ISSN 1720-5638
IL CALITRANO
periodico quadrimestrale di ambiente, dialetto, storia e tradizioni
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB - Firenze 1
ANNO XXXV - NUMERO 61
(nuova serie)
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CENTRO STUDI CALITRANI
Via Pietro Nenni, 1 - 83045 Calitri (AV)
www.ilcalitrano.it
GENNAIO-APRILE 2016
IN QUESTO NUMERO
IL CALITRANO
ANNO XXXV - N. 61 n.s.
La condivisione è possibile
di A.Raffaele Salvante
3
Il principe povero
Francesco Maria Mirelli
di Emilio Ricciardi
Fondato nel 1981
4
L’Immacolata
di Pietro Cerreta
IN COPERTINA:
Vinicio Capossela allo Sponz Fest, edizione
2014. Per gentile concessione del Ph. Paolo Pisanelli / Archivio Cinema del reale.
La copertina e l’inserto centrale di questo
numero sono dedicati a Vinicio Capossela e al suo ultimo disco “LE CANZONI
DELLA CUPA”, che uscirà a breve.
BUONA
PASQUA
2016
L’Alleluia pasquale non sia soltanto
un canto, ma una nota di gioia
che corre di coscienza in coscienza
attraverso le generazioni
e si trasformi in stile di vita.
AUGURI VIVISSIMI
7
9
Direttore
dott.ssa Angela Toglia
A scuola vince la sinergia
del Comitato genitori
10
Direttore Responsabile
A. Raffaele Salvante
11
Segreteria
Michela Salvante
Canzoni della Cupa
di Vinicio Capossela
Vinicio nel paese
dei coppoloni
di Alfonso Nannariello
15
La parabola del niente
di Marco Bozza
Sito Internet:
www.ilcalitrano.it
E-mail:
[email protected]
Creato e aggiornato gratuitamente
da ITACA www.itacamedia.it
Sapori di Pasqua
di Concetta Zarrilli
Periodico quadrimestrale
di ambiente - dialetto - storia e tradizioni
dell’Associazione Culturale “Caletra”
18
DIALETTO E CULTURA POPOLARE 20
SOLIDARIETÀ COL GIORNALE
21
MOVIMENTO DEMOGRAFICO
22
REQUIESCANT IN PACE
23
Direzione, Redazione,
Amministrazione
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Calitri 1971/72 circa: squadra di calcio dei lavoratori della Fornace Cicoira & Luongo; da sinistra
in piedi : DI Maio Luigi (urt’lan’), Fatone Giuseppe (faton’), Gautieri Antonio (f’cil’), Galgano Crescenzo (cast’gghian’), Toglia Giovanni (cappiegghj), Zarrilli Vincenzo (v’ton’); prima fila: Fastiggi
Canio (tobb’t’), Di Milia Giovanni (paglier’), Di Maio Vincenzo (curat’l’), Galgano Canio (spaccon’).
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Chiuso in stampa il 23 febbraio 2016
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Genaio-Aprile 2016
RICONOSCERE UN ERRORE, NON È UNA COLPA, MA UN SEGNO DI RESPONSABILITÀ
LA CONDIVISIONE È POSSIBILE
Non si possono chiedere coerenza, serietà e lealtà ai giovani, se questi
valori non vengono prima testimoniati e praticati.
L
a diatriba pubblicata sul numero precedente di questo giornale
è stata motivata, dall’unicità dell’incredibile scenario offerto dal risultato per l’elezione del Sindaco.
La lista perdente non solo ne ha fatto un vero dramma, quasi avesse ricevuto dallo Spirito Santo la garanzia di vincere le elezioni, ma il colmo
dei colmi è che per principio (quale?) non partecipa a nessuna riunione, ha tirato i remi in barca e scrive solo qualche manifesto, che non
tutti leggono: insomma l’opposizione non esiste,ma soltanto apatia, indifferenza, silenzio.
Per cui ci troviamo con l’assurdo che
l’opposizione è completamente sparita, venendo meno all’impegno con
gli elettori che implicitamente era
sotteso dal fatto di essere scesa in
lizza: o si vince e si governa o si perde e si va all’opposizione, “tertium
non datur” (non è ammessa una terza possibilità o scelta).
