P.C &Kriste Cast Marked Marked,2007 Alla nostra splendida agente, Meredith Bernstein, che ha pronunciato le parole magiche: «Scuola superiore per vampiri». We y ❤ ou! Dal poema di Esiodo a Nyx, personificazione della notte per gli antichi greci: … Quaggiù le terribili case son dell'oscura Notte, nascoste tra i nuvoli negri. Dinanzi a quelle porte, dritto il figliuol di Giapèto regge, col capo e le mani mai stanche, la volta del cielo solidamente, dove la Notte e il Giorno, movendo l'un verso l'altra, mutan parole; e la soglia di bronzo varcano alterni, che mai tutti e due non li accoglie la casa… Esiodo, Teogonia 1 Proprio quando pensavo che la giornata non potesse andare peggio di così, vidi il morto che se ne stava in piedi vicino al mio armadietto. Kayla stava sparando a raffica le sue solite kaylate e manco si era accorta di lui. All'inizio. A dire il vero, adesso che ci penso, nessuno si era accorto di lui finché non aveva parlato, dettaglio che, tragicamente, è una prova in più della mia anomala incapacità d'integrarmi con gli altri. «Ma no, Zoey, giuro su Dio che Heath non era poi così sbronzo dopo la partita. Non dovresti essere tanto dura con lui.» «Sì, già. Certo», le avevo risposto distratta. Poi mi ero messa a tossire. Di nuovo. Mi sentivo da schifo. Dovevo essermi presa quella che Mr Wise, il mio non-proprioso-lo-un-po' pazzo insegnante di biologia, chiamava peste dei teenager. Se muoio, pensavo, posso saltare il compito dì geometrìa di domani? Sperare non costa niente. «Scusa, Zoey, ma mi stai ascoltando? Credo si fosse fatto solo… non so… sei birre, e forse un paio di chupiti. Ma non è questo il punto. Probabilmente non se ne sarebbe sparato neanche uno se i tuoi stupidi genitori non ti avessero fatta andare a casa subito dopo la partita.» Ci eravamo scambiate un'occhiata da quanto-mi-toc-casopportare, trovandoci del tutto d'accordo sull'ultima ingiustizia che mi avevano fatto mia madre e il fallito-acquisito che aveva sposato tre lunghissimi anni prima. Poi, dopo una pausa di un nanosecondo scarso, Kay aveva ripreso a blaterare: «E poi stava festeggiando. Voglio dire, abbiamo battuto Union!» Kay aveva iniziato a scuotermi per le spalle e mi aveva cacciato la faccia sotto il naso. «Ohiii! Il tuo ragazzo…» «Il mio quasi-ragazzo», l'avevo corretta, cercando in tutti i modi di non tossirle addosso. «Quello che è. Heath è il nostro quarterback, quindi è chiaro che vada a festeggiare. Erano un milione di anni che Broken Arrow non batteva Union.» «Sedici.» Sono negata in matematica, ma Kay è una tale incapace che mi fa sembrare un genio. «Ok, quello che è. Il punto è che era felice. Dovresti dargli tregua ogni tanto!» «Il punto è che è la quinta volta che si sbronza questa settimana. Mi dispiace ma non voglio uscire con un ragazzo il cui scopo principale nella vita oscilla tra cercare di giocare a football al college e buttar giù sei lattine di fila senza vomitare. Per non parlare del fatto che con tutta quella birra diventerà grasso.» Mi ero dovuta interrompere per tossire. Mi girava un po' la testa e, quando l'accesso di tosse era finito, mi ero costretta a prendere dei respiri lenti e profondi. Non che la spara kaylate se ne fosse accorta. «Uuuh! Heath grasso! Non ci voglio neanche pensare.» Ero riuscita a ignorare un altro stimolo a tossire. «E baciarlo è come succhiare un piede tenuto a mollo nell'alcol.» La faccia di Kay si era accartocciata. «Okay, hai le tue cose. Certo che è talmente figo…» Io avevo alzato gli occhi al cielo, senza preoccuparmi minimamente di non far vedere quanto fossi scocciata dalla sua solita banalità. «Sei così scorbutica quando hai le tue cose! Be', comunque, non hai idea dell'espressione da cocker bastonato che aveva Heath dopo che l'hai ignorato a pranzo. Non riusciva neanche…» In quel momento lo vidi. Il morto. Okay, me ne accorsi in fretta che non era tecnicamente «morto». Era nonmorto. O nonumano. Quello che è. Gli scienziati dicono una cosa, la gente normale un'altra, ma il risultato è lo stesso. Non ci si poteva sbagliare su chi fosse e, anche se non avessi percepito la forza e l'oscurità che irradiavano da lui, non avrei potuto in nessunissimo modo non vedere il suo Marchio, la mezzaluna blu zaffiro che aveva sulla fronte e i tatuaggi di nodi intrecciati che gli incorniciavano gli occhi altrettanto azzurri. Era un vampiro, anzi, peggio: era un Rintracciatore. E che diavolo, era in piedi vicino al mio armadietto! «Zoey, tu proprio non mi stai ascoltando!» Poi le parole formali del vampiro scivolarono morbide a riempire lo spazio che ci divideva, pericolose e allettanti, come sangue misto a cioccolato fuso: «Zoey Montgomery! La Notte t'ha prescelta; la tua morte sarà la tua nascita. La Notte ti chiama; presta ascolto alla Sua dolce voce. Il tuo fato t'attende alla Casa della Notte!» Sollevò un lungo dito bianco e lo puntò verso di me. Mentre la fronte mi esplodeva per il dolore, Kayla aprì la bocca e si mise a strillare. Quando finalmente sparirono le macchie bianche dalla vista, alzai lo sguardo e vidi la faccia stravolta di Kay che mi fissava. Tanto per cambiare, dissi la prima stupidata che mi venne in mente. «Kay, ti stanno uscendo gli occhi dalle orbite. Sembri un pesce.» «Ti ha Segnata. Oh, Zoey! Hai il profilo di quella cosa sulla fronte!» Si portò una mano tremolante sulle labbra pallide nel vano tentativo di trattenere un singhiozzo. Mi misi a sedere. Avevo un mal di testa da spararsi e presi a massaggiarmi la fronte proprio tra le sopracciglia. Pungeva come se mi avesse morsicata una vespa e irradiava dolore intorno agli occhi e sugli zigomi. Mi sentivo come se stessi per vomitare. Adesso Kay si era messa a piangere sul serio e parlava tra un singulto e l'altro. «Zoey! Oh. Mio. Dio. Quel tizio era un Rintracciatore – un Rintracciatore di vampiri!» Sbattei con forza le palpebre, cercando di farmi passare il male che mi attanagliava la testa. «Smettila di piangere. Sai che detesto vederti frignare.» Allungai la mano con l'intenzione di darle una pacca sulle spalle per consolarla, ma lei automaticamente si scansò. Non ci potevo credere. Si era davvero fatta piccola piccola, come se avesse paura di me. Dovette accorgersi che c'ero rimasta male perché riprese subito con un'interminabile tiritera di kaylate. «Oh, Dio, Zoey! Cos'hai intenzione di fare? Non puoi andare in quel posto. Non puoi diventare una di quelle cose. Non può essere vero! Con chi dovrei andare a vedere tutte le nostre partite di football?» Notai che mentre parlava non si era mai sognata di venirmi più vicino. Diedi un freno alla sensazione di dolore e di nausea che avevo dentro e che rischiava di farmi scoppiare a piangere. I miei occhi si asciugarono all'istante. Ero brava a trattenere le lacrime; dopotutto, avevo avuto tre anni per fare pratica. «È tutto okay. Risolverò la cosa. Probabilmente si tratta di… un qualche strano errore», mentii. Non avevo realmente parlato, piuttosto avevo fatto uscire delle parole dalla bocca. Con una smorfia per il gran male alla testa, mi alzai e, guardandomi intorno, vidi con un certo sollievo che Kay e io eravamo sole nell'aula di matematica. Dovetti ricacciare indietro quella che sapevo sarebbe stata una risata isterica. Se non avessi sclerato per il test di geometria del giorno dopo e non mi fossi fiondata all'armadietto per prendere il libro in modo da poter studiare ossessivamente (e inutilmente) tutta notte, il Rintracciatore mi avrebbe beccata fuori della scuola, davanti alla maggior parte dei milletrecento ragazzi della South Intermediate High School di Broken Arrow che aspettavano quelle che con grande compiacimento la mia stupida sorella clone di Barbie amava chiamare «le grosse limousine gialle». Io ho la macchina, ma lei trova che starsene un po' coi meno fortunati che devono prendere il pulmino sia un ottimo sistema per controllare chi ci prova con chi. A dirla proprio tutta, nella sala di matematica c'era anche un altro ragazzo, un babbo sfigato lungo e secco con un disastro di denti che, purtroppo, riuscivo a vedere anche troppo bene, dato che se ne stava a guardarmi a bocca aperta come un merluzzo, neanche avessi appena partorito una nidiata di maialini volanti. Tossii di nuovo, questa volta una schifida tosse catarrosa, e lo sfigato emise una sorta di squittio e se la filò in corridoio verso la stanza di Mrs Day stringendo una tavola piatta e quadrata contro il petto ossuto. A quanto pareva il club degli scacchi aveva spostato gli incontri al lunedì. Chissà se i vampiri giocavano a scacchi. E chissà se anche tra loro c'erano branchi di sfigati. E le cheerleader vampire sosia di Barbie? Anche i vampiri suonavano in un gruppo? E c'erano vampiri emo con le loro stranezze tipo indossare calzoni da ragazza o coprirsi metà della faccia con quelle orrende frangette? Oppure erano tutti dark strampalati cui non piace molto lavarsi? Mi sarei trasformata in una dark? O peggio ancora in un'emo? Non amavo particolarmente vestirmi di nero, o almeno non solo di nero, e non provavo un'improvvisa e imbarazzante avversione per acqua e sapone, né avevo un ossessivo desiderio di cambiare pettinatura e mettermi troppo eyeliner. Nella testa mi frullavano tutte quelle domande, quando sentii che stava per scapparmi un'altra risatina isterica e fui quasi contenta che dalla gola mi uscisse invece un colpo di tosse. «Zoey? Stai bene?» La voce di Kayla era troppo acuta, come se qualcuno le stesse dando un pizzicotto, e aveva fatto un altro passo indietro. Sospirai e provai la mia prima scheggia di rabbia. Mica l'avevo chiesto io che succedesse. Kay era la mia migliore amica sin dalla terza elementare e adesso mi guardava come fossi diventata un mostro. «Kayla, sono sempre io. La stessa di due secondi fa, di due ore fa e di due giorni fa.» Gesticolai con aria frustrata in direzione della mia testa dolorante. «Questo non cambia quella che sono!» Gli occhi di Kay si riempirono nuovamente di lacrime, ma per fortuna il suo cellulare cominciò a suonare Material girl di Madonna. Automaticamente diede un'occhiata al display, e dall'espressione da coniglio-beccato-dafari-d'auto capii che si trattava di Jared, il suo ragazzo. «Vai, torna a casa con lui», le dissi in tono piatto e stanco. Il suo evidente sollievo fu come uno schiaffo in faccia. «Mi chiami dopo?» mi gridò voltandosi a malapena mentre batteva in rapida ritirata fuori della porta laterale. La guardai correre sul prato in direzione del parcheggio est. Aveva il telefonino appiccicato all'orecchio e parlava con Jared a mitraglia. Ero certa che gli stesse già dicendo che mi stavo trasformando in un mostro. Il problema, ovviamente, era che trasformarmi in un mostro era la migliore delle due alternative che avevo. Alternativa Numero 1: mi trasformo in vampiro, termine equivalente a mostro nella testa di qualunque essere umano. Alternativa Numero 2: il mio corpo rifiuta la Trasformazione e io muoio. Per sempre. Perciò la buona notizia era che il giorno dopo non avrei dovuto fare il test di geometria. La notizia cattiva era che mi sarei dovuta trasferire nella Casa della Notte, un collegio privato nella Midtown di Tulsa, nota a tutti i miei amici come la Scuola Superiore per Vampiri, dove avrei trascorso i successivi quattro anni sopportando bizzarre e innominabili trasformazioni fisiche, oltre a un totale e permanente terremoto nella mia esistenza. Sempre ammesso che l'intero processo non mi uccidesse, è ovvio. Grandioso. Non volevo fare nessuna delle due cose. Volevo soltanto cercare di essere normale, nonostante il peso dei miei genitori iper-reazionari, del mio fratellino simile a un troll e della mia io-sì-che-sono-perfetta sorella maggiore. Volevo passare il compito in classe di geometria. Volevo prendere dei bei voti ed essere accettata a veterinaria alla OSU, entrare al college e andarmene da Broken Arrow, Oklahoma. Ma soprattutto volevo sentirmi parte del gruppo, almeno a scuola. Casa era diventata un disastro, perciò mi restavano soltanto gli amici e la mia vita lontano dalla famiglia. E adesso mi era stato tolto anche quello. Mi massaggiai la fronte, quindi mi arruffai i capelli in modo che mi coprissero in parte gli occhi e, con un po' di fortuna, anche il Marchio che mi era comparso al di sopra. A testa bassa, come se fossi stata affascinata dalla sostanza appiccicosa che chissà come si era formata nella mia borsa, mi affrettai a raggiungere la porta da cui si arrivava al parcheggio studenti. Mi fermai un attimo prima di uscire. Attraverso i vetri del portone vidi Heath, circondato da una marea di ragazze che si atteggiavano e scuotevano i capelli, mentre i ragazzi smanettavano con pickup talmente grossi da risultare ridicoli e cercavano (quasi tutti senza riuscirci) di avere un'aria figa. Come si fa a essere attratti da roba simile? A dirla tutta, dovevo confessare che in realtà Heath era sempre stato molto dolce, e che aveva ancora i suoi momenti. Soprattutto quando si sprecava a essere sobrio. Risatine sguaiate mi arrivavano dal parcheggio. Grandioso. Kathy Richter, la più grande troia della scuola, stava fingendo di colpire Heath. Persino da dove mi trovavo io era evidente che pensava che dargli un pugno fosse una sorta di rituale di accoppiamento, ma come al solito quell'ingenuo di Heath non faceva altro che starsene lì con un gran sorriso stampato in faccia. Oh, be', che diavolo, la mia giornata non sarebbe proprio migliorata. Ed eccolo là, il mio maggiolino blu del '66, giusto dietro di loro. No. Non potevo uscire da quella parte. Non potevo passare in mezzo a tutti con quella cosa sulla fronte. Non sarei mai più riuscita a far parte del gruppo. Sapevo anche troppo bene cos'avrebbero fatto. Mi ricordavo dell'ultimo ragazzo scelto da un Rintracciatore nella nostra scuola. Era successo all'inizio dell'anno precedente. Il Rintracciatore era arrivato quando non erano ancora cominciate le lezioni e lo aveva puntato. Io non avevo visto il Rintracciatore, però avevo visto il ragazzo, dopo, giusto per un secondo, quando aveva lasciato cadere i libri ed era corso fuori dell'edificio, il nuovo Marchio che gli luccicava sulla fronte e le lacrime che gli scendevano sulla faccia troppo pallida. Non avevo dimenticato com'era piena la scuola quel giorno e come tutti si erano tirati indietro, allontanandosi, mentre lui scappava di corsa dall'ingresso principale, neanche avesse avuto la peste. Ero stata anch'io una di quelli che si erano fatti da parte per lasciarlo passare e osservarlo, anche se mi era dispiaciuto davvero per lui. Solo che non volevo essere etichettata come l'unica-ragazzache-è-amica-di-queglistrampalati. Piuttosto ironico, no? Invece di andare alla macchina mi diressi ai bagni più vicini che, per fortuna, erano vuoti. C'erano tre gabinetti – sì, controllai più volte che non spuntassero dei piedi da sotto – e due lavandini attaccati a una parete, sopra ognuno dei quali era appeso uno specchio di grandezza media. Il muro opposto era coperto da un immenso specchio con sotto una mensola su cui appoggiare spazzole, trucchi e robe varie. Ci misi la borsa e il libro di geometria, presi un profondo respiro e con un gesto rapido sollevai la testa scostando i capelli. Fu come fissare il viso di una sconosciuta dall'aria familiare. Sì, insomma, come quando si vede una persona tra la folla e si potrebbe giurare di conoscerla ma invece non è vero. Solo che adesso ero io, la sconosciuta dall'aria familiare. Aveva i miei occhi. Erano dello stesso color nocciola che non riusciva a decidersi se voleva essere verde o marrone, ma i miei non erano mai stati tanto grandi e rotondi. Oppure sì? Aveva i miei capelli, lunghi, dritti e scuri quasi come quelli della nonna prima che cominciassero a diventare d'argento. La sconosciuta aveva i miei zigomi alti, il mio naso, lungo e importante, e la mia bocca larga, altri tratti presi dalla nonna e dai suoi antenati cherokee. Ma la mia faccia non era mai stata così pallida. Io sono sempre stata olivastra, con la carnagione molto più scura rispetto al resto della mia famiglia. Ma forse non era la pelle che all'improvviso era diventata così bianca… magari sembravo pallida in confronto al contorno blu scuro della mezzaluna posizionata perfettamente al centro della fronte. O magari era colpa di quelle orribili luci al neon. Speravo fosse per le luci. Osservai il tatuaggio dall'aria esotica. Unito ai miei decisi lineamenti cherokee sembrava marchiarmi con un segno selvaggio, come se appartenessi a tempi antichi, quando il mondo era più grande, più… barbaro. Da quel momento la mia vita non sarebbe più stata la stessa. E per un attimo – appena un istante – dimenticai l'orrore della non appartenenza al gruppo e provai una sconvolgente scossa di piacere, mentre dentro di me, nel profondo, il sangue del popolo di mia nonna gioiva. 2 Quando ritenni che fosse passato abbastanza tempo e tutti se ne fossero andati da scuola, mi risistemai i capelli sulla fronte e uscii dal bagno affrettandomi a raggiungere il parcheggio degli studenti. La strada sembrava libera: c'era giusto un ragazzo con quegli orribili pantaloni larghi e molli da vorrei-far-parte-di-unabanda-ma-chi-mi-vuole che attraversava, ma era lontano. In più, dato che tenersi su i calzoni per evitare che cadessero mentre camminava assorbiva tutta la sua attenzione, non mi avrebbe neanche notata. Strinsi i denti per sopportare il dolore pulsante alla testa e schizzai fuori della porta, diretta al mio maggiolino. Appena messo piede all'esterno, il sole cominciò a picchiare. Non che fosse una giornata particolarmente soleggiata: c'erano un sacco di quelle nuvole grandi e batuffolose che stanno così bene nelle foto a semi-nascondere il sole. Non aveva importanza. Dovetti strizzare gli occhi come una matta e tenere una mano a proteggerli anche da quella luce intermittente. Suppongo fu perché mi stavo concentrando così tanto sul dolore provocato da qualche scarso raggio di sole che non mi accorsi del pickup finché non si fermò sgommando proprio davanti a me. «Ehi, Zo! Non hai trovato il mio messaggio?» Oh, cacchio cacchio cacchio! Heath. Alzai gli occhi, osservandolo tra le dita come se stessi guardando uno di quegli stupidi film splatter. Era nel vano posteriore scoperto del pickup del suo amico Dustin, che sedeva in cabina insieme col fratello Drew. I due stavano facendo quello che fanno di solito, cioè giocare alla lotta e discutere su Dio solo sa quale stupida roba da maschi. Per fortuna, entrambi m'ignoravano. Tornai a guardare Heath e sospirai. Aveva una birra in mano e un sorriso da scemo stampato in faccia. Dimenticando per un attimo che ero appena stata Segnata ed ero destinata a diventare un emarginato mostro succhiasangue, mi misi a sgridarlo: «Stai bevendo a scuola! Ma sei pazzo?» Il suo sorriso da bambino diventò ancora più largo. «Sì che sono pazzo, piccola, ma di te!» Scossi la testa e gli voltai le spalle per aprire la scricchiolante portiera del maggiolino e ficcare libri e zaino sul sedile del passeggero. «Come mai non siete all'allenamento di football?» chiesi, continuando a tenere la faccia rivolta da un'altra parte. «Non hai sentito? Abbiamo un giorno di vacanza per il calcio nel sedere che abbiamo dato a Union venerdì!» Dustin e Drew, che dopotutto dovevano avere ascoltato la nostra conversazione, si esibirono in un paio di «ua-ua-ua-uau!» e «sì-sì-sì!» di festeggiamento in tipico stile Oklahoma. «Oh. No. Devo essermi persa l'avviso. Sono stata impegnata, oggi. Sai, per il test di geometria.» Cercavo di avere un'aria tranquilla e disinvolta, poi tossii e aggiunsi: «Per di più mi sta venendo un raffreddore del cacchio». «Zo, senti, sei incazzata o roba simile? Cioè, Kayla ti ha detto qualche stronzata sulla festa? Lo sai che non ti ho tradita per davvero.» Come? Kayla non aveva detto neanche una singola parola riguardo a Heath che mi tradiva. Come una cretina, mi dimenticai (d'accordo, solo per un attimo) del mio nuovo Marchio e girai di scatto la testa per potergli tirare un'occhiataccia. «E cos'è che non avresti fatto, Heath?» «Io, Zo? Lo sai che non farei mai…» Ma la sua professione d'innocenza condita da scuse varie si sciolse in una poco attraente espressione di shock con relativa bocca spalancata non appena vide il Marchio che avevo sulla fronte. «Cosa ca…» iniziò a dire, ma lo interruppi. «Sstt!» Inclinai la testa in direzione di Dustin e Drew, ancora ignari, che adesso cantavano a pieni stonatissimi polmoni l'ultimo CD di Toby Keith. Heath aveva ancora gli occhi sgranati e sconvolti, ma abbassò la voce. «È un trucco che ti serve per le lezioni di teatro?» «No. Niente del genere», bisbigliai. «Ma non puoi essere Segnata. Noi stiamo insieme.» «Noi non stiamo insieme!» Proprio in quel momento la mia mini tregua dalla tosse cessò. In pratica mi piegai in due, per un schifoso accesso davvero catarroso. «Ehi, Zo, devi piantarla con le sigarette!» gridò Dustin dalla cabina. «Già, ancora un po' sputi un polmone», aggiunse Drew. «Ragazzi, lasciatela in pace! Sapete che non fuma. È diventata un vampiro!» Grandioso. Magnifico. Con la sua solita totale e assoluta mancanza di qualcosa che somigli anche vagamente al buonsenso, Heath pensava davvero di prendere le mie difese mettendosi a urlarlo ai suoi amici, che immediatamente tirarono fuori la testa dal finestrino e presero a fissarmi come se fossi un esperimento di scienze. «Tieni chiusa quella bocca! Ho già avuto una giornata del cazzo e proprio non ho bisogno che ti ci metta anche tu.» Poi mi rivolsi a Drew e Dustin, che adesso stavano zitti, con gli occhi sgranati, quindi aggiunsi: «O voi». Mentre sostenevo lo sguardo di Dustin mi accorsi di una cosa, una cosa che mi sconvolse e allo stesso tempo mi eccitò non poco: sembrava che lui avesse paura. Paura sul serio. Diedi un'occhiataccia a Drew e anche lui sembrava spaventato. Poi lo sentii. Un formicolio che mi passava sulla pelle e faceva bruciare il mio nuovo Marchio. Potere. Sentivo il potere. «Zo? Che cazzo ti prende?» La voce di Heath spezzò la mia concentrazione e mi fece staccare lo sguardo dai fratelli. «Via di qui!» Dustin mise la marcia e pestò sull'acceleratore. Il pickup sbandò in avanti facendo perdere l'equilibrio a Heath, che, con un gran mulinare di braccia e volare di birra, scivolò e cadde sull'asfalto del parcheggio. Corsi da lui. «Stai bene?» Heath era carponi e mi chinai per aiutarlo a rialzarsi. Poi lo annusai. Aveva un odore incredibile: caldo, dolce e delizioso. Aveva cambiato dopobarba? O era una di quelle strane robe al feromone che si presume attirino le donne come un gigantesco richiamo per insetti geneticamente progettato? Non mi ero accorta di essergli tanto vicino finché non si alzò e i nostri corpi si trovarono quasi appiccicati. Abbassò lo sguardo, una domanda negli occhi. Io non mi allontanai. Avrei dovuto. E prima l'avrei fatto, ma non in quel momento. Non quel giorno. «Zo?» disse piano, con voce profonda e roca. Non riuscii a non dirgli che aveva proprio un buon odore. Il cuore mi batteva così forte che ne sentivo l'eco nelle tempie. «Zoey, mi sei mancata tanto. Dobbiamo rimetterci insieme. Lo sai che ti amo sul serio.» Allungò la mano per toccarmi il viso e ci accorgemmo tutti e due che aveva il palmo sporco di sangue. «Ah, merda. Devo aver…» La sua voce si spense appena mi guardò in faccia. Potevo solo immaginare cosa dovevo sembrare, così pallida, col mio nuovo Marchio blu zaffiro e gli occhi fissi sul sangue. Non riuscivo a muovermi; non riuscivo a guardare da un'altra parte. «Io voglio… Io voglio…» mormorai. Cos'è che volevo? Non riuscivo a dirlo. Anzi, no, non è vero. Non potevo dirlo. Non potevo parlare ad alta voce dell'ondata di desiderio che stava cercando di sommergermi. E non era perché Heath mi stava così vicino. Era già successo. Be', eravamo usciti insieme per un anno, ma non mi aveva mai fatto sentire così, niente a che vedere. Mi morsi il labbro e gemetti. Il pickup stridette per fermarsi, sterzando vicino a noi. Drew saltò giù e afferrò Heath per la vita, trascinandolo verso la cabina. «Piantala! Sto parlando con Zoey!» Heath cercò di opporsi a Drew, ma quello era il linebacker anziano di Broken Arrow, una vera montagna. Dustin si allungò a dargli una mano, poi chiuse con forza la portiera. «Lascialo stare, mostro!» mi strillò Drew mentre Dustin dava gas e stavolta partiva davvero a razzo. Salii nel mio maggiolino. Le mani mi tremavano tanto che dovetti fare tre tentativi prima di riuscire ad accendere il motore. «Devo solo arrivare a casa. Devo solo arrivare a casa.» Continuai a ripetere quelle parole mentre guidavo e tossivo da maledetti. Non volevo pensare a quello che era appena successo. Non potevo pensare a quello che era appena successo. Alla fine ci misi un quarto d'ora, ma mi sembrò un attimo. Ero seduta in macchina nel vialetto e cercavo di prepararmi alla scenata che sapevo, sicuro come il tuono segue al lampo, mi aspettava dentro. Ma perché ero stata così ansiosa di andare a casa? Be', suppongo che tecnicamente stessi semplicemente scappando da quello che era successo con Heath al parcheggio. Ah, no! Non ci dovevo pensare, non in quel momento. E in ogni caso con ogni probabilità c'era una qualche spiegazione razionale per tutto, una spiegazione semplice e razionale. Dustin e Drew erano dei ritardati, dei cervellini alla birra sottosviluppati e immaturi. Non avevo usato chissà quale nuovo terrificante potere per spaventarli, per prendersi una gran strizza gli era bastato vedere che ero stata Segnata. Tutto qui. Insomma, la gente ha paura dei vampiri. «Ma io non sono un vampiro!» dissi. Poi diedi un colpo di tosse ripensando a quanto avevo trovato bello e ipnotico il sangue di Heath, e all'ondata di desiderio che avevo provato. Non per lui, ma per il suo sangue. No! No! No! Il sangue non era né bello né desiderabile. Dovevo essere sotto shock. Ecco com'era. Doveva essere così. Ero sotto shock e non pensavo con chiarezza. Okay… okay… mi sfiorai distrattamente la fronte. Non bruciava più, ma la sentivo comunque diversa. Tossii per la miliardesima volta. Benissimo. Non volevo pensare a Heath ma non potevo più negarlo: mi sentivo diversa. La mia pelle era ipersensibile, mi faceva male il petto e, anche se mi ero messa sul naso i miei fighissimi occhiali da sole Maui Jim, gli occhi continuavano a darmi un fastidio terribile. «Sto morendo…» gemetti, poi chiusi di colpo la bocca. In effetti, potevo stare morendo per davvero. Alzai lo sguardo verso la grande villa di mattoni che, dopo tre anni, ancora non sembrava casa. «Togliti il pensiero. Togliti il pensiero e falla finita.» Perlomeno mia sorella non doveva essere ancora rientrata: allenamento da cheerleader. E, se tutto fosse andato per il meglio, il troll sarebbe stato totalmente ipnotizzato dal suo nuovo videogioco Delta Force: Black Hawk Down. Potevo avere la mamma tutta per me. Magari avrebbe capito… magari avrebbe saputo cosa fare… Ah, che cavolo! Avevo sedici anni, ma all'improvviso mi rendevo conto che non c'era niente che volessi quanto la mia mamma. «Ti prego, fa' che capisca», mormorai in una semplice preghiera a qualunque dio o dea potesse ascoltarmi. Come al solito, entrai dal garage. Seguii il corridoio fino alla mia camera, dove buttai libro di geometria, borsa e zaino sul letto. Poi presi un bel respiro profondo e, un po' incerta sulle gambe, andai a cercare mia madre. La trovai in salotto, raggomitolata sul bordo del divano, intenta a bere una tazza di caffè e a leggere Una tisana calda per l'anima delle donne. Sembrava così normale, così simile a quella che era sempre stata. Solo che una volta leggeva romanzi stranieri e si truccava, entrambe cose che il suo nuovo marito non permetteva (lo stronzo). «Mamma?» «Mmm?» Non alzò gli occhi. Deglutii con forza. Usai l'abbreviazione con cui la chiamavo sempre, prima che sposasse John. «Ma', ho bisogno del tuo aiuto.» Non so se fosse stato l'inatteso uso del «ma'» o se qualcosa nella mia voce fosse andato a toccare un vecchio pezzo d'intuito materno che aveva ancora da qualche parte dentro di sé, ma lo sguardo che mi rivolse alzando gli occhi dal libro fu dolce e pieno di preoccupazione. «Cosa c'è, bambina…» iniziò, ma le parole sembrarono congelarsi sulle labbra non appena vide il Marchio sulla mia fronte. «Oh, Dio! Cos'altro hai combinato adesso?» Il cuore ricominciò a farmi male. «Mamma, io non ho combinato niente. È una cosa che è successa a me, non a causa mia. Io non ne ho colpa.» «Oh, ti prego, no!» riprese a lagnarsi come se non avessi detto una parola. «Cosa dirà tuo padre?» Avevo voglia di gridare: Come cavolo potremmo sapere cosa dirà mio padre, dato che non lo vediamo e non lo sentiamo da quattordici anni! Ma sapevo che non sarebbe servito a niente e che lei andava fuori di testa ogni volta che le ricordavo che John non era il mio vero padre. Perciò tentai una tattica diversa, una che avevo abbandonato da tre anni. «Mamma, per favore. Non puoi semplicemente non dirglielo? Almeno per un paio di giorni. Resta tra noi due finché non… non lo so… ci facciamo l'abitudine o qualcosa del genere.» Trattenni il fiato. «Ma cosa potrei dire? Quella cosa non si copre neanche col fondotinta.» Le sue labbra s'incurvarono in modo strano mentre dava un'occhiata nervosa alla mezzaluna. «Non intendevo che sarei rimasta qui mentre ci facciamo l'abitudine. Io devo andare, mamma, questo lo sai.» Dovetti interrompermi per un accesso di tosse che mi sconquassò le spalle. «Il Rintracciatore mi ha Segnata. Devo trasferirmi alla Casa della Notte, altrimenti mi ammalerò sempre di più.» E poi morirò, cercai di dirle con lo sguardo, perché le parole non riuscivo a pronunciarle. «Mi servono solo un paio di giorni prima di affrontare…» M'interruppi di nuovo per non dover pronunciare il suo nome e questa volta tossii di proposito, cosa per niente difficile. «Ma cosa dovrei dire a tuo padre?» Sentendo la nota di panico nella sua voce, provai paura. Ma come, non era la mia mamma? Non si presumeva avesse risposte invece che domande? «Digli… digli che sto da Kayla un paio di giorni perché dobbiamo fare una ricerca di biologia molto importante.» Vidi lo sguardo della mamma cambiare, la preoccupazione che scompariva e veniva sostituita da una durezza che conoscevo anche troppo bene. «Dunque mi stai dicendo che dovrei mentirgli.» «No, mamma. Ti sto chiedendo per una volta di mettere quello di cui ho bisogno io prima di quello che vuole lui. E io ho bisogno che tu sia la mia ma'. Che mi aiuti a fare i bagagli e mi accompagni in quella nuova scuola perché ho paura e sto male e non so se posso farcela da sola!» Finii di slancio, il fiato corto mentre mi tossivo in mano. «Non mi ero accorta di avere smesso di essere tua madre», replicò gelida. Mi fece sentire persino più stanca di quanto fosse riuscita a fare Kayla. Sospirai. «Penso che il problema sia proprio questo, mamma. Non te ne importa abbastanza da accorgertene. Non ti è importato di nient'altro che non fosse John, da quando l'hai sposato.» I suoi occhi erano poco più che una fessura. «Non so come tu possa essere tanto egoista. Non ti rendi conto di tutto quello che ha fatto per noi? Grazie a lui ho lasciato quell'orribile lavoro da Dillards. Grazie a lui non dobbiamo preoccuparci dei soldi e abbiamo questa bella casa grande. Grazie a lui abbiamo sicurezza e un luminoso futuro.» Avevo sentito quelle parole talmente tanto spesso che avrei potuto recitarle a memoria. Era a quel punto della nostra nonconversazione che di solito mi scusavo e andavo nella mia stanza. Ma quel giorno non mi potevo scusare. Era diverso. Tutto era diverso. «No, mamma. La verità è che grazie a lui non ti sei curata dei tuoi figli per tre anni. Sapevi che quella falsa di tua figlia maggiore è diventata una puttanella viziata che si è scopata mezza squadra di football? Sai che videogiochi schifosi, violenti e pieni di sangue ti tiene nascosti Kevin? No, certo che no! Loro due fingono di essere felici e di apprezzare John e tutta questa dannata famiglia di facciata, così tu sorridi, preghi per loro e lasci che facciano quello che vogliono. E io? Pensi che io sia la cattiva del gruppo perché non fingo, perché sono sincera. E la sai una cosa? La mia vita mi fa talmente schifo che sono contenta che il Rintracciatore mi abbia Segnata! La scuola dei vampiri la chiamano Casa della Notte, ma non può essere più cupa di questa casa perfetta!» Prima di mettermi a piangere o a urlare, girai sui tacchi e tornai a grandi passi nella mia stanza, sbattendo la porta. Spero che affoghino tutti. Attraverso le pareti troppo sottili potevo sentirla fare una telefonata isterica a John. Non c'era dubbio che sarebbe corso a casa ad affrontarmi. Il Problema. Invece di sedermi sul letto a piangere com'ero tentata di fare, svuotai la roba di scuola dallo zaino. Di certo non ne avrei avuto bisogno nel posto in cui stavo andando. Probabilmente non c'erano neanche materie normali. Probabilmente avevano corsi tipo: Squarciamento di Gole le… e… Introduzione alla Visione Notturna. O quello che è. Quello che mia mamma avrebbe o non avrebbe fatto non importava, io lì non potevo restare. Dovevo andarmene. Perciò, cosa mi serviva? I miei due jeans preferiti oltre a quelli che avevo su. Un paio di T-shirt nere. Be', cos'altro si mettono i vampiri? E poi smagriscono. Pensavo di non portare la mia fighissima camicia scintillante color acquamarina, ma tutto quel nero mi rendeva ancora più depressa, perciò l'aggiunsi. Poi ficcai tonnellate di reggiseni e tanga e roba per i capelli e il trucco dentro alla tasca laterale. Stavo per lasciare il mio peluche Otis il Pesse (quando avevo due anni non riuscivo a dire la 'sc' di pesce) sul cuscino ma poi… be'… vampiro o non vampiro, non pensavo sarei riuscita a dormire bene senza di lui, quindi lo infilai gentilmente in quel maledetto zaino. Udii bussare alla porta e la voce di quello mi chiamò. «Cosa?» strillai, per poi contorcermi in una serie di disgustosi colpi di tosse. «Zoey. Tua madre e io dobbiamo parlarti.» Grandioso. Più che evidente che non erano affogati. Diedi una pacchetta a Otis il Pesse. «Mio caro Otis, questa sarà una grandissima rottura di palle!» Raddrizzai la schiena, tossii ancora e uscii ad affrontare il nemico. 3 A prima vista il mio fallito-acquisito, John Heffer, sembra un tipo okay, addirittura normale e, quando lui e mia mamma avevano cominciato a frequentarsi, avevo persino sentito alcune delle sue amiche definirlo «bello» e «affascinante». All'inizio. Ovviamente adesso mamma ha un gruppo di amiche completamente nuovo, tizie che Mr Bello e Affascinante pensa siano più appropriate delle divertenti single con cui lei si trovava prima. A me non è mai piaciuto. Davvero. Dal primo giorno che l'ho incontrato ho visto soltanto una cosa: un falso. Finge di essere un tipo simpatico. Finge di essere un buon marito. Finge persino di essere un buon padre. Ha l'aspetto di qualunque altro uomo in età-da-papà: capelli scuri, secche gambette da pollo e un accenno di pancia. I suoi occhi sono come la sua anima: di un gelido marroncino slavato. Quando arrivai in salotto, lui era in piedi accanto al divano. Mia madre era accartocciata sul bordo e gli stringeva la mano, gli occhi già rossi e acquosi. Grandioso. Stava per interpretare la Madre Ferita e Isterica. Un ruolo che le riusciva benissimo. John aveva cominciato a trapassarmi con lo sguardo, ma il mio Marchio lo distrasse. La sua faccia si contorse per il disgusto. «Allontanati da me, Satana!» citò con quella che mi piace considerare la sua voce da sermone. Sospirai. «Non è Satana. Sono solo io.» «Zoey, non è il momento per fare del sarcasmo», disse la mamma. Il fallito-acquisito le assestò un distratto colpetto sulla spalla. «Me ne occupo io, tesoro.» Poi spostò di nuovo l'attenzione su di me. «Te l'avevo detto che il tuo cattivo comportamento e il tuo atteggiamento ti avrebbero procurato un mare di guai. E non mi stupisce nemmeno che sia capitato così presto.» Scossi la testa. Me l'aspettavo. Mi aspettavo che sarebbe andata così, eppure ero comunque sconvolta. Il mondo intero sapeva che la Trasformazione non poteva essere provocata in alcun modo. Tutta la menata del «se ti morde un vampiro muori e diventi vampiro anche tu» è un'invenzione. Da anni gli scienziati cercano d'individuare la causa della sequenza di eventi fisici che porta al vampirismo, nella speranza di trovare una cura o quantomeno di creare un vaccino che ne impedisca il verificarsi. Finora, nessun risultato. Ma adesso, John Heffer, il mio fallitoacquisito, aveva scoperto di punto in bianco che il cattivo comportamento dei teenager, in modo più specifico il mio cattivo comportamento – che consisteva in massima parte in una bugia ogni tanto, qualche pensiero incazzoso e dei commentini un po' impertinenti diretti in particolare contro i miei genitori, magari un po' di lussuria semi-innocente per Ashton Kutcher (peccato che gli piacciano le donne più vecchie) –, aveva realmente determinato quella reazione fisica nel mio corpo. Be', che diavolo! Chi poteva saperlo? «Non è una cosa che ho causato io», riuscii finalmente a dire. «È una cosa che è capitata a me, non per colpa mia! Tutti gli scienziati del pianeta concordano su questo.» «Gli scienziati non sono onniscienti. Loro non sono uomini di Dio.» Mi limitai a fissarlo. Era un Anziano del Popolo della Fede, posizione di cui oh! quant'era orgoglioso. Era uno dei motivi per cui mamma si era sentita attratta da lui e, a livello strettamente logico, potevo anche capire perché. Essere un Anziano significava essere un uomo di successo. Avere il lavoro giusto. Una bella casa. Una famiglia perfetta. Si presumeva che facesse le scelte giuste e credesse nelle cose giuste. Sulla carta, avrebbe dovuto essere un'ottima scelta come nuovo marito e padre. Peccato che la carta non avesse mostrato come stavano realmente le cose e adesso, come prevedibile, lui stava giocando l'asso dell'Anziano e mi gettava Dio in faccia. Avrei scommesso le mie stupende nuove ballerine Steve Madden che questo irritava Dio almeno quanto scocciava me. Ritentai. «L'abbiamo studiato nel corso di biologia avanzata. Si tratta di una reazione fisiologica che si verifica nell'organismo di alcuni adolescenti quando salgono i livelli ormonali.» M'interruppi, concentrata e molto orgogliosa di me stessa per essermi ricordata qualcosa che avevo studiato il semestre precedente. «In alcune persone gli ormoni scatenano qualcosa in un… un…» Mi concentrai di più e continuai: «… un filamento di DNA, che dà il via all'intero processo di Trasformazione». Sorrisi. Non a John, a dire il vero, ma perché ero gasata per non aver dimenticato un modulo che avevamo finito mesi prima. Capii che quel sorriso era stato un errore non appena vidi John stringere la mascella in modo familiare. «Il sapere di Dio supera la scienza ed è blasfemo da parte tua affermare il contrario, signorina.» «Non ho mai detto che gli scienziati sono più intelligenti di Dio!» Alzai le mani e cercai di soffocare un colpo di tosse. «Sto solo cercando di spiegarti questa cosa.» «Non ho certo bisogno che sia una sedicenne a spiegarmi qualcosa.» Be', dato che indossava quei pantaloni davvero orribili e quella schifezza di camicia, era chiaro che avrebbe avuto bisogno che una sedicenne gli spiegasse qualcosa, ma pensai che non fosse il momento adatto per accennare alle sue imbarazzanti ed evidenti lacune in fatto di moda. Il viso di mia madre diventò ancora più pallido mentre soffocava un singhiozzo. «Ma John, tesoro, cosa dobbiamo fare con lei? Cosa penseranno i vicini? Cosa dirà la gente all'incontro della domenica?» Quando aprii la bocca per rispondere lui strinse le palpebre e m'interruppe prima che potessi parlare. «Faremo quello che dovrebbe fare qualunque famiglia per bene. Offriremo questo al Signore.» Volevano mandarmi in convento? Purtroppo dovetti superare un'altra crisi di tosse, quindi continuò a parlare. «Chiameremo anche il dottor Asher. Lui saprà cosa fare per rasserenare la situazione.» Splendido. Favoloso. Lui fa intervenire lo strizzacervelli di famiglia, l'Uomo Senza Espressione. Perfetto. «Linda, chiama il numero per le emergenze del dottor Asher, poi penso sarebbe saggio attivare la catena telefonica di preghiera. Accertati che gli altri Anziani sappiano che devono riunirsi qui.» Mia madre annuì e stava per alzarsi, quando le parole che mi uscirono di bocca la fecero precipitare di nuovo sul divano. «Cosa? La vostra risposta consiste nel chiamare uno strizzacervelli che non sa niente di ragazzi e far venire qui tutti quegli Anziani bacchettoni? Come se potessero anche solo provare a cercare di capire! No! Ma non ci arrivate? Io me ne devo andare. Stasera.» Tossii, producendo un suono torcibudella che rimbalzò nel petto facendomi un male cane. «Vedete? Questo non farà che peggiorare se non riesco a trovare i…» Esitai. Perché era tanto difficile dire «vampiri»? Perché suonava così esotico, così definitivo e, una parte di me lo ammetteva, così incredibile. «Devo andare alla Casa della Notte.» Mamma saltò in piedi e per un secondo pensai che stesse davvero per salvarmi. Poi John le mise un braccio intorno alle spalle con aria di possesso, lei alzò lo sguardo nella sua direzione e, quando lo spostò di nuovo su di me, i suoi occhi sembravano quasi dispiaciuti, ma le parole che disse rispecchiavano soltanto quello che John avrebbe voluto che dicesse. «Zoey, non credo proprio che farebbe male a nessuno se restassi a casa ancora stanotte, no?» John intervenne rivolgendosi a lei: «Ma certo che no. Di sicuro il dottor Asher troverà il modo di farci una visita a domicilio e con lui qui non ci saranno problemi». Le assestò un'altra pacchetta sulla spalla, fingendo che gliene importasse, ma invece che dolce sembrò viscido. Spostai lo sguardo da lui alla mamma. Non intendevano lasciarmi andare. Non stasera, forse mai, o almeno non finché non fossi stata trascinata fuori dai paramedici del pronto intervento. All'improvviso capii che non si trattava solo del Marchio o del fatto che la mia vita fosse completamente cambiata. Si trattava del controllo. Se mi avessero lasciata andare, avrebbero perso qualcosa. Nel caso della mamma, mi piaceva pensare che temesse di perdere me; quanto a John, sapevo cosa non voleva perdere. Non voleva perdere la sua preziosa autorità e l'illusione che fossimo una piccola famigliola perfetta. Come aveva già detto la mamma: Cosa penseranno i vicini? Cosa dirà la gente all'incontro della domenica? John doveva mantenere l'illusione e, se questo significava lasciare che mi ammalassi tanto ma proprio tanto, be', era un prezzo che era disposto a pagare. Io no però. Pensai che fosse arrivato il momento di prendere in mano la situazione (dopotutto, le mie mani sono piuttosto ben curate), perciò dissi: «D'accordo. Chiamate il dottor Asher. Iniziate la catena telefonica di preghiera. Ma vi dispiace se vado a sdraiarmi finché non sono arrivati tutti?» Aggiunsi un altro colpo di tosse, tanto per chiarire il concetto. «Certo che no, tesoro. Probabilmente con un po' di riposo ti sentirai meglio», replicò la mamma, evidentemente sollevata. Quindi si staccò dal braccio possessivo di John, mi sorrise e mi abbracciò. «Vuoi che ti porti un po' di Vicks NyQuil?» «No, starò bene», risposi, aggrappandomi a lei per un secondo, desiderando da morire che fosse tre anni prima e lei fosse ancora mia, ancora dalla mia parte. Poi feci un respiro profondo e mi allontanai. «Starò bene», ripetei. Mi guardò e annuì, dicendomi che le dispiaceva nell'unico modo in cui poteva, con gli occhi. Mentre me ne andavo, diretta verso la mia stanza, il mio fallito-acquisito disse alla mia schiena: «E perché non fai un favore a tutti noi e cerchi della cipria per coprire quella cosa che hai sulla fronte?» Non mi fermai neanche e continuai a camminare. E non mi sarei nemmeno messa a piangere. Questo me lo ricorderò, mi dissi seria. Mi ricorderò di quanto mi hanno fatta stare male oggi. Perciò, quando sarò sola e piena di paura e il resto che mi deve succedere comincerà a succedere, mi ricorderò che niente può essere peggio del rimanere bloccata qui. Niente. 4 Mi misi a sedere sul letto e tossii, mentre ascoltavo la mamma fare una telefonata convulsa al numero per le emergenze del nostro strizzacervelli, seguita subito dopo da un'altra chiamata altrettanto isterica che avrebbe attivato la temuta catena di preghiera del Popolo della Fede. Nel giro di trenta minuti la nostra casa avrebbe cominciato a riempirsi di ciccione con relativi mariti pedofili dagli occhietti porcini, poi mi avrebbero chiamata per andare in salotto e il mio Marchio sarebbe stato ritenuto un gigantesco e imbarazzante problema, quindi con ogni probabilità mi avrebbero unta con qualche schifezza, che di sicuro mi avrebbe tappato i pori e fatto venire un brufolo di dimensioni ciclopiche, prima d'imporre le mani su di me e pregare. Avrebbero chiesto a Dio di aiutarmi a smettere di essere un'adolescente così terribile e un problema per i miei genitori. Oh, già, e anche la questioncina del mio Marchio sarebbe dovuta èssere risolta. Magari fosse stato così semplice. Sarei stata più che felice di fare un patto con Dio ed essere una brava bambina invece di dover cambiare scuola e specie. Avrei persino fatto volentieri il test di geometria. Be', sì, insomma, magari non volentieri e non il test di geometria, ma non ero mica stata io a chiedere di diventare un mostro. Tutta quella storia significava che me ne dovevo andare, cominciare una nuova vita come una ragazza nuova, in un posto dove non avevo amici. Sbattei con forza le palpebre, imponendomi di non piangere. Ormai la scuola era l'unico posto in cui mi sentissi veramente a casa; i miei amici erano tutta la famiglia che avevo. Strinsi i pugni e ci appoggiai sopra la faccia per non piangere. Un passo alla volta. Dovevo affrontare la situazione un passo alla volta. Prima di tutto, non mi sognavo neanche di fronteggiare i cloni del fallito-acquisito. E, come se il Popolo della Fede non fosse stato sufficiente, all'orrenda seduta di preghiera avrebbe fatto seguito un'altrettanto scocciante seduta col dottor Asher. Mi avrebbe fatto un sacco di domande su come mi faceva sentire questo e quello, poi avrebbe continuato a sproloquiare su come rabbia e angoscia fossero normali in un'adolescente, ma che soltanto io potevo decidere che impatto avrebbero avuto sulla mia vita… bla… bla… bla… e, dato che si trattava di un'«emergenza», con ogni probabilità mi avrebbe fatto disegnare qualcosa che rappresentasse la mia bambina interiore o quello che è. Non c'erano alternative, dovevo andarmene da lì. Era una fortuna che fossi sempre stata «la figlia cattiva» e che fossi ben preparata a una situazione simile. D'accordo, quando avevo nascosto la chiave di riserva della mia auto nel vaso fuori della finestra non pensavo esattamente che mi sarebbe servita per scappare di casa e unirmi a un gruppo di vampiri, piuttosto che avrei potuto volermela squagliare da Kayla. O che, se avessi voluto essere davvero cattiva, avrei potuto incontrare Heath al parco per strusciarci un po'. Ma poi Heath si era messo a bere e io avevo cominciato a trasformarmi in un vampiro. A volte la vita proprio non ha senso. Afferrai lo zaino, aprii la finestra e, con una facilità che rifletteva la mia natura di peccatrice molto più dei noiosi predicozzi del fallito-acquisito, spinsi all'esterno la zanzariera. Inforcai gli occhiali da sole e guardai fuori. Erano solo le quattro e mezzo e non faceva ancora buio, perciò ero felice che la nostra staccionata mi nascondesse ai rumorosissimi vicini. Su quel lato della casa, le uniche altre finestre erano quelle della stanza di mia sorella e lei doveva essere ancora all'allenamento da cheerleader (mi sa che l'inferno si stava proprio congelando perché per una volta ero sinceramente contenta che il mondo di mia sorella ruotasse intorno a quello che lei chiamava «lo sport del tifo»). Prima lasciai cadere lo zaino, quindi lo seguii piano fuori della finestra, facendo attenzione a non fare nemmeno il rumore di una piuma quando atterrai sul prato. Lì mi fermai per un'infinità di minuti, nascondendomi il viso tra le braccia per soffocare la mia tremenda tosse. Poi mi girai e infilai la mano nella piantina di lavanda che mi aveva regalato nonna Redbird e al tatto riconobbi il duro metallo della chiave nascosta tra l'erba schiacciata. Il cancello nemmeno scricchiolò quando lo aprii il minimo indispensabile e sgattaiolai fuori come una Charlie's Angel. Il mio fighissimo maggiolino stava dove stava sempre, proprio davanti alla terza porta del nostro garage triplo. Il fallito-acquisito non mi lasciava parcheggiare dentro perché diceva che il tosaerba era più importante (più importante di una Volkswagen d'epoca? E come? Un'idea simile non sarebbe mai dovuta passare nell'anticamera del cervello di nessuno. Cavolo, sembravo un maschio. Da quando m'importava che la mia auto fosse d'epoca? Mi stavo davvero Trasformando). Guardai a destra e a sinistra. Niente. Scattai verso il maggiolino, ci saltai dentro, misi in folle e ringraziai sinceramente che il nostro vialetto fosse ridicolmente ripido, poiché la mia splendida macchina scivolò tranquilla e silenziosa fino in strada. A quel punto, nessun problema ad accendere il motore e telare via dal quartiere delle Grandi Case Costose. Non guardai neanche nello specchietto retrovisore. Allungai la mano e spensi il cellulare. Non volevo sentire nessuno. Be', non era proprio così, perché una persona con cui volevo parlare c'era. L'unica persona al mondo che guardando il mio Marchio ero certa non avrebbe pensato che ero un mostro o uno scherzo della natura o una ragazza davvero pessima. Quasi mi avesse letto nel pensiero, il maggiolino sembrò svoltare di sua spontanea volontà sulla rampa che portava alla Muskogee Turnpike Highway e, finalmente, al posto più meraviglioso del mondo: il vivaio di lavanda di nonna Redbird. A differenza del tragitto scuola-casa, il viaggio di un'ora e mezzo fino al vivaio della nonna sembrò durare un'eternità. Quando lasciai la superstrada a due corsie e imboccai la stradina in terra battuta con cui si arrivava alla fattoria, avevo male ovunque, persino più di quando avevano preso una nuova insegnante di educazione fisica completamente schizzata che pensava dovessimo fare delle serie di pesi allucinanti mentre lei schioccava la frusta e ridacchiava. Sì, d'accordo, magari la frusta non ce l'aveva, ma il senso è quello. I muscoli mi facevano un male cane. Erano quasi le sei e il sole cominciava finalmente a calare, ma gli occhi mi pizzicavano ancora. A dire il vero, anche il sole al tramonto mi faceva formicolare la pelle dandomi una strana sensazione, che mi rendeva contenta che fosse la fine di ottobre e finalmente l'abbassarsi delle temperature mi permettesse d'indossare la mia giacca con cappuccio Borg Invasion 4D (certo, viene da Star Trek: The Next Generation e l'ho presa durante una gita a Las Vegas, e sì, lo ammetto, mi capita di essere una fan idiota e convinta di Star Trek) che per fortuna mi copriva la maggior parte della pelle. Prima di scendere dal maggiolino cercai sul sedile posteriore il vecchio cappellino dell'università dell'Oklahoma e me lo calcai in testa, in modo da nascondere il viso dal sole. Casa della nonna si trovava in mezzo a due campi di lavanda ed era ombreggiata da immense vecchie querce. Era stata costruita nel 1942 in pietra grezza dell'Oklahoma, con una comoda veranda e finestre insolitamente grandi. Adoravo quel posto. Già solo salire la piccola scala in legno dell'ingresso mi fece sentire meglio… al sicuro. Poi vidi il biglietto appiccicato fuori della porta, su cui era facile riconoscere la bella scrittura di nonna Redbird: Sono sul promontorio a raccogliere fiori. Sfiorai il foglietto lievemente profumato di lavanda. Sapeva sempre quando stavo per andare a trovarla. Da piccola pensavo fosse strano, ma crescendo avevo apprezzato sempre di più il suo sesto senso. Per tutta la vita ho sempre saputo che, qualunque cosa fosse successa, potevo contare su nonna Redbird. Durante i primi orrendi mesi dopo il matrimonio di mamma con John credo che mi sarei raggrinzita fino a morire se non fossi potuta scappare a casa della nonna tutti i fine settimana. Per un attimo considerai l'idea di entrare (la nonna non chiudeva mai a chiave la porta) e aspettarla, ma avevo bisogno di vederla subito, bisogno che mi abbracciasse e mi dicesse tutto quello che avrei voluto mi avesse detto la mamma: Non aver paura… andrà tutto bene… faremo in modo che vada tutto bene. Perciò, invece di entrare, raggiunsi il sentierino alla fine del campo di lavanda più a nord e lo seguii, sfiorando con la mano la cima dei cespugli più vicini in modo che rilasciassero nell'aria il loro profumo dolce e argentato, come una sorta di Bentornata a casa. Mi sembravano passati anni dall'ultima volta che ero stata lì, anche se sapevo che si trattava solo di poche settimane. A John la nonna non piaceva. Pensava che fosse stramba. L'avevo persino sentito dire alla mamma che la nonna era «una strega e sarebbe andata all'inferno». Era un tale imbecille. Poi fui colpita da un pensiero strabiliante e mi fermai di botto: i miei genitori non controllavano più quello che facevo. Non avrei più vissuto con loro. John non poteva più dirmi cosa dovevo fare. Wow! Che sballo!!! Un tale sballo che mi provocò un attacco di tosse da farmi piegare in due, le braccia strette al petto come se cercassi di tenerlo assieme. Dovevo trovare nonna Redbird, e dovevo trovarla subito. 5 Il sentiero che portava al promontorio era sempre stato ripido, ma ci ero salita almeno un triliardo di volte, con e senza la nonna, e non mi ero mai sentita così. Ormai non si trattava più solo della tosse, e nemmeno dei muscoli indolenziti. Mi girava la testa e lo stomaco aveva cominciato a brontolare tanto forte da farmi venire in mente Meg Ryan in French kiss, dopo che aveva mangiato tutto quel formaggio e le era venuta una crisi da intolleranza al lattosio (Kevin Kline è davvero figo in quel film… be', per essere un vecchietto). E mi colava il naso. Non intendo dire che ogni tanto tiravo un po' su, intendo che me lo dovevo pulire sulla manica della giacca (schifezza colossale). Non riuscivo a respirare a bocca chiusa e aprirla mi faceva tossire ancora di più; il petto mi faceva un male da non crederci. Cercai di ricordare cosa ufficialmente provocasse la morte dei ragazzi che non completavano la Trasformazione. Gli veniva un attacco di cuore? O era possibile che tossissero e tirassero su col naso fino a morirne? Smetti di pensare a queste cose! Dovevo trovare la nonna. Se non aveva già le risposte, ci sarebbe arrivata comunque. Nonna Redbird capiva le persone. Diceva che era perché non aveva perso il contatto con le tradizioni cherokee e con il sapere tribale delle antiche Donne Sapienti che le scorreva nel sangue. Persino in quel momento mi venne da sorridere pensando all'espressione della nonna ogni volta che viene sollevato l'argomento fallitoacquisito (lei è l'unico adulto a sapere che lo chiamo così). Secondo la nonna è chiaro che il sangue delle Sapienti Redbird ha saltato sua figlia, ma solo perché io potessi avere una dose maggiore delle antiche doti magiche cherokee. Da piccola avevo percorso quel sentiero stringendo la mano della nonna molte più volte di quante ne potessi ricordare. Nei campi di erba alta e fiori selvatici stendevamo una coperta dai colori vivaci e facevamo un picnic, poi la nonna mi raccontava le storie del popolo cherokee e m'insegnava alcune parole nella loro lingua, che per me aveva un suono misterioso. Mentre risalivo a fatica il sentiero tortuoso, quegli antichi racconti sembrarono vorticarmi nella testa, come il fumo di un fuoco cerimoniale… La triste storia della formazione delle stelle, avvenuta quando un cane era stato scoperto a rubare farina di mais e per questo era stato frustato dalla tribù. Quando il cane era scappato ululando verso nord per tornare a casa, la farina si era sparsa nel cielo e la magia che c'era in essa aveva creato la Via Lattea. O quella del Grande Avvoltoio, che con le ali aveva creato vallate e montagne. E poi arrivò la mia preferita, la storia della giovane Donna Sole, che viveva a est, e di suo fratello Luna, che viveva a ovest, e del Redbird, l'uccellino che era la figlia del Sole. «Non è strano? Io sono una Redbird, figlia del sole, ma mi sto trasformando in un mostro della notte.» Mi accorsi che stavo riflettendo ad alta voce e mi stupii che le mie parole suonassero tanto flebili, soprattutto perché parevano echeggiarmi intorno, come stessi parlando in un vibrante tamburo. Tamburo… Pensare quella parola mi ricordò i pow wow cui mi aveva portata la nonna da bambina, poi non so come i pensieri resero vivi i ricordi e udii davvero il ritmico battito dei tamburi cerimoniali. Mi guardai intorno, strizzando gli occhi nonostante la scarsa luce del giorno morente. Mi facevano ancora male e la vista mi si era appannata. Non c'era vento, ma le ombre delle rocce e degli alberi sembravano muoversi… allungarsi… tendersi verso di me. «Nonna, ho paura…» gridai tra i colpi di tosse. Zoeybird, uccellino mio, non bisogna temere gli spiriti della terra. «Nonna?» Avevo davvero udito la sua voce chiamarmi col mio soprannome o si trattava solo di altre stranezze e di echi che stavolta venivano dalla memoria? «Nonna!» gridai ancora, e poi rimasi immobile in attesa di una risposta. Niente. Soltanto il vento. U-no-le… Il termine cherokee per indicare il vento fluttuò nella mia mente come un sogno semi dimenticato. Vento? No, frena! Fino a un secondo prima di vento non ce n'era, ma adesso mi dovevo tenere il cappuccio sulla testa e scostare i capelli che mi frustavano la faccia. Poi, nel vento, le udii: voci, tante voci cherokee che cantavano a tempo col battito dei tamburi rituali. Attraverso un velo di capelli e di lacrime vidi del fumo. Il dolce aroma di pinoli del bosco di pinyon pine mi riempì la bocca e sentii il sapore dei fuochi da campo dei miei antenati. Cercai di trattenere il respiro. Fu allora che ne percepii la presenza. Mi stavano tutti intorno, figure quasi invisibili che brillavano debolmente, come le onde di calore che d'estate salgono da una strada asfaltata. Le sentivo premere contro di me mentre roteavano e danzavano con passi complicati intorno alla confusa immagine del fuoco di un accampamento cherokee. Unisciti a noi, U-we-tsi, a-ge-hu-tsa… Unisciti a noi, figlia… Fantasmi cherokee… annegavo nei miei stessi polmoni… la discussione coi miei genitori… la mia vecchia vita finita… Era davvero troppo. Mi misi a correre. Quello che ci insegnano a biologia riguardo all'adrenalina che prende il controllo dell'organismo quando c'è la necessità di fuggire o di combattere il pericolo è vero, perché, anche se il mio petto pareva sul punto di esplodere e mi sembrava di stare cercando di respirare sott'acqua, feci l'ultimo e più ripido pezzo della salita a una tale velocità che si sarebbe detto che avevano aperto tutti i negozi del centro commerciale e stessero regalando scarpe. Procedevo barcollando su per il sentiero, sempre più su, cercando di allontanarmi dagli spiriti che mi aleggiavano intorno come una nebbia mettendomi paura, ma pareva che, invece di lasciarmeli indietro, io stessi correndo proprio nel loro mondo di ombre e di fumo. Stavo morendo? Era così che succedeva? Era per quello che potevo vedere gli spiriti? Dov'era la luce bianca? Completamente in preda al panico, mi precipitai avanti, le braccia tese quasi potessero tenere lontano il terrore che mi dava la caccia. Non vidi la radice che sporgeva sul sentiero. Nel disorientamento più totale, cercai di non perdere l'equilibrio, ma i miei riflessi erano andati. Caddi di peso. Il dolore alla testa fu acuto, ma durò solo un istante prima che l'oscurità m'inghiottisse. Svegliarsi fu strano. Mi sarei aspettata di avere male da tutte le parti, soprattutto al petto e alla testa, invece mi sentivo… be'… mi sentivo bene. Anzi, a dire il vero, mi sentivo più che bene. Non tossivo. Braccia e gambe erano incredibilmente leggere, calde e formicolanti, come se mi fossi appena infilata in una calda vasca idromassaggio in una sera gelida. E allora? La sorpresa mi fece aprire gli occhi. Mi ritrovai a fissare una luce che miracolosamente non mi dava fastidio. A differenza dell'accecante bagliore del sole, questa era più simile a una pioggerella di lumi di candela che cadeva dall'alto. Mi misi a sedere e mi accorsi che mi sbagliavo: non era la luce che scendeva, ero io che salivo! Sto andando in Paradiso. Be', questo sarà un bello shock per qualcuno. Abbassai lo sguardo e vidi il mio corpo! Io o lui o… o… quello che era, giaceva pericolosamente vicino al ciglio del promontorio. Immobile. Aveva un taglio sulla fronte che sanguinava un sacco e il sangue gocciolava in una fessura nel terreno roccioso, creando un sentiero di lacrime rosse che cadevano nel cuore del promontorio. Era stranissimo vedersi lì in basso. Non avevo paura. Eppure avrei dovuto, no? Questo non significava che ero morta? Magari adesso sarei stata in grado di vedere meglio gli spiriti cherokee. Nemmeno quel pensiero mi spaventava. In realtà, mi sentivo più come un osservatore, come se niente di tutto ciò potesse toccarmi davvero (più o meno come quelle ragazze che fanno sesso con tutti e pensano che a loro non capiti di rimanere incinte o di prendersi una malattia venerea di quelle toste che ti mangiano il cervello e il resto. Be', ci risentiamo tra una decina d'anni e poi mi dite, okay?) Mi piaceva l'aspetto che aveva il mondo, luccicante e nuovo, ma era il mio corpo che continuava ad attirare la mia attenzione. Mi ci avvicinai fluttuando. Respiravo con affanno, in piccoli, rapidi sbuffi. O meglio, il mio corpo stava respirando così, non la me che ero io (tanto per fare un po' di confusione coi pronomi). E io/lui non aveva un bell'aspetto. Era pallidissimo e con le labbra blu. Ehi! Faccia bianca, labbra blu e sangue rosso! Ammazza che americana patriottica! Risi, e fu una cosa incredibile. Giuro che potevo vedere la mia risata fluttuarmi intorno, come quei semi che sembrano un paracadute e si fanno volare soffiandoci sopra, solo che, invece di essere bianca, era di un azzurro glassada-torta-di-compleanno. Wow! Chi l'avrebbe mai detto che picchiare la testa e svenire sarebbe stato tanto divertente? Mi chiesi se era così che ci si sentiva a sballare. La risata di soffione alla glassa si spense e udii il suono cristallino dell'acqua che scorre. Mi avvicinai al mio corpo e scoprii che quella che all'inizio avevo creduto essere una fessura in realtà era uno stretto crepaccio. Il rumore d'acqua proveniva da lì, dalle profondità della terra. Incuriosita, sbirciai giù e dall'interno della roccia salì uno scintillante accenno di parole d'argento. Mi sforzai di ascoltare e venni premiata da un flebile sussurro argentino. Zoey Redbird… vieni da me… «Nonna!» strillai nella fenditura della roccia. Le mie parole erano di un viola intenso e riempivano l'aria che mi circondava. «Nonna, sei tu?» Vieni da me… L'argento si mescolò al viola della mia voce visibile, facendo diventare le parole del luminoso colore dei fiori di lavanda. Era un presagio! Un segno! Per qualche ragione, come gli spiriti guida in cui il popolo cherokee ha creduto per secoli, nonna Redbird mi stava dicendo che dovevo penetrare nella roccia. Senza ulteriori esitazioni, il mio spirito entrò nel crepaccio seguendo la traccia del sangue e l'argenteo ricordo del sussurro della nonna fino ad arrivare sul liscio pavimento di una sorta di grotta. Nel mezzo della caverna gorgogliava un piccolo corso d'acqua, che liberava nell'aria tintinnanti schegge luminose di suono visibile. Mischiandosi alle gocce scarlatte del mio sangue, illuminavano la grotta con una luce guizzante del colore delle foglie secche. Avrei voluto sedermi accanto all'acqua e sfiorare l'aria con le dita per giocare con la struttura della musica, ma la voce mi chiamò di nuovo. Zoey Redbird… seguimi verso il tuo destino… Così seguii il richiamo lungo il ruscello. La grotta si fece più stretta, diventando una galleria tondeggiante, che curvò e procedette in una morbida spirale, finché non terminò bruscamente davanti a una parete coperta di simboli incisi dall'aspetto familiare e allo stesso tempo sconosciuto. Confusa, osservai il ruscello riversarsi in una fenditura e scomparire alla vista. E adesso? Avrei dovuto seguirlo? Tornai a guardare il tunnel. Non c'era niente a parte la luce danzante. Spostai lo sguardo ancora verso la parete e provai una scossa elettrica. Cavolo! C'era una donna seduta a gambe incrociate! Indossava un vestito bianco con le frange, i cui disegni di perline ripetevano i simboli sulla parete alle sue spalle. Era di una bellezza incredibile, con lunghi capelli lisci così neri da sembrare che avessero dei riflessi blu e viola, come le ali dei corvi. Le labbra piene s'incurvarono verso l'alto quando iniziò a parlare, riempiendo l'aria tra noi della forza argentina della sua voce. Tsi-lu-gi U-we-tsi a-ge-hu-tsa. Benvenuta, figlia. Hai agito bene. Parlava cherokee e, anche se nell'ultimo paio di anni non mi ero esercitata molto in quella lingua, ero riuscita a capirla. «Tu non sei mia nonna!» sbottai, sentendomi impacciata e spaesata mentre le mie parole viola si univano alle sue creando nell'aria fantastici arabeschi color lavanda. Il suo sorriso era come il sole nascente. No, figlia, non lo sono, ma conosco molto bene Sylvia Redbird. Presi un respiro profondo. «Sono morta?» Avevo paura che potesse ridere di me, invece i suoi occhi scuri si mostrarono dolci e premurosi. No, U-we-tsi a-ge-hu-tsa. Sei ben lontana dall'essere morta, anche se il tuo spirito è temporaneamente libero di vagare nel regno dei Nunne 'hi. «Il popolo degli spiriti!» Mi guardai intorno, nel tunnel, cercando di vedere volti e forme nell'ombra. Tua nonna ti ha insegnato bene, u-s-ti Do-tsu-wa… piccola Redbird, uccellino rosso. Sei un miscuglio unico delle Antiche Usanze e del Nuovo Mondo, dell'antico sangue tribale e del battito pulsante dei profani. Le sue parole mi fecero provare caldo e freddo allo stesso tempo. «Chi sei?» Sono conosciuta con molti nomi… La Donna che si Trasforma, Gea, A'akuluujjusi, Kuan Yin, Nonna Ragno e anche Alba… Mentre pronunciava ciascun nome, il suo volto si trasformava. Quella dimostrazione di forza e di potere mi fece girare la testa. Evidentemente se ne accorse perché s'interruppe e mi rivolse di nuovo il suo splendido sorriso, quindi il suo viso tornò a essere quello della donna che avevo visto all'inizio. Ma tu, Zoeyhird, figlia mia, puoi chiamarmi col nome con cui oggi il mondo mi conosce, Nyx. «Nyx.» La mia voce era poco più che un sussurro. «La dea dei vampiri?» In verità, furono gli antichi greci toccati dalla Trasformazione i primi a adorarmi come la madre che cercavano all'interno della loro notte infinita. Per molti anni mi sono compiaciuta di considerare i loro discendenti come figli. E, sì, nel tuo mondo questi miei figli sono detti vampiri. Accetta questo nome, U-we-tsi a-ge-hu-tsa; in esso troverai il tuo destino. Sentivo il Marchio sulla fronte bruciare e tutto d'un tratto mi venne voglia di piangere. «Io… io non capisco. Devo trovare il mio destino? A me basta trovare un modo per affrontare la mia nuova vita, per rendere okay tutto questo. Dea, io voglio soltanto integrarmi, sentirmi parte di qualcosa. Non credo di essere in grado di trovare il mio destino.» Il viso di Nyx si addolcì ancora e, quando parlò, la sua voce era come quella di mia madre, solo più… insomma, come se le sue parole fossero intrise di tutto l'amore materno del mondo. Credi in te stessa, Zoey Redbird. Ti ho Segnata come mia. Tu sarai la mia prima vera U-we-tsi a-ge-hu-tsa v-hnai Sv-no-yi… Figlia della Notte… in questo tempo. Tu sei speciale. Accetta questo lato di te e comincerai a capire che la tua vera forza risiede nel tuo essere unica. In te si combina il magico sangue delle antiche Sapienti e degli Anziani, oltre alla percezione e alla comprensione del mondo moderno. La Dea si alzò e con estrema grazia venne verso di me, la sua voce dipingeva nell'aria argentei simboli di potere. Quando mi raggiunse, mi asciugò le lacrime, prima di prendere il mio viso tra le mani. Zoey Redbird, Piglia della Notte, ti nomino miei occhi e mie orecchie nel mondo di oggi, un mondo in cui bene e male lottano per trovare un equilibrio. «Ma ho sedici anni! Non so neanche parcheggiare dritto! Come posso essere i tuoi occhi e le tue orecchie?» Lei si limitò a sorridere serena. Tu sei più grande della tua età, Zoeybird. Credi in te stessa e troverai un modo. Ma ricorda: non sempre l'oscurità s'identifica col male, proprio come la luce non sempre conduce al bene. Quindi la Dea Nyx, l'antica personificazione della Notte, si chinò a baciarmi sulla fronte. E, per la terza volta quel giorno, svenni. 6 Bellezza, guarda la nuvola, la nuvola appare. Bellezza, guarda la pioggia, la pioggia si avvicina… Le parole della vecchia canzone mi fluttuarono nella mente. Si vede che stavo sognando ancora nonna Redbird. Questo mi fece sentire felice, al caldo e al sicuro, sensazione particolarmente piacevole dato che, negli ultimi tempi, mi ero sentita davvero da schifo… solo che non riuscivo a ricordare con esattezza perché. Oh. Strano. Chi ha parlato? La piccola farfallina del mais, lassù in cima allo stelo… Il canto della nonna continuava e io mi rannicchiai sul fianco, sospirando mentre strofinavo la guancia contro il cuscino morbido. Purtroppo, muovere la testa mi fece scoppiare un dolore terribile all'altezza delle tempie che, come una pallottola sparata attraverso una lastra di vetro, mandò in frantumi la mia felicità lasciando che il ricordo della giornata appena trascorsa mi sommergesse. Mi stavo trasformando in un vampiro. Ero scappata di casa. Avevo avuto un incidente e una sorta di strana esperienza premorte. Mi stavo trasformando in un vampiro. Oh. Mio. Dio. Ragazzi, se mi faceva male la testa. «Zoeybird! Sei sveglia, bambina?» Sbattei le palpebre per consentire ai miei occhi annebbiati di vedere nonna Redbird seduta su una seggiolina accanto al mio letto. «Nonna!» gracchiai, allungandomi a prenderle la mano. La mia voce aveva un suono tanto orribile almeno quanto si sentiva la mia testa. «Cos'è successo? Dove sono?» «Sei al sicuro, uccellino mio. Sei al sicuro.» «Mi fa male la testa.» Portai la mano dove mi sentivo tirare e bruciare e trovai dei punti. «Più che logico. Mi hai fatta invecchiare di dieci anni per lo spavento.» La nonna mi massaggiò dolcemente il dorso della mano. «Tutto quel sangue…» Rabbrividì, quindi scosse il capo e mi sorrise. «Che ne diresti di promettermi di non farlo mai più?» «Prometto. E così mi hai trovata…» «Priva di sensi e in una pozza di sangue, uccellino mio.» La nonna mi scostò i capelli dalla fronte, indugiando con delicatezza sul mio Marchio. «E così pallida che la mezzaluna scura sembrava splendere, tanto era in contrasto con la pelle. Sapevo che era necessario portarti alla Casa della Notte, ed è quello che ho fatto.» Ridacchiò e la luce birichina negli occhi la fece sembrare una ragazzina. «Ho chiamato tua madre e le ho detto che ti stavo portando alla Casa della Notte, poi ho finto che mi si stesse scaricando il cellulare per poter chiudere la conversazione. Temo non sia contenta di nessuna di noi due.» Risposi al suo sorriso. Hi hi, mamma era arrabbiata anche con lei. «Ma, Zoey, cosa facevi in giro di giorno? E perché non mi hai detto prima che eri stata Segnata?» Mi misi a sedere con fatica, gemendo per il dolore alla testa. Perlomeno, però, sembrava che avessi smesso di tossire. Dev'essere perché finalmente sono davvero qui, alla Casa della Notte… Ma il pensiero scomparve dalla mente non appena elaborai le parole della nonna. «Aspetta, non potevo dirtelo prima, perché il Rintracciatore è venuto a scuola e mi ha Segnata soltanto oggi. Poi sono andata a casa. Speravo davvero che la mamma avrebbe capito e sarebbe stata dalla mia parte.» M'interruppi, ricordando di nuovo l'orribile scena coi miei genitori. La nonna capiva benissimo e mi strinse la mano. «In pratica lei e John mi hanno chiusa in camera mentre chiamavano il loro strizzacervelli e iniziavano la catena di preghiera.» La nonna fece una smorfia. «Quindi sono strisciata fuori della finestra per venire dritto da te», conclusi. «Sono felice che tu l'abbia fatto, Zoeybird, ma questo non ha senso.» Sospirai. «Lo so. Neanch'io riesco a credere di essere stata Segnata. Perché io?» «Non è quello che intendevo, bambina. Non mi sorprende affatto che tu sia stata Rintracciata e Segnata. Nel sangue dei Redbird scorre da sempre una forte magia; era solo una questione di tempo prima che uno di noi venisse Scelto. Quello che intendevo è che non ha senso che tu sia appena stata Segnata. La mezzaluna non è solo un contorno, è già completa.» «È impossibile!» «Guarda da te, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.» Usò il termine cherokee per figlia, facendomi ricordare di colpo della misteriosa Dea antica. La nonna cercò nella borsetta il portacipria d'argento che aveva sempre con sé e, senza aggiungere altro, me lo tese. Feci scattare la piccola chiusura e l'oggetto si aprì mostrandomi il mio riflesso… la sconosciuta dall'aria familiare… la me che non ero proprio io. Aveva gli occhi enormi e la pelle troppo bianca, ma di quello mi accorsi a malapena. Era dal Marchio che non riuscivo a staccare gli occhi, il Marchio che adesso era una mezzaluna completa, i bordi riempiti alla perfezione dal caratteristico blu zaffiro dei tatuaggi dei vampiri. Con la sensazione di trovarmi ancora in un sogno, allungai la mano per seguire il contorno del disegno dall'aria esotica e mi parve di sentire ancora le labbra della Dea sulla pelle. «Cosa significa?», chiesi, incapace di distogliere lo sguardo. «Speravamo che avresti avuto tu una risposta a questa domanda, Zoey Redbird.» Aveva una voce incredibile. Anche prima di alzare gli occhi dal mio riflesso sapevo che sarebbe stata unica e splendida. Avevo ragione. Era bella come una diva del cinema, bella come Barbie. Non avevo mai visto niente del genere da vicino. Aveva grandissimi occhi a mandorla di un intenso verde muschio. Il viso era un cuore quasi perfetto e la pelle aveva quella cremosa compattezza priva del minimo difetto che si vede in TV. I capelli erano rosso scuro, non l'orribile rosso-carota-tendenteall'arancio, né lo slavato biondo rossiccio, ma un caldo e lucido color rame che ricadeva in folte onde fino a ben sotto le spalle. E il suo fisico era… be', perfetto. Non era magra come quelle ragazze strampalate che vomitavano e facevano la fame per cercare di raggiungere quello che pensavano fosse lo chic di Paris Hilton («Questo è fiiigo!» Sì, certo, Paris, se lo dici tu), il corpo di quella donna era perfetto perché era forte ma tutto curve. E aveva delle grandi tette (come mi piacerebbe avere le tette grandi!) «Eh?» replicai come una babba. La donna mi sorrise mostrando denti straordinariamente bianchi e dritti… e senza canini sporgenti. Oh, suppongo di essermi dimenticata di dire che a tutta quella perfezione si aggiungeva una mezzaluna color zaffiro accuratamente tatuata al centro della fronte, da cui partivano delle linee sinuose che mi ricordarono le onde dell'oceano e che andavano a incorniciarle le sopracciglia per poi estendersi fino agli zigomi, che erano alti, naturalmente. Era un vampiro. «Ho detto che speravamo avessi tu una spiegazione riguardo al fatto che una vampira novizia che non si è ancora Trasformata abbia sulla fronte il Marchio di un adulto.» Senza il sorriso e la nota di ansia nella voce, le sue parole sarebbero sembrate brusche. Invece, il tono risultò preoccupato e un po' confuso. «Allora non sono un vampiro?» sbottai. La sua risata era una musica. «Non ancora, Zoey, ma direi che l'avere il Marchio già completo sia di ottimo auspicio.» «Oh… io… cioè, bene. Questo è un bene», farfugliai. Per fortuna la nonna mi salvò dall'umiliazione più totale. «Zoey, lei è Neferet, Somma Sacerdotessa della Casa della Notte. Si è presa buona cura di te mentre eri…» La nonna s'interruppe, non volendo evidentemente pronunciare la parola «svenuta». «… Mentre dormivi.» «Benvenuta nella Casa della Notte, Zoey Redbird», disse con calore Neferet. Guardai la nonna, poi tornai a fissare Neferet. Sentendomi molto più che persa balbettai: «Io non… non mi chiamo proprio così. Il mio cognome è Montgomery». «Davvero?» Neferet inarcò le sopracciglia color ambra. «Uno dei vantaggi dell'incominciare una nuova vita consiste nell'opportunità di ripartire daccapo, di compiere scelte che prima non erano possibili. Se potessi scegliere, come ti chiameresti?» «Zoey Redbird», replicai senza esitare. «Allora da questo momento sarai Zoey Redbird. Benvenuta alla tua nuova vita.» Allungò la mano come volesse stringere la mia, che le tesi automaticamente, ma, invece di afferrarla, mi afferrò l'avambraccio, un gesto insolito, che però non so come sembrava appropriato. La sua stretta era calda e forte, il suo sorriso un luminoso benvenuto. Era incredibile e solenne. In verità, era quello che sono tutti i vampiri, cioè più che umana: più forte, più intelligente, più dotata. Sembrava che qualcuno avesse acceso una luce accecante dentro di lei, descrizione decisamente ironica, mi rendo conto, considerando gli stereotipi relativi ai vampiri (alcuni dei quali ormai sapevo essere assolutamente veri): evitano la luce del sole, sono più forti di notte, devono bere sangue per sopravvivere (iiih!) e venerano una dea nota come la personificazione della Notte. «Gra-grazie. È un piacere conoscerla», dissi, cercando con un certo brio di sembrare quantomeno semi-intelligente e normale. «Come stavo dicendo a tua nonna, nessun novizio era mai arrivato da noi in modo così poco usuale: privo di sensi e col Marchio completo. Ricordi cosa ti è successo, Zoey?» Aprii la bocca per dirle che ricordavo tutto benissimo: la caduta e la ferita alla testa, il vedere me stessa come se fossi stata uno spirito fluttuante, le parole insolitamente visibili che avevo seguito fino alla grotta, infine l'incontro con la Dea Nyx. Ma, prima che potessi parlare, provai una strana sensazione, come se qualcuno mi avesse colpita allo stomaco. Era chiara e precisa, e mi diceva di stare zitta. «Io… io a dire il vero non ricordo molto…» M'interruppi e le mie dita trovarono la parte dolente dove sporgevano i punti. «Almeno non dopo che ho battuto la testa. Cioè, di quello che è successo prima ricordo tutto: il Rintracciatore mi ha Segnata; l'ho detto ai miei genitori e ho avuto una mega discussione con loro; poi sono scappata da mia nonna. Mi sentivo proprio male, perciò, quando mi sono arrampicata sul sentiero che porta al promontorio…» Ricordavo anche il resto – tutto il resto – gli spiriti del popolo cherokee, i balli e il fuoco dell'accampamento. Sta' zitta! mi urlava la sensazione. «… Io, be', immagino di essere scivolata perché tossivo da matti e ho picchiato la testa. La cosa successiva che ricordo è nonna Redbird che canta e poi mi sono svegliata qui.» Finii in fretta. Volevo distogliere lo sguardo da quei penetranti occhi verdi, ma la stessa sensazione che mi ordinava di tenere la bocca chiusa mi stava anche dicendo chiaramente che dovevo mantenere il contatto visivo, che dovevo sforzarmi di dare l'impressione di non stare nascondendo niente, anche se non avevo idea del perché stessi nascondendo qualcosa. «È normale perdere la memoria con una ferita alla testa», intervenne pratica la nonna, spezzando il silenzio. L'avrei baciata. «Sì, certo, è così», si affrettò a dire Neferet, il viso che perdeva ogni traccia di durezza. «Non deve temere per la salute di sua nipote, Sylvia Redbird. Starà benissimo.» Aveva parlato alla nonna con rispetto e parte della tensione che provavo si affievolì. Se le piaceva nonna Red-bird, doveva essere una persona okay, o vampira o quello che è. Giusto? Neferet sorrise. «Come sono certa sappia già, anche i vampiri novizi hanno speciali capacità di ripresa. La sua guarigione sta procedendo talmente bene che può già lasciare l'infermeria.» Il suo sguardo passò dalla nonna a me. «Zoey, ti andrebbe di conoscere la tua nuova compagna di stanza?» No. Deglutii con forza e annuii. «Eccellente!» commentò Neferet. Per fortuna ignorò il fatto che me ne stavo in piedi sorridendo come uno stupido nano da giardino. «È certa che non sia meglio tenerla qui in osservazione ancora un po'?» chiese la nonna. «Comprendo la sua preoccupazione, ma le assicuro che le ferite fisiche di Zoey stanno già guarendo con una rapidità che troverebbe straordinaria.» Mi sorrise di nuovo e, anche se ero spaventata e nervosa e giusto un pochino paranoica, risposi al sorriso. Sembrava fosse davvero contenta che io fossi lì e, a dirla tutta, mi fece pensare che trasformarsi in vampiro non fosse poi una cosa tanto brutta. «Sto bene, nonna. Sul serio. La testa mi fa ancora un po' male, ma poco, e il resto va molto meglio.» Mentre lo dicevo, mi resi conto che era vero. Avevo del tutto smesso di tossire. I muscoli non mi facevano più male. A parte il leggero dolore causato dalla ferita, mi sentivo perfettamente normale. Poi Neferet fece una cosa che non solo mi stupì, ma che me la fece piacere all'istante e… fece sì che iniziassi a fidarmi di lei. Si avvicinò alla nonna e le parlò con lentezza e grande cura. «Sylvia Redbird, le giuro solennemente che qui sua nipote è al sicuro. Ogni novizio è affiancato da un mentore adulto e, per rassicurarla sul mio giuramento, quello di Zoey sarò io. Ora però deve affidarla a me.» Neferet si portò il pugno sul cuore e fece un inchino formale. La nonna esitò solo un istante prima di risponderle: «Farò conto sul mantenimento del giuramento, Neferet, Somma Sacerdotessa di Nyx». Poi anche lei si mise il pugno sul cuore e s'inchinò davanti a Neferet prima di voltarsi verso di me e abbracciarmi forte. «Chiamami, se hai bisogno di me, Zoeybird. Ti voglio bene.» «Lo farò, nonna. Ti voglio bene anch'io. E grazie di avermi portata qui», mormorai, respirando il suo familiare profumo di lavanda e cercando di non piangere. Lei mi baciò sulla guancia, quindi, col suo passo rapido e sicuro, uscì dalla stanza lasciandomi per la prima volta in vita mia sola con un vampiro. «Bene, Zoey, sei pronta a iniziare la tua nuova vita?» Alzai lo sguardo verso di lei e pensai di nuovo che era davvero stupenda. Se mi fossi Trasformata in vampiro, avrei avuto anch'io la sua sicurezza e il suo potere, o era qualcosa che avevano solo le Somme Sacerdotesse? Per un istante mi passò nella mente l'idea che essere Somma Sacerdotessa sarebbe stato proprio magnifico. Poi recuperai la sanità mentale. Ero solo una ragazzina. E confusa, per giunta, di certo non avevo la stoffa per diventare Somma Sacerdotessa. Volevo solo capire come fare a integrarmi in quel posto e Neferet aveva senza dubbio fatto sembrare più facile da sopportare quello che mi stava succedendo. «Sì, sono pronta.» Ero felice che suonasse più deciso di quanto mi sentissi in realtà. 7 «Che ore sono?» Stavamo camminando lungo uno stretto corridoio che curvava dolcemente, le cui pareti erano fatte con un insolito misto di pietra scura e mattoni a vista. Di quando in quando, delle luci a gas che pendevano da candelieri di ferro nero dall'aria antica emettevano un morbido bagliore giallo, che per fortuna non mi dava alcun fastidio agli occhi. Nel corridoio non c'erano finestre e non incontrammo nessuno (anche se continuavo a guardarmi nervosamente intorno, immaginando come sarebbe stato vedere per la prima volta dei ragazzi vampiro). «Sono quasi le quattro del mattino, il che significa che le lezioni sono terminate da circa un'ora», rispose Neferet, quindi sorrise leggermente di fronte alla mia espressione che doveva essere d'istupidimento totale. Spiegò: «Le lezioni iniziano alle venti e si concludono alle tre del mattino. Gli insegnanti sono a disposizione degli studenti fino alle tre e trenta. La palestra è aperta fino all'alba. Non appena avrai completato la Trasformazione, saprai sempre con esattezza quando si verifica; fino ad allora, troverai l'orario del levar del sole chiaramente esposto in tutte le aule, stanze comuni e aree di aggregazione, incluse sala da pranzo, biblioteca e palestra. Naturalmente il tempio di Nyx è aperto a tutte le ore, ma i riti formali si tengono due volte a settimana appena dopo la scuola. Il prossimo è domani». Mi guardò e il sorriso si fece più caloroso. «Adesso ti sembra sconvolgente, ma ti ci abituerai presto. La tua compagna di stanza ti aiuterà, e anch'io.» Stavo giusto per aprire bocca e farle un'altra domanda, quando all'improvviso una palla di pelo color arancio spuntò in corridoio e, senza il minimo rumore, le si lanciò in braccio. Io sobbalzai e credo di aver persino fatto un gridolino idiota, per poi sentirmi un'imbecille totale quando vidi che la palla di pelo non era uno spettro volante o roba simile, ma un enorme gattone. Neferet rise e diede una grattatina dietro le orecchie del micio. «Zoey, questo è Skylar. Ha l'abitudine di aggirarsi da queste parti in attesa di lanciarsi su di me.» «È il gatto più grande che abbia mai visto», commentai, allungando la mano per lasciare che mi annusasse. «Attenta, morde.» Prima che potessi mettere al sicuro le dita, Skylar ci strofinò contro il muso. Trattenni il fiato. Neferet inclinò la testa di lato, come ascoltasse il vento. «Gli piaci, questo è davvero insolito. A lui non piace nessuno tranne me. Tiene persino lontani gli altri gatti da questa zona del campus. È un vero tipaccio!» commentò con affetto. Con infinita attenzione accarezzai Skylar tra le orecchie, come aveva fatto Neferet. «Mi piacciono i gatti. Ne avevo uno, ma quando mia mamma si è risposata ho dovuto portarlo all'associazione Gatti di Strada perché fosse adottato. A John, il suo nuovo marito, i gatti non piacciono.» «Ho scoperto che l'atteggiamento delle persone nei confronti dei gatti – e quello che hanno loro nei confronti delle persone – di solito è un ottimo metro di giudizio per valutarne il carattere.» Spostai lo sguardo da Skylar a Neferet e lessi nei suoi occhi verdi che capiva molto di più riguardo ai rapporti familiari di quanto non dicesse. Questo me la fece sentire vicina e automaticamente mi rilassai un po'. «Ci sono molti gatti qui?» «Oh, sì! I gatti sono da sempre stretti alleati dei vampiri.» Okay, in realtà quello già lo sapevo. A Storia Mondiale, con Mr Shaddox (meglio noto come Puff Shaddy, ma non diteglielo) avevamo imparato che, in passato, i gatti venivano uccisi perché si credeva che in qualche modo trasformassero le persone in vampiri. Già, certo, tanto per non essere ridicoli. Ulteriore riprova della stupidità degli umani… Il pensiero mi spuntò nel cervello lasciandomi stupefatta dalla facilità con cui avevo cominciato a considerare le persone «normali» degli «umani», e per questo diverse da me. «Pensa che potrei avere un gatto?» chiesi. «Se uno ti sceglie, gli o le apparterrai.» «Se mi sceglie?» Neferet sorrise e accarezzò Skylar, che chiuse gli occhi e si mise a fare rumorosamente le fusa. «Sono i gatti a sceglierci; noi non ne siamo i padroni.» Come se volesse dimostrarlo, Skylar saltò giù dalle sue braccia e, con un presuntuoso colpo di coda, sparì lungo il corridoio. Neferet rise. «È davvero terribile, ma io lo adoro. Penso che sarebbe così anche se lui non fosse parte del dono che mi ha fatto Nyx.» «Dono? Skylar è un regalo della Dea?» «In un certo senso, sì. La Dea dà a ogni Somma Sacerdotessa un'affinità, ciò che probabilmente chiameresti poteri speciali. In parte è così che riconosciamo le Somme Sacerdotesse. Queste affinità possono corrispondere a inusuali capacità cognitive, come leggere il pensiero o avere visioni in grado di predire il futuro. Oppure può trattarsi di un legame con qualcosa del mondo fisico, come un rapporto speciale con uno dei quattro elementi o con gli animali. Io possiedo due doni della Dea. La mia affinità principale è coi gatti; con loro ho un rapporto insolito persino per un vampiro. Ma Nyx mi ha anche dato inusuali poteri curativi.» Sorrise. «È per questo che so che tu stai guarendo molto bene, me lo dice il mio dono.» «Wow, è incredibile», fu tutto quello che riuscii a dire. La testa mi girava ancora per i fatti del giorno prima. «Vieni, andiamo nella tua stanza. Sono sicura che sarai affamata e stanca. Si cena tra…» Neferet inclinò la testa di lato come se qualcuno le stesse suggerendo la risposta. «… un'ora.» Mi rivolse un sorriso d'intesa. «I vampiri sanno sempre che ora è.» «Anche questo è fantastico!» «Questo, mia cara novizia, è soltanto la punta dell'iceberg delle cose fantastiche.» Mi augurai che la sua analogia non avesse a che vedere con disastri tipo quello del Titanic. Mentre continuavamo lungo il corridoio e io pensavo all'orario e a un sacco di altre cose, mi ricordai della domanda che volevo farle quando Skylar aveva interrotto il fragilissimo filo dei miei pensieri. «Scusi un attimo. Ha detto che le lezioni iniziano alle otto di sera?» Okay, di solito non sono così bradipo, ma alcuni aspetti della questione mi risultavano ostici come se avesse parlato in una lingua straniera. Facevo una gran fatica a capire. «Se ti soffermi un momento a riflettere, ti renderai conto che tenere le lezioni di notte è più che logico. Naturalmente saprai che i vampiri, adulti o novizi, non esplodono né fanno le cose assurde che s'inventano gli umani, se direttamente esposti ai raggi del sole, ma per noi è una condizione disagevole. Non ti dava già fastidio il sole oggi?» Annuii. «E i miei Maui Jim servivano a poco.» Quindi, sentendomi di nuovo una cretina, aggiunsi in tutta fretta: «Mmm, i Maui Jim sono occhiali da sole». «Sì, Zoey», replicò con pazienza Neferet. «Conosco gli occhiali da sole. E molto bene anche.» «Oddio, mi scusi, io…» M'interruppi, chiedendomi se fosse o no corretto dire «Dio». Era forse un'offesa per Neferet, una Somma Sacerdotessa che portava con tanto orgoglio il Marchio della Dea? Diavolo, magari offendeva Nyx? Oddio! E dire «diavolo»? Assieme a «cavolo» era la mia imprecazione preferita (okay, in realtà era l'unica imprecazione che usassi regolarmente). Potevo dirlo ancora? Il Popolo della Fede predicava che i vampiri veneravano una falsa dea e che si trattava di esseri egoisti e tenebrosi che non pensavano ad altro che ai soldi, al piacere e a bere sangue e di sicuro sarebbero andati dritti all'inferno, dunque forse questo significava che dovevo fare attenzione a come e quando usavo… «Zoey.» Alzai lo sguardo e vidi che Neferet mi fissava con aria preoccupata, quindi mi resi conto che probabilmente aveva cercato di attirare la mia attenzione mentre ero in preda a farneticazioni mentali. «Mi scusi», ripetei. «Zoey, smetti di scusarti. E ricordati che qui abbiamo avuto tutti la tua stessa esperienza. È stata una cosa nuova per ciascuno di noi, all'inizio. Sappiamo come ci si sente, con la paura per la Trasformazione e lo shock nel vedersi cambiare la vita in modo imprevedibile e sconosciuto.» «Senza poter controllare niente di tutto ciò», aggiunsi pacata. «Certo, anche quello. Non sarà così complicato per sempre. Quando sarai un vampiro adulto, la vita sembrerà appartenerti di nuovo. Farai le tue scelte, seguirai la tua strada andando dove il cuore, l'anima e il talento ti porteranno.» «Sempre che io diventi un vampiro adulto.» «Lo diventerai, Zoey.» «Come può esserne tanto sicura?» Lo sguardo di Neferet trovò il Marchio completo sulla mia fronte. «Nyx ti ha scelta. Ancora non sappiamo per cosa, ma il suo Marchio è stato apposto su di te con molta chiarezza. Non ti avrebbe toccata per poi vederti cadere.» Ricordai le parole della Dea – Zoey Redbird, Figlia della Notte, ti nomino miei occhi e mie orecchie nel mondo di oggi, un mondo in cui bene e male lottano per trovare un equilibrio – e distolsi lo sguardo da quello penetrante di Neferet, desiderando disperatamente sapere perché l'istinto continuava a dirmi di tenere la bocca chiusa riguardo all'incontro con la Dea. «È che… è che sono successe tante cose in un giorno solo.» «Senza dubbio, soprattutto essendo a stomaco vuoto.» Avevamo ripreso a camminare, quando lo squillo di un telefonino mi fece saltare per aria. Neferet sospirò e mi sorrise con aria di scusa, quindi si tolse di tasca un piccolo cellulare. «Neferet», rispose. Ascoltò un istante e la vidi corrugare la fronte e socchiudere gli occhi. «No, hai fatto bene a chiamarmi. Torno subito a darle un'occhiata.» Dopo di che richiuse il telefono. «Scusami, Zoey. Oggi una delle novizie si è rotta una gamba e sembra avere problemi a riposare, quindi devo tornare a vedere che vada tutto bene. Perché non segui il corridoio tenendoti sulla sinistra fino a che non arrivi al portone principale? Non ti puoi sbagliare, perché è grande e di legno, molto antico. Appena fuori c'è una panchina di pietra. Puoi aspettarmi lì. Non ci metterò molto.» «Okay, non c'è problema.» Non avevo neanche finito di parlare che Neferet era già sparita lungo il corridoio sinuoso. Sospirai. Non mi piaceva l'idea di restare da sola in un posto pieno di vampiri e di ragazzi vampiri e, adesso che Neferet se ne era andata, quelle luci tremolanti non sembravano poi tanto simpatiche e creavano ombre preoccupanti sulle vecchie pareti di pietra. Decisa a non andare in paranoia, ripresi a camminare e ben presto cominciai quasi a desiderare d'incontrare qualcuno (anche se vampiro). C'era troppo silenzio. E faceva venire i brividi. Un paio di volte il corridoio si biforcò a destra, ma, seguendo le indicazioni di Neferet, continuai a tenere la sinistra. A dire il vero, tenevo gli occhi fissi a sinistra anche perché i corridoi che partivano da quello in cui mi trovavo io in pratica non erano illuminati. Purtroppo, alla successiva biforcazione, non tenni gli occhi puntati dall'altra parte. Okay, un motivo c'era. Avevo sentito qualcosa. Per essere più precisa, avevo udito una risata. La bassa risata di una ragazza che per qualche motivo mi aveva fatto accapponare la pelle. E mi aveva fatto anche fermare. Sbirciai nel corridoio e mi sembrò di vedere un movimento nell'oscurità. Zoey… Il mio nome proveniva dalle ombre, in un bisbiglio. Sbattei le palpebre per la sorpresa. L'avevo sentito davvero o m'immaginavo le cose? La voce era quasi familiare. Che fosse ancora Nyx? Che la Dea mi stesse chiamando? Impaurita e allo stesso tempo curiosa, trattenni il fiato e feci qualche passo nel corridoio laterale. Mentre superavo la leggera curva, vidi qualcosa davanti a me che mi fece bloccare e automaticamente spiaccicare contro il muro. In una piccola nicchia poco distante c'erano due persone. All'inizio il mio cervello non riuscì a elaborare quello che vedevo, poi, di colpo, capii benissimo. Me ne sarei dovuta andare in quel momento. Me ne sarei dovuta tornare indietro zitta zitta cercando di non pensare a quello che avevo visto. Ma non feci nessuna di queste due cose. Era come se all'improvviso i miei piedi fossero diventati talmente pesanti da non riuscire a sollevarli. Tutto quello che riuscivo a fare era starmene lì a guardare. L'uomo – poi, con un ulteriore shock, mi resi conto che non era un uomo ma un ragazzo, più vecchio di me al massimo di un paio d'anni – era in piedi con la schiena contro la parete della nicchia. Aveva la testa piegata all'indietro e respirava forte. Aveva il viso in ombra, ma, anche se lo si poteva intravedere a malapena, capivo che era bello. Poi un'altra risatina roca mi fece spostare lo sguardo più in basso. Lei era in ginocchio davanti a lui, e tutto quello che riuscivo a vedere erano i capelli biondi. Ce n'erano così tanti che sembrava quasi indossasse una sorta di velo antico. Poi le sue mani si mossero verso l'alto, scorrendo sulle cosce del ragazzo. Vai! Mi gridò il cervello. Vattene via di qui! Cominciai a fare un passo indietro, ma la voce di lui mi gelò. «Fermati!» Sgranai gli occhi perché per un istante pensai parlasse con me. «Non vuoi davvero che mi fermi.» Quasi mi girava la testa per il sollievo quando parlò la ragazza. Si era rivolto a lei, non a me. Nemmeno sapevano che fossi lì. «Sì che lo voglio.» Sembrava che pronunciasse le parole a denti stretti. «Alzati.» «Ti piace… lo sai che ti piace. Proprio come sai di volermi ancora.» La voce di lei era roca e cercava di essere sexy, ma non riusciva a nascondere il piagnucolio. Sembrava disperata. Osservai le sue dita muoversi e sbarrai gli occhi quando fece correre l'unghia dell'indice lungo la coscia di lui. Sembra incredibile, ma tagliò i jeans come fosse un coltello e apparve una striscia di sangue fresco, sorprendente nel suo rosso liquido. Non volevo che succedesse e la cosa mi disgustò moltissimo, ma la vista del sangue mi fece venire l'acquolina in bocca. «No!» sbottò lui, mettendole le mani sulle spalle e cercando di togliersela di dosso. «Oh, piantala di fingere», rise di nuovo la ragazza, con un tono meschino e sarcastico. «Lo sai che staremo sempre insieme.» Si allungò a leccare la striscia di sangue. Rabbrividii; a dispetto della mia volontà, ero affascinata. «Falla finita!» Lui continuava ancora a spingerla per le spalle. «Non voglio farti del male ma stai cominciando veramente a farmi incazzare. Perché non vuoi capire? Noi non lo facciamo più. Io non ti voglio.» «Oh, sì che mi vuoi! Tu mi vorrai sempre!» Gli aprì la lampo dei pantaloni. Non dovrei essere qui. Non dovrei vederlo. Staccai gli occhi dalla coscia che sanguinava e feci un passo indietro. Il ragazzo alzò gli occhi. E mi vide. A quel punto successe una cosa davvero bizzarra. Sentivo il suo tocco attraverso lo sguardo. Non riuscivo a smettere di guardarlo. La ragazza di fronte a lui sembrò sparire, e nel corridoio non ci fu altro che lui, io e il dolce, meraviglioso profumo del suo sangue. «Non mi vuoi? Be', in questo momento non si direbbe proprio», disse lei con una sorta di sgradevole fusa. Sentii che la mia testa cominciava ad agitarsi avanti e indietro, avanti e indietro, e in quello stesso momento lui gridò: «No!» e cercò di liberarsi di lei per poter venire verso di me. Strappai gli occhi dai suoi e barcollai. «No!» ripetè il ragazzo. Stavolta sapevo che parlava con me e non con lei. E doveva essersene accorta anche la ragazza, perché, con un grido che somigliava in modo preoccupante al ringhio di un animale selvatico, cominciò a girarsi. Mi scongelai all'istante, mi voltai di scatto e mi misi a correre nel corridoio, tornando indietro. Mi aspettavo che mi seguissero, quindi continuai a correre finché non raggiunsi il portone antico che mi aveva descritto Neferet e mi ci appoggiai nel tentativo di riprendere il controllo del respiro in modo da poter sentire il rumore di passi di corsa. Cos'avrei fatto se mi avessero inseguita davvero? La testa mi faceva di nuovo un gran male, mi sentivo debole e con una paura folle. Oltre che assolutamente, completamente disgustata. Sì, certo, sapevo del sesso orale. Dubito che al giorno d'oggi in America ci sia un'adolescente che non sia consapevole del fatto che la maggior parte degli adulti pensa che distribuiamo pompini come loro distribuivano cicche (o lecca lecca, per restare in tema). Okay, questa è una stronzata clamorosa, che mi ha sempre fatto incazzare da matti. È ovvio che ci sono ragazze che pensano sia «figo» fare un bocchino ai ragazzi, ma, be', si sbagliano. Quelle di noi che hanno un cervello funzionante sanno che non c'è niente di figo nel farsi usare in quel modo. Okay, quindi sapevo dei pompini, ma di certo non ne avevo mai visto fare uno. Perciò quello che era appena successo mi aveva decisamente fatta sbroccare. E a farmi sbroccare più ancora della schifezza che lei faceva a lui era stata la mia reazione alla vista del sangue. Avrei voluto leccarlo anch'io. E quello proprio non era normale. E poi c'era la faccenda della strana occhiata che avevo scambiato con lui. Che cavolo voleva dire? «Zoey, stai bene?» «Diavolo!» Feci un salto indietro. Neferet era in piedi accanto a me e mi guardava confusa. «Ti senti male?» «Io… be'…» Il mio cervello prese ad agitarsi. Non le avrei detto quello che avevo appena visto neanche a morire. «Mi fa un gran male la testa», riuscii finalmente a dire. Ed era vero. Avevo un'emicrania di quelle che uccidono. Neferet aggrottò la fronte, preoccupata. «Lascia che ti aiuti.» Appoggiò con leggerezza la mano sulla linea dei punti che avevo sulla tempia, chiuse gli occhi e mormorò qualcosa in una lingua che non conoscevo. Poi il suo palmo divenne caldo e fu come se il calore si facesse liquido e venisse assorbito dalla mia pelle. Chiusi gli occhi anch'io e sospirai di sollievo, il dolore alla testa cominciava a svanire. «Va meglio?» «Sì», bisbigliai a stento. Tolse la mano e aprii gli occhi. «Questo dovrebbe tenere lontano il dolore. Non so come mai sia tornato con tanta violenza.» «Nemmeno io, però adesso se n'è andato», replicai in fretta. Mi squadrò in silenzio ancora per un po' e io trattenni il fiato. «Qualcosa ti preoccupa?» mi chiese alla fine. Deglutii. «Ho solo un po' paura a incontrare la mia nuova compagna di stanza.» Tecnicamente non era una bugia. Non era quello che mi preoccupava, ma ne avevo paura. Il sorriso di Neferet fu gentile. «Zoey, andrà tutto bene. Adesso lascia che ti avvìi alla tua nuova vita.» Neferet aprì il pesante portone di legno e uscimmo nel vasto cortile davanti la scuola. Si fece da parte e mi lasciò a guardare a bocca aperta. Adolescenti con indosso divise che non so come sembravano fighissime e uniche pur essendo molto simili camminavano a gruppetti nel cortile e lungo il marciapiede. Sentivo il suono apparentemente normale delle loro voci mentre ridevano e parlavano. Continuavo a spostare lo sguardo da loro alla scuola, non sapendo cosa fissare a bocca aperta per prima. Scelsi la scuola, perché m'intimoriva meno (e perché avevo paura di vedere lui): quel posto sembrava uscito da un sogno, uno di quelli che mettono i brividi. Eravamo nel cuore della notte e sarebbe dovuto essere buio pesto, invece c'era una luna luminosissima che splendeva sulle enormi vecchie querce che ombreggiavano ogni cosa. Luci a gas su treppiedi di rame ossidato seguivano il marciapiede che correva parallelo all'immenso edificio di mattoni rossi e pietra nera. Era a tre piani, con un tetto insolitamente lungo che puntava verso l'alto e poi si appiattiva in cima. Erano stati aperti dei tendoni pesanti e morbide luci gialle facevano danzare le ombre nelle stanze, dando all'intera struttura un'aria vivace e accogliente. Alla facciata anteriore era collegata una torre rotonda, che aumentava l'illusione di trovarsi più in un castello che in una scuola. Giuro che un fossato sarebbe sembrato molto più adatto del marciapiede bordato da fitti cespugli di azalea che delimitavano un prato tosato alla perfezione. Di fronte all'edificio principale ce n'era uno più piccolo che sembrava più antico e somigliava a una chiesa. Dietro s'intravedevano delle vecchie querce che ombreggiavano il cortile e l'ombra dell'immenso muro di cinta che circondava tutta la scuola. Davanti alla chiesa c'era una statua di marmo che raffigurava una donna con lunghe vesti svolazzanti. «Nyx!» esclamai. Neferet inarcò un sopracciglio con aria stupita. «Sì, Zoey, quella è una statua della Dea, e l'edificio lì dietro è il suo tempio.» Mi fece cenno di proseguire con lei lungo il marciapiede e m'indicò lo splendido campus che si apriva davanti a noi. «Quella che oggi è conosciuta come Casa della Notte era stata costruita in stile neo normanno, con pietra importata dall'Europa. In origine, nella metà degli anni '20, era un monastero agostiniano del Popolo della Fede, poi trasformato in una scuola media privata per ragazzini umani ricchi che si chiamava Cascia Hall. Cinque anni fa, quando abbiamo deciso di aprire una nostra scuola in questa parte del Paese, l'abbiamo comprata.» Ricordavo solo vagamente il periodo in cui era stata una spocchiosa scuola privata, anzi, a dire il vero, l'unico motivo per cui avevo anche solo rivolto un piccolo pensiero a quel posto era perché all'epoca un gruppo ben nutrito di ragazzi che frequentavano la Cascia era stato arrestato per droga e gli adulti ne erano rimasti shockati. Figuriamoci. Nessun altro si era minimamente stupito che quei ragazzini ricchi di droga ne vedessero tanta. «Mi sorprende che l'abbiano venduta proprio a voi», replicai distratta. La risata di Neferet risuonò bassa e un po' pericolosa. «Non volevano, ma abbiamo fatto al loro arrogante preside un'offerta che nemmeno lui poteva rifiutare.» Avrei voluto chiederle cosa intendesse, ma la sua risata mi aveva fatto rabbrividire. E poi ero impegnata. Non riuscivo a smettere di guardarmi in giro con sconfinata ammirazione. La prima cosa che notai era che tutti quelli che avevano un tatuaggio da vampiro completo erano di una bellezza incredibile. Cioè, era una cosa folle. Sì, lo sapevo che i vampiri sono avvenenti. Lo sanno tutti. Gli attori e le attrici di maggior successo al mondo sono vampiri. Ci sono anche ballerini e musicisti, scrittori e cantanti. I vampiri dominano le arti e questo è uno dei motivi per cui hanno tanti soldi, oltre a essere uno dei (tanti) motivi per cui il Popolo della Fede li considera egoisti e immorali. Ma la verità è che sono solo gelosi perché non sono altrettanto belli. Il Popolo della Fede andava a vedere i loro film, gli spettacoli, i concerti, comprava i loro libri e le loro opere d'arte, ma, allo stesso tempo, ne sparlava e li disprezzava, e Dio sa che non si sarebbe mai e poi mai mischiato con loro. Mmm… ipocrita sarà l'aggettivo giusto? Comunque essere circondata da così tante persone belle da urlo mi fece venire voglia di strisciare sotto una panchina, anche se molte, dopo aver salutato Neferet, sorrisero e dissero «ciao» pure a me. Mentre rispondevo ai saluti un po' esitante, di nascosto lanciavo occhiate ai ragazzi che ci passavano vicino e facevano un rispettoso cenno con la testa rivolto a Neferet. Parecchi s'inchinarono in modo formale, incrociando il pugno sul petto, cosa che faceva sorridere e inchinare leggermente anche Neferet. Okay, i ragazzi non erano uno splendore come gli adulti. Certo, erano carini – interessanti, a essere più precisa, col contorno della mezzaluna e le divise che sembravano più vestiti da passerella – ma non avevano l'affascinante luce patinata e non-umana che emanava dai vampiri adulti. Ah, e notai anche che, come avevo immaginato, nelle divise c'era un sacco di nero (si potrebbe pensare che un gruppo di persone così addentro nell'arte riconosca un cliché quando uno va in giro in quel noioso nero da dark. Appunto…), ma, a essere onesta, dovetti ammettere che su di loro stava molto bene, quel nero mischiato con sottili righe viola, blu e verde smeraldo. Ogni divisa aveva un motivo ricamato in oro o in argento sul taschino della giacca o della camicia. Capivo che alcuni erano uguali, ma non riuscivo a vedere con esattezza cosa fossero. E poi c'erano un sacco di ragazzi coi capelli lunghi. Ma tanti, davvero. Le femmine avevano i capelli lunghi, i maschi avevano i capelli lunghi, gli insegnanti avevano i capelli lunghi, persino i gatti che ogni tanto passavano sul marciapiede erano palle di pelo molto lungo. Strano. Meno male che mi ero convinta a non tagliarmi i capelli come aveva fatto Kayla la settimana prima, con quella specie di coda d'anatra alla Ispettore Derrick sul dietro. Notai anche che adulti e ragazzi avevano una cosa in comune: i loro occhi si fissavano tutti sul mio Marchio. Grandioso. Perciò stavo iniziando la mia nuova vita come un'anomalia ambulante, fatto che prometteva d'un bene che non ti dico. 8 La zona della Casa della Notte in cui si trovavano i dormitori era dall'altra parte del campus, perciò avevamo un bel tratto da fare e Neferet sembrava camminare piano apposta per darmi il tempo di fare domande e fissare le cose a bocca aperta. Non che mi dispiacesse. Camminare lungo il gruppo di edifici simile a un castello, con Neferet che m'indicava piccoli dettagli e spiegava cos'era cosa, mi dava un'idea del posto. Era insolito, ma in un bel modo. E poi, camminare mi faceva sentire normale e, per quanto strano possa sembrare, mi sentivo di nuovo me stessa. Non tossivo più. Non avevo più male da nessuna parte, nemmeno alla testa. E assolutamente, decisamente non pensavo più all'inquietante scena cui avevo assistito per caso. Me la stavo dimenticando. Di proposito. L'ultima cosa di cui avevo bisogno erano altre questioni di cui occuparmi oltre a una nuova vita e a uno strano Marchio. Perciò, pompino… dimenticato. In preda alla negazione, mi dissi che, se non avessi camminato per un campus scolastico a un'ora assurda accanto a una vampira, avrei quasi potuto fingere di essere la stessa del giorno prima. Quasi. Sì, okay, forse nemmeno quasi, ma la testa andava molto meglio e, quando finalmente Neferet aprì la porta del dormitorio delle ragazze, ero più o meno pronta a conoscere la mia compagna di stanza. L'interno fu una sorpresa. Non so bene cosa mi aspettassi, magari che fosse tutto nero e lugubre, invece era carino, decorato in azzurro pallido e giallo antico, con divani comodosi e gruppi di soffici cuscini grandi abbastanza da sedercisi sopra che punteggiavano la stanza come gigantesche M&M's. La luce delicata proveniente da numerosi candelabri antichi di cristallo faceva somigliare quel posto al castello di una principessa. Sulle pareti color crema c'erano grandi quadri a olio, tutti ritratti di donne di altre epoche dall'aria esotica e potente, mentre su dei tavolini, assieme a vasi di cristallo con fiori freschi, soprattutto rose, c'erano ammonticchiati libri, borse e ammennicoli vari in dotazione a qualunque ragazza normale. Vidi diverse TV al plasma e riconobbi la musica di Real World di MTV. Notai tutte queste cose in fretta, mentre cercavo di sorridere e avere un'aria amichevole nei confronti delle ragazze che si erano zittite nell'istante in cui avevo messo piede nella stanza e che adesso mi fissavano. Be', tirateci su una riga. Non stavano propriamente fissando me. Stavano fissando il Marchio sulla mia fronte. «Ragazze, questa è Zoey Redbird. Salutatela e datele il benvenuto nella Casa della Notte.» Per un secondo pensai che nessuno avrebbe aperto bocca e avrei voluto scomparire per la mortificazione da nuovo arrivato, poi una ragazza si alzò dal gruppo riunito davanti a un televisore. Era una biondina praticamente perfetta. A dire il vero mi ricordava una versione giovane di Sarah Jessica Parker (che non mi piace, tra l'altro, perché è così… così… noiosamente e innaturalmente sgallettata). «Ciao, Zoey. Benvenuta nella tua nuova casa.» Il suo sorriso simil-SJP era caldo e sincero, era evidente che si sforzava sul serio d'incrociare il mio sguardo invece che fissare il mio Marchio completo. Mi sentii subito in colpa per averla paragonata a qualcuno in modo negativo. «Io sono Afrodite», aggiunse. Afrodite? Okay, d'accordo, magari non ero stata troppo frettolosa a fare paragoni. Come poteva una persona normale scegliere di chiamarsi Afrodite? Per favore! Manie di grandezza in stadio iper-avanzato! Mi appiccicai comunque un sorriso sulla faccia e dissi un allegro «Ciao, Afrodite!» «Neferet, vuole che accompagni io Zoey nella sua stanza?» Neferet esitò, cosa che mi parve molto strana. Invece di rispondere subito rimase lì ferma a scambiare una veloce occhiata con la bionda, poi il suo volto si aprì in un sorriso. «Grazie, Afrodite, sarebbe molto gentile da parte tua. Io sono la mentore di Zoey, ma sono certa che si sentirebbe molto più a suo agio se fosse qualcuno della sua età a mostrarle la stanza.» Era rabbia quella che vidi lampeggiare negli occhi di Afrodite? No, dovevo essermelo immaginato, o almeno avrei creduto di essermelo immaginato, se quella strana sensazione allo stomaco non mi avesse detto il contrario. E non ci volle l'intuito per capire che qualcosa non andava, perché Afrodite rise, e io riconobbi il suono di quella risata. Sentendomi come se mi avessero dato un pugno nello stomaco, mi resi conto che era lei la bionda che avevo visto col ragazzo nel corridoio. La risata di Afrodite, seguita dal suo pimpante «È ovvio che sono più che contenta di farle fare un giro! Sa che sono sempre felice di esserle d'aiuto, Neferet» erano falsi e freddi come le mostruose enormi tette di Pamela Anderson. Neferet si limitò ad assentire e si rivolse a me. «Ora ti lascio, Zoey. Afrodite ti accompagnerà nella tua stanza e la tua nuova compagna ti aiuterà a prepararti per la cena. Ci vediamo in sala da pranzo.» Mi sorrise, il suo caldo sorriso materno, e sentii l'infantile desiderio di abbracciarla e implorarla di non mollarmi lì da sola con Afrodite. «Starai bene», mi disse, neanche potesse leggermi nel pensiero. «Vedrai, Zoeybird, andrà tutto bene», mormorò, somigliando tanto a mia nonna che dovetti sbattere le palpebre per non mettermi a piangere. Poi salutò con un cenno del capo Afrodite e le altre ragazze e se ne andò. La porta del dormitorio si chiuse con un sordo rumore soffocato. Oh, diavolo… volevo proprio andare a casa! «Vieni, Zoey, le camere sono da questa parte.» Afrodite mi fece cenno di seguirla sulla grande scala che curvava a destra e, mentre salivamo, cercai d'ignorare il brusio di voci che istantaneamente eruttò alle nostre spalle. Nessuna delle due parlava e mi sentivo così a disagio che mi sarei messa a urlare. Che mi avesse vista in corridoio? Be', era sicuro come l'inferno che io non ne avrei fatto parola. Mai. Per quanto mi riguardava, non era mai successo. Mi schiarii la voce. «Il dormitorio sembra carino. Cioè, è proprio bello.» Mi lanciò un'occhiata di sbieco. «Qui è meglio che carino o proprio bello: è favoloso.» «Oh. Be'. Sono contenta di saperlo.» Rise. Il suono era assolutamente sgradevole, quasi un ghigno, che mi fece correre un brivido sulla schiena come la prima volta che l'avevo udito. «Qui è favoloso soprattutto perché ci sono io.» La squadrai, pensando stesse scherzando, e incrociai i suoi gelidi occhi azzurri. «Già, hai sentito bene. Questo posto è fantastico perché io sono fantastica.» Oh. Mio. Dio. Una cosa ben strana da dire e non avevo indizi per replicare a quella presuntuosa informazione. Cioè, mi mancava solo di mettermi a litigare con Miss Guarda-Che-Splendore-Che- Sono tanto per aggiungere qualcosina al cambiamento di scuola/vita/specie, no? E ancora non avevo capito se sapeva che ero stata io a vederla nel corridoio. Okay. Volevo solo trovare un modo per integrarmi. Volevo poter chiamare casa quella nuova scuola. Perciò decisi di tenere il becco chiuso. Nessuna di noi due aggiunse altro. La scala portava a un largo corridoio con tante porte colorate e, quando Afrodite si fermò davanti a quella dipinta di un bel viola chiaro, trattenni il fiato. Lei però, invece di bussare, si voltò verso di me. Di colpo il suo viso perfetto assunse un'aria odiosa, gelida e decisamente non tanto bella. «Okay, Zoey, le cose stanno così. Tu hai quello strano Marchio, perciò tutti parlano di te e si chiedono chi cazzo sei.» Alzò gli occhi al cielo e afferrò la collana di perle con un gesto drammatico, cambiando voce in modo che sembrasse sciocca e affettata. «Ooh! La nuova ha il Marchio completo! Cosa potrà mai significare? Che sia speciale? Che abbia poteri favolosi? Ooh! Ooh!» Tolse la mano dal collo e mi guardò, a occhi stretti, mentre la voce si faceva piatta e cattiva come lo sguardo. «Ora ascoltami bene: qui sono io che comando. Le cose girano come voglio io. Farai meglio a ricordartelo se vuoi vivere tranquilla. Altrimenti, ti troverai in un mare di merda.» Okay, stava cominciando a farmi incavolare, perciò replicai: «Senti, sono appena arrivata, non cerco guai e non posso controllare quello che gli altri dicono del mio Marchio». I suoi occhi si strinsero ancora di più. Oh, cavolo. Dovevo proprio fare a botte con quella tipa? Non mi ero mai battuta in vita mia! Mi si annodò lo stomaco e mi preparai a tirarmi indietro o a scappare o a fare qualunque cosa servisse a non prenderle. Poi, con la stessa velocità con cui era diventata inquietante e odiosa, la sua faccia si rilassò in un sorriso ed ecco ricomparsa la dolce biondina (non che ci cascassi), che mi disse: «Bene. Così ci capiamo». Eh? Avevo capito che si era dimenticata di prendere i suoi psicofarmaci, ma per il resto proprio non avevo capito niente. Afrodite non mi diede il tempo di replicare e con un ultimo sorriso stranamente caloroso bussò alla porta. «Avantiii!» gridò una voce vivace dal forte accento dell'Oklahoma. Afrodite aprì la porta. «Ma ciaaao! Ohmioddio, entra.» Con un gran sorriso, la mia nuova compagna di stanza, bionda pure lei, si lanciò come un piccolo tornado di campagna, ma, non appena vide Afrodite, il sorriso le scivolò via dalla faccia e smise di correre verso di noi. «Ti ho portato la tua nuova compagna di stanza.» Non c'era niente di sbagliato nelle parole di Afrodite, ma il tono era insopportabile e aveva preso un terribile falso accento dell'Oklahoma. «Stevie Rae Johnson, questa è Zoey Redbird. Zoey Redbird, questa è Stevie Rae Johnson. Ecco qui, non stiamo belle comode come tre piselli in un baccello?» Guardai Stevie Rae. Sembrava un coniglietto terrorizzato. «Grazie di avermi accompagnata, Afrodite», dissi in fretta facendo un passo verso di lei, che automaticamente arretrò ritrovandosi in corridoio. «Ci vediamo.» Le chiusi la porta in faccia mentre l'espressione stupita stava appena cominciando a trasformarsi in rabbia, poi mi voltai verso Stevie Rae, che era ancora pallida. «Ma che problemi ha?» chiesi. «Lei è… lei è…» Anche se ancora non la conoscevo, era chiaro che Stevie Rae era nel dubbio su quanto dire o non dire, perciò decisi di aiutarla. Che cavolo, dovevamo essere compagne di stanza. «È una stronza!» Stevie Rae sgranò gli occhi, poi si mise a ridacchiare. «Non è una gran simpaticona, questo è certo.» «Ha bisogno di psicofarmaci, questo è certo!» aggiunsi, facendola ridere ancora di più. «Credo proprio che andremo molto d'accordo, Zoey Redbird», disse, sempre sorridendo. «Benvenuta nella tua nuova casa!» Si spostò di lato e fece un ampio gesto col braccio, come se, invece che in una piccola stanza, mi stesse facendo entrare in un palazzo. Mi guardai intorno e sbattei le palpebre. Più volte. La prima cosa che vidi fu il poster a grandezza naturale di Kenny Chesney appeso sopra uno dei due letti e il cappello da cowboy (cowgirl?) appoggiato su un comodino, quello su cui c'era anche una lampada dall'aria fuori moda con la base a forma di stivale da cowboy. Acci. Picchia. Stevie Rae era una vera Okie, made in Oklahoma al cento per cento! Poi mi stupì con un forte abbraccio di benvenuto, facendomi venire in mente un bel cucciolo, coi corti capelli ricci e il viso tondo e sorridente. «Zoey, sono così contenta che tu ti senta meglio! Ero così preoccupata quando mi hanno detto che ti eri fatta male. Sono davvero felice che tu sia finalmente qui.» «Grazie», replicai, continuando a guardarmi intorno in quella che adesso era anche la mia stanza, sentendomi stranamente confusa e sul punto di scoppiare di nuovo in lacrime. «Mette un po' paura, vero?» Stevie Rae mi osservava con seri occhioni azzurri pieni di lacrime di solidarietà. Annuii, non fidandomi a parlare. «Lo so. La prima notte l'ho passata a piangere.» «Da quanto sei qui?» domandai ricacciando indietro le lacrime. «Da tre mesi. E, ragazzi, se ero contenta quando mi hanno detto che avrei avuto una compagna di stanza!» «Sapevi che stavo arrivando?» «Ohssììì! Neferet me l'ha detto l'altroieri che il Rintracciatore ti aveva individuata e che stava per Segnarti. Pensavo che saresti arrivata ieri, ma poi ho saputo che avevi avuto un incidente ed eri stata portata in infermeria. Cosa ti è successo?» «Cercavo mia nonna, sono caduta e ho battuto la testa.» Mi strinsi nelle spalle. Non provavo la strana sensazione che mi diceva di tenere il becco chiuso, ma ancora non sapevo quanto potevo raccontare a Stevie Rae, perciò mi sentii sollevata quando annuì come se capisse e non chiese altro sull'incidente. Né menzionò il mio Marchio insolitamente completo. «I tuoi genitori hanno sclerato quando sei stata Segnata?» mi chiese. «Sono andati fuori di testa. E i tuoi?» «A dire il vero per mia mamma non c'era problema. Ha detto che qualunque cosa mi portasse via da Henrietta era una buona cosa.» «Henrietta, Oklahoma?» chiesi, felice di passare a un argomento che non riguardava soltanto me. «Purtroppo sì.» Stevie Rae si lasciò cadere sul letto sotto il poster di Kenny Chesney e m'indicò di sedermi su quello dall'altra parte della stanza. Lo feci e provai una piacevole sorpresa quando mi accorsi che ero sul favoloso piumino verde e fucsia di Ralph Lauren che avevo a casa. Guardai sul comodino e quasi non credetti ai miei occhi: c'erano i miei scoccianti, giganteschi e squallidi occhiali per quando mi davano fastidio le lenti a contatto e la foto di me con la nonna l'estate precedente. E sullo scaffale dietro il computer dalla mia parte della stanza vidi la mia collezione di «Gossip Girls» e di «Bubbles» (assieme ad alcuni dei miei libri preferiti, incluso Dracula di Bram Stoker, cosa ben più che ironica), dei CD, il mio portatile e – oh Signore mio caro – le mie figurine di Monsters & Co. Imbarazzante è un lieve eufemismo. E sul pavimento accanto al letto c'era il mio zaino. «Tua nonna ti ha portato tutta la tua roba. È proprio simpatica», spiegò Stevie Rae. «È più che simpatica. Bisogna essere coraggiosi come un leone per affrontare mia madre e il suo stupido marito per andare a prendere la mia roba. Riesco appena a immaginare la scena drammatica che avrà fatto la mamma.» Sospirai, poi scossi la testa. «Giiiààà, immagino di essere fortunata. Almeno mia mamma l'ha presa bene.» Stevie Rae indicò il contorno della mezzaluna che aveva sulla fronte. «Anche se papi era fuori come un balcone e ripeteva che sono la sua unica 'piccolina' e roba simile.» Si strinse nelle spalle e ridacchiò di nuovo. «I miei tre fratelli pensavano fosse da urlo e volevano sapere se potevo aiutarli a conoscere un po' di pollastrelle vampire.» Alzò gli occhi al cielo. «Stupidi ragazzi.» «Stupidi ragazzi», le feci eco, sorridendo. Se pensava che i ragazzi fossero stupidi, noi due saremmo proprio andate d'accordo. «Praticamente adesso sto okay con tutta la situazione. Cioè, le lezioni sono strane ma mi piacciono… soprattutto il corso di Tae Kwan Do. Pare che ci provi gusto a prendere a calci dei sederi.» Sogghignò birichina, come un piccolo elfo biondo. «E mi piace la divisa, che all'inizio mi ha shockata. Cioè, chi pensa che possa piacergli una divisa di scuola? Ma possiamo aggiungerci delle cose e renderle uniche, così non sembrano le solite noiose divise di quelli che se la tirano. E poi qui ci sono dei veri fighi… anche se i maschi sono stupidi.» Le brillavano gli occhi. «Praticamente sono così contenta di essermene andata da Henrietta che del resto non mi frega, anche se Tulsa fa una certa paura, visto che è così grande.» «Tulsa non fa paura», replicai in automatico. A differenza di troppi ragazzini del nostro sobborgo di Broken Arrow, sapevo girare per Tulsa, grazie a quelle che alla nonna piaceva chiamare «escursioni sul campo» assieme a lei. «Basta sapere dove andare. In centro, a Brady Street, c'è un grandissimo negozio di perline dove puoi farti i tuoi gioielli e al negozio accanto trovi Lola's at the Bowery, che fa i dolci più buoni della città. È okay anche Cherry Street. Non è molto lontano da qui e, a dire il vero, siamo a due passi dal superlativo Philbrook Museum e da Utica Square. Lì ci sono dei negozi favolosi dove…» All'improvviso mi resi conto di quello che stavo dicendo: i ragazzi vampiri si mescolavano a quelli normali? Mi spremetti le meningi. No. Non avevo mai visto ragazzi con la mezzaluna in fronte gironzolare intorno al Philbrook, al Gap di Utica, al Banana Republic o a Starbucks. Non li avevo mai visti al cinema. Diavolo! Fino a quel giorno non avevo mai visto dei ragazzi vampiro. Allora ci avrebbero tenuti chiusi lì dentro per quattro anni? Sentendomi un po' a corto di fiato e decisamente claustrofobica, chiesi: «Ma usciamo mai di qui?» «Sì, ma ci sono un sacco di regole da seguire.» «Regole? Di che tipo?» «Be', non puoi indossare nessuna parte della divisa di scuola…» S'interruppe di colpo. «Mi venisse! Questo mi ha ricordato che dobbiamo sbrigarci. La cena è tra pochi minuti e tu ti devi cambiare.» Schizzò in piedi e prese a frugare nell'armadio della mia parte di stanza, continuando imperterrita a chiacchierare. «Neferet ha fatto portare dei vestiti ieri sera. Non preoccuparti della taglia. Non so come, ma la conoscono ancora prima di averci visti. Fa un po' impressione che i vampiri adulti sappiano molto più di quanto dovrebbero. Comunque, non aver paura. Dicevo sul serio prima, che le divise non sono terribili come si potrebbe pensare. Puoi davvero aggiungerci qualcosa di personale… come ho fatto io.» La guardai. Cioè, la guardai per davvero. Giuro che aveva un paio di Roper jeans, di quelli che mettono i fighetti e che sono mille taglie troppo stretti e senza le tasche dietro. Come qualcuno possa pensare che qualcosa di troppo stretto e senza tasche dietro stia bene, sinceramente va al di là della mia comprensione. Stevie Rae era secca come un chiodo e quei jeans riuscivano a far venire un gran culone perfino a lei. Ancora prima di abbassare lo sguardo, sapevo che scarpe doveva avere: stivali da cowboy. Controllai e feci un sospiro. Già. Stivali da cowboy di cuoio marrone, con tacco basso e punte all'insù. Nei jeans era infilata una camicia nera di cotone a maniche lunghe dall'aria costosa, del genere che si trova da Saks o da Neiman Marcus, ben diversa da quelle più economiche e trasparenti che il comunque troppo caro Abercrombie cerca di farci credere non siano stile battona. Quando tornò a guardarmi vidi che aveva due buchi alle orecchie da cui pendevano dei cerchi d'argento. Si voltò, tenendo in una mano una camicia nera come la sua e nell'altra un golfino, e decisi che, anche se il suo look country non faceva per me, lei era proprio carina con quel mix di campagnolo e chic. «Eeccoo qui! Metti questi sopra i jeans e possiamo andare.» La luce tremolante che veniva dalla lampada a stivale da cowboy fece luccicare il ricamo d'argento sul davanti del golfino che Stevie Rae mi tendeva. Mi alzai e presi la camicia, tenendo alto il golf per vedere meglio: il ricamo d'argento era a forma di spirale e creava uno scintillante cerchio che sarebbe risultato giusto sopra il mio cuore. «È il nostro simbolo», disse Stevie Rae. «Il nostro simbolo?» «Giààà, ogni classe – qui si chiamano terza, quarta, quinta e sesta – ha il suo simbolo. Noi siamo in terza, perciò il nostro è il labirinto d'argento della Dea Nyx.» «Cosa significa?» chiesi, più a me stessa che a lei mentre seguivo col dito i cerchi d'argento. «Rappresenta il nostro nuovo inizio, il momento in cui cominciamo a seguire la Via della Notte e impariamo le usanze della Dea e le possibilità che ci offre la nostra nuova vita.» Alzai gli occhi a guardarla, stupita che all'improvviso sembrasse così seria. Lei mi fece un gran sorriso un po' timido e si strinse nelle spalle. «È una delle prime cose che s'imparano a Sociologia Vampira 101. È la materia che insegna Neferet, ed è un casino meglio di tutte quelle lezioni pallose che seguivo all'Henrietta High, sede delle galline da combattimento. Bleah! Galline da combattimento! Ma come si fa ad avere una mascotte così stupida?» Scosse la testa alzando gli occhi al cielo, mentre io scoppiavo a ridere. «Comunque», continuò. «Ho saputo che il tuo mentore è Neferet e questa è una fortuna pazzesca. Praticamente non accetta più nuovi studenti e, oltre a essere la Somma Sacerdotessa, qui dentro è senza alcunissimo dubbio l'insegnante più favolosa.» Quello che non disse era che non ero semplicemente fortunata, ero «speciale», col mio strano Marchio già colorato. Cosa che mi ricordò… «Stevie Rae, perché non mi hai chiesto del mio Marchio? Cioè, apprezzo molto il fatto che tu non mi abbia bombardata di domande, ma mentre venivo qui tutti quelli che incrociavo fissavano la mia fronte. Afrodite ha affrontato l'argomento zero secondi dopo che eravamo rimaste sole, tu invece non l'hai neanche guardato. Come mai?» A quel punto squadrò per bene il mio Marchio, poi si strinse nelle spalle e tornò a incrociare il mio sguardo. «Sei la mia compagna di stanza. Ho pensato che me ne avresti parlato quando fossi stata pronta. Una delle cose che ho imparato vivendo in una città piccola come Henrietta è che, se si vuole che gli altri restino tuoi amici, è meglio farsi i fatti propri. E be', noi divideremo la camera per quattro anni…» S'interruppe e nella pausa tra le parole stava in agguato la grande, orribile verità non detta: saremmo state compagne di stanza per quattro anni solo se entrambe fossimo sopravvissute alla Trasformazione. Stevie Rae deglutì con forza e concluse in fretta: «Insomma, quello che sto cercando di dire è che voglio che siamo amiche, ecco». Le sorrisi. Sembrava così giovane e fiduciosa, così carina e normale, niente affatto come avevo immaginato sarebbe stata una ragazza vampiro. Provai un fremito di speranza. Magari avrei trovato il modo d'integrarmi in quel posto. «Anch'io voglio che siamo amiche.» «Evviiiva!» Giuro che sembrò di nuovo un cucciolo che scodinzola. «Andiamo però! Sbrigati… mica vorrai fare tardi?» Mi diede una spinta verso la porta tra i due armadi, prima di raggiungere di corsa lo specchio che aveva sulla scrivania e cominciare a spazzolarsi i capelli corti. Entrai e trovai un bagno minuscolo, mi tolsi in fretta la Tshirt dei Broken Arrow Tigers, la squadra di baseball, e indossai la camicia di cotone con sopra il golfino di seta che era di un bel viola intenso, con sottili righe nere che creavano dei riquadri. Stavo per tornare in camera a prendere lo zaino per potermi sistemare faccia e capelli col trucco e la roba che mi ero portata da casa, quando guardai nello specchio sopra il lavandino. Ero ancora pallida, ma non più di quel pallore poco sano e preoccupante di prima. I capelli erano un delirio, arruffati e pieni di nodi, e si vedevano anche i punti scuri appena sopra la tempia sinistra. Ma fu il Marchio color zaffiro ad attirare la mia attenzione e, mentre lo fissavo, incantata dalla sua bellezza esotica, la luce del bagno colpì il labirinto d'argento ricamato sul mio cuore. Decisi che i due simboli in qualche modo s'intonavano, pur essendo di forma diversa… di colore diverso… Ma io m'intonavo a tutto ciò? A quello strano nuovo mondo? Chiusi gli occhi con forza, sperando con tutta me stessa che quello che ci avrebbero dato da mangiare (oh, ti prego, fa' che non sia necessario bere sangue) non facesse a pugni col mio povero stomaco già attorcigliato e nervoso. «Oh, no…» mormorai tra me, «sarebbe il mio tipico colpo di fortuna beccarmi un attacco di diarrea fulminante.» 