ha dei poteri
speciali, ma è orribile. È
prepotente e racconta bugie. Nonna, io
credo… io credo…» Presi
l'ennesimo respirane e dissi quello che
mi si era agitato nella testa
per tutta la mattina. «Credo di essere più
forte di lei e che forse
Nyx mi ha Segnata in modo che potessi
allontanarla dalla
posizione che occupa. Ma… ma questo
vorrebbe dire che devo
prendere il suo posto e non so se sono
pronta, non ora. Magari non
lo sarò mai.»
«Zoeybird, segui ciò che ti dice il tuo
spirito.» Dopo una
lieve esitazione, aggiunse: «Gioia, ti
ricordi la preghiera di
purificazione del nostro popolo?»
Mi tornarono subito in mente le
innumerevoli volte in cui ero
andata con la nonna al ruscello dietro
casa sua e l'avevo guardata
fare il bagno rituale nell'acqua corrente
e pronunciare la preghiera
di purificazione. A volte entravo anch'io
nel torrente e recitavo la
preghiera con lei. Quel rito era parte
della mia infanzia, ripetuto al
cambio di stagione in ringraziamento per
il raccolto di lavanda o
in preparazione dell'inverno in arrivo,
oltre che ogni volta in cui la
nonna doveva prendere una decisione
difficile. A volte nemmeno
sapevo perché si purificasse e recitasse
la preghiera:
semplicemente c'era sempre stata nel
rapporto tra lei e me. «Me la
ricordo.»
«C'è dell'acqua corrente nell'area della
scuola?»
«Non lo so, nonna.»
«Be', se non ci fosse trova qualcosa da
usare come smudge
stick per la fumigazione. Salvia e
lavanda insieme sono la cosa
migliore, ma puoi usare anche del pino
se non hai alternative. Sai
cosa devi fare, Zoeybird?»
«Devo passarmi intorno lo smudge,
cominciando dai piedi e
risalendo, davanti e dietro», declamai,
come fossi stata ancora
piccola, quando la nonna m'insegnava le
usanze del nostro popolo.
«Poi mi volto verso est e recito la
preghiera di purificazione.»
«Molto bene, te lo ricordi. Chiedi aiuto
alla Dea, Zoey. Sono
convinta che ti ascolterà. Puoi farlo
prima dell'alba di domani?»
«Penso di sì.»
«Reciterò la preghiera anch'io,
aggiungendo la voce di una
nonna alla richiesta alla Dea perché ti
guidi.»
E di colpo mi sentii meglio. La nonna
non si sbagliava mai in
questo genere di cose: se era convinta
che sarebbe andata bene,
sarebbe senz'altro stato così. «Reciterò
la preghiera di
purificazione prima dell'alba.
Promesso.»
«Brava, uccellino mio. Adesso è meglio
che questa vecchia
signora ti lasci andare. In questo
momento sei nel bel mezzo di
una giornata di studio, giusto?»
«Sì, sto per andare al corso di
Recitazione. E, nonna, tu non
sarai mai vecchia.»
«Non finché posso ascoltare la tua voce,
uccellino mio. Ti
voglio bene, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.»
«Anch'io ti voglio bene, nonna.»
Parlare con la nonna mi aveva tolto un
peso tremendo dal
cuore. Ero ancora preoccupata e
spaventata riguardo al futuro, e
non è che l'idea di portare via il posto
ad Afrodite mi riempisse di
gioia. Proprio non sapevo come fare,
però avevo un piano. Be',
okay, forse non era un «piano», ma
almeno era qualcosa con cui
tenermi occupata. Avrei portato a
termine la preghiera di
purificazione e poi… poi avrei cercato
di capire cosa dovevo fare
dopo.
Sì, funzionerà. O almeno era quello che
continuai a ripetermi
durante le lezioni del mattino. Per l'ora
di pranzo avevo deciso il
luogo del mio rituale: sotto l'albero
vicino al muro di cinta dove
avevo trovato Nala. Ci pensai mentre
seguivo le gemelle al banco
delle insalate. Gli alberi, in particolare
le querce, erano sacri al
popolo cherokee, quindi mi sembrò una
buona scelta. In più era
riparato e facile da raggiungere. Certo,
Heath e Kayla mi avevano
trovata lì, ma non avevo intenzione di
sedermi di nuovo sul muro
e non riuscivo a immaginare Heath che
si presentava all'alba due
giorni di fila, Imprinting o no. Voglio
dire, era il tipo che d'estate
dormiva fino alle due del pomeriggio,
ogni giorno. Ci volevano
due sveglie e gli strilli di sua madre per
farlo alzare per andare a
scuola. Probabilmente avrebbe
impiegato un paio di mesi per
riprendersi dalla levataccia del giorno
prima, anche se
probabilmente era uscito di casa di
nascosto, aveva incontrato Kay
(per lei uscire di nascosto è sempre
stato facile dato che i suoi
genitori sono dei tonti totali) ed erano
stati in piedi tutta la notte. Il
che significava che non era andato a
scuola e che sarebbe stato
assonnato e rinco per i prossimi due
giorni. In ogni caso, non mi
preoccupavo che potesse comparire.
«Non trovi che le mini pannocchie
facciano impressione? C'è
qualcosa di sbagliato in quei corpicini
in miniatura.»
Sobbalzai e feci quasi cadere il mestolo
della salsa ranch nel
grosso recipiente pieno di liquido
bianco, quindi alzai gli occhi a
incrociare quelli azzurri e allegri di
Erik.
«Oh, ciao. Mi hai spaventata.»
«Zy, credo di star prendendo l'abitudine
di arrivarti alle spalle
di soppiatto.»
Ridacchiai nervosa, più che
consapevole che le gemelle
osservavano ogni nostra mossa.
«Sembra che ti sia ripresa da ieri.»
«Sì, nessun problema. Sto bene. E
stavolta non sto
mentendo.»
«E ho sentito che sei entrata a far parte
delle Figlie Oscure.»
Shaunee ed Erin inspirarono
rumorosamente all'unisono.
Feci bene attenzione a non guardarle.
«Già.»
«Ottimo. A quel gruppo serve sangue
nuovo.»
«Hai detto 'quel gruppo' come se tu non
ne facessi parte. Non
sei un Figlio Oscuro?»
«Sì, ma non è lo stesso che essere una
Figlia Oscura. Noi
siamo giusto decorativi. Un po'
l'opposto di come va nel mondo
degli umani. Tutti i ragazzi sanno di
essere lì solo perché hanno un
aspetto carino e per far divertire
Afrodite.»
Tornai a guardarlo negli occhi,
leggendoci qualcos'altro. «Ed
è questo che continui a fare, divertire
Afrodite?»
«Come ho detto ieri sera, non più ormai,
ed è uno dei motivi
per cui non mi considero davvero parte
del gruppo. Sono certo che
mi avrebbero già sbattuto fuori a pedate
se non fosse per quel poco
di recitazione che faccio.»
«Con 'poco' intendi il fatto che a
Broadway e a Los Angeles
s'interessano già a te?»
Mi fece un gran sorriso. «È quello che
intendo. Non è reale,
sai. Recitare è tutto una finta. Non è
quello che sono davvero.» Si
chinò a bisbigliarmi all'orecchio. «In
realtà, sono uno sfigato.»
«Ma per favore! Non dirmi che qualcuno
ci casca con questa
recita.»
Esagerò un'aria offesa. «Recita? No, Zy,
non è una recita e te
lo posso dimostrare.»
«Come no.»
«Invece sì. Vediamoci stasera.
Guarderemo i miei DVD
preferiti in assoluto.»
«E questo cosa dimostrerebbe?»
«Sono i DVD di Guerre Stellari, gli
originali. Conosco le
battute di tutti i personaggi.» Si avvicinò
di più e bisbigliò ancora.
«So a memoria anche la parte di
Chewbacca.»
Risi. «Hai ragione. Sei uno sfigato.»
«Te l'avevo detto.»
Eravamo arrivati alla fine del banco
delle insalate e lui
s'incamminò con me verso il tavolo
dove erano già seduti Damien,
Stevie Rae e le gemelle. Che no, non
facevano niente per
nascondere il fatto che ci stessero
osservando a bocca aperta.
«Allora stasera… vieni… con me?»
Potevo sentire i miei quattro amici
trattenere il fiato. In senso
letterale.
«Mi piacerebbe, ma stasera non posso.
Io… ho già un
impegno.»
«Oh. Okay. Allora… la prossima volta.
Ci vediamo.» Fece
un cenno con la testa al resto del tavolo
e se ne andò.
Mi sedetti.
Mi fissavano tutti.
«Be'?» chiesi.
«Tu devi aver perso anche l'ultima
piccolissima rotella che
avevi nel cervello», esordì Shaunee.
«Proprio quello che pensavo io,
gemella», convenne Erin.
«Spero che tu abbia un motivo
veramente buono per dargli
un due di picche», intervenne Stevie
Rae. «È chiaro che hai urtato
i suoi sentimenti.»
«Pensi che potrei consolarlo io?» chiese
Damien, che
continuava a fissare Erik con occhi
sognanti.
«Piantala», lo rimbeccò Erin.
«Giocate in due squadre diverse»,
aggiunse Shaunee.
«Zitti!» sbottò Stevie Rae. Si voltò a
guardarmi negli occhi.
«Perché gli hai detto di no? Cosa può
esserci di più importante che
uscire con lui?»
«Liberarsi di Afrodite», replicai
semplicemente.
22
«Non ha tutti i torti», commentò Damien.
«È entrata a far parte delle Figlie
Oscure», intervenne
Shaunee.
«Cosa?» squittì Damien, la voce più alta
di almeno venti
ottave.
Stevie Rae accorse subito in mia difesa.
«Lasciatela stare! È
in ricognizione.»
«Ricognizione un cavolo! Se si è unita
alle Figlie Oscure, ha
ingaggiato battaglia col nemico, altro
che», disse Damien.
«Be', l'ha fatto», fece Shaunee.
«Abbiamo sentito che lo diceva»,
concluse Erin.
«Salve! Sono ancora qui, non l'avete
notato?» sbottai.
«Allora, cos'hai intenzione di fare?» mi
chiese Damien.
«A dire il vero non lo so.»
«Sarà meglio che tu elabori un piano, e
in fretta anche, o
quelle streghe ti mangeranno a pranzo»,
riprese Erin.
«Giààà», convenne Shaunee, addentando
con foga l'insalata
per rendere meglio l'idea.
«Ehi! Non deve fare tutto da sola. Lei ha
noi.» Stevie Rae
incrociò le braccia sul petto e lanciò
un'occhiataccia alle gemelle.
Le sorrisi un grosso grazie. «Be',
un'ideina forse ce l'avrei.»
«Bene. Diccela e ci riflettiamo
insieme», decise Stevie Rae.
Mi fissarono tutti, in attesa.
Sospirai. «Be'… mmm…» Cominciai
esitante, per paura di
sembrare un'idiota, poi decisi che tanto
valeva raccontare loro
quello che mi turbinava nella testa da
quando avevo parlato con la
nonna, perciò finii di slancio. «Pensavo
di eseguire un'antica
preghiera di purificazione basata su un
rito cherokee e chiedere a
Nyx di aiutarmi a escogitare un piano.»
Il silenzio che scese sul tavolo sembrò
durare in eterno. Alla
fine, però, fu Damien a intervenire:
«Chiedere l'aiuto di Nyx non è
una cattiva idea».
«Ma sei cherokee?» chiese Shaunee.
«Sembri cherokee», disse Erin.
«Sveglia! Di cognome fa Redbird. Certo
che è cherokee»,
sentenziò Stevie Rae.
«Be', può andare», commentò Shaunee,
ma aveva ancora
un'aria dubbiosa.
«Io penso che Nyx potrebbe ascoltarmi
davvero e – magari –
darmi qualche dritta su cosa fare
riguardo all'orribile Afrodite.»
Guardai i miei amici. «Qualcosa dentro
di me mi dice che non è
giusto lasciarla continuare con le
stronzate che sta facendo,
passandola pure liscia.»
«Lascia che glielo dica!» sbottò
all'improvviso Stevie Rae.
«Non lo racconteranno a nessuno.
Davvero. E credo sia utile che
lo sappiano.»
«Di cosa cassius stai parlando?» chiese
Erin.
«Okay, adesso non hai scelta.» Shaunee
indicò Stevie Rae
con la forchetta. «Sapeva che dicendolo
l'avremmo martellata
finché non ci avrebbe spifferato tutto.»
Guardai male Stevie Rae, che si strinse
nelle spalle
imbarazzata e chiese scusa.
Riluttante, abbassai la voce e mi chinai
in avanti. «Promettete
di non dirlo a nessuno.»
«Promesso», fecero in coro.
«Quando viene creato il cerchio riesco a
percepire tutti e
cinque gli elementi.»
Silenzio. Erano lì e mi fissavano, tre
sotto shock, Stevie Rae
compiaciuta.
«Adesso pensate ancora che non possa
cacciare Afrodite?»
chiese la mia compagna di stanza.
«Lo sapevo che il tuo Marchio non era
così solo perché eri
caduta e avevi battuto la testa!»
commentò Shaunee.
«Wow. Questo sì che è un pettegolezzo
coi fiocchi!» esclamò
Erin.
«Non deve saperlo nessuno!» replicai in
fretta.
«Ma ti prego», intervenne Shaunee.
«Stavamo solo dicendo
che un giorno o l'altro questo sarà il
gossip dei gossip.»
«Sappiamo aspettare quando si tratta di
un pettegolezzo
davvero super», riprese Erin.
Damien ignorò entrambe. «Non credo
sia documentata
l'esistenza di una Somma Sacerdotessa
che avesse affinità con tutti
e cinque gli elementi.» Man mano che
parlava, la sua voce era
sempre più concitata. «Sai cosa
significa?» Non mi diede la
possibilità di rispondere. «Significa che
potenzialmente potresti
essere la più incommensurabile Somma
Sacerdotessa che i
vampiri abbiano mai avuto.»
«Eh?» commentai. Incommensurabile?
«Grande, potente», spiegò con tono
impaziente. «Potresti
davvero riuscire a togliere Afrodite
dalla circolazione!»
«Ah, questa sì che è una buona notizia»,
commentò Erin
mentre Shaunee assentiva con
entusiasmo.
«Allora, quando e dove facciamo quella
cosa di
purificazione?» chiese Stevie Rae.
«Facciamo?» replicai.
«Zoey, non sei sola in questo», chiarì.
Aprii la bocca per protestare: insomma,
non ero nemmeno
sicura di cosa avrei fatto. Non volevo
coinvolgere i miei amici in
quello che poteva essere – che in verità
aveva molte probabilità di
essere – un casino totale.
Ma Damien non mi lasciò il tempo di
dissuaderli. «Hai
bisogno di noi. Anche la più
incommensurabile Somma
Sacerdotessa ha bisogno del suo
cerchio.»
«Be', a dire il vero io non avevo pensato
di realizzare un
cerchio. Volevo solo fare una sorta di
preghiera di purificazione.»
«Non puoi creare il cerchio e poi
recitare la preghiera e
chiedere l'aiuto di Nyx?» domandò
Stevie Rae.
«Sembra logico», intervenne Shaunee.
«E poi, se davvero hai un'affinità coi
cinque elementi,
scommetto che riusciremo a percepirlo
quando creerai il tuo
cerchio. Giusto, Damien?» disse Stevie
Rae.
Guardammo tutti il nostro sapientone
gay.
«A me sembra un ragionamento molto
sensato», sentenziò
lui.
Stavo per rimettermi a discutere, anche
se mi sentivo
sollevata, felice e grata che i miei amici
sarebbero stati lì con me,
che non mi avrebbero lasciata affrontare
da sola tutta
quell'incertezza.
Apprezzali; sono perle di grande
valore.
La voce familiare mi fluttuò nella mente
e mi resi conto che
non dovevo mettere in dubbio il nuovo
istinto che sembrava essere
nato quando Nyx mi aveva baciato la
fronte cambiando in modo
permanente il mio Marchio e la mia
esistenza.
«Okay, mi servirà uno smudge stick.»
Mi guardarono con espressione assente.
«È una fascina di erbe da usare per la
purificazione, dato che
non ho a portata di mano dell'acqua
corrente. O invece ce l'ho?»
«Intendi un ruscello o un fiume o
qualcosa di simile?» chiese
Stevie Rae.
«Già.»
«Be', c'è un ruscelletto che attraversa il
cortile fuori della sala
da pranzo e sparisce non so dove sotto
la scuola», disse Damien.
«Non va bene, è troppo visibile.
Dovremo usare lo smudge.
Quello che funziona meglio è un misto di
lavanda essiccata e
salvia, ma se proprio devo posso usare
del pino.»
«Io posso procurare salvia e lavanda»,
si offrì Damien.
«Hanno quel genere di cose nel
magazzino riservato alle classi
d'Incantesimi e Rituali di quinta e di
sesta. Basta che dica che sto
aiutando uno di una classe superiore
prendendogliene un po'.
Cos'altro ti serve?»
«Be', nel rito di purificazione la nonna
ringraziava sempre le
sette direzioni sacre venerate dal popolo
cherokee: nord, sud, est,
ovest, sole, terra e se stessa. Ma credo
di voler rendere la
preghiera più specifica per Nyx.» Mi
mordicchiai il labbro,
riflettendo.
«Penso sia un'idea intelligente»,
approvò Shaunee.
«Già», aggiunse Erin. «Cioè, Nyx non è
legata al sole. Lei è
la Notte.»
«Io credo che dovresti seguire l'istinto»,
mi consigliò Stevie
Rae.
«La fiducia in se stessa è una delle
prime cose che deve
imparare una Somma Sacerdotessa»,
sentenziò Damien.
«Okay, allora mi serve anche una
candela per ognuno dei
cinque elementi», decisi.
«Detto-fatto», intervenne Shaunee.
«Già, il tempio non è mai chiuso a
chiave e lì ci sono miliardi
di candele per i cerchi.»
«Ma non ci sono problemi a prenderle?»
Rubare qualcosa dal
tempio di Nyx non mi sembrava
esattamente un'idea astuta.
«Basta che poi le riportiamo», spiegò
Damien. «Che altro?»
«Tutto qui.» Credo. Diavolo, non ne ero
certa. Non è che
sapessi davvero cosa stavo facendo.
«Quando e dove?» chiese Damien.
«Dopo cena. Diciamo alle cinque e
mezzo. E non possiamo
andarci insieme. L'ultima cosa di cui
abbiamo bisogno è che
Afrodite o una qualunque delle altre
Figlie Oscure pensi che
facciamo una specie di riunione e decida
di voler ficcare il naso.
Troviamoci direttamente alla grande
quercia vicino al muro est.»
Rivolsi loro un sorriso d'intesa. «È
facile da trovare immaginando
di essere appena corsi fuori da uno dei
riti delle Figlie Oscure
nella sala di ricreazione e di voler
scappare il più lontano possibile
da quelle streghe.»
«Non ci vuole molta immaginazione per
questo», commentò
Shaunee.
Erin sbuffò.
«Okay, noi portiamo il materiale», disse
Damien.
«Già, noi portiamo il materiale, tu porta
l'incommensurabileria.» Shaunee lanciò
un'occhiata da saputella a
Damien.
«Il termine non è corretto. Sai, dovresti
proprio leggere di
più. Magari il tuo vocabolario
migliorerebbe», ribatté lui.
«Dillo a tua sorella di leggere di più»,
replicò Shaunee, poi
lei ed Erin si squagliarono in risatine
per la battutaccia.
Io ero stracontenta di non essere più il
loro argomento di
conversazione e di poter mangiare
l'insalata e pensare abbastanza
tranquilla intanto che battibeccavano.
Mentre masticavo e cercavo
di ricordarmi tutte le parole della
preghiera di purificazione, Nala
saltò sulla panca accanto a me e mi fissò
con quei suoi occhioni
dolci; poi mi si appoggiò contro e iniziò
a fare le fusa come un
trattore. Non so perché, ma mi fece
sentire meglio.
E, quando suonò la campanella e tutti ci
precipitammo in
classe, i miei quattro amici mi sorrisero,
mi fecero l'occhiolino con
aria d'intesa e dissero: «A dopo, Zy».