Precipuo compito dell’opposizione
non è chiudersi in luoghi separati,
ma affrontare con coraggio, fiducia
e assennatezza i luoghi qualificanti
del nostro tempo, e cioè la critica
coraggiosa e costruttiva delle deficienze, la necessità di far crescere il
senso civico di tutta la popolazione,
l’urgenza di superare le probabili
inadeguatezze ; il tutto non con astio
ma con quell’amore intelligente e
solidale che sta alla base di ogni sviluppo vero e giusto. Il bene comune,
infatti, è molto più della somma del
bene delle singole parti
Molte domande sorgono spontanee
davanti a un tale atipico scenario!
Ci rendiamo conto di trovarci in una
congiuntura di radicali e incalzanti mutamenti, molti di essi non saranno positivi per il Mezzogiorno e
per il nostro paese, se non reagiremo adeguatamente e non li trasformeremo in opportunità: perciò bando alle chiacchiere e ciascuno
riprenda il suo posto con grande,
intenso e vivo senso di responsabilità, altrimenti più passa il tempo e
più la situazione si incancrenisce a
scapito dei cittadini.
È una situazione davvero anomala
ed insostenibile, urge cambiare rotta ed addivenire a più miti consigli
anzitutto per coloro che hanno votato per la vostra lista ed oggi si sentono traditi.
Nessuno costruisce il futuro isolandosi,né solo con le proprie forze.
Oggi si chiama pavidità il rispetto,
coraggio l’arroganza, franchezza
l’insolenza, coerenza l’insolenza
preventiva, per cui l’Amore deve lottare ogni giorno contro l’egoismo,
quell’idolatria di sé che è origine e
causa di tanti mali.
Le dolorose situazioni personali meritano comprensione, carità e solidarietà, ma in nessun caso ciò che è
fallimento tragico della famiglia può
essere presentato come nuovo modello di vita speciale.
Il mondo di domani dipende dall’educazione di oggi, e questa non può
essere ridotta ad una semplice trasmissione di conoscenze; infatti pur
volendo la donna uguale all’uomo
per dignità e valore, ne afferma nel
contempo con chiarezza la diversità
e la specificità, perché l’identità del3
la donna non può consistere nell’essere una copia dell’uomo e le specificità proprie di ciascun sesso si incontrano in una collaborazione
reciproca di mutuo arricchimento,
in cui le donne sono le prime artefici di una società più umana.
Il futuro dell’umanità passa attraverso lo sviluppo integrale e solidale di ogni persona: ogni uomo e ogni
donna. Così, famiglia, scuola, università e lavoro sono chiamate, ciascuna nel proprio ambito, a inserire
il fermento evangelico nelle culture
del terzo millennio.
Tutto questo mette in chiara evidenza una carenza di senso civico, che
compromette sia la qualità della convivenza sociale sia quella della vita
politica e istituzionale, arrecando anche in questo caso un grave pregiudizio allo sviluppo economico, sociale e culturale.
In questo impegno di promozione
umana e di educazione alla speranza si deve costantemente spendere
la parte migliore della società che
non si è solo allineata con la società
civile più coraggiosa, rigettando e
stigmatizzando ogni forma di illegalità mafiosa,ma soprattutto si è
presentata come testimone credibile della verità e luogo sicuro dove
educare alla speranza per una convivenza civile più giusta e serena.
Ci molte molte cose da fare per il
paese e per i cittadini.
Non si può aspettare oltre !
A.Raffaele Salvante
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Gennaio- Aprile 2016
IL PRINCIPE POVERO
FRANCESCO MARIA MIRELLI
di Emilio Ricciardi
Q
uesta rivista si è occupata già in due
occasioni del principe Francesco
Maria Mirelli (1795-1857), vissuto e morto a Calitri in condizioni di estrema ristrettezza1. Tuttavia un documento ritrovato di recente in archivio permette di
conoscere molte più cose sul suo conto e
di delinearne meglio la figura e la personalità.
Francesco Mirelli
Erede di una famiglia che a fine Settecento era ancora molto ricca, Francesco
Maria Mirelli si era trovato all’età di venti
anni senza più averi. Nel 1809 i Napoleonidi avevano abolito la feudalità nel
regno di Napoli e il vecchio principe
Francesco (1748-1814), nonno del giovane, si era visto togliere dai tribunali
gran parte del patrimonio, tra cui le terre
dell’abbazia di Santa Maria in Elce e il
bosco di Castiglione2.