9 Okay, la mensa – oops, volevo dire la «sala da pranzo», come affermava la targhetta d'argento all'ingresso – era fantastica. Niente a che vedere con la mostruosa mensa della scuola di prima, dove si moriva dal freddo e l'acustica era talmente oscena che anche se ero seduta vicino a Kayla per metà del tempo nemmeno riuscivo a sentire le sue kaylate sparate a raffica. La stanza era calda e accogliente, con le pareti nello stesso strano misto di mattoni a vista e pietra nera dell'esterno dell'edificio, piena di pesanti tavoli da picnic di legno corredati di panche con seduta imbottita e schienale. Ogni tavolo ospitava circa sei ragazzi ed erano tutti disposti a raggiera intorno a un tavolone centrale dove non era seduto nessuno e che praticamente strabordava di frutta, formaggio e carne; accanto al cibo c'era un calice di cristallo pieno di quello che somigliava in modo sospetto a vino rosso (come? Vino a scuola? Da quando?) Il soffitto era basso e la parete sul retro era tutta di vetro, con una porta finestra centrale. I pesanti tendoni di velluto bordeaux erano stati tirati, perciò riuscivo a vedere che fuori c'era un delizioso giardinetto con panchine di pietra, tortuosi sentierini, fiori, cespugli ornamentali e in mezzo una fontana di marmo, dalla cui cima, che sembrava una sorta di ananas, zampillava l'acqua. Era bellissimo, soprattutto così, illuminato dalla luna e da qualche antico lume a gas. La maggior parte dei tavoli era già piena di ragazzi che mangiavano e chiacchieravano, e che ovviamente ci lanciarono un'occhiata curiosa quando Stevie Rae e io entrammo nella stanza. Presi un bel respiro e tenni la testa alta. Tanto valeva che vedessero bene il Marchio da cui sembravano essere tutti tanto ossessionati. Stevie Rae mi portò sul lato della stanza dove si trovavano i tipici addetti alle mense che passavano il cibo da dietro un vetro stile buffet. «A cosa serve il tavolo al centro?» le chiesi mentre camminavamo. «È l'offerta simbolica alla Dea Nyx, A quel tavolo c'è sempre un posto apparecchiato per lei. All'inizio sembra un po' strano, ma poi passa e vedrai che ti sembrerà okay.» A dire il vero, a me non sembrava affatto strano, anzi, aveva senso: la Dea Nyx era così presente in quel posto! Il suo Marchio era ovunque. La sua statua si ergeva orgogliosa davanti al suo tempio e cominciavo anche a notare che in tutta la scuola c'erano piccoli quadri e statuine che la raffiguravano. La sua Somma Sacerdotessa era la mia mentore e dovevo ammettere che già mi sentivo legata a Nyx. Feci uno sforzo per non toccare il suo Marchio che avevo sulla fronte, afferrando invece un vassoio per seguire Stevie Rae che si era messa in fila. «Non ti preoccupare, il cibo è buonissimo. Non ti fanno bere sangue o mangiare carne cruda o roba del genere», mi sussurrò. Sollevata, rilassai le mascelle. La maggior parte dei ragazzi stava già mangiando, perciò non ci mettemmo molto e, quando Stevie Rae e io arrivammo all'altezza del bancone, mi venne l'acquolina in bocca. Spaghetti! Inspirai a fondo: con l'aglio! «Quelle storie che i vampiri non sopportano l'aglio sono una stronzata totale, se mi scusi l'espressione», mi stava dicendo sottovoce Stevie Rae mentre riempivamo i piatti. «Okay, lo sono anche quelle che i vampiri devono bere il sangue?» replicai sempre bisbigliando. «No», rispose piano. «No?» «Non sono una stronzata.» Grandioso. Stupendo. Fantastico. Proprio quello che volevo sentire: No. Cercando di non pensare al sangue e a chissà che altro, presi un bicchiere di tè e seguii Stevie Rae a un tavolo dove due studenti stavano già chiacchierando animatamente. Ovviamente la conversazione s'interruppe di botto quando mi unii a loro, cosa che non sembrò turbare minimamente Stevie Rae. Mentre m'infilavo sulla panca di fronte a lei, fece le presentazioni con la sua pronuncia nasale da vera Okie. «Ma ciaaao, ragaaazzi! Questa è la mia nuova compagna di stanza, Zoey Redbird. Zoey, lei è Erin Bates.» Indicò la bionda assurdamente bella seduta al mio lato del tavolo (e che cavolo! Quante belle bionde possono esserci in una scuola? Non esiste una specie di limite?), poi, sempre col suo tono pratico e concreto, continuò disegnando nell'aria delle virgolette per enfatizzare le sue parole: «Erin è la 'bellona'. Ma è anche simpatica e intelligente ed è la persona con più scarpe che abbia mai conosciuto». Erin staccò gli occhioni azzurri dal mio Marchio quanto bastava per rivolgermi un rapido «Ciao». «E lui è il rappresentante maschile del nostro gruppo, Damien Maslin. Però è gay, quindi non sono sicura che conti davvero come un ragazzo.» Invece di arrabbiarsi con Stevie Rae, Damien mi guardò tranquillo. «In realtà, dato che sono gay, credo che dovrei contare come due ragazzi e non uno soltanto. Voglio dire, con me avete il punto di vista maschile e non dovete preoccuparvi che voglia toccarvi le tette.» Aveva un viso liscio, senza la minima traccia di acne, capelli castani e occhi marrone scuro che mi fecero venire in mente un cerbiatto. A dirla tutta, era proprio bello. Non nel modo effeminato di molti ragazzi quando decidono di uscire allo scoperto e dire a tutti quello che tutti sanno già (be', tutti tranne i loro genitori tipicamente tontoloni e/o in fase di negazione), Damien non era un tipo tutto moine da femmina mancata, ma un bel ragazzo dal sorriso simpatico. Che per di più si sforzava di non fissarmi la fronte, fatto che apprezzai moltissimo. «Be', forse hai ragione. Non l'avevo mai vista in questo modo», disse Stevie Rae sgranocchiando un gran pezzo di pane all'aglio. Damien replicò: «Ignorala, Zoey. Il resto di noi è abbastanza normale. E siamo strafelici che tu sia finalmente arrivata. Stevie Rae stava facendo diventare tutti matti chiedendosi come saresti stata…» «… se saresti stata una di quegli strampalati che puzzano e pensano che essere un vampiro significhi fare a gara a chi fa più schifo…» l'interruppe Erin. «… o se saresti stata una di loro», concluse Damien con un'occhiata di sbieco al tavolo alla nostra sinistra. Seguii il suo sguardo e mi saltarono i nervi quando vidi di chi stava parlando. «Intendi Afrodite?» «Già. Lei e il suo gruppo di presuntuose piaggiatrici», rispose Damien. Che? Lo fissai sbattendo le palpebre. Stevie Rae sospirò. «Ti abituerai alla sua ossessione per il vocabolario. Per fortuna questa non è una parola nuova, quindi siamo riusciti a capire di cosa sta parlando senza dovergli implorare una traduzione. Di nuovo. Piaggiatore: lusingatore servile», disse con orgoglio, come avesse dato la risposta giusta a lezione d'inglese. «Quello che è. In ogni caso loro mi fanno venire voglia di vomitare», intervenne Erin senza staccare gli occhi dagli spaghetti. «Loro?» chiesi. «Le Figlie Oscure», rispose Stevie Rae, e notai che aveva automaticamente abbassato la voce. «Considerale una sorta di associazione femminile», spiegò Damien. «Di streghe infernali», aggiunse Erin. «Ehi, ragaaazzi, non credo che dovremmo mettere in testa a Zoey dei pregiudizi. Magari lei ci va d'accordo», osservò Stevie Rae. «Fanculo. Sono streghe infernali», confermò Erin. «Attenta a cosa esce da quella tua boccuccia di rosa, Erin», la sgridò un po' compassato Damien. Incredibilmente sollevata dal fatto che Afrodite non piacesse a nessuno di loro, stavo per farmi dare qualche altra informazione, quando arrivò di corsa una ragazza che, sbuffando indignata, s'infilò col suo vassoio vicino a Stevie Rae. Era color cappuccino (di quello che si prende al bar, non la schifezza iperdolce che vien giù dalle macchinette), tutta curve, con labbra imbronciate e zigomi alti che la facevano sembrare una principessa africana. Aveva anche dei capelli splendidi, scuri e folti, che le scendevano sulle spalle in onde lucide, e gli occhi erano talmente neri che sembrava non avessero pupilla. «Scusatemi! No, scusatemi tanto!» esordì fissando con intenzione Erin. «Ma proprio a nessuno è passato per l'anticamera del cervello di venirmi a svegliare e dirmi che era ora di cena?» «Pensavo di essere la tua compagna di stanza, non la tua mammina», replicò pigramente Erin. «Non costringermi ad alzarmi in piena notte per tagliarti quei capelli biondi da Jessica Simpson», replicò la principessa africana. Damien precisò: «In realtà la frase corretta avrebbe dovuto essere: 'Non costringermi ad alzarmi in pieno giorno per tagliarti quei capelli biondi da Jessica Simpson'. In pratica per noi il giorno è la notte e quindi la notte è il giorno. Qui il tempo è rovesciato». La ragazza di colore gli lanciò un'occhiataccia. «Damien, mi stai dando sull'ultimo dei miei nervi sani con tutte 'ste stronzate da vocabolario.» Stevie Rae intervenne: «Shaunee, finalmente è arrivata la mia compagna di stanza! Questa è Zoey Redbird. Zoey, lei è la compagna di Erin, Shaunee Cole». «Ciao», dissi con in bocca una forchettata di spaghetti quando Shaunee spostò lo sguardo assassino da Erin a me. «Allora, Zoey, cos'è 'sta storia del Marchio già tutto colorato? Sei ancora una novizia, giusto?» Tutti si zittirono, shockati dalla domanda di Shaunee. Lei si guardò intorno. «Be'? Non state lì a fingere che non vi chiedete anche voi la stessa cosa.» «È possibile, ma è anche possibile che siamo abbastanza educati da non fare domande», replicò decisa Stevie Rae. Shaunee scrollò le spalle. «Oh, per favore! Be', comunque sia, è una questione troppo importante per fare i sofistici. Tutti vogliono sapere del suo Marchio e non c'è tempo da perdere in giochetti quando si ha sottomano un pettegolezzo bello succoso.» Tornò a rivolgersi a me. «Allora? Cos'è 'sta storia di 'sto strano Marchio?» Tanto vale affrontare la questione adesso. Bevvi un sorso di tè per schiarirmi la voce, mentre tutti e quattro mi fissavano, impazienti di avere una risposta. «Be', sono ancora una novizia. Non credo proprio di essere diversa da voi.» Poi biascicai qualcosa che avevo pensato mentre gli altri parlavano. Insomma, sapevo che prima o poi avrei dovuto rispondere a quella domanda. Non ero stupida – confusa, forse, ma non stupida – e lo stomaco mi diceva che non dovevo dire la verità riguardo alla mia esperienza extra corporea con Nyx. «Non so perché il mio Marchio è tutto colorato. Non era così quando mi ha trovata il Rintracciatore, ma poi, quello stesso giorno, ho avuto un incidente. Sono caduta e ho picchiato la testa. Quando mi sono risvegliata, il Marchio era com'è adesso. Ci ho pensato su e tutto quello che posso dire è che forse è stata una reazione a quello che mi è successo. Ho perso i sensi e un sacco di sangue. Magari questo ha accelerato il processo di colorazione. Cioè, questo è quello che ho pensato io.» Shaunee sbuffò. «Uff, speravo in qualcosa di più eccitante. Qualcosa di pettegolosamente saporito.» «Mi dispiace…» borbottai. «Occhio, gemella, cominci a parlare come se stessi seduta a quel tavolo», disse Erin a Shaunee indicando con la testa le Figlie Oscure. Il viso di Shaunee si contorse. «Non mi farei mai beccare non-morta con quelle stronze.» «Stai incasinando le idee a Zoey», brontolò Stevie Rae. Damien fece un sospiro lungo e sofferto. «Spiego io, dimostrando una volta di più quanto sono utile a questo gruppo, pene o non pene.» «Gradirei che non usassi quella parola, soprattutto quando sto cercando di mangiare», lo rimbeccò Stevie Rae. Erin intervenne: «A me piace. Se tutti chiamassero le cose col loro nome, ci sarebbe molta meno confusione. Per esempio, quando devo andare in bagno affermo ciò che è ovvio: ho dell'urina che vuole uscire dalla mia uretra. Semplice. Facile. Chiaro». «Disgustoso. Volgare. Rozzo», ribatté Stevie Rae. «Sto con te, gemella», fece Shaunee. «Insomma, se parlassimo apertamente di cose come urinazione e mestruazioni e robe così, la vita sarebbe molto più semplice.» «Okay. Basta parlare di mestruazioni mentre mangiamo spaghetti.» Damien sollevò una mano come se potesse bloccare fisicamente la conversazione. «Sarò anche gay, ma c'è un limite a quello che posso sopportare.» Si chinò verso di me e si lanciò nella spiegazione. «Primo, Shaunee ed Erin si chiamano gemelle perché, anche se è evidente che non sono imparentate, visto che Erin è una bianchissima ragazza di Tulsa e Shaunee viene dal Connecticut ed è di origine giamaicana, fatto che le dà quel meraviglioso color moca…» «Ti ringrazio di apprezzare la mia negritudine», commentò Shaunee. «Non c'è di che», replicò Damien, poi riprese subito a spiegare. «Comunque, anche se non hanno un legame di sangue si somigliano in modo impressionante.» «È come se fossero state separate alla nascita, sai, quel genere di cose», intervenne Stevie Rae. In quel momento Erin e Shaunee si sorrisero e si strinsero nelle spalle. Fu allora che mi accorsi che erano vestite allo stesso modo, con una giacca di jeans scuro con delle bellissime ali dorate ricamate sul taschino, T-shirt nera e pantaloni neri a vita bassa. Avevano anche gli stessi orecchini: grandissimi cerchi d'oro. «Abbiamo lo stesso numero di scarpe», intervenne Erin allungando il piede in modo che potessi vedere che portava stivali neri a punta col tacco a spillo. «E cosa conta una piccola differenza nella melanina quando si parla di vero e profondo amore per le scarpe?» Sollevando il piede, Shaunee mostrò un altro bellissimo stivale, di pelle nera liscia con fibbie d'argento alla caviglia. «Prossimo argomento!» la bloccò Damien alzando gli occhi al cielo. «Le Figlie Oscure. La versione breve è che sono un gruppo formato in massima parte da persone del ceto alto che sostengono che lo spirito della scuola sia affidato a loro e altre cosette del genere.» «No, la versione breve è che sono delle streghe infernali», fece Shaunee. «Proprio quello che avevo detto io, gemella», rise Erin. «Non è che voi due siate di grande aiuto», le rimbeccò Damien. «Allora, dov'ero arrivato?» «Spirito della scuola e cosette del genere», suggerii. «Ah, sì, giusto. Insomma si presume che siano questa grande organizzazione pro-scuola e provampiri, ed è anche previsto che la loro capa venga addestrata per diventare Somma Sacerdotessa, perciò si presume che lei sia il cuore, la mente e lo spirito della Casa della Notte, oltre che un futuro capo nella società dei vampiri, eccetera eccetera, bla bla bla. Immagina un misto tra il Miglior Studente della Nazione a capo della Honor Society e un gruppo di cheerleader e bandisti finocchi.» «Ehi, non è irrispettoso del tuo essere gay chiamarli bandisti finocchi?» chiese Stevie Rae. «Uso quella parola in senso affettuoso», replicò Damien. «E giocatori di football! Non dimenticare che ci sono anche i Figli Oscuri», intervenne Erin. «Oh, sì, gemella. È un vero crimine e un gran peccato che dei bonazzi simili vengano risucchiati…» «E intende in senso letterale», puntualizzò Erin con un sorrisetto osceno. «… da 'ste streghe infernali», concluse Shaunee. «Ma figuriamoci! Da quando dimentico i maschietti? È solo che vengo interrotto in continuazione», si lamentò Damien. Le tre ragazze gli rivolsero un sorriso di scuse. Stevie Rae mimò di chiudersi la bocca con una zip e buttare via la chiave; Erin e Shaunee mossero le labbra per formare la parola «penosa», ma se ne stettero zitte per lasciarlo finire. Mi ero accorta che avevano scherzato sull'idea del «succhiare», facendomi pensare che la scenetta cui avevo assistito non fosse troppo insolita. Damien continuò: «Ma in realtà le Figlie Oscure sono delle stronze presuntuose che si eccitano a comandare a bacchetta tutti gli altri. Vogliono che tutti le seguano e si adeguino alle loro strampalate idee su cosa significhi diventare vampiri. Soprattutto odiano gli umani e, se non sei d'accordo con loro, non ti cagano neanche di striscio». «Se non per crearti problemi», aggiunse Stevie Rae. Dalla sua espressione capivo che doveva aver avuto un'esperienza diretta dei «problemi» in questione e mi ricordai di quanto mi era sembrata pallida e impaurita quando Afrodite mi aveva accompagnata nella nostra stanza. Presi mentalmente nota di ricordarmi di chiederle cosa fosse successo. «Ma non lasciarti spaventare», riprese Damien. «Semplicemente guardati le spalle quando sono in giro e…» «Ciao, Zoey. È bello rivederti così presto.» Stavolta non ebbi alcun problema a riconoscere la sua voce. Decisi che era come il miele: scivolosa e decisamente troppo dolce. Al tavolo sobbalzarono tutti, io inclusa. Lei indossava un golf come il mio, solo che all'altezza del cuore aveva ricamata la sagoma di tre donne simili a dee, una delle quali teneva in mano quello che sembrava un paio di forbici. Aveva una gonna nera a pieghe molto corta, calze nere con lustrini d'argento e stivali al ginocchio, sempre neri. Dietro di lei c'erano due ragazze, vestite più o meno allo stesso modo. Una era di colore, con dei capelli di una lunghezza impossibile e l'altra era invece un'ennesima bionda (che però, a un esame più ravvicinato delle sopracciglia, decisi che con ogni probabilità era bionda naturale quanto me). «Ciao, Afrodite», replicai mentre gli altri sembravano troppo sotto shock per parlare. «Spero di non interrompere qualcosa d'importante» , riprese lei, falsa come Giuda. «Per niente. Stavamo discutendo della spazzatura da portare fuori stasera», replicò Erin con un sorriso per niente sincero. «Ah be', se c'è qualcuno che conosce l'argomento quelli siete senz'altro voi», ribatté Afrodite con un ghigno di superiorità, quindi voltò con intenzione le spalle a Erin, che stringeva i pugni e aveva l'aria di volerle saltare addosso. «Sai, Zoey, avrei dovuto dirti una cosa prima, ma mi è proprio passata di mente. Volevo invitarti a unirti alle Figlie Oscure per il nostro rito privato della Luna Piena, domani sera. So che è insolito prendervi parte per qualcuno che è qui da poco, ma il tuo Marchio dimostra con chiarezza che sei… be', diversa dalla media delle novizie.» Abbassò il naso perfetto in direzione di Stevie Rae. «L'ho già detto a Neferet, che è d'accordo e ritiene sarebbe un bene per te unirti a noi. Ti fornirò i dettagli più tardi, quando non sarai più così impegnata con… mmm… la spazzatura.» Rivolse al resto del tavolo il suo sorriso sarcastico a labbra strette, scostò i lunghi capelli e lei e la sua scorta svolazzarono via. «Stronze streghe infernali», commentarono in stereo Shaunee ed Erin. 10 «Continuo a pensare che alla fine tutta quella burbanza affosserà Afrodite», disse Damien. «Burbanza: arroganza sprezzante», spiegò Stevie Rae. «A dire il vero questa la sapevo», replicai tenendo gli occhi su Afrodite e la sua cricca. «Abbiamo appena finito di leggere Medea al corso di letteratura. È stata quella a rovinare Giasone.» «Quanto mi piacerebbe tirargliela fuori a pugni, la burbanza, da quella testa piena di bacherozzi», sbottò Erin. «Okay, gemella, te la tengo ferma io», disse Shaunee. «No! Ragaaazzi, ne abbiamo già discusso. La punizione per aver fatto a botte è grave. Molto grave. Non ne vale la pena.» Vidi Erin e Shaunee impallidire nello stesso istante e avrei voluto chiedere cosa potesse esserci di tanto grave, ma Stevie Rae continuò a parlare, stavolta rivolta a me. «Basta che stai attenta, Zoey. Le Figlie Oscure, e soprattutto Afrodite, a volte possono sembrare okay, ed è allora che sono più pericolose.» Scossi la testa. «Ah, no no. Non ci vado a quella loro roba della luna piena.» «Penso che tu debba farlo», intervenne sottovoce Damien. «Neferet ha dato l'okay», riprese Stevie Rae mentre Erin e Shaunee annuivano. «Questo significa che si aspetta che tu ci vada. Non puoi dire di no al tuo mentore.» «Specialmente quando il mentore in questione è Neferet, Somma Sacerdotessa di Nyx», rincarò la dose Damien. «Non posso semplicemente dire che non sono pronta per… per… qualunque cosa sia che vogliono farmi fare e chiedere a Neferet se per questa volta posso essere assente giustificata – o come diavolo si dice qui – per la loro Festa della Luna Piena?» «Be', sì, potresti, ma Neferet lo direbbe alle Figlie Oscure e loro penserebbero che hai paura.» Pensai ai casini che erano già successi tra Afrodite e me in così poco tempo. «Sai, Stevie Rae, io potrei avere davvero già paura di loro.» «Non farglielo capire. Mai.» Stevie Rae abbassò lo sguardo sul piatto, cercando di nascondere l'imbarazzo. «È peggio che mettercisi contro.» Damien la consolò dandole dei colpetti sulla mano. «Tesoro, smetti di farti le menate per quello.» Stevie Rae gli rivolse un dolce sorriso di ringraziamento, quindi tornò a darmi consigli. «Vai. Fatti forza e vai. Durante il rituale non faranno niente di troppo orribile. Si tiene qui al campus; non oserebbero.» Shaunee annuì. «Già, le stronzate peggiori le fanno lontano da qui, dove per i vampiri è più difficile beccarle. Quando restano in zona, fingono di essere schifosamente dolci, in modo che nessuno sappia come sono realmente.» «Nessuno tranne noi», intervenne Erin con un gesto della mano che includeva non solo il nostro gruppetto, ma anche tutto il resto della stanza. «Ragaaazzi, non so, magari Zoey andrà davvero d'accordo con qualcuna di loro», disse Stevie Rae, senza il minimo accenno di sarcasmo o di gelosia. Scossi la testa. «No, no. Non andrò d'accordo con loro. Non mi piace il genere, quelli che cercano di controllare gli altri e li fanno sentire fuori posto solo per sentirsi meglio loro. E non voglio andare a quel Rito della Luna Piena!» Pensai al mio patrigno e ai suoi amici e a quanto fosse ironico che sembrassero avere così tanto in comune con un gruppo di ragazzine che si proclamavano figlie di una dea. «Verrei con te, se potessi. Lo faremmo tutti, ma se non sei una Figlia Oscura vieni ammessa solo se invitata», aggiunse triste Stevie Rae. «Non ti preoccupare. Io… io me la caverò.» All'improvviso non avevo più fame. Mi sentivo solo tanto, tanto stanca e volevo proprio cambiare argomento. «Perché non mi spieghi dei diversi simboli che si portano qui? Mi hai detto del nostro, la spirale di Nyx, che ha anche Damien, quindi dev'essere…» M'interruppi per cercare di ricordare in che classe andavano le matricole. «… in terza. Ma Erin e Shaunee hanno delle ali, e Afrodite qualcos'altro.» «Intendi oltre al manico di scopa ficcato in quel culo secco?» borbottò Erin. «Intende le Tre Fate», interloquì Damien, impedendo a Shaunee di dire qualunque cosa stesse per aggiungere. «Le Tre Fate, ossia le Parche o Moire, sono figlie di Nyx. In sesta, tutti portano l'emblema delle Parche, con Atropo che impugna le forbici a simbolizzare la fine della scuola.» «E, per alcuni di noi, la fine della vita», aggiunse cupa Erin. Questo zittì tutti. Quando non riuscii più a sopportare quel silenzio assordante, mi schiarii la gola e chiesi cosa significassero le ali di Erin e di Shaunee. «Le ali di Eros, generato dall'Uovo di Nyx…» «Il dio dell'amore», chiarì Shaunee, muovendo i fianchi da seduta. Damien le lanciò un'occhiataccia e riprese. «Le ali d'oro di Eros sono il simbolo della quarta.» «Perché siamo la classe dell'amore», canticchiò Erin, sollevando le braccia ed esibendosi anche lei in un ancheggiamento sexy. «A dire il vero, è perché dovrebbe ricordarci la capacità di amare di Nyx, mentre le ali simboleggiano il nostro continuo procedere in avanti.» «Qual è il simbolo della quinta?» chiesi. «Il carro dorato di Nyx che trascina una coda di stelle», rispose Damien. «Per me è il più bello, quelle stelle luccicano da matti», commentò Stevie Rae. «Il carro indica che continuiamo il viaggio verso Nyx, mentre le stelle rappresentano la magia dei due anni già trascorsi.» «Damien, sei proprio un gran bravo scolaretto», gli disse Erin. «Te l'avevo detto che ci saremmo dovute far aiutare da lui a studiare per il test di mitologia umana», intervenne Shaunee. «Credevo di essere stata io a dire a te che ci serviva il suo aiuto, e…» Damien alzò la voce per superare il loro battibecco. «In ogni caso, questo è più o meno tutto riguardo ai quattro simboli delle classi. Non c'è da spremersi tanto per saperlo», aggiunse fissando con intenzione le due gemelle che si erano zittite. «A patto, è ovvio, di stare attenti in classe invece di scambiarsi bigliettini e guardare i ragazzi carini.» «Damien, sei un vero bacchettone», brontolò Shaunee. «Soprattutto per un gay», aggiunse Erin. «Sai, Erin, oggi i tuoi capelli sono un po' crespi. Non vorrei essere scortese, ma forse dovresti pensare di cambiare shampoo e balsamo. Non si è mai troppo attenti con queste cose. Basta un niente e ti ritrovi con le doppie punte.» Gli occhi azzurri di Erin diventarono immensi e la sua mano andò automaticamente ai capelli. «Oh, no no no. Damien, non posso credere che tu abbia detto una cosa simile! Lo sai che sbrocca quando si parla dei suoi capelli.» Shaunee cominciò a gonfiarsi come un pesce palla color caffellatte. Nel frattempo, Damien si era limitato a sorridere tornando a dedicarsi agli spaghetti, nel ritratto della più totale innocenza. «Oh, ragaaazzi», intervenne veloce Stevie Rae, alzandosi e prendendomi per il braccio. «Zoey sembra stanca. Ve lo ricordate tutti com'è stato appena arrivati qui. Noi torniamo nella nostra stanza e, dato che devo studiare per il test di sociologia vampira, probabilmente ci rivediamo domani.» «Okay, ciaaao. Zoey, è stato davvero un piacere conoscerti», salutò Damien. «Già, benvenuta al Liceo Inferno», dissero insieme Erin e Shaunee prima che Stevie Rae mi trascinasse fuori della stanza. «Grazie, sono davvero cotta», confessai a Stevie Rae mentre attraversavamo un corridoio che per fortuna era quello che portava all'ingresso principale dell'edificio centrale della scuola. Ci bloccammo alla vista di un agile gatto grigio argento che inseguiva un soriano più piccolo e dall'aria infastidita. «Belzebù! Lascia in pace Cammy! Damien finirà per strapparti il pelo!» Stevie Rae cercò di afferrare il micio grigio ma non ci riuscì, però quello smise comunque d'inseguire il soriano e proseguì lungo il corridoio nella direzione da cui venivamo noi, seguito da un'occhiataccia di Stevie Rae. «Shaunee ed Erin dovrebbero insegnare un po' di educazione a quel loro gatto; ne combina sempre qualcuna.» Spostò lo sguardo su di me e lasciammo l'edificio, uscendo nella tenue oscurità che precede l'alba. «Il micio piccolo e carino che si chiama Cameron è di Damien, mentre Belzebù appartiene a Erin e Shaunee. Le ha scelte entrambe… insieme. Giààà. È strano come sembra, ma tra un po' comincerai anche tu come tutti a pensare che devono essere davvero gemelle.» «In ogni caso sembrano simpatiche.» «Oh, lo sono. Bisticciano un sacco, ma sono molto leali e non lascerebbero mai che qualcuno sparlasse di te.» Fece un gran sorrisone. «Okay, potrebbero essere loro a sparlare di te, ma è una cosa diversa e lo fanno sempre in faccia.» «E Damien mi piace molto.» «Damien è un tesoro, ed è molto intelligente. Però a volte mi dispiace per lui.» «Perché?» «Be', quand'è arrivato qui, circa sei mesi fa, aveva un compagno di stanza, ma, appena quello ha scoperto che è gay – cioè, non è certo che lui cerchi di nasconderlo – è andato a lamentarsi da Neferet dicendo che non intendeva stare in camera con un finocchio.» Feci una smorfia. Gli omofobi non li sopporto. «E Neferet ha tollerato un atteggiamento simile?» «No, ha chiarito bene al ragazzo, che, tra parentesi, ha cambiato nome in Thor, quand'è arrivato qui» – scosse la testa e alzò gli occhi al cielo – «questo ti dà già un'ideina, no? Be', comunque, Neferet ha fatto sapere che il comportamento di Thor non era accettabile e ha dato a Damien la possibilità di scegliere se trasferirsi da solo in un'altra stanza o restare con Thor. Damien ha deciso di andarsene. Voglio dire, non l'avresti fatto anche tu?» «Eccome. Non avrei mai diviso la camera con Thor l'Omofobo.» «È quello che pensiamo tutti. Perciò da allora Damien è in stanza da solo.» «Non ci sono altri omosessuali nella scuola?» Stevie Rae si strinse nelle spalle. «Ci sono delle lesbiche dichiarate, ma, anche se un paio sono simpatiche e fanno gruppo anche con noi, di solito stanno tra loro. S'interessano molto dell'aspetto religioso del culto della dea e passano un sacco di tempo al tempio di Nyx. Ovviamente ci sono anche le cretine che pensano solo a darsi da fare alle feste e trovano sia figo strusciarsi l'una addosso all'altra, ma di solito soltanto se ci sono dei ragazzi carini a guardarle.» Scossi la testa. «Sai, non ho mai capito perché le ragazze pensano che riusciranno a trovarsi un fidanzato mostrandosi omo. A logica dovrebbe essere controproducente.» «E chi lo vorrebbe un moroso che pensa che sono sexy se bacio un'altra ragazza? Bah!» «E altri ragazzi gay?» Stevie Rae sospirò. «Ce n'è qualcuno oltre a Damien, ma per lui sono quasi tutti troppo strambi ed effeminati. Mi dispiace, perché penso si senta piuttosto solo. I suoi genitori non scrivono né niente.» «Hanno sclerato per la storia del vampirismo?» «No, di quello non gl'importa. Non dirlo a Damien perché urta i suoi sentimenti, ma credo si siano sentiti sollevati quand'è stato Segnato. Non sapevano cosa fare con un figlio gay.» «E perché dovevano fare qualcosa? È sempre loro figlio. Semplicemente gli piacciono i ragazzi, tutto qui.» «Be', loro vivono a Dallas e suo padre è uno importante del Popolo della Fede. Credo sia un ministro del culto o qualcosa di simile…» Sollevai la mano. «Ferma lì. Non aggiungere altro. Ho capito tutto.» Ed era proprio così. Ero fin troppo pratica della mentalità ristretta da «il nostro modo è l'unico modo giusto» del Popolo della Fede. Il solo pensiero mi faceva sentire stanca e depressa. Stevie Rae aprì la porta del dormitorio. La zona salotto era vuota, tranne che per qualche ragazza che guardava delle repliche di That '70s Show. Stevie Rae le salutò distrattamente con un cenno della mano, poi mi chiese: «Ehi, vuoi qualcosa da bere da portare su?» Annuii e la seguii in una piccola stanza laterale in cui c'erano quattro frigoriferi, un grande lavello, due microonde, parecchi armadietti e un bel tavolo di legno bianco proprio al centro. Insomma, era come una cucina normale, a parte il gran numero di frigo. Era tutto pulito e in ordine. Stevie Rae aprì un frigorifero e, sbirciando oltre la sua spalla, vidi che era pieno di roba da bere di tutti i tipi, dalle bibite gassate ai succhi di frutta a quell'acqua con le bollicine che ha un sapore schifoso. «Cosa vuoi?» «Mi va bene qualunque cola: bollicine marroni di qualunque tipo», risposi. «Questa roba è tutta per noi.» Mi tese due lattine di CocaCola e prese due Frescas per lei. «In quei due frigo ci sono frutta e verdura, mentre nell'altro c'è la carne bianca per i panini. Sono sempre pieni, ma i vampiri sono abbastanza assillanti che mangiamo sano, perciò non troverai sacchetti di patatine, merendine o roba simile.» «E cioccolato?» «Oh, sì, negli armadietti c'è del cioccolato costoso. I vampiri dicono che mangiarne con moderazione ci fa bene.» Okay, chi diavolo vuole mangiare cioccolato con moderazione? Tenni per me quel pensiero mentre riattraversavamo il salotto e ci dirigevamo verso la nostra stanza. «Dunque i, mmm, i vampiri» – incespicai sulla parola – «sono fissati sul mangiare sano?» «Be', sì, ma credo che fondamentalmente siano i novizi che devono mangiare sano. Voglio dire, non è che ci siano vampiri grassi, ma non li vedi neanche sgranocchiare sedano e carote e piluccare insalata. Mangiano insieme nella loro sala da pranzo e si dice che mangino molto bene.» Mi guardò e abbassò la voce. «Ho sentito dire che mangiano un sacco di carne rossa. Un sacco di carne rossa speciale.» «Iiiih!» commentai, non amando per niente la bizzarra visione di Neferet che addenta una bistecca al sangue. Stevie Rae rabbrividì, prima di continuare. «A volte qualche mentore pranza con un novizio, ma di solito beve solo un paio di bicchieri di vino e non tocca cibo.» Stevie Rae aprì la porta; io mi sedetti sul letto con un sospiro e mi tolsi le scarpe. Dio, se ero stanca. Massaggiandomi i piedi mi chiesi perché i vampiri adulti non mangiavano con noi, poi decisi che non volevo proprio pensarci più di tanto. Voglio dire, questo sollevava troppe domande riguardo a cosa mangiassero, no? E a cosa avrei mangiato io quando e se fossi diventata un vampiro adulto. Arrghh! E una parte del mio cervello sussurrava che questo mi faceva ricordare la reazione che avevo avuto di fronte al sangue di Heath il giorno prima (ma era passato davvero soltanto un giorno?) e anche ciò che mi aveva suscitato la vista del sangue del ragazzo in corridoio. No no. Decisamente non volevo pensare a nessuna delle due cose. Proprio per niente. Quindi mi rifocalizzai in fretta sulla questione del cibo sano. «Okay, se non si preoccupano troppo della loro alimentazione, perché assillano noi?» chiesi a Stevie Rae. Lei incrociò il mio sguardo, con aria turbata e piuttosto impaurita. «Si preoccupano che mangiamo sano per lo stesso motivo per cui ci fanno fare ginnastica tutti i giorni: vogliono rendere il nostro organismo il più forte possibile, così, se cominci a sentirti debole, a ingrassare o a stare male, si capisce subito che il corpo sta rifiutando la Trasformazione.» «E poi muori», aggiunsi sottovoce. «E poi muori», convenne. 11 Non pensavo che avrei dormito. M'immaginavo che sarei rimasta sdraiata sentendo la mancanza di casa e pensando alla strana svolta che aveva preso la mia esistenza. Mi passavano per la mente inquietanti flash degli occhi del ragazzo in corridoio, ma ero così stanca che non riuscivo a metterli a fuoco. Persino la psicopatica odiosità di Afrodite sembrava sonnacchiosamente lontana e l'ultimo pensiero preoccupato di cui mi ricordavo prima di non ricordare più niente era rivolto alla mia fronte. Mi faceva ancora male a causa del Marchio e del taglio alla tempia o mi stava venendo un mega brufolo? E come sarebbero stati i miei capelli per il primo giorno di vampscuola? Ma, mentre mi raggomitolavo sotto la trapunta e annusavo il familiare odore di piuma d'oca e di casa, mi sentii inaspettatamente al caldo e al sicuro… e crollai. E non ebbi neanche gli incubi, ma sognai dei gatti. Logico. Bonazzi pazzeschi? No. Favolosi nuovi poteri da vampiro? Figuriamoci. Solo gatti. C'era una micetta in particolare, una piccola soriana rossa che aveva zampine minuscole e una pancetta tonda che la faceva sembrare un marsupiale. Continuava a strillarmi con una voce da vecchia signora, chiedendomi perché ci avessi messo tanto ad arrivare. Poi la voce della gatta divenne uno scocciante suono intermittente e io… «Dai, Zoey! Spegni quella stupida sveglia!» «Cos… eh?» Oh, diavolo. Odio la mattina. Agitai a caso la mano cercando di spegnere quella rottura di sveglia. Ho già detto che sono completamente, assolutamente cieca senza le lenti a contatto? Afferrai gli occhiali da sfigata e guardai l'ora. Le 18.30 e mi stavo giusto alzando. Tanto per parlare di cose strane. «Vuoi fare tu la doccia per prima o preferisci che la faccia io?» chiese assonnata Stevie Rae. «Vado io, se non ti dispiace.» «Non mi…» Sbadigliò. «Okay.» «Però dobbiamo fare in fretta perché non so tu ma io devo fare colazione se no prima di pranzo finisce che muoio di fame.» «Cereali?» Mi rianimai di colpo. Vado davvero matta per i cereali e da qualche parte ho persino una maglietta con scritto I ❤ CEREALS che lo dimostra in modo inconfutabile. Quelli che mi piacciono di più sono i Conte Chocula, tanto per continuare con l'ironia vampira. «Sì, ci sono sempre montagne di quelle mini scatole di cereali, ciambelle, frutta, uova sode e un sacco d'altra roba.» «Mi sbrigo.» All'improvviso avevo una gran fame. «Ehi, Stevie Rae, ha importanza cosa mi metto?» «Nooo, basta che prendi una delle giacche o dei golf con su il simbolo della terza e sei a posto», rispose con un altro sbadiglio. Mi sbrigai davvero, anche se ero molto preoccupata di non avere il look giusto e avrei voluto avere ore per sistemarmi trucco e capelli. Usai lo specchio di Stevie Rae intanto che lei faceva la doccia e decisi che era meglio andarci piano e truccarmi poco. Era strano come il Marchio avesse cambiato del tutto il centro focale del mio viso. Avevo sempre avuto dei begli occhi, grandi, tondi e scuri, con un sacco di ciglia, al punto che Kayla si lamentava sempre che non era giusto che io ne avessi abbastanza per tre ragazze e lei soltanto poche, corte e bionde (e a quel proposito… mi mancava Kayla, soprattutto quel giorno, mentre mi preparavo ad andare a scuola senza di lei. Magari dopo potevo chiamarla. O mandarle un'e-mail. O… mi ricordai del commento fatto da Heath riguardo alla festa e decisi che forse era meglio di no). Comunque, il Marchio faceva in qualche modo sembrare i miei occhi persino più grandi e più scuri. Li evidenziai con un ombretto grigio fumo con dentro dei brillantini d'argento. Non in modo pesante come quelle perdenti che credono che darci dentro con l'eyeliner le faccia sembrare una meraviglia. Figuriamoci. Sembrano dei panda spaventosi. Resi meno netta la riga, aggiunsi il mascara, misi un po' di terra abbronzante e poi il lucidalabbra (per nascondere il fatto che mi ero mordicchiata le labbra per il nervosismo). Quindi mi guardai. Per fortuna i capelli erano a posto e anche la punta a V sulla fronte non stava dritta in piedi come faceva ogni tanto. Continuavo a sembrare… mmm… diversa, ma la stessa. L'effetto del Marchio sulla mia faccia non era scomparso. Metteva in risalto tutto ciò che nei miei lineamenti era etnico: gli occhi scuri, gli zigomi alti da cherokee, il naso dritto e orgoglioso, persino il colore olivastro della carnagione che mi veniva dalla nonna. Il Marchio color zaffiro della Dea pareva aver premuto un interruttore e illuminato quei tratti; aveva liberato la ragazza cherokee che era in me, consentendole di mostrarsi e splendere. «I tuoi capelli sono magnifici.» Stevie Rae entrò in camera asciugandosi i corti riccioli biondi. «Magari anche i miei stessero a posto quando sono lunghi! Invece s'increspano e sembrano la coda di un cavallo.» «A me piacciono i tuoi capelli corti», replicai facendole spazio e prendendo le mie favolose ballerine di vernice nera. «Sì, be', qui mi fanno sentire una diversa. Hanno tutti i capelli lunghi.» «L'ho notato, ma non ho capito perché.» «È una delle cose che succedono quando avviene la Trasformazione. I capelli dei vampiri crescono con una velocità incredibile e lo stesso vale per le unghie.» Cercai di non rabbrividire al ricordo dell'unghia di Afrodite che tagliava jeans e pelle. Per fortuna Stevie Rae non aveva idea di cosa mi passasse per la testa e continuò: «Vedrai. Dopo un po' non avrai più bisogno di guardare il simbolo per sapere a che anno sono gli altri. Comunque tutte queste cose te le insegnano a Sociologia Vampira. Oh! Questo mi fa venire in mente…» Scartabellò tra i fogli sulla scrivania finché non trovò quello che cercava e me lo tese. «Questo è il tuo orario. Abbiamo insieme la terza e la quinta ora. Controlla l'elenco dei complementari che hai alla seconda. Puoi scegliere quello che vuoi.» In cima all'orario c'era la data d'iscrizione, che era di cinque (?!) giorni prima che il Rintracciatore mi Segnasse. ZOEY REDBIRD, ISCRITTA ALLA TERZA CLASSE Prima ora Sociologia Vampira 101. Aula 215, prof Neferet Seconda ora Recitazione 101. Centro Arti e Spettacolo, prof Nolan oppure Disegno 101. Aula 312, prof Doner oppure Introduzione alla Musica. Aula 314, prof Vento Terza ora Letteratura 101. Aula 214, prof Pentesilea Quarta ora Scherma. Palestra, prof D. Lankford PAUSA PRANZO Quinta ora Spagnolo 101. Aula 216, prof Garmy Sesta ora Introduzione agli Studi Equestri. Scuderie, prof Lenobia «Niente geometria?» sbottai, sconvolta dall'orario ma tentando comunque di mantenere un atteggiamento positivo. «Grazie al cielo no. Il prossimo semestre inizieremo economia, ma non credo possa essere altrettanto terribile.» «Scherma? Introduzione agli Studi Equestri?» «Te l'ho detto che vogliono tenerci in forma. Scherma è bella, anche se difficile. Io non sono tanto brava, ma ti mettono spesso in coppia con altri studenti più esperti che fanno un po' da insegnanti coetanei e alcuni di quei ragazzi, wow, sono davvero fighi da morire! Io questo semestre non faccio equitazione: mi hanno messa a Tae Kwan Do, e devo dirti che mi piaaace un sacco!» «Davvero?» commentai dubbiosa. Come diavolo saranno le lezioni di equitazione? «Già! Quale complementare pensi di scegliere?» Riguardai l'elenco. «Tu quale fai?» «Introduzione alla Musica. Il professor Vento è super e io…» Stevie Rae sorrise e arrossì. «Be', io voglio diventare una star della musica country. Voglio dire, Kenny Chesney, Faith Hill, Shania Twain sono tutti vampiri e ne ho nominati solo tre, ma sai, Garth Brooks è cresciuto proprio qui in Oklahoma e lui è il più super vamp di tutti. Perciò non vedo perché non potrei diventare una di loro anch'io.» «Mi pare del tutto logico», replicai. Perché no? «Vieni a fare musica con me?» «Sarebbe divertente se sapessi cantare o suonare qualcosa che somigli anche vagamente a uno strumento, ma sono negata.» «Oh, be', allora forse è meglio di no.» «A dire il vero stavo pensando al corso di Recitazione. Alla mia vecchia scuola lo facevo ed era okay. Sai qualcosa del professor Nolan?» «Sì, è una donna, viene dal Texas e ha un accento fortissimo, ma ha studiato recitazione a New York e piace a tutti.» Quando Stevie Rae menzionò l'accento della prof, quasi scoppiai a ridere. Lei parlava così tanto nel naso che sembrava la pubblicità della vita in campagna, ma non volevo offenderla facendoglielo notare. «Allora che Recitazione sia!» «Okay, prendi l'orario e andiamo. Ehi, magari sarai la prossima Nicole Kidman!» aggiunse mentre uscivamo dalla stanza e ci fiondavamo giù dalle scale. Be', immagino che essere la prossima Nicole Kidman non sarebbe male (anche se non è esattamente nei miei piani sposare un tipo bassottello e maniacale per poi divorziare). Non appena ne ebbe parlato Stevie Rae, mi venne in mente che non avevo più pensato molto alla mia futura carriera da quando il Rintracciatore aveva gettato la mia vita nel caos più totale, ma, adesso che ci riflettevo, volevo ancora diventare veterinario. Un obeso gatto bianco e nero a pelo lungo scattò sui gradini davanti a noi, all'inseguimento di un micio più piccolo che sembrava il suo clone. Con tutti quei gatti in giro poteva proprio esserci necessità di vampiri veterinari (hi hi! Vamp vet… avrei potuto chiamarla così la mia clinica per animali, Vamp Vet, e nella pubblicità scrivere: «Prelievi di sangue gratuiti»!) Cucina e salotto erano pieni di ragazze che mangiavano, chiacchieravano e camminavano in tutta fretta. Cercavo di rispondere ai saluti che ricevevo mentre Stevie Rae mi presentava a quello che sembrava un flusso continuo e confuso di ragazze, allo stesso tempo cercavo di restare concentrata sulla ricerca di una scatola di Conte Chocula. La trovai quando stavo cominciando a preoccuparmi, nascosta dietro a parecchie grandi confezioni di Frosted Flakes (non male come seconda scelta, anche se, be', non sono al cioccolato e non hanno quelle squisite caramelline morbide). Stevie Rae si versò una ciotola di Lucky Charms e ci appollaiammo al tavolo della cucina, mangiando a razzo. «Ciao, Zoey!» Quella voce. Sapevo chi era prima di vedere Stevie Rae abbassare la testa e mettersi a fissare la ciotola di cereali. Cercai di sembrare indifferente. «Ciao, Afrodite.» «Nel caso non ci vedessimo in giornata, volevo essere sicura che sapessi dove andare stasera. Il Rituale della Luna Piena delle Figlie Oscure inizierà alle quattro del mattino, appena dopo il rito della scuola. Ti perderai la cena, ma non devi preoccuparti, perché ti daremo da mangiare noi. Oh, si tiene nella sala di ricreazione vicino al muro a est. Se vuoi ci troviamo davanti al tempio di Nyx prima del rito della scuola, così possiamo entrare insieme e dopo ti accompagno io.» «Veramente ho già promesso a Stevie Rae di andare con lei.» Detesto le persone invadenti. «Giààà, mi spiace.» Fui contenta di vedere che Stevie Rae aveva rialzato la testa. «Ehi, tu sai dov'è la sala ricreazione, vero?» chiesi a Stevie Rae col tono più vivacemente stupido che mi riusciva. «Certo.» «Allora puoi farmi vedere come arrivarci, giusto? E questo significa che Afrodite non deve preoccuparsi che mi perda.» «Qualunque cosa pur di rendermi utile», cinguettò Stevie Rae che sembrava tornata normale. «Problema risolto», dissi con un sorrisone ad Afrodite. «Okay. Benissimo. Ci vediamo alle quattro. Non fare tardi.» Se ne andò di scatto. «Ancora un po' che sculetta finisce per rompere qualcosa», commentai. Stevie Rae sbuffò e quasi le uscì il latte dal naso. «Non farlo più mentre mangio!» disse tossendo dalle risate. Poi inghiottì e mi sorrise. «Non hai lasciato che ti desse ordini.» «Neanche tu.» Mangiai di gusto l'ultima cucchiaiata di cereali. «Pronta?» «Pronta. Okay, la prima ora sarà facile perché la tua aula è vicina alla mia. Tutte le lezioni fondamentali di terza sono nello stesso corridoio. Vieni, t'indirizzo dalla parte giusta e sei a posto.» Sciacquammo i piatti e li ficcammo in una delle cinque lavastoviglie, quindi corremmo fuori nell'oscurità di una bella sera d'autunno. Diavolo, era strano andare a scuola la sera, anche se il mio organismo diceva che era tutto normale. Seguimmo la fila di studenti oltre una delle pesanti porte di legno. «Il corridoio di terza è proprio qui.» Stevie Rae mi guidò in cima a una piccola rampa di scale. «Quello è il bagno?» chiesi mentre superavamo in fretta delle fontane poste tra due porte. «Già! E questa è la mia classe. La tua è la prossima. Ci vediamo dopo la lezione!» «Okay, grazie», gridai. Almeno il bagno era vicino. Se mi fosse venuto un attacco fulminante di diarrea nervosa, non avrei dovuto fare molta strada. 12 «Zoey! Vieni qui!» Quasi piansi di sollievo quando udii la voce di Damien e lo vidi agitare la mano in direzione di un banco vuoto accanto al suo. «Ciao.» Mi sedetti e gli sorrisi, piena di gratitudine. «Sei pronta per il tuo primo giorno?» No. «Sì.» Avrei voluto dire qualcosina di più, ma proprio in quel momento una campanella suonò cinque volte e, mentre spariva l'eco di quel suono, Neferet entrò nell'aula. Indossava una lunga gonna nera sollevata di lato per lasciar vedere un paio di splendidi stivali col tacco a spillo e un golf di seta viola scuro. Sopra al seno sinistro, ricamata in argento, c'era l'immagine di una dea con le braccia alzate e le mani che sostenevano una mezzaluna. I capelli rossi erano legati in una folta treccia e la serie di delicati tatuaggi che le incorniciava il viso la faceva sembrare un'antica sacerdotessa guerriera. Ci sorrise e percepii che tutta la classe era affascinata dal suo potere quanto me. «Buona sera! Non vedevo l'ora d'iniziare questo modulo, perché l'approfondimento della ricca sociologia delle amazzoni è uno dei miei argomenti preferiti.» Poi m'indicò. «Per questo sono felice che Zoey Redbird si sia unita a noi proprio oggi. Io sono il mentore di Zoey, quindi mi aspetto che i miei studenti le diano il benvenuto. Damien, per favore, vorresti prendere un libro di testo per Zoey? Il suo armadietto è vicino al tuo. E, mentre le spieghi il nostro sistema di armadietti e contenitori, voglio che gli altri scrivano quali idee preconcette hanno delle antiche guerriere vampire note come amazzoni.» Ci fu il tipico rumore di fogli scartabellati e mormorio di studenti, nel frattempo Damien mi portò in fondo alla classe, dove c'era una parete di armadietti e aprì quello con sopra il numero 12 in argento. Dentro c'erano dei ripiani ampi e ordinati pieni di libri di testo e cancelleria varia. «Nella Casa della Notte non ci sono lucchetti come nelle scuole normali. Questa della prima ora è la nostra aula principale dove abbiamo un armadietto ciascuno. La stanza è sempre aperta, quindi puoi venirci a recuperare libri o quello che ti serve proprio come facevi nel corridoio della tua vecchia scuola. Tieni, questo è il testo di sociologia.» Mi tese un librone di pelle con stampato in copertina il profilo della Dea e il titolo: Sociologia Vampira 101. Presi un blocco per appunti e un paio di penne. Chiusi lo sportello, poi esitai. «Quindi non ci sono serrature né niente?» «No.» Damien abbassò la voce. «Qui non servono, perché, se qualcuno ruba qualcosa, i vampiri lo sanno. Non voglio neanche pensare cosa succederebbe a chi fosse tanto stupido da fare una cosa simile.» Tornammo ai nostri posti e cominciai a scrivere l'unica cosa che sapevo sulle amazzoni – che erano donne guerriere che non avevano molto bisogno degli uomini – ma non ci mettevo la testa. Continuavo a pensare come mai Damien, Stevie Rae e persino Erin e Shaunee andassero in paranoia all'idea di mettersi nei guai. Voglio dire, sono una brava ragazza… okay, non perfetta, ma insomma… Fino a quel momento ero stata trattenuta a scuola in punizione soltanto una volta, e anche lì non per colpa mia. Davvero. Uno stronzo mi aveva detto di succhiargli l'uccello, e io cos'avrei dovuto fare? Piangere? Ridacchiare? Mettere il broncio? Mmm… no… Perciò gli avevo dato un ceffone e a essere punita ero stata io. Comunque non era andata poi così male, perché avevo fatto i compiti e iniziato a leggere il nuovo Gossip Girls. Evidentemente alla Casa della Notte la punizione prevedeva qualcosa di più dell'essere trattenuti in classe con un insegnante per quarantacinque minuti di «silenzio» dopo la scuola. Dovevo ricordarmi di chiedere a Stevie Rae… «Prima di tutto, quali aspetti delle tradizioni amazzoni pratichiamo ancora qui alla Casa della Notte?» chiese Neferet, riportando la mia mente a lezione. Damien alzò la mano. «L'inchino in segno di rispetto, col pugno sul cuore, deriva dalle amazzoni, e lo stesso vale per il modo in cui ci diamo la mano, stringendoci l'avambraccio.» «Giusto, Damien.» Ah. Questo spiegava lo strano gesto di saluto. «Allora, quali idee preconcette avete sulle guerriere amazzoni?» domandò Neferet alla classe. «Le amazzoni avevano una società profondamente matriarcale, tipica di tutte le civiltà vampire», disse una bionda seduta dall'altra parte della stanza. Cavolo, sembrava intelligente. «Questo è vero, Elizabeth, ma quando la gente parla delle amazzoni, tende ad aggiungere un'aura di leggenda alla storia. Cosa intendo con questo?» «Be', la gente – soprattutto gli umani – pensano che le amazzoni odiassero gli uomini», rispose Damien. «Proprio così. Ciò che sappiamo è che, solo perché la loro società era matriarcale, come la nostra, non significa automaticamente che fosse sessista nei confronti dei maschi. Persino Nyx ha un consorte, il dio Èrebo, cui è devota. Le amazzoni, però, erano uniche poiché avevano scelto di difendersi e proteggersi da sole. Come molti di voi già sanno, la nostra società odierna è ancora matriarcale, ma rispettiamo e apprezziamo i Figli della Notte, li consideriamo nostri protettori e consorti. Adesso aprite il libro al capitolo tre e studiamo la figura di Pentesilea, la più grande delle guerriere amazzoni. Ma badate a tenere separate nella vostra mente la leggenda e la storia.» E da lì Neferet si lanciò in una delle lezioni più interessanti che avessi mai ascoltato. Non mi accorsi neanche che era passata un'ora e il suono della campanella fu una vera sorpresa. Avevo appena rimesso il libro di sociologia nel mio cestone (okay, lo so che Neferet e Damien li chiamavano armadietti, ma su, dai… mi facevano proprio venire in mente i cestoni che usavamo all'asilo) quando Neferet mi chiamò. Afferrai un blocco e una penna e corsi alla cattedra. «Come stai?» mi chiese con un caldo sorriso. «Bene. Tutto okay.» Mi guardò inarcando un sopracciglio. «Be', immagino di essere nervosa e confusa.» «È ovvio che tu lo sia. Ci sono tante cose da imparare, e cambiare scuola è sempre difficile… figuriamoci cambiare anche vita.» Spostò lo sguardo oltre la mia spalla. «Damien, accompagneresti Zoey a Recitazione?» «Certo», rispose subito Damien. «Zoey, noi ci vediamo stasera al Rito. Oh, Afrodite ti ha fatto l'invito formale di unirti alle Figlie Oscure nella cerimonia privata che seguirà?» «Sì.» «Volevo controllare con te e accertarmi che ti stesse bene andarci. Ovviamente capirei la tua reticenza, ma t'incoraggio lo stesso a partecipare; voglio che sfrutti tutte le opportunità che ci sono qui e le Figlie Oscure sono un'associazione esclusiva. È un onore che si siano già interessate a te come possibile neofita.» «Mi sta bene andare.» Costrinsi voce e sorriso a sembrare disinvolti. Era ovvio che si aspettava che partecipassi al loro rito e l'ultima cosa che volevo era che Neferet fosse dispiaciuta di me. E poi per niente al mondo avrei fatto qualcosa che facesse pensare ad Afrodite che avevo paura di lei. «Benissimo», commentò con entusiasmo Neferet. Mi strinse la mano e automaticamente le sorrisi. «Se hai bisogno di me, il mio ufficio si trova nella stessa ala dell'infermeria.» Osservò la mia fronte. «Vedo che i punti si sono assorbiti quasi del tutto. Eccellente. Ti fa ancora male la testa?» D'istinto le mie dita sfiorarono la tempia. Sentivo pizzicare ancora soltanto un paio di punti, quando fino al giorno prima erano almeno dieci. Molto, molto strano. E, ancora più strano, quel mattino era la prima volta che pensavo alla mia ferita. Mi resi conto che non avevo pensato neanche alla mamma, né a Heath o alla nonna… «No», replicai, accorgendomi che Neferet e Damien stavano aspettando una risposta. «No, no, la testa non mi fa più male. Per niente.» «Bene! Voi due farete meglio ad andare o arriverete in ritardo. Ti piacerà Recitazione. Credo che la professoressa Nolan abbia appena iniziato a lavorare sui monologhi.» Ero già a metà del corridoio e mi affrettavo per star dietro a Damien, quando mi resi conto della cosa. «Come faceva a sapere che avrei scelto Recitazione? L'ho deciso appena stamattina!» «A volte i vampiri adulti sanno decisamente troppo», sussurrò Damien. «Cancella quello che ho detto. I vampiri adulti sanno sempre troppo, a maggior ragione quando si tratta della Somma Sacerdotessa.» Alla luce di quello che non avevo detto a Neferet, preferivo non pensarci. «Ma ciaaao, ragazzi!» Stevie Rae arrivò come un ciclone. «Com'è stata SocioVamp? Avete iniziato le amazzoni?» «È stata grandiosa.» Ero felice di cambiare argomento e accantonare per un po' i misteri dei vampiri. «Non avevo idea che si tagliassero davvero il seno destro perché gli dava fastidio.» Stevie Rae si guardò il petto. «Non ne avrebbero avuto bisogno se fossero state piatte come me.» «O me», sospirò Damien con aria teatrale. Stavo ancora sogghignando quando lui m'indicò l'aula di Recitazione. La professoressa Nolan non trasudava forza e potere come Neferet, piuttosto energia. Aveva un fisico atletico, eppure allo stesso tempo il suo corpo era stranamente a forma di pera, mentre i capelli castani erano lunghi e lisci. E Stevie Rae aveva detto la verità: aveva un accento texano davvero terribile. «Zoey, benvenuta! Siediti dove vuoi.» Salutai e presi posto vicino alla Elizabeth che aveva parlato a lezione di Socio Vamp. Aveva un'aria abbastanza amichevole e sapevo già che era intelligente (non fa mai male stare seduti vicino a ragazzi intelligenti.) «Stavamo per iniziare a scegliere il monologo che ciascuno di voi presenterà alla classe la settimana prossima. Prima, però, penso possa farvi piacere avere una dimostrazione di come si recita, perciò ho chiesto al vostro talentuoso compagno della classe superiore di fermarsi con noi e recitare il famoso monologo dell'Otello, scritto dall'antico drammaturgo vampiro William Shakespeare.» La professoressa Nolan s'interruppe e guardò oltre il vetro della porta. «Eccolo che arriva.» Lui entrò e, oh buon Dio caro, credetti che il cuore mi si fosse fermato. Di certo rimasi a bocca spalancata come un'idiota. Era il ragazzo più meravigliosamente stupendo che avessi mai visto. Era alto e aveva capelli scuri che si arricciavano alla Superman. Adorabile. E gli occhi erano di un incredibile azzurro zaffiro e… Oh. Diavolo! Diavolo! Diavolo! Era il ragazzo del corridoio. «Vieni, Erik. Come sempre il tuo tempismo per l'entrata è perfetto. Siamo pronti per il tuo monologo.» La professoressa Nolan tornò a rivolgersi alla classe con un gran sorriso. «La maggior parte di voi conosce Erik Night, l'allievo di quinta che lo scorso anno ha vinto la gara di monologhi che la Casa della Notte tiene a livello mondiale, le cui finali si sono svolte a Londra. Sta anche creando scalpore a Hollywood, oltre che a Broadway, per la sua interpretazione di Tony nel West Side Story che la scuola ha prodotto lo scorso semestre.» Come se di colpo mi fossi tramutata in un automa, applaudii col resto degli studenti. Sorridente e sicuro, Erik salì sul piccolo palco al centro della grande aula. «Ciao, ragazzi, come va?» Parlò rivolgendosi a me. Intendo proprio rivolgendosi a me. Sentivo che la faccia mi andava in ebollizione. «I monologhi possono mettere paura, ma il trucco sta nel cominciare immaginando di recitare con un intero cast di attori. Costringetevi a pensare di non essere soli là sopra, in questo modo…» E cominciò il monologo dell'Otello. Non so molto della tragedia di Shakespeare, ma l'interpretazione di Erik fu stupefacente. Lui era alto, probabilmente più di uno e ottanta, ma, quando cominciò a parlare, sembrò diventare ancora più alto, più grande e più forte. La voce si fece più profonda e prese un'inflessione che non riuscii a classificare. I suoi incredibili occhi diventarono più scuri e le palpebre si strinsero in una fessura; quando pronunciò il nome di Desdemona fu come se pregasse. Era evidente che l'amava, anche prima che recitasse le battute conclusive: Mi amava per i pericoli che avevo affrontato, e io amavo che lei ne provasse pietà. Mentre pronunciava quell'ultima frase i suoi occhi si fermarono nei miei e, proprio come in corridoio il giorno prima, sembrò non esserci nessun altro nella stanza, nessun altro al mondo. Sentii un brivido nel profondo, una sensazione molto simile a quella provata le due volte che avevo sentito l'odore del sangue dopo che ero stata Segnata, solo che in quel momento di sangue non ce n'era. C'era solo Erik. E poi mi sorrise, si sfiorò le labbra con le dita come se mi stesse mandando un bacio e fece l'inchino. Tutti si misero ad applaudire come matti, inclusa me. Davvero. Non riuscii a evitarlo. «Bene, è così che si fa», commentò la Nolan. «Dunque, ci sono copie di monologhi sugli scaffali rossi in fondo all'aula. Prendete dei libri ciascuno e cominciate a dare un'occhiata. Quello che dovete cercare è una scena che per voi abbia un significato, che tocchi qualche punto della vostra anima. Io girerò tra i banchi per rispondere a qualunque domanda sui brani che vi sembrano interessanti e, una volta che avrete scelto il pezzo, vi spiegherò i passi che dovrete fare per preparare la vostra presentazione.» Con un sorriso e un cenno del capo pieni di energia, c'indicò di cominciare a sfogliare la carrettata di testi. Mi sentivo ancora rossa come un peperone e a corto di fiato, ma mi alzai con gli altri, anche se non riuscii a non sbirciare Erik da dietro la spalla. Stava uscendo (purtroppo) dall'aula, ma prima si voltò e mi beccò a guardarlo come una tonta. Arrossii (ancora), lui incrociò il mio sguardo e mi sorrise (ancora), poi se ne andò. «Che bonazzo strafigo», mi bisbigliò all'orecchio qualcuno. Mi voltai e mi stupii vedendo che Miss Studentessa Perfetta Elizabeth fissava Erik facendosi vento. «Non ce l'ha la ragazza?» chiesi da idiota totale. «Solo nei miei sogni. A dire il vero corre voce che lui e Afrodite stessero assieme, ma io sono qui da qualche mese e, quando sono arrivata, tra loro era già finita. Ecco qui.» Mi diede un paio di volumi di monologhi. «Io sono Elizabeth, niente cognome.» La mia faccia era un punto interrogativo. Sospirò. «Di cognome facevo Titsworth. Hai idea di che vuol dire chiamarsi 'bella zinna'? Quando sono arrivata e il mio mentore mi ha detto che potevo cambiarmi il nome in quello che volevo, sapevo che mi sarei liberata di Titsworth, ma ho trovato la scelta di un cognome nuovo un po' troppo stressante, perciò ho deciso di farne a meno e tenermi solo il nome.» Elizabeth Niente Cognome fece spallucce. «Be', piacere di conoscerti.» Certo che ce n'erano di tipi strani in quel posto. «Ehi, Erik ti guardava», riprese mentre tornavamo a sedere. «Ma no, guardava tutti», dissi, anche se sentivo che la mia stupida faccia diventava ancora più rossa e bollente. «Certo, ma te ti guardava sul serio.» Sorrise e aggiunse: «Oh, trovo che il tuo Marchio completo sia favoloso». «Grazie.» Probabilmente faceva un effetto assurdo sullo sfondo color peperone. «Zoey, hai domande su come scegliere il monologo?» chiese la Nolan facendomi sobbalzare. «No, professoressa. L'ho già fatto al corso di recitazione della mia scuola di prima.» «Molto bene. Dimmi se posso darti dei chiarimenti sull'ambientazione o sul personaggio.» Mi assestò una pacchetta sul braccio e riprese a girare tra i banchi. Aprii il primo libro e tentai (senza successo) di dimenticare Erik e concentrarmi sui testi. Era vero, mi aveva guardata sul serio. Ma perché? Doveva aver capito che ero io in corridoio, quindi che tipo d'interesse stava mostrando verso di me? E volevo piacere a un tipo che si era fatto fare un pompino da quell'odiosa di Afrodite? Probabilmente non avrei dovuto. Voglio dire, di certo non avevo intenzione di riprendere da dove aveva lasciato lei. O magari era solo incuriosito dal mio strano Marchio già bell'e colorato, come tutti del resto. Ma non era sembrato così. Era sembrato che stesse proprio guardando me. E mi era piaciuto. Tornai a studiare il libro che avevo ignorato. La pagina era aperta al capitolo: «Monologhi femminili drammatici», e il primo era tratto da Siempre en ridìculo, di José Echegaray. Be', che diavolo. Probabilmente era un segno. 13 In realtà trovai da sola l'aula di Letteratura. Okay, era proprio vicino alla stanza di Neferet, ma mi sentivo comunque meglio a non dover chiedere di farmi accompagnare in giro come il tipico nuovo arrivato idiota. «Zoey! Ti abbiamo tenuto il pooosto!» gridò Stevie Rae non appena misi piede in classe. Era seduta accanto a Damien e praticamente saltellava per l'eccitazione, sembrando di nuovo un cucciolo felice, cosa che mi fece sorridere. Ero davvero contenta di vederla. «Dai, dai, dai! Dimmi tutto! Com'era Recitazione? Ti è piaciuto? Ti piace la professoressa Nolan? Il suo tatuaggio non è una favola? Mi fa venire in mente una maschera… più o meno.» Damien la prese per il braccio. «Respira e lascia che la ragazza risponda.» «Scusa», replicò imbarazzata Stevie Rae. «I tatuaggi della Nolan saranno di certo una favola», ribattei. « Saranno? Ma non li hai guardati?» «Be', ero distratta.» Si stupì, poi i suoi occhi si strinsero a fessura. «Cosa? Qualcuno ti ha messa in imbarazzo per il tuo Marchio? Certa gente è proprio truce.» «No, no, niente del genere. Anzi, quella Elizabeth Niente Cognome ha detto che le sembrava favoloso. Ero distratta perché, be'…» Mi sentivo di nuovo la faccia in fiamme. Avevo deciso di raccontargli di Erik, ma adesso che avevo cominciato a parlare mi chiedevo se facevo bene. Dovevo dirgli anche del corridoio? Damien si rianimò. «Sento che è in arrivo qualcosa di succoso. Avanti, Zoey. Eri distratta perchééé?» «Okay, okay. Posso riassumere la questione in due parole: Erik Night.» La bocca di Stevie Rae si spalancò di botto e Damien finse uno svenimento, ma dovette raddrizzarsi subito, perché in quel momento suonò la campanella e la professoressa Pentesilea entrò in aula. «Dopo!» mormorò Stevie Rae. «Assolutamente!» rincalcò Damien. Feci un sorriso innocente. Se non altro ero certa che l'attesa li avrebbe fatti impazzire. La lezione di Letteratura fu un'esperienza. Prima di tutto, la classe in sé era completamente diversa da quelle che avevo visto. Poster, dipinti strani e interessanti e quelle che sembravano opere d'arte originali riempivano ogni centimetro delle pareti. E dal soffitto pendevano campane a vento e cristalli in grande quantità. La professoressa Pentesilea (che grazie alla lezione di SocioVamp sapevo essere il nome della più onorata delle amazzoni), che tutti chiamavano prof P, sembrava il personaggio di un film (sì, be', di quelli che danno su SciFi Channel). Aveva lunghissimi capelli biondo rossiccio, grandi occhi nocciola e un corpo pieno di curve che con ogni probabilità faceva sbavare tutti i maschi (non che sia difficile far sbavare degli adolescenti). I suoi tatuaggi erano dei minuscoli ed eleganti nodi celtici che le incorniciavano il viso e gli zigomi, che così sembravano alti e marcati. Portava calzoni sportivi neri a vita bassa dall'aria costosa e un cardigan di seta color muschio con ricamata sul petto la stessa immagine della dea che aveva Neferet. E, adesso che pensavo a un argomento diverso da Erik, mi resi conto che lo stesso ricamo spiccava anche sul taschino della camicia della Nolan. Mmm… «Sono nata nell'aprile del 1902», esordì la professoressa Pentesilea catturando subito la nostra attenzione. Cioè, insomma, a malapena le davi trent'anni. «Perciò avevo dieci anni nell'aprile del 1912 e mi ricordo molto bene la tragedia. Di cosa sto parlando? Qualcuno di voi ha un'idea?» Okay, sapevo esattamente di cosa stava parlando, ma non perché sia una sfigata senza speranza che studia storia da mattina a sera. È perché quando ero più giovane pensavo di essere innamorata di Leonardo Di Caprio, e per il mio dodicesimo compleanno la mamma mi aveva preso la collezione completa dei suoi film in DVD. E quel film in particolare l'avevo visto talmente tante volte che ancora me lo ricordavo quasi tutto a memoria (e non sto a dire quante volte ho pianto come una disperata quando lui viene portato via dalle onde come un adorabile ghiacciolo). Mi guardai intorno. Nessun altro sembrava avere idee in proposito, quindi sospirai e alzai la mano. La prof P sorrise e mi sollecitò a rispondere. «Sì, signorina Redbird?» «Nell'aprile del 1912 è affondato il Titanic. È stato colpito da un iceberg la sera tardi del 14, ed è affondato giusto qualche ora dopo, il 15.» Sentii Damien inspirare accanto a me e il piccolo ooh soffocato di Stevie Rae. Diavolo, mi ero comportata così da scema che si stupivano nel sentirmi dare una risposta giusta? «Adoro quando un novizio appena arrivato sa qualcosa», disse la prof. «Tutto perfetto, signorina Redbird. All'epoca della tragedia io vivevo a Chicago e non dimenticherò mai gli strilloni che urlavano la tragica notizia agli angoli delle strade. Fu un fatto orribile, soprattutto perché la perdita di vite sarebbe stata evitabile, e segnò la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra, oltre che determinare l'introduzione di molti cambiamenti necessari nel diritto marittimo. Studieremo tutto questo, oltre ai fatti deliziosamente melodrammatici di quella notte, nel nostro prossimo testo letterario, Titanic. La vera storia, libro che Walter Lord ha scritto in base a meticolose ricerche. Benché Lord non fosse un vampiro – e questo è un vero peccato – trovo comunque la sua descrizione di quella notte molto avvincente e il suo stile e il tono della scrittura interessanti e leggibili. Okay, cominciamo! Gli ultimi prendano i libri per l'intera fila dall'armadietto lungo in fondo alla classe.» Wow, fantastico! Era decisamente più interessante che leggere Grandi speranze (Pip, Estrella… chissene frega?!) Mi sistemai con la mia copia di Titanic. La vera storia e il blocco aperto per prendere appunti. La prof P cominciò a leggerci ad alta voce il primo capitolo, e lo faceva davvero bene. Tre ore di lezione quasi finite e mi erano piaciute tutte. Era mai possibile che quella scuola di vampiri fosse davvero qualcosa di più del posto noioso dove andavo ogni giorno solo perché dovevo e perché, inoltre, ci andavano tutti i miei amici? Non che tutte le lezioni alla mia vecchia scuola fossero state noiose, ma di certo non avremmo studiato le amazzoni e il Titanic (spiegato da un'insegnante che era già viva quand'era affondato!) Mentre la prof leggeva, mi guardai intorno osservando gli altri studenti. Eravamo una quindicina, come, mi pareva, anche negli altri corsi. Avevano tutti il libro aperto e stavano attenti. Poi con la coda dell'occhio intravidi qualcosa di rosso e cespuglioso dall'altra parte della stanza, vicino al fondo. Avevo parlato troppo presto: non tutti i ragazzi stavano attenti. Quello aveva la testa appoggiata sulle braccia e dormiva come un sasso, cosa di cui mi ero resa conto perché la sua faccia grassoccia, troppo bianca e piena di lentiggini, era girata verso di me. Aveva la bocca aperta e penso che stesse persino sbavando un po'. Mi chiesi cosa gli avrebbe fatto la prof. Non sembrava il tipo da restare imperturbabile con uno scansa che ronfa in fondo all'aula, ma continuò la lettura, intervallandola con interessanti aneddoti di prima mano riguardo l'inizio del XX secolo, cosa che mi piacque molto (soprattutto quando parlò delle maschiette. Lo sarei stata senz'altro anch'io, se fossi vissuta negli anni '20). Fu soltanto quando la campanella stava per suonare e ci era già stato assegnato di compito il capitolo successivo che la prof agì come se finalmente si fosse accorta del ragazzo che dormiva. Lui aveva cominciato a stiracchiarsi, quindi aveva sollevato la testa mostrando il segno rosso sulla tempia che indicava dove si era appoggiato sul braccio e che sembrava incredibilmente fuori posto accanto al Marchio. «Elliott, ti devo parlare», disse la prof P da dietro la cattedra. Il rosso si prese tutto il tempo possibile per alzarsi e raggiungerla, strascicando i piedi nelle scarpe mal tenute. «Sììì?» «Elliott, tu ovviamente sarai bocciato al corso di Letteratura, ma la cosa più importante è che anche la vita ti boccerà. I vampiri maschi sono forti, stimabili e unici. Sono i nostri guerrieri e protettori da infinite generazioni. Come puoi pensare di Trasformarti in un essere che è più guerriero che uomo se non riesci a mettere in pratica neppure l'autocontrollo necessario a stare sveglio in classe?» Si strinse nelle spalle dall'aria deboluccia. L'espressione della prof s'indurì. «Ti darò la possibilità di recuperare lo zero che hai preso oggi per la mancata partecipazione in classe scrivendo un breve saggio su un argomento a tua scelta che fosse importante nell'America dell'inizio del XX secolo. Da consegnare domani.» Senza neanche replicare, il ragazzo cominciò a voltarsi. «Elliott.» La prof abbassò la voce e, decisamente seccata, la modulò in modo che mettesse molta più paura di quanto non avesse fatto mentre leggeva e spiegava. Percepivo la forza che irradiava e mi domandai se avrebbe mai potuto avere bisogno di un maschio che la proteggesse. Il rosso si fermò e si girò per affrontarla. «Non ti avevo detto che te ne potevi andare. Cos'hai deciso di fare riguardo al compito per rimediare allo zero di oggi?» Lui si limitò a starsene lì senza dire niente. «A questa domanda serve una risposta, Elliott. Subito!» L'aria intorno a lei crepitava per la forza dell'ordine, facendomi pizzicare la pelle delle braccia. Il rosso, invece, sembrava non essere per niente colpito e fece di nuovo spallucce. «Probabilmente non lo farò.» «Questo la dice lunga sul tuo carattere, Elliott, e non è niente di buono. Non solo tradisci te stesso, ma tradisci anche il tuo mentore.» Ulteriore alzata di spalle, seguita da un dito nel naso. «Il Dragone sa già come sono.» La campanella suonò e la prof P, con un'espressione disgustata, fece cenno a Elliott di lasciare la stanza. Damien, Stevie Rae e io ci eravamo appena alzati e stavamo per uscire dalla porta, quando Elliott ci superò camminando ciondoloni, ma si mosse più in fretta di quanto avrei mai creduto possibile per un simile scansa. Si scontrò con Damien, che era in testa al nostro gruppetto e che, con un «oops», barcollò e quasi cadde. «Finocchio di merda, levati di mezzo», ringhiò il rosso, prendendo Damien per le spalle in modo da passare dalla porta per primo. «Dovrei fargli un culo così a quell'imbecille!» Stevie Rae si affrettò a raggiungere Damien che ci aspettava. Lui scosse il capo. «Non ti preoccupare. Quell'Elliott ha dei grossi problemi.» «Già, come avere la cacca al posto del cervello», intervenni, fissando la schiena del rosso che si allontanava. « Cacca al posto del cervello?» Damien rise e prese sottobraccio me da una parte e Stevie Rae dall'altra, accompagnandoci lungo il corridoio in stile Mago di Oz. «È questo che mi piace della nostra Zoey. Ci sa proprio fare con le volgarità.» «Cacca non è volgare», replicai sulla difensiva. «Tesoro, credo proprio che il concetto fosse quello», rise Stevie Rae. «Oh.» Risi anch'io. E mi era piaciuto proprio tanto tanto quando Damien aveva detto la «nostra» Zoey… come se appartenessi a quel gruppo e a quel luogo… come se potesse essere casa. 14 La lezione di scherma fu fantastica, e la cosa mi stupì. Si teneva fuori della palestra, in una grande stanza che sembrava uno studio di danza completo di parete a specchi. Su un lato pendevano dal soffitto degli insoliti manichini a grandezza naturale che mi fecero venire in mente dei bersagli da tiro tridimensionali. Tutti chiamavano il professore Dragone Lankford, o anche solo Dragone, e non mi ci era voluto molto per capirne il motivo: il suo tatuaggio rappresentava due dragoni i cui corpi, simili a serpenti, si avviluppavano lungo la linea della mandibola. Le teste erano al di sopra delle sopracciglia, avevano la bocca aperta e mandavano lingue di fuoco in direzione della mezzaluna sulla fronte. Era stupefacente e risultava molto difficile non guardarlo. Per di più Dragone era il primo vampiro maschio adulto che vedevo da vicino e all'inizio ero confusa. Immagino che, se mi avessero chiesto come mi aspettavo fosse un vampiro, avrei risposto l'opposto di quello che era lui. Sinceramente nella testa avevo il classico stereotipo cinematografico: alto, bello, pericoloso. Insomma, tipo Vin Diesel. Invece Dragone era basso, aveva lunghi capelli biondastri che teneva legati a coda di cavallo e (a parte il tatuaggio dall'aria feroce) aveva un bel viso dal sorriso gentile. Avevo cominciato a rendermi conto della sua forza solo quando aveva dato inizio agli esercizi di riscaldamento. Dall'istante in cui aveva impugnato la spada (che poi avrei scoperto chiamarsi épée) nel saluto tradizionale, era diventato un altro, si muoveva con una rapidità e una grazia incredibili. Fintava e faceva affondi senza il minimo sforzo apparente, facendo sembrare gli alunni – persino i ragazzi più bravi, come Damien – dei goffi burattini. Concluso il riscaldamento, Dragone aveva diviso tutti in coppie per quelli che chiamò «standard» e mi ero sentita sollevata quando aveva fatto cenno a Damien di fare coppia con me. «Zoey, è bello averti con noi alla Casa della Notte.» Dragone mi aveva stretto l'avambraccio nel tradizionale saluto delle vampire amazzoni. «Damien ti può spiegare quali sono le diverse parti della divisa da scherma e io ti darò un opuscolo da studiare nei prossimi giorni. Posso presumere che tu non abbia mai praticato questo sport?» «Sì, non l'ho mai fatto.» Poi, un po' nervosa, avevo aggiunto: «Ma sono contenta d'imparare. Voglio dire, l'idea di usare una spada è proprio forte». Dragone mi aveva corretto con un sorriso: «Fioretto, imparerai a usare un fioretto. È la più leggera delle tre armi che abbiamo e una scelta eccellente per una donna. Sapevi che la scherma è uno dei pochissimi sport in cui uomini e donne possono competere alla pari?» «No», avevo replicato interessata. Quanto sarebbe stato fantastico prendere a pedate nel didietro un maschio in uno sport?! «Questo perché uno schermidore intelligente e concentrato può compensare in modo efficace qualunque eventuale carenza lui o lei possa avere e magari addirittura trasformare queste carenze – per esempio in forza o in portata dell'allungo – in risorse positive. In altre parole, puoi non essere forte o veloce quanto il tuo avversario, ma puoi essere più intelligente o mantenere una maggiore concentrazione, e questo farà pendere la bilancia in tuo favore. Giusto, Damien?» Damien si era aperto in un mega sorriso. «Giusto.» «Damien è uno degli schermidori più concentrati cui abbia avuto il privilegio d'insegnare in decenni, e questo fa di lui un temibile avversario.» Avevo lanciato un'occhiata a Damien, che era arrossito di orgoglio e di piacere. «Ti farò allenare con lui nelle mosse di apertura per circa una settimana. Ricorda sempre che la scherma richiede l'apprendimento di tecniche che per natura sono sequenziali e gerarchiche: se non ne viene acquisita una, risulterà molto difficile padroneggiare quelle successive e lo schermidore avrà un grave svantaggio permanente.» «Okay, me lo ricorderò», avevo replicato. Dragone mi aveva rivolto un altro caldo sorriso e si era allontanato tra le coppie che si allenavano. «Quello che intendeva è che non ti devi scoraggiare o annoiare se ti farà ripetere un sacco di volte lo stesso esercizio», aveva detto Damien. «In pratica mi stai dicendo che sarà noioso ma che c'è dietro uno scopo?» «Già. E parte di quello scopo ti sarà utile per sollevare quel tuo bel sederino», aveva risposto sfrontato, assestandomi qualche lieve colpo col suo fioretto. Lo avevo spinto via alzando gli occhi al cielo, ma, dopo venti minuti di affondi e ritorno alla posizione iniziale e altri affondi e così via, avevo capito che aveva ragione. Il giorno dopo il sedere mi avrebbe fatto un male terribile. Dopo la lezione ci eravamo fatti una doccia veloce (per fortuna nello spogliatoio femminile c'erano docce singole chiuse dalla tenda e non avevamo dovuto farci una tragica e barbara doccia tutte insieme come se fossimo compagne di galera o cose simili) e poi ero andata di corsa in sala da pranzo con tutti gli altri. E dico in senso letterale, perché morivo di fame. Lì trovai un immenso buffet per prepararsi da soli mega insalate e c'era di tutto, dal tonno a quelle strane mini pannocchie che non si capisce bene cosa siano e nemmeno sanno di mais (cosa saranno di preciso? Mais neonato? Mais nano? Mais mutante?) Io mi riempii un piattone e presi un grosso pezzo di quello che dall'aspetto e dal profumo sembrava pane appena sfornato, quindi mi sedetti al nostro tavolo accanto a Stevie Rae, seguita da Damien. Erin e Shaunee stavano già begando per decidere quale dei loro compiti di letteratura fosse migliore, anche se tutt'e due avevano preso 96. «Allora, Zoey, spara. Cos'è 'sta storia di Erik Night?» chiese Stevie Rae nell'attimo in cui m'infilavo in bocca una forchettata d'insalata. Le sue parole zittirono immediatamente le gemelle e concentrarono su di me l'attenzione di tutto il tavolo. Avevo riflettuto su cosa dire di Erik, e avevo deciso che non ero pronta a raccontare a nessuno della shockante scena del pompino, perciò mi limitai a dire: «Continuava a guardarmi». Quando mi fissarono tutti con aria perplessa, capii che, con la bocca piena, in realtà dovevo aver detto: «Comtava a guddmmi». Inghiottii e ritentai. «Continuava a guardarmi. A Recitazione. È stato, non lo so, strano.» «Definisci 'guardarmi'», intervenne Damien. «Be', è successo appena ha messo piede in aula, ma è stato davvero evidente quando ci ha fatto un esempio di monologo. Ha recitato quello dell'Otello e, quand'è arrivato alle frasi sull'amore e così via, mi ha fissata proprio. Avrei pensato che fosse un caso, ma mi ha guardata anche prima d'iniziare e poi di nuovo mentre lasciava la stanza.» Sospirai, sentendomi un po' a disagio sotto i loro sguardi troppo penetranti. «Lasciate perdere. Probabilmente faceva parte della scena.» «Erik Night è il bonazzo più figo di tutta la scuola», commentò Shaunee. «Non datele ascolto: è il bonazzo più figo di tutto il pianeta», intervenne Erin. «Non più di Kenny Chesney», replicò rapida Stevie Rae. «Oh, ti prego, basta con questa ossessione per il country!» Shaunee lanciò un'occhiataccia a Stevie Rae, prima di riposare l'attenzione su di me. « Non lasciarti scappare l'occasione sotto il naso.» «Giààà», le fece eco Erin. « Non farlo.» «Lasciarmi scappare l'occasione? E cosa dovrei fare? Non mi ha neanche rivolto la parola.» «Mmm, Zoey, tesoro, hai risposto al suo sorriso?» chiese Damien. Sbattei le palpebre. Avevo risposto al suo sorriso? Ah, cavolo, avrei scommesso di non averlo fatto. Avrei scommesso di essere rimasta lì a guardarlo come un'idiota, magari sbavando persino un po'. Okay, d'accordo, non avrò sbavato, ma il concetto è chiaro. «Non lo so», risposi invece di confessare la triste verità, ma senza riuscire a convincere Damien. Lui sbuffò. «La prossima volta, sorridigli.» «E magari digli anche ciao», aggiunse Stevie Rae. «Pensavo che Erik fosse solo una bella faccia», disse Shaunee. «E un bel corpo», le fece eco Erin. «Finché non ha mollato Afrodite. Quando l'ha fatto ho pensato che il ragazzo avesse qualcosa di funzionante anche ai piani alti», continuò Shaunee. «Riguardo ai piani bassi, di dubbi non ce n'erano mai stati!» commentò Erin facendo andare su e giù le sopracciglia. «Già-giààà!» Shaunee si leccò le labbra come stesse pensando di mangiarsi un grosso pezzo di cioccolato. «Certo che voi due siete davvero oscene», disse Damien. «Vogliamo solo dire che ha il più bel culo di tutta la città, cara Miss Perbenino», lo rimbeccò Shaunee. «Come se tu non te ne fossi accorto», aggiunse Erin. «Se cominci a parlare con Erik, Afrodite s'incazzerà», intervenne Stevie Rae. Si voltarono tutti a guardarla come se avesse appena diviso il mar Rosso o robetta simile. «È vero», convenne Damien. «Più che vero», confermò Shaunee mentre Erin annuiva. «Allora, stando alle chiacchiere, lui usciva con Afrodite», m'informai. «Già», replicò Erin. «E le chiacchiere sono grottesche ma vere. Il che rende ancora più piacevole 'sto fatto che adesso gli piaci tu!» esclamò Shaunee. «Ragazzi, probabilmente guardava soltanto il mio strano Marchio», borbottai. «Magari no. Tu sei davvero carina, Zoey.» Stevie Rae fece un dolce sorriso. «O magari il tuo Marchio l'ha fatto guardare, poi ha pensato che fossi carina e ha continuato», aggiunse Damien. «Comunque sia, se ti guarda, Afrodite s'incazzerà», ripetè Shaunee. «E questa è una bella cosa», concluse Erin. Stevie Rae si dissociò dai loro commenti con un gesto della mano. «Dimenticati di Afrodite, del tuo Marchio e di tutto il resto. La prossima volta che ti sorride, salutalo. Tutto qui.» «Detto», disse Shaunee. «Fatto», fece Erin. «Okay», bofonchiai. Tornai alla mia insalata e desiderai disperatamente che la questione Erik Night fosse davvero da detto-fatto come pensavano loro. Una cosa del pranzo alla Casa della Notte era uguale anche nella mia scuola precedente o in qualunque altra scuola in cui avessi pranzato: finiva troppo presto. E la lezione di spagnolo fu un po' nebulosa. La profesora Garmy era una specie di piccola tromba d'aria ispanica. Mi piacque subito, e molto (i suoi tatuaggi sembravano piume, quindi mi fece pensare a un piccolo uccellino spagnolo), ma spiegava completamente in lingua. Completamente. Forse dovrei chiarire che dopo la terza media non avevo più fatto spagnolo e ammetto senza problemi che comunque non mi ero mai impegnata molto. Perciò mi sentivo persa, ma scrissi i compiti da fare e mi ripromisi di darci dentro coi vocaboli. Odio sentirmi persa. Introduzione agli Studi Equestri si teneva nel Capanno, che era un edificio di mattoni basso e lungo vicino al muro di cinta meridionale e attaccato a un immenso maneggio coperto. Il posto aveva quell'odore di cavallo e segatura che, mischiato al cuoio, andava a creare qualcosa di gradevole, anche sapendo che parte dell'odore «gradevole» era data dalla cacca. Di cavallo, appunto. Me ne stavo con un gruppetto di ragazzi appena dentro il recinto, dove uno studente più grande, alto e dalla faccia seria, ci aveva detto di aspettare. Eravamo solo dieci, e tutti di terza. Oh (grandioso), quella palla di Elliott testa rossa era stravaccato contro il muro e tirava calci alla segatura, sollevando abbastanza polvere da far starnutire la ragazza più vicina, che gli lanciò un'occhiataccia e si allontanò di qualche passo. Dio, ma doveva proprio dare fastidio a tutti? E perché non metteva qualcosa (magari anche solo un pettine) in quei capelli crespi? Il rumore di zoccoli distolse la mia attenzione da Elliott e mi fece alzare lo sguardo giusto in tempo per vedere una splendida giumenta nera entrare al galoppo nel recinto. Si fermò in scivolata a meno di un metro da noi e, mentre la guardavamo a bocca aperta, chi la montava scese di sella con un movimento aggraziato. Era una donna, con folti capelli lunghi fino alla vita, di un biondo talmente chiaro da sembrare quasi bianco, e occhi di un insolito grigio ardesia. Era minuta e, da come stava dritta, mi ricordò quelle ragazze talmente prese dai corsi di danza che perfino quando non stanno ballando sembra comunque che abbiano mangiato un manico di scopa. Il suo tatuaggio era formato da una complicata serie di nodi che s'intrecciavano a incorniciarle il viso e in quei disegni color zaffiro fui certa di vedere dei cavalli al galoppo. «Buona sera. Io sono Lenobia, e questo» – prima di finire la frase indicò la giumenta e diede un'occhiata sprezzante al nostro gruppetto – «è un cavallo.» La sua voce rimbalzò tra le pareti e la giumenta sbuffò quasi a sottolineare le sue parole. «E voi siete il mio nuovo gruppo di terza. Ciascuno di voi è stato scelto per questo corso perché riteniamo che possiate avere una certa attitudine per l'equitazione. La verità è che meno della metà di voi proseguirà dopo questo semestre e meno della metà di quelli che proseguiranno diventeranno davvero dei cavallerizzi decenti. Avete domande?» Non si fermò abbastanza da lasciare tempo a qualcuno di farne. «Bene. Allora seguitemi che iniziamo.» Si voltò e tornò a passo di marcia nelle scuderie. La seguimmo. Avrei voluto chiederle chi erano quelli che ritenevano che potessi avere una certa attitudine per l'equitazione, ma avevo paura di parlare, perciò le arrancai dietro come tutti gli altri. Si fermò di fronte a una fila di poste vuote, al cui esterno c'erano forconi e carriole. Lenobia si voltò a guardarci. «I cavalli non sono cani grandi. E neppure il sogno romantico da ragazzine del perfetto migliore amico che ti capisce sempre.» Due ragazze vicino a me si dimenarono con aria colpevole e Lenobia le trapassò con un lampo dei grandi occhi grigi. «I cavalli sono lavoro. I cavalli richiedono dedizione, intelligenza e tempo. Cominceremo con la parte del lavoro. Nella stanza dei finimenti là in fondo troverete degli stivali. Sceglietene un paio in fretta, poi mettetevi i guanti. Dopo di che ognuno di voi prende una posta e si dà da fare.» «Professoressa Lenobia?» intervenne una ragazza paffuta con uno splendido viso, alzando la mano un po' nervosa. «Basta Lenobia. Il nome che ho scelto in onore dell'antica regina vampira non richiede altro titolo.» Non avevo idea di chi fosse Lenobia e presi mentalmente nota di fare ricerche in proposito. «Continua, Amanda. Hai qualcosa da chiedere?» «Già, mmm, sì.» Lenobia la guardò inarcando le sopracciglia. Amanda deglutì rumorosamente. «Ci diamo da fare a fare cosa, profes…, cioè, Lenobia, signora?» «A pulire le poste, è ovvio. Lo sterco va nelle carriole e, quando sono piene, potete rovesciare il contenuto nell'area per il compostaggio sul lato delle scuderie rivolto verso il muro di cinta. Nel magazzino accanto alla stanza dei finimenti c'è della segatura. Avete cinquanta minuti. Torno tra quarantacinque a controllare il lavoro.» La fissammo tutti sbattendo le palpebre. «Potete cominciare. Subito.» Cominciammo. Okay. Sul serio. Lo so che suonerà strano, ma non mi dava fastidio pulire la mia posta. Voglio dire, lo sterco di cavallo non è poi così schifoso. Soprattutto perché era evidente che quelle poste venivano pulite più volte durante la giornata. Presi gli stivali da lavoro (che erano stivaloni di gomma assolutamente orribili che però mi coprivano i jeans fino alle ginocchia), un paio di guanti e mi misi all'opera. Ottimi altoparlanti diffondevano una musica che ero quasi certa fosse l'ultimo CD di Enya (prima di sposare John, mia mamma ascoltava Enya, ma poi lui aveva deciso che poteva essere musica da streghe e lei non l'ascoltò più, motivo per cui a me Enya era sempre piaciuta). Perciò mi ritrovai ad ascoltare le ammalianti canzoni gaeliche mentre tiravo su forconate di cacca di cavallo. Mi sembrò che fosse passato un niente quando mi ritrovai a svuotare la carriola e a riempirla di segatura pulita. La stavo giusto spargendo e lisciando nella posta quando un pizzicorino alla schiena mi disse che qualcuno mi stava osservando. «Ottimo lavoro, Zoey.» Sobbalzai, girai sui tacchi e vidi Lenobia appena fuori della mia posta. In una mano teneva una grossa spazzola morbida, nell'altra le briglie di una giumenta roana dagli occhi da cerbiatta. «L'avevi già fatto.» «Una volta mia nonna aveva un dolcissimo castrone grigio che avevo chiamato Bunny.» Quando mi resi conto di quanto suonasse stupido, ormai l'avevo detto. Con le guance in fiamme, mi affrettai a finire il discorso: «Be', avevo dieci anni allora e il suo colore mi faceva venire in mente Bugs Bunny, perciò ho cominciato a chiamarlo così e il nome è rimasto». Le labbra di Lenobia si sollevarono in un infinitesimale accenno di sorriso. «Ed era la posta di Bunny che pulivi?» «Sì. Mi piaceva montarlo e la nonna diceva che nessuno dovrebbe montare un cavallo se poi non pulisce dove sporca.» Mi strinsi nelle spalle. «Così pulivo dove sporcava.» «Tua nonna è una donna saggia.» Assentii. «E non ti dava fastidio pulire dove sporcava Bunny?» «No, per niente.» «Bene. Ti presento Persefone.» Lenobia indicò con la testa la giumenta. «Hai appena pulito la sua posta.» La cavalla entrò nel box e si diresse verso di me, mi appoggiò il muso contro la faccia e soffiò piano, facendomi il solletico. Ridacchiai, le accarezzai il naso e le stampai un bacio sul muso caldo e vellutato. «Ciao, Persefone, ma come sei bella!» Lenobia fece un cenno di approvazione mentre la cavalla e io facevamo conoscenza. «Mancano solo cinque minuti prima che suoni la campana della fine delle lezioni, perciò non è necessario che ti fermi, ma, se vuoi, credo ti sia guadagnata il privilegio di spazzolare Persefone.» Stupita, alzai gli occhi dal collo della giumenta. «Nessun problema, mi fermo», mi sentii dire. «Eccellente. Quando hai finito, puoi riportare la spazzola nella stanza dei finimenti. Ci vediamo domani, Zoey.» Lenobia mi tese la striglia, diede una pacca affettuosa alla cavalla e ci lasciò sole. Persefone infilò la testa nella rastrelliera di metallo che conteneva la biada fresca e cominciò a masticare mentre io la spazzolavo. Bunny era morto per un attacco di cuore fulmineo e spaventoso due anni prima e la nonna era rimasta troppo sconvolta per prendere un altro cavallo. Diceva che «il coniglio» (era così che le piaceva chiamarlo) era insostituibile. Perciò era da due anni che non ne vedevo uno, ma mi tornò subito tutto in mente: gli odori, il caldo, rilassante rumore di un cavallo che mangia, il sommesso svuusc della striglia che scivolava sul lucido mantello della giumenta. A margine della mia soglia di attenzione, udii vagamente la voce di Lenobia, tagliente e rabbiosa, che strigliava (hi, hi) un alunno, che immaginai fosse testa rossa la palla. Sbirciai oltre la spalla di Persefone e diedi una rapida occhiata. Eccolo lì, il rosso, appoggiato con aria strafottente di fronte alla sua posta. Accanto a lui Lenobia, mani sui fianchi. Anche così di sbieco riuscivo a vedere che era arrabbiata come una biscia. Ma la missione di quel ragazzo era quella di fare incavolare a sangue ogni singolo insegnante? E il suo mentore era Dragone? Okay, il tipo sembrava gentile, finché non prendeva in mano una spada – cioè, un fioretto – e non diventava un letale guerriero vampiro. «Quello scansafatiche testa rossa deve aver voglia di morire presto», dissi a Persefone mentre ricominciavo a spazzolarla. La giumenta girò l'orecchio verso di me e sbuffò. «Già, sapevo che saresti stata d'accordo. Vuoi sentire la mia teoria su come la mia generazione potrebbe spazzare via con una sola mano dall'America tutti i ragazzi sfigati e scansa?» Sembrava interessata, quindi mi lanciai nella mia tirata sul Non Procreate con Sfigati e Falliti… «Zoey! Eccoti qui!» «Ohmioddio! Stevie Rae! Mi hai fatto venire una strizza!» Diedi una pacca a Persefone per tranquillizzarla, perché, quando avevo gridato, si era impaurita. «Che accidenti stai facendo?» Agitai la spazzola verso di lei. «A te cosa sembra stia facendo, la pedicure?» «Smetti di perdere tempo. Lo sai che il Rituale della Luna Piena comincia tra un paio di minuti?» «Ah, diavolo!» Un'altra pacchetta a Persefone e mi precipitai dalla scuderia alla stanza dei finimenti. «Ti eri dimenticata, vero?» Stevie Rae mi tenne la mano per aiutarmi a stare in equilibrio mentre mi toglievo gli stivali di gomma e rimettevo su le mie fighissime ballerine. «No», mentii. Poi mi resi conto che avevo scordato anche il rito delle Figlie Oscure che si sarebbe tenuto dopo. «Oh, diavolo!» 15 Circa a metà strada dal tempio di Nyx mi accorsi che Stevie Rae era insolitamente silenziosa, quindi la osservai di sottecchi. Era anche pallida? Mi venne un brivido. «Stevie Rae, c'è qualcosa che non va?» «Sì, be', è una cosa triste e che mette anche paura.» «Cosa? Il Rituale della Luna Piena?» Cominciò a farmi male lo stomaco. «No, ti piacerà… almeno, questo. » Sapevo a cosa si riferiva, al confronto tra il rito della scuola e quello delle Figlie Oscure, cui avrei dovuto partecipare dopo, ma non avevo voglia di parlarne. Le successive parole di Stevie Rae però fecero sembrare la questione Figlie Oscure un problemino secondario. «Un'ora fa è morta una ragazza.» «Cosa? Come?» «Come muoiono tutti. Non è riuscita a Trasformarsi e il suo organismo…» Stevie Rae s'interruppe, rabbrividendo. «È successo verso la fine della lezione di Tae Kwan Do. All'inizio degli esercizi di riscaldamento aveva cominciato a tossire, come fosse senza fiato. Non ci ho fatto caso più di tanto. O forse sì, ma ho preferito non pensarci.» Stevie Rae mi fece un sorriso timido e triste e parve vergognarsi di se stessa. «C'è modo di salvare un ragazzo? Sì, insomma, dopo che ha cominciato…» Lasciai la frase in sospeso e feci un gesto vago e imbarazzato. «No, non c'è modo di essere salvati se l'organismo inizia a rifiutare la Trasformazione.» «Allora non devi sentirti in colpa per non aver pensato alle conseguenze della tosse di quella ragazza. Non avresti potuto fare niente comunque.» «Lo so. È che io… è stato orribile. Ed Elizabeth era così simpatica!» Sentii una fitta in un punto imprecisato a metà del mio corpo. «Elizabeth Niente Cognome? È lei che è morta?» Stevie Rae annuì, sbattendo con forza le palpebre nel tentativo più che evidente di non piangere. «È terribile», commentai, la voce tanto flebile da essere appena un sussurro. Ricordavo com'era stata premurosa riguardo al mio Marchio e come si era accorta che Erik mi guardava. «Ma l'ho vista a lezione di Recitazione e stava bene!» «È così che succede. Un momento il ragazzo o la ragazza seduto vicino a te sembra del tutto normale, e il momento successivo…» Stevie Rae rabbrividì ancora. «E gli altri vanno avanti come se niente fosse? Anche se qualcuno della scuola è appena morto?» Mi ricordavo che l'anno prima, quando un gruppo di fagioli del mio vecchio liceo aveva avuto un incidente in macchina nel fine settimana e due erano rimasti uccisi, il lunedì erano stati fatti venire a scuola degli psicologi in più oltre a quello solito e gli eventi sportivi erano stati cancellati per tutta la settimana. «Continua tutto in modo normale. È previsto che ci abituiamo all'idea che possa succedere a chiunque di noi. Vedrai. Si comporteranno tutti come se non fosse successo niente, soprattutto quelli delle classi superiori. Saranno solo quelli di terza e i migliori amici di Elizabeth a mostrare una qualche reazione. Quelli di terza – che siamo noi – devono comportarsi bene e superare la cosa. Probabilmente la sua compagna di stanza e gli amici più stretti staranno un po' in disparte per un paio di giorni, ma poi ci si aspetta che si riprendano.» Abbassò la voce. «A dirti la verità, io non penso che i vampiri pensino a noi come reali finché non ci Trasformiamo.» Ci riflettei su. Neferet non sembrava trattarmi come se fossi temporanea, aveva persino detto che era un'ottima cosa che il mio Marchio fosse già completato, anche se io non ero altrettanto sicura del mio futuro. Ma di certo non avrei detto niente che potesse suonare come se Neferet avesse un trattamento speciale per me. Non volevo essere «quella diversa». Volevo solo essere amica di Stevie Rae e integrarmi col mio nuovo gruppo. «È davvero tremendo», commentai alla fine. «Già, ma almeno, se succede, succede in fretta.» Una parte di me voleva conoscere i dettagli, ma un'altra aveva troppa paura anche solo di chiedere. Per fortuna Shaunee c'interruppe prima che riuscissi a farmi abbastanza coraggio da domandare quello che in realtà ero troppo spaventata per voler sapere. «Scusate tanto, ma quanto ci avete messo?» gridò dalla scalinata davanti al tempio. «Erin e Damien sono già dentro a tenerci il posto nel cerchio, ma sapete che una volta che il rito è iniziato non può più entrare nessuno. Spicciatevi!» Ci precipitammo su per le scale e ci affrettammo dietro a Shaunee. Un dolce fumo d'incenso mi avvolse non appena misi piede nell'atrio ad arco del tempio di Nyx. D'istinto esitai e Stevie Rae e Shaunee si voltarono verso di me. «Va tutto bene. Non c'è niente per cui essere nervosa o avere paura.» Stevie Rae incrociò il mio sguardo e aggiunse: «Almeno non qui dentro». «Il Rituale della Luna Piena è magnifico. Ti piacerà. Oh, quando la vamp ti traccia il pentacolo sulla fronte e dice: 'Benedetta sia', devi soltanto rispondere anche tu con: 'Benedetta sia'», mi spiegò Shaunee. «Poi ci segui al nostro posto nel cerchio.» Mi fece un sorriso rassicurante ed entrò per prima nella stanza scarsamente illuminata. Afferrai la manica di Stevie Rae. «Aspetta. Non voglio sembrare stupida, ma il pentacolo non è un segno del male o roba del genere?» «È quello che pensavo anch'io prima di arrivare qui. Ma tutte quelle storie sul male sono stronzate che mette in giro il Popolo della Fede in modo che…» Fece spallucce. «Diamine, non so neanche perché gli freghi così tanto che la gente – be', gli umani, è ovvio – creda che è un simbolo del male. La verità è che per circa un fantastiliardo di anni il pentacolo ha significato saggezza, protezione e perfezione. Cose positive così. È solo una stella a cinque punte. Quattro punte stanno per gli elementi e la quinta, quella rivolta in alto, per lo spirito. Tutto qui. Nessuna diavoleria.» «Il controllo», borbottai, felice di avere un motivo per smettere di pensare a Elizabeth e alla morte. «Eh?» «Il Popolo della Fede vuole controllare tutto, e parte di quel controllo consiste nel fatto che tutti devono sempre credere esattamente la stessa cosa. È per questo che vogliono che la gente pensi che il pentacolo sia male.» Scossi la testa con disgusto. «Lascia perdere. Andiamo. Sono più pronta di quanto pensassi. Entriamo.» Procedemmo nell'atrio e sentii un suono di acqua corrente. Superammo una bella fontana, poi l'ingresso curvò leggermente a sinistra. Nel vano ad arco di una porta c'era una vampira che non conoscevo, vestita completamente di nero, con una gonna lunga e una camicetta di seta con le maniche scampanate. L'unica decorazione che aveva era un ricamo d'argento della dea sul petto. Aveva lunghi capelli color grano e dalla mezzaluna sulla fronte partivano spirali color zaffiro che le incorniciavano il viso perfetto. «Quella è Anastasia. Insegna Incantesimi e Rituali, ed è anche la moglie di Dragone», bisbigliò Stevie Rae prima di presentarsi davanti alla vampira e posare il pugno sul cuore in segno di rispetto. Anastasia sorrise e intinse le dita nella ciotola di pietra che teneva in mano, quindi tracciò una stella a cinque punte sulla fronte di Stevie Rae. «Benedetta sia», disse. «Benedetta sia», rispose lei, poi mi lanciò un'occhiata d'incoraggiamento e sparì nella stanza fumosa. Respirai a fondo e presi la consapevole decisione di scacciare dalla mente ogni pensiero relativo a Elizabeth, alla morte e cose simili… almeno durante il rituale. Mi misi di fronte ad Anastasia e, imitando Stevie Rae, appoggiai il pugno chiuso sul cuore. La vampira tuffò le dita in quello che scoprii essere olio. «Ben trovata, Zoey Redbird, benvenuta alla Casa della Notte e alla tua nuova vita.» Tracciò il pentacolo sopra la mia mezzaluna. «E benedetta sia.» «Benedetta sia», mormorai, stupita del fremito che mi aveva attraversata quando la stella umida aveva preso forma sulla fronte. «Entra e unisciti ai tuoi amici. Non hai motivo di essere nervosa, credo che la Dea si stia già prendendo cura di te.» «Gr-grazie», replicai, quindi entrai in fretta nella stanza. C'erano candele ovunque. Bianche, immense, erano disposte lungo i muri o appese al soffitto tramite lampadari di ferro. Nel tempio, i candelabri da parete non reggevano lampade a olio come nel resto della scuola, ma facevano davvero il loro mestiere. Sapevo che quel posto in origine era una chiesa del Popolo della Fede dedicata a sant'Agostino, ma non somigliava alle altre chiese, non a quelle che avevo visto io, almeno. Oltre a essere illuminato soltanto da candele, non c'erano i banchi (tra l'altro, a me i banchi proprio non piacciono: non potrebbero essere più scomodi!) In realtà l'unico pezzo di arredamento nella grande sala era un antico tavolo di legno posto al centro che somigliava a quello in sala da pranzo. Solo che non era pieno soltanto di cibo e di vino, ma ospitava anche una statua di marmo della Dea con le braccia sollevate, molto simile al ricamo che portavano i vampiri. Sul tavolo c'erano parecchi bastoncini d'incenso e un enorme candelabro, le cui grosse candele bianche splendevano luminose. Poi i miei occhi furono attratti da una fiamma libera che si alzava da un incavo nel pavimento e guizzava con foga arrivando quasi all'altezza della vita. Era un bellissimo fuoco giallo e dava un senso di pericolo controllato, che sembrò trascinarmi a sé. Per fortuna il movimento delle mani di Stevie Rae mi distrasse prima che potessi seguire l'impulso di avvicinarmi alla fiamma. Fu allora che mi accorsi, stupendomi di non averlo notato prima, che c'era un immenso cerchio di persone, formato sia da studenti sia da vampiri adulti, che si estendeva lungo il perimetro della stanza. Sentendomi allo stesso tempo nervosa e intimorita, obbligai i piedi a muoversi in modo da prendere posto vicino a Stevie Rae. «Finalmente», disse sottovoce Damien. «Scusate il ritardo», replicai. «Lasciala stare, è già abbastanza nervosa», mi difese Stevie Rae. « Sstt! Comincia», sibilò Shaunee. Quattro sagome parvero materializzarsi negli angoli bui della sala, poi divennero donne e raggiunsero quattro punti all'interno del cerchio vivente, come fossero le direzioni di una bussola. Altre due entrarono dalla porta da cui ero passata anch'io e vidi che una era un uomo alto – ah, tirateci sopra una riga, volevo dire un vampiro (tutti gli adulti erano vampiri) – e, oh. Mio. Dio. Era da urlo. Un eccellente esempio dello stereotipo del vampiro bellissimo, anzi splendido, visto da vicino e dal vero. Era alto almeno un metro e ottantacinque e sembrava uscito dallo schermo del cinema. «Ecco l'unico motivo per cui come complementare ho scelto quel cavolo di Poesia», mormorò Shaunee. «Condivido pienamente, gemella», sussurrò sognante Erin. «Chi è?» domandai a Stevie Rae. «Loren Blake, Poeta Laureato Vampiro. È il primo Poeta Laureato degli ultimi duecento anni», bisbigliò. «E pensa che è solo sulla ventina, e in anni reali, non soltanto nell'aspetto.» Prima che potessi chiedere altro, lui cominciò a parlare e la mia bocca si ritrovò troppo impegnata a spalancarsi al suono della sua voce perché potessi fare altro che ascoltare. Ella splendida incede, come notte di limpido immenso e cieli di stelle. Mentre parlava, si muoveva lentamente verso il cerchio e, come se la sua voce fosse stata una musica, la donna che era entrata nella sala con lui cominciò a ondeggiare, quindi a danzare con grazia intorno alla parte esterna del cerchio vivente. E tutto il meglio di oscuro e di luce negli occhi e nell'aspetto suo rifulge. La donna che ballava aveva attirato l'attenzione di tutti e quasi trasalii accorgendomi che era Neferet. Indossava un lungo abito di seta tempestato di minuscole perline di cristallo che consentivano alla luce delle candele di cogliere ogni suo movimento e di farla splendere come un cielo stellato. I suoi gesti sembravano dare vita alle parole dell'antica poesia (perlomeno il mio cervello lavorava ancora abbastanza bene da farmela riconoscere come Ella splendida incede di Lord Byron). Dolce in quel tenero chiarore che il cielo nega allo sfarzo del giorno. Non so come, Neferet e Loren riuscirono a trovarsi al centro del cerchio proprio mentre lui finiva di recitare i versi. Poi Neferet prese un calice dal tavolo e lo sollevò, come a offrire da bere al cerchio. «Benvenuti, figli di Nyx, alle celebrazioni della Dea in occasione della luna piena!» «Ti salutiamo con gioia», risposero in coro tutti gli adulti. Neferet sorrise e rimise a posto il calice, prendendo invece un lungo accenditoio per candele. Quindi attraversò il cerchio e si fermò davanti a una vampira che non conoscevo, in piedi in quello che doveva essere il punto d'inizio. Salutò Neferet con la mano sul cuore prima di voltarsi dandole le spalle. « Psstt!» bisbigliò Stevie Rae. «Mentre Neferet evoca i quattro elementi e percorre il cerchio di Nyx, noi dobbiamo rivolgerci nelle quattro direzioni. La prima è l'est, che rappresenta l'aria.» Quindi tutti, inclusa me con la mia rapidità da bradipo, ci voltammo verso est. Con la coda dell'occhio vidi Neferet sollevare le braccia sopra la testa mentre la sua voce risuonava sulle pareti di pietra del tempio. «Da est io ti chiamo, aria, e ti chiedo di portare in questo cerchio il dono della sapienza, in modo che il nostro rituale sia pieno di discernimento.» Nell'attimo in cui Neferet cominciò a pronunciare l'invocazione sentii l'aria cambiare. Si mosse intorno a me, scompigliandomi i capelli e riempiendomi le orecchie dei suoni del vento che sospira tra le foglie. Mi guardai intorno, aspettandomi di vedere che pure tutti gli altri erano stati travolti da un mini tornado, ma nessuno aveva i capelli spettinati come me. Strano. La vamp nel punto dell'est trasse dalle pieghe dell'abito una grossa candela gialla che Neferet accese. La sollevò, quindi la posò ai suoi piedi. «Girati a destra per il fuoco», mormorò Stevie Rae. Ci voltammo e Neferet riprese. «Da sud io ti chiamo, fuoco, e ti chiedo di accendere in questo cerchio il dono della forza di volontà, in modo che il nostro rituale sia vincolante e autorevole.» Il vento che aveva soffiato con forza su di me fu sostituito da una sensazione di calore. Non era sgradevole, piuttosto somigliava alla vampata che si prova quando si entra in una vasca bollente, ma abbastanza intensa da farmi sudare leggermente. Guardai Stevie Rae. Teneva la testa un po' sollevata e gli occhi chiusi. Ma sul suo viso non c'era traccia di sudore. Il calore aumentò di colpo e voltandomi vidi che Neferet aveva acceso la grande candela rossa tenuta in mano da Pentesilea che, come aveva fatto la vampira rivolta a est, la sollevò in offerta prima di posarla a terra davanti a sé. Questa volta non servì il colpo di gomito di Stevie Rae per farmi girare ancora a destra in direzione ovest. Non so come, sapevo già non solo che dovevamo voltarci, ma anche che il successivo elemento a essere chiamato sarebbe stato l'acqua. «Da ovest io ti chiamo, acqua, e ti chiedo d'impregnare questo cerchio di compassione, in modo che la luce della luna piena possa essere usata per concedere al nostro gruppo la guarigione oltre che la comprensione.» Neferet accese la candela blu della vampira rivolta a ovest, che la sollevò e se la posò ai piedi, e l'odore salmastro del mare mi riempì le narici. Impaziente, completai il cerchio voltandomi verso nord, sapendo che avrei abbracciato la terra. «Da nord io ti chiamo, terra, e ti chiedo di far crescere in questo cerchio il dono del palesamento, in modo che i desideri e le preghiere di stanotte abbiano buon esito.» Di colpo potei percepire sotto i piedi la morbidezza di un campo erboso, sentii l'odore del fieno e udii il canto degli uccelli. Una candela verde venne accesa e posta ai piedi della «terra». Probabilmente avrei dovuto spaventarmi per quelle strane sensazioni che nascevano in me, invece mi riempivano di una leggerezza quasi esagerata: mi sentivo bene. Talmente bene che, quando Neferet si volse verso la fiamma che ardeva al centro della sala e tutti ci voltammo in quella direzione, dovetti stringere le labbra con forza per evitare di scoppiare in una risata. Il poeta bello da morire era in piedi dall'altra parte del fuoco rispetto a Neferet e vidi che teneva in mano una candela viola. «E infine io chiamo te, spirito, a completare il nostro cerchio, e ti chiedo di colmarci di legami, in modo che, in quanto tuoi figli, possiamo prosperare insieme.» Non potevo crederci, ma, quando il poeta accese la candela alla grande fiamma nel pavimento e la posò sul tavolo, sentii il mio spirito agitarsi, come se dentro al mio petto ci fosse un grande batter d'ali. Poi Neferet cominciò a girare intorno all'interno del cerchio, parlando con noi, incrociando il nostro sguardo, includendoci nelle sue parole. «Questo è il momento della pienezza lunare. Tutte le cose crescono e calano, persino i figli di Nyx, i suoi vampiri. Ma in questa notte le forze della vita, della magia e della creazione sono al loro massimo fulgore, come la luna della nostra Dea. Questo è il momento di costruire… di fare.» Il cuore mi batteva forte mentre la ascoltavo e mi resi conto con un certo sussulto che in realtà stava facendo una predica. Si trattava di un servizio religioso, ma la creazione del cerchio e le parole di Neferet mi toccarono come mai nessun sermone aveva neanche minimamente cominciato a fare. Mi guardai intorno. Magari era l'ambiente. La sala era resa nebbiosa dal fumo dell'incenso e magica dal guizzare delle candele. E Neferet era tutto quello che doveva essere una Somma Sacerdotessa. La sua bellezza era una fiamma di per sé e la sua voce aveva una magia che incantava tutti. Nessuno era accasciato sul banco a sonnecchiare o giocava a sudoku di nascosto. «Questo è un momento in cui il velo tra il mondo terreno e lo splendido e singolare regno della Dea si fa davvero sottile. In questa notte si possono trascendere con facilità i confini tra i mondi, e conoscere la bellezza e l'incanto di Nyx.» Sentivo le parole di Neferet scivolare su di me e stringermi la gola. Rabbrividii e all'improvviso il mio Marchio divenne caldo e prese a pizzicare. Quindi il poeta disse con la sua voce profonda e intensa: «Questo è un momento in cui dare vita all'etereo, intessendo i fili di spazio e tempo per dare inizio alla Creazione. Perché la vita è un cerchio oltre che un mistero. La nostra Dea lo capisce e lo stesso vale per il suo consorte, Erebo». Improvvisamente mi sentii meglio riguardo alla morte di Elizabeth, che non mi sembrò più tanto orribile e spaventosa, ma piuttosto una parte del mondo naturale, un mondo in cui tutti avevamo un posto. Loren continuò: «Luce… buio… giorno… notte… morte… vita… è tutto legato insieme dallo spirito e dal tocco della Dea. Se manteniamo l'equilibrio e guardiamo alla Dea, possiamo imparare a tessere un incantesimo coi raggi di luna e creare con esso un tessuto di pura materia magica, da tenere con noi tutti i giorni della nostra esistenza». «Chiudete gli occhi, figli di Nyx», disse Neferet. «E inviate un desiderio segreto alla vostra Dea. Stanotte, quando il velo tra i mondi è sottile, quando la magia agisce nel mondo terreno, forse Nyx esaudirà le vostre richieste e vi avvolgerà nella foschia lieve come la ragnatela dei sogni realizzati.» Magia! Stavano realmente pregando per la magia! Avrebbe funzionato? Poteva funzionare? C'era davvero la magia in questo mondo? Ricordavo la maniera in cui il mio spirito era stato in grado di vedere le parole e come la Dea mi aveva chiamata nel crepaccio con la sua voce visibile, e poi mi aveva baciato la fronte cambiando la mia vita per sempre. E come, appena un attimo fa, avevo percepito la forza del richiamo degli elementi fatto da Neferet. Non me l'ero immaginato, non potevo essermelo immaginato. Chiusi gli occhi e pensai alla magia che sembrava circondarmi, quindi mi rivolsi alla notte: Il mio desiderio segreto è d'integrarmi e sentirmi parte di un gruppo… di avere finalmente trovato una casa che nessuno mi possa togliere. Nonostante l'insolito calore del mio Marchio, avevo la testa leggera e mi sentivo inspiegabilmente felice. Neferet ci disse di aprire gli occhi e, con una voce allo stesso tempo dolce e potente, di donna e guerriera assieme, continuò il rito. «Questo è il momento in cui viaggiare non visti alla luce della luna. Il momento per ascoltare musica non creata da mani umane o vampire. È il momento di comunione coi venti che ci accarezzano» – Neferet chinò leggermente la testa a est – «e col fulmine che imita la primigenia scintilla di vita.» Chinò la testa a sud. «È il momento in cui trovare diletto nel mare eterno e nella calda pioggia che ci placa, come nella terra verdeggiante che ci circonda e ci sostiene.» Indicò col capo prima l'ovest e poi il nord. E ogni volta che Neferet nominava un elemento avevo la sensazione di essere attraversata da una dolce scossa elettrica. Poi le quattro donne che impersonavano gli elementi si mossero all'unisono verso il tavolo dove, assieme a Neferet e a Loren, sollevarono ciascuna un calice. «Salute a te, Dea della Notte e della luna piena!» disse Neferet. «Salute a te, Notte, da cui deriva la nostra benedizione. In questa notte ti rendiamo grazie!» Col calice in mano, le quattro donne si separarono tornando al proprio posto nel cerchio. «Nel potente nome di Nyx», riprese Neferet. «E di Erebo», aggiunse il poeta. «Chiediamo dall'interno del tuo sacro cerchio che tu ci dia la conoscenza per parlare il linguaggio della natura, di volare liberi come gli uccelli, di vivere la forza e la grazia dei felini e di trovare nella vita un'estasi e una gioia che portino alla pienezza del nostro essere. Benedetta sia!» Non riuscivo a smettere di sorridere. In chiesa non avevo mai ascoltato parole simili e, sicuro come l'inferno, lì non mi ero neanche mai sentita così piena di energia! Neferet bevve dal calice che teneva in mano, quindi l'offrì a Loren, che bevve e disse: «Benedetta sia». Ripetendo i loro gesti, le quattro donne si spostarono rapide intorno al cerchio, permettendo a tutti, novizi e adulti, di bere da uno dei calici. Quando fu il mio turno fui felice di vedere che a offrirmi da bere e la benedizione fosse il volto familiare di Pentesilea. Era vino rosso e mi aspettavo che fosse aspro, come il sorso del Cabernet che mia mamma tiene nascosto che avevo assaggiato una volta (e che proprio non mi era piaciuto), ma non era così. Era dolce e speziato e rese la mia testa ancora più leggera. Quando tutti ebbero bevuto, i calici furono riportati al tavolo. «Stasera voglio che ciascuno di voi passi almeno un momento da solo nella luce della luna piena: che i suoi raggi vi ristorino e vi aiutino a ricordare quanto siete straordinari… o quanto lo diventerete.» Neferet sorrise ad alcuni novizi, me inclusa. «Compiacetevi della vostra unicità. Crogiolatevi nella vostra forza. Noi stiamo separati dal mondo a causa del nostro dono. Non dimenticatelo mai, perché potete essere certi che il mondo non lo farà. Ora chiudiamo il cerchio e abbracciamo la notte.» In ordine inverso, Neferet ringraziò ciascun elemento, allontanandosi quando ciascuna candela veniva spenta. Mentre lo faceva, percepii una punta di tristezza, come stessi dicendo addio a degli amici. Poi terminò il rituale. «Il rito è concluso. Ben trovati, ben lasciati e ben trovati di nuovo!» I presenti le fecero eco. «Ben trovati, ben lasciati e ben trovati di nuovo!» E questo fu tutto. Il mio primo rito della Dea era finito. Il cerchio si spezzò in fretta, più di quanto avrei voluto. Avrei desiderato rimanere lì a pensare alle cose incredibili che avevo provato, soprattutto al momento della chiamata degli elementi, ma non fu possibile. Venni trascinata fuori del tempio su un'onda di chiacchiere. Ero contenta che fossero tutti così impegnati a parlare da non accorgersi di quant'ero silenziosa; non pensavo proprio di riuscire a spiegare ad altri quello che mi era appena successo. Diavolo! Non riuscivo a spiegarlo nemmeno a me stessa. «Ehi, pensate che stasera ci sarà di nuovo cibo cinese? Mi era piaciuta un sacco la strana roba che ci avevano dato dopo l'ultimo rito della luna piena», disse Shaunee. «Per non parlare del mio biscotto della fortuna che diceva: 'Ti farai un nome nella vita', che è una gran figata.» «Ho talmente fame che non m'importa cosa, basta che ci diano da mangiare», replicò Erin. «Anch'io», intervenne Stevie Rae. «Per una volta siamo perfettamente d'accordo», convenne Damien prendendo sottobraccio Stevie Rae e me. «Andiamo a mangiare.» E di colpo, ricordai. «Oh, ragazzi.» Il piacevole fremito che mi aveva procurato il rito era scomparso. «Non posso venire. Io devo…» «Che cretini!» Stevie Rae si assestò una manata in fronte tanto forte da fare uno schiocco. «Ce ne siamo completamente dimenticati.» «Ah, merda!» sbottò Shaunee. «Le streghe infernali», concluse Erin. «Vuoi che ti tenga un piatto di qualcosa?» mi chiese con gentilezza Damien. «No. Afrodite ha detto che mi daranno da mangiare loro.» «Probabilmente carne cruda», commentò Shaunee. «Già, di qualche poveretto preso nella sua schifosa ragnatela», aggiunse Erin. «Intende quella che ha in mezzo alle gambe», esplicito Shaunee. «Smettetela, state mandando Zoey in paranoia!» Stevie Rae cominciò a spingermi verso la porta. «Le faccio vedere dov'è la sala di ricreazione, poi noi ci troviamo a tavola.» «Okay, dimmi che stavano scherzando sulla carne cruda», la implorai quando fummo fuori. «Stavano scherzando?» ripetè Stevie Rae in modo per niente convincente. «Grandioso. Non mi piace neanche la bistecca al sangue. Che faccio se vogliono davvero farmi mangiare carne cruda?» Mi rifiutavo di pensare a che tipo di carne potesse essere. «Credo di avere un Digerix in borsa. Lo vuoi?» chiese Stevie Rae. «Sì», risposi sentendo già arrivare la nausea. 