Anche questo mi fece sentire meglio,
anche se la facilità con
cui avevano adottato il vezzeggiativo di
Erik mi diede una fitta al
cuore.
La lezione di spagnolo passò in un
lampo, tutta dedicata a
imparare a dire che una cosa ci piace o
non ci piace. La profe
Garmy mi faceva morire dal ridere.
Diceva che ci avrebbe
cambiato la vita. Me gustan los gatos
(mi piacciono i gatti); me
gusta ir de compras (mi piace fare
shopping); no me gusta cocinar
(non mi piace cucinare); no me gusta
lavar el gato (non mi piace
lavare il gatto). Queste erano le frasi
preferite della profe Garmy, e
passammo l'ora a proporre quelle che
preferivamo noi.
Cercai di non scrivere cose come me
gusta Erik… oppure no
me gusta la estrega Afrodite. Okay,
sono sicura che in spagnolo
strega non si dice estrega, ma il concetto
è chiaro. Comunque, la
lezione fu divertente e riuscii persino a
capire quello che
dicevamo. L'ora di equitazione, invece,
non passò esattamente in
un lampo. Pulire le poste dei cavalli è
ottimo per pensare – e io mi
ripetei mentalmente all'infinito la
preghiera di purificazione –, ma
la lezione sembrò durare proprio un'ora.
Questa volta Stevie Rae
non dovette venirmi a prendere: ero
troppo in apprensione per
perdere la cognizione del tempo.
Quando suonò la campanella
stavo rimettendo a posto le spazzole,
felice che Lenobia mi avesse
di nuovo lasciato strigliare Persefone e
preoccupata perché mi
aveva detto che pensava che dalla
settimana successiva avrei
addirittura potuto cavalcarla. Corsi fuori
della scuderia,
desiderando che nel mondo «reale» non
fosse tanto tardi per poter
telefonare alla nonna e raccontarle i
progressi che stavo facendo
coi cavalli.
«So cosa sta succedendo.»
Giuro che quasi soffocai. «Oddio,
Afrodite! Ma non potresti
fare almeno un pochino di rumore? Cosa
sei, in parte ragno? Mi
hai fatto venire una strizza…»
«Qualcosa non va?» disse come se
facesse le fusa.
«Coscienza sporca?»
«Sai, se strisci alle spalle della gente, la
spaventi. La
coscienza più o meno sporca non
c'entra.»
«Perciò la tua è pulita?»
«Afrodite, non so di cosa stai parlando.»
«So cosa stai architettando per stasera.»
«E io invece continuo a non sapere di
cosa parli.» Ah,
cacchio! Come aveva fatto a scoprirlo?
« Tutti pensano che sei così carina, così
innocentina, e sono
tutti tanto colpiti da quel tuo strano
Marchio. Tutti tranne me.» Si
voltò a guardarmi in faccia e ci
fermammo in mezzo al
marciapiede. I suoi occhi azzurri si
strinsero in una fessura e la sua
faccia si distorse al punto di sembrare
quella di una stregacela
spaventosa. Huh.
Mi chiesi (per un istante) se le gemelle
si rendevano conto di
quanto fosse azzeccato il soprannome
che le avevano dato.
«Non importa quali stronzate puoi avere
sentito in giro: lui è
ancora mio. Sarà sempre mio.»
Sgranai gli occhi e provai un tale
sollievo che scoppiai a
ridere. Stava parlando di Erik, non della
preghiera di
purificazione! «Cavolo, sembri la
mamma di Erik. Lui lo sa che lo
controlli?»
«Ti sembravo la mamma di Erik quando
mi hai vista che
glielo succhiavo in corridoio?»
Allora lo sapeva. Vabbè. Immagino
fosse inevitabile che noi
due avessimo quella conversazione.
«No, non sembravi la mamma
di Erik. Sembravi quello che sei –
disperata – mentre cercavi in
modo patetico di buttarti su un ragazzo
che ti diceva chiaramente
che non ti vuole più.»
«Stronza puttana! Nessuno può parlarmi
così!»
Sollevò la mano e la mosse per darmi
uno schiaffo o cavarmi
gli occhi, ma poi sembrò che il mondo si
fermasse, lasciandoci in
una bolla al rallentatore. Le afferrai il
polso, bloccandola con una
facilità… esagerata. Era come se fosse
una bambina piccola e
malata che aveva cercato di colpire per
rabbia ma fosse troppo
debole per far male. La tenni ferma per
un istante, incrociando il
suo sguardo odioso. «Non cercare mai
più di colpirmi. Non sono
una di quelle ragazzine con cui puoi fare
la prepotente. Ascoltami
bene e capiscimi meglio: io non ho
paura di te.» Poi allontanai da
me il suo polso e restai shockata
vedendola barcollare indietro di
oltre un metro.
Mi lanciò un'occhiataccia mentre si
massaggiava il polso.
«Non sprecarti a venire domani.
Considerati non invitata e non più
una Figlia Oscura.»
«Sul serio?» Mi sentivo di una calma
incredibile. Sapevo di
avere in mano un asso in quella partita e
decisi di giocarlo.
«Allora hai intenzione di spiegare alla
mia mentore, la Somma
Sacerdotessa Neferet, ossia la vampira
che ha avuto l'idea di farmi
entrare a far parte delle Figlie Oscure,
che mi hai buttata fuori
perché sei gelosa del fatto che piaccio al
tuo ex-ragazzo?»
Impallidì.
«Oh, e puoi stare certa che quando
Neferet me ne parlerà io
mi dimostrerò davvero sconvolta.» Finsi
di tirar su col naso e
singhiozzare.
«Lo sai cosa significa essere parte di un
gruppo quando non
ti ci vuole nessuno?» ringhiò a denti
stretti.
Mi sentii stringere lo stomaco e dovetti
faticare per non
lasciarle vedere che aveva toccato un
nervo scoperto. Sì, sapevo
esattamente cosa significava essere
parte di un gruppo – una
presunta famiglia – e avere la
sensazione che nessuno mi ci
volesse, ma Afrodite non doveva
saperlo. Perciò sorrisi e, col tono
di voce più dolce che mi riusciva, dissi:
«Ma sai, Afrodite, non
credo sia come dici perché proprio oggi
a pranzo Erik, che è uno
dei Figli Oscuri, mi ha detto che era
tanto felice che fossi entrata a
far parte delle Figlie Oscure».
«Vieni al rituale. Fingi di essere una di
noi. Ma farai meglio a
ricordarti una cosa: loro sono le mie
Figlie Oscure e tu sei
l'estranea, quella non voluta. E ricordati
anche questo: tra Erik
Night e me c'è un legame che tu non
potrai mai capire. Lui non è il
mio ex. Non sei rimasta a vedere la fine
del nostro giochetto in
corridoio. Allora e adesso era ed è
esattamente quello che voglio
che sia: mio.» Quindi con un colpo di
collo scostò una gran massa
di capelli biondissimi e si allontanò a
grandi passi.
Circa due respiri dopo, la testa di Stevie
Rae spuntò da dietro
una vecchia quercia non troppo lontana
dal marciapiede. «Se n'è
andata?»
«Per fortuna. Ma tu che ci fai lì dietro?»
«Vuoi scherzare? Mi nascondo. Mi mette
una strizza
ipergalattica. Ti stavo venendo incontro
e vi ho viste litigare.
Ragazzi, ha davvero cercato di darti uno
schiaffo!»
«Afrodite ha dei seri problemi nella
gestione della rabbia.»
Stevie Rae rise.
«Oh, senti, adesso puoi anche uscire da
dietro la pianta.»
Sempre ridendo, Stevie Rae mi
raggiunse quasi con un solo
salto e mi prese sottobraccio. «Le hai
davvero tenuto testa!»
«Eh, sì, l'ho fatto.»
«Ti odia proprio proprio a morte.»
«Eh, sì, proprio proprio.»
«Lo sai che significa questo?» chiese
Stevie Rae.
«Sì. Che adesso non ho più scelta.
Dovrò farle abbassare la
cresta.»
«Già.»
Ma sapevo di non avere scelta già da
prima che Afrodite
cercasse di cavarmi gli occhi. Non
avevo avuto scelta dal
momento in cui Nyx mi aveva Segnata
col suo Marchio e, mentre
Stevie Rae e io camminavamo insieme
nell'intensità della notte
illuminata dalle luci a gas, le parole
della Dea continuavano a
risuonarmi nella mente: Tu sei più
grande della tua età, Zoeybird.
Credi in te stessa e troverai un modo.
Ma ricorda: non sempre
l'oscurità s'identifica col male, proprio
come la luce non sempre
conduce al bene.
23
«Spero che riescano a trovarla anche gli
altri.» Mi guardai
intorno mentre Stevie Rae e io
aspettavamo vicino alla grande
quercia. «Non sembrava tanto buio ieri
notte.»
«Non lo era. Stasera è molto nuvoloso,
quindi la luna ha
qualche problemino a farsi vedere. Ma
non ti preoccupare, la
Trasformazione sta facendo meraviglie
con la nostra visione
notturna. Diamine, credo di vedere bene
quanto Nala.» Stevie Rae
accarezzò con affetto la testa della gatta,
che chiuse gli occhi e
partì con le fusa. «Ci troveranno.»
Mi appoggiai all'albero e ripresi a
preoccuparmi. La cena era
stata buona – pollo arrosto da leccarsi le
dita, riso con spezie e
taccole (una cosa che si poteva dire di
quel posto senza rischio di
essere smentiti era che cucinavano alla
grande) – e tutto andava a
meraviglia. Finché Erik non si era
avvicinato al nostro tavolo e
aveva detto «ciao». Okay, non era un
ciao da «ciao, Zy, mi piaci
sempre», ma solo un «ciao, Zoey».
Punto. Eh già, proprio così.
Aveva preso da mangiare e camminava
con un paio di ragazzi che
le gemelle avevano definito da arrapo.
Ammetto di non averli
neanche notati. Ero troppo impegnata a
notare Erik. Arrivati al
nostro tavolo, io avevo alzato gli occhi e
avevo sorriso. Lui aveva
incrociato il mio sguardo per un
millisecondo, aveva detto «Ciao,
Zoey»
e se n'era andato. Di colpo il pollo non
mi era più sembrato
così buono.
«Hai ferito il suo amor proprio. Sii
carina con lui e vedrai che
ti chiederà di nuovo di uscire», disse
Stevie Rae, riportando me e i
miei pensieri sotto l'albero.
«Come facevi a sapere che stavo
pensando a Erik?» chiesi.
Stevie Rae aveva smesso di coccolare
Nala, perciò allungai la
mano per accarezzarla prima che
cominciasse a lamentarsi con
me.
«Perché è quello cui starei pensando
io.»
«Già, invece dovrei pensare al cerchio
che devo creare senza
averne mai creato uno in vita mia e al
rito di purificazione che
devo eseguire, non a un ragazzo.»
«Non è 'un ragazzo'. È un favoloooso
ragazzo», disse Stevie
Rae strascicando l'aggettivo e facendomi
ridere.
«Dovete stare parlando di Erik.»
Damien uscì dall'ombra del
muro di cinta. «Non preoccuparti. Ho
visto come ti guardava oggi
a pranzo. Ti chiederà di nuovo di
uscire.»
«Giààà, ha parlato l'esperto», disse
Shaunee.
«L'esperto di Tutto Ciò Che Riguarda il
Pene del nostro
amabile gruppetto», terminò Erin mentre
ci raggiungevano sotto
l'albero.
«Più che vero», commentò Damien.
Prima che mi facessero venire il mal di
testa, cambiai
argomento. «Avete trovato quello che ci
serve?»
«Ho dovuto mettere assieme io salvia e
lavanda, perciò spero
che vada bene il modo in cui ho legato
questa specie di fascina.»
Damien si tolse dalla manica della
giacca lo smudge e me lo diede.
Era grosso e lungo circa trenta
centimetri e sentii immediatamente
la familiare dolcezza della lavanda.
Aveva avvolto strettamente il
mazzetto a un'estremità con quello che
pareva del filo extra forte.
«È perfetto», gli dissi sorridendo.
Sembrò sollevato, quindi un po'
timidamente aggiunse: «Ho
usato il mio filo per il punto croce».
«Ehi, ti ho già detto mille volte che non
ti devi vergognare se
ti piace il punto croce. È un passatempo
fighissimo, e poi sei pure
molto bravo», fece Stevie Rae.
«Magari la pensasse così anche mio
padre», replicò Damien.
Mi fece male sentire la tristezza nella
sua voce. «Mi
piacerebbe che m'insegnassi prima o
poi. È una cosa che avrei
sempre voluto imparare», mentii, e fui
felice di vedere il viso di
Damien illuminarsi.
«Quando vuoi, Zy», replicò.
«E le candele?» chiesi alle gemelle.
«Ehi, te l'avevamo assicurato. Detto…»
Shaunee aprì la borsa
e ne tolse tre candele votive, una verde,
una gialla e una blu, poste
in recipienti di vetro spesso dello stesso
colore.
«… fatto.» Dalla sua borsa, Erin ne
prese una rossa e una
viola con relativi contenitori di vetro
della tonalità corrispondente.
«Bene. Okay, vediamo. Mettiamoci qui,
a una certa distanza
dal tronco ma abbastanza vicini da
rimanere comunque sotto i
rami.»
Mi seguirono mentre mi allontanavo
dall'albero.
Guardai le candele. Cosa dovevo fare?
Forse… e, mentre ci
pensavo, seppi. Senza fermarmi a
chiedermi come o perché o a
mettere in dubbio l'istinto che
improvvisamente si era fatto vivo in
me, agii. «Darò una candela a ognuno di
voi. Poi, come le vampire
nel Rito della Luna Piena di Neferet,
rappresenterete l'elemento
corrispondente. Io sarò lo spirito.»
Erin mi tese il cero viola.
«Io sono il centro del cerchio e voi
prenderete posto intorno a
me.» Senza esitazione, presi la candela
rossa e la diedi a Shaunee.
«Tu sarai il fuoco.»
«Mi suona benissimo. Cioè, lo sanno
tutti quanto sono
bollente!» Sorrise e sculettò fino
all'estremità sud del cerchio.
La candela verde fu la successiva. Mi
voltai verso Stevie
Rae. «Tu sei la terra.»
«E il verde è il mio colore preferito!»
disse felice,
posizionandosi di fronte a Shaunee.
«Erin, tu sei l'acqua.»
«Bene. Prima mi piaceva un sacco
prendere il sole e questo
implicava nuotare quando dovevo
rinfrescarmi.» Erin si spostò in
posizione dell'ovest.
Damien prese la candela gialla. «Perciò
io sarò l'aria.»
«Proprio così. Il tuo elemento è quello
che apre il cerchio.»
«Così come vorrei poter aprire la mente
delle persone»,
replicò posizionandosi a est.
Gli feci un gran sorriso. «Già, qualcosa
del genere.»
«Okay, e adesso che si fa?» chiese
Stevie Rae.
«Be', usiamo il fumo dello smudge per
purificarci.» Sistemai
la candela viola accanto ai miei piedi in
modo da potermi
concentrare sulla fascina di erbe. Poi
alzai gli occhi al cielo. «Oh,
diavolo! Non è che qualcuno si è
ricordato di prendere dei
fiammiferi o un accendino o qualcosa
del genere?»
«Naturalmente.» Damien si levò di tasca
un accendino.
«Grazie, aria.»
«Non c'è di che, Somma Sacerdotessa.»
Non dissi niente, ma, quando mi chiamò
a quel modo, mi
sentii attraversare da un fremito di
eccitazione. «Ecco come si usa
lo smudge.» Fui felice che la mia voce
suonasse molto più calma
di quanto in realtà mi sentivo. Mi
piazzai davanti a Damien,
decidendo che fosse meglio iniziare da
dove cominciava il
cerchio, e, rendendomi conto di stare
imitando la nonna e le
lezioni della mia infanzia, spiegai il
procedimento ai miei amici.
«Quello del fumo è un sistema rituale
per purificare una persona,
un luogo o un oggetto liberandoli da
energie, spiriti o influssi
negativi. La cerimonia della fumigazione
richiede che siano
bruciate delle piante speciali, sacre, e
delle resine vegetali; inoltre
prevede che l'oggetto sia fatto passare
nel fumo o che il fumo
stesso venga agitato intorno a una
persona o a un luogo. Lo spirito
delle piante purifica tutto quello che è
stato insozzato.» Sorrisi a
Damien. «Pronto?»
«Affermativo», rispose in tipico stile
Damien.
Accesi lo smudge e lasciai che il fuoco
bruciasse per un po' le
erbe essiccate, quindi spensi la fiamma
in modo che restassero
delle piccole braci fumanti. Poi,
iniziando dai piedi, lo avvolsi col
fumo e risalii piano piano continuando
la descrizione dell'antica
cerimonia. «È molto importante
ricordare che chiediamo agli
spiriti delle piante sacre che stiamo
utilizzando di aiutarci, quindi
dobbiamo mostrare loro il dovuto
rispetto riconoscendone il
potere.»
«E cosa fanno la lavanda e la salvia?»
chiese Stevie Rae
dall'altra parte del cerchio.
Risposi continuando a lavorare intorno a
Damien. «La salvia
bianca è molto usata nelle cerimonie
tradizionali perché scaccia
energie, spiriti e influssi negativi. A dire
il vero può andare bene
qualunque tipo di salvia, ma preferisco
quella bianca perché ha un
aroma più dolce.» Raggiunsi la testa di
Damien e gli feci un gran
sorriso. «Ottima scelta.»
«A volte penso che potrei essere un po'
sensitivo», commentò
lui.
Erin e Shaunee sbuffarono, ma le
ignorammo.
«Okay, adesso girati in senso orario così
ti passo an che la
schiena», gli dissi. Si voltò e continuai.
«La nonna usa sempre la
lavanda nei suoi smudge. Sono certa che
in parte il motivo sia che
ha un vivaio di lavanda.»
«Che figata!» esclamò Stevie Rae.
«Già, è un posto da urlo.» Le sorrisi da
dietro la spalla senza
smettere di avvolgere Damien nel fumo.
«L'altra parte del motivo
per cui la usa è perché è in grado di
riportare l'equilibrio e di
creare un'atmosfera rilassante. Attira
anche l'energia d'amore e gli
spiriti positivi.» Battei sulla spalla di
Damien per farlo voltare.
«Tu sei a posto.» Poi raggiunsi Shaunee,
che rappresentava il
fuoco, e cominciai a passare il fumo su
di lei.
«Spiriti positivi?» chiese Stevie Rae
con una vocina che la
fece sembrare piccola e spaventata.
«Non sapevo che avremmo
evocato qualcosa oltre agli elementi del
cerchio.»
«Oh, ti prego, Stevie Rae!» Shaunee le
lanciò un'occhiataccia
attraverso il fumo. «Non puoi essere un
vampiro e aver paura dei
fantasmi.»
«Eh no, proprio non suona bene»,
aggiunse Erin.
Guardai Stevie Rae e ci squadrammo
per un istante: stavamo
pensando tutt'e due al mio incontro con
quello che avrebbe potuto
essere lo spettro di Elizabeth, ma né lei
né io sembravamo avere
voglia di parlarne.
«Io non sono un vampiro. Non ancora.
Sono solo una
novizia, quindi posso tranquillamente
avere paura dei fantasmi.»
«Un momento», intervenne Damien,
«Zoey non sta parlando
di spiriti cherokee? Probabilmente non
baderanno molto a una
cerimonia tenuta da un gruppo di novizi
vampiri la cui non-nativo
americanità sovrasta la cherokeità della
nostra Somma
Sacerdotessa per quattro a uno.»
Terminai con Shaunee e passai a Erin.
«Non credo conti
molto quello che siamo esternamente»,
replicai, percependo subito
che quanto dicevo era giusto. «Penso
che l'importante sia
l'intenzione. Il punto è più o meno
questo: Afrodite e il suo gruppo
sono tra le ragazze più belle e di
maggiore talento di tutta la scuola
e quella delle Figlie Oscure dovrebbe
essere un'associazione
fantastica. Invece le chiamiamo streghe e
in fondo non sono altro
che un ammasso di prepotenti viziate.»