I beni sottratti al barone furono assegnati
al demanio comunale di Calitri, ma nel
giro di pochi anni gli uomini più ricchi
del paese riuscirono ad acquistarne la
maggior parte. In quest’opera si distinsero il notaio Michele Zampaglione e il
suo primogenito Lorenzo, che divennero
proprietari di quasi tutto il territorio di
Castiglione e perfino del palazzo che i
feudatari possedevano nella piazza di Calitri, tra la chiesa madre e il monastero
dell’Annunziata3. A quel punto il vecchio Mirelli abbandonò ogni tentativo di
riprendersi per via giudiziaria le proprietà
perdute e ritornò a Napoli, dove morì.
Suo figlio Giuseppe Maria (1773-1840)
continuò ad abitare nella capitale, delegando l’amministrazione dei suoi averi a
qualche persona di fiducia, circostanza
che determinò un ulteriore assottigliamento del patrimonio.
Il giovane Francesco Maria, figlio di Giuseppe, sembrava destinato alla carriera
militare nelle Reali Guardie del Corpo,
ma durante un duello con un commilitone, il marchese Crescimanni, fu ferito
in modo serio e dovette lasciare l’esercito. Una volta guarito, il ragazzo si de-
dicò soltanto allo studio e alla poesia e
quando nel 1840 ereditò il titolo e i beni
paterni si disinteressò completamente del
suo patrimonio, sperperando i pochi soldi rimasti in improbabili ricerche genealogiche che dimostrassero l’antichità del
suo casato, con il risultato di ritrovarsi
alla fine nobile e povero4. Nel 1843 i creditori gli espropriarono l’ultimo appartamento rimastogli a Napoli, dove i
suoi antenati fino a pochi decenni prima
possedevano tre interi palazzi, e il principe fu costretto a trasferirsi con la moglie e l’unico figlio a Calitri dove, come
scrisse Vito Acocella, “condusse vita modesta e ritirata”5.
In tanta rovina l’unica circostanza fortunata fu che nel 1840 Michele Mirelli, zio
di Francesco e abate di Santa Maria in Elce, dopo un lungo processo riuscì a riprendersi alcuni dei beni espropriati sostenendo che l’abbazia non era una
proprietà feudale ma una semplice cappellanìa laicale. I giudici accolsero le sue
tesi e gli restituirono un terreno “seminatorio scelto (nel) luogo detto il Cardinale di tomola 50 di 1.a classe” confinante
con i beni demaniali del Comune di Calitri e quelli di Lorenzo Zampaglione, un
altro seminatorio nello stesso luogo “di
moggia 120.12 di 1.a classe”, “una chiesa nel luogo detto Badia” con una “casa
di 6 soprani, e 6 sottani”, un “terreno pascolatorio detto difesa di Luzzano oggi
ridotto ad intiera cultura di tomola 378 di
1.a classe” confinante con il demanio di
Calitri e i beni di Raffaele Vitamore più
l’intero territorio del Tufiello, confinante con le terre del duca di Bisaccia6. Le
proprietà furono affittate dai Mirelli a diversi coloni garantendosi una rendita annua di circa cinquemila ducati, che però
si rivelò insufficiente a far fronte ai debiti del principe.
In Calitri Francesco Mirelli visse lontano
da tutti, immerso nei suoi libri e nei suoi
sogni. L’unica volta in cui partecipò alle
vicende del paese fu quando nel 1849
convinse il capo urbano Angelomaria
4
Melaccio e il sacerdote don Vincenzo
Cerreta a denunciare alla polizia borbonica alcuni compaesani noti per le loro
idee liberali. Morì il primo maggio del
1857 e fu sepolto nella chiesetta rurale
della Madonna della Foresta7.
Dopo la sua scomparsa, la “signora principessa donna Carolina Pignatelli Cerchiara, contessa di Aragona del fu principe don Andrea, vedova del principe di
Teora don Francesco Mirelli e natural tutrice di suo figlio minore don Giuseppe
Mirelli conte di Consa, marchese di Calitri e principe di Teora”, chiese che fosse
redatto “un fedele ed esatto inventario
degli effetti rimasti del defunto principe”,
non per rivendicare – come spiegò –
nuovi diritti ereditari in favore del figlio
minorenne, ma come “un puro atto di cognizione de’ beni, che gli appartengono”,
lasciando decidere alla famiglia del marito se fosse più conveniente “agl’interessi del minore” accettare l’eredità paterna
oppure rifiutarla8.