16 «Ecco qui.» Stevie Rae si era fermata con un'evidente aria di disagio e di scuse davanti alla scalinata che portava a un edificio rotondo di mattoni posto su una collinetta che dominava il lato est del muro di cinta. Immense querce creavano buio nel buio, al punto che riuscivo a malapena a intravedere il guizzare delle luci che illuminavano l'entrata. Dall'interno non proveniva nessun chiarore, perché le lunghe finestre ad arco, dai vetri probabilmente colorati, erano state oscurate. Cercavo di sembrare coraggiosa. «Okay, sì. Be', grazie del Digerix. E tienimi il posto. Questa roba non potrà mica durare tanto. Dovrei riuscire a raggiungervi per cena.» «Non metterti fretta. Davvero. Potresti incontrare qualcuno che ti piace e volerti fermare un po'. Non ti devi preoccupare se va così, perché io non mi arrabbio e dirò a Damien e alle gemelle che sei in ricognizione.» «Stevie Rae, io non diventerò una di loro.» «Ti credo», disse, ma i suoi occhi erano sgranati in maniera sospetta. «Allora ci vediamo presto.» «Okay. A presto», replicò percorrendo il marciapiede che riportava all'edificio principale. Non mi andava di vederla andare via: aveva l'aria triste e derelitta di un cucciolo che è stato sgridato. Perciò salii la scala e mi dissi che non sarebbe stata poi una gran cosa, comunque niente di peggio di quando la mia sorella similBarbie mi aveva convinta ad andare con lei al campo per cheerleader (okay, non so cosa mi fosse passato per la testa). Perlomeno il disastro non sarebbe durato una settimana. Probabilmente avrebbero creato un altro cerchio – cosa che, a dire il vero, era stata fantastica –, pronunciato qualche strana preghiera come aveva fatto Neferet e poi ci sarebbe stata la cena. Quello sarebbe stato il momento per me di fare un bel sorriso e andarmene via. Detto-fatto. Le torce ai lati dello spesso portone di legno erano a gas, non a fiamma libera come nel tempio di Nyx. Allungai la mano verso il pesante battente di ferro ma, con un preoccupante rumore simile a un sospiro, la porta si aprì verso l'interno. «Ben trovata, Zoey.» Oh. Mio. Dio. Era Erik. Era tutto vestito di nero e con quei capelli ricci e scuri e gli occhi di un azzurro impossibile mi fece venire in mente Clark Kent – be', okay, nella versione senza occhiali da sfigato e penosi capelli impomatati… perciò… immagino che questo significhi che mi fece venire in mente (ancora) Superman –, be', senza mantello o tutina o grande S… Quel gran blaterare nel cervello mi si spense di botto quando lui appoggiò il dito bagnato nell'olio sulla mia fronte e tracciò le cinque punte del pentacolo. «Benedetta sia.» «Benedetta sia», replicai, e non dirò mai grazie abbastanza perché la mia voce non uscì a gracchio, raschio o strilletto. Ah, ragazzi, che buon odore aveva. Ma non riuscivo a capire che cosa fosse. Non si trattava dei noiosi, iperusati dopobarba che i maschi si mettono a litri. Era un odore di… un odore di… di foresta e di notte dopo la pioggia… di qualcosa di legato alla terra e al pulito e… «Puoi entrare», mi stava dicendo. «Oh, ah, grazie», replicai con grande sfoggio di genialità. Entrai. E mi fermai. L'interno era costituito da un'unica grande sala, le cui pareti circolari erano coperte da tendoni di velluto nero che bloccavano completamente le finestre e la luce argentata della luna. Riuscivo a vedere che sotto ai teli c'erano delle strane sagome e stavo cominciando a darci dentro di paranoia quando mi ricordai che – guarda guarda – era una sala ricreativa, quindi dovevano aver spostato televisori e giochi vari ai lati, nascondendo il tutto per creare un'atmosfera più inquietante. Poi la mia attenzione venne attirata dal cerchio in mezzo alla stanza, realizzato con candele messe in alti contenitori di vetro rosso, simili ai ceri votivi che si possono comprare nel reparto cibi messicani delle drogherie e che odorano di rosa e vecchie signore. Dovevano essercene oltre un centinaio e illuminavano con una spettrale luce rossa i ragazzi, che formavano un secondo cerchio poco più ampio e intanto parlavano e ridevano. Erano tutti vestiti di nero e notai subito che nessuno aveva ricamato emblemi che indicassero la classe ma portavano invece una grossa catena d'argento da cui pendeva uno strano simbolo. Sembrava formato da due mezzelune messe una contro l'altra con le punte all'esterno e appoggiate su una luna piena. «Eccoti qui, Zoey!» La voce di Afrodite scivolò nella stanza un passo avanti a lei. Indossava un abito nero lungo che scintillava di perline di onice, facendomi venire in mente una versione dark del bel vestito di Neferet. Portava lo stesso ciondolo degli altri, ma il suo era più grande e contornato di pietre rosse che potevano essere granati. I capelli biondi tenuti sciolti la circondavano come un velo. Era davvero troppo bella. «Grazie, Erik, di avere dato il benvenuto a Zoey. Adesso posso occuparmene io.» Si comportava in modo normale e per un istante appoggiò persino la punta delle dita curate alla perfezione sul braccio di Erik, in quello che una persona non al corrente avrebbe considerato un gesto amichevole, ma l'espressione della sua faccia raccontava una storia del tutto diversa. Era dura e gelida e i suoi occhi sembravano bruciare in quelli di lui. Erik la guardò a malapena e levò il braccio con intenzione, poi mi rivolse un rapido sorriso e, senza degnare Afrodite di un'altra occhiata, si allontanò. Grandioso. Mi mancava solo di trovarmi in mezzo a una brutta rottura tra quei due, ma, nonostante tutto, sembrava non riuscissi a impedire che i miei occhi seguissero lui dall'altra parte della stanza. Stupida. Di nuovo. Sigh. Afrodite si schiarì la voce e io cercai (con risultati pessimi) di non sembrare una beccata a fare qualcosa che non doveva. Il suo sorriso furbo e maligno diceva che non c'erano dubbi sul fatto che avesse notato il mio interesse per Erik (e il suo per me) e, di nuovo, mi chiesi se sapesse che il giorno prima in corridoio c'ero io. Be', di certo non potevo domandarglielo. «Devi spicciarti, ma ti ho portato qualcosa per cambiarti.» Afrodite parlava in fretta, intanto mi faceva segno di seguirla nel bagno delle ragazze. Mi lanciò un'occhiata piena di disgusto da dietro le spalle. «Non puoi certo venire al rito delle Figlie Oscure vestita così.» In bagno, mi tese bruscamente un abito appeso a una delle pareti divisorie e in pratica mi spinse a forza nel cubicolo. «Puoi mettere i tuoi vestiti sull'ometto e riportarteli al dormitorio così.» Sembrava che non ci fosse la possibilità di discutere con lei e, comunque, mi sentivo già abbastanza un'estranea. Vestire in modo diverso dagli altri mi faceva sentire come se fossi andata a un party con un costume da papera perché nessuno mi aveva detto che non era una festa in maschera e tutti avrebbero messo i jeans. M'infilai il vestito nero dalla testa, sospirando di sollievo quando vidi che mi andava bene. Era semplice ma mi donava. Era fatto con una stoffa di quelle morbide e aderenti che non si stropicciano, aveva le maniche lunghe e uno scollo tondo che mostrava molto delle mie spalle (meno male che avevo il reggiseno nero). Intorno alla scollatura, in fondo alle maniche e sull'orlo, che mi arrivava giusto sopra il ginocchio, erano cucite delle piccole perline rosse. Era proprio bello. Mi rinfilai le scarpe pensando, soddisfatta, che un bel paio di ballerine va praticamente con tutto e uscii dal bagno. «Be', perlomeno è della misura giusta», commentai. Mi accorsi però che Afrodite non guardava il vestito ma fissava il mio Marchio, cosa che mi scocciava da matti. Okay, il mio Marchio è tutto colorato. Lo sappiamo e adesso basta! Però non dissi niente. Insomma, quella era la sua «festa» e io ero un'ospite. Traduzione: gli altri erano decisamente in soprannumero, quindi meglio fare la brava. «Ovviamente sarò io a condurre il rito, quindi sarò troppo impegnata per tenerti per manina.» Okay, avrei dovuto tenere la bocca chiusa, ma mi stava dando davvero sui nervi. «Senti, Afrodite, non ho bisogno che tu mi tenga per mano.» Socchiuse le palpebre e mi preparai ad affrontare un'altra scenata da isterica. Invece si esibì in un sorriso assolutamente sgradevole, che la fece sembrare un cane ringhioso. Con questo non intendevo darle della cagna, ma l'analogia sembrava accurata in modo preoccupante. «È ovvio che tu non abbia bisogno che ti si tenga per mano. Supererai con disinvoltura anche questo piccolo rituale come hai fatto con tutto il resto. Insomma, dopotutto sei la nuova prediletta di Neferet.» Splendido. Oltre alla questione Erik e al problema del mio strano Marchio, era pure gelosa perché Neferet era la mia mentore. «Afrodite, non credo di essere la nuova prediletta di Neferet. Sono soltanto nuova.» Cercai di sembrare logica, sorrisi perfino. «Come vuoi. Allora, sei pronta?» Abbandonai il tentativo di ragionare con lei e annuii. Non vedevo l'ora che tutta quella menata del rituale fosse finita. «Bene. Andiamo.» Mi accompagnò fuori dei bagni e fino al cerchio, dove raggiungemmo due ragazze che riconobbi come le altre «streghe infernali» che l'avevano seguita in mensa. Solo che, invece della smorfia da ho-appenamangiato-un-limone, mi accolsero con un sorriso caloroso. No. Non mi facevo fare fessa, ma costrinsi anche la mia faccia a sorridere. Quando si è in territorio nemico è meglio mimetizzarsi e avere un'aria modesta e/o stupida. «Ciao, io sono Enio», esordì la più alta delle due. Naturalmente era bionda, ma i suoi lunghi riccioli fluenti erano più color grano che color oro, anche se alla luce delle candele era difficile essere certi di quale cliché rappresentasse la descrizione più appropriata. E continuavo a non credere che fosse bionda naturale. «Ciao», risposi. «E io sono Deino», le fece eco l'altra. Era evidentemente lo splendido risultato di un mix di razze, una strabiliante combinazione di meravigliosa pelle caffè-con-molta-panna e stupendi riccioli folti che probabilmente non avevano mai osato diventare crespi neanche in caso d'iperumidità. Tutte e due erano perfette in modo sconcertante. «Ciao», salutai di nuovo. Sentendomi ben più che claustrofobica, mi spostai nello spazio che mi avevano fatto in mezzo a loro. «Godetevi il rituale, voi tre», cinguettò Afrodite. «Oh, lo faremo!» risposero in stereo Enio e Deino. Le tre amiche si scambiarono un'occhiata che mi fece venire la pelle d'oca. Distolsi l'attenzione da loro prima che il buonsenso avesse la meglio sull'orgoglio e decidessi di schizzare via da quel posto. Adesso avevo una buona visuale della parte interna del cerchio, simile a quello nel tempio di Nyx, tranne che vicino al tavolo c'era una sedia su cui era seduto qualcuno. Be', più o meno seduto. A dire il vero, chiunque fosse era mezzo stravaccato e aveva il cappuccio di un mantello sulla testa. Mirati… Comunque, il tavolo era decorato con lo stesso velluto nero delle pareti e vi era posta sopra una statua della Dea assieme a un portafrutta, del pane, parecchi calici, una brocca. E un coltello. Strizzai gli occhi per essere sicura di aver visto bene. Già. Era proprio un coltello, col manico d'osso e una lunga lama ricurva dall'aria pericolosa e decisamente troppo affilata perché fosse prudente tagliarci il pane o la frutta. Una ragazza che mi sembrava di aver visto al dormitorio stava accendendo numerosi grossi bastoncini d'incenso posti in eleganti bruciaessenze intagliati sistemati sul tavolo, ignorando del tutto la persona stravaccata sulla sedia. Cavolo, ma stava dormendo? L'aria cominciò immediatamente a riempirsi di fumo e giuro che era verdognolo e che si muoveva nella stanza in spirali dall'aria spettrale. Mi aspettavo che avesse un odore dolce, come l'incenso nel tempio di Nyx, ma, quando mi raggiunse e lo respirai, mi stupì per il suo gusto amaro. Mi risultava familiare e cercai di capire cosa fosse. C'erano sicuramente alloro e chiodi di garofano (dovevo ricordarmi di ringraziare nonna Redbird per avermi insegnato a riconoscere le spezie dall'odore). Annusai di nuovo, interessata, e mi si annebbiò un po' la testa. Strano. Okay, l'incenso era insolito e sembrava cambiare mentre riempiva la stanza, come il profumo costoso che si modifica a seconda della persona che lo mette. Inspirai ancora. Già. Chiodi di garofano e alloro, ma alla fine c'era anche qualcos'altro; qualcosa che rendeva quell'odore penetrante e amaro… oscuro e mistico e seducente e… ammiccante. Ammiccante? Avevo capito. Oh, diavolo, stavano riempiendo la stanza di marijuana mista a spezie! Incredibile. Avevo resistito alle pressioni dei compagni e per anni avevo detto «no» anche all'offerta più gentile di provare uno di quei grossi cannoni fatti in casa che si fanno passare alle feste e a tutto il resto (cioè, fatemi il piacere! Ma non è neanche igienico! E poi perché dovrei volermi fare con una droga che mi farà voler mangiare in modo ossessivo merendine e schifezze varie iperingrassanti?) e adesso eccomi lì, immersa nel fumo di erba. Sigh. Kayla non ci avrebbe mai creduto. Poi, in preda alla paranoia (probabilmente un altro effetto collaterale dell'assalto dell'erba), mi guardai intorno, certa di vedere un professore pronto a schizzare dentro all'improvviso e a trascinarci tutti via per portarci in… in… non so, qualche posto particolarmente orribile, come un campo di rieducazione per adolescenti problematici. Per fortuna, a differenza che nel cerchio di Nyx, lì non erano presenti adulti, ma soltanto una ventina di ragazzi, che parlavano tranquilli e si comportavano come se l'assolutamente illegale incenso alla marijuana non fosse niente di che (teste fumate). Cercando di fare respiri poco profondi, mi rivolsi alla ragazza alla mia destra. Quando non sai che fare (o sei nel panico), chiacchiera. «Be'… Deino è un nome… originale. Significa qualcosa di speciale?» «Deino significa terribile», rispose con un dolce sorriso. Dall'altra parte, intervenne tutta allegra la stangona bionda: «Ed Enio significa bellicosa». «Ah…» commentai, sforzandomi di essere educata. «Già. E quella che accende l'incenso si chiama Pefredo, che significa vespa», spiegò Enio. «Abbiamo preso i nomi dalla mitologia greca. Erano le tre sorelle delle Gorgoni. Il mito dice che sono nate vecchie e che avevano un solo occhio in tre, ma abbiamo deciso che probabilmente sono stronzate della propaganda maschilista scritte da uomini che volevano reprimere le donne forti.» «Davvero?» Non sapevo cos'altro dire. Davvero. «Già. I maschi umani fanno schifo», replicò Deino. «Dovrebbero morire tutti», aggiunse Enio. Su quell'amorevole concetto, all'improvviso iniziò una musica che rese impossibile (per fortuna) continuare a parlare. Okay, la musica era inquietante. Aveva un ritmo pulsante, allo stesso tempo antico e moderno, come se qualcuno avesse mixato una di quelle oscene canzoni arrapanti con una danza tribale di accoppiamento. E poi, lasciandomi sotto shock, Afrodite cominciò a girare ballando intorno al cerchio. Sì, immagino si possa dire che era sexy. Voglio dire, aveva un bel corpo e si muoveva come Catherine Zeta-Jones in Chicago, ma non so come su di me non funzionava. E non perché non sono gay (anche se non sono gay), non funzionava perché sembrava un'imitazione volgare della danza di Neferet sui versi di Ella splendida incede. Se quella musica fosse stata una poesia, sarebbe stata piuttosto Una sgualdrina ancheggia e sculetta. Durante l'esibizione in gran dimenamento di Afrodite tutti, naturalmente, guardavano lei, perciò diedi uno sguardo intorno al cerchio, fingendo di non stare davvero cercando Erik, finché… oh, cavolo… lo trovai proprio quasi di fronte a me. Ed era l'unico ragazzo nella stanza a non fissare Afrodite. Perché guardava me. Prima di riuscire a decidere se distogliere lo sguardo, sorridergli, fargli un cenno o chissà cos'altro (Damien mi aveva detto di sorridergli, e Damien era un autoproclamato esperto di ragazzi), la musica si fermò e spostai gli occhi da lui ad Afrodite. Era al centro del cerchio, di fronte al tavolo, dove prese un grosso cero viola in una mano e il coltello nell'altra. La candela era accesa e lei, tenendola davanti a sé come a illuminare la strada, la portò a lato dove mi accorsi che, tra tutti i ceri rossi, ce n'era uno giallo. Non ebbi bisogno delle indicazioni di Bellicosa né di quelle di Terribile (hiii!) per girarmi verso est. Mentre il vento mi scompigliava i capelli, con la coda dell'occhio vidi che Afrodite aveva acceso la candela gialla e sollevava il coltello, incidendo nell'aria un pentacolo mentre recitava: O venti di tempesta, nel nome di Nyx io vi evoco, mandate la vostra benedizione, io vi chiedo, sul cerchio magico che qui verrà creato! Devo ammettere che era brava. Anche se non aveva la forza di Neferet, era chiaro che si era esercitata a controllare la voce e il suono delle sue parole di seta si propagava con facilità. Ci voltammo a sud e lei si avvicinò a una grande candela rossa in mezzo ad altre dello stesso colore, mentre io potevo percepire sulla pelle quello che già riconoscevo come il potere del fuoco e del cerchio magico. O fuoco del fulmine, nel nome di Nyx io ti evoco, portatore di tempeste e della forza della magia, io chiedo il tuo aiuto per l'incantesimo che qui sto creando! Ci voltammo ancora e, assieme ad Afrodite, mi sentii avvampare e incredibilmente attratta dalla candela blu che stava in mezzo a quelle rosse. Anche se mi spaventava da morire, dovetti trattenermi dall'uscire dal cerchio e unirmi a lei nell'invocazione all'acqua. O torrenti di pioggia, nel nome di Nyx io vi evoco, unitevi a me con la vostra forza travolgente, nel realizzare questo potente rituale! Cosa diavolo c'era di sbagliato in me? Sudavo e, invece di essere un po' accaldata come nel rito precedente, il Marchio sulla mia fronte si era fatto bollente e giuro che nelle orecchie sentivo il ruggito del mare. Stordita, mi voltai ancora a destra. O terra, profonda e umida, nel nome di Nyx io ti evoco, che io possa percepire il tuo movimento nel rombo della tempesta di potere che si compie quando mi assisti in questo rito! Afrodite fendette di nuovo l'aria e sentii pizzicare il palmo della mano destra, come se mi facesse male per avere stretto il coltello. Sentii l'odore di erba falciata e udii il grido di un caprimulgo, quasi avesse un nido invisibile nell'aria proprio accanto a me. Afrodite tornò al centro, quindi rimise al suo posto la candela viola ancora accesa e completò la creazione del cerchio. O spirito, libero e selvaggio, nel nome di Nyx io ti evoco a me! Rispondimi! Restami accanto durante questo grandioso rituale e concedimi il potere della tua Dea! Chissà come, sapevo cosa stava per fare. Potevo udire le parole nella mia mente… nel mio spirito. Quando Afrodite sollevò il calice e cominciò a camminare intorno al cerchio, percepii le sue parole e, anche se non aveva l'eleganza e la forza di Neferet, ciò che disse mi accese, come bruciassi dall'interno. «Questo è il tempo della pienezza della luna della nostra Dea. C'è qualcosa di magnifico in questa notte di cui gli antichi conoscevano i misteri, che usavano per diventare più forti… e per strappare il velo tra i mondi e vivere avventure che oggi possiamo soltanto sognare. Segreta… misteriosa… magica… vera bellezza e vero potere in forma vampira, non contaminata da regole o leggi umane. Noi non siamo umani!» Con quelle parole, la sua voce risuonò contro le pareti in modo molto simile a quella di Neferet. «E tutto ciò che voi, Figlie e Figli Oscuri, chiedete in questa notte durante questo rito è quanto abbiamo domandato a ogni luna piena lo scorso anno: di liberare il potere che c'è in noi in modo che, come i possenti felini selvatici, siamo in grado di conoscere la sinuosa agilità dei nostri fratelli animali e non essere legati dalle catene degli umani né ingabbiati dalla loro ignorante debolezza.» Afrodite si era fermata giusto davanti a me. Sapevo di essere arrossita e di avere il fiato corto, proprio come lei. Che sollevò il calice e me lo offrì. «Bevi, Zoey Redbird, e unisciti a noi nel domandare a Nyx ciò che è nostro per diritto di sangue e di corpo, il Marchio della grande Trasformazione… quel Marchio che ha già apposto su di te.» Sì, lo so. Probabilmente avrei dovuto dire di no. Ma come facevo? E all'improvviso non volevo dire di no. Afrodite decisamente non mi piaceva e non mi fidavo di lei, ma quello che stava dicendo non era fondamentalmente vero? Mi tornò alla mente forte e chiara la reazione di mia madre e del mio patrigno al mio Marchio, oltre all'espressione spaventata di Kayla e al disgusto di Drew e Dustin. E come nessuno mi avesse chiamata, nemmeno messaggiata, da quando ero andata via. Avevano semplicemente lasciato che venissi scaricata lì ad affrontare una vita nuova tutta da sola. Questo mi rattristò, ma mi fece anche molto arrabbiare. Presi il calice di Afrodite e bevvi un bel sorso. Era vino, ma non aveva lo stesso sapore di quello nell'altro rituale della luna piena. Era dolce anche questo, ma c'era in più una spezia che aveva un sapore mai assaggiato prima. Provocò un'esplosione di sensazioni nella mia bocca, che tracciò un sentiero bollente, dolce e amaro, lungo tutta la gola e mi riempì di un vertiginoso desiderio di berne ancora, e ancora, e ancora. «Benedetta sia», mi sibilò Afrodite levandomi il calice dalle mani così di scatto da rovesciarmi sulle dita qualche goccia di liquido rosso. Quindi mi rivolse un sorriso tirato e trionfante. «Benedetta sia», replicai in automatico, la testa che ancora girava per il gusto del vino. Afrodite si spostò da Enio, offrendole il calice, e io non potei evitare di leccarmi le dita. Quel vino era molto più che delizioso. E aveva un profumo… aveva un profumo familiare, ma in tutto quel giramento di testa non riuscii a concentrarmi abbastanza da capire dove potevo avere già sentito l'odore di una cosa tanto incredibile. Afrodite impiegò un niente per terminare il cerchio, dando a ciascuno da bere un sorso dal calice. La osservai con attenzione, desiderando di poter avere altro vino mentre tornava al tavolo. Lì sollevò di nuovo la coppa. «Grande e magica Dea della Notte e della luna piena, colei che cavalca nel tuono e nella tempesta, guidando gli spiriti e gli Anziani, bella e terribile, cui anche i più antichi devono obbedienza, aiutaci in ciò che chiediamo. Colmaci del tuo potere, della tua magia, della tua forza!» Quindi inclinò il calice e la guardai, invidiosa, bere fino all'ultima goccia. Quando ebbe finito, la musica ricominciò e, muovendosi a tempo ripercorse il cerchio, danzando e ridendo mentre spegneva le candele e salutava gli elementi. E non so come, mentre ballava, la vista mi andò in palla perché il suo corpo s'increspò, cambiò e tutto d'un tratto mi parve di stare guardando ancora Neferet, solo che adesso si trattava di una versione più giovane e grezza della Somma Sacerdotessa. «Ben trovati, ben lasciati e ben trovati di nuovo!» disse infine. Rispondemmo tutti, mentre a furia di sbattere le palpebre riuscii a tornare a vedere bene e la stravagante immagine di Afrodite-Neferet scomparve, come il bruciore del mio Marchio. Ma sulla lingua sentivo ancora il gusto del vino. Strano. A me non piacciono gli alcolici. Sul serio. Proprio non mi piace il sapore che hanno. Ma in quel vino c'era qualcosa di talmente delizioso da superare persino… be', persino i tartufi neri della Godiva (eh, lo so, è difficile a credersi). E continuavo a non capire perché quel gusto mi pareva in qualche modo familiare. Poi, mentre il cerchio si scioglieva, ricominciarono tutti a chiacchierare e a ridere. Si accesero le luci a gas che per un attimo sembrarono fortissime e, mentre guardavo dall'altra parte della stanza per vedere se per caso Erik stava ancora guardando me, con la coda dell'occhio colsi un movimento sul tavolo. La persona che era rimasta stravaccata e immobile durante l'intero rito finalmente adesso si muoveva. Sobbalzò goffamente per mettersi a sedere meglio e, quando il cappuccio del mantello scuro ricadde all'indietro, restai sconcertata vedendo dei brutti capelli arruffati rosso arancio e una faccia grassoccia troppo bianca e con tante lentiggini. Era quella palla di Elliott! Molto ma molto strano che fosse lì. Cosa potevano volere da lui le Figlie e i Figli Oscuri? Mi guardai di nuovo intorno. Già, come previsto. Nella stanza non c'era un singolo ragazzo o ragazza con l'aria da babbo sfigato. A parte Elliott, erano tutti belli, dico sul serio. Decisamente non faceva parte del gruppo. Sbatteva le palpebre e sbadigliava come se avesse annusato troppo incenso. Sollevò la mano per togliersi qualcosa dal naso (probabilmente una delle caccole che si dava tanto da fare a scavare) e vidi il bianco di grosse bende che gli fasciavano i polsi. Ma cosa dia…? Un'orribile sensazione strisciante mi risalì la schiena. Enio e Deino non erano molto lontane da me, intente a parlare con Pefredo. Le raggiunsi e aspettai che ci fosse una pausa nella conversazione, quindi, fingendo che lo stomaco non mi si stesse strizzando a morte, sorrisi e accennai vagamente con la testa a Elliott. «Che ci fa qui quello?» Enio lanciò uno sguardo a Elliott e alzò gli occhi al cielo. «Lui non è niente. Giusto il frigorifero che abbiamo usato stanotte.» «Che sfigato», disse Deino, archiviando il caso Elliott con grande disprezzo. «È praticamente umano. Non c'è da stupirsi che sia buono solo come snack bar», commentò disgustata Pefredo. Avevo la sensazione che il mio stomaco stesse per rivoltarsi. «Scusate, non capisco. Frigorifero? Snack bar?» Deino la Terribile rivolse su di me i suoi altezzosi occhi color cioccolato. «È così che chiamiamo gli umani: frigoriferi e snack bar. Sai, colazione, pranzo e cena.» «O qualunque spuntino tra l'uno e l'altro», aggiunse la Bellicosa Enio facendo praticamente le fusa. «Io ancora non…» cominciai. «Oh, dai! Non fingere di non aver capito cosa c'era nel vino e che non ti sia piaciuto moltissimo», m'interruppe Deino. «Già, Zoey, ammettilo. Era evidente. Te lo saresti bevuto tutto. Lo volevi ancora più di quanto lo volessimo noi. Abbiamo visto che ti leccavi le dita», aggiunse Enio chinandosi e invadendo il mio spazio personale per osservarmi il Marchio. «Questo ti rende una diversa, giùsto? Sei una novizia e allo stesso tempo una vampira, e avresti voluto ben più di un assaggio del sangue di quel ragazzo.» «Sangue?» Non riconobbi la mia voce. La parola «diversa» continuava a rimbalzarmi nella testa. «Sì, sangue», confermò Terribile. Avevo caldo e freddo allo stesso tempo, e staccai gli occhi dalle loro facce presuntuose per fissarli in quelli di Afrodite. Era dall'altra parte della stanza a parlare con Erik e, quando i nostri sguardi s'incrociarono, lei sorrise, lentamente e con intenzione. Teneva di nuovo in mano il calice e lo sollevò in un gesto di saluto quasi impercettibile prima di bere un sorso e voltarsi a ridere per qualcosa che aveva appena detto Erik. Cercando di mantenere un contegno, m'inventai una scusa qualunque con Bellicosa, Terribile e Vespa e uscii con calma dalla stanza. Nell'attimo in cui il pesante portone della sala ricreazione si chiuse dietro di me, mi misi a correre alla cieca come impazzita. Non sapevo dove stessi andando, sapevo solo che volevo allontanarmi da lì. Ho bevuto sangue – sangue di quell'orribile Elliott testa rossa-e mi è piaciuto! E, a peggiorare le cose, quell'odore delizioso mi era sembrato familiare perché l'avevo già sentito quando Heath si era ferito alle mani. Non era stato il nuovo dopobarba a sembrarmi irresistibile, era stato il suo sangue. E l'avevo annusato ancora in corridoio, il giorno in cui Afrodite aveva graffiato la coscia di Erik e anch'io avrei voluto assaggiarlo. Ero una diversa, un mostro. A furia di correre non riuscivo più a respirare e crollai contro la gelida pietra del muro di cinta della scuola, ansimando in cerca di aria e dando violentemente di stomaco. 17 Sconvolta, mi passai il dorso della mano sulla bocca, quindi barcollai via dal punto in cui avevo vomitato (mi rifiutavo anche solo di pensare a cosa avevo vomitato e all'aspetto che doveva avere) finché non arrivai a un'enorme quercia cresciuta talmente vicino alla recinzione che metà dei suoi rami si allungavano all'esterno. Mi appoggiai al tronco, concentrandomi sul non star male di nuovo. Cos'avevo fatto? Cosa mi stava succedendo? Poi, da qualche parte tra i rami dell'albero, udii un miagolio. Okay, non era proprio il solito, normale miagolio di un gatto, ma piuttosto un brontolio scocciato simile a «miii-uff-miii-uff-pfuff». Alzai lo sguardo. Appollaiata su un ramo che si appoggiava al muro di cinta c'era una gattina rossa che mi guardava a occhi sgranati e con un'aria decisamente scontenta. «Come ci sei arrivata lì sopra?» «Mii-uff», rispose, quindi starnutì e cominciò a camminare lentamente sul ramo, venendo nella mia direzione. «Okay, vieni, micia-micia-micia», la chiamai. «Miii-uff-ao», disse strisciando verso di me. «Brava, piccolina, vieni. Muovi quelle zampette da questa parte.» Sì, stavo accantonando il mio momentaneo sballo e incanalando le energie per salvare la gatta, ma la verità era che non potevo pensare a quello che era appena successo. Non in quel momento. Era troppo presto. Troppo fresco. Perciò la micia rappresentava un'ottima distrazione. In più, sembrava familiare. «Vieni, piccolina, vieni…» Continuai a parlarle e intanto trovai un appoggio per la scarpa tra i mattoni a vista del muro, riuscendo a sollevarmi abbastanza da afferrare la parte terminale del ramo su cui era la gattina. A quel punto la usai come una sorta di corda per arrampicarmi ancora un po', mentre lei continuava a brontolare. Alla fine arrivai abbastanza vicino da poterla toccare. Restammo a fissarci a lungo e cominciai a chiedermi se sapesse chi ero. Riusciva a capire che avevo appena assaggiato il sangue (e che mi era pure piaciuto)? Avevo l'alito che puzzava di sangue vomitato? Sembravo diversa? Mi erano cresciuti i canini come zanne? (Okay, quest'ultimo interrogativo era ridicolo. I vampiri adulti non hanno le zanne, ma avete capito il senso.) Mi miagolobrontolò di nuovo e si avvicinò ancora. Io allungai la mano a grattarle la testa, lei abbassò le orecchie, chiuse gli occhi e si mise a fare le fusa. «Sembri una piccola leonessa», le dissi. «Vedi come sei più carina quando non ti lamenti?» Poi sbattei le palpebre per la sorpresa, rendendomi conto del perché mi fosse sembrata familiare. «Tu eri nel mio sogno.» E una piccola gioia si aprì un varco nel muro di nausea e di paura che avevo dentro di me. «Tu sei la mia gatta!» La micia aprì gli occhi, sbadigliò e starnutì di nuovo, come a commentare il fatto che ci avessi messo tanto a capire. Con un grugnito per lo sforzo mi arrampicai fino a sedermi in cima al muro accanto al ramo su cui era appollaiata, mentre lei, con un sospiro felino, saltò delicatamente e s'incamminò sulle minuscole zampette bianche per raggiungermi e sedermi in braccio. Sembrava non mi restasse altro da fare che darle qualche ulteriore grattatina sulla testa; lei chiuse gli occhi e partirono delle fusa alquanto sonore. Continuai ad accarezzarla e nello stesso tempo cercai di fermare il tumulto che avevo in testa. Nell'aria c'era un odore che faceva prevedere pioggia, ma la notte era insolitamente calda per la fine di ottobre, quindi piegai la testa all'indietro respirando a fondo e lasciandomi calmare dalla luna che faceva capolino tra le nuvole. Guardai la gatta. «Be', Neferet ha detto che dovevamo sederci alla luce della luna.» Alzai di nuovo gli occhi verso il cielo. «Certo che sarebbe meglio se quelle stupide nuvole si levassero di torno, comunque…» Avevo appena pronunciato quelle parole, quando una ventata improvvisa prese a fischiarmi intorno, spingendo via le nubi. «Be', grazie», dissi ad alta voce rivolta a niente e a nessuno in particolare. «È stato un soffio di vento molto opportuno,» La gatta brontolò, facendomi notare che avevo avuto il coraggio di smettere di farle i grattini sulla testa. «Visto che sei una piccola leonessa, credo che ti chiamerò Nala, come la protagonista del Re leone», le annunciai ricominciando con le carezze. «Sai, piccolina, sono felice di averti trovata oggi; avevo proprio bisogno che mi succedesse qualcosa di bello dopo la notte che ho passato. Tu non ci crederesti…» Uno strano odore raggiunse il mio naso. Era così insolito che interruppi la frase a metà. Cos'era? Annusai e feci una smorfia. Era asciutto e sapeva di vecchio, come una casa rimasta chiusa troppo a lungo o un seminterrato pieno di ragnatele. Non era un buon odore, ma non era neanche tanto schifoso da darmi la nausea. Era solo… sbagliato, come se non appartenesse a quel luogo, all'aria aperta o alla notte. Poi intravidi qualcosa con la coda dell'occhio. Guardai lungo il sinuoso muro di mattoni e lì, girata di tre quarti rispetto a me, come se non sapesse decidere da che parte andare, c'era una ragazza. La luce della luna e la mia nuova capacità di novizia di vedere bene di notte mi consentirono di scorgerla anche se non c'erano luci nei paraggi. M'irrigidii. Che una di quelle odiose Figlie Oscure mi avesse seguita? Quella sera non avevo proprio voglia di avere ancora a che fare con le loro stronzate. Il mio frustrato grugnito mentale doveva essere stato anche sonoro, perché la ragazza si voltò nella mia direzione. Restai senza fiato per lo shock e sentii la paura corrermi su per la schiena. Era Elizabeth! Quell'Elizabeth Niente Cognome che si presumeva essere morta. Quando mi vide seduta in cima al muro di cinta sgranò gli occhi, che erano di un incredibile rosso acceso, e lanciò un grido stridulo; poi girò sui tacchi e sparì nella notte con una velocità non umana. Nello stesso istante, Nala inarcò la schiena e soffiò con tanta intensità da far tremare tutto il suo corpicino. «Va tutto bene, va tutto bene», continuai a ripetere, cercando di calmare me e la gatta. Tremavamo tutt'e due e Nala non la smetteva di ringhiare. «Non poteva essere un fantasma. Non poteva. Era solo… solo… una ragazza strana. Probabilmente l'ho spaventata e lei…» «Zoey! Zoey! Sei tu?» Sobbalzai e quasi caddi dal muro. Per Nala era troppo e, con un ultimo soffio feroce, saltò a terra con grazia. Ormai ero completamente e assolutamente schizzata, quindi afferrai il ramo per tenermi in equilibrio e scrutai nella notte. «Chi… chi c'è?» chiesi superando il frastuono del mio cuore. Poi venni accecata dal raggio di due torce puntate dritte su di me. «Ma certo che è lei! Vuoi che non riconosca la voce della mia migliore amica? Cavolo, mica se n'è andata da così tanto!» «Kayla?» Cercai di schermarmi gli occhi con la mano che tremava da pazzi. «Visto? Te l'avevo detto che l'avremmo trovata», intervenne una voce maschile. «Vuoi sempre rinunciare troppo presto.» «Heath?» Forse stavo sognando. «Già! Iuh-uh, bambina! Ti abbiamo trovata!» strillò Heath e anche in quell'orribile luce di torcia a pile riuscii a vederlo mentre si lanciava sul muro e iniziava a scalarlo come una scimmia alta, bionda e giocatrice di football. Incredibilmente sollevata che fosse lui e non un mostro in libera uscita, lo sgridai: «Heath! Sta' attento. Se cadi finisce che ti rompi qualcosa». Be', a meno che non atterrasse di testa, perché in quel caso non si sarebbe fatto niente. «Non io!» Si tirò su e si mise a sedere vicino a me a cavalcioni del muro. «Ehi, Zoey, guardami: sono il re del mondo!» Allargò le braccia e sorrise come un tronco scemo, fiatandomi addosso un alito che sapeva di alcol. Non c'era da stupirsi che mi fossi rifiutata di uscire con lui. «Okay, non c'è bisogno di menarmela a vita per la mia passata infatuazione per Leonardo Di Caprio.» Gli lanciai un'occhiataccia, sentendomi più me stessa di quanto non mi capitasse da ore. «Che, a dire il vero, somiglia alla mia passata infatuazione per te, solo che non è durata altrettanto a lungo e tu non hai fatto un mucchio di film di scemi ma mooolto carini.» «Ehi, non sarai ancora arrabbiata per Dustin e Drew, vero? Scordati di quei due! Sono dei ritardati.» Heath mi guardò con la sua aria da cucciolone che era davvero una meraviglia quando andava alle medie. Peccato che l'effetto meraviglia fosse finito un paio di anni fa. «E poi siamo venuti fin qui per farti evadere.» «Cosa?» scossi la testa e lo guardai strizzando gli occhi. «Aspetta. Spegnete quelle torce, mi stanno distruggendo gli occhi.» «Se le spegniamo non vediamo niente», replicò Heath. «Benissimo. Allora fate luce da un'altra parte. Laggiù, per esempio.» Indicai un punto non meglio identificato lontano dalla scuola (e da me). Lo fecero, così potei abbassare la mano, che ero contenta di notare aveva smesso col tremito isterico, e non strizzare più gli occhi. Quelli di Heath, invece, si spalancarono alla vista del mio Marchio. «Guarda qui! Adesso è tutto colorato anche dentro! È come… come… in TV o roba del genere.» Be', era bello vedere che alcune cose non cambiano mai. Heath era sempre Heath: un gran figo, ma di certo non il più astuto del mazzo. «Ehi! E io? Sono qui, ve lo ricordate o no?» strillò Kayla. «Qualcuno mi aiuti a salire lì sopra, ma con un po' di attenzione. Prima appoggio la mia borsa nuova. Oh, è meglio che mi tolga le scarpe. Zoey, non hai idea dei saldi che ti sei persa ieri da Bakers. Tutti i modelli estivi in liquidazione. E intendo liquidazione vera. Sconto del settanta per cento. Ne ho prese cinque paia per…» Mi rivolsi a Heath: «Aiutala a salire. Subito. È l'unico modo per farla smettere di parlare». Già. Certe cose proprio non cambiano. Lui si girò fino a trovarsi sdraiato sullo stomaco, quindi si chinò offrendo le mani a Kayla, che le afferrò ridacchiando e si lasciò trascinare in cima al muro assieme a noi. Fu proprio mentre lei ridacchiava e lui la tirava su che me ne accorsi: il modo inequivocabile in cui Kayla sorrideva e ridacchiava e arrossiva a Heath. Conoscevo quell'atteggiamento almeno quanto il fatto che non sarei mai stata una matematica. A Kayla piaceva Heath. Okay, non le piaceva. Le piaceva. All'improvviso il commento colpevole di Heath riguardo al fare il cretino alle mie spalle alla festa che mi ero persa aveva senso. «Allora, come sta Jared?» chiesi bruscamente, interrompendo di botto kaylate e risolini. «Okay, credo», rispose lei senza incrociare il mio sguardo. «Credi?» Mosse le spalle e vidi che sotto alla sua strafiga giacca di pelle portava la minuscola camicia di pizzo color crema che chiamavamo Camicetta della Tetta, perché non solo lasciava vedere un bel po' di scollatura, ma, essendo color pelle, sembrava mostrare anche più di quello che era in realtà. «Non lo so. A dire il vero non ci siamo sentiti molto nell'ultimo paio di giorni.» Continuava a non guardarmi, ma lanciava occhiate a Heath, che aveva un'espressione spaesata… okay, non è che ne avesse altre di espressioni. Dunque la mia migliore amica stava dietro al mio ragazzo. La cosa mi fece davvero incavolare e per un secondo desiderai che la serata non fosse così piacevolmente tiepida. Desiderai che fosse freddissima e che a Kayla si congelassero immediatamente quelle stupide tette ipersviluppate. Di colpo fummo avvolti dal vento del nord, cattivo, di un freddo da mettere quasi paura. Cercando di non farsi notare troppo, Kayla si chiuse la giacca e ridacchiò di nuovo, stavolta in modo nervoso, però, non da civetta, e mi arrivò un'altra zaffata di birra e qualcos'altro. Qualcosa che si era impresso così di recente nei miei sensi che mi stupii di non essermene accorta subito. «Kayla, hai bevuto e pure fumato?» Lei rabbrividì e mi guardò sbattendo le palpebre come un coniglio tonto. «Solo un paio. Di birre intendo. E, be', mmm, Heath aveva giusto uno spinello piccolo piccolo e io avevo paura di venire qui e così ho fatto un paio di tiri. Piccoli piccoli.» «Le serviva un aiutino, un corroborante», spiegò Heath usando una parola davvero difficile per un tipo come lui. «E da quando avete cominciato a fumare erba?» gli chiesi. Lui sorrise. «Non è niente di che, Zo. Mi faccio uno spinello giusto una volta ogni tanto. Fanno meno male delle sigarette.» Odiavo che mi chiamasse Zo. Cercai di sembrare comprensiva. «Heath, non fanno meno male delle sigarette e, anche se fosse così, non è mica una gran cosa. Le sigarette sono disgustose e ti uccidono. E poi solo i più sfigati della scuola fumano erba. Oltre al fatto che proprio non ti puoi permettere di uccidere altre cellule cerebrali.» Stavo per aggiungere «o spermatozoi», ma non volevo toccare quell'argomento. Heath si sarebbe fatto un'idea del tutto sbagliata se avessi fatto riferimento alle sue parti virili. «Na na», fece Kayla. «Come, Kayla?» Stringeva ancora la giacca per difendersi dal freddo e i suoi occhi erano passati da quelli dì un patetico coniglio a quelli di un gatto furbo che fa andare la coda. Riconobbi il cambiamento. Lo faceva sempre con le persone che non considerava parte del suo giro di amiche. Mi aveva sempre dato sui nervi e la sgridavo dicendole di non essere così antipatica. E adesso si comportava da stronza con me? «Ho detto 'na na' perché non sono solo gli sfigati a fumare, almeno non a farlo ogni tanto. Sai quei due running back iper bonazzi che giocano per Union, Chris Ford e Brad Higeons? Li ho visti alla festa di Katie l'altra sera. Loro fumano.» «Ehi, non sono poi così fighi», intervenne Heath. Kayla lo ignorò e continuò a parlare. «E anche Morgan fuma qualche volta.» «Morgan, cioè Morgana la fata un po' puttana?» Sì, ero arrabbiata con Kayla, ma un buon pettegolezzo è sempre un buon pettegolezzo. «Sì. Si è anche appena fatta il piercing alla lingua e al…» Kayla s'interruppe e mimò la parola «clitoride». «T'immagini quanto deve far male?» «Dove? Dov'è che si è fatta fare il piercing?» chiese Heath. «Da nessuna parte», dicemmo in stereo Kay e io, sembrando stranamente per un momento le due amiche del cuore che eravamo state. Poi però ripresi a discutere: «Kayla, hai cambiato argomento. Di nuovo. I giocatori di Union si sono sempre fatti. Che scoperta! Ricordati un po' tutti quegli steroidi, che sono il motivo per cui ci abbiamo messo sedici anni a batterli». «Forza Tigers! Giààà, li abbiamo presi a calci in culo!» sbottò Heath. Lo guardai alzando gli occhi al cielo. «E chiaramente Morgan ha cominciato a perdere la testa, ed è per questo che si è fatta il piercing al…» Guardai Heath e cambiai idea. «Che si è fatta il piercing e si è messa a fumare. Trovami qualcuno di normale che fuma.» Kay ci pensò un secondo. «Io!» Sospirai. «Senti, a me proprio non sembra una cosa tanto astuta.» «Be', non è che tu sappia sempre tutto.» Quell'odioso lampo negli occhi era tornato. Passai lo sguardo da lei a Heath e ritorno. «È chiaro che hai ragione. Non so tutto.» L'espressione da stronza tornò sbigottita, quindi si appiattì ancora nella stronzaggme e non potei non paragonare Kay a Stevie Rae che, anche se la conoscevo solo da un paio di giorni, ero assolutamente più che certa non avrebbe mai fatto il filo al mio ragazzo, che fosse ormai quasi ex o meno. E pensavo che non sarebbe nemmeno scappata via da me trattandomi come un mostro nel momento in cui avevo più bisogno di lei. Fissai Kayla. «Penso che dovreste andare.» «Benissimo», replicò. «E probabilmente non è una buona idea che torniate.» Alzò le spalle e la giacca si aprì e face scivolare la spallina della camicia, rendendo evidente che non portava il reggiseno. «Come vuoi.» «Heath, aiutala a scendere.» In generale, Heath era piuttosto bravo a seguire semplici istruzioni, quindi sollevò Kayla e la mise giù. Lei prese la torcia e ci guardò dal basso. «Spicciati, Heath. Mi sta venendo davvero freddo.» Quindi girò sui tacchi e prese a incamminarsi verso la strada. «Be'… È venuto freddo di colpo», commentò Heath un po' goffo. «Già. Adesso può anche bastare», replicai distratta, e non badai molto al fatto che il vento smise immediatamente di soffiare. «Ehi, senti, Zo. Io sono venuto sul serio a portarti via.» «No.» «Eh?» «Heath, guarda la mia fronte.» «Sì, hai quella roba a forma di mezzaluna. Ed è tutta colorata, e questo è strano perché prima non era tutta colorata.» «Be', adesso lo è. Okay, Heath, concentrati. Sono stata Segnata col Marchio. Questo significa che il mio corpo sta affrontando la Trasformazione per farmi diventare un vampiro.» Lo sguardo di Heath si spostò dal Marchio e scese lungo tutto il mio corpo. Lo vidi esitare all'altezza di tette e gambe, cosa che mi fece rendere conto che erano in bella vista fin quasi alle mutande perché, quando mi ero arrampicata sul muro, la gonna era salita. «Zo, a me sta benissimo qualunque cosa stia succedendo al tuo corpo. Sei davvero sexy. Sei sempre stata bella, ma adesso sembri proprio una dea.» Mi sorrise e mi sfiorò gentilmente la guancia, facendomi ricordare perché mi era piaciuto tanto per così tanto tempo. Nonostante i difetti, Heath poteva essere davvero dolce, e mi faceva sempre sentire uno schianto. «Heath, mi dispiace, ma le cose sono cambiate», sussurrai. «No, che non sono cambiate.» Cogliendomi di sorpresa si chinò in avanti, mi fece scivolare una mano sul ginocchio e mi baciò. Feci un salto indietro e gli afferrai il polso. «Fermati, Heath! Sto cercando di parlarti.» «Che ne diresti se tu parli e io bacio?» mormorò. Cominciai a ripetergli di no. Poi lo sentii. Il pulsare del suo sangue sotto le mie dita. Batteva forte e veloce. Giuro che lo percepivo e lo udivo allo stesso tempo. E, quando si chinò per baciarmi ancora, vidi la vena che gli correva sul collo. Si muoveva, pulsando forte mentre il sangue pompava nel suo corpo. Sangue… Le sue labbra sfiorarono le mie e mi ricordai il sapore del sangue nel calice. Quel sangue era freddo e misto al vino, oltre a venire da un debole sfigato che non valeva niente. Ma quello di Heath doveva essere caldo, denso… dolce… molto più dolce di quello di Elliott il Frigorifero. «Ahi! Accidenti, Zoey, mi hai graffiato!» Allontanò il polso. «Merda, Zo, mi hai fatto sanguinare. Se non volevi che ti baciassi, bastava dirlo.» Si portò il polso alle labbra e succhiò la scintillante goccia rossa che si era formata. Quindi incrociò lo sguardo col mio e si gelò. Aveva del sangue sul labbro. Ne sentivo l'odore: era come il vino, solo meglio, molto meglio. Quel profumo mi avvolse, facendomi venire la pelle d'oca. Volevo assaggiarlo. Volevo assaggiarlo più di quanto avessi mai voluto fare qualcosa in vita mia. «Io voglio…» mi udii mormorare con una voce che non conoscevo. «Sì…» Heath rispose come se fosse in trance. «Sì… tutto quello che vuoi. Farò tutto quello che vuoi.» Questa volta fui io a chinarmi verso di lui e a sfiorargli il labbro con la lingua, prendendo in bocca la goccia di sangue, che esplose in un calore, in un'ondata di piacere che non avevo mai provato. «Ancora», gracchiai. Quasi avesse perso la capacità di parlare e potesse solo annuire, Heath mi tese il braccio. Sanguinava poco e quando leccai la sottile striscia scarlatta, Heath gemette. Il contatto con la mia lingua sembrò fare qualcosa al graffio, perché prese immediatamente a perdere sangue più in fretta… molto più in fretta. Mentre mi portavo il polso alla bocca e posavo le labbra sulla sua pelle calda, mi tremavano le mani. Rabbrividii e gemetti di piacere e… «Oh, mio Dio! Cosa gli stai facendo?» Il grido di Kayla lacerò la nebbia scarlatta nella mia mente. Lasciai andare il polso di Heath come se scottasse. «Sta' lontana da lui! Lascialo in pace!» strillava Kayla. Heath non si mosse. «Vai. Vai e non tornare più», gli dissi. «No», replicò lui, sembrando stranamente sobrio nella voce e nell'aspetto. «Sì. Vattene da qui.» «Lascialo andare!» urlò Kayla. «Kayla, se non chiudi quella bocca volo giù e succhio ogni singola goccia di sangue da quel tuo stupido corpo di vacca traditrice!» replicai rabbiosa. Lei squittì e scappò via. Mi voltai verso Heath, che mi stava ancora fissando. «Adesso devi andare anche tu.» «Zo, io non ho paura di te.» «Heath, ho abbastanza paura io per tutti e due.» «Ma non mi dispiace quello che hai fatto. Zoey, io ti amo. Adesso più che mai.» «Smettila!» Non avevo intenzione di gridare, ma l'intensità delle mie parole lo fece sobbalzare. Deglutii e abbassai la voce. «È meglio che vai. Per favore.» Poi, cercando qualcosa che lo convincesse ad andarsene, aggiunsi: «Probabilmente in questo momento Kayla sta chiamando la polizia. Non sarebbe un bene per nessuno di noi». «Okay, vado. Ma tornerò.» Mi diede un bacio forte e veloce e, quando sentii il sapore del sangue che aveva ancora sulle labbra, provai una pugnalata di piacere. Poi scivolò giù dal muro e scomparve nel buio finché di lui non vidi altro che il puntino di luce della torcia e, infine, neanche più quello. Non mi sarei data il tempo di pensare. Non ancora. Muovendomi per abitudine, come un robot, usai il ramo per aiutarmi a scendere. Mi tremavano talmente tanto le ginocchia che riuscii a fare giusto i pochi passi fino all'albero, dove mi accasciai, la schiena appoggiata alla solida sicurezza del vecchio tronco. Nala si materializzò, saltandomi in braccio come fosse stata il mio gatto da anni e non da pochi minuti e, quando cominciai a singhiozzare, si arrampicò su di me fino a premere il musetto caldo sulla mia guancia bagnata. Dopo quello che mi sembrò un tempo lunghissimo, i singhiozzi si trasformarono in… singhiozzo, e avrei tanto voluto non essere corsa via dalla sala di ricreazione senza la borsetta. Avevo proprio bisogno di un Kleenex. «Tieni. Si direbbe che ti possa servire.» Nala si lamentò quando, udendo la voce, sobbalzai per la sorpresa e allontanai le lacrime a sufficienza per vedere che qualcuno mi tendeva un fazzoletto. «Grgrazie.» Lo presi e mi soffiai il naso. «Non c'è di che», disse Erik Night. 18 «Ti senti bene?» «Sì, sto bene. Benissimo. Tutto a posto», mentii. «Non sembra che tu stia bene. Ti scoccia se mi siedo?» chiese Erik. «No, fai pure», replicai con aria indifferente. Sapevo di avere il naso rosso come un peperone. Quando lui si era fatto avanti mi stava praticamente colando il moccio addosso e avevo il vago sospetto che fosse stato presente almeno a parte dell'incubo tra Heath e me. La nottata non faceva che peggiorare. Lo guardai e decisi: Che cavolo, tanto vale continuare nella stessa direzione. «Nel caso non l'avessi capito, ero io quella che ha visto la piccola scenata fra te e Afrodite, ieri, in corridoio.» Lui non ebbe la minima esitazione. «Lo so, e vorrei non fosse successo. Non voglio che ti faccia idee sbagliate su di me.» «E quali idee sarebbero?» «Che tra Afrodite e me ci sia più di quanto non c'è in realtà.» «Non sono affari miei», replicai. Si strinse nelle spalle. «Voglio solo che tu sappia che lei e io non stiamo più insieme.» Stavo per dirgli che di certo non sembrava che Afrodite avesse afferrato quell'ultima parte, ma poi ripensai a quello che era appena successo tra Heath e me, e con stupore mi resi conto che forse non avrei dovuto giudicare troppo duramente Erik. «Okay. Voi due non state insieme», conclusi. Rimase seduto in silenzio vicino a me per un po' e, quando riprese a parlare, mi sembrò fosse quasi arrabbiato. «Afrodite non ti aveva spiegato del sangue nel vino.» Non l'aveva detto come fosse una domanda, ma risposi lo stesso: «No». Scosse la testa e vidi che la mascella s'irrigidiva. «Mi aveva detto che l'avrebbe fatto. Mi aveva assicurato che ti avrebbe avvisata mentre ti cambiavi, così, se non ti andava, potevi fare a meno di bere dal calice.» «Ha mentito.» «Non è una grande sorpresa.» Mi sentivo crescere dentro una gran rabbia. «Tu credi? Tutta questa storia era sbagliata fin dall'inizio. Insomma, prima vengo spinta a partecipare al rito delle Figlie Oscure, dove m'imbrogliano per farmi bere sangue. Poi incontro il mio quasi-ex-ragazzo, che si dà il caso sia umano al cento per cento, e nessuno si era minimamente sprecato a dirmi che anche la più infinitesimale gocciolina del suo sangue mi avrebbe fatta diventare un… un mostro.» Mi morsi il labbro e mi aggrappai alla collera per non ricominciare a piangere. Decisi di non dire niente del fantasma di Elizabeth: c'erano già troppe cose strane da accettare per una notte sola. «Nessuno te l'ha spiegato perché è una cosa che non avrebbe dovuto iniziare ad avere effetto su di te prima della sesta», replicò pacato. «Eh?» Avevo ripreso a essere di un'eloquenza travolgente. «La brama di sangue di solito comincia quando si è in sesta classe e si è già quasi completamente Trasformati. Qualche volta si sente di qualcuno di quinta che deve affrontare la cosa in anticipo, ma non succede spesso.» «Frena un attimo. Cosa stai dicendo?» Mi sembrava di avere la testa piena di api che ronzano. «Si comincia ad avere lezioni sulla brama di sangue e altri aspetti che si dovranno affrontare da vampiri adulti quando si è in quinta, e poi, l'ultimo anno, i corsi si concentrano soprattutto su questi argomenti. Oltre alla materia in cui hai deciso di specializzarti.» «Ma io sono in terza! E a malapena, anche, dato che ho il Marchio da pochi giorni.» «Il tuo Marchio è diverso; tu sei diversa.» «Io non voglio essere diversa!» Mi accorsi che stavo gridando e abbassai la voce. «Voglio soltanto imparare a gestire questa cosa come tutti gli altri.» «Troppo tardi, Zy.» «E allora che faccio?» «Credo sarebbe meglio che ne parlassi col tuo mentore. È Neferet, vero?» «Già», risposi con aria avvilita. «Ehi, stai allegra. Neferet è grandiosa. Ormai non fa più da mentore quasi a nessun novizio, quindi deve credere davvero molto in te.» «Lo so, lo so. È solo che questo mi fa sentire…» Com'è che mi sentivo all'idea di parlare a Neferet di quanto accaduto quella sera? Imbarazzata. Come se avessi di nuovo dodici anni e dovessi dire al prof di ginnastica che mi erano venute le mie cose e dovevo andare in spogliatoio a cambiarmi i calzoncini. Sbirciai di nascosto Erik. Eccolo lì, splendido, attento e perfetto. Diavolo. Non potevo dirglielo, quindi cambiai aggettivo. «Stupida. Mi fa sentire stupida.» Che in realtà non era una bugia, anche se, oltre a imbarazzata e stupida, mi sentivo soprattutto spaventata. Non volevo che tutto questo m'impedisse d'inserirmi. «Non sentirti stupida. La verità è che sei molto più avanti di tutti noi.» «Allora…» Esitai, poi presi un bel respiro e mi lanciai: «Ti è piaciuto il sapore del sangue nel calice, stasera?» «Be', il nodo della faccenda è proprio questo: il mio primo Rito della Luna Piena con le Figlie Oscure è stato alla fine della terza e, a parte il 'frigorifero', ero l'unico di quell'età, proprio come te stasera.» Fece una risatina per niente divertita. «Mi avevano invitato solo perché ero in finale nel concorso di monologhi shakespeariani e il giorno successivo dovevo partire per Londra per la gara.» Mi guardò e sembrò un po' in imbarazzo. «Nessuno di questa Casa della Notte era mai arrivato fino a Londra. Era una cosa importante.» Scosse la testa come a prendersi in giro. «A dire il vero, ero io che pensavo fosse una cosa importante. Quindi le Figlie Oscure m'invitarono a unirmi a loro e io ci andai. Sapevo del sangue. Mi diedero la possibilità di rifiutare, ma non lo feci.» «E ti è piaciuto?» Questa volta la risata fu sincera. «Mi vennero i conati di vomito e diedi di stomaco. Era la cosa più schifosa che avessi mai assaggiato.» Gemetti, mi cadde la testa in avanti e presi la faccia tra le mani. «Non mi sei d'aiuto.» «Perché, tu l'hai trovato buono?» «Più che buono. Hai detto che era la cosa più schifosa che avessi mai assaggiato? Io l'ho trovato la cosa più deliziosa. Be', la cosa più deliziosa finché non…» M'interruppi, rendendomi conto di quanto stavo per dire. «Finché non hai assaggiato il sangue fresco?» mi chiese con gentilezza. Feci di sì con la testa, non osando parlare. Lui mi prese le mani, costringendomi a liberare la faccia, quindi mi mise un dito sotto il mento e mi obbligò a guardarlo dritto negli occhi. «Non devi provare imbarazzo o vergogna. È normale.» «Trovare squisito il sapore del sangue non è normale. Non per me.» «Sì che lo è. Tutti i vampiri devono affrontare la brama di sangue.» «Ma io non sono un vampiro!» «Forse no, non ancora. Ma di certo non sei neanche una normale novizia e in questo non c'è niente di male. Tu sei speciale, Zoey, e quello che è speciale può essere stupefacente.» Con lentezza, mi tolse il dito di sotto il mento e, come aveva già fatto quella notte, disegnò gentilmente la sagoma del pentacolo sul mio Marchio scurito. Mi piaceva la sensazione che mi dava il suo dito sulla pelle: caldo e leggermente ruvido. Mi piaceva pure il fatto che, stando vicino a lui, non si scatenassero tutte le strane reazioni che avevo avuto accanto a Heath. Cioè, non sentivo pulsare il sangue di Erik nelle vene e non vedevo battere la vena sul suo collo. Non che mi sarebbe dispiaciuto se mi avesse baciata… Diavolo! Ma stavo diventando una vampira zoccola? Cos'altro doveva succedere? Nessun maschio di nessuna specie (e questo avrebbe potuto includere anche Damien) sarebbe stato al sicuro nelle mie vicinanze? Forse avrei dovuto evitare i ragazzi finché non avessi capito cosa mi stava succedendo e non avessi imparato a controllarmi. Poi mi ricordai che avevo cercato dì evitare tutti e che era proprio per quel motivo che mi trovavo lì fuori. «Erik, tu che ci fai qui?» «Ti ho seguita», rispose semplicemente. «Perché?» «Ho immaginato cos'avesse combinato Afrodite e ho pensato che ti potesse servire un amico. Sei in stanza con Stevie Rae, giusto?» Annuii. «Appunto. Avevo pensato di cercarla e farla venire qui da te ma non sapevo se volevi che lei sapesse del…» S'interruppe e fece un vago gesto in direzione della sala di ricreazione. «No! Io… io non voglio che lo sappia.» Inciampai sulle parole, da tanto le pronunciai in fretta. «È quello che pensavo. Ecco perché ti sei beccata me al suo posto.» Sorrise, poi sembrò un po' a disagio. «Non avevo intenzione di ascoltare quello che vi dicevate tu e Heath. Mi dispiace che sia successo.» Mi concentrai sulle coccole a Nala. Quindi aveva visto Heath che mi baciava e poi tutta la faccenda del sangue. Dio, com'era imbarazzante… Poi mi colpì un pensiero e alzai gli occhi verso di lui con un sorrisetto ironico. «Suppongo che con questo siamo pari. Nemmeno io avevo intenzione di ascoltare quello che dicevate tu e Afrodite.» Ricambiò il sorriso. «Siamo pari. Questo mi piace.» Il suo sorriso provocò strane cose nel mio stomaco. «Non sarei davvero volata giù a bermi il sangue di Kayla», riuscii a dire. Rise (aveva proprio una bella risata). «Lo so. I vampiri non volano.» «Però le ho messo una gran strizza.» «Per quanto ho visto, se lo meritava.» Aspettò un attimo, quindi aggiunse: «Posso chiederti una cosa? È piuttosto personale». «Ehi, mi hai vista bere sangue da un calice e godermela un mondo, vomitare, baciare un ragazzo, leccargli il sangue come fossi un cagnolino e poi piangere sino a farmi uscire gli occhi. E io ti ho visto rifiutare un pompino. Direi che potrei proprio rispondere a una domanda piuttosto personale.» «Lui era davvero in trance? Dall'aspetto e da come parlava sembrava di sì.» Mi dimenai un po', a disagio, e Nala si lamentò finché non la feci stare tranquilla a furia di coccole. Alla fine riuscii a dire: «In apparenza sembrava così. Non so se fosse trance o no – e non avevo la minima intenzione di tenerlo in mio potere o altre strane cose del genere –, ma era diverso. Non lo so. Aveva bevuto e fumato. Magari era solo un po' fatto». Udii di nuovo la voce di Heath, che mi tornava alla mente come una foschia soffocante: Sì… tutto quello che vuoi. Farò tutto quello che vuoi. E rividi lo sguardo intenso che mi aveva lanciato. Diavolo, non avevo mai pensato che Heath il Fustacchione fosse capace di dimostrare una simile intensità (almeno fuori del campo da football), di certo non era in grado di sillabare la parola (intensità, non football). «È sempre stato così o solo dopo che tu… mmm… hai cominciato a…» «Non sempre. Perché?» «Be', questo elimina due cose che avrebbero potuto essere la causa del suo comportamento insolito. La prima: se fosse stato soltanto fatto o bevuto, sarebbe stato così anche prima. La seconda: avrebbe potuto comportarsi così perché sei davvero bella e questo basta a far sentire in trance un ragazzo che ti sta vicino.» Le sue parole rimisero in agitazione qualcosa in fondo al mio stomaco, qualcosa che in precedenza non si era mai mosso per nessun ragazzo. Né per Heath il Fustacchione né per Jordon il Bradipo, né per Jonathan lo Stupido Ragazzino della Banda (la mia storia sentimentale non è lunga ma decisamente pittoresca). «Sul serio?» chiesi come una cretina totale. «Sul serio.» Sorrise in un modo che di cretino non aveva proprio niente. Com'era possibile che piacessi a quel ragazzo? Ero una sfigata bevitrice di sangue. «Ma nemmeno questo è possibile, perché doveva pure aver notato quanto sei sexy anche prima che lo baciassi e, a quanto dici, non sembrava rapito finché nel quadretto non è entrato un po' di sangue.» («Rapito» – hi hi hi! –, aveva detto davvero «rapito».) Ero troppo presa a sorridere come un'idiota per il suo uso di vocaboli complicati per pensare prima di rispondere: «A dire il vero è cominciato quando ho iniziato a sentire il rumore del suo sangue che pulsava nelle vene». «Ripeti un po'?!» Ah, cavolo. Non era quello che avrei voluto dire. Mi schiarii la voce. «Heath ha cominciato a cambiare quando ho sentito il rumore del sangue che gli pulsava nelle vene.» «Soltanto i vampiri adulti riescono a sentirlo.» S'interruppe e poi, con un rapido sorriso, aggiunse: «E Heath sembra il nome del protagonista gay di una soap». «Ci sei andato vicino. È il miglior quarterback di Broken Arrow.» Erik annuì e sembrò divertito. «Ah, già che ci siamo, mi piace il nome che ti sei scelto. Night è un cognome molto figo», aggiunsi, cercando di cavarmela almeno con l'ultima parte della conversazione e dire qualcosa di vagamente sensato. Il suo sorriso si fece ancora più ampio. «Non l'ho scelto. Erik Night è il nome con cui sono nato.» «Ah, sì? Be', mi piace.» Perché qualcuno non mi sparava e la facevamo finita? «Grazie.» Guardò l'orologio e io mi accorsi che erano quasi le sei e mezzo. Del mattino, cosa che mi sembrava ancora assurda. «Farà giorno presto», disse. Immaginando che quella fosse la battuta che indicava che ci dovevamo separare, avvicinai i piedi e presi meglio in braccio Nala, in modo da potermi alzare, e trovai la mano di Erik sotto il gomito che mi sosteneva. Mi aiutò a sollevarmi e rimase lì, tanto vicino che la coda di Nala gli sfiorava il maglione nero. «Ti chiederei se vuoi mangiare qualcosa, ma l'unico posto in cui servono cibo a quest'ora è la sala di ricreazione e non credo ti vada di tornarci.» «No, proprio no. E comunque non ho fame.» Affermazione che, mi resi subito conto, era una bugia bella e buona, perché solo sentendo nominare il cibo provai un buco allo stomaco. «D'accordo. Ti dispiace se ti accompagno al dormitorio?» chiese. «No.» Cercai di avere un'aria disinvolta. Stevie Rae, Damien e le gemelle sarebbero morti sul colpo se mi avessero vista con Erik. Incamminandoci, non dicemmo niente, ma non era il silenzio sgradevole di chi si sente a disagio. A dire il vero era molto carino. Di quando in quando le nostre braccia si sfioravano e io pensavo a quant'era alto e figo e a quanto mi sarebbe piaciuto che mi prendesse la mano. Dopo un po' disse: «Oh, prima non ho finito di rispondere alla tua domanda. La prima volta che ho assaggiato il sangue a uno dei riti delle Figlie Oscure l'ho trovato schifoso, ma ogni volta successiva il gusto mi sembrava migliore. Non posso dire di trovarlo delizioso, ma comincia a piacermi. E di certo mi piace il modo in cui mi fa sentire». Lo fissai. «Con la testa che gira e le ginocchia molli? Come se fossi sbronzo ma invece non lo sei?» «Già. Ehi, lo sapevi che i vampiri non si ubriacano?» Scossi la testa. «È per un qualcosa che la Trasformazione fa al nostro metabolismo. Persino per un novizio è difficile prendersi una sbronza.» «Perciò i vampiri si ubriacano bevendo sangue?» Si strinse nelle spalle. «Suppongo. Comunque ai novizi è vietato bere sangue umano.» «E allora perché nessuno ha informato gli insegnanti di quello che fa Afrodite?» «Lei non beve sangue umano.» «Senti, Erik, ero lì anch'io. Nel vino c'era decisamente sangue e proveniva da quel ragazzo, Elliott.» Rabbrividii. «Pessima scelta, tra l'altro.» «Ma lui non è umano.» «Frena un attimo… è proibito bere sangue umano», dissi lentamente (oh, diavolo! Era quello che avevo appena fatto). «Ma non c'è problema a bere quello di un altro novizio?» «A patto che sia d'accordo.» «Non ha senso.» «Sì che ne ha, invece. È normale che, mentre il nostro organismo si Trasforma, si sviluppi la brama di sangue, quindi ci serve uno sfogo. I novizi guariscono in fretta, perciò nessuno si fa male. E non ci sono effetti collaterali, come capita invece quando un vampiro beve da un umano vivo.» Quello che stava dicendo mi picchiava in testa come la fastidiosa musica a manetta che urlava in continuazione al negozio Wet Seal e afferrai l'unica cosa che mi era arrivata forte e chiara. «Umano vivo?» strillai. «Dimmi che non l'intendevi come alternativa al bere da un cadavere!» Mi stava tornando la nausea. Rise. «No, l'intendevo come alternativa al sangue avuto dai donatori dei vampiri.» «Mai sentita una roba simile.» «La maggior parte degli umani non ne sa niente. Anche noi lo scopriamo solo in quinta.» Poi qualcos'altro di quanto aveva detto si fece strada nella confusione che avevo in testa. «Cosa intendevi per effetti collaterali?» «Abbiamo appena cominciato a studiarli in Socio Vamp 312. Sembra che, quando un vampiro adulto beve da un umano vivo, si possa creare un legame molto forte. Da parte del vampiro, non sempre, ma gli umani s'invaghiscono con grande facilità. E per loro è pericoloso. Insomma, prova a pensarci. Di per sé una perdita di sangue non è una buona cosa, se aggiungi poi che noi viviamo decenni più degli umani, a volte secoli, dal loro punto di vista dev'essere orribile essere innamorato lesso di qualcuno che sembra non invecchiare mai mentre tu diventi rugoso e rinsecchito e muori.» Ripensai ancora all'aria meravigliata ma intensa con cui mi aveva guardata Heath e capii che, per quanto duro potesse essere, dovevo raccontare tutto a Neferet. «Già, dev'essere orribile», replicai con un filo di voce. «Siamo arrivati.» Mi stupii vedendo che ci eravamo fermati davanti al dormitorio femminile. Alzai gli occhi a guardare il mio accompagnatore. «Be' ti sono grata per avermi seguita… credo», dissi con un sorriso ironico. «Ah, be', ogni volta che vuoi che qualcuno venga a ficcare il naso nei fatti tuoi non invitato, conta pure su di me.» «Lo terrò a mente. Grazie.» Mi appoggiai Nala sul fianco e cominciai ad aprire la porta. «Ehi, Zy.» Mi voltai. «Non restituire il vestito ad Afrodite. Includendoti nel cerchio di stanotte ti ha formalmente offerto un posto tra le Figlie Oscure ed è tradizione che la futura Somma Sacerdotessa faccia un dono a ogni nuovo membro al suo primo rito. Non credo che vorrai fare parte del gruppo, ma hai comunque diritto a tenerti il vestito. Soprattutto perché sta molto meglio a te che a lei.» Si allungò a prendermi la mano (quella con cui non tenevo il gatto) e la rivoltò palmo in su. Poi col dito seguì la vena più grande, facendo impazzire i miei battiti. «E devi anche sapere che puoi contare su di me se decidi di aver voglia di assaggiare un altro sorso di sangue. Tieni a mente pure questo.» Erik si chinò e, gli occhi sempre fissi nei miei, diede un leggerissimo morso in un punto del mio polso, che poi baciò dolcemente. Questa volta l'agitazione di ali nello stomaco fu frenetica e fece ribollire l'interno delle mie cosce e accelerare il respiro. Il suo sguardo, mentre teneva le labbra sul mio polso, mi provocò un fremito di desiderio. Sapevo che mi sentiva tremare. Fece guizzare la punta della lingua sulla vena, e anche questo mi diede un fremito. Poi mi sorrise e si allontanò nel vago chiarore che precede l'alba. 19 Il mio polso bruciava e formicolava ancora per l'inatteso bacio di Erik (e morso e leccatina), e non ero certa di essere già in grado di parlare, perciò mi sentii sollevata vedendo che nella grande sala all'ingresso c'erano pochissime ragazze che mi riservarono giusto un'occhiata prima di tornare a guardare quello che dalla musica sembrava America's Next Top Model. Corsi in cucina e misi Nala sul pavimento, sperando che non scappasse mentre mi preparavo un panino. Non lo fece, preferì invece seguirmi per tutta la stanza come un minuscolo cagnolino arancio e continuare a lamentarsi con quello strano non-miagolio. Continuavo a dirle «lo so» e «hai ragione», perché immaginavo mi stesse dando della cretina per come mi ero comportata quella sera e, be', aveva ragione sul serio. Fatto il panino, presi un sacchetto di pretzel (Stevie Rae aveva detto la verità: non riuscii a trovare cibo spazzatura decente in nessuno degli armadietti), delle bollicine marroni (non m'importa quale bibita sia, basta che sia marrone e non diet e abbia le bolle – iiih!), la mia gatta e salii le scale. «Zoey! Ero così preoccupata per te! Raccontami tutto.» Stevie Rae era raggomitolata nel letto con un libro ed era ovvio che mi stesse aspettando. Portava un pigiama con disegnati cappelli da cowboy e aveva i capelli appiccicati su un lato della faccia come se ci si fosse addormentata sopra. Giuro che sembrava avesse dodici anni. Esordii allegra: «Pare che abbiamo un animaletto». Mi voltai in modo che Stevie Rae potesse vedere Nala schiacciata contro il mio fianco. «Tieni, aiutami prima che faccia cadere qualcosa. Perché se fosse la gatta, poi non la smetterebbe più di lamentarsi.» «È un amore!» Stevie Rae saltò giù dal letto e si affrettò verso di me per prendere Nala, ma la micetta mi si aggrappò addosso come se pensasse che qualcuno l'avrebbe ammazzata se si fosse staccata dal mio fianco, quindi Stevie Rae piazzò il cibo sul mio comodino. «Ehi, quel vestito è favoloso.» «Già, mi sono cambiata prima del rito.» Questo mi ricordò che dovevo restituirlo ad Afrodite. Sicuro. Non mi sarei certo tenuta il «regalo», anche se Erik aveva detto che avrei dovuto. E poi restituirglielo mi dava l'occasione di «ringraziarla» per essersi «dimenticata» di avvisarmi del sangue. Strega e stronza. «Allora… com'era?» Mi sedetti sul letto e diedi un pretzel a Nala, che cominciò subito a sbatacchiarlo da tutte le parti (perlomeno aveva smesso di brontolare), poi addentai un gran boccone di panino. Sì, avevo fame, ma stavo anche guadagnando tempo. Non sapevo cosa dire a Stevie Rae, e cosa non dire. La faccenda del sangue era così sconcertante… e così disgustosa. Avrebbe pensato che ero orribile? Avrebbe avuto paura di me? Inghiottii e decisi di deviare la conversazione su un argomento più innocuo. «Erik Night mi ha accompagnata al dormitorio.» Stevie Rae prese a saltellare sul letto come un gioppino in stile country. «Spara! Devi dirmi tutto.» «Mi ha baciata», dissi, ammiccando con le sopracciglia. «Stai scherzando! E dove? Come? È stato bello?» «Mi ha baciato la mano.» Decisi in fretta di mentire. Non volevo spiegare tutta la storia del polso/vena/sangue/morso. «È stato quando mi ha dato la buona notte. Eravamo proprio davanti al dormitorio. E, sì, è stato bello.» Le sorrisi su un altro boccone di panino. «Scommetto che Afrodite ha cagato piastrelle quando hai lasciato la sala di ricreazione con lui.» «Be', a dire il vero me ne sono andata prima di lui, che mi ha raggiunta dopo. Ero uscita per… mmm… una passeggiata lungo il muro di cinta, dove ho anche trovato Nala.» Diedi una grattatina dietro le orecchie della gatta. Lei si rannicchiò vicino a me, chiuse gli occhi e iniziò a fare le fusa. «A dire il vero, credo sia stata lei a trovare me. Comunque, mi ero arrampicata sul muro perché pensavo avesse bisogno di essere salvata e poi – e a questo so che non crederai – ho visto qualcosa che sembrava il fantasma di Elizabeth, poi sono comparsi Heath, il mio quasi-ex-ragazzo della mia vecchia scuola, e la mia ex-migliore-amica.» «Cosa? Chi? Rallenta. Comincia col fantasma di Elizabeth.» Scossi la testa e masticai. Tra un boccone e l'altro, provai a spiegare. «È stato davvero strano e spaventoso. Ero seduta lì sul muro ad accarezzare Nala, quando qualcosa ha attirato la mia attenzione. Ho guardato giù e c'era questa ragazza, non molto distante da me. Mi ha guardata con degli strani occhi rossi e giuro che era proprio Elizabeth.» «Ma va? Chissà che impressione!» «Eccome. E lei appena mi ha vista ha cacciato uno strillo orribile ed è scappata via.» «Io mi sarei presa una strizza micidiale.» «Anch'io, solo che non ho avuto neanche il tempo di pensarci che sono arrivati Heath e Kayla.» «Cosa vuoi dire? Come facevano a essere qui?» «No, non erano qui, erano dall'altra parte del muro. Devono avermi sentita mentre cercavo di calmare Nala dopo che aveva sclerato del tutto per il fantasma di Elizabeth.» «L'ha visto anche Nala?» Annuii. Stevie Rae rabbrividì. «Allora doveva esserci per davvero.» La mia voce divenne quasi un sussurro: «Tu sei sicura che sia morta? Non è che magari c'è stato un errore ed è ancora viva e se ne va in giro per la scuola?» Suonava ridicolo, ma non più del fatto che avessi visto un fantasma. Stevie Rae deglutì con forza. «È morta. L'ho vista morire. Tutti in classe l'hanno vista.» Sembrava che stesse per mettersi a piangere e quell'argomento mi metteva una gran fifa, perciò passai a qualcosa di meno pauroso. «Be', potrei essermi sbagliata. Magari era soltanto una con gli occhi strani che le somigliava. Era buio e poi sono arrivati subito Heath e Kayla.» «E come mai sono venuti?» Alzai gli occhi al cielo. «Heath ha detto che volevano 'farmi evadere'. Te l'immagini?» «Ma sono stupidi?» «Si direbbe. Oh, e poi Kayla, la mia exmigliore-amica, ha dimostrato in modo evidente di stare dietro a Heath!» Stevie Rae restò senza fiato. «Che zoccola!» «Hai detto bene. Be', comunque, gli ho detto di andarsene e di non tornare, e poi mi sentivo un po' sconvolta ed è stato allora che mi ha trovata Erik.» «Wooow! È stato dolce e romantico?» «Be', sì, abbastanza. E mi ha chiamata Zy.» «Ooh, un nomignolo è un gran buon segno!» «È quello che ho pensato anch'io.» «E allora ti ha accompagnata al dormitorio?» «Già, ha detto che mi avrebbe portata a mangiare qualcosa, ma l'unico posto aperto a quell'ora era la sala di ricreazione e io non volevo tornarci.» Ah, cavolo. Lo capii subito di aver detto troppo. «Le Figlie Oscure sono state orribili?» Guardai Stevie Rae coi suoi occhioni da cerbiatto e capii che non potevo dirle che avevo bevuto sangue. Non ancora. «Be', hai presente Neferet, com'era sexy, bella e… di classe?» Stevie Rae annuì. «Afrodite ha fatto più o meno quello che aveva fatto lei, solo che sembrava una sgualdrina.» «Ho sempre pensato che fosse davvero volgare.» Stevie Rae scosse la testa con aria disgustata. «Non dirlo a me.» La guardai e sbottai: «Ieri, prima che Neferet mi portasse qui al dormitorio, ho visto Afrodite che cercava di fare un pompino a Erik». «Ma va? Dio se è disgustosa. Aspetta, hai detto che cercava di farlo. Com'è 'sta storia?» «Lui le diceva di no e la spingeva via. Le ha detto che non la voleva più.» «Scommetto che questo le ha fatto perdere anche quel poco di rotelle che ancora le restavano», ridacchiò Stevie Rae. Mi ricordavo come gli stava addosso, anche se lui le diceva chiaramente di no. «A dire il vero, mi sarebbe persino dispiaciuto per lei se non fosse così… così…» Mi sforzai di trovare le parole giuste. «Così strega infernale?» suggerì premurosa Stevie Rae. «Già, credo sia proprio così. Ha quell'atteggiamento… come se avesse il diritto di essere antipatica e sgradevole finché vuole e noi dovessimo tutti inchinarci e sopportare.» Stevie Rae annuì. «E le sue amiche sono lo stesso.» «Già, ho incontrato l'orribile trio.» «Intendi Bellicosa, Terribile e Vespa?» «Proprio loro. Ma a cosa pensavano quando hanno scelto quei nomi orrendi?» chiesi infilandomi in bocca una manciata di pretzel. «Esattamente a quello che pensa tutto il suo gruppo: di essere meglio di chiunque altro e intoccabili, perché la volgare Afrodite sarà la nuova Somma Sacerdotessa.» Replicai non appena le parole mi passarono bisbigliando nella mente: «Non credo che Nyx lo consentirà». «Che vuoi dire? Sono già il gruppo 'giusto', Afrodite è a capo delle Figlie Oscure sin da quand'era in quinta e la sua affinità è diventata evidente.» «Cos'è la sua affinità?» «Ha delle visioni, per esempio di disgrazie future», spiegò accigliata Stevie Rae. «Pensi che finga?» «Oh, diavolo, no! È incredibilmente precisa. Quello che penso, e Damien e le gemelle sono d'accordo con me, è che le racconti solo quando le ha mentre è presente qualcuno al di fuori del suo gruppetto.» «Un momento, stai dicendo che sa che succederanno delle brutte cose prima che accadano ma non fa niente per evitarle?» «Già. La settimana scorsa ha avuto una visione all'ora di pranzo, ma le streghe hanno stretto i ranghi intorno a lei e hanno cominciato a portarla fuori della sala da pranzo. Se Damien non ci avesse sbattuto contro perché era in ritardo, facendole sparpagliare e riuscendo così a vedere che Afrodite era nel bel mezzo di una visione, nessuno l'avrebbe mai saputo. E con ogni probabilità sarebbero morti tutti i passeggeri di un intero aereo.» Quasi mi strozzai con un pretzel e, tra una tossita e l'altra, riuscii a farfugliare: «Tutti i passeggeri di un aereo? Oh cavolo!» «Giààà, Damien era sicuro che lei stesse avendo una visione, perciò è andato da Neferet e Afrodite ha dovuto spiegare ciò che aveva visto, cioè un jet che si schiantava appena dopo il decollo. Le sue visioni sono talmente chiare che è riuscita a descrivere l'aeroporto e leggere i numeri sulla coda dell'aereo. Quindi Neferet ha contattato lo scalo di Denver. Loro hanno fatto dei controlli e hanno scoperto dei problemi di cui non si erano accorti prima. Hanno detto che, se non li avessero risolti, l'aereo sarebbe caduto immediatamente dopo il decollo. Ma so benissimo che Afrodite non avrebbe detto niente, se non fosse stata beccata, anche se ha raccontato la balla che le sue amiche la stavano portando fuori della sala da pranzo sapendo che sarebbe voluta andare subito da Neferet. Emerita stronzata.» Stavo per dire che non potevo credere che Afrodite e le sue streghe potessero lasciare di proposito che morissero centinaia di persone, ma poi mi ricordai le parole odiose che avevano detto quella sera: I maschi umani fanno schifo… Dovrebbero morire tutti. Allora mi resi conto che non avevano solo aperto la bocca e dato fiato: avevano parlato sul serio. «E allora perché Afrodite non ha mentito a Neferet? Cioè, dicendole l'aeroporto sbagliato o invertendo i numeri del volo o roba simile?» «È quasi impossibile mentire ai vampiri, soprattutto quando ti fanno una domanda diretta. E poi ricordati che Afrodite vuole diventare Somma Sacerdotessa più di ogni altra cosa, quindi, se Neferet scoprisse quanto è falsa, i suoi piani per il futuro ne risentirebbero di brutto.» «Afrodite non può diventare Somma Sacerdotessa. È egoista e odiosa, e lo sono anche le sue amiche.» «Sì, già, però Neferet non la pensa così e lei era la sua mentore.» Sbattei le palpebre per la sorpresa. «Vorrai scherzare! E si è lasciata infinocchiare dalle stronzate di Afrodite?» Non era possibile. Neferet era troppo intelligente. Stevie Rae si strinse nelle spalle. «Si comporta in modo diverso quando c'è Neferet.» «Ma comunque…» «E poi ha davvero una forte affinità, il che significa che Nyx ha dei progetti speciali per lei.» «Oppure è un diavolo dell'inferno e trae i suoi poteri dal lato oscuro della forza. Pronto? Nessuno ha visto Guerre Stellari? Era difficile pensare che Anakin Skywalker potesse diventare cattivo e guarda invece com'è andata.» «Be', Zoey, quella è tutta roba inventata.» «Sì, però credo che chiarisca bene il concetto.» «Puoi sempre provare a dirlo a Neferet.» Masticai il panino e riflettei sulla cosa. Magari avrei dovuto. Neferet sembrava infinitamente troppo intelligente per cadere nei giochetti di Afrodite. Probabilmente sapeva già che le streghe infernali avevano in mente qualcosa. Magari aveva solo bisogno che qualcuno si prendesse la briga di parlargliene. «Quindi nessuno ha mai provato a dire a Neferet di Afrodite?» «Non che io sappia.» «Perché no?» Stevie Rae mi parve a disagio. «Be', credo che sembri un po' come fare la spia. E poi, cosa potremmo dire a Neferet? Che pensiamo che Afrodite potrebbe nascondere le visioni che ha, ma che la nostra unica prova a favore è che è una stronza odiosa?» Stevie Rae scosse la testa. «Non credo che la Somma Sacerdotessa apprezzerebbe una cosa del genere e, anche se per qualche miracolo ci credesse, cosa potrebbe fare? Non può mica buttarla fuori a calci dalla scuola in modo che possa tossire a morte in qualche angolo di strada. Continuerebbe comunque a stare qui col suo gruppo di streghe e tutti quei ragazzi che farebbero qualunque cosa per lei, basta che faccia schioccare le sue ditine munite di artigli. Direi che proprio non ne vale la pena.» Stevie Rae aveva fatto un'osservazione giusta, ma non mi piaceva. Non mi piaceva proprio per niente. Le cose potrebbero essere diverse se una novizia più potente prendesse il posto di Afrodite a capo delle Figlie Oscure. Sobbalzai con aria colpevole e cercai di nasconderlo dietro una gran sorsata di bollicine marroni. Ma cosa andavo pensando? Non avevo fame di potere. Non volevo diventare Somma Sacerdotessa o venire coinvolta nell'immensa rottura di scatole di una battaglia con Afrodite e metà della scuola (la metà più affascinante, peraltro), io volevo solo trovarmi un posto in questa nuova vita, un posto che sentissi casa… un posto dove integrarmi ed essere come tutti gli altri. Poi mi ricordai delle scosse elettriche che avevo provato durante la realizzazione di entrambi i cerchi e di come gli elementi erano sembrati crepitare attraverso di me; mi tornò in mente anche di quanto mi ero dovuta sforzare per rimanere nel cerchio e non unirmi ad Afrodite al centro. «Stevie Rae, quando viene creato un cerchio, tu senti qualcosa?» chiesi di punto in bianco. «Cosa intendi?» «Be', quando nel cerchio viene chiamato il fuoco, tu senti caldo?» «Naaa. Cioè, mi piace molto la cerimonia e a volte, quando Neferet prega, sento l'energia che si propaga nel cerchio stesso, tutto qui.» «Quindi non senti mai soffiare la brezza quando viene chiamato il vento né senti odore di pioggia quand'è il turno dell'acqua, e nemmeno l'erba sotto i piedi quand'è il momento della terra?» «No di certo. Soltanto una Somma Sacerdotessa con un'affinità superiore per gli elementi potrebbe…» S'interruppe di colpo e sgranò gli occhi. «Mi stai dicendo che tu hai percepito qualcuna di queste cose? Tutte?» Mi dimenai a disagio. «Forse.» «Forse!» squittì. «Ma Zoey! Hai idea di cosa potrebbe significare?» Scossi la testa. «Giusto la settimana scorsa a lezione di Sociologia abbiamo studiato le più famose Somme Sacerdotesse della storia. Non ce n'è una con un'affinità per tutti e quattro gli elementi da centinaia di anni.» «Cinque», la corressi, mogia. «Tutti e cinque! Hai provato qualcosa anche con lo spirito?!» «Già, credo di sì.» «Zoey! È incredibile. Non penso ci sia mai stata una Somma Sacerdotessa in grado di percepire tutti e cinque gli elementi.» Accennò al mio Marchio. «È questo. Significa che sei diversa, e lo sei davvero.» «Stevie Rae, non potremmo tenercelo per noi per un po'? Cioè, non dirlo nemmeno a Damien e alle gemelle? Io vorrei… vorrei cominciare a capirci qualcosa da sola. Ho la sensazione che stia succedendo tutto troppo in fretta.» «Ma Zoey, io…» L'interruppi subito: «E poi potrei sbagliarmi. Che succederebbe se fossi stata soltanto eccitata e nervosa perché era la prima volta che partecipavo al rito? Capisci come mi sentirei in imbarazzo se dicessi in giro: 'Ehi, sono l'unica novizia ad avere affinità per tutti gli elementi' e poi venisse fuori che è stato tutto uno scherzo dei miei nervi?» Stevie Rae si mordicchiò la guancia. «Non lo so, continuo a pensare che dovresti dirlo a qualcuno.» «Già, così poi Afrodite e il suo branco avrebbero tutti i motivi per esultare, se risultasse che m'immagino le cose.» Stevie Rae impallidì. «Oh, ragazzi. Hai proprio ragione. Sarebbe davvero terribile. Non dirò niente finché non sei pronta. Promesso.» La sua reazione mi fece tornare in mente una cosa. «Senti, scusa, posso chiederti che cosa ti ha fatto Afrodite?» Stevie Rae abbassò gli occhi, unì le mani e ingobbì le spalle come se all'improvviso sentisse freddo. «Mi ha invitata a un rituale. Non ero qui da molto, un mese circa, ed ero così eccitata che il gruppo 'giusto' mi volesse…» Scosse la testa, continuando a non guardarmi. «Sono stata una stupida, ma allora non conoscevo nessuno e pensavo che magari potevano essere loro le mie amiche. Così sono andata. Ma non volevano che diventassi una di loro. Volevano che fossi un… un… donatore di sangue per il rito. Mi hanno addirittura chiamata 'frigorifero', come non fossi buona a fare altro che contenere sangue per loro. Mi hanno fatta piangere e, quando ho detto di no, mi hanno presa in giro e cacciata via. È così che ho incontrato Damien, e poi Erin e Shaunee. Passeggiavano insieme e mi hanno vista uscire di corsa dalla sala di ricreazione, perciò mi hanno seguita e mi hanno detto di non preoccuparmi per quello che era successo. Sono miei amici da allora.» Finalmente mi guardò. «Mi dispiace. Avrei dovuto dirti qualcosa prima che tu ci andassi, ma sapevo che con te non l'avrebbero fatto. Tu sei troppo forte e Afrodite è curiosa del tuo Marchio. E poi sei molto bella e puoi essere una di loro.» «Ehi, sei bella anche tu!» Mi si era rivoltato lo stomaco al pensiero di Stevie Rae riversa sulla sedia come Elliott… al pensiero di bere il sangue di Stevie Rae. «No, io sono giusto abbastanza carina. Io non sono una di loro.» «Neanch'io sono una di loro!» strillai, svegliando Nala, che prese a brontolare. «Lo so che non lo sei. Non è quello che intendevo. Volevo solo dire che sapevo che ti avrebbero voluta nel gruppo e che quindi non avrebbero cercato di usarti come hanno fatto con me.» No, erano riuscite a imbrogliarmi e avevano fatto il possibile per mettermi una gran strizza. Ma perché? Un momento! Sapevo cos'avevano in mente. Erik aveva detto che, quando aveva bevuto sangue per la prima volta, gli aveva fatto schifo ed era corso fuori a vomitare. Io ero lì solo da due giorni. Avevano voluto fare qualcosa che mi avrebbe disgustata e spaventata al punto da tenermi per sempre lontana dal loro rituale. Non volevano che entrassi a far parte delle Figlie Oscure, ma non volevano neanche dire a Neferet che non mi volevano. Intendevano fare in modo che fossi io a rifiutarmi di unirmi a loro. Per un qualche motivo contorto, quella prepotente di Afrodite voleva tenermi fuori delle Figlie Oscure. I bulli mi avevano sempre fatta incavolare come una biscia, il che significava, purtroppo, che sapevo cosa dovevo fare. Oh, diavolo. Mi toccava entrare nel gruppo delle Figlie Oscure. «Zoey, non sei arrabbiata con me, vero?» chiese Stevie Rae con una vocina sottile. Sbattei le palpebre, cercando di chiarirmi le idee. «Certo che no! Avevi ragione: Afrodite non ha cercato di costringermi a dare il sangue.» Mi cacciai in bocca l'ultimo pezzo di panino, masticando in fretta. «Ooh, sono proprio distrutta. Pensi di potermi aiutare a trovare una lettiera per Nala, così riesco a dormire un po'?» Stevie Rae s'illuminò all'istante e saltò giù dal letto con la sua solita vitalità. «Guarda un po' qui.» Schizzò dall'altra parte della stanza e sollevò una grande borsa verde, con sopra stampato a caratteri cubitali: FELICIA'S SOUTHERN AGRICULTURE STORE, 2616 S. HARVARD, TULSA, da cui rovesciò sul pavimento una lettiera, ciotoline per il cibo e per l'acqua, una scatola di croccantini Friskies (con protezione speciale contro i grumi di pelo) e un sacco di sabbietta. «Come facevi a saperlo?» «Non lo sapevo. L'ho trovata davanti alla nostra porta quando sono tornata dopo la cena.» Frugò in fondo alla borsa e ne tolse una busta e un adorabile collarino di pelle rosa con sopra minuscole punte d'argento. «Tieni, è per te.» Prima d'iniziare a convincere con gentilezza Nala a indossare il collare, Stevie Rae mi tese la busta, che scoprii aver scritto sopra il mio nome. Al suo interno, una bella calligrafia svolazzante su un costoso biglietto di carta color avorio diceva: Skylar mi ha detto che lei stava arrivando. Era firmato soltanto con una lettera: N. 20 Dovevo proprio andare a parlare con Neferet. Il mattino dopo, mentre Stevie Rae e io facevamo colazione in tutta fretta, non facevo altro che pensarci. Non volevo dirle della mia ipotetica insolita reazione agli elementi. Insomma, mica avevo raccontato balle a Stevie Rae: era possibile che mi fossi immaginata tutto e se l'avessi riferito a Neferet e lei mi avesse fatto fare chissà quale strano test per le affinità (in quella scuola, non si poteva mai dire) scoprendo che non avevo altro che un'immaginazione iperattiva? Non mi sognavo neanche di affrontare una cosa del genere, quindi avrei tenuto la bocca chiusa finché non ne avessi saputo di più. E non volevo parlarle neanche del fatto che pensavo di aver visto il fantasma di Elizabeth. Mica volevo pensasse che ero fuori di melone. Neferet era fantastica, ma era comunque un adulto e riuscivo già quasi a sentire la menata dell'«è stata solo la tua immaginazione perché hai dovuto affrontare così tanti cambiamenti» che mi sarei beccata se avessi ammesso di aver visto uno spettro. Però dovevo parlarle della questione della brama di sangue (diavolo, se mi piaceva così tanto, perché il solo pensarci mi faceva venire la nausea?) Stevie Rae indicò Nala. «Credi che abbia intenzione di venire in classe con te?» Abbassai lo sguardo verso i miei piedi, dove la gattina si era acciambellata a fare le fusa. «Può?» «Intendi dire se le è permesso farlo?» Annuii. «Sì, i gatti possono andare dove vogliono.» Mi chinai ad accarezzarle la testa. «Allora immagino che potrebbe venirmi dietro tutto il giorno.» «Be', sono contenta che sia tua e non mia. Da quanto ho visto quando mi sono svegliata, è una vera rubacuscini.» Risi. «Hai proprio ragione. Come riesca un affarino tanto piccolo a spingermi via dal mio cuscino davvero non lo so.» Le feci un altro grattino in testa. «Andiamo, se no arriviamo in ritardo.» Mi alzai con la ciotola in mano e quasi andai a sbattere contro Afrodite, che, come al solito, aveva al fianco Terribile e Bellicosa. Vespa non si vedeva (magari quella mattina si era fatta la doccia e si era sciolta al contatto con l'acqua – hi hi hi!) Il sorriso maligno di Afrodite mi ricordò un piranha che avevo visto al Jenks Aquarium l'anno prima, durante una gita con la classe di biologia. «Ciao, Zoey. Diamine, ieri sera sei scappata via tanto in fretta che non ho avuto modo di salutarti. Mi dispiace che non ti sia trovata bene. È un vero peccato, ma le Figlie Oscure non sono adatte a tutti.» Lanciò un'occhiata a Stevie Rae e incurvò le labbra. «A dire il vero ieri sera mi è piaciuta un sacco e il vestito che mi hai dato è proprio un amore!» esclamai con esagerato entusiasmo. «Ti ringrazio di avermi invitata a fare parte delle Figlie Oscure. Accetto. Assolutamente.» Il sorriso feroce di Afrodite sbiadì. «Davvero?» Sorrisi a mia volta, ma come un'idiota totale e inconsapevole. «Davvero! Quand'è il prossimo incontro o rituale o quello che è… o devo chiederlo a Neferet? Devo vederla stamattina. So che sarà contenta di sapere che ieri sera mi hai fatto proprio sentire la benvenuta e che adesso sono anch'io una Figlia Oscura!» Afrodite esitò soltanto un istante, poi riprese a sorridere e si adeguò alla perfezione al mio tono da ingenua. «Già, scommetto che sarà felice di sapere che ti sei unita a noi, ma il capo delle Figlie Oscure sono io e conosco i nostri programmi a memoria, perciò non è necessario scocciarla con domande stupide. Domani c'è la nostra celebrazione di Samhain. Metti il tuo vestito.» Aveva enfatizzato il possessivo e il mio sorriso si fece ancora più grande. La mia intenzione era di stuzzicarla, e c'ero riuscita. «Ci troviamo alla sala di ricreazione alle quattro precise.» «Grandioso. Ci sarò.» «Bene, è proprio una bella sorpresa», commentò mielosa. Poi, seguita da Terribile e Bellicosa (che avevano l'aria sconvolta di due reduci da un bombardamento), lasciò la cucina. «Streghe infernali», borbottai sottovoce. Guardai Stevie Rae, che mi osservava con espressione afflitta. «Ti unisci al loro gruppo?» sussurrò. «Non è come pensi. Vieni, ti spiego mentre andiamo in classe.» Misi i piatti della colazione nella lavastoviglie e guidai una Stevie Rae troppo silenziosa fuori del dormitorio. Nala ci seguiva soffiando a qualunque gatto osasse avvicinarsi troppo a me. «Sono in ricognizione, proprio come hai detto tu ieri sera», spiegai a Stevie Rae. «No. Non mi piace.» Scosse la testa con tanta forza da far ballonzolare i corti capelli biondi. «Hai mai sentito quel vecchio detto: 'Tienti gli amici vicino e i nemici ancora più vicino?'» «Sì, ma…» «È quello che sto facendo. Afrodite se la cava troppo liscia per tutte le stronzate che fa. È cattiva. È egoista. Non può essere lei quella che Nyx vuole come Somma Sacerdotessa.» Stevie Rae sgranò gli occhi. «Hai intenzione di fermarla?» «Be' almeno ci proverò.» E, mentre lo dicevo, sentii pizzicare la mezzaluna color zaffiro che mi decorava la fronte. «Grazie per le cose da gatto che mi ha preso per Nala», esordii. Neferet alzò gli occhi dai compiti che stava correggendo e sorrise. «Nala… proprio un bel nome per lei. Ma dovresti ringraziare Skylar, non me. È lui che mi ha detto che stava arrivando.» Poi guardò la palla di pelo arancio che si strusciava impaziente contro le mie caviglie. «Ti è davvero affezionata.» Gli occhi si spostarono di nuovo a guardare me. «Dimmi, Zoey, ti capita di sentire la sua voce nella mente, o di sapere esattamente dove si trova anche se non è nella stessa stanza in cui sei tu?» Sbattei le palpebre. Neferet pensava che potessi avere un'affinità coi gatti! «No, io… io non la sento nella mente, però brontola in continuazione. E non so se saprei dove si trova se non fosse con me perché finora mi è sempre rimasta vicino.» «È deliziosa. Vieni, piccolina.» Neferet mosse un dito per attirare Nala. La gatta saltò sulla scrivania, sparpagliando tutti i fogli. «Oh, mamma mia, Neferet, mi dispiace.» Feci per afferrare la gatta ma Neferet mi allontanò con un gesto. Accarezzò la testa di Nala, che chiuse gli occhi e prese a fare le fusa. «I gatti sono sempre i benvenuti e i fogli si rimettono a posto in fretta. Ora dimmi, Zoeybird, di cosa sei venuta a parlarmi in realtà?» L'uso del soprannome che mi aveva dato la nonna mi strinse il cuore e all'improvviso sentii la sua mancanza con un'intensità che mi costrinse a ricacciare indietro le lacrime. «Ti manca la tua vecchia casa?» chiese gentilmente Neferet. «No, per niente. Be', tranne la nonna, ma sono stata talmente impegnata che me ne sono resa conto soltanto ora», replicai sentendomi in colpa. «Non ti mancano mamma e papà.» L'aveva detto come un'affermazione, ma sentii di doverle rispondere comunque. «No. Be', in realtà non ho un papà. Ci ha lasciati quando ero piccola. La mamma si è risposata tre anni fa e…» «A me lo puoi dire. Ti do la mia parola che capirò», intervenne Neferet. Sbottai con più rabbia di quanta non pensassi di provare: «Lo odio! Da quand'è entrato a far parte della nostra famiglia» – diedi appositamente al termine un tono sarcastico –, «non ne è andata dritta una. La mamma è cambiata completamente. È come se non potesse essere allo stesso tempo sua moglie e mia madre. Perciò è da tanto che quella non è più casa per me». «Mia madre morì quando avevo dieci anni. Mio padre non si risposò, ma iniziò invece a usare me come moglie. Da allora, ha abusato di me fino al momento in cui Nyx mi ha salvata Segnandomi col suo Marchio. Avevo quindici anni.» Neferet s'interruppe e lasciò che lo shock delle sue parole mi diventasse del tutto comprensibile, prima di riprendere. «Perciò, vedi, quando ho detto che capivo che cosa si prova nel momento in cui la propria casa diventa un luogo insopportabile, non parlavo per frasi fatte.» «È una cosa terribile.» Non sapevo che altro dire. «All'epoca lo era. Adesso è semplicemente un ricordo come tanti. Vedi, Zoey, gli umani del tuo passato, anche quelli del presente e del futuro, diventeranno sempre meno importanti per te, sinché, alla fine, non proverai quasi più nulla per loro. Lo capirai meglio proseguendo nella Trasformazione.» La sua voce era piatta e gelida e mi fece una strana sensazione, quindi mi sentii dire: «Non voglio smettere di voler bene alla nonna». «Ma certo che no», replicò, il tono tornato di nuovo caldo e premuroso. «Sono solo le ventuno, perché non le telefoni? Puoi arrivare in ritardo alla lezione di Recitazione: farò sapere alla professoressa Nolan che sei giustificata.» «Grazie, mi farebbe molto piacere. Ma non è di questo che volevo parlarle.» Trassi un profondo respiro. «Ieri sera ho bevuto del sangue.» Neferet annuì. «Spesso le Figlie Oscure mischiano del sangue di novizio al loro vino rituale. È una cosa che ai giovani piace fare. Ti ha disturbata molto?» «Be', l'ho saputo solo a cose fatte, e allora sì, mi ha disturbata.» Neferet aggrottò la fronte. «Non è stato etico da parte di Afrodite non dirtelo prima. Avresti dovuto avere la possibilità di decidere. Le parlerò.» «No!» replicai un po' troppo in fretta, quindi mi costrinsi a sembrare più calma. «Davvero, non ce n'è bisogno. Me ne occupo io. Ho deciso di far parte delle Figlie Oscure, quindi non voglio cominciare mettendo nei guai Afrodite. Non sarebbe certo un buon inizio.» «Probabilmente hai ragione. Afrodite può essere imprevedibile e sono sicura che tu saprai badare a te stessa. Se appena possibile, incoraggiamo i novizi a risolvere tra loro gli eventuali problemi che possono avere.» Mi scrutò con aria preoccupata. «È normale che i primi sorsi di sangue non risultino affatto invitanti. Lo sapresti se fossi con noi da più tempo.» «Non è questo. È che… l'ho trovato delizioso. Erik mi ha detto che la mia era una reazione insolita.» Le sopracciglia perfette di Neferet schizzarono verso l'alto. «Lo è davvero. Per caso ti sei sentita anche eccitata o ti girava un po' la testa?» «Entrambe le cose», replicai sottovoce. Neferet squadrò il mio Marchio. «Tu sei unica, Zoey Redbird. Be', penso sarebbe meglio toglierti dall'attuale sezione di Sociologia e spostarti a Sociologia 415.» «Preferirei che non lo facesse. Mi sento già abbastanza diversa così, con tutti che guardano il mio Marchio e controllano per vedere se faccio qualcosa di strano. Se mi sposta in una classe con ragazzi qui già da tre anni, penseranno davvero tutti che sono anormale.» Neferet esitò, accarezzando la testa di Nala mentre rifletteva. «Capisco quello che vuoi dire, Zoey. Non sono più un'adolescente da oltre cent'anni, ma i vampiri sono dotati di una memoria lunga e precisa, perciò mi ricordo benissimo com'è stato affrontare la Trasformazione.» Sospirò. «Senti, che ne diresti di un compromesso? Ti lascio restare nella sezione di terza di Sociologia, ma ti darò anche il testo che usiamo nelle classi superiori. Tu dovrai leggere un capitolo a settimana e promettere di discutere con me qualunque dubbio o domanda tu abbia.» «Andata.» «Sai, Zoey, mentre è in corso la Trasformazione, tu diventi gradualmente un essere del tutto nuovo. I vampiri non sono esseri umani, anche se una volta lo erano. Adesso questo ti può sembrare riprovevole, ma il tuo desiderio di sangue è normale nella tua nuova vita quanto il desiderio per…» S'interruppe e sorrise. «… le 'bollicine marroni' in quella vecchia.» «Diavolo! Ma lei sa tutto?» «Nyx è stata generosa con me. Oltre all'affinità coi nostri amatissimi felini e le capacità terapeutiche, mi ha donato anche un profondo intuito.» «Può leggermi nel pensiero?» chiesi, nervosa. «Non proprio. Ma posso cogliere spizzichi e bocconi delle cose. Per esempio, so che c'è qualcos'altro che mi vuoi dire riguardo alla scorsa notte.» Presi un altro respirone. «Ero turbata per aver scoperto la faccenda del sangue, perciò sono corsa via dalla sala di ricreazione. È così che ho trovato Nala. Stava su un albero vicinissimo al muro di cinta, perciò mi sono arrampicata sulla recinzione per tirarla giù e, mentre le parlavo, sono arrivati due ragazzi della mia vecchia scuola.» «Cos'è successo?» La mano di Neferet si era fermata: non accarezzava più la gatta e rivolgeva a me tutta la sua attenzione. «Non è stato bello. Loro… loro erano andati, un po' fatti e un po' sbronzi.» Okay, quello non volevo dirlo ma mi era scappato! «Hanno cercato di farti del male?» «Oh, no, niente del genere. Erano la mia ex-migliore-amica e il mio quasi-ex-ragazzo.» Neferet aggrottò di nuovo le sopracciglia. «Cioè, avevo smesso di uscire con lui, ma tra di noi c'era comunque qualcosa.» Annuì come se capisse. «Continua.» «Kayla e io abbiamo quasi litigato. Mi vede in modo diverso, adesso, e immagino di vederla in modo diverso anch'io. E a nessuna delle due piace questo nuovo punto di vista.» Mentre lo dicevo, mi resi conto che era vero. Non è che Kay fosse cambiata, in realtà era sempre stata così, solo che le piccole cose cui prima non facevo caso, come le kaylate prive di senso o il suo lato cattivo, di colpo erano diventate troppo irritanti da sopportare. «Comunque poi se n'è andata e io sono rimasta sola con Heath.» Mi fermai, incerta se raccontare il resto. Neferet strinse le palpebre. «Hai provato brama di sangue per lui?» «Sì», mormorai. «Zoey, hai anche bevuto il suo sangue?» Il tono era brusco. «Ne ho assaggiata solo una goccia. L'avevo graffiato. Non l'ho fatto apposta, ma quando ho udito il pulsare delle sue vene… mi è venuto così.» «Perciò non hai bevuto direttamente dalla ferita?» «Avevo cominciato, ma Kayla è tornata e ci ha interrotti. Era del tutto fuori di testa e a quel punto sono riuscita a far andare via Heath.» «Perché, non voleva?» Scossi la testa. «No, non voleva.» Mi sembrava di essere sul punto di scoppiare di nuovo a piangere. «Neferet, mi dispiace tanto! Io non avevo intenzione di farlo. Non sapevo neanche cosa stessi facendo finché Kayla non si è messa a strillare!» «Ovvio che tu non sapessi cosa stava succedendo. Come potrebbe essere a conoscenza della brama di sangue una novizia Segnata da poco?» Mi sfiorò il braccio con un gesto rassicurante, da mamma. «Probabilmente non c'è stato nessun Imprinting con lui.» «Imprinting?» «È quello che succede quando i vampiri bevono direttamente dagli umani, soprattutto se esiste già un legame tra loro precedente allo scambio di sangue. Per questo ai novizi è proibito bere sangue umano e, a dire il vero, è fortemente sconsigliato anche ai vampiri adulti. Esiste un'intera setta di vampiri che lo considera moralmente sbagliato e vorrebbe renderlo illegale», spiegò. Mentre parlava, i suoi occhi si fecero più scuri e l'espressione che vi lessi mi rese nervosa al punto da farmi rabbrividire. Poi Neferet sbatté le palpebre e gli occhi tornarono normali. Che me la fossi solo immaginata quella strana oscurità? «Ma questa è una dissertazione adatta alla mia classe di sesta.» «Cosa devo fare con Heath?» «Niente. Fammi sapere se cerca di rivederti. Se ti chiama, non rispondere. Se ha iniziato l'Imprinting, anche il suono della tua voce può avere effetto su di lui e agire come un richiamo per attirarlo verso di te.» «Sembra una roba tratta da Dracula», borbottai. «Non ha niente a che vedere con quel maledetto libro!» scattò. «Stoker ha diffamato i vampiri, e questo ha causato infiniti piccoli screzi con gli umani.» «Mi scusi, io non volevo…» Con un gesto della mano, chiuse la questione. «No, sono io che non avrei dovuto riversare su di te le mie frustrazioni riguardo al libro di quel vecchio pazzo. E non preoccuparti per il tuo amico Heath. Sono sicura che starà benissimo. Hai detto che aveva bevuto e fumato? Immagino intendessi marijuana.» Annuii. «Ma io non fumo. E, a dire il vero, non avevano mai fumato neanche lui e Kayla. Non capisco cosa stia succedendo a quei due. Credo stiano uscendo con qualcuno di quei drogati di giocatori di football di Union e che non abbiano avuto il buonsenso di dire di no.» «Be', la sua reazione nei tuoi confronti potrebbe avere avuto a che fare più col livello d'intossicazione che con un possibile Imprinting.» S'interruppe, estrasse un block notes dal cassetto della scrivania e mi tese una penna. «In caso non fosse così, perché non mi scrivi per esteso il nome dei tuoi amici e il loro indirizzo? Oh e, se lo conosci, aggiungi anche il nome dei giocatori di Union.» Mi sentii precipitare il cuore sotto i tacchi «Perché le servono i nomi? Non ha intenzione di chiamare i loro genitori, vero?» Neferet rise. «No di certo. Il cattivo comportamento degli adolescenti umani non è di mia competenza. Te lo chiedo solo in modo da poter concentrare i pensieri su quel gruppo e magari scoprire eventuali tracce di possibile Imprinting tra loro.» «E cosa succede se le trova? Cosa succederà a Heath?» «È molto giovane e l'Imprinting, se ci fosse, sarebbe debole, quindi alla fine si dissolverebbe col tempo e la lontananza. Se invece avesse realmente un Imprinting completo, ci sono modi per spezzarlo.» Stavo per dirle che forse era meglio che facesse quello che doveva fare per spezzarlo, quando aggiunse: «Nessuno di quei modi è piacevole». «Oh, okay.» Scrissi nome e indirizzo di Kayla e di Heath. Non avevo idea di dove abitassero i ragazzi di Union, ma ricordavo come si chiamavano. Neferet si alzò e andò in fondo alla stanza a prendere un grosso libro di testo il cui titolo in lettere d'argento recitava: Sociologia 415. «Comincia col primo capitolo e piano piano leggiti tutto il libro. Finché non l'avrai finito, considera che sia questo il tuo compito, invece di quelli che assegnerò al resto della classe di Sociologia 101.» Presi il libro. Era pesante e la copertina risultò fredda nella mia stretta bollente e nervosa. «Se hai delle domande, qualunque domanda, vieni subito da me. Se non sono qui, puoi trovarmi nel mio appartamento presso il tempio di Nyx. Raggiungi l'ingresso principale e segui le scale sulla destra. Al momento sono l'unica sacerdotessa della scuola, quindi ho per me tutto il primo piano. E non aver paura di disturbarmi. Sei la mia novizia, perciò disturbarmi è un tuo dovere», aggiunse con un caldo sorriso. «Grazie, Neferet.» «Cerca di non preoccuparti. Nyx ti ha sfiorata e la dea bada a coloro che le appartengono.» Mi abbracciò. «Adesso vado dalla professoressa Nolan a spiegarle cosa ti trattiene. Rimani qui e adopera pure il telefono sulla mia scrivania per chiamare tua nonna.» Mi abbracciò di nuovo e poi si chiuse delicatamente la porta alle spalle. Mi sedetti alla sua scrivania e pensai quant'era magnifica la mia mentore e da quanto tempo mia mamma non mi abbracciava a quel modo. E per qualche ragione scoppiai a piangere. 21 «Ciao, nonna, sono io.» «Oh! La mia Zoeybird! Stai bene, gioia?» Sorrisi nel telefono e mi asciugai gli occhi. «Va tutto bene, nonna, è solo che mi manchi.» «Mio piccolo uccellino, anche tu mi manchi.» Fece una pausa. «Tua madre ti ha chiamata?» «No.» La nonna sospirò. «Be', gioia, magari non vuole disturbarti mentre ti stai organizzando nella tua nuova vita. Le ho detto che Neferet mi ha spiegato che per te il giorno e la notte sono invertiti.» «Grazie, nonna, ma non credo sia per questo che non mi ha telefonato.» «Magari ha provato e hai perso la chiamata. Ieri ho fatto il numero del tuo cellulare, ma mi ha risposto la segreteria.» Provai una fitta di senso di colpa. Non avevo neanche guardato il telefonino per i messaggi. «Ho dimenticato di ricaricare la batteria. È in camera. Scusa se non ti ho risposto, nonna.» Poi, per farla sentire meglio (e per fare in modo che cambiasse argomento), aggiunsi: «Quando torno in stanza controllo. Magari la mamma ha chiamato davvero». «Magari l'ha fatto, gioia. Allora, raccontami, come si sta lì?» «È bello. Cioè, ci sono un sacco di cose che mi piacciono. Le lezioni sono favolose. Sai, nonna, faccio persino scherma ed equitazione.» «Che meraviglia! Mi ricordo quanto ti piaceva cavalcare Bunny.» «E ho anche una gatta!» «Oh, Zoeybird, sono così contenta. Ti sono sempre piaciuti i gatti. E stai facendo amicizie?» «Sì, la mia compagna di stanza è fortissima. Si chiama Stevie Rae. E mi piacciono anche i suoi amici.» «Allora, se va tutto bene, perché quelle lacrime?» Avrei dovuto saperlo che non potevo nasconderle niente. «È solo che… che alcune delle cose che riguardano la Trasformazione sono davvero complicate da affrontare.» La sua voce era carica di ansia. «Però stai bene, vero? La testa è a posto?» «Sì, sì, non c'entra. È che…» Mi fermai. Volevo dirglielo; volevo dirglielo così tanto che sarei potuta esplodere, ma non sapevo come. E avevo paura, paura che poi non mi avrebbe più voluto bene. Insomma, la mamma non me ne voleva più, giusto? O quantomeno mi aveva scambiata con un nuovo marito e, in un certo senso, questo era anche peggio che smettere di volermi bene. Cos'avrei fatto se anche la nonna si fosse allontanata da me? «Zoeybird, lo sai che puoi raccontarmi tutto», mi disse con dolcezza. «È difficile, nonna.» Mi morsi il labbro per non piangere. «Allora provo a rendertelo più semplice. Non c'è niente che tu possa dire che mi faccia smettere di volerti bene. Sono tua nonna oggi e lo sarò domani e il prossimo anno. Sarò tua nonna anche dopo aver raggiunto i nostri antenati nel mondo degli spiriti e anche da lì continuerò a volerti bene, uccellino mio.» «Ho bevuto del sangue e mi è piaciuto!» «Ma, gioia, non è questo che fanno i vampiri?» replicò lei senza la minima esitazione. «Sì, ma io non sono un vampiro, sono una novizia soltanto da pochi giorni.» «Zoey, ma tu sei speciale. Lo sei sempre stata. Perché le cose dovrebbero cambiare adesso?» «Io non mi sento speciale. Mi sento diversa, un mostro.» «Allora ricordati una cosa: tu sei sempre tu. Non importa che sia stata Segnata col Marchio. Non importa che stia affrontando la Trasformazione. Dentro, il tuo spirito è sempre il tuo spirito, la tua anima. Dall'esterno potrai sembrare una sconosciuta dall'aria familiare, ma devi solo guardarti dentro per ritrovare quella te stessa che conosci da sedici anni.» «La sconosciuta dall'aria familiare…» mormorai. «Come facevi a saperlo?» «Gioia, tu sei la mia bambina. Sei figlia del mio spirito. Non è difficile capire come ti devi sentire… molto simile a come immagino mi sentirei io.» «Grazie, nonna.» «Non c'è di che, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.» Sorrisi. Amavo il suono del termine cherokee per «figlia»: così magico e speciale, quasi fosse un titolo dato da una Dea. Dato da una Dea… «Nonna, c'è un'altra cosa.» «Dimmi, uccellino.» «Credo di percepire tutti e cinque gli elementi, quando viene creato il cerchio.» «Se è vero, Zoey, ti è stato dato un potere davvero grande. E sai che a un grande potere si associa una grande responsabilità. La nostra famiglia ha una lunga storia di Anziani Tribali, Uomini di Medicina e Donne Sapienti. Bada sempre a pensare prima di agire, uccellino mio. La Dea non ti avrebbe concesso poteri speciali per capriccio. Usali con attenzione e fa' in modo che Nyx, oltre ai tuoi antenati, abbassi lo sguardo su di te e sorrida.» «Farò del mio meglio, nonna.» «È tutto quello che ti chiedo, Zoeybird.» «Qui c'è un'altra ragazza che ha dei poteri speciali, ma è orribile. È prepotente e racconta bugie. Nonna, io credo… io credo…» Presi l'ennesimo respirane e dissi quello che mi si era agitato nella testa per tutta la mattina. «Credo di essere più forte di lei e che forse Nyx mi ha Segnata in modo che potessi allontanarla dalla posizione che occupa. Ma… ma questo vorrebbe dire che devo prendere il suo posto e non so se sono pronta, non ora. Magari non lo sarò mai.» «Zoeybird, segui ciò che ti dice il tuo spirito.» Dopo una lieve esitazione, aggiunse: «Gioia, ti ricordi la preghiera di purificazione del nostro popolo?» Mi tornarono subito in mente le innumerevoli volte in cui ero andata con la nonna al ruscello dietro casa sua e l'avevo guardata fare il bagno rituale nell'acqua corrente e pronunciare la preghiera di purificazione. A volte entravo anch'io nel torrente e recitavo la preghiera con lei. Quel rito era parte della mia infanzia, ripetuto al cambio di stagione in ringraziamento per il raccolto di lavanda o in preparazione dell'inverno in arrivo, oltre che ogni volta in cui la nonna doveva prendere una decisione difficile. A volte nemmeno sapevo perché si purificasse e recitasse la preghiera: semplicemente c'era sempre stata nel rapporto tra lei e me. «Me la ricordo.» «C'è dell'acqua corrente nell'area della scuola?» «Non lo so, nonna.» «Be', se non ci fosse trova qualcosa da usare come smudge stick per la fumigazione. Salvia e lavanda insieme sono la cosa migliore, ma puoi usare anche del pino se non hai alternative. Sai cosa devi fare, Zoeybird?» «Devo passarmi intorno lo smudge, cominciando dai piedi e risalendo, davanti e dietro», declamai, come fossi stata ancora piccola, quando la nonna m'insegnava le usanze del nostro popolo. «Poi mi volto verso est e recito la preghiera di purificazione.» «Molto bene, te lo ricordi. Chiedi aiuto alla Dea, Zoey. Sono convinta che ti ascolterà. Puoi farlo prima dell'alba di domani?» «Penso di sì.» «Reciterò la preghiera anch'io, aggiungendo la voce di una nonna alla richiesta alla Dea perché ti guidi.» E di colpo mi sentii meglio. La nonna non si sbagliava mai in questo genere di cose: se era convinta che sarebbe andata bene, sarebbe senz'altro stato così. «Reciterò la preghiera di purificazione prima dell'alba. Promesso.» «Brava, uccellino mio. Adesso è meglio che questa vecchia signora ti lasci andare. In questo momento sei nel bel mezzo di una giornata di studio, giusto?» «Sì, sto per andare al corso di Recitazione. E, nonna, tu non sarai mai vecchia.» «Non finché posso ascoltare la tua voce, uccellino mio. Ti voglio bene, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.» «Anch'io ti voglio bene, nonna.» Parlare con la nonna mi aveva tolto un peso tremendo dal cuore. Ero ancora preoccupata e spaventata riguardo al futuro, e non è che l'idea di portare via il posto ad Afrodite mi riempisse di gioia. Proprio non sapevo come fare, però avevo un piano. Be', okay, forse non era un «piano», ma almeno era qualcosa con cui tenermi occupata. Avrei portato a termine la preghiera di purificazione e poi… poi avrei cercato di capire cosa dovevo fare dopo. Sì, funzionerà. O almeno era quello che continuai a ripetermi durante le lezioni del mattino. Per l'ora di pranzo avevo deciso il luogo del mio rituale: sotto l'albero vicino al muro di cinta dove avevo trovato Nala. Ci pensai mentre seguivo le gemelle al banco delle insalate. Gli alberi, in particolare le querce, erano sacri al popolo cherokee, quindi mi sembrò una buona scelta. In più era riparato e facile da raggiungere. Certo, Heath e Kayla mi avevano trovata lì, ma non avevo intenzione di sedermi di nuovo sul muro e non riuscivo a immaginare Heath che si presentava all'alba due giorni di fila, Imprinting o no. Voglio dire, era il tipo che d'estate dormiva fino alle due del pomeriggio, ogni giorno. Ci volevano due sveglie e gli strilli di sua madre per farlo alzare per andare a scuola. Probabilmente avrebbe impiegato un paio di mesi per riprendersi dalla levataccia del giorno prima, anche se probabilmente era uscito di casa di nascosto, aveva incontrato Kay (per lei uscire di nascosto è sempre stato facile dato che i suoi genitori sono dei tonti totali) ed erano stati in piedi tutta la notte. Il che significava che non era andato a scuola e che sarebbe stato assonnato e rinco per i prossimi due giorni. In ogni caso, non mi preoccupavo che potesse comparire. «Non trovi che le mini pannocchie facciano impressione? C'è qualcosa di sbagliato in quei corpicini in miniatura.» Sobbalzai e feci quasi cadere il mestolo della salsa ranch nel grosso recipiente pieno di liquido bianco, quindi alzai gli occhi a incrociare quelli azzurri e allegri di Erik. «Oh, ciao. Mi hai spaventata.» «Zy, credo di star prendendo l'abitudine di arrivarti alle spalle di soppiatto.» Ridacchiai nervosa, più che consapevole che le gemelle osservavano ogni nostra mossa. «Sembra che ti sia ripresa da ieri.» «Sì, nessun problema. Sto bene. E stavolta non sto mentendo.» «E ho sentito che sei entrata a far parte delle Figlie Oscure.» Shaunee ed Erin inspirarono rumorosamente all'unisono. Feci bene attenzione a non guardarle. «Già.» «Ottimo. A quel gruppo serve sangue nuovo.» «Hai detto 'quel gruppo' come se tu non ne facessi parte. Non sei un Figlio Oscuro?» «Sì, ma non è lo stesso che essere una Figlia Oscura. Noi siamo giusto decorativi. Un po' l'opposto di come va nel mondo degli umani. Tutti i ragazzi sanno di essere lì solo perché hanno un aspetto carino e per far divertire Afrodite.» Tornai a guardarlo negli occhi, leggendoci qualcos'altro. «Ed è questo che continui a fare, divertire Afrodite?» «Come ho detto ieri sera, non più ormai, ed è uno dei motivi per cui non mi considero davvero parte del gruppo. Sono certo che mi avrebbero già sbattuto fuori a pedate se non fosse per quel poco di recitazione che faccio.» «Con 'poco' intendi il fatto che a Broadway e a Los Angeles s'interessano già a te?» Mi fece un gran sorriso. «È quello che intendo. Non è reale, sai. Recitare è tutto una finta. Non è quello che sono davvero.» Si chinò a bisbigliarmi all'orecchio. «In realtà, sono uno sfigato.» «Ma per favore! Non dirmi che qualcuno ci casca con questa recita.» Esagerò un'aria offesa. «Recita? No, Zy, non è una recita e te lo posso dimostrare.» «Come no.» «Invece sì. Vediamoci stasera. Guarderemo i miei DVD preferiti in assoluto.» «E questo cosa dimostrerebbe?» «Sono i DVD di Guerre Stellari, gli originali. Conosco le battute di tutti i personaggi.» Si avvicinò di più e bisbigliò ancora. «So a memoria anche la parte di Chewbacca.» Risi. «Hai ragione. Sei uno sfigato.» «Te l'avevo detto.» Eravamo arrivati alla fine del banco delle insalate e lui s'incamminò con me verso il tavolo dove erano già seduti Damien, Stevie Rae e le gemelle. Che no, non facevano niente per nascondere il fatto che ci stessero osservando a bocca aperta. «Allora stasera… vieni… con me?» Potevo sentire i miei quattro amici trattenere il fiato. In senso letterale. «Mi piacerebbe, ma stasera non posso. Io… ho già un impegno.» «Oh. Okay. Allora… la prossima volta. Ci vediamo.» Fece un cenno con la testa al resto del tavolo e se ne andò. Mi sedetti. Mi fissavano tutti. «Be'?» chiesi. «Tu devi aver perso anche l'ultima piccolissima rotella che avevi nel cervello», esordì Shaunee. «Proprio quello che pensavo io, gemella», convenne Erin. «Spero che tu abbia un motivo veramente buono per dargli un due di picche», intervenne Stevie Rae. «È chiaro che hai urtato i suoi sentimenti.» «Pensi che potrei consolarlo io?» chiese Damien, che continuava a fissare Erik con occhi sognanti. «Piantala», lo rimbeccò Erin. «Giocate in due squadre diverse», aggiunse Shaunee. «Zitti!» sbottò Stevie Rae. Si voltò a guardarmi negli occhi. «Perché gli hai detto di no? Cosa può esserci di più importante che uscire con lui?» «Liberarsi di Afrodite», replicai semplicemente. 22 «Non ha tutti i torti», commentò Damien. «È entrata a far parte delle Figlie Oscure», intervenne Shaunee. «Cosa?» squittì Damien, la voce più alta di almeno venti ottave. Stevie Rae accorse subito in mia difesa. «Lasciatela stare! È in ricognizione.» «Ricognizione un cavolo! Se si è unita alle Figlie Oscure, ha ingaggiato battaglia col nemico, altro che», disse Damien. «Be', l'ha fatto», fece Shaunee. «Abbiamo sentito che lo diceva», concluse Erin. «Salve! Sono ancora qui, non l'avete notato?» sbottai. «Allora, cos'hai intenzione di fare?» mi chiese Damien. «A dire il vero non lo so.» «Sarà meglio che tu elabori un piano, e in fretta anche, o quelle streghe ti mangeranno a pranzo», riprese Erin. «Giààà», convenne Shaunee, addentando con foga l'insalata per rendere meglio l'idea. «Ehi! Non deve fare tutto da sola. Lei ha noi.» Stevie Rae incrociò le braccia sul petto e lanciò un'occhiataccia alle gemelle. Le sorrisi un grosso grazie. «Be', un'ideina forse ce l'avrei.» «Bene. Diccela e ci riflettiamo insieme», decise Stevie Rae. Mi fissarono tutti, in attesa. Sospirai. «Be'… mmm…» Cominciai esitante, per paura di sembrare un'idiota, poi decisi che tanto valeva raccontare loro quello che mi turbinava nella testa da quando avevo parlato con la nonna, perciò finii di slancio. «Pensavo di eseguire un'antica preghiera di purificazione basata su un rito cherokee e chiedere a Nyx di aiutarmi a escogitare un piano.» Il silenzio che scese sul tavolo sembrò durare in eterno. Alla fine, però, fu Damien a intervenire: «Chiedere l'aiuto di Nyx non è una cattiva idea». «Ma sei cherokee?» chiese Shaunee. «Sembri cherokee», disse Erin. «Sveglia! Di cognome fa Redbird. Certo che è cherokee», sentenziò Stevie Rae. «Be', può andare», commentò Shaunee, ma aveva ancora un'aria dubbiosa. «Io penso che Nyx potrebbe ascoltarmi davvero e – magari – darmi qualche dritta su cosa fare riguardo all'orribile Afrodite.» Guardai i miei amici. «Qualcosa dentro di me mi dice che non è giusto lasciarla continuare con le stronzate che sta facendo, passandola pure liscia.» «Lascia che glielo dica!» sbottò all'improvviso Stevie Rae. «Non lo racconteranno a nessuno. Davvero. E credo sia utile che lo sappiano.» «Di cosa cassius stai parlando?» chiese Erin. «Okay, adesso non hai scelta.» Shaunee indicò Stevie Rae con la forchetta. «Sapeva che dicendolo l'avremmo martellata finché non ci avrebbe spifferato tutto.» Guardai male Stevie Rae, che si strinse nelle spalle imbarazzata e chiese scusa. Riluttante, abbassai la voce e mi chinai in avanti. «Promettete di non dirlo a nessuno.» «Promesso», fecero in coro. «Quando viene creato il cerchio riesco a percepire tutti e cinque gli elementi.» Silenzio. Erano lì e mi fissavano, tre sotto shock, Stevie Rae compiaciuta. «Adesso pensate ancora che non possa cacciare Afrodite?» chiese la mia compagna di stanza. «Lo sapevo che il tuo Marchio non era così solo perché eri caduta e avevi battuto la testa!» commentò Shaunee. «Wow. Questo sì che è un pettegolezzo coi fiocchi!» esclamò Erin. «Non deve saperlo nessuno!» replicai in fretta. «Ma ti prego», intervenne Shaunee. «Stavamo solo dicendo che un giorno o l'altro questo sarà il gossip dei gossip.» «Sappiamo aspettare quando si tratta di un pettegolezzo davvero super», riprese Erin. Damien ignorò entrambe. «Non credo sia documentata l'esistenza di una Somma Sacerdotessa che avesse affinità con tutti e cinque gli elementi.» Man mano che parlava, la sua voce era sempre più concitata. «Sai cosa significa?» Non mi diede la possibilità di rispondere. «Significa che potenzialmente potresti essere la più incommensurabile Somma Sacerdotessa che i vampiri abbiano mai avuto.» «Eh?» commentai. Incommensurabile? «Grande, potente», spiegò con tono impaziente. «Potresti davvero riuscire a togliere Afrodite dalla circolazione!» «Ah, questa sì che è una buona notizia», commentò Erin mentre Shaunee assentiva con entusiasmo. «Allora, quando e dove facciamo quella cosa di purificazione?» chiese Stevie Rae. «Facciamo?» replicai. «Zoey, non sei sola in questo», chiarì. Aprii la bocca per protestare: insomma, non ero nemmeno sicura di cosa avrei fatto. Non volevo coinvolgere i miei amici in quello che poteva essere – che in verità aveva molte probabilità di essere – un casino totale. Ma Damien non mi lasciò il tempo di dissuaderli. «Hai bisogno di noi. Anche la più incommensurabile Somma Sacerdotessa ha bisogno del suo cerchio.» «Be', a dire il vero io non avevo pensato di realizzare un cerchio. Volevo solo fare una sorta di preghiera di purificazione.» «Non puoi creare il cerchio e poi recitare la preghiera e chiedere l'aiuto di Nyx?» domandò Stevie Rae. «Sembra logico», intervenne Shaunee. «E poi, se davvero hai un'affinità coi cinque elementi, scommetto che riusciremo a percepirlo quando creerai il tuo cerchio. Giusto, Damien?» disse Stevie Rae. Guardammo tutti il nostro sapientone gay. «A me sembra un ragionamento molto sensato», sentenziò lui. Stavo per rimettermi a discutere, anche se mi sentivo sollevata, felice e grata che i miei amici sarebbero stati lì con me, che non mi avrebbero lasciata affrontare da sola tutta quell'incertezza. Apprezzali; sono perle di grande valore. La voce familiare mi fluttuò nella mente e mi resi conto che non dovevo mettere in dubbio il nuovo istinto che sembrava essere nato quando Nyx mi aveva baciato la fronte cambiando in modo permanente il mio Marchio e la mia esistenza. «Okay, mi servirà uno smudge stick.» Mi guardarono con espressione assente. «È una fascina di erbe da usare per la purificazione, dato che non ho a portata di mano dell'acqua corrente. O invece ce l'ho?» «Intendi un ruscello o un fiume o qualcosa di simile?» chiese Stevie Rae. «Già.» «Be', c'è un ruscelletto che attraversa il cortile fuori della sala da pranzo e sparisce non so dove sotto la scuola», disse Damien. «Non va bene, è troppo visibile. Dovremo usare lo smudge. Quello che funziona meglio è un misto di lavanda essiccata e salvia, ma se proprio devo posso usare del pino.» «Io posso procurare salvia e lavanda», si offrì Damien. «Hanno quel genere di cose nel magazzino riservato alle classi d'Incantesimi e Rituali di quinta e di sesta. Basta che dica che sto aiutando uno di una classe superiore prendendogliene un po'. Cos'altro ti serve?» «Be', nel rito di purificazione la nonna ringraziava sempre le sette direzioni sacre venerate dal popolo cherokee: nord, sud, est, ovest, sole, terra e se stessa. Ma credo di voler rendere la preghiera più specifica per Nyx.» Mi mordicchiai il labbro, riflettendo. «Penso sia un'idea intelligente», approvò Shaunee. «Già», aggiunse Erin. «Cioè, Nyx non è legata al sole. Lei è la Notte.» «Io credo che dovresti seguire l'istinto», mi consigliò Stevie Rae. «La fiducia in se stessa è una delle prime cose che deve imparare una Somma Sacerdotessa», sentenziò Damien. «Okay, allora mi serve anche una candela per ognuno dei cinque elementi», decisi. «Detto-fatto», intervenne Shaunee. «Già, il tempio non è mai chiuso a chiave e lì ci sono miliardi di candele per i cerchi.» «Ma non ci sono problemi a prenderle?» Rubare qualcosa dal tempio di Nyx non mi sembrava esattamente un'idea astuta. «Basta che poi le riportiamo», spiegò Damien. «Che altro?» «Tutto qui.» Credo. Diavolo, non ne ero certa. Non è che sapessi davvero cosa stavo facendo. «Quando e dove?» chiese Damien. «Dopo cena. Diciamo alle cinque e mezzo. E non possiamo andarci insieme. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che Afrodite o una qualunque delle altre Figlie Oscure pensi che facciamo una specie di riunione e decida di voler ficcare il naso. Troviamoci direttamente alla grande quercia vicino al muro est.» Rivolsi loro un sorriso d'intesa. «È facile da trovare immaginando di essere appena corsi fuori da uno dei riti delle Figlie Oscure nella sala di ricreazione e di voler scappare il più lontano possibile da quelle streghe.» «Non ci vuole molta immaginazione per questo», commentò Shaunee. Erin sbuffò. «Okay, noi portiamo il materiale», disse Damien. «Già, noi portiamo il materiale, tu porta l'incommensurabileria.» Shaunee lanciò un'occhiata da saputella a Damien. «Il termine non è corretto. Sai, dovresti proprio leggere di più. Magari il tuo vocabolario migliorerebbe», ribatté lui. «Dillo a tua sorella di leggere di più», replicò Shaunee, poi lei ed Erin si squagliarono in risatine per la battutaccia. Io ero stracontenta di non essere più il loro argomento di conversazione e di poter mangiare l'insalata e pensare abbastanza tranquilla intanto che battibeccavano. Mentre masticavo e cercavo di ricordarmi tutte le parole della preghiera di purificazione, Nala saltò sulla panca accanto a me e mi fissò con quei suoi occhioni dolci; poi mi si appoggiò contro e iniziò a fare le fusa come un trattore. Non so perché, ma mi fece sentire meglio. E, quando suonò la campanella e tutti ci precipitammo in classe, i miei quattro amici mi sorrisero, mi fecero l'occhiolino con aria d'intesa e dissero: «A dopo, Zy». Anche questo mi fece sentire meglio, anche se la facilità con cui avevano adottato il vezzeggiativo di Erik mi diede una fitta al cuore. La lezione di spagnolo passò in un lampo, tutta dedicata a imparare a dire che una cosa ci piace o non ci piace. La profe Garmy mi faceva morire dal ridere. Diceva che ci avrebbe cambiato la vita. Me gustan los gatos (mi piacciono i gatti); me gusta ir de compras (mi piace fare shopping); no me gusta cocinar (non mi piace cucinare); no me gusta lavar el gato (non mi piace lavare il gatto). Queste erano le frasi preferite della profe Garmy, e passammo l'ora a proporre quelle che preferivamo noi. Cercai di non scrivere cose come me gusta Erik… oppure no me gusta la estrega Afrodite. Okay, sono sicura che in spagnolo strega non si dice estrega, ma il concetto è chiaro. Comunque, la lezione fu divertente e riuscii persino a capire quello che dicevamo. L'ora di equitazione, invece, non passò esattamente in un lampo. Pulire le poste dei cavalli è ottimo per pensare – e io mi ripetei mentalmente all'infinito la preghiera di purificazione –, ma la lezione sembrò durare proprio un'ora. Questa volta Stevie Rae non dovette venirmi a prendere: ero troppo in apprensione per perdere la cognizione del tempo. Quando suonò la campanella stavo rimettendo a posto le spazzole, felice che Lenobia mi avesse di nuovo lasciato strigliare Persefone e preoccupata perché mi aveva detto che pensava che dalla settimana successiva avrei addirittura potuto cavalcarla. Corsi fuori della scuderia, desiderando che nel mondo «reale» non fosse tanto tardi per poter telefonare alla nonna e raccontarle i progressi che stavo facendo coi cavalli. «So cosa sta succedendo.» Giuro che quasi soffocai. «Oddio, Afrodite! Ma non potresti fare almeno un pochino di rumore? Cosa sei, in parte ragno? Mi hai fatto venire una strizza…» «Qualcosa non va?» disse come se facesse le fusa. «Coscienza sporca?» «Sai, se strisci alle spalle della gente, la spaventi. La coscienza più o meno sporca non c'entra.» «Perciò la tua è pulita?» «Afrodite, non so di cosa stai parlando.» «So cosa stai architettando per stasera.» «E io invece continuo a non sapere di cosa parli.» Ah, cacchio! Come aveva fatto a scoprirlo? « Tutti pensano che sei così carina, così innocentina, e sono tutti tanto colpiti da quel tuo strano Marchio. Tutti tranne me.» Si voltò a guardarmi in faccia e ci fermammo in mezzo al marciapiede. I suoi occhi azzurri si strinsero in una fessura e la sua faccia si distorse al punto di sembrare quella di una stregacela spaventosa. Huh. Mi chiesi (per un istante) se le gemelle si rendevano conto di quanto fosse azzeccato il soprannome che le avevano dato. «Non importa quali stronzate puoi avere sentito in giro: lui è ancora mio. Sarà sempre mio.» Sgranai gli occhi e provai un tale sollievo che scoppiai a ridere. Stava parlando di Erik, non della preghiera di purificazione! «Cavolo, sembri la mamma di Erik. Lui lo sa che lo controlli?» «Ti sembravo la mamma di Erik quando mi hai vista che glielo succhiavo in corridoio?» Allora lo sapeva. Vabbè. Immagino fosse inevitabile che noi due avessimo quella conversazione. «No, non sembravi la mamma di Erik. Sembravi quello che sei – disperata – mentre cercavi in modo patetico di buttarti su un ragazzo che ti diceva chiaramente che non ti vuole più.» «Stronza puttana! Nessuno può parlarmi così!» Sollevò la mano e la mosse per darmi uno schiaffo o cavarmi gli occhi, ma poi sembrò che il mondo si fermasse, lasciandoci in una bolla al rallentatore. Le afferrai il polso, bloccandola con una facilità… esagerata. Era come se fosse una bambina piccola e malata che aveva cercato di colpire per rabbia ma fosse troppo debole per far male. La tenni ferma per un istante, incrociando il suo sguardo odioso. «Non cercare mai più di colpirmi. Non sono una di quelle ragazzine con cui puoi fare la prepotente. Ascoltami bene e capiscimi meglio: io non ho paura di te.» Poi allontanai da me il suo polso e restai shockata vedendola barcollare indietro di oltre un metro. Mi lanciò un'occhiataccia mentre si massaggiava il polso. «Non sprecarti a venire domani. Considerati non invitata e non più una Figlia Oscura.» «Sul serio?» Mi sentivo di una calma incredibile. Sapevo di avere in mano un asso in quella partita e decisi di giocarlo. «Allora hai intenzione di spiegare alla mia mentore, la Somma Sacerdotessa Neferet, ossia la vampira che ha avuto l'idea di farmi entrare a far parte delle Figlie Oscure, che mi hai buttata fuori perché sei gelosa del fatto che piaccio al tuo ex-ragazzo?» Impallidì. «Oh, e puoi stare certa che quando Neferet me ne parlerà io mi dimostrerò davvero sconvolta.» Finsi di tirar su col naso e singhiozzare. «Lo sai cosa significa essere parte di un gruppo quando non ti ci vuole nessuno?» ringhiò a denti stretti. Mi sentii stringere lo stomaco e dovetti faticare per non lasciarle vedere che aveva toccato un nervo scoperto. Sì, sapevo esattamente cosa significava essere parte di un gruppo – una presunta famiglia – e avere la sensazione che nessuno mi ci volesse, ma Afrodite non doveva saperlo. Perciò sorrisi e, col tono di voce più dolce che mi riusciva, dissi: «Ma sai, Afrodite, non credo sia come dici perché proprio oggi a pranzo Erik, che è uno dei Figli Oscuri, mi ha detto che era tanto felice che fossi entrata a far parte delle Figlie Oscure». «Vieni al rituale. Fingi di essere una di noi. Ma farai meglio a ricordarti una cosa: loro sono le mie Figlie Oscure e tu sei l'estranea, quella non voluta. E ricordati anche questo: tra Erik Night e me c'è un legame che tu non potrai mai capire. Lui non è il mio ex. Non sei rimasta a vedere la fine del nostro giochetto in corridoio. Allora e adesso era ed è esattamente quello che voglio che sia: mio.» Quindi con un colpo di collo scostò una gran massa di capelli biondissimi e si allontanò a grandi passi. Circa due respiri dopo, la testa di Stevie Rae spuntò da dietro una vecchia quercia non troppo lontana dal marciapiede. «Se n'è andata?» «Per fortuna. Ma tu che ci fai lì dietro?» «Vuoi scherzare? Mi nascondo. Mi mette una strizza ipergalattica. Ti stavo venendo incontro e vi ho viste litigare. Ragazzi, ha davvero cercato di darti uno schiaffo!» «Afrodite ha dei seri problemi nella gestione della rabbia.» Stevie Rae rise. «Oh, senti, adesso puoi anche uscire da dietro la pianta.» Sempre ridendo, Stevie Rae mi raggiunse quasi con un solo salto e mi prese sottobraccio. «Le hai davvero tenuto testa!» «Eh, sì, l'ho fatto.» «Ti odia proprio proprio a morte.» «Eh, sì, proprio proprio.» «Lo sai che significa questo?» chiese Stevie Rae. «Sì. Che adesso non ho più scelta. Dovrò farle abbassare la cresta.» «Già.» Ma sapevo di non avere scelta già da prima che Afrodite cercasse di cavarmi gli occhi. Non avevo avuto scelta dal momento in cui Nyx mi aveva Segnata col suo Marchio e, mentre Stevie Rae e io camminavamo insieme nell'intensità della notte illuminata dalle luci a gas, le parole della Dea continuavano a risuonarmi nella mente: Tu sei più grande della tua età, Zoeybird. Credi in te stessa e troverai un modo. Ma ricorda: non sempre l'oscurità s'identifica col male, proprio come la luce non sempre conduce al bene. 23 «Spero che riescano a trovarla anche gli altri.» Mi guardai intorno mentre Stevie Rae e io aspettavamo vicino alla grande quercia. «Non sembrava tanto buio ieri notte.» «Non lo era. Stasera è molto nuvoloso, quindi la luna ha qualche problemino a farsi vedere. Ma non ti preoccupare, la Trasformazione sta facendo meraviglie con la nostra visione notturna. Diamine, credo di vedere bene quanto Nala.» Stevie Rae accarezzò con affetto la testa della gatta, che chiuse gli occhi e partì con le fusa. «Ci troveranno.» Mi appoggiai all'albero e ripresi a preoccuparmi. La cena era stata buona – pollo arrosto da leccarsi le dita, riso con spezie e taccole (una cosa che si poteva dire di quel posto senza rischio di essere smentiti era che cucinavano alla grande) – e tutto andava a meraviglia. Finché Erik non si era avvicinato al nostro tavolo e aveva detto «ciao». Okay, non era un ciao da «ciao, Zy, mi piaci sempre», ma solo un «ciao, Zoey». Punto. Eh già, proprio così. Aveva preso da mangiare e camminava con un paio di ragazzi che le gemelle avevano definito da arrapo. Ammetto di non averli neanche notati. Ero troppo impegnata a notare Erik. Arrivati al nostro tavolo, io avevo alzato gli occhi e avevo sorriso. Lui aveva incrociato il mio sguardo per un millisecondo, aveva detto «Ciao, Zoey» e se n'era andato. Di colpo il pollo non mi era più sembrato così buono. «Hai ferito il suo amor proprio. Sii carina con lui e vedrai che ti chiederà di nuovo di uscire», disse Stevie Rae, riportando me e i miei pensieri sotto l'albero. «Come facevi a sapere che stavo pensando a Erik?» chiesi. Stevie Rae aveva smesso di coccolare Nala, perciò allungai la mano per accarezzarla prima che cominciasse a lamentarsi con me. «Perché è quello cui starei pensando io.» «Già, invece dovrei pensare al cerchio che devo creare senza averne mai creato uno in vita mia e al rito di purificazione che devo eseguire, non a un ragazzo.» «Non è 'un ragazzo'. È un favoloooso ragazzo», disse Stevie Rae strascicando l'aggettivo e facendomi ridere. «Dovete stare parlando di Erik.» Damien uscì dall'ombra del muro di cinta. «Non preoccuparti. Ho visto come ti guardava oggi a pranzo. Ti chiederà di nuovo di uscire.» «Giààà, ha parlato l'esperto», disse Shaunee. «L'esperto di Tutto Ciò Che Riguarda il Pene del nostro amabile gruppetto», terminò Erin mentre ci raggiungevano sotto l'albero. «Più che vero», commentò Damien. Prima che mi facessero venire il mal di testa, cambiai argomento. «Avete trovato quello che ci serve?» «Ho dovuto mettere assieme io salvia e lavanda, perciò spero che vada bene il modo in cui ho legato questa specie di fascina.» Damien si tolse dalla manica della giacca lo smudge e me lo diede. Era grosso e lungo circa trenta centimetri e sentii immediatamente la familiare dolcezza della lavanda. Aveva avvolto strettamente il mazzetto a un'estremità con quello che pareva del filo extra forte. «È perfetto», gli dissi sorridendo. Sembrò sollevato, quindi un po' timidamente aggiunse: «Ho usato il mio filo per il punto croce». «Ehi, ti ho già detto mille volte che non ti devi vergognare se ti piace il punto croce. È un passatempo fighissimo, e poi sei pure molto bravo», fece Stevie Rae. «Magari la pensasse così anche mio padre», replicò Damien. Mi fece male sentire la tristezza nella sua voce. «Mi piacerebbe che m'insegnassi prima o poi. È una cosa che avrei sempre voluto imparare», mentii, e fui felice di vedere il viso di Damien illuminarsi. «Quando vuoi, Zy», replicò. «E le candele?» chiesi alle gemelle. «Ehi, te l'avevamo assicurato. Detto…» Shaunee aprì la borsa e ne tolse tre candele votive, una verde, una gialla e una blu, poste in recipienti di vetro spesso dello stesso colore. «… fatto.» Dalla sua borsa, Erin ne prese una rossa e una viola con relativi contenitori di vetro della tonalità corrispondente. «Bene. Okay, vediamo. Mettiamoci qui, a una certa distanza dal tronco ma abbastanza vicini da rimanere comunque sotto i rami.» Mi seguirono mentre mi allontanavo dall'albero. Guardai le candele. Cosa dovevo fare? Forse… e, mentre ci pensavo, seppi. Senza fermarmi a chiedermi come o perché o a mettere in dubbio l'istinto che improvvisamente si era fatto vivo in me, agii. «Darò una candela a ognuno di voi. Poi, come le vampire nel Rito della Luna Piena di Neferet, rappresenterete l'elemento corrispondente. Io sarò lo spirito.» Erin mi tese il cero viola. «Io sono il centro del cerchio e voi prenderete posto intorno a me.» Senza esitazione, presi la candela rossa e la diedi a Shaunee. «Tu sarai il fuoco.» «Mi suona benissimo. Cioè, lo sanno tutti quanto sono bollente!» Sorrise e sculettò fino all'estremità sud del cerchio. La candela verde fu la successiva. Mi voltai verso Stevie Rae. «Tu sei la terra.» «E il verde è il mio colore preferito!» disse felice, posizionandosi di fronte a Shaunee. «Erin, tu sei l'acqua.» «Bene. Prima mi piaceva un sacco prendere il sole e questo implicava nuotare quando dovevo rinfrescarmi.» Erin si spostò in posizione dell'ovest. Damien prese la candela gialla. «Perciò io sarò l'aria.» «Proprio così. Il tuo elemento è quello che apre il cerchio.» «Così come vorrei poter aprire la mente delle persone», replicò posizionandosi a est. Gli feci un gran sorriso. «Già, qualcosa del genere.» «Okay, e adesso che si fa?» chiese Stevie Rae. «Be', usiamo il fumo dello smudge per purificarci.» Sistemai la candela viola accanto ai miei piedi in modo da potermi concentrare sulla fascina di erbe. Poi alzai gli occhi al cielo. «Oh, diavolo! Non è che qualcuno si è ricordato di prendere dei fiammiferi o un accendino o qualcosa del genere?» «Naturalmente.» Damien si levò di tasca un accendino. «Grazie, aria.» «Non c'è di che, Somma Sacerdotessa.» Non dissi niente, ma, quando mi chiamò a quel modo, mi sentii attraversare da un fremito di eccitazione. «Ecco come si usa lo smudge.» Fui felice che la mia voce suonasse molto più calma di quanto in realtà mi sentivo. Mi piazzai davanti a Damien, decidendo che fosse meglio iniziare da dove cominciava il cerchio, e, rendendomi conto di stare imitando la nonna e le lezioni della mia infanzia, spiegai il procedimento ai miei amici. «Quello del fumo è un sistema rituale per purificare una persona, un luogo o un oggetto liberandoli da energie, spiriti o influssi negativi. La cerimonia della fumigazione richiede che siano bruciate delle piante speciali, sacre, e delle resine vegetali; inoltre prevede che l'oggetto sia fatto passare nel fumo o che il fumo stesso venga agitato intorno a una persona o a un luogo. Lo spirito delle piante purifica tutto quello che è stato insozzato.» Sorrisi a Damien. «Pronto?» «Affermativo», rispose in tipico stile Damien. Accesi lo smudge e lasciai che il fuoco bruciasse per un po' le erbe essiccate, quindi spensi la fiamma in modo che restassero delle piccole braci fumanti. Poi, iniziando dai piedi, lo avvolsi col fumo e risalii piano piano continuando la descrizione dell'antica cerimonia. «È molto importante ricordare che chiediamo agli spiriti delle piante sacre che stiamo utilizzando di aiutarci, quindi dobbiamo mostrare loro il dovuto rispetto riconoscendone il potere.» «E cosa fanno la lavanda e la salvia?» chiese Stevie Rae dall'altra parte del cerchio. Risposi continuando a lavorare intorno a Damien. «La salvia bianca è molto usata nelle cerimonie tradizionali perché scaccia energie, spiriti e influssi negativi. A dire il vero può andare bene qualunque tipo di salvia, ma preferisco quella bianca perché ha un aroma più dolce.» Raggiunsi la testa di Damien e gli feci un gran sorriso. «Ottima scelta.» «A volte penso che potrei essere un po' sensitivo», commentò lui. Erin e Shaunee sbuffarono, ma le ignorammo. «Okay, adesso girati in senso orario così ti passo an che la schiena», gli dissi. Si voltò e continuai. «La nonna usa sempre la lavanda nei suoi smudge. Sono certa che in parte il motivo sia che ha un vivaio di lavanda.» «Che figata!» esclamò Stevie Rae. «Già, è un posto da urlo.» Le sorrisi da dietro la spalla senza smettere di avvolgere Damien nel fumo. «L'altra parte del motivo per cui la usa è perché è in grado di riportare l'equilibrio e di creare un'atmosfera rilassante. Attira anche l'energia d'amore e gli spiriti positivi.» Battei sulla spalla di Damien per farlo voltare. «Tu sei a posto.» Poi raggiunsi Shaunee, che rappresentava il fuoco, e cominciai a passare il fumo su di lei. «Spiriti positivi?» chiese Stevie Rae con una vocina che la fece sembrare piccola e spaventata. «Non sapevo che avremmo evocato qualcosa oltre agli elementi del cerchio.» «Oh, ti prego, Stevie Rae!» Shaunee le lanciò un'occhiataccia attraverso il fumo. «Non puoi essere un vampiro e aver paura dei fantasmi.» «Eh no, proprio non suona bene», aggiunse Erin. Guardai Stevie Rae e ci squadrammo per un istante: stavamo pensando tutt'e due al mio incontro con quello che avrebbe potuto essere lo spettro di Elizabeth, ma né lei né io sembravamo avere voglia di parlarne. «Io non sono un vampiro. Non ancora. Sono solo una novizia, quindi posso tranquillamente avere paura dei fantasmi.» «Un momento», intervenne Damien, «Zoey non sta parlando di spiriti cherokee? Probabilmente non baderanno molto a una cerimonia tenuta da un gruppo di novizi vampiri la cui non-nativo americanità sovrasta la cherokeità della nostra Somma Sacerdotessa per quattro a uno.» Terminai con Shaunee e passai a Erin. «Non credo conti molto quello che siamo esternamente», replicai, percependo subito che quanto dicevo era giusto. «Penso che l'importante sia l'intenzione. Il punto è più o meno questo: Afrodite e il suo gruppo sono tra le ragazze più belle e di maggiore talento di tutta la scuola e quella delle Figlie Oscure dovrebbe essere un'associazione fantastica. Invece le chiamiamo streghe e in fondo non sono altro che un ammasso di prepotenti viziate.» Mi chiesi come Erik entrasse in tutto ciò. Faceva davvero parte del gruppo un po' per caso come diceva lui o era coinvolto in modo più profondo come faceva intendere Afrodite? «O di ragazze costrette a farne parte e che sono solo spettatrici», aggiunse Erin. «Esatto.» Cercai di scuotermi mentalmente: non era il momento di sognare Erik a occhi aperti. Finii la schiena di Erin e mi posizionai di fronte a Stevie Rae. «Quello che voglio dire è che credo davvero che gli spiriti dei miei antenati ci possano sentire, così come credo che gli spiriti della salvia e della lavanda stiano lavorando per noi. Ma non penso ci sia niente di cui aver paura, Stevie Rae. La nostra intenzione non è di evocarli e poi usarli per dare una pedata nel sedere ad Afrodite.» M'interruppi per aggiungere: «Anche se a quella ragazza un bel calcione starebbe tanto ma tanto bene. E non credo che stasera da queste parti ci saranno fantasmi che mettono spavento». Lo dissi con sicurezza, quindi tesi a Stevie Rae lo smudge. «Okay, adesso passalo tu su di me.» Iniziò a imitare i miei gesti e io mi rilassai nel dolce odore familiare del fumo che mi circondava. «Non chiederemo il loro aiuto per prenderla a calci?» Shaunee era delusa in modo più che evidente. «No. Ci stiamo purificando per chiedere a Nyx di guidarci. Non voglio pestare Afrodite.» Mi ricordai di quanto mi ero sentita bene allontanandola da me con la forza e sgridandola. «Be', okay, ci potrei anche trovare gusto, ma la verità è che non risolverebbe il problema delle Figlie Oscure.» Stevie Rae aveva finito di passarmi il fumo addosso quindi le presi lo smudge e lo strofinai per terra con molta attenzione, dopo di che tornai al centro del cerchio dove Nala si era acciambellata contenta vicino alla candela dello spirito. Guardai uno per uno i miei amici. «È vero che Afrodite non ci piace, ma credo sia importante non focalizzarci su idee negative come prenderla a calci nel sedere o cacciarla dalle Figlie Oscure. È quello che farebbe lei al nostro posto, ma noi vogliamo ciò che è giusto. Più giustizia che vendetta, insomma. Noi siamo diversi da lei e, se in qualche modo riusciremo a prendere il suo posto all'interno delle Figlie Oscure, anche quel gruppo sarà diverso.» «Vedi, è per questo che tu sarai la Somma Sacerdotessa ed Erin e io soltanto le tue affascinantissime assistenti. Perché noi siamo superficiali e vogliamo solo staccarle dal collo quella testa di cavolo», commentò Shaunee con l'evidente approvazione di Erin. «Solo pensieri positivi, per favore, stiamo facendo un rito di purificazione», intervenne brusco Damien. Prima che Shaunee potesse fare qualcosa di più che guardare storto Damien, si fece sentire la voce cinguettante di Stevie Rae. «Okay! Sto pensando solo a cose positive, come a quanto sarebbe fantastico se Zoey fosse a capo delle Figlie Oscure.» «Ottima idea, Stevie Rae. Sto pensando alla stessa cosa», disse Damien. «Ehi! Quello è anche il mio pensiero positivo. Finisci il coretto con me, gemella», aggiunse Erin. Shaunee smise di guardare male Damien e replicò: «Lo sai che sono sempre pronta ad avere pensieri gioiosi, e sarebbe proprio super se a capo delle Figlie Oscure ci fosse Zoey, prima di diventare per davvero Somma Sacerdotessa». Diventare per davvero Somma Sacerdotessa… Per un istante mi domandai se fosse un bene o un male che quelle parole mi avessero fatto venire voglia di vomitare. Di nuovo. Sospirando, accesi la candela viola. «Pronti?» chiesi a tutti e quattro. «Pronti!» replicarono all'unisono. «Okay, prendete le vostre candele.» Senza esitare (che significa che non volevo lasciarmi il tempo di tirarmi indietro per la fifa), portai la candela da Damien. Non ero brillante e piena di esperienza come Neferet, e neppure seducente e sicura come Afrodite. Ero solo io. Solo Zoey, la sconosciuta dall'aria familiare che era passata dall'essere una liceale quasi normale a una novizia vampira che di normale aveva assai pochino. Presi un profondo respiro. Come avrebbe detto la nonna, tutto quello che potevo fare era fare del mio meglio. «L'aria è ovunque, quindi ha senso che sia il primo elemento chiamato a realizzare il cerchio. Ti chiedo di ascoltarmi, aria, e ti convoco qui in questo cerchio.» Accesi la candela gialla di Damien con la mia e la fiamma prese subito a guizzare con grande intensità. Vidi i suoi occhi farsi grandi grandi e stupefatti quando all'improvviso il vento creò intorno a noi una mini tromba d'aria che ci sollevò i capelli e ci accarezzò la pelle. «È proprio vero, puoi sul serio far manifestare gli elementi», mormorò Damien, fissandomi. «Be', quantomeno uno. Vediamo se arrivo a due», bisbigliai di rimando, un po' frastornata. Raggiunsi Shaunee, che sollevò pronta la candela e mi fece sorridere dicendo: «Sono pronta per il fuoco… chiamalo!» «Il fuoco mi ricorda le fredde sere d'inverno e il calore e la sicurezza del camino che riscalda la casa di mia nonna. Ti chiedo di ascoltarmi, fuoco, e ti convoco qui in questo cerchio.» Accesi la candela rossa e la fiamma si alzò molto più del normale per un cero votivo, mentre l'aria intorno a Shaunee e a me si riempiva dell'odore intenso e legnoso di un caminetto acceso oltre che del suo calore intimo e accogliente. «Wow! Be', questo sì che è favoloso!» esclamò Shaunee, gli occhi scuri che danzavano per il riflesso guizzante della fiamma. «E sono due», disse Damien. Erin stava sorridendo quando presi posto di fronte a lei. «Sono pronta per l'acqua.» «L'acqua è un sollievo nelle torride giornate estive dell'Oklahoma. È l'incredibile oceano che un giorno o l'altro vorrei tanto vedere ed è la pioggia che fa crescere la lavanda. Ti chiedo di ascoltarmi, acqua, e ti convoco qui in questo cerchio.» Accesi la candela blu e immediatamente percepii sulla pelle un senso di freschezza e sentii un odore pulito e salmastro che doveva essere tipico dell'oceano che non avevo mai visto. «Da paura! Davvero da paura», commentò Erin inspirando a fondo l'aria di mare. «E sono tre», fece Damien. «Non sono più spaventata», esordì Stevie Rae quando mi misi davanti a lei. «Bene», replicai, per poi concentrarmi sul quarto elemento, la terra. «La terra ci sostiene e ci circonda. Non saremmo nulla senza di lei. Ti chiedo di ascoltarmi, terra, e ti convoco qui in questo cerchio.» Accesi la candela verde con facilità e di colpo Stevie Rae e io fummo sopraffatte dal dolce profumo dell'erba appena tagliata. Udii frusciare le foglie della quercia e, alzando gli occhi, vedemmo tutti i grandi rami letteralmente curvi su di noi, come a proteggerci da ogni male. «Assolutamente stupefacente», sussurrò Stevie Rae. «Quattro.» La voce di Damien tremava per l'emozione. Raggiunsi in fretta il centro del cerchio e sollevai la mia candela viola. «L'ultimo elemento è quello che ricolma tutto e tutti, che ci rende unici e che alita la vita in ogni cosa. Ti chiedo di ascoltarmi, spirito, e ti convoco qui in questo cerchio.» Fu incredibile perché all'improvviso fu come se fossi circondata dai quattro elementi, come se mi trovassi in mezzo a un tifone fatto di aria e di fuoco, di acqua e di terra. Ma non metteva paura, neanche un po'. Mi riempì di pace, mentre allo stesso tempo percepivo un'ondata di potere e di forza incandescente e dovetti stringere le labbra per non scoppiare in una risata di gioia. «Guardate! Guardate il cerchio!» gridò Damien. Mi schiarii la vista sbattendo le palpebre e istantaneamente percepii che gli elementi si acquietavano, quasi fossero gattini giocherelloni seduti intorno a me in festante attesa che li facessi divertire agitando un nastrino o cose simili. Stavo sorridendo per il paragone, quando vidi l'intensa luce che avvolgeva la circonferenza del cerchio, unendo Damien, Shaunee, Erin e Stevie Rae. Era luminosa e limpida, forte e argentata come quella della luna piena. «E con questo sono cinque», sentenziò Damien. «Cazzarola!» sbottai, in modo davvero molto poco da Somma Sacerdotessa, e i miei quattro amici risero, riempiendo la notte con dei suoni gioiosi. Per la prima volta capii perché durante il rituale Neferet e Afrodite avevano ballato: avevo anch'io voglia di ballare e di ridere e di gridare di felicità. Un'altra volta, mi dissi. Quella sera c'erano cose più serie da fare. «Okay, sto per pronunciare la preghiera di purificazione. E, mentre lo faccio, mi volterò a fissare i quattro elementi, uno alla volta.» «E noi cosa vuoi che facciamo?» chiese Stevie Rae. «Concentratevi sulla preghiera. Focalizzatevi. Siate convinti che gli elementi la porteranno a Nyx, e che la Dea risponderà aiutandomi a capire quello che devo fare», replicai con maggiore sicurezza di quella che in realtà sentivo. Mi rivolsi di nuovo a est, dove Damien mi fece un sorriso d'incoraggiamento. E cominciai a recitare l'antica preghiera di purificazione che avevo detto tante volte assieme alla nonna, con giusto qualche cambiamento che avevo deciso in precedenza. Grande Dea della Notte, la cui voce odo nel vento, che alita il soffio vitale nei Suoi figli. Ascoltami; ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Feci una brevissima pausa e mi voltai a sud. Lascia che io possa camminare nella bellezza e rendi i miei occhi capaci di guardare il rosso e il viola del tramonto che precede lo splendore della tua notte. Rendi le mie mani capaci di rispettare le cose che hai creato e le mie orecchie pronte a udire la tua voce. Rendimi saggia in modo che possa comprendere ciò che tu hai insegnato al tuo popolo. Ancora un quarto di giro a destra e la mia voce divenne più forte mentre venivo trascinata dal ritmo della preghiera. Aiutami a rimanere calma e forte di fronte a tutto quello che viene verso di me. Consentimi d'imparare la lezione che hai celato in ogni foglia e in ogni pietra. Aiutami a ricercare pensieri puri e ad agire con l'intento di aiutare gli altri. Aiutami a provare compassione senza che l'empatia mi travolga. Fissai Stevie Rae, che teneva le palpebre strette come se si stesse concentrando con tutte le sue forze. lo cerco forza, non per essere più grande degli altri, ma per combattere il mio maggiore nemico, i dubbi dentro di me. Tornai al centro del cerchio e, per la prima volta in vita mia, ebbi la sensazione che la forza delle antiche parole scorresse violentemente fuori di me per raggiungere quella che con tutto il cuore e l'anima speravo fosse la mia Dea in ascolto. Rendimi pronta a venire a te in ogni momento con le mani pulite e lo sguardo limpido, in modo che, quando la vita si affievolirà come il tramonto che declina, il mio spirito possa giungere a te senza vergogna. Tecnicamente era quella la conclusione della preghiera cherokee che mi aveva insegnato la nonna, ma provai la necessità di aggiungere qualcosa di totalmente mio. «E, Nyx, non capisco perché tu mi abbia Segnata e mi abbia donato l'affinità con gli elementi. Ma non devo neanche saperlo. Quello che voglio chiedere è che tu mi aiuti a comprendere qual è la cosa giusta da fare, e poi mi dia il coraggio di farla.» Quindi terminai la preghiera nel modo in cui ricordavo che Neferet aveva completato il rito: «Benedetta sia!» 24 «È stata la più sublime creazione di un cerchio cui abbia mai assistito!» sentenziò entusiasta Damien mentre stavamo radunando le candele e lo smudge. «Pensavo che 'sublime' volesse dire 'delizioso'», commentò Shaunee. «Può anche indicare un eccitato stupore e riferirsi a qualcosa di stupendo e grandioso», spiegò Damien. «Per stavolta non discuterò con te», sentenziò Shaunee, meravigliando tutti tranne Erin. «Già, quel cerchio era sublime», confermò la gemella. «Sapete che ho davvero percepito la terra quando Zoey l'ha evocata?» disse Stevie Rae. «È stato come se all'improvviso mi fossi trovata in mezzo a un campo di grano non ancora maturo. No, anzi, più di così. È stato come se ne facessi parte.» «So esattamente cosa intendi. Quando ha evocato il fuoco è stato come se dentro di me esplodesse un incendio», raccontò Shaunee. Mentre i quattro parlavano allegramente, cercai di capire cosa provavo. Ero decisamente felice, ma anche turbata e parecchio confusa. Allora era vero, avevo sul serio una qualche affinità con tutti e cinque gli elementi. Perché? Solo per scalzare Afrodite (cosa che, peraltro, ancora non avevo la minima idea di come realizzare)? No, non pensavo. Perché Nyx avrebbe dovuto toccarmi con un potere tanto insolito solo per impedire che una prepotente viziata fosse a capo di un'associazione? Okay, le Figlie Oscure erano più che un consiglio studentesco o roba simile, comunque mi pareva esagerato. «Zoey, ti senti bene?» Il tono preoccupato di Damien mi fece alzare gli occhi da Nala e mi accorsi che ero seduta al centro di quello che era stato il cerchio, con la gatta in braccio e totalmente persa nei miei pensieri. «Oh, sì. Scusate. Sto bene, mi ero solo distratta un attimo.» «Dovremmo rientrare. Si sta facendo tardi», disse Stevie Rae. «Okay, hai ragione.» Mi alzai, sempre tenendo in braccio Nala. Ma non riuscii a convincere i miei piedi a seguirli mentre s'incamminavano verso i dormitori. «Zoey?» Damien, il primo a notare la mia esitazione, si fermò e si voltò a chiamarmi, quindi anche le mie tre amiche si bloccarono e mi fissarono con espressioni che andavano dal preoccupato al confuso. «Oh, be', perché voi ragazzi non cominciate ad andare? Credo che mi fermerò qui ancora un momento.» «Potremmo rimanere con te…» cominciò Damien, ma Stevie Rae (sia benedetta la sua testolina country) lo interruppe. «Zoey deve riflettere un po' da sola. Non credi che lo faresti anche tu se avessi appena scoperto di essere l'unico novizio della storia ad avere un'affinità con tutti e cinque gli elementi?» «Immagino di sì», replicò riluttante Damien. «Ma non dimenticare che farà chiaro tra poco», disse Erin. Sorrisi con aria rassicurante. «Non preoccupatevi. Tornerò prestissimo al dormitorio.» «Ti preparerò un panino e cercherò di rimediarti un po' di patatine da mettere assieme alle tue bollicine marroni non-diet. È importante che una Somma Sacerdotessa mangi dopo aver eseguito un rituale», aggiunse Stevie Rae con un sorriso e un gesto di saluto trascinando via gli altri tre. Le gridai un grazie mentre sparivano nel buio. Quindi mi avvicinai all'albero e mi sedetti, la schiena appoggiata al tronco. Chiusi gli occhi e accarezzai Nala. Le sue fusa erano qualcosa di normale, di familiare e d'incredibilmente rilassante, e sembrarono aiutarmi a tenere i piedi per terra. «Sono sempre io», le mormorai. «Proprio come ha detto la nonna. Tutto il resto può cambiare, ma la vera Zoey – quello che è stata Zoey per sedici anni – è sempre Zoey.» Magari, se avessi continuato a ripetermelo, avrei cominciato a crederci sul serio. Appoggiai il viso su una mano e accarezzai la gattina con l'altra, dicendomi che ero sempre la stessa… sempre la stessa… sempre la stessa… «Guarda come poggia la guancia sulla mano! Oh, foss'io un guanto su quella mano, per poter sfiorare quella guancia!» Nala fece il solito brontolomiagolio quando sobbalzai per la sorpresa. «Sembra proprio che io continui a trovarti vicino a quest'albero.» Erik mi sorrise dall'alto in basso, come una sorta di dio. Mi fece di nuovo sentire cose strane nello stomaco, ma anche qualcos'altro. Perché mai continuava a «trovarmi»? E da quanto tempo stava a guardare stavolta? «Che ci fai qui fuori, Erik?» «Ciao, anch'io sono contento di vederti. E sì, mi piacerebbe sedermi, grazie.» Si sistemò accanto a me. Mi alzai, prendendomi un'altra brontolata di Nala. «A dire il vero stavo giusto per rientrare al dormitorio.» «Ehi, non avevo intenzione di ficcanasare. Solo che non riuscivo a concentrarmi sui compiti e così sono uscito a fare due passi. Immagino che i piedi mi abbiano portato qui senza che glielo ordinassi, perché la cosa successiva di cui mi sono accorto era che c'eri tu. Non ti sto spiando, te l'assicuro.» Si ficcò le mani in tasca, sembrando molto in imbarazzo. Be', sembrando molto bello e in imbarazzo, e mi tornò in mente quanto avrei voluto accettare il suo invito a guardare assieme film da sfigati. E adesso eccomi di nuovo lì a rifiutarlo ancora e a farlo sentire a disagio. C'era da stupirsi che mi avesse anche soltanto rivolto la parola. Era evidente che stavo prendendo quella storia della Somma Sacerdotessa troppo sul serio. «Allora che ne diresti di accompagnarmi al dormitorio? Di nuovo», chiesi. «Mi sembra una buona idea.» Questa volta Nala si lamentò quando feci per prenderla in braccio e preferì seguirci trotterellando, mentre Erik e io procedevamo affiancati con la stessa naturalezza della sera prima. Restammo in silenzio per un po'. Avrei voluto chiedergli di Afrodite, o almeno riferirgli quello che lei mi aveva detto su di lui, ma non mi veniva un modo adatto per affrontare un argomento su cui probabilmente non avevo il minimo diritto di fargli domande. «Allora cosa stavi facendo qui fuori stavolta?» mi chiese. «Pensavo», risposi, e tecnicamente non era una bugia. Avevo pensato. Un sacco. Prima, durante e dopo aver creato il cerchio di cui opportunamente non intendevo parlargli. «Oh. Sei preoccupata per quel Heath?» A dire il vero non avevo più pensato né a Heath né a Kayla da quando ne avevo parlato con Neferet, ma mi strinsi nelle spalle perché non volevo entrare nei dettagli. «Cioè, immagino che probabilmente sia dura rompere con qualcuno solo perché sei stato Segnato», aggiunse. «Non ho rotto con lui perché sono stata Segnata. Avevamo più o meno chiuso già da prima e il Marchio ha reso solo più definitiva la cosa.» Lo guardai e presi un bel respiro. «E tu e Afrodite?» Sbatté gli occhi, stupito. «Cosa intendi?» «Intendo che oggi mi ha detto che non sarai mai il suo ex perché sarai sempre suo.» Strinse gli occhi e sembrò davvero incazzato. «Afrodite ha dei seri problemi a dire la verità.» «Non che siano affari miei, ma…» «Sono affari tuoi», mi rimbeccò subito. Poi, provocandomi uno shock totale e assoluto, mi prese la mano. «O almeno io vorrei che lo fossero.» «Oh. Okay, allora… okay.» Ero certa di averlo di nuovo strabiliato con l'arguzia e la profondità della mia eloquenza. «Perciò stasera non mi stavi semplicemente evitando, ma avevi davvero qualcosa su cui riflettere?» chiese lentamente. «Non ti stavo evitando. È solo che…» Esitai, non sapendo come cavolo spiegargli qualcosa che ero più che sicura che non avrei dovuto spiegargli. «In questo momento stanno succedendo un sacco di cose. Tutta questa faccenda della Trasformazione a volte mi confonde un casino.» «Vedrai che andrà meglio.» Mi strinse la mano. «Non so bene perché, ma nel mio caso ne dubito», mormorai. Rise e picchiettò il dito sul mio Simbolo. «Sei solo più avanti di molti di noi. All'inizio è dura, ma, credimi, diventerà più facile… anche per te.» Sospirai. «Lo spero proprio.» Ma continuavo a dubitarne. Ci fermammo davanti al dormitorio e si voltò verso di me, la voce di colpo bassa e seria. «Zy, non credere alle stronzate che dice Afrodite. Lei e io non stiamo insieme da mesi.» «Prima sì, però», replicai. Annuì, l'aria tesa. «Erik, non è una bella persona.» «Lo so.» E poi mi resi conto di cos'era a darmi tanto fastidio e decisi che, be', che diavolo, tanto valeva che lo dicessi e basta. «Non mi piace che tu sia stato con una così meschina. Mi fa sentire strana all'idea di mettermi con te.» Aprì la bocca per replicare ma io continuai a parlare, non volendo ascoltare delle scuse cui non ero certa di volere o poter credere. «Grazie di avermi accompagnata. Sono felice che tu mi abbia trovata di nuovo.» «Anch'io sono felice di averti trovata. Vorrei rivederti, Zy, e non solo incontrandoti per caso.» Esitai. E mi chiesi perché cavolo stessi esitando. Volevo rivederlo. Avevo bisogno di dimenticare Afrodite. Insomma, lei è davvero bella, e lui è un maschio. Probabilmente era caduto tra le sue stronze (e calde) grinfie prima di rendersi conto di quello che stava succedendo. Cioè, i modi di lei mi ricordavano un po' i ragni, no? Dovevo essere contenta che non se lo fosse mangiato vivo e dare un'occasione a quel ragazzo. «Okay, che ne dici di guardare assieme quei DVD da sfigati questo sabato?» dissi di getto, prima di sclerare all'idea di uscire col più stupendo della scuola e non riuscire più ad aprire bocca. «Allora abbiamo un appuntamento», replicò. Dandomi in modo evidente il tempo di tirarmi indietro se avessi voluto, Erik si chinò con lentezza a baciarmi. Aveva le labbra calde e davvero un buon odore, e il bacio fu dolce e delicato. A dirla tutta, mi fece venire voglia che mi baciasse ancora. Finì troppo presto, ma lui non si allontanò. Eravamo in piedi vicini e mi accorsi di avergli appoggiato le mani sul petto, mentre le sue stavano sulle mie spalle. Alzai il viso e gli sorrisi. «Sono felice che tu mi abbia chiesto ancora di uscire.» «Sono felice che stavolta tu abbia detto di sì.» Poi mi baciò di nuovo, ma stavolta non in modo esitante. Il bacio si fece più profondo e le mie braccia si aggrapparono alle sue spalle. Percepii, più che sentii, il suo gemito e, mentre mi baciava a lungo e con forza, fu come avesse acceso un interruttore da qualche parte dentro di me e fui attraversata da una scossa di desiderio intenso e dolce. Era pazzesco e incredibile, molto più di quanto mi avesse mai fatto provare un bacio di chiunque altro. Adoravo il modo in cui il mio corpo si adattava al suo, duro contro morbido, e mi strinsi a lui dimenticando Afrodite e il cerchio che avevo appena creato e tutto il resto del mondo. Quando ci sciogliemmo dal bacio, eravamo tutti e due senza fiato e restammo a fissarci. Tornando lentamente in me mi resi conto che gli ero tutta spalmata addosso e che mi trovavo davanti all'ingresso del dormitorio a strusciarmi come una zoccolona, quindi cominciai a districarmi dal suo abbraccio. «Cosa c'è che non va? Perché di colpo sembri diversa?» chiese Erik tenendomi stretta. «Erik, io non sono come Afrodite.» Strattonai con più forza e mi lasciò andare. «Lo so benissimo. Non mi piaceresti se fossi come lei.» «Non sto parlando solo della mia personalità. Quello che voglio dire è che starmene qui fuori a limonare con te non è il mio comportamento normale.» «Okay.» Allungò una mano verso di me come volesse attirarmi di nuovo tra le sue braccia, ma poi si vede che cambiò idea, perché la mano ricadde lungo il fianco. «Zoey, nessuna mi ha mai fatto provare quello che provo con te.» Sentii la faccia diventare bollente e non avrei saputo dire se era per la rabbia o per l'imbarazzo. «Erik, non trattarmi come se fossi scema. Ti ho visto nel corridoio con Afrodite. È evidente che hai già provato questo genere di cose e anche di più.» Scosse la testa e capii che si sentiva ferito. «Quello che mi faceva provare Afrodite era soltanto fisico. Tu, invece, mi tocchi il cuore. Conosco la differenza, Zoey, e pensavo la conoscessi anche tu.» Lo fissai in quegli splendidi occhi azzurri che erano sembrati toccarmi la prima volta che mi aveva guardata. «Scusami. È stato meschino da parte mia. Conosco la differenza.» «Promettimi che non lascerai che Afrodite si metta tra noi.» «Te lo prometto.» Mi spaventava molto, ma dicevo sul serio. «Bene.» Nala si materializzò dal buio e cominciò a girarmi intorno alle gambe lamentandosi. «È meglio se la porto dentro e la metto a nanna.» «Okay.» Sorrise e mi diede un rapido bacio. «Ci vediamo sabato, Zy.» Continuarono a pizzicarmi le labbra per tutta la strada fino alla mia stanza. 25 Il giorno successivo cominciò con quella che, col senno di poi, avrei considerato una normalità sospetta. Stevie Rae e io facemmo colazione, sempre bisbigliando su quanto fosse strafigo Erik e cercando di pensare a cosa mi sarei messa per il nostro appuntamento di sabato. Neppure vedemmo Afrodite e il trio di streghe, Bellicosa, Terribile e Vespa. La lezione di Socio Vamp fu così interessante – eravamo passati dalle amazzoni all'antica festa vampira greca che si chiamava coregia – che avevo smesso di pensare al rito delle Figlie Oscure previsto per la sera e per un po' persino di preoccuparmi per quello che dovevo fare con Afrodite. Anche l'ora di recitazione fu piacevole e decisi di scegliere uno dei monologhi di Caterina della Bisbetica domata (quella commedia mi piace da matti, sin da quando ho visto il vecchio film interpretato da Elizabeth Taylor e Richard Burton). Poi, mentre lasciavo la classe, Neferet mi bloccò in corridoio per chiedermi quanto avessi letto del testo avanzato di Socio Vamp e fui costretta a dirle che non avevo ancora fatto molto (traduzione: neanche aperto il libro) e, quando mi affrettai ad andare a letteratura, ero del tutto distratta dalla sua ovvia delusione. Mi ero appena seduta tra Damien e Stevie Rae, quando scoppiò il finimondo, cancellando ogni parvenza di normalità da quella giornata. Pentesilea aveva iniziato a leggere il quarto capitolo del Titanic – la vera storia, che è proprio un bel libro, e stavamo ascoltando tutti come al solito, quando quello stupido di Elliott aveva cominciato a tossire. Dio, che palla, quel ragazzo. A un certo punto, tra lettura e tossite, avevo cominciato a sentire un odore. Era intenso e dolce, delizioso e sfuggente. D'istinto, avevo inspirato a fondo, sempre cercando di concentrarmi sul libro. La tosse di Elliott era peggiorata e io mi ero voltata a dargli un'occhiataccia assieme al resto della classe. Insomma, per favore! Non poteva prendere una caramella o un goccio d'acqua o quello che era? E poi avevo visto il sangue. Elliott non era stravaccato e semiaddormentato come al solito, ma sedeva dritto e si fissava le mani, che erano coperte di sangue fresco. Mentre lo osservavo, aveva tossito di nuovo, facendo un orribile rumore bagnaticcio che mi aveva ricordato il giorno in cui ero stata Segnata. Solo che, quando Elliott tossiva, dalla bocca gli schizzava lucente sangue scarlatto. «Cos…?» aveva gorgogliato. «Chiamate Neferet!» Pentesilea aveva dato il secco ordine mentre apriva un cassetto della scrivania e ne tirava fuori un asciugamano ben piegato, per raggiungere poi in fretta Elliott. Il ragazzo più vicino alla porta era partito a razzo. Nel più completo silenzio avevamo osservato Pentesilea arrivare da Elliott appena in tempo per la successiva tossita sanguinolenta, che aveva raccolto nell'asciugamano. Lui si era portato la salvietta sulla faccia, mentre tossicchiava, sputava e vomitava. Quando alla fine aveva alzato gli occhi, sulle sue guance pallide e tonde scendevano lacrime di sangue, e sanguinava talmente tanto anche dal naso che sembrava un rubinetto dimenticato aperto. Poi, quando si era voltato per guardare Pentesilea, avevo visto che pure dall'orecchio usciva un rivolo rosso. «No!» aveva sbottato Elliott con una passione che non gli avevo mai sentito. «No! Non voglio morire!» «Sstt», aveva cercato di calmarlo Pentesilea, levandogli dalla fronte sudata i capelli color carota. «Vedrai che il dolore finirà presto.» «Ma… ma, no, io…» Aveva ricominciato a protestare con una voce piagnucolosa che sembrava molto più sua, poi era stato interrotto da un'altra serie di colpi di tosse. Aveva avuto di nuovo i conati e aveva vomitato sangue nell'asciugamano già zuppo. Neferet era entrata in aula seguita da due vampiri alti dall'aria atletica che portavano una barella e una coperta. Neferet, invece, aveva in mano soltanto una fialetta piena di un liquido color latte. Neanche due respiri dopo di loro, Dragone Lankford si era precipitato in classe. «Lui è il suo mentore», aveva bisbigliato Stevie Rae talmente piano che quasi non aveva emesso suono. Avevo annuito, ricordando di quando Pentesilea aveva sgridato Elliott per aver tradito Dragone. Neferet aveva dato a Dragone la fiala che aveva portato, quindi si era messa dietro a Elliott e gli aveva posto le mani sulle spalle. Tosse e conati si erano attenuati immediatamente. «Bevi subito questo, Elliott», gli aveva detto Dragone. E, quando il ragazzo aveva cominciato a scuotere debolmente la testa per dire di no, aveva aggiunto con gentilezza: «Farà finire il tuo dolore». «Lei… lei resterà con me?» aveva chiesto senza fiato Elliott. «Ma certo. Non ti lascerò solo neanche un istante.» «Chiamerà la mia mamma?» aveva sussurrato Elliott. «Sicuro.» Elliott aveva chiuso gli occhi per un secondo, poi, con le mani tremanti, si era portato la fialetta alle labbra e aveva bevuto. Neferet aveva fatto un cenno ai due vampiri, che lo avevano sollevato e messo sulla barella come fosse una bambola, non un ragazzo morente, e poi, affiancati da Dragone, si erano affrettati a lasciare la stanza. Prima di seguirli, Neferet si era girata a guardare noi sconvolti alunni di terza. «Potrei dirvi che Elliott starà bene, che si riprenderà, ma sarebbe una bugia.» Il suo tono era sereno, ma pieno di una forza che incuteva rispetto. «La verità è che il suo organismo ha respinto la Trasformazione. Entro qualche minuto morirà della morte eterna e non diventerà un vampiro. Potrei dirvi di non preoccuparvi, che a voi non succederà. Ma sarebbe una menzogna anche questa. In media, uno su dieci di voi non completerà la Trasformazione. Alcuni novizi muoiono all'inizio della terza, come Elliott. Altri sono più forti e resistono fino alla sesta, dopo di che si ammalano e muoiono all'improvviso. Vi dico questo non perché viviate nella paura, ma per due ragioni ben precise. Per prima cosa, voglio che sappiate che, in quanto vostra Somma Sacerdotessa, non vi mentirò mai, ma vi aiuterò a rendere più facile il passaggio nell'altro mondo, se fosse necessario. E la seconda ragione è che voglio che viviate come vorreste essere ricordati se moriste domani, perché è possibile che succeda. In questo modo, se doveste morire, il vostro spirito potrebbe riposare in pace sapendo di avere lasciato un buon ricordo e, se invece non morirete, avrete posto le fondamenta per una lunga vita caratterizzata da onestà e rettitudine.» Pronunciando le parole conclusive, mi aveva guardato dritto negli occhi. «Chiedo che la benedizione di Nyx vi sia di conforto oggi, e che ricordiate che la morte è una parte naturale dell'esistenza, anche di quella dei vampiri. Perché un giorno dovremo tornare tutti in seno alla Dea.» E detto questo si era chiusa la porta alle spalle con un suono che aveva un che di definitivo. Pentesilea si era mossa in modo rapido ed efficiente, pulendo gli schizzi di sangue che macchiavano il banco di Elliott e, quando ogni traccia del ragazzo morente era scomparsa, era tornata a mettersi di fronte a noi per un momento di silenzio per il nostro compagno. Poi aveva ripreso in mano il libro e aveva ricominciato a leggere da dove si era interrotta. Avevo cercato di ascoltare. Avevo cercato di escludere dalla mente l'immagine di Elliott che perdeva sangue da occhi, orecchie, naso e bocca. E avevo cercato anche di non pensare al fatto che l'odore delizioso che avevo notato era senz'altro quello del sangue di Elliott che usciva dal suo corpo morente. Lo so che, in teoria, dopo la morte di un novizio, le cose dovrebbero continuare come al solito, ma, a quanto pareva, era insolito che ne morissero due a distanza di così poco tempo, e tutti stettero innaturalmente zitti e tranquilli per il resto della giornata. Il pranzo fu silenzioso e deprimente e notai che il cibo veniva piluccato più che mangiato. Le gemelle nemmeno battibeccarono con Damien, il che sarebbe stata una bella novità se non avessi saputo il terribile motivo che ne era la causa. Quando Stevie Rae s'inventò una scusa qualunque per lasciare la tavola presto e tornarsene in camera prima dell'inizio della quinta ora, fui più che felice di andare con lei. Seguimmo il marciapiede nella fitta oscurità di un'altra notte nuvolosa e le luci a gas non sembravano più calde e allegre, ma piuttosto gelide e non abbastanza forti. «Elliott non piaceva a nessuno», esordì Stevie Rae. «E credo che questo peggiori la situazione. Stranamente è stato più facile con Elizabeth, perché almeno potevamo sentirci sinceramente dispiaciuti che se ne fosse andata.» «So cosa vuoi dire. Sono sconvolta, ma so di esserlo per aver visto cosa ci può succedere e perché adesso non riesco a togliermelo dalla testa, non perché lui è morto.» «Almeno succede in fretta», replicò sottovoce. Rabbrividii. «Chissà se fa male.» «Ti danno una cosa, quel liquido bianco che ha bevuto Elliott, così non senti più dolore. Però rimani cosciente sino alla fine. E Neferet aiuta sempre con la morte vera e propria.» «Fa paura, vero?» «Già.» Restammo in silenzio per un po', poi la luna fece capolino tra le nuvole dipingendo le foglie degli alberi di un innaturale argento da acquerello che di colpo mi ricordò Afrodite e il suo rito. «È possibile che Afrodite cancelli il rito di Samhain stasera?» «Neanche per sogno. I rituali delle Figlie Oscure non vengono mai cancellati.» Lanciai un'occhiata a Stevie Rae. «Be', che diavolo, era il loro frigorifero!» Mi guardò stupefatta. «Elliott?» «Già, è stato davvero disgustoso e lui sembrava drogato e strano. Doveva stare respingendo la Trasformazione già allora.» Seguì un silenzio impacciato, poi aggiunsi: «Non ti avevo detto niente perché… soprattutto dopo che mi hai raccontato del… be'… lo sai. Sei sicura che Afrodite non cancellerà il rito stasera? Insomma, con Elizabeth prima e adesso Elliott…» «Non importa. E alle Figlie Oscure non frega di quelli che usano come frigorifero. Troveranno qualcun altro.» Esitò. «Senti, Zoey, ci ho pensato e credo che forse non ci dovresti andare. Ho sentito quello che ti ha detto ieri Afrodite. Farà in modo che nessuno ti accetti. Sarà davvero meschina.» «Andrà tutto bene, Stevie Rae.» «No, ho una brutta sensazione. Non ce l'hai ancora un piano, vero?» «Be', no. Sono ancora in fase di ricognizione», dissi, cercando di rendere meno pesante il discorso. «Vacci un'altra volta in ricognizione. Oggi è già stata una giornata troppo orribile. Sono tutti sconvolti. Credo che dovresti aspettare.» «Non posso non farmi vedere, soprattutto dopo quello che Afrodite mi ha detto ieri. Penserebbe di potermi mettere paura.» Stevie Rae prese un grande respiro. «Be', allora credo che dovresti portarmi con te.» Cominciai a scuotere la testa, ma lei continuò a parlare: «Sei una Figlia Oscura, adesso, e tecnicamente puoi invitare chi vuoi ai riti. Quindi invita me. Io vengo e ti guardo le spalle». Pensai al fatto che avrei bevuto sangue, perché mi era piaciuto tanto che persino Bellicosa e Terribile se ne erano accorte. E provai, senza riuscire, a non pensare all'odore del sangue… quello di Heath, quello di Erik e persino quello di Elliott. Prima o poi Stevie Rae avrebbe scoperto che effetto aveva già il sangue su di me, ma non sarebbe stato quella notte. Anzi, se potevo evitarlo, non sarebbe stato neanche presto. Non volevo correre il rischio di perdere lei o le gemelle o Damien e avevo paura che sarebbe andata così. Certo, sapevano che ero «speciale», mi accettavano perché quella diversità per loro significava Somma Sacerdotessa e questo andava bene. La mia brama di sangue, però, non andava altrettanto bene. L'avrebbero accettata con la stessa facilità? «Neanche per sogno, Stevie Rae.» «Ma, Zoey, non dovresti andare da sola in quel covo di streghe.» «Non sarò sola. Ci sarà anche Erik.» «Certo, ma lui è stato il ragazzo di Afrodite. Chi può sapere se o quanto si opporrà se lei diventasse davvero odiosa con te?» «Tesoro, so difendermi da me.» «Lo so, ma…» S'interruppe e mi guardò con un'espressione buffa. «Zy, stai vibrando?» «Eh? Cos'è che sto facendo?» Poi lo udii anch'io e mi misi a ridere. «È il mio cellulare. L'ho ficcato in borsa ieri sera dopo averlo caricato.» Lo presi e guardai l'ora sul display. «È mezzanotte passata, chi cavolo…» Aprii lo sportellino e restai stupefatta vedendo che avevo quindici nuovi messaggi e cinque chiamate perse. «Oddio, qualcuno ha continuato a chiamare e chiamare e io non me ne sono neanche accorta.» Controllai prima i messaggi e nel leggerli mi si annodò lo stomaco. ZO KIAMA T V TTT B ZO KIAMA X FAV DEVO VDRT C6? M KIAMI? VOGLIO PARLARTI ZO! KIAMAMI Non c'era bisogno che ne leggessi altri, dato che erano tutti praticamente uguali. «Ah, cacchio. Sono tutti di Heath.» «Il tuo ex?» Sospirai. «Già.» «E cosa vuole?» «A quanto sembra, me.» Riluttante, digitai il codice di accesso alla casella vocale e la bella voce sonnacchiosa di Heath mi colpì per il tono acceso e animato. Zo! Chiamami. Senti, lo so che è tardi, ma… cioè, per te non è tardi ma è tardi per me. Ma va bene perché non me ne importa. Voglio solo che mi chiami. Okay. Allora. Ciao. Chiama. Grugnii e cancellai il messaggio. Il successivo sembrava ancora più isterico. Zoey! Okay, senti, mi devi chiamare. Davvero. E non ti arrabbiare. Ehi, Kayla neanche mi piace. È una scema. Io ti amo ancora, Zo, amo solo te. Allora chiama. Non importa quando. Tanto mi sveglio. «Ragaaazzi, oh, ragaaazzi!» disse Stevie Rae dopo aver ascoltato la voce eccitata di Heath. «Quello è ossessionato. Mica da stupirsi che l'hai piantato.» «Già.» Cancellai in fretta anche il secondo messaggio. Il terzo somigliava molto ai primi due, era solo più disperato. Abbassai il volume e pestai col piede con impazienza mentre controllavo anche quelli successivi ascoltando solo quanto bastava per sapere che potevo cancellarli. «Devo vedere Neferet», dissi, più a me stessa che a Stevie Rae. «Perché? Vuoi impedirgli di chiamare o qualcosa di simile?» «No. Sì. Qualcosa di simile. È che le devo parlare per, be', per sapere cosa devo fare.» Evitai lo sguardo curioso di Stevie Rae. «Insomma, è già venuto qui e non voglio che torni a piantare casini.» «Ah, già, hai ragione. Sarebbe un guaio se incontrasse Erik.» «Sarebbe orribile. Okay, meglio che mi spicci e cerchi di beccare Neferet prima della quinta ora. Ci vediamo dopo la scuola.» Non aspettai il saluto di Stevie Rae e schizzai in direzione dello studio della Somma Sacerdotessa. Che quella giornata potesse persino peggiorare? Elliott muore e io sono attratta dal suo sangue. Alla sera devo andare al rito di Samhain con un gruppo di ragazzi che mi odiano e vogliono assicurarsi che io lo sappia, e con ogni probabilità ho stabilito un Imprinting col mio quasi-exragazzo. Già. Oggi fa proprio, proprio schifo. 26 Se Skylar che soffiava e ringhiava col pelo dritto non avesse attirato la mia attenzione, non avrei mai visto Afrodite accasciata nella piccola alcova in fondo al corridoio in cui si trovava lo studio di Neferet. «Cosa c'è, Skylar?» Avevo allungato la mano con cautela, ricordando che Neferet aveva detto che il suo gatto aveva il morso facile. Ero anche sinceramente contenta che Nala non mi stesse seguendo come faceva di solito perché probabilmente Skylar si sarebbe mangiato la mia povera micetta per pranzo. «Miciomicio.» Il gattone rosso mi aveva squadrato meditabondo (probabilmente ponderava se staccarmi un dito oppure no), poi aveva preso la sua decisione e con uno sbuffo era trotterellato verso di me. Si era strusciato contro le mie gambe, quindi aveva rivolto un'ultima soffiata alla nicchia poco più avanti e se ne era andato, sparendo in direzione della stanza di Neferet. «Che diavolo ha?» Avevo sbirciato nell'alcova con una certa esitazione, chiedendomi cos'avesse potuto far gonfiare e soffiare un gattaccio come Skylar, e avevo provato un discreto shock. Era seduta sul pavimento, molto poco visibile nell'ombra sotto la mensola che ospitava una bella statua di Nyx, teneva la testa piegata all'indietro e degli occhi si vedeva soltanto il bianco. Mi mise una strizza folle. Restai bloccata, aspettandomi da un momento all'altro di vedere il sangue rigarle la faccia. Poi però gemette e borbottò qualcosa che non riuscii a capire, mentre gli occhi si muovevano sotto le palpebre chiuse come se stesse osservando una scena. Capii cosa stava succedendo: Afrodite aveva una visione. Probabilmente l'aveva sentita arrivare e si era nascosta nella nicchia in modo che nessuno la trovasse per poter tenere per sé le informazioni su morti e distruzioni che avrebbe potuto evitare. Vacca odiosa. Strega. Be', non avrei lasciato che se la cavasse ancora con tutte quelle sue stronzate. Mi chinai e l'afferrai sotto le braccia, tirandola in piedi (lasciate che ve lo dica, pesa molto più di quanto sembri). «Andiamo, facciamoci un giretto lungo il corridoio e vediamo un po' che tipo di tragedia vorresti tenerti per te.» Dovetti quasi trascinarla, visto che barcollava alla cieca. Per fortuna la stanza di Neferet non era distante e, quando entrammo traballando, lei si alzò di scatto da dietro la scrivania e corse verso di noi. «Zoey! Cos'è successo?» Ma, non appena riuscì a guardare bene Afrodite, capì e smise di preoccuparsi. «Aiutami a portarla qui sulla mia poltrona. Starà più comoda.» Sostenemmo Afrodite fino alla grande poltrona di pelle e la mettemmo a sedere, poi Neferet si accovacciò vicino a lei prendendole la mano. «Afrodite, con la voce della Dea io ti supplico di dire alla tua Sacerdotessa cosa vedi.» Il tono di Neferet era dolce ma persuasivo e si percepiva la forza della sua richiesta. Afrodite iniziò subito a battere le palpebre, prese un respiro profondo e rantolante, quindi di colpo sbarrò gli occhi, che sembravano immensi e vitrei. «Quanto sangue! C'è così tanto sangue che esce dal suo corpo!» «Chi è, Afrodite? Concentrati. Focalizza e rendi chiara la visione», ordinò Neferet. Afrodite prese un altro respiro a rantolo. «Sono morti! No. No. Non è possibile! Non è giusto. No. Non è normale! Io non capisco… Io non…» Sbatté di nuovo le palpebre e il suo sguardo sembrò schiarirsi. Si guardò intorno nella stanza, come se non riconoscesse il posto, poi i suoi occhi si posarono su di me. «Tu… Tu sai», disse debolmente. «Sì», risposi, intanto pensavo: certo che so che stai cercando di nascondere la tua visione. Però replicai soltanto: «Ti ho trovata in corridoio e…» Neferet sollevò la mano per fermarmi. «No, non ha finito. Non dovrebbe rinvenire così presto. La visione è ancora troppo astratta», mi spiegò in fretta, quindi abbassò di nuovo la voce e riprese il tono persuasivo e di comando. «Afrodite, torna indietro. Osserva quello che era previsto vedessi e potessi cambiare.» Ha hai Eccola lì! Non riuscii a evitare di sentirmi un po' compiaciuta. Dopotutto, giusto il giorno prima aveva cercato di cavarmi gli occhi. «I morti…» Diventava sempre più difficile capire cosa stesse mormorando, ma suonava più o meno come: «Tunnel… uccidono… qualcuno lì… io non… non posso…» Era frenetica e quasi mi dispiaceva per lei. Era evidente che, qualunque cosa stesse vedendo, la spaventava da matti. Poi il suo sguardo che vagava per la stanza trovò Neferet; vidi che l'aveva riconosciuta e cominciai a rilassarmi. Stava riprendendo i sensi e tutta quella strana situazione si sarebbe chiarita. Ma, proprio mentre pensavo quelle cose, gli occhi di Afrodite, che sembravano fissi su Neferet, si allargarono all'inverosimile, mentre sulla sua faccia comparve un'espressione di puro terrore e lei si mise a gridare. Neferet le strinse le mani sulle spalle tremanti. «Svegliati!» A malapena si voltò verso di me per un millisecondo e mi disse: «Vai adesso, Zoey. La sua visione è confusa. La morte di Elliott l'ha turbata e io devo accertarmi che torni in sé». Non c'era bisogno che me lo dicesse due volte. Dimenticata l'ossessione di Heath, mi precipitai fuori della stanza e mi diressi a lezione di spagnolo. Non riuscivo a concentrarmi sulla scuola. Continuavo a rivedere mentalmente la scena con Neferet e Afrodite. Era ovvio che avesse avuto una visione su persone che morivano, ma dalla reazione di Neferet sembrava che non fosse stata una visione normale (ammesso che ne esistessero). Stevie Rae aveva detto che le premonizioni di Afrodite erano talmente chiare che era riuscita a indicare l'aeroporto giusto e persino lo specifico aereo che aveva visto cadere, eppure quel giorno, all'improvviso, di chiaro non c'era stato niente. Be', a parte l'aver visto me e detto cose strane e l'aver strillato come un'assatanata verso Neferet. Proprio non aveva senso. Avevo quasi voglia di vedere come si sarebbe comportata quella sera. Quasi. Misi via le spazzole di Persefone e presi Nala, che era rimasta appollaiata in cima alla mangiatoia del cavallo a guardare e a miagolarmi i suoi strani miagolii, quindi cominciai lentamente a tornare al dormitorio. Questa volta non c'era Afrodite a rompere, ma, quando girai l'angolo vicino alla vecchia quercia, vidi che Stevie Rae, Damien e le gemelle si erano riuniti lì e parlavano fitto fitto. Per smettere appena mi videro. Mi fissarono tutti con aria colpevole e non fu molto difficile capire di chi stessero parlando. «Che c'è?» chiesi. «Ti aspettavamo», replicò Stevie Rae, senza la solita allegra vitalità. «Hai qualcosa che non va?» «È preoccupata per te», mi rispose Shaunee. «Siamo preoccupati per te», specificò Erin. «Che sta succedendo col tuo ex?» domandò Damien. «Rompe, tutto qui. Se non rompesse, non sarebbe il mio ex.» Cercai di parlare con disinvoltura, senza guardare nessuno dei miei quattro amici troppo a lungo negli occhi (non sono mai stata granché come bugiarda.) «Noi pensiamo che dovrei venire con te stasera», riprese Stevie Rae. «A dire il vero, pensiamo che noi dovremmo venire con te stasera», la corresse Damien. Aggrottai la fronte. Non esisteva proprio che tutti e quattro mi vedessero bere il sangue dello sfigato di turno che quella sera sarebbe stato mischiato al vino. «No.» «Zoey, è stata davvero una giornata orribile. Siamo tutti stressati. In più, Afrodite ce l'ha con te. Mi pare logico che stasera stiamo uniti», ribatté sensato Damien. Be', sì, era sensato, ma loro non conoscevano tutta la storia. Non volevo che conoscessero tutta la storia. Non ancora. La verità era che m'importava troppo di loro. Mi facevano sentire accettata e al sicuro, mi facevano sentire integrata, parte di un qualcosa. Non potevo perderlo proprio adesso, non quando tutto quello che stava succedendo era ancora così nuovo e metteva così paura. Perciò feci quello che avevo imparato a fare bene a casa quando avevo paura ed ero preoccupata e non sapevo che altro fare: mi dimostravo scocciata e sulla difensiva. «Voi ragazzi dite che ho dei poteri che un giorno mi faranno diventare la vostra Somma Sacerdotessa?» Annuirono subito e mi sorrisero, cosa che mi strinse il cuore. Ce la misi tutta e resi la mia voce davvero gelida. «Allora mi dovete ascoltare quando dico no. Non vi voglio lì stasera. È una cosa che devo affrontare io. Da sola. E non ne voglio più parlare.» Dopo di che mi allontanai a grandi passi. Naturalmente entro mezz'ora ero dispiaciuta di essere stata così antipatica. Continuavo ad andare avanti e indietro sotto la grande quercia, che in un certo senso era diventata il mio rifugio, disturbando Nala e desiderando che Stevie Rae comparisse per permettermi di chiederle scusa. I miei amici non sapevano perché non volevo che fossero presenti, loro avevano solo intenzione di prendersi cura di me. Magari… magari avrebbero capito la faccenda del sangue. Erik sembrava capire. Okay, certo, lui era in quinta, però magari… Era previsto che ci passassimo tutti. Era previsto che cominciassimo ad avere voglia di sangue… oppure che morissimo. Mi rasserenai un po' e accarezzai Nala. «Quando l'alternativa è la morte, bere sangue non sembra poi tanto male, giusto?» Fece le fusa, e lo presi per un sì. Controllai l'ora al mio orologio. Cacchio. Dovevo tornare al dormitorio, cambiarmi e andare all'incontro con le Figlie Oscure. Senza nessuna voglia, m'incamminai. Era di nuovo nuvoloso, ma l'oscurità non mi dava fastidio. A dire il vero, la notte cominciava a piacermi. Era giusto. Avrebbe dovuto essere il mio elemento per molto, molto tempo. Se fossi sopravvissuta. Come se potesse leggere i miei pensieri morbosi, Nala mi rivolse un «miii-au-uuff» di rimprovero mentre mi trotterellava accanto. «Sì, lo so. Non dovrei essere così negativa. Ci lavorerò sopra dopo che…» Il basso ringhio di Nala mi stupì. Si era fermata, la schiena ingobbita, il pelo ritto e gonfio che la facevano sembrare un pompon peloso, ma gli occhi stretti a fessura non erano uno scherzo e neppure il feroce soffio che usciva dalla sua boccuccia. «Nala, cosa…» Un gelo terribile si propagò lungo la mia schiena anche prima che mi voltassi a guardare nella direzione in cui puntava la gatta. In seguito, non sarei riuscita a capire perché non avessi gridato. Ricordo che mi si era aperta la bocca per inghiottire aria, ma ero rimasta nel più assoluto silenzio. Mi sembrava di essere inebetita, ma era impossibile, perché se lo fossi stata non sarei potuta rimanere pietrificata a quel modo. Elliott era in piedi a meno di tre metri da me, nel buio che scuriva lo spazio vicino al muro di cinta. Doveva essere diretto dalla stessa parte in cui stavamo andando Nala e io, poi ci aveva sentito e si era voltato un po' verso di noi. La gatta soffiò ancora e lui, con un movimento di una rapidità da paura, si girò per affrontarci. Giuro che non riuscivo a respirare. Era un fantasma… doveva esserlo, ma sembrava così fisico, così reale. Se non avessi visto il suo organismo rifiutare la Trasformazione, avrei pensato che fosse soltanto un po' più pallido del solito e… e… strano. Era bianco in modo anormale, ma non era l'unica cosa che non andava in lui. Gli occhi erano cambiati. Riflettevano la poca luce presente e splendevano di un terribile rosso rugginoso, come sangue secco. Proprio come gli occhi del fantasma di Elizabeth. C'era anche qualcos'altro di diverso in lui. Il suo corpo sembrava strano, più magro. Com'era possibile? Poi mi arrivò il puzzo. Di vecchio, asciutto e fuori posto, come un armadio che non veniva aperto da anni o un'orribile cantina ammuffita. Era lo stesso odore che avevo notato appena prima di vedere Elizabeth. Nala ringhiò ed Elliott si mise in una strana posa semiaccucciata e le soffiò. Quindi mostrò i denti e riuscii a vedere che i canini erano zanne! Fece un passo verso Nala, quasi volesse attaccarla. Non pensai, reagii e basta. «Lasciala stare e vattene da qui!» Mi stupì che sembrasse che non stessi facendo niente di più interessante che strillare contro un cane cattivo, perché avevo una strizza inimmaginabile. Elliott girò la testa verso di me e la luminosità dei suoi occhi mi toccò per la prima volta. Sbagliato! urlava la vocina interiore che era diventata una presenza familiare. Questo è un abominio! «Tu…» La voce di Elliott era orribile. Era stridula e gutturale, come se qualcosa gli avesse danneggiato la gola. «Io ti avrò!» Dopo di che cominciò a venire verso di me. Una paura primordiale mi avvolse come un vento tagliente. Un miagolio da battaglia squarciò la notte e Nala si lanciò contro il fantasma. Restai a guardare, completamente sotto shock, aspettandomi che la micia finisse a dare zampate all'aria. Invece atterrò ad artigli sguainati sulla coscia di Elliott, graffiando e ringhiando come un animale tre volte più grande. Lui gridò, l'afferrò per la collottola e la scagliò lontano. Poi, con una velocità e una forza impossibili, saltò letteralmente in cima al muro di cinta e scomparve nella notte che circondava la scuola. Tremavo talmente tanto che inciampai. «Nala!» singhiozzai. «Dove sei, piccolina?» Ancora ringhiando tutta gonfia, mi raggiunse a passettini felpati, gli occhi a fessura sempre puntati sul muro di cinta. Mi accovacciai accanto a lei per controllare che fosse tutta intera e, siccome sembrava stesse bene, la presi in braccio e mi allontanai di corsa, più in fretta che potevo. «Va tutto bene. Noi stiamo bene. Se n'è andato. Sei stata una micina così coraggiosa!» Mentre continuavo a parlarle, mi si arrampicò sulla spalla, in modo da poter guardare dietro di noi, senza smettere di ringhiare. Al primo lampione a gas, non lontano dalla sala di ricreazione, mi fermai e spostai Nala, per controllare meglio che stesse davvero bene, e quello che scoprii mi attorcigliò lo stomaco al punto che pensai di stare per vomitare. Sulle sue zampe c'era del sangue. Solo che non apparteneva a lei. E non aveva l'odore delizioso dell'altro, ma risentiva della puzza di cantina vecchia e ammuffita. Mentre le pulivo le zampe sulla poca erba invernale, mi sforzai di non rigettare, quindi la ripresi in braccio e mi affrettai lungo il marciapiede che portava al dormitorio. Nala continuò imperterrita a guardare dietro di noi e a ringhiare. Stevie Rae, le gemelle e Damien erano tutti vistosamente assenti dal dormitorio. Non stavano guardando la TV, non erano nella stanza dei computer né in biblioteca e non erano neppure in cucina. Salii in fretta le scale, sperando con tutta me stessa che almeno Stevie Rae fosse nella nostra camera. Non fui così fortunata. Mi sedetti sul letto a coccolare Nala, che era ancora sconvolta. Dovevo andare a cercare i miei amici? O era meglio che restassi lì? Prima o poi Stevie Rae sarebbe comunque dovuta tornare in camera. Guardai il suo ancheggiante orologio Elvis: avevo circa dieci minuti per cambiarmi e arrivare in sala di ricreazione. Ma come potevo andare al rito dopo quanto era appena successo? E cosa era appena successo? Un fantasma aveva cercato di assalirmi. No. Non era così. Come avrebbe potuto sanguinare un fantasma? E poi, quello che avevo visto era davvero sangue? Non ne aveva l'odore. E non avevo idea di cosa stesse accadendo. Dovrei andare dritta da Neferet a riferirle quello che mi è capitato. Dovrei alzarmi all'istante per portare me e la mia gatta stravolta da Neferet e dirle di Elizabeth la scorsa notte e di Elliott poco fa. Dovrei… dovrei… No. Questa volta non fu un grido dentro di me, fu la forza della certezza. Non potevo dirlo a Neferet, almeno non in quel momento. «Devo andare al rito, devo essere presente a quel rito», dissi, ripetendo ad alta voce le parole che mi echeggiavano nella testa. Mentre indossavo il vestito nero e cercavo le ballerine nell'armadio, mi sentii di colpo diventare calma. Le cose in quel posto non seguivano le stesse regole del mio vecchio mondo – della mia vecchia vita – ed era tempo che accettassi la situazione e cominciassi ad abituarmici. Avevo un'affinità coi cinque elementi, il che significava che un'antica Dea mi aveva dotata di poteri incredibili. E, come mi aveva ricordato la nonna, con un grande potere viene anche una grande responsabilità. Magari mi era consentito di vedere delle cose – come per esempio fantasmi che non si comportavano né odoravano come dovrebbero fare i fantasmi – per un motivo. Anche se ancora non sapevo cosa questo significasse. A dire il vero, sapevo ben poco a parte i due pensieri che avevo chiari in mente: non potevo dirlo a Neferet e dovevo andare al rito. Mentre mi affrettavo a raggiungere la sala di ricreazione, cercai almeno di pensare positivo. Magari Afrodite non si sarebbe fatta vedere quella sera, oppure ci sarebbe stata ma si sarebbe dimenticata di tormentarmi. Ma non era la mia serata fortunata, perché non sarebbe successa né l'una né l'altra cosa. 27 «Bel vestito, Zoey, somiglia molto al mio. Ah, no, aspetta! Una volta era mio!» Afrodite si lanciò in una risata di gola, che diceva io-sono-grande-e-tu-sei-solouna-bambina. Detesto le ragazze che lo fanno. Insomma, è vero che lei è più grande, ma le tette ce le ho anch'io. Sorrisi e, aggiungendo una dose extra d'innocente tontolaggine alla mia voce, mi lanciai in una balla clamorosa, che devo aver detto piuttosto bene, considerando che come bugiarda valgo proprio poco, ma ero appena stata assalita da un fantasma e tutti ci stavano ascoltando: «Ciao, Afrodite! Cavolo, ho appena letto in un capitolo del libro di Socio Vamp 415 che mi ha dato Neferet quant'è importante che la leader delle Figlie Oscure faccia sentire benvenuto e accettato ogni nuovo del gruppo. Devi essere orgogliosa dell'ottimo lavoro che stai facendo». Poi mi avvicinai a lei un po' di più e abbassai la voce, in modo che le altre non potessero ascoltare. «E devo dire che hai un aspetto decisamente migliore dell'ultima volta che ti ho vista.» La vidi impallidire e sono sicura che negli occhi le passò un lampo di paura. Con stupore mi accorsi che questo non mi faceva sentire vincente e soddisfatta, piuttosto meschina, squallida e stanca. Sospirai. «Scusa, non avrei dovuto dirlo.» La sua espressione s'indurì. «Vaffanculo, mostro», sibilò. Quindi rise come avesse fatto una battuta spiritosissima (a mie spese), mi voltò le spalle e con un odioso movimento di capelli raggiunse il centro della stanza. Okay, non mi sentivo più meschina. Vacca odiosa. Sollevò un braccio esile e tutti quelli che erano rimasti a fissarmi a bocca aperta rivolsero la loro attenzione (per fortuna) su di lei. Indossava un vestito di seta rossa dall'aria antica che le stava come se gliel'avessero dipinto addosso. Avrei proprio voluto sapere dove cavolo si vestiva. Nella boutique zoccola dark? «Ieri è morta una novizia, e oggi un novizio.» La sua voce era forte e chiara e pareva quasi compassionevole, cosa che mi stupì. Per un secondo mi ricordò davvero Neferet e mi chiesi se stesse per dire qualcosa di profondo, da vero capo. «Li conoscevamo entrambi. Elizabeth era carina e tranquilla. Elliott è stato il nostro frigorifero per parecchi degli ultimi riti.» Di colpo sorrise, feroce e cattiva, e qualunque somiglianza potesse aver avuto con la Somma Sacerdotessa scomparve. «Ma erano deboli e ai vampiri non servono elementi deboli.» Alzò le spalle coperte di rosso. «Se fossimo umani la definiremmo legge della selezione naturale. Grazie alla Dea non siamo umani, quindi chiamiamolo soltanto Fato e stasera festeggiamo che non abbia assestato una pedata al fondoschiena di qualcuno di noi.» Trovai disgustoso che tutti mormorassero frasi di approvazione. Non avevo conosciuto davvero Elizabeth, ma era stata gentile con me. Okay, ammetto che Elliott non mi piaceva proprio e che non piaceva a nessuno. Era una palla, scocciante e brutto (e il suo fantasma o quello che era sembrava avere mantenuto quelle caratteristiche), ma non ero contenta che fosse morto. Se mai sarò a capo delle Figlie Oscure, non mi prenderò gioco della morte di un novizio, per quanto insignificante possa essere stato. Lo promisi a me stessa, ma mi resi anche conto di averlo pensato come una preghiera. Sperai che Nyx mi ascoltasse, e che approvasse. «Ma basta con le tristezze», stava dicendo Afrodite. «È Samhain! La notte in cui celebriamo la fine della stagione del raccolto e, ancor meglio, è il momento in cui ricordiamo i nostri antenati, tutti i grandi vampiri che sono vissuti e morti prima di noi.» Aveva un tono che metteva i brividi, come se si fosse calata troppo nella parte e, quando continuò, non potei non alzare gli occhi al soffitto. «È la notte in cui il velo tra la vita e la morte si fa più sottile ed è più probabile che gli spiriti si manifestino sulla terra.» S'interruppe e si guardò intorno nella stanza, facendo bene attenzione a ignorarmi (come peraltro facevano tutti gli altri), e nel momento di pausa ebbi il tempo di riflettere su quanto aveva appena detto. E se ciò che era successo con Elliott avesse avuto a che fare col velo tra la vita e la morte che era più sottile e col fatto che era morto il giorno di Samhain? Ma non ebbi il tempo di chiedermi altro perché Afrodite alzò la voce e gridò: «Perciò cosa facciamo?» «Usciamo!» strillarono per tutta risposta le Figlie e i Figli Oscuri. La risata di Afrodite era davvero troppo sexy per essere appropriata e giuro che si stava toccando. Proprio davanti a tutti. Dio, se era disgustosa! «Giusto. Ho scelto un posto super per noi stasera e ad aspettarci là con le ragazze c'è anche un nuovo piccolo frigorifero.» Arrgh! Con «le ragazze» intendeva forse Bellicosa, Terribile e Vespa? Diedi una rapida occhiata in giro ma non le vidi. Grandioso. Potevo giusto immaginare cosa quelle tre più Afrodite potevano considerare «super». E non volevo neppure pensare a quel poveretto o poveretta che era stato convinto a chiacchiere a fare da nuovo frigorifero. E sì, ero in fase di negazione totale anche del fatto che mi era venuta l'acquolina in bocca non appena Afrodite aveva detto che c'era un frigorifero ad attenderci, il che significava che avrei di nuovo bevuto sangue. «Allora usciamo di qui. E ricordatevi di non fare rumore. Concentratevi sull'essere invisibili e qualunque umano dovesse essere ancora sveglio semplicemente non ci vedrà.» Poi Afrodite mi fissò dritto negli occhi. «E che Nyx abbia pietà di chiunque ci faccia scoprire, perché noi di certo non ne avremo.» Rivolse un sorriso viscido al gruppo. «Seguitemi, Figlie e Figli Oscuri!» In silenzio, a coppie o in piccoli gruppi, tutti la seguirono fuori della porta posteriore. Naturalmente m'ignorarono. Stavo quasi per non andare con loro. Non ne avevo proprio voglia. Insomma, per quella sera di emozioni ne avevo avute più che a sufficienza. Avrei fatto meglio a tornare al dormitorio per scusarmi con Stevie Rae, poi potevamo cercare le gemelle e Damien e io avrei raccontato a tutti di Elliott (mi fermai a controllare se la sensazione allo stomaco mi avvisava di non dire niente ai miei amici, ma restò zitta). Okay. Benone. Potevo dirglielo. Sembrava un'idea molto più carina del seguire quella stronza di Afrodite e un gruppo di ragazzi che non mi sopportavano. Ma il mio intuito, che se n'era stato tranquillo mentre pensavo di parlare coi miei amici, s'impennò di colpo. Dovevo proprio partecipare al rito. Sospirai. «Andiamo, Zy, non vorrai perderti lo spettacolo, vero?» Erik era in piedi accanto alla porta, aspetto da Superman e occhi azzurri sorridenti. Be', che diavolo. «Stai scherzando? Ragazze odiose, uno psicodramma da setta e una grande occasione d'imbarazzo e spargimento di sangue. Che cosa c'è di meglio? Non me ne perderei neanche un istante.» Insieme, Erik e io seguimmo il gruppo. Camminavano tutti in silenzio verso il muro dietro la sala di ricreazione, che era troppo vicino al punto in cui avevo visto Elizabeth ed Elliott perché non mi sentissi a disagio. E poi, chissà come, i ragazzi sembrarono sparire nel muro. «Ma che…?» mormorai. «È solo un'illusione. Vedrai.» Vidi. In realtà si trattava di una porta segreta, tipo quelle che ci sono nei vecchi film gialli, solo che, invece di essere in una libreria o dentro un caminetto (come nei film d'Indiana Jones… sì, sono una sfigata), questa era una piccola sezione dello spesso e altrove massiccio muro di cinta della scuola. Una parte ruotava verso l'esterno quel tanto che bastava per far passare una persona (o novizio o vampiro o magari anche uno o due terrificanti fantasmi solidi). Erik e io fummo gli ultimi ad attraversare, quindi udii un rumore soffocato e mi voltai in tempo per vedere il muro richiudersi alla perfezione. «Funziona con un tastierino numerico, come la portiera di un'auto», bisbigliò Erik. «Ooh. Chi ne è al corrente?» «Chiunque sia mai stato una Figlia o un Figlio Oscuro.» «Ooh.» Supposi che questo significasse la maggioranza dei vampiri adulti. Mi guardai intorno e non vidi nessuno che ci osservasse o ci seguisse. Erik notò la mia occhiata. «Non gliene importa. È nella tradizione della scuola che sgattaioliamo fuori per qualche rituale. Finché non facciamo niente di troppo stupido, fingono di non sapere che usciamo.» Si strinse nelle spalle. «La cosa funziona, immagino.» «Finché non facciamo niente di troppo stupido.» «Sstt!» sibilò qualcuno davanti a noi. Chiusi la bocca e decisi di concentrarmi su dove eravamo diretti. Erano le quattro e mezzo del mattino. E di sveglio non c'era nessuno, guarda un po' che sorpresa. Era strano camminare in quella zona elegante di Tulsa – un quartiere pieno di palazzi costruiti coi vecchi petroldollari – senza che nessuno si accorgesse di noi. Tagliavamo per giardini incredibilmente curati e non c'era un cane che ci abbaiasse dietro. Era come se fossimo ombre… o fantasmi… Il pensiero mi diede un brivido di paura. La luna, che prima era quasi del tutto oscurata dalle nuvole, adesso brillava bianco-argentea in un cielo inaspettatamente limpido. Giuro che con quella luce avrei potuto leggere anche prima di venire Segnata. Faceva freddo, ma non mi dava fastidio come invece sarebbe successo appena una settimana prima. Cercai di non pensare a ciò che questo significava riguardo alla Trasformazione che stava avvenendo nel mio organismo. Attraversammo una strada, poi scivolammo senza far rumore tra due giardini. Udii dell'acqua corrente prima ancora di vedere il pìccolo ponte pedonale. La luna rischiarava il ruscello come se qualcuno ci avesse versato sopra del mercurio. Mi sentii catturata da tanta bellezza e rallentai, ricordando che ormai la notte era il mio nuovo giorno. Speravo di non abituarmi mai alla sua oscura maestosità. «Andiamo, Zy», mormorò Erik dall'altra parte del ponte. Alzai lo sguardo verso di lui. Si stagliava sullo sfondo di una magnifica abitazione che si estendeva sulla collina con l'immenso prato terrazzato e laghetto e gazebo e fontane e cascatelle (quella gente aveva decisamente, clamorosamente troppi soldi), e mi ricordò quegli eroi romantici della Storia, come… come… Be', gli unici due eroi cui riuscivo a pensare erano Superman e Zorro, e nessuno di loro era davvero un personaggio storico. Ma aveva proprio un'aria da cavaliere, e pure romantico. Poi capii in quale stupenda proprietà stavamo entrando di straforo, quindi mi affrettai a raggiungerlo e bisbigliai frenetica: «Erik, questo è il Philbrook Museum! Ci metteremo davvero nei casini se ci beccano qui intorno». «Non ci beccheranno.» Dovetti faticare per stargli dietro. Camminava in fretta, desiderando molto più di me di raggiungere il gruppo silenzioso e spettrale. «Okay, questa non è la casa di un riccone. Questo è un museo. Qui ci sono le guardie ventiquattr'ore su ventiquattro.» «Afrodite le avrà drogate.» «Cosa?!» «Sstt! Non gli fa male. Saranno intontite per un po', poi se ne andranno a casa e non si ricorderanno niente. Roba da poco.» Non replicai, ma proprio non mi piaceva che fosse così «chissene» riguardo al fatto di drogare delle guardie della sicurezza. Non mi sembrava giusto, anche se potevo capirne l'utilità. Stavamo entrando di nascosto dove non si poteva. Non volevamo essere beccati. Quindi si dovevano drogare le guardie. Ci arrivavo. Solo che non mi piaceva, e mi suonava come un'altra cosa che implorava di essere cambiata riguardo alle Figlie Oscure e al loro atteggiamento da santarelline. Mi ricordavano sempre di più il Popolo della Fede, e non era un paragone lusinghiero. Afrodite non era un Dio (o una Dea, per essere più precisi), a prescindere da come amasse definirsi. Erik e io ci unimmo al gruppo che aveva formato un ampio cerchio intorno al gazebo a cupola posto ai piedi del pendio che portava al museo. Era vicino al laghetto ornamentale che finiva esattamente dove iniziavano le terrazze da cui si raggiungeva l'ingresso dell'edificio. Quel posto era davvero di una bellezza incredibile. C'ero stata due o tre volte, una anche con la classe di Arte, e in quell'occasione mi ero sentita ispirata a fare uno schizzo dei curatissimi giardini, anche se in disegno sono negata. Adesso la notte l'aveva trasformato in un magico regno fatato, sfumato dalla luna e ombreggiato da strati di grigio, di argento e di blu. Anche lo stesso gazebo era incredibile. Era posto in cima ad ampie scale rotonde, come un trono, in modo che per arrivarci bisognasse salire. Era fatto di colonne bianche scolpite e la cupola era illuminata da sotto; somigliava a qualcosa che si sarebbe potuto trovare nell'antica Grecia e che era stato riportato al suo antico splendore e illuminato per essere visibile nella notte. Afrodite salì la scala per prendere posto al centro del gazebo, dove naturalmente c'erano anche Bellicosa, Terribile e Vespa, oltre a un'altra ragazza che non conoscevo. Avrei potuto averla vista un miliardo di volte senza poi ricordarmene, dato che era solo un'altra bionda simil-Barbie (anche se con ogni probabilità il suo nome significava qualcosa tipo Odiosa o Malvagia). Lì avevano sistemato un tavolino coperto con un telo nero e vidi che sopra c'erano delle candele, oltre ad altra roba tra cui un calice e un coltello. Un poveretto era chino con la testa sul tavolo e gli avevano messo addosso un mantello che lo copriva, facendolo somigliare molto a Elliott la notte in cui aveva fatto da frigorifero. Dare il sangue per i riti di Afrodite doveva davvero mettere fuori uso e mi chiesi se non avesse in qualche modo contribuito a causare la morte di Elliott. Bloccai fuori del cervello il fatto che mi veniva l'acquolina in bocca al pensiero del sangue del ragazzo mischiato al vino nel calice. Strano come potessi desiderare da matti una cosa che allo stesso tempo trovavo disgustosa all'ennesima potenza. «Realizzerò il cerchio e chiamerò gli spiriti degli antenati a danzare con noi al suo interno», annunciò Afrodite. Parlava piano, ma la sua voce si propagò tra di noi come una foschia velenosa. Metteva strizza pensare a dei fantasmi attirati nel cerchio, soprattutto dopo le mie recenti esperienze, ma devo ammettere che la curiosità era quasi pari alla paura. Magari ero così certa di dover essere lì perché ci avrei trovato qualche indizio riguardo a Elizabeth e a Elliott. E poi era evidente che non era la prima volta che le Figlie Oscure tenevano quel rito, quindi non poteva essere tanto spaventoso o pericoloso. Afrodite se la tirava un casino facendo la gran figa, ma avevo la sensazione che fosse una commedia. Sotto sotto, era come tutti i bulli: insicura e immatura. E poi i prepotenti tendono a evitare chiunque sia più tosto di loro, quindi era più che logico che, se intendeva chiamare degli spiriti in un cerchio, significava che erano innocui, probabilmente persino simpatici. Lei non avrebbe certo affrontato un mostraccio grande, grosso e cattivo. Né qualcosa di realmente spaventoso come quello che era diventato Elliott. Cominciai a rilassarmi per accogliere quella che stava già diventando una familiare vibrazione di energia, quando le quattro Figlie Oscure che rappresentavano gli elementi presero le candele votive e si posizionarono nei punti giusti del mini-cerchio nel gazebo. Afrodite chiamò il vento e i miei capelli si sollevarono dolcemente in una brezza che soltanto io potevo percepire. Chiusi gli occhi, gustandomi la scossa che mi faceva pizzicare la pelle. A dire il vero, nonostante Afrodite e quelle presuntuose delle Figlie Oscure, trovavo piacevole l'inizio del rito. E poi Erik mi stava accanto, il che mi aiutava a non preoccuparmi del fatto che nessun altro dei presenti mi avrebbe rivolto la parola. Mi rilassai ancora di più, improvvisamente certa che il futuro non sarebbe stato poi tanto terribile. Avrei fatto pace coi miei amici, insieme avremmo risolto il mistero di quegli strani fantasmi e magari mi sarei persino fatta un ragazzo ipersuperstrafigo. Sarebbe andato tutto bene. Aprii gli occhi e guardai Afrodite muoversi intorno al cerchio. Ciascun elemento mi attraversò come una scossa elettrica e mi chiesi come potesse non accorgersene Erik standomi tanto vicino. Gli diedi perfino un'occhiatina di nascosto, aspettandomi quasi che mi stesse guardando mentre gli elementi giocavano sulla mia pelle, ma anche lui, come tutti gli altri, fissava Afrodite (il che a dire il vero mi scocciava pure un po': non avrebbe dovuto darmi anche lui occhiatine di nascosto?) Poi Afrodite iniziò a evocare gli spiriti ancestrali e persino io non potei non rivolgere a lei tutta la mia attenzione. Era accanto al tavolo e teneva una lunga treccia di erba secca sopra la fiamma viola dello spirito, perché prendesse fuoco in fretta. La lasciò bruciare un po', quindi la spense e prese ad agitarla con delicatezza intorno a sé mentre cominciava a parlare, riempiendo l'aria di riccioli di fumo. Odorai e riconobbi il profumo d'ierocloe, una delle erbe cerimoniali più sacre perché attira l'energia spirituale e che viene chiamata sweet grass, un nome che mi è sempre piaciuto un sacco. La nonna l'usava spesso nelle sue preghiere. Poi aggrottai la fronte e provai un fremito di preoccupazione. La ierocloe doveva essere usata soltanto dopo che l'aria era stata pulita e purificata bruciando della salvia, altrimenti avrebbe potuto attirare qualunque tipo di energia. E «qualunque» non sempre significa buona. Ma, anche se avessi potuto fermare la cerimonia, ormai era troppo tardi per dire qualcosa, perché Afrodite aveva già iniziato a chiamare gli spiriti e la sua voce aveva preso un tono cantilenante che in un certo senso veniva intensificato dal denso fumo che si arricciava intorno a lei. In questa notte di Samhain, ascoltate il mio antico richiamo, voi tutti spiriti dei nostri antenati. In questa notte di Samhain, che la mia voce giunga con questo fumo nel mondo ultraterreno, dove gli spiriti luminosi danzano nella dolce foschia del ricordo. In questa notte di Samhain, io non chiamo gli spiriti dei nostri antenati umani. No, li lascio dormire, perché non ho bisogno di loro nella vita né nella morte. In questa notte di Samhain, io chiamo gli antenati magici, gli antenati mistici, quelli che un tempo erano più che umani e che sono più che umani anche nella morte. Affascinata, osservai con tutti gli altri il fumo che ondeggiava, mutava e cominciava ad assumere delle forme. All'inizio pensai di star immaginando le cose e cercai di schiarirmi la vista sbattendo le palpebre, ma presto capii che non erano i miei occhi ad avere dei problemi e che all'interno del fumo si stavano davvero formando delle persone. Erano indistinte, più contorni di corpi che corpi veri e propri, ma col continuo ondeggiare della treccia d'ierocloe si facevano sempre più consistenti e all'improvviso il cerchio fu pieno di figure spettrali con bui occhi cavernosi e bocche spalancate. Non somigliavano affatto a Elizabeth o a Elliott, piuttosto a come avevo sempre immaginato fossero i fantasmi: fumosi, trasparenti e spaventosi. Annusai l'aria. No, decisamente non c'era quello schifoso odore di cantina ammuffita. Afrodite posò la treccia ancora fumante e prese il calice. Anche da dove mi trovavo io, sembrava insolitamente pallida, come avesse assunto alcune delle caratteristiche fisiche degli spettri. Il vestito rosso strideva in modo quasi esagerato in quel cerchio di fumo, di grigio e di foschia. «Io vi do il benvenuto, spiriti ancestrali, e vi chiedo di accettare la nostra offerta di vino e sangue affinché possiate ricordarvi cosa significa assaporare la vita.» Sollevò il calice e le figure di fumo presero ad agitarsi in modo turbolento e confuso, evidentemente eccitate. «Io vi do il benvenuto, spiriti ancestrali, e all'interno della protezione del mio cerchio…» «Zo! Lo sapevo che ti avrei trovata se mi ci fossi messo d'impegno!» La voce di Heath tagliò la notte come un coltello, interrompendo le parole di Afrodite. 28 «Heath! Che diavolo ci fai qui?» «Be', non mi hai richiamato.» Senza curarsi di tutti gli altri, mi abbracciò. Non mi serviva la splendente luce della luna per vedere che aveva gli occhi iniettati di sangue. «Zo, mi mancavi!» sbottò, alitandomi addosso un fiato alla birra. «Heath, te ne devi andare…» «No. Lascia che rimanga», m'interruppe Afrodite. Heath spostò lo sguardo su di lei, e immaginai cosa dovesse sembrargli: lei era al centro della chiazza luminosa creata dalle luci del gazebo, che splendevano nel fumo della sweet grass e la illuminavano quasi come se si trovasse sott'acqua. Il vestito rosso era iperaderente, i folti capelli biondi le scendevano oltre le spalle e aveva le labbra tese in un sorriso cattivo che ero sicura Heath avrebbe preso per un gentile benvenuto. Probabilmente non si era neanche accorto degli spettri fumosi che avevano smesso di fluttuare intorno al calice e avevano rivolto le orbite vuote verso di lui. E di certo non si era accorto nemmeno che la voce di Afrodite aveva un tono strano e cupo e che i suoi occhi erano vitrei e fissi. Diavolo, conoscendo Heath, l'unica cosa di cui doveva essersi accorto erano le sue grandi tette. «Figo, una sirena vampira.» Heath mi dimostrò che avevo ragione. «Portalo via di qui.» La voce di Erik era tesa e preoccupata. Heath staccò gli occhi dalle tette di Afrodite per guardare male Erik. «E tu chi sei?» Ah, cacchio. Conoscevo quel tono. Era quello che Heath usava quando stava per avere un attacco di gelosia (un altro motivo per cui era il mio ex). «Heath, devi andare via di qui», intervenni. «No.» Si avvicinò e mi mise un braccio intorno alle spalle con aria possessiva, ma senza guardarmi. Continuava a fissare Erik. «Sono venuto per vedere la mia ragazza, e vedrò la mia ragazza.» Ignorai il fatto che riuscivo a percepire il battito di Heath nel punto in cui il suo braccio era appoggiato sulla mia spalla e, invece di fare qualcosa di assolutamente disgustoso e inquietante come mordergli il polso, me lo scrollai di dosso e l'afferrai in modo che guardasse me e non Erik. «Io non sono la tua ragazza.» «'azz, Zo, l'hai appena detto.» Digrignai i denti. Dio se era tonto (ecco un'altra ragione per cui era il mio ex). «Ma sei scemo?» fece Erik. «Senti, stronzo succhiasangue, io…» cominciò Heath, ma la strana voce echeggiante di Afrodite lo sommerse. «Vieni qui, umano.» Come se i nostri occhi fossero stati calamitati dal suo insolito fascino, Heath, Erik e io (e peraltro anche il resto delle Figlie e dei Figli Oscuri) li alzammo verso di lei. Il suo corpo sembrava strano. Stava pulsando? E com'era possibile? Gettò i capelli all'indietro e si passò addosso una mano come una spogliarellista oscena, portandosela a coppa sul seno e poi strofinandosela in mezzo alle gambe. L'altra mano si sollevò per fare cenno a Heath di avvicinarsi. «Vieni da me, umano. Fatti assaggiare.» Questo era male; questo era sbagliato. Sarebbe successo qualcosa di terribile se Heath fosse entrato nel cerchio. Completamente affascinato da lei, lui barcollò avanti senza esitazione (né buonsenso). Gli afferrai un braccio e fui felice di vedere che Erik gli prendeva l'altro. «Basta, Heath! Voglio che te ne vada. Subito. Non devi stare qui.» Con uno sforzo, lui staccò gli occhi da Afrodite, si liberò dalla stretta di Erik e praticamente gli ringhiò. Poi si voltò verso di me. «Tu mi tradisci!» «Ma proprio non ascolti? Non posso tradirti, dato che non stiamo insieme! Adesso esci da…» «Se si oppone al nostro richiamo, allora andremo noi da lui.» Girai la testa di scatto e vidi Afrodite in preda alle convulsioni mentre dal suo corpo uscivano dei filamenti di fumo grigio e lei emetteva un sospiro a metà tra un singhiozzo e un grido. Gli spiriti, inclusi quelli da cui era evidentemente stata posseduta, si precipitarono al margine del cerchio, facendo pressione nel tentativo di liberarsi e gettarsi su Heath. «Afrodite, fermali o lo uccideranno!» Damien sbucò da dietro una siepe ornamentale che circondava il laghetto. «Damien, cosa…» cominciai, ma lui scosse la testa. «Non c'è tempo di spiegare», ribatté in fretta prima di riportare l'attenzione su Afrodite. «Tu sai cosa sono, devi trattenerli all'interno del cerchio altrimenti lui morirà», le gridò. Afrodite era così pallida che sembrava un fantasma anche lei. Si allontanò dalle figure di fumo, che tentavano ancora d'infrangere l'invisibile confine del cerchio, fino a ritrovarsi appoggiata contro il tavolo. «Non li fermerò. Se lo vogliono, possono averlo. Meglio lui di me… o del resto di noi.» «Già, non vogliamo avere niente a che fare con questa merda!» Terribile lasciò cadere la candela, che sfrigolò e si spense. Senza aggiungere altro, corse via dal cerchio e giù dalle scale del gazebo. Le altre tre ragazze che personificavano gli elementi seguirono il suo esempio e scomparvero in fretta nella notte, lasciando le candele rovesciate e spente. Piena di orrore, osservai una delle figure grigie cominciare a sciogliersi attraverso il cerchio, il fumo del suo corpo spettrale che scivolava come un serpente lungo la scala, nella nostra direzione. Percepii un movimento tra le Figlie e i Figli Oscuri e mi guardai intorno: stavano arretrando nervosamente con un'espressione spaventata che ne distorceva i volti. «Tocca a te, Zoey.» «Stevie Rae!» La mia amica vacillava in mezzo al cerchio. Si era levata di dosso il mantello che l'aveva coperta fino a quel momento mostrando così le bende bianche ai polsi. «Te l'avevo detto che dovevamo restare uniti.» Stevie Rae mi rivolse un debole sorriso. «Meglio che ti spicci», disse Shaunee. «Quei fantasmi stanno facendo cagare sotto il tuo ex», concluse Erin. Mi girai e vidi le gemelle accanto a un Heath pallido e con la bocca spalancata, e provai un moto di gioia totale: non mi avevano abbandonata! Non ero sola! «Sistemiamo 'sta faccenda. Tienilo lì», ordinai a Erik che mi fissava sullo sconvolto andante. Senza bisogno di controllare che i miei amici mi seguissero, mi affrettai a salire fino al gazebo pieno di spettri. Quando raggiunsi il confine del cerchio, esitai un istante. Gli spiriti si stavano lentamente dissolvendo attraverso di esso, l'attenzione focalizzata interamente su Heath. Presi un respiro profondo e oltrepassai la barriera invisibile, provando un freddo tremendo mentre i morti mi sfioravano. «Non hai il diritto di stare qui. Questo è il mio cerchio!» Afrodite si riprese quanto bastava per increspare il labbro in un ringhio e bloccarmi l'accesso al tavolo e alla candela dello spirito, che era l'unica ancora accesa. « Era il tuo cerchio. Adesso devi startene zitta e levarti dai piedi», ribattei. Afrodite mi fissò, gli occhi a fessura. Ah, cacchio, proprio non avevo tempo per quello. «Senti, testa di cavolfiore sfiorito, devi fare quello che dice Zoey. Sono due anni che muoio dalla voglia di dartene una sorba!» Shaunee venne al mio fianco. «Anch'io, stronza di una strega zoccola.» Erin si sistemò sull'altro lato. Prima che le gemelle potessero avventarsi su Afrodite, il grido di Heath mandò in pezzi la notte. Girai sui tacchi e vidi che la nebbia gli stava strisciando sulle gambe, lasciando lunghi strappi sottili che cominciarono subito a sanguinare. In preda al panico, Heath scalciava e strillava. Erik non se n'era andato e prendeva anche lui a calci la foschia, anche se, ogni volta che quella gli si appiccicava addosso, gli strappava vestiti e pelle. «Presto! Ai vostri posti», urlai prima che l'allettante odore del loro sangue potesse rovinarmi la concentrazione. I miei amici corsero a prendere le candele abbandonate e si misero ad aspettare ciascuno nella propria posizione. Girai intorno ad Afrodite, che stava fissando Heath ed Erik, le mani premute sulla bocca come a trattenere un grido. Afferrai la candela viola e mi precipitai da Damien. «Aria! Io ti convoco in questo cerchio», strillai, accostando il cero viola a quello giallo. Avrei voluto piangere di sollievo quando l'ormai familiare vortice salì roteando intorno a me, sollevandomi i capelli. Proteggendo la fiamma con la mano, corsi da Shaunee. «Fuoco! Io ti convoco in questo cerchio!» Mentre accendevo la candela rossa, il calore montò assieme al vento vorticoso. Non mi fermai, continuando invece a spostarmi in senso orario intorno al cerchio. «Acqua! Io ti convoco in questo cerchio!» Ed ecco il mare, salmastro e dolce. «Terra! Io ti convoco in questo cerchio!» Sfiorai con la fiamma la candela di Stevie Rae, cercando di non trasalire alla vista delle bende che le coprivano i polsi. Era pallida in modo anormale, ma fece un gran sorriso quando l'aria sì riempì del profumo dell'erba appena tagliata. Heath gridò di nuovo e io corsi al centro del cerchio, sollevando la candela viola. «Spirito! Io ti convoco in questo cerchio!» Fui attraversata da una scarica di energia e, quando guardai il mio cerchio, vidi senza ombra di dubbio la striscia di forza che ne delimitava la circonferenza. Chiusi un attimo gli occhi. Oh, Nyx, grazie! Poi posai il cero viola sul tavolo e presi il calice del vino, quindi mi voltai verso Heath, Erik e l'orda di fantasmi. «Ecco il vostro sacrificio!» gridai, versando il contenuto del calice in un arco disordinato intorno a me, che andò a creare un cerchio color sangue sul pavimento del gazebo. «Non siete stati chiamati qui per uccidere. Siete stati evocati perché è Samhain e volevamo rendervi onore.» Rovesciai dell'altro vino, sforzandomi d'ignorare l'attrattiva che aveva su di me il profumo del sangue che vi era stato mescolato. Gli spettri interruppero il loro attacco. Mi concentrai su di loro, non volevo lasciarmi distrarre dal terrore negli occhi di Heath e dal dolore in quelli di Erik. Sacerdotessa, noi preferiamo questo sangue giovane e caldo. L'arcana voce echeggiò fino a me, mandandomi brividi lungo la schiena. Giuro che sentivo l'odore di carne decomposta in quell'alito soprannaturale. Deglutii con forza. «Lo capisco, ma quelle vite non sono per voi. Stanotte è un'occasione di festa, non di morte.» E tuttavia noi scegliamo la morte, che ci è più cara. Una risata spettrale fluttuò nell'aria col fumo contaminato della ierocloe, e gli spiriti ripresero a convergere su Heath. Gettai il calice e alzai le mani. «Allora non ve lo chiedo più, ve lo ordino. Vento, fuoco, acqua, terra e spirito! Vi comando, in nome di Nyx, di chiudere questo cerchio, riportando indietro i morti cui è stato consentito di fuggire. Ora!» Mi sentii attraversare da un'ondata di calore che uscì dalle mie braccia tese. In una ventata bollente e profumata di mare, una luminosa foschia verde partì frusciando da me e scese le scale per avvolgersi intorno a Heath e a Erik, facendo agitare furiosamente i loro vestiti e i capelli. Il vento magico catturò le figure fumose e le strappò alle vittime, quindi, con un rombo assordante, le risucchiò all'interno dei confini del mio cerchio. Mi ritrovai circondata da figure spettrali, da cui percepivo un pericolo e una fame pulsante con la stessa chiarezza con cui prima avevo percepito il sangue di Heath. Afrodite era raggomitolata sulla sedia per la paura e, quando un fantasma la sfiorò, lanciò uno strilletto che sembrò agitarli ancora di più, quindi mi si premettero addosso con violenza. «Zoey!» Stevie Rae gridò il mio nome, la voce resa acuta dalla paura. La vidi muovere un passo esitante verso di me. Damien intervenne: «No! Non spezzare il cerchio. Non possono far male a Zoey… non possono far male a nessuno di noi, perché il cerchio è troppo forte. Ma solo se non lo spezziamo». «Noi non andiamo da nessuna parte», gridò Shaunee. «No di certo, sto bene dove sto», ribadì Erin, giusto un po' a corto di fiato. Percepivo la loro lealtà, la loro fiducia e accettazione come fossero un sesto elemento, che mi diede molta sicurezza. Raddrizzai la schiena e fissai i fantasmi che vorticavano rabbiosi. «Dunque, dato che noi non ce ne andiamo, vuol dire che dovete proprio andarvene voi.» Indicai il vino e il sangue versati a terra. «Accettate il vostro sacrificio e andatevene da qui. Questo è tutto il sangue che vi è dovuto stanotte.» L'orda fumosa smise di agitarsi. Sapevo di averli in pugno, quindi presi un bel respiro e diedi fine alla cosa. «Col potere degli elementi, io ve lo ordino: via di qui!» Subito, come se li avesse colpiti un gigante invisibile, si dissolsero nel pavimento del gazebo zuppo di vino e di sangue, assorbendo chissà come il liquido, che sparì assieme a loro. Emisi un lungo e stremato sospiro di sollievo, quindi d'istinto mi voltai verso Damien. «Grazie, vento, puoi lasciarci.» Damien stava per spegnere la candela, ma non ce ne fu bisogno perché fu un lieve e giocoso soffio di brezza a farlo per lui, che mi rivolse un sorrisone, poi sgranò da matti gli occhi. «Zoey! Il tuo Marchio!» «Cosa?» Mi portai la mano alla fronte, che bruciava e pizzicava, come peraltro anche il collo e le spalle (il che quadrava, dato che ho sempre male a spalle e collo quando sono iperstressata). In più vibravo ancora tutta per i postumi dei poteri elementari, quindi non me n'ero neanche accorta. La sua espressione sconvolta diventò felice. «Finisci di chiudere il cerchio, poi puoi usare uno degli innumerevoli specchi di Erin per vedere cos'è successo.» Mi voltai verso Shaunee per salutare il fuoco. «Wow… incredibile», disse lei fissandomi. «Ehi, tu, come fai a sapere che in borsa ho più di uno specchio?» Dall'altra parte del cerchio, Erin si stava lamentando con Damien, ma, quando mi voltai verso di lei per congedare l'acqua, vedendo la mia fronte, anche i suoi occhi diventarono immensi. «Cazzarola!» «Erin, non dovresti imprecare in un cerchio sacro. Sappiamo tutti che non è…» stava dicendo Stevie Rae nella sua dolce inflessione Okie, quando mi girai a salutare la terra e le parole le si bloccarono in gola per lasciare posto a un semisoffocato: «Masssantocielo!» Sospirai. Diavolo, cos'altro è successo? Tornai al tavolo e sollevai la candela dello spirito. «Grazie, spirito, puoi andare.» «Perché?» Afrodite si era alzata talmente di scatto da far cadere la sedia. Come tutti gli altri, mi fissava con un'espressione shockata assolutamente ridicola. «Perché tu? Perché non io?» «E adesso di cosa stai parlando, Afrodite?» «Sta parlando di questo.» Erin mi tese il portacipria che aveva preso dall'elegante borsa di pelle che teneva sempre sulla spalla. L'aprii e guardai nello specchio. All'inizio non capii cosa stavo vedendo perché era troppo insolito, troppo stupefacente. Poi, vicino a me, Stevie Rae mormorò: «È bellissimo…» E mi resi conto che aveva ragione. Era bellissimo. Al mio Marchio erano state aggiunte delle parti: delicate volute di tatuaggio color zaffiro lieve come un pizzo m'incorniciavano gli occhi. Non era un disegno complesso e grande come quelli dei vampiri adulti, ma non si era mai visto su un novizio. Seguii con le dita il motivo sinuoso, pensando che sembrava qualcosa che poteva decorare il viso di un'esotica principessa straniera… o magari la Somma Sacerdotessa di una Dea. E fissai attentamente quella me che non ero proprio io, quella sconosciuta che stava diventando sempre più familiare. «E questo non è tutto, Zoey. Guardati la spalla», bisbigliò Damien. Diedi un'occhiata alla profonda scollatura sulla schiena del mio favoloso vestito e mi sentii attraversare da una scossa per lo stupore. Ero tatuata anche lì. Dal collo e fin sulla schiena mi scendevano dei sinuosi ricami color zaffiro molto simili a quelli che avevo in faccia, solo che questi sembravano ancora più antichi, ancora più misteriosi, perché erano disseminati di simboli simili a lettere. Aprii la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì niente. «Zy, lui ha bisogno di aiuto.» Erik interruppe il mio stato di shock; alzai gli occhi dalla mia spalla e lo vidi barcollare fino al gazebo trasportando di peso un Heath privo di sensi. «Non importa. Lascialo qui. Domattina qualcuno lo troverà. Dobbiamo andarcene prima che si sveglino le guardie», intervenne Afrodite. Mi girai come un fulmine. «E ti chiedi perché io e non tu? Magari perché Nyx è stanca e stufa di una prepotente, egoista, viziata, odiosa…» M'interruppi, incazzata al punto da non riuscire a trovare altri termini adatti. «Carogna!» aggiunsero in stereo Erin e Shaunee. «Già, certo, carogna.» Mi avvicinai e le dissi tutto sul muso. «Questa storia della Trasformazione è già abbastanza incasinata senza una come te. A meno che non si voglia essere tuoi…» Diedi un'occhiata a Damien e sorrisi. «… piaggiatori, ci fai sentire come se non c'entrassimo con tutto questo, come se non contassimo niente. Be', Afrodite, adesso è finita. Quello che hai fatto stasera era completamente, assolutamente sbagliato. Hai quasi fatto morire Heath e magari sarebbe potuto succedere anche a Erik e chissà a quanti altri, tutto per il tuo egoismo.» «Non è stata colpa mia se il tuo ragazzo ti ha rintracciata qui», strillò. «No, la presenza di Heath non è stata colpa tua, ma è l'unica cosa di cui non sei responsabile stanotte. È stata colpa tua se le tue cosiddette amiche non ti hanno sostenuta per mantenere forte il cerchio. Ed è stata colpa tua se gli spiriti negativi hanno trovato il cerchio, tanto per cominciare.» Sembrava confusa e questo mi fece incavolare ancora di più. «La salvia, strega odiosa! Bisogna usare la salvia per ripulire dall'energia negativa, prima di usare la treccia di sweet grass. Non c'è da stupirsi che tu abbia evocato degli spiriti tanto orrendi.» «Già, perché sei orrenda pure tu», commentò Stevie Rae. «Tu devi soltanto tenere chiusa quella bocca di merda, frigorifero», ringhiò Afrodite. «No!» Le misi un dito in faccia. «Questa stronzata del frigorifero sarà la prima a finire.» «Oh, adesso vorresti fingere di non desiderare il sangue più di chiunque di noi?» Guardai i miei amici, che incrociarono il mio sguardo senza tentennamenti. Damien mi fece un sorriso d'incoraggiamento, Stevie Rae assentì, le gemelle strizzarono l'occhio. E mi resi conto di essere stata una stupida. Non avevano intenzione di mollarmi. Erano i miei amici. Avrei dovuto fidarmi di più di loro, anche se non avevo ancora imparato a fidarmi di me stessa. «Alla fine tutti arriviamo a desiderare il sangue», replicai semplicemente. «Oppure moriamo. Ma questo non ci rende dei mostri, ed è ora che le Figlie Oscure smettano di recitare quella parte. Hai chiuso, Afrodite. Non sei più a capo delle Figlie Oscure.» «E suppongo che adesso creda di essere tu il capo, giusto?» Annuii. «Proprio così. Non sono venuta alla Casa della Notte in cerca di questi poteri, non volevo altro che un posto in cui sentirmi accettata. Be', immagino che questo sia il modo di Nyx di rispondere alla mia preghiera.» Sorrisi ai miei amici, che risposero con altrettanto slancio. «Evidentemente, la Dea ha senso dell'umorismo.» «Stupida troia, non puoi mica prenderti il posto così. Soltanto una Somma Sacerdotessa può cambiare la leader del gruppo.» «Opportuno, quindi, che io sia qui, ti pare?» intervenne Neferet. 29 Neferet uscì dall'ombra e raggiunse il gazebo, andando subito da Heath e da Erik. Per prima cosa sfiorò il viso di Erik e controllò i tagli sulle braccia che si era procurato cercando invano di strappare Heath alla furia dei fantasmi. Il sangue delle ferite si asciugò al solo passaggio della mano della Somma Sacerdotessa ed Erik emise un sospiro di sollievo, come se il dolore fosse scomparso. «Queste guariranno. Quando torniamo a scuola, vieni in infermeria così ti do dell'unguento che ridurrà le fitte.» Neferet gli diede un buffetto sulla guancia e lui arrossì come un pomodoro. «Rimanendo a proteggere il ragazzo hai dimostrato il coraggio di un guerriero vampiro. Sono orgogliosa di te, Erik Night, e lo è anche la Dea.» Alle sue parole provai un'ondata di piacere: anch'io ero orgogliosa di lui. Poi udii un mormorio di consenso e mi accorsi che le Figlie e i Figli Oscuri erano tornati e affollavano le scale che portavano al gazebo. Da quanto erano lì a guardare? Neferet rivolse la sua attenzione a Heath e io mi dimenticai degli altri. Sollevò le gambe dei calzoni sbrindellati ed esaminò i segni sanguinolenti che aveva lì e sulle braccia. Poi gli prese tra le mani il volto pallido e rigido e chiuse gli occhi. Osservai il corpo di Heath irrigidirsi ulteriormente ed essere preda delle convulsioni, poi però lui emise un sospiro e, come Erik, si rilassò. Dopo un istante sembrò dormisse tranquillo invece di lottare silenziosamente contro la morte. «Si riprenderà», disse Neferet ancora inginocchiata accanto a lui. «E non ricorderà niente di questa notte, tranne di essersi ubriacato e quindi perso nel tentativo di trovare la sua quasi-exragazza.» Guardò verso di me, gli occhi gentili e pieni di comprensione. «Grazie», mormorai. Neferet mi rivolse un cenno di assenso con la testa, prima di alzarsi ad affrontare Afrodite. «Io sono responsabile di quanto è successo qui stasera quanto te. Sapevo da anni del tuo egoismo, ma avevo deciso di passarci sopra sperando che con l'età e l'aiuto della Dea saresti maturata. Mi sbagliavo.» La sua voce assunse il tono limpido e potente del comando. «Afrodite, io ti sollevo ufficialmente dalla posizione di leader delle Figlie e dei Figli Oscuri. Non verrai più istruita per diventare Somma Sacerdotessa. Da questo momento sei uguale a tutti gli altri novizi.» Con un unico movimento fluido, Neferet allungò la mano, afferrò la collana d'argento e granati che portava Afrodite e gliela strappò dal collo. Afrodite non emise suono ma, mentre fissava Neferet senza abbassare lo sguardo, il suo viso sembrava di gesso. La Somma Sacerdotessa le diede le spalle e si avvicinò a me. «Zoey Redbird, sapevo che eri speciale fin dal giorno in cui Nyx mi ha lasciato prevedere che saresti stata Segnata.» Mi sorrise e mi mise un dito sotto il mento, sollevandomi la testa per poter guardare meglio le nuove aggiunte al mio Marchio, quindi mi scostò i capelli rendendo visibili anche i tatuaggi che mi erano comparsi su collo, spalle e schiena. Udii le Figlie e i Figli Oscuri restare senza fiato mentre anche loro davano una prima occhiata alle mie insolite decorazioni. «Straordinario, davvero straordinario», mormorò Neferet, lasciando poi ricadere la mano lungo il fianco per riprendere il discorso ad alta voce. «Stanotte hai reso evidente la saggezza della scelta della Dea nel farti dono di poteri speciali. Ti sei guadagnata la posizione di leader delle Figlie e dei Figli Oscuri e di futura Somma Sacerdotessa, grazie ai doni elargiti dalla Dea e alla tua personale compassione e saggezza.» Mi tese la collana di Afrodite, che mi risultò calda e pesante in mano. «Indossala con maggiore buonsenso di quanto non abbia fatto chi ti ha preceduta.» Poi fece un gesto davvero incredibile. Neferet, Somma Sacerdotessa di Nyx, mi rivolse il saluto formale, pugno incrociato sul petto e testa china, nel segno di rispetto dei vampiri. A parte Afrodite, tutti intorno a noi l'imitarono. Avevo la vista annebbiata dalle lacrime quando i miei quattro amici mi fecero un gran sorrisone e s'inchinarono assieme agli altri membri delle Figlie e dei Figli Oscuri. Ma anche nel bel mezzo di una felicità così assoluta, percepii l'ombra della confusione. Come avevo potuto dubitare di potermi confidare con Neferet? «Torna alla Casa della Notte, mi occuperò io di quanto dev'essere fatto qui», mi disse Neferet. Mi abbracciò brevemente sussurrando: «Sono così orgogliosa di te, Zoey Redbird». Quindi mi diede una leggera spinta in direzione dei miei amici. «Date il benvenuto alla nuova leader delle Figlie e dei Figli Oscuri!» Damien, Stevie Rae, Shaunee ed Erin capitanavano le acclamazioni, poi tutti mi vennero intorno e mi sembrò di essere trascinata via dal gazebo da un'esuberante ondata di risa e di congratulazioni. Annuii e sorrisi ai miei nuovi «amici», ma non ero una stupida e non avevo certo dimenticato che appena qualche attimo prima avevano approvato tutto quello che diceva Afrodite. Senza dubbio ci sarebbe voluto parecchio tempo per cambiare le cose. Arrivati al ponte, ricordai a tutti che dovevamo stare in silenzio tornando a scuola e feci cenno al gruppo di precedermi. Quando Stevie Rae, Damien e le gemelle stavano per attraversare il ruscello, li fermai. «No, ragazzi, voi camminate con me.» Con un sorriso che arrivava alle orecchie, i quattro mi si misero intorno. Incrociai lo sguardo luminoso di Stevie Rae. «Non avresti dovuto offrirti volontaria come frigorifero. So quanto ti facesse paura.» Il sorriso della mia amica si affievolì sotto il tono di rimprovero della mia voce. «Ma, Zoey, se non l'avessi fatto, non avremmo saputo dove si teneva il rituale. In questo modo ho potuto mandare un messaggio a Damien e lui e le gemelle sono arrivati qui. Sapevamo che avevi bisogno di noi.» Sollevai le mani e lei smise di parlare, ma sembrava sul punto di mettersi a piangere, quindi le sorrisi con gentilezza. «Non mi hai lasciata finire. Stavo per dire che non avresti dovuto farlo, ma che sono tanto felice che tu l'abbia fatto!» L'abbracciai e tra le lacrime sorrisi anche agli altri tre. «Grazie. Sono davvero felice che ci foste tutti voi.» «Ehi, Zy, è questo che fanno gli amici», replicò Damien. «Già», convenne Shaunee. «Esatto», concluse Erin. E si strinsero intorno a me in un gigantesco, soffocante abbraccio di gruppo. Che mi piacque da matti. «Ehi, posso partecipare?» Alzai lo sguardo e vidi Erik in piedi lì vicino. «Oh, sì, come no, devi assolutamente», rispose subito Damien, illuminandosi. Stevie Rae si sciolse in risatine, mentre Shaunee sospirò e disse: «Piantala, Damien. Altra squadra, ricordi?» Poi Erin mi spinse fuori del centro del gruppo, verso Erik. «Dai un bell'abbraccio a 'sto poveretto. Stanotte ha cercato di salvare il tuo ragazzo.» «Il mio ex-ragazzo», replicai in fretta, finendo tra le braccia di Erik, decisamente sopraffatta dall'odore del sangue fresco che ancora resisteva su di lui e dal fatto che mi stava, be', abbracciando. Poi, in aggiunta al resto, Erik mi baciò con tanta forza che giuro credetti che mi sarebbe saltata via la testa. «Ma, per favore, un po' di contegno», sentii dire a Shaunee. «Trovatevi una camera!» aggiunse Erin. Damien sogghignava mentre io, imbarazzata, mi liberavo dalla stretta di Erik. «Se non mangio svengo, 'sta storia del frigorifero ti mette una fame da lupo!» esclamò Stevie Rae. «Be', andiamo a cercarti qualcosa di buono», replicai. I miei amici s'incamminarono e sentii Shaunee battibeccare con Damien sulla scelta tra pizza e panini. «Ti rompe se ti faccio compagnia?» chiese Erik. «Nooo, ormai ci ho fatto l'abitudine», replicai con un sorriso. Lui scoppiò a ridere e raggiunse il ponte. Poi dall'oscurità alle mie spalle udii un chiarissimo e scocciatissimo «miii-au-uff!» «Vai pure, vi raggiungo in un attimo», dissi a Erik tornando indietro verso il prato. «Nala? Miciamicia-micia…» E, sicuro come l'oro, una brontolante palla di pelo spuntò fuori dei cespugli. Mi chinai a prenderla in braccio e lei iniziò immediatamente a fare le fusa. «Allora, sciocchina, perché mi hai seguita fin qui se poi non ti piace camminare? Come se non ti fosse già capitato abbastanza per stanotte», mormorai, ma, prima di poter raggiungere di nuovo il ponte, Afrodite uscì dall'ombra e mi bloccò la strada. «Puoi anche aver vinto, stasera, ma non è finita», esordì. Mi fece sentire davvero stanca. «Non stavo cercando di 'vincere' un bel niente, volevo solo aggiustare le cose.» «Ed è questo che pensi di aver fatto?» Il suo sguardo si spostava nervoso da me al sentiero che portava al gazebo, quasi come se qualcuno la stesse seguendo. «Tu non sai cos'è successo realmente stanotte. Sei solo stata usata… noi siamo state usate. Siamo dei burattini, ecco cosa siamo.» Si passò una mano sul viso con gesto rabbioso e mi accorsi che stava piangendo. «Senti, Afrodite, tra noi non deve andare necessariamente così», dissi sottovoce. «Oh, sì, invece! È la parte che si presume dobbiamo recitare. Vedrai… vedrai…» Fece per allontanarsi. Un pensiero inatteso mi passò nella mente, un ricordo. Era di lei, durante la sua visione. Come se stesse succedendo di nuovo, le sentii dire: Sono morti! No. No. Non è possibile! Non è giusto. No. Non è normale! Io non capisco… Io non… Tu… tu sai. Il suo grido di terrore mi echeggiò nella testa e pensai a Elizabeth, a Elliott, al fatto che erano apparsi a me. All'improvviso, troppo di quanto aveva detto aveva senso. «Afrodite, aspetta!» Si voltò a guardarmi oltre la spalla. «La visione che hai avuto oggi nello studio di Neferet, a cosa si riferiva?» Scosse lentamente la testa. «È solo l'inizio. Succederà di molto peggio.» Si girò e per un attimo ebbe un'esitazione, perché cinque ragazzi – i miei amici – le bloccavano la strada. «Va tutto bene, lasciatela andare», dissi. Shaunee ed Erin si separarono per farla passare, Afrodite sollevò la testa, scosse i capelli all'indietro e superò il gruppetto a grandi passi, come fosse la padrona del mondo. La osservai attraversare il ponte e mi si aggrovigliò lo stomaco. Lei sapeva qualcosa di Elizabeth e di Elliott, e prima o poi sarei riuscita a scoprire di cosa si trattava. «Ehi», disse Stevie Rae. Guardai la mia compagna di stanza e nuova migliore amica. «Qualunque cosa succeda, ci siamo dentro insieme.» Sentii il nodo allo stomaco sciogliersi di parecchio. «Andiamo», li esortai. E, circondata dai miei amici, tornai a casa. Document Outline 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 P.C &Kriste Cast Marked Marked,2007 Alla nostra splendida agente, Meredith Bernstein, che ha pronunciato le parole magiche: «Scuola superiore per vampiri». We y ❤ ou! Dal poema di Esiodo a Nyx, personificazione della notte per gli antichi greci: … Quaggiù le terribili case son dell'oscura Notte, nascoste tra i nuvoli negri. Dinanzi a quelle porte, dritto il figliuol di Giapèto regge, col capo e le mani mai stanche, la volta del cielo solidamente, dove la Notte e il Giorno, movendo l'un verso l'altra, mutan parole; e la soglia di bronzo varcano alterni, che mai tutti e due non li accoglie la casa… Esiodo, Teogonia 1 Proprio quando pensavo che la giornata non potesse andare peggio di così, vidi il morto che se ne stava in piedi vicino al mio armadietto. Kayla stava sparando a raffica le sue solite kaylate e manco si era accorta di lui. All'inizio. A dire il vero, adesso che ci penso, nessuno si era accorto di lui finché non aveva parlato, dettaglio che, tragicamente, è una prova in più della mia anomala incapacità d'integrarmi con gli altri. «Ma no, Zoey, giuro su Dio che Heath non era poi così sbronzo dopo la partita. Non dovresti essere tanto dura con lui.» «Sì, già. Certo», le avevo risposto distratta. Poi mi ero messa a tossire. Di nuovo. Mi sentivo da schifo. Dovevo essermi presa quella che Mr Wise, il mio non-proprioso-lo-un-po' pazzo insegnante di biologia, chiamava peste dei teenager. Se muoio, pensavo, posso saltare il compito dì geometrìa di domani? Sperare non costa niente. «Scusa, Zoey, ma mi stai ascoltando? Credo si fosse fatto solo… non so… sei birre, e forse un paio di chupiti. Ma non è questo il punto. Probabilmente non se ne sarebbe sparato neanche uno se i tuoi stupidi genitori non ti avessero fatta andare a casa subito dopo la partita.» Ci eravamo scambiate un'occhiata da quanto-mi-toc-casopportare, trovandoci del tutto d'accordo sull'ultima ingiustizia che mi avevano fatto mia madre e il fallito-acquisito che aveva sposato tre lunghissimi anni prima. Poi, dopo una pausa di un nanosecondo scarso, Kay aveva ripreso a blaterare: «E poi stava festeggiando. Voglio dire, abbiamo battuto Union!» Kay aveva iniziato a scuotermi per le spalle e mi aveva cacciato la faccia sotto il naso. «Ohiii! Il tuo ragazzo…» «Il mio quasi-ragazzo», l'avevo corretta, cercando in tutti i modi di non tossirle addosso. «Quello che è. Heath è il nostro quarterback, quindi è chiaro che vada a festeggiare. Erano un milione di anni che Broken Arrow non batteva Union.» «Sedici.» Sono negata in matematica, ma Kay è una tale incapace che mi fa sembrare un genio. «Ok, quello che è. Il punto è che era felice. Dovresti dargli tregua ogni tanto!» «Il punto è che è la quinta volta che si sbronza questa settimana. Mi dispiace ma non voglio uscire con un ragazzo il cui scopo principale nella vita oscilla tra cercare di giocare a football al college e buttar giù sei lattine di fila senza vomitare. Per non parlare del fatto che con tutta quella birra diventerà grasso.» Mi ero dovuta interrompere per tossire. Mi girava un po' la testa e, quando l'accesso di tosse era finito, mi ero costretta a prendere dei respiri lenti e profondi. Non che la spara kaylate se ne fosse accorta. «Uuuh! Heath grasso! Non ci voglio neanche pensare.» Ero riuscita a ignorare un altro stimolo a tossire. «E baciarlo è come succhiare un piede tenuto a mollo nell'alcol.» La faccia di Kay si era accartocciata. «Okay, hai le tue cose. Certo che è talmente figo…» Io avevo alzato gli occhi al cielo, senza preoccuparmi minimamente di non far vedere quanto fossi scocciata dalla sua solita banalità. «Sei così scorbutica quando hai le tue cose! Be', comunque, non hai idea dell'espressione da cocker bastonato che aveva Heath dopo che l'hai ignorato a pranzo. Non riusciva neanche…» In quel momento lo vidi. Il morto. Okay, me ne accorsi in fretta che non era tecnicamente «morto». Era nonmorto. O nonumano. Quello che è. Gli scienziati dicono una cosa, la gente normale un'altra, ma il risultato è lo stesso. Non ci si poteva sbagliare su chi fosse e, anche se non avessi percepito la forza e l'oscurità che irradiavano da lui, non avrei potuto in nessunissimo modo non vedere il suo Marchio, la mezzaluna blu zaffiro che aveva sulla fronte e i tatuaggi di nodi intrecciati che gli incorniciavano gli occhi altrettanto azzurri. Era un vampiro, anzi, peggio: era un Rintracciatore. E che diavolo, era in piedi vicino al mio armadietto! «Zoey, tu proprio non mi stai ascoltando!» Poi le parole formali del vampiro scivolarono morbide a riempire lo spazio che ci divideva, pericolose e allettanti, come sangue misto a cioccolato fuso: «Zoey Montgomery! La Notte t'ha prescelta; la tua morte sarà la tua nascita. La Notte ti chiama; presta ascolto alla Sua dolce voce. Il tuo fato t'attende alla Casa della Notte!» Sollevò un lungo dito bianco e lo puntò verso di me. Mentre la fronte mi esplodeva per il dolore, Kayla aprì la bocca e si mise a strillare. Quando finalmente sparirono le macchie bianche dalla vista, alzai lo sguardo e vidi la faccia stravolta di Kay che mi fissava. Tanto per cambiare, dissi la prima stupidata che mi venne in mente. «Kay, ti stanno uscendo gli occhi dalle orbite. Sembri un pesce.» «Ti ha Segnata. Oh, Zoey! Hai il profilo di quella cosa sulla fronte!» Si portò una mano tremolante sulle labbra pallide nel vano tentativo di trattenere un singhiozzo. Mi misi a sedere. Avevo un mal di testa da spararsi e presi a massaggiarmi la fronte proprio tra le sopracciglia. Pungeva come se mi avesse morsicata una vespa e irradiava dolore intorno agli occhi e sugli zigomi. Mi sentivo come se stessi per vomitare. Adesso Kay si era messa a piangere sul serio e parlava tra un singulto e l'altro. «Zoey! Oh. Mio. Dio. Quel tizio era un Rintracciatore – un Rintracciatore di vampiri!» Sbattei con forza le palpebre, cercando di farmi passare il male che mi attanagliava la testa. «Smettila di piangere. Sai che detesto vederti frignare.» Allungai la mano con l'intenzione di darle una pacca sulle spalle per consolarla, ma lei automaticamente si scansò. Non ci potevo credere. Si era davvero fatta piccola piccola, come se avesse paura di me. Dovette accorgersi che c'ero rimasta male perché riprese subito con un'interminabile tiritera di kaylate. «Oh, Dio, Zoey! Cos'hai intenzione di fare? Non puoi andare in quel posto. Non puoi diventare una di quelle cose. Non può essere vero! Con chi dovrei andare a vedere tutte le nostre partite di football?» Notai che mentre parlava non si era mai sognata di venirmi più vicino. Diedi un freno alla sensazione di dolore e di nausea che avevo dentro e che rischiava di farmi scoppiare a piangere. I miei occhi si asciugarono all'istante. Ero brava a trattenere le lacrime; dopotutto, avevo avuto tre anni per fare pratica. «È tutto okay. Risolverò la cosa. Probabilmente si tratta di… un qualche strano errore», mentii. Non avevo realmente parlato, piuttosto avevo fatto uscire delle parole dalla bocca. Con una smorfia per il gran male alla testa, mi alzai e, guardandomi intorno, vidi con un certo sollievo che Kay e io eravamo sole nell'aula di matematica. Dovetti ricacciare indietro quella che sapevo sarebbe stata una risata isterica. Se non avessi sclerato per il test di geometria del giorno dopo e non mi fossi fiondata all'armadietto per prendere il libro in modo da poter studiare ossessivamente (e inutilmente) tutta notte, il Rintracciatore mi avrebbe beccata fuori della scuola, davanti alla maggior parte dei milletrecento ragazzi della South Intermediate High School di Broken Arrow che aspettavano quelle che con grande compiacimento la mia stupida sorella clone di Barbie amava chiamare «le grosse limousine gialle». Io ho la macchina, ma lei trova che starsene un po' coi meno fortunati che devono prendere il pulmino sia un ottimo sistema per controllare chi ci prova con chi. A dirla proprio tutta, nella sala di matematica c'era anche un altro ragazzo, un babbo sfigato lungo e secco con un disastro di denti che, purtroppo, riuscivo a vedere anche troppo bene, dato che se ne stava a guardarmi a bocca aperta come un merluzzo, neanche avessi appena partorito una nidiata di maialini volanti. Tossii di nuovo, questa volta una schifida tosse catarrosa, e lo sfigato emise una sorta di squittio e se la filò in corridoio verso la stanza di Mrs Day stringendo una tavola piatta e quadrata contro il petto ossuto. A quanto pareva il club degli scacchi aveva spostato gli incontri al lunedì. Chissà se i vampiri giocavano a scacchi. E chissà se anche tra loro c'erano branchi di sfigati. E le cheerleader vampire sosia di Barbie? Anche i vampiri suonavano in un gruppo? E c'erano vampiri emo con le loro stranezze tipo indossare calzoni da ragazza o coprirsi metà della faccia con quelle orrende frangette? Oppure erano tutti dark strampalati cui non piace molto lavarsi? Mi sarei trasformata in una dark? O peggio ancora in un'emo? Non amavo particolarmente vestirmi di nero, o almeno non solo di nero, e non provavo un'improvvisa e imbarazzante avversione per acqua e sapone, né avevo un ossessivo desiderio di cambiare pettinatura e mettermi troppo eyeliner. Nella testa mi frullavano tutte quelle domande, quando sentii che stava per scapparmi un'altra risatina isterica e fui quasi contenta che dalla gola mi uscisse invece un colpo di tosse. «Zoey? Stai bene?» La voce di Kayla era troppo acuta, come se qualcuno le stesse dando un pizzicotto, e aveva fatto un altro passo indietro. Sospirai e provai la mia prima scheggia di rabbia. Mica l'avevo chiesto io che succedesse. Kay era la mia migliore amica sin dalla terza elementare e adesso mi guardava come fossi diventata un mostro. «Kayla, sono sempre io. La stessa di due secondi fa, di due ore fa e di due giorni fa.» Gesticolai con aria frustrata in direzione della mia testa dolorante. «Questo non cambia quella che sono!» Gli occhi di Kay si riempirono nuovamente di lacrime, ma per fortuna il suo cellulare cominciò a suonare Material girl di Madonna. Automaticamente diede un'occhiata al display, e dall'espressione da coniglio-beccato-dafari-d'auto capii che si trattava di Jared, il suo ragazzo. «Vai, torna a casa con lui», le dissi in tono piatto e stanco. Il suo evidente sollievo fu come uno schiaffo in faccia. «Mi chiami dopo?» mi gridò voltandosi a malapena mentre batteva in rapida ritirata fuori della porta laterale. La guardai correre sul prato in direzione del parcheggio est. Aveva il telefonino appiccicato all'orecchio e parlava con Jared a mitraglia. Ero certa che gli stesse già dicendo che mi stavo trasformando in un mostro. Il problema, ovviamente, era che trasformarmi in un mostro era la migliore delle due alternative che avevo. Alternativa Numero 1: mi trasformo in vampiro, termine equivalente a mostro nella testa di qualunque essere umano. Alternativa Numero 2: il mio corpo rifiuta la Trasformazione e io muoio. Per sempre. Perciò la buona notizia era che il giorno dopo non avrei dovuto fare il test di geometria. La notizia cattiva era che mi sarei dovuta trasferire nella Casa della Notte, un collegio privato nella Midtown di Tulsa, nota a tutti i miei amici come la Scuola Superiore per Vampiri, dove avrei trascorso i successivi quattro anni sopportando bizzarre e innominabili trasformazioni fisiche, oltre a un totale e permanente terremoto nella mia esistenza. Sempre ammesso che l'intero processo non mi uccidesse, è ovvio. Grandioso. Non volevo fare nessuna delle due cose. Volevo soltanto cercare di essere normale, nonostante il peso dei miei genitori iper-reazionari, del mio fratellino simile a un troll e della mia io-sì-che-sono-perfetta sorella maggiore. Volevo passare il compito in classe di geometria. Volevo prendere dei bei voti ed essere accettata a veterinaria alla OSU, entrare al college e andarmene da Broken Arrow, Oklahoma. Ma soprattutto volevo sentirmi parte del gruppo, almeno a scuola. Casa era diventata un disastro, perciò mi restavano soltanto gli amici e la mia vita lontano dalla famiglia. E adesso mi era stato tolto anche quello. Mi massaggiai la fronte, quindi mi arruffai i capelli in modo che mi coprissero in parte gli occhi e, con un po' di fortuna, anche il Marchio che mi era comparso al di sopra. A testa bassa, come se fossi stata affascinata dalla sostanza appiccicosa che chissà come si era formata nella mia borsa, mi affrettai a raggiungere la porta da cui si arrivava al parcheggio studenti. Mi fermai un attimo prima di uscire. Attraverso i vetri del portone vidi Heath, circondato da una marea di ragazze che si atteggiavano e scuotevano i capelli, mentre i ragazzi smanettavano con pickup talmente grossi da risultare ridicoli e cercavano (quasi tutti senza riuscirci) di avere un'aria figa. Come si fa a essere attratti da roba simile? A dirla tutta, dovevo confessare che in realtà Heath era sempre stato molto dolce, e che aveva ancora i suoi momenti. Soprattutto quando si sprecava a essere sobrio. Risatine sguaiate mi arrivavano dal parcheggio. Grandioso. Kathy Richter, la più grande troia della scuola, stava fingendo di colpire Heath. Persino da dove mi trovavo io era evidente che pensava che dargli un pugno fosse una sorta di rituale di accoppiamento, ma come al solito quell'ingenuo di Heath non faceva altro che starsene lì con un gran sorriso stampato in faccia. Oh, be', che diavolo, la mia giornata non sarebbe proprio migliorata. Ed eccolo là, il mio maggiolino blu del '66, giusto dietro di loro. No. Non potevo uscire da quella parte. Non potevo passare in mezzo a tutti con quella cosa sulla fronte. Non sarei mai più riuscita a far parte del gruppo. Sapevo anche troppo bene cos'avrebbero fatto. Mi ricordavo dell'ultimo ragazzo scelto da un Rintracciatore nella nostra scuola. Era successo all'inizio dell'anno precedente. Il Rintracciatore era arrivato quando non erano ancora cominciate le lezioni e lo aveva puntato. Io non avevo visto il Rintracciatore, però avevo visto il ragazzo, dopo, giusto per un secondo, quando aveva lasciato cadere i libri ed era corso fuori dell'edificio, il nuovo Marchio che gli luccicava sulla fronte e le lacrime che gli scendevano sulla faccia troppo pallida. Non avevo dimenticato com'era piena la scuola quel giorno e come tutti si erano tirati indietro, allontanandosi, mentre lui scappava di corsa dall'ingresso principale, neanche avesse avuto la peste. Ero stata anch'io una di quelli che si erano fatti da parte per lasciarlo passare e osservarlo, anche se mi era dispiaciuto davvero per lui. Solo che non volevo essere etichettata come l'unica-ragazzache-è-amica-di-queglistrampalati. Piuttosto ironico, no? Invece di andare alla macchina mi diressi ai bagni più vicini che, per fortuna, erano vuoti. C'erano tre gabinetti – sì, controllai più volte che non spuntassero dei piedi da sotto – e due lavandini attaccati a una parete, sopra ognuno dei quali era appeso uno specchio di grandezza media. Il muro opposto era coperto da un immenso specchio con sotto una mensola su cui appoggiare spazzole, trucchi e robe varie. Ci misi la borsa e il libro di geometria, presi un profondo respiro e con un gesto rapido sollevai la testa scostando i capelli. Fu come fissare il viso di una sconosciuta dall'aria familiare. Sì, insomma, come quando si vede una persona tra la folla e si potrebbe giurare di conoscerla ma invece non è vero. Solo che adesso ero io, la sconosciuta dall'aria familiare. Aveva i miei occhi. Erano dello stesso color nocciola che non riusciva a decidersi se voleva essere verde o marrone, ma i miei non erano mai stati tanto grandi e rotondi. Oppure sì? Aveva i miei capelli, lunghi, dritti e scuri quasi come quelli della nonna prima che cominciassero a diventare d'argento. La sconosciuta aveva i miei zigomi alti, il mio naso, lungo e importante, e la mia bocca larga, altri tratti presi dalla nonna e dai suoi antenati cherokee. Ma la mia faccia non era mai stata così pallida. Io sono sempre stata olivastra, con la carnagione molto più scura rispetto al resto della mia famiglia. Ma forse non era la pelle che all'improvviso era diventata così bianca… magari sembravo pallida in confronto al contorno blu scuro della mezzaluna posizionata perfettamente al centro della fronte. O magari era colpa di quelle orribili luci al neon. Speravo fosse per le luci. Osservai il tatuaggio dall'aria esotica. Unito ai miei decisi lineamenti cherokee sembrava marchiarmi con un segno selvaggio, come se appartenessi a tempi antichi, quando il mondo era più grande, più… barbaro. Da quel momento la mia vita non sarebbe più stata la stessa. E per un attimo – appena un istante – dimenticai l'orrore della non appartenenza al gruppo e provai una sconvolgente scossa di piacere, mentre dentro di me, nel profondo, il sangue del popolo di mia nonna gioiva. 2 Quando ritenni che fosse passato abbastanza tempo e tutti se ne fossero andati da scuola, mi risistemai i capelli sulla fronte e uscii dal bagno affrettandomi a raggiungere il parcheggio degli studenti. La strada sembrava libera: c'era giusto un ragazzo con quegli orribili pantaloni larghi e molli da vorrei-far-parte-di-unabanda-ma-chi-mi-vuole che attraversava, ma era lontano. In più, dato che tenersi su i calzoni per evitare che cadessero mentre camminava assorbiva tutta la sua attenzione, non mi avrebbe neanche notata. Strinsi i denti per sopportare il dolore pulsante alla testa e schizzai fuori della porta, diretta al mio maggiolino. Appena messo piede all'esterno, il sole cominciò a picchiare. Non che fosse una giornata particolarmente soleggiata: c'erano un sacco di quelle nuvole grandi e batuffolose che stanno così bene nelle foto a semi-nascondere il sole. Non aveva importanza. Dovetti strizzare gli occhi come una matta e tenere una mano a proteggerli anche da quella luce intermittente. Suppongo fu perché mi stavo concentrando così tanto sul dolore provocato da qualche scarso raggio di sole che non mi accorsi del pickup finché non si fermò sgommando proprio davanti a me. «Ehi, Zo! Non hai trovato il mio messaggio?» Oh, cacchio cacchio cacchio! Heath. Alzai gli occhi, osservandolo tra le dita come se stessi guardando uno di quegli stupidi film splatter. Era nel vano posteriore scoperto del pickup del suo amico Dustin, che sedeva in cabina insieme col fratello Drew. I due stavano facendo quello che fanno di solito, cioè giocare alla lotta e discutere su Dio solo sa quale stupida roba da maschi. Per fortuna, entrambi m'ignoravano. Tornai a guardare Heath e sospirai. Aveva una birra in mano e un sorriso da scemo stampato in faccia. Dimenticando per un attimo che ero appena stata Segnata ed ero destinata a diventare un emarginato mostro succhiasangue, mi misi a sgridarlo: «Stai bevendo a scuola! Ma sei pazzo?» Il suo sorriso da bambino diventò ancora più largo. «Sì che sono pazzo, piccola, ma di te!» Scossi la testa e gli voltai le spalle per aprire la scricchiolante portiera del maggiolino e ficcare libri e zaino sul sedile del passeggero. «Come mai non siete all'allenamento di football?» chiesi, continuando a tenere la faccia rivolta da un'altra parte. «Non hai sentito? Abbiamo un giorno di vacanza per il calcio nel sedere che abbiamo dato a Union venerdì!» Dustin e Drew, che dopotutto dovevano avere ascoltato la nostra conversazione, si esibirono in un paio di «ua-ua-ua-uau!» e «sì-sì-sì!» di festeggiamento in tipico stile Oklahoma. «Oh. No. Devo essermi persa l'avviso. Sono stata impegnata, oggi. Sai, per il test di geometria.» Cercavo di avere un'aria tranquilla e disinvolta, poi tossii e aggiunsi: «Per di più mi sta venendo un raffreddore del cacchio». «Zo, senti, sei incazzata o roba simile? Cioè, Kayla ti ha detto qualche stronzata sulla festa? Lo sai che non ti ho tradita per davvero.» Come? Kayla non aveva detto neanche una singola parola riguardo a Heath che mi tradiva. Come una cretina, mi dimenticai (d'accordo, solo per un attimo) del mio nuovo Marchio e girai di scatto la testa per potergli tirare un'occhiataccia. «E cos'è che non avresti fatto, Heath?» «Io, Zo? Lo sai che non farei mai…» Ma la sua professione d'innocenza condita da scuse varie si sciolse in una poco attraente espressione di shock con relativa bocca spalancata non appena vide il Marchio che avevo sulla fronte. «Cosa ca…» iniziò a dire, ma lo interruppi. «Sstt!» Inclinai la testa in direzione di Dustin e Drew, ancora ignari, che adesso cantavano a pieni stonatissimi polmoni l'ultimo CD di Toby Keith. Heath aveva ancora gli occhi sgranati e sconvolti, ma abbassò la voce. «È un trucco che ti serve per le lezioni di teatro?» «No. Niente del genere», bisbigliai. «Ma non puoi essere Segnata. Noi stiamo insieme.» «Noi non stiamo insieme!» Proprio in quel momento la mia mini tregua dalla tosse cessò. In pratica mi piegai in due, per un schifoso accesso davvero catarroso. «Ehi, Zo, devi piantarla con le sigarette!» gridò Dustin dalla cabina. «Già, ancora un po' sputi un polmone», aggiunse Drew. «Ragazzi, lasciatela in pace! Sapete che non fuma. È diventata un vampiro!» Grandioso. Magnifico. Con la sua solita totale e assoluta mancanza di qualcosa che somigli anche vagamente al buonsenso, Heath pensava davvero di prendere le mie difese mettendosi a urlarlo ai suoi amici, che immediatamente tirarono fuori la testa dal finestrino e presero a fissarmi come se fossi un esperimento di scienze. «Tieni chiusa quella bocca! Ho già avuto una giornata del cazzo e proprio non ho bisogno che ti ci metta anche tu.» Poi mi rivolsi a Drew e Dustin, che adesso stavano zitti, con gli occhi sgranati, quindi aggiunsi: «O voi». Mentre sostenevo lo sguardo di Dustin mi accorsi di una cosa, una cosa che mi sconvolse e allo stesso tempo mi eccitò non poco: sembrava che lui avesse paura. Paura sul serio. Diedi un'occhiataccia a Drew e anche lui sembrava spaventato. Poi lo sentii. Un formicolio che mi passava sulla pelle e faceva bruciare il mio nuovo Marchio. Potere. Sentivo il potere. «Zo? Che cazzo ti prende?» La voce di Heath spezzò la mia concentrazione e mi fece staccare lo sguardo dai fratelli. «Via di qui!» Dustin mise la marcia e pestò sull'acceleratore. Il pickup sbandò in avanti facendo perdere l'equilibrio a Heath, che, con un gran mulinare di braccia e volare di birra, scivolò e cadde sull'asfalto del parcheggio. Corsi da lui. «Stai bene?» Heath era carponi e mi chinai per aiutarlo a rialzarsi. Poi lo annusai. Aveva un odore incredibile: caldo, dolce e delizioso. Aveva cambiato dopobarba? O era una di quelle strane robe al feromone che si presume attirino le donne come un gigantesco richiamo per insetti geneticamente progettato? Non mi ero accorta di essergli tanto vicino finché non si alzò e i nostri corpi si trovarono quasi appiccicati. Abbassò lo sguardo, una domanda negli occhi. Io non mi allontanai. Avrei dovuto. E prima l'avrei fatto, ma non in quel momento. Non quel giorno. «Zo?» disse piano, con voce profonda e roca. Non riuscii a non dirgli che aveva proprio un buon odore. Il cuore mi batteva così forte che ne sentivo l'eco nelle tempie. «Zoey, mi sei mancata tanto. Dobbiamo rimetterci insieme. Lo sai che ti amo sul serio.» Allungò la mano per toccarmi il viso e ci accorgemmo tutti e due che aveva il palmo sporco di sangue. «Ah, merda. Devo aver…» La sua voce si spense appena mi guardò in faccia. Potevo solo immaginare cosa dovevo sembrare, così pallida, col mio nuovo Marchio blu zaffiro e gli occhi fissi sul sangue. Non riuscivo a muovermi; non riuscivo a guardare da un'altra parte. «Io voglio… Io voglio…» mormorai. Cos'è che volevo? Non riuscivo a dirlo. Anzi, no, non è vero. Non potevo dirlo. Non potevo parlare ad alta voce dell'ondata di desiderio che stava cercando di sommergermi. E non era perché Heath mi stava così vicino. Era già successo. Be', eravamo usciti insieme per un anno, ma non mi aveva mai fatto sentire così, niente a che vedere. Mi morsi il labbro e gemetti. Il pickup stridette per fermarsi, sterzando vicino a noi. Drew saltò giù e afferrò Heath per la vita, trascinandolo verso la cabina. «Piantala! Sto parlando con Zoey!» Heath cercò di opporsi a Drew, ma quello era il linebacker anziano di Broken Arrow, una vera montagna. Dustin si allungò a dargli una mano, poi chiuse con forza la portiera. «Lascialo stare, mostro!» mi strillò Drew mentre Dustin dava gas e stavolta partiva davvero a razzo. Salii nel mio maggiolino. Le mani mi tremavano tanto che dovetti fare tre tentativi prima di riuscire ad accendere il motore. «Devo solo arrivare a casa. Devo solo arrivare a casa.» Continuai a ripetere quelle parole mentre guidavo e tossivo da maledetti. Non volevo pensare a quello che era appena successo. Non potevo pensare a quello che era appena successo. Alla fine ci misi un quarto d'ora, ma mi sembrò un attimo. Ero seduta in macchina nel vialetto e cercavo di prepararmi alla scenata che sapevo, sicuro come il tuono segue al lampo, mi aspettava dentro. Ma perché ero stata così ansiosa di andare a casa? Be', suppongo che tecnicamente stessi semplicemente scappando da quello che era successo con Heath al parcheggio. Ah, no! Non ci dovevo pensare, non in quel momento. E in ogni caso con ogni probabilità c'era una qualche spiegazione razionale per tutto, una spiegazione semplice e razionale. Dustin e Drew erano dei ritardati, dei cervellini alla birra sottosviluppati e immaturi. Non avevo usato chissà quale nuovo terrificante potere per spaventarli, per prendersi una gran strizza gli era bastato vedere che ero stata Segnata. Tutto qui. Insomma, la gente ha paura dei vampiri. «Ma io non sono un vampiro!» dissi. Poi diedi un colpo di tosse ripensando a quanto avevo trovato bello e ipnotico il sangue di Heath, e all'ondata di desiderio che avevo provato. Non per lui, ma per il suo sangue. No! No! No! Il sangue non era né bello né desiderabile. Dovevo essere sotto shock. Ecco com'era. Doveva essere così. Ero sotto shock e non pensavo con chiarezza. Okay… okay… mi sfiorai distrattamente la fronte. Non bruciava più, ma la sentivo comunque diversa. Tossii per la miliardesima volta. Benissimo. Non volevo pensare a Heath ma non potevo più negarlo: mi sentivo diversa. La mia pelle era ipersensibile, mi faceva male il petto e, anche se mi ero messa sul naso i miei fighissimi occhiali da sole Maui Jim, gli occhi continuavano a darmi un fastidio terribile. «Sto morendo…» gemetti, poi chiusi di colpo la bocca. In effetti, potevo stare morendo per davvero. Alzai lo sguardo verso la grande villa di mattoni che, dopo tre anni, ancora non sembrava casa. «Togliti il pensiero. Togliti il pensiero e falla finita.» Perlomeno mia sorella non doveva essere ancora rientrata: allenamento da cheerleader. E, se tutto fosse andato per il meglio, il troll sarebbe stato totalmente ipnotizzato dal suo nuovo videogioco Delta Force: Black Hawk Down. Potevo avere la mamma tutta per me. Magari avrebbe capito… magari avrebbe saputo cosa fare… Ah, che cavolo! Avevo sedici anni, ma all'improvviso mi rendevo conto che non c'era niente che volessi quanto la mia mamma. «Ti prego, fa' che capisca», mormorai in una semplice preghiera a qualunque dio o dea potesse ascoltarmi. Come al solito, entrai dal garage. Seguii il corridoio fino alla mia camera, dove buttai libro di geometria, borsa e zaino sul letto. Poi presi un bel respiro profondo e, un po' incerta sulle gambe, andai a cercare mia madre. La trovai in salotto, raggomitolata sul bordo del divano, intenta a bere una tazza di caffè e a leggere Una tisana calda per l'anima delle donne. Sembrava così normale, così simile a quella che era sempre stata. Solo che una volta leggeva romanzi stranieri e si truccava, entrambe cose che il suo nuovo marito non permetteva (lo stronzo). «Mamma?» «Mmm?» Non alzò gli occhi. Deglutii con forza. Usai l'abbreviazione con cui la chiamavo sempre, prima che sposasse John. «Ma', ho bisogno del tuo aiuto.» Non so se fosse stato l'inatteso uso del «ma'» o se qualcosa nella mia voce fosse andato a toccare un vecchio pezzo d'intuito materno che aveva ancora da qualche parte dentro di sé, ma lo sguardo che mi rivolse alzando gli occhi dal libro fu dolce e pieno di preoccupazione. «Cosa c'è, bambina…» iniziò, ma le parole sembrarono congelarsi sulle labbra non appena vide il Marchio sulla mia fronte. «Oh, Dio! Cos'altro hai combinato adesso?» Il cuore ricominciò a farmi male. «Mamma, io non ho combinato niente. È una cosa che è successa a me, non a causa mia. Io non ne ho colpa.» «Oh, ti prego, no!» riprese a lagnarsi come se non avessi detto una parola. «Cosa dirà tuo padre?» Avevo voglia di gridare: Come cavolo potremmo sapere cosa dirà mio padre, dato che non lo vediamo e non lo sentiamo da quattordici anni! Ma sapevo che non sarebbe servito a niente e che lei andava fuori di testa ogni volta che le ricordavo che John non era il mio vero padre. Perciò tentai una tattica diversa, una che avevo abbandonato da tre anni. «Mamma, per favore. Non puoi semplicemente non dirglielo? Almeno per un paio di giorni. Resta tra noi due finché non… non lo so… ci facciamo l'abitudine o qualcosa del genere.» Trattenni il fiato. «Ma cosa potrei dire? Quella cosa non si copre neanche col fondotinta.» Le sue labbra s'incurvarono in modo strano mentre dava un'occhiata nervosa alla mezzaluna. «Non intendevo che sarei rimasta qui mentre ci facciamo l'abitudine. Io devo andare, mamma, questo lo sai.» Dovetti interrompermi per un accesso di tosse che mi sconquassò le spalle. «Il Rintracciatore mi ha Segnata. Devo trasferirmi alla Casa della Notte, altrimenti mi ammalerò sempre di più.» E poi morirò, cercai di dirle con lo sguardo, perché le parole non riuscivo a pronunciarle. «Mi servono solo un paio di giorni prima di affrontare…» M'interruppi di nuovo per non dover pronunciare il suo nome e questa volta tossii di proposito, cosa per niente difficile. «Ma cosa dovrei dire a tuo padre?» Sentendo la nota di panico nella sua voce, provai paura. Ma come, non era la mia mamma? Non si presumeva avesse risposte invece che domande? «Digli… digli che sto da Kayla un paio di giorni perché dobbiamo fare una ricerca di biologia molto importante.» Vidi lo sguardo della mamma cambiare, la preoccupazione che scompariva e veniva sostituita da una durezza che conoscevo anche troppo bene. «Dunque mi stai dicendo che dovrei mentirgli.» «No, mamma. Ti sto chiedendo per una volta di mettere quello di cui ho bisogno io prima di quello che vuole lui. E io ho bisogno che tu sia la mia ma'. Che mi aiuti a fare i bagagli e mi accompagni in quella nuova scuola perché ho paura e sto male e non so se posso farcela da sola!» Finii di slancio, il fiato corto mentre mi tossivo in mano. «Non mi ero accorta di avere smesso di essere tua madre», replicò gelida. Mi fece sentire persino più stanca di quanto fosse riuscita a fare Kayla. Sospirai. «Penso che il problema sia proprio questo, mamma. Non te ne importa abbastanza da accorgertene. Non ti è importato di nient'altro che non fosse John, da quando l'hai sposato.» I suoi occhi erano poco più che una fessura. «Non so come tu possa essere tanto egoista. Non ti rendi conto di tutto quello che ha fatto per noi? Grazie a lui ho lasciato quell'orribile lavoro da Dillards. Grazie a lui non dobbiamo preoccuparci dei soldi e abbiamo questa bella casa grande. Grazie a lui abbiamo sicurezza e un luminoso futuro.» Avevo sentito quelle parole talmente tanto spesso che avrei potuto recitarle a memoria. Era a quel punto della nostra nonconversazione che di solito mi scusavo e andavo nella mia stanza. Ma quel giorno non mi potevo scusare. Era diverso. Tutto era diverso. «No, mamma. La verità è che grazie a lui non ti sei curata dei tuoi figli per tre anni. Sapevi che quella falsa di tua figlia maggiore è diventata una puttanella viziata che si è scopata mezza squadra di football? Sai che videogiochi schifosi, violenti e pieni di sangue ti tiene nascosti Kevin? No, certo che no! Loro due fingono di essere felici e di apprezzare John e tutta questa dannata famiglia di facciata, così tu sorridi, preghi per loro e lasci che facciano quello che vogliono. E io? Pensi che io sia la cattiva del gruppo perché non fingo, perché sono sincera. E la sai una cosa? La mia vita mi fa talmente schifo che sono contenta che il Rintracciatore mi abbia Segnata! La scuola dei vampiri la chiamano Casa della Notte, ma non può essere più cupa di questa casa perfetta!» Prima di mettermi a piangere o a urlare, girai sui tacchi e tornai a grandi passi nella mia stanza, sbattendo la porta. Spero che affoghino tutti. Attraverso le pareti troppo sottili potevo sentirla fare una telefonata isterica a John. Non c'era dubbio che sarebbe corso a casa ad affrontarmi. Il Problema. Invece di sedermi sul letto a piangere com'ero tentata di fare, svuotai la roba di scuola dallo zaino. Di certo non ne avrei avuto bisogno nel posto in cui stavo andando. Probabilmente non c'erano neanche materie normali. Probabilmente avevano corsi tipo: Squarciamento di Gole le… e… Introduzione alla Visione Notturna. O quello che è. Quello che mia mamma avrebbe o non avrebbe fatto non importava, io lì non potevo restare. Dovevo andarmene. Perciò, cosa mi serviva? I miei due jeans preferiti oltre a quelli che avevo su. Un paio di T-shirt nere. Be', cos'altro si mettono i vampiri? E poi smagriscono. Pensavo di non portare la mia fighissima camicia scintillante color acquamarina, ma tutto quel nero mi rendeva ancora più depressa, perciò l'aggiunsi. Poi ficcai tonnellate di reggiseni e tanga e roba per i capelli e il trucco dentro alla tasca laterale. Stavo per lasciare il mio peluche Otis il Pesse (quando avevo due anni non riuscivo a dire la 'sc' di pesce) sul cuscino ma poi… be'… vampiro o non vampiro, non pensavo sarei riuscita a dormire bene senza di lui, quindi lo infilai gentilmente in quel maledetto zaino. Udii bussare alla porta e la voce di quello mi chiamò. «Cosa?» strillai, per poi contorcermi in una serie di disgustosi colpi di tosse. «Zoey. Tua madre e io dobbiamo parlarti.» Grandioso. Più che evidente che non erano affogati. Diedi una pacchetta a Otis il Pesse. «Mio caro Otis, questa sarà una grandissima rottura di palle!» Raddrizzai la schiena, tossii ancora e uscii ad affrontare il nemico. 3 A prima vista il mio fallito-acquisito, John Heffer, sembra un tipo okay, addirittura normale e, quando lui e mia mamma avevano cominciato a frequentarsi, avevo persino sentito alcune delle sue amiche definirlo «bello» e «affascinante». All'inizio. Ovviamente adesso mamma ha un gruppo di amiche completamente nuovo, tizie che Mr Bello e Affascinante pensa siano più appropriate delle divertenti single con cui lei si trovava prima. A me non è mai piaciuto. Davvero. Dal primo giorno che l'ho incontrato ho visto soltanto una cosa: un falso. Finge di essere un tipo simpatico. Finge di essere un buon marito. Finge persino di essere un buon padre. Ha l'aspetto di qualunque altro uomo in età-da-papà: capelli scuri, secche gambette da pollo e un accenno di pancia. I suoi occhi sono come la sua anima: di un gelido marroncino slavato. Quando arrivai in salotto, lui era in piedi accanto al divano. Mia madre era accartocciata sul bordo e gli stringeva la mano, gli occhi già rossi e acquosi. Grandioso. Stava per interpretare la Madre Ferita e Isterica. Un ruolo che le riusciva benissimo. John aveva cominciato a trapassarmi con lo sguardo, ma il mio Marchio lo distrasse. La sua faccia si contorse per il disgusto. «Allontanati da me, Satana!» citò con quella che mi piace considerare la sua voce da sermone. Sospirai. «Non è Satana. Sono solo io.» «Zoey, non è il momento per fare del sarcasmo», disse la mamma. Il fallito-acquisito le assestò un distratto colpetto sulla spalla. «Me ne occupo io, tesoro.» Poi spostò di nuovo l'attenzione su di me. «Te l'avevo detto che il tuo cattivo comportamento e il tuo atteggiamento ti avrebbero procurato un mare di guai. E non mi stupisce nemmeno che sia capitato così presto.» Scossi la testa. Me l'aspettavo. Mi aspettavo che sarebbe andata così, eppure ero comunque sconvolta. Il mondo intero sapeva che la Trasformazione non poteva essere provocata in alcun modo. Tutta la menata del «se ti morde un vampiro muori e diventi vampiro anche tu» è un'invenzione. Da anni gli scienziati cercano d'individuare la causa della sequenza di eventi fisici che porta al vampirismo, nella speranza di trovare una cura o quantomeno di creare un vaccino che ne impedisca il verificarsi. Finora, nessun risultato. Ma adesso, John Heffer, il mio fallitoacquisito, aveva scoperto di punto in bianco che il cattivo comportamento dei teenager, in modo più specifico il mio cattivo comportamento – che consisteva in massima parte in una bugia ogni tanto, qualche pensiero incazzoso e dei commentini un po' impertinenti diretti in particolare contro i miei genitori, magari un po' di lussuria semi-innocente per Ashton Kutcher (peccato che gli piacciano le donne più vecchie) –, aveva realmente determinato quella reazione fisica nel mio corpo. Be', che diavolo! Chi poteva saperlo? «Non è una cosa che ho causato io», riuscii finalmente a dire. «È una cosa che è capitata a me, non per colpa mia! Tutti gli scienziati del pianeta concordano su questo.» «Gli scienziati non sono onniscienti. Loro non sono uomini di Dio.» Mi limitai a fissarlo. Era un Anziano del Popolo della Fede, posizione di cui oh! quant'era orgoglioso. Era uno dei motivi per cui mamma si era sentita attratta da lui e, a livello strettamente logico, potevo anche capire perché. Essere un Anziano significava essere un uomo di successo. Avere il lavoro giusto. Una bella casa. Una famiglia perfetta. Si presumeva che facesse le scelte giuste e credesse nelle cose giuste. Sulla carta, avrebbe dovuto essere un'ottima scelta come nuovo marito e padre. Peccato che la carta non avesse mostrato come stavano realmente le cose e adesso, come prevedibile, lui stava giocando l'asso dell'Anziano e mi gettava Dio in faccia. Avrei scommesso le mie stupende nuove ballerine Steve Madden che questo irritava Dio almeno quanto scocciava me. Ritentai. «L'abbiamo studiato nel corso di biologia avanzata. Si tratta di una reazione fisiologica che si verifica nell'organismo di alcuni adolescenti quando salgono i livelli ormonali.» M'interruppi, concentrata e molto orgogliosa di me stessa per essermi ricordata qualcosa che avevo studiato il semestre precedente. «In alcune persone gli ormoni scatenano qualcosa in un… un…» Mi concentrai di più e continuai: «… un filamento di DNA, che dà il via all'intero processo di Trasformazione». Sorrisi. Non a John, a dire il vero, ma perché ero gasata per non aver dimenticato un modulo che avevamo finito mesi prima. Capii che quel sorriso era stato un errore non appena vidi John stringere la mascella in modo familiare. «Il sapere di Dio supera la scienza ed è blasfemo da parte tua affermare il contrario, signorina.» «Non ho mai detto che gli scienziati sono più intelligenti di Dio!» Alzai le mani e cercai di soffocare un colpo di tosse. «Sto solo cercando di spiegarti questa cosa.» «Non ho certo bisogno che sia una sedicenne a spiegarmi qualcosa.» Be', dato che indossava quei pantaloni davvero orribili e quella schifezza di camicia, era chiaro che avrebbe avuto bisogno che una sedicenne gli spiegasse qualcosa, ma pensai che non fosse il momento adatto per accennare alle sue imbarazzanti ed evidenti lacune in fatto di moda. Il viso di mia madre diventò ancora più pallido mentre soffocava un singhiozzo. «Ma John, tesoro, cosa dobbiamo fare con lei? Cosa penseranno i vicini? Cosa dirà la gente all'incontro della domenica?» Quando aprii la bocca per rispondere lui strinse le palpebre e m'interruppe prima che potessi parlare. «Faremo quello che dovrebbe fare qualunque famiglia per bene. Offriremo questo al Signore.» Volevano mandarmi in convento? Purtroppo dovetti superare un'altra crisi di tosse, quindi continuò a parlare. «Chiameremo anche il dottor Asher. Lui saprà cosa fare per rasserenare la situazione.» Splendido. Favoloso. Lui fa intervenire lo strizzacervelli di famiglia, l'Uomo Senza Espressione. Perfetto. «Linda, chiama il numero per le emergenze del dottor Asher, poi penso sarebbe saggio attivare la catena telefonica di preghiera. Accertati che gli altri Anziani sappiano che devono riunirsi qui.» Mia madre annuì e stava per alzarsi, quando le parole che mi uscirono di bocca la fecero precipitare di nuovo sul divano. «Cosa? La vostra risposta consiste nel chiamare uno strizzacervelli che non sa niente di ragazzi e far venire qui tutti quegli Anziani bacchettoni? Come se potessero anche solo provare a cercare di capire! No! Ma non ci arrivate? Io me ne devo andare. Stasera.» Tossii, producendo un suono torcibudella che rimbalzò nel petto facendomi un male cane. «Vedete? Questo non farà che peggiorare se non riesco a trovare i…» Esitai. Perché era tanto difficile dire «vampiri»? Perché suonava così esotico, così definitivo e, una parte di me lo ammetteva, così incredibile. «Devo andare alla Casa della Notte.» Mamma saltò in piedi e per un secondo pensai che stesse davvero per salvarmi. Poi John le mise un braccio intorno alle spalle con aria di possesso, lei alzò lo sguardo nella sua direzione e, quando lo spostò di nuovo su di me, i suoi occhi sembravano quasi dispiaciuti, ma le parole che disse rispecchiavano soltanto quello che John avrebbe voluto che dicesse. «Zoey, non credo proprio che farebbe male a nessuno se restassi a casa ancora stanotte, no?» John intervenne rivolgendosi a lei: «Ma certo che no. Di sicuro il dottor Asher troverà il modo di farci una visita a domicilio e con lui qui non ci saranno problemi». Le assestò un'altra pacchetta sulla spalla, fingendo che gliene importasse, ma invece che dolce sembrò viscido. Spostai lo sguardo da lui alla mamma. Non intendevano lasciarmi andare. Non stasera, forse mai, o almeno non finché non fossi stata trascinata fuori dai paramedici del pronto intervento. All'improvviso capii che non si trattava solo del Marchio o del fatto che la mia vita fosse completamente cambiata. Si trattava del controllo. Se mi avessero lasciata andare, avrebbero perso qualcosa. Nel caso della mamma, mi piaceva pensare che temesse di perdere me; quanto a John, sapevo cosa non voleva perdere. Non voleva perdere la sua preziosa autorità e l'illusione che fossimo una piccola famigliola perfetta. Come aveva già detto la mamma: Cosa penseranno i vicini? Cosa dirà la gente all'incontro della domenica? John doveva mantenere l'illusione e, se questo significava lasciare che mi ammalassi tanto ma proprio tanto, be', era un prezzo che era disposto a pagare. Io no però. Pensai che fosse arrivato il momento di prendere in mano la situazione (dopotutto, le mie mani sono piuttosto ben curate), perciò dissi: «D'accordo. Chiamate il dottor Asher. Iniziate la catena telefonica di preghiera. Ma vi dispiace se vado a sdraiarmi finché non sono arrivati tutti?» Aggiunsi un altro colpo di tosse, tanto per chiarire il concetto. «Certo che no, tesoro. Probabilmente con un po' di riposo ti sentirai meglio», replicò la mamma, evidentemente sollevata. Quindi si staccò dal braccio possessivo di John, mi sorrise e mi abbracciò. «Vuoi che ti porti un po' di Vicks NyQuil?» «No, starò bene», risposi, aggrappandomi a lei per un secondo, desiderando da morire che fosse tre anni prima e lei fosse ancora mia, ancora dalla mia parte. Poi feci un respiro profondo e mi allontanai. «Starò bene», ripetei. Mi guardò e annuì, dicendomi che le dispiaceva nell'unico modo in cui poteva, con gli occhi. Mentre me ne andavo, diretta verso la mia stanza, il mio fallito-acquisito disse alla mia schiena: «E perché non fai un favore a tutti noi e cerchi della cipria per coprire quella cosa che hai sulla fronte?» Non mi fermai neanche e continuai a camminare. E non mi sarei nemmeno messa a piangere. Questo me lo ricorderò, mi dissi seria. Mi ricorderò di quanto mi hanno fatta stare male oggi. Perciò, quando sarò sola e piena di paura e il resto che mi deve succedere comincerà a succedere, mi ricorderò che niente può essere peggio del rimanere bloccata qui. Niente. 4 Mi misi a sedere sul letto e tossii, mentre ascoltavo la mamma fare una telefonata convulsa al numero per le emergenze del nostro strizzacervelli, seguita subito dopo da un'altra chiamata altrettanto isterica che avrebbe attivato la temuta catena di preghiera del Popolo della Fede. Nel giro di trenta minuti la nostra casa avrebbe cominciato a riempirsi di ciccione con relativi mariti pedofili dagli occhietti porcini, poi mi avrebbero chiamata per andare in salotto e il mio Marchio sarebbe stato ritenuto un gigantesco e imbarazzante problema, quindi con ogni probabilità mi avrebbero unta con qualche schifezza, che di sicuro mi avrebbe tappato i pori e fatto venire un brufolo di dimensioni ciclopiche, prima d'imporre le mani su di me e pregare. Avrebbero chiesto a Dio di aiutarmi a smettere di essere un'adolescente così terribile e un problema per i miei genitori. Oh, già, e anche la questioncina del mio Marchio sarebbe dovuta èssere risolta. Magari fosse stato così semplice. Sarei stata più che felice di fare un patto con Dio ed essere una brava bambina invece di dover cambiare scuola e specie. Avrei persino fatto volentieri il test di geometria. Be', sì, insomma, magari non volentieri e non il test di geometria, ma non ero mica stata io a chiedere di diventare un mostro. Tutta quella storia significava che me ne dovevo andare, cominciare una nuova vita come una ragazza nuova, in un posto dove non avevo amici. Sbattei con forza le palpebre, imponendomi di non piangere. Ormai la scuola era l'unico posto in cui mi sentissi veramente a casa; i miei amici erano tutta la famiglia che avevo. Strinsi i pugni e ci appoggiai sopra la faccia per non piangere. Un passo alla volta. Dovevo affrontare la situazione un passo alla volta. Prima di tutto, non mi sognavo neanche di fronteggiare i cloni del fallito-acquisito. E, come se il Popolo della Fede non fosse stato sufficiente, all'orrenda seduta di preghiera avrebbe fatto seguito un'altrettanto scocciante seduta col dottor Asher. Mi avrebbe fatto un sacco di domande su come mi faceva sentire questo e quello, poi avrebbe continuato a sproloquiare su come rabbia e angoscia fossero normali in un'adolescente, ma che soltanto io potevo decidere che impatto avrebbero avuto sulla mia vita… bla… bla… bla… e, dato che si trattava di un'«emergenza», con ogni probabilità mi avrebbe fatto disegnare qualcosa che rappresentasse la mia bambina interiore o quello che è. Non c'erano alternative, dovevo andarmene da lì. Era una fortuna che fossi sempre stata «la figlia cattiva» e che fossi ben preparata a una situazione simile. D'accordo, quando avevo nascosto la chiave di riserva della mia auto nel vaso fuori della finestra non pensavo esattamente che mi sarebbe servita per scappare di casa e unirmi a un gruppo di vampiri, piuttosto che avrei potuto volermela squagliare da Kayla. O che, se avessi voluto essere davvero cattiva, avrei potuto incontrare Heath al parco per strusciarci un po'. Ma poi Heath si era messo a bere e io avevo cominciato a trasformarmi in un vampiro. A volte la vita proprio non ha senso. Afferrai lo zaino, aprii la finestra e, con una facilità che rifletteva la mia natura di peccatrice molto più dei noiosi predicozzi del fallito-acquisito, spinsi all'esterno la zanzariera. Inforcai gli occhiali da sole e guardai fuori. Erano solo le quattro e mezzo e non faceva ancora buio, perciò ero felice che la nostra staccionata mi nascondesse ai rumorosissimi vicini. Su quel lato della casa, le uniche altre finestre erano quelle della stanza di mia sorella e lei doveva essere ancora all'allenamento da cheerleader (mi sa che l'inferno si stava proprio congelando perché per una volta ero sinceramente contenta che il mondo di mia sorella ruotasse intorno a quello che lei chiamava «lo sport del tifo»). Prima lasciai cadere lo zaino, quindi lo seguii piano fuori della finestra, facendo attenzione a non fare nemmeno il rumore di una piuma quando atterrai sul prato. Lì mi fermai per un'infinità di minuti, nascondendomi il viso tra le braccia per soffocare la mia tremenda tosse. Poi mi girai e infilai la mano nella piantina di lavanda che mi aveva regalato nonna Redbird e al tatto riconobbi il duro metallo della chiave nascosta tra l'erba schiacciata. Il cancello nemmeno scricchiolò quando lo aprii il minimo indispensabile e sgattaiolai fuori come una Charlie's Angel. Il mio fighissimo maggiolino stava dove stava sempre, proprio davanti alla terza porta del nostro garage triplo. Il fallito-acquisito non mi lasciava parcheggiare dentro perché diceva che il tosaerba era più importante (più importante di una Volkswagen d'epoca? E come? Un'idea simile non sarebbe mai dovuta passare nell'anticamera del cervello di nessuno. Cavolo, sembravo un maschio. Da quando m'importava che la mia auto fosse d'epoca? Mi stavo davvero Trasformando). Guardai a destra e a sinistra. Niente. Scattai verso il maggiolino, ci saltai dentro, misi in folle e ringraziai sinceramente che il nostro vialetto fosse ridicolmente ripido, poiché la mia splendida macchina scivolò tranquilla e silenziosa fino in strada. A quel punto, nessun problema ad accendere il motore e telare via dal quartiere delle Grandi Case Costose. Non guardai neanche nello specchietto retrovisore. Allungai la mano e spensi il cellulare. Non volevo sentire nessuno. Be', non era proprio così, perché una persona con cui volevo parlare c'era. L'unica persona al mondo che guardando il mio Marchio ero certa non avrebbe pensato che ero un mostro o uno scherzo della natura o una ragazza davvero pessima. Quasi mi avesse letto nel pensiero, il maggiolino sembrò svoltare di sua spontanea volontà sulla rampa che portava alla Muskogee Turnpike Highway e, finalmente, al posto più meraviglioso del mondo: il vivaio di lavanda di nonna Redbird. A differenza del tragitto scuola-casa, il viaggio di un'ora e mezzo fino al vivaio della nonna sembrò durare un'eternità. Quando lasciai la superstrada a due corsie e imboccai la stradina in terra battuta con cui si arrivava alla fattoria, avevo male ovunque, persino più di quando avevano preso una nuova insegnante di educazione fisica completamente schizzata che pensava dovessimo fare delle serie di pesi allucinanti mentre lei schioccava la frusta e ridacchiava. Sì, d'accordo, magari la frusta non ce l'aveva, ma il senso è quello. I muscoli mi facevano un male cane. Erano quasi le sei e il sole cominciava finalmente a calare, ma gli occhi mi pizzicavano ancora. A dire il vero, anche il sole al tramonto mi faceva formicolare la pelle dandomi una strana sensazione, che mi rendeva contenta che fosse la fine di ottobre e finalmente l'abbassarsi delle temperature mi permettesse d'indossare la mia giacca con cappuccio Borg Invasion 4D (certo, viene da Star Trek: The Next Generation e l'ho presa durante una gita a Las Vegas, e sì, lo ammetto, mi capita di essere una fan idiota e convinta di Star Trek) che per fortuna mi copriva la maggior parte della pelle. Prima di scendere dal maggiolino cercai sul sedile posteriore il vecchio cappellino dell'università dell'Oklahoma e me lo calcai in testa, in modo da nascondere il viso dal sole. Casa della nonna si trovava in mezzo a due campi di lavanda ed era ombreggiata da immense vecchie querce. Era stata costruita nel 1942 in pietra grezza dell'Oklahoma, con una comoda veranda e finestre insolitamente grandi. Adoravo quel posto. Già solo salire la piccola scala in legno dell'ingresso mi fece sentire meglio… al sicuro. Poi vidi il biglietto appiccicato fuori della porta, su cui era facile riconoscere la bella scrittura di nonna Redbird: Sono sul promontorio a raccogliere fiori. Sfiorai il foglietto lievemente profumato di lavanda. Sapeva sempre quando stavo per andare a trovarla. Da piccola pensavo fosse strano, ma crescendo avevo apprezzato sempre di più il suo sesto senso. Per tutta la vita ho sempre saputo che, qualunque cosa fosse successa, potevo contare su nonna Redbird. Durante i primi orrendi mesi dopo il matrimonio di mamma con John credo che mi sarei raggrinzita fino a morire se non fossi potuta scappare a casa della nonna tutti i fine settimana. Per un attimo considerai l'idea di entrare (la nonna non chiudeva mai a chiave la porta) e aspettarla, ma avevo bisogno di vederla subito, bisogno che mi abbracciasse e mi dicesse tutto quello che avrei voluto mi avesse detto la mamma: Non aver paura… andrà tutto bene… faremo in modo che vada tutto bene. Perciò, invece di entrare, raggiunsi il sentierino alla fine del campo di lavanda più a nord e lo seguii, sfiorando con la mano la cima dei cespugli più vicini in modo che rilasciassero nell'aria il loro profumo dolce e argentato, come una sorta di Bentornata a casa. Mi sembravano passati anni dall'ultima volta che ero stata lì, anche se sapevo che si trattava solo di poche settimane. A John la nonna non piaceva. Pensava che fosse stramba. L'avevo persino sentito dire alla mamma che la nonna era «una strega e sarebbe andata all'inferno». Era un tale imbecille. Poi fui colpita da un pensiero strabiliante e mi fermai di botto: i miei genitori non controllavano più quello che facevo. Non avrei più vissuto con loro. John non poteva più dirmi cosa dovevo fare. Wow! Che sballo!!! Un tale sballo che mi provocò un attacco di tosse da farmi piegare in due, le braccia strette al petto come se cercassi di tenerlo assieme. Dovevo trovare nonna Redbird, e dovevo trovarla subito. 5 Il sentiero che portava al promontorio era sempre stato ripido, ma ci ero salita almeno un triliardo di volte, con e senza la nonna, e non mi ero mai sentita così. Ormai non si trattava più solo della tosse, e nemmeno dei muscoli indolenziti. Mi girava la testa e lo stomaco aveva cominciato a brontolare tanto forte da farmi venire in mente Meg Ryan in French kiss, dopo che aveva mangiato tutto quel formaggio e le era venuta una crisi da intolleranza al lattosio (Kevin Kline è davvero figo in quel film… be', per essere un vecchietto). E mi colava il naso. Non intendo dire che ogni tanto tiravo un po' su, intendo che me lo dovevo pulire sulla manica della giacca (schifezza colossale). Non riuscivo a respirare a bocca chiusa e aprirla mi faceva tossire ancora di più; il petto mi faceva un male da non crederci. Cercai di ricordare cosa ufficialmente provocasse la morte dei ragazzi che non completavano la Trasformazione. Gli veniva un attacco di cuore? O era possibile che tossissero e tirassero su col naso fino a morirne? Smetti di pensare a queste cose! Dovevo trovare la nonna. Se non aveva già le risposte, ci sarebbe arrivata comunque. Nonna Redbird capiva le persone. Diceva che era perché non aveva perso il contatto con le tradizioni cherokee e con il sapere tribale delle antiche Donne Sapienti che le scorreva nel sangue. Persino in quel momento mi venne da sorridere pensando all'espressione della nonna ogni volta che viene sollevato l'argomento fallitoacquisito (lei è l'unico adulto a sapere che lo chiamo così). Secondo la nonna è chiaro che il sangue delle Sapienti Redbird ha saltato sua figlia, ma solo perché io potessi avere una dose maggiore delle antiche doti magiche cherokee. Da piccola avevo percorso quel sentiero stringendo la mano della nonna molte più volte di quante ne potessi ricordare. Nei campi di erba alta e fiori selvatici stendevamo una coperta dai colori vivaci e facevamo un picnic, poi la nonna mi raccontava le storie del popolo cherokee e m'insegnava alcune parole nella loro lingua, che per me aveva un suono misterioso. Mentre risalivo a fatica il sentiero tortuoso, quegli antichi racconti sembrarono vorticarmi nella testa, come il fumo di un fuoco cerimoniale… La triste storia della formazione delle stelle, avvenuta quando un cane era stato scoperto a rubare farina di mais e per questo era stato frustato dalla tribù. Quando il cane era scappato ululando verso nord per tornare a casa, la farina si era sparsa nel cielo e la magia che c'era in essa aveva creato la Via Lattea. O quella del Grande Avvoltoio, che con le ali aveva creato vallate e montagne. E poi arrivò la mia preferita, la storia della giovane Donna Sole, che viveva a est, e di suo fratello Luna, che viveva a ovest, e del Redbird, l'uccellino che era la figlia del Sole. «Non è strano? Io sono una Redbird, figlia del sole, ma mi sto trasformando in un mostro della notte.» Mi accorsi che stavo riflettendo ad alta voce e mi stupii che le mie parole suonassero tanto flebili, soprattutto perché parevano echeggiarmi intorno, come stessi parlando in un vibrante tamburo. Tamburo… Pensare quella parola mi ricordò i pow wow cui mi aveva portata la nonna da bambina, poi non so come i pensieri resero vivi i ricordi e udii davvero il ritmico battito dei tamburi cerimoniali. Mi guardai intorno, strizzando gli occhi nonostante la scarsa luce del giorno morente. Mi facevano ancora male e la vista mi si era appannata. Non c'era vento, ma le ombre delle rocce e degli alberi sembravano muoversi… allungarsi… tendersi verso di me. «Nonna, ho paura…» gridai tra i colpi di tosse. Zoeybird, uccellino mio, non bisogna temere gli spiriti della terra. «Nonna?» Avevo davvero udito la sua voce chiamarmi col mio soprannome o si trattava solo di altre stranezze e di echi che stavolta venivano dalla memoria? «Nonna!» gridai ancora, e poi rimasi immobile in attesa di una risposta. Niente. Soltanto il vento. U-no-le… Il termine cherokee per indicare il vento fluttuò nella mia mente come un sogno semi dimenticato. Vento? No, frena! Fino a un secondo prima di vento non ce n'era, ma adesso mi dovevo tenere il cappuccio sulla testa e scostare i capelli che mi frustavano la faccia. Poi, nel vento, le udii: voci, tante voci cherokee che cantavano a tempo col battito dei tamburi rituali. Attraverso un velo di capelli e di lacrime vidi del fumo. Il dolce aroma di pinoli del bosco di pinyon pine mi riempì la bocca e sentii il sapore dei fuochi da campo dei miei antenati. Cercai di trattenere il respiro. Fu allora che ne percepii la presenza. Mi stavano tutti intorno, figure quasi invisibili che brillavano debolmente, come le onde di calore che d'estate salgono da una strada asfaltata. Le sentivo premere contro di me mentre roteavano e danzavano con passi complicati intorno alla confusa immagine del fuoco di un accampamento cherokee. Unisciti a noi, U-we-tsi, a-ge-hu-tsa… Unisciti a noi, figlia… Fantasmi cherokee… annegavo nei miei stessi polmoni… la discussione coi miei genitori… la mia vecchia vita finita… Era davvero troppo. Mi misi a correre. Quello che ci insegnano a biologia riguardo all'adrenalina che prende il controllo dell'organismo quando c'è la necessità di fuggire o di combattere il pericolo è vero, perché, anche se il mio petto pareva sul punto di esplodere e mi sembrava di stare cercando di respirare sott'acqua, feci l'ultimo e più ripido pezzo della salita a una tale velocità che si sarebbe detto che avevano aperto tutti i negozi del centro commerciale e stessero regalando scarpe. Procedevo barcollando su per il sentiero, sempre più su, cercando di allontanarmi dagli spiriti che mi aleggiavano intorno come una nebbia mettendomi paura, ma pareva che, invece di lasciarmeli indietro, io stessi correndo proprio nel loro mondo di ombre e di fumo. Stavo morendo? Era così che succedeva? Era per quello che potevo vedere gli spiriti? Dov'era la luce bianca? Completamente in preda al panico, mi precipitai avanti, le braccia tese quasi potessero tenere lontano il terrore che mi dava la caccia. Non vidi la radice che sporgeva sul sentiero. Nel disorientamento più totale, cercai di non perdere l'equilibrio, ma i miei riflessi erano andati. Caddi di peso. Il dolore alla testa fu acuto, ma durò solo un istante prima che l'oscurità m'inghiottisse. Svegliarsi fu strano. Mi sarei aspettata di avere male da tutte le parti, soprattutto al petto e alla testa, invece mi sentivo… be'… mi sentivo bene. Anzi, a dire il vero, mi sentivo più che bene. Non tossivo. Braccia e gambe erano incredibilmente leggere, calde e formicolanti, come se mi fossi appena infilata in una calda vasca idromassaggio in una sera gelida. E allora? La sorpresa mi fece aprire gli occhi. Mi ritrovai a fissare una luce che miracolosamente non mi dava fastidio. A differenza dell'accecante bagliore del sole, questa era più simile a una pioggerella di lumi di candela che cadeva dall'alto. Mi misi a sedere e mi accorsi che mi sbagliavo: non era la luce che scendeva, ero io che salivo! Sto andando in Paradiso. Be', questo sarà un bello shock per qualcuno. Abbassai lo sguardo e vidi il mio corpo! Io o lui o… o… quello che era, giaceva pericolosamente vicino al ciglio del promontorio. Immobile. Aveva un taglio sulla fronte che sanguinava un sacco e il sangue gocciolava in una fessura nel terreno roccioso, creando un sentiero di lacrime rosse che cadevano nel cuore del promontorio. Era stranissimo vedersi lì in basso. Non avevo paura. Eppure avrei dovuto, no? Questo non significava che ero morta? Magari adesso sarei stata in grado di vedere meglio gli spiriti cherokee. Nemmeno quel pensiero mi spaventava. In realtà, mi sentivo più come un osservatore, come se niente di tutto ciò potesse toccarmi davvero (più o meno come quelle ragazze che fanno sesso con tutti e pensano che a loro non capiti di rimanere incinte o di prendersi una malattia venerea di quelle toste che ti mangiano il cervello e il resto. Be', ci risentiamo tra una decina d'anni e poi mi dite, okay?) Mi piaceva l'aspetto che aveva il mondo, luccicante e nuovo, ma era il mio corpo che continuava ad attirare la mia attenzione. Mi ci avvicinai fluttuando. Respiravo con affanno, in piccoli, rapidi sbuffi. O meglio, il mio corpo stava respirando così, non la me che ero io (tanto per fare un po' di confusione coi pronomi). E io/lui non aveva un bell'aspetto. Era pallidissimo e con le labbra blu. Ehi! Faccia bianca, labbra blu e sangue rosso! Ammazza che americana patriottica! Risi, e fu una cosa incredibile. Giuro che potevo vedere la mia risata fluttuarmi intorno, come quei semi che sembrano un paracadute e si fanno volare soffiandoci sopra, solo che, invece di essere bianca, era di un azzurro glassada-torta-di-compleanno. Wow! Chi l'avrebbe mai detto che picchiare la testa e svenire sarebbe stato tanto divertente? Mi chiesi se era così che ci si sentiva a sballare. La risata di soffione alla glassa si spense e udii il suono cristallino dell'acqua che scorre. Mi avvicinai al mio corpo e scoprii che quella che all'inizio avevo creduto essere una fessura in realtà era uno stretto crepaccio. Il rumore d'acqua proveniva da lì, dalle profondità della terra. Incuriosita, sbirciai giù e dall'interno della roccia salì uno scintillante accenno di parole d'argento. Mi sforzai di ascoltare e venni premiata da un flebile sussurro argentino. Zoey Redbird… vieni da me… «Nonna!» strillai nella fenditura della roccia. Le mie parole erano di un viola intenso e riempivano l'aria che mi circondava. «Nonna, sei tu?» Vieni da me… L'argento si mescolò al viola della mia voce visibile, facendo diventare le parole del luminoso colore dei fiori di lavanda. Era un presagio! Un segno! Per qualche ragione, come gli spiriti guida in cui il popolo cherokee ha creduto per secoli, nonna Redbird mi stava dicendo che dovevo penetrare nella roccia. Senza ulteriori esitazioni, il mio spirito entrò nel crepaccio seguendo la traccia del sangue e l'argenteo ricordo del sussurro della nonna fino ad arrivare sul liscio pavimento di una sorta di grotta. Nel mezzo della caverna gorgogliava un piccolo corso d'acqua, che liberava nell'aria tintinnanti schegge luminose di suono visibile. Mischiandosi alle gocce scarlatte del mio sangue, illuminavano la grotta con una luce guizzante del colore delle foglie secche. Avrei voluto sedermi accanto all'acqua e sfiorare l'aria con le dita per giocare con la struttura della musica, ma la voce mi chiamò di nuovo. Zoey Redbird… seguimi verso il tuo destino… Così seguii il richiamo lungo il ruscello. La grotta si fece più stretta, diventando una galleria tondeggiante, che curvò e procedette in una morbida spirale, finché non terminò bruscamente davanti a una parete coperta di simboli incisi dall'aspetto familiare e allo stesso tempo sconosciuto. Confusa, osservai il ruscello riversarsi in una fenditura e scomparire alla vista. E adesso? Avrei dovuto seguirlo? Tornai a guardare il tunnel. Non c'era niente a parte la luce danzante. Spostai lo sguardo ancora verso la parete e provai una scossa elettrica. Cavolo! C'era una donna seduta a gambe incrociate! Indossava un vestito bianco con le frange, i cui disegni di perline ripetevano i simboli sulla parete alle sue spalle. Era di una bellezza incredibile, con lunghi capelli lisci così neri da sembrare che avessero dei riflessi blu e viola, come le ali dei corvi. Le labbra piene s'incurvarono verso l'alto quando iniziò a parlare, riempiendo l'aria tra noi della forza argentina della sua voce. Tsi-lu-gi U-we-tsi a-ge-hu-tsa. Benvenuta, figlia. Hai agito bene. Parlava cherokee e, anche se nell'ultimo paio di anni non mi ero esercitata molto in quella lingua, ero riuscita a capirla. «Tu non sei mia nonna!» sbottai, sentendomi impacciata e spaesata mentre le mie parole viola si univano alle sue creando nell'aria fantastici arabeschi color lavanda. Il suo sorriso era come il sole nascente. No, figlia, non lo sono, ma conosco molto bene Sylvia Redbird. Presi un respiro profondo. «Sono morta?» Avevo paura che potesse ridere di me, invece i suoi occhi scuri si mostrarono dolci e premurosi. No, U-we-tsi a-ge-hu-tsa. Sei ben lontana dall'essere morta, anche se il tuo spirito è temporaneamente libero di vagare nel regno dei Nunne 'hi. «Il popolo degli spiriti!» Mi guardai intorno, nel tunnel, cercando di vedere volti e forme nell'ombra. Tua nonna ti ha insegnato bene, u-s-ti Do-tsu-wa… piccola Redbird, uccellino rosso. Sei un miscuglio unico delle Antiche Usanze e del Nuovo Mondo, dell'antico sangue tribale e del battito pulsante dei profani. Le sue parole mi fecero provare caldo e freddo allo stesso tempo. «Chi sei?» Sono conosciuta con molti nomi… La Donna che si Trasforma, Gea, A'akuluujjusi, Kuan Yin, Nonna Ragno e anche Alba… Mentre pronunciava ciascun nome, il suo volto si trasformava. Quella dimostrazione di forza e di potere mi fece girare la testa. Evidentemente se ne accorse perché s'interruppe e mi rivolse di nuovo il suo splendido sorriso, quindi il suo viso tornò a essere quello della donna che avevo visto all'inizio. Ma tu, Zoeyhird, figlia mia, puoi chiamarmi col nome con cui oggi il mondo mi conosce, Nyx. «Nyx.» La mia voce era poco più che un sussurro. «La dea dei vampiri?» In verità, furono gli antichi greci toccati dalla Trasformazione i primi a adorarmi come la madre che cercavano all'interno della loro notte infinita. Per molti anni mi sono compiaciuta di considerare i loro discendenti come figli. E, sì, nel tuo mondo questi miei figli sono detti vampiri. Accetta questo nome, U-we-tsi a-ge-hu-tsa; in esso troverai il tuo destino. Sentivo il Marchio sulla fronte bruciare e tutto d'un tratto mi venne voglia di piangere. «Io… io non capisco. Devo trovare il mio destino? A me basta trovare un modo per affrontare la mia nuova vita, per rendere okay tutto questo. Dea, io voglio soltanto integrarmi, sentirmi parte di qualcosa. Non credo di essere in grado di trovare il mio destino.» Il viso di Nyx si addolcì ancora e, quando parlò, la sua voce era come quella di mia madre, solo più… insomma, come se le sue parole fossero intrise di tutto l'amore materno del mondo. Credi in te stessa, Zoey Redbird. Ti ho Segnata come mia. Tu sarai la mia prima vera U-we-tsi a-ge-hu-tsa v-hnai Sv-no-yi… Figlia della Notte… in questo tempo. Tu sei speciale. Accetta questo lato di te e comincerai a capire che la tua vera forza risiede nel tuo essere unica. In te si combina il magico sangue delle antiche Sapienti e degli Anziani, oltre alla percezione e alla comprensione del mondo moderno. La Dea si alzò e con estrema grazia venne verso di me, la sua voce dipingeva nell'aria argentei simboli di potere. Quando mi raggiunse, mi asciugò le lacrime, prima di prendere il mio viso tra le mani. Zoey Redbird, Piglia della Notte, ti nomino miei occhi e mie orecchie nel mondo di oggi, un mondo in cui bene e male lottano per trovare un equilibrio. «Ma ho sedici anni! Non so neanche parcheggiare dritto! Come posso essere i tuoi occhi e le tue orecchie?» Lei si limitò a sorridere serena. Tu sei più grande della tua età, Zoeybird. Credi in te stessa e troverai un modo. Ma ricorda: non sempre l'oscurità s'identifica col male, proprio come la luce non sempre conduce al bene. Quindi la Dea Nyx, l'antica personificazione della Notte, si chinò a baciarmi sulla fronte. E, per la terza volta quel giorno, svenni. 6 Bellezza, guarda la nuvola, la nuvola appare. Bellezza, guarda la pioggia, la pioggia si avvicina… Le parole della vecchia canzone mi fluttuarono nella mente. Si vede che stavo sognando ancora nonna Redbird. Questo mi fece sentire felice, al caldo e al sicuro, sensazione particolarmente piacevole dato che, negli ultimi tempi, mi ero sentita davvero da schifo… solo che non riuscivo a ricordare con esattezza perché. Oh. Strano. Chi ha parlato? La piccola farfallina del mais, lassù in cima allo stelo… Il canto della nonna continuava e io mi rannicchiai sul fianco, sospirando mentre strofinavo la guancia contro il cuscino morbido. Purtroppo, muovere la testa mi fece scoppiare un dolore terribile all'altezza delle tempie che, come una pallottola sparata attraverso una lastra di vetro, mandò in frantumi la mia felicità lasciando che il ricordo della giornata appena trascorsa mi sommergesse. Mi stavo trasformando in un vampiro. Ero scappata di casa. Avevo avuto un incidente e una sorta di strana esperienza premorte. Mi stavo trasformando in un vampiro. Oh. Mio. Dio. Ragazzi, se mi faceva male la testa. «Zoeybird! Sei sveglia, bambina?» Sbattei le palpebre per consentire ai miei occhi annebbiati di vedere nonna Redbird seduta su una seggiolina accanto al mio letto. «Nonna!» gracchiai, allungandomi a prenderle la mano. La mia voce aveva un suono tanto orribile almeno quanto si sentiva la mia testa. «Cos'è successo? Dove sono?» «Sei al sicuro, uccellino mio. Sei al sicuro.» «Mi fa male la testa.» Portai la mano dove mi sentivo tirare e bruciare e trovai dei punti. «Più che logico. Mi hai fatta invecchiare di dieci anni per lo spavento.» La nonna mi massaggiò dolcemente il dorso della mano. «Tutto quel sangue…» Rabbrividì, quindi scosse il capo e mi sorrise. «Che ne diresti di promettermi di non farlo mai più?» «Prometto. E così mi hai trovata…» «Priva di sensi e in una pozza di sangue, uccellino mio.» La nonna mi scostò i capelli dalla fronte, indugiando con delicatezza sul mio Marchio. «E così pallida che la mezzaluna scura sembrava splendere, tanto era in contrasto con la pelle. Sapevo che era necessario portarti alla Casa della Notte, ed è quello che ho fatto.» Ridacchiò e la luce birichina negli occhi la fece sembrare una ragazzina. «Ho chiamato tua madre e le ho detto che ti stavo portando alla Casa della Notte, poi ho finto che mi si stesse scaricando il cellulare per poter chiudere la conversazione. Temo non sia contenta di nessuna di noi due.» Risposi al suo sorriso. Hi hi, mamma era arrabbiata anche con lei. «Ma, Zoey, cosa facevi in giro di giorno? E perché non mi hai detto prima che eri stata Segnata?» Mi misi a sedere con fatica, gemendo per il dolore alla testa. Perlomeno, però, sembrava che avessi smesso di tossire. Dev'essere perché finalmente sono davvero qui, alla Casa della Notte… Ma il pensiero scomparve dalla mente non appena elaborai le parole della nonna. «Aspetta, non potevo dirtelo prima, perché il Rintracciatore è venuto a scuola e mi ha Segnata soltanto oggi. Poi sono andata a casa. Speravo davvero che la mamma avrebbe capito e sarebbe stata dalla mia parte.» M'interruppi, ricordando di nuovo l'orribile scena coi miei genitori. La nonna capiva benissimo e mi strinse la mano. «In pratica lei e John mi hanno chiusa in camera mentre chiamavano il loro strizzacervelli e iniziavano la catena di preghiera.» La nonna fece una smorfia. «Quindi sono strisciata fuori della finestra per venire dritto da te», conclusi. «Sono felice che tu l'abbia fatto, Zoeybird, ma questo non ha senso.» Sospirai. «Lo so. Neanch'io riesco a credere di essere stata Segnata. Perché io?» «Non è quello che intendevo, bambina. Non mi sorprende affatto che tu sia stata Rintracciata e Segnata. Nel sangue dei Redbird scorre da sempre una forte magia; era solo una questione di tempo prima che uno di noi venisse Scelto. Quello che intendevo è che non ha senso che tu sia appena stata Segnata. La mezzaluna non è solo un contorno, è già completa.» «È impossibile!» «Guarda da te, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.» Usò il termine cherokee per figlia, facendomi ricordare di colpo della misteriosa Dea antica. La nonna cercò nella borsetta il portacipria d'argento che aveva sempre con sé e, senza aggiungere altro, me lo tese. Feci scattare la piccola chiusura e l'oggetto si aprì mostrandomi il mio riflesso… la sconosciuta dall'aria familiare… la me che non ero proprio io. Aveva gli occhi enormi e la pelle troppo bianca, ma di quello mi accorsi a malapena. Era dal Marchio che non riuscivo a staccare gli occhi, il Marchio che adesso era una mezzaluna completa, i bordi riempiti alla perfezione dal caratteristico blu zaffiro dei tatuaggi dei vampiri. Con la sensazione di trovarmi ancora in un sogno, allungai la mano per seguire il contorno del disegno dall'aria esotica e mi parve di sentire ancora le labbra della Dea sulla pelle. «Cosa significa?», chiesi, incapace di distogliere lo sguardo. «Speravamo che avresti avuto tu una risposta a questa domanda, Zoey Redbird.» Aveva una voce incredibile. Anche prima di alzare gli occhi dal mio riflesso sapevo che sarebbe stata unica e splendida. Avevo ragione. Era bella come una diva del cinema, bella come Barbie. Non avevo mai visto niente del genere da vicino. Aveva grandissimi occhi a mandorla di un intenso verde muschio. Il viso era un cuore quasi perfetto e la pelle aveva quella cremosa compattezza priva del minimo difetto che si vede in TV. I capelli erano rosso scuro, non l'orribile rosso-carota-tendenteall'arancio, né lo slavato biondo rossiccio, ma un caldo e lucido color rame che ricadeva in folte onde fino a ben sotto le spalle. E il suo fisico era… be', perfetto. Non era magra come quelle ragazze strampalate che vomitavano e facevano la fame per cercare di raggiungere quello che pensavano fosse lo chic di Paris Hilton («Questo è fiiigo!» Sì, certo, Paris, se lo dici tu), il corpo di quella donna era perfetto perché era forte ma tutto curve. E aveva delle grandi tette (come mi piacerebbe avere le tette grandi!) «Eh?» replicai come una babba. La donna mi sorrise mostrando denti straordinariamente bianchi e dritti… e senza canini sporgenti. Oh, suppongo di essermi dimenticata di dire che a tutta quella perfezione si aggiungeva una mezzaluna color zaffiro accuratamente tatuata al centro della fronte, da cui partivano delle linee sinuose che mi ricordarono le onde dell'oceano e che andavano a incorniciarle le sopracciglia per poi estendersi fino agli zigomi, che erano alti, naturalmente. Era un vampiro. «Ho detto che speravamo avessi tu una spiegazione riguardo al fatto che una vampira novizia che non si è ancora Trasformata abbia sulla fronte il Marchio di un adulto.» Senza il sorriso e la nota di ansia nella voce, le sue parole sarebbero sembrate brusche. Invece, il tono risultò preoccupato e un po' confuso. «Allora non sono un vampiro?» sbottai. La sua risata era una musica. «Non ancora, Zoey, ma direi che l'avere il Marchio già completo sia di ottimo auspicio.» «Oh… io… cioè, bene. Questo è un bene», farfugliai. Per fortuna la nonna mi salvò dall'umiliazione più totale. «Zoey, lei è Neferet, Somma Sacerdotessa della Casa della Notte. Si è presa buona cura di te mentre eri…» La nonna s'interruppe, non volendo evidentemente pronunciare la parola «svenuta». «… Mentre dormivi.» «Benvenuta nella Casa della Notte, Zoey Redbird», disse con calore Neferet. Guardai la nonna, poi tornai a fissare Neferet. Sentendomi molto più che persa balbettai: «Io non… non mi chiamo proprio così. Il mio cognome è Montgomery». «Davvero?» Neferet inarcò le sopracciglia color ambra. «Uno dei vantaggi dell'incominciare una nuova vita consiste nell'opportunità di ripartire daccapo, di compiere scelte che prima non erano possibili. Se potessi scegliere, come ti chiameresti?» «Zoey Redbird», replicai senza esitare. «Allora da questo momento sarai Zoey Redbird. Benvenuta alla tua nuova vita.» Allungò la mano come volesse stringere la mia, che le tesi automaticamente, ma, invece di afferrarla, mi afferrò l'avambraccio, un gesto insolito, che però non so come sembrava appropriato. La sua stretta era calda e forte, il suo sorriso un luminoso benvenuto. Era incredibile e solenne. In verità, era quello che sono tutti i vampiri, cioè più che umana: più forte, più intelligente, più dotata. Sembrava che qualcuno avesse acceso una luce accecante dentro di lei, descrizione decisamente ironica, mi rendo conto, considerando gli stereotipi relativi ai vampiri (alcuni dei quali ormai sapevo essere assolutamente veri): evitano la luce del sole, sono più forti di notte, devono bere sangue per sopravvivere (iiih!) e venerano una dea nota come la personificazione della Notte. «Gra-grazie. È un piacere conoscerla», dissi, cercando con un certo brio di sembrare quantomeno semi-intelligente e normale. «Come stavo dicendo a tua nonna, nessun novizio era mai arrivato da noi in modo così poco usuale: privo di sensi e col Marchio completo. Ricordi cosa ti è successo, Zoey?» Aprii la bocca per dirle che ricordavo tutto benissimo: la caduta e la ferita alla testa, il vedere me stessa come se fossi stata uno spirito fluttuante, le parole insolitamente visibili che avevo seguito fino alla grotta, infine l'incontro con la Dea Nyx. Ma, prima che potessi parlare, provai una strana sensazione, come se qualcuno mi avesse colpita allo stomaco. Era chiara e precisa, e mi diceva di stare zitta. «Io… io a dire il vero non ricordo molto…» M'interruppi e le mie dita trovarono la parte dolente dove sporgevano i punti. «Almeno non dopo che ho battuto la testa. Cioè, di quello che è successo prima ricordo tutto: il Rintracciatore mi ha Segnata; l'ho detto ai miei genitori e ho avuto una mega discussione con loro; poi sono scappata da mia nonna. Mi sentivo proprio male, perciò, quando mi sono arrampicata sul sentiero che porta al promontorio…» Ricordavo anche il resto – tutto il resto – gli spiriti del popolo cherokee, i balli e il fuoco dell'accampamento. Sta' zitta! mi urlava la sensazione. «… Io, be', immagino di essere scivolata perché tossivo da matti e ho picchiato la testa. La cosa successiva che ricordo è nonna Redbird che canta e poi mi sono svegliata qui.» Finii in fretta. Volevo distogliere lo sguardo da quei penetranti occhi verdi, ma la stessa sensazione che mi ordinava di tenere la bocca chiusa mi stava anche dicendo chiaramente che dovevo mantenere il contatto visivo, che dovevo sforzarmi di dare l'impressione di non stare nascondendo niente, anche se non avevo idea del perché stessi nascondendo qualcosa. «È normale perdere la memoria con una ferita alla testa», intervenne pratica la nonna, spezzando il silenzio. L'avrei baciata. «Sì, certo, è così», si affrettò a dire Neferet, il viso che perdeva ogni traccia di durezza. «Non deve temere per la salute di sua nipote, Sylvia Redbird. Starà benissimo.» Aveva parlato alla nonna con rispetto e parte della tensione che provavo si affievolì. Se le piaceva nonna Red-bird, doveva essere una persona okay, o vampira o quello che è. Giusto? Neferet sorrise. «Come sono certa sappia già, anche i vampiri novizi hanno speciali capacità di ripresa. La sua guarigione sta procedendo talmente bene che può già lasciare l'infermeria.» Il suo sguardo passò dalla nonna a me. «Zoey, ti andrebbe di conoscere la tua nuova compagna di stanza?» No. Deglutii con forza e annuii. «Eccellente!» commentò Neferet. Per fortuna ignorò il fatto che me ne stavo in piedi sorridendo come uno stupido nano da giardino. «È certa che non sia meglio tenerla qui in osservazione ancora un po'?» chiese la nonna. «Comprendo la sua preoccupazione, ma le assicuro che le ferite fisiche di Zoey stanno già guarendo con una rapidità che troverebbe straordinaria.» Mi sorrise di nuovo e, anche se ero spaventata e nervosa e giusto un pochino paranoica, risposi al sorriso. Sembrava fosse davvero contenta che io fossi lì e, a dirla tutta, mi fece pensare che trasformarsi in vampiro non fosse poi una cosa tanto brutta. «Sto bene, nonna. Sul serio. La testa mi fa ancora un po' male, ma poco, e il resto va molto meglio.» Mentre lo dicevo, mi resi conto che era vero. Avevo del tutto smesso di tossire. I muscoli non mi facevano più male. A parte il leggero dolore causato dalla ferita, mi sentivo perfettamente normale. Poi Neferet fece una cosa che non solo mi stupì, ma che me la fece piacere all'istante e… fece sì che iniziassi a fidarmi di lei. Si avvicinò alla nonna e le parlò con lentezza e grande cura. «Sylvia Redbird, le giuro solennemente che qui sua nipote è al sicuro. Ogni novizio è affiancato da un mentore adulto e, per rassicurarla sul mio giuramento, quello di Zoey sarò io. Ora però deve affidarla a me.» Neferet si portò il pugno sul cuore e fece un inchino formale. La nonna esitò solo un istante prima di risponderle: «Farò conto sul mantenimento del giuramento, Neferet, Somma Sacerdotessa di Nyx». Poi anche lei si mise il pugno sul cuore e s'inchinò davanti a Neferet prima di voltarsi verso di me e abbracciarmi forte. «Chiamami, se hai bisogno di me, Zoeybird. Ti voglio bene.» «Lo farò, nonna. Ti voglio bene anch'io. E grazie di avermi portata qui», mormorai, respirando il suo familiare profumo di lavanda e cercando di non piangere. Lei mi baciò sulla guancia, quindi, col suo passo rapido e sicuro, uscì dalla stanza lasciandomi per la prima volta in vita mia sola con un vampiro. «Bene, Zoey, sei pronta a iniziare la tua nuova vita?» Alzai lo sguardo verso di lei e pensai di nuovo che era davvero stupenda. Se mi fossi Trasformata in vampiro, avrei avuto anch'io la sua sicurezza e il suo potere, o era qualcosa che avevano solo le Somme Sacerdotesse? Per un istante mi passò nella mente l'idea che essere Somma Sacerdotessa sarebbe stato proprio magnifico. Poi recuperai la sanità mentale. Ero solo una ragazzina. E confusa, per giunta, di certo non avevo la stoffa per diventare Somma Sacerdotessa. Volevo solo capire come fare a integrarmi in quel posto e Neferet aveva senza dubbio fatto sembrare più facile da sopportare quello che mi stava succedendo. «Sì, sono pronta.» Ero felice che suonasse più deciso di quanto mi sentissi in realtà. 7 «Che ore sono?» Stavamo camminando lungo uno stretto corridoio che curvava dolcemente, le cui pareti erano fatte con un insolito misto di pietra scura e mattoni a vista. Di quando in quando, delle luci a gas che pendevano da candelieri di ferro nero dall'aria antica emettevano un morbido bagliore giallo, che per fortuna non mi dava alcun fastidio agli occhi. Nel corridoio non c'erano finestre e non incontrammo nessuno (anche se continuavo a guardarmi nervosamente intorno, immaginando come sarebbe stato vedere per la prima volta dei ragazzi vampiro). «Sono quasi le quattro del mattino, il che significa che le lezioni sono terminate da circa un'ora», rispose Neferet, quindi sorrise leggermente di fronte alla mia espressione che doveva essere d'istupidimento totale. Spiegò: «Le lezioni iniziano alle venti e si concludono alle tre del mattino. Gli insegnanti sono a disposizione degli studenti fino alle tre e trenta. La palestra è aperta fino all'alba. Non appena avrai completato la Trasformazione, saprai sempre con esattezza quando si verifica; fino ad allora, troverai l'orario del levar del sole chiaramente esposto in tutte le aule, stanze comuni e aree di aggregazione, incluse sala da pranzo, biblioteca e palestra. Naturalmente il tempio di Nyx è aperto a tutte le ore, ma i riti formali si tengono due volte a settimana appena dopo la scuola. Il prossimo è domani». Mi guardò e il sorriso si fece più caloroso. «Adesso ti sembra sconvolgente, ma ti ci abituerai presto. La tua compagna di stanza ti aiuterà, e anch'io.» Stavo giusto per aprire bocca e farle un'altra domanda, quando all'improvviso una palla di pelo color arancio spuntò in corridoio e, senza il minimo rumore, le si lanciò in braccio. Io sobbalzai e credo di aver persino fatto un gridolino idiota, per poi sentirmi un'imbecille totale quando vidi che la palla di pelo non era uno spettro volante o roba simile, ma un enorme gattone. Neferet rise e diede una grattatina dietro le orecchie del micio. «Zoey, questo è Skylar. Ha l'abitudine di aggirarsi da queste parti in attesa di lanciarsi su di me.» «È il gatto più grande che abbia mai visto», commentai, allungando la mano per lasciare che mi annusasse. «Attenta, morde.» Prima che potessi mettere al sicuro le dita, Skylar ci strofinò contro il muso. Trattenni il fiato. Neferet inclinò la testa di lato, come ascoltasse il vento. «Gli piaci, questo è davvero insolito. A lui non piace nessuno tranne me. Tiene persino lontani gli altri gatti da questa zona del campus. È un vero tipaccio!» commentò con affetto. Con infinita attenzione accarezzai Skylar tra le orecchie, come aveva fatto Neferet. «Mi piacciono i gatti. Ne avevo uno, ma quando mia mamma si è risposata ho dovuto portarlo all'associazione Gatti di Strada perché fosse adottato. A John, il suo nuovo marito, i gatti non piacciono.» «Ho scoperto che l'atteggiamento delle persone nei confronti dei gatti – e quello che hanno loro nei confronti delle persone – di solito è un ottimo metro di giudizio per valutarne il carattere.» Spostai lo sguardo da Skylar a Neferet e lessi nei suoi occhi verdi che capiva molto di più riguardo ai rapporti familiari di quanto non dicesse. Questo me la fece sentire vicina e automaticamente mi rilassai un po'. «Ci sono molti gatti qui?» «Oh, sì! I gatti sono da sempre stretti alleati dei vampiri.» Okay, in realtà quello già lo sapevo. A Storia Mondiale, con Mr Shaddox (meglio noto come Puff Shaddy, ma non diteglielo) avevamo imparato che, in passato, i gatti venivano uccisi perché si credeva che in qualche modo trasformassero le persone in vampiri. Già, certo, tanto per non essere ridicoli. Ulteriore riprova della stupidità degli umani… Il pensiero mi spuntò nel cervello lasciandomi stupefatta dalla facilità con cui avevo cominciato a considerare le persone «normali» degli «umani», e per questo diverse da me. «Pensa che potrei avere un gatto?» chiesi. «Se uno ti sceglie, gli o le apparterrai.» «Se mi sceglie?» Neferet sorrise e accarezzò Skylar, che chiuse gli occhi e si mise a fare rumorosamente le fusa. «Sono i gatti a sceglierci; noi non ne siamo i padroni.» Come se volesse dimostrarlo, Skylar saltò giù dalle sue braccia e, con un presuntuoso colpo di coda, sparì lungo il corridoio. Neferet rise. «È davvero terribile, ma io lo adoro. Penso che sarebbe così anche se lui non fosse parte del dono che mi ha fatto Nyx.» «Dono? Skylar è un regalo della Dea?» «In un certo senso, sì. La Dea dà a ogni Somma Sacerdotessa un'affinità, ciò che probabilmente chiameresti poteri speciali. In parte è così che riconosciamo le Somme Sacerdotesse. Queste affinità possono corrispondere a inusuali capacità cognitive, come leggere il pensiero o avere visioni in grado di predire il futuro. Oppure può trattarsi di un legame con qualcosa del mondo fisico, come un rapporto speciale con uno dei quattro elementi o con gli animali. Io possiedo due doni della Dea. La mia affinità principale è coi gatti; con loro ho un rapporto insolito persino per un vampiro. Ma Nyx mi ha anche dato inusuali poteri curativi.» Sorrise. «È per questo che so che tu stai guarendo molto bene, me lo dice il mio dono.» «Wow, è incredibile», fu tutto quello che riuscii a dire. La testa mi girava ancora per i fatti del giorno prima. «Vieni, andiamo nella tua stanza. Sono sicura che sarai affamata e stanca. Si cena tra…» Neferet inclinò la testa di lato come se qualcuno le stesse suggerendo la risposta. «… un'ora.» Mi rivolse un sorriso d'intesa. «I vampiri sanno sempre che ora è.» «Anche questo è fantastico!» «Questo, mia cara novizia, è soltanto la punta dell'iceberg delle cose fantastiche.» Mi augurai che la sua analogia non avesse a che vedere con disastri tipo quello del Titanic. Mentre continuavamo lungo il corridoio e io pensavo all'orario e a un sacco di altre cose, mi ricordai della domanda che volevo farle quando Skylar aveva interrotto il fragilissimo filo dei miei pensieri. «Scusi un attimo. Ha detto che le lezioni iniziano alle otto di sera?» Okay, di solito non sono così bradipo, ma alcuni aspetti della questione mi risultavano ostici come se avesse parlato in una lingua straniera. Facevo una gran fatica a capire. «Se ti soffermi un momento a riflettere, ti renderai conto che tenere le lezioni di notte è più che logico. Naturalmente saprai che i vampiri, adulti o novizi, non esplodono né fanno le cose assurde che s'inventano gli umani, se direttamente esposti ai raggi del sole, ma per noi è una condizione disagevole. Non ti dava già fastidio il sole oggi?» Annuii. «E i miei Maui Jim servivano a poco.» Quindi, sentendomi di nuovo una cretina, aggiunsi in tutta fretta: «Mmm, i Maui Jim sono occhiali da sole». «Sì, Zoey», replicò con pazienza Neferet. «Conosco gli occhiali da sole. E molto bene anche.» «Oddio, mi scusi, io…» M'interruppi, chiedendomi se fosse o no corretto dire «Dio». Era forse un'offesa per Neferet, una Somma Sacerdotessa che portava con tanto orgoglio il Marchio della Dea? Diavolo, magari offendeva Nyx? Oddio! E dire «diavolo»? Assieme a «cavolo» era la mia imprecazione preferita (okay, in realtà era l'unica imprecazione che usassi regolarmente). Potevo dirlo ancora? Il Popolo della Fede predicava che i vampiri veneravano una falsa dea e che si trattava di esseri egoisti e tenebrosi che non pensavano ad altro che ai soldi, al piacere e a bere sangue e di sicuro sarebbero andati dritti all'inferno, dunque forse questo significava che dovevo fare attenzione a come e quando usavo… «Zoey.» Alzai lo sguardo e vidi che Neferet mi fissava con aria preoccupata, quindi mi resi conto che probabilmente aveva cercato di attirare la mia attenzione mentre ero in preda a farneticazioni mentali. «Mi scusi», ripetei. «Zoey, smetti di scusarti. E ricordati che qui abbiamo avuto tutti la tua stessa esperienza. È stata una cosa nuova per ciascuno di noi, all'inizio. Sappiamo come ci si sente, con la paura per la Trasformazione e lo shock nel vedersi cambiare la vita in modo imprevedibile e sconosciuto.» «Senza poter controllare niente di tutto ciò», aggiunsi pacata. «Certo, anche quello. Non sarà così complicato per sempre. Quando sarai un vampiro adulto, la vita sembrerà appartenerti di nuovo. Farai le tue scelte, seguirai la tua strada andando dove il cuore, l'anima e il talento ti porteranno.» «Sempre che io diventi un vampiro adulto.» «Lo diventerai, Zoey.» «Come può esserne tanto sicura?» Lo sguardo di Neferet trovò il Marchio completo sulla mia fronte. «Nyx ti ha scelta. Ancora non sappiamo per cosa, ma il suo Marchio è stato apposto su di te con molta chiarezza. Non ti avrebbe toccata per poi vederti cadere.» Ricordai le parole della Dea – Zoey Redbird, Figlia della Notte, ti nomino miei occhi e mie orecchie nel mondo di oggi, un mondo in cui bene e male lottano per trovare un equilibrio – e distolsi lo sguardo da quello penetrante di Neferet, desiderando disperatamente sapere perché l'istinto continuava a dirmi di tenere la bocca chiusa riguardo all'incontro con la Dea. «È che… è che sono successe tante cose in un giorno solo.» «Senza dubbio, soprattutto essendo a stomaco vuoto.» Avevamo ripreso a camminare, quando lo squillo di un telefonino mi fece saltare per aria. Neferet sospirò e mi sorrise con aria di scusa, quindi si tolse di tasca un piccolo cellulare. «Neferet», rispose. Ascoltò un istante e la vidi corrugare la fronte e socchiudere gli occhi. «No, hai fatto bene a chiamarmi. Torno subito a darle un'occhiata.» Dopo di che richiuse il telefono. «Scusami, Zoey. Oggi una delle novizie si è rotta una gamba e sembra avere problemi a riposare, quindi devo tornare a vedere che vada tutto bene. Perché non segui il corridoio tenendoti sulla sinistra fino a che non arrivi al portone principale? Non ti puoi sbagliare, perché è grande e di legno, molto antico. Appena fuori c'è una panchina di pietra. Puoi aspettarmi lì. Non ci metterò molto.» «Okay, non c'è problema.» Non avevo neanche finito di parlare che Neferet era già sparita lungo il corridoio sinuoso. Sospirai. Non mi piaceva l'idea di restare da sola in un posto pieno di vampiri e di ragazzi vampiri e, adesso che Neferet se ne era andata, quelle luci tremolanti non sembravano poi tanto simpatiche e creavano ombre preoccupanti sulle vecchie pareti di pietra. Decisa a non andare in paranoia, ripresi a camminare e ben presto cominciai quasi a desiderare d'incontrare qualcuno (anche se vampiro). C'era troppo silenzio. E faceva venire i brividi. Un paio di volte il corridoio si biforcò a destra, ma, seguendo le indicazioni di Neferet, continuai a tenere la sinistra. A dire il vero, tenevo gli occhi fissi a sinistra anche perché i corridoi che partivano da quello in cui mi trovavo io in pratica non erano illuminati. Purtroppo, alla successiva biforcazione, non tenni gli occhi puntati dall'altra parte. Okay, un motivo c'era. Avevo sentito qualcosa. Per essere più precisa, avevo udito una risata. La bassa risata di una ragazza che per qualche motivo mi aveva fatto accapponare la pelle. E mi aveva fatto anche fermare. Sbirciai nel corridoio e mi sembrò di vedere un movimento nell'oscurità. Zoey… Il mio nome proveniva dalle ombre, in un bisbiglio. Sbattei le palpebre per la sorpresa. L'avevo sentito davvero o m'immaginavo le cose? La voce era quasi familiare. Che fosse ancora Nyx? Che la Dea mi stesse chiamando? Impaurita e allo stesso tempo curiosa, trattenni il fiato e feci qualche passo nel corridoio laterale. Mentre superavo la leggera curva, vidi qualcosa davanti a me che mi fece bloccare e automaticamente spiaccicare contro il muro. In una piccola nicchia poco distante c'erano due persone. All'inizio il mio cervello non riuscì a elaborare quello che vedevo, poi, di colpo, capii benissimo. Me ne sarei dovuta andare in quel momento. Me ne sarei dovuta tornare indietro zitta zitta cercando di non pensare a quello che avevo visto. Ma non feci nessuna di queste due cose. Era come se all'improvviso i miei piedi fossero diventati talmente pesanti da non riuscire a sollevarli. Tutto quello che riuscivo a fare era starmene lì a guardare. L'uomo – poi, con un ulteriore shock, mi resi conto che non era un uomo ma un ragazzo, più vecchio di me al massimo di un paio d'anni – era in piedi con la schiena contro la parete della nicchia. Aveva la testa piegata all'indietro e respirava forte. Aveva il viso in ombra, ma, anche se lo si poteva intravedere a malapena, capivo che era bello. Poi un'altra risatina roca mi fece spostare lo sguardo più in basso. Lei era in ginocchio davanti a lui, e tutto quello che riuscivo a vedere erano i capelli biondi. Ce n'erano così tanti che sembrava quasi indossasse una sorta di velo antico. Poi le sue mani si mossero verso l'alto, scorrendo sulle cosce del ragazzo. Vai! Mi gridò il cervello. Vattene via di qui! Cominciai a fare un passo indietro, ma la voce di lui mi gelò. «Fermati!» Sgranai gli occhi perché per un istante pensai parlasse con me. «Non vuoi davvero che mi fermi.» Quasi mi girava la testa per il sollievo quando parlò la ragazza. Si era rivolto a lei, non a me. Nemmeno sapevano che fossi lì. «Sì che lo voglio.» Sembrava che pronunciasse le parole a denti stretti. «Alzati.» «Ti piace… lo sai che ti piace. Proprio come sai di volermi ancora.» La voce di lei era roca e cercava di essere sexy, ma non riusciva a nascondere il piagnucolio. Sembrava disperata. Osservai le sue dita muoversi e sbarrai gli occhi quando fece correre l'unghia dell'indice lungo la coscia di lui. Sembra incredibile, ma tagliò i jeans come fosse un coltello e apparve una striscia di sangue fresco, sorprendente nel suo rosso liquido. Non volevo che succedesse e la cosa mi disgustò moltissimo, ma la vista del sangue mi fece venire l'acquolina in bocca. «No!» sbottò lui, mettendole le mani sulle spalle e cercando di togliersela di dosso. «Oh, piantala di fingere», rise di nuovo la ragazza, con un tono meschino e sarcastico. «Lo sai che staremo sempre insieme.» Si allungò a leccare la striscia di sangue. Rabbrividii; a dispetto della mia volontà, ero affascinata. «Falla finita!» Lui continuava ancora a spingerla per le spalle. «Non voglio farti del male ma stai cominciando veramente a farmi incazzare. Perché non vuoi capire? Noi non lo facciamo più. Io non ti voglio.» «Oh, sì che mi vuoi! Tu mi vorrai sempre!» Gli aprì la lampo dei pantaloni. Non dovrei essere qui. Non dovrei vederlo. Staccai gli occhi dalla coscia che sanguinava e feci un passo indietro. Il ragazzo alzò gli occhi. E mi vide. A quel punto successe una cosa davvero bizzarra. Sentivo il suo tocco attraverso lo sguardo. Non riuscivo a smettere di guardarlo. La ragazza di fronte a lui sembrò sparire, e nel corridoio non ci fu altro che lui, io e il dolce, meraviglioso profumo del suo sangue. «Non mi vuoi? Be', in questo momento non si direbbe proprio», disse lei con una sorta di sgradevole fusa. Sentii che la mia testa cominciava ad agitarsi avanti e indietro, avanti e indietro, e in quello stesso momento lui gridò: «No!» e cercò di liberarsi di lei per poter venire verso di me. Strappai gli occhi dai suoi e barcollai. «No!» ripetè il ragazzo. Stavolta sapevo che parlava con me e non con lei. E doveva essersene accorta anche la ragazza, perché, con un grido che somigliava in modo preoccupante al ringhio di un animale selvatico, cominciò a girarsi. Mi scongelai all'istante, mi voltai di scatto e mi misi a correre nel corridoio, tornando indietro. Mi aspettavo che mi seguissero, quindi continuai a correre finché non raggiunsi il portone antico che mi aveva descritto Neferet e mi ci appoggiai nel tentativo di riprendere il controllo del respiro in modo da poter sentire il rumore di passi di corsa. Cos'avrei fatto se mi avessero inseguita davvero? La testa mi faceva di nuovo un gran male, mi sentivo debole e con una paura folle. Oltre che assolutamente, completamente disgustata. Sì, certo, sapevo del sesso orale. Dubito che al giorno d'oggi in America ci sia un'adolescente che non sia consapevole del fatto che la maggior parte degli adulti pensa che distribuiamo pompini come loro distribuivano cicche (o lecca lecca, per restare in tema). Okay, questa è una stronzata clamorosa, che mi ha sempre fatto incazzare da matti. È ovvio che ci sono ragazze che pensano sia «figo» fare un bocchino ai ragazzi, ma, be', si sbagliano. Quelle di noi che hanno un cervello funzionante sanno che non c'è niente di figo nel farsi usare in quel modo. Okay, quindi sapevo dei pompini, ma di certo non ne avevo mai visto fare uno. Perciò quello che era appena successo mi aveva decisamente fatta sbroccare. E a farmi sbroccare più ancora della schifezza che lei faceva a lui era stata la mia reazione alla vista del sangue. Avrei voluto leccarlo anch'io. E quello proprio non era normale. E poi c'era la faccenda della strana occhiata che avevo scambiato con lui. Che cavolo voleva dire? «Zoey, stai bene?» «Diavolo!» Feci un salto indietro. Neferet era in piedi accanto a me e mi guardava confusa. «Ti senti male?» «Io… be'…» Il mio cervello prese ad agitarsi. Non le avrei detto quello che avevo appena visto neanche a morire. «Mi fa un gran male la testa», riuscii finalmente a dire. Ed era vero. Avevo un'emicrania di quelle che uccidono. Neferet aggrottò la fronte, preoccupata. «Lascia che ti aiuti.» Appoggiò con leggerezza la mano sulla linea dei punti che avevo sulla tempia, chiuse gli occhi e mormorò qualcosa in una lingua che non conoscevo. Poi il suo palmo divenne caldo e fu come se il calore si facesse liquido e venisse assorbito dalla mia pelle. Chiusi gli occhi anch'io e sospirai di sollievo, il dolore alla testa cominciava a svanire. «Va meglio?» «Sì», bisbigliai a stento. Tolse la mano e aprii gli occhi. «Questo dovrebbe tenere lontano il dolore. Non so come mai sia tornato con tanta violenza.» «Nemmeno io, però adesso se n'è andato», replicai in fretta. Mi squadrò in silenzio ancora per un po' e io trattenni il fiato. «Qualcosa ti preoccupa?» mi chiese alla fine. Deglutii. «Ho solo un po' paura a incontrare la mia nuova compagna di stanza.» Tecnicamente non era una bugia. Non era quello che mi preoccupava, ma ne avevo paura. Il sorriso di Neferet fu gentile. «Zoey, andrà tutto bene. Adesso lascia che ti avvìi alla tua nuova vita.» Neferet aprì il pesante portone di legno e uscimmo nel vasto cortile davanti la scuola. Si fece da parte e mi lasciò a guardare a bocca aperta. Adolescenti con indosso divise che non so come sembravano fighissime e uniche pur essendo molto simili camminavano a gruppetti nel cortile e lungo il marciapiede. Sentivo il suono apparentemente normale delle loro voci mentre ridevano e parlavano. Continuavo a spostare lo sguardo da loro alla scuola, non sapendo cosa fissare a bocca aperta per prima. Scelsi la scuola, perché m'intimoriva meno (e perché avevo paura di vedere lui): quel posto sembrava uscito da un sogno, uno di quelli che mettono i brividi. Eravamo nel cuore della notte e sarebbe dovuto essere buio pesto, invece c'era una luna luminosissima che splendeva sulle enormi vecchie querce che ombreggiavano ogni cosa. Luci a gas su treppiedi di rame ossidato seguivano il marciapiede che correva parallelo all'immenso edificio di mattoni rossi e pietra nera. Era a tre piani, con un tetto insolitamente lungo che puntava verso l'alto e poi si appiattiva in cima. Erano stati aperti dei tendoni pesanti e morbide luci gialle facevano danzare le ombre nelle stanze, dando all'intera struttura un'aria vivace e accogliente. Alla facciata anteriore era collegata una torre rotonda, che aumentava l'illusione di trovarsi più in un castello che in una scuola. Giuro che un fossato sarebbe sembrato molto più adatto del marciapiede bordato da fitti cespugli di azalea che delimitavano un prato tosato alla perfezione. Di fronte all'edificio principale ce n'era uno più piccolo che sembrava più antico e somigliava a una chiesa. Dietro s'intravedevano delle vecchie querce che ombreggiavano il cortile e l'ombra dell'immenso muro di cinta che circondava tutta la scuola. Davanti alla chiesa c'era una statua di marmo che raffigurava una donna con lunghe vesti svolazzanti. «Nyx!» esclamai. Neferet inarcò un sopracciglio con aria stupita. «Sì, Zoey, quella è una statua della Dea, e l'edificio lì dietro è il suo tempio.» Mi fece cenno di proseguire con lei lungo il marciapiede e m'indicò lo splendido campus che si apriva davanti a noi. «Quella che oggi è conosciuta come Casa della Notte era stata costruita in stile neo normanno, con pietra importata dall'Europa. In origine, nella metà degli anni '20, era un monastero agostiniano del Popolo della Fede, poi trasformato in una scuola media privata per ragazzini umani ricchi che si chiamava Cascia Hall. Cinque anni fa, quando abbiamo deciso di aprire una nostra scuola in questa parte del Paese, l'abbiamo comprata.» Ricordavo solo vagamente il periodo in cui era stata una spocchiosa scuola privata, anzi, a dire il vero, l'unico motivo per cui avevo anche solo rivolto un piccolo pensiero a quel posto era perché all'epoca un gruppo ben nutrito di ragazzi che frequentavano la Cascia era stato arrestato per droga e gli adulti ne erano rimasti shockati. Figuriamoci. Nessun altro si era minimamente stupito che quei ragazzini ricchi di droga ne vedessero tanta. «Mi sorprende che l'abbiano venduta proprio a voi», replicai distratta. La risata di Neferet risuonò bassa e un po' pericolosa. «Non volevano, ma abbiamo fatto al loro arrogante preside un'offerta che nemmeno lui poteva rifiutare.» Avrei voluto chiederle cosa intendesse, ma la sua risata mi aveva fatto rabbrividire. E poi ero impegnata. Non riuscivo a smettere di guardarmi in giro con sconfinata ammirazione. La prima cosa che notai era che tutti quelli che avevano un tatuaggio da vampiro completo erano di una bellezza incredibile. Cioè, era una cosa folle. Sì, lo sapevo che i vampiri sono avvenenti. Lo sanno tutti. Gli attori e le attrici di maggior successo al mondo sono vampiri. Ci sono anche ballerini e musicisti, scrittori e cantanti. I vampiri dominano le arti e questo è uno dei motivi per cui hanno tanti soldi, oltre a essere uno dei (tanti) motivi per cui il Popolo della Fede li considera egoisti e immorali. Ma la verità è che sono solo gelosi perché non sono altrettanto belli. Il Popolo della Fede andava a vedere i loro film, gli spettacoli, i concerti, comprava i loro libri e le loro opere d'arte, ma, allo stesso tempo, ne sparlava e li disprezzava, e Dio sa che non si sarebbe mai e poi mai mischiato con loro. Mmm… ipocrita sarà l'aggettivo giusto? Comunque essere circondata da così tante persone belle da urlo mi fece venire voglia di strisciare sotto una panchina, anche se molte, dopo aver salutato Neferet, sorrisero e dissero «ciao» pure a me. Mentre rispondevo ai saluti un po' esitante, di nascosto lanciavo occhiate ai ragazzi che ci passavano vicino e facevano un rispettoso cenno con la testa rivolto a Neferet. Parecchi s'inchinarono in modo formale, incrociando il pugno sul petto, cosa che faceva sorridere e inchinare leggermente anche Neferet. Okay, i ragazzi non erano uno splendore come gli adulti. Certo, erano carini – interessanti, a essere più precisa, col contorno della mezzaluna e le divise che sembravano più vestiti da passerella – ma non avevano l'affascinante luce patinata e non-umana che emanava dai vampiri adulti. Ah, e notai anche che, come avevo immaginato, nelle divise c'era un sacco di nero (si potrebbe pensare che un gruppo di persone così addentro nell'arte riconosca un cliché quando uno va in giro in quel noioso nero da dark. Appunto…), ma, a essere onesta, dovetti ammettere che su di loro stava molto bene, quel nero mischiato con sottili righe viola, blu e verde smeraldo. Ogni divisa aveva un motivo ricamato in oro o in argento sul taschino della giacca o della camicia. Capivo che alcuni erano uguali, ma non riuscivo a vedere con esattezza cosa fossero. E poi c'erano un sacco di ragazzi coi capelli lunghi. Ma tanti, davvero. Le femmine avevano i capelli lunghi, i maschi avevano i capelli lunghi, gli insegnanti avevano i capelli lunghi, persino i gatti che ogni tanto passavano sul marciapiede erano palle di pelo molto lungo. Strano. Meno male che mi ero convinta a non tagliarmi i capelli come aveva fatto Kayla la settimana prima, con quella specie di coda d'anatra alla Ispettore Derrick sul dietro. Notai anche che adulti e ragazzi avevano una cosa in comune: i loro occhi si fissavano tutti sul mio Marchio. Grandioso. Perciò stavo iniziando la mia nuova vita come un'anomalia ambulante, fatto che prometteva d'un bene che non ti dico. 8 La zona della Casa della Notte in cui si trovavano i dormitori era dall'altra parte del campus, perciò avevamo un bel tratto da fare e Neferet sembrava camminare piano apposta per darmi il tempo di fare domande e fissare le cose a bocca aperta. Non che mi dispiacesse. Camminare lungo il gruppo di edifici simile a un castello, con Neferet che m'indicava piccoli dettagli e spiegava cos'era cosa, mi dava un'idea del posto. Era insolito, ma in un bel modo. E poi, camminare mi faceva sentire normale e, per quanto strano possa sembrare, mi sentivo di nuovo me stessa. Non tossivo più. Non avevo più male da nessuna parte, nemmeno alla testa. E assolutamente, decisamente non pensavo più all'inquietante scena cui avevo assistito per caso. Me la stavo dimenticando. Di proposito. L'ultima cosa di cui avevo bisogno erano altre questioni di cui occuparmi oltre a una nuova vita e a uno strano Marchio. Perciò, pompino… dimenticato. In preda alla negazione, mi dissi che, se non avessi camminato per un campus scolastico a un'ora assurda accanto a una vampira, avrei quasi potuto fingere di essere la stessa del giorno prima. Quasi. Sì, okay, forse nemmeno quasi, ma la testa andava molto meglio e, quando finalmente Neferet aprì la porta del dormitorio delle ragazze, ero più o meno pronta a conoscere la mia compagna di stanza. L'interno fu una sorpresa. Non so bene cosa mi aspettassi, magari che fosse tutto nero e lugubre, invece era carino, decorato in azzurro pallido e giallo antico, con divani comodosi e gruppi di soffici cuscini grandi abbastanza da sedercisi sopra che punteggiavano la stanza come gigantesche M&M's. La luce delicata proveniente da numerosi candelabri antichi di cristallo faceva somigliare quel posto al castello di una principessa. Sulle pareti color crema c'erano grandi quadri a olio, tutti ritratti di donne di altre epoche dall'aria esotica e potente, mentre su dei tavolini, assieme a vasi di cristallo con fiori freschi, soprattutto rose, c'erano ammonticchiati libri, borse e ammennicoli vari in dotazione a qualunque ragazza normale. Vidi diverse TV al plasma e riconobbi la musica di Real World di MTV. Notai tutte queste cose in fretta, mentre cercavo di sorridere e avere un'aria amichevole nei confronti delle ragazze che si erano zittite nell'istante in cui avevo messo piede nella stanza e che adesso mi fissavano. Be', tirateci su una riga. Non stavano propriamente fissando me. Stavano fissando il Marchio sulla mia fronte. «Ragazze, questa è Zoey Redbird. Salutatela e datele il benvenuto nella Casa della Notte.» Per un secondo pensai che nessuno avrebbe aperto bocca e avrei voluto scomparire per la mortificazione da nuovo arrivato, poi una ragazza si alzò dal gruppo riunito davanti a un televisore. Era una biondina praticamente perfetta. A dire il vero mi ricordava una versione giovane di Sarah Jessica Parker (che non mi piace, tra l'altro, perché è così… così… noiosamente e innaturalmente sgallettata). «Ciao, Zoey. Benvenuta nella tua nuova casa.» Il suo sorriso simil-SJP era caldo e sincero, era evidente che si sforzava sul serio d'incrociare il mio sguardo invece che fissare il mio Marchio completo. Mi sentii subito in colpa per averla paragonata a qualcuno in modo negativo. «Io sono Afrodite», aggiunse. Afrodite? Okay, d'accordo, magari non ero stata troppo frettolosa a fare paragoni. Come poteva una persona normale scegliere di chiamarsi Afrodite? Per favore! Manie di grandezza in stadio iper-avanzato! Mi appiccicai comunque un sorriso sulla faccia e dissi un allegro «Ciao, Afrodite!» «Neferet, vuole che accompagni io Zoey nella sua stanza?» Neferet esitò, cosa che mi parve molto strana. Invece di rispondere subito rimase lì ferma a scambiare una veloce occhiata con la bionda, poi il suo volto si aprì in un sorriso. «Grazie, Afrodite, sarebbe molto gentile da parte tua. Io sono la mentore di Zoey, ma sono certa che si sentirebbe molto più a suo agio se fosse qualcuno della sua età a mostrarle la stanza.» Era rabbia quella che vidi lampeggiare negli occhi di Afrodite? No, dovevo essermelo immaginato, o almeno avrei creduto di essermelo immaginato, se quella strana sensazione allo stomaco non mi avesse detto il contrario. E non ci volle l'intuito per capire che qualcosa non andava, perché Afrodite rise, e io riconobbi il suono di quella risata. Sentendomi come se mi avessero dato un pugno nello stomaco, mi resi conto che era lei la bionda che avevo visto col ragazzo nel corridoio. La risata di Afrodite, seguita dal suo pimpante «È ovvio che sono più che contenta di farle fare un giro! Sa che sono sempre felice di esserle d'aiuto, Neferet» erano falsi e freddi come le mostruose enormi tette di Pamela Anderson. Neferet si limitò ad assentire e si rivolse a me. «Ora ti lascio, Zoey. Afrodite ti accompagnerà nella tua stanza e la tua nuova compagna ti aiuterà a prepararti per la cena. Ci vediamo in sala da pranzo.» Mi sorrise, il suo caldo sorriso materno, e sentii l'infantile desiderio di abbracciarla e implorarla di non mollarmi lì da sola con Afrodite. «Starai bene», mi disse, neanche potesse leggermi nel pensiero. «Vedrai, Zoeybird, andrà tutto bene», mormorò, somigliando tanto a mia nonna che dovetti sbattere le palpebre per non mettermi a piangere. Poi salutò con un cenno del capo Afrodite e le altre ragazze e se ne andò. La porta del dormitorio si chiuse con un sordo rumore soffocato. Oh, diavolo… volevo proprio andare a casa! «Vieni, Zoey, le camere sono da questa parte.» Afrodite mi fece cenno di seguirla sulla grande scala che curvava a destra e, mentre salivamo, cercai d'ignorare il brusio di voci che istantaneamente eruttò alle nostre spalle. Nessuna delle due parlava e mi sentivo così a disagio che mi sarei messa a urlare. Che mi avesse vista in corridoio? Be', era sicuro come l'inferno che io non ne avrei fatto parola. Mai. Per quanto mi riguardava, non era mai successo. Mi schiarii la voce. «Il dormitorio sembra carino. Cioè, è proprio bello.» Mi lanciò un'occhiata di sbieco. «Qui è meglio che carino o proprio bello: è favoloso.» «Oh. Be'. Sono contenta di saperlo.» Rise. Il suono era assolutamente sgradevole, quasi un ghigno, che mi fece correre un brivido sulla schiena come la prima volta che l'avevo udito. «Qui è favoloso soprattutto perché ci sono io.» La squadrai, pensando stesse scherzando, e incrociai i suoi gelidi occhi azzurri. «Già, hai sentito bene. Questo posto è fantastico perché io sono fantastica.» Oh. Mio. Dio. Una cosa ben strana da dire e non avevo indizi per replicare a quella presuntuosa informazione. Cioè, mi mancava solo di mettermi a litigare con Miss Guarda-Che-Splendore-Che- Sono tanto per aggiungere qualcosina al cambiamento di scuola/vita/specie, no? E ancora non avevo capito se sapeva che ero stata io a vederla nel corridoio. Okay. Volevo solo trovare un modo per integrarmi. Volevo poter chiamare casa quella nuova scuola. Perciò decisi di tenere il becco chiuso. Nessuna di noi due aggiunse altro. La scala portava a un largo corridoio con tante porte colorate e, quando Afrodite si fermò davanti a quella dipinta di un bel viola chiaro, trattenni il fiato. Lei però, invece di bussare, si voltò verso di me. Di colpo il suo viso perfetto assunse un'aria odiosa, gelida e decisamente non tanto bella. «Okay, Zoey, le cose stanno così. Tu hai quello strano Marchio, perciò tutti parlano di te e si chiedono chi cazzo sei.» Alzò gli occhi al cielo e afferrò la collana di perle con un gesto drammatico, cambiando voce in modo che sembrasse sciocca e affettata. «Ooh! La nuova ha il Marchio completo! Cosa potrà mai significare? Che sia speciale? Che abbia poteri favolosi? Ooh! Ooh!» Tolse la mano dal collo e mi guardò, a occhi stretti, mentre la voce si faceva piatta e cattiva come lo sguardo. «Ora ascoltami bene: qui sono io che comando. Le cose girano come voglio io. Farai meglio a ricordartelo se vuoi vivere tranquilla. Altrimenti, ti troverai in un mare di merda.» Okay, stava cominciando a farmi incavolare, perciò replicai: «Senti, sono appena arrivata, non cerco guai e non posso controllare quello che gli altri dicono del mio Marchio». I suoi occhi si strinsero ancora di più. Oh, cavolo. Dovevo proprio fare a botte con quella tipa? Non mi ero mai battuta in vita mia! Mi si annodò lo stomaco e mi preparai a tirarmi indietro o a scappare o a fare qualunque cosa servisse a non prenderle. Poi, con la stessa velocità con cui era diventata inquietante e odiosa, la sua faccia si rilassò in un sorriso ed ecco ricomparsa la dolce biondina (non che ci cascassi), che mi disse: «Bene. Così ci capiamo». Eh? Avevo capito che si era dimenticata di prendere i suoi psicofarmaci, ma per il resto proprio non avevo capito niente. Afrodite non mi diede il tempo di replicare e con un ultimo sorriso stranamente caloroso bussò alla porta. «Avantiii!» gridò una voce vivace dal forte accento dell'Oklahoma. Afrodite aprì la porta. «Ma ciaaao! Ohmioddio, entra.» Con un gran sorriso, la mia nuova compagna di stanza, bionda pure lei, si lanciò come un piccolo tornado di campagna, ma, non appena vide Afrodite, il sorriso le scivolò via dalla faccia e smise di correre verso di noi. «Ti ho portato la tua nuova compagna di stanza.» Non c'era niente di sbagliato nelle parole di Afrodite, ma il tono era insopportabile e aveva preso un terribile falso accento dell'Oklahoma. «Stevie Rae Johnson, questa è Zoey Redbird. Zoey Redbird, questa è Stevie Rae Johnson. Ecco qui, non stiamo belle comode come tre piselli in un baccello?» Guardai Stevie Rae. Sembrava un coniglietto terrorizzato. «Grazie di avermi accompagnata, Afrodite», dissi in fretta facendo un passo verso di lei, che automaticamente arretrò ritrovandosi in corridoio. «Ci vediamo.» Le chiusi la porta in faccia mentre l'espressione stupita stava appena cominciando a trasformarsi in rabbia, poi mi voltai verso Stevie Rae, che era ancora pallida. «Ma che problemi ha?» chiesi. «Lei è… lei è…» Anche se ancora non la conoscevo, era chiaro che Stevie Rae era nel dubbio su quanto dire o non dire, perciò decisi di aiutarla. Che cavolo, dovevamo essere compagne di stanza. «È una stronza!» Stevie Rae sgranò gli occhi, poi si mise a ridacchiare. «Non è una gran simpaticona, questo è certo.» «Ha bisogno di psicofarmaci, questo è certo!» aggiunsi, facendola ridere ancora di più. «Credo proprio che andremo molto d'accordo, Zoey Redbird», disse, sempre sorridendo. «Benvenuta nella tua nuova casa!» Si spostò di lato e fece un ampio gesto col braccio, come se, invece che in una piccola stanza, mi stesse facendo entrare in un palazzo. Mi guardai intorno e sbattei le palpebre. Più volte. La prima cosa che vidi fu il poster a grandezza naturale di Kenny Chesney appeso sopra uno dei due letti e il cappello da cowboy (cowgirl?) appoggiato su un comodino, quello su cui c'era anche una lampada dall'aria fuori moda con la base a forma di stivale da cowboy. Acci. Picchia. Stevie Rae era una vera Okie, made in Oklahoma al cento per cento! Poi mi stupì con un forte abbraccio di benvenuto, facendomi venire in mente un bel cucciolo, coi corti capelli ricci e il viso tondo e sorridente. «Zoey, sono così contenta che tu ti senta meglio! Ero così preoccupata quando mi hanno detto che ti eri fatta male. Sono davvero felice che tu sia finalmente qui.» «Grazie», replicai, continuando a guardarmi intorno in quella che adesso era anche la mia stanza, sentendomi stranamente confusa e sul punto di scoppiare di nuovo in lacrime. «Mette un po' paura, vero?» Stevie Rae mi osservava con seri occhioni azzurri pieni di lacrime di solidarietà. Annuii, non fidandomi a parlare. «Lo so. La prima notte l'ho passata a piangere.» «Da quanto sei qui?» domandai ricacciando indietro le lacrime. «Da tre mesi. E, ragazzi, se ero contenta quando mi hanno detto che avrei avuto una compagna di stanza!» «Sapevi che stavo arrivando?» «Ohssììì! Neferet me l'ha detto l'altroieri che il Rintracciatore ti aveva individuata e che stava per Segnarti. Pensavo che saresti arrivata ieri, ma poi ho saputo che avevi avuto un incidente ed eri stata portata in infermeria. Cosa ti è successo?» «Cercavo mia nonna, sono caduta e ho battuto la testa.» Mi strinsi nelle spalle. Non provavo la strana sensazione che mi diceva di tenere il becco chiuso, ma ancora non sapevo quanto potevo raccontare a Stevie Rae, perciò mi sentii sollevata quando annuì come se capisse e non chiese altro sull'incidente. Né menzionò il mio Marchio insolitamente completo. «I tuoi genitori hanno sclerato quando sei stata Segnata?» mi chiese. «Sono andati fuori di testa. E i tuoi?» «A dire il vero per mia mamma non c'era problema. Ha detto che qualunque cosa mi portasse via da Henrietta era una buona cosa.» «Henrietta, Oklahoma?» chiesi, felice di passare a un argomento che non riguardava soltanto me. «Purtroppo sì.» Stevie Rae si lasciò cadere sul letto sotto il poster di Kenny Chesney e m'indicò di sedermi su quello dall'altra parte della stanza. Lo feci e provai una piacevole sorpresa quando mi accorsi che ero sul favoloso piumino verde e fucsia di Ralph Lauren che avevo a casa. Guardai sul comodino e quasi non credetti ai miei occhi: c'erano i miei scoccianti, giganteschi e squallidi occhiali per quando mi davano fastidio le lenti a contatto e la foto di me con la nonna l'estate precedente. E sullo scaffale dietro il computer dalla mia parte della stanza vidi la mia collezione di «Gossip Girls» e di «Bubbles» (assieme ad alcuni dei miei libri preferiti, incluso Dracula di Bram Stoker, cosa ben più che ironica), dei CD, il mio portatile e – oh Signore mio caro – le mie figurine di Monsters & Co. Imbarazzante è un lieve eufemismo. E sul pavimento accanto al letto c'era il mio zaino. «Tua nonna ti ha portato tutta la tua roba. È proprio simpatica», spiegò Stevie Rae. «È più che simpatica. Bisogna essere coraggiosi come un leone per affrontare mia madre e il suo stupido marito per andare a prendere la mia roba. Riesco appena a immaginare la scena drammatica che avrà fatto la mamma.» Sospirai, poi scossi la testa. «Giiiààà, immagino di essere fortunata. Almeno mia mamma l'ha presa bene.» Stevie Rae indicò il contorno della mezzaluna che aveva sulla fronte. «Anche se papi era fuori come un balcone e ripeteva che sono la sua unica 'piccolina' e roba simile.» Si strinse nelle spalle e ridacchiò di nuovo. «I miei tre fratelli pensavano fosse da urlo e volevano sapere se potevo aiutarli a conoscere un po' di pollastrelle vampire.» Alzò gli occhi al cielo. «Stupidi ragazzi.» «Stupidi ragazzi», le feci eco, sorridendo. Se pensava che i ragazzi fossero stupidi, noi due saremmo proprio andate d'accordo. «Praticamente adesso sto okay con tutta la situazione. Cioè, le lezioni sono strane ma mi piacciono… soprattutto il corso di Tae Kwan Do. Pare che ci provi gusto a prendere a calci dei sederi.» Sogghignò birichina, come un piccolo elfo biondo. «E mi piace la divisa, che all'inizio mi ha shockata. Cioè, chi pensa che possa piacergli una divisa di scuola? Ma possiamo aggiungerci delle cose e renderle uniche, così non sembrano le solite noiose divise di quelli che se la tirano. E poi qui ci sono dei veri fighi… anche se i maschi sono stupidi.» Le brillavano gli occhi. «Praticamente sono così contenta di essermene andata da Henrietta che del resto non mi frega, anche se Tulsa fa una certa paura, visto che è così grande.» «Tulsa non fa paura», replicai in automatico. A differenza di troppi ragazzini del nostro sobborgo di Broken Arrow, sapevo girare per Tulsa, grazie a quelle che alla nonna piaceva chiamare «escursioni sul campo» assieme a lei. «Basta sapere dove andare. In centro, a Brady Street, c'è un grandissimo negozio di perline dove puoi farti i tuoi gioielli e al negozio accanto trovi Lola's at the Bowery, che fa i dolci più buoni della città. È okay anche Cherry Street. Non è molto lontano da qui e, a dire il vero, siamo a due passi dal superlativo Philbrook Museum e da Utica Square. Lì ci sono dei negozi favolosi dove…» All'improvviso mi resi conto di quello che stavo dicendo: i ragazzi vampiri si mescolavano a quelli normali? Mi spremetti le meningi. No. Non avevo mai visto ragazzi con la mezzaluna in fronte gironzolare intorno al Philbrook, al Gap di Utica, al Banana Republic o a Starbucks. Non li avevo mai visti al cinema. Diavolo! Fino a quel giorno non avevo mai visto dei ragazzi vampiro. Allora ci avrebbero tenuti chiusi lì dentro per quattro anni? Sentendomi un po' a corto di fiato e decisamente claustrofobica, chiesi: «Ma usciamo mai di qui?» «Sì, ma ci sono un sacco di regole da seguire.» «Regole? Di che tipo?» «Be', non puoi indossare nessuna parte della divisa di scuola…» S'interruppe di colpo. «Mi venisse! Questo mi ha ricordato che dobbiamo sbrigarci. La cena è tra pochi minuti e tu ti devi cambiare.» Schizzò in piedi e prese a frugare nell'armadio della mia parte di stanza, continuando imperterrita a chiacchierare. «Neferet ha fatto portare dei vestiti ieri sera. Non preoccuparti della taglia. Non so come, ma la conoscono ancora prima di averci visti. Fa un po' impressione che i vampiri adulti sappiano molto più di quanto dovrebbero. Comunque, non aver paura. Dicevo sul serio prima, che le divise non sono terribili come si potrebbe pensare. Puoi davvero aggiungerci qualcosa di personale… come ho fatto io.» La guardai. Cioè, la guardai per davvero. Giuro che aveva un paio di Roper jeans, di quelli che mettono i fighetti e che sono mille taglie troppo stretti e senza le tasche dietro. Come qualcuno possa pensare che qualcosa di troppo stretto e senza tasche dietro stia bene, sinceramente va al di là della mia comprensione. Stevie Rae era secca come un chiodo e quei jeans riuscivano a far venire un gran culone perfino a lei. Ancora prima di abbassare lo sguardo, sapevo che scarpe doveva avere: stivali da cowboy. Controllai e feci un sospiro. Già. Stivali da cowboy di cuoio marrone, con tacco basso e punte all'insù. Nei jeans era infilata una camicia nera di cotone a maniche lunghe dall'aria costosa, del genere che si trova da Saks o da Neiman Marcus, ben diversa da quelle più economiche e trasparenti che il comunque troppo caro Abercrombie cerca di farci credere non siano stile battona. Quando tornò a guardarmi vidi che aveva due buchi alle orecchie da cui pendevano dei cerchi d'argento. Si voltò, tenendo in una mano una camicia nera come la sua e nell'altra un golfino, e decisi che, anche se il suo look country non faceva per me, lei era proprio carina con quel mix di campagnolo e chic. «Eeccoo qui! Metti questi sopra i jeans e possiamo andare.» La luce tremolante che veniva dalla lampada a stivale da cowboy fece luccicare il ricamo d'argento sul davanti del golfino che Stevie Rae mi tendeva. Mi alzai e presi la camicia, tenendo alto il golf per vedere meglio: il ricamo d'argento era a forma di spirale e creava uno scintillante cerchio che sarebbe risultato giusto sopra il mio cuore. «È il nostro simbolo», disse Stevie Rae. «Il nostro simbolo?» «Giààà, ogni classe – qui si chiamano terza, quarta, quinta e sesta – ha il suo simbolo. Noi siamo in terza, perciò il nostro è il labirinto d'argento della Dea Nyx.» «Cosa significa?» chiesi, più a me stessa che a lei mentre seguivo col dito i cerchi d'argento. «Rappresenta il nostro nuovo inizio, il momento in cui cominciamo a seguire la Via della Notte e impariamo le usanze della Dea e le possibilità che ci offre la nostra nuova vita.» Alzai gli occhi a guardarla, stupita che all'improvviso sembrasse così seria. Lei mi fece un gran sorriso un po' timido e si strinse nelle spalle. «È una delle prime cose che s'imparano a Sociologia Vampira 101. È la materia che insegna Neferet, ed è un casino meglio di tutte quelle lezioni pallose che seguivo all'Henrietta High, sede delle galline da combattimento. Bleah! Galline da combattimento! Ma come si fa ad avere una mascotte così stupida?» Scosse la testa alzando gli occhi al cielo, mentre io scoppiavo a ridere. «Comunque», continuò. «Ho saputo che il tuo mentore è Neferet e questa è una fortuna pazzesca. Praticamente non accetta più nuovi studenti e, oltre a essere la Somma Sacerdotessa, qui dentro è senza alcunissimo dubbio l'insegnante più favolosa.» Quello che non disse era che non ero semplicemente fortunata, ero «speciale», col mio strano Marchio già colorato. Cosa che mi ricordò… «Stevie Rae, perché non mi hai chiesto del mio Marchio? Cioè, apprezzo molto il fatto che tu non mi abbia bombardata di domande, ma mentre venivo qui tutti quelli che incrociavo fissavano la mia fronte. Afrodite ha affrontato l'argomento zero secondi dopo che eravamo rimaste sole, tu invece non l'hai neanche guardato. Come mai?» A quel punto squadrò per bene il mio Marchio, poi si strinse nelle spalle e tornò a incrociare il mio sguardo. «Sei la mia compagna di stanza. Ho pensato che me ne avresti parlato quando fossi stata pronta. Una delle cose che ho imparato vivendo in una città piccola come Henrietta è che, se si vuole che gli altri restino tuoi amici, è meglio farsi i fatti propri. E be', noi divideremo la camera per quattro anni…» S'interruppe e nella pausa tra le parole stava in agguato la grande, orribile verità non detta: saremmo state compagne di stanza per quattro anni solo se entrambe fossimo sopravvissute alla Trasformazione. Stevie Rae deglutì con forza e concluse in fretta: «Insomma, quello che sto cercando di dire è che voglio che siamo amiche, ecco». Le sorrisi. Sembrava così giovane e fiduciosa, così carina e normale, niente affatto come avevo immaginato sarebbe stata una ragazza vampiro. Provai un fremito di speranza. Magari avrei trovato il modo d'integrarmi in quel posto. «Anch'io voglio che siamo amiche.» «Evviiiva!» Giuro che sembrò di nuovo un cucciolo che scodinzola. «Andiamo però! Sbrigati… mica vorrai fare tardi?» Mi diede una spinta verso la porta tra i due armadi, prima di raggiungere di corsa lo specchio che aveva sulla scrivania e cominciare a spazzolarsi i capelli corti. Entrai e trovai un bagno minuscolo, mi tolsi in fretta la Tshirt dei Broken Arrow Tigers, la squadra di baseball, e indossai la camicia di cotone con sopra il golfino di seta che era di un bel viola intenso, con sottili righe nere che creavano dei riquadri. Stavo per tornare in camera a prendere lo zaino per potermi sistemare faccia e capelli col trucco e la roba che mi ero portata da casa, quando guardai nello specchio sopra il lavandino. Ero ancora pallida, ma non più di quel pallore poco sano e preoccupante di prima. I capelli erano un delirio, arruffati e pieni di nodi, e si vedevano anche i punti scuri appena sopra la tempia sinistra. Ma fu il Marchio color zaffiro ad attirare la mia attenzione e, mentre lo fissavo, incantata dalla sua bellezza esotica, la luce del bagno colpì il labirinto d'argento ricamato sul mio cuore. Decisi che i due simboli in qualche modo s'intonavano, pur essendo di forma diversa… di colore diverso… Ma io m'intonavo a tutto ciò? A quello strano nuovo mondo? Chiusi gli occhi con forza, sperando con tutta me stessa che quello che ci avrebbero dato da mangiare (oh, ti prego, fa' che non sia necessario bere sangue) non facesse a pugni col mio povero stomaco già attorcigliato e nervoso. «Oh, no…» mormorai tra me, «sarebbe il mio tipico colpo di fortuna beccarmi un attacco di diarrea fulminante.» 9 Okay, la mensa – oops, volevo dire la «sala da pranzo», come affermava la targhetta d'argento all'ingresso – era fantastica. Niente a che vedere con la mostruosa mensa della scuola di prima, dove si moriva dal freddo e l'acustica era talmente oscena che anche se ero seduta vicino a Kayla per metà del tempo nemmeno riuscivo a sentire le sue kaylate sparate a raffica. La stanza era calda e accogliente, con le pareti nello stesso strano misto di mattoni a vista e pietra nera dell'esterno dell'edificio, piena di pesanti tavoli da picnic di legno corredati di panche con seduta imbottita e schienale. Ogni tavolo ospitava circa sei ragazzi ed erano tutti disposti a raggiera intorno a un tavolone centrale dove non era seduto nessuno e che praticamente strabordava di frutta, formaggio e carne; accanto al cibo c'era un calice di cristallo pieno di quello che somigliava in modo sospetto a vino rosso (come? Vino a scuola? Da quando?) Il soffitto era basso e la parete sul retro era tutta di vetro, con una porta finestra centrale. I pesanti tendoni di velluto bordeaux erano stati tirati, perciò riuscivo a vedere che fuori c'era un delizioso giardinetto con panchine di pietra, tortuosi sentierini, fiori, cespugli ornamentali e in mezzo una fontana di marmo, dalla cui cima, che sembrava una sorta di ananas, zampillava l'acqua. Era bellissimo, soprattutto così, illuminato dalla luna e da qualche antico lume a gas. La maggior parte dei tavoli era già piena di ragazzi che mangiavano e chiacchieravano, e che ovviamente ci lanciarono un'occhiata curiosa quando Stevie Rae e io entrammo nella stanza. Presi un bel respiro e tenni la testa alta. Tanto valeva che vedessero bene il Marchio da cui sembravano essere tutti tanto ossessionati. Stevie Rae mi portò sul lato della stanza dove si trovavano i tipici addetti alle mense che passavano il cibo da dietro un vetro stile buffet. «A cosa serve il tavolo al centro?» le chiesi mentre camminavamo. «È l'offerta simbolica alla Dea Nyx, A quel tavolo c'è sempre un posto apparecchiato per lei. All'inizio sembra un po' strano, ma poi passa e vedrai che ti sembrerà okay.» A dire il vero, a me non sembrava affatto strano, anzi, aveva senso: la Dea Nyx era così presente in quel posto! Il suo Marchio era ovunque. La sua statua si ergeva orgogliosa davanti al suo tempio e cominciavo anche a notare che in tutta la scuola c'erano piccoli quadri e statuine che la raffiguravano. La sua Somma Sacerdotessa era la mia mentore e dovevo ammettere che già mi sentivo legata a Nyx. Feci uno sforzo per non toccare il suo Marchio che avevo sulla fronte, afferrando invece un vassoio per seguire Stevie Rae che si era messa in fila. «Non ti preoccupare, il cibo è buonissimo. Non ti fanno bere sangue o mangiare carne cruda o roba del genere», mi sussurrò. Sollevata, rilassai le mascelle. La maggior parte dei ragazzi stava già mangiando, perciò non ci mettemmo molto e, quando Stevie Rae e io arrivammo all'altezza del bancone, mi venne l'acquolina in bocca. Spaghetti! Inspirai a fondo: con l'aglio! «Quelle storie che i vampiri non sopportano l'aglio sono una stronzata totale, se mi scusi l'espressione», mi stava dicendo sottovoce Stevie Rae mentre riempivamo i piatti. «Okay, lo sono anche quelle che i vampiri devono bere il sangue?» replicai sempre bisbigliando. «No», rispose piano. «No?» «Non sono una stronzata.» Grandioso. Stupendo. Fantastico. Proprio quello che volevo sentire: No. Cercando di non pensare al sangue e a chissà che altro, presi un bicchiere di tè e seguii Stevie Rae a un tavolo dove due studenti stavano già chiacchierando animatamente. Ovviamente la conversazione s'interruppe di botto quando mi unii a loro, cosa che non sembrò turbare minimamente Stevie Rae. Mentre m'infilavo sulla panca di fronte a lei, fece le presentazioni con la sua pronuncia nasale da vera Okie. «Ma ciaaao, ragaaazzi! Questa è la mia nuova compagna di stanza, Zoey Redbird. Zoey, lei è Erin Bates.» Indicò la bionda assurdamente bella seduta al mio lato del tavolo (e che cavolo! Quante belle bionde possono esserci in una scuola? Non esiste una specie di limite?), poi, sempre col suo tono pratico e concreto, continuò disegnando nell'aria delle virgolette per enfatizzare le sue parole: «Erin è la 'bellona'. Ma è anche simpatica e intelligente ed è la persona con più scarpe che abbia mai conosciuto». Erin staccò gli occhioni azzurri dal mio Marchio quanto bastava per rivolgermi un rapido «Ciao». «E lui è il rappresentante maschile del nostro gruppo, Damien Maslin. Però è gay, quindi non sono sicura che conti davvero come un ragazzo.» Invece di arrabbiarsi con Stevie Rae, Damien mi guardò tranquillo. «In realtà, dato che sono gay, credo che dovrei contare come due ragazzi e non uno soltanto. Voglio dire, con me avete il punto di vista maschile e non dovete preoccuparvi che voglia toccarvi le tette.» Aveva un viso liscio, senza la minima traccia di acne, capelli castani e occhi marrone scuro che mi fecero venire in mente un cerbiatto. A dirla tutta, era proprio bello. Non nel modo effeminato di molti ragazzi quando decidono di uscire allo scoperto e dire a tutti quello che tutti sanno già (be', tutti tranne i loro genitori tipicamente tontoloni e/o in fase di negazione), Damien non era un tipo tutto moine da femmina mancata, ma un bel ragazzo dal sorriso simpatico. Che per di più si sforzava di non fissarmi la fronte, fatto che apprezzai moltissimo. «Be', forse hai ragione. Non l'avevo mai vista in questo modo», disse Stevie Rae sgranocchiando un gran pezzo di pane all'aglio. Damien replicò: «Ignorala, Zoey. Il resto di noi è abbastanza normale. E siamo strafelici che tu sia finalmente arrivata. Stevie Rae stava facendo diventare tutti matti chiedendosi come saresti stata…» «… se saresti stata una di quegli strampalati che puzzano e pensano che essere un vampiro significhi fare a gara a chi fa più schifo…» l'interruppe Erin. «… o se saresti stata una di loro», concluse Damien con un'occhiata di sbieco al tavolo alla nostra sinistra. Seguii il suo sguardo e mi saltarono i nervi quando vidi di chi stava parlando. «Intendi Afrodite?» «Già. Lei e il suo gruppo di presuntuose piaggiatrici», rispose Damien. Che? Lo fissai sbattendo le palpebre. Stevie Rae sospirò. «Ti abituerai alla sua ossessione per il vocabolario. Per fortuna questa non è una parola nuova, quindi siamo riusciti a capire di cosa sta parlando senza dovergli implorare una traduzione. Di nuovo. Piaggiatore: lusingatore servile», disse con orgoglio, come avesse dato la risposta giusta a lezione d'inglese. «Quello che è. In ogni caso loro mi fanno venire voglia di vomitare», intervenne Erin senza staccare gli occhi dagli spaghetti. «Loro?» chiesi. «Le Figlie Oscure», rispose Stevie Rae, e notai che aveva automaticamente abbassato la voce. «Considerale una sorta di associazione femminile», spiegò Damien. «Di streghe infernali», aggiunse Erin. «Ehi, ragaaazzi, non credo che dovremmo mettere in testa a Zoey dei pregiudizi. Magari lei ci va d'accordo», osservò Stevie Rae. «Fanculo. Sono streghe infernali», confermò Erin. «Attenta a cosa esce da quella tua boccuccia di rosa, Erin», la sgridò un po' compassato Damien. Incredibilmente sollevata dal fatto che Afrodite non piacesse a nessuno di loro, stavo per farmi dare qualche altra informazione, quando arrivò di corsa una ragazza che, sbuffando indignata, s'infilò col suo vassoio vicino a Stevie Rae. Era color cappuccino (di quello che si prende al bar, non la schifezza iperdolce che vien giù dalle macchinette), tutta curve, con labbra imbronciate e zigomi alti che la facevano sembrare una principessa africana. Aveva anche dei capelli splendidi, scuri e folti, che le scendevano sulle spalle in onde lucide, e gli occhi erano talmente neri che sembrava non avessero pupilla. «Scusatemi! No, scusatemi tanto!» esordì fissando con intenzione Erin. «Ma proprio a nessuno è passato per l'anticamera del cervello di venirmi a svegliare e dirmi che era ora di cena?» «Pensavo di essere la tua compagna di stanza, non la tua mammina», replicò pigramente Erin. «Non costringermi ad alzarmi in piena notte per tagliarti quei capelli biondi da Jessica Simpson», replicò la principessa africana. Damien precisò: «In realtà la frase corretta avrebbe dovuto essere: 'Non costringermi ad alzarmi in pieno giorno per tagliarti quei capelli biondi da Jessica Simpson'. In pratica per noi il giorno è la notte e quindi la notte è il giorno. Qui il tempo è rovesciato». La ragazza di colore gli lanciò un'occhiataccia. «Damien, mi stai dando sull'ultimo dei miei nervi sani con tutte 'ste stronzate da vocabolario.» Stevie Rae intervenne: «Shaunee, finalmente è arrivata la mia compagna di stanza! Questa è Zoey Redbird. Zoey, lei è la compagna di Erin, Shaunee Cole». «Ciao», dissi con in bocca una forchettata di spaghetti quando Shaunee spostò lo sguardo assassino da Erin a me. «Allora, Zoey, cos'è 'sta storia del Marchio già tutto colorato? Sei ancora una novizia, giusto?» Tutti si zittirono, shockati dalla domanda di Shaunee. Lei si guardò intorno. «Be'? Non state lì a fingere che non vi chiedete anche voi la stessa cosa.» «È possibile, ma è anche possibile che siamo abbastanza educati da non fare domande», replicò decisa Stevie Rae. Shaunee scrollò le spalle. «Oh, per favore! Be', comunque sia, è una questione troppo importante per fare i sofistici. Tutti vogliono sapere del suo Marchio e non c'è tempo da perdere in giochetti quando si ha sottomano un pettegolezzo bello succoso.» Tornò a rivolgersi a me. «Allora? Cos'è 'sta storia di 'sto strano Marchio?» Tanto vale affrontare la questione adesso. Bevvi un sorso di tè per schiarirmi la voce, mentre tutti e quattro mi fissavano, impazienti di avere una risposta. «Be', sono ancora una novizia. Non credo proprio di essere diversa da voi.» Poi biascicai qualcosa che avevo pensato mentre gli altri parlavano. Insomma, sapevo che prima o poi avrei dovuto rispondere a quella domanda. Non ero stupida – confusa, forse, ma non stupida – e lo stomaco mi diceva che non dovevo dire la verità riguardo alla mia esperienza extra corporea con Nyx. «Non so perché il mio Marchio è tutto colorato. Non era così quando mi ha trovata il Rintracciatore, ma poi, quello stesso giorno, ho avuto un incidente. Sono caduta e ho picchiato la testa. Quando mi sono risvegliata, il Marchio era com'è adesso. Ci ho pensato su e tutto quello che posso dire è che forse è stata una reazione a quello che mi è successo. Ho perso i sensi e un sacco di sangue. Magari questo ha accelerato il processo di colorazione. Cioè, questo è quello che ho pensato io.» Shaunee sbuffò. «Uff, speravo in qualcosa di più eccitante. Qualcosa di pettegolosamente saporito.» «Mi dispiace…» borbottai. «Occhio, gemella, cominci a parlare come se stessi seduta a quel tavolo», disse Erin a Shaunee indicando con la testa le Figlie Oscure. Il viso di Shaunee si contorse. «Non mi farei mai beccare non-morta con quelle stronze.» «Stai incasinando le idee a Zoey», brontolò Stevie Rae. Damien fece un sospiro lungo e sofferto. «Spiego io, dimostrando una volta di più quanto sono utile a questo gruppo, pene o non pene.» «Gradirei che non usassi quella parola, soprattutto quando sto cercando di mangiare», lo rimbeccò Stevie Rae. Erin intervenne: «A me piace. Se tutti chiamassero le cose col loro nome, ci sarebbe molta meno confusione. Per esempio, quando devo andare in bagno affermo ciò che è ovvio: ho dell'urina che vuole uscire dalla mia uretra. Semplice. Facile. Chiaro». «Disgustoso. Volgare. Rozzo», ribatté Stevie Rae. «Sto con te, gemella», fece Shaunee. «Insomma, se parlassimo apertamente di cose come urinazione e mestruazioni e robe così, la vita sarebbe molto più semplice.» «Okay. Basta parlare di mestruazioni mentre mangiamo spaghetti.» Damien sollevò una mano come se potesse bloccare fisicamente la conversazione. «Sarò anche gay, ma c'è un limite a quello che posso sopportare.» Si chinò verso di me e si lanciò nella spiegazione. «Primo, Shaunee ed Erin si chiamano gemelle perché, anche se è evidente che non sono imparentate, visto che Erin è una bianchissima ragazza di Tulsa e Shaunee viene dal Connecticut ed è di origine giamaicana, fatto che le dà quel meraviglioso color moca…» «Ti ringrazio di apprezzare la mia negritudine», commentò Shaunee. «Non c'è di che», replicò Damien, poi riprese subito a spiegare. «Comunque, anche se non hanno un legame di sangue si somigliano in modo impressionante.» «È come se fossero state separate alla nascita, sai, quel genere di cose», intervenne Stevie Rae. In quel momento Erin e Shaunee si sorrisero e si strinsero nelle spalle. Fu allora che mi accorsi che erano vestite allo stesso modo, con una giacca di jeans scuro con delle bellissime ali dorate ricamate sul taschino, T-shirt nera e pantaloni neri a vita bassa. Avevano anche gli stessi orecchini: grandissimi cerchi d'oro. «Abbiamo lo stesso numero di scarpe», intervenne Erin allungando il piede in modo che potessi vedere che portava stivali neri a punta col tacco a spillo. «E cosa conta una piccola differenza nella melanina quando si parla di vero e profondo amore per le scarpe?» Sollevando il piede, Shaunee mostrò un altro bellissimo stivale, di pelle nera liscia con fibbie d'argento alla caviglia. «Prossimo argomento!» la bloccò Damien alzando gli occhi al cielo. «Le Figlie Oscure. La versione breve è che sono un gruppo formato in massima parte da persone del ceto alto che sostengono che lo spirito della scuola sia affidato a loro e altre cosette del genere.» «No, la versione breve è che sono delle streghe infernali», fece Shaunee. «Proprio quello che avevo detto io, gemella», rise Erin. «Non è che voi due siate di grande aiuto», le rimbeccò Damien. «Allora, dov'ero arrivato?» «Spirito della scuola e cosette del genere», suggerii. «Ah, sì, giusto. Insomma si presume che siano questa grande organizzazione pro-scuola e provampiri, ed è anche previsto che la loro capa venga addestrata per diventare Somma Sacerdotessa, perciò si presume che lei sia il cuore, la mente e lo spirito della Casa della Notte, oltre che un futuro capo nella società dei vampiri, eccetera eccetera, bla bla bla. Immagina un misto tra il Miglior Studente della Nazione a capo della Honor Society e un gruppo di cheerleader e bandisti finocchi.» «Ehi, non è irrispettoso del tuo essere gay chiamarli bandisti finocchi?» chiese Stevie Rae. «Uso quella parola in senso affettuoso», replicò Damien. «E giocatori di football! Non dimenticare che ci sono anche i Figli Oscuri», intervenne Erin. «Oh, sì, gemella. È un vero crimine e un gran peccato che dei bonazzi simili vengano risucchiati…» «E intende in senso letterale», puntualizzò Erin con un sorrisetto osceno. «… da 'ste streghe infernali», concluse Shaunee. «Ma figuriamoci! Da quando dimentico i maschietti? È solo che vengo interrotto in continuazione», si lamentò Damien. Le tre ragazze gli rivolsero un sorriso di scuse. Stevie Rae mimò di chiudersi la bocca con una zip e buttare via la chiave; Erin e Shaunee mossero le labbra per formare la parola «penosa», ma se ne stettero zitte per lasciarlo finire. Mi ero accorta che avevano scherzato sull'idea del «succhiare», facendomi pensare che la scenetta cui avevo assistito non fosse troppo insolita. Damien continuò: «Ma in realtà le Figlie Oscure sono delle stronze presuntuose che si eccitano a comandare a bacchetta tutti gli altri. Vogliono che tutti le seguano e si adeguino alle loro strampalate idee su cosa significhi diventare vampiri. Soprattutto odiano gli umani e, se non sei d'accordo con loro, non ti cagano neanche di striscio». «Se non per crearti problemi», aggiunse Stevie Rae. Dalla sua espressione capivo che doveva aver avuto un'esperienza diretta dei «problemi» in questione e mi ricordai di quanto mi era sembrata pallida e impaurita quando Afrodite mi aveva accompagnata nella nostra stanza. Presi mentalmente nota di ricordarmi di chiederle cosa fosse successo. «Ma non lasciarti spaventare», riprese Damien. «Semplicemente guardati le spalle quando sono in giro e…» «Ciao, Zoey. È bello rivederti così presto.» Stavolta non ebbi alcun problema a riconoscere la sua voce. Decisi che era come il miele: scivolosa e decisamente troppo dolce. Al tavolo sobbalzarono tutti, io inclusa. Lei indossava un golf come il mio, solo che all'altezza del cuore aveva ricamata la sagoma di tre donne simili a dee, una delle quali teneva in mano quello che sembrava un paio di forbici. Aveva una gonna nera a pieghe molto corta, calze nere con lustrini d'argento e stivali al ginocchio, sempre neri. Dietro di lei c'erano due ragazze, vestite più o meno allo stesso modo. Una era di colore, con dei capelli di una lunghezza impossibile e l'altra era invece un'ennesima bionda (che però, a un esame più ravvicinato delle sopracciglia, decisi che con ogni probabilità era bionda naturale quanto me). «Ciao, Afrodite», replicai mentre gli altri sembravano troppo sotto shock per parlare. «Spero di non interrompere qualcosa d'importante» , riprese lei, falsa come Giuda. «Per niente. Stavamo discutendo della spazzatura da portare fuori stasera», replicò Erin con un sorriso per niente sincero. «Ah be', se c'è qualcuno che conosce l'argomento quelli siete senz'altro voi», ribatté Afrodite con un ghigno di superiorità, quindi voltò con intenzione le spalle a Erin, che stringeva i pugni e aveva l'aria di volerle saltare addosso. «Sai, Zoey, avrei dovuto dirti una cosa prima, ma mi è proprio passata di mente. Volevo invitarti a unirti alle Figlie Oscure per il nostro rito privato della Luna Piena, domani sera. So che è insolito prendervi parte per qualcuno che è qui da poco, ma il tuo Marchio dimostra con chiarezza che sei… be', diversa dalla media delle novizie.» Abbassò il naso perfetto in direzione di Stevie Rae. «L'ho già detto a Neferet, che è d'accordo e ritiene sarebbe un bene per te unirti a noi. Ti fornirò i dettagli più tardi, quando non sarai più così impegnata con… mmm… la spazzatura.» Rivolse al resto del tavolo il suo sorriso sarcastico a labbra strette, scostò i lunghi capelli e lei e la sua scorta svolazzarono via. «Stronze streghe infernali», commentarono in stereo Shaunee ed Erin. 10 «Continuo a pensare che alla fine tutta quella burbanza affosserà Afrodite», disse Damien. «Burbanza: arroganza sprezzante», spiegò Stevie Rae. «A dire il vero questa la sapevo», replicai tenendo gli occhi su Afrodite e la sua cricca. «Abbiamo appena finito di leggere Medea al corso di letteratura. È stata quella a rovinare Giasone.» «Quanto mi piacerebbe tirargliela fuori a pugni, la burbanza, da quella testa piena di bacherozzi», sbottò Erin. «Okay, gemella, te la tengo ferma io», disse Shaunee. «No! Ragaaazzi, ne abbiamo già discusso. La punizione per aver fatto a botte è grave. Molto grave. Non ne vale la pena.» Vidi Erin e Shaunee impallidire nello stesso istante e avrei voluto chiedere cosa potesse esserci di tanto grave, ma Stevie Rae continuò a parlare, stavolta rivolta a me. «Basta che stai attenta, Zoey. Le Figlie Oscure, e soprattutto Afrodite, a volte possono sembrare okay, ed è allora che sono più pericolose.» Scossi la testa. «Ah, no no. Non ci vado a quella loro roba della luna piena.» «Penso che tu debba farlo», intervenne sottovoce Damien. «Neferet ha dato l'okay», riprese Stevie Rae mentre Erin e Shaunee annuivano. «Questo significa che si aspetta che tu ci vada. Non puoi dire di no al tuo mentore.» «Specialmente quando il mentore in questione è Neferet, Somma Sacerdotessa di Nyx», rincarò la dose Damien. «Non posso semplicemente dire che non sono pronta per… per… qualunque cosa sia che vogliono farmi fare e chiedere a Neferet se per questa volta posso essere assente giustificata – o come diavolo si dice qui – per la loro Festa della Luna Piena?» «Be', sì, potresti, ma Neferet lo direbbe alle Figlie Oscure e loro penserebbero che hai paura.» Pensai ai casini che erano già successi tra Afrodite e me in così poco tempo. «Sai, Stevie Rae, io potrei avere davvero già paura di loro.» «Non farglielo capire. Mai.» Stevie Rae abbassò lo sguardo sul piatto, cercando di nascondere l'imbarazzo. «È peggio che mettercisi contro.» Damien la consolò dandole dei colpetti sulla mano. «Tesoro, smetti di farti le menate per quello.» Stevie Rae gli rivolse un dolce sorriso di ringraziamento, quindi tornò a darmi consigli. «Vai. Fatti forza e vai. Durante il rituale non faranno niente di troppo orribile. Si tiene qui al campus; non oserebbero.» Shaunee annuì. «Già, le stronzate peggiori le fanno lontano da qui, dove per i vampiri è più difficile beccarle. Quando restano in zona, fingono di essere schifosamente dolci, in modo che nessuno sappia come sono realmente.» «Nessuno tranne noi», intervenne Erin con un gesto della mano che includeva non solo il nostro gruppetto, ma anche tutto il resto della stanza. «Ragaaazzi, non so, magari Zoey andrà davvero d'accordo con qualcuna di loro», disse Stevie Rae, senza il minimo accenno di sarcasmo o di gelosia. Scossi la testa. «No, no. Non andrò d'accordo con loro. Non mi piace il genere, quelli che cercano di controllare gli altri e li fanno sentire fuori posto solo per sentirsi meglio loro. E non voglio andare a quel Rito della Luna Piena!» Pensai al mio patrigno e ai suoi amici e a quanto fosse ironico che sembrassero avere così tanto in comune con un gruppo di ragazzine che si proclamavano figlie di una dea. «Verrei con te, se potessi. Lo faremmo tutti, ma se non sei una Figlia Oscura vieni ammessa solo se invitata», aggiunse triste Stevie Rae. «Non ti preoccupare. Io… io me la caverò.» All'improvviso non avevo più fame. Mi sentivo solo tanto, tanto stanca e volevo proprio cambiare argomento. «Perché non mi spieghi dei diversi simboli che si portano qui? Mi hai detto del nostro, la spirale di Nyx, che ha anche Damien, quindi dev'essere…» M'interruppi per cercare di ricordare in che classe andavano le matricole. «… in terza. Ma Erin e Shaunee hanno delle ali, e Afrodite qualcos'altro.» «Intendi oltre al manico di scopa ficcato in quel culo secco?» borbottò Erin. «Intende le Tre Fate», interloquì Damien, impedendo a Shaunee di dire qualunque cosa stesse per aggiungere. «Le Tre Fate, ossia le Parche o Moire, sono figlie di Nyx. In sesta, tutti portano l'emblema delle Parche, con Atropo che impugna le forbici a simbolizzare la fine della scuola.» «E, per alcuni di noi, la fine della vita», aggiunse cupa Erin. Questo zittì tutti. Quando non riuscii più a sopportare quel silenzio assordante, mi schiarii la gola e chiesi cosa significassero le ali di Erin e di Shaunee. «Le ali di Eros, generato dall'Uovo di Nyx…» «Il dio dell'amore», chiarì Shaunee, muovendo i fianchi da seduta. Damien le lanciò un'occhiataccia e riprese. «Le ali d'oro di Eros sono il simbolo della quarta.» «Perché siamo la classe dell'amore», canticchiò Erin, sollevando le braccia ed esibendosi anche lei in un ancheggiamento sexy. «A dire il vero, è perché dovrebbe ricordarci la capacità di amare di Nyx, mentre le ali simboleggiano il nostro continuo procedere in avanti.» «Qual è il simbolo della quinta?» chiesi. «Il carro dorato di Nyx che trascina una coda di stelle», rispose Damien. «Per me è il più bello, quelle stelle luccicano da matti», commentò Stevie Rae. «Il carro indica che continuiamo il viaggio verso Nyx, mentre le stelle rappresentano la magia dei due anni già trascorsi.» «Damien, sei proprio un gran bravo scolaretto», gli disse Erin. «Te l'avevo detto che ci saremmo dovute far aiutare da lui a studiare per il test di mitologia umana», intervenne Shaunee. «Credevo di essere stata io a dire a te che ci serviva il suo aiuto, e…» Damien alzò la voce per superare il loro battibecco. «In ogni caso, questo è più o meno tutto riguardo ai quattro simboli delle classi. Non c'è da spremersi tanto per saperlo», aggiunse fissando con intenzione le due gemelle che si erano zittite. «A patto, è ovvio, di stare attenti in classe invece di scambiarsi bigliettini e guardare i ragazzi carini.» «Damien, sei un vero bacchettone», brontolò Shaunee. «Soprattutto per un gay», aggiunse Erin. «Sai, Erin, oggi i tuoi capelli sono un po' crespi. Non vorrei essere scortese, ma forse dovresti pensare di cambiare shampoo e balsamo. Non si è mai troppo attenti con queste cose. Basta un niente e ti ritrovi con le doppie punte.» Gli occhi azzurri di Erin diventarono immensi e la sua mano andò automaticamente ai capelli. «Oh, no no no. Damien, non posso credere che tu abbia detto una cosa simile! Lo sai che sbrocca quando si parla dei suoi capelli.» Shaunee cominciò a gonfiarsi come un pesce palla color caffellatte. Nel frattempo, Damien si era limitato a sorridere tornando a dedicarsi agli spaghetti, nel ritratto della più totale innocenza. «Oh, ragaaazzi», intervenne veloce Stevie Rae, alzandosi e prendendomi per il braccio. «Zoey sembra stanca. Ve lo ricordate tutti com'è stato appena arrivati qui. Noi torniamo nella nostra stanza e, dato che devo studiare per il test di sociologia vampira, probabilmente ci rivediamo domani.» «Okay, ciaaao. Zoey, è stato davvero un piacere conoscerti», salutò Damien. «Già, benvenuta al Liceo Inferno», dissero insieme Erin e Shaunee prima che Stevie Rae mi trascinasse fuori della stanza. «Grazie, sono davvero cotta», confessai a Stevie Rae mentre attraversavamo un corridoio che per fortuna era quello che portava all'ingresso principale dell'edificio centrale della scuola. Ci bloccammo alla vista di un agile gatto grigio argento che inseguiva un soriano più piccolo e dall'aria infastidita. «Belzebù! Lascia in pace Cammy! Damien finirà per strapparti il pelo!» Stevie Rae cercò di afferrare il micio grigio ma non ci riuscì, però quello smise comunque d'inseguire il soriano e proseguì lungo il corridoio nella direzione da cui venivamo noi, seguito da un'occhiataccia di Stevie Rae. «Shaunee ed Erin dovrebbero insegnare un po' di educazione a quel loro gatto; ne combina sempre qualcuna.» Spostò lo sguardo su di me e lasciammo l'edificio, uscendo nella tenue oscurità che precede l'alba. «Il micio piccolo e carino che si chiama Cameron è di Damien, mentre Belzebù appartiene a Erin e Shaunee. Le ha scelte entrambe… insieme. Giààà. È strano come sembra, ma tra un po' comincerai anche tu come tutti a pensare che devono essere davvero gemelle.» «In ogni caso sembrano simpatiche.» «Oh, lo sono. Bisticciano un sacco, ma sono molto leali e non lascerebbero mai che qualcuno sparlasse di te.» Fece un gran sorrisone. «Okay, potrebbero essere loro a sparlare di te, ma è una cosa diversa e lo fanno sempre in faccia.» «E Damien mi piace molto.» «Damien è un tesoro, ed è molto intelligente. Però a volte mi dispiace per lui.» «Perché?» «Be', quand'è arrivato qui, circa sei mesi fa, aveva un compagno di stanza, ma, appena quello ha scoperto che è gay – cioè, non è certo che lui cerchi di nasconderlo – è andato a lamentarsi da Neferet dicendo che non intendeva stare in camera con un finocchio.» Feci una smorfia. Gli omofobi non li sopporto. «E Neferet ha tollerato un atteggiamento simile?» «No, ha chiarito bene al ragazzo, che, tra parentesi, ha cambiato nome in Thor, quand'è arrivato qui» – scosse la testa e alzò gli occhi al cielo – «questo ti dà già un'ideina, no? Be', comunque, Neferet ha fatto sapere che il comportamento di Thor non era accettabile e ha dato a Damien la possibilità di scegliere se trasferirsi da solo in un'altra stanza o restare con Thor. Damien ha deciso di andarsene. Voglio dire, non l'avresti fatto anche tu?» «Eccome. Non avrei mai diviso la camera con Thor l'Omofobo.» «È quello che pensiamo tutti. Perciò da allora Damien è in stanza da solo.» «Non ci sono altri omosessuali nella scuola?» Stevie Rae si strinse nelle spalle. «Ci sono delle lesbiche dichiarate, ma, anche se un paio sono simpatiche e fanno gruppo anche con noi, di solito stanno tra loro. S'interessano molto dell'aspetto religioso del culto della dea e passano un sacco di tempo al tempio di Nyx. Ovviamente ci sono anche le cretine che pensano solo a darsi da fare alle feste e trovano sia figo strusciarsi l'una addosso all'altra, ma di solito soltanto se ci sono dei ragazzi carini a guardarle.» Scossi la testa. «Sai, non ho mai capito perché le ragazze pensano che riusciranno a trovarsi un fidanzato mostrandosi omo. A logica dovrebbe essere controproducente.» «E chi lo vorrebbe un moroso che pensa che sono sexy se bacio un'altra ragazza? Bah!» «E altri ragazzi gay?» Stevie Rae sospirò. «Ce n'è qualcuno oltre a Damien, ma per lui sono quasi tutti troppo strambi ed effeminati. Mi dispiace, perché penso si senta piuttosto solo. I suoi genitori non scrivono né niente.» «Hanno sclerato per la storia del vampirismo?» «No, di quello non gl'importa. Non dirlo a Damien perché urta i suoi sentimenti, ma credo si siano sentiti sollevati quand'è stato Segnato. Non sapevano cosa fare con un figlio gay.» «E perché dovevano fare qualcosa? È sempre loro figlio. Semplicemente gli piacciono i ragazzi, tutto qui.» «Be', loro vivono a Dallas e suo padre è uno importante del Popolo della Fede. Credo sia un ministro del culto o qualcosa di simile…» Sollevai la mano. «Ferma lì. Non aggiungere altro. Ho capito tutto.» Ed era proprio così. Ero fin troppo pratica della mentalità ristretta da «il nostro modo è l'unico modo giusto» del Popolo della Fede. Il solo pensiero mi faceva sentire stanca e depressa. Stevie Rae aprì la porta del dormitorio. La zona salotto era vuota, tranne che per qualche ragazza che guardava delle repliche di That '70s Show. Stevie Rae le salutò distrattamente con un cenno della mano, poi mi chiese: «Ehi, vuoi qualcosa da bere da portare su?» Annuii e la seguii in una piccola stanza laterale in cui c'erano quattro frigoriferi, un grande lavello, due microonde, parecchi armadietti e un bel tavolo di legno bianco proprio al centro. Insomma, era come una cucina normale, a parte il gran numero di frigo. Era tutto pulito e in ordine. Stevie Rae aprì un frigorifero e, sbirciando oltre la sua spalla, vidi che era pieno di roba da bere di tutti i tipi, dalle bibite gassate ai succhi di frutta a quell'acqua con le bollicine che ha un sapore schifoso. «Cosa vuoi?» «Mi va bene qualunque cola: bollicine marroni di qualunque tipo», risposi. «Questa roba è tutta per noi.» Mi tese due lattine di CocaCola e prese due Frescas per lei. «In quei due frigo ci sono frutta e verdura, mentre nell'altro c'è la carne bianca per i panini. Sono sempre pieni, ma i vampiri sono abbastanza assillanti che mangiamo sano, perciò non troverai sacchetti di patatine, merendine o roba simile.» «E cioccolato?» «Oh, sì, negli armadietti c'è del cioccolato costoso. I vampiri dicono che mangiarne con moderazione ci fa bene.» Okay, chi diavolo vuole mangiare cioccolato con moderazione? Tenni per me quel pensiero mentre riattraversavamo il salotto e ci dirigevamo verso la nostra stanza. «Dunque i, mmm, i vampiri» – incespicai sulla parola – «sono fissati sul mangiare sano?» «Be', sì, ma credo che fondamentalmente siano i novizi che devono mangiare sano. Voglio dire, non è che ci siano vampiri grassi, ma non li vedi neanche sgranocchiare sedano e carote e piluccare insalata. Mangiano insieme nella loro sala da pranzo e si dice che mangino molto bene.» Mi guardò e abbassò la voce. «Ho sentito dire che mangiano un sacco di carne rossa. Un sacco di carne rossa speciale.» «Iiiih!» commentai, non amando per niente la bizzarra visione di Neferet che addenta una bistecca al sangue. Stevie Rae rabbrividì, prima di continuare. «A volte qualche mentore pranza con un novizio, ma di solito beve solo un paio di bicchieri di vino e non tocca cibo.» Stevie Rae aprì la porta; io mi sedetti sul letto con un sospiro e mi tolsi le scarpe. Dio, se ero stanca. Massaggiandomi i piedi mi chiesi perché i vampiri adulti non mangiavano con noi, poi decisi che non volevo proprio pensarci più di tanto. Voglio dire, questo sollevava troppe domande riguardo a cosa mangiassero, no? E a cosa avrei mangiato io quando e se fossi diventata un vampiro adulto. Arrghh! E una parte del mio cervello sussurrava che questo mi faceva ricordare la reazione che avevo avuto di fronte al sangue di Heath il giorno prima (ma era passato davvero soltanto un giorno?) e anche ciò che mi aveva suscitato la vista del sangue del ragazzo in corridoio. No no. Decisamente non volevo pensare a nessuna delle due cose. Proprio per niente. Quindi mi rifocalizzai in fretta sulla questione del cibo sano. «Okay, se non si preoccupano troppo della loro alimentazione, perché assillano noi?» chiesi a Stevie Rae. Lei incrociò il mio sguardo, con aria turbata e piuttosto impaurita. «Si preoccupano che mangiamo sano per lo stesso motivo per cui ci fanno fare ginnastica tutti i giorni: vogliono rendere il nostro organismo il più forte possibile, così, se cominci a sentirti debole, a ingrassare o a stare male, si capisce subito che il corpo sta rifiutando la Trasformazione.» «E poi muori», aggiunsi sottovoce. «E poi muori», convenne. 11 Non pensavo che avrei dormito. M'immaginavo che sarei rimasta sdraiata sentendo la mancanza di casa e pensando alla strana svolta che aveva preso la mia esistenza. Mi passavano per la mente inquietanti flash degli occhi del ragazzo in corridoio, ma ero così stanca che non riuscivo a metterli a fuoco. Persino la psicopatica odiosità di Afrodite sembrava sonnacchiosamente lontana e l'ultimo pensiero preoccupato di cui mi ricordavo prima di non ricordare più niente era rivolto alla mia fronte. Mi faceva ancora male a causa del Marchio e del taglio alla tempia o mi stava venendo un mega brufolo? E come sarebbero stati i miei capelli per il primo giorno di vampscuola? Ma, mentre mi raggomitolavo sotto la trapunta e annusavo il familiare odore di piuma d'oca e di casa, mi sentii inaspettatamente al caldo e al sicuro… e crollai. E non ebbi neanche gli incubi, ma sognai dei gatti. Logico. Bonazzi pazzeschi? No. Favolosi nuovi poteri da vampiro? Figuriamoci. Solo gatti. C'era una micetta in particolare, una piccola soriana rossa che aveva zampine minuscole e una pancetta tonda che la faceva sembrare un marsupiale. Continuava a strillarmi con una voce da vecchia signora, chiedendomi perché ci avessi messo tanto ad arrivare. Poi la voce della gatta divenne uno scocciante suono intermittente e io… «Dai, Zoey! Spegni quella stupida sveglia!» «Cos… eh?» Oh, diavolo. Odio la mattina. Agitai a caso la mano cercando di spegnere quella rottura di sveglia. Ho già detto che sono completamente, assolutamente cieca senza le lenti a contatto? Afferrai gli occhiali da sfigata e guardai l'ora. Le 18.30 e mi stavo giusto alzando. Tanto per parlare di cose strane. «Vuoi fare tu la doccia per prima o preferisci che la faccia io?» chiese assonnata Stevie Rae. «Vado io, se non ti dispiace.» «Non mi…» Sbadigliò. «Okay.» «Però dobbiamo fare in fretta perché non so tu ma io devo fare colazione se no prima di pranzo finisce che muoio di fame.» «Cereali?» Mi rianimai di colpo. Vado davvero matta per i cereali e da qualche parte ho persino una maglietta con scritto I ❤ CEREALS che lo dimostra in modo inconfutabile. Quelli che mi piacciono di più sono i Conte Chocula, tanto per continuare con l'ironia vampira. «Sì, ci sono sempre montagne di quelle mini scatole di cereali, ciambelle, frutta, uova sode e un sacco d'altra roba.» «Mi sbrigo.» All'improvviso avevo una gran fame. «Ehi, Stevie Rae, ha importanza cosa mi metto?» «Nooo, basta che prendi una delle giacche o dei golf con su il simbolo della terza e sei a posto», rispose con un altro sbadiglio. Mi sbrigai davvero, anche se ero molto preoccupata di non avere il look giusto e avrei voluto avere ore per sistemarmi trucco e capelli. Usai lo specchio di Stevie Rae intanto che lei faceva la doccia e decisi che era meglio andarci piano e truccarmi poco. Era strano come il Marchio avesse cambiato del tutto il centro focale del mio viso. Avevo sempre avuto dei begli occhi, grandi, tondi e scuri, con un sacco di ciglia, al punto che Kayla si lamentava sempre che non era giusto che io ne avessi abbastanza per tre ragazze e lei soltanto poche, corte e bionde (e a quel proposito… mi mancava Kayla, soprattutto quel giorno, mentre mi preparavo ad andare a scuola senza di lei. Magari dopo potevo chiamarla. O mandarle un'e-mail. O… mi ricordai del commento fatto da Heath riguardo alla festa e decisi che forse era meglio di no). Comunque, il Marchio faceva in qualche modo sembrare i miei occhi persino più grandi e più scuri. Li evidenziai con un ombretto grigio fumo con dentro dei brillantini d'argento. Non in modo pesante come quelle perdenti che credono che darci dentro con l'eyeliner le faccia sembrare una meraviglia. Figuriamoci. Sembrano dei panda spaventosi. Resi meno netta la riga, aggiunsi il mascara, misi un po' di terra abbronzante e poi il lucidalabbra (per nascondere il fatto che mi ero mordicchiata le labbra per il nervosismo). Quindi mi guardai. Per fortuna i capelli erano a posto e anche la punta a V sulla fronte non stava dritta in piedi come faceva ogni tanto. Continuavo a sembrare… mmm… diversa, ma la stessa. L'effetto del Marchio sulla mia faccia non era scomparso. Metteva in risalto tutto ciò che nei miei lineamenti era etnico: gli occhi scuri, gli zigomi alti da cherokee, il naso dritto e orgoglioso, persino il colore olivastro della carnagione che mi veniva dalla nonna. Il Marchio color zaffiro della Dea pareva aver premuto un interruttore e illuminato quei tratti; aveva liberato la ragazza cherokee che era in me, consentendole di mostrarsi e splendere. «I tuoi capelli sono magnifici.» Stevie Rae entrò in camera asciugandosi i corti riccioli biondi. «Magari anche i miei stessero a posto quando sono lunghi! Invece s'increspano e sembrano la coda di un cavallo.» «A me piacciono i tuoi capelli corti», replicai facendole spazio e prendendo le mie favolose ballerine di vernice nera. «Sì, be', qui mi fanno sentire una diversa. Hanno tutti i capelli lunghi.» «L'ho notato, ma non ho capito perché.» «È una delle cose che succedono quando avviene la Trasformazione. I capelli dei vampiri crescono con una velocità incredibile e lo stesso vale per le unghie.» Cercai di non rabbrividire al ricordo dell'unghia di Afrodite che tagliava jeans e pelle. Per fortuna Stevie Rae non aveva idea di cosa mi passasse per la testa e continuò: «Vedrai. Dopo un po' non avrai più bisogno di guardare il simbolo per sapere a che anno sono gli altri. Comunque tutte queste cose te le insegnano a Sociologia Vampira. Oh! Questo mi fa venire in mente…» Scartabellò tra i fogli sulla scrivania finché non trovò quello che cercava e me lo tese. «Questo è il tuo orario. Abbiamo insieme la terza e la quinta ora. Controlla l'elenco dei complementari che hai alla seconda. Puoi scegliere quello che vuoi.» In cima all'orario c'era la data d'iscrizione, che era di cinque (?!) giorni prima che il Rintracciatore mi Segnasse. ZOEY REDBIRD, ISCRITTA ALLA TERZA CLASSE Prima ora Sociologia Vampira 101. Aula 215, prof Neferet Seconda ora Recitazione 101. Centro Arti e Spettacolo, prof Nolan oppure Disegno 101. Aula 312, prof Doner oppure Introduzione alla Musica. Aula 314, prof Vento Terza ora Letteratura 101. Aula 214, prof Pentesilea Quarta ora Scherma. Palestra, prof D. Lankford PAUSA PRANZO Quinta ora Spagnolo 101. Aula 216, prof Garmy Sesta ora Introduzione agli Studi Equestri. Scuderie, prof Lenobia «Niente geometria?» sbottai, sconvolta dall'orario ma tentando comunque di mantenere un atteggiamento positivo. «Grazie al cielo no. Il prossimo semestre inizieremo economia, ma non credo possa essere altrettanto terribile.» «Scherma? Introduzione agli Studi Equestri?» «Te l'ho detto che vogliono tenerci in forma. Scherma è bella, anche se difficile. Io non sono tanto brava, ma ti mettono spesso in coppia con altri studenti più esperti che fanno un po' da insegnanti coetanei e alcuni di quei ragazzi, wow, sono davvero fighi da morire! Io questo semestre non faccio equitazione: mi hanno messa a Tae Kwan Do, e devo dirti che mi piaaace un sacco!» «Davvero?» commentai dubbiosa. Come diavolo saranno le lezioni di equitazione? «Già! Quale complementare pensi di scegliere?» Riguardai l'elenco. «Tu quale fai?» «Introduzione alla Musica. Il professor Vento è super e io…» Stevie Rae sorrise e arrossì. «Be', io voglio diventare una star della musica country. Voglio dire, Kenny Chesney, Faith Hill, Shania Twain sono tutti vampiri e ne ho nominati solo tre, ma sai, Garth Brooks è cresciuto proprio qui in Oklahoma e lui è il più super vamp di tutti. Perciò non vedo perché non potrei diventare una di loro anch'io.» «Mi pare del tutto logico», replicai. Perché no? «Vieni a fare musica con me?» «Sarebbe divertente se sapessi cantare o suonare qualcosa che somigli anche vagamente a uno strumento, ma sono negata.» «Oh, be', allora forse è meglio di no.» «A dire il vero stavo pensando al corso di Recitazione. Alla mia vecchia scuola lo facevo ed era okay. Sai qualcosa del professor Nolan?» «Sì, è una donna, viene dal Texas e ha un accento fortissimo, ma ha studiato recitazione a New York e piace a tutti.» Quando Stevie Rae menzionò l'accento della prof, quasi scoppiai a ridere. Lei parlava così tanto nel naso che sembrava la pubblicità della vita in campagna, ma non volevo offenderla facendoglielo notare. «Allora che Recitazione sia!» «Okay, prendi l'orario e andiamo. Ehi, magari sarai la prossima Nicole Kidman!» aggiunse mentre uscivamo dalla stanza e ci fiondavamo giù dalle scale. Be', immagino che essere la prossima Nicole Kidman non sarebbe male (anche se non è esattamente nei miei piani sposare un tipo bassottello e maniacale per poi divorziare). Non appena ne ebbe parlato Stevie Rae, mi venne in mente che non avevo più pensato molto alla mia futura carriera da quando il Rintracciatore aveva gettato la mia vita nel caos più totale, ma, adesso che ci riflettevo, volevo ancora diventare veterinario. Un obeso gatto bianco e nero a pelo lungo scattò sui gradini davanti a noi, all'inseguimento di un micio più piccolo che sembrava il suo clone. Con tutti quei gatti in giro poteva proprio esserci necessità di vampiri veterinari (hi hi! Vamp vet… avrei potuto chiamarla così la mia clinica per animali, Vamp Vet, e nella pubblicità scrivere: «Prelievi di sangue gratuiti»!) Cucina e salotto erano pieni di ragazze che mangiavano, chiacchieravano e camminavano in tutta fretta. Cercavo di rispondere ai saluti che ricevevo mentre Stevie Rae mi presentava a quello che sembrava un flusso continuo e confuso di ragazze, allo stesso tempo cercavo di restare concentrata sulla ricerca di una scatola di Conte Chocula. La trovai quando stavo cominciando a preoccuparmi, nascosta dietro a parecchie grandi confezioni di Frosted Flakes (non male come seconda scelta, anche se, be', non sono al cioccolato e non hanno quelle squisite caramelline morbide). Stevie Rae si versò una ciotola di Lucky Charms e ci appollaiammo al tavolo della cucina, mangiando a razzo. «Ciao, Zoey!» Quella voce. Sapevo chi era prima di vedere Stevie Rae abbassare la testa e mettersi a fissare la ciotola di cereali. Cercai di sembrare indifferente. «Ciao, Afrodite.» «Nel caso non ci vedessimo in giornata, volevo essere sicura che sapessi dove andare stasera. Il Rituale della Luna Piena delle Figlie Oscure inizierà alle quattro del mattino, appena dopo il rito della scuola. Ti perderai la cena, ma non devi preoccuparti, perché ti daremo da mangiare noi. Oh, si tiene nella sala di ricreazione vicino al muro a est. Se vuoi ci troviamo davanti al tempio di Nyx prima del rito della scuola, così possiamo entrare insieme e dopo ti accompagno io.» «Veramente ho già promesso a Stevie Rae di andare con lei.» Detesto le persone invadenti. «Giààà, mi spiace.» Fui contenta di vedere che Stevie Rae aveva rialzato la testa. «Ehi, tu sai dov'è la sala ricreazione, vero?» chiesi a Stevie Rae col tono più vivacemente stupido che mi riusciva. «Certo.» «Allora puoi farmi vedere come arrivarci, giusto? E questo significa che Afrodite non deve preoccuparsi che mi perda.» «Qualunque cosa pur di rendermi utile», cinguettò Stevie Rae che sembrava tornata normale. «Problema risolto», dissi con un sorrisone ad Afrodite. «Okay. Benissimo. Ci vediamo alle quattro. Non fare tardi.» Se ne andò di scatto. «Ancora un po' che sculetta finisce per rompere qualcosa», commentai. Stevie Rae sbuffò e quasi le uscì il latte dal naso. «Non farlo più mentre mangio!» disse tossendo dalle risate. Poi inghiottì e mi sorrise. «Non hai lasciato che ti desse ordini.» «Neanche tu.» Mangiai di gusto l'ultima cucchiaiata di cereali. «Pronta?» «Pronta. Okay, la prima ora sarà facile perché la tua aula è vicina alla mia. Tutte le lezioni fondamentali di terza sono nello stesso corridoio. Vieni, t'indirizzo dalla parte giusta e sei a posto.» Sciacquammo i piatti e li ficcammo in una delle cinque lavastoviglie, quindi corremmo fuori nell'oscurità di una bella sera d'autunno. Diavolo, era strano andare a scuola la sera, anche se il mio organismo diceva che era tutto normale. Seguimmo la fila di studenti oltre una delle pesanti porte di legno. «Il corridoio di terza è proprio qui.» Stevie Rae mi guidò in cima a una piccola rampa di scale. «Quello è il bagno?» chiesi mentre superavamo in fretta delle fontane poste tra due porte. «Già! E questa è la mia classe. La tua è la prossima. Ci vediamo dopo la lezione!» «Okay, grazie», gridai. Almeno il bagno era vicino. Se mi fosse venuto un attacco fulminante di diarrea nervosa, non avrei dovuto fare molta strada. 12 «Zoey! Vieni qui!» Quasi piansi di sollievo quando udii la voce di Damien e lo vidi agitare la mano in direzione di un banco vuoto accanto al suo. «Ciao.» Mi sedetti e gli sorrisi, piena di gratitudine. «Sei pronta per il tuo primo giorno?» No. «Sì.» Avrei voluto dire qualcosina di più, ma proprio in quel momento una campanella suonò cinque volte e, mentre spariva l'eco di quel suono, Neferet entrò nell'aula. Indossava una lunga gonna nera sollevata di lato per lasciar vedere un paio di splendidi stivali col tacco a spillo e un golf di seta viola scuro. Sopra al seno sinistro, ricamata in argento, c'era l'immagine di una dea con le braccia alzate e le mani che sostenevano una mezzaluna. I capelli rossi erano legati in una folta treccia e la serie di delicati tatuaggi che le incorniciava il viso la faceva sembrare un'antica sacerdotessa guerriera. Ci sorrise e percepii che tutta la classe era affascinata dal suo potere quanto me. «Buona sera! Non vedevo l'ora d'iniziare questo modulo, perché l'approfondimento della ricca sociologia delle amazzoni è uno dei miei argomenti preferiti.» Poi m'indicò. «Per questo sono felice che Zoey Redbird si sia unita a noi proprio oggi. Io sono il mentore di Zoey, quindi mi aspetto che i miei studenti le diano il benvenuto. Damien, per favore, vorresti prendere un libro di testo per Zoey? Il suo armadietto è vicino al tuo. E, mentre le spieghi il nostro sistema di armadietti e contenitori, voglio che gli altri scrivano quali idee preconcette hanno delle antiche guerriere vampire note come amazzoni.» Ci fu il tipico rumore di fogli scartabellati e mormorio di studenti, nel frattempo Damien mi portò in fondo alla classe, dove c'era una parete di armadietti e aprì quello con sopra il numero 12 in argento. Dentro c'erano dei ripiani ampi e ordinati pieni di libri di testo e cancelleria varia. «Nella Casa della Notte non ci sono lucchetti come nelle scuole normali. Questa della prima ora è la nostra aula principale dove abbiamo un armadietto ciascuno. La stanza è sempre aperta, quindi puoi venirci a recuperare libri o quello che ti serve proprio come facevi nel corridoio della tua vecchia scuola. Tieni, questo è il testo di sociologia.» Mi tese un librone di pelle con stampato in copertina il profilo della Dea e il titolo: Sociologia Vampira 101. Presi un blocco per appunti e un paio di penne. Chiusi lo sportello, poi esitai. «Quindi non ci sono serrature né niente?» «No.» Damien abbassò la voce. «Qui non servono, perché, se qualcuno ruba qualcosa, i vampiri lo sanno. Non voglio neanche pensare cosa succederebbe a chi fosse tanto stupido da fare una cosa simile.» Tornammo ai nostri posti e cominciai a scrivere l'unica cosa che sapevo sulle amazzoni – che erano donne guerriere che non avevano molto bisogno degli uomini – ma non ci mettevo la testa. Continuavo a pensare come mai Damien, Stevie Rae e persino Erin e Shaunee andassero in paranoia all'idea di mettersi nei guai. Voglio dire, sono una brava ragazza… okay, non perfetta, ma insomma… Fino a quel momento ero stata trattenuta a scuola in punizione soltanto una volta, e anche lì non per colpa mia. Davvero. Uno stronzo mi aveva detto di succhiargli l'uccello, e io cos'avrei dovuto fare? Piangere? Ridacchiare? Mettere il broncio? Mmm… no… Perciò gli avevo dato un ceffone e a essere punita ero stata io. Comunque non era andata poi così male, perché avevo fatto i compiti e iniziato a leggere il nuovo Gossip Girls. Evidentemente alla Casa della Notte la punizione prevedeva qualcosa di più dell'essere trattenuti in classe con un insegnante per quarantacinque minuti di «silenzio» dopo la scuola. Dovevo ricordarmi di chiedere a Stevie Rae… «Prima di tutto, quali aspetti delle tradizioni amazzoni pratichiamo ancora qui alla Casa della Notte?» chiese Neferet, riportando la mia mente a lezione. Damien alzò la mano. «L'inchino in segno di rispetto, col pugno sul cuore, deriva dalle amazzoni, e lo stesso vale per il modo in cui ci diamo la mano, stringendoci l'avambraccio.» «Giusto, Damien.» Ah. Questo spiegava lo strano gesto di saluto. «Allora, quali idee preconcette avete sulle guerriere amazzoni?» domandò Neferet alla classe. «Le amazzoni avevano una società profondamente matriarcale, tipica di tutte le civiltà vampire», disse una bionda seduta dall'altra parte della stanza. Cavolo, sembrava intelligente. «Questo è vero, Elizabeth, ma quando la gente parla delle amazzoni, tende ad aggiungere un'aura di leggenda alla storia. Cosa intendo con questo?» «Be', la gente – soprattutto gli umani – pensano che le amazzoni odiassero gli uomini», rispose Damien. «Proprio così. Ciò che sappiamo è che, solo perché la loro società era matriarcale, come la nostra, non significa automaticamente che fosse sessista nei confronti dei maschi. Persino Nyx ha un consorte, il dio Èrebo, cui è devota. Le amazzoni, però, erano uniche poiché avevano scelto di difendersi e proteggersi da sole. Come molti di voi già sanno, la nostra società odierna è ancora matriarcale, ma rispettiamo e apprezziamo i Figli della Notte, li consideriamo nostri protettori e consorti. Adesso aprite il libro al capitolo tre e studiamo la figura di Pentesilea, la più grande delle guerriere amazzoni. Ma badate a tenere separate nella vostra mente la leggenda e la storia.» E da lì Neferet si lanciò in una delle lezioni più interessanti che avessi mai ascoltato. Non mi accorsi neanche che era passata un'ora e il suono della campanella fu una vera sorpresa. Avevo appena rimesso il libro di sociologia nel mio cestone (okay, lo so che Neferet e Damien li chiamavano armadietti, ma su, dai… mi facevano proprio venire in mente i cestoni che usavamo all'asilo) quando Neferet mi chiamò. Afferrai un blocco e una penna e corsi alla cattedra. «Come stai?» mi chiese con un caldo sorriso. «Bene. Tutto okay.» Mi guardò inarcando un sopracciglio. «Be', immagino di essere nervosa e confusa.» «È ovvio che tu lo sia. Ci sono tante cose da imparare, e cambiare scuola è sempre difficile… figuriamoci cambiare anche vita.» Spostò lo sguardo oltre la mia spalla. «Damien, accompagneresti Zoey a Recitazione?» «Certo», rispose subito Damien. «Zoey, noi ci vediamo stasera al Rito. Oh, Afrodite ti ha fatto l'invito formale di unirti alle Figlie Oscure nella cerimonia privata che seguirà?» «Sì.» «Volevo controllare con te e accertarmi che ti stesse bene andarci. Ovviamente capirei la tua reticenza, ma t'incoraggio lo stesso a partecipare; voglio che sfrutti tutte le opportunità che ci sono qui e le Figlie Oscure sono un'associazione esclusiva. È un onore che si siano già interessate a te come possibile neofita.» «Mi sta bene andare.» Costrinsi voce e sorriso a sembrare disinvolti. Era ovvio che si aspettava che partecipassi al loro rito e l'ultima cosa che volevo era che Neferet fosse dispiaciuta di me. E poi per niente al mondo avrei fatto qualcosa che facesse pensare ad Afrodite che avevo paura di lei. «Benissimo», commentò con entusiasmo Neferet. Mi strinse la mano e automaticamente le sorrisi. «Se hai bisogno di me, il mio ufficio si trova nella stessa ala dell'infermeria.» Osservò la mia fronte. «Vedo che i punti si sono assorbiti quasi del tutto. Eccellente. Ti fa ancora male la testa?» D'istinto le mie dita sfiorarono la tempia. Sentivo pizzicare ancora soltanto un paio di punti, quando fino al giorno prima erano almeno dieci. Molto, molto strano. E, ancora più strano, quel mattino era la prima volta che pensavo alla mia ferita. Mi resi conto che non avevo pensato neanche alla mamma, né a Heath o alla nonna… «No», replicai, accorgendomi che Neferet e Damien stavano aspettando una risposta. «No, no, la testa non mi fa più male. Per niente.» «Bene! Voi due farete meglio ad andare o arriverete in ritardo. Ti piacerà Recitazione. Credo che la professoressa Nolan abbia appena iniziato a lavorare sui monologhi.» Ero già a metà del corridoio e mi affrettavo per star dietro a Damien, quando mi resi conto della cosa. «Come faceva a sapere che avrei scelto Recitazione? L'ho deciso appena stamattina!» «A volte i vampiri adulti sanno decisamente troppo», sussurrò Damien. «Cancella quello che ho detto. I vampiri adulti sanno sempre troppo, a maggior ragione quando si tratta della Somma Sacerdotessa.» Alla luce di quello che non avevo detto a Neferet, preferivo non pensarci. «Ma ciaaao, ragazzi!» Stevie Rae arrivò come un ciclone. «Com'è stata SocioVamp? Avete iniziato le amazzoni?» «È stata grandiosa.» Ero felice di cambiare argomento e accantonare per un po' i misteri dei vampiri. «Non avevo idea che si tagliassero davvero il seno destro perché gli dava fastidio.» Stevie Rae si guardò il petto. «Non ne avrebbero avuto bisogno se fossero state piatte come me.» «O me», sospirò Damien con aria teatrale. Stavo ancora sogghignando quando lui m'indicò l'aula di Recitazione. La professoressa Nolan non trasudava forza e potere come Neferet, piuttosto energia. Aveva un fisico atletico, eppure allo stesso tempo il suo corpo era stranamente a forma di pera, mentre i capelli castani erano lunghi e lisci. E Stevie Rae aveva detto la verità: aveva un accento texano davvero terribile. «Zoey, benvenuta! Siediti dove vuoi.» Salutai e presi posto vicino alla Elizabeth che aveva parlato a lezione di Socio Vamp. Aveva un'aria abbastanza amichevole e sapevo già che era intelligente (non fa mai male stare seduti vicino a ragazzi intelligenti.) «Stavamo per iniziare a scegliere il monologo che ciascuno di voi presenterà alla classe la settimana prossima. Prima, però, penso possa farvi piacere avere una dimostrazione di come si recita, perciò ho chiesto al vostro talentuoso compagno della classe superiore di fermarsi con noi e recitare il famoso monologo dell'Otello, scritto dall'antico drammaturgo vampiro William Shakespeare.» La professoressa Nolan s'interruppe e guardò oltre il vetro della porta. «Eccolo che arriva.» Lui entrò e, oh buon Dio caro, credetti che il cuore mi si fosse fermato. Di certo rimasi a bocca spalancata come un'idiota. Era il ragazzo più meravigliosamente stupendo che avessi mai visto. Era alto e aveva capelli scuri che si arricciavano alla Superman. Adorabile. E gli occhi erano di un incredibile azzurro zaffiro e… Oh. Diavolo! Diavolo! Diavolo! Era il ragazzo del corridoio. «Vieni, Erik. Come sempre il tuo tempismo per l'entrata è perfetto. Siamo pronti per il tuo monologo.» La professoressa Nolan tornò a rivolgersi alla classe con un gran sorriso. «La maggior parte di voi conosce Erik Night, l'allievo di quinta che lo scorso anno ha vinto la gara di monologhi che la Casa della Notte tiene a livello mondiale, le cui finali si sono svolte a Londra. Sta anche creando scalpore a Hollywood, oltre che a Broadway, per la sua interpretazione di Tony nel West Side Story che la scuola ha prodotto lo scorso semestre.» Come se di colpo mi fossi tramutata in un automa, applaudii col resto degli studenti. Sorridente e sicuro, Erik salì sul piccolo palco al centro della grande aula. «Ciao, ragazzi, come va?» Parlò rivolgendosi a me. Intendo proprio rivolgendosi a me. Sentivo che la faccia mi andava in ebollizione. «I monologhi possono mettere paura, ma il trucco sta nel cominciare immaginando di recitare con un intero cast di attori. Costringetevi a pensare di non essere soli là sopra, in questo modo…» E cominciò il monologo dell'Otello. Non so molto della tragedia di Shakespeare, ma l'interpretazione di Erik fu stupefacente. Lui era alto, probabilmente più di uno e ottanta, ma, quando cominciò a parlare, sembrò diventare ancora più alto, più grande e più forte. La voce si fece più profonda e prese un'inflessione che non riuscii a classificare. I suoi incredibili occhi diventarono più scuri e le palpebre si strinsero in una fessura; quando pronunciò il nome di Desdemona fu come se pregasse. Era evidente che l'amava, anche prima che recitasse le battute conclusive: Mi amava per i pericoli che avevo affrontato, e io amavo che lei ne provasse pietà. Mentre pronunciava quell'ultima frase i suoi occhi si fermarono nei miei e, proprio come in corridoio il giorno prima, sembrò non esserci nessun altro nella stanza, nessun altro al mondo. Sentii un brivido nel profondo, una sensazione molto simile a quella provata le due volte che avevo sentito l'odore del sangue dopo che ero stata Segnata, solo che in quel momento di sangue non ce n'era. C'era solo Erik. E poi mi sorrise, si sfiorò le labbra con le dita come se mi stesse mandando un bacio e fece l'inchino. Tutti si misero ad applaudire come matti, inclusa me. Davvero. Non riuscii a evitarlo. «Bene, è così che si fa», commentò la Nolan. «Dunque, ci sono copie di monologhi sugli scaffali rossi in fondo all'aula. Prendete dei libri ciascuno e cominciate a dare un'occhiata. Quello che dovete cercare è una scena che per voi abbia un significato, che tocchi qualche punto della vostra anima. Io girerò tra i banchi per rispondere a qualunque domanda sui brani che vi sembrano interessanti e, una volta che avrete scelto il pezzo, vi spiegherò i passi che dovrete fare per preparare la vostra presentazione.» Con un sorriso e un cenno del capo pieni di energia, c'indicò di cominciare a sfogliare la carrettata di testi. Mi sentivo ancora rossa come un peperone e a corto di fiato, ma mi alzai con gli altri, anche se non riuscii a non sbirciare Erik da dietro la spalla. Stava uscendo (purtroppo) dall'aula, ma prima si voltò e mi beccò a guardarlo come una tonta. Arrossii (ancora), lui incrociò il mio sguardo e mi sorrise (ancora), poi se ne andò. «Che bonazzo strafigo», mi bisbigliò all'orecchio qualcuno. Mi voltai e mi stupii vedendo che Miss Studentessa Perfetta Elizabeth fissava Erik facendosi vento. «Non ce l'ha la ragazza?» chiesi da idiota totale. «Solo nei miei sogni. A dire il vero corre voce che lui e Afrodite stessero assieme, ma io sono qui da qualche mese e, quando sono arrivata, tra loro era già finita. Ecco qui.» Mi diede un paio di volumi di monologhi. «Io sono Elizabeth, niente cognome.» La mia faccia era un punto interrogativo. Sospirò. «Di cognome facevo Titsworth. Hai idea di che vuol dire chiamarsi 'bella zinna'? Quando sono arrivata e il mio mentore mi ha detto che potevo cambiarmi il nome in quello che volevo, sapevo che mi sarei liberata di Titsworth, ma ho trovato la scelta di un cognome nuovo un po' troppo stressante, perciò ho deciso di farne a meno e tenermi solo il nome.» Elizabeth Niente Cognome fece spallucce. «Be', piacere di conoscerti.» Certo che ce n'erano di tipi strani in quel posto. «Ehi, Erik ti guardava», riprese mentre tornavamo a sedere. «Ma no, guardava tutti», dissi, anche se sentivo che la mia stupida faccia diventava ancora più rossa e bollente. «Certo, ma te ti guardava sul serio.» Sorrise e aggiunse: «Oh, trovo che il tuo Marchio completo sia favoloso». «Grazie.» Probabilmente faceva un effetto assurdo sullo sfondo color peperone. «Zoey, hai domande su come scegliere il monologo?» chiese la Nolan facendomi sobbalzare. «No, professoressa. L'ho già fatto al corso di recitazione della mia scuola di prima.» «Molto bene. Dimmi se posso darti dei chiarimenti sull'ambientazione o sul personaggio.» Mi assestò una pacchetta sul braccio e riprese a girare tra i banchi. Aprii il primo libro e tentai (senza successo) di dimenticare Erik e concentrarmi sui testi. Era vero, mi aveva guardata sul serio. Ma perché? Doveva aver capito che ero io in corridoio, quindi che tipo d'interesse stava mostrando verso di me? E volevo piacere a un tipo che si era fatto fare un pompino da quell'odiosa di Afrodite? Probabilmente non avrei dovuto. Voglio dire, di certo non avevo intenzione di riprendere da dove aveva lasciato lei. O magari era solo incuriosito dal mio strano Marchio già bell'e colorato, come tutti del resto. Ma non era sembrato così. Era sembrato che stesse proprio guardando me. E mi era piaciuto. Tornai a studiare il libro che avevo ignorato. La pagina era aperta al capitolo: «Monologhi femminili drammatici», e il primo era tratto da Siempre en ridìculo, di José Echegaray. Be', che diavolo. Probabilmente era un segno. 13 In realtà trovai da sola l'aula di Letteratura. Okay, era proprio vicino alla stanza di Neferet, ma mi sentivo comunque meglio a non dover chiedere di farmi accompagnare in giro come il tipico nuovo arrivato idiota. «Zoey! Ti abbiamo tenuto il pooosto!» gridò Stevie Rae non appena misi piede in classe. Era seduta accanto a Damien e praticamente saltellava per l'eccitazione, sembrando di nuovo un cucciolo felice, cosa che mi fece sorridere. Ero davvero contenta di vederla. «Dai, dai, dai! Dimmi tutto! Com'era Recitazione? Ti è piaciuto? Ti piace la professoressa Nolan? Il suo tatuaggio non è una favola? Mi fa venire in mente una maschera… più o meno.» Damien la prese per il braccio. «Respira e lascia che la ragazza risponda.» «Scusa», replicò imbarazzata Stevie Rae. «I tatuaggi della Nolan saranno di certo una favola», ribattei. « Saranno? Ma non li hai guardati?» «Be', ero distratta.» Si stupì, poi i suoi occhi si strinsero a fessura. «Cosa? Qualcuno ti ha messa in imbarazzo per il tuo Marchio? Certa gente è proprio truce.» «No, no, niente del genere. Anzi, quella Elizabeth Niente Cognome ha detto che le sembrava favoloso. Ero distratta perché, be'…» Mi sentivo di nuovo la faccia in fiamme. Avevo deciso di raccontargli di Erik, ma adesso che avevo cominciato a parlare mi chiedevo se facevo bene. Dovevo dirgli anche del corridoio? Damien si rianimò. «Sento che è in arrivo qualcosa di succoso. Avanti, Zoey. Eri distratta perchééé?» «Okay, okay. Posso riassumere la questione in due parole: Erik Night.» La bocca di Stevie Rae si spalancò di botto e Damien finse uno svenimento, ma dovette raddrizzarsi subito, perché in quel momento suonò la campanella e la professoressa Pentesilea entrò in aula. «Dopo!» mormorò Stevie Rae. «Assolutamente!» rincalcò Damien. Feci un sorriso innocente. Se non altro ero certa che l'attesa li avrebbe fatti impazzire. La lezione di Letteratura fu un'esperienza. Prima di tutto, la classe in sé era completamente diversa da quelle che avevo visto. Poster, dipinti strani e interessanti e quelle che sembravano opere d'arte originali riempivano ogni centimetro delle pareti. E dal soffitto pendevano campane a vento e cristalli in grande quantità. La professoressa Pentesilea (che grazie alla lezione di SocioVamp sapevo essere il nome della più onorata delle amazzoni), che tutti chiamavano prof P, sembrava il personaggio di un film (sì, be', di quelli che danno su SciFi Channel). Aveva lunghissimi capelli biondo rossiccio, grandi occhi nocciola e un corpo pieno di curve che con ogni probabilità faceva sbavare tutti i maschi (non che sia difficile far sbavare degli adolescenti). I suoi tatuaggi erano dei minuscoli ed eleganti nodi celtici che le incorniciavano il viso e gli zigomi, che così sembravano alti e marcati. Portava calzoni sportivi neri a vita bassa dall'aria costosa e un cardigan di seta color muschio con ricamata sul petto la stessa immagine della dea che aveva Neferet. E, adesso che pensavo a un argomento diverso da Erik, mi resi conto che lo stesso ricamo spiccava anche sul taschino della camicia della Nolan. Mmm… «Sono nata nell'aprile del 1902», esordì la professoressa Pentesilea catturando subito la nostra attenzione. Cioè, insomma, a malapena le davi trent'anni. «Perciò avevo dieci anni nell'aprile del 1912 e mi ricordo molto bene la tragedia. Di cosa sto parlando? Qualcuno di voi ha un'idea?» Okay, sapevo esattamente di cosa stava parlando, ma non perché sia una sfigata senza speranza che studia storia da mattina a sera. È perché quando ero più giovane pensavo di essere innamorata di Leonardo Di Caprio, e per il mio dodicesimo compleanno la mamma mi aveva preso la collezione completa dei suoi film in DVD. E quel film in particolare l'avevo visto talmente tante volte che ancora me lo ricordavo quasi tutto a memoria (e non sto a dire quante volte ho pianto come una disperata quando lui viene portato via dalle onde come un adorabile ghiacciolo). Mi guardai intorno. Nessun altro sembrava avere idee in proposito, quindi sospirai e alzai la mano. La prof P sorrise e mi sollecitò a rispondere. «Sì, signorina Redbird?» «Nell'aprile del 1912 è affondato il Titanic. È stato colpito da un iceberg la sera tardi del 14, ed è affondato giusto qualche ora dopo, il 15.» Sentii Damien inspirare accanto a me e il piccolo ooh soffocato di Stevie Rae. Diavolo, mi ero comportata così da scema che si stupivano nel sentirmi dare una risposta giusta? «Adoro quando un novizio appena arrivato sa qualcosa», disse la prof. «Tutto perfetto, signorina Redbird. All'epoca della tragedia io vivevo a Chicago e non dimenticherò mai gli strilloni che urlavano la tragica notizia agli angoli delle strade. Fu un fatto orribile, soprattutto perché la perdita di vite sarebbe stata evitabile, e segnò la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra, oltre che determinare l'introduzione di molti cambiamenti necessari nel diritto marittimo. Studieremo tutto questo, oltre ai fatti deliziosamente melodrammatici di quella notte, nel nostro prossimo testo letterario, Titanic. La vera storia, libro che Walter Lord ha scritto in base a meticolose ricerche. Benché Lord non fosse un vampiro – e questo è un vero peccato – trovo comunque la sua descrizione di quella notte molto avvincente e il suo stile e il tono della scrittura interessanti e leggibili. Okay, cominciamo! Gli ultimi prendano i libri per l'intera fila dall'armadietto lungo in fondo alla classe.» Wow, fantastico! Era decisamente più interessante che leggere Grandi speranze (Pip, Estrella… chissene frega?!) Mi sistemai con la mia copia di Titanic. La vera storia e il blocco aperto per prendere appunti. La prof P cominciò a leggerci ad alta voce il primo capitolo, e lo faceva davvero bene. Tre ore di lezione quasi finite e mi erano piaciute tutte. Era mai possibile che quella scuola di vampiri fosse davvero qualcosa di più del posto noioso dove andavo ogni giorno solo perché dovevo e perché, inoltre, ci andavano tutti i miei amici? Non che tutte le lezioni alla mia vecchia scuola fossero state noiose, ma di certo non avremmo studiato le amazzoni e il Titanic (spiegato da un'insegnante che era già viva quand'era affondato!) Mentre la prof leggeva, mi guardai intorno osservando gli altri studenti. Eravamo una quindicina, come, mi pareva, anche negli altri corsi. Avevano tutti il libro aperto e stavano attenti. Poi con la coda dell'occhio intravidi qualcosa di rosso e cespuglioso dall'altra parte della stanza, vicino al fondo. Avevo parlato troppo presto: non tutti i ragazzi stavano attenti. Quello aveva la testa appoggiata sulle braccia e dormiva come un sasso, cosa di cui mi ero resa conto perché la sua faccia grassoccia, troppo bianca e piena di lentiggini, era girata verso di me. Aveva la bocca aperta e penso che stesse persino sbavando un po'. Mi chiesi cosa gli avrebbe fatto la prof. Non sembrava il tipo da restare imperturbabile con uno scansa che ronfa in fondo all'aula, ma continuò la lettura, intervallandola con interessanti aneddoti di prima mano riguardo l'inizio del XX secolo, cosa che mi piacque molto (soprattutto quando parlò delle maschiette. Lo sarei stata senz'altro anch'io, se fossi vissuta negli anni '20). Fu soltanto quando la campanella stava per suonare e ci era già stato assegnato di compito il capitolo successivo che la prof agì come se finalmente si fosse accorta del ragazzo che dormiva. Lui aveva cominciato a stiracchiarsi, quindi aveva sollevato la testa mostrando il segno rosso sulla tempia che indicava dove si era appoggiato sul braccio e che sembrava incredibilmente fuori posto accanto al Marchio. «Elliott, ti devo parlare», disse la prof P da dietro la cattedra. Il rosso si prese tutto il tempo possibile per alzarsi e raggiungerla, strascicando i piedi nelle scarpe mal tenute. «Sììì?» «Elliott, tu ovviamente sarai bocciato al corso di Letteratura, ma la cosa più importante è che anche la vita ti boccerà. I vampiri maschi sono forti, stimabili e unici. Sono i nostri guerrieri e protettori da infinite generazioni. Come puoi pensare di Trasformarti in un essere che è più guerriero che uomo se non riesci a mettere in pratica neppure l'autocontrollo necessario a stare sveglio in classe?» Si strinse nelle spalle dall'aria deboluccia. L'espressione della prof s'indurì. «Ti darò la possibilità di recuperare lo zero che hai preso oggi per la mancata partecipazione in classe scrivendo un breve saggio su un argomento a tua scelta che fosse importante nell'America dell'inizio del XX secolo. Da consegnare domani.» Senza neanche replicare, il ragazzo cominciò a voltarsi. «Elliott.» La prof abbassò la voce e, decisamente seccata, la modulò in modo che mettesse molta più paura di quanto non avesse fatto mentre leggeva e spiegava. Percepivo la forza che irradiava e mi domandai se avrebbe mai potuto avere bisogno di un maschio che la proteggesse. Il rosso si fermò e si girò per affrontarla. «Non ti avevo detto che te ne potevi andare. Cos'hai deciso di fare riguardo al compito per rimediare allo zero di oggi?» Lui si limitò a starsene lì senza dire niente. «A questa domanda serve una risposta, Elliott. Subito!» L'aria intorno a lei crepitava per la forza dell'ordine, facendomi pizzicare la pelle delle braccia. Il rosso, invece, sembrava non essere per niente colpito e fece di nuovo spallucce. «Probabilmente non lo farò.» «Questo la dice lunga sul tuo carattere, Elliott, e non è niente di buono. Non solo tradisci te stesso, ma tradisci anche il tuo mentore.» Ulteriore alzata di spalle, seguita da un dito nel naso. «Il Dragone sa già come sono.» La campanella suonò e la prof P, con un'espressione disgustata, fece cenno a Elliott di lasciare la stanza. Damien, Stevie Rae e io ci eravamo appena alzati e stavamo per uscire dalla porta, quando Elliott ci superò camminando ciondoloni, ma si mosse più in fretta di quanto avrei mai creduto possibile per un simile scansa. Si scontrò con Damien, che era in testa al nostro gruppetto e che, con un «oops», barcollò e quasi cadde. «Finocchio di merda, levati di mezzo», ringhiò il rosso, prendendo Damien per le spalle in modo da passare dalla porta per primo. «Dovrei fargli un culo così a quell'imbecille!» Stevie Rae si affrettò a raggiungere Damien che ci aspettava. Lui scosse il capo. «Non ti preoccupare. Quell'Elliott ha dei grossi problemi.» «Già, come avere la cacca al posto del cervello», intervenni, fissando la schiena del rosso che si allontanava. « Cacca al posto del cervello?» Damien rise e prese sottobraccio me da una parte e Stevie Rae dall'altra, accompagnandoci lungo il corridoio in stile Mago di Oz. «È questo che mi piace della nostra Zoey. Ci sa proprio fare con le volgarità.» «Cacca non è volgare», replicai sulla difensiva. «Tesoro, credo proprio che il concetto fosse quello», rise Stevie Rae. «Oh.» Risi anch'io. E mi era piaciuto proprio tanto tanto quando Damien aveva detto la «nostra» Zoey… come se appartenessi a quel gruppo e a quel luogo… come se potesse essere casa. 14 La lezione di scherma fu fantastica, e la cosa mi stupì. Si teneva fuori della palestra, in una grande stanza che sembrava uno studio di danza completo di parete a specchi. Su un lato pendevano dal soffitto degli insoliti manichini a grandezza naturale che mi fecero venire in mente dei bersagli da tiro tridimensionali. Tutti chiamavano il professore Dragone Lankford, o anche solo Dragone, e non mi ci era voluto molto per capirne il motivo: il suo tatuaggio rappresentava due dragoni i cui corpi, simili a serpenti, si avviluppavano lungo la linea della mandibola. Le teste erano al di sopra delle sopracciglia, avevano la bocca aperta e mandavano lingue di fuoco in direzione della mezzaluna sulla fronte. Era stupefacente e risultava molto difficile non guardarlo. Per di più Dragone era il primo vampiro maschio adulto che vedevo da vicino e all'inizio ero confusa. Immagino che, se mi avessero chiesto come mi aspettavo fosse un vampiro, avrei risposto l'opposto di quello che era lui. Sinceramente nella testa avevo il classico stereotipo cinematografico: alto, bello, pericoloso. Insomma, tipo Vin Diesel. Invece Dragone era basso, aveva lunghi capelli biondastri che teneva legati a coda di cavallo e (a parte il tatuaggio dall'aria feroce) aveva un bel viso dal sorriso gentile. Avevo cominciato a rendermi conto della sua forza solo quando aveva dato inizio agli esercizi di riscaldamento. Dall'istante in cui aveva impugnato la spada (che poi avrei scoperto chiamarsi épée) nel saluto tradizionale, era diventato un altro, si muoveva con una rapidità e una grazia incredibili. Fintava e faceva affondi senza il minimo sforzo apparente, facendo sembrare gli alunni – persino i ragazzi più bravi, come Damien – dei goffi burattini. Concluso il riscaldamento, Dragone aveva diviso tutti in coppie per quelli che chiamò «standard» e mi ero sentita sollevata quando aveva fatto cenno a Damien di fare coppia con me. «Zoey, è bello averti con noi alla Casa della Notte.» Dragone mi aveva stretto l'avambraccio nel tradizionale saluto delle vampire amazzoni. «Damien ti può spiegare quali sono le diverse parti della divisa da scherma e io ti darò un opuscolo da studiare nei prossimi giorni. Posso presumere che tu non abbia mai praticato questo sport?» «Sì, non l'ho mai fatto.» Poi, un po' nervosa, avevo aggiunto: «Ma sono contenta d'imparare. Voglio dire, l'idea di usare una spada è proprio forte». Dragone mi aveva corretto con un sorriso: «Fioretto, imparerai a usare un fioretto. È la più leggera delle tre armi che abbiamo e una scelta eccellente per una donna. Sapevi che la scherma è uno dei pochissimi sport in cui uomini e donne possono competere alla pari?» «No», avevo replicato interessata. Quanto sarebbe stato fantastico prendere a pedate nel didietro un maschio in uno sport?! «Questo perché uno schermidore intelligente e concentrato può compensare in modo efficace qualunque eventuale carenza lui o lei possa avere e magari addirittura trasformare queste carenze – per esempio in forza o in portata dell'allungo – in risorse positive. In altre parole, puoi non essere forte o veloce quanto il tuo avversario, ma puoi essere più intelligente o mantenere una maggiore concentrazione, e questo farà pendere la bilancia in tuo favore. Giusto, Damien?» Damien si era aperto in un mega sorriso. «Giusto.» «Damien è uno degli schermidori più concentrati cui abbia avuto il privilegio d'insegnare in decenni, e questo fa di lui un temibile avversario.» Avevo lanciato un'occhiata a Damien, che era arrossito di orgoglio e di piacere. «Ti farò allenare con lui nelle mosse di apertura per circa una settimana. Ricorda sempre che la scherma richiede l'apprendimento di tecniche che per natura sono sequenziali e gerarchiche: se non ne viene acquisita una, risulterà molto difficile padroneggiare quelle successive e lo schermidore avrà un grave svantaggio permanente.» «Okay, me lo ricorderò», avevo replicato. Dragone mi aveva rivolto un altro caldo sorriso e si era allontanato tra le coppie che si allenavano. «Quello che intendeva è che non ti devi scoraggiare o annoiare se ti farà ripetere un sacco di volte lo stesso esercizio», aveva detto Damien. «In pratica mi stai dicendo che sarà noioso ma che c'è dietro uno scopo?» «Già. E parte di quello scopo ti sarà utile per sollevare quel tuo bel sederino», aveva risposto sfrontato, assestandomi qualche lieve colpo col suo fioretto. Lo avevo spinto via alzando gli occhi al cielo, ma, dopo venti minuti di affondi e ritorno alla posizione iniziale e altri affondi e così via, avevo capito che aveva ragione. Il giorno dopo il sedere mi avrebbe fatto un male terribile. Dopo la lezione ci eravamo fatti una doccia veloce (per fortuna nello spogliatoio femminile c'erano docce singole chiuse dalla tenda e non avevamo dovuto farci una tragica e barbara doccia tutte insieme come se fossimo compagne di galera o cose simili) e poi ero andata di corsa in sala da pranzo con tutti gli altri. E dico in senso letterale, perché morivo di fame. Lì trovai un immenso buffet per prepararsi da soli mega insalate e c'era di tutto, dal tonno a quelle strane mini pannocchie che non si capisce bene cosa siano e nemmeno sanno di mais (cosa saranno di preciso? Mais neonato? Mais nano? Mais mutante?) Io mi riempii un piattone e presi un grosso pezzo di quello che dall'aspetto e dal profumo sembrava pane appena sfornato, quindi mi sedetti al nostro tavolo accanto a Stevie Rae, seguita da Damien. Erin e Shaunee stavano già begando per decidere quale dei loro compiti di letteratura fosse migliore, anche se tutt'e due avevano preso 96. «Allora, Zoey, spara. Cos'è 'sta storia di Erik Night?» chiese Stevie Rae nell'attimo in cui m'infilavo in bocca una forchettata d'insalata. Le sue parole zittirono immediatamente le gemelle e concentrarono su di me l'attenzione di tutto il tavolo. Avevo riflettuto su cosa dire di Erik, e avevo deciso che non ero pronta a raccontare a nessuno della shockante scena del pompino, perciò mi limitai a dire: «Continuava a guardarmi». Quando mi fissarono tutti con aria perplessa, capii che, con la bocca piena, in realtà dovevo aver detto: «Comtava a guddmmi». Inghiottii e ritentai. «Continuava a guardarmi. A Recitazione. È stato, non lo so, strano.» «Definisci 'guardarmi'», intervenne Damien. «Be', è successo appena ha messo piede in aula, ma è stato davvero evidente quando ci ha fatto un esempio di monologo. Ha recitato quello dell'Otello e, quand'è arrivato alle frasi sull'amore e così via, mi ha fissata proprio. Avrei pensato che fosse un caso, ma mi ha guardata anche prima d'iniziare e poi di nuovo mentre lasciava la stanza.» Sospirai, sentendomi un po' a disagio sotto i loro sguardi troppo penetranti. «Lasciate perdere. Probabilmente faceva parte della scena.» «Erik Night è il bonazzo più figo di tutta la scuola», commentò Shaunee. «Non datele ascolto: è il bonazzo più figo di tutto il pianeta», intervenne Erin. «Non più di Kenny Chesney», replicò rapida Stevie Rae. «Oh, ti prego, basta con questa ossessione per il country!» Shaunee lanciò un'occhiataccia a Stevie Rae, prima di riposare l'attenzione su di me. « Non lasciarti scappare l'occasione sotto il naso.» «Giààà», le fece eco Erin. « Non farlo.» «Lasciarmi scappare l'occasione? E cosa dovrei fare? Non mi ha neanche rivolto la parola.» «Mmm, Zoey, tesoro, hai risposto al suo sorriso?» chiese Damien. Sbattei le palpebre. Avevo risposto al suo sorriso? Ah, cavolo, avrei scommesso di non averlo fatto. Avrei scommesso di essere rimasta lì a guardarlo come un'idiota, magari sbavando persino un po'. Okay, d'accordo, non avrò sbavato, ma il concetto è chiaro. «Non lo so», risposi invece di confessare la triste verità, ma senza riuscire a convincere Damien. Lui sbuffò. «La prossima volta, sorridigli.» «E magari digli anche ciao», aggiunse Stevie Rae. «Pensavo che Erik fosse solo una bella faccia», disse Shaunee. «E un bel corpo», le fece eco Erin. «Finché non ha mollato Afrodite. Quando l'ha fatto ho pensato che il ragazzo avesse qualcosa di funzionante anche ai piani alti», continuò Shaunee. «Riguardo ai piani bassi, di dubbi non ce n'erano mai stati!» commentò Erin facendo andare su e giù le sopracciglia. «Già-giààà!» Shaunee si leccò le labbra come stesse pensando di mangiarsi un grosso pezzo di cioccolato. «Certo che voi due siete davvero oscene», disse Damien. «Vogliamo solo dire che ha il più bel culo di tutta la città, cara Miss Perbenino», lo rimbeccò Shaunee. «Come se tu non te ne fossi accorto», aggiunse Erin. «Se cominci a parlare con Erik, Afrodite s'incazzerà», intervenne Stevie Rae. Si voltarono tutti a guardarla come se avesse appena diviso il mar Rosso o robetta simile. «È vero», convenne Damien. «Più che vero», confermò Shaunee mentre Erin annuiva. «Allora, stando alle chiacchiere, lui usciva con Afrodite», m'informai. «Già», replicò Erin. «E le chiacchiere sono grottesche ma vere. Il che rende ancora più piacevole 'sto fatto che adesso gli piaci tu!» esclamò Shaunee. «Ragazzi, probabilmente guardava soltanto il mio strano Marchio», borbottai. «Magari no. Tu sei davvero carina, Zoey.» Stevie Rae fece un dolce sorriso. «O magari il tuo Marchio l'ha fatto guardare, poi ha pensato che fossi carina e ha continuato», aggiunse Damien. «Comunque sia, se ti guarda, Afrodite s'incazzerà», ripetè Shaunee. «E questa è una bella cosa», concluse Erin. Stevie Rae si dissociò dai loro commenti con un gesto della mano. «Dimenticati di Afrodite, del tuo Marchio e di tutto il resto. La prossima volta che ti sorride, salutalo. Tutto qui.» «Detto», disse Shaunee. «Fatto», fece Erin. «Okay», bofonchiai. Tornai alla mia insalata e desiderai disperatamente che la questione Erik Night fosse davvero da detto-fatto come pensavano loro. Una cosa del pranzo alla Casa della Notte era uguale anche nella mia scuola precedente o in qualunque altra scuola in cui avessi pranzato: finiva troppo presto. E la lezione di spagnolo fu un po' nebulosa. La profesora Garmy era una specie di piccola tromba d'aria ispanica. Mi piacque subito, e molto (i suoi tatuaggi sembravano piume, quindi mi fece pensare a un piccolo uccellino spagnolo), ma spiegava completamente in lingua. Completamente. Forse dovrei chiarire che dopo la terza media non avevo più fatto spagnolo e ammetto senza problemi che comunque non mi ero mai impegnata molto. Perciò mi sentivo persa, ma scrissi i compiti da fare e mi ripromisi di darci dentro coi vocaboli. Odio sentirmi persa. Introduzione agli Studi Equestri si teneva nel Capanno, che era un edificio di mattoni basso e lungo vicino al muro di cinta meridionale e attaccato a un immenso maneggio coperto. Il posto aveva quell'odore di cavallo e segatura che, mischiato al cuoio, andava a creare qualcosa di gradevole, anche sapendo che parte dell'odore «gradevole» era data dalla cacca. Di cavallo, appunto. Me ne stavo con un gruppetto di ragazzi appena dentro il recinto, dove uno studente più grande, alto e dalla faccia seria, ci aveva detto di aspettare. Eravamo solo dieci, e tutti di terza. Oh (grandioso), quella palla di Elliott testa rossa era stravaccato contro il muro e tirava calci alla segatura, sollevando abbastanza polvere da far starnutire la ragazza più vicina, che gli lanciò un'occhiataccia e si allontanò di qualche passo. Dio, ma doveva proprio dare fastidio a tutti? E perché non metteva qualcosa (magari anche solo un pettine) in quei capelli crespi? Il rumore di zoccoli distolse la mia attenzione da Elliott e mi fece alzare lo sguardo giusto in tempo per vedere una splendida giumenta nera entrare al galoppo nel recinto. Si fermò in scivolata a meno di un metro da noi e, mentre la guardavamo a bocca aperta, chi la montava scese di sella con un movimento aggraziato. Era una donna, con folti capelli lunghi fino alla vita, di un biondo talmente chiaro da sembrare quasi bianco, e occhi di un insolito grigio ardesia. Era minuta e, da come stava dritta, mi ricordò quelle ragazze talmente prese dai corsi di danza che perfino quando non stanno ballando sembra comunque che abbiano mangiato un manico di scopa. Il suo tatuaggio era formato da una complicata serie di nodi che s'intrecciavano a incorniciarle il viso e in quei disegni color zaffiro fui certa di vedere dei cavalli al galoppo. «Buona sera. Io sono Lenobia, e questo» – prima di finire la frase indicò la giumenta e diede un'occhiata sprezzante al nostro gruppetto – «è un cavallo.» La sua voce rimbalzò tra le pareti e la giumenta sbuffò quasi a sottolineare le sue parole. «E voi siete il mio nuovo gruppo di terza. Ciascuno di voi è stato scelto per questo corso perché riteniamo che possiate avere una certa attitudine per l'equitazione. La verità è che meno della metà di voi proseguirà dopo questo semestre e meno della metà di quelli che proseguiranno diventeranno davvero dei cavallerizzi decenti. Avete domande?» Non si fermò abbastanza da lasciare tempo a qualcuno di farne. «Bene. Allora seguitemi che iniziamo.» Si voltò e tornò a passo di marcia nelle scuderie. La seguimmo. Avrei voluto chiederle chi erano quelli che ritenevano che potessi avere una certa attitudine per l'equitazione, ma avevo paura di parlare, perciò le arrancai dietro come tutti gli altri. Si fermò di fronte a una fila di poste vuote, al cui esterno c'erano forconi e carriole. Lenobia si voltò a guardarci. «I cavalli non sono cani grandi. E neppure il sogno romantico da ragazzine del perfetto migliore amico che ti capisce sempre.» Due ragazze vicino a me si dimenarono con aria colpevole e Lenobia le trapassò con un lampo dei grandi occhi grigi. «I cavalli sono lavoro. I cavalli richiedono dedizione, intelligenza e tempo. Cominceremo con la parte del lavoro. Nella stanza dei finimenti là in fondo troverete degli stivali. Sceglietene un paio in fretta, poi mettetevi i guanti. Dopo di che ognuno di voi prende una posta e si dà da fare.» «Professoressa Lenobia?» intervenne una ragazza paffuta con uno splendido viso, alzando la mano un po' nervosa. «Basta Lenobia. Il nome che ho scelto in onore dell'antica regina vampira non richiede altro titolo.» Non avevo idea di chi fosse Lenobia e presi mentalmente nota di fare ricerche in proposito. «Continua, Amanda. Hai qualcosa da chiedere?» «Già, mmm, sì.» Lenobia la guardò inarcando le sopracciglia. Amanda deglutì rumorosamente. «Ci diamo da fare a fare cosa, profes…, cioè, Lenobia, signora?» «A pulire le poste, è ovvio. Lo sterco va nelle carriole e, quando sono piene, potete rovesciare il contenuto nell'area per il compostaggio sul lato delle scuderie rivolto verso il muro di cinta. Nel magazzino accanto alla stanza dei finimenti c'è della segatura. Avete cinquanta minuti. Torno tra quarantacinque a controllare il lavoro.» La fissammo tutti sbattendo le palpebre. «Potete cominciare. Subito.» Cominciammo. Okay. Sul serio. Lo so che suonerà strano, ma non mi dava fastidio pulire la mia posta. Voglio dire, lo sterco di cavallo non è poi così schifoso. Soprattutto perché era evidente che quelle poste venivano pulite più volte durante la giornata. Presi gli stivali da lavoro (che erano stivaloni di gomma assolutamente orribili che però mi coprivano i jeans fino alle ginocchia), un paio di guanti e mi misi all'opera. Ottimi altoparlanti diffondevano una musica che ero quasi certa fosse l'ultimo CD di Enya (prima di sposare John, mia mamma ascoltava Enya, ma poi lui aveva deciso che poteva essere musica da streghe e lei non l'ascoltò più, motivo per cui a me Enya era sempre piaciuta). Perciò mi ritrovai ad ascoltare le ammalianti canzoni gaeliche mentre tiravo su forconate di cacca di cavallo. Mi sembrò che fosse passato un niente quando mi ritrovai a svuotare la carriola e a riempirla di segatura pulita. La stavo giusto spargendo e lisciando nella posta quando un pizzicorino alla schiena mi disse che qualcuno mi stava osservando. «Ottimo lavoro, Zoey.» Sobbalzai, girai sui tacchi e vidi Lenobia appena fuori della mia posta. In una mano teneva una grossa spazzola morbida, nell'altra le briglie di una giumenta roana dagli occhi da cerbiatta. «L'avevi già fatto.» «Una volta mia nonna aveva un dolcissimo castrone grigio che avevo chiamato Bunny.» Quando mi resi conto di quanto suonasse stupido, ormai l'avevo detto. Con le guance in fiamme, mi affrettai a finire il discorso: «Be', avevo dieci anni allora e il suo colore mi faceva venire in mente Bugs Bunny, perciò ho cominciato a chiamarlo così e il nome è rimasto». Le labbra di Lenobia si sollevarono in un infinitesimale accenno di sorriso. «Ed era la posta di Bunny che pulivi?» «Sì. Mi piaceva montarlo e la nonna diceva che nessuno dovrebbe montare un cavallo se poi non pulisce dove sporca.» Mi strinsi nelle spalle. «Così pulivo dove sporcava.» «Tua nonna è una donna saggia.» Assentii. «E non ti dava fastidio pulire dove sporcava Bunny?» «No, per niente.» «Bene. Ti presento Persefone.» Lenobia indicò con la testa la giumenta. «Hai appena pulito la sua posta.» La cavalla entrò nel box e si diresse verso di me, mi appoggiò il muso contro la faccia e soffiò piano, facendomi il solletico. Ridacchiai, le accarezzai il naso e le stampai un bacio sul muso caldo e vellutato. «Ciao, Persefone, ma come sei bella!» Lenobia fece un cenno di approvazione mentre la cavalla e io facevamo conoscenza. «Mancano solo cinque minuti prima che suoni la campana della fine delle lezioni, perciò non è necessario che ti fermi, ma, se vuoi, credo ti sia guadagnata il privilegio di spazzolare Persefone.» Stupita, alzai gli occhi dal collo della giumenta. «Nessun problema, mi fermo», mi sentii dire. «Eccellente. Quando hai finito, puoi riportare la spazzola nella stanza dei finimenti. Ci vediamo domani, Zoey.» Lenobia mi tese la striglia, diede una pacca affettuosa alla cavalla e ci lasciò sole. Persefone infilò la testa nella rastrelliera di metallo che conteneva la biada fresca e cominciò a masticare mentre io la spazzolavo. Bunny era morto per un attacco di cuore fulmineo e spaventoso due anni prima e la nonna era rimasta troppo sconvolta per prendere un altro cavallo. Diceva che «il coniglio» (era così che le piaceva chiamarlo) era insostituibile. Perciò era da due anni che non ne vedevo uno, ma mi tornò subito tutto in mente: gli odori, il caldo, rilassante rumore di un cavallo che mangia, il sommesso svuusc della striglia che scivolava sul lucido mantello della giumenta. A margine della mia soglia di attenzione, udii vagamente la voce di Lenobia, tagliente e rabbiosa, che strigliava (hi, hi) un alunno, che immaginai fosse testa rossa la palla. Sbirciai oltre la spalla di Persefone e diedi una rapida occhiata. Eccolo lì, il rosso, appoggiato con aria strafottente di fronte alla sua posta. Accanto a lui Lenobia, mani sui fianchi. Anche così di sbieco riuscivo a vedere che era arrabbiata come una biscia. Ma la missione di quel ragazzo era quella di fare incavolare a sangue ogni singolo insegnante? E il suo mentore era Dragone? Okay, il tipo sembrava gentile, finché non prendeva in mano una spada – cioè, un fioretto – e non diventava un letale guerriero vampiro. «Quello scansafatiche testa rossa deve aver voglia di morire presto», dissi a Persefone mentre ricominciavo a spazzolarla. La giumenta girò l'orecchio verso di me e sbuffò. «Già, sapevo che saresti stata d'accordo. Vuoi sentire la mia teoria su come la mia generazione potrebbe spazzare via con una sola mano dall'America tutti i ragazzi sfigati e scansa?» Sembrava interessata, quindi mi lanciai nella mia tirata sul Non Procreate con Sfigati e Falliti… «Zoey! Eccoti qui!» «Ohmioddio! Stevie Rae! Mi hai fatto venire una strizza!» Diedi una pacca a Persefone per tranquillizzarla, perché, quando avevo gridato, si era impaurita. «Che accidenti stai facendo?» Agitai la spazzola verso di lei. «A te cosa sembra stia facendo, la pedicure?» «Smetti di perdere tempo. Lo sai che il Rituale della Luna Piena comincia tra un paio di minuti?» «Ah, diavolo!» Un'altra pacchetta a Persefone e mi precipitai dalla scuderia alla stanza dei finimenti. «Ti eri dimenticata, vero?» Stevie Rae mi tenne la mano per aiutarmi a stare in equilibrio mentre mi toglievo gli stivali di gomma e rimettevo su le mie fighissime ballerine. «No», mentii. Poi mi resi conto che avevo scordato anche il rito delle Figlie Oscure che si sarebbe tenuto dopo. «Oh, diavolo!» 15 Circa a metà strada dal tempio di Nyx mi accorsi che Stevie Rae era insolitamente silenziosa, quindi la osservai di sottecchi. Era anche pallida? Mi venne un brivido. «Stevie Rae, c'è qualcosa che non va?» «Sì, be', è una cosa triste e che mette anche paura.» «Cosa? Il Rituale della Luna Piena?» Cominciò a farmi male lo stomaco. «No, ti piacerà… almeno, questo. » Sapevo a cosa si riferiva, al confronto tra il rito della scuola e quello delle Figlie Oscure, cui avrei dovuto partecipare dopo, ma non avevo voglia di parlarne. Le successive parole di Stevie Rae però fecero sembrare la questione Figlie Oscure un problemino secondario. «Un'ora fa è morta una ragazza.» «Cosa? Come?» «Come muoiono tutti. Non è riuscita a Trasformarsi e il suo organismo…» Stevie Rae s'interruppe, rabbrividendo. «È successo verso la fine della lezione di Tae Kwan Do. All'inizio degli esercizi di riscaldamento aveva cominciato a tossire, come fosse senza fiato. Non ci ho fatto caso più di tanto. O forse sì, ma ho preferito non pensarci.» Stevie Rae mi fece un sorriso timido e triste e parve vergognarsi di se stessa. «C'è modo di salvare un ragazzo? Sì, insomma, dopo che ha cominciato…» Lasciai la frase in sospeso e feci un gesto vago e imbarazzato. «No, non c'è modo di essere salvati se l'organismo inizia a rifiutare la Trasformazione.» «Allora non devi sentirti in colpa per non aver pensato alle conseguenze della tosse di quella ragazza. Non avresti potuto fare niente comunque.» «Lo so. È che io… è stato orribile. Ed Elizabeth era così simpatica!» Sentii una fitta in un punto imprecisato a metà del mio corpo. «Elizabeth Niente Cognome? È lei che è morta?» Stevie Rae annuì, sbattendo con forza le palpebre nel tentativo più che evidente di non piangere. «È terribile», commentai, la voce tanto flebile da essere appena un sussurro. Ricordavo com'era stata premurosa riguardo al mio Marchio e come si era accorta che Erik mi guardava. «Ma l'ho vista a lezione di Recitazione e stava bene!» «È così che succede. Un momento il ragazzo o la ragazza seduto vicino a te sembra del tutto normale, e il momento successivo…» Stevie Rae rabbrividì ancora. «E gli altri vanno avanti come se niente fosse? Anche se qualcuno della scuola è appena morto?» Mi ricordavo che l'anno prima, quando un gruppo di fagioli del mio vecchio liceo aveva avuto un incidente in macchina nel fine settimana e due erano rimasti uccisi, il lunedì erano stati fatti venire a scuola degli psicologi in più oltre a quello solito e gli eventi sportivi erano stati cancellati per tutta la settimana. «Continua tutto in modo normale. È previsto che ci abituiamo all'idea che possa succedere a chiunque di noi. Vedrai. Si comporteranno tutti come se non fosse successo niente, soprattutto quelli delle classi superiori. Saranno solo quelli di terza e i migliori amici di Elizabeth a mostrare una qualche reazione. Quelli di terza – che siamo noi – devono comportarsi bene e superare la cosa. Probabilmente la sua compagna di stanza e gli amici più stretti staranno un po' in disparte per un paio di giorni, ma poi ci si aspetta che si riprendano.» Abbassò la voce. «A dirti la verità, io non penso che i vampiri pensino a noi come reali finché non ci Trasformiamo.» Ci riflettei su. Neferet non sembrava trattarmi come se fossi temporanea, aveva persino detto che era un'ottima cosa che il mio Marchio fosse già completato, anche se io non ero altrettanto sicura del mio futuro. Ma di certo non avrei detto niente che potesse suonare come se Neferet avesse un trattamento speciale per me. Non volevo essere «quella diversa». Volevo solo essere amica di Stevie Rae e integrarmi col mio nuovo gruppo. «È davvero tremendo», commentai alla fine. «Già, ma almeno, se succede, succede in fretta.» Una parte di me voleva conoscere i dettagli, ma un'altra aveva troppa paura anche solo di chiedere. Per fortuna Shaunee c'interruppe prima che riuscissi a farmi abbastanza coraggio da domandare quello che in realtà ero troppo spaventata per voler sapere. «Scusate tanto, ma quanto ci avete messo?» gridò dalla scalinata davanti al tempio. «Erin e Damien sono già dentro a tenerci il posto nel cerchio, ma sapete che una volta che il rito è iniziato non può più entrare nessuno. Spicciatevi!» Ci precipitammo su per le scale e ci affrettammo dietro a Shaunee. Un dolce fumo d'incenso mi avvolse non appena misi piede nell'atrio ad arco del tempio di Nyx. D'istinto esitai e Stevie Rae e Shaunee si voltarono verso di me. «Va tutto bene. Non c'è niente per cui essere nervosa o avere paura.» Stevie Rae incrociò il mio sguardo e aggiunse: «Almeno non qui dentro». «Il Rituale della Luna Piena è magnifico. Ti piacerà. Oh, quando la vamp ti traccia il pentacolo sulla fronte e dice: 'Benedetta sia', devi soltanto rispondere anche tu con: 'Benedetta sia'», mi spiegò Shaunee. «Poi ci segui al nostro posto nel cerchio.» Mi fece un sorriso rassicurante ed entrò per prima nella stanza scarsamente illuminata. Afferrai la manica di Stevie Rae. «Aspetta. Non voglio sembrare stupida, ma il pentacolo non è un segno del male o roba del genere?» «È quello che pensavo anch'io prima di arrivare qui. Ma tutte quelle storie sul male sono stronzate che mette in giro il Popolo della Fede in modo che…» Fece spallucce. «Diamine, non so neanche perché gli freghi così tanto che la gente – be', gli umani, è ovvio – creda che è un simbolo del male. La verità è che per circa un fantastiliardo di anni il pentacolo ha significato saggezza, protezione e perfezione. Cose positive così. È solo una stella a cinque punte. Quattro punte stanno per gli elementi e la quinta, quella rivolta in alto, per lo spirito. Tutto qui. Nessuna diavoleria.» «Il controllo», borbottai, felice di avere un motivo per smettere di pensare a Elizabeth e alla morte. «Eh?» «Il Popolo della Fede vuole controllare tutto, e parte di quel controllo consiste nel fatto che tutti devono sempre credere esattamente la stessa cosa. È per questo che vogliono che la gente pensi che il pentacolo sia male.» Scossi la testa con disgusto. «Lascia perdere. Andiamo. Sono più pronta di quanto pensassi. Entriamo.» Procedemmo nell'atrio e sentii un suono di acqua corrente. Superammo una bella fontana, poi l'ingresso curvò leggermente a sinistra. Nel vano ad arco di una porta c'era una vampira che non conoscevo, vestita completamente di nero, con una gonna lunga e una camicetta di seta con le maniche scampanate. L'unica decorazione che aveva era un ricamo d'argento della dea sul petto. Aveva lunghi capelli color grano e dalla mezzaluna sulla fronte partivano spirali color zaffiro che le incorniciavano il viso perfetto. «Quella è Anastasia. Insegna Incantesimi e Rituali, ed è anche la moglie di Dragone», bisbigliò Stevie Rae prima di presentarsi davanti alla vampira e posare il pugno sul cuore in segno di rispetto. Anastasia sorrise e intinse le dita nella ciotola di pietra che teneva in mano, quindi tracciò una stella a cinque punte sulla fronte di Stevie Rae. «Benedetta sia», disse. «Benedetta sia», rispose lei, poi mi lanciò un'occhiata d'incoraggiamento e sparì nella stanza fumosa. Respirai a fondo e presi la consapevole decisione di scacciare dalla mente ogni pensiero relativo a Elizabeth, alla morte e cose simili… almeno durante il rituale. Mi misi di fronte ad Anastasia e, imitando Stevie Rae, appoggiai il pugno chiuso sul cuore. La vampira tuffò le dita in quello che scoprii essere olio. «Ben trovata, Zoey Redbird, benvenuta alla Casa della Notte e alla tua nuova vita.» Tracciò il pentacolo sopra la mia mezzaluna. «E benedetta sia.» «Benedetta sia», mormorai, stupita del fremito che mi aveva attraversata quando la stella umida aveva preso forma sulla fronte. «Entra e unisciti ai tuoi amici. Non hai motivo di essere nervosa, credo che la Dea si stia già prendendo cura di te.» «Gr-grazie», replicai, quindi entrai in fretta nella stanza. C'erano candele ovunque. Bianche, immense, erano disposte lungo i muri o appese al soffitto tramite lampadari di ferro. Nel tempio, i candelabri da parete non reggevano lampade a olio come nel resto della scuola, ma facevano davvero il loro mestiere. Sapevo che quel posto in origine era una chiesa del Popolo della Fede dedicata a sant'Agostino, ma non somigliava alle altre chiese, non a quelle che avevo visto io, almeno. Oltre a essere illuminato soltanto da candele, non c'erano i banchi (tra l'altro, a me i banchi proprio non piacciono: non potrebbero essere più scomodi!) In realtà l'unico pezzo di arredamento nella grande sala era un antico tavolo di legno posto al centro che somigliava a quello in sala da pranzo. Solo che non era pieno soltanto di cibo e di vino, ma ospitava anche una statua di marmo della Dea con le braccia sollevate, molto simile al ricamo che portavano i vampiri. Sul tavolo c'erano parecchi bastoncini d'incenso e un enorme candelabro, le cui grosse candele bianche splendevano luminose. Poi i miei occhi furono attratti da una fiamma libera che si alzava da un incavo nel pavimento e guizzava con foga arrivando quasi all'altezza della vita. Era un bellissimo fuoco giallo e dava un senso di pericolo controllato, che sembrò trascinarmi a sé. Per fortuna il movimento delle mani di Stevie Rae mi distrasse prima che potessi seguire l'impulso di avvicinarmi alla fiamma. Fu allora che mi accorsi, stupendomi di non averlo notato prima, che c'era un immenso cerchio di persone, formato sia da studenti sia da vampiri adulti, che si estendeva lungo il perimetro della stanza. Sentendomi allo stesso tempo nervosa e intimorita, obbligai i piedi a muoversi in modo da prendere posto vicino a Stevie Rae. «Finalmente», disse sottovoce Damien. «Scusate il ritardo», replicai. «Lasciala stare, è già abbastanza nervosa», mi difese Stevie Rae. « Sstt! Comincia», sibilò Shaunee. Quattro sagome parvero materializzarsi negli angoli bui della sala, poi divennero donne e raggiunsero quattro punti all'interno del cerchio vivente, come fossero le direzioni di una bussola. Altre due entrarono dalla porta da cui ero passata anch'io e vidi che una era un uomo alto – ah, tirateci sopra una riga, volevo dire un vampiro (tutti gli adulti erano vampiri) – e, oh. Mio. Dio. Era da urlo. Un eccellente esempio dello stereotipo del vampiro bellissimo, anzi splendido, visto da vicino e dal vero. Era alto almeno un metro e ottantacinque e sembrava uscito dallo schermo del cinema. «Ecco l'unico motivo per cui come complementare ho scelto quel cavolo di Poesia», mormorò Shaunee. «Condivido pienamente, gemella», sussurrò sognante Erin. «Chi è?» domandai a Stevie Rae. «Loren Blake, Poeta Laureato Vampiro. È il primo Poeta Laureato degli ultimi duecento anni», bisbigliò. «E pensa che è solo sulla ventina, e in anni reali, non soltanto nell'aspetto.» Prima che potessi chiedere altro, lui cominciò a parlare e la mia bocca si ritrovò troppo impegnata a spalancarsi al suono della sua voce perché potessi fare altro che ascoltare. Ella splendida incede, come notte di limpido immenso e cieli di stelle. Mentre parlava, si muoveva lentamente verso il cerchio e, come se la sua voce fosse stata una musica, la donna che era entrata nella sala con lui cominciò a ondeggiare, quindi a danzare con grazia intorno alla parte esterna del cerchio vivente. E tutto il meglio di oscuro e di luce negli occhi e nell'aspetto suo rifulge. La donna che ballava aveva attirato l'attenzione di tutti e quasi trasalii accorgendomi che era Neferet. Indossava un lungo abito di seta tempestato di minuscole perline di cristallo che consentivano alla luce delle candele di cogliere ogni suo movimento e di farla splendere come un cielo stellato. I suoi gesti sembravano dare vita alle parole dell'antica poesia (perlomeno il mio cervello lavorava ancora abbastanza bene da farmela riconoscere come Ella splendida incede di Lord Byron). Dolce in quel tenero chiarore che il cielo nega allo sfarzo del giorno. Non so come, Neferet e Loren riuscirono a trovarsi al centro del cerchio proprio mentre lui finiva di recitare i versi. Poi Neferet prese un calice dal tavolo e lo sollevò, come a offrire da bere al cerchio. «Benvenuti, figli di Nyx, alle celebrazioni della Dea in occasione della luna piena!» «Ti salutiamo con gioia», risposero in coro tutti gli adulti. Neferet sorrise e rimise a posto il calice, prendendo invece un lungo accenditoio per candele. Quindi attraversò il cerchio e si fermò davanti a una vampira che non conoscevo, in piedi in quello che doveva essere il punto d'inizio. Salutò Neferet con la mano sul cuore prima di voltarsi dandole le spalle. « Psstt!» bisbigliò Stevie Rae. «Mentre Neferet evoca i quattro elementi e percorre il cerchio di Nyx, noi dobbiamo rivolgerci nelle quattro direzioni. La prima è l'est, che rappresenta l'aria.» Quindi tutti, inclusa me con la mia rapidità da bradipo, ci voltammo verso est. Con la coda dell'occhio vidi Neferet sollevare le braccia sopra la testa mentre la sua voce risuonava sulle pareti di pietra del tempio. «Da est io ti chiamo, aria, e ti chiedo di portare in questo cerchio il dono della sapienza, in modo che il nostro rituale sia pieno di discernimento.» Nell'attimo in cui Neferet cominciò a pronunciare l'invocazione sentii l'aria cambiare. Si mosse intorno a me, scompigliandomi i capelli e riempiendomi le orecchie dei suoni del vento che sospira tra le foglie. Mi guardai intorno, aspettandomi di vedere che pure tutti gli altri erano stati travolti da un mini tornado, ma nessuno aveva i capelli spettinati come me. Strano. La vamp nel punto dell'est trasse dalle pieghe dell'abito una grossa candela gialla che Neferet accese. La sollevò, quindi la posò ai suoi piedi. «Girati a destra per il fuoco», mormorò Stevie Rae. Ci voltammo e Neferet riprese. «Da sud io ti chiamo, fuoco, e ti chiedo di accendere in questo cerchio il dono della forza di volontà, in modo che il nostro rituale sia vincolante e autorevole.» Il vento che aveva soffiato con forza su di me fu sostituito da una sensazione di calore. Non era sgradevole, piuttosto somigliava alla vampata che si prova quando si entra in una vasca bollente, ma abbastanza intensa da farmi sudare leggermente. Guardai Stevie Rae. Teneva la testa un po' sollevata e gli occhi chiusi. Ma sul suo viso non c'era traccia di sudore. Il calore aumentò di colpo e voltandomi vidi che Neferet aveva acceso la grande candela rossa tenuta in mano da Pentesilea che, come aveva fatto la vampira rivolta a est, la sollevò in offerta prima di posarla a terra davanti a sé. Questa volta non servì il colpo di gomito di Stevie Rae per farmi girare ancora a destra in direzione ovest. Non so come, sapevo già non solo che dovevamo voltarci, ma anche che il successivo elemento a essere chiamato sarebbe stato l'acqua. «Da ovest io ti chiamo, acqua, e ti chiedo d'impregnare questo cerchio di compassione, in modo che la luce della luna piena possa essere usata per concedere al nostro gruppo la guarigione oltre che la comprensione.» Neferet accese la candela blu della vampira rivolta a ovest, che la sollevò e se la posò ai piedi, e l'odore salmastro del mare mi riempì le narici. Impaziente, completai il cerchio voltandomi verso nord, sapendo che avrei abbracciato la terra. «Da nord io ti chiamo, terra, e ti chiedo di far crescere in questo cerchio il dono del palesamento, in modo che i desideri e le preghiere di stanotte abbiano buon esito.» Di colpo potei percepire sotto i piedi la morbidezza di un campo erboso, sentii l'odore del fieno e udii il canto degli uccelli. Una candela verde venne accesa e posta ai piedi della «terra». Probabilmente avrei dovuto spaventarmi per quelle strane sensazioni che nascevano in me, invece mi riempivano di una leggerezza quasi esagerata: mi sentivo bene. Talmente bene che, quando Neferet si volse verso la fiamma che ardeva al centro della sala e tutti ci voltammo in quella direzione, dovetti stringere le labbra con forza per evitare di scoppiare in una risata. Il poeta bello da morire era in piedi dall'altra parte del fuoco rispetto a Neferet e vidi che teneva in mano una candela viola. «E infine io chiamo te, spirito, a completare il nostro cerchio, e ti chiedo di colmarci di legami, in modo che, in quanto tuoi figli, possiamo prosperare insieme.» Non potevo crederci, ma, quando il poeta accese la candela alla grande fiamma nel pavimento e la posò sul tavolo, sentii il mio spirito agitarsi, come se dentro al mio petto ci fosse un grande batter d'ali. Poi Neferet cominciò a girare intorno all'interno del cerchio, parlando con noi, incrociando il nostro sguardo, includendoci nelle sue parole. «Questo è il momento della pienezza lunare. Tutte le cose crescono e calano, persino i figli di Nyx, i suoi vampiri. Ma in questa notte le forze della vita, della magia e della creazione sono al loro massimo fulgore, come la luna della nostra Dea. Questo è il momento di costruire… di fare.» Il cuore mi batteva forte mentre la ascoltavo e mi resi conto con un certo sussulto che in realtà stava facendo una predica. Si trattava di un servizio religioso, ma la creazione del cerchio e le parole di Neferet mi toccarono come mai nessun sermone aveva neanche minimamente cominciato a fare. Mi guardai intorno. Magari era l'ambiente. La sala era resa nebbiosa dal fumo dell'incenso e magica dal guizzare delle candele. E Neferet era tutto quello che doveva essere una Somma Sacerdotessa. La sua bellezza era una fiamma di per sé e la sua voce aveva una magia che incantava tutti. Nessuno era accasciato sul banco a sonnecchiare o giocava a sudoku di nascosto. «Questo è un momento in cui il velo tra il mondo terreno e lo splendido e singolare regno della Dea si fa davvero sottile. In questa notte si possono trascendere con facilità i confini tra i mondi, e conoscere la bellezza e l'incanto di Nyx.» Sentivo le parole di Neferet scivolare su di me e stringermi la gola. Rabbrividii e all'improvviso il mio Marchio divenne caldo e prese a pizzicare. Quindi il poeta disse con la sua voce profonda e intensa: «Questo è un momento in cui dare vita all'etereo, intessendo i fili di spazio e tempo per dare inizio alla Creazione. Perché la vita è un cerchio oltre che un mistero. La nostra Dea lo capisce e lo stesso vale per il suo consorte, Erebo». Improvvisamente mi sentii meglio riguardo alla morte di Elizabeth, che non mi sembrò più tanto orribile e spaventosa, ma piuttosto una parte del mondo naturale, un mondo in cui tutti avevamo un posto. Loren continuò: «Luce… buio… giorno… notte… morte… vita… è tutto legato insieme dallo spirito e dal tocco della Dea. Se manteniamo l'equilibrio e guardiamo alla Dea, possiamo imparare a tessere un incantesimo coi raggi di luna e creare con esso un tessuto di pura materia magica, da tenere con noi tutti i giorni della nostra esistenza». «Chiudete gli occhi, figli di Nyx», disse Neferet. «E inviate un desiderio segreto alla vostra Dea. Stanotte, quando il velo tra i mondi è sottile, quando la magia agisce nel mondo terreno, forse Nyx esaudirà le vostre richieste e vi avvolgerà nella foschia lieve come la ragnatela dei sogni realizzati.» Magia! Stavano realmente pregando per la magia! Avrebbe funzionato? Poteva funzionare? C'era davvero la magia in questo mondo? Ricordavo la maniera in cui il mio spirito era stato in grado di vedere le parole e come la Dea mi aveva chiamata nel crepaccio con la sua voce visibile, e poi mi aveva baciato la fronte cambiando la mia vita per sempre. E come, appena un attimo fa, avevo percepito la forza del richiamo degli elementi fatto da Neferet. Non me l'ero immaginato, non potevo essermelo immaginato. Chiusi gli occhi e pensai alla magia che sembrava circondarmi, quindi mi rivolsi alla notte: Il mio desiderio segreto è d'integrarmi e sentirmi parte di un gruppo… di avere finalmente trovato una casa che nessuno mi possa togliere. Nonostante l'insolito calore del mio Marchio, avevo la testa leggera e mi sentivo inspiegabilmente felice. Neferet ci disse di aprire gli occhi e, con una voce allo stesso tempo dolce e potente, di donna e guerriera assieme, continuò il rito. «Questo è il momento in cui viaggiare non visti alla luce della luna. Il momento per ascoltare musica non creata da mani umane o vampire. È il momento di comunione coi venti che ci accarezzano» – Neferet chinò leggermente la testa a est – «e col fulmine che imita la primigenia scintilla di vita.» Chinò la testa a sud. «È il momento in cui trovare diletto nel mare eterno e nella calda pioggia che ci placa, come nella terra verdeggiante che ci circonda e ci sostiene.» Indicò col capo prima l'ovest e poi il nord. E ogni volta che Neferet nominava un elemento avevo la sensazione di essere attraversata da una dolce scossa elettrica. Poi le quattro donne che impersonavano gli elementi si mossero all'unisono verso il tavolo dove, assieme a Neferet e a Loren, sollevarono ciascuna un calice. «Salute a te, Dea della Notte e della luna piena!» disse Neferet. «Salute a te, Notte, da cui deriva la nostra benedizione. In questa notte ti rendiamo grazie!» Col calice in mano, le quattro donne si separarono tornando al proprio posto nel cerchio. «Nel potente nome di Nyx», riprese Neferet. «E di Erebo», aggiunse il poeta. «Chiediamo dall'interno del tuo sacro cerchio che tu ci dia la conoscenza per parlare il linguaggio della natura, di volare liberi come gli uccelli, di vivere la forza e la grazia dei felini e di trovare nella vita un'estasi e una gioia che portino alla pienezza del nostro essere. Benedetta sia!» Non riuscivo a smettere di sorridere. In chiesa non avevo mai ascoltato parole simili e, sicuro come l'inferno, lì non mi ero neanche mai sentita così piena di energia! Neferet bevve dal calice che teneva in mano, quindi l'offrì a Loren, che bevve e disse: «Benedetta sia». Ripetendo i loro gesti, le quattro donne si spostarono rapide intorno al cerchio, permettendo a tutti, novizi e adulti, di bere da uno dei calici. Quando fu il mio turno fui felice di vedere che a offrirmi da bere e la benedizione fosse il volto familiare di Pentesilea. Era vino rosso e mi aspettavo che fosse aspro, come il sorso del Cabernet che mia mamma tiene nascosto che avevo assaggiato una volta (e che proprio non mi era piaciuto), ma non era così. Era dolce e speziato e rese la mia testa ancora più leggera. Quando tutti ebbero bevuto, i calici furono riportati al tavolo. «Stasera voglio che ciascuno di voi passi almeno un momento da solo nella luce della luna piena: che i suoi raggi vi ristorino e vi aiutino a ricordare quanto siete straordinari… o quanto lo diventerete.» Neferet sorrise ad alcuni novizi, me inclusa. «Compiacetevi della vostra unicità. Crogiolatevi nella vostra forza. Noi stiamo separati dal mondo a causa del nostro dono. Non dimenticatelo mai, perché potete essere certi che il mondo non lo farà. Ora chiudiamo il cerchio e abbracciamo la notte.» In ordine inverso, Neferet ringraziò ciascun elemento, allontanandosi quando ciascuna candela veniva spenta. Mentre lo faceva, percepii una punta di tristezza, come stessi dicendo addio a degli amici. Poi terminò il rituale. «Il rito è concluso. Ben trovati, ben lasciati e ben trovati di nuovo!» I presenti le fecero eco. «Ben trovati, ben lasciati e ben trovati di nuovo!» E questo fu tutto. Il mio primo rito della Dea era finito. Il cerchio si spezzò in fretta, più di quanto avrei voluto. Avrei desiderato rimanere lì a pensare alle cose incredibili che avevo provato, soprattutto al momento della chiamata degli elementi, ma non fu possibile. Venni trascinata fuori del tempio su un'onda di chiacchiere. Ero contenta che fossero tutti così impegnati a parlare da non accorgersi di quant'ero silenziosa; non pensavo proprio di riuscire a spiegare ad altri quello che mi era appena successo. Diavolo! Non riuscivo a spiegarlo nemmeno a me stessa. «Ehi, pensate che stasera ci sarà di nuovo cibo cinese? Mi era piaciuta un sacco la strana roba che ci avevano dato dopo l'ultimo rito della luna piena», disse Shaunee. «Per non parlare del mio biscotto della fortuna che diceva: 'Ti farai un nome nella vita', che è una gran figata.» «Ho talmente fame che non m'importa cosa, basta che ci diano da mangiare», replicò Erin. «Anch'io», intervenne Stevie Rae. «Per una volta siamo perfettamente d'accordo», convenne Damien prendendo sottobraccio Stevie Rae e me. «Andiamo a mangiare.» E di colpo, ricordai. «Oh, ragazzi.» Il piacevole fremito che mi aveva procurato il rito era scomparso. «Non posso venire. Io devo…» «Che cretini!» Stevie Rae si assestò una manata in fronte tanto forte da fare uno schiocco. «Ce ne siamo completamente dimenticati.» «Ah, merda!» sbottò Shaunee. «Le streghe infernali», concluse Erin. «Vuoi che ti tenga un piatto di qualcosa?» mi chiese con gentilezza Damien. «No. Afrodite ha detto che mi daranno da mangiare loro.» «Probabilmente carne cruda», commentò Shaunee. «Già, di qualche poveretto preso nella sua schifosa ragnatela», aggiunse Erin. «Intende quella che ha in mezzo alle gambe», esplicito Shaunee. «Smettetela, state mandando Zoey in paranoia!» Stevie Rae cominciò a spingermi verso la porta. «Le faccio vedere dov'è la sala di ricreazione, poi noi ci troviamo a tavola.» «Okay, dimmi che stavano scherzando sulla carne cruda», la implorai quando fummo fuori. «Stavano scherzando?» ripetè Stevie Rae in modo per niente convincente. «Grandioso. Non mi piace neanche la bistecca al sangue. Che faccio se vogliono davvero farmi mangiare carne cruda?» Mi rifiutavo di pensare a che tipo di carne potesse essere. «Credo di avere un Digerix in borsa. Lo vuoi?» chiese Stevie Rae. «Sì», risposi sentendo già arrivare la nausea. 16 «Ecco qui.» Stevie Rae si era fermata con un'evidente aria di disagio e di scuse davanti alla scalinata che portava a un edificio rotondo di mattoni posto su una collinetta che dominava il lato est del muro di cinta. Immense querce creavano buio nel buio, al punto che riuscivo a malapena a intravedere il guizzare delle luci che illuminavano l'entrata. Dall'interno non proveniva nessun chiarore, perché le lunghe finestre ad arco, dai vetri probabilmente colorati, erano state oscurate. Cercavo di sembrare coraggiosa. «Okay, sì. Be', grazie del Digerix. E tienimi il posto. Questa roba non potrà mica durare tanto. Dovrei riuscire a raggiungervi per cena.» «Non metterti fretta. Davvero. Potresti incontrare qualcuno che ti piace e volerti fermare un po'. Non ti devi preoccupare se va così, perché io non mi arrabbio e dirò a Damien e alle gemelle che sei in ricognizione.» «Stevie Rae, io non diventerò una di loro.» «Ti credo», disse, ma i suoi occhi erano sgranati in maniera sospetta. «Allora ci vediamo presto.» «Okay. A presto», replicò percorrendo il marciapiede che riportava all'edificio principale. Non mi andava di vederla andare via: aveva l'aria triste e derelitta di un cucciolo che è stato sgridato. Perciò salii la scala e mi dissi che non sarebbe stata poi una gran cosa, comunque niente di peggio di quando la mia sorella similBarbie mi aveva convinta ad andare con lei al campo per cheerleader (okay, non so cosa mi fosse passato per la testa). Perlomeno il disastro non sarebbe durato una settimana. Probabilmente avrebbero creato un altro cerchio – cosa che, a dire il vero, era stata fantastica –, pronunciato qualche strana preghiera come aveva fatto Neferet e poi ci sarebbe stata la cena. Quello sarebbe stato il momento per me di fare un bel sorriso e andarmene via. Detto-fatto. Le torce ai lati dello spesso portone di legno erano a gas, non a fiamma libera come nel tempio di Nyx. Allungai la mano verso il pesante battente di ferro ma, con un preoccupante rumore simile a un sospiro, la porta si aprì verso l'interno. «Ben trovata, Zoey.» Oh. Mio. Dio. Era Erik. Era tutto vestito di nero e con quei capelli ricci e scuri e gli occhi di un azzurro impossibile mi fece venire in mente Clark Kent – be', okay, nella versione senza occhiali da sfigato e penosi capelli impomatati… perciò… immagino che questo significhi che mi fece venire in mente (ancora) Superman –, be', senza mantello o tutina o grande S… Quel gran blaterare nel cervello mi si spense di botto quando lui appoggiò il dito bagnato nell'olio sulla mia fronte e tracciò le cinque punte del pentacolo. «Benedetta sia.» «Benedetta sia», replicai, e non dirò mai grazie abbastanza perché la mia voce non uscì a gracchio, raschio o strilletto. Ah, ragazzi, che buon odore aveva. Ma non riuscivo a capire che cosa fosse. Non si trattava dei noiosi, iperusati dopobarba che i maschi si mettono a litri. Era un odore di… un odore di… di foresta e di notte dopo la pioggia… di qualcosa di legato alla terra e al pulito e… «Puoi entrare», mi stava dicendo. «Oh, ah, grazie», replicai con grande sfoggio di genialità. Entrai. E mi fermai. L'interno era costituito da un'unica grande sala, le cui pareti circolari erano coperte da tendoni di velluto nero che bloccavano completamente le finestre e la luce argentata della luna. Riuscivo a vedere che sotto ai teli c'erano delle strane sagome e stavo cominciando a darci dentro di paranoia quando mi ricordai che – guarda guarda – era una sala ricreativa, quindi dovevano aver spostato televisori e giochi vari ai lati, nascondendo il tutto per creare un'atmosfera più inquietante. Poi la mia attenzione venne attirata dal cerchio in mezzo alla stanza, realizzato con candele messe in alti contenitori di vetro rosso, simili ai ceri votivi che si possono comprare nel reparto cibi messicani delle drogherie e che odorano di rosa e vecchie signore. Dovevano essercene oltre un centinaio e illuminavano con una spettrale luce rossa i ragazzi, che formavano un secondo cerchio poco più ampio e intanto parlavano e ridevano. Erano tutti vestiti di nero e notai subito che nessuno aveva ricamato emblemi che indicassero la classe ma portavano invece una grossa catena d'argento da cui pendeva uno strano simbolo. Sembrava formato da due mezzelune messe una contro l'altra con le punte all'esterno e appoggiate su una luna piena. «Eccoti qui, Zoey!» La voce di Afrodite scivolò nella stanza un passo avanti a lei. Indossava un abito nero lungo che scintillava di perline di onice, facendomi venire in mente una versione dark del bel vestito di Neferet. Portava lo stesso ciondolo degli altri, ma il suo era più grande e contornato di pietre rosse che potevano essere granati. I capelli biondi tenuti sciolti la circondavano come un velo. Era davvero troppo bella. «Grazie, Erik, di avere dato il benvenuto a Zoey. Adesso posso occuparmene io.» Si comportava in modo normale e per un istante appoggiò persino la punta delle dita curate alla perfezione sul braccio di Erik, in quello che una persona non al corrente avrebbe considerato un gesto amichevole, ma l'espressione della sua faccia raccontava una storia del tutto diversa. Era dura e gelida e i suoi occhi sembravano bruciare in quelli di lui. Erik la guardò a malapena e levò il braccio con intenzione, poi mi rivolse un rapido sorriso e, senza degnare Afrodite di un'altra occhiata, si allontanò. Grandioso. Mi mancava solo di trovarmi in mezzo a una brutta rottura tra quei due, ma, nonostante tutto, sembrava non riuscissi a impedire che i miei occhi seguissero lui dall'altra parte della stanza. Stupida. Di nuovo. Sigh. Afrodite si schiarì la voce e io cercai (con risultati pessimi) di non sembrare una beccata a fare qualcosa che non doveva. Il suo sorriso furbo e maligno diceva che non c'erano dubbi sul fatto che avesse notato il mio interesse per Erik (e il suo per me) e, di nuovo, mi chiesi se sapesse che il giorno prima in corridoio c'ero io. Be', di certo non potevo domandarglielo. «Devi spicciarti, ma ti ho portato qualcosa per cambiarti.» Afrodite parlava in fretta, intanto mi faceva segno di seguirla nel bagno delle ragazze. Mi lanciò un'occhiata piena di disgusto da dietro le spalle. «Non puoi certo venire al rito delle Figlie Oscure vestita così.» In bagno, mi tese bruscamente un abito appeso a una delle pareti divisorie e in pratica mi spinse a forza nel cubicolo. «Puoi mettere i tuoi vestiti sull'ometto e riportarteli al dormitorio così.» Sembrava che non ci fosse la possibilità di discutere con lei e, comunque, mi sentivo già abbastanza un'estranea. Vestire in modo diverso dagli altri mi faceva sentire come se fossi andata a un party con un costume da papera perché nessuno mi aveva detto che non era una festa in maschera e tutti avrebbero messo i jeans. M'infilai il vestito nero dalla testa, sospirando di sollievo quando vidi che mi andava bene. Era semplice ma mi donava. Era fatto con una stoffa di quelle morbide e aderenti che non si stropicciano, aveva le maniche lunghe e uno scollo tondo che mostrava molto delle mie spalle (meno male che avevo il reggiseno nero). Intorno alla scollatura, in fondo alle maniche e sull'orlo, che mi arrivava giusto sopra il ginocchio, erano cucite delle piccole perline rosse. Era proprio bello. Mi rinfilai le scarpe pensando, soddisfatta, che un bel paio di ballerine va praticamente con tutto e uscii dal bagno. «Be', perlomeno è della misura giusta», commentai. Mi accorsi però che Afrodite non guardava il vestito ma fissava il mio Marchio, cosa che mi scocciava da matti. Okay, il mio Marchio è tutto colorato. Lo sappiamo e adesso basta! Però non dissi niente. Insomma, quella era la sua «festa» e io ero un'ospite. Traduzione: gli altri erano decisamente in soprannumero, quindi meglio fare la brava. «Ovviamente sarò io a condurre il rito, quindi sarò troppo impegnata per tenerti per manina.» Okay, avrei dovuto tenere la bocca chiusa, ma mi stava dando davvero sui nervi. «Senti, Afrodite, non ho bisogno che tu mi tenga per mano.» Socchiuse le palpebre e mi preparai ad affrontare un'altra scenata da isterica. Invece si esibì in un sorriso assolutamente sgradevole, che la fece sembrare un cane ringhioso. Con questo non intendevo darle della cagna, ma l'analogia sembrava accurata in modo preoccupante. «È ovvio che tu non abbia bisogno che ti si tenga per mano. Supererai con disinvoltura anche questo piccolo rituale come hai fatto con tutto il resto. Insomma, dopotutto sei la nuova prediletta di Neferet.» Splendido. Oltre alla questione Erik e al problema del mio strano Marchio, era pure gelosa perché Neferet era la mia mentore. «Afrodite, non credo di essere la nuova prediletta di Neferet. Sono soltanto nuova.» Cercai di sembrare logica, sorrisi perfino. «Come vuoi. Allora, sei pronta?» Abbandonai il tentativo di ragionare con lei e annuii. Non vedevo l'ora che tutta quella menata del rituale fosse finita. «Bene. Andiamo.» Mi accompagnò fuori dei bagni e fino al cerchio, dove raggiungemmo due ragazze che riconobbi come le altre «streghe infernali» che l'avevano seguita in mensa. Solo che, invece della smorfia da ho-appenamangiato-un-limone, mi accolsero con un sorriso caloroso. No. Non mi facevo fare fessa, ma costrinsi anche la mia faccia a sorridere. Quando si è in territorio nemico è meglio mimetizzarsi e avere un'aria modesta e/o stupida. «Ciao, io sono Enio», esordì la più alta delle due. Naturalmente era bionda, ma i suoi lunghi riccioli fluenti erano più color grano che color oro, anche se alla luce delle candele era difficile essere certi di quale cliché rappresentasse la descrizione più appropriata. E continuavo a non credere che fosse bionda naturale. «Ciao», risposi. «E io sono Deino», le fece eco l'altra. Era evidentemente lo splendido risultato di un mix di razze, una strabiliante combinazione di meravigliosa pelle caffè-con-molta-panna e stupendi riccioli folti che probabilmente non avevano mai osato diventare crespi neanche in caso d'iperumidità. Tutte e due erano perfette in modo sconcertante. «Ciao», salutai di nuovo. Sentendomi ben più che claustrofobica, mi spostai nello spazio che mi avevano fatto in mezzo a loro. «Godetevi il rituale, voi tre», cinguettò Afrodite. «Oh, lo faremo!» risposero in stereo Enio e Deino. Le tre amiche si scambiarono un'occhiata che mi fece venire la pelle d'oca. Distolsi l'attenzione da loro prima che il buonsenso avesse la meglio sull'orgoglio e decidessi di schizzare via da quel posto. Adesso avevo una buona visuale della parte interna del cerchio, simile a quello nel tempio di Nyx, tranne che vicino al tavolo c'era una sedia su cui era seduto qualcuno. Be', più o meno seduto. A dire il vero, chiunque fosse era mezzo stravaccato e aveva il cappuccio di un mantello sulla testa. Mirati… Comunque, il tavolo era decorato con lo stesso velluto nero delle pareti e vi era posta sopra una statua della Dea assieme a un portafrutta, del pane, parecchi calici, una brocca. E un coltello. Strizzai gli occhi per essere sicura di aver visto bene. Già. Era proprio un coltello, col manico d'osso e una lunga lama ricurva dall'aria pericolosa e decisamente troppo affilata perché fosse prudente tagliarci il pane o la frutta. Una ragazza che mi sembrava di aver visto al dormitorio stava accendendo numerosi grossi bastoncini d'incenso posti in eleganti bruciaessenze intagliati sistemati sul tavolo, ignorando del tutto la persona stravaccata sulla sedia. Cavolo, ma stava dormendo? L'aria cominciò immediatamente a riempirsi di fumo e giuro che era verdognolo e che si muoveva nella stanza in spirali dall'aria spettrale. Mi aspettavo che avesse un odore dolce, come l'incenso nel tempio di Nyx, ma, quando mi raggiunse e lo respirai, mi stupì per il suo gusto amaro. Mi risultava familiare e cercai di capire cosa fosse. C'erano sicuramente alloro e chiodi di garofano (dovevo ricordarmi di ringraziare nonna Redbird per avermi insegnato a riconoscere le spezie dall'odore). Annusai di nuovo, interessata, e mi si annebbiò un po' la testa. Strano. Okay, l'incenso era insolito e sembrava cambiare mentre riempiva la stanza, come il profumo costoso che si modifica a seconda della persona che lo mette. Inspirai ancora. Già. Chiodi di garofano e alloro, ma alla fine c'era anche qualcos'altro; qualcosa che rendeva quell'odore penetrante e amaro… oscuro e mistico e seducente e… ammiccante. Ammiccante? Avevo capito. Oh, diavolo, stavano riempiendo la stanza di marijuana mista a spezie! Incredibile. Avevo resistito alle pressioni dei compagni e per anni avevo detto «no» anche all'offerta più gentile di provare uno di quei grossi cannoni fatti in casa che si fanno passare alle feste e a tutto il resto (cioè, fatemi il piacere! Ma non è neanche igienico! E poi perché dovrei volermi fare con una droga che mi farà voler mangiare in modo ossessivo merendine e schifezze varie iperingrassanti?) e adesso eccomi lì, immersa nel fumo di erba. Sigh. Kayla non ci avrebbe mai creduto. Poi, in preda alla paranoia (probabilmente un altro effetto collaterale dell'assalto dell'erba), mi guardai intorno, certa di vedere un professore pronto a schizzare dentro all'improvviso e a trascinarci tutti via per portarci in… in… non so, qualche posto particolarmente orribile, come un campo di rieducazione per adolescenti problematici. Per fortuna, a differenza che nel cerchio di Nyx, lì non erano presenti adulti, ma soltanto una ventina di ragazzi, che parlavano tranquilli e si comportavano come se l'assolutamente illegale incenso alla marijuana non fosse niente di che (teste fumate). Cercando di fare respiri poco profondi, mi rivolsi alla ragazza alla mia destra. Quando non sai che fare (o sei nel panico), chiacchiera. «Be'… Deino è un nome… originale. Significa qualcosa di speciale?» «Deino significa terribile», rispose con un dolce sorriso. Dall'altra parte, intervenne tutta allegra la stangona bionda: «Ed Enio significa bellicosa». «Ah…» commentai, sforzandomi di essere educata. «Già. E quella che accende l'incenso si chiama Pefredo, che significa vespa», spiegò Enio. «Abbiamo preso i nomi dalla mitologia greca. Erano le tre sorelle delle Gorgoni. Il mito dice che sono nate vecchie e che avevano un solo occhio in tre, ma abbiamo deciso che probabilmente sono stronzate della propaganda maschilista scritte da uomini che volevano reprimere le donne forti.» «Davvero?» Non sapevo cos'altro dire. Davvero. «Già. I maschi umani fanno schifo», replicò Deino. «Dovrebbero morire tutti», aggiunse Enio. Su quell'amorevole concetto, all'improvviso iniziò una musica che rese impossibile (per fortuna) continuare a parlare. Okay, la musica era inquietante. Aveva un ritmo pulsante, allo stesso tempo antico e moderno, come se qualcuno avesse mixato una di quelle oscene canzoni arrapanti con una danza tribale di accoppiamento. E poi, lasciandomi sotto shock, Afrodite cominciò a girare ballando intorno al cerchio. Sì, immagino si possa dire che era sexy. Voglio dire, aveva un bel corpo e si muoveva come Catherine Zeta-Jones in Chicago, ma non so come su di me non funzionava. E non perché non sono gay (anche se non sono gay), non funzionava perché sembrava un'imitazione volgare della danza di Neferet sui versi di Ella splendida incede. Se quella musica fosse stata una poesia, sarebbe stata piuttosto Una sgualdrina ancheggia e sculetta. Durante l'esibizione in gran dimenamento di Afrodite tutti, naturalmente, guardavano lei, perciò diedi uno sguardo intorno al cerchio, fingendo di non stare davvero cercando Erik, finché… oh, cavolo… lo trovai proprio quasi di fronte a me. Ed era l'unico ragazzo nella stanza a non fissare Afrodite. Perché guardava me. Prima di riuscire a decidere se distogliere lo sguardo, sorridergli, fargli un cenno o chissà cos'altro (Damien mi aveva detto di sorridergli, e Damien era un autoproclamato esperto di ragazzi), la musica si fermò e spostai gli occhi da lui ad Afrodite. Era al centro del cerchio, di fronte al tavolo, dove prese un grosso cero viola in una mano e il coltello nell'altra. La candela era accesa e lei, tenendola davanti a sé come a illuminare la strada, la portò a lato dove mi accorsi che, tra tutti i ceri rossi, ce n'era uno giallo. Non ebbi bisogno delle indicazioni di Bellicosa né di quelle di Terribile (hiii!) per girarmi verso est. Mentre il vento mi scompigliava i capelli, con la coda dell'occhio vidi che Afrodite aveva acceso la candela gialla e sollevava il coltello, incidendo nell'aria un pentacolo mentre recitava: O venti di tempesta, nel nome di Nyx io vi evoco, mandate la vostra benedizione, io vi chiedo, sul cerchio magico che qui verrà creato! Devo ammettere che era brava. Anche se non aveva la forza di Neferet, era chiaro che si era esercitata a controllare la voce e il suono delle sue parole di seta si propagava con facilità. Ci voltammo a sud e lei si avvicinò a una grande candela rossa in mezzo ad altre dello stesso colore, mentre io potevo percepire sulla pelle quello che già riconoscevo come il potere del fuoco e del cerchio magico. O fuoco del fulmine, nel nome di Nyx io ti evoco, portatore di tempeste e della forza della magia, io chiedo il tuo aiuto per l'incantesimo che qui sto creando! Ci voltammo ancora e, assieme ad Afrodite, mi sentii avvampare e incredibilmente attratta dalla candela blu che stava in mezzo a quelle rosse. Anche se mi spaventava da morire, dovetti trattenermi dall'uscire dal cerchio e unirmi a lei nell'invocazione all'acqua. O torrenti di pioggia, nel nome di Nyx io vi evoco, unitevi a me con la vostra forza travolgente, nel realizzare questo potente rituale! Cosa diavolo c'era di sbagliato in me? Sudavo e, invece di essere un po' accaldata come nel rito precedente, il Marchio sulla mia fronte si era fatto bollente e giuro che nelle orecchie sentivo il ruggito del mare. Stordita, mi voltai ancora a destra. O terra, profonda e umida, nel nome di Nyx io ti evoco, che io possa percepire il tuo movimento nel rombo della tempesta di potere che si compie quando mi assisti in questo rito! Afrodite fendette di nuovo l'aria e sentii pizzicare il palmo della mano destra, come se mi facesse male per avere stretto il coltello. Sentii l'odore di erba falciata e udii il grido di un caprimulgo, quasi avesse un nido invisibile nell'aria proprio accanto a me. Afrodite tornò al centro, quindi rimise al suo posto la candela viola ancora accesa e completò la creazione del cerchio. O spirito, libero e selvaggio, nel nome di Nyx io ti evoco a me! Rispondimi! Restami accanto durante questo grandioso rituale e concedimi il potere della tua Dea! Chissà come, sapevo cosa stava per fare. Potevo udire le parole nella mia mente… nel mio spirito. Quando Afrodite sollevò il calice e cominciò a camminare intorno al cerchio, percepii le sue parole e, anche se non aveva l'eleganza e la forza di Neferet, ciò che disse mi accese, come bruciassi dall'interno. «Questo è il tempo della pienezza della luna della nostra Dea. C'è qualcosa di magnifico in questa notte di cui gli antichi conoscevano i misteri, che usavano per diventare più forti… e per strappare il velo tra i mondi e vivere avventure che oggi possiamo soltanto sognare. Segreta… misteriosa… magica… vera bellezza e vero potere in forma vampira, non contaminata da regole o leggi umane. Noi non siamo umani!» Con quelle parole, la sua voce risuonò contro le pareti in modo molto simile a quella di Neferet. «E tutto ciò che voi, Figlie e Figli Oscuri, chiedete in questa notte durante questo rito è quanto abbiamo domandato a ogni luna piena lo scorso anno: di liberare il potere che c'è in noi in modo che, come i possenti felini selvatici, siamo in grado di conoscere la sinuosa agilità dei nostri fratelli animali e non essere legati dalle catene degli umani né ingabbiati dalla loro ignorante debolezza.» Afrodite si era fermata giusto davanti a me. Sapevo di essere arrossita e di avere il fiato corto, proprio come lei. Che sollevò il calice e me lo offrì. «Bevi, Zoey Redbird, e unisciti a noi nel domandare a Nyx ciò che è nostro per diritto di sangue e di corpo, il Marchio della grande Trasformazione… quel Marchio che ha già apposto su di te.» Sì, lo so. Probabilmente avrei dovuto dire di no. Ma come facevo? E all'improvviso non volevo dire di no. Afrodite decisamente non mi piaceva e non mi fidavo di lei, ma quello che stava dicendo non era fondamentalmente vero? Mi tornò alla mente forte e chiara la reazione di mia madre e del mio patrigno al mio Marchio, oltre all'espressione spaventata di Kayla e al disgusto di Drew e Dustin. E come nessuno mi avesse chiamata, nemmeno messaggiata, da quando ero andata via. Avevano semplicemente lasciato che venissi scaricata lì ad affrontare una vita nuova tutta da sola. Questo mi rattristò, ma mi fece anche molto arrabbiare. Presi il calice di Afrodite e bevvi un bel sorso. Era vino, ma non aveva lo stesso sapore di quello nell'altro rituale della luna piena. Era dolce anche questo, ma c'era in più una spezia che aveva un sapore mai assaggiato prima. Provocò un'esplosione di sensazioni nella mia bocca, che tracciò un sentiero bollente, dolce e amaro, lungo tutta la gola e mi riempì di un vertiginoso desiderio di berne ancora, e ancora, e ancora. «Benedetta sia», mi sibilò Afrodite levandomi il calice dalle mani così di scatto da rovesciarmi sulle dita qualche goccia di liquido rosso. Quindi mi rivolse un sorriso tirato e trionfante. «Benedetta sia», replicai in automatico, la testa che ancora girava per il gusto del vino. Afrodite si spostò da Enio, offrendole il calice, e io non potei evitare di leccarmi le dita. Quel vino era molto più che delizioso. E aveva un profumo… aveva un profumo familiare, ma in tutto quel giramento di testa non riuscii a concentrarmi abbastanza da capire dove potevo avere già sentito l'odore di una cosa tanto incredibile. Afrodite impiegò un niente per terminare il cerchio, dando a ciascuno da bere un sorso dal calice. La osservai con attenzione, desiderando di poter avere altro vino mentre tornava al tavolo. Lì sollevò di nuovo la coppa. «Grande e magica Dea della Notte e della luna piena, colei che cavalca nel tuono e nella tempesta, guidando gli spiriti e gli Anziani, bella e terribile, cui anche i più antichi devono obbedienza, aiutaci in ciò che chiediamo. Colmaci del tuo potere, della tua magia, della tua forza!» Quindi inclinò il calice e la guardai, invidiosa, bere fino all'ultima goccia. Quando ebbe finito, la musica ricominciò e, muovendosi a tempo ripercorse il cerchio, danzando e ridendo mentre spegneva le candele e salutava gli elementi. E non so come, mentre ballava, la vista mi andò in palla perché il suo corpo s'increspò, cambiò e tutto d'un tratto mi parve di stare guardando ancora Neferet, solo che adesso si trattava di una versione più giovane e grezza della Somma Sacerdotessa. «Ben trovati, ben lasciati e ben trovati di nuovo!» disse infine. Rispondemmo tutti, mentre a furia di sbattere le palpebre riuscii a tornare a vedere bene e la stravagante immagine di Afrodite-Neferet scomparve, come il bruciore del mio Marchio. Ma sulla lingua sentivo ancora il gusto del vino. Strano. A me non piacciono gli alcolici. Sul serio. Proprio non mi piace il sapore che hanno. Ma in quel vino c'era qualcosa di talmente delizioso da superare persino… be', persino i tartufi neri della Godiva (eh, lo so, è difficile a credersi). E continuavo a non capire perché quel gusto mi pareva in qualche modo familiare. Poi, mentre il cerchio si scioglieva, ricominciarono tutti a chiacchierare e a ridere. Si accesero le luci a gas che per un attimo sembrarono fortissime e, mentre guardavo dall'altra parte della stanza per vedere se per caso Erik stava ancora guardando me, con la coda dell'occhio colsi un movimento sul tavolo. La persona che era rimasta stravaccata e immobile durante l'intero rito finalmente adesso si muoveva. Sobbalzò goffamente per mettersi a sedere meglio e, quando il cappuccio del mantello scuro ricadde all'indietro, restai sconcertata vedendo dei brutti capelli arruffati rosso arancio e una faccia grassoccia troppo bianca e con tante lentiggini. Era quella palla di Elliott! Molto ma molto strano che fosse lì. Cosa potevano volere da lui le Figlie e i Figli Oscuri? Mi guardai di nuovo intorno. Già, come previsto. Nella stanza non c'era un singolo ragazzo o ragazza con l'aria da babbo sfigato. A parte Elliott, erano tutti belli, dico sul serio. Decisamente non faceva parte del gruppo. Sbatteva le palpebre e sbadigliava come se avesse annusato troppo incenso. Sollevò la mano per togliersi qualcosa dal naso (probabilmente una delle caccole che si dava tanto da fare a scavare) e vidi il bianco di grosse bende che gli fasciavano i polsi. Ma cosa dia…? Un'orribile sensazione strisciante mi risalì la schiena. Enio e Deino non erano molto lontane da me, intente a parlare con Pefredo. Le raggiunsi e aspettai che ci fosse una pausa nella conversazione, quindi, fingendo che lo stomaco non mi si stesse strizzando a morte, sorrisi e accennai vagamente con la testa a Elliott. «Che ci fa qui quello?» Enio lanciò uno sguardo a Elliott e alzò gli occhi al cielo. «Lui non è niente. Giusto il frigorifero che abbiamo usato stanotte.» «Che sfigato», disse Deino, archiviando il caso Elliott con grande disprezzo. «È praticamente umano. Non c'è da stupirsi che sia buono solo come snack bar», commentò disgustata Pefredo. Avevo la sensazione che il mio stomaco stesse per rivoltarsi. «Scusate, non capisco. Frigorifero? Snack bar?» Deino la Terribile rivolse su di me i suoi altezzosi occhi color cioccolato. «È così che chiamiamo gli umani: frigoriferi e snack bar. Sai, colazione, pranzo e cena.» «O qualunque spuntino tra l'uno e l'altro», aggiunse la Bellicosa Enio facendo praticamente le fusa. «Io ancora non…» cominciai. «Oh, dai! Non fingere di non aver capito cosa c'era nel vino e che non ti sia piaciuto moltissimo», m'interruppe Deino. «Già, Zoey, ammettilo. Era evidente. Te lo saresti bevuto tutto. Lo volevi ancora più di quanto lo volessimo noi. Abbiamo visto che ti leccavi le dita», aggiunse Enio chinandosi e invadendo il mio spazio personale per osservarmi il Marchio. «Questo ti rende una diversa, giùsto? Sei una novizia e allo stesso tempo una vampira, e avresti voluto ben più di un assaggio del sangue di quel ragazzo.» «Sangue?» Non riconobbi la mia voce. La parola «diversa» continuava a rimbalzarmi nella testa. «Sì, sangue», confermò Terribile. Avevo caldo e freddo allo stesso tempo, e staccai gli occhi dalle loro facce presuntuose per fissarli in quelli di Afrodite. Era dall'altra parte della stanza a parlare con Erik e, quando i nostri sguardi s'incrociarono, lei sorrise, lentamente e con intenzione. Teneva di nuovo in mano il calice e lo sollevò in un gesto di saluto quasi impercettibile prima di bere un sorso e voltarsi a ridere per qualcosa che aveva appena detto Erik. Cercando di mantenere un contegno, m'inventai una scusa qualunque con Bellicosa, Terribile e Vespa e uscii con calma dalla stanza. Nell'attimo in cui il pesante portone della sala ricreazione si chiuse dietro di me, mi misi a correre alla cieca come impazzita. Non sapevo dove stessi andando, sapevo solo che volevo allontanarmi da lì. Ho bevuto sangue – sangue di quell'orribile Elliott testa rossa-e mi è piaciuto! E, a peggiorare le cose, quell'odore delizioso mi era sembrato familiare perché l'avevo già sentito quando Heath si era ferito alle mani. Non era stato il nuovo dopobarba a sembrarmi irresistibile, era stato il suo sangue. E l'avevo annusato ancora in corridoio, il giorno in cui Afrodite aveva graffiato la coscia di Erik e anch'io avrei voluto assaggiarlo. Ero una diversa, un mostro. A furia di correre non riuscivo più a respirare e crollai contro la gelida pietra del muro di cinta della scuola, ansimando in cerca di aria e dando violentemente di stomaco. 17 Sconvolta, mi passai il dorso della mano sulla bocca, quindi barcollai via dal punto in cui avevo vomitato (mi rifiutavo anche solo di pensare a cosa avevo vomitato e all'aspetto che doveva avere) finché non arrivai a un'enorme quercia cresciuta talmente vicino alla recinzione che metà dei suoi rami si allungavano all'esterno. Mi appoggiai al tronco, concentrandomi sul non star male di nuovo. Cos'avevo fatto? Cosa mi stava succedendo? Poi, da qualche parte tra i rami dell'albero, udii un miagolio. Okay, non era proprio il solito, normale miagolio di un gatto, ma piuttosto un brontolio scocciato simile a «miii-uff-miii-uff-pfuff». Alzai lo sguardo. Appollaiata su un ramo che si appoggiava al muro di cinta c'era una gattina rossa che mi guardava a occhi sgranati e con un'aria decisamente scontenta. «Come ci sei arrivata lì sopra?» «Mii-uff», rispose, quindi starnutì e cominciò a camminare lentamente sul ramo, venendo nella mia direzione. «Okay, vieni, micia-micia-micia», la chiamai. «Miii-uff-ao», disse strisciando verso di me. «Brava, piccolina, vieni. Muovi quelle zampette da questa parte.» Sì, stavo accantonando il mio momentaneo sballo e incanalando le energie per salvare la gatta, ma la verità era che non potevo pensare a quello che era appena successo. Non in quel momento. Era troppo presto. Troppo fresco. Perciò la micia rappresentava un'ottima distrazione. In più, sembrava familiare. «Vieni, piccolina, vieni…» Continuai a parlarle e intanto trovai un appoggio per la scarpa tra i mattoni a vista del muro, riuscendo a sollevarmi abbastanza da afferrare la parte terminale del ramo su cui era la gattina. A quel punto la usai come una sorta di corda per arrampicarmi ancora un po', mentre lei continuava a brontolare. Alla fine arrivai abbastanza vicino da poterla toccare. Restammo a fissarci a lungo e cominciai a chiedermi se sapesse chi ero. Riusciva a capire che avevo appena assaggiato il sangue (e che mi era pure piaciuto)? Avevo l'alito che puzzava di sangue vomitato? Sembravo diversa? Mi erano cresciuti i canini come zanne? (Okay, quest'ultimo interrogativo era ridicolo. I vampiri adulti non hanno le zanne, ma avete capito il senso.) Mi miagolobrontolò di nuovo e si avvicinò ancora. Io allungai la mano a grattarle la testa, lei abbassò le orecchie, chiuse gli occhi e si mise a fare le fusa. «Sembri una piccola leonessa», le dissi. «Vedi come sei più carina quando non ti lamenti?» Poi sbattei le palpebre per la sorpresa, rendendomi conto del perché mi fosse sembrata familiare. «Tu eri nel mio sogno.» E una piccola gioia si aprì un varco nel muro di nausea e di paura che avevo dentro di me. «Tu sei la mia gatta!» La micia aprì gli occhi, sbadigliò e starnutì di nuovo, come a commentare il fatto che ci avessi messo tanto a capire. Con un grugnito per lo sforzo mi arrampicai fino a sedermi in cima al muro accanto al ramo su cui era appollaiata, mentre lei, con un sospiro felino, saltò delicatamente e s'incamminò sulle minuscole zampette bianche per raggiungermi e sedermi in braccio. Sembrava non mi restasse altro da fare che darle qualche ulteriore grattatina sulla testa; lei chiuse gli occhi e partirono delle fusa alquanto sonore. Continuai ad accarezzarla e nello stesso tempo cercai di fermare il tumulto che avevo in testa. Nell'aria c'era un odore che faceva prevedere pioggia, ma la notte era insolitamente calda per la fine di ottobre, quindi piegai la testa all'indietro respirando a fondo e lasciandomi calmare dalla luna che faceva capolino tra le nuvole. Guardai la gatta. «Be', Neferet ha detto che dovevamo sederci alla luce della luna.» Alzai di nuovo gli occhi verso il cielo. «Certo che sarebbe meglio se quelle stupide nuvole si levassero di torno, comunque…» Avevo appena pronunciato quelle parole, quando una ventata improvvisa prese a fischiarmi intorno, spingendo via le nubi. «Be', grazie», dissi ad alta voce rivolta a niente e a nessuno in particolare. «È stato un soffio di vento molto opportuno,» La gatta brontolò, facendomi notare che avevo avuto il coraggio di smettere di farle i grattini sulla testa. «Visto che sei una piccola leonessa, credo che ti chiamerò Nala, come la protagonista del Re leone», le annunciai ricominciando con le carezze. «Sai, piccolina, sono felice di averti trovata oggi; avevo proprio bisogno che mi succedesse qualcosa di bello dopo la notte che ho passato. Tu non ci crederesti…» Uno strano odore raggiunse il mio naso. Era così insolito che interruppi la frase a metà. Cos'era? Annusai e feci una smorfia. Era asciutto e sapeva di vecchio, come una casa rimasta chiusa troppo a lungo o un seminterrato pieno di ragnatele. Non era un buon odore, ma non era neanche tanto schifoso da darmi la nausea. Era solo… sbagliato, come se non appartenesse a quel luogo, all'aria aperta o alla notte. Poi intravidi qualcosa con la coda dell'occhio. Guardai lungo il sinuoso muro di mattoni e lì, girata di tre quarti rispetto a me, come se non sapesse decidere da che parte andare, c'era una ragazza. La luce della luna e la mia nuova capacità di novizia di vedere bene di notte mi consentirono di scorgerla anche se non c'erano luci nei paraggi. M'irrigidii. Che una di quelle odiose Figlie Oscure mi avesse seguita? Quella sera non avevo proprio voglia di avere ancora a che fare con le loro stronzate. Il mio frustrato grugnito mentale doveva essere stato anche sonoro, perché la ragazza si voltò nella mia direzione. Restai senza fiato per lo shock e sentii la paura corrermi su per la schiena. Era Elizabeth! Quell'Elizabeth Niente Cognome che si presumeva essere morta. Quando mi vide seduta in cima al muro di cinta sgranò gli occhi, che erano di un incredibile rosso acceso, e lanciò un grido stridulo; poi girò sui tacchi e sparì nella notte con una velocità non umana. Nello stesso istante, Nala inarcò la schiena e soffiò con tanta intensità da far tremare tutto il suo corpicino. «Va tutto bene, va tutto bene», continuai a ripetere, cercando di calmare me e la gatta. Tremavamo tutt'e due e Nala non la smetteva di ringhiare. «Non poteva essere un fantasma. Non poteva. Era solo… solo… una ragazza strana. Probabilmente l'ho spaventata e lei…» «Zoey! Zoey! Sei tu?» Sobbalzai e quasi caddi dal muro. Per Nala era troppo e, con un ultimo soffio feroce, saltò a terra con grazia. Ormai ero completamente e assolutamente schizzata, quindi afferrai il ramo per tenermi in equilibrio e scrutai nella notte. «Chi… chi c'è?» chiesi superando il frastuono del mio cuore. Poi venni accecata dal raggio di due torce puntate dritte su di me. «Ma certo che è lei! Vuoi che non riconosca la voce della mia migliore amica? Cavolo, mica se n'è andata da così tanto!» «Kayla?» Cercai di schermarmi gli occhi con la mano che tremava da pazzi. «Visto? Te l'avevo detto che l'avremmo trovata», intervenne una voce maschile. «Vuoi sempre rinunciare troppo presto.» «Heath?» Forse stavo sognando. «Già! Iuh-uh, bambina! Ti abbiamo trovata!» strillò Heath e anche in quell'orribile luce di torcia a pile riuscii a vederlo mentre si lanciava sul muro e iniziava a scalarlo come una scimmia alta, bionda e giocatrice di football. Incredibilmente sollevata che fosse lui e non un mostro in libera uscita, lo sgridai: «Heath! Sta' attento. Se cadi finisce che ti rompi qualcosa». Be', a meno che non atterrasse di testa, perché in quel caso non si sarebbe fatto niente. «Non io!» Si tirò su e si mise a sedere vicino a me a cavalcioni del muro. «Ehi, Zoey, guardami: sono il re del mondo!» Allargò le braccia e sorrise come un tronco scemo, fiatandomi addosso un alito che sapeva di alcol. Non c'era da stupirsi che mi fossi rifiutata di uscire con lui. «Okay, non c'è bisogno di menarmela a vita per la mia passata infatuazione per Leonardo Di Caprio.» Gli lanciai un'occhiataccia, sentendomi più me stessa di quanto non mi capitasse da ore. «Che, a dire il vero, somiglia alla mia passata infatuazione per te, solo che non è durata altrettanto a lungo e tu non hai fatto un mucchio di film di scemi ma mooolto carini.» «Ehi, non sarai ancora arrabbiata per Dustin e Drew, vero? Scordati di quei due! Sono dei ritardati.» Heath mi guardò con la sua aria da cucciolone che era davvero una meraviglia quando andava alle medie. Peccato che l'effetto meraviglia fosse finito un paio di anni fa. «E poi siamo venuti fin qui per farti evadere.» «Cosa?» scossi la testa e lo guardai strizzando gli occhi. «Aspetta. Spegnete quelle torce, mi stanno distruggendo gli occhi.» «Se le spegniamo non vediamo niente», replicò Heath. «Benissimo. Allora fate luce da un'altra parte. Laggiù, per esempio.» Indicai un punto non meglio identificato lontano dalla scuola (e da me). Lo fecero, così potei abbassare la mano, che ero contenta di notare aveva smesso col tremito isterico, e non strizzare più gli occhi. Quelli di Heath, invece, si spalancarono alla vista del mio Marchio. «Guarda qui! Adesso è tutto colorato anche dentro! È come… come… in TV o roba del genere.» Be', era bello vedere che alcune cose non cambiano mai. Heath era sempre Heath: un gran figo, ma di certo non il più astuto del mazzo. «Ehi! E io? Sono qui, ve lo ricordate o no?» strillò Kayla. «Qualcuno mi aiuti a salire lì sopra, ma con un po' di attenzione. Prima appoggio la mia borsa nuova. Oh, è meglio che mi tolga le scarpe. Zoey, non hai idea dei saldi che ti sei persa ieri da Bakers. Tutti i modelli estivi in liquidazione. E intendo liquidazione vera. Sconto del settanta per cento. Ne ho prese cinque paia per…» Mi rivolsi a Heath: «Aiutala a salire. Subito. È l'unico modo per farla smettere di parlare». Già. Certe cose proprio non cambiano. Lui si girò fino a trovarsi sdraiato sullo stomaco, quindi si chinò offrendo le mani a Kayla, che le afferrò ridacchiando e si lasciò trascinare in cima al muro assieme a noi. Fu proprio mentre lei ridacchiava e lui la tirava su che me ne accorsi: il modo inequivocabile in cui Kayla sorrideva e ridacchiava e arrossiva a Heath. Conoscevo quell'atteggiamento almeno quanto il fatto che non sarei mai stata una matematica. A Kayla piaceva Heath. Okay, non le piaceva. Le piaceva. All'improvviso il commento colpevole di Heath riguardo al fare il cretino alle mie spalle alla festa che mi ero persa aveva senso. «Allora, come sta Jared?» chiesi bruscamente, interrompendo di botto kaylate e risolini. «Okay, credo», rispose lei senza incrociare il mio sguardo. «Credi?» Mosse le spalle e vidi che sotto alla sua strafiga giacca di pelle portava la minuscola camicia di pizzo color crema che chiamavamo Camicetta della Tetta, perché non solo lasciava vedere un bel po' di scollatura, ma, essendo color pelle, sembrava mostrare anche più di quello che era in realtà. «Non lo so. A dire il vero non ci siamo sentiti molto nell'ultimo paio di giorni.» Continuava a non guardarmi, ma lanciava occhiate a Heath, che aveva un'espressione spaesata… okay, non è che ne avesse altre di espressioni. Dunque la mia migliore amica stava dietro al mio ragazzo. La cosa mi fece davvero incavolare e per un secondo desiderai che la serata non fosse così piacevolmente tiepida. Desiderai che fosse freddissima e che a Kayla si congelassero immediatamente quelle stupide tette ipersviluppate. Di colpo fummo avvolti dal vento del nord, cattivo, di un freddo da mettere quasi paura. Cercando di non farsi notare troppo, Kayla si chiuse la giacca e ridacchiò di nuovo, stavolta in modo nervoso, però, non da civetta, e mi arrivò un'altra zaffata di birra e qualcos'altro. Qualcosa che si era impresso così di recente nei miei sensi che mi stupii di non essermene accorta subito. «Kayla, hai bevuto e pure fumato?» Lei rabbrividì e mi guardò sbattendo le palpebre come un coniglio tonto. «Solo un paio. Di birre intendo. E, be', mmm, Heath aveva giusto uno spinello piccolo piccolo e io avevo paura di venire qui e così ho fatto un paio di tiri. Piccoli piccoli.» «Le serviva un aiutino, un corroborante», spiegò Heath usando una parola davvero difficile per un tipo come lui. «E da quando avete cominciato a fumare erba?» gli chiesi. Lui sorrise. «Non è niente di che, Zo. Mi faccio uno spinello giusto una volta ogni tanto. Fanno meno male delle sigarette.» Odiavo che mi chiamasse Zo. Cercai di sembrare comprensiva. «Heath, non fanno meno male delle sigarette e, anche se fosse così, non è mica una gran cosa. Le sigarette sono disgustose e ti uccidono. E poi solo i più sfigati della scuola fumano erba. Oltre al fatto che proprio non ti puoi permettere di uccidere altre cellule cerebrali.» Stavo per aggiungere «o spermatozoi», ma non volevo toccare quell'argomento. Heath si sarebbe fatto un'idea del tutto sbagliata se avessi fatto riferimento alle sue parti virili. «Na na», fece Kayla. «Come, Kayla?» Stringeva ancora la giacca per difendersi dal freddo e i suoi occhi erano passati da quelli dì un patetico coniglio a quelli di un gatto furbo che fa andare la coda. Riconobbi il cambiamento. Lo faceva sempre con le persone che non considerava parte del suo giro di amiche. Mi aveva sempre dato sui nervi e la sgridavo dicendole di non essere così antipatica. E adesso si comportava da stronza con me? «Ho detto 'na na' perché non sono solo gli sfigati a fumare, almeno non a farlo ogni tanto. Sai quei due running back iper bonazzi che giocano per Union, Chris Ford e Brad Higeons? Li ho visti alla festa di Katie l'altra sera. Loro fumano.» «Ehi, non sono poi così fighi», intervenne Heath. Kayla lo ignorò e continuò a parlare. «E anche Morgan fuma qualche volta.» «Morgan, cioè Morgana la fata un po' puttana?» Sì, ero arrabbiata con Kayla, ma un buon pettegolezzo è sempre un buon pettegolezzo. «Sì. Si è anche appena fatta il piercing alla lingua e al…» Kayla s'interruppe e mimò la parola «clitoride». «T'immagini quanto deve far male?» «Dove? Dov'è che si è fatta fare il piercing?» chiese Heath. «Da nessuna parte», dicemmo in stereo Kay e io, sembrando stranamente per un momento le due amiche del cuore che eravamo state. Poi però ripresi a discutere: «Kayla, hai cambiato argomento. Di nuovo. I giocatori di Union si sono sempre fatti. Che scoperta! Ricordati un po' tutti quegli steroidi, che sono il motivo per cui ci abbiamo messo sedici anni a batterli». «Forza Tigers! Giààà, li abbiamo presi a calci in culo!» sbottò Heath. Lo guardai alzando gli occhi al cielo. «E chiaramente Morgan ha cominciato a perdere la testa, ed è per questo che si è fatta il piercing al…» Guardai Heath e cambiai idea. «Che si è fatta il piercing e si è messa a fumare. Trovami qualcuno di normale che fuma.» Kay ci pensò un secondo. «Io!» Sospirai. «Senti, a me proprio non sembra una cosa tanto astuta.» «Be', non è che tu sappia sempre tutto.» Quell'odioso lampo negli occhi era tornato. Passai lo sguardo da lei a Heath e ritorno. «È chiaro che hai ragione. Non so tutto.» L'espressione da stronza tornò sbigottita, quindi si appiattì ancora nella stronzaggme e non potei non paragonare Kay a Stevie Rae che, anche se la conoscevo solo da un paio di giorni, ero assolutamente più che certa non avrebbe mai fatto il filo al mio ragazzo, che fosse ormai quasi ex o meno. E pensavo che non sarebbe nemmeno scappata via da me trattandomi come un mostro nel momento in cui avevo più bisogno di lei. Fissai Kayla. «Penso che dovreste andare.» «Benissimo», replicò. «E probabilmente non è una buona idea che torniate.» Alzò le spalle e la giacca si aprì e face scivolare la spallina della camicia, rendendo evidente che non portava il reggiseno. «Come vuoi.» «Heath, aiutala a scendere.» In generale, Heath era piuttosto bravo a seguire semplici istruzioni, quindi sollevò Kayla e la mise giù. Lei prese la torcia e ci guardò dal basso. «Spicciati, Heath. Mi sta venendo davvero freddo.» Quindi girò sui tacchi e prese a incamminarsi verso la strada. «Be'… È venuto freddo di colpo», commentò Heath un po' goffo. «Già. Adesso può anche bastare», replicai distratta, e non badai molto al fatto che il vento smise immediatamente di soffiare. «Ehi, senti, Zo. Io sono venuto sul serio a portarti via.» «No.» «Eh?» «Heath, guarda la mia fronte.» «Sì, hai quella roba a forma di mezzaluna. Ed è tutta colorata, e questo è strano perché prima non era tutta colorata.» «Be', adesso lo è. Okay, Heath, concentrati. Sono stata Segnata col Marchio. Questo significa che il mio corpo sta affrontando la Trasformazione per farmi diventare un vampiro.» Lo sguardo di Heath si spostò dal Marchio e scese lungo tutto il mio corpo. Lo vidi esitare all'altezza di tette e gambe, cosa che mi fece rendere conto che erano in bella vista fin quasi alle mutande perché, quando mi ero arrampicata sul muro, la gonna era salita. «Zo, a me sta benissimo qualunque cosa stia succedendo al tuo corpo. Sei davvero sexy. Sei sempre stata bella, ma adesso sembri proprio una dea.» Mi sorrise e mi sfiorò gentilmente la guancia, facendomi ricordare perché mi era piaciuto tanto per così tanto tempo. Nonostante i difetti, Heath poteva essere davvero dolce, e mi faceva sempre sentire uno schianto. «Heath, mi dispiace, ma le cose sono cambiate», sussurrai. «No, che non sono cambiate.» Cogliendomi di sorpresa si chinò in avanti, mi fece scivolare una mano sul ginocchio e mi baciò. Feci un salto indietro e gli afferrai il polso. «Fermati, Heath! Sto cercando di parlarti.» «Che ne diresti se tu parli e io bacio?» mormorò. Cominciai a ripetergli di no. Poi lo sentii. Il pulsare del suo sangue sotto le mie dita. Batteva forte e veloce. Giuro che lo percepivo e lo udivo allo stesso tempo. E, quando si chinò per baciarmi ancora, vidi la vena che gli correva sul collo. Si muoveva, pulsando forte mentre il sangue pompava nel suo corpo. Sangue… Le sue labbra sfiorarono le mie e mi ricordai il sapore del sangue nel calice. Quel sangue era freddo e misto al vino, oltre a venire da un debole sfigato che non valeva niente. Ma quello di Heath doveva essere caldo, denso… dolce… molto più dolce di quello di Elliott il Frigorifero. «Ahi! Accidenti, Zoey, mi hai graffiato!» Allontanò il polso. «Merda, Zo, mi hai fatto sanguinare. Se non volevi che ti baciassi, bastava dirlo.» Si portò il polso alle labbra e succhiò la scintillante goccia rossa che si era formata. Quindi incrociò lo sguardo col mio e si gelò. Aveva del sangue sul labbro. Ne sentivo l'odore: era come il vino, solo meglio, molto meglio. Quel profumo mi avvolse, facendomi venire la pelle d'oca. Volevo assaggiarlo. Volevo assaggiarlo più di quanto avessi mai voluto fare qualcosa in vita mia. «Io voglio…» mi udii mormorare con una voce che non conoscevo. «Sì…» Heath rispose come se fosse in trance. «Sì… tutto quello che vuoi. Farò tutto quello che vuoi.» Questa volta fui io a chinarmi verso di lui e a sfiorargli il labbro con la lingua, prendendo in bocca la goccia di sangue, che esplose in un calore, in un'ondata di piacere che non avevo mai provato. «Ancora», gracchiai. Quasi avesse perso la capacità di parlare e potesse solo annuire, Heath mi tese il braccio. Sanguinava poco e quando leccai la sottile striscia scarlatta, Heath gemette. Il contatto con la mia lingua sembrò fare qualcosa al graffio, perché prese immediatamente a perdere sangue più in fretta… molto più in fretta. Mentre mi portavo il polso alla bocca e posavo le labbra sulla sua pelle calda, mi tremavano le mani. Rabbrividii e gemetti di piacere e… «Oh, mio Dio! Cosa gli stai facendo?» Il grido di Kayla lacerò la nebbia scarlatta nella mia mente. Lasciai andare il polso di Heath come se scottasse. «Sta' lontana da lui! Lascialo in pace!» strillava Kayla. Heath non si mosse. «Vai. Vai e non tornare più», gli dissi. «No», replicò lui, sembrando stranamente sobrio nella voce e nell'aspetto. «Sì. Vattene da qui.» «Lascialo andare!» urlò Kayla. «Kayla, se non chiudi quella bocca volo giù e succhio ogni singola goccia di sangue da quel tuo stupido corpo di vacca traditrice!» replicai rabbiosa. Lei squittì e scappò via. Mi voltai verso Heath, che mi stava ancora fissando. «Adesso devi andare anche tu.» «Zo, io non ho paura di te.» «Heath, ho abbastanza paura io per tutti e due.» «Ma non mi dispiace quello che hai fatto. Zoey, io ti amo. Adesso più che mai.» «Smettila!» Non avevo intenzione di gridare, ma l'intensità delle mie parole lo fece sobbalzare. Deglutii e abbassai la voce. «È meglio che vai. Per favore.» Poi, cercando qualcosa che lo convincesse ad andarsene, aggiunsi: «Probabilmente in questo momento Kayla sta chiamando la polizia. Non sarebbe un bene per nessuno di noi». «Okay, vado. Ma tornerò.» Mi diede un bacio forte e veloce e, quando sentii il sapore del sangue che aveva ancora sulle labbra, provai una pugnalata di piacere. Poi scivolò giù dal muro e scomparve nel buio finché di lui non vidi altro che il puntino di luce della torcia e, infine, neanche più quello. Non mi sarei data il tempo di pensare. Non ancora. Muovendomi per abitudine, come un robot, usai il ramo per aiutarmi a scendere. Mi tremavano talmente tanto le ginocchia che riuscii a fare giusto i pochi passi fino all'albero, dove mi accasciai, la schiena appoggiata alla solida sicurezza del vecchio tronco. Nala si materializzò, saltandomi in braccio come fosse stata il mio gatto da anni e non da pochi minuti e, quando cominciai a singhiozzare, si arrampicò su di me fino a premere il musetto caldo sulla mia guancia bagnata. Dopo quello che mi sembrò un tempo lunghissimo, i singhiozzi si trasformarono in… singhiozzo, e avrei tanto voluto non essere corsa via dalla sala di ricreazione senza la borsetta. Avevo proprio bisogno di un Kleenex. «Tieni. Si direbbe che ti possa servire.» Nala si lamentò quando, udendo la voce, sobbalzai per la sorpresa e allontanai le lacrime a sufficienza per vedere che qualcuno mi tendeva un fazzoletto. «Grgrazie.» Lo presi e mi soffiai il naso. «Non c'è di che», disse Erik Night. 18 «Ti senti bene?» «Sì, sto bene. Benissimo. Tutto a posto», mentii. «Non sembra che tu stia bene. Ti scoccia se mi siedo?» chiese Erik. «No, fai pure», replicai con aria indifferente. Sapevo di avere il naso rosso come un peperone. Quando lui si era fatto avanti mi stava praticamente colando il moccio addosso e avevo il vago sospetto che fosse stato presente almeno a parte dell'incubo tra Heath e me. La nottata non faceva che peggiorare. Lo guardai e decisi: Che cavolo, tanto vale continuare nella stessa direzione. «Nel caso non l'avessi capito, ero io quella che ha visto la piccola scenata fra te e Afrodite, ieri, in corridoio.» Lui non ebbe la minima esitazione. «Lo so, e vorrei non fosse successo. Non voglio che ti faccia idee sbagliate su di me.» «E quali idee sarebbero?» «Che tra Afrodite e me ci sia più di quanto non c'è in realtà.» «Non sono affari miei», replicai. Si strinse nelle spalle. «Voglio solo che tu sappia che lei e io non stiamo più insieme.» Stavo per dirgli che di certo non sembrava che Afrodite avesse afferrato quell'ultima parte, ma poi ripensai a quello che era appena successo tra Heath e me, e con stupore mi resi conto che forse non avrei dovuto giudicare troppo duramente Erik. «Okay. Voi due non state insieme», conclusi. Rimase seduto in silenzio vicino a me per un po' e, quando riprese a parlare, mi sembrò fosse quasi arrabbiato. «Afrodite non ti aveva spiegato del sangue nel vino.» Non l'aveva detto come fosse una domanda, ma risposi lo stesso: «No». Scosse la testa e vidi che la mascella s'irrigidiva. «Mi aveva detto che l'avrebbe fatto. Mi aveva assicurato che ti avrebbe avvisata mentre ti cambiavi, così, se non ti andava, potevi fare a meno di bere dal calice.» «Ha mentito.» «Non è una grande sorpresa.» Mi sentivo crescere dentro una gran rabbia. «Tu credi? Tutta questa storia era sbagliata fin dall'inizio. Insomma, prima vengo spinta a partecipare al rito delle Figlie Oscure, dove m'imbrogliano per farmi bere sangue. Poi incontro il mio quasi-ex-ragazzo, che si dà il caso sia umano al cento per cento, e nessuno si era minimamente sprecato a dirmi che anche la più infinitesimale gocciolina del suo sangue mi avrebbe fatta diventare un… un mostro.» Mi morsi il labbro e mi aggrappai alla collera per non ricominciare a piangere. Decisi di non dire niente del fantasma di Elizabeth: c'erano già troppe cose strane da accettare per una notte sola. «Nessuno te l'ha spiegato perché è una cosa che non avrebbe dovuto iniziare ad avere effetto su di te prima della sesta», replicò pacato. «Eh?» Avevo ripreso a essere di un'eloquenza travolgente. «La brama di sangue di solito comincia quando si è in sesta classe e si è già quasi completamente Trasformati. Qualche volta si sente di qualcuno di quinta che deve affrontare la cosa in anticipo, ma non succede spesso.» «Frena un attimo. Cosa stai dicendo?» Mi sembrava di avere la testa piena di api che ronzano. «Si comincia ad avere lezioni sulla brama di sangue e altri aspetti che si dovranno affrontare da vampiri adulti quando si è in quinta, e poi, l'ultimo anno, i corsi si concentrano soprattutto su questi argomenti. Oltre alla materia in cui hai deciso di specializzarti.» «Ma io sono in terza! E a malapena, anche, dato che ho il Marchio da pochi giorni.» «Il tuo Marchio è diverso; tu sei diversa.» «Io non voglio essere diversa!» Mi accorsi che stavo gridando e abbassai la voce. «Voglio soltanto imparare a gestire questa cosa come tutti gli altri.» «Troppo tardi, Zy.» «E allora che faccio?» «Credo sarebbe meglio che ne parlassi col tuo mentore. È Neferet, vero?» «Già», risposi con aria avvilita. «Ehi, stai allegra. Neferet è grandiosa. Ormai non fa più da mentore quasi a nessun novizio, quindi deve credere davvero molto in te.» «Lo so, lo so. È solo che questo mi fa sentire…» Com'è che mi sentivo all'idea di parlare a Neferet di quanto accaduto quella sera? Imbarazzata. Come se avessi di nuovo dodici anni e dovessi dire al prof di ginnastica che mi erano venute le mie cose e dovevo andare in spogliatoio a cambiarmi i calzoncini. Sbirciai di nascosto Erik. Eccolo lì, splendido, attento e perfetto. Diavolo. Non potevo dirglielo, quindi cambiai aggettivo. «Stupida. Mi fa sentire stupida.» Che in realtà non era una bugia, anche se, oltre a imbarazzata e stupida, mi sentivo soprattutto spaventata. Non volevo che tutto questo m'impedisse d'inserirmi. «Non sentirti stupida. La verità è che sei molto più avanti di tutti noi.» «Allora…» Esitai, poi presi un bel respiro e mi lanciai: «Ti è piaciuto il sapore del sangue nel calice, stasera?» «Be', il nodo della faccenda è proprio questo: il mio primo Rito della Luna Piena con le Figlie Oscure è stato alla fine della terza e, a parte il 'frigorifero', ero l'unico di quell'età, proprio come te stasera.» Fece una risatina per niente divertita. «Mi avevano invitato solo perché ero in finale nel concorso di monologhi shakespeariani e il giorno successivo dovevo partire per Londra per la gara.» Mi guardò e sembrò un po' in imbarazzo. «Nessuno di questa Casa della Notte era mai arrivato fino a Londra. Era una cosa importante.» Scosse la testa come a prendersi in giro. «A dire il vero, ero io che pensavo fosse una cosa importante. Quindi le Figlie Oscure m'invitarono a unirmi a loro e io ci andai. Sapevo del sangue. Mi diedero la possibilità di rifiutare, ma non lo feci.» «E ti è piaciuto?» Questa volta la risata fu sincera. «Mi vennero i conati di vomito e diedi di stomaco. Era la cosa più schifosa che avessi mai assaggiato.» Gemetti, mi cadde la testa in avanti e presi la faccia tra le mani. «Non mi sei d'aiuto.» «Perché, tu l'hai trovato buono?» «Più che buono. Hai detto che era la cosa più schifosa che avessi mai assaggiato? Io l'ho trovato la cosa più deliziosa. Be', la cosa più deliziosa finché non…» M'interruppi, rendendomi conto di quanto stavo per dire. «Finché non hai assaggiato il sangue fresco?» mi chiese con gentilezza. Feci di sì con la testa, non osando parlare. Lui mi prese le mani, costringendomi a liberare la faccia, quindi mi mise un dito sotto il mento e mi obbligò a guardarlo dritto negli occhi. «Non devi provare imbarazzo o vergogna. È normale.» «Trovare squisito il sapore del sangue non è normale. Non per me.» «Sì che lo è. Tutti i vampiri devono affrontare la brama di sangue.» «Ma io non sono un vampiro!» «Forse no, non ancora. Ma di certo non sei neanche una normale novizia e in questo non c'è niente di male. Tu sei speciale, Zoey, e quello che è speciale può essere stupefacente.» Con lentezza, mi tolse il dito di sotto il mento e, come aveva già fatto quella notte, disegnò gentilmente la sagoma del pentacolo sul mio Marchio scurito. Mi piaceva la sensazione che mi dava il suo dito sulla pelle: caldo e leggermente ruvido. Mi piaceva pure il fatto che, stando vicino a lui, non si scatenassero tutte le strane reazioni che avevo avuto accanto a Heath. Cioè, non sentivo pulsare il sangue di Erik nelle vene e non vedevo battere la vena sul suo collo. Non che mi sarebbe dispiaciuto se mi avesse baciata… Diavolo! Ma stavo diventando una vampira zoccola? Cos'altro doveva succedere? Nessun maschio di nessuna specie (e questo avrebbe potuto includere anche Damien) sarebbe stato al sicuro nelle mie vicinanze? Forse avrei dovuto evitare i ragazzi finché non avessi capito cosa mi stava succedendo e non avessi imparato a controllarmi. Poi mi ricordai che avevo cercato dì evitare tutti e che era proprio per quel motivo che mi trovavo lì fuori. «Erik, tu che ci fai qui?» «Ti ho seguita», rispose semplicemente. «Perché?» «Ho immaginato cos'avesse combinato Afrodite e ho pensato che ti potesse servire un amico. Sei in stanza con Stevie Rae, giusto?» Annuii. «Appunto. Avevo pensato di cercarla e farla venire qui da te ma non sapevo se volevi che lei sapesse del…» S'interruppe e fece un vago gesto in direzione della sala di ricreazione. «No! Io… io non voglio che lo sappia.» Inciampai sulle parole, da tanto le pronunciai in fretta. «È quello che pensavo. Ecco perché ti sei beccata me al suo posto.» Sorrise, poi sembrò un po' a disagio. «Non avevo intenzione di ascoltare quello che vi dicevate tu e Heath. Mi dispiace che sia successo.» Mi concentrai sulle coccole a Nala. Quindi aveva visto Heath che mi baciava e poi tutta la faccenda del sangue. Dio, com'era imbarazzante… Poi mi colpì un pensiero e alzai gli occhi verso di lui con un sorrisetto ironico. «Suppongo che con questo siamo pari. Nemmeno io avevo intenzione di ascoltare quello che dicevate tu e Afrodite.» Ricambiò il sorriso. «Siamo pari. Questo mi piace.» Il suo sorriso provocò strane cose nel mio stomaco. «Non sarei davvero volata giù a bermi il sangue di Kayla», riuscii a dire. Rise (aveva proprio una bella risata). «Lo so. I vampiri non volano.» «Però le ho messo una gran strizza.» «Per quanto ho visto, se lo meritava.» Aspettò un attimo, quindi aggiunse: «Posso chiederti una cosa? È piuttosto personale». «Ehi, mi hai vista bere sangue da un calice e godermela un mondo, vomitare, baciare un ragazzo, leccargli il sangue come fossi un cagnolino e poi piangere sino a farmi uscire gli occhi. E io ti ho visto rifiutare un pompino. Direi che potrei proprio rispondere a una domanda piuttosto personale.» «Lui era davvero in trance? Dall'aspetto e da come parlava sembrava di sì.» Mi dimenai un po', a disagio, e Nala si lamentò finché non la feci stare tranquilla a furia di coccole. Alla fine riuscii a dire: «In apparenza sembrava così. Non so se fosse trance o no – e non avevo la minima intenzione di tenerlo in mio potere o altre strane cose del genere –, ma era diverso. Non lo so. Aveva bevuto e fumato. Magari era solo un po' fatto». Udii di nuovo la voce di Heath, che mi tornava alla mente come una foschia soffocante: Sì… tutto quello che vuoi. Farò tutto quello che vuoi. E rividi lo sguardo intenso che mi aveva lanciato. Diavolo, non avevo mai pensato che Heath il Fustacchione fosse capace di dimostrare una simile intensità (almeno fuori del campo da football), di certo non era in grado di sillabare la parola (intensità, non football). «È sempre stato così o solo dopo che tu… mmm… hai cominciato a…» «Non sempre. Perché?» «Be', questo elimina due cose che avrebbero potuto essere la causa del suo comportamento insolito. La prima: se fosse stato soltanto fatto o bevuto, sarebbe stato così anche prima. La seconda: avrebbe potuto comportarsi così perché sei davvero bella e questo basta a far sentire in trance un ragazzo che ti sta vicino.» Le sue parole rimisero in agitazione qualcosa in fondo al mio stomaco, qualcosa che in precedenza non si era mai mosso per nessun ragazzo. Né per Heath il Fustacchione né per Jordon il Bradipo, né per Jonathan lo Stupido Ragazzino della Banda (la mia storia sentimentale non è lunga ma decisamente pittoresca). «Sul serio?» chiesi come una cretina totale. «Sul serio.» Sorrise in un modo che di cretino non aveva proprio niente. Com'era possibile che piacessi a quel ragazzo? Ero una sfigata bevitrice di sangue. «Ma nemmeno questo è possibile, perché doveva pure aver notato quanto sei sexy anche prima che lo baciassi e, a quanto dici, non sembrava rapito finché nel quadretto non è entrato un po' di sangue.» («Rapito» – hi hi hi! –, aveva detto davvero «rapito».) Ero troppo presa a sorridere come un'idiota per il suo uso di vocaboli complicati per pensare prima di rispondere: «A dire il vero è cominciato quando ho iniziato a sentire il rumore del suo sangue che pulsava nelle vene». «Ripeti un po'?!» Ah, cavolo. Non era quello che avrei voluto dire. Mi schiarii la voce. «Heath ha cominciato a cambiare quando ho sentito il rumore del sangue che gli pulsava nelle vene.» «Soltanto i vampiri adulti riescono a sentirlo.» S'interruppe e poi, con un rapido sorriso, aggiunse: «E Heath sembra il nome del protagonista gay di una soap». «Ci sei andato vicino. È il miglior quarterback di Broken Arrow.» Erik annuì e sembrò divertito. «Ah, già che ci siamo, mi piace il nome che ti sei scelto. Night è un cognome molto figo», aggiunsi, cercando di cavarmela almeno con l'ultima parte della conversazione e dire qualcosa di vagamente sensato. Il suo sorriso si fece ancora più ampio. «Non l'ho scelto. Erik Night è il nome con cui sono nato.» «Ah, sì? Be', mi piace.» Perché qualcuno non mi sparava e la facevamo finita? «Grazie.» Guardò l'orologio e io mi accorsi che erano quasi le sei e mezzo. Del mattino, cosa che mi sembrava ancora assurda. «Farà giorno presto», disse. Immaginando che quella fosse la battuta che indicava che ci dovevamo separare, avvicinai i piedi e presi meglio in braccio Nala, in modo da potermi alzare, e trovai la mano di Erik sotto il gomito che mi sosteneva. Mi aiutò a sollevarmi e rimase lì, tanto vicino che la coda di Nala gli sfiorava il maglione nero. «Ti chiederei se vuoi mangiare qualcosa, ma l'unico posto in cui servono cibo a quest'ora è la sala di ricreazione e non credo ti vada di tornarci.» «No, proprio no. E comunque non ho fame.» Affermazione che, mi resi subito conto, era una bugia bella e buona, perché solo sentendo nominare il cibo provai un buco allo stomaco. «D'accordo. Ti dispiace se ti accompagno al dormitorio?» chiese. «No.» Cercai di avere un'aria disinvolta. Stevie Rae, Damien e le gemelle sarebbero morti sul colpo se mi avessero vista con Erik. Incamminandoci, non dicemmo niente, ma non era il silenzio sgradevole di chi si sente a disagio. A dire il vero era molto carino. Di quando in quando le nostre braccia si sfioravano e io pensavo a quant'era alto e figo e a quanto mi sarebbe piaciuto che mi prendesse la mano. Dopo un po' disse: «Oh, prima non ho finito di rispondere alla tua domanda. La prima volta che ho assaggiato il sangue a uno dei riti delle Figlie Oscure l'ho trovato schifoso, ma ogni volta successiva il gusto mi sembrava migliore. Non posso dire di trovarlo delizioso, ma comincia a piacermi. E di certo mi piace il modo in cui mi fa sentire». Lo fissai. «Con la testa che gira e le ginocchia molli? Come se fossi sbronzo ma invece non lo sei?» «Già. Ehi, lo sapevi che i vampiri non si ubriacano?» Scossi la testa. «È per un qualcosa che la Trasformazione fa al nostro metabolismo. Persino per un novizio è difficile prendersi una sbronza.» «Perciò i vampiri si ubriacano bevendo sangue?» Si strinse nelle spalle. «Suppongo. Comunque ai novizi è vietato bere sangue umano.» «E allora perché nessuno ha informato gli insegnanti di quello che fa Afrodite?» «Lei non beve sangue umano.» «Senti, Erik, ero lì anch'io. Nel vino c'era decisamente sangue e proveniva da quel ragazzo, Elliott.» Rabbrividii. «Pessima scelta, tra l'altro.» «Ma lui non è umano.» «Frena un attimo… è proibito bere sangue umano», dissi lentamente (oh, diavolo! Era quello che avevo appena fatto). «Ma non c'è problema a bere quello di un altro novizio?» «A patto che sia d'accordo.» «Non ha senso.» «Sì che ne ha, invece. È normale che, mentre il nostro organismo si Trasforma, si sviluppi la brama di sangue, quindi ci serve uno sfogo. I novizi guariscono in fretta, perciò nessuno si fa male. E non ci sono effetti collaterali, come capita invece quando un vampiro beve da un umano vivo.» Quello che stava dicendo mi picchiava in testa come la fastidiosa musica a manetta che urlava in continuazione al negozio Wet Seal e afferrai l'unica cosa che mi era arrivata forte e chiara. «Umano vivo?» strillai. «Dimmi che non l'intendevi come alternativa al bere da un cadavere!» Mi stava tornando la nausea. Rise. «No, l'intendevo come alternativa al sangue avuto dai donatori dei vampiri.» «Mai sentita una roba simile.» «La maggior parte degli umani non ne sa niente. Anche noi lo scopriamo solo in quinta.» Poi qualcos'altro di quanto aveva detto si fece strada nella confusione che avevo in testa. «Cosa intendevi per effetti collaterali?» «Abbiamo appena cominciato a studiarli in Socio Vamp 312. Sembra che, quando un vampiro adulto beve da un umano vivo, si possa creare un legame molto forte. Da parte del vampiro, non sempre, ma gli umani s'invaghiscono con grande facilità. E per loro è pericoloso. Insomma, prova a pensarci. Di per sé una perdita di sangue non è una buona cosa, se aggiungi poi che noi viviamo decenni più degli umani, a volte secoli, dal loro punto di vista dev'essere orribile essere innamorato lesso di qualcuno che sembra non invecchiare mai mentre tu diventi rugoso e rinsecchito e muori.» Ripensai ancora all'aria meravigliata ma intensa con cui mi aveva guardata Heath e capii che, per quanto duro potesse essere, dovevo raccontare tutto a Neferet. «Già, dev'essere orribile», replicai con un filo di voce. «Siamo arrivati.» Mi stupii vedendo che ci eravamo fermati davanti al dormitorio femminile. Alzai gli occhi a guardare il mio accompagnatore. «Be' ti sono grata per avermi seguita… credo», dissi con un sorriso ironico. «Ah, be', ogni volta che vuoi che qualcuno venga a ficcare il naso nei fatti tuoi non invitato, conta pure su di me.» «Lo terrò a mente. Grazie.» Mi appoggiai Nala sul fianco e cominciai ad aprire la porta. «Ehi, Zy.» Mi voltai. «Non restituire il vestito ad Afrodite. Includendoti nel cerchio di stanotte ti ha formalmente offerto un posto tra le Figlie Oscure ed è tradizione che la futura Somma Sacerdotessa faccia un dono a ogni nuovo membro al suo primo rito. Non credo che vorrai fare parte del gruppo, ma hai comunque diritto a tenerti il vestito. Soprattutto perché sta molto meglio a te che a lei.» Si allungò a prendermi la mano (quella con cui non tenevo il gatto) e la rivoltò palmo in su. Poi col dito seguì la vena più grande, facendo impazzire i miei battiti. «E devi anche sapere che puoi contare su di me se decidi di aver voglia di assaggiare un altro sorso di sangue. Tieni a mente pure questo.» Erik si chinò e, gli occhi sempre fissi nei miei, diede un leggerissimo morso in un punto del mio polso, che poi baciò dolcemente. Questa volta l'agitazione di ali nello stomaco fu frenetica e fece ribollire l'interno delle mie cosce e accelerare il respiro. Il suo sguardo, mentre teneva le labbra sul mio polso, mi provocò un fremito di desiderio. Sapevo che mi sentiva tremare. Fece guizzare la punta della lingua sulla vena, e anche questo mi diede un fremito. Poi mi sorrise e si allontanò nel vago chiarore che precede l'alba. 19 Il mio polso bruciava e formicolava ancora per l'inatteso bacio di Erik (e morso e leccatina), e non ero certa di essere già in grado di parlare, perciò mi sentii sollevata vedendo che nella grande sala all'ingresso c'erano pochissime ragazze che mi riservarono giusto un'occhiata prima di tornare a guardare quello che dalla musica sembrava America's Next Top Model. Corsi in cucina e misi Nala sul pavimento, sperando che non scappasse mentre mi preparavo un panino. Non lo fece, preferì invece seguirmi per tutta la stanza come un minuscolo cagnolino arancio e continuare a lamentarsi con quello strano non-miagolio. Continuavo a dirle «lo so» e «hai ragione», perché immaginavo mi stesse dando della cretina per come mi ero comportata quella sera e, be', aveva ragione sul serio. Fatto il panino, presi un sacchetto di pretzel (Stevie Rae aveva detto la verità: non riuscii a trovare cibo spazzatura decente in nessuno degli armadietti), delle bollicine marroni (non m'importa quale bibita sia, basta che sia marrone e non diet e abbia le bolle – iiih!), la mia gatta e salii le scale. «Zoey! Ero così preoccupata per te! Raccontami tutto.» Stevie Rae era raggomitolata nel letto con un libro ed era ovvio che mi stesse aspettando. Portava un pigiama con disegnati cappelli da cowboy e aveva i capelli appiccicati su un lato della faccia come se ci si fosse addormentata sopra. Giuro che sembrava avesse dodici anni. Esordii allegra: «Pare che abbiamo un animaletto». Mi voltai in modo che Stevie Rae potesse vedere Nala schiacciata contro il mio fianco. «Tieni, aiutami prima che faccia cadere qualcosa. Perché se fosse la gatta, poi non la smetterebbe più di lamentarsi.» «È un amore!» Stevie Rae saltò giù dal letto e si affrettò verso di me per prendere Nala, ma la micetta mi si aggrappò addosso come se pensasse che qualcuno l'avrebbe ammazzata se si fosse staccata dal mio fianco, quindi Stevie Rae piazzò il cibo sul mio comodino. «Ehi, quel vestito è favoloso.» «Già, mi sono cambiata prima del rito.» Questo mi ricordò che dovevo restituirlo ad Afrodite. Sicuro. Non mi sarei certo tenuta il «regalo», anche se Erik aveva detto che avrei dovuto. E poi restituirglielo mi dava l'occasione di «ringraziarla» per essersi «dimenticata» di avvisarmi del sangue. Strega e stronza. «Allora… com'era?» Mi sedetti sul letto e diedi un pretzel a Nala, che cominciò subito a sbatacchiarlo da tutte le parti (perlomeno aveva smesso di brontolare), poi addentai un gran boccone di panino. Sì, avevo fame, ma stavo anche guadagnando tempo. Non sapevo cosa dire a Stevie Rae, e cosa non dire. La faccenda del sangue era così sconcertante… e così disgustosa. Avrebbe pensato che ero orribile? Avrebbe avuto paura di me? Inghiottii e decisi di deviare la conversazione su un argomento più innocuo. «Erik Night mi ha accompagnata al dormitorio.» Stevie Rae prese a saltellare sul letto come un gioppino in stile country. «Spara! Devi dirmi tutto.» «Mi ha baciata», dissi, ammiccando con le sopracciglia. «Stai scherzando! E dove? Come? È stato bello?» «Mi ha baciato la mano.» Decisi in fretta di mentire. Non volevo spiegare tutta la storia del polso/vena/sangue/morso. «È stato quando mi ha dato la buona notte. Eravamo proprio davanti al dormitorio. E, sì, è stato bello.» Le sorrisi su un altro boccone di panino. «Scommetto che Afrodite ha cagato piastrelle quando hai lasciato la sala di ricreazione con lui.» «Be', a dire il vero me ne sono andata prima di lui, che mi ha raggiunta dopo. Ero uscita per… mmm… una passeggiata lungo il muro di cinta, dove ho anche trovato Nala.» Diedi una grattatina dietro le orecchie della gatta. Lei si rannicchiò vicino a me, chiuse gli occhi e iniziò a fare le fusa. «A dire il vero, credo sia stata lei a trovare me. Comunque, mi ero arrampicata sul muro perché pensavo avesse bisogno di essere salvata e poi – e a questo so che non crederai – ho visto qualcosa che sembrava il fantasma di Elizabeth, poi sono comparsi Heath, il mio quasi-ex-ragazzo della mia vecchia scuola, e la mia ex-migliore-amica.» «Cosa? Chi? Rallenta. Comincia col fantasma di Elizabeth.» Scossi la testa e masticai. Tra un boccone e l'altro, provai a spiegare. «È stato davvero strano e spaventoso. Ero seduta lì sul muro ad accarezzare Nala, quando qualcosa ha attirato la mia attenzione. Ho guardato giù e c'era questa ragazza, non molto distante da me. Mi ha guardata con degli strani occhi rossi e giuro che era proprio Elizabeth.» «Ma va? Chissà che impressione!» «Eccome. E lei appena mi ha vista ha cacciato uno strillo orribile ed è scappata via.» «Io mi sarei presa una strizza micidiale.» «Anch'io, solo che non ho avuto neanche il tempo di pensarci che sono arrivati Heath e Kayla.» «Cosa vuoi dire? Come facevano a essere qui?» «No, non erano qui, erano dall'altra parte del muro. Devono avermi sentita mentre cercavo di calmare Nala dopo che aveva sclerato del tutto per il fantasma di Elizabeth.» «L'ha visto anche Nala?» Annuii. Stevie Rae rabbrividì. «Allora doveva esserci per davvero.» La mia voce divenne quasi un sussurro: «Tu sei sicura che sia morta? Non è che magari c'è stato un errore ed è ancora viva e se ne va in giro per la scuola?» Suonava ridicolo, ma non più del fatto che avessi visto un fantasma. Stevie Rae deglutì con forza. «È morta. L'ho vista morire. Tutti in classe l'hanno vista.» Sembrava che stesse per mettersi a piangere e quell'argomento mi metteva una gran fifa, perciò passai a qualcosa di meno pauroso. «Be', potrei essermi sbagliata. Magari era soltanto una con gli occhi strani che le somigliava. Era buio e poi sono arrivati subito Heath e Kayla.» «E come mai sono venuti?» Alzai gli occhi al cielo. «Heath ha detto che volevano 'farmi evadere'. Te l'immagini?» «Ma sono stupidi?» «Si direbbe. Oh, e poi Kayla, la mia exmigliore-amica, ha dimostrato in modo evidente di stare dietro a Heath!» Stevie Rae restò senza fiato. «Che zoccola!» «Hai detto bene. Be', comunque, gli ho detto di andarsene e di non tornare, e poi mi sentivo un po' sconvolta ed è stato allora che mi ha trovata Erik.» «Wooow! È stato dolce e romantico?» «Be', sì, abbastanza. E mi ha chiamata Zy.» «Ooh, un nomignolo è un gran buon segno!» «È quello che ho pensato anch'io.» «E allora ti ha accompagnata al dormitorio?» «Già, ha detto che mi avrebbe portata a mangiare qualcosa, ma l'unico posto aperto a quell'ora era la sala di ricreazione e io non volevo tornarci.» Ah, cavolo. Lo capii subito di aver detto troppo. «Le Figlie Oscure sono state orribili?» Guardai Stevie Rae coi suoi occhioni da cerbiatto e capii che non potevo dirle che avevo bevuto sangue. Non ancora. «Be', hai presente Neferet, com'era sexy, bella e… di classe?» Stevie Rae annuì. «Afrodite ha fatto più o meno quello che aveva fatto lei, solo che sembrava una sgualdrina.» «Ho sempre pensato che fosse davvero volgare.» Stevie Rae scosse la testa con aria disgustata. «Non dirlo a me.» La guardai e sbottai: «Ieri, prima che Neferet mi portasse qui al dormitorio, ho visto Afrodite che cercava di fare un pompino a Erik». «Ma va? Dio se è disgustosa. Aspetta, hai detto che cercava di farlo. Com'è 'sta storia?» «Lui le diceva di no e la spingeva via. Le ha detto che non la voleva più.» «Scommetto che questo le ha fatto perdere anche quel poco di rotelle che ancora le restavano», ridacchiò Stevie Rae. Mi ricordavo come gli stava addosso, anche se lui le diceva chiaramente di no. «A dire il vero, mi sarebbe persino dispiaciuto per lei se non fosse così… così…» Mi sforzai di trovare le parole giuste. «Così strega infernale?» suggerì premurosa Stevie Rae. «Già, credo sia proprio così. Ha quell'atteggiamento… come se avesse il diritto di essere antipatica e sgradevole finché vuole e noi dovessimo tutti inchinarci e sopportare.» Stevie Rae annuì. «E le sue amiche sono lo stesso.» «Già, ho incontrato l'orribile trio.» «Intendi Bellicosa, Terribile e Vespa?» «Proprio loro. Ma a cosa pensavano quando hanno scelto quei nomi orrendi?» chiesi infilandomi in bocca una manciata di pretzel. «Esattamente a quello che pensa tutto il suo gruppo: di essere meglio di chiunque altro e intoccabili, perché la volgare Afrodite sarà la nuova Somma Sacerdotessa.» Replicai non appena le parole mi passarono bisbigliando nella mente: «Non credo che Nyx lo consentirà». «Che vuoi dire? Sono già il gruppo 'giusto', Afrodite è a capo delle Figlie Oscure sin da quand'era in quinta e la sua affinità è diventata evidente.» «Cos'è la sua affinità?» «Ha delle visioni, per esempio di disgrazie future», spiegò accigliata Stevie Rae. «Pensi che finga?» «Oh, diavolo, no! È incredibilmente precisa. Quello che penso, e Damien e le gemelle sono d'accordo con me, è che le racconti solo quando le ha mentre è presente qualcuno al di fuori del suo gruppetto.» «Un momento, stai dicendo che sa che succederanno delle brutte cose prima che accadano ma non fa niente per evitarle?» «Già. La settimana scorsa ha avuto una visione all'ora di pranzo, ma le streghe hanno stretto i ranghi intorno a lei e hanno cominciato a portarla fuori della sala da pranzo. Se Damien non ci avesse sbattuto contro perché era in ritardo, facendole sparpagliare e riuscendo così a vedere che Afrodite era nel bel mezzo di una visione, nessuno l'avrebbe mai saputo. E con ogni probabilità sarebbero morti tutti i passeggeri di un intero aereo.» Quasi mi strozzai con un pretzel e, tra una tossita e l'altra, riuscii a farfugliare: «Tutti i passeggeri di un aereo? Oh cavolo!» «Giààà, Damien era sicuro che lei stesse avendo una visione, perciò è andato da Neferet e Afrodite ha dovuto spiegare ciò che aveva visto, cioè un jet che si schiantava appena dopo il decollo. Le sue visioni sono talmente chiare che è riuscita a descrivere l'aeroporto e leggere i numeri sulla coda dell'aereo. Quindi Neferet ha contattato lo scalo di Denver. Loro hanno fatto dei controlli e hanno scoperto dei problemi di cui non si erano accorti prima. Hanno detto che, se non li avessero risolti, l'aereo sarebbe caduto immediatamente dopo il decollo. Ma so benissimo che Afrodite non avrebbe detto niente, se non fosse stata beccata, anche se ha raccontato la balla che le sue amiche la stavano portando fuori della sala da pranzo sapendo che sarebbe voluta andare subito da Neferet. Emerita stronzata.» Stavo per dire che non potevo credere che Afrodite e le sue streghe potessero lasciare di proposito che morissero centinaia di persone, ma poi mi ricordai le parole odiose che avevano detto quella sera: I maschi umani fanno schifo… Dovrebbero morire tutti. Allora mi resi conto che non avevano solo aperto la bocca e dato fiato: avevano parlato sul serio. «E allora perché Afrodite non ha mentito a Neferet? Cioè, dicendole l'aeroporto sbagliato o invertendo i numeri del volo o roba simile?» «È quasi impossibile mentire ai vampiri, soprattutto quando ti fanno una domanda diretta. E poi ricordati che Afrodite vuole diventare Somma Sacerdotessa più di ogni altra cosa, quindi, se Neferet scoprisse quanto è falsa, i suoi piani per il futuro ne risentirebbero di brutto.» «Afrodite non può diventare Somma Sacerdotessa. È egoista e odiosa, e lo sono anche le sue amiche.» «Sì, già, però Neferet non la pensa così e lei era la sua mentore.» Sbattei le palpebre per la sorpresa. «Vorrai scherzare! E si è lasciata infinocchiare dalle stronzate di Afrodite?» Non era possibile. Neferet era troppo intelligente. Stevie Rae si strinse nelle spalle. «Si comporta in modo diverso quando c'è Neferet.» «Ma comunque…» «E poi ha davvero una forte affinità, il che significa che Nyx ha dei progetti speciali per lei.» «Oppure è un diavolo dell'inferno e trae i suoi poteri dal lato oscuro della forza. Pronto? Nessuno ha visto Guerre Stellari? Era difficile pensare che Anakin Skywalker potesse diventare cattivo e guarda invece com'è andata.» «Be', Zoey, quella è tutta roba inventata.» «Sì, però credo che chiarisca bene il concetto.» «Puoi sempre provare a dirlo a Neferet.» Masticai il panino e riflettei sulla cosa. Magari avrei dovuto. Neferet sembrava infinitamente troppo intelligente per cadere nei giochetti di Afrodite. Probabilmente sapeva già che le streghe infernali avevano in mente qualcosa. Magari aveva solo bisogno che qualcuno si prendesse la briga di parlargliene. «Quindi nessuno ha mai provato a dire a Neferet di Afrodite?» «Non che io sappia.» «Perché no?» Stevie Rae mi parve a disagio. «Be', credo che sembri un po' come fare la spia. E poi, cosa potremmo dire a Neferet? Che pensiamo che Afrodite potrebbe nascondere le visioni che ha, ma che la nostra unica prova a favore è che è una stronza odiosa?» Stevie Rae scosse la testa. «Non credo che la Somma Sacerdotessa apprezzerebbe una cosa del genere e, anche se per qualche miracolo ci credesse, cosa potrebbe fare? Non può mica buttarla fuori a calci dalla scuola in modo che possa tossire a morte in qualche angolo di strada. Continuerebbe comunque a stare qui col suo gruppo di streghe e tutti quei ragazzi che farebbero qualunque cosa per lei, basta che faccia schioccare le sue ditine munite di artigli. Direi che proprio non ne vale la pena.» Stevie Rae aveva fatto un'osservazione giusta, ma non mi piaceva. Non mi piaceva proprio per niente. Le cose potrebbero essere diverse se una novizia più potente prendesse il posto di Afrodite a capo delle Figlie Oscure. Sobbalzai con aria colpevole e cercai di nasconderlo dietro una gran sorsata di bollicine marroni. Ma cosa andavo pensando? Non avevo fame di potere. Non volevo diventare Somma Sacerdotessa o venire coinvolta nell'immensa rottura di scatole di una battaglia con Afrodite e metà della scuola (la metà più affascinante, peraltro), io volevo solo trovarmi un posto in questa nuova vita, un posto che sentissi casa… un posto dove integrarmi ed essere come tutti gli altri. Poi mi ricordai delle scosse elettriche che avevo provato durante la realizzazione di entrambi i cerchi e di come gli elementi erano sembrati crepitare attraverso di me; mi tornò in mente anche di quanto mi ero dovuta sforzare per rimanere nel cerchio e non unirmi ad Afrodite al centro. «Stevie Rae, quando viene creato un cerchio, tu senti qualcosa?» chiesi di punto in bianco. «Cosa intendi?» «Be', quando nel cerchio viene chiamato il fuoco, tu senti caldo?» «Naaa. Cioè, mi piace molto la cerimonia e a volte, quando Neferet prega, sento l'energia che si propaga nel cerchio stesso, tutto qui.» «Quindi non senti mai soffiare la brezza quando viene chiamato il vento né senti odore di pioggia quand'è il turno dell'acqua, e nemmeno l'erba sotto i piedi quand'è il momento della terra?» «No di certo. Soltanto una Somma Sacerdotessa con un'affinità superiore per gli elementi potrebbe…» S'interruppe di colpo e sgranò gli occhi. «Mi stai dicendo che tu hai percepito qualcuna di queste cose? Tutte?» Mi dimenai a disagio. «Forse.» «Forse!» squittì. «Ma Zoey! Hai idea di cosa potrebbe significare?» Scossi la testa. «Giusto la settimana scorsa a lezione di Sociologia abbiamo studiato le più famose Somme Sacerdotesse della storia. Non ce n'è una con un'affinità per tutti e quattro gli elementi da centinaia di anni.» «Cinque», la corressi, mogia. «Tutti e cinque! Hai provato qualcosa anche con lo spirito?!» «Già, credo di sì.» «Zoey! È incredibile. Non penso ci sia mai stata una Somma Sacerdotessa in grado di percepire tutti e cinque gli elementi.» Accennò al mio Marchio. «È questo. Significa che sei diversa, e lo sei davvero.» «Stevie Rae, non potremmo tenercelo per noi per un po'? Cioè, non dirlo nemmeno a Damien e alle gemelle? Io vorrei… vorrei cominciare a capirci qualcosa da sola. Ho la sensazione che stia succedendo tutto troppo in fretta.» «Ma Zoey, io…» L'interruppi subito: «E poi potrei sbagliarmi. Che succederebbe se fossi stata soltanto eccitata e nervosa perché era la prima volta che partecipavo al rito? Capisci come mi sentirei in imbarazzo se dicessi in giro: 'Ehi, sono l'unica novizia ad avere affinità per tutti gli elementi' e poi venisse fuori che è stato tutto uno scherzo dei miei nervi?» Stevie Rae si mordicchiò la guancia. «Non lo so, continuo a pensare che dovresti dirlo a qualcuno.» «Già, così poi Afrodite e il suo branco avrebbero tutti i motivi per esultare, se risultasse che m'immagino le cose.» Stevie Rae impallidì. «Oh, ragazzi. Hai proprio ragione. Sarebbe davvero terribile. Non dirò niente finché non sei pronta. Promesso.» La sua reazione mi fece tornare in mente una cosa. «Senti, scusa, posso chiederti che cosa ti ha fatto Afrodite?» Stevie Rae abbassò gli occhi, unì le mani e ingobbì le spalle come se all'improvviso sentisse freddo. «Mi ha invitata a un rituale. Non ero qui da molto, un mese circa, ed ero così eccitata che il gruppo 'giusto' mi volesse…» Scosse la testa, continuando a non guardarmi. «Sono stata una stupida, ma allora non conoscevo nessuno e pensavo che magari potevano essere loro le mie amiche. Così sono andata. Ma non volevano che diventassi una di loro. Volevano che fossi un… un… donatore di sangue per il rito. Mi hanno addirittura chiamata 'frigorifero', come non fossi buona a fare altro che contenere sangue per loro. Mi hanno fatta piangere e, quando ho detto di no, mi hanno presa in giro e cacciata via. È così che ho incontrato Damien, e poi Erin e Shaunee. Passeggiavano insieme e mi hanno vista uscire di corsa dalla sala di ricreazione, perciò mi hanno seguita e mi hanno detto di non preoccuparmi per quello che era successo. Sono miei amici da allora.» Finalmente mi guardò. «Mi dispiace. Avrei dovuto dirti qualcosa prima che tu ci andassi, ma sapevo che con te non l'avrebbero fatto. Tu sei troppo forte e Afrodite è curiosa del tuo Marchio. E poi sei molto bella e puoi essere una di loro.» «Ehi, sei bella anche tu!» Mi si era rivoltato lo stomaco al pensiero di Stevie Rae riversa sulla sedia come Elliott… al pensiero di bere il sangue di Stevie Rae. «No, io sono giusto abbastanza carina. Io non sono una di loro.» «Neanch'io sono una di loro!» strillai, svegliando Nala, che prese a brontolare. «Lo so che non lo sei. Non è quello che intendevo. Volevo solo dire che sapevo che ti avrebbero voluta nel gruppo e che quindi non avrebbero cercato di usarti come hanno fatto con me.» No, erano riuscite a imbrogliarmi e avevano fatto il possibile per mettermi una gran strizza. Ma perché? Un momento! Sapevo cos'avevano in mente. Erik aveva detto che, quando aveva bevuto sangue per la prima volta, gli aveva fatto schifo ed era corso fuori a vomitare. Io ero lì solo da due giorni. Avevano voluto fare qualcosa che mi avrebbe disgustata e spaventata al punto da tenermi per sempre lontana dal loro rituale. Non volevano che entrassi a far parte delle Figlie Oscure, ma non volevano neanche dire a Neferet che non mi volevano. Intendevano fare in modo che fossi io a rifiutarmi di unirmi a loro. Per un qualche motivo contorto, quella prepotente di Afrodite voleva tenermi fuori delle Figlie Oscure. I bulli mi avevano sempre fatta incavolare come una biscia, il che significava, purtroppo, che sapevo cosa dovevo fare. Oh, diavolo. Mi toccava entrare nel gruppo delle Figlie Oscure. «Zoey, non sei arrabbiata con me, vero?» chiese Stevie Rae con una vocina sottile. Sbattei le palpebre, cercando di chiarirmi le idee. «Certo che no! Avevi ragione: Afrodite non ha cercato di costringermi a dare il sangue.» Mi cacciai in bocca l'ultimo pezzo di panino, masticando in fretta. «Ooh, sono proprio distrutta. Pensi di potermi aiutare a trovare una lettiera per Nala, così riesco a dormire un po'?» Stevie Rae s'illuminò all'istante e saltò giù dal letto con la sua solita vitalità. «Guarda un po' qui.» Schizzò dall'altra parte della stanza e sollevò una grande borsa verde, con sopra stampato a caratteri cubitali: FELICIA'S SOUTHERN AGRICULTURE STORE, 2616 S. HARVARD, TULSA, da cui rovesciò sul pavimento una lettiera, ciotoline per il cibo e per l'acqua, una scatola di croccantini Friskies (con protezione speciale contro i grumi di pelo) e un sacco di sabbietta. «Come facevi a saperlo?» «Non lo sapevo. L'ho trovata davanti alla nostra porta quando sono tornata dopo la cena.» Frugò in fondo alla borsa e ne tolse una busta e un adorabile collarino di pelle rosa con sopra minuscole punte d'argento. «Tieni, è per te.» Prima d'iniziare a convincere con gentilezza Nala a indossare il collare, Stevie Rae mi tese la busta, che scoprii aver scritto sopra il mio nome. Al suo interno, una bella calligrafia svolazzante su un costoso biglietto di carta color avorio diceva: Skylar mi ha detto che lei stava arrivando. Era firmato soltanto con una lettera: N. 20 Dovevo proprio andare a parlare con Neferet. Il mattino dopo, mentre Stevie Rae e io facevamo colazione in tutta fretta, non facevo altro che pensarci. Non volevo dirle della mia ipotetica insolita reazione agli elementi. Insomma, mica avevo raccontato balle a Stevie Rae: era possibile che mi fossi immaginata tutto e se l'avessi riferito a Neferet e lei mi avesse fatto fare chissà quale strano test per le affinità (in quella scuola, non si poteva mai dire) scoprendo che non avevo altro che un'immaginazione iperattiva? Non mi sognavo neanche di affrontare una cosa del genere, quindi avrei tenuto la bocca chiusa finché non ne avessi saputo di più. E non volevo parlarle neanche del fatto che pensavo di aver visto il fantasma di Elizabeth. Mica volevo pensasse che ero fuori di melone. Neferet era fantastica, ma era comunque un adulto e riuscivo già quasi a sentire la menata dell'«è stata solo la tua immaginazione perché hai dovuto affrontare così tanti cambiamenti» che mi sarei beccata se avessi ammesso di aver visto uno spettro. Però dovevo parlarle della questione della brama di sangue (diavolo, se mi piaceva così tanto, perché il solo pensarci mi faceva venire la nausea?) Stevie Rae indicò Nala. «Credi che abbia intenzione di venire in classe con te?» Abbassai lo sguardo verso i miei piedi, dove la gattina si era acciambellata a fare le fusa. «Può?» «Intendi dire se le è permesso farlo?» Annuii. «Sì, i gatti possono andare dove vogliono.» Mi chinai ad accarezzarle la testa. «Allora immagino che potrebbe venirmi dietro tutto il giorno.» «Be', sono contenta che sia tua e non mia. Da quanto ho visto quando mi sono svegliata, è una vera rubacuscini.» Risi. «Hai proprio ragione. Come riesca un affarino tanto piccolo a spingermi via dal mio cuscino davvero non lo so.» Le feci un altro grattino in testa. «Andiamo, se no arriviamo in ritardo.» Mi alzai con la ciotola in mano e quasi andai a sbattere contro Afrodite, che, come al solito, aveva al fianco Terribile e Bellicosa. Vespa non si vedeva (magari quella mattina si era fatta la doccia e si era sciolta al contatto con l'acqua – hi hi hi!) Il sorriso maligno di Afrodite mi ricordò un piranha che avevo visto al Jenks Aquarium l'anno prima, durante una gita con la classe di biologia. «Ciao, Zoey. Diamine, ieri sera sei scappata via tanto in fretta che non ho avuto modo di salutarti. Mi dispiace che non ti sia trovata bene. È un vero peccato, ma le Figlie Oscure non sono adatte a tutti.» Lanciò un'occhiata a Stevie Rae e incurvò le labbra. «A dire il vero ieri sera mi è piaciuta un sacco e il vestito che mi hai dato è proprio un amore!» esclamai con esagerato entusiasmo. «Ti ringrazio di avermi invitata a fare parte delle Figlie Oscure. Accetto. Assolutamente.» Il sorriso feroce di Afrodite sbiadì. «Davvero?» Sorrisi a mia volta, ma come un'idiota totale e inconsapevole. «Davvero! Quand'è il prossimo incontro o rituale o quello che è… o devo chiederlo a Neferet? Devo vederla stamattina. So che sarà contenta di sapere che ieri sera mi hai fatto proprio sentire la benvenuta e che adesso sono anch'io una Figlia Oscura!» Afrodite esitò soltanto un istante, poi riprese a sorridere e si adeguò alla perfezione al mio tono da ingenua. «Già, scommetto che sarà felice di sapere che ti sei unita a noi, ma il capo delle Figlie Oscure sono io e conosco i nostri programmi a memoria, perciò non è necessario scocciarla con domande stupide. Domani c'è la nostra celebrazione di Samhain. Metti il tuo vestito.» Aveva enfatizzato il possessivo e il mio sorriso si fece ancora più grande. La mia intenzione era di stuzzicarla, e c'ero riuscita. «Ci troviamo alla sala di ricreazione alle quattro precise.» «Grandioso. Ci sarò.» «Bene, è proprio una bella sorpresa», commentò mielosa. Poi, seguita da Terribile e Bellicosa (che avevano l'aria sconvolta di due reduci da un bombardamento), lasciò la cucina. «Streghe infernali», borbottai sottovoce. Guardai Stevie Rae, che mi osservava con espressione afflitta. «Ti unisci al loro gruppo?» sussurrò. «Non è come pensi. Vieni, ti spiego mentre andiamo in classe.» Misi i piatti della colazione nella lavastoviglie e guidai una Stevie Rae troppo silenziosa fuori del dormitorio. Nala ci seguiva soffiando a qualunque gatto osasse avvicinarsi troppo a me. «Sono in ricognizione, proprio come hai detto tu ieri sera», spiegai a Stevie Rae. «No. Non mi piace.» Scosse la testa con tanta forza da far ballonzolare i corti capelli biondi. «Hai mai sentito quel vecchio detto: 'Tienti gli amici vicino e i nemici ancora più vicino?'» «Sì, ma…» «È quello che sto facendo. Afrodite se la cava troppo liscia per tutte le stronzate che fa. È cattiva. È egoista. Non può essere lei quella che Nyx vuole come Somma Sacerdotessa.» Stevie Rae sgranò gli occhi. «Hai intenzione di fermarla?» «Be' almeno ci proverò.» E, mentre lo dicevo, sentii pizzicare la mezzaluna color zaffiro che mi decorava la fronte. «Grazie per le cose da gatto che mi ha preso per Nala», esordii. Neferet alzò gli occhi dai compiti che stava correggendo e sorrise. «Nala… proprio un bel nome per lei. Ma dovresti ringraziare Skylar, non me. È lui che mi ha detto che stava arrivando.» Poi guardò la palla di pelo arancio che si strusciava impaziente contro le mie caviglie. «Ti è davvero affezionata.» Gli occhi si spostarono di nuovo a guardare me. «Dimmi, Zoey, ti capita di sentire la sua voce nella mente, o di sapere esattamente dove si trova anche se non è nella stessa stanza in cui sei tu?» Sbattei le palpebre. Neferet pensava che potessi avere un'affinità coi gatti! «No, io… io non la sento nella mente, però brontola in continuazione. E non so se saprei dove si trova se non fosse con me perché finora mi è sempre rimasta vicino.» «È deliziosa. Vieni, piccolina.» Neferet mosse un dito per attirare Nala. La gatta saltò sulla scrivania, sparpagliando tutti i fogli. «Oh, mamma mia, Neferet, mi dispiace.» Feci per afferrare la gatta ma Neferet mi allontanò con un gesto. Accarezzò la testa di Nala, che chiuse gli occhi e prese a fare le fusa. «I gatti sono sempre i benvenuti e i fogli si rimettono a posto in fretta. Ora dimmi, Zoeybird, di cosa sei venuta a parlarmi in realtà?» L'uso del soprannome che mi aveva dato la nonna mi strinse il cuore e all'improvviso sentii la sua mancanza con un'intensità che mi costrinse a ricacciare indietro le lacrime. «Ti manca la tua vecchia casa?» chiese gentilmente Neferet. «No, per niente. Be', tranne la nonna, ma sono stata talmente impegnata che me ne sono resa conto soltanto ora», replicai sentendomi in colpa. «Non ti mancano mamma e papà.» L'aveva detto come un'affermazione, ma sentii di doverle rispondere comunque. «No. Be', in realtà non ho un papà. Ci ha lasciati quando ero piccola. La mamma si è risposata tre anni fa e…» «A me lo puoi dire. Ti do la mia parola che capirò», intervenne Neferet. Sbottai con più rabbia di quanta non pensassi di provare: «Lo odio! Da quand'è entrato a far parte della nostra famiglia» – diedi appositamente al termine un tono sarcastico –, «non ne è andata dritta una. La mamma è cambiata completamente. È come se non potesse essere allo stesso tempo sua moglie e mia madre. Perciò è da tanto che quella non è più casa per me». «Mia madre morì quando avevo dieci anni. Mio padre non si risposò, ma iniziò invece a usare me come moglie. Da allora, ha abusato di me fino al momento in cui Nyx mi ha salvata Segnandomi col suo Marchio. Avevo quindici anni.» Neferet s'interruppe e lasciò che lo shock delle sue parole mi diventasse del tutto comprensibile, prima di riprendere. «Perciò, vedi, quando ho detto che capivo che cosa si prova nel momento in cui la propria casa diventa un luogo insopportabile, non parlavo per frasi fatte.» «È una cosa terribile.» Non sapevo che altro dire. «All'epoca lo era. Adesso è semplicemente un ricordo come tanti. Vedi, Zoey, gli umani del tuo passato, anche quelli del presente e del futuro, diventeranno sempre meno importanti per te, sinché, alla fine, non proverai quasi più nulla per loro. Lo capirai meglio proseguendo nella Trasformazione.» La sua voce era piatta e gelida e mi fece una strana sensazione, quindi mi sentii dire: «Non voglio smettere di voler bene alla nonna». «Ma certo che no», replicò, il tono tornato di nuovo caldo e premuroso. «Sono solo le ventuno, perché non le telefoni? Puoi arrivare in ritardo alla lezione di Recitazione: farò sapere alla professoressa Nolan che sei giustificata.» «Grazie, mi farebbe molto piacere. Ma non è di questo che volevo parlarle.» Trassi un profondo respiro. «Ieri sera ho bevuto del sangue.» Neferet annuì. «Spesso le Figlie Oscure mischiano del sangue di novizio al loro vino rituale. È una cosa che ai giovani piace fare. Ti ha disturbata molto?» «Be', l'ho saputo solo a cose fatte, e allora sì, mi ha disturbata.» Neferet aggrottò la fronte. «Non è stato etico da parte di Afrodite non dirtelo prima. Avresti dovuto avere la possibilità di decidere. Le parlerò.» «No!» replicai un po' troppo in fretta, quindi mi costrinsi a sembrare più calma. «Davvero, non ce n'è bisogno. Me ne occupo io. Ho deciso di far parte delle Figlie Oscure, quindi non voglio cominciare mettendo nei guai Afrodite. Non sarebbe certo un buon inizio.» «Probabilmente hai ragione. Afrodite può essere imprevedibile e sono sicura che tu saprai badare a te stessa. Se appena possibile, incoraggiamo i novizi a risolvere tra loro gli eventuali problemi che possono avere.» Mi scrutò con aria preoccupata. «È normale che i primi sorsi di sangue non risultino affatto invitanti. Lo sapresti se fossi con noi da più tempo.» «Non è questo. È che… l'ho trovato delizioso. Erik mi ha detto che la mia era una reazione insolita.» Le sopracciglia perfette di Neferet schizzarono verso l'alto. «Lo è davvero. Per caso ti sei sentita anche eccitata o ti girava un po' la testa?» «Entrambe le cose», replicai sottovoce. Neferet squadrò il mio Marchio. «Tu sei unica, Zoey Redbird. Be', penso sarebbe meglio toglierti dall'attuale sezione di Sociologia e spostarti a Sociologia 415.» «Preferirei che non lo facesse. Mi sento già abbastanza diversa così, con tutti che guardano il mio Marchio e controllano per vedere se faccio qualcosa di strano. Se mi sposta in una classe con ragazzi qui già da tre anni, penseranno davvero tutti che sono anormale.» Neferet esitò, accarezzando la testa di Nala mentre rifletteva. «Capisco quello che vuoi dire, Zoey. Non sono più un'adolescente da oltre cent'anni, ma i vampiri sono dotati di una memoria lunga e precisa, perciò mi ricordo benissimo com'è stato affrontare la Trasformazione.» Sospirò. «Senti, che ne diresti di un compromesso? Ti lascio restare nella sezione di terza di Sociologia, ma ti darò anche il testo che usiamo nelle classi superiori. Tu dovrai leggere un capitolo a settimana e promettere di discutere con me qualunque dubbio o domanda tu abbia.» «Andata.» «Sai, Zoey, mentre è in corso la Trasformazione, tu diventi gradualmente un essere del tutto nuovo. I vampiri non sono esseri umani, anche se una volta lo erano. Adesso questo ti può sembrare riprovevole, ma il tuo desiderio di sangue è normale nella tua nuova vita quanto il desiderio per…» S'interruppe e sorrise. «… le 'bollicine marroni' in quella vecchia.» «Diavolo! Ma lei sa tutto?» «Nyx è stata generosa con me. Oltre all'affinità coi nostri amatissimi felini e le capacità terapeutiche, mi ha donato anche un profondo intuito.» «Può leggermi nel pensiero?» chiesi, nervosa. «Non proprio. Ma posso cogliere spizzichi e bocconi delle cose. Per esempio, so che c'è qualcos'altro che mi vuoi dire riguardo alla scorsa notte.» Presi un altro respirone. «Ero turbata per aver scoperto la faccenda del sangue, perciò sono corsa via dalla sala di ricreazione. È così che ho trovato Nala. Stava su un albero vicinissimo al muro di cinta, perciò mi sono arrampicata sulla recinzione per tirarla giù e, mentre le parlavo, sono arrivati due ragazzi della mia vecchia scuola.» «Cos'è successo?» La mano di Neferet si era fermata: non accarezzava più la gatta e rivolgeva a me tutta la sua attenzione. «Non è stato bello. Loro… loro erano andati, un po' fatti e un po' sbronzi.» Okay, quello non volevo dirlo ma mi era scappato! «Hanno cercato di farti del male?» «Oh, no, niente del genere. Erano la mia ex-migliore-amica e il mio quasi-ex-ragazzo.» Neferet aggrottò di nuovo le sopracciglia. «Cioè, avevo smesso di uscire con lui, ma tra di noi c'era comunque qualcosa.» Annuì come se capisse. «Continua.» «Kayla e io abbiamo quasi litigato. Mi vede in modo diverso, adesso, e immagino di vederla in modo diverso anch'io. E a nessuna delle due piace questo nuovo punto di vista.» Mentre lo dicevo, mi resi conto che era vero. Non è che Kay fosse cambiata, in realtà era sempre stata così, solo che le piccole cose cui prima non facevo caso, come le kaylate prive di senso o il suo lato cattivo, di colpo erano diventate troppo irritanti da sopportare. «Comunque poi se n'è andata e io sono rimasta sola con Heath.» Mi fermai, incerta se raccontare il resto. Neferet strinse le palpebre. «Hai provato brama di sangue per lui?» «Sì», mormorai. «Zoey, hai anche bevuto il suo sangue?» Il tono era brusco. «Ne ho assaggiata solo una goccia. L'avevo graffiato. Non l'ho fatto apposta, ma quando ho udito il pulsare delle sue vene… mi è venuto così.» «Perciò non hai bevuto direttamente dalla ferita?» «Avevo cominciato, ma Kayla è tornata e ci ha interrotti. Era del tutto fuori di testa e a quel punto sono riuscita a far andare via Heath.» «Perché, non voleva?» Scossi la testa. «No, non voleva.» Mi sembrava di essere sul punto di scoppiare di nuovo a piangere. «Neferet, mi dispiace tanto! Io non avevo intenzione di farlo. Non sapevo neanche cosa stessi facendo finché Kayla non si è messa a strillare!» «Ovvio che tu non sapessi cosa stava succedendo. Come potrebbe essere a conoscenza della brama di sangue una novizia Segnata da poco?» Mi sfiorò il braccio con un gesto rassicurante, da mamma. «Probabilmente non c'è stato nessun Imprinting con lui.» «Imprinting?» «È quello che succede quando i vampiri bevono direttamente dagli umani, soprattutto se esiste già un legame tra loro precedente allo scambio di sangue. Per questo ai novizi è proibito bere sangue umano e, a dire il vero, è fortemente sconsigliato anche ai vampiri adulti. Esiste un'intera setta di vampiri che lo considera moralmente sbagliato e vorrebbe renderlo illegale», spiegò. Mentre parlava, i suoi occhi si fecero più scuri e l'espressione che vi lessi mi rese nervosa al punto da farmi rabbrividire. Poi Neferet sbatté le palpebre e gli occhi tornarono normali. Che me la fossi solo immaginata quella strana oscurità? «Ma questa è una dissertazione adatta alla mia classe di sesta.» «Cosa devo fare con Heath?» «Niente. Fammi sapere se cerca di rivederti. Se ti chiama, non rispondere. Se ha iniziato l'Imprinting, anche il suono della tua voce può avere effetto su di lui e agire come un richiamo per attirarlo verso di te.» «Sembra una roba tratta da Dracula», borbottai. «Non ha niente a che vedere con quel maledetto libro!» scattò. «Stoker ha diffamato i vampiri, e questo ha causato infiniti piccoli screzi con gli umani.» «Mi scusi, io non volevo…» Con un gesto della mano, chiuse la questione. «No, sono io che non avrei dovuto riversare su di te le mie frustrazioni riguardo al libro di quel vecchio pazzo. E non preoccuparti per il tuo amico Heath. Sono sicura che starà benissimo. Hai detto che aveva bevuto e fumato? Immagino intendessi marijuana.» Annuii. «Ma io non fumo. E, a dire il vero, non avevano mai fumato neanche lui e Kayla. Non capisco cosa stia succedendo a quei due. Credo stiano uscendo con qualcuno di quei drogati di giocatori di football di Union e che non abbiano avuto il buonsenso di dire di no.» «Be', la sua reazione nei tuoi confronti potrebbe avere avuto a che fare più col livello d'intossicazione che con un possibile Imprinting.» S'interruppe, estrasse un block notes dal cassetto della scrivania e mi tese una penna. «In caso non fosse così, perché non mi scrivi per esteso il nome dei tuoi amici e il loro indirizzo? Oh e, se lo conosci, aggiungi anche il nome dei giocatori di Union.» Mi sentii precipitare il cuore sotto i tacchi «Perché le servono i nomi? Non ha intenzione di chiamare i loro genitori, vero?» Neferet rise. «No di certo. Il cattivo comportamento degli adolescenti umani non è di mia competenza. Te lo chiedo solo in modo da poter concentrare i pensieri su quel gruppo e magari scoprire eventuali tracce di possibile Imprinting tra loro.» «E cosa succede se le trova? Cosa succederà a Heath?» «È molto giovane e l'Imprinting, se ci fosse, sarebbe debole, quindi alla fine si dissolverebbe col tempo e la lontananza. Se invece avesse realmente un Imprinting completo, ci sono modi per spezzarlo.» Stavo per dirle che forse era meglio che facesse quello che doveva fare per spezzarlo, quando aggiunse: «Nessuno di quei modi è piacevole». «Oh, okay.» Scrissi nome e indirizzo di Kayla e di Heath. Non avevo idea di dove abitassero i ragazzi di Union, ma ricordavo come si chiamavano. Neferet si alzò e andò in fondo alla stanza a prendere un grosso libro di testo il cui titolo in lettere d'argento recitava: Sociologia 415. «Comincia col primo capitolo e piano piano leggiti tutto il libro. Finché non l'avrai finito, considera che sia questo il tuo compito, invece di quelli che assegnerò al resto della classe di Sociologia 101.» Presi il libro. Era pesante e la copertina risultò fredda nella mia stretta bollente e nervosa. «Se hai delle domande, qualunque domanda, vieni subito da me. Se non sono qui, puoi trovarmi nel mio appartamento presso il tempio di Nyx. Raggiungi l'ingresso principale e segui le scale sulla destra. Al momento sono l'unica sacerdotessa della scuola, quindi ho per me tutto il primo piano. E non aver paura di disturbarmi. Sei la mia novizia, perciò disturbarmi è un tuo dovere», aggiunse con un caldo sorriso. «Grazie, Neferet.» «Cerca di non preoccuparti. Nyx ti ha sfiorata e la dea bada a coloro che le appartengono.» Mi abbracciò. «Adesso vado dalla professoressa Nolan a spiegarle cosa ti trattiene. Rimani qui e adopera pure il telefono sulla mia scrivania per chiamare tua nonna.» Mi abbracciò di nuovo e poi si chiuse delicatamente la porta alle spalle. Mi sedetti alla sua scrivania e pensai quant'era magnifica la mia mentore e da quanto tempo mia mamma non mi abbracciava a quel modo. E per qualche ragione scoppiai a piangere. 21 «Ciao, nonna, sono io.» «Oh! La mia Zoeybird! Stai bene, gioia?» Sorrisi nel telefono e mi asciugai gli occhi. «Va tutto bene, nonna, è solo che mi manchi.» «Mio piccolo uccellino, anche tu mi manchi.» Fece una pausa. «Tua madre ti ha chiamata?» «No.» La nonna sospirò. «Be', gioia, magari non vuole disturbarti mentre ti stai organizzando nella tua nuova vita. Le ho detto che Neferet mi ha spiegato che per te il giorno e la notte sono invertiti.» «Grazie, nonna, ma non credo sia per questo che non mi ha telefonato.» «Magari ha provato e hai perso la chiamata. Ieri ho fatto il numero del tuo cellulare, ma mi ha risposto la segreteria.» Provai una fitta di senso di colpa. Non avevo neanche guardato il telefonino per i messaggi. «Ho dimenticato di ricaricare la batteria. È in camera. Scusa se non ti ho risposto, nonna.» Poi, per farla sentire meglio (e per fare in modo che cambiasse argomento), aggiunsi: «Quando torno in stanza controllo. Magari la mamma ha chiamato davvero». «Magari l'ha fatto, gioia. Allora, raccontami, come si sta lì?» «È bello. Cioè, ci sono un sacco di cose che mi piacciono. Le lezioni sono favolose. Sai, nonna, faccio persino scherma ed equitazione.» «Che meraviglia! Mi ricordo quanto ti piaceva cavalcare Bunny.» «E ho anche una gatta!» «Oh, Zoeybird, sono così contenta. Ti sono sempre piaciuti i gatti. E stai facendo amicizie?» «Sì, la mia compagna di stanza è fortissima. Si chiama Stevie Rae. E mi piacciono anche i suoi amici.» «Allora, se va tutto bene, perché quelle lacrime?» Avrei dovuto saperlo che non potevo nasconderle niente. «È solo che… che alcune delle cose che riguardano la Trasformazione sono davvero complicate da affrontare.» La sua voce era carica di ansia. «Però stai bene, vero? La testa è a posto?» «Sì, sì, non c'entra. È che…» Mi fermai. Volevo dirglielo; volevo dirglielo così tanto che sarei potuta esplodere, ma non sapevo come. E avevo paura, paura che poi non mi avrebbe più voluto bene. Insomma, la mamma non me ne voleva più, giusto? O quantomeno mi aveva scambiata con un nuovo marito e, in un certo senso, questo era anche peggio che smettere di volermi bene. Cos'avrei fatto se anche la nonna si fosse allontanata da me? «Zoeybird, lo sai che puoi raccontarmi tutto», mi disse con dolcezza. «È difficile, nonna.» Mi morsi il labbro per non piangere. «Allora provo a rendertelo più semplice. Non c'è niente che tu possa dire che mi faccia smettere di volerti bene. Sono tua nonna oggi e lo sarò domani e il prossimo anno. Sarò tua nonna anche dopo aver raggiunto i nostri antenati nel mondo degli spiriti e anche da lì continuerò a volerti bene, uccellino mio.» «Ho bevuto del sangue e mi è piaciuto!» «Ma, gioia, non è questo che fanno i vampiri?» replicò lei senza la minima esitazione. «Sì, ma io non sono un vampiro, sono una novizia soltanto da pochi giorni.» «Zoey, ma tu sei speciale. Lo sei sempre stata. Perché le cose dovrebbero cambiare adesso?» «Io non mi sento speciale. Mi sento diversa, un mostro.» «Allora ricordati una cosa: tu sei sempre tu. Non importa che sia stata Segnata col Marchio. Non importa che stia affrontando la Trasformazione. Dentro, il tuo spirito è sempre il tuo spirito, la tua anima. Dall'esterno potrai sembrare una sconosciuta dall'aria familiare, ma devi solo guardarti dentro per ritrovare quella te stessa che conosci da sedici anni.» «La sconosciuta dall'aria familiare…» mormorai. «Come facevi a saperlo?» «Gioia, tu sei la mia bambina. Sei figlia del mio spirito. Non è difficile capire come ti devi sentire… molto simile a come immagino mi sentirei io.» «Grazie, nonna.» «Non c'è di che, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.» Sorrisi. Amavo il suono del termine cherokee per «figlia»: così magico e speciale, quasi fosse un titolo dato da una Dea. Dato da una Dea… «Nonna, c'è un'altra cosa.» «Dimmi, uccellino.» «Credo di percepire tutti e cinque gli elementi, quando viene creato il cerchio.» «Se è vero, Zoey, ti è stato dato un potere davvero grande. E sai che a un grande potere si associa una grande responsabilità. La nostra famiglia ha una lunga storia di Anziani Tribali, Uomini di Medicina e Donne Sapienti. Bada sempre a pensare prima di agire, uccellino mio. La Dea non ti avrebbe concesso poteri speciali per capriccio. Usali con attenzione e fa' in modo che Nyx, oltre ai tuoi antenati, abbassi lo sguardo su di te e sorrida.» «Farò del mio meglio, nonna.» «È tutto quello che ti chiedo, Zoeybird.» «Qui c'è un'altra ragazza che ha dei poteri speciali, ma è orribile. È prepotente e racconta bugie. Nonna, io credo… io credo…» Presi l'ennesimo respirane e dissi quello che mi si era agitato nella testa per tutta la mattina. «Credo di essere più forte di lei e che forse Nyx mi ha Segnata in modo che potessi allontanarla dalla posizione che occupa. Ma… ma questo vorrebbe dire che devo prendere il suo posto e non so se sono pronta, non ora. Magari non lo sarò mai.» «Zoeybird, segui ciò che ti dice il tuo spirito.» Dopo una lieve esitazione, aggiunse: «Gioia, ti ricordi la preghiera di purificazione del nostro popolo?» Mi tornarono subito in mente le innumerevoli volte in cui ero andata con la nonna al ruscello dietro casa sua e l'avevo guardata fare il bagno rituale nell'acqua corrente e pronunciare la preghiera di purificazione. A volte entravo anch'io nel torrente e recitavo la preghiera con lei. Quel rito era parte della mia infanzia, ripetuto al cambio di stagione in ringraziamento per il raccolto di lavanda o in preparazione dell'inverno in arrivo, oltre che ogni volta in cui la nonna doveva prendere una decisione difficile. A volte nemmeno sapevo perché si purificasse e recitasse la preghiera: semplicemente c'era sempre stata nel rapporto tra lei e me. «Me la ricordo.» «C'è dell'acqua corrente nell'area della scuola?» «Non lo so, nonna.» «Be', se non ci fosse trova qualcosa da usare come smudge stick per la fumigazione. Salvia e lavanda insieme sono la cosa migliore, ma puoi usare anche del pino se non hai alternative. Sai cosa devi fare, Zoeybird?» «Devo passarmi intorno lo smudge, cominciando dai piedi e risalendo, davanti e dietro», declamai, come fossi stata ancora piccola, quando la nonna m'insegnava le usanze del nostro popolo. «Poi mi volto verso est e recito la preghiera di purificazione.» «Molto bene, te lo ricordi. Chiedi aiuto alla Dea, Zoey. Sono convinta che ti ascolterà. Puoi farlo prima dell'alba di domani?» «Penso di sì.» «Reciterò la preghiera anch'io, aggiungendo la voce di una nonna alla richiesta alla Dea perché ti guidi.» E di colpo mi sentii meglio. La nonna non si sbagliava mai in questo genere di cose: se era convinta che sarebbe andata bene, sarebbe senz'altro stato così. «Reciterò la preghiera di purificazione prima dell'alba. Promesso.» «Brava, uccellino mio. Adesso è meglio che questa vecchia signora ti lasci andare. In questo momento sei nel bel mezzo di una giornata di studio, giusto?» «Sì, sto per andare al corso di Recitazione. E, nonna, tu non sarai mai vecchia.» «Non finché posso ascoltare la tua voce, uccellino mio. Ti voglio bene, U-we-tsi a-ge-hu-tsa.» «Anch'io ti voglio bene, nonna.» Parlare con la nonna mi aveva tolto un peso tremendo dal cuore. Ero ancora preoccupata e spaventata riguardo al futuro, e non è che l'idea di portare via il posto ad Afrodite mi riempisse di gioia. Proprio non sapevo come fare, però avevo un piano. Be', okay, forse non era un «piano», ma almeno era qualcosa con cui tenermi occupata. Avrei portato a termine la preghiera di purificazione e poi… poi avrei cercato di capire cosa dovevo fare dopo. Sì, funzionerà. O almeno era quello che continuai a ripetermi durante le lezioni del mattino. Per l'ora di pranzo avevo deciso il luogo del mio rituale: sotto l'albero vicino al muro di cinta dove avevo trovato Nala. Ci pensai mentre seguivo le gemelle al banco delle insalate. Gli alberi, in particolare le querce, erano sacri al popolo cherokee, quindi mi sembrò una buona scelta. In più era riparato e facile da raggiungere. Certo, Heath e Kayla mi avevano trovata lì, ma non avevo intenzione di sedermi di nuovo sul muro e non riuscivo a immaginare Heath che si presentava all'alba due giorni di fila, Imprinting o no. Voglio dire, era il tipo che d'estate dormiva fino alle due del pomeriggio, ogni giorno. Ci volevano due sveglie e gli strilli di sua madre per farlo alzare per andare a scuola. Probabilmente avrebbe impiegato un paio di mesi per riprendersi dalla levataccia del giorno prima, anche se probabilmente era uscito di casa di nascosto, aveva incontrato Kay (per lei uscire di nascosto è sempre stato facile dato che i suoi genitori sono dei tonti totali) ed erano stati in piedi tutta la notte. Il che significava che non era andato a scuola e che sarebbe stato assonnato e rinco per i prossimi due giorni. In ogni caso, non mi preoccupavo che potesse comparire. «Non trovi che le mini pannocchie facciano impressione? C'è qualcosa di sbagliato in quei corpicini in miniatura.» Sobbalzai e feci quasi cadere il mestolo della salsa ranch nel grosso recipiente pieno di liquido bianco, quindi alzai gli occhi a incrociare quelli azzurri e allegri di Erik. «Oh, ciao. Mi hai spaventata.» «Zy, credo di star prendendo l'abitudine di arrivarti alle spalle di soppiatto.» Ridacchiai nervosa, più che consapevole che le gemelle osservavano ogni nostra mossa. «Sembra che ti sia ripresa da ieri.» «Sì, nessun problema. Sto bene. E stavolta non sto mentendo.» «E ho sentito che sei entrata a far parte delle Figlie Oscure.» Shaunee ed Erin inspirarono rumorosamente all'unisono. Feci bene attenzione a non guardarle. «Già.» «Ottimo. A quel gruppo serve sangue nuovo.» «Hai detto 'quel gruppo' come se tu non ne facessi parte. Non sei un Figlio Oscuro?» «Sì, ma non è lo stesso che essere una Figlia Oscura. Noi siamo giusto decorativi. Un po' l'opposto di come va nel mondo degli umani. Tutti i ragazzi sanno di essere lì solo perché hanno un aspetto carino e per far divertire Afrodite.» Tornai a guardarlo negli occhi, leggendoci qualcos'altro. «Ed è questo che continui a fare, divertire Afrodite?» «Come ho detto ieri sera, non più ormai, ed è uno dei motivi per cui non mi considero davvero parte del gruppo. Sono certo che mi avrebbero già sbattuto fuori a pedate se non fosse per quel poco di recitazione che faccio.» «Con 'poco' intendi il fatto che a Broadway e a Los Angeles s'interessano già a te?» Mi fece un gran sorriso. «È quello che intendo. Non è reale, sai. Recitare è tutto una finta. Non è quello che sono davvero.» Si chinò a bisbigliarmi all'orecchio. «In realtà, sono uno sfigato.» «Ma per favore! Non dirmi che qualcuno ci casca con questa recita.» Esagerò un'aria offesa. «Recita? No, Zy, non è una recita e te lo posso dimostrare.» «Come no.» «Invece sì. Vediamoci stasera. Guarderemo i miei DVD preferiti in assoluto.» «E questo cosa dimostrerebbe?» «Sono i DVD di Guerre Stellari, gli originali. Conosco le battute di tutti i personaggi.» Si avvicinò di più e bisbigliò ancora. «So a memoria anche la parte di Chewbacca.» Risi. «Hai ragione. Sei uno sfigato.» «Te l'avevo detto.» Eravamo arrivati alla fine del banco delle insalate e lui s'incamminò con me verso il tavolo dove erano già seduti Damien, Stevie Rae e le gemelle. Che no, non facevano niente per nascondere il fatto che ci stessero osservando a bocca aperta. «Allora stasera… vieni… con me?» Potevo sentire i miei quattro amici trattenere il fiato. In senso letterale. «Mi piacerebbe, ma stasera non posso. Io… ho già un impegno.» «Oh. Okay. Allora… la prossima volta. Ci vediamo.» Fece un cenno con la testa al resto del tavolo e se ne andò. Mi sedetti. Mi fissavano tutti. «Be'?» chiesi. «Tu devi aver perso anche l'ultima piccolissima rotella che avevi nel cervello», esordì Shaunee. «Proprio quello che pensavo io, gemella», convenne Erin. «Spero che tu abbia un motivo veramente buono per dargli un due di picche», intervenne Stevie Rae. «È chiaro che hai urtato i suoi sentimenti.» «Pensi che potrei consolarlo io?» chiese Damien, che continuava a fissare Erik con occhi sognanti. «Piantala», lo rimbeccò Erin. «Giocate in due squadre diverse», aggiunse Shaunee. «Zitti!» sbottò Stevie Rae. Si voltò a guardarmi negli occhi. «Perché gli hai detto di no? Cosa può esserci di più importante che uscire con lui?» «Liberarsi di Afrodite», replicai semplicemente. 22 «Non ha tutti i torti», commentò Damien. «È entrata a far parte delle Figlie Oscure», intervenne Shaunee. «Cosa?» squittì Damien, la voce più alta di almeno venti ottave. Stevie Rae accorse subito in mia difesa. «Lasciatela stare! È in ricognizione.» «Ricognizione un cavolo! Se si è unita alle Figlie Oscure, ha ingaggiato battaglia col nemico, altro che», disse Damien. «Be', l'ha fatto», fece Shaunee. «Abbiamo sentito che lo diceva», concluse Erin. «Salve! Sono ancora qui, non l'avete notato?» sbottai. «Allora, cos'hai intenzione di fare?» mi chiese Damien. «A dire il vero non lo so.» «Sarà meglio che tu elabori un piano, e in fretta anche, o quelle streghe ti mangeranno a pranzo», riprese Erin. «Giààà», convenne Shaunee, addentando con foga l'insalata per rendere meglio l'idea. «Ehi! Non deve fare tutto da sola. Lei ha noi.» Stevie Rae incrociò le braccia sul petto e lanciò un'occhiataccia alle gemelle. Le sorrisi un grosso grazie. «Be', un'ideina forse ce l'avrei.» «Bene. Diccela e ci riflettiamo insieme», decise Stevie Rae. Mi fissarono tutti, in attesa. Sospirai. «Be'… mmm…» Cominciai esitante, per paura di sembrare un'idiota, poi decisi che tanto valeva raccontare loro quello che mi turbinava nella testa da quando avevo parlato con la nonna, perciò finii di slancio. «Pensavo di eseguire un'antica preghiera di purificazione basata su un rito cherokee e chiedere a Nyx di aiutarmi a escogitare un piano.» Il silenzio che scese sul tavolo sembrò durare in eterno. Alla fine, però, fu Damien a intervenire: «Chiedere l'aiuto di Nyx non è una cattiva idea». «Ma sei cherokee?» chiese Shaunee. «Sembri cherokee», disse Erin. «Sveglia! Di cognome fa Redbird. Certo che è cherokee», sentenziò Stevie Rae. «Be', può andare», commentò Shaunee, ma aveva ancora un'aria dubbiosa. «Io penso che Nyx potrebbe ascoltarmi davvero e – magari – darmi qualche dritta su cosa fare riguardo all'orribile Afrodite.» Guardai i miei amici. «Qualcosa dentro di me mi dice che non è giusto lasciarla continuare con le stronzate che sta facendo, passandola pure liscia.» «Lascia che glielo dica!» sbottò all'improvviso Stevie Rae. «Non lo racconteranno a nessuno. Davvero. E credo sia utile che lo sappiano.» «Di cosa cassius stai parlando?» chiese Erin. «Okay, adesso non hai scelta.» Shaunee indicò Stevie Rae con la forchetta. «Sapeva che dicendolo l'avremmo martellata finché non ci avrebbe spifferato tutto.» Guardai male Stevie Rae, che si strinse nelle spalle imbarazzata e chiese scusa. Riluttante, abbassai la voce e mi chinai in avanti. «Promettete di non dirlo a nessuno.» «Promesso», fecero in coro. «Quando viene creato il cerchio riesco a percepire tutti e cinque gli elementi.» Silenzio. Erano lì e mi fissavano, tre sotto shock, Stevie Rae compiaciuta. «Adesso pensate ancora che non possa cacciare Afrodite?» chiese la mia compagna di stanza. «Lo sapevo che il tuo Marchio non era così solo perché eri caduta e avevi battuto la testa!» commentò Shaunee. «Wow. Questo sì che è un pettegolezzo coi fiocchi!» esclamò Erin. «Non deve saperlo nessuno!» replicai in fretta. «Ma ti prego», intervenne Shaunee. «Stavamo solo dicendo che un giorno o l'altro questo sarà il gossip dei gossip.» «Sappiamo aspettare quando si tratta di un pettegolezzo davvero super», riprese Erin. Damien ignorò entrambe. «Non credo sia documentata l'esistenza di una Somma Sacerdotessa che avesse affinità con tutti e cinque gli elementi.» Man mano che parlava, la sua voce era sempre più concitata. «Sai cosa significa?» Non mi diede la possibilità di rispondere. «Significa che potenzialmente potresti essere la più incommensurabile Somma Sacerdotessa che i vampiri abbiano mai avuto.» «Eh?» commentai. Incommensurabile? «Grande, potente», spiegò con tono impaziente. «Potresti davvero riuscire a togliere Afrodite dalla circolazione!» «Ah, questa sì che è una buona notizia», commentò Erin mentre Shaunee assentiva con entusiasmo. «Allora, quando e dove facciamo quella cosa di purificazione?» chiese Stevie Rae. «Facciamo?» replicai. «Zoey, non sei sola in questo», chiarì. Aprii la bocca per protestare: insomma, non ero nemmeno sicura di cosa avrei fatto. Non volevo coinvolgere i miei amici in quello che poteva essere – che in verità aveva molte probabilità di essere – un casino totale. Ma Damien non mi lasciò il tempo di dissuaderli. «Hai bisogno di noi. Anche la più incommensurabile Somma Sacerdotessa ha bisogno del suo cerchio.» «Be', a dire il vero io non avevo pensato di realizzare un cerchio. Volevo solo fare una sorta di preghiera di purificazione.» «Non puoi creare il cerchio e poi recitare la preghiera e chiedere l'aiuto di Nyx?» domandò Stevie Rae. «Sembra logico», intervenne Shaunee. «E poi, se davvero hai un'affinità coi cinque elementi, scommetto che riusciremo a percepirlo quando creerai il tuo cerchio. Giusto, Damien?» disse Stevie Rae. Guardammo tutti il nostro sapientone gay. «A me sembra un ragionamento molto sensato», sentenziò lui. Stavo per rimettermi a discutere, anche se mi sentivo sollevata, felice e grata che i miei amici sarebbero stati lì con me, che non mi avrebbero lasciata affrontare da sola tutta quell'incertezza. Apprezzali; sono perle di grande valore. La voce familiare mi fluttuò nella mente e mi resi conto che non dovevo mettere in dubbio il nuovo istinto che sembrava essere nato quando Nyx mi aveva baciato la fronte cambiando in modo permanente il mio Marchio e la mia esistenza. «Okay, mi servirà uno smudge stick.» Mi guardarono con espressione assente. «È una fascina di erbe da usare per la purificazione, dato che non ho a portata di mano dell'acqua corrente. O invece ce l'ho?» «Intendi un ruscello o un fiume o qualcosa di simile?» chiese Stevie Rae. «Già.» «Be', c'è un ruscelletto che attraversa il cortile fuori della sala da pranzo e sparisce non so dove sotto la scuola», disse Damien. «Non va bene, è troppo visibile. Dovremo usare lo smudge. Quello che funziona meglio è un misto di lavanda essiccata e salvia, ma se proprio devo posso usare del pino.» «Io posso procurare salvia e lavanda», si offrì Damien. «Hanno quel genere di cose nel magazzino riservato alle classi d'Incantesimi e Rituali di quinta e di sesta. Basta che dica che sto aiutando uno di una classe superiore prendendogliene un po'. Cos'altro ti serve?» «Be', nel rito di purificazione la nonna ringraziava sempre le sette direzioni sacre venerate dal popolo cherokee: nord, sud, est, ovest, sole, terra e se stessa. Ma credo di voler rendere la preghiera più specifica per Nyx.» Mi mordicchiai il labbro, riflettendo. «Penso sia un'idea intelligente», approvò Shaunee. «Già», aggiunse Erin. «Cioè, Nyx non è legata al sole. Lei è la Notte.» «Io credo che dovresti seguire l'istinto», mi consigliò Stevie Rae. «La fiducia in se stessa è una delle prime cose che deve imparare una Somma Sacerdotessa», sentenziò Damien. «Okay, allora mi serve anche una candela per ognuno dei cinque elementi», decisi. «Detto-fatto», intervenne Shaunee. «Già, il tempio non è mai chiuso a chiave e lì ci sono miliardi di candele per i cerchi.» «Ma non ci sono problemi a prenderle?» Rubare qualcosa dal tempio di Nyx non mi sembrava esattamente un'idea astuta. «Basta che poi le riportiamo», spiegò Damien. «Che altro?» «Tutto qui.» Credo. Diavolo, non ne ero certa. Non è che sapessi davvero cosa stavo facendo. «Quando e dove?» chiese Damien. «Dopo cena. Diciamo alle cinque e mezzo. E non possiamo andarci insieme. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che Afrodite o una qualunque delle altre Figlie Oscure pensi che facciamo una specie di riunione e decida di voler ficcare il naso. Troviamoci direttamente alla grande quercia vicino al muro est.» Rivolsi loro un sorriso d'intesa. «È facile da trovare immaginando di essere appena corsi fuori da uno dei riti delle Figlie Oscure nella sala di ricreazione e di voler scappare il più lontano possibile da quelle streghe.» «Non ci vuole molta immaginazione per questo», commentò Shaunee. Erin sbuffò. «Okay, noi portiamo il materiale», disse Damien. «Già, noi portiamo il materiale, tu porta l'incommensurabileria.» Shaunee lanciò un'occhiata da saputella a Damien. «Il termine non è corretto. Sai, dovresti proprio leggere di più. Magari il tuo vocabolario migliorerebbe», ribatté lui. «Dillo a tua sorella di leggere di più», replicò Shaunee, poi lei ed Erin si squagliarono in risatine per la battutaccia. Io ero stracontenta di non essere più il loro argomento di conversazione e di poter mangiare l'insalata e pensare abbastanza tranquilla intanto che battibeccavano. Mentre masticavo e cercavo di ricordarmi tutte le parole della preghiera di purificazione, Nala saltò sulla panca accanto a me e mi fissò con quei suoi occhioni dolci; poi mi si appoggiò contro e iniziò a fare le fusa come un trattore. Non so perché, ma mi fece sentire meglio. E, quando suonò la campanella e tutti ci precipitammo in classe, i miei quattro amici mi sorrisero, mi fecero l'occhiolino con aria d'intesa e dissero: «A dopo, Zy». Anche questo mi fece sentire meglio, anche se la facilità con cui avevano adottato il vezzeggiativo di Erik mi diede una fitta al cuore. La lezione di spagnolo passò in un lampo, tutta dedicata a imparare a dire che una cosa ci piace o non ci piace. La profe Garmy mi faceva morire dal ridere. Diceva che ci avrebbe cambiato la vita. Me gustan los gatos (mi piacciono i gatti); me gusta ir de compras (mi piace fare shopping); no me gusta cocinar (non mi piace cucinare); no me gusta lavar el gato (non mi piace lavare il gatto). Queste erano le frasi preferite della profe Garmy, e passammo l'ora a proporre quelle che preferivamo noi. Cercai di non scrivere cose come me gusta Erik… oppure no me gusta la estrega Afrodite. Okay, sono sicura che in spagnolo strega non si dice estrega, ma il concetto è chiaro. Comunque, la lezione fu divertente e riuscii persino a capire quello che dicevamo. L'ora di equitazione, invece, non passò esattamente in un lampo. Pulire le poste dei cavalli è ottimo per pensare – e io mi ripetei mentalmente all'infinito la preghiera di purificazione –, ma la lezione sembrò durare proprio un'ora. Questa volta Stevie Rae non dovette venirmi a prendere: ero troppo in apprensione per perdere la cognizione del tempo. Quando suonò la campanella stavo rimettendo a posto le spazzole, felice che Lenobia mi avesse di nuovo lasciato strigliare Persefone e preoccupata perché mi aveva detto che pensava che dalla settimana successiva avrei addirittura potuto cavalcarla. Corsi fuori della scuderia, desiderando che nel mondo «reale» non fosse tanto tardi per poter telefonare alla nonna e raccontarle i progressi che stavo facendo coi cavalli. «So cosa sta succedendo.» Giuro che quasi soffocai. «Oddio, Afrodite! Ma non potresti fare almeno un pochino di rumore? Cosa sei, in parte ragno? Mi hai fatto venire una strizza…» «Qualcosa non va?» disse come se facesse le fusa. «Coscienza sporca?» «Sai, se strisci alle spalle della gente, la spaventi. La coscienza più o meno sporca non c'entra.» «Perciò la tua è pulita?» «Afrodite, non so di cosa stai parlando.» «So cosa stai architettando per stasera.» «E io invece continuo a non sapere di cosa parli.» Ah, cacchio! Come aveva fatto a scoprirlo? « Tutti pensano che sei così carina, così innocentina, e sono tutti tanto colpiti da quel tuo strano Marchio. Tutti tranne me.» Si voltò a guardarmi in faccia e ci fermammo in mezzo al marciapiede. I suoi occhi azzurri si strinsero in una fessura e la sua faccia si distorse al punto di sembrare quella di una stregacela spaventosa. Huh. Mi chiesi (per un istante) se le gemelle si rendevano conto di quanto fosse azzeccato il soprannome che le avevano dato. «Non importa quali stronzate puoi avere sentito in giro: lui è ancora mio. Sarà sempre mio.» Sgranai gli occhi e provai un tale sollievo che scoppiai a ridere. Stava parlando di Erik, non della preghiera di purificazione! «Cavolo, sembri la mamma di Erik. Lui lo sa che lo controlli?» «Ti sembravo la mamma di Erik quando mi hai vista che glielo succhiavo in corridoio?» Allora lo sapeva. Vabbè. Immagino fosse inevitabile che noi due avessimo quella conversazione. «No, non sembravi la mamma di Erik. Sembravi quello che sei – disperata – mentre cercavi in modo patetico di buttarti su un ragazzo che ti diceva chiaramente che non ti vuole più.» «Stronza puttana! Nessuno può parlarmi così!» Sollevò la mano e la mosse per darmi uno schiaffo o cavarmi gli occhi, ma poi sembrò che il mondo si fermasse, lasciandoci in una bolla al rallentatore. Le afferrai il polso, bloccandola con una facilità… esagerata. Era come se fosse una bambina piccola e malata che aveva cercato di colpire per rabbia ma fosse troppo debole per far male. La tenni ferma per un istante, incrociando il suo sguardo odioso. «Non cercare mai più di colpirmi. Non sono una di quelle ragazzine con cui puoi fare la prepotente. Ascoltami bene e capiscimi meglio: io non ho paura di te.» Poi allontanai da me il suo polso e restai shockata vedendola barcollare indietro di oltre un metro. Mi lanciò un'occhiataccia mentre si massaggiava il polso. «Non sprecarti a venire domani. Considerati non invitata e non più una Figlia Oscura.» «Sul serio?» Mi sentivo di una calma incredibile. Sapevo di avere in mano un asso in quella partita e decisi di giocarlo. «Allora hai intenzione di spiegare alla mia mentore, la Somma Sacerdotessa Neferet, ossia la vampira che ha avuto l'idea di farmi entrare a far parte delle Figlie Oscure, che mi hai buttata fuori perché sei gelosa del fatto che piaccio al tuo ex-ragazzo?» Impallidì. «Oh, e puoi stare certa che quando Neferet me ne parlerà io mi dimostrerò davvero sconvolta.» Finsi di tirar su col naso e singhiozzare. «Lo sai cosa significa essere parte di un gruppo quando non ti ci vuole nessuno?» ringhiò a denti stretti. Mi sentii stringere lo stomaco e dovetti faticare per non lasciarle vedere che aveva toccato un nervo scoperto. Sì, sapevo esattamente cosa significava essere parte di un gruppo – una presunta famiglia – e avere la sensazione che nessuno mi ci volesse, ma Afrodite non doveva saperlo. Perciò sorrisi e, col tono di voce più dolce che mi riusciva, dissi: «Ma sai, Afrodite, non credo sia come dici perché proprio oggi a pranzo Erik, che è uno dei Figli Oscuri, mi ha detto che era tanto felice che fossi entrata a far parte delle Figlie Oscure». «Vieni al rituale. Fingi di essere una di noi. Ma farai meglio a ricordarti una cosa: loro sono le mie Figlie Oscure e tu sei l'estranea, quella non voluta. E ricordati anche questo: tra Erik Night e me c'è un legame che tu non potrai mai capire. Lui non è il mio ex. Non sei rimasta a vedere la fine del nostro giochetto in corridoio. Allora e adesso era ed è esattamente quello che voglio che sia: mio.» Quindi con un colpo di collo scostò una gran massa di capelli biondissimi e si allontanò a grandi passi. Circa due respiri dopo, la testa di Stevie Rae spuntò da dietro una vecchia quercia non troppo lontana dal marciapiede. «Se n'è andata?» «Per fortuna. Ma tu che ci fai lì dietro?» «Vuoi scherzare? Mi nascondo. Mi mette una strizza ipergalattica. Ti stavo venendo incontro e vi ho viste litigare. Ragazzi, ha davvero cercato di darti uno schiaffo!» «Afrodite ha dei seri problemi nella gestione della rabbia.» Stevie Rae rise. «Oh, senti, adesso puoi anche uscire da dietro la pianta.» Sempre ridendo, Stevie Rae mi raggiunse quasi con un solo salto e mi prese sottobraccio. «Le hai davvero tenuto testa!» «Eh, sì, l'ho fatto.» «Ti odia proprio proprio a morte.» «Eh, sì, proprio proprio.» «Lo sai che significa questo?» chiese Stevie Rae. «Sì. Che adesso non ho più scelta. Dovrò farle abbassare la cresta.» «Già.» Ma sapevo di non avere scelta già da prima che Afrodite cercasse di cavarmi gli occhi. Non avevo avuto scelta dal momento in cui Nyx mi aveva Segnata col suo Marchio e, mentre Stevie Rae e io camminavamo insieme nell'intensità della notte illuminata dalle luci a gas, le parole della Dea continuavano a risuonarmi nella mente: Tu sei più grande della tua età, Zoeybird. Credi in te stessa e troverai un modo. Ma ricorda: non sempre l'oscurità s'identifica col male, proprio come la luce non sempre conduce al bene. 23 «Spero che riescano a trovarla anche gli altri.» Mi guardai intorno mentre Stevie Rae e io aspettavamo vicino alla grande quercia. «Non sembrava tanto buio ieri notte.» «Non lo era. Stasera è molto nuvoloso, quindi la luna ha qualche problemino a farsi vedere. Ma non ti preoccupare, la Trasformazione sta facendo meraviglie con la nostra visione notturna. Diamine, credo di vedere bene quanto Nala.» Stevie Rae accarezzò con affetto la testa della gatta, che chiuse gli occhi e partì con le fusa. «Ci troveranno.» Mi appoggiai all'albero e ripresi a preoccuparmi. La cena era stata buona – pollo arrosto da leccarsi le dita, riso con spezie e taccole (una cosa che si poteva dire di quel posto senza rischio di essere smentiti era che cucinavano alla grande) – e tutto andava a meraviglia. Finché Erik non si era avvicinato al nostro tavolo e aveva detto «ciao». Okay, non era un ciao da «ciao, Zy, mi piaci sempre», ma solo un «ciao, Zoey». Punto. Eh già, proprio così. Aveva preso da mangiare e camminava con un paio di ragazzi che le gemelle avevano definito da arrapo. Ammetto di non averli neanche notati. Ero troppo impegnata a notare Erik. Arrivati al nostro tavolo, io avevo alzato gli occhi e avevo sorriso. Lui aveva incrociato il mio sguardo per un millisecondo, aveva detto «Ciao, Zoey» e se n'era andato. Di colpo il pollo non mi era più sembrato così buono. «Hai ferito il suo amor proprio. Sii carina con lui e vedrai che ti chiederà di nuovo di uscire», disse Stevie Rae, riportando me e i miei pensieri sotto l'albero. «Come facevi a sapere che stavo pensando a Erik?» chiesi. Stevie Rae aveva smesso di coccolare Nala, perciò allungai la mano per accarezzarla prima che cominciasse a lamentarsi con me. «Perché è quello cui starei pensando io.» «Già, invece dovrei pensare al cerchio che devo creare senza averne mai creato uno in vita mia e al rito di purificazione che devo eseguire, non a un ragazzo.» «Non è 'un ragazzo'. È un favoloooso ragazzo», disse Stevie Rae strascicando l'aggettivo e facendomi ridere. «Dovete stare parlando di Erik.» Damien uscì dall'ombra del muro di cinta. «Non preoccuparti. Ho visto come ti guardava oggi a pranzo. Ti chiederà di nuovo di uscire.» «Giààà, ha parlato l'esperto», disse Shaunee. «L'esperto di Tutto Ciò Che Riguarda il Pene del nostro amabile gruppetto», terminò Erin mentre ci raggiungevano sotto l'albero. «Più che vero», commentò Damien. Prima che mi facessero venire il mal di testa, cambiai argomento. «Avete trovato quello che ci serve?» «Ho dovuto mettere assieme io salvia e lavanda, perciò spero che vada bene il modo in cui ho legato questa specie di fascina.» Damien si tolse dalla manica della giacca lo smudge e me lo diede. Era grosso e lungo circa trenta centimetri e sentii immediatamente la familiare dolcezza della lavanda. Aveva avvolto strettamente il mazzetto a un'estremità con quello che pareva del filo extra forte. «È perfetto», gli dissi sorridendo. Sembrò sollevato, quindi un po' timidamente aggiunse: «Ho usato il mio filo per il punto croce». «Ehi, ti ho già detto mille volte che non ti devi vergognare se ti piace il punto croce. È un passatempo fighissimo, e poi sei pure molto bravo», fece Stevie Rae. «Magari la pensasse così anche mio padre», replicò Damien. Mi fece male sentire la tristezza nella sua voce. «Mi piacerebbe che m'insegnassi prima o poi. È una cosa che avrei sempre voluto imparare», mentii, e fui felice di vedere il viso di Damien illuminarsi. «Quando vuoi, Zy», replicò. «E le candele?» chiesi alle gemelle. «Ehi, te l'avevamo assicurato. Detto…» Shaunee aprì la borsa e ne tolse tre candele votive, una verde, una gialla e una blu, poste in recipienti di vetro spesso dello stesso colore. «… fatto.» Dalla sua borsa, Erin ne prese una rossa e una viola con relativi contenitori di vetro della tonalità corrispondente. «Bene. Okay, vediamo. Mettiamoci qui, a una certa distanza dal tronco ma abbastanza vicini da rimanere comunque sotto i rami.» Mi seguirono mentre mi allontanavo dall'albero. Guardai le candele. Cosa dovevo fare? Forse… e, mentre ci pensavo, seppi. Senza fermarmi a chiedermi come o perché o a mettere in dubbio l'istinto che improvvisamente si era fatto vivo in me, agii. «Darò una candela a ognuno di voi. Poi, come le vampire nel Rito della Luna Piena di Neferet, rappresenterete l'elemento corrispondente. Io sarò lo spirito.» Erin mi tese il cero viola. «Io sono il centro del cerchio e voi prenderete posto intorno a me.» Senza esitazione, presi la candela rossa e la diedi a Shaunee. «Tu sarai il fuoco.» «Mi suona benissimo. Cioè, lo sanno tutti quanto sono bollente!» Sorrise e sculettò fino all'estremità sud del cerchio. La candela verde fu la successiva. Mi voltai verso Stevie Rae. «Tu sei la terra.» «E il verde è il mio colore preferito!» disse felice, posizionandosi di fronte a Shaunee. «Erin, tu sei l'acqua.» «Bene. Prima mi piaceva un sacco prendere il sole e questo implicava nuotare quando dovevo rinfrescarmi.» Erin si spostò in posizione dell'ovest. Damien prese la candela gialla. «Perciò io sarò l'aria.» «Proprio così. Il tuo elemento è quello che apre il cerchio.» «Così come vorrei poter aprire la mente delle persone», replicò posizionandosi a est. Gli feci un gran sorriso. «Già, qualcosa del genere.» «Okay, e adesso che si fa?» chiese Stevie Rae. «Be', usiamo il fumo dello smudge per purificarci.» Sistemai la candela viola accanto ai miei piedi in modo da potermi concentrare sulla fascina di erbe. Poi alzai gli occhi al cielo. «Oh, diavolo! Non è che qualcuno si è ricordato di prendere dei fiammiferi o un accendino o qualcosa del genere?» «Naturalmente.» Damien si levò di tasca un accendino. «Grazie, aria.» «Non c'è di che, Somma Sacerdotessa.» Non dissi niente, ma, quando mi chiamò a quel modo, mi sentii attraversare da un fremito di eccitazione. «Ecco come si usa lo smudge.» Fui felice che la mia voce suonasse molto più calma di quanto in realtà mi sentivo. Mi piazzai davanti a Damien, decidendo che fosse meglio iniziare da dove cominciava il cerchio, e, rendendomi conto di stare imitando la nonna e le lezioni della mia infanzia, spiegai il procedimento ai miei amici. «Quello del fumo è un sistema rituale per purificare una persona, un luogo o un oggetto liberandoli da energie, spiriti o influssi negativi. La cerimonia della fumigazione richiede che siano bruciate delle piante speciali, sacre, e delle resine vegetali; inoltre prevede che l'oggetto sia fatto passare nel fumo o che il fumo stesso venga agitato intorno a una persona o a un luogo. Lo spirito delle piante purifica tutto quello che è stato insozzato.» Sorrisi a Damien. «Pronto?» «Affermativo», rispose in tipico stile Damien. Accesi lo smudge e lasciai che il fuoco bruciasse per un po' le erbe essiccate, quindi spensi la fiamma in modo che restassero delle piccole braci fumanti. Poi, iniziando dai piedi, lo avvolsi col fumo e risalii piano piano continuando la descrizione dell'antica cerimonia. «È molto importante ricordare che chiediamo agli spiriti delle piante sacre che stiamo utilizzando di aiutarci, quindi dobbiamo mostrare loro il dovuto rispetto riconoscendone il potere.» «E cosa fanno la lavanda e la salvia?» chiese Stevie Rae dall'altra parte del cerchio. Risposi continuando a lavorare intorno a Damien. «La salvia bianca è molto usata nelle cerimonie tradizionali perché scaccia energie, spiriti e influssi negativi. A dire il vero può andare bene qualunque tipo di salvia, ma preferisco quella bianca perché ha un aroma più dolce.» Raggiunsi la testa di Damien e gli feci un gran sorriso. «Ottima scelta.» «A volte penso che potrei essere un po' sensitivo», commentò lui. Erin e Shaunee sbuffarono, ma le ignorammo. «Okay, adesso girati in senso orario così ti passo an che la schiena», gli dissi. Si voltò e continuai. «La nonna usa sempre la lavanda nei suoi smudge. Sono certa che in parte il motivo sia che ha un vivaio di lavanda.» «Che figata!» esclamò Stevie Rae. «Già, è un posto da urlo.» Le sorrisi da dietro la spalla senza smettere di avvolgere Damien nel fumo. «L'altra parte del motivo per cui la usa è perché è in grado di riportare l'equilibrio e di creare un'atmosfera rilassante. Attira anche l'energia d'amore e gli spiriti positivi.» Battei sulla spalla di Damien per farlo voltare. «Tu sei a posto.» Poi raggiunsi Shaunee, che rappresentava il fuoco, e cominciai a passare il fumo su di lei. «Spiriti positivi?» chiese Stevie Rae con una vocina che la fece sembrare piccola e spaventata. «Non sapevo che avremmo evocato qualcosa oltre agli elementi del cerchio.» «Oh, ti prego, Stevie Rae!» Shaunee le lanciò un'occhiataccia attraverso il fumo. «Non puoi essere un vampiro e aver paura dei fantasmi.» «Eh no, proprio non suona bene», aggiunse Erin. Guardai Stevie Rae e ci squadrammo per un istante: stavamo pensando tutt'e due al mio incontro con quello che avrebbe potuto essere lo spettro di Elizabeth, ma né lei né io sembravamo avere voglia di parlarne. «Io non sono un vampiro. Non ancora. Sono solo una novizia, quindi posso tranquillamente avere paura dei fantasmi.» «Un momento», intervenne Damien, «Zoey non sta parlando di spiriti cherokee? Probabilmente non baderanno molto a una cerimonia tenuta da un gruppo di novizi vampiri la cui non-nativo americanità sovrasta la cherokeità della nostra Somma Sacerdotessa per quattro a uno.» Terminai con Shaunee e passai a Erin. «Non credo conti molto quello che siamo esternamente», replicai, percependo subito che quanto dicevo era giusto. «Penso che l'importante sia l'intenzione. Il punto è più o meno questo: Afrodite e il suo gruppo sono tra le ragazze più belle e di maggiore talento di tutta la scuola e quella delle Figlie Oscure dovrebbe essere un'associazione fantastica. Invece le chiamiamo streghe e in fondo non sono altro che un ammasso di prepotenti viziate.» Mi chiesi come Erik entrasse in tutto ciò. Faceva davvero parte del gruppo un po' per caso come diceva lui o era coinvolto in modo più profondo come faceva intendere Afrodite? «O di ragazze costrette a farne parte e che sono solo spettatrici», aggiunse Erin. «Esatto.» Cercai di scuotermi mentalmente: non era il momento di sognare Erik a occhi aperti. Finii la schiena di Erin e mi posizionai di fronte a Stevie Rae. «Quello che voglio dire è che credo davvero che gli spiriti dei miei antenati ci possano sentire, così come credo che gli spiriti della salvia e della lavanda stiano lavorando per noi. Ma non penso ci sia niente di cui aver paura, Stevie Rae. La nostra intenzione non è di evocarli e poi usarli per dare una pedata nel sedere ad Afrodite.» M'interruppi per aggiungere: «Anche se a quella ragazza un bel calcione starebbe tanto ma tanto bene. E non credo che stasera da queste parti ci saranno fantasmi che mettono spavento». Lo dissi con sicurezza, quindi tesi a Stevie Rae lo smudge. «Okay, adesso passalo tu su di me.» Iniziò a imitare i miei gesti e io mi rilassai nel dolce odore familiare del fumo che mi circondava. «Non chiederemo il loro aiuto per prenderla a calci?» Shaunee era delusa in modo più che evidente. «No. Ci stiamo purificando per chiedere a Nyx di guidarci. Non voglio pestare Afrodite.» Mi ricordai di quanto mi ero sentita bene allontanandola da me con la forza e sgridandola. «Be', okay, ci potrei anche trovare gusto, ma la verità è che non risolverebbe il problema delle Figlie Oscure.» Stevie Rae aveva finito di passarmi il fumo addosso quindi le presi lo smudge e lo strofinai per terra con molta attenzione, dopo di che tornai al centro del cerchio dove Nala si era acciambellata contenta vicino alla candela dello spirito. Guardai uno per uno i miei amici. «È vero che Afrodite non ci piace, ma credo sia importante non focalizzarci su idee negative come prenderla a calci nel sedere o cacciarla dalle Figlie Oscure. È quello che farebbe lei al nostro posto, ma noi vogliamo ciò che è giusto. Più giustizia che vendetta, insomma. Noi siamo diversi da lei e, se in qualche modo riusciremo a prendere il suo posto all'interno delle Figlie Oscure, anche quel gruppo sarà diverso.» «Vedi, è per questo che tu sarai la Somma Sacerdotessa ed Erin e io soltanto le tue affascinantissime assistenti. Perché noi siamo superficiali e vogliamo solo staccarle dal collo quella testa di cavolo», commentò Shaunee con l'evidente approvazione di Erin. «Solo pensieri positivi, per favore, stiamo facendo un rito di purificazione», intervenne brusco Damien. Prima che Shaunee potesse fare qualcosa di più che guardare storto Damien, si fece sentire la voce cinguettante di Stevie Rae. «Okay! Sto pensando solo a cose positive, come a quanto sarebbe fantastico se Zoey fosse a capo delle Figlie Oscure.» «Ottima idea, Stevie Rae. Sto pensando alla stessa cosa», disse Damien. «Ehi! Quello è anche il mio pensiero positivo. Finisci il coretto con me, gemella», aggiunse Erin. Shaunee smise di guardare male Damien e replicò: «Lo sai che sono sempre pronta ad avere pensieri gioiosi, e sarebbe proprio super se a capo delle Figlie Oscure ci fosse Zoey, prima di diventare per davvero Somma Sacerdotessa». Diventare per davvero Somma Sacerdotessa… Per un istante mi domandai se fosse un bene o un male che quelle parole mi avessero fatto venire voglia di vomitare. Di nuovo. Sospirando, accesi la candela viola. «Pronti?» chiesi a tutti e quattro. «Pronti!» replicarono all'unisono. «Okay, prendete le vostre candele.» Senza esitare (che significa che non volevo lasciarmi il tempo di tirarmi indietro per la fifa), portai la candela da Damien. Non ero brillante e piena di esperienza come Neferet, e neppure seducente e sicura come Afrodite. Ero solo io. Solo Zoey, la sconosciuta dall'aria familiare che era passata dall'essere una liceale quasi normale a una novizia vampira che di normale aveva assai pochino. Presi un profondo respiro. Come avrebbe detto la nonna, tutto quello che potevo fare era fare del mio meglio. «L'aria è ovunque, quindi ha senso che sia il primo elemento chiamato a realizzare il cerchio. Ti chiedo di ascoltarmi, aria, e ti convoco qui in questo cerchio.» Accesi la candela gialla di Damien con la mia e la fiamma prese subito a guizzare con grande intensità. Vidi i suoi occhi farsi grandi grandi e stupefatti quando all'improvviso il vento creò intorno a noi una mini tromba d'aria che ci sollevò i capelli e ci accarezzò la pelle. «È proprio vero, puoi sul serio far manifestare gli elementi», mormorò Damien, fissandomi. «Be', quantomeno uno. Vediamo se arrivo a due», bisbigliai di rimando, un po' frastornata. Raggiunsi Shaunee, che sollevò pronta la candela e mi fece sorridere dicendo: «Sono pronta per il fuoco… chiamalo!» «Il fuoco mi ricorda le fredde sere d'inverno e il calore e la sicurezza del camino che riscalda la casa di mia nonna. Ti chiedo di ascoltarmi, fuoco, e ti convoco qui in questo cerchio.» Accesi la candela rossa e la fiamma si alzò molto più del normale per un cero votivo, mentre l'aria intorno a Shaunee e a me si riempiva dell'odore intenso e legnoso di un caminetto acceso oltre che del suo calore intimo e accogliente. «Wow! Be', questo sì che è favoloso!» esclamò Shaunee, gli occhi scuri che danzavano per il riflesso guizzante della fiamma. «E sono due», disse Damien. Erin stava sorridendo quando presi posto di fronte a lei. «Sono pronta per l'acqua.» «L'acqua è un sollievo nelle torride giornate estive dell'Oklahoma. È l'incredibile oceano che un giorno o l'altro vorrei tanto vedere ed è la pioggia che fa crescere la lavanda. Ti chiedo di ascoltarmi, acqua, e ti convoco qui in questo cerchio.» Accesi la candela blu e immediatamente percepii sulla pelle un senso di freschezza e sentii un odore pulito e salmastro che doveva essere tipico dell'oceano che non avevo mai visto. «Da paura! Davvero da paura», commentò Erin inspirando a fondo l'aria di mare. «E sono tre», fece Damien. «Non sono più spaventata», esordì Stevie Rae quando mi misi davanti a lei. «Bene», replicai, per poi concentrarmi sul quarto elemento, la terra. «La terra ci sostiene e ci circonda. Non saremmo nulla senza di lei. Ti chiedo di ascoltarmi, terra, e ti convoco qui in questo cerchio.» Accesi la candela verde con facilità e di colpo Stevie Rae e io fummo sopraffatte dal dolce profumo dell'erba appena tagliata. Udii frusciare le foglie della quercia e, alzando gli occhi, vedemmo tutti i grandi rami letteralmente curvi su di noi, come a proteggerci da ogni male. «Assolutamente stupefacente», sussurrò Stevie Rae. «Quattro.» La voce di Damien tremava per l'emozione. Raggiunsi in fretta il centro del cerchio e sollevai la mia candela viola. «L'ultimo elemento è quello che ricolma tutto e tutti, che ci rende unici e che alita la vita in ogni cosa. Ti chiedo di ascoltarmi, spirito, e ti convoco qui in questo cerchio.» Fu incredibile perché all'improvviso fu come se fossi circondata dai quattro elementi, come se mi trovassi in mezzo a un tifone fatto di aria e di fuoco, di acqua e di terra. Ma non metteva paura, neanche un po'. Mi riempì di pace, mentre allo stesso tempo percepivo un'ondata di potere e di forza incandescente e dovetti stringere le labbra per non scoppiare in una risata di gioia. «Guardate! Guardate il cerchio!» gridò Damien. Mi schiarii la vista sbattendo le palpebre e istantaneamente percepii che gli elementi si acquietavano, quasi fossero gattini giocherelloni seduti intorno a me in festante attesa che li facessi divertire agitando un nastrino o cose simili. Stavo sorridendo per il paragone, quando vidi l'intensa luce che avvolgeva la circonferenza del cerchio, unendo Damien, Shaunee, Erin e Stevie Rae. Era luminosa e limpida, forte e argentata come quella della luna piena. «E con questo sono cinque», sentenziò Damien. «Cazzarola!» sbottai, in modo davvero molto poco da Somma Sacerdotessa, e i miei quattro amici risero, riempiendo la notte con dei suoni gioiosi. Per la prima volta capii perché durante il rituale Neferet e Afrodite avevano ballato: avevo anch'io voglia di ballare e di ridere e di gridare di felicità. Un'altra volta, mi dissi. Quella sera c'erano cose più serie da fare. «Okay, sto per pronunciare la preghiera di purificazione. E, mentre lo faccio, mi volterò a fissare i quattro elementi, uno alla volta.» «E noi cosa vuoi che facciamo?» chiese Stevie Rae. «Concentratevi sulla preghiera. Focalizzatevi. Siate convinti che gli elementi la porteranno a Nyx, e che la Dea risponderà aiutandomi a capire quello che devo fare», replicai con maggiore sicurezza di quella che in realtà sentivo. Mi rivolsi di nuovo a est, dove Damien mi fece un sorriso d'incoraggiamento. E cominciai a recitare l'antica preghiera di purificazione che avevo detto tante volte assieme alla nonna, con giusto qualche cambiamento che avevo deciso in precedenza. Grande Dea della Notte, la cui voce odo nel vento, che alita il soffio vitale nei Suoi figli. Ascoltami; ho bisogno della tua forza e della tua saggezza. Feci una brevissima pausa e mi voltai a sud. Lascia che io possa camminare nella bellezza e rendi i miei occhi capaci di guardare il rosso e il viola del tramonto che precede lo splendore della tua notte. Rendi le mie mani capaci di rispettare le cose che hai creato e le mie orecchie pronte a udire la tua voce. Rendimi saggia in modo che possa comprendere ciò che tu hai insegnato al tuo popolo. Ancora un quarto di giro a destra e la mia voce divenne più forte mentre venivo trascinata dal ritmo della preghiera. Aiutami a rimanere calma e forte di fronte a tutto quello che viene verso di me. Consentimi d'imparare la lezione che hai celato in ogni foglia e in ogni pietra. Aiutami a ricercare pensieri puri e ad agire con l'intento di aiutare gli altri. Aiutami a provare compassione senza che l'empatia mi travolga. Fissai Stevie Rae, che teneva le palpebre strette come se si stesse concentrando con tutte le sue forze. lo cerco forza, non per essere più grande degli altri, ma per combattere il mio maggiore nemico, i dubbi dentro di me. Tornai al centro del cerchio e, per la prima volta in vita mia, ebbi la sensazione che la forza delle antiche parole scorresse violentemente fuori di me per raggiungere quella che con tutto il cuore e l'anima speravo fosse la mia Dea in ascolto. Rendimi pronta a venire a te in ogni momento con le mani pulite e lo sguardo limpido, in modo che, quando la vita si affievolirà come il tramonto che declina, il mio spirito possa giungere a te senza vergogna. Tecnicamente era quella la conclusione della preghiera cherokee che mi aveva insegnato la nonna, ma provai la necessità di aggiungere qualcosa di totalmente mio. «E, Nyx, non capisco perché tu mi abbia Segnata e mi abbia donato l'affinità con gli elementi. Ma non devo neanche saperlo. Quello che voglio chiedere è che tu mi aiuti a comprendere qual è la cosa giusta da fare, e poi mi dia il coraggio di farla.» Quindi terminai la preghiera nel modo in cui ricordavo che Neferet aveva completato il rito: «Benedetta sia!» 24 «È stata la più sublime creazione di un cerchio cui abbia mai assistito!» sentenziò entusiasta Damien mentre stavamo radunando le candele e lo smudge. «Pensavo che 'sublime' volesse dire 'delizioso'», commentò Shaunee. «Può anche indicare un eccitato stupore e riferirsi a qualcosa di stupendo e grandioso», spiegò Damien. «Per stavolta non discuterò con te», sentenziò Shaunee, meravigliando tutti tranne Erin. «Già, quel cerchio era sublime», confermò la gemella. «Sapete che ho davvero percepito la terra quando Zoey l'ha evocata?» disse Stevie Rae. «È stato come se all'improvviso mi fossi trovata in mezzo a un campo di grano non ancora maturo. No, anzi, più di così. È stato come se ne facessi parte.» «So esattamente cosa intendi. Quando ha evocato il fuoco è stato come se dentro di me esplodesse un incendio», raccontò Shaunee. Mentre i quattro parlavano allegramente, cercai di capire cosa provavo. Ero decisamente felice, ma anche turbata e parecchio confusa. Allora era vero, avevo sul serio una qualche affinità con tutti e cinque gli elementi. Perché? Solo per scalzare Afrodite (cosa che, peraltro, ancora non avevo la minima idea di come realizzare)? No, non pensavo. Perché Nyx avrebbe dovuto toccarmi con un potere tanto insolito solo per impedire che una prepotente viziata fosse a capo di un'associazione? Okay, le Figlie Oscure erano più che un consiglio studentesco o roba simile, comunque mi pareva esagerato. «Zoey, ti senti bene?» Il tono preoccupato di Damien mi fece alzare gli occhi da Nala e mi accorsi che ero seduta al centro di quello che era stato il cerchio, con la gatta in braccio e totalmente persa nei miei pensieri. «Oh, sì. Scusate. Sto bene, mi ero solo distratta un attimo.» «Dovremmo rientrare. Si sta facendo tardi», disse Stevie Rae. «Okay, hai ragione.» Mi alzai, sempre tenendo in braccio Nala. Ma non riuscii a convincere i miei piedi a seguirli mentre s'incamminavano verso i dormitori. «Zoey?» Damien, il primo a notare la mia esitazione, si fermò e si voltò a chiamarmi, quindi anche le mie tre amiche si bloccarono e mi fissarono con espressioni che andavano dal preoccupato al confuso. «Oh, be', perché voi ragazzi non cominciate ad andare? Credo che mi fermerò qui ancora un momento.» «Potremmo rimanere con te…» cominciò Damien, ma Stevie Rae (sia benedetta la sua testolina country) lo interruppe. «Zoey deve riflettere un po' da sola. Non credi che lo faresti anche tu se avessi appena scoperto di essere l'unico novizio della storia ad avere un'affinità con tutti e cinque gli elementi?» «Immagino di sì», replicò riluttante Damien. «Ma non dimenticare che farà chiaro tra poco», disse Erin. Sorrisi con aria rassicurante. «Non preoccupatevi. Tornerò prestissimo al dormitorio.» «Ti preparerò un panino e cercherò di rimediarti un po' di patatine da mettere assieme alle tue bollicine marroni non-diet. È importante che una Somma Sacerdotessa mangi dopo aver eseguito un rituale», aggiunse Stevie Rae con un sorriso e un gesto di saluto trascinando via gli altri tre. Le gridai un grazie mentre sparivano nel buio. Quindi mi avvicinai all'albero e mi sedetti, la schiena appoggiata al tronco. Chiusi gli occhi e accarezzai Nala. Le sue fusa erano qualcosa di normale, di familiare e d'incredibilmente rilassante, e sembrarono aiutarmi a tenere i piedi per terra. «Sono sempre io», le mormorai. «Proprio come ha detto la nonna. Tutto il resto può cambiare, ma la vera Zoey – quello che è stata Zoey per sedici anni – è sempre Zoey.» Magari, se avessi continuato a ripetermelo, avrei cominciato a crederci sul serio. Appoggiai il viso su una mano e accarezzai la gattina con l'altra, dicendomi che ero sempre la stessa… sempre la stessa… sempre la stessa… «Guarda come poggia la guancia sulla mano! Oh, foss'io un guanto su quella mano, per poter sfiorare quella guancia!» Nala fece il solito brontolomiagolio quando sobbalzai per la sorpresa. «Sembra proprio che io continui a trovarti vicino a quest'albero.» Erik mi sorrise dall'alto in basso, come una sorta di dio. Mi fece di nuovo sentire cose strane nello stomaco, ma anche qualcos'altro. Perché mai continuava a «trovarmi»? E da quanto tempo stava a guardare stavolta? «Che ci fai qui fuori, Erik?» «Ciao, anch'io sono contento di vederti. E sì, mi piacerebbe sedermi, grazie.» Si sistemò accanto a me. Mi alzai, prendendomi un'altra brontolata di Nala. «A dire il vero stavo giusto per rientrare al dormitorio.» «Ehi, non avevo intenzione di ficcanasare. Solo che non riuscivo a concentrarmi sui compiti e così sono uscito a fare due passi. Immagino che i piedi mi abbiano portato qui senza che glielo ordinassi, perché la cosa successiva di cui mi sono accorto era che c'eri tu. Non ti sto spiando, te l'assicuro.» Si ficcò le mani in tasca, sembrando molto in imbarazzo. Be', sembrando molto bello e in imbarazzo, e mi tornò in mente quanto avrei voluto accettare il suo invito a guardare assieme film da sfigati. E adesso eccomi di nuovo lì a rifiutarlo ancora e a farlo sentire a disagio. C'era da stupirsi che mi avesse anche soltanto rivolto la parola. Era evidente che stavo prendendo quella storia della Somma Sacerdotessa troppo sul serio. «Allora che ne diresti di accompagnarmi al dormitorio? Di nuovo», chiesi. «Mi sembra una buona idea.» Questa volta Nala si lamentò quando feci per prenderla in braccio e preferì seguirci trotterellando, mentre Erik e io procedevamo affiancati con la stessa naturalezza della sera prima. Restammo in silenzio per un po'. Avrei voluto chiedergli di Afrodite, o almeno riferirgli quello che lei mi aveva detto su di lui, ma non mi veniva un modo adatto per affrontare un argomento su cui probabilmente non avevo il minimo diritto di fargli domande. «Allora cosa stavi facendo qui fuori stavolta?» mi chiese. «Pensavo», risposi, e tecnicamente non era una bugia. Avevo pensato. Un sacco. Prima, durante e dopo aver creato il cerchio di cui opportunamente non intendevo parlargli. «Oh. Sei preoccupata per quel Heath?» A dire il vero non avevo più pensato né a Heath né a Kayla da quando ne avevo parlato con Neferet, ma mi strinsi nelle spalle perché non volevo entrare nei dettagli. «Cioè, immagino che probabilmente sia dura rompere con qualcuno solo perché sei stato Segnato», aggiunse. «Non ho rotto con lui perché sono stata Segnata. Avevamo più o meno chiuso già da prima e il Marchio ha reso solo più definitiva la cosa.» Lo guardai e presi un bel respiro. «E tu e Afrodite?» Sbatté gli occhi, stupito. «Cosa intendi?» «Intendo che oggi mi ha detto che non sarai mai il suo ex perché sarai sempre suo.» Strinse gli occhi e sembrò davvero incazzato. «Afrodite ha dei seri problemi a dire la verità.» «Non che siano affari miei, ma…» «Sono affari tuoi», mi rimbeccò subito. Poi, provocandomi uno shock totale e assoluto, mi prese la mano. «O almeno io vorrei che lo fossero.» «Oh. Okay, allora… okay.» Ero certa di averlo di nuovo strabiliato con l'arguzia e la profondità della mia eloquenza. «Perciò stasera non mi stavi semplicemente evitando, ma avevi davvero qualcosa su cui riflettere?» chiese lentamente. «Non ti stavo evitando. È solo che…» Esitai, non sapendo come cavolo spiegargli qualcosa che ero più che sicura che non avrei dovuto spiegargli. «In questo momento stanno succedendo un sacco di cose. Tutta questa faccenda della Trasformazione a volte mi confonde un casino.» «Vedrai che andrà meglio.» Mi strinse la mano. «Non so bene perché, ma nel mio caso ne dubito», mormorai. Rise e picchiettò il dito sul mio Simbolo. «Sei solo più avanti di molti di noi. All'inizio è dura, ma, credimi, diventerà più facile… anche per te.» Sospirai. «Lo spero proprio.» Ma continuavo a dubitarne. Ci fermammo davanti al dormitorio e si voltò verso di me, la voce di colpo bassa e seria. «Zy, non credere alle stronzate che dice Afrodite. Lei e io non stiamo insieme da mesi.» «Prima sì, però», replicai. Annuì, l'aria tesa. «Erik, non è una bella persona.» «Lo so.» E poi mi resi conto di cos'era a darmi tanto fastidio e decisi che, be', che diavolo, tanto valeva che lo dicessi e basta. «Non mi piace che tu sia stato con una così meschina. Mi fa sentire strana all'idea di mettermi con te.» Aprì la bocca per replicare ma io continuai a parlare, non volendo ascoltare delle scuse cui non ero certa di volere o poter credere. «Grazie di avermi accompagnata. Sono felice che tu mi abbia trovata di nuovo.» «Anch'io sono felice di averti trovata. Vorrei rivederti, Zy, e non solo incontrandoti per caso.» Esitai. E mi chiesi perché cavolo stessi esitando. Volevo rivederlo. Avevo bisogno di dimenticare Afrodite. Insomma, lei è davvero bella, e lui è un maschio. Probabilmente era caduto tra le sue stronze (e calde) grinfie prima di rendersi conto di quello che stava succedendo. Cioè, i modi di lei mi ricordavano un po' i ragni, no? Dovevo essere contenta che non se lo fosse mangiato vivo e dare un'occasione a quel ragazzo. «Okay, che ne dici di guardare assieme quei DVD da sfigati questo sabato?» dissi di getto, prima di sclerare all'idea di uscire col più stupendo della scuola e non riuscire più ad aprire bocca. «Allora abbiamo un appuntamento», replicò. Dandomi in modo evidente il tempo di tirarmi indietro se avessi voluto, Erik si chinò con lentezza a baciarmi. Aveva le labbra calde e davvero un buon odore, e il bacio fu dolce e delicato. A dirla tutta, mi fece venire voglia che mi baciasse ancora. Finì troppo presto, ma lui non si allontanò. Eravamo in piedi vicini e mi accorsi di avergli appoggiato le mani sul petto, mentre le sue stavano sulle mie spalle. Alzai il viso e gli sorrisi. «Sono felice che tu mi abbia chiesto ancora di uscire.» «Sono felice che stavolta tu abbia detto di sì.» Poi mi baciò di nuovo, ma stavolta non in modo esitante. Il bacio si fece più profondo e le mie braccia si aggrapparono alle sue spalle. Percepii, più che sentii, il suo gemito e, mentre mi baciava a lungo e con forza, fu come avesse acceso un interruttore da qualche parte dentro di me e fui attraversata da una scossa di desiderio intenso e dolce. Era pazzesco e incredibile, molto più di quanto mi avesse mai fatto provare un bacio di chiunque altro. Adoravo il modo in cui il mio corpo si adattava al suo, duro contro morbido, e mi strinsi a lui dimenticando Afrodite e il cerchio che avevo appena creato e tutto il resto del mondo. Quando ci sciogliemmo dal bacio, eravamo tutti e due senza fiato e restammo a fissarci. Tornando lentamente in me mi resi conto che gli ero tutta spalmata addosso e che mi trovavo davanti all'ingresso del dormitorio a strusciarmi come una zoccolona, quindi cominciai a districarmi dal suo abbraccio. «Cosa c'è che non va? Perché di colpo sembri diversa?» chiese Erik tenendomi stretta. «Erik, io non sono come Afrodite.» Strattonai con più forza e mi lasciò andare. «Lo so benissimo. Non mi piaceresti se fossi come lei.» «Non sto parlando solo della mia personalità. Quello che voglio dire è che starmene qui fuori a limonare con te non è il mio comportamento normale.» «Okay.» Allungò una mano verso di me come volesse attirarmi di nuovo tra le sue braccia, ma poi si vede che cambiò idea, perché la mano ricadde lungo il fianco. «Zoey, nessuna mi ha mai fatto provare quello che provo con te.» Sentii la faccia diventare bollente e non avrei saputo dire se era per la rabbia o per l'imbarazzo. «Erik, non trattarmi come se fossi scema. Ti ho visto nel corridoio con Afrodite. È evidente che hai già provato questo genere di cose e anche di più.» Scosse la testa e capii che si sentiva ferito. «Quello che mi faceva provare Afrodite era soltanto fisico. Tu, invece, mi tocchi il cuore. Conosco la differenza, Zoey, e pensavo la conoscessi anche tu.» Lo fissai in quegli splendidi occhi azzurri che erano sembrati toccarmi la prima volta che mi aveva guardata. «Scusami. È stato meschino da parte mia. Conosco la differenza.» «Promettimi che non lascerai che Afrodite si metta tra noi.» «Te lo prometto.» Mi spaventava molto, ma dicevo sul serio. «Bene.» Nala si materializzò dal buio e cominciò a girarmi intorno alle gambe lamentandosi. «È meglio se la porto dentro e la metto a nanna.» «Okay.» Sorrise e mi diede un rapido bacio. «Ci vediamo sabato, Zy.» Continuarono a pizzicarmi le labbra per tutta la strada fino alla mia stanza. 25 Il giorno successivo cominciò con quella che, col senno di poi, avrei considerato una normalità sospetta. Stevie Rae e io facemmo colazione, sempre bisbigliando su quanto fosse strafigo Erik e cercando di pensare a cosa mi sarei messa per il nostro appuntamento di sabato. Neppure vedemmo Afrodite e il trio di streghe, Bellicosa, Terribile e Vespa. La lezione di Socio Vamp fu così interessante – eravamo passati dalle amazzoni all'antica festa vampira greca che si chiamava coregia – che avevo smesso di pensare al rito delle Figlie Oscure previsto per la sera e per un po' persino di preoccuparmi per quello che dovevo fare con Afrodite. Anche l'ora di recitazione fu piacevole e decisi di scegliere uno dei monologhi di Caterina della Bisbetica domata (quella commedia mi piace da matti, sin da quando ho visto il vecchio film interpretato da Elizabeth Taylor e Richard Burton). Poi, mentre lasciavo la classe, Neferet mi bloccò in corridoio per chiedermi quanto avessi letto del testo avanzato di Socio Vamp e fui costretta a dirle che non avevo ancora fatto molto (traduzione: neanche aperto il libro) e, quando mi affrettai ad andare a letteratura, ero del tutto distratta dalla sua ovvia delusione. Mi ero appena seduta tra Damien e Stevie Rae, quando scoppiò il finimondo, cancellando ogni parvenza di normalità da quella giornata. Pentesilea aveva iniziato a leggere il quarto capitolo del Titanic – la vera storia, che è proprio un bel libro, e stavamo ascoltando tutti come al solito, quando quello stupido di Elliott aveva cominciato a tossire. Dio, che palla, quel ragazzo. A un certo punto, tra lettura e tossite, avevo cominciato a sentire un odore. Era intenso e dolce, delizioso e sfuggente. D'istinto, avevo inspirato a fondo, sempre cercando di concentrarmi sul libro. La tosse di Elliott era peggiorata e io mi ero voltata a dargli un'occhiataccia assieme al resto della classe. Insomma, per favore! Non poteva prendere una caramella o un goccio d'acqua o quello che era? E poi avevo visto il sangue. Elliott non era stravaccato e semiaddormentato come al solito, ma sedeva dritto e si fissava le mani, che erano coperte di sangue fresco. Mentre lo osservavo, aveva tossito di nuovo, facendo un orribile rumore bagnaticcio che mi aveva ricordato il giorno in cui ero stata Segnata. Solo che, quando Elliott tossiva, dalla bocca gli schizzava lucente sangue scarlatto. «Cos…?» aveva gorgogliato. «Chiamate Neferet!» Pentesilea aveva dato il secco ordine mentre apriva un cassetto della scrivania e ne tirava fuori un asciugamano ben piegato, per raggiungere poi in fretta Elliott. Il ragazzo più vicino alla porta era partito a razzo. Nel più completo silenzio avevamo osservato Pentesilea arrivare da Elliott appena in tempo per la successiva tossita sanguinolenta, che aveva raccolto nell'asciugamano. Lui si era portato la salvietta sulla faccia, mentre tossicchiava, sputava e vomitava. Quando alla fine aveva alzato gli occhi, sulle sue guance pallide e tonde scendevano lacrime di sangue, e sanguinava talmente tanto anche dal naso che sembrava un rubinetto dimenticato aperto. Poi, quando si era voltato per guardare Pentesilea, avevo visto che pure dall'orecchio usciva un rivolo rosso. «No!» aveva sbottato Elliott con una passione che non gli avevo mai sentito. «No! Non voglio morire!» «Sstt», aveva cercato di calmarlo Pentesilea, levandogli dalla fronte sudata i capelli color carota. «Vedrai che il dolore finirà presto.» «Ma… ma, no, io…» Aveva ricominciato a protestare con una voce piagnucolosa che sembrava molto più sua, poi era stato interrotto da un'altra serie di colpi di tosse. Aveva avuto di nuovo i conati e aveva vomitato sangue nell'asciugamano già zuppo. Neferet era entrata in aula seguita da due vampiri alti dall'aria atletica che portavano una barella e una coperta. Neferet, invece, aveva in mano soltanto una fialetta piena di un liquido color latte. Neanche due respiri dopo di loro, Dragone Lankford si era precipitato in classe. «Lui è il suo mentore», aveva bisbigliato Stevie Rae talmente piano che quasi non aveva emesso suono. Avevo annuito, ricordando di quando Pentesilea aveva sgridato Elliott per aver tradito Dragone. Neferet aveva dato a Dragone la fiala che aveva portato, quindi si era messa dietro a Elliott e gli aveva posto le mani sulle spalle. Tosse e conati si erano attenuati immediatamente. «Bevi subito questo, Elliott», gli aveva detto Dragone. E, quando il ragazzo aveva cominciato a scuotere debolmente la testa per dire di no, aveva aggiunto con gentilezza: «Farà finire il tuo dolore». «Lei… lei resterà con me?» aveva chiesto senza fiato Elliott. «Ma certo. Non ti lascerò solo neanche un istante.» «Chiamerà la mia mamma?» aveva sussurrato Elliott. «Sicuro.» Elliott aveva chiuso gli occhi per un secondo, poi, con le mani tremanti, si era portato la fialetta alle labbra e aveva bevuto. Neferet aveva fatto un cenno ai due vampiri, che lo avevano sollevato e messo sulla barella come fosse una bambola, non un ragazzo morente, e poi, affiancati da Dragone, si erano affrettati a lasciare la stanza. Prima di seguirli, Neferet si era girata a guardare noi sconvolti alunni di terza. «Potrei dirvi che Elliott starà bene, che si riprenderà, ma sarebbe una bugia.» Il suo tono era sereno, ma pieno di una forza che incuteva rispetto. «La verità è che il suo organismo ha respinto la Trasformazione. Entro qualche minuto morirà della morte eterna e non diventerà un vampiro. Potrei dirvi di non preoccuparvi, che a voi non succederà. Ma sarebbe una menzogna anche questa. In media, uno su dieci di voi non completerà la Trasformazione. Alcuni novizi muoiono all'inizio della terza, come Elliott. Altri sono più forti e resistono fino alla sesta, dopo di che si ammalano e muoiono all'improvviso. Vi dico questo non perché viviate nella paura, ma per due ragioni ben precise. Per prima cosa, voglio che sappiate che, in quanto vostra Somma Sacerdotessa, non vi mentirò mai, ma vi aiuterò a rendere più facile il passaggio nell'altro mondo, se fosse necessario. E la seconda ragione è che voglio che viviate come vorreste essere ricordati se moriste domani, perché è possibile che succeda. In questo modo, se doveste morire, il vostro spirito potrebbe riposare in pace sapendo di avere lasciato un buon ricordo e, se invece non morirete, avrete posto le fondamenta per una lunga vita caratterizzata da onestà e rettitudine.» Pronunciando le parole conclusive, mi aveva guardato dritto negli occhi. «Chiedo che la benedizione di Nyx vi sia di conforto oggi, e che ricordiate che la morte è una parte naturale dell'esistenza, anche di quella dei vampiri. Perché un giorno dovremo tornare tutti in seno alla Dea.» E detto questo si era chiusa la porta alle spalle con un suono che aveva un che di definitivo. Pentesilea si era mossa in modo rapido ed efficiente, pulendo gli schizzi di sangue che macchiavano il banco di Elliott e, quando ogni traccia del ragazzo morente era scomparsa, era tornata a mettersi di fronte a noi per un momento di silenzio per il nostro compagno. Poi aveva ripreso in mano il libro e aveva ricominciato a leggere da dove si era interrotta. Avevo cercato di ascoltare. Avevo cercato di escludere dalla mente l'immagine di Elliott che perdeva sangue da occhi, orecchie, naso e bocca. E avevo cercato anche di non pensare al fatto che l'odore delizioso che avevo notato era senz'altro quello del sangue di Elliott che usciva dal suo corpo morente. Lo so che, in teoria, dopo la morte di un novizio, le cose dovrebbero continuare come al solito, ma, a quanto pareva, era insolito che ne morissero due a distanza di così poco tempo, e tutti stettero innaturalmente zitti e tranquilli per il resto della giornata. Il pranzo fu silenzioso e deprimente e notai che il cibo veniva piluccato più che mangiato. Le gemelle nemmeno battibeccarono con Damien, il che sarebbe stata una bella novità se non avessi saputo il terribile motivo che ne era la causa. Quando Stevie Rae s'inventò una scusa qualunque per lasciare la tavola presto e tornarsene in camera prima dell'inizio della quinta ora, fui più che felice di andare con lei. Seguimmo il marciapiede nella fitta oscurità di un'altra notte nuvolosa e le luci a gas non sembravano più calde e allegre, ma piuttosto gelide e non abbastanza forti. «Elliott non piaceva a nessuno», esordì Stevie Rae. «E credo che questo peggiori la situazione. Stranamente è stato più facile con Elizabeth, perché almeno potevamo sentirci sinceramente dispiaciuti che se ne fosse andata.» «So cosa vuoi dire. Sono sconvolta, ma so di esserlo per aver visto cosa ci può succedere e perché adesso non riesco a togliermelo dalla testa, non perché lui è morto.» «Almeno succede in fretta», replicò sottovoce. Rabbrividii. «Chissà se fa male.» «Ti danno una cosa, quel liquido bianco che ha bevuto Elliott, così non senti più dolore. Però rimani cosciente sino alla fine. E Neferet aiuta sempre con la morte vera e propria.» «Fa paura, vero?» «Già.» Restammo in silenzio per un po', poi la luna fece capolino tra le nuvole dipingendo le foglie degli alberi di un innaturale argento da acquerello che di colpo mi ricordò Afrodite e il suo rito. «È possibile che Afrodite cancelli il rito di Samhain stasera?» «Neanche per sogno. I rituali delle Figlie Oscure non vengono mai cancellati.» Lanciai un'occhiata a Stevie Rae. «Be', che diavolo, era il loro frigorifero!» Mi guardò stupefatta. «Elliott?» «Già, è stato davvero disgustoso e lui sembrava drogato e strano. Doveva stare respingendo la Trasformazione già allora.» Seguì un silenzio impacciato, poi aggiunsi: «Non ti avevo detto niente perché… soprattutto dopo che mi hai raccontato del… be'… lo sai. Sei sicura che Afrodite non cancellerà il rito stasera? Insomma, con Elizabeth prima e adesso Elliott…» «Non importa. E alle Figlie Oscure non frega di quelli che usano come frigorifero. Troveranno qualcun altro.» Esitò. «Senti, Zoey, ci ho pensato e credo che forse non ci dovresti andare. Ho sentito quello che ti ha detto ieri Afrodite. Farà in modo che nessuno ti accetti. Sarà davvero meschina.» «Andrà tutto bene, Stevie Rae.» «No, ho una brutta sensazione. Non ce l'hai ancora un piano, vero?» «Be', no. Sono ancora in fase di ricognizione», dissi, cercando di rendere meno pesante il discorso. «Vacci un'altra volta in ricognizione. Oggi è già stata una giornata troppo orribile. Sono tutti sconvolti. Credo che dovresti aspettare.» «Non posso non farmi vedere, soprattutto dopo quello che Afrodite mi ha detto ieri. Penserebbe di potermi mettere paura.» Stevie Rae prese un grande respiro. «Be', allora credo che dovresti portarmi con te.» Cominciai a scuotere la testa, ma lei continuò a parlare: «Sei una Figlia Oscura, adesso, e tecnicamente puoi invitare chi vuoi ai riti. Quindi invita me. Io vengo e ti guardo le spalle». Pensai al fatto che avrei bevuto sangue, perché mi era piaciuto tanto che persino Bellicosa e Terribile se ne erano accorte. E provai, senza riuscire, a non pensare all'odore del sangue… quello di Heath, quello di Erik e persino quello di Elliott. Prima o poi Stevie Rae avrebbe scoperto che effetto aveva già il sangue su di me, ma non sarebbe stato quella notte. Anzi, se potevo evitarlo, non sarebbe stato neanche presto. Non volevo correre il rischio di perdere lei o le gemelle o Damien e avevo paura che sarebbe andata così. Certo, sapevano che ero «speciale», mi accettavano perché quella diversità per loro significava Somma Sacerdotessa e questo andava bene. La mia brama di sangue, però, non andava altrettanto bene. L'avrebbero accettata con la stessa facilità? «Neanche per sogno, Stevie Rae.» «Ma, Zoey, non dovresti andare da sola in quel covo di streghe.» «Non sarò sola. Ci sarà anche Erik.» «Certo, ma lui è stato il ragazzo di Afrodite. Chi può sapere se o quanto si opporrà se lei diventasse davvero odiosa con te?» «Tesoro, so difendermi da me.» «Lo so, ma…» S'interruppe e mi guardò con un'espressione buffa. «Zy, stai vibrando?» «Eh? Cos'è che sto facendo?» Poi lo udii anch'io e mi misi a ridere. «È il mio cellulare. L'ho ficcato in borsa ieri sera dopo averlo caricato.» Lo presi e guardai l'ora sul display. «È mezzanotte passata, chi cavolo…» Aprii lo sportellino e restai stupefatta vedendo che avevo quindici nuovi messaggi e cinque chiamate perse. «Oddio, qualcuno ha continuato a chiamare e chiamare e io non me ne sono neanche accorta.» Controllai prima i messaggi e nel leggerli mi si annodò lo stomaco. ZO KIAMA T V TTT B ZO KIAMA X FAV DEVO VDRT C6? M KIAMI? VOGLIO PARLARTI ZO! KIAMAMI Non c'era bisogno che ne leggessi altri, dato che erano tutti praticamente uguali. «Ah, cacchio. Sono tutti di Heath.» «Il tuo ex?» Sospirai. «Già.» «E cosa vuole?» «A quanto sembra, me.» Riluttante, digitai il codice di accesso alla casella vocale e la bella voce sonnacchiosa di Heath mi colpì per il tono acceso e animato. Zo! Chiamami. Senti, lo so che è tardi, ma… cioè, per te non è tardi ma è tardi per me. Ma va bene perché non me ne importa. Voglio solo che mi chiami. Okay. Allora. Ciao. Chiama. Grugnii e cancellai il messaggio. Il successivo sembrava ancora più isterico. Zoey! Okay, senti, mi devi chiamare. Davvero. E non ti arrabbiare. Ehi, Kayla neanche mi piace. È una scema. Io ti amo ancora, Zo, amo solo te. Allora chiama. Non importa quando. Tanto mi sveglio. «Ragaaazzi, oh, ragaaazzi!» disse Stevie Rae dopo aver ascoltato la voce eccitata di Heath. «Quello è ossessionato. Mica da stupirsi che l'hai piantato.» «Già.» Cancellai in fretta anche il secondo messaggio. Il terzo somigliava molto ai primi due, era solo più disperato. Abbassai il volume e pestai col piede con impazienza mentre controllavo anche quelli successivi ascoltando solo quanto bastava per sapere che potevo cancellarli. «Devo vedere Neferet», dissi, più a me stessa che a Stevie Rae. «Perché? Vuoi impedirgli di chiamare o qualcosa di simile?» «No. Sì. Qualcosa di simile. È che le devo parlare per, be', per sapere cosa devo fare.» Evitai lo sguardo curioso di Stevie Rae. «Insomma, è già venuto qui e non voglio che torni a piantare casini.» «Ah, già, hai ragione. Sarebbe un guaio se incontrasse Erik.» «Sarebbe orribile. Okay, meglio che mi spicci e cerchi di beccare Neferet prima della quinta ora. Ci vediamo dopo la scuola.» Non aspettai il saluto di Stevie Rae e schizzai in direzione dello studio della Somma Sacerdotessa. Che quella giornata potesse persino peggiorare? Elliott muore e io sono attratta dal suo sangue. Alla sera devo andare al rito di Samhain con un gruppo di ragazzi che mi odiano e vogliono assicurarsi che io lo sappia, e con ogni probabilità ho stabilito un Imprinting col mio quasi-exragazzo. Già. Oggi fa proprio, proprio schifo. 26 Se Skylar che soffiava e ringhiava col pelo dritto non avesse attirato la mia attenzione, non avrei mai visto Afrodite accasciata nella piccola alcova in fondo al corridoio in cui si trovava lo studio di Neferet. «Cosa c'è, Skylar?» Avevo allungato la mano con cautela, ricordando che Neferet aveva detto che il suo gatto aveva il morso facile. Ero anche sinceramente contenta che Nala non mi stesse seguendo come faceva di solito perché probabilmente Skylar si sarebbe mangiato la mia povera micetta per pranzo. «Miciomicio.» Il gattone rosso mi aveva squadrato meditabondo (probabilmente ponderava se staccarmi un dito oppure no), poi aveva preso la sua decisione e con uno sbuffo era trotterellato verso di me. Si era strusciato contro le mie gambe, quindi aveva rivolto un'ultima soffiata alla nicchia poco più avanti e se ne era andato, sparendo in direzione della stanza di Neferet. «Che diavolo ha?» Avevo sbirciato nell'alcova con una certa esitazione, chiedendomi cos'avesse potuto far gonfiare e soffiare un gattaccio come Skylar, e avevo provato un discreto shock. Era seduta sul pavimento, molto poco visibile nell'ombra sotto la mensola che ospitava una bella statua di Nyx, teneva la testa piegata all'indietro e degli occhi si vedeva soltanto il bianco. Mi mise una strizza folle. Restai bloccata, aspettandomi da un momento all'altro di vedere il sangue rigarle la faccia. Poi però gemette e borbottò qualcosa che non riuscii a capire, mentre gli occhi si muovevano sotto le palpebre chiuse come se stesse osservando una scena. Capii cosa stava succedendo: Afrodite aveva una visione. Probabilmente l'aveva sentita arrivare e si era nascosta nella nicchia in modo che nessuno la trovasse per poter tenere per sé le informazioni su morti e distruzioni che avrebbe potuto evitare. Vacca odiosa. Strega. Be', non avrei lasciato che se la cavasse ancora con tutte quelle sue stronzate. Mi chinai e l'afferrai sotto le braccia, tirandola in piedi (lasciate che ve lo dica, pesa molto più di quanto sembri). «Andiamo, facciamoci un giretto lungo il corridoio e vediamo un po' che tipo di tragedia vorresti tenerti per te.» Dovetti quasi trascinarla, visto che barcollava alla cieca. Per fortuna la stanza di Neferet non era distante e, quando entrammo traballando, lei si alzò di scatto da dietro la scrivania e corse verso di noi. «Zoey! Cos'è successo?» Ma, non appena riuscì a guardare bene Afrodite, capì e smise di preoccuparsi. «Aiutami a portarla qui sulla mia poltrona. Starà più comoda.» Sostenemmo Afrodite fino alla grande poltrona di pelle e la mettemmo a sedere, poi Neferet si accovacciò vicino a lei prendendole la mano. «Afrodite, con la voce della Dea io ti supplico di dire alla tua Sacerdotessa cosa vedi.» Il tono di Neferet era dolce ma persuasivo e si percepiva la forza della sua richiesta. Afrodite iniziò subito a battere le palpebre, prese un respiro profondo e rantolante, quindi di colpo sbarrò gli occhi, che sembravano immensi e vitrei. «Quanto sangue! C'è così tanto sangue che esce dal suo corpo!» «Chi è, Afrodite? Concentrati. Focalizza e rendi chiara la visione», ordinò Neferet. Afrodite prese un altro respiro a rantolo. «Sono morti! No. No. Non è possibile! Non è giusto. No. Non è normale! Io non capisco… Io non…» Sbatté di nuovo le palpebre e il suo sguardo sembrò schiarirsi. Si guardò intorno nella stanza, come se non riconoscesse il posto, poi i suoi occhi si posarono su di me. «Tu… Tu sai», disse debolmente. «Sì», risposi, intanto pensavo: certo che so che stai cercando di nascondere la tua visione. Però replicai soltanto: «Ti ho trovata in corridoio e…» Neferet sollevò la mano per fermarmi. «No, non ha finito. Non dovrebbe rinvenire così presto. La visione è ancora troppo astratta», mi spiegò in fretta, quindi abbassò di nuovo la voce e riprese il tono persuasivo e di comando. «Afrodite, torna indietro. Osserva quello che era previsto vedessi e potessi cambiare.» Ha hai Eccola lì! Non riuscii a evitare di sentirmi un po' compiaciuta. Dopotutto, giusto il giorno prima aveva cercato di cavarmi gli occhi. «I morti…» Diventava sempre più difficile capire cosa stesse mormorando, ma suonava più o meno come: «Tunnel… uccidono… qualcuno lì… io non… non posso…» Era frenetica e quasi mi dispiaceva per lei. Era evidente che, qualunque cosa stesse vedendo, la spaventava da matti. Poi il suo sguardo che vagava per la stanza trovò Neferet; vidi che l'aveva riconosciuta e cominciai a rilassarmi. Stava riprendendo i sensi e tutta quella strana situazione si sarebbe chiarita. Ma, proprio mentre pensavo quelle cose, gli occhi di Afrodite, che sembravano fissi su Neferet, si allargarono all'inverosimile, mentre sulla sua faccia comparve un'espressione di puro terrore e lei si mise a gridare. Neferet le strinse le mani sulle spalle tremanti. «Svegliati!» A malapena si voltò verso di me per un millisecondo e mi disse: «Vai adesso, Zoey. La sua visione è confusa. La morte di Elliott l'ha turbata e io devo accertarmi che torni in sé». Non c'era bisogno che me lo dicesse due volte. Dimenticata l'ossessione di Heath, mi precipitai fuori della stanza e mi diressi a lezione di spagnolo. Non riuscivo a concentrarmi sulla scuola. Continuavo a rivedere mentalmente la scena con Neferet e Afrodite. Era ovvio che avesse avuto una visione su persone che morivano, ma dalla reazione di Neferet sembrava che non fosse stata una visione normale (ammesso che ne esistessero). Stevie Rae aveva detto che le premonizioni di Afrodite erano talmente chiare che era riuscita a indicare l'aeroporto giusto e persino lo specifico aereo che aveva visto cadere, eppure quel giorno, all'improvviso, di chiaro non c'era stato niente. Be', a parte l'aver visto me e detto cose strane e l'aver strillato come un'assatanata verso Neferet. Proprio non aveva senso. Avevo quasi voglia di vedere come si sarebbe comportata quella sera. Quasi. Misi via le spazzole di Persefone e presi Nala, che era rimasta appollaiata in cima alla mangiatoia del cavallo a guardare e a miagolarmi i suoi strani miagolii, quindi cominciai lentamente a tornare al dormitorio. Questa volta non c'era Afrodite a rompere, ma, quando girai l'angolo vicino alla vecchia quercia, vidi che Stevie Rae, Damien e le gemelle si erano riuniti lì e parlavano fitto fitto. Per smettere appena mi videro. Mi fissarono tutti con aria colpevole e non fu molto difficile capire di chi stessero parlando. «Che c'è?» chiesi. «Ti aspettavamo», replicò Stevie Rae, senza la solita allegra vitalità. «Hai qualcosa che non va?» «È preoccupata per te», mi rispose Shaunee. «Siamo preoccupati per te», specificò Erin. «Che sta succedendo col tuo ex?» domandò Damien. «Rompe, tutto qui. Se non rompesse, non sarebbe il mio ex.» Cercai di parlare con disinvoltura, senza guardare nessuno dei miei quattro amici troppo a lungo negli occhi (non sono mai stata granché come bugiarda.) «Noi pensiamo che dovrei venire con te stasera», riprese Stevie Rae. «A dire il vero, pensiamo che noi dovremmo venire con te stasera», la corresse Damien. Aggrottai la fronte. Non esisteva proprio che tutti e quattro mi vedessero bere il sangue dello sfigato di turno che quella sera sarebbe stato mischiato al vino. «No.» «Zoey, è stata davvero una giornata orribile. Siamo tutti stressati. In più, Afrodite ce l'ha con te. Mi pare logico che stasera stiamo uniti», ribatté sensato Damien. Be', sì, era sensato, ma loro non conoscevano tutta la storia. Non volevo che conoscessero tutta la storia. Non ancora. La verità era che m'importava troppo di loro. Mi facevano sentire accettata e al sicuro, mi facevano sentire integrata, parte di un qualcosa. Non potevo perderlo proprio adesso, non quando tutto quello che stava succedendo era ancora così nuovo e metteva così paura. Perciò feci quello che avevo imparato a fare bene a casa quando avevo paura ed ero preoccupata e non sapevo che altro fare: mi dimostravo scocciata e sulla difensiva. «Voi ragazzi dite che ho dei poteri che un giorno mi faranno diventare la vostra Somma Sacerdotessa?» Annuirono subito e mi sorrisero, cosa che mi strinse il cuore. Ce la misi tutta e resi la mia voce davvero gelida. «Allora mi dovete ascoltare quando dico no. Non vi voglio lì stasera. È una cosa che devo affrontare io. Da sola. E non ne voglio più parlare.» Dopo di che mi allontanai a grandi passi. Naturalmente entro mezz'ora ero dispiaciuta di essere stata così antipatica. Continuavo ad andare avanti e indietro sotto la grande quercia, che in un certo senso era diventata il mio rifugio, disturbando Nala e desiderando che Stevie Rae comparisse per permettermi di chiederle scusa. I miei amici non sapevano perché non volevo che fossero presenti, loro avevano solo intenzione di prendersi cura di me. Magari… magari avrebbero capito la faccenda del sangue. Erik sembrava capire. Okay, certo, lui era in quinta, però magari… Era previsto che ci passassimo tutti. Era previsto che cominciassimo ad avere voglia di sangue… oppure che morissimo. Mi rasserenai un po' e accarezzai Nala. «Quando l'alternativa è la morte, bere sangue non sembra poi tanto male, giusto?» Fece le fusa, e lo presi per un sì. Controllai l'ora al mio orologio. Cacchio. Dovevo tornare al dormitorio, cambiarmi e andare all'incontro con le Figlie Oscure. Senza nessuna voglia, m'incamminai. Era di nuovo nuvoloso, ma l'oscurità non mi dava fastidio. A dire il vero, la notte cominciava a piacermi. Era giusto. Avrebbe dovuto essere il mio elemento per molto, molto tempo. Se fossi sopravvissuta. Come se potesse leggere i miei pensieri morbosi, Nala mi rivolse un «miii-au-uuff» di rimprovero mentre mi trotterellava accanto. «Sì, lo so. Non dovrei essere così negativa. Ci lavorerò sopra dopo che…» Il basso ringhio di Nala mi stupì. Si era fermata, la schiena ingobbita, il pelo ritto e gonfio che la facevano sembrare un pompon peloso, ma gli occhi stretti a fessura non erano uno scherzo e neppure il feroce soffio che usciva dalla sua boccuccia. «Nala, cosa…» Un gelo terribile si propagò lungo la mia schiena anche prima che mi voltassi a guardare nella direzione in cui puntava la gatta. In seguito, non sarei riuscita a capire perché non avessi gridato. Ricordo che mi si era aperta la bocca per inghiottire aria, ma ero rimasta nel più assoluto silenzio. Mi sembrava di essere inebetita, ma era impossibile, perché se lo fossi stata non sarei potuta rimanere pietrificata a quel modo. Elliott era in piedi a meno di tre metri da me, nel buio che scuriva lo spazio vicino al muro di cinta. Doveva essere diretto dalla stessa parte in cui stavamo andando Nala e io, poi ci aveva sentito e si era voltato un po' verso di noi. La gatta soffiò ancora e lui, con un movimento di una rapidità da paura, si girò per affrontarci. Giuro che non riuscivo a respirare. Era un fantasma… doveva esserlo, ma sembrava così fisico, così reale. Se non avessi visto il suo organismo rifiutare la Trasformazione, avrei pensato che fosse soltanto un po' più pallido del solito e… e… strano. Era bianco in modo anormale, ma non era l'unica cosa che non andava in lui. Gli occhi erano cambiati. Riflettevano la poca luce presente e splendevano di un terribile rosso rugginoso, come sangue secco. Proprio come gli occhi del fantasma di Elizabeth. C'era anche qualcos'altro di diverso in lui. Il suo corpo sembrava strano, più magro. Com'era possibile? Poi mi arrivò il puzzo. Di vecchio, asciutto e fuori posto, come un armadio che non veniva aperto da anni o un'orribile cantina ammuffita. Era lo stesso odore che avevo notato appena prima di vedere Elizabeth. Nala ringhiò ed Elliott si mise in una strana posa semiaccucciata e le soffiò. Quindi mostrò i denti e riuscii a vedere che i canini erano zanne! Fece un passo verso Nala, quasi volesse attaccarla. Non pensai, reagii e basta. «Lasciala stare e vattene da qui!» Mi stupì che sembrasse che non stessi facendo niente di più interessante che strillare contro un cane cattivo, perché avevo una strizza inimmaginabile. Elliott girò la testa verso di me e la luminosità dei suoi occhi mi toccò per la prima volta. Sbagliato! urlava la vocina interiore che era diventata una presenza familiare. Questo è un abominio! «Tu…» La voce di Elliott era orribile. Era stridula e gutturale, come se qualcosa gli avesse danneggiato la gola. «Io ti avrò!» Dopo di che cominciò a venire verso di me. Una paura primordiale mi avvolse come un vento tagliente. Un miagolio da battaglia squarciò la notte e Nala si lanciò contro il fantasma. Restai a guardare, completamente sotto shock, aspettandomi che la micia finisse a dare zampate all'aria. Invece atterrò ad artigli sguainati sulla coscia di Elliott, graffiando e ringhiando come un animale tre volte più grande. Lui gridò, l'afferrò per la collottola e la scagliò lontano. Poi, con una velocità e una forza impossibili, saltò letteralmente in cima al muro di cinta e scomparve nella notte che circondava la scuola. Tremavo talmente tanto che inciampai. «Nala!» singhiozzai. «Dove sei, piccolina?» Ancora ringhiando tutta gonfia, mi raggiunse a passettini felpati, gli occhi a fessura sempre puntati sul muro di cinta. Mi accovacciai accanto a lei per controllare che fosse tutta intera e, siccome sembrava stesse bene, la presi in braccio e mi allontanai di corsa, più in fretta che potevo. «Va tutto bene. Noi stiamo bene. Se n'è andato. Sei stata una micina così coraggiosa!» Mentre continuavo a parlarle, mi si arrampicò sulla spalla, in modo da poter guardare dietro di noi, senza smettere di ringhiare. Al primo lampione a gas, non lontano dalla sala di ricreazione, mi fermai e spostai Nala, per controllare meglio che stesse davvero bene, e quello che scoprii mi attorcigliò lo stomaco al punto che pensai di stare per vomitare. Sulle sue zampe c'era del sangue. Solo che non apparteneva a lei. E non aveva l'odore delizioso dell'altro, ma risentiva della puzza di cantina vecchia e ammuffita. Mentre le pulivo le zampe sulla poca erba invernale, mi sforzai di non rigettare, quindi la ripresi in braccio e mi affrettai lungo il marciapiede che portava al dormitorio. Nala continuò imperterrita a guardare dietro di noi e a ringhiare. Stevie Rae, le gemelle e Damien erano tutti vistosamente assenti dal dormitorio. Non stavano guardando la TV, non erano nella stanza dei computer né in biblioteca e non erano neppure in cucina. Salii in fretta le scale, sperando con tutta me stessa che almeno Stevie Rae fosse nella nostra camera. Non fui così fortunata. Mi sedetti sul letto a coccolare Nala, che era ancora sconvolta. Dovevo andare a cercare i miei amici? O era meglio che restassi lì? Prima o poi Stevie Rae sarebbe comunque dovuta tornare in camera. Guardai il suo ancheggiante orologio Elvis: avevo circa dieci minuti per cambiarmi e arrivare in sala di ricreazione. Ma come potevo andare al rito dopo quanto era appena successo? E cosa era appena successo? Un fantasma aveva cercato di assalirmi. No. Non era così. Come avrebbe potuto sanguinare un fantasma? E poi, quello che avevo visto era davvero sangue? Non ne aveva l'odore. E non avevo idea di cosa stesse accadendo. Dovrei andare dritta da Neferet a riferirle quello che mi è capitato. Dovrei alzarmi all'istante per portare me e la mia gatta stravolta da Neferet e dirle di Elizabeth la scorsa notte e di Elliott poco fa. Dovrei… dovrei… No. Questa volta non fu un grido dentro di me, fu la forza della certezza. Non potevo dirlo a Neferet, almeno non in quel momento. «Devo andare al rito, devo essere presente a quel rito», dissi, ripetendo ad alta voce le parole che mi echeggiavano nella testa. Mentre indossavo il vestito nero e cercavo le ballerine nell'armadio, mi sentii di colpo diventare calma. Le cose in quel posto non seguivano le stesse regole del mio vecchio mondo – della mia vecchia vita – ed era tempo che accettassi la situazione e cominciassi ad abituarmici. Avevo un'affinità coi cinque elementi, il che significava che un'antica Dea mi aveva dotata di poteri incredibili. E, come mi aveva ricordato la nonna, con un grande potere viene anche una grande responsabilità. Magari mi era consentito di vedere delle cose – come per esempio fantasmi che non si comportavano né odoravano come dovrebbero fare i fantasmi – per un motivo. Anche se ancora non sapevo cosa questo significasse. A dire il vero, sapevo ben poco a parte i due pensieri che avevo chiari in mente: non potevo dirlo a Neferet e dovevo andare al rito. Mentre mi affrettavo a raggiungere la sala di ricreazione, cercai almeno di pensare positivo. Magari Afrodite non si sarebbe fatta vedere quella sera, oppure ci sarebbe stata ma si sarebbe dimenticata di tormentarmi. Ma non era la mia serata fortunata, perché non sarebbe successa né l'una né l'altra cosa. 27 «Bel vestito, Zoey, somiglia molto al mio. Ah, no, aspetta! Una volta era mio!» Afrodite si lanciò in una risata di gola, che diceva io-sono-grande-e-tu-sei-solouna-bambina. Detesto le ragazze che lo fanno. Insomma, è vero che lei è più grande, ma le tette ce le ho anch'io. Sorrisi e, aggiungendo una dose extra d'innocente tontolaggine alla mia voce, mi lanciai in una balla clamorosa, che devo aver detto piuttosto bene, considerando che come bugiarda valgo proprio poco, ma ero appena stata assalita da un fantasma e tutti ci stavano ascoltando: «Ciao, Afrodite! Cavolo, ho appena letto in un capitolo del libro di Socio Vamp 415 che mi ha dato Neferet quant'è importante che la leader delle Figlie Oscure faccia sentire benvenuto e accettato ogni nuovo del gruppo. Devi essere orgogliosa dell'ottimo lavoro che stai facendo». Poi mi avvicinai a lei un po' di più e abbassai la voce, in modo che le altre non potessero ascoltare. «E devo dire che hai un aspetto decisamente migliore dell'ultima volta che ti ho vista.» La vidi impallidire e sono sicura che negli occhi le passò un lampo di paura. Con stupore mi accorsi che questo non mi faceva sentire vincente e soddisfatta, piuttosto meschina, squallida e stanca. Sospirai. «Scusa, non avrei dovuto dirlo.» La sua espressione s'indurì. «Vaffanculo, mostro», sibilò. Quindi rise come avesse fatto una battuta spiritosissima (a mie spese), mi voltò le spalle e con un odioso movimento di capelli raggiunse il centro della stanza. Okay, non mi sentivo più meschina. Vacca odiosa. Sollevò un braccio esile e tutti quelli che erano rimasti a fissarmi a bocca aperta rivolsero la loro attenzione (per fortuna) su di lei. Indossava un vestito di seta rossa dall'aria antica che le stava come se gliel'avessero dipinto addosso. Avrei proprio voluto sapere dove cavolo si vestiva. Nella boutique zoccola dark? «Ieri è morta una novizia, e oggi un novizio.» La sua voce era forte e chiara e pareva quasi compassionevole, cosa che mi stupì. Per un secondo mi ricordò davvero Neferet e mi chiesi se stesse per dire qualcosa di profondo, da vero capo. «Li conoscevamo entrambi. Elizabeth era carina e tranquilla. Elliott è stato il nostro frigorifero per parecchi degli ultimi riti.» Di colpo sorrise, feroce e cattiva, e qualunque somiglianza potesse aver avuto con la Somma Sacerdotessa scomparve. «Ma erano deboli e ai vampiri non servono elementi deboli.» Alzò le spalle coperte di rosso. «Se fossimo umani la definiremmo legge della selezione naturale. Grazie alla Dea non siamo umani, quindi chiamiamolo soltanto Fato e stasera festeggiamo che non abbia assestato una pedata al fondoschiena di qualcuno di noi.» Trovai disgustoso che tutti mormorassero frasi di approvazione. Non avevo conosciuto davvero Elizabeth, ma era stata gentile con me. Okay, ammetto che Elliott non mi piaceva proprio e che non piaceva a nessuno. Era una palla, scocciante e brutto (e il suo fantasma o quello che era sembrava avere mantenuto quelle caratteristiche), ma non ero contenta che fosse morto. Se mai sarò a capo delle Figlie Oscure, non mi prenderò gioco della morte di un novizio, per quanto insignificante possa essere stato. Lo promisi a me stessa, ma mi resi anche conto di averlo pensato come una preghiera. Sperai che Nyx mi ascoltasse, e che approvasse. «Ma basta con le tristezze», stava dicendo Afrodite. «È Samhain! La notte in cui celebriamo la fine della stagione del raccolto e, ancor meglio, è il momento in cui ricordiamo i nostri antenati, tutti i grandi vampiri che sono vissuti e morti prima di noi.» Aveva un tono che metteva i brividi, come se si fosse calata troppo nella parte e, quando continuò, non potei non alzare gli occhi al soffitto. «È la notte in cui il velo tra la vita e la morte si fa più sottile ed è più probabile che gli spiriti si manifestino sulla terra.» S'interruppe e si guardò intorno nella stanza, facendo bene attenzione a ignorarmi (come peraltro facevano tutti gli altri), e nel momento di pausa ebbi il tempo di riflettere su quanto aveva appena detto. E se ciò che era successo con Elliott avesse avuto a che fare col velo tra la vita e la morte che era più sottile e col fatto che era morto il giorno di Samhain? Ma non ebbi il tempo di chiedermi altro perché Afrodite alzò la voce e gridò: «Perciò cosa facciamo?» «Usciamo!» strillarono per tutta risposta le Figlie e i Figli Oscuri. La risata di Afrodite era davvero troppo sexy per essere appropriata e giuro che si stava toccando. Proprio davanti a tutti. Dio, se era disgustosa! «Giusto. Ho scelto un posto super per noi stasera e ad aspettarci là con le ragazze c'è anche un nuovo piccolo frigorifero.» Arrgh! Con «le ragazze» intendeva forse Bellicosa, Terribile e Vespa? Diedi una rapida occhiata in giro ma non le vidi. Grandioso. Potevo giusto immaginare cosa quelle tre più Afrodite potevano considerare «super». E non volevo neppure pensare a quel poveretto o poveretta che era stato convinto a chiacchiere a fare da nuovo frigorifero. E sì, ero in fase di negazione totale anche del fatto che mi era venuta l'acquolina in bocca non appena Afrodite aveva detto che c'era un frigorifero ad attenderci, il che significava che avrei di nuovo bevuto sangue. «Allora usciamo di qui. E ricordatevi di non fare rumore. Concentratevi sull'essere invisibili e qualunque umano dovesse essere ancora sveglio semplicemente non ci vedrà.» Poi Afrodite mi fissò dritto negli occhi. «E che Nyx abbia pietà di chiunque ci faccia scoprire, perché noi di certo non ne avremo.» Rivolse un sorriso viscido al gruppo. «Seguitemi, Figlie e Figli Oscuri!» In silenzio, a coppie o in piccoli gruppi, tutti la seguirono fuori della porta posteriore. Naturalmente m'ignorarono. Stavo quasi per non andare con loro. Non ne avevo proprio voglia. Insomma, per quella sera di emozioni ne avevo avute più che a sufficienza. Avrei fatto meglio a tornare al dormitorio per scusarmi con Stevie Rae, poi potevamo cercare le gemelle e Damien e io avrei raccontato a tutti di Elliott (mi fermai a controllare se la sensazione allo stomaco mi avvisava di non dire niente ai miei amici, ma restò zitta). Okay. Benone. Potevo dirglielo. Sembrava un'idea molto più carina del seguire quella stronza di Afrodite e un gruppo di ragazzi che non mi sopportavano. Ma il mio intuito, che se n'era stato tranquillo mentre pensavo di parlare coi miei amici, s'impennò di colpo. Dovevo proprio partecipare al rito. Sospirai. «Andiamo, Zy, non vorrai perderti lo spettacolo, vero?» Erik era in piedi accanto alla porta, aspetto da Superman e occhi azzurri sorridenti. Be', che diavolo. «Stai scherzando? Ragazze odiose, uno psicodramma da setta e una grande occasione d'imbarazzo e spargimento di sangue. Che cosa c'è di meglio? Non me ne perderei neanche un istante.» Insieme, Erik e io seguimmo il gruppo. Camminavano tutti in silenzio verso il muro dietro la sala di ricreazione, che era troppo vicino al punto in cui avevo visto Elizabeth ed Elliott perché non mi sentissi a disagio. E poi, chissà come, i ragazzi sembrarono sparire nel muro. «Ma che…?» mormorai. «È solo un'illusione. Vedrai.» Vidi. In realtà si trattava di una porta segreta, tipo quelle che ci sono nei vecchi film gialli, solo che, invece di essere in una libreria o dentro un caminetto (come nei film d'Indiana Jones… sì, sono una sfigata), questa era una piccola sezione dello spesso e altrove massiccio muro di cinta della scuola. Una parte ruotava verso l'esterno quel tanto che bastava per far passare una persona (o novizio o vampiro o magari anche uno o due terrificanti fantasmi solidi). Erik e io fummo gli ultimi ad attraversare, quindi udii un rumore soffocato e mi voltai in tempo per vedere il muro richiudersi alla perfezione. «Funziona con un tastierino numerico, come la portiera di un'auto», bisbigliò Erik. «Ooh. Chi ne è al corrente?» «Chiunque sia mai stato una Figlia o un Figlio Oscuro.» «Ooh.» Supposi che questo significasse la maggioranza dei vampiri adulti. Mi guardai intorno e non vidi nessuno che ci osservasse o ci seguisse. Erik notò la mia occhiata. «Non gliene importa. È nella tradizione della scuola che sgattaioliamo fuori per qualche rituale. Finché non facciamo niente di troppo stupido, fingono di non sapere che usciamo.» Si strinse nelle spalle. «La cosa funziona, immagino.» «Finché non facciamo niente di troppo stupido.» «Sstt!» sibilò qualcuno davanti a noi. Chiusi la bocca e decisi di concentrarmi su dove eravamo diretti. Erano le quattro e mezzo del mattino. E di sveglio non c'era nessuno, guarda un po' che sorpresa. Era strano camminare in quella zona elegante di Tulsa – un quartiere pieno di palazzi costruiti coi vecchi petroldollari – senza che nessuno si accorgesse di noi. Tagliavamo per giardini incredibilmente curati e non c'era un cane che ci abbaiasse dietro. Era come se fossimo ombre… o fantasmi… Il pensiero mi diede un brivido di paura. La luna, che prima era quasi del tutto oscurata dalle nuvole, adesso brillava bianco-argentea in un cielo inaspettatamente limpido. Giuro che con quella luce avrei potuto leggere anche prima di venire Segnata. Faceva freddo, ma non mi dava fastidio come invece sarebbe successo appena una settimana prima. Cercai di non pensare a ciò che questo significava riguardo alla Trasformazione che stava avvenendo nel mio organismo. Attraversammo una strada, poi scivolammo senza far rumore tra due giardini. Udii dell'acqua corrente prima ancora di vedere il pìccolo ponte pedonale. La luna rischiarava il ruscello come se qualcuno ci avesse versato sopra del mercurio. Mi sentii catturata da tanta bellezza e rallentai, ricordando che ormai la notte era il mio nuovo giorno. Speravo di non abituarmi mai alla sua oscura maestosità. «Andiamo, Zy», mormorò Erik dall'altra parte del ponte. Alzai lo sguardo verso di lui. Si stagliava sullo sfondo di una magnifica abitazione che si estendeva sulla collina con l'immenso prato terrazzato e laghetto e gazebo e fontane e cascatelle (quella gente aveva decisamente, clamorosamente troppi soldi), e mi ricordò quegli eroi romantici della Storia, come… come… Be', gli unici due eroi cui riuscivo a pensare erano Superman e Zorro, e nessuno di loro era davvero un personaggio storico. Ma aveva proprio un'aria da cavaliere, e pure romantico. Poi capii in quale stupenda proprietà stavamo entrando di straforo, quindi mi affrettai a raggiungerlo e bisbigliai frenetica: «Erik, questo è il Philbrook Museum! Ci metteremo davvero nei casini se ci beccano qui intorno». «Non ci beccheranno.» Dovetti faticare per stargli dietro. Camminava in fretta, desiderando molto più di me di raggiungere il gruppo silenzioso e spettrale. «Okay, questa non è la casa di un riccone. Questo è un museo. Qui ci sono le guardie ventiquattr'ore su ventiquattro.» «Afrodite le avrà drogate.» «Cosa?!» «Sstt! Non gli fa male. Saranno intontite per un po', poi se ne andranno a casa e non si ricorderanno niente. Roba da poco.» Non replicai, ma proprio non mi piaceva che fosse così «chissene» riguardo al fatto di drogare delle guardie della sicurezza. Non mi sembrava giusto, anche se potevo capirne l'utilità. Stavamo entrando di nascosto dove non si poteva. Non volevamo essere beccati. Quindi si dovevano drogare le guardie. Ci arrivavo. Solo che non mi piaceva, e mi suonava come un'altra cosa che implorava di essere cambiata riguardo alle Figlie Oscure e al loro atteggiamento da santarelline. Mi ricordavano sempre di più il Popolo della Fede, e non era un paragone lusinghiero. Afrodite non era un Dio (o una Dea, per essere più precisi), a prescindere da come amasse definirsi. Erik e io ci unimmo al gruppo che aveva formato un ampio cerchio intorno al gazebo a cupola posto ai piedi del pendio che portava al museo. Era vicino al laghetto ornamentale che finiva esattamente dove iniziavano le terrazze da cui si raggiungeva l'ingresso dell'edificio. Quel posto era davvero di una bellezza incredibile. C'ero stata due o tre volte, una anche con la classe di Arte, e in quell'occasione mi ero sentita ispirata a fare uno schizzo dei curatissimi giardini, anche se in disegno sono negata. Adesso la notte l'aveva trasformato in un magico regno fatato, sfumato dalla luna e ombreggiato da strati di grigio, di argento e di blu. Anche lo stesso gazebo era incredibile. Era posto in cima ad ampie scale rotonde, come un trono, in modo che per arrivarci bisognasse salire. Era fatto di colonne bianche scolpite e la cupola era illuminata da sotto; somigliava a qualcosa che si sarebbe potuto trovare nell'antica Grecia e che era stato riportato al suo antico splendore e illuminato per essere visibile nella notte. Afrodite salì la scala per prendere posto al centro del gazebo, dove naturalmente c'erano anche Bellicosa, Terribile e Vespa, oltre a un'altra ragazza che non conoscevo. Avrei potuto averla vista un miliardo di volte senza poi ricordarmene, dato che era solo un'altra bionda simil-Barbie (anche se con ogni probabilità il suo nome significava qualcosa tipo Odiosa o Malvagia). Lì avevano sistemato un tavolino coperto con un telo nero e vidi che sopra c'erano delle candele, oltre ad altra roba tra cui un calice e un coltello. Un poveretto era chino con la testa sul tavolo e gli avevano messo addosso un mantello che lo copriva, facendolo somigliare molto a Elliott la notte in cui aveva fatto da frigorifero. Dare il sangue per i riti di Afrodite doveva davvero mettere fuori uso e mi chiesi se non avesse in qualche modo contribuito a causare la morte di Elliott. Bloccai fuori del cervello il fatto che mi veniva l'acquolina in bocca al pensiero del sangue del ragazzo mischiato al vino nel calice. Strano come potessi desiderare da matti una cosa che allo stesso tempo trovavo disgustosa all'ennesima potenza. «Realizzerò il cerchio e chiamerò gli spiriti degli antenati a danzare con noi al suo interno», annunciò Afrodite. Parlava piano, ma la sua voce si propagò tra di noi come una foschia velenosa. Metteva strizza pensare a dei fantasmi attirati nel cerchio, soprattutto dopo le mie recenti esperienze, ma devo ammettere che la curiosità era quasi pari alla paura. Magari ero così certa di dover essere lì perché ci avrei trovato qualche indizio riguardo a Elizabeth e a Elliott. E poi era evidente che non era la prima volta che le Figlie Oscure tenevano quel rito, quindi non poteva essere tanto spaventoso o pericoloso. Afrodite se la tirava un casino facendo la gran figa, ma avevo la sensazione che fosse una commedia. Sotto sotto, era come tutti i bulli: insicura e immatura. E poi i prepotenti tendono a evitare chiunque sia più tosto di loro, quindi era più che logico che, se intendeva chiamare degli spiriti in un cerchio, significava che erano innocui, probabilmente persino simpatici. Lei non avrebbe certo affrontato un mostraccio grande, grosso e cattivo. Né qualcosa di realmente spaventoso come quello che era diventato Elliott. Cominciai a rilassarmi per accogliere quella che stava già diventando una familiare vibrazione di energia, quando le quattro Figlie Oscure che rappresentavano gli elementi presero le candele votive e si posizionarono nei punti giusti del mini-cerchio nel gazebo. Afrodite chiamò il vento e i miei capelli si sollevarono dolcemente in una brezza che soltanto io potevo percepire. Chiusi gli occhi, gustandomi la scossa che mi faceva pizzicare la pelle. A dire il vero, nonostante Afrodite e quelle presuntuose delle Figlie Oscure, trovavo piacevole l'inizio del rito. E poi Erik mi stava accanto, il che mi aiutava a non preoccuparmi del fatto che nessun altro dei presenti mi avrebbe rivolto la parola. Mi rilassai ancora di più, improvvisamente certa che il futuro non sarebbe stato poi tanto terribile. Avrei fatto pace coi miei amici, insieme avremmo risolto il mistero di quegli strani fantasmi e magari mi sarei persino fatta un ragazzo ipersuperstrafigo. Sarebbe andato tutto bene. Aprii gli occhi e guardai Afrodite muoversi intorno al cerchio. Ciascun elemento mi attraversò come una scossa elettrica e mi chiesi come potesse non accorgersene Erik standomi tanto vicino. Gli diedi perfino un'occhiatina di nascosto, aspettandomi quasi che mi stesse guardando mentre gli elementi giocavano sulla mia pelle, ma anche lui, come tutti gli altri, fissava Afrodite (il che a dire il vero mi scocciava pure un po': non avrebbe dovuto darmi anche lui occhiatine di nascosto?) Poi Afrodite iniziò a evocare gli spiriti ancestrali e persino io non potei non rivolgere a lei tutta la mia attenzione. Era accanto al tavolo e teneva una lunga treccia di erba secca sopra la fiamma viola dello spirito, perché prendesse fuoco in fretta. La lasciò bruciare un po', quindi la spense e prese ad agitarla con delicatezza intorno a sé mentre cominciava a parlare, riempiendo l'aria di riccioli di fumo. Odorai e riconobbi il profumo d'ierocloe, una delle erbe cerimoniali più sacre perché attira l'energia spirituale e che viene chiamata sweet grass, un nome che mi è sempre piaciuto un sacco. La nonna l'usava spesso nelle sue preghiere. Poi aggrottai la fronte e provai un fremito di preoccupazione. La ierocloe doveva essere usata soltanto dopo che l'aria era stata pulita e purificata bruciando della salvia, altrimenti avrebbe potuto attirare qualunque tipo di energia. E «qualunque» non sempre significa buona. Ma, anche se avessi potuto fermare la cerimonia, ormai era troppo tardi per dire qualcosa, perché Afrodite aveva già iniziato a chiamare gli spiriti e la sua voce aveva preso un tono cantilenante che in un certo senso veniva intensificato dal denso fumo che si arricciava intorno a lei. In questa notte di Samhain, ascoltate il mio antico richiamo, voi tutti spiriti dei nostri antenati. In questa notte di Samhain, che la mia voce giunga con questo fumo nel mondo ultraterreno, dove gli spiriti luminosi danzano nella dolce foschia del ricordo. In questa notte di Samhain, io non chiamo gli spiriti dei nostri antenati umani. No, li lascio dormire, perché non ho bisogno di loro nella vita né nella morte. In questa notte di Samhain, io chiamo gli antenati magici, gli antenati mistici, quelli che un tempo erano più che umani e che sono più che umani anche nella morte. Affascinata, osservai con tutti gli altri il fumo che ondeggiava, mutava e cominciava ad assumere delle forme. All'inizio pensai di star immaginando le cose e cercai di schiarirmi la vista sbattendo le palpebre, ma presto capii che non erano i miei occhi ad avere dei problemi e che all'interno del fumo si stavano davvero formando delle persone. Erano indistinte, più contorni di corpi che corpi veri e propri, ma col continuo ondeggiare della treccia d'ierocloe si facevano sempre più consistenti e all'improvviso il cerchio fu pieno di figure spettrali con bui occhi cavernosi e bocche spalancate. Non somigliavano affatto a Elizabeth o a Elliott, piuttosto a come avevo sempre immaginato fossero i fantasmi: fumosi, trasparenti e spaventosi. Annusai l'aria. No, decisamente non c'era quello schifoso odore di cantina ammuffita. Afrodite posò la treccia ancora fumante e prese il calice. Anche da dove mi trovavo io, sembrava insolitamente pallida, come avesse assunto alcune delle caratteristiche fisiche degli spettri. Il vestito rosso strideva in modo quasi esagerato in quel cerchio di fumo, di grigio e di foschia. «Io vi do il benvenuto, spiriti ancestrali, e vi chiedo di accettare la nostra offerta di vino e sangue affinché possiate ricordarvi cosa significa assaporare la vita.» Sollevò il calice e le figure di fumo presero ad agitarsi in modo turbolento e confuso, evidentemente eccitate. «Io vi do il benvenuto, spiriti ancestrali, e all'interno della protezione del mio cerchio…» «Zo! Lo sapevo che ti avrei trovata se mi ci fossi messo d'impegno!» La voce di Heath tagliò la notte come un coltello, interrompendo le parole di Afrodite. 28 «Heath! Che diavolo ci fai qui?» «Be', non mi hai richiamato.» Senza curarsi di tutti gli altri, mi abbracciò. Non mi serviva la splendente luce della luna per vedere che aveva gli occhi iniettati di sangue. «Zo, mi mancavi!» sbottò, alitandomi addosso un fiato alla birra. «Heath, te ne devi andare…» «No. Lascia che rimanga», m'interruppe Afrodite. Heath spostò lo sguardo su di lei, e immaginai cosa dovesse sembrargli: lei era al centro della chiazza luminosa creata dalle luci del gazebo, che splendevano nel fumo della sweet grass e la illuminavano quasi come se si trovasse sott'acqua. Il vestito rosso era iperaderente, i folti capelli biondi le scendevano oltre le spalle e aveva le labbra tese in un sorriso cattivo che ero sicura Heath avrebbe preso per un gentile benvenuto. Probabilmente non si era neanche accorto degli spettri fumosi che avevano smesso di fluttuare intorno al calice e avevano rivolto le orbite vuote verso di lui. E di certo non si era accorto nemmeno che la voce di Afrodite aveva un tono strano e cupo e che i suoi occhi erano vitrei e fissi. Diavolo, conoscendo Heath, l'unica cosa di cui doveva essersi accorto erano le sue grandi tette. «Figo, una sirena vampira.» Heath mi dimostrò che avevo ragione. «Portalo via di qui.» La voce di Erik era tesa e preoccupata. Heath staccò gli occhi dalle tette di Afrodite per guardare male Erik. «E tu chi sei?» Ah, cacchio. Conoscevo quel tono. Era quello che Heath usava quando stava per avere un attacco di gelosia (un altro motivo per cui era il mio ex). «Heath, devi andare via di qui», intervenni. «No.» Si avvicinò e mi mise un braccio intorno alle spalle con aria possessiva, ma senza guardarmi. Continuava a fissare Erik. «Sono venuto per vedere la mia ragazza, e vedrò la mia ragazza.» Ignorai il fatto che riuscivo a percepire il battito di Heath nel punto in cui il suo braccio era appoggiato sulla mia spalla e, invece di fare qualcosa di assolutamente disgustoso e inquietante come mordergli il polso, me lo scrollai di dosso e l'afferrai in modo che guardasse me e non Erik. «Io non sono la tua ragazza.» «'azz, Zo, l'hai appena detto.» Digrignai i denti. Dio se era tonto (ecco un'altra ragione per cui era il mio ex). «Ma sei scemo?» fece Erik. «Senti, stronzo succhiasangue, io…» cominciò Heath, ma la strana voce echeggiante di Afrodite lo sommerse. «Vieni qui, umano.» Come se i nostri occhi fossero stati calamitati dal suo insolito fascino, Heath, Erik e io (e peraltro anche il resto delle Figlie e dei Figli Oscuri) li alzammo verso di lei. Il suo corpo sembrava strano. Stava pulsando? E com'era possibile? Gettò i capelli all'indietro e si passò addosso una mano come una spogliarellista oscena, portandosela a coppa sul seno e poi strofinandosela in mezzo alle gambe. L'altra mano si sollevò per fare cenno a Heath di avvicinarsi. «Vieni da me, umano. Fatti assaggiare.» Questo era male; questo era sbagliato. Sarebbe successo qualcosa di terribile se Heath fosse entrato nel cerchio. Completamente affascinato da lei, lui barcollò avanti senza esitazione (né buonsenso). Gli afferrai un braccio e fui felice di vedere che Erik gli prendeva l'altro. «Basta, Heath! Voglio che te ne vada. Subito. Non devi stare qui.» Con uno sforzo, lui staccò gli occhi da Afrodite, si liberò dalla stretta di Erik e praticamente gli ringhiò. Poi si voltò verso di me. «Tu mi tradisci!» «Ma proprio non ascolti? Non posso tradirti, dato che non stiamo insieme! Adesso esci da…» «Se si oppone al nostro richiamo, allora andremo noi da lui.» Girai la testa di scatto e vidi Afrodite in preda alle convulsioni mentre dal suo corpo uscivano dei filamenti di fumo grigio e lei emetteva un sospiro a metà tra un singhiozzo e un grido. Gli spiriti, inclusi quelli da cui era evidentemente stata posseduta, si precipitarono al margine del cerchio, facendo pressione nel tentativo di liberarsi e gettarsi su Heath. «Afrodite, fermali o lo uccideranno!» Damien sbucò da dietro una siepe ornamentale che circondava il laghetto. «Damien, cosa…» cominciai, ma lui scosse la testa. «Non c'è tempo di spiegare», ribatté in fretta prima di riportare l'attenzione su Afrodite. «Tu sai cosa sono, devi trattenerli all'interno del cerchio altrimenti lui morirà», le gridò. Afrodite era così pallida che sembrava un fantasma anche lei. Si allontanò dalle figure di fumo, che tentavano ancora d'infrangere l'invisibile confine del cerchio, fino a ritrovarsi appoggiata contro il tavolo. «Non li fermerò. Se lo vogliono, possono averlo. Meglio lui di me… o del resto di noi.» «Già, non vogliamo avere niente a che fare con questa merda!» Terribile lasciò cadere la candela, che sfrigolò e si spense. Senza aggiungere altro, corse via dal cerchio e giù dalle scale del gazebo. Le altre tre ragazze che personificavano gli elementi seguirono il suo esempio e scomparvero in fretta nella notte, lasciando le candele rovesciate e spente. Piena di orrore, osservai una delle figure grigie cominciare a sciogliersi attraverso il cerchio, il fumo del suo corpo spettrale che scivolava come un serpente lungo la scala, nella nostra direzione. Percepii un movimento tra le Figlie e i Figli Oscuri e mi guardai intorno: stavano arretrando nervosamente con un'espressione spaventata che ne distorceva i volti. «Tocca a te, Zoey.» «Stevie Rae!» La mia amica vacillava in mezzo al cerchio. Si era levata di dosso il mantello che l'aveva coperta fino a quel momento mostrando così le bende bianche ai polsi. «Te l'avevo detto che dovevamo restare uniti.» Stevie Rae mi rivolse un debole sorriso. «Meglio che ti spicci», disse Shaunee. «Quei fantasmi stanno facendo cagare sotto il tuo ex», concluse Erin. Mi girai e vidi le gemelle accanto a un Heath pallido e con la bocca spalancata, e provai un moto di gioia totale: non mi avevano abbandonata! Non ero sola! «Sistemiamo 'sta faccenda. Tienilo lì», ordinai a Erik che mi fissava sullo sconvolto andante. Senza bisogno di controllare che i miei amici mi seguissero, mi affrettai a salire fino al gazebo pieno di spettri. Quando raggiunsi il confine del cerchio, esitai un istante. Gli spiriti si stavano lentamente dissolvendo attraverso di esso, l'attenzione focalizzata interamente su Heath. Presi un respiro profondo e oltrepassai la barriera invisibile, provando un freddo tremendo mentre i morti mi sfioravano. «Non hai il diritto di stare qui. Questo è il mio cerchio!» Afrodite si riprese quanto bastava per increspare il labbro in un ringhio e bloccarmi l'accesso al tavolo e alla candela dello spirito, che era l'unica ancora accesa. « Era il tuo cerchio. Adesso devi startene zitta e levarti dai piedi», ribattei. Afrodite mi fissò, gli occhi a fessura. Ah, cacchio, proprio non avevo tempo per quello. «Senti, testa di cavolfiore sfiorito, devi fare quello che dice Zoey. Sono due anni che muoio dalla voglia di dartene una sorba!» Shaunee venne al mio fianco. «Anch'io, stronza di una strega zoccola.» Erin si sistemò sull'altro lato. Prima che le gemelle potessero avventarsi su Afrodite, il grido di Heath mandò in pezzi la notte. Girai sui tacchi e vidi che la nebbia gli stava strisciando sulle gambe, lasciando lunghi strappi sottili che cominciarono subito a sanguinare. In preda al panico, Heath scalciava e strillava. Erik non se n'era andato e prendeva anche lui a calci la foschia, anche se, ogni volta che quella gli si appiccicava addosso, gli strappava vestiti e pelle. «Presto! Ai vostri posti», urlai prima che l'allettante odore del loro sangue potesse rovinarmi la concentrazione. I miei amici corsero a prendere le candele abbandonate e si misero ad aspettare ciascuno nella propria posizione. Girai intorno ad Afrodite, che stava fissando Heath ed Erik, le mani premute sulla bocca come a trattenere un grido. Afferrai la candela viola e mi precipitai da Damien. «Aria! Io ti convoco in questo cerchio», strillai, accostando il cero viola a quello giallo. Avrei voluto piangere di sollievo quando l'ormai familiare vortice salì roteando intorno a me, sollevandomi i capelli. Proteggendo la fiamma con la mano, corsi da Shaunee. «Fuoco! Io ti convoco in questo cerchio!» Mentre accendevo la candela rossa, il calore montò assieme al vento vorticoso. Non mi fermai, continuando invece a spostarmi in senso orario intorno al cerchio. «Acqua! Io ti convoco in questo cerchio!» Ed ecco il mare, salmastro e dolce. «Terra! Io ti convoco in questo cerchio!» Sfiorai con la fiamma la candela di Stevie Rae, cercando di non trasalire alla vista delle bende che le coprivano i polsi. Era pallida in modo anormale, ma fece un gran sorriso quando l'aria sì riempì del profumo dell'erba appena tagliata. Heath gridò di nuovo e io corsi al centro del cerchio, sollevando la candela viola. «Spirito! Io ti convoco in questo cerchio!» Fui attraversata da una scarica di energia e, quando guardai il mio cerchio, vidi senza ombra di dubbio la striscia di forza che ne delimitava la circonferenza. Chiusi un attimo gli occhi. Oh, Nyx, grazie! Poi posai il cero viola sul tavolo e presi il calice del vino, quindi mi voltai verso Heath, Erik e l'orda di fantasmi. «Ecco il vostro sacrificio!» gridai, versando il contenuto del calice in un arco disordinato intorno a me, che andò a creare un cerchio color sangue sul pavimento del gazebo. «Non siete stati chiamati qui per uccidere. Siete stati evocati perché è Samhain e volevamo rendervi onore.» Rovesciai dell'altro vino, sforzandomi d'ignorare l'attrattiva che aveva su di me il profumo del sangue che vi era stato mescolato. Gli spettri interruppero il loro attacco. Mi concentrai su di loro, non volevo lasciarmi distrarre dal terrore negli occhi di Heath e dal dolore in quelli di Erik. Sacerdotessa, noi preferiamo questo sangue giovane e caldo. L'arcana voce echeggiò fino a me, mandandomi brividi lungo la schiena. Giuro che sentivo l'odore di carne decomposta in quell'alito soprannaturale. Deglutii con forza. «Lo capisco, ma quelle vite non sono per voi. Stanotte è un'occasione di festa, non di morte.» E tuttavia noi scegliamo la morte, che ci è più cara. Una risata spettrale fluttuò nell'aria col fumo contaminato della ierocloe, e gli spiriti ripresero a convergere su Heath. Gettai il calice e alzai le mani. «Allora non ve lo chiedo più, ve lo ordino. Vento, fuoco, acqua, terra e spirito! Vi comando, in nome di Nyx, di chiudere questo cerchio, riportando indietro i morti cui è stato consentito di fuggire. Ora!» Mi sentii attraversare da un'ondata di calore che uscì dalle mie braccia tese. In una ventata bollente e profumata di mare, una luminosa foschia verde partì frusciando da me e scese le scale per avvolgersi intorno a Heath e a Erik, facendo agitare furiosamente i loro vestiti e i capelli. Il vento magico catturò le figure fumose e le strappò alle vittime, quindi, con un rombo assordante, le risucchiò all'interno dei confini del mio cerchio. Mi ritrovai circondata da figure spettrali, da cui percepivo un pericolo e una fame pulsante con la stessa chiarezza con cui prima avevo percepito il sangue di Heath. Afrodite era raggomitolata sulla sedia per la paura e, quando un fantasma la sfiorò, lanciò uno strilletto che sembrò agitarli ancora di più, quindi mi si premettero addosso con violenza. «Zoey!» Stevie Rae gridò il mio nome, la voce resa acuta dalla paura. La vidi muovere un passo esitante verso di me. Damien intervenne: «No! Non spezzare il cerchio. Non possono far male a Zoey… non possono far male a nessuno di noi, perché il cerchio è troppo forte. Ma solo se non lo spezziamo». «Noi non andiamo da nessuna parte», gridò Shaunee. «No di certo, sto bene dove sto», ribadì Erin, giusto un po' a corto di fiato. Percepivo la loro lealtà, la loro fiducia e accettazione come fossero un sesto elemento, che mi diede molta sicurezza. Raddrizzai la schiena e fissai i fantasmi che vorticavano rabbiosi. «Dunque, dato che noi non ce ne andiamo, vuol dire che dovete proprio andarvene voi.» Indicai il vino e il sangue versati a terra. «Accettate il vostro sacrificio e andatevene da qui. Questo è tutto il sangue che vi è dovuto stanotte.» L'orda fumosa smise di agitarsi. Sapevo di averli in pugno, quindi presi un bel respiro e diedi fine alla cosa. «Col potere degli elementi, io ve lo ordino: via di qui!» Subito, come se li avesse colpiti un gigante invisibile, si dissolsero nel pavimento del gazebo zuppo di vino e di sangue, assorbendo chissà come il liquido, che sparì assieme a loro. Emisi un lungo e stremato sospiro di sollievo, quindi d'istinto mi voltai verso Damien. «Grazie, vento, puoi lasciarci.» Damien stava per spegnere la candela, ma non ce ne fu bisogno perché fu un lieve e giocoso soffio di brezza a farlo per lui, che mi rivolse un sorrisone, poi sgranò da matti gli occhi. «Zoey! Il tuo Marchio!» «Cosa?» Mi portai la mano alla fronte, che bruciava e pizzicava, come peraltro anche il collo e le spalle (il che quadrava, dato che ho sempre male a spalle e collo quando sono iperstressata). In più vibravo ancora tutta per i postumi dei poteri elementari, quindi non me n'ero neanche accorta. La sua espressione sconvolta diventò felice. «Finisci di chiudere il cerchio, poi puoi usare uno degli innumerevoli specchi di Erin per vedere cos'è successo.» Mi voltai verso Shaunee per salutare il fuoco. «Wow… incredibile», disse lei fissandomi. «Ehi, tu, come fai a sapere che in borsa ho più di uno specchio?» Dall'altra parte del cerchio, Erin si stava lamentando con Damien, ma, quando mi voltai verso di lei per congedare l'acqua, vedendo la mia fronte, anche i suoi occhi diventarono immensi. «Cazzarola!» «Erin, non dovresti imprecare in un cerchio sacro. Sappiamo tutti che non è…» stava dicendo Stevie Rae nella sua dolce inflessione Okie, quando mi girai a salutare la terra e le parole le si bloccarono in gola per lasciare posto a un semisoffocato: «Masssantocielo!» Sospirai. Diavolo, cos'altro è successo? Tornai al tavolo e sollevai la candela dello spirito. «Grazie, spirito, puoi andare.» «Perché?» Afrodite si era alzata talmente di scatto da far cadere la sedia. Come tutti gli altri, mi fissava con un'espressione shockata assolutamente ridicola. «Perché tu? Perché non io?» «E adesso di cosa stai parlando, Afrodite?» «Sta parlando di questo.» Erin mi tese il portacipria che aveva preso dall'elegante borsa di pelle che teneva sempre sulla spalla. L'aprii e guardai nello specchio. All'inizio non capii cosa stavo vedendo perché era troppo insolito, troppo stupefacente. Poi, vicino a me, Stevie Rae mormorò: «È bellissimo…» E mi resi conto che aveva ragione. Era bellissimo. Al mio Marchio erano state aggiunte delle parti: delicate volute di tatuaggio color zaffiro lieve come un pizzo m'incorniciavano gli occhi. Non era un disegno complesso e grande come quelli dei vampiri adulti, ma non si era mai visto su un novizio. Seguii con le dita il motivo sinuoso, pensando che sembrava qualcosa che poteva decorare il viso di un'esotica principessa straniera… o magari la Somma Sacerdotessa di una Dea. E fissai attentamente quella me che non ero proprio io, quella sconosciuta che stava diventando sempre più familiare. «E questo non è tutto, Zoey. Guardati la spalla», bisbigliò Damien. Diedi un'occhiata alla profonda scollatura sulla schiena del mio favoloso vestito e mi sentii attraversare da una scossa per lo stupore. Ero tatuata anche lì. Dal collo e fin sulla schiena mi scendevano dei sinuosi ricami color zaffiro molto simili a quelli che avevo in faccia, solo che questi sembravano ancora più antichi, ancora più misteriosi, perché erano disseminati di simboli simili a lettere. Aprii la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì niente. «Zy, lui ha bisogno di aiuto.» Erik interruppe il mio stato di shock; alzai gli occhi dalla mia spalla e lo vidi barcollare fino al gazebo trasportando di peso un Heath privo di sensi. «Non importa. Lascialo qui. Domattina qualcuno lo troverà. Dobbiamo andarcene prima che si sveglino le guardie», intervenne Afrodite. Mi girai come un fulmine. «E ti chiedi perché io e non tu? Magari perché Nyx è stanca e stufa di una prepotente, egoista, viziata, odiosa…» M'interruppi, incazzata al punto da non riuscire a trovare altri termini adatti. «Carogna!» aggiunsero in stereo Erin e Shaunee. «Già, certo, carogna.» Mi avvicinai e le dissi tutto sul muso. «Questa storia della Trasformazione è già abbastanza incasinata senza una come te. A meno che non si voglia essere tuoi…» Diedi un'occhiata a Damien e sorrisi. «… piaggiatori, ci fai sentire come se non c'entrassimo con tutto questo, come se non contassimo niente. Be', Afrodite, adesso è finita. Quello che hai fatto stasera era completamente, assolutamente sbagliato. Hai quasi fatto morire Heath e magari sarebbe potuto succedere anche a Erik e chissà a quanti altri, tutto per il tuo egoismo.» «Non è stata colpa mia se il tuo ragazzo ti ha rintracciata qui», strillò. «No, la presenza di Heath non è stata colpa tua, ma è l'unica cosa di cui non sei responsabile stanotte. È stata colpa tua se le tue cosiddette amiche non ti hanno sostenuta per mantenere forte il cerchio. Ed è stata colpa tua se gli spiriti negativi hanno trovato il cerchio, tanto per cominciare.» Sembrava confusa e questo mi fece incavolare ancora di più. «La salvia, strega odiosa! Bisogna usare la salvia per ripulire dall'energia negativa, prima di usare la treccia di sweet grass. Non c'è da stupirsi che tu abbia evocato degli spiriti tanto orrendi.» «Già, perché sei orrenda pure tu», commentò Stevie Rae. «Tu devi soltanto tenere chiusa quella bocca di merda, frigorifero», ringhiò Afrodite. «No!» Le misi un dito in faccia. «Questa stronzata del frigorifero sarà la prima a finire.» «Oh, adesso vorresti fingere di non desiderare il sangue più di chiunque di noi?» Guardai i miei amici, che incrociarono il mio sguardo senza tentennamenti. Damien mi fece un sorriso d'incoraggiamento, Stevie Rae assentì, le gemelle strizzarono l'occhio. E mi resi conto di essere stata una stupida. Non avevano intenzione di mollarmi. Erano i miei amici. Avrei dovuto fidarmi di più di loro, anche se non avevo ancora imparato a fidarmi di me stessa. «Alla fine tutti arriviamo a desiderare il sangue», replicai semplicemente. «Oppure moriamo. Ma questo non ci rende dei mostri, ed è ora che le Figlie Oscure smettano di recitare quella parte. Hai chiuso, Afrodite. Non sei più a capo delle Figlie Oscure.» «E suppongo che adesso creda di essere tu il capo, giusto?» Annuii. «Proprio così. Non sono venuta alla Casa della Notte in cerca di questi poteri, non volevo altro che un posto in cui sentirmi accettata. Be', immagino che questo sia il modo di Nyx di rispondere alla mia preghiera.» Sorrisi ai miei amici, che risposero con altrettanto slancio. «Evidentemente, la Dea ha senso dell'umorismo.» «Stupida troia, non puoi mica prenderti il posto così. Soltanto una Somma Sacerdotessa può cambiare la leader del gruppo.» «Opportuno, quindi, che io sia qui, ti pare?» intervenne Neferet. 29 Neferet uscì dall'ombra e raggiunse il gazebo, andando subito da Heath e da Erik. Per prima cosa sfiorò il viso di Erik e controllò i tagli sulle braccia che si era procurato cercando invano di strappare Heath alla furia dei fantasmi. Il sangue delle ferite si asciugò al solo passaggio della mano della Somma Sacerdotessa ed Erik emise un sospiro di sollievo, come se il dolore fosse scomparso. «Queste guariranno. Quando torniamo a scuola, vieni in infermeria così ti do dell'unguento che ridurrà le fitte.» Neferet gli diede un buffetto sulla guancia e lui arrossì come un pomodoro. «Rimanendo a proteggere il ragazzo hai dimostrato il coraggio di un guerriero vampiro. Sono orgogliosa di te, Erik Night, e lo è anche la Dea.» Alle sue parole provai un'ondata di piacere: anch'io ero orgogliosa di lui. Poi udii un mormorio di consenso e mi accorsi che le Figlie e i Figli Oscuri erano tornati e affollavano le scale che portavano al gazebo. Da quanto erano lì a guardare? Neferet rivolse la sua attenzione a Heath e io mi dimenticai degli altri. Sollevò le gambe dei calzoni sbrindellati ed esaminò i segni sanguinolenti che aveva lì e sulle braccia. Poi gli prese tra le mani il volto pallido e rigido e chiuse gli occhi. Osservai il corpo di Heath irrigidirsi ulteriormente ed essere preda delle convulsioni, poi però lui emise un sospiro e, come Erik, si rilassò. Dopo un istante sembrò dormisse tranquillo invece di lottare silenziosamente contro la morte. «Si riprenderà», disse Neferet ancora inginocchiata accanto a lui. «E non ricorderà niente di questa notte, tranne di essersi ubriacato e quindi perso nel tentativo di trovare la sua quasi-exragazza.» Guardò verso di me, gli occhi gentili e pieni di comprensione. «Grazie», mormorai. Neferet mi rivolse un cenno di assenso con la testa, prima di alzarsi ad affrontare Afrodite. «Io sono responsabile di quanto è successo qui stasera quanto te. Sapevo da anni del tuo egoismo, ma avevo deciso di passarci sopra sperando che con l'età e l'aiuto della Dea saresti maturata. Mi sbagliavo.» La sua voce assunse il tono limpido e potente del comando. «Afrodite, io ti sollevo ufficialmente dalla posizione di leader delle Figlie e dei Figli Oscuri. Non verrai più istruita per diventare Somma Sacerdotessa. Da questo momento sei uguale a tutti gli altri novizi.» Con un unico movimento fluido, Neferet allungò la mano, afferrò la collana d'argento e granati che portava Afrodite e gliela strappò dal collo. Afrodite non emise suono ma, mentre fissava Neferet senza abbassare lo sguardo, il suo viso sembrava di gesso. La Somma Sacerdotessa le diede le spalle e si avvicinò a me. «Zoey Redbird, sapevo che eri speciale fin dal giorno in cui Nyx mi ha lasciato prevedere che saresti stata Segnata.» Mi sorrise e mi mise un dito sotto il mento, sollevandomi la testa per poter guardare meglio le nuove aggiunte al mio Marchio, quindi mi scostò i capelli rendendo visibili anche i tatuaggi che mi erano comparsi su collo, spalle e schiena. Udii le Figlie e i Figli Oscuri restare senza fiato mentre anche loro davano una prima occhiata alle mie insolite decorazioni. «Straordinario, davvero straordinario», mormorò Neferet, lasciando poi ricadere la mano lungo il fianco per riprendere il discorso ad alta voce. «Stanotte hai reso evidente la saggezza della scelta della Dea nel farti dono di poteri speciali. Ti sei guadagnata la posizione di leader delle Figlie e dei Figli Oscuri e di futura Somma Sacerdotessa, grazie ai doni elargiti dalla Dea e alla tua personale compassione e saggezza.» Mi tese la collana di Afrodite, che mi risultò calda e pesante in mano. «Indossala con maggiore buonsenso di quanto non abbia fatto chi ti ha preceduta.» Poi fece un gesto davvero incredibile. Neferet, Somma Sacerdotessa di Nyx, mi rivolse il saluto formale, pugno incrociato sul petto e testa china, nel segno di rispetto dei vampiri. A parte Afrodite, tutti intorno a noi l'imitarono. Avevo la vista annebbiata dalle lacrime quando i miei quattro amici mi fecero un gran sorrisone e s'inchinarono assieme agli altri membri delle Figlie e dei Figli Oscuri. Ma anche nel bel mezzo di una felicità così assoluta, percepii l'ombra della confusione. Come avevo potuto dubitare di potermi confidare con Neferet? «Torna alla Casa della Notte, mi occuperò io di quanto dev'essere fatto qui», mi disse Neferet. Mi abbracciò brevemente sussurrando: «Sono così orgogliosa di te, Zoey Redbird». Quindi mi diede una leggera spinta in direzione dei miei amici. «Date il benvenuto alla nuova leader delle Figlie e dei Figli Oscuri!» Damien, Stevie Rae, Shaunee ed Erin capitanavano le acclamazioni, poi tutti mi vennero intorno e mi sembrò di essere trascinata via dal gazebo da un'esuberante ondata di risa e di congratulazioni. Annuii e sorrisi ai miei nuovi «amici», ma non ero una stupida e non avevo certo dimenticato che appena qualche attimo prima avevano approvato tutto quello che diceva Afrodite. Senza dubbio ci sarebbe voluto parecchio tempo per cambiare le cose. Arrivati al ponte, ricordai a tutti che dovevamo stare in silenzio tornando a scuola e feci cenno al gruppo di precedermi. Quando Stevie Rae, Damien e le gemelle stavano per attraversare il ruscello, li fermai. «No, ragazzi, voi camminate con me.» Con un sorriso che arrivava alle orecchie, i quattro mi si misero intorno. Incrociai lo sguardo luminoso di Stevie Rae. «Non avresti dovuto offrirti volontaria come frigorifero. So quanto ti facesse paura.» Il sorriso della mia amica si affievolì sotto il tono di rimprovero della mia voce. «Ma, Zoey, se non l'avessi fatto, non avremmo saputo dove si teneva il rituale. In questo modo ho potuto mandare un messaggio a Damien e lui e le gemelle sono arrivati qui. Sapevamo che avevi bisogno di noi.» Sollevai le mani e lei smise di parlare, ma sembrava sul punto di mettersi a piangere, quindi le sorrisi con gentilezza. «Non mi hai lasciata finire. Stavo per dire che non avresti dovuto farlo, ma che sono tanto felice che tu l'abbia fatto!» L'abbracciai e tra le lacrime sorrisi anche agli altri tre. «Grazie. Sono davvero felice che ci foste tutti voi.» «Ehi, Zy, è questo che fanno gli amici», replicò Damien. «Già», convenne Shaunee. «Esatto», concluse Erin. E si strinsero intorno a me in un gigantesco, soffocante abbraccio di gruppo. Che mi piacque da matti. «Ehi, posso partecipare?» Alzai lo sguardo e vidi Erik in piedi lì vicino. «Oh, sì, come no, devi assolutamente», rispose subito Damien, illuminandosi. Stevie Rae si sciolse in risatine, mentre Shaunee sospirò e disse: «Piantala, Damien. Altra squadra, ricordi?» Poi Erin mi spinse fuori del centro del gruppo, verso Erik. «Dai un bell'abbraccio a 'sto poveretto. Stanotte ha cercato di salvare il tuo ragazzo.» «Il mio ex-ragazzo», replicai in fretta, finendo tra le braccia di Erik, decisamente sopraffatta dall'odore del sangue fresco che ancora resisteva su di lui e dal fatto che mi stava, be', abbracciando. Poi, in aggiunta al resto, Erik mi baciò con tanta forza che giuro credetti che mi sarebbe saltata via la testa. «Ma, per favore, un po' di contegno», sentii dire a Shaunee. «Trovatevi una camera!» aggiunse Erin. Damien sogghignava mentre io, imbarazzata, mi liberavo dalla stretta di Erik. «Se non mangio svengo, 'sta storia del frigorifero ti mette una fame da lupo!» esclamò Stevie Rae. «Be', andiamo a cercarti qualcosa di buono», replicai. I miei amici s'incamminarono e sentii Shaunee battibeccare con Damien sulla scelta tra pizza e panini. «Ti rompe se ti faccio compagnia?» chiese Erik. «Nooo, ormai ci ho fatto l'abitudine», replicai con un sorriso. Lui scoppiò a ridere e raggiunse il ponte. Poi dall'oscurità alle mie spalle udii un chiarissimo e scocciatissimo «miii-au-uff!» «Vai pure, vi raggiungo in un attimo», dissi a Erik tornando indietro verso il prato. «Nala? Miciamicia-micia…» E, sicuro come l'oro, una brontolante palla di pelo spuntò fuori dei cespugli. Mi chinai a prenderla in braccio e lei iniziò immediatamente a fare le fusa. «Allora, sciocchina, perché mi hai seguita fin qui se poi non ti piace camminare? Come se non ti fosse già capitato abbastanza per stanotte», mormorai, ma, prima di poter raggiungere di nuovo il ponte, Afrodite uscì dall'ombra e mi bloccò la strada. «Puoi anche aver vinto, stasera, ma non è finita», esordì. Mi fece sentire davvero stanca. «Non stavo cercando di 'vincere' un bel niente, volevo solo aggiustare le cose.» «Ed è questo che pensi di aver fatto?» Il suo sguardo si spostava nervoso da me al sentiero che portava al gazebo, quasi come se qualcuno la stesse seguendo. «Tu non sai cos'è successo realmente stanotte. Sei solo stata usata… noi siamo state usate. Siamo dei burattini, ecco cosa siamo.» Si passò una mano sul viso con gesto rabbioso e mi accorsi che stava piangendo. «Senti, Afrodite, tra noi non deve andare necessariamente così», dissi sottovoce. «Oh, sì, invece! È la parte che si presume dobbiamo recitare. Vedrai… vedrai…» Fece per allontanarsi. Un pensiero inatteso mi passò nella mente, un ricordo. Era di lei, durante la sua visione. Come se stesse succedendo di nuovo, le sentii dire: Sono morti! No. No. Non è possibile! Non è giusto. No. Non è normale! Io non capisco… Io non… Tu… tu sai. Il suo grido di terrore mi echeggiò nella testa e pensai a Elizabeth, a Elliott, al fatto che erano apparsi a me. All'improvviso, troppo di quanto aveva detto aveva senso. «Afrodite, aspetta!» Si voltò a guardarmi oltre la spalla. «La visione che hai avuto oggi nello studio di Neferet, a cosa si riferiva?» Scosse lentamente la testa. «È solo l'inizio. Succederà di molto peggio.» Si girò e per un attimo ebbe un'esitazione, perché cinque ragazzi – i miei amici – le bloccavano la strada. «Va tutto bene, lasciatela andare», dissi. Shaunee ed Erin si separarono per farla passare, Afrodite sollevò la testa, scosse i capelli all'indietro e superò il gruppetto a grandi passi, come fosse la padrona del mondo. La osservai attraversare il ponte e mi si aggrovigliò lo stomaco. Lei sapeva qualcosa di Elizabeth e di Elliott, e prima o poi sarei riuscita a scoprire di cosa si trattava. «Ehi», disse Stevie Rae. Guardai la mia compagna di stanza e nuova migliore amica. «Qualunque cosa succeda, ci siamo dentro insieme.» Sentii il nodo allo stomaco sciogliersi di parecchio. «Andiamo», li esortai. E, circondata dai miei amici, tornai a casa. Document Outline 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29