Mi chiesi come Erik
entrasse in tutto ciò. Faceva davvero
parte del gruppo un po' per
caso come diceva lui o era coinvolto in
modo più profondo come
faceva intendere Afrodite?
«O di ragazze costrette a farne parte e
che sono solo
spettatrici», aggiunse Erin.
«Esatto.» Cercai di scuotermi
mentalmente: non era il
momento di sognare Erik a occhi aperti.
Finii la schiena di Erin e
mi posizionai di fronte a Stevie Rae.
«Quello che voglio dire è che
credo davvero che gli spiriti dei miei
antenati ci possano sentire,
così come credo che gli spiriti della
salvia e della lavanda stiano
lavorando per noi. Ma non penso ci sia
niente di cui aver paura,
Stevie Rae. La nostra intenzione non è di
evocarli e poi usarli per
dare una pedata nel sedere ad Afrodite.»
M'interruppi per
aggiungere: «Anche se a quella ragazza
un bel calcione starebbe
tanto ma tanto bene. E non credo che
stasera da queste parti ci
saranno fantasmi che mettono spavento».
Lo dissi con sicurezza,
quindi tesi a Stevie Rae lo smudge.
«Okay, adesso passalo tu su di
me.»
Iniziò a imitare i miei gesti e io mi
rilassai nel dolce odore
familiare del fumo che mi circondava.
«Non chiederemo il loro aiuto per
prenderla a calci?»
Shaunee era delusa in modo più che
evidente.
«No. Ci stiamo purificando per chiedere
a Nyx di guidarci.
Non voglio pestare Afrodite.» Mi
ricordai di quanto mi ero sentita
bene allontanandola da me con la forza e
sgridandola. «Be', okay,
ci potrei anche trovare gusto, ma la
verità è che non risolverebbe il
problema delle Figlie Oscure.»
Stevie Rae aveva finito di passarmi il
fumo addosso quindi le
presi lo smudge e lo strofinai per terra
con molta attenzione, dopo
di che tornai al centro del cerchio dove
Nala si era acciambellata
contenta vicino alla candela dello
spirito. Guardai uno per uno i
miei amici. «È vero che Afrodite non ci
piace, ma credo sia
importante non focalizzarci su idee
negative come prenderla a
calci nel sedere o cacciarla dalle Figlie
Oscure. È quello che
farebbe lei al nostro posto, ma noi
vogliamo ciò che è giusto. Più
giustizia che vendetta, insomma. Noi
siamo diversi da lei e, se in
qualche modo riusciremo a prendere il
suo posto all'interno delle
Figlie Oscure, anche quel gruppo sarà
diverso.»
«Vedi, è per questo che tu sarai la
Somma Sacerdotessa ed
Erin e io soltanto le tue
affascinantissime assistenti. Perché noi
siamo superficiali e vogliamo solo
staccarle dal collo quella testa
di cavolo», commentò Shaunee con
l'evidente approvazione di
Erin.
«Solo pensieri positivi, per favore,
stiamo facendo un rito di
purificazione», intervenne brusco
Damien.
Prima che Shaunee potesse fare
qualcosa di più che guardare
storto Damien, si fece sentire la voce
cinguettante di Stevie Rae.
«Okay! Sto pensando solo a cose
positive, come a quanto sarebbe
fantastico se Zoey fosse a capo delle
Figlie Oscure.»
«Ottima idea, Stevie Rae. Sto pensando
alla stessa cosa»,
disse Damien.
«Ehi! Quello è anche il mio pensiero
positivo. Finisci il
coretto con me, gemella», aggiunse Erin.
Shaunee smise di guardare male Damien
e replicò: «Lo sai
che sono sempre pronta ad avere
pensieri gioiosi, e sarebbe
proprio super se a capo delle Figlie
Oscure ci fosse Zoey, prima di
diventare per davvero Somma
Sacerdotessa».
Diventare per davvero Somma
Sacerdotessa… Per un istante
mi domandai se fosse un bene o un male
che quelle parole mi
avessero fatto venire voglia di vomitare.
Di nuovo. Sospirando,
accesi la candela viola. «Pronti?» chiesi
a tutti e quattro.
«Pronti!» replicarono all'unisono.
«Okay, prendete le vostre candele.»
Senza esitare (che significa che non
volevo lasciarmi il
tempo di tirarmi indietro per la fifa),
portai la candela da Damien.
Non ero brillante e piena di esperienza
come Neferet, e neppure
seducente e sicura come Afrodite. Ero
solo io. Solo Zoey, la
sconosciuta dall'aria familiare che era
passata dall'essere una
liceale quasi normale a una novizia
vampira che di normale aveva
assai pochino. Presi un profondo
respiro. Come avrebbe detto la
nonna, tutto quello che potevo fare era
fare del mio meglio.
«L'aria è ovunque, quindi ha senso che
sia il primo elemento
chiamato a realizzare il cerchio. Ti
chiedo di ascoltarmi, aria, e ti
convoco qui in questo cerchio.» Accesi
la candela gialla di
Damien con la mia e la fiamma prese
subito a guizzare con grande
intensità. Vidi i suoi occhi farsi grandi
grandi e stupefatti quando
all'improvviso il vento creò intorno a
noi una mini tromba d'aria
che ci sollevò i capelli e ci accarezzò la
pelle.
«È proprio vero, puoi sul serio far
manifestare gli elementi»,
mormorò Damien, fissandomi.
«Be', quantomeno uno. Vediamo se
arrivo a due», bisbigliai
di rimando, un po' frastornata.
Raggiunsi Shaunee, che sollevò pronta
la candela e mi fece
sorridere dicendo: «Sono pronta per il
fuoco… chiamalo!»
«Il fuoco mi ricorda le fredde sere
d'inverno e il calore e la
sicurezza del camino che riscalda la
casa di mia nonna. Ti chiedo
di ascoltarmi, fuoco, e ti convoco qui in
questo cerchio.» Accesi la
candela rossa e la fiamma si alzò molto
più del normale per un
cero votivo, mentre l'aria intorno a
Shaunee e a me si riempiva
dell'odore intenso e legnoso di un
caminetto acceso oltre che del
suo calore intimo e accogliente.
«Wow! Be', questo sì che è favoloso!»
esclamò Shaunee, gli
occhi scuri che danzavano per il riflesso
guizzante della fiamma.
«E sono due», disse Damien.
Erin stava sorridendo quando presi
posto di fronte a lei.
«Sono pronta per l'acqua.»
«L'acqua è un sollievo nelle torride
giornate estive
dell'Oklahoma. È l'incredibile oceano
che un giorno o l'altro vorrei
tanto vedere ed è la pioggia che fa
crescere la lavanda. Ti chiedo
di ascoltarmi, acqua, e ti convoco qui in
questo cerchio.» Accesi la
candela blu e immediatamente percepii
sulla pelle un senso di
freschezza e sentii un odore pulito e
salmastro che doveva essere
tipico dell'oceano che non avevo mai
visto.
«Da paura! Davvero da paura»,
commentò Erin inspirando a
fondo l'aria di mare.
«E sono tre», fece Damien.
«Non sono più spaventata», esordì
Stevie Rae quando mi
misi davanti a lei.
«Bene», replicai, per poi concentrarmi
sul quarto elemento,
la terra. «La terra ci sostiene e ci
circonda. Non saremmo nulla
senza di lei. Ti chiedo di ascoltarmi,
terra, e ti convoco qui in
questo cerchio.» Accesi la candela
verde con facilità e di colpo
Stevie Rae e io fummo sopraffatte dal
dolce profumo dell'erba
appena tagliata. Udii frusciare le foglie
della quercia e, alzando gli
occhi, vedemmo tutti i grandi rami
letteralmente curvi su di noi,
come a proteggerci da ogni male.
«Assolutamente stupefacente», sussurrò
Stevie Rae.
«Quattro.» La voce di Damien tremava
per l'emozione.
Raggiunsi in fretta il centro del cerchio e
sollevai la mia
candela viola. «L'ultimo elemento è
quello che ricolma tutto e
tutti, che ci rende unici e che alita la vita
in ogni cosa. Ti chiedo di
ascoltarmi, spirito, e ti convoco qui in
questo cerchio.»
Fu incredibile perché all'improvviso fu
come se fossi
circondata dai quattro elementi, come se
mi trovassi in mezzo a un
tifone fatto di aria e di fuoco, di acqua e
di terra. Ma non metteva
paura, neanche un po'. Mi riempì di
pace, mentre allo stesso tempo
percepivo un'ondata di potere e di forza
incandescente e dovetti
stringere le labbra per non scoppiare in
una risata di gioia.
«Guardate! Guardate il cerchio!» gridò
Damien.
Mi schiarii la vista sbattendo le
palpebre e istantaneamente
percepii che gli elementi si
acquietavano, quasi fossero gattini
giocherelloni seduti intorno a me in
festante attesa che li facessi
divertire agitando un nastrino o cose
simili. Stavo sorridendo per il
paragone, quando vidi l'intensa luce che
avvolgeva la
circonferenza del cerchio, unendo
Damien, Shaunee, Erin e Stevie
Rae. Era luminosa e limpida, forte e
argentata come quella della
luna piena.
«E con questo sono cinque», sentenziò
Damien.
«Cazzarola!» sbottai, in modo davvero
molto poco da
Somma Sacerdotessa, e i miei quattro
amici risero, riempiendo la
notte con dei suoni gioiosi. Per la prima
volta capii perché durante
il rituale Neferet e Afrodite avevano
ballato: avevo anch'io voglia
di ballare e di ridere e di gridare di
felicità. Un'altra volta, mi
dissi. Quella sera c'erano cose più serie
da fare. «Okay, sto per
pronunciare la preghiera di
purificazione. E, mentre lo faccio, mi
volterò a fissare i quattro elementi, uno
alla volta.»
«E noi cosa vuoi che facciamo?» chiese
Stevie Rae.
«Concentratevi sulla preghiera.
Focalizzatevi. Siate convinti
che gli elementi la porteranno a Nyx, e
che la Dea risponderà
aiutandomi a capire quello che devo
fare», replicai con maggiore
sicurezza di quella che in realtà sentivo.
Mi rivolsi di nuovo a est, dove Damien
mi fece un sorriso
d'incoraggiamento. E cominciai a
recitare l'antica preghiera di
purificazione che avevo detto tante volte
assieme alla nonna, con
giusto qualche cambiamento che avevo
deciso in precedenza.
Grande Dea della Notte, la cui voce
odo nel vento, che alita
il soffio vitale nei Suoi figli. Ascoltami;
ho bisogno della tua forza
e della tua saggezza.
Feci una brevissima pausa e mi voltai a
sud.
Lascia che io possa camminare nella
bellezza e rendi i miei
occhi capaci di guardare il rosso e il
viola del tramonto che
precede lo splendore della tua notte.
Rendi le mie mani capaci di
rispettare le cose che hai creato e le
mie orecchie pronte a udire
la tua voce. Rendimi saggia in modo
che possa comprendere ciò
che tu hai insegnato al tuo popolo.
Ancora un quarto di giro a destra e la
mia voce divenne più
forte mentre venivo trascinata dal ritmo
della preghiera.
Aiutami a rimanere calma e forte di
fronte a tutto quello che
viene verso di me. Consentimi
d'imparare la lezione che hai celato
in ogni foglia e in ogni pietra. Aiutami
a ricercare pensieri puri e
ad agire con l'intento di aiutare gli
altri. Aiutami a provare
compassione senza che l'empatia mi
travolga.
Fissai Stevie Rae, che teneva le
palpebre strette come se si
stesse concentrando con tutte le sue
forze.
lo cerco forza, non per essere più
grande degli altri, ma per
combattere il mio maggiore nemico, i
dubbi dentro di me.
Tornai al centro del cerchio e, per la
prima volta in vita mia,
ebbi la sensazione che la forza delle
antiche parole scorresse
violentemente fuori di me per
raggiungere quella che con tutto il
cuore e l'anima speravo fosse la mia
Dea in ascolto.
Rendimi pronta a venire a te in ogni
momento con le mani
pulite e lo sguardo limpido, in modo
che, quando la vita si
affievolirà come il tramonto che
declina, il mio spirito possa
giungere a te senza vergogna.
Tecnicamente era quella la conclusione
della preghiera
cherokee che mi aveva insegnato la
nonna, ma provai la necessità
di aggiungere qualcosa di totalmente
mio. «E, Nyx, non capisco
perché tu mi abbia Segnata e mi abbia
donato l'affinità con gli
elementi. Ma non devo neanche saperlo.
Quello che voglio
chiedere è che tu mi aiuti a comprendere
qual è la cosa giusta da
fare, e poi mi dia il coraggio di farla.»
Quindi terminai la
preghiera nel modo in cui ricordavo che
Neferet aveva completato
il rito: «Benedetta sia!»
24
«È stata la più sublime creazione di un
cerchio cui abbia mai
assistito!» sentenziò entusiasta Damien
mentre stavamo radunando
le candele e lo smudge.
«Pensavo che 'sublime' volesse dire
'delizioso'», commentò
Shaunee.
«Può anche indicare un eccitato stupore
e riferirsi a qualcosa
di stupendo e grandioso», spiegò
Damien.
«Per stavolta non discuterò con te»,
sentenziò Shaunee,
meravigliando tutti tranne Erin.
«Già, quel cerchio era sublime»,
confermò la gemella.
«Sapete che ho davvero percepito la
terra quando Zoey l'ha
evocata?» disse Stevie Rae. «È stato
come se all'improvviso mi
fossi trovata in mezzo a un campo di
grano non ancora maturo.
No, anzi, più di così. È stato come se ne
facessi parte.»
«So esattamente cosa intendi. Quando ha
evocato il fuoco è
stato come se dentro di me esplodesse
un incendio», raccontò
Shaunee.
Mentre i quattro parlavano allegramente,
cercai di capire
cosa provavo. Ero decisamente felice,
ma anche turbata e
parecchio confusa. Allora era vero,
avevo sul serio una qualche
affinità con tutti e cinque gli elementi.
Perché?
Solo per scalzare Afrodite (cosa che,
peraltro, ancora non
avevo la minima idea di come
realizzare)? No, non pensavo.
Perché Nyx avrebbe dovuto toccarmi
con un potere tanto insolito
solo per impedire che una prepotente
viziata fosse a capo di
un'associazione?
Okay, le Figlie Oscure erano più che un
consiglio
studentesco o roba simile, comunque mi
pareva esagerato.
«Zoey, ti senti bene?»
Il tono preoccupato di Damien mi fece
alzare gli occhi da
Nala e mi accorsi che ero seduta al
centro di quello che era stato il
cerchio, con la gatta in braccio e
totalmente persa nei miei
pensieri. «Oh, sì. Scusate. Sto bene, mi
ero solo distratta un
attimo.»
«Dovremmo rientrare. Si sta facendo
tardi», disse Stevie Rae.
«Okay, hai ragione.» Mi alzai, sempre
tenendo in braccio
Nala. Ma non riuscii a convincere i miei
piedi a seguirli mentre
s'incamminavano verso i dormitori.
«Zoey?» Damien, il primo a notare la
mia esitazione, si
fermò e si voltò a chiamarmi, quindi
anche le mie tre amiche si
bloccarono e mi fissarono con
espressioni che andavano dal
preoccupato al confuso.
«Oh, be', perché voi ragazzi non
cominciate ad andare?
Credo che mi fermerò qui ancora un
momento.»
«Potremmo rimanere con te…»
cominciò Damien, ma Stevie
Rae (sia benedetta la sua testolina
country) lo interruppe. «Zoey
deve riflettere un po' da sola. Non credi
che lo faresti anche tu se
avessi appena scoperto di essere l'unico
novizio della storia ad
avere un'affinità con tutti e cinque gli
elementi?»
«Immagino di sì», replicò riluttante
Damien.
«Ma non dimenticare che farà chiaro tra
poco», disse Erin.
Sorrisi con aria rassicurante. «Non
preoccupatevi. Tornerò
prestissimo al dormitorio.»
«Ti preparerò un panino e cercherò di
rimediarti un po' di
patatine da mettere assieme alle tue
bollicine marroni non-diet. È
importante che una Somma Sacerdotessa
mangi dopo aver
eseguito un rituale», aggiunse Stevie Rae
con un sorriso e un gesto
di saluto trascinando via gli altri tre.
Le gridai un grazie mentre sparivano nel
buio. Quindi mi
avvicinai all'albero e mi sedetti, la
schiena appoggiata al tronco.
Chiusi gli occhi e accarezzai Nala. Le
sue fusa erano qualcosa di
normale, di familiare e
d'incredibilmente rilassante, e
sembrarono
aiutarmi a tenere i piedi per terra.
«Sono sempre io», le mormorai.
«Proprio come ha detto la
nonna. Tutto il resto può cambiare, ma la
vera Zoey – quello che è
stata Zoey per sedici anni – è sempre
Zoey.»
Magari, se avessi continuato a
ripetermelo, avrei cominciato
a crederci sul serio. Appoggiai il viso
su una mano e accarezzai la
gattina con l'altra, dicendomi che ero
sempre la stessa… sempre la
stessa… sempre la stessa…
«Guarda come poggia la guancia sulla
mano! Oh, foss'io un
guanto su quella mano, per poter sfiorare
quella guancia!»
Nala fece il solito brontolomiagolio
quando sobbalzai per la
sorpresa.
«Sembra proprio che io continui a
trovarti vicino a
quest'albero.» Erik mi sorrise dall'alto
in basso, come una sorta di
dio.
Mi fece di nuovo sentire cose strane
nello stomaco, ma anche
qualcos'altro. Perché mai continuava a
«trovarmi»? E da quanto
tempo stava a guardare stavolta? «Che
ci fai qui fuori, Erik?»
«Ciao, anch'io sono contento di vederti.
E sì, mi piacerebbe
sedermi, grazie.» Si sistemò accanto a
me.
Mi alzai, prendendomi un'altra
brontolata di Nala. «A dire il
vero stavo giusto per rientrare al
dormitorio.»
«Ehi, non avevo intenzione di
ficcanasare. Solo che non
riuscivo a concentrarmi sui compiti e
così sono uscito a fare due
passi. Immagino che i piedi mi abbiano
portato qui senza che
glielo ordinassi, perché la cosa
successiva di cui mi sono accorto
era che c'eri tu. Non ti sto spiando, te
l'assicuro.»
Si ficcò le mani in tasca, sembrando
molto in imbarazzo. Be',
sembrando molto bello e in imbarazzo, e
mi tornò in mente quanto
avrei voluto accettare il suo invito a
guardare assieme film da
sfigati. E adesso eccomi di nuovo lì a
rifiutarlo ancora e a farlo
sentire a disagio. C'era da stupirsi che
mi avesse anche soltanto
rivolto la parola. Era evidente che stavo
prendendo quella storia
della Somma Sacerdotessa troppo sul
serio. «Allora che ne diresti
di accompagnarmi al dormitorio? Di
nuovo», chiesi.
«Mi sembra una buona idea.»
Questa volta Nala si lamentò quando
feci per prenderla in
braccio e preferì seguirci trotterellando,
mentre Erik e io
procedevamo affiancati con la stessa
naturalezza della sera prima.
Restammo in silenzio per un po'. Avrei
voluto chiedergli di
Afrodite, o almeno riferirgli quello che
lei mi aveva detto su di lui,
ma non mi veniva un modo adatto per
affrontare un argomento su
cui probabilmente non avevo il minimo
diritto di fargli domande.
«Allora cosa stavi facendo qui fuori
stavolta?» mi chiese.
«Pensavo», risposi, e tecnicamente non
era una bugia. Avevo
pensato. Un sacco. Prima, durante e
dopo aver creato il cerchio di
cui opportunamente non intendevo
parlargli.
«Oh. Sei preoccupata per quel Heath?»
A dire il vero non avevo più pensato né
a Heath né a Kayla
da quando ne avevo parlato con Neferet,
ma mi strinsi nelle spalle
perché non volevo entrare nei dettagli.
«Cioè, immagino che probabilmente sia
dura rompere con
qualcuno solo perché sei stato Segnato»,
aggiunse.
«Non ho rotto con lui perché sono stata
Segnata. Avevamo
più o meno chiuso già da prima e il
Marchio ha reso solo più
definitiva la cosa.» Lo guardai e presi
un bel respiro. «E tu e
Afrodite?»
Sbatté gli occhi, stupito. «Cosa
intendi?»
«Intendo che oggi mi ha detto che non
sarai mai il suo ex
perché sarai sempre suo.»
Strinse gli occhi e sembrò davvero
incazzato. «Afrodite ha
dei seri problemi a dire la verità.»
«Non che siano affari miei, ma…»
«Sono affari tuoi», mi rimbeccò subito.
Poi, provocandomi
uno shock totale e assoluto, mi prese la
mano. «O almeno io vorrei
che lo fossero.»
«Oh. Okay, allora… okay.» Ero certa di
averlo di nuovo
strabiliato con l'arguzia e la profondità
della mia eloquenza.
«Perciò stasera non mi stavi
semplicemente evitando, ma
avevi davvero qualcosa su cui
riflettere?» chiese lentamente.
«Non ti stavo evitando. È solo che…»
Esitai, non sapendo
come cavolo spiegargli qualcosa che ero
più che sicura che non
avrei dovuto spiegargli. «In questo
momento stanno succedendo
un sacco di cose. Tutta questa faccenda
della Trasformazione a
volte mi confonde un casino.»
«Vedrai che andrà meglio.» Mi strinse la
mano.
«Non so bene perché, ma nel mio caso
ne dubito», mormorai.
Rise e picchiettò il dito sul mio
Simbolo. «Sei solo più avanti
di molti di noi. All'inizio è dura, ma,
credimi, diventerà più
facile… anche per te.»
Sospirai. «Lo spero proprio.» Ma
continuavo a dubitarne.
Ci fermammo davanti al dormitorio e si
voltò verso di me, la
voce di colpo bassa e seria. «Zy, non
credere alle stronzate che
dice Afrodite. Lei e io non stiamo
insieme da mesi.»
«Prima sì, però», replicai.
Annuì, l'aria tesa.
«Erik, non è una bella persona.»
«Lo so.»
E poi mi resi conto di cos'era a darmi
tanto fastidio e decisi
che, be', che diavolo, tanto valeva che lo
dicessi e basta. «Non mi
piace che tu sia stato con una così
meschina. Mi fa sentire strana
all'idea di mettermi con te.» Aprì la
bocca per replicare ma io
continuai a parlare, non volendo
ascoltare delle scuse cui non ero
certa di volere o poter credere. «Grazie
di avermi accompagnata.
Sono felice che tu mi abbia trovata di
nuovo.»
«Anch'io sono felice di averti trovata.
Vorrei rivederti, Zy, e
non solo incontrandoti per caso.»
Esitai. E mi chiesi perché cavolo stessi
esitando. Volevo
rivederlo. Avevo bisogno di dimenticare
Afrodite. Insomma, lei è
davvero bella, e lui è un maschio.
Probabilmente era caduto tra le
sue stronze (e calde) grinfie prima di
rendersi conto di quello che
stava succedendo. Cioè, i modi di lei mi
ricordavano un po' i
ragni, no? Dovevo essere contenta che
non se lo fosse mangiato
vivo e dare un'occasione a quel ragazzo.
«Okay, che ne dici di
guardare assieme quei DVD da sfigati
questo sabato?» dissi di
getto, prima di sclerare all'idea di uscire
col più stupendo della
scuola e non riuscire più ad aprire
bocca.
«Allora abbiamo un appuntamento»,
replicò.
Dandomi in modo evidente il tempo di
tirarmi indietro se
avessi voluto, Erik si chinò con lentezza
a baciarmi. Aveva le
labbra calde e davvero un buon odore, e
il bacio fu dolce e
delicato. A dirla tutta, mi fece venire
voglia che mi baciasse
ancora. Finì troppo presto, ma lui non si
allontanò. Eravamo in
piedi vicini e mi accorsi di avergli
appoggiato le mani sul petto,
mentre le sue stavano sulle mie spalle.
Alzai il viso e gli sorrisi. «Sono felice
che tu mi abbia chiesto
ancora di uscire.»
«Sono felice che stavolta tu abbia detto
di sì.» Poi mi baciò
di nuovo, ma stavolta non in modo
esitante.
Il bacio si fece più profondo e le mie
braccia si aggrapparono
alle sue spalle. Percepii, più che sentii,
il suo gemito e, mentre mi
baciava a lungo e con forza, fu come
avesse acceso un interruttore
da qualche parte dentro di me e fui
attraversata da una scossa di
desiderio intenso e dolce. Era pazzesco
e incredibile, molto più di
quanto mi avesse mai fatto provare un
bacio di chiunque altro.
Adoravo il modo in cui il mio corpo si
adattava al suo, duro contro
morbido, e mi strinsi a lui dimenticando
Afrodite e il cerchio che
avevo appena creato e tutto il resto del
mondo. Quando ci
sciogliemmo dal bacio, eravamo tutti e
due senza fiato e restammo
a fissarci. Tornando lentamente in me mi
resi conto che gli ero
tutta spalmata addosso e che mi trovavo
davanti all'ingresso del
dormitorio a strusciarmi come una
zoccolona, quindi cominciai a
districarmi dal suo abbraccio.
«Cosa c'è che non va? Perché di colpo
sembri diversa?»
chiese Erik tenendomi stretta.
«Erik, io non sono come Afrodite.»
Strattonai con più forza e
mi lasciò andare.
«Lo so benissimo. Non mi piaceresti se
fossi come lei.»
«Non sto parlando solo della mia
personalità. Quello che
voglio dire è che starmene qui fuori a
limonare con te non è il mio
comportamento normale.»
«Okay.» Allungò una mano verso di me
come volesse
attirarmi di nuovo tra le sue braccia, ma
poi si vede che cambiò
idea, perché la mano ricadde lungo il
fianco. «Zoey, nessuna mi ha
mai fatto provare quello che provo con
te.»
Sentii la faccia diventare bollente e non
avrei saputo dire se
era per la rabbia o per l'imbarazzo.
«Erik, non trattarmi come se
fossi scema. Ti ho visto nel corridoio
con Afrodite. È evidente che
hai già provato questo genere di cose e
anche di più.»
Scosse la testa e capii che si sentiva
ferito. «Quello che mi
faceva provare Afrodite era soltanto
fisico. Tu, invece, mi tocchi il
cuore. Conosco la differenza, Zoey, e
pensavo la conoscessi anche
tu.»
Lo fissai in quegli splendidi occhi
azzurri che erano sembrati
toccarmi la prima volta che mi aveva
guardata. «Scusami. È stato
meschino da parte mia. Conosco la
differenza.»
«Promettimi che non lascerai che
Afrodite si metta tra noi.»
«Te lo prometto.» Mi spaventava molto,
ma dicevo sul serio.
«Bene.»
Nala si materializzò dal buio e cominciò
a girarmi intorno
alle gambe lamentandosi. «È meglio se
la porto dentro e la metto a
nanna.»
«Okay.» Sorrise e mi diede un rapido
bacio. «Ci vediamo
sabato, Zy.»
Continuarono a pizzicarmi le labbra per
tutta la strada fino
alla mia stanza.
25
Il giorno successivo cominciò con
quella che, col senno di
poi, avrei considerato una normalità
sospetta. Stevie Rae e io
facemmo colazione, sempre bisbigliando
su quanto fosse strafigo
Erik e cercando di pensare a cosa mi
sarei messa per il nostro
appuntamento di sabato. Neppure
vedemmo Afrodite e il trio di
streghe, Bellicosa, Terribile e Vespa. La
lezione di Socio Vamp fu
così interessante – eravamo passati
dalle amazzoni all'antica festa
vampira greca che si chiamava coregia –
che avevo smesso di
pensare al rito delle Figlie Oscure
previsto per la sera e per un po'
persino di preoccuparmi per quello che
dovevo fare con Afrodite.
Anche l'ora di recitazione fu piacevole e
decisi di scegliere uno dei
monologhi di Caterina della Bisbetica
domata (quella commedia
mi piace da matti, sin da quando ho visto
il vecchio film
interpretato da Elizabeth Taylor e
Richard Burton). Poi, mentre
lasciavo la classe, Neferet mi bloccò in
corridoio per chiedermi
quanto avessi letto del testo avanzato di
Socio Vamp e fui
costretta a dirle che non avevo ancora
fatto molto (traduzione:
neanche aperto il libro) e, quando mi
affrettai ad andare a
letteratura, ero del tutto distratta dalla
sua ovvia delusione. Mi ero
appena seduta tra Damien e Stevie Rae,
quando scoppiò il
finimondo, cancellando ogni parvenza di
normalità da quella
giornata. Pentesilea aveva iniziato a
leggere il quarto capitolo del
Titanic – la vera storia, che è proprio
un bel libro, e stavamo
ascoltando tutti come al solito, quando
quello stupido di Elliott
aveva cominciato a tossire. Dio, che
palla, quel ragazzo.
A un certo punto, tra lettura e tossite,
avevo cominciato a
sentire un odore. Era intenso e dolce,
delizioso e sfuggente.
D'istinto, avevo inspirato a fondo,
sempre cercando di
concentrarmi sul libro.
La tosse di Elliott era peggiorata e io mi
ero voltata a dargli
un'occhiataccia assieme al resto della
classe. Insomma, per favore!
Non poteva prendere una caramella o un
goccio d'acqua o quello
che era?
E poi avevo visto il sangue.
Elliott non era stravaccato e
semiaddormentato come al
solito, ma sedeva dritto e si fissava le
mani, che erano coperte di
sangue fresco. Mentre lo osservavo,
aveva tossito di nuovo,
facendo un orribile rumore bagnaticcio
che mi aveva ricordato il
giorno in cui ero stata Segnata. Solo che,
quando Elliott tossiva,
dalla bocca gli schizzava lucente sangue
scarlatto.
«Cos…?» aveva gorgogliato.
«Chiamate Neferet!» Pentesilea aveva
dato il secco ordine
mentre apriva un cassetto della scrivania
e ne tirava fuori un
asciugamano ben piegato, per
raggiungere poi in fretta Elliott.
Il ragazzo più vicino alla porta era
partito a razzo.
Nel più completo silenzio avevamo
osservato Pentesilea
arrivare da Elliott appena in tempo per
la successiva tossita
sanguinolenta, che aveva raccolto
nell'asciugamano.
Lui si era portato la salvietta sulla
faccia, mentre
tossicchiava, sputava e vomitava.
Quando alla fine aveva alzato
gli occhi, sulle sue guance pallide e
tonde scendevano lacrime di
sangue, e sanguinava talmente tanto
anche dal naso che sembrava
un rubinetto dimenticato aperto. Poi,
quando si era voltato per
guardare Pentesilea, avevo visto che
pure dall'orecchio usciva un
rivolo rosso.
«No!» aveva sbottato Elliott con una
passione che non gli
avevo mai sentito. «No! Non voglio
morire!»
«Sstt», aveva cercato di calmarlo
Pentesilea, levandogli dalla
fronte sudata i capelli color carota.
«Vedrai che il dolore finirà
presto.»
«Ma… ma, no, io…» Aveva
ricominciato a protestare con
una voce piagnucolosa che sembrava
molto più sua, poi era stato
interrotto da un'altra serie di colpi di
tosse. Aveva avuto di nuovo i
conati e aveva vomitato sangue
nell'asciugamano già zuppo.
Neferet era entrata in aula seguita da due
vampiri alti dall'aria
atletica che portavano una barella e una
coperta. Neferet, invece,
aveva in mano soltanto una fialetta piena
di un liquido color latte.
Neanche due respiri dopo di loro,
Dragone Lankford si era
precipitato in classe.
«Lui è il suo mentore», aveva
bisbigliato Stevie Rae talmente
piano che quasi non aveva emesso
suono.
Avevo annuito, ricordando di quando
Pentesilea aveva
sgridato Elliott per aver tradito
Dragone.
Neferet aveva dato a Dragone la fiala
che aveva portato,
quindi si era messa dietro a Elliott e gli
aveva posto le mani sulle
spalle. Tosse e conati si erano attenuati
immediatamente.
«Bevi subito questo, Elliott», gli aveva
detto Dragone. E,
quando il ragazzo aveva cominciato a
scuotere debolmente la testa
per dire di no, aveva aggiunto con
gentilezza: «Farà finire il tuo
dolore».
«Lei… lei resterà con me?» aveva
chiesto senza fiato Elliott.
«Ma certo. Non ti lascerò solo neanche
un istante.»
«Chiamerà la mia mamma?» aveva
sussurrato Elliott.
«Sicuro.»
Elliott aveva chiuso gli occhi per un
secondo, poi, con le
mani tremanti, si era portato la fialetta
alle labbra e aveva bevuto.
Neferet aveva fatto un cenno ai due
vampiri, che lo avevano
sollevato e messo sulla barella come
fosse una bambola, non un
ragazzo morente, e poi, affiancati da
Dragone, si erano affrettati a
lasciare la stanza. Prima di seguirli,
Neferet si era girata a
guardare noi sconvolti alunni di terza.
«Potrei dirvi che Elliott starà bene, che
si riprenderà, ma
sarebbe una bugia.» Il suo tono era
sereno, ma pieno di una forza
che incuteva rispetto. «La verità è che il
suo organismo ha respinto
la Trasformazione. Entro qualche minuto
morirà della morte
eterna e non diventerà un vampiro.
Potrei dirvi di non
preoccuparvi, che a voi non succederà.
Ma sarebbe una menzogna
anche questa. In media, uno su dieci di
voi non completerà la
Trasformazione. Alcuni novizi muoiono
all'inizio della terza,
come Elliott. Altri sono più forti e
resistono fino alla sesta, dopo di
che si ammalano e muoiono
all'improvviso. Vi dico questo non
perché viviate nella paura, ma per due
ragioni ben precise. Per
prima cosa, voglio che sappiate che, in
quanto vostra Somma
Sacerdotessa, non vi mentirò mai, ma vi
aiuterò a rendere più
facile il passaggio nell'altro mondo, se
fosse necessario. E la
seconda ragione è che voglio che viviate
come vorreste essere
ricordati se moriste domani, perché è
possibile che succeda. In
questo modo, se doveste morire, il
vostro spirito potrebbe riposare
in pace sapendo di avere lasciato un
buon ricordo e, se invece non
morirete, avrete posto le fondamenta per
una lunga vita
caratterizzata da onestà e rettitudine.»
Pronunciando le parole conclusive, mi
aveva guardato dritto
negli occhi. «Chiedo che la benedizione
di Nyx vi sia di conforto
oggi, e che ricordiate che la morte è una
parte naturale
dell'esistenza, anche di quella dei
vampiri. Perché un giorno
dovremo tornare tutti in seno alla Dea.»
E detto questo si era
chiusa la porta alle spalle con un suono
che aveva un che di
definitivo.
Pentesilea si era mossa in modo rapido
ed efficiente, pulendo
gli schizzi di sangue che macchiavano il
banco di Elliott e, quando
ogni traccia del ragazzo morente era
scomparsa, era tornata a
mettersi di fronte a noi per un momento
di silenzio per il nostro
compagno. Poi aveva ripreso in mano il
libro e aveva ricominciato
a leggere da dove si era interrotta.
Avevo cercato di ascoltare. Avevo
cercato di escludere dalla
mente l'immagine di Elliott che perdeva
sangue da occhi, orecchie,
naso e bocca. E avevo cercato anche di
non pensare al fatto che
l'odore delizioso che avevo notato era
senz'altro quello del sangue
di Elliott che usciva dal suo corpo
morente.
Lo so che, in teoria, dopo la morte di un
novizio, le cose
dovrebbero continuare come al solito,
ma, a quanto pareva, era
insolito che ne morissero due a distanza
di così poco tempo, e tutti
stettero innaturalmente zitti e tranquilli
per il resto della giornata.
Il pranzo fu silenzioso e deprimente e
notai che il cibo veniva
piluccato più che mangiato. Le gemelle
nemmeno battibeccarono
con Damien, il che sarebbe stata una
bella novità se non avessi
saputo il terribile motivo che ne era la
causa. Quando Stevie Rae
s'inventò una scusa qualunque per
lasciare la tavola presto e
tornarsene in camera prima dell'inizio
della quinta ora, fui più che
felice di andare con lei.
Seguimmo il marciapiede nella fitta
oscurità di un'altra notte
nuvolosa e le luci a gas non sembravano
più calde e allegre, ma
piuttosto gelide e non abbastanza forti.
«Elliott non piaceva a nessuno», esordì
Stevie Rae. «E credo
che questo peggiori la situazione.
Stranamente è stato più facile
con Elizabeth, perché almeno potevamo
sentirci sinceramente
dispiaciuti che se ne fosse andata.»
«So cosa vuoi dire. Sono sconvolta, ma
so di esserlo per aver
visto cosa ci può succedere e perché
adesso non riesco a
togliermelo dalla testa, non perché lui è
morto.»
«Almeno succede in fretta», replicò
sottovoce.
Rabbrividii. «Chissà se fa male.»
«Ti danno una cosa, quel liquido bianco
che ha bevuto Elliott, così non senti più dolore. Però
rimani cosciente sino alla fine.
E Neferet aiuta sempre con la morte
vera e propria.»
«Fa paura, vero?»
«Già.»
Restammo in silenzio per un po', poi la
luna fece capolino tra
le nuvole dipingendo le foglie degli
alberi di un innaturale argento
da acquerello che di colpo mi ricordò
Afrodite e il suo rito. «È
possibile che Afrodite cancelli il rito di
Samhain stasera?»
«Neanche per sogno. I rituali delle
Figlie Oscure non
vengono mai cancellati.»
Lanciai un'occhiata a Stevie Rae. «Be',
che diavolo, era il
loro frigorifero!»
Mi guardò stupefatta. «Elliott?»
«Già, è stato davvero disgustoso e lui
sembrava drogato e
strano. Doveva stare respingendo la
Trasformazione già allora.»
Seguì un silenzio impacciato, poi
aggiunsi: «Non ti avevo detto
niente perché… soprattutto dopo che mi
hai raccontato del…
be'… lo sai. Sei sicura che Afrodite non
cancellerà il rito stasera?
Insomma, con Elizabeth prima e adesso
Elliott…»
«Non importa. E alle Figlie Oscure non
frega di quelli che
usano come frigorifero. Troveranno
qualcun altro.» Esitò. «Senti,
Zoey, ci ho pensato e credo che forse
non ci dovresti andare. Ho
sentito quello che ti ha detto ieri
Afrodite. Farà in modo che
nessuno ti accetti. Sarà davvero
meschina.»
«Andrà tutto bene, Stevie Rae.»
«No, ho una brutta sensazione. Non ce
l'hai ancora un piano,
vero?»
«Be', no. Sono ancora in fase di
ricognizione», dissi,
cercando di rendere meno pesante il
discorso.
«Vacci un'altra volta in ricognizione.
Oggi è già stata una
giornata troppo orribile. Sono tutti
sconvolti. Credo che dovresti
aspettare.»
«Non posso non farmi vedere,
soprattutto dopo quello che
Afrodite mi ha detto ieri. Penserebbe di
potermi mettere paura.»
Stevie Rae prese un grande respiro.
«Be', allora credo che
dovresti portarmi con te.» Cominciai a
scuotere la testa, ma lei
continuò a parlare: «Sei una Figlia
Oscura, adesso, e tecnicamente
puoi invitare chi vuoi ai riti. Quindi
invita me. Io vengo e ti
guardo le spalle».
Pensai al fatto che avrei bevuto sangue,
perché mi era
piaciuto tanto che persino Bellicosa e
Terribile se ne erano
accorte. E provai, senza riuscire, a non
pensare all'odore del
sangue… quello di Heath, quello di Erik
e persino quello di Elliott. Prima o poi Stevie Rae avrebbe
scoperto che effetto aveva
già il sangue su di me, ma non sarebbe
stato quella notte. Anzi, se
potevo evitarlo, non sarebbe stato
neanche presto. Non volevo
correre il rischio di perdere lei o le
gemelle o Damien e avevo
paura che sarebbe andata così. Certo,
sapevano che ero «speciale»,
mi accettavano perché quella diversità
per loro significava Somma
Sacerdotessa e questo andava bene. La
mia brama di sangue, però,
non andava altrettanto bene. L'avrebbero
accettata con la stessa
facilità? «Neanche per sogno, Stevie
Rae.»