Alla stesura dell’inventario, da compiersi
in presenza della principessa e di Michele Scoca di Angelantonio, “procuratore del surrogato tutore cavalier don
Francesco Ceva Grimaldi”, incaricato di
curare gli interessi del giovane principe
Giuseppe, parteciparono il notaio Arcangelo Berrilli, estensore dell’atto, i testimoni Salvatore Sacchitella fu Pietro, farmacista, e Angelomaria Melaccio di
Berardino, agrimensore, e diversi periti
nominati per l’occorrenza: il falegname
Michele Pignone di Giovanni, il sarto
Raffaele Del Re di Pasquale, il “pittore ritrattista” Michele Cerreta di Francesco e
il sacerdote Donatantonio Rinaldi di Angelomaria, “stimatore de’ libri”, che accettarono l’incarico e prestarono giuramento. A essi si aggiunsero in un secondo
momento il maniscalco Giovanni Michele Toglia, incaricato di valutare i cavalli dei principi, e il ramaio Canio Leone
fu Giuseppe per stimare il valore degli
utensili di rame e ferro presenti nella cucina del palazzo. Così la mattina del 26
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Genaio-Aprile 2016
maggio il notaio, i testimoni e i periti si
recarono nell’abitazione “sita in istrada
piazza, abitato di Calitri, terzo piano superiore” dove pochi giorni prima era
morto Francesco Mirelli, per togliere i sigilli e procedere alla ricognizione dei
suoi beni.
Prima dell’inizio delle operazioni la principessa dichiarò di essere creditrice nei
confronti del marito di diecimila ducati
promessi in occasione delle nozze e mai
ricevuti e di “altre ingenti somme” anticipate “di suo proprio peculio” per le
spese sostenute “per l’ultima malattia e
funerali del detto defonto signor principe”. Per pagare il debito Francesco Mirelli aveva intestato alla moglie tre terreni
della badia di Santa Maria in Elce “appellati Tufiello, Luzzano e Cardinale”. delegandole di fatto l’amministrazione “acciò
il detto principe distratto non venisse
dalle letterarie di lui occupazioni”. La
nobildonna aggiunse che il consorte non
possedeva beni “dai quali avesse potuto
ricavare altre rendite”, motivo per cui
aveva dovuto provvedere lei “ai bisogni
di famiglia”.
Il disprezzo per il marito defunto che traspare dalle parole della donna era motivato dalle condizioni in cui era stata costretta a vivere per l’inettitudine del
principe, incapace di occuparsi degli affari di famiglia. Per la principessa, intenzionata a salvare quanto rimaneva
della proprietà, era fondamentale separare i suoi beni da quelli del consorte ed
evitare che i creditori si rivalessero anche
sul suo patrimonio personale.
Gli oggetti del principe
Da quando si erano stabiliti a Calitri i coniugi Mirelli abitavano un piano del palazzo appartenuto agli avi del principe e
poi acquistato da Lorenzo Zampaglione.
L’appartamento aveva le stanze disposte
in successione intorno a un piccolo cortile interno. Le camere da letto erano situate sul lato occidentale, mentre su
quello meridionale, che corrispondeva
alla facciata principale, si trovavano gli
ingressi (uno a destra e l’altro a sinistra), le anticamere e la cucina. La parte
opposta, a nord, era occupata dalla galleria e da una stanza senza finestre usata
come granaio. La principessa, che pagava di tasca sua “l’annuo pigione” al
proprietario Michele Zampaglione9, si
era riservata la camera migliore, situata
all’angolo dell’edificio, con un balcone
a sud e l’altro a ovest.
Quando il notaio e i periti entrarono nell’appartamento si recarono direttamente
nella galleria, dal momento che nel
primo ingresso, nella cucina e nell’anticamera non c’erano oggetti di proprietà
del principe. La galleria era il salone di
rappresentanza, arredato con alcuni mobili appartenenti alla principessa e una
serie di dipinti alle pareti che raffiguravano il principe, i suoi genitori, l’ammiraglio Erberto Mirelli, considerato l’antenato più illustre, e il principino
Giuseppe, “nuovo conte di Consa”. Uno
dei quadri mostrava Francesco Mirelli
“vestito con uniforme alla siciliana”, un
altro “il duello fatto dal defonto principe
di Teora col marchese Crescimanni”, un
altro ancora lo stemma della famiