PARTE PRIMA
Insegnare e apprendere
diversamente: la prospettiva
interculturale
• La formazione per chi emigra è sintesi di
accoglienza e di stabilizzazione. L’immigrato
accetta di intraprendere un percorso
formativo sia per imparare a convivere
nell’ambiguità della sua condizione sia per
uscire da essa. Egli inizia un percorso di
reidentificazione linguistica, socio culturale,
professionale.
• La formazione non può da sola risolvere tutti i
problemi di inserimento o di non inserimento
dei migranti: l’esito dei percorsi di integrazione
ha a che fare con le più complessive politiche
di integrazione che un Paese è disposto a
mettere in atto.
• In una ricerca ormai classica Francesco Susi ha
mostrato che i bisogni formativi e culturali
delle popolazioni immigrate non sono un di
più, un lusso da riservare agli immigrati di cui si
siano già soddisfatti i bisogni primari .
• Oggi a distanza di circa quindici anni da quella
ricerca alcune cose sono cambiate e tuttavia
l’indagine continua ad essere di stringente
attualità. La ricerca ha infatti esaminato ed
evidenziato i bisogni formativi degli immigrati
residenti in Italia.
• Essi possono essere così sintetizzati:
• Bisogno di inserimento e superamento delle “barriere
culturali” ma anche bisogno di conservare la propria
cultura, farla conoscere, trasformarla in una risorsa
superando la “mentalità del colonizzato” che spinge a
dissimulare la propria identità;
• Bisogno di conoscere la lingua italiana nei suoi vari
aspetti;
• Bisogno di sentirsi soggetti attivi della vita economica e
sociale del Paese ospite;
• Bisogno di conoscere la lingua italiana a differenti livelli
di complessità a seconda del grado di istruzione e delle
necessità dei richiedenti;
• Bisogno di accesso si servizi e di sostegno per poterli
utilizzare;
• Sono stati poi individuati con precisione i
bisogni concernenti l’istruzione e la
formazione:
• Bisogno di vedere riconosciuti i propri titoli di
studio e la propria professionalità;
• Bisogno d’accesso a corsi di istruzione e
formazione professionale che tengano conto
delle caratteristiche e dei vincoli della
domanda degli stranieri e dei loro progetti di
stabilizzazione e di rientro.
• Le esigenze della popolazione immigrata sono
quindi relative al bisogno di inserimento
sociale e professionale. Ciò significa che le
politiche di integrazione, senza trascurare i
bisogni primari, debbono superare
quell’approccio emergenziale che le ha
caratterizzate per anni .
• La formazione assumendo queste legittime
richieste, può diventare una via preferenziale
per integrare i soggetti immigrati nel tessuto
economico, sociale e culturale dei Paesi
ospitanti. A tal proposito Francesco Susi
afferma che bisogna imparare a considerare
ogni straniero una persona che reca con sé
una storia e una memoria, che ha una cultura
e una patria, un progetto di vita e delle
competenze da valorizzare, che non ha solo
bisogni primari ma anche di comunicazione ,
di socialità, di affetto, di cultura.
• L’educazione e la scuola si trovano di fronte a una
grande sfida lanciata dalla società multiculturale.
La scuola, pertanto è il primo e più importante
strumento di modifica proprio perché consente la
socializzazione dei membri della comunità e la
trasmissione dell’eredità culturale accumulata
dall’uomo. Nel momento in cui ci si è posti il
problema di compensare le carenze delle
minoranze etniche, dovute molto spesso a ragioni
di carattere socio-economico, si è partiti dalla
convinzione che tali carenze fossero dovute alla
debolezza o all’arretratezza di una cultura che
bisognava portare al livello della nostra.
• In un noto testo dal titolo “ Dizionario della
diversità” scritto da Tentori si chiarisce bene
come riconoscere la diversità dell’altro permette
di porre con una certa chiarezza limiti al proprio
spazio psichico ed esistenziale. Il singolo si
riconosce differenziandosi da ciò che è altro. La
scuola diventa, per conseguenza, il luogo
privilegiato dell’incontro tra sistemi culturali e
valoriali diversi .
• Il principio che la persona è un valore infatti
non può essere sottoposto ad alcun processo
di impoverimento o di relativizzazione, ma
deve anzi essere mantenuto saldo perché solo
in questo modo e partendo da tale
riconoscimento è possibile trovare risposte
adeguate ai problemi emergenti della polis
plurietnica e non solo e alla richiesta sempre
più diffusa di una nuova paideia occidentale.
• Gli allievi presenti stranieri presenti nella
scuola italiana erano circa 501. 494 nell’anno
scolastico 2006/2007 con un’incidenza del
5,6% sulla popolazione scolastica complessiva.
Va osservato che nell’ultimo decennio si è
verificato un rapidissimo incremento di alunni
straniero nella scuola italiana: erano poco più
di 50.000 nell’anno scolastico 1995/1996.
L’aumento, nel triennio 2004/2006, è stato
mediamente di 70.000 unità all’anno.
• La maggiore concentrazione di alunni con
cittadinanza non italiana si ha nella scuola
primaria ( 38% del totale di alunni stranieri
iscritti nei diversi ordini di scuola) che
corrisponde mediamente al 7,7% per ciascuno
dei cinque anni di corso.
• Dopo la scuola primaria è la secondaria di
primo grado ad avere con il 22%, la maggiore
consistenza di alunni stranieri, equivalente
mediamente al 7,6% per ciascuno dei tre anni
di corso.
• L’educazione interculturale si connota nella prassi
quotidiana con strategie operative caratterizzate
dai seguenti elementi fondamentali:
• La selezione di tematiche interculturali
nell’insegnamento disciplinare e interdisciplinare,
con una successiva revisione dei curricoli;
• Lo svolgimento di interventi integrativi alle
attività curricolari, anche con il contributo di
istituzioni e organizzazioni varie impegnate in
attività interculturali;
• L’attenzione ad un clima di apertura e di dialogo,
nonché ad una riflessione sullo stile di
insegnamento;
• L’adozione di strategie mirate, in presenza di
alunni stranieri con particolari necessità.
• Negli ultimi anni gli insegnanti hanno adottato
strategie differenti per orientare la didattica in
senso interculturale, secondo linee offerte
dalla teoria pedagogica e da approcci empirici
e sperimentali, sulla base dell’iniziativa
autonoma , della creatività individuale e del
ricco patrimonio di esperienze accumulato
dalle scuole.
• Graziella Favaro ha individuato i seguenti filoni
entro cui ordinare le esperienze più conosciute e
formalizzate di approccio interculturale:
• La didattica dell’accoglienza;
• La didattica per la promozione e il confronto fra
le culture;
• La didattica per il decentramento dei punti di
vista ;
• La didattica per la prevenzione degli stereotipi e
dei pregiudizi;
• La didattica per il cambiamento delle discipline;
• La didattica dell’italiano come lingua seconda.
• La didattica dell’accoglienza può essere attuata
nella fase iniziale di inserimento dell’allievo
straniero nel contesto scolastico. Riconoscendo la
specificità dei bisogni dei bambini stranieri, i
singoli istituti scolastici si sono dotati di
dispositivi e percorsi flessibili e operativi per
gestire l’accoglienza degli allievi stranieri e delle
loro famiglie nelle istituzioni scolastiche.
Per progettare in maniera efficace l’accoglienza dei
bambini stranieri può essere, per esempio,
predisposto un “protocollo d’accoglienza”in cui
confluiscono l’insieme degli interventi, delle
strategie, tra cui essenzialmente :
• Le procedure messe in atto al momento
dell’iscrizione;
• Le strategie per la prima conoscenza;
• Altri dispositivi di accoglienza, quali gli
strumenti offerti da centri di documentazione
interculturale.
In questa fase può essere importante raccogliere
la storia personale del bambino straniero,
ottenendo informazioni sul sistema scolastico
di provenienza e costruendo una
comparazione con quello italiano, ponendo
attenzione ai modelli organizzativi e didattici.
• Le procedure di accoglienza che la scuola
mette in atto possono essere distinte in:
Procedure di carattere burocratico-organizzativo
come le procedure di iscrizione; di carattere
informativo- culturale quale la costruzione di
un centro di documentazione , di carattere
relazionale come la riflessione sulle modalità
di accoglienza in una classe da parte di
bambini e insegnanti o di carattere educativodidattico quale la predisposizione di laboratori
per l’apprendimento linguistico.
• L’approccio interculturale messo in atto più di
frequente in questi anni dagli insegnanti è senza
dubbio quello della didattica per la promozione e
il confronto delle culture per consentire
l’acquisizione delle conoscenze necessarie per
attuare una giusta percezione delle culture altre.
La presentazione e l’esplorazione degli aspetti
delle diverse culture si sono così rivelati in questi
anni il modo più immediato per rendere
operativo l’impegno interculturale.
Successivamente ad una prima fase di emergenza
le scuole si sono adoperate per introdurre nei
curricoli, in modo stabile, percorsi didattici volti
alla conoscenza delle diverse culture.
• La didattica per il decentramento dei punti di
vista è un ulteriore approccio interculturale
attuato con successo in questi anni dagli
insegnanti. Si prendono in esame, in questo
caso, specifici temi ed elementi culturali che
sono poi analizzati a partire dai diversi punti di
vista al fine di evidenziare l’esistenza di una
molteplicità di prospettive per uno stesso
argomento.
E’ noto a tutti che l’atteggiamento etnocentrico
è senza dubbio presente in tutti i gruppi sociali
ed è trasversale a tutte le culture; solo un
“etnocentrismo critico” impegna il soggetto ad
una presa di coscienza etico-politica, non più
soltanto logico-cognitiva e culturale.
L’educazione interculturale intende, in questo
modo, agire sul versante affettivo e delle
rappresentazioni , oltre che su quello
cognitivo e delle conoscenze, con lo scopo di
esercitare il confronto critico e il
riconoscimento delle identità e delle
differenze.
• La didattica per la prevenzione degli
stereotipi e dei pregiudizi è un approccio che
riguarda la riflessione relativa ai contenuti
disciplinari inducendo gli insegnanti a
rimettere in discussione alcuni degli assunti
epistemologici e culturali su cui sono stati
finora costruiti gli itinerari di apprendimento.
• La didattica per il cambiamento delle
discipline e dei curricoli scolastici è invece
l’approccio più complesso che intende
selezionare nuovi contenuti e rivedere quelli
già presenti, a partire dalla constatazione che
gli attuali curricoli escludono determinati
elementi culturali.
• La didattica dell’italiano come lingua seconda
è infine una strategia mirata, attuata in
presenza di alunni stranieri con particolari
necessità linguistiche, volta all’insegnamentoapprendimento della lingua italiana.
Uno degli obiettivi di integrazione degli alunni
stranieri è quello di promuovere l’acquisizione
di una buona competenza nell’italiano scritto
e parlato.
• Gli alunni stranieri al momento del loro arrivo
si devono confrontare con due diverse
esigenze linguistiche:
• La lingua italiana nel contesto concreto,
indispensabile per comunicare nella vita
quotidiana (la lingua per comunicare);
• La lingua italiana specifica, necessaria per
comprendere ed esprimere concetti,
sviluppare l’apprendimento delle diverse
discipline e una riflessione sulla lingua stessa
(la lingua dello studio).
• L’apprendimento e lo sviluppo della lingua
italiana come seconda lingua deve essere al
centro dell’azione didattica. Occorre quindi
che tutti gli insegnanti siano chiamati in causa.
E’ opportuna quindi una programmazione
declinata sui bisogni reali e sul monitoraggio
dei progressi di apprendimento nella lingua
italiana, acquisita progressivamente
dall’alunno straniero.
• Nella fase iniziale si può fare ricorso a
strumenti e figure di facilitazione linguistica
(cartelloni, alfabetieri, carte geografiche, testi
semplificati, strumenti audiovisivi e
multimediali) promuovendo la capacità
dell’alunno di sviluppare la lingua per
comunicare. Successivamente va prestata
particolare attenzione all’apprendimento della
lingua per lo studio perché rappresenta il
principale ostacolo per l’apprendimento delle
varie discipline.
Rivisitare il curricolo in prospettiva
interculturale.
• Il contesto dell’autonomia scolastica impone
che ogni istituto si doti di un proprio curricolo
ed a questo proposito è necessario il
superamento di rigidi programmi nazionali a
favore di quadri culturali di riferimento che
costituiscono il cosiddetto “curricolo
nazionale”.
• Per elaborazione di un curricolo si intende la
programmazioni di occasioni di
apprendimento volte a produrre certi
cambiamenti negli alunni.
Ciò comporta essenzialmente quattro fasi.
• La scelta e l’organizzazione degli obiettivi
dell’insegnamento, sia di una disciplina in
particolare, sia in generale in riferimento
all’intero percorso formativo;
• La scelta e l’organizzazione dei contenuti più
adeguati al raggiungimento degli obiettivi
indicati;
• La scelta e l’organizzazione delle esperienze di
apprendimento, ossia dei contenuti da
apprendere e dei metodi con cui acquisire le
competenze indicate;
• La valutazione e l’accertamento del grado in cui il
programma elaborato ha raggiunto i suoi
obiettivi.
• Il compito basilare del curricolo è quello di far
progredire la scuola mediante il
miglioramento delle condizioni di
insegnamento e di apprendimento,
coniugando opportunamente riflessione
teorica e prassi didattica.
Un aspetto particolarmente rilevante che lega
indissolubilmente il curricolo di classe a quello
disciplinare riguarda la trasversalità tra le
competenze che è possibile attuare attraverso
tre strategie didattiche: la multidisciplinarità,
l’interdisciplinarità, la transdisciplinarità.
• Si parla di multidisciplinarità quando un
argomento riceve un apporto – per
l’acquisizione delle conoscenze di base e dei
linguaggi – da altre materie affini appartenenti
allo stesso ambito disciplinare, es. l’apporto
della geografia o degli studi sociali alla storia.
• L’interdisciplinarità si realizza quando un
argomento riceve un apporto –per
l’acquisizione delle conoscenze di base, dei
linguaggi, di capacità di analisi e di sintesi, di
induzione e di deduzione, di impostazione e di
risoluzione dei problemi – da altre materie
non affini.
• La transdisciplinarità si attua quando un
oggetto di ricerca extradisciplinare
difficilmente indagabile attraverso i temi
disciplinari, riceve un apporto da un altro
sistema disciplinare, al fine di acquisire
attraverso le conoscenze di base, i linguaggi, le
metodologie di analisi e di risoluzione dei
problemi.
Si intuisce allora quando sia complesso e articolato
il percorso di revisione in senso interculturale del
curricolo, poiché impone di agire su diversi piani,
chiedendo in particolare di:
• Analizzare attentamente il curricolo esistente, al
fine di cogliere impostazioni e messaggi
etnocentrici o addirittura svalorizzanti nei
confronti della cultura differente;
• Prestare attenzione alle componenti “nascoste”
del curricolo, quali gli aspetti dell’organizzazione
didattica, la comunicazione in classe, la
metodologia, lo stile di insegnamento;
• Sperimentare e proporre nuovi percorsi
curricolari su tematiche relative alle differenti
culture.
Prendendo in esame le diverse esperienze didattiche
condotte in questi anni si può osservare che un processo di
revisione del curricolo deve prevedere essenzialmente le
seguenti fasi:
• Analisi critica e decostruzione degli elementi del curricolo;
• Rilevazione dei bisogni specifici degli alunni;
• Definizione degli obiettivi formativi di revisione del
curricolo;
• Selezione dei contenuti essenziali del curricolo, in base agli
obiettivi;
• Progettazione e costruzione di esperienze di
apprendimento e di attività didattiche specifiche;
• Scelta delle metodologie e degli strumenti da utilizzare nei
percorsi didattici;
• Analisi delle diverse modalità di valutazione dei percorsi
didattici.
• Una volta individuati gli obiettivi di revisione
del curricolo grazie anche a un’accurata analisi
dei bisogni formativi e culturali degli alunni –
elemento fondamentale nell’elaborazione di
qualsiasi curricolo – si procede poi alla
selezione e all’organizzazione dei contenuti
che si ritengono funzionali ai bisogni rilevati e
agli scopi indicati. Infine con gli stessi criteri si
individuano le metodologie con cui
trasmettere tali contenuti.
Ripensare le modalità di
insegnamento
• L’insegnamento tradizionale non è riuscito a
proporre il dialogo come strumento
privilegiato nelle relazioni tre gli individui
sostanzialmente perché utilizza soprattutto
lezioni frontali che in concreto impostano una
comunicazione a senso unico mentre sarebbe
più utile affiancare a esse metodologie, che
consentano agli studenti di sperimentare
concretamente l’attività dialogica.
• I percorsi didattici interculturali devono essere
sviluppati in un contesto educativo
appropriato e coerente con gli obiettivi che
tali esperienze propongono: un clima di lavoro
cooperativo favorisce, in questo senso, un
interscambio creativo, facilita strategie di
apprendimento attive, nonché l’acquisizione di
abilità sociali importanti come le capacità
relazionali dialogiche e aperte.
Il lavoro in gruppo favorisce i processi imitativi
rendendo possibile l’acquisizione di abilità
relazionali che sarebbero difficilmente
conseguibili attraverso qualsiasi contenuto.
Il lavoro in gruppi pur essendo sempre utile per
facilitare la comunicazione e l’interazione fra
gli allievi può più o meno essere efficace a
seconda dei criteri con cui vengono suddivisi
gli allievi:
• La formazione di gruppi omogenei, per
esempio, è una pratica educativa, che consiste
nel dividere gli studenti in gruppi composti da
soggetti con abilità equivalenti.
• I gruppi eterogenei, costituiti da allievi con
differenti competenze, se associati a un
apprendimento cooperativo, permettono,
invece di lavorare in modo interdipendente
sfruttando le diverse abilità dei soggetti e
facendo in modo che il successo di ogni
membro del gruppo contribuisca al
riconoscimento di tutti.
• Diverse ricerche dimostrano che in questi gruppi
si verifica un miglioramento del profilo del
miglioramento degli allievi stranieri e un aumento
delle abilità relazionali di tutti gli studenti.
Le esperienze condotte nelle scuole hanno inoltre
mostrano che i contenuti interculturali
accrescono il livello di interesse degli allievi e che
modalità relazionali alternative a quelle
tradizionali consentono ai ragazzi di valorizzare
una gamma di canali e simboli poco utilizzati es.
narrazioni, storie di vita, gesti delle mani,
movimenti del corpo, disegni, musica, uso di
audiovisivi.
• Le strategie didattiche impiegate nei percorsi
interculturali sono le più varie: giochi linguistici di
traslazione di un termine in altre lingue, in cui si
cura l’etimologia, l’uso funzionale della lingua,
per la conoscenza della realtà fisica e sociale dei
diversi Paesi o ancora racconti di esperienze reali
in cui il linguaggio è espressione della vita dei
bambini.
Nella didattica quotidiana è dunque opportuno
potenziare il linguaggio mimico gestuale,
accompagnare la parola all’immagine, utilizzare
forme di comunicazione non verbali, far
interagire linguaggi diversi fra loro.
Una classificazione delle tecniche di animazione
interculturale proposta da Concetta Sirna
Terranova prevede le seguenti categorie:
• Tecniche ludiche, come i giochi di conoscenza
di sé e degli altri;
• Tecniche training, cioè addestramento a
comportamenti particolari come quello non
violento o antirazzista;
• Tecniche di partecipazione espressiva come la
danza, la musica, il teatro dei burattini, la festa
interculturale.
• Tecniche che prevedono l’utilizzo di strumenti
multimediali come il lavoro su immagini, su
foto, l’uso del computer.
Una rassegna dei principali
percorsi didattici interculturali
sperimentati.
• Dal punto di vista degli obiettivi individuati, i
principali percorsi didattici interculturali
attuati in questi anni sono stati i seguenti:
• Percorsi di accoglienza. Consistono
essenzialmente in attività specifiche realizzate
al momento del primo inserimento di un
bambino straniero nel gruppo della classe.
All’arrivo di un nuovo alunno i docenti
decidono di frequente di interrompere il
normale corso della didattica per coinvolgere
la classe in un’attività di accoglienza del nuovo
arrivato e di conoscenza del suo contesto di
provenienza.
• Percorsi volti alla conoscenza delle diverse
culture. Caratteristica di questi percorsi è
quella di essere rivolti alla conoscenza di uno
specifico contesto culturale, anche al di là
della presenza di eventuali alunni stranieri
nella classe. Soprattutto il momento della
festa è stato uno dei contesti privilegiati per
avvicinare gli alunni alla conoscenza delle altre
culture poiché, come sottolinea Graziella
Favaro, nel festeggiamento si intrecciano e
sovrappongono dimensioni e significati
molteplici.
Un percorso di conoscenza delle diverse culture può
essere attuato con diverse metodologie educative
in diversi ambiti disciplinari.
Per esempio nella letteratura, le fiabe, così come i
racconti o i romanzi sono state molto utilizzate
nella scuola i questi anni.
Nell’insegnamento della religione possono essere
messe a confronto le diverse religioni,
evidenziando differenze e punti di contatto, così
come nell’ambito dell’educazione all’immagine
possono essere indagate le rappresentazioni che
le diverse culture si sono scambiate nel corso del
tempo dei molteplici linguaggi artistici.
• Percorsi volti al decentramento dei punti di
vista. Tali percorsi mirano ad evidenziare
l’esistenza di una pluralità di prospettive
nell’analisi di qualsiasi oggetto. Un’altra strategia
impiegata di frequente è la “comparazione” che
permette di confrontare diversi punti di vista per
ogni aspetto che compone l’oggetto di analisi.
Esempi in questa prospettiva sono, in ambito
storico, tutti gli itinerari di didattici che hanno
l’obiettivo di ripensare a fondo le matrici della
comprensione storica proponendo una lettura
“dalla parte dell’altro”per es. i temi dell’Europa e
dei barbari, delle Crociate e dell’Islam, della
scoperta dell’America o del colonialismo dell’Italia
in Africa.
• Percorsi di educazione alla gestione creativa e
non violenta dei conflitti. Tali percorsi sono
itinerari complessi e articolati volti alla
conoscenza di comportamenti e tecniche di
gestione del “conflitto”, ossia di uno stato della
relazione caratterizzato dalla presenza di un
“problema” cui si associa un “disagio”.
La gestione positiva del disagio è il primo passaggio
per la comprensione delle dinamiche conflittuali
perché non è possibile affrontare alcun problema
se è occultato da forti emozioni. Questi itinerari
ripropongono diverse tecniche di problem solving
con la consapevolezza che gestire positivamente
il disagio non vuol dire cercare di eliminarlo.
• Percorsi di educazione democratica, ai diritti
umani e allo sviluppo. Le regole della
convivenza democratica, il rispetto dei diritti
umani e le conoscenze relative allo sviluppo
del Sud del mondo costituiscono un insieme
poliedrico di saperi a partire dai quali
l’educazione interculturale può sviluppare
autonomi percorsi, recuperando però valori,
conoscenze e competenze riconducibili a tali
fondamentali ambiti educativi.
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Insegnare e apprendere diversamente: la prospettiva interculturale