«Ma, Zoey, non dovresti andare da sola
in quel covo di
streghe.»
«Non sarò sola. Ci sarà anche Erik.»
«Certo, ma lui è stato il ragazzo di
Afrodite. Chi può sapere
se o quanto si opporrà se lei diventasse
davvero odiosa con te?»
«Tesoro, so difendermi da me.»
«Lo so, ma…» S'interruppe e mi guardò
con un'espressione
buffa. «Zy, stai vibrando?»
«Eh? Cos'è che sto facendo?» Poi lo
udii anch'io e mi misi a
ridere. «È il mio cellulare. L'ho ficcato
in borsa ieri sera dopo
averlo caricato.» Lo presi e guardai
l'ora sul display. «È
mezzanotte passata, chi cavolo…» Aprii
lo sportellino e restai
stupefatta vedendo che avevo quindici
nuovi messaggi e cinque
chiamate perse. «Oddio, qualcuno ha
continuato a chiamare e
chiamare e io non me ne sono neanche
accorta.» Controllai prima i
messaggi e nel leggerli mi si annodò lo
stomaco.
ZO KIAMA
T V TTT B
ZO KIAMA X FAV
DEVO VDRT
C6?
M KIAMI?
VOGLIO PARLARTI
ZO!
KIAMAMI
Non c'era bisogno che ne leggessi altri,
dato che erano tutti
praticamente uguali. «Ah, cacchio. Sono
tutti di Heath.»
«Il tuo ex?»
Sospirai. «Già.»
«E cosa vuole?»
«A quanto sembra, me.» Riluttante,
digitai il codice di
accesso alla casella vocale e la bella
voce sonnacchiosa di Heath
mi colpì per il tono acceso e animato.
Zo! Chiamami. Senti, lo so che è tardi,
ma… cioè, per te non
è tardi ma è tardi per me. Ma va bene
perché non me ne importa.
Voglio solo che mi chiami. Okay.
Allora. Ciao. Chiama.
Grugnii e cancellai il messaggio. Il
successivo sembrava
ancora più isterico.
Zoey! Okay, senti, mi devi chiamare.
Davvero. E non ti
arrabbiare. Ehi, Kayla neanche mi
piace. È una scema. Io ti amo
ancora, Zo, amo solo te. Allora chiama.
Non importa quando.
Tanto mi sveglio.
«Ragaaazzi, oh, ragaaazzi!» disse Stevie
Rae dopo aver
ascoltato la voce eccitata di Heath.
«Quello è ossessionato. Mica
da stupirsi che l'hai piantato.»
«Già.» Cancellai in fretta anche il
secondo messaggio. Il
terzo somigliava molto ai primi due, era
solo più disperato.
Abbassai il volume e pestai col piede
con impazienza mentre
controllavo anche quelli successivi
ascoltando solo quanto bastava
per sapere che potevo cancellarli.
«Devo vedere Neferet», dissi,
più a me stessa che a Stevie Rae.
«Perché? Vuoi impedirgli di chiamare o
qualcosa di simile?»
«No. Sì. Qualcosa di simile. È che le
devo parlare per, be',
per sapere cosa devo fare.» Evitai lo
sguardo curioso di Stevie
Rae. «Insomma, è già venuto qui e non
voglio che torni a piantare
casini.»
«Ah, già, hai ragione. Sarebbe un guaio
se incontrasse Erik.»
«Sarebbe orribile. Okay, meglio che mi
spicci e cerchi di
beccare Neferet prima della quinta ora.
Ci vediamo dopo la
scuola.»
Non aspettai il saluto di Stevie Rae e
schizzai in direzione
dello studio della Somma Sacerdotessa.
Che quella giornata
potesse persino peggiorare? Elliott
muore e io sono attratta dal suo
sangue. Alla sera devo andare al rito di
Samhain con un gruppo di
ragazzi che mi odiano e vogliono
assicurarsi che io lo sappia, e
con ogni probabilità ho stabilito un
Imprinting col mio quasi-exragazzo.
Già. Oggi fa proprio, proprio schifo.
26
Se Skylar che soffiava e ringhiava col
pelo dritto non avesse
attirato la mia attenzione, non avrei mai
visto Afrodite accasciata
nella piccola alcova in fondo al
corridoio in cui si trovava lo
studio di Neferet.
«Cosa c'è, Skylar?» Avevo allungato la
mano con cautela,
ricordando che Neferet aveva detto che
il suo gatto aveva il morso
facile. Ero anche sinceramente contenta
che Nala non mi stesse
seguendo come faceva di solito perché
probabilmente Skylar si
sarebbe mangiato la mia povera micetta
per pranzo. «Miciomicio.»
Il gattone rosso mi aveva squadrato
meditabondo
(probabilmente ponderava se staccarmi
un dito oppure no), poi
aveva preso la sua decisione e con uno
sbuffo era trotterellato
verso di me. Si era strusciato contro le
mie gambe, quindi aveva
rivolto un'ultima soffiata alla nicchia
poco più avanti e se ne era
andato, sparendo in direzione della
stanza di Neferet.
«Che diavolo ha?» Avevo sbirciato
nell'alcova con una certa
esitazione, chiedendomi cos'avesse
potuto far gonfiare e soffiare
un gattaccio come Skylar, e avevo
provato un discreto shock.
Era seduta sul pavimento, molto poco
visibile nell'ombra
sotto la mensola che ospitava una bella
statua di Nyx, teneva la
testa piegata all'indietro e degli occhi si
vedeva soltanto il bianco.
Mi mise una strizza folle. Restai
bloccata, aspettandomi da un
momento all'altro di vedere il sangue
rigarle la faccia. Poi però
gemette e borbottò qualcosa che non
riuscii a capire, mentre gli
occhi si muovevano sotto le palpebre
chiuse come se stesse
osservando una scena. Capii cosa stava
succedendo: Afrodite
aveva una visione. Probabilmente
l'aveva sentita arrivare e si era
nascosta nella nicchia in modo che
nessuno la trovasse per poter
tenere per sé le informazioni su morti e
distruzioni che avrebbe
potuto evitare. Vacca odiosa. Strega.
Be', non avrei lasciato che se la cavasse
ancora con tutte
quelle sue stronzate. Mi chinai e
l'afferrai sotto le braccia,
tirandola in piedi (lasciate che ve lo
dica, pesa molto più di quanto
sembri).
«Andiamo, facciamoci un giretto lungo il
corridoio e
vediamo un po' che tipo di tragedia
vorresti tenerti per te.» Dovetti
quasi trascinarla, visto che barcollava
alla cieca.
Per fortuna la stanza di Neferet non era
distante e, quando
entrammo traballando, lei si alzò di
scatto da dietro la scrivania e
corse verso di noi. «Zoey! Cos'è
successo?» Ma, non appena riuscì
a guardare bene Afrodite, capì e smise
di preoccuparsi. «Aiutami a
portarla qui sulla mia poltrona. Starà più
comoda.»
Sostenemmo Afrodite fino alla grande
poltrona di pelle e la
mettemmo a sedere, poi Neferet si
accovacciò vicino a lei
prendendole la mano.
«Afrodite, con la voce della Dea io ti
supplico di dire alla tua
Sacerdotessa cosa vedi.» Il tono di
Neferet era dolce ma
persuasivo e si percepiva la forza della
sua richiesta.
Afrodite iniziò subito a battere le
palpebre, prese un respiro
profondo e rantolante, quindi di colpo
sbarrò gli occhi, che
sembravano immensi e vitrei. «Quanto
sangue! C'è così tanto
sangue che esce dal suo corpo!»
«Chi è, Afrodite? Concentrati. Focalizza
e rendi chiara la
visione», ordinò Neferet.
Afrodite prese un altro respiro a rantolo.
«Sono morti! No.
No. Non è possibile! Non è giusto. No.
Non è normale! Io non
capisco… Io non…» Sbatté di nuovo le
palpebre e il suo sguardo
sembrò schiarirsi. Si guardò intorno
nella stanza, come se non
riconoscesse il posto, poi i suoi occhi si
posarono su di me. «Tu…
Tu sai», disse debolmente.
«Sì», risposi, intanto pensavo: certo che
so che stai cercando
di nascondere la tua visione. Però
replicai soltanto: «Ti ho trovata
in corridoio e…»
Neferet sollevò la mano per fermarmi.
«No, non ha finito.
Non dovrebbe rinvenire così presto. La
visione è ancora troppo
astratta», mi spiegò in fretta, quindi
abbassò di nuovo la voce e
riprese il tono persuasivo e di comando.
«Afrodite, torna indietro.
Osserva quello che era previsto vedessi
e potessi cambiare.»
Ha hai Eccola lì! Non riuscii a evitare
di sentirmi un po'
compiaciuta. Dopotutto, giusto il giorno
prima aveva cercato di
cavarmi gli occhi.
«I morti…» Diventava sempre più
difficile capire cosa stesse
mormorando, ma suonava più o meno
come: «Tunnel…
uccidono… qualcuno lì… io non… non
posso…» Era frenetica e
quasi mi dispiaceva per lei. Era
evidente che, qualunque cosa
stesse vedendo, la spaventava da matti.
Poi il suo sguardo che
vagava per la stanza trovò Neferet; vidi
che l'aveva riconosciuta e
cominciai a rilassarmi. Stava
riprendendo i sensi e tutta quella
strana situazione si sarebbe chiarita. Ma,
proprio mentre pensavo
quelle cose, gli occhi di Afrodite, che
sembravano fissi su Neferet,
si allargarono all'inverosimile, mentre
sulla sua faccia comparve
un'espressione di puro terrore e lei si
mise a gridare.
Neferet le strinse le mani sulle spalle
tremanti. «Svegliati!» A
malapena si voltò verso di me per un
millisecondo e mi disse:
«Vai adesso, Zoey. La sua visione è
confusa. La morte di Elliott
l'ha turbata e io devo accertarmi che
torni in sé».
Non c'era bisogno che me lo dicesse due
volte. Dimenticata
l'ossessione di Heath, mi precipitai fuori
della stanza e mi diressi a
lezione di spagnolo.
Non riuscivo a concentrarmi sulla
scuola. Continuavo a
rivedere mentalmente la scena con
Neferet e Afrodite. Era ovvio
che avesse avuto una visione su persone
che morivano, ma dalla
reazione di Neferet sembrava che non
fosse stata una visione
normale (ammesso che ne esistessero).
Stevie Rae aveva detto che
le premonizioni di Afrodite erano
talmente chiare che era riuscita
a indicare l'aeroporto giusto e persino lo
specifico aereo che aveva
visto cadere, eppure quel giorno,
all'improvviso, di chiaro non
c'era stato niente. Be', a parte l'aver
visto me e detto cose strane e
l'aver strillato come un'assatanata verso
Neferet. Proprio non
aveva senso. Avevo quasi voglia di
vedere come si sarebbe
comportata quella sera. Quasi. Misi via
le spazzole di Persefone e
presi Nala, che era rimasta appollaiata
in cima alla mangiatoia del
cavallo a guardare e a miagolarmi i suoi
strani miagolii, quindi
cominciai lentamente a tornare al
dormitorio. Questa volta non
c'era Afrodite a rompere, ma, quando
girai l'angolo vicino alla
vecchia quercia, vidi che Stevie Rae,
Damien e le gemelle si erano
riuniti lì e parlavano fitto fitto. Per
smettere appena mi videro. Mi
fissarono tutti con aria colpevole e non
fu molto difficile capire di
chi stessero parlando.
«Che c'è?» chiesi.
«Ti aspettavamo», replicò Stevie Rae,
senza la solita allegra
vitalità.
«Hai qualcosa che non va?»
«È preoccupata per te», mi rispose
Shaunee.
«Siamo preoccupati per te», specificò
Erin.
«Che sta succedendo col tuo ex?»
domandò Damien.
«Rompe, tutto qui. Se non rompesse, non
sarebbe il mio ex.»
Cercai di parlare con disinvoltura, senza
guardare nessuno dei
miei quattro amici troppo a lungo negli
occhi (non sono mai stata
granché come bugiarda.)
«Noi pensiamo che dovrei venire con te
stasera», riprese
Stevie Rae.
«A dire il vero, pensiamo che noi
dovremmo venire con te
stasera», la corresse Damien.
Aggrottai la fronte. Non esisteva proprio
che tutti e quattro
mi vedessero bere il sangue dello
sfigato di turno che quella sera
sarebbe stato mischiato al vino. «No.»
«Zoey, è stata davvero una giornata
orribile. Siamo tutti
stressati. In più, Afrodite ce l'ha con te.
Mi pare logico che stasera
stiamo uniti», ribatté sensato Damien.
Be', sì, era sensato, ma loro non
conoscevano tutta la storia.
Non volevo che conoscessero tutta la
storia. Non ancora. La verità
era che m'importava troppo di loro. Mi
facevano sentire accettata e
al sicuro, mi facevano sentire integrata,
parte di un qualcosa. Non
potevo perderlo proprio adesso, non
quando tutto quello che stava
succedendo era ancora così nuovo e
metteva così paura. Perciò
feci quello che avevo imparato a fare
bene a casa quando avevo
paura ed ero preoccupata e non sapevo
che altro fare: mi
dimostravo scocciata e sulla difensiva.
«Voi ragazzi dite che ho
dei poteri che un giorno mi faranno
diventare la vostra Somma
Sacerdotessa?»
Annuirono subito e mi sorrisero, cosa
che mi strinse il cuore.
Ce la misi tutta e resi la mia voce
davvero gelida. «Allora mi
dovete ascoltare quando dico no. Non vi
voglio lì stasera. È una
cosa che devo affrontare io. Da sola. E
non ne voglio più parlare.»
Dopo di che mi allontanai a grandi
passi.
Naturalmente entro mezz'ora ero
dispiaciuta di essere stata
così antipatica. Continuavo ad andare
avanti e indietro sotto la
grande quercia, che in un certo senso era
diventata il mio rifugio,
disturbando Nala e desiderando che
Stevie Rae comparisse per
permettermi di chiederle scusa. I miei
amici non sapevano perché
non volevo che fossero presenti, loro
avevano solo intenzione di
prendersi cura di me. Magari… magari
avrebbero capito la
faccenda del sangue. Erik sembrava
capire. Okay, certo, lui era in
quinta, però magari… Era previsto che
ci passassimo tutti. Era
previsto che cominciassimo ad avere
voglia di sangue… oppure
che morissimo. Mi rasserenai un po' e
accarezzai Nala. «Quando
l'alternativa è la morte, bere sangue non
sembra poi tanto male,
giusto?»
Fece le fusa, e lo presi per un sì.
Controllai l'ora al mio
orologio. Cacchio. Dovevo tornare al
dormitorio, cambiarmi e
andare all'incontro con le Figlie Oscure.
Senza nessuna voglia,
m'incamminai. Era di nuovo nuvoloso,
ma l'oscurità non mi dava
fastidio. A dire il vero, la notte
cominciava a piacermi. Era giusto.
Avrebbe dovuto essere il mio elemento
per molto, molto tempo.
Se fossi sopravvissuta.
Come se potesse leggere i miei pensieri
morbosi, Nala mi
rivolse un «miii-au-uuff» di rimprovero
mentre mi trotterellava
accanto.
«Sì, lo so. Non dovrei essere così
negativa. Ci lavorerò sopra
dopo che…»
Il basso ringhio di Nala mi stupì. Si era
fermata, la schiena
ingobbita, il pelo ritto e gonfio che la
facevano sembrare un
pompon peloso, ma gli occhi stretti a
fessura non erano uno
scherzo e neppure il feroce soffio che
usciva dalla sua boccuccia.
«Nala, cosa…»
Un gelo terribile si propagò lungo la mia
schiena anche prima
che mi voltassi a guardare nella
direzione in cui puntava la gatta.
In seguito, non sarei riuscita a capire
perché non avessi gridato.
Ricordo che mi si era aperta la bocca
per inghiottire aria, ma ero
rimasta nel più assoluto silenzio. Mi
sembrava di essere inebetita,
ma era impossibile, perché se lo fossi
stata non sarei potuta
rimanere pietrificata a quel modo.
Elliott era in piedi a meno di tre metri
da me, nel buio che
scuriva lo spazio vicino al muro di
cinta. Doveva essere diretto
dalla stessa parte in cui stavamo
andando Nala e io, poi ci aveva
sentito e si era voltato un po' verso di
noi. La gatta soffiò ancora e
lui, con un movimento di una rapidità da
paura, si girò per
affrontarci.
Giuro che non riuscivo a respirare. Era
un fantasma…
doveva esserlo, ma sembrava così
fisico, così reale. Se non avessi
visto il suo organismo rifiutare la
Trasformazione, avrei pensato
che fosse soltanto un po' più pallido del
solito e… e… strano. Era
bianco in modo anormale, ma non era
l'unica cosa che non andava
in lui. Gli occhi erano cambiati.
Riflettevano la poca luce presente
e splendevano di un terribile rosso
rugginoso, come sangue secco.
Proprio come gli occhi del fantasma di
Elizabeth.
C'era anche qualcos'altro di diverso in
lui. Il suo corpo
sembrava strano, più magro. Com'era
possibile? Poi mi arrivò il
puzzo. Di vecchio, asciutto e fuori posto,
come un armadio che
non veniva aperto da anni o un'orribile
cantina ammuffita. Era lo
stesso odore che avevo notato appena
prima di vedere Elizabeth.
Nala ringhiò ed Elliott si mise in una
strana posa semiaccucciata e le soffiò. Quindi mostrò i
denti e riuscii a vedere che i
canini erano zanne! Fece un passo verso
Nala, quasi volesse
attaccarla.
Non pensai, reagii e basta. «Lasciala
stare e vattene da qui!»
Mi stupì che sembrasse che non stessi
facendo niente di più
interessante che strillare contro un cane
cattivo, perché avevo una
strizza inimmaginabile.
Elliott girò la testa verso di me e la
luminosità dei suoi occhi
mi toccò per la prima volta.
Sbagliato! urlava la vocina interiore che
era diventata una
presenza familiare. Questo è un
abominio!
«Tu…» La voce di Elliott era orribile.
Era stridula e
gutturale, come se qualcosa gli avesse
danneggiato la gola. «Io ti
avrò!» Dopo di che cominciò a venire
verso di me.
Una paura primordiale mi avvolse come
un vento tagliente.
Un miagolio da battaglia squarciò la
notte e Nala si lanciò
contro il fantasma. Restai a guardare,
completamente sotto shock,
aspettandomi che la micia finisse a dare
zampate all'aria. Invece
atterrò ad artigli sguainati sulla coscia
di Elliott, graffiando e
ringhiando come un animale tre volte più
grande. Lui gridò,
l'afferrò per la collottola e la scagliò
lontano. Poi, con una velocità
e una forza impossibili, saltò
letteralmente in cima al muro di cinta
e scomparve nella notte che circondava
la scuola.
Tremavo talmente tanto che inciampai.
«Nala!» singhiozzai.
«Dove sei, piccolina?»
Ancora ringhiando tutta gonfia, mi
raggiunse a passettini
felpati, gli occhi a fessura sempre
puntati sul muro di cinta.
Mi accovacciai accanto a lei per
controllare che fosse tutta
intera e, siccome sembrava stesse bene,
la presi in braccio e mi
allontanai di corsa, più in fretta che
potevo. «Va tutto bene. Noi
stiamo bene. Se n'è andato. Sei stata una
micina così coraggiosa!»
Mentre continuavo a parlarle, mi si
arrampicò sulla spalla, in
modo da poter guardare dietro di noi,
senza smettere di ringhiare.
Al primo lampione a gas, non lontano
dalla sala di
ricreazione, mi fermai e spostai Nala,
per controllare meglio che
stesse davvero bene, e quello che
scoprii mi attorcigliò lo stomaco
al punto che pensai di stare per
vomitare. Sulle sue zampe c'era del
sangue. Solo che non apparteneva a lei.
E non aveva l'odore
delizioso dell'altro, ma risentiva della
puzza di cantina vecchia e
ammuffita. Mentre le pulivo le zampe
sulla poca erba invernale,
mi sforzai di non rigettare, quindi la
ripresi in braccio e mi
affrettai lungo il marciapiede che
portava al dormitorio. Nala
continuò imperterrita a guardare dietro
di noi e a ringhiare.
Stevie Rae, le gemelle e Damien erano
tutti vistosamente
assenti dal dormitorio. Non stavano
guardando la TV, non erano
nella stanza dei computer né in
biblioteca e non erano neppure in
cucina. Salii in fretta le scale, sperando
con tutta me stessa che
almeno Stevie Rae fosse nella nostra
camera. Non fui così
fortunata.
Mi sedetti sul letto a coccolare Nala,
che era ancora
sconvolta. Dovevo andare a cercare i
miei amici? O era meglio
che restassi lì? Prima o poi Stevie Rae
sarebbe comunque dovuta
tornare in camera. Guardai il suo
ancheggiante orologio Elvis:
avevo circa dieci minuti per cambiarmi
e arrivare in sala di
ricreazione. Ma come potevo andare al
rito dopo quanto era
appena successo?
E cosa era appena successo?
Un fantasma aveva cercato di assalirmi.
No. Non era così.
Come avrebbe potuto sanguinare un
fantasma? E poi, quello che
avevo visto era davvero sangue? Non ne
aveva l'odore. E non
avevo idea di cosa stesse accadendo.
Dovrei andare dritta da Neferet a
riferirle quello che mi è
capitato. Dovrei alzarmi all'istante per
portare me e la mia gatta
stravolta da Neferet e dirle di Elizabeth
la scorsa notte e di Elliott
poco fa. Dovrei… dovrei…
No. Questa volta non fu un grido dentro
di me, fu la forza
della certezza. Non potevo dirlo a
Neferet, almeno non in quel
momento.
«Devo andare al rito, devo essere
presente a quel rito», dissi,
ripetendo ad alta voce le parole che mi
echeggiavano nella testa.
Mentre indossavo il vestito nero e
cercavo le ballerine
nell'armadio, mi sentii di colpo
diventare calma. Le cose in quel
posto non seguivano le stesse regole del
mio vecchio mondo –
della mia vecchia vita – ed era tempo
che accettassi la situazione e
cominciassi ad abituarmici.
Avevo un'affinità coi cinque elementi, il
che significava che
un'antica Dea mi aveva dotata di poteri
incredibili. E, come mi
aveva ricordato la nonna, con un grande
potere viene anche una
grande responsabilità. Magari mi era
consentito di vedere delle
cose – come per esempio fantasmi che
non si comportavano né
odoravano come dovrebbero fare i
fantasmi – per un motivo.
Anche se ancora non sapevo cosa questo
significasse. A dire il
vero, sapevo ben poco a parte i due
pensieri che avevo chiari in
mente: non potevo dirlo a Neferet e
dovevo andare al rito.
Mentre mi affrettavo a raggiungere la
sala di ricreazione,
cercai almeno di pensare positivo.
Magari Afrodite non si sarebbe
fatta vedere quella sera, oppure ci
sarebbe stata ma si sarebbe
dimenticata di tormentarmi.
Ma non era la mia serata fortunata,
perché non sarebbe
successa né l'una né l'altra cosa.
27
«Bel vestito, Zoey, somiglia molto al
mio. Ah, no, aspetta!
Una volta era mio!» Afrodite si lanciò in
una risata di gola, che
diceva io-sono-grande-e-tu-sei-solouna-bambina.
Detesto le ragazze che lo fanno.
Insomma, è vero che lei è
più grande, ma le tette ce le ho anch'io.
Sorrisi e, aggiungendo una
dose extra d'innocente tontolaggine alla
mia voce, mi lanciai in
una balla clamorosa, che devo aver
detto piuttosto bene,
considerando che come bugiarda valgo
proprio poco, ma ero
appena stata assalita da un fantasma e
tutti ci stavano ascoltando:
«Ciao, Afrodite! Cavolo, ho appena
letto in un capitolo del libro di
Socio Vamp 415 che mi ha dato Neferet
quant'è importante che la
leader delle Figlie Oscure faccia sentire
benvenuto e accettato
ogni nuovo del gruppo. Devi essere
orgogliosa dell'ottimo lavoro
che stai facendo». Poi mi avvicinai a lei
un po' di più e abbassai la
voce, in modo che le altre non potessero
ascoltare. «E devo dire
che hai un aspetto decisamente migliore
dell'ultima volta che ti ho
vista.»
La vidi impallidire e sono sicura che
negli occhi le passò un
lampo di paura.
Con stupore mi accorsi che questo non
mi faceva sentire
vincente e soddisfatta, piuttosto
meschina, squallida e stanca.
Sospirai. «Scusa, non avrei dovuto
dirlo.»
La sua espressione s'indurì. «Vaffanculo,
mostro», sibilò.
Quindi rise come avesse fatto una battuta
spiritosissima (a mie
spese), mi voltò le spalle e con un
odioso movimento di capelli
raggiunse il centro della stanza.
Okay, non mi sentivo più meschina.
Vacca odiosa. Sollevò
un braccio esile e tutti quelli che erano
rimasti a fissarmi a bocca
aperta rivolsero la loro attenzione (per
fortuna) su di lei. Indossava
un vestito di seta rossa dall'aria antica
che le stava come se
gliel'avessero dipinto addosso. Avrei
proprio voluto sapere dove
cavolo si vestiva. Nella boutique
zoccola dark?
«Ieri è morta una novizia, e oggi un
novizio.»
La sua voce era forte e chiara e pareva
quasi
compassionevole, cosa che mi stupì. Per
un secondo mi ricordò
davvero Neferet e mi chiesi se stesse
per dire qualcosa di
profondo, da vero capo.
«Li conoscevamo entrambi. Elizabeth
era carina e tranquilla.
Elliott è stato il nostro frigorifero per
parecchi degli ultimi riti.» Di
colpo sorrise, feroce e cattiva, e
qualunque somiglianza potesse
aver avuto con la Somma Sacerdotessa
scomparve. «Ma erano
deboli e ai vampiri non servono
elementi deboli.» Alzò le spalle
coperte di rosso. «Se fossimo umani la
definiremmo legge della
selezione naturale. Grazie alla Dea non
siamo umani, quindi
chiamiamolo soltanto Fato e stasera
festeggiamo che non abbia
assestato una pedata al fondoschiena di
qualcuno di noi.»
Trovai disgustoso che tutti
mormorassero frasi di
approvazione. Non avevo conosciuto
davvero Elizabeth, ma era
stata gentile con me. Okay, ammetto che
Elliott non mi piaceva
proprio e che non piaceva a nessuno.
Era una palla, scocciante e
brutto (e il suo fantasma o quello che era
sembrava avere
mantenuto quelle caratteristiche), ma non
ero contenta che fosse
morto. Se mai sarò a capo delle Figlie
Oscure, non mi prenderò
gioco della morte di un novizio, per
quanto insignificante possa
essere stato. Lo promisi a me stessa, ma
mi resi anche conto di
averlo pensato come una preghiera.
Sperai che Nyx mi ascoltasse,
e che approvasse.
«Ma basta con le tristezze», stava
dicendo Afrodite. «È
Samhain! La notte in cui celebriamo la
fine della stagione del
raccolto e, ancor meglio, è il momento
in cui ricordiamo i nostri
antenati, tutti i grandi vampiri che sono
vissuti e morti prima di
noi.» Aveva un tono che metteva i
brividi, come se si fosse calata
troppo nella parte e, quando continuò,
non potei non alzare gli
occhi al soffitto. «È la notte in cui il
velo tra la vita e la morte si fa
più sottile ed è più probabile che gli
spiriti si manifestino sulla
terra.»
S'interruppe e si guardò intorno nella
stanza, facendo bene
attenzione a ignorarmi (come peraltro
facevano tutti gli altri), e nel
momento di pausa ebbi il tempo di
riflettere su quanto aveva
appena detto. E se ciò che era successo
con Elliott avesse avuto a
che fare col velo tra la vita e la morte
che era più sottile e col fatto
che era morto il giorno di Samhain?
Ma non ebbi il tempo di chiedermi altro
perché Afrodite alzò
la voce e gridò: «Perciò cosa
facciamo?»
«Usciamo!» strillarono per tutta risposta
le Figlie e i Figli
Oscuri.
La risata di Afrodite era davvero troppo
sexy per essere
appropriata e giuro che si stava
toccando. Proprio davanti a tutti.
Dio, se era disgustosa! «Giusto. Ho
scelto un posto super per noi
stasera e ad aspettarci là con le ragazze
c'è anche un nuovo piccolo
frigorifero.»
Arrgh! Con «le ragazze» intendeva forse
Bellicosa, Terribile
e Vespa? Diedi una rapida occhiata in
giro ma non le vidi.
Grandioso. Potevo giusto immaginare
cosa quelle tre più Afrodite
potevano considerare «super». E non
volevo neppure pensare a
quel poveretto o poveretta che era stato
convinto a chiacchiere a
fare da nuovo frigorifero.
E sì, ero in fase di negazione totale
anche del fatto che mi era
venuta l'acquolina in bocca non appena
Afrodite aveva detto che
c'era un frigorifero ad attenderci, il che
significava che avrei di
nuovo bevuto sangue.
«Allora usciamo di qui. E ricordatevi di
non fare rumore.
Concentratevi sull'essere invisibili e
qualunque umano dovesse
essere ancora sveglio semplicemente
non ci vedrà.» Poi Afrodite
mi fissò dritto negli occhi. «E che Nyx
abbia pietà di chiunque ci
faccia scoprire, perché noi di certo non
ne avremo.» Rivolse un
sorriso viscido al gruppo. «Seguitemi,
Figlie e Figli Oscuri!»
In silenzio, a coppie o in piccoli gruppi,
tutti la seguirono
fuori della porta posteriore.
Naturalmente m'ignorarono. Stavo
quasi per non andare con loro. Non ne
avevo proprio voglia.
Insomma, per quella sera di emozioni ne
avevo avute più che a
sufficienza. Avrei fatto meglio a tornare
al dormitorio per
scusarmi con Stevie Rae, poi potevamo
cercare le gemelle e
Damien e io avrei raccontato a tutti di
Elliott (mi fermai a
controllare se la sensazione allo
stomaco mi avvisava di non dire
niente ai miei amici, ma restò zitta).
Okay. Benone. Potevo
dirglielo. Sembrava un'idea molto più
carina del seguire quella
stronza di Afrodite e un gruppo di
ragazzi che non mi
sopportavano. Ma il mio intuito, che se
n'era stato tranquillo
mentre pensavo di parlare coi miei
amici, s'impennò di colpo.
Dovevo proprio partecipare al rito.
Sospirai.
«Andiamo, Zy, non vorrai perderti lo
spettacolo, vero?» Erik
era in piedi accanto alla porta, aspetto
da Superman e occhi azzurri
sorridenti.
Be', che diavolo. «Stai scherzando?
Ragazze odiose, uno
psicodramma da setta e una grande
occasione d'imbarazzo e
spargimento di sangue. Che cosa c'è di
meglio? Non me ne
perderei neanche un istante.»
Insieme, Erik e io seguimmo il gruppo.
Camminavano tutti in silenzio verso il
muro dietro la sala di
ricreazione, che era troppo vicino al
punto in cui avevo visto
Elizabeth ed Elliott perché non mi
sentissi a disagio. E poi, chissà
come, i ragazzi sembrarono sparire nel
muro.
«Ma che…?» mormorai.
«È solo un'illusione. Vedrai.»
Vidi. In realtà si trattava di una porta
segreta, tipo quelle che
ci sono nei vecchi film gialli, solo che,
invece di essere in una
libreria o dentro un caminetto (come nei
film d'Indiana Jones… sì,
sono una sfigata), questa era una piccola
sezione dello spesso e
altrove massiccio muro di cinta della
scuola. Una parte ruotava
verso l'esterno quel tanto che bastava
per far passare una persona
(o novizio o vampiro o magari anche
uno o due terrificanti
fantasmi solidi). Erik e io fummo gli
ultimi ad attraversare, quindi
udii un rumore soffocato e mi voltai in
tempo per vedere il muro
richiudersi alla perfezione.
«Funziona con un tastierino numerico,
come la portiera di
un'auto», bisbigliò Erik.
«Ooh. Chi ne è al corrente?»
«Chiunque sia mai stato una Figlia o un
Figlio Oscuro.»
«Ooh.» Supposi che questo significasse
la maggioranza dei
vampiri adulti. Mi guardai intorno e non
vidi nessuno che ci
osservasse o ci seguisse.
Erik notò la mia occhiata. «Non gliene
importa. È nella
tradizione della scuola che sgattaioliamo
fuori per qualche rituale.
Finché non facciamo niente di troppo
stupido, fingono di non
sapere che usciamo.» Si strinse nelle
spalle. «La cosa funziona,
immagino.»
«Finché non facciamo niente di troppo
stupido.»
«Sstt!» sibilò qualcuno davanti a noi.
Chiusi la bocca e decisi di concentrarmi
su dove eravamo
diretti.
Erano le quattro e mezzo del mattino. E
di sveglio non c'era
nessuno, guarda un po' che sorpresa. Era
strano camminare in
quella zona elegante di Tulsa – un
quartiere pieno di palazzi
costruiti coi vecchi petroldollari – senza
che nessuno si accorgesse
di noi. Tagliavamo per giardini
incredibilmente curati e non c'era
un cane che ci abbaiasse dietro. Era
come se fossimo ombre… o
fantasmi… Il pensiero mi diede un
brivido di paura. La luna, che
prima era quasi del tutto oscurata dalle
nuvole, adesso brillava
bianco-argentea in un cielo
inaspettatamente limpido. Giuro che
con quella luce avrei potuto leggere
anche prima di venire
Segnata. Faceva freddo, ma non mi dava
fastidio come invece
sarebbe successo appena una settimana
prima. Cercai di non
pensare a ciò che questo significava
riguardo alla Trasformazione
che stava avvenendo nel mio organismo.
Attraversammo una strada, poi
scivolammo senza far rumore
tra due giardini. Udii dell'acqua corrente
prima ancora di vedere il
pìccolo ponte pedonale. La luna
rischiarava il ruscello come se
qualcuno ci avesse versato sopra del
mercurio. Mi sentii catturata
da tanta bellezza e rallentai, ricordando
che ormai la notte era il
mio nuovo giorno. Speravo di non
abituarmi mai alla sua oscura
maestosità.
«Andiamo, Zy», mormorò Erik dall'altra
parte del ponte.
Alzai lo sguardo verso di lui. Si
stagliava sullo sfondo di una
magnifica abitazione che si estendeva
sulla collina con l'immenso
prato terrazzato e laghetto e gazebo e
fontane e cascatelle (quella
gente aveva decisamente,
clamorosamente troppi soldi), e mi
ricordò quegli eroi romantici della
Storia, come… come… Be', gli
unici due eroi cui riuscivo a pensare
erano Superman e Zorro, e
nessuno di loro era davvero un
personaggio storico. Ma aveva
proprio un'aria da cavaliere, e pure
romantico.
Poi capii in quale stupenda proprietà
stavamo entrando di
straforo, quindi mi affrettai a
raggiungerlo e bisbigliai frenetica:
«Erik, questo è il Philbrook Museum! Ci
metteremo davvero nei
casini se ci beccano qui intorno».
«Non ci beccheranno.»
Dovetti faticare per stargli dietro.
Camminava in fretta,
desiderando molto più di me di
raggiungere il gruppo silenzioso e
spettrale.
«Okay, questa non è la casa di un
riccone. Questo è un
museo. Qui ci sono le guardie
ventiquattr'ore su ventiquattro.»
«Afrodite le avrà drogate.»
«Cosa?!»
«Sstt! Non gli fa male. Saranno intontite
per un po', poi se ne
andranno a casa e non si ricorderanno
niente. Roba da poco.»
Non replicai, ma proprio non mi piaceva
che fosse così
«chissene» riguardo al fatto di drogare
delle guardie della
sicurezza. Non mi sembrava giusto,
anche se potevo capirne
l'utilità. Stavamo entrando di nascosto
dove non si poteva. Non
volevamo essere beccati. Quindi si
dovevano drogare le guardie.
Ci arrivavo. Solo che non mi piaceva, e
mi suonava come un'altra
cosa che implorava di essere cambiata
riguardo alle Figlie Oscure
e al loro atteggiamento da santarelline.
Mi ricordavano sempre di
più il Popolo della Fede, e non era un
paragone lusinghiero.
Afrodite non era un Dio (o una Dea, per
essere più precisi), a
prescindere da come amasse definirsi.
Erik e io ci unimmo al gruppo che aveva
formato un ampio
cerchio intorno al gazebo a cupola posto
ai piedi del pendio che
portava al museo. Era vicino al laghetto
ornamentale che finiva
esattamente dove iniziavano le terrazze
da cui si raggiungeva
l'ingresso dell'edificio. Quel posto era
davvero di una bellezza
incredibile. C'ero stata due o tre volte,
una anche con la classe di
Arte, e in quell'occasione mi ero sentita
ispirata a fare uno schizzo
dei curatissimi giardini, anche se in
disegno sono negata. Adesso
la notte l'aveva trasformato in un magico
regno fatato, sfumato
dalla luna e ombreggiato da strati di
grigio, di argento e di blu.
Anche lo stesso gazebo era incredibile.
Era posto in cima ad
ampie scale rotonde, come un trono, in
modo che per arrivarci
bisognasse salire. Era fatto di colonne
bianche scolpite e la cupola
era illuminata da sotto; somigliava a
qualcosa che si sarebbe
potuto trovare nell'antica Grecia e che
era stato riportato al suo
antico splendore e illuminato per essere
visibile nella notte.
Afrodite salì la scala per prendere posto
al centro del gazebo,
dove naturalmente c'erano anche
Bellicosa, Terribile e Vespa,
oltre a un'altra ragazza che non
conoscevo. Avrei potuto averla
vista un miliardo di volte senza poi
ricordarmene, dato che era
solo un'altra bionda simil-Barbie (anche
se con ogni probabilità il
suo nome significava qualcosa tipo
Odiosa o Malvagia). Lì
avevano sistemato un tavolino coperto
con un telo nero e vidi che
sopra c'erano delle candele, oltre ad
altra roba tra cui un calice e
un coltello. Un poveretto era chino con
la testa sul tavolo e gli
avevano messo addosso un mantello che
lo copriva, facendolo
somigliare molto a Elliott la notte in cui
aveva fatto da frigorifero.
Dare il sangue per i riti di Afrodite
doveva davvero mettere
fuori uso e mi chiesi se non avesse in
qualche modo contribuito a
causare la morte di Elliott. Bloccai fuori
del cervello il fatto che
mi veniva l'acquolina in bocca al
pensiero del sangue del ragazzo
mischiato al vino nel calice. Strano
come potessi desiderare da
matti una cosa che allo stesso tempo
trovavo disgustosa
all'ennesima potenza.
«Realizzerò il cerchio e chiamerò gli
spiriti degli antenati a
danzare con noi al suo interno»,
annunciò Afrodite. Parlava piano,
ma la sua voce si propagò tra di noi
come una foschia velenosa.
Metteva strizza pensare a dei fantasmi
attirati nel cerchio,
soprattutto dopo le mie recenti
esperienze, ma devo ammettere che
la curiosità era quasi pari alla paura.
Magari ero così certa di dover
essere lì perché ci avrei trovato qualche
indizio riguardo a
Elizabeth e a Elliott. E poi era evidente
che non era la prima volta
che le Figlie Oscure tenevano quel rito,
quindi non poteva essere
tanto spaventoso o pericoloso. Afrodite
se la tirava un casino
facendo la gran figa, ma avevo la
sensazione che fosse una
commedia. Sotto sotto, era come tutti i
bulli: insicura e immatura.
E poi i prepotenti tendono a evitare
chiunque sia più tosto di loro,
quindi era più che logico che, se
intendeva chiamare degli spiriti
in un cerchio, significava che erano
innocui, probabilmente
persino simpatici. Lei non avrebbe certo
affrontato un mostraccio
grande, grosso e cattivo.
Né qualcosa di realmente spaventoso
come quello che era
diventato Elliott.
Cominciai a rilassarmi per accogliere
quella che stava già
diventando una familiare vibrazione di
energia, quando le quattro
Figlie Oscure che rappresentavano gli
elementi presero le candele
votive e si posizionarono nei punti giusti
del mini-cerchio nel
gazebo. Afrodite chiamò il vento e i
miei capelli si sollevarono
dolcemente in una brezza che soltanto io
potevo percepire. Chiusi
gli occhi, gustandomi la scossa che mi
faceva pizzicare la pelle. A
dire il vero, nonostante Afrodite e quelle
presuntuose delle Figlie
Oscure, trovavo piacevole l'inizio del
rito. E poi Erik mi stava
accanto, il che mi aiutava a non
preoccuparmi del fatto che nessun
altro dei presenti mi avrebbe rivolto la
parola.
Mi rilassai ancora di più,
improvvisamente certa che il futuro
non sarebbe stato poi tanto terribile.
Avrei fatto pace coi miei
amici, insieme avremmo risolto il
mistero di quegli strani fantasmi
e magari mi sarei persino fatta un
ragazzo ipersuperstrafigo.
Sarebbe andato tutto bene. Aprii gli
occhi e guardai Afrodite
muoversi intorno al cerchio. Ciascun
elemento mi attraversò come
una scossa elettrica e mi chiesi come
potesse non accorgersene
Erik standomi tanto vicino. Gli diedi
perfino un'occhiatina di
nascosto, aspettandomi quasi che mi
stesse guardando mentre gli
elementi giocavano sulla mia pelle, ma
anche lui, come tutti gli
altri, fissava Afrodite (il che a dire il
vero mi scocciava pure un
po': non avrebbe dovuto darmi anche lui
occhiatine di nascosto?)
Poi Afrodite iniziò a evocare gli spiriti
ancestrali e persino io non
potei non rivolgere a lei tutta la mia
attenzione. Era accanto al
tavolo e teneva una lunga treccia di erba
secca sopra la fiamma
viola dello spirito, perché prendesse
fuoco in fretta. La lasciò
bruciare un po', quindi la spense e prese
ad agitarla con delicatezza
intorno a sé mentre cominciava a
parlare, riempiendo l'aria di
riccioli di fumo. Odorai e riconobbi il
profumo d'ierocloe, una
delle erbe cerimoniali più sacre perché
attira l'energia spirituale e
che viene chiamata sweet grass, un
nome che mi è sempre piaciuto
un sacco. La nonna l'usava spesso nelle
sue preghiere. Poi
aggrottai la fronte e provai un fremito di
preoccupazione. La
ierocloe doveva essere usata soltanto
dopo che l'aria era stata
pulita e purificata bruciando della
salvia, altrimenti avrebbe potuto
attirare qualunque tipo di energia. E
«qualunque» non sempre
significa buona. Ma, anche se avessi
potuto fermare la cerimonia,
ormai era troppo tardi per dire qualcosa,
perché Afrodite aveva già
iniziato a chiamare gli spiriti e la sua
voce aveva preso un tono
cantilenante che in un certo senso veniva
intensificato dal denso
fumo che si arricciava intorno a lei.
In questa notte di Samhain, ascoltate il
mio antico richiamo,
voi tutti spiriti dei nostri antenati. In
questa notte di Samhain, che
la mia voce giunga con questo fumo nel
mondo ultraterreno, dove
gli spiriti luminosi danzano nella dolce
foschia del ricordo. In
questa notte di Samhain, io non chiamo
gli spiriti dei nostri
antenati umani. No, li lascio dormire,
perché non ho bisogno di
loro nella vita né nella morte. In questa
notte di Samhain, io
chiamo gli antenati magici, gli antenati
mistici, quelli che un
tempo erano più che umani e che sono
più che umani anche nella
morte.
Affascinata, osservai con tutti gli altri il
fumo che
ondeggiava, mutava e cominciava ad
assumere delle forme.
All'inizio pensai di star immaginando le
cose e cercai di schiarirmi
la vista sbattendo le palpebre, ma presto
capii che non erano i miei
occhi ad avere dei problemi e che
all'interno del fumo si stavano
davvero formando delle persone. Erano
indistinte, più contorni di
corpi che corpi veri e propri, ma col
continuo ondeggiare della
treccia d'ierocloe si facevano sempre
più consistenti e
all'improvviso il cerchio fu pieno di
figure spettrali con bui occhi
cavernosi e bocche spalancate.
Non somigliavano affatto a Elizabeth o a
Elliott, piuttosto a
come avevo sempre immaginato fossero
i fantasmi: fumosi,
trasparenti e spaventosi. Annusai l'aria.
No, decisamente non c'era
quello schifoso odore di cantina
ammuffita.
Afrodite posò la treccia ancora fumante
e prese il calice.
Anche da dove mi trovavo io, sembrava
insolitamente pallida,
come avesse assunto alcune delle
caratteristiche fisiche degli
spettri. Il vestito rosso strideva in modo
quasi esagerato in quel
cerchio di fumo, di grigio e di foschia.
«Io vi do il benvenuto,
spiriti ancestrali, e vi chiedo di
accettare la nostra offerta di vino e
sangue affinché possiate ricordarvi cosa
significa assaporare la
vita.» Sollevò il calice e le figure di
fumo presero ad agitarsi in
modo turbolento e confuso,
evidentemente eccitate. «Io vi do il
benvenuto, spiriti ancestrali, e
all'interno della protezione del mio
cerchio…»
«Zo! Lo sapevo che ti avrei trovata se
mi ci fossi messo
d'impegno!»
La voce di Heath tagliò la notte come un
coltello,
interrompendo le parole di Afrodite.
28
«Heath! Che diavolo ci fai qui?»
«Be', non mi hai richiamato.» Senza
curarsi di tutti gli altri,
mi abbracciò. Non mi serviva la
splendente luce della luna per
vedere che aveva gli occhi iniettati di
sangue. «Zo, mi mancavi!»
sbottò, alitandomi addosso un fiato alla
birra.
«Heath, te ne devi andare…»
«No. Lascia che rimanga», m'interruppe
Afrodite.
Heath spostò lo sguardo su di lei, e
immaginai cosa dovesse
sembrargli: lei era al centro della
chiazza luminosa creata dalle
luci del gazebo, che splendevano nel
fumo della sweet grass e la
illuminavano quasi come se si trovasse
sott'acqua. Il vestito rosso
era iperaderente, i folti capelli biondi le
scendevano oltre le spalle
e aveva le labbra tese in un sorriso
cattivo che ero sicura Heath
avrebbe preso per un gentile benvenuto.
Probabilmente non si era
neanche accorto degli spettri fumosi che
avevano smesso di
fluttuare intorno al calice e avevano
rivolto le orbite vuote verso di
lui. E di certo non si era accorto
nemmeno che la voce di Afrodite
aveva un tono strano e cupo e che i suoi
occhi erano vitrei e fissi.
Diavolo, conoscendo Heath, l'unica cosa
di cui doveva essersi
accorto erano le sue grandi tette.
«Figo, una sirena vampira.» Heath mi
dimostrò che avevo
ragione.
«Portalo via di qui.» La voce di Erik era
tesa e preoccupata.
Heath staccò gli occhi dalle tette di
Afrodite per guardare
male Erik. «E tu chi sei?»
Ah, cacchio. Conoscevo quel tono. Era
quello che Heath
usava quando stava per avere un attacco
di gelosia (un altro
motivo per cui era il mio ex).
«Heath, devi andare via di qui»,
intervenni.
«No.» Si avvicinò e mi mise un braccio
intorno alle spalle
con aria possessiva, ma senza
guardarmi. Continuava a fissare
Erik. «Sono venuto per vedere la mia
ragazza, e vedrò la mia
ragazza.»
Ignorai il fatto che riuscivo a percepire
il battito di Heath nel
punto in cui il suo braccio era
appoggiato sulla mia spalla e,
invece di fare qualcosa di assolutamente
disgustoso e inquietante
come mordergli il polso, me lo scrollai
di dosso e l'afferrai in
modo che guardasse me e non Erik. «Io
non sono la tua ragazza.»
«'azz, Zo, l'hai appena detto.»
Digrignai i denti. Dio se era tonto (ecco
un'altra ragione per
cui era il mio ex).
«Ma sei scemo?» fece Erik.
«Senti, stronzo succhiasangue, io…»
cominciò Heath, ma la
strana voce echeggiante di Afrodite lo
sommerse. «Vieni qui,
umano.»
Come se i nostri occhi fossero stati
calamitati dal suo insolito
fascino, Heath, Erik e io (e peraltro
anche il resto delle Figlie e dei
Figli Oscuri) li alzammo verso di lei.
Il suo corpo sembrava strano. Stava
pulsando? E com'era
possibile? Gettò i capelli all'indietro e
si passò addosso una mano
come una spogliarellista oscena,
portandosela a coppa sul seno e
poi strofinandosela in mezzo alle gambe.
L'altra mano si sollevò
per fare cenno a Heath di avvicinarsi.
«Vieni da me, umano. Fatti
assaggiare.»
Questo era male; questo era sbagliato.
Sarebbe successo
qualcosa di terribile se Heath fosse
entrato nel cerchio.
Completamente affascinato da lei, lui
barcollò avanti senza
esitazione (né buonsenso).
Gli afferrai un braccio e fui felice di
vedere che Erik gli
prendeva l'altro. «Basta, Heath! Voglio
che te ne vada. Subito.
Non devi stare qui.»
Con uno sforzo, lui staccò gli occhi da
Afrodite, si liberò
dalla stretta di Erik e praticamente gli
ringhiò. Poi si voltò verso di
me. «Tu mi tradisci!»
«Ma proprio non ascolti? Non posso
tradirti, dato che non
stiamo insieme! Adesso esci da…»
«Se si oppone al nostro richiamo, allora
andremo noi da lui.»
Girai la testa di scatto e vidi Afrodite in
preda alle
convulsioni mentre dal suo corpo
uscivano dei filamenti di fumo
grigio e lei emetteva un sospiro a metà
tra un singhiozzo e un
grido. Gli spiriti, inclusi quelli da cui
era evidentemente stata
posseduta, si precipitarono al margine
del cerchio, facendo
pressione nel tentativo di liberarsi e
gettarsi su Heath.
«Afrodite, fermali o lo uccideranno!»
Damien sbucò da
dietro una siepe ornamentale che
circondava il laghetto.
«Damien, cosa…» cominciai, ma lui
scosse la testa.
«Non c'è tempo di spiegare», ribatté in
fretta prima di
riportare l'attenzione su Afrodite. «Tu
sai cosa sono, devi
trattenerli all'interno del cerchio
altrimenti lui morirà», le gridò.
Afrodite era così pallida che sembrava
un fantasma anche lei.
Si allontanò dalle figure di fumo, che
tentavano ancora
d'infrangere l'invisibile confine del
cerchio, fino a ritrovarsi
appoggiata contro il tavolo. «Non li
fermerò. Se lo vogliono,
possono averlo. Meglio lui di me… o
del resto di noi.»
«Già, non vogliamo avere niente a che
fare con questa
merda!» Terribile lasciò cadere la
candela, che sfrigolò e si
spense. Senza aggiungere altro, corse
via dal cerchio e giù dalle
scale del gazebo.
Le altre tre ragazze che personificavano
gli elementi
seguirono il suo esempio e scomparvero
in fretta nella notte,
lasciando le candele rovesciate e spente.
Piena di orrore, osservai una delle
figure grigie cominciare a
sciogliersi attraverso il cerchio, il fumo
del suo corpo spettrale che
scivolava come un serpente lungo la
scala, nella nostra direzione.
Percepii un movimento tra le Figlie e i
Figli Oscuri e mi guardai
intorno: stavano arretrando
nervosamente con un'espressione
spaventata che ne distorceva i volti.
«Tocca a te, Zoey.»
«Stevie Rae!»
La mia amica vacillava in mezzo al
cerchio. Si era levata di
dosso il mantello che l'aveva coperta
fino a quel momento
mostrando così le bende bianche ai
polsi. «Te l'avevo detto che
dovevamo restare uniti.» Stevie Rae mi
rivolse un debole sorriso.
«Meglio che ti spicci», disse Shaunee.
«Quei fantasmi stanno facendo cagare
sotto il tuo ex»,
concluse Erin.
Mi girai e vidi le gemelle accanto a un
Heath pallido e con la
bocca spalancata, e provai un moto di
gioia totale: non mi avevano
abbandonata! Non ero sola!
«Sistemiamo 'sta faccenda. Tienilo
lì», ordinai a Erik che mi fissava sullo
sconvolto andante.
Senza bisogno di controllare che i miei
amici mi seguissero,
mi affrettai a salire fino al gazebo pieno
di spettri. Quando
raggiunsi il confine del cerchio, esitai un
istante. Gli spiriti si
stavano lentamente dissolvendo
attraverso di esso, l'attenzione
focalizzata interamente su Heath. Presi
un respiro profondo e
oltrepassai la barriera invisibile,
provando un freddo tremendo
mentre i morti mi sfioravano.
«Non hai il diritto di stare qui. Questo è
il mio cerchio!»
Afrodite si riprese quanto bastava per
increspare il labbro in un
ringhio e bloccarmi l'accesso al tavolo e
alla candela dello spirito,
che era l'unica ancora accesa.
« Era il tuo cerchio. Adesso devi
startene zitta e levarti dai
piedi», ribattei.
Afrodite mi fissò, gli occhi a fessura.
Ah, cacchio, proprio non avevo tempo
per quello.
«Senti, testa di cavolfiore sfiorito, devi
fare quello che dice
Zoey. Sono due anni che muoio dalla
voglia di dartene una
sorba!» Shaunee venne al mio fianco.
«Anch'io, stronza di una strega zoccola.»
Erin si sistemò
sull'altro lato.
Prima che le gemelle potessero
avventarsi su Afrodite, il
grido di Heath mandò in pezzi la notte.
Girai sui tacchi e vidi che
la nebbia gli stava strisciando sulle
gambe, lasciando lunghi
strappi sottili che cominciarono subito a
sanguinare. In preda al
panico, Heath scalciava e strillava. Erik
non se n'era andato e
prendeva anche lui a calci la foschia,
anche se, ogni volta che
quella gli si appiccicava addosso, gli
strappava vestiti e pelle.
«Presto! Ai vostri posti», urlai prima
che l'allettante odore del
loro sangue potesse rovinarmi la
concentrazione.
I miei amici corsero a prendere le
candele abbandonate e si
misero ad aspettare ciascuno nella
propria posizione.
Girai intorno ad Afrodite, che stava
fissando Heath ed Erik,
le mani premute sulla bocca come a
trattenere un grido.
Afferrai la candela viola e mi precipitai
da Damien. «Aria! Io
ti convoco in questo cerchio», strillai,
accostando il cero viola a
quello giallo. Avrei voluto piangere di
sollievo quando l'ormai
familiare vortice salì roteando intorno a
me, sollevandomi i
capelli. Proteggendo la fiamma con la
mano, corsi da Shaunee.
«Fuoco! Io ti convoco in questo
cerchio!» Mentre accendevo la
candela rossa, il calore montò assieme
al vento vorticoso. Non mi
fermai, continuando invece a spostarmi
in senso orario intorno al
cerchio. «Acqua! Io ti convoco in questo
cerchio!» Ed ecco il
mare, salmastro e dolce. «Terra! Io ti
convoco in questo cerchio!»
Sfiorai con la fiamma la candela di
Stevie Rae, cercando di non
trasalire alla vista delle bende che le
coprivano i polsi. Era pallida
in modo anormale, ma fece un gran
sorriso quando l'aria sì riempì
del profumo dell'erba appena tagliata.
Heath gridò di nuovo e io corsi al centro
del cerchio,
sollevando la candela viola. «Spirito! Io
ti convoco in questo
cerchio!» Fui attraversata da una scarica
di energia e, quando
guardai il mio cerchio, vidi senza ombra
di dubbio la striscia di
forza che ne delimitava la circonferenza.
Chiusi un attimo gli
occhi. Oh, Nyx, grazie!
Poi posai il cero viola sul tavolo e presi
il calice del vino,
quindi mi voltai verso Heath, Erik e
l'orda di fantasmi. «Ecco il
vostro sacrificio!» gridai, versando il
contenuto del calice in un
arco disordinato intorno a me, che andò
a creare un cerchio color
sangue sul pavimento del gazebo. «Non
siete stati chiamati qui per
uccidere. Siete stati evocati perché è
Samhain e volevamo rendervi
onore.» Rovesciai dell'altro vino,
sforzandomi d'ignorare
l'attrattiva che aveva su di me il profumo
del sangue che vi era
stato mescolato.
Gli spettri interruppero il loro attacco.
Mi concentrai su di
loro, non volevo lasciarmi distrarre dal
terrore negli occhi di
Heath e dal dolore in quelli di Erik.
Sacerdotessa, noi preferiamo questo
sangue giovane e caldo.
L'arcana voce echeggiò fino a me,
mandandomi brividi lungo
la schiena. Giuro che sentivo l'odore di
carne decomposta in
quell'alito soprannaturale. Deglutii con
forza. «Lo capisco, ma
quelle vite non sono per voi. Stanotte è
un'occasione di festa, non
di morte.»
E tuttavia noi scegliamo la morte, che
ci è più cara. Una
risata spettrale fluttuò nell'aria col fumo
contaminato della
ierocloe, e gli spiriti ripresero a
convergere su Heath.
Gettai il calice e alzai le mani. «Allora
non ve lo chiedo più,
ve lo ordino. Vento, fuoco, acqua, terra e
spirito! Vi comando, in
nome di Nyx, di chiudere questo
cerchio, riportando indietro i
morti cui è stato consentito di fuggire.
Ora!» Mi sentii attraversare
da un'ondata di calore che uscì dalle mie
braccia tese.
In una ventata bollente e profumata di
mare, una luminosa
foschia verde partì frusciando da me e
scese le scale per
avvolgersi intorno a Heath e a Erik,
facendo agitare furiosamente i
loro vestiti e i capelli. Il vento magico
catturò le figure fumose e le
strappò alle vittime, quindi, con un
rombo assordante, le risucchiò
all'interno dei confini del mio cerchio.
Mi ritrovai circondata da
figure spettrali, da cui percepivo un
pericolo e una fame pulsante
con la stessa chiarezza con cui prima
avevo percepito il sangue di
Heath.
Afrodite era raggomitolata sulla sedia
per la paura e, quando
un fantasma la sfiorò, lanciò uno
strilletto che sembrò agitarli
ancora di più, quindi mi si premettero
addosso con violenza.
«Zoey!» Stevie Rae gridò il mio nome,
la voce resa acuta
dalla paura. La vidi muovere un passo
esitante verso di me.
Damien intervenne: «No! Non spezzare
il cerchio. Non
possono far male a Zoey… non possono
far male a nessuno di noi,
perché il cerchio è troppo forte. Ma solo
se non lo spezziamo».
«Noi non andiamo da nessuna parte»,
gridò Shaunee.
«No di certo, sto bene dove sto», ribadì
Erin, giusto un po' a
corto di fiato.
Percepivo la loro lealtà, la loro fiducia
e accettazione come
fossero un sesto elemento, che mi diede
molta sicurezza.
Raddrizzai la schiena e fissai i fantasmi
che vorticavano rabbiosi.
«Dunque, dato che noi non ce ne
andiamo, vuol dire che dovete
proprio andarvene voi.» Indicai il vino e
il sangue versati a terra.
«Accettate il vostro sacrificio e
andatevene da qui. Questo è tutto
il sangue che vi è dovuto stanotte.»
L'orda fumosa smise di agitarsi.
Sapevo di averli in pugno, quindi presi
un bel respiro e diedi
fine alla cosa. «Col potere degli
elementi, io ve lo ordino: via di
qui!»
Subito, come se li avesse colpiti un
gigante invisibile, si
dissolsero nel pavimento del gazebo
zuppo di vino e di sangue,
assorbendo chissà come il liquido, che
sparì assieme a loro.
Emisi un lungo e stremato sospiro di
sollievo, quindi d'istinto
mi voltai verso Damien. «Grazie, vento,
puoi lasciarci.»
Damien stava per spegnere la candela,
ma non ce ne fu
bisogno perché fu un lieve e giocoso
soffio di brezza a farlo per
lui, che mi rivolse un sorrisone, poi
sgranò da matti gli occhi.
«Zoey! Il tuo Marchio!»
«Cosa?» Mi portai la mano alla fronte,
che bruciava e
pizzicava, come peraltro anche il collo e
le spalle (il che quadrava,
dato che ho sempre male a spalle e collo
quando sono
iperstressata). In più vibravo ancora
tutta per i postumi dei poteri
elementari, quindi non me n'ero neanche
accorta.
La sua espressione sconvolta diventò
felice. «Finisci di
chiudere il cerchio, poi puoi usare uno
degli innumerevoli specchi
di Erin per vedere cos'è successo.»
Mi voltai verso Shaunee per salutare il
fuoco.
«Wow… incredibile», disse lei
fissandomi.
«Ehi, tu, come fai a sapere che in borsa
ho più di uno
specchio?» Dall'altra parte del cerchio,
Erin si stava lamentando
con Damien, ma, quando mi voltai verso
di lei per congedare
l'acqua, vedendo la mia fronte, anche i
suoi occhi diventarono
immensi. «Cazzarola!»
«Erin, non dovresti imprecare in un
cerchio sacro. Sappiamo
tutti che non è…» stava dicendo Stevie
Rae nella sua dolce
inflessione Okie, quando mi girai a
salutare la terra e le parole le si
bloccarono in gola per lasciare posto a
un semisoffocato:
«Masssantocielo!»
Sospirai. Diavolo, cos'altro è successo?
Tornai al tavolo e
sollevai la candela dello spirito.
«Grazie, spirito, puoi andare.»
«Perché?» Afrodite si era alzata
talmente di scatto da far
cadere la sedia. Come tutti gli altri, mi
fissava con un'espressione
shockata assolutamente ridicola.
«Perché tu? Perché non io?»
«E adesso di cosa stai parlando,
Afrodite?»
«Sta parlando di questo.» Erin mi tese il
portacipria che
aveva preso dall'elegante borsa di pelle
che teneva sempre sulla
spalla.
L'aprii e guardai nello specchio.
All'inizio non capii cosa
stavo vedendo perché era troppo
insolito, troppo stupefacente.
Poi, vicino a me, Stevie Rae mormorò:
«È bellissimo…»
E mi resi conto che aveva ragione. Era
bellissimo. Al mio
Marchio erano state aggiunte delle parti:
delicate volute di
tatuaggio color zaffiro lieve come un
pizzo m'incorniciavano gli
occhi. Non era un disegno complesso e
grande come quelli dei
vampiri adulti, ma non si era mai visto
su un novizio. Seguii con
le dita il motivo sinuoso, pensando che
sembrava qualcosa che
poteva decorare il viso di un'esotica
principessa straniera… o
magari la Somma Sacerdotessa di una
Dea. E fissai attentamente
quella me che non ero proprio io, quella
sconosciuta che stava
diventando sempre più familiare.
«E questo non è tutto, Zoey. Guardati la
spalla», bisbigliò
Damien.
Diedi un'occhiata alla profonda
scollatura sulla schiena del
mio favoloso vestito e mi sentii
attraversare da una scossa per lo
stupore. Ero tatuata anche lì. Dal collo e
fin sulla schiena mi
scendevano dei sinuosi ricami color
zaffiro molto simili a quelli
che avevo in faccia, solo che questi
sembravano ancora più
antichi, ancora più misteriosi, perché
erano disseminati di simboli
simili a lettere. Aprii la bocca per dire
qualcosa, ma non ne uscì
niente.
«Zy, lui ha bisogno di aiuto.»
Erik interruppe il mio stato di shock;
alzai gli occhi dalla mia
spalla e lo vidi barcollare fino al gazebo
trasportando di peso un
Heath privo di sensi.
«Non importa. Lascialo qui. Domattina
qualcuno lo troverà.
Dobbiamo andarcene prima che si
sveglino le guardie», intervenne
Afrodite.
Mi girai come un fulmine. «E ti chiedi
perché io e non tu?
Magari perché Nyx è stanca e stufa di
una prepotente, egoista,
viziata, odiosa…» M'interruppi,
incazzata al punto da non riuscire
a trovare altri termini adatti.
«Carogna!» aggiunsero in stereo Erin e
Shaunee.
«Già, certo, carogna.» Mi avvicinai e le
dissi tutto sul muso.
«Questa storia della Trasformazione è
già abbastanza incasinata
senza una come te. A meno che non si
voglia essere tuoi…» Diedi
un'occhiata a Damien e sorrisi. «…
piaggiatori, ci fai sentire come
se non c'entrassimo con tutto questo,
come se non contassimo
niente. Be', Afrodite, adesso è finita.
Quello che hai fatto stasera
era completamente, assolutamente
sbagliato. Hai quasi fatto
morire Heath e magari sarebbe potuto
succedere anche a Erik e
chissà a quanti altri, tutto per il tuo
egoismo.»
«Non è stata colpa mia se il tuo ragazzo
ti ha rintracciata
qui», strillò.
«No, la presenza di Heath non è stata
colpa tua, ma è l'unica
cosa di cui non sei responsabile stanotte.
È stata colpa tua se le tue
cosiddette amiche non ti hanno sostenuta
per mantenere forte il
cerchio. Ed è stata colpa tua se gli
spiriti negativi hanno trovato il
cerchio, tanto per cominciare.»
Sembrava confusa e questo mi fece
incavolare ancora di più. «La salvia,
strega odiosa! Bisogna usare
la salvia per ripulire dall'energia
negativa, prima di usare la treccia
di sweet grass. Non c'è da stupirsi che
tu abbia evocato degli
spiriti tanto orrendi.»
«Già, perché sei orrenda pure tu»,
commentò Stevie Rae.
«Tu devi soltanto tenere chiusa quella
bocca di merda,
frigorifero», ringhiò Afrodite.
«No!» Le misi un dito in faccia. «Questa
stronzata del
frigorifero sarà la prima a finire.»
«Oh, adesso vorresti fingere di non
desiderare il sangue più
di chiunque di noi?»
Guardai i miei amici, che incrociarono
il mio sguardo senza
tentennamenti. Damien mi fece un
sorriso d'incoraggiamento,
Stevie Rae assentì, le gemelle
strizzarono l'occhio. E mi resi conto
di essere stata una stupida. Non avevano
intenzione di mollarmi.
Erano i miei amici. Avrei dovuto fidarmi
di più di loro, anche se
non avevo ancora imparato a fidarmi di
me stessa.
«Alla fine tutti arriviamo a desiderare il
sangue», replicai
semplicemente. «Oppure moriamo. Ma
questo non ci rende dei
mostri, ed è ora che le Figlie Oscure
smettano di recitare quella
parte. Hai chiuso, Afrodite. Non sei più
a capo delle Figlie
Oscure.»
«E suppongo che adesso creda di essere
tu il capo, giusto?»
Annuii. «Proprio così. Non sono venuta
alla Casa della Notte
in cerca di questi poteri, non volevo
altro che un posto in cui
sentirmi accettata. Be', immagino che
questo sia il modo di Nyx di
rispondere alla mia preghiera.»
Sorrisi ai miei amici, che risposero con
altrettanto slancio.
«Evidentemente, la Dea ha senso
dell'umorismo.»
«Stupida troia, non puoi mica prenderti
il posto così. Soltanto
una Somma Sacerdotessa può cambiare
la leader del gruppo.»
«Opportuno, quindi, che io sia qui, ti
pare?» intervenne
Neferet.
29
Neferet uscì dall'ombra e raggiunse il
gazebo, andando subito
da Heath e da Erik. Per prima cosa
sfiorò il viso di Erik e controllò
i tagli sulle braccia che si era procurato
cercando invano di
strappare Heath alla furia dei fantasmi.
Il sangue delle ferite si
asciugò al solo passaggio della mano
della Somma Sacerdotessa
ed Erik emise un sospiro di sollievo,
come se il dolore fosse
scomparso.
«Queste guariranno. Quando torniamo a
scuola, vieni in
infermeria così ti do dell'unguento che
ridurrà le fitte.» Neferet gli
diede un buffetto sulla guancia e lui
arrossì come un pomodoro.
«Rimanendo a proteggere il ragazzo hai
dimostrato il coraggio di
un guerriero vampiro. Sono orgogliosa
di te, Erik Night, e lo è
anche la Dea.»
Alle sue parole provai un'ondata di
piacere: anch'io ero
orgogliosa di lui.
Poi udii un mormorio di consenso e mi
accorsi che le Figlie e
i Figli Oscuri erano tornati e affollavano
le scale che portavano al
gazebo. Da quanto erano lì a guardare?
Neferet rivolse la sua attenzione a Heath
e io mi dimenticai
degli altri. Sollevò le gambe dei calzoni
sbrindellati ed esaminò i
segni sanguinolenti che aveva lì e sulle
braccia. Poi gli prese tra le
mani il volto pallido e rigido e chiuse
gli occhi. Osservai il corpo
di Heath irrigidirsi ulteriormente ed
essere preda delle
convulsioni, poi però lui emise un
sospiro e, come Erik, si rilassò.
Dopo un istante sembrò dormisse
tranquillo invece di lottare
silenziosamente contro la morte.
«Si riprenderà», disse Neferet ancora
inginocchiata accanto a
lui. «E non ricorderà niente di questa
notte, tranne di essersi
ubriacato e quindi perso nel tentativo di
trovare la sua quasi-exragazza.» Guardò verso di me, gli occhi
gentili e pieni di
comprensione.
«Grazie», mormorai.
Neferet mi rivolse un cenno di assenso
con la testa, prima di
alzarsi ad affrontare Afrodite. «Io sono
responsabile di quanto è
successo qui stasera quanto te. Sapevo
da anni del tuo egoismo,
ma avevo deciso di passarci sopra
sperando che con l'età e l'aiuto
della Dea saresti maturata. Mi
sbagliavo.» La sua voce assunse il
tono limpido e potente del comando.
«Afrodite, io ti sollevo
ufficialmente dalla posizione di leader
delle Figlie e dei Figli
Oscuri. Non verrai più istruita per
diventare Somma Sacerdotessa.
Da questo momento sei uguale a tutti gli
altri novizi.» Con un
unico movimento fluido, Neferet allungò
la mano, afferrò la
collana d'argento e granati che portava
Afrodite e gliela strappò
dal collo.
Afrodite non emise suono ma, mentre
fissava Neferet senza
abbassare lo sguardo, il suo viso
sembrava di gesso.
La Somma Sacerdotessa le diede le
spalle e si avvicinò a me.
«Zoey Redbird, sapevo che eri speciale
fin dal giorno in cui Nyx
mi ha lasciato prevedere che saresti
stata Segnata.» Mi sorrise e mi
mise un dito sotto il mento,
sollevandomi la testa per poter
guardare meglio le nuove aggiunte al
mio Marchio, quindi mi
scostò i capelli rendendo visibili anche i
tatuaggi che mi erano
comparsi su collo, spalle e schiena.
Udii le Figlie e i Figli Oscuri restare
senza fiato mentre anche
loro davano una prima occhiata alle mie
insolite decorazioni.
«Straordinario, davvero straordinario»,
mormorò Neferet,
lasciando poi ricadere la mano lungo il
fianco per riprendere il
discorso ad alta voce. «Stanotte hai reso
evidente la saggezza della
scelta della Dea nel farti dono di poteri
speciali. Ti sei guadagnata
la posizione di leader delle Figlie e dei
Figli Oscuri e di futura
Somma Sacerdotessa, grazie ai doni
elargiti dalla Dea e alla tua
personale compassione e saggezza.» Mi
tese la collana di
Afrodite, che mi risultò calda e pesante
in mano. «Indossala con
maggiore buonsenso di quanto non abbia
fatto chi ti ha
preceduta.» Poi fece un gesto davvero
incredibile. Neferet,
Somma Sacerdotessa di Nyx, mi rivolse
il saluto formale, pugno
incrociato sul petto e testa china, nel
segno di rispetto dei vampiri.
A parte Afrodite, tutti intorno a noi
l'imitarono.
Avevo la vista annebbiata dalle lacrime
quando i miei quattro
amici mi fecero un gran sorrisone e
s'inchinarono assieme agli altri
membri delle Figlie e dei Figli Oscuri.
Ma anche nel bel mezzo di una felicità
così assoluta, percepii
l'ombra della confusione. Come avevo
potuto dubitare di potermi
confidare con Neferet?
«Torna alla Casa della Notte, mi
occuperò io di quanto
dev'essere fatto qui», mi disse Neferet.
Mi abbracciò brevemente
sussurrando: «Sono così orgogliosa di
te, Zoey Redbird». Quindi
mi diede una leggera spinta in direzione
dei miei amici. «Date il
benvenuto alla nuova leader delle Figlie
e dei Figli Oscuri!»
Damien, Stevie Rae, Shaunee ed Erin
capitanavano le
acclamazioni, poi tutti mi vennero
intorno e mi sembrò di essere
trascinata via dal gazebo da
un'esuberante ondata di risa e di
congratulazioni. Annuii e sorrisi ai miei
nuovi «amici», ma non
ero una stupida e non avevo certo
dimenticato che appena qualche
attimo prima avevano approvato tutto
quello che diceva Afrodite.
Senza dubbio ci sarebbe voluto
parecchio tempo per
cambiare le cose.
Arrivati al ponte, ricordai a tutti che
dovevamo stare in
silenzio tornando a scuola e feci cenno
al gruppo di precedermi.
Quando Stevie Rae, Damien e le
gemelle stavano per attraversare
il ruscello, li fermai. «No, ragazzi, voi
camminate con me.»
Con un sorriso che arrivava alle
orecchie, i quattro mi si
misero intorno. Incrociai lo sguardo
luminoso di Stevie Rae. «Non
avresti dovuto offrirti volontaria come
frigorifero. So quanto ti
facesse paura.»
Il sorriso della mia amica si affievolì
sotto il tono di
rimprovero della mia voce. «Ma, Zoey,
se non l'avessi fatto, non
avremmo saputo dove si teneva il
rituale. In questo modo ho
potuto mandare un messaggio a Damien
e lui e le gemelle sono
arrivati qui. Sapevamo che avevi
bisogno di noi.»
Sollevai le mani e lei smise di parlare,
ma sembrava sul
punto di mettersi a piangere, quindi le
sorrisi con gentilezza. «Non
mi hai lasciata finire. Stavo per dire che
non avresti dovuto farlo,
ma che sono tanto felice che tu l'abbia
fatto!» L'abbracciai e tra le
lacrime sorrisi anche agli altri tre.
«Grazie. Sono davvero felice
che ci foste tutti voi.»
«Ehi, Zy, è questo che fanno gli amici»,
replicò Damien.
«Già», convenne Shaunee.
«Esatto», concluse Erin.
E si strinsero intorno a me in un
gigantesco, soffocante
abbraccio di gruppo. Che mi piacque da
matti.
«Ehi, posso partecipare?»
Alzai lo sguardo e vidi Erik in piedi lì
vicino.
«Oh, sì, come no, devi assolutamente»,
rispose subito
Damien, illuminandosi.
Stevie Rae si sciolse in risatine, mentre
Shaunee sospirò e
disse: «Piantala, Damien. Altra squadra,
ricordi?»
Poi Erin mi spinse fuori del centro del
gruppo, verso Erik.
«Dai un bell'abbraccio a 'sto poveretto.
Stanotte ha cercato di
salvare il tuo ragazzo.»
«Il mio ex-ragazzo», replicai in fretta,
finendo tra le braccia
di Erik, decisamente sopraffatta
dall'odore del sangue fresco che
ancora resisteva su di lui e dal fatto che
mi stava, be',
abbracciando.
Poi, in aggiunta al resto, Erik mi baciò
con tanta forza che
giuro credetti che mi sarebbe saltata via
la testa.
«Ma, per favore, un po' di contegno»,
sentii dire a Shaunee.
«Trovatevi una camera!» aggiunse Erin.
Damien sogghignava mentre io,
imbarazzata, mi liberavo
dalla stretta di Erik.
«Se non mangio svengo, 'sta storia del
frigorifero ti mette una
fame da lupo!» esclamò Stevie Rae.
«Be', andiamo a cercarti qualcosa di
buono», replicai.
I miei amici s'incamminarono e sentii
Shaunee battibeccare
con Damien sulla scelta tra pizza e
panini.
«Ti rompe se ti faccio compagnia?»
chiese Erik.
«Nooo, ormai ci ho fatto l'abitudine»,
replicai con un sorriso.
Lui scoppiò a ridere e raggiunse il
ponte.
Poi dall'oscurità alle mie spalle udii un
chiarissimo e
scocciatissimo «miii-au-uff!»
«Vai pure, vi raggiungo in un attimo»,
dissi a Erik tornando
indietro verso il prato. «Nala? Miciamicia-micia…»
E, sicuro come l'oro, una brontolante
palla di pelo spuntò
fuori dei cespugli. Mi chinai a prenderla
in braccio e lei iniziò
immediatamente a fare le fusa. «Allora,
sciocchina, perché mi hai
seguita fin qui se poi non ti piace
camminare? Come se non ti
fosse già capitato abbastanza per
stanotte», mormorai, ma, prima
di poter raggiungere di nuovo il ponte,
Afrodite uscì dall'ombra e
mi bloccò la strada.
«Puoi anche aver vinto, stasera, ma non
è finita», esordì.
Mi fece sentire davvero stanca. «Non
stavo cercando di
'vincere' un bel niente, volevo solo
aggiustare le cose.»
«Ed è questo che pensi di aver fatto?» Il
suo sguardo si
spostava nervoso da me al sentiero che
portava al gazebo, quasi
come se qualcuno la stesse seguendo.
«Tu non sai cos'è successo
realmente stanotte. Sei solo stata usata…
noi siamo state usate.
Siamo dei burattini, ecco cosa siamo.»
Si passò una mano sul viso
con gesto rabbioso e mi accorsi che
stava piangendo.
«Senti, Afrodite, tra noi non deve andare
necessariamente
così», dissi sottovoce.
«Oh, sì, invece! È la parte che si
presume dobbiamo recitare.
Vedrai… vedrai…» Fece per
allontanarsi.
Un pensiero inatteso mi passò nella
mente, un ricordo. Era di
lei, durante la sua visione. Come se
stesse succedendo di nuovo, le
sentii dire: Sono morti! No. No. Non è
possibile! Non è giusto. No.
Non è normale! Io non capisco… Io
non… Tu… tu sai. Il suo grido
di terrore mi echeggiò nella testa e
pensai a Elizabeth, a Elliott, al
fatto che erano apparsi a me.
All'improvviso, troppo di quanto
aveva detto aveva senso. «Afrodite,
aspetta!»
Si voltò a guardarmi oltre la spalla.
«La visione che hai avuto oggi nello
studio di Neferet, a cosa
si riferiva?»
Scosse lentamente la testa. «È solo
l'inizio. Succederà di
molto peggio.» Si girò e per un attimo
ebbe un'esitazione, perché
cinque ragazzi – i miei amici – le
bloccavano la strada.
«Va tutto bene, lasciatela andare», dissi.
Shaunee ed Erin si separarono per farla
passare, Afrodite
sollevò la testa, scosse i capelli
all'indietro e superò il gruppetto a
grandi passi, come fosse la padrona del
mondo. La osservai
attraversare il ponte e mi si aggrovigliò
lo stomaco. Lei sapeva
qualcosa di Elizabeth e di Elliott, e
prima o poi sarei riuscita a
scoprire di cosa si trattava.
«Ehi», disse Stevie Rae.
Guardai la mia compagna di stanza e
nuova migliore amica.
«Qualunque cosa succeda, ci siamo
dentro insieme.»
Sentii il nodo allo stomaco sciogliersi di
parecchio.
«Andiamo», li esortai.
E, circondata dai miei amici, tornai a
casa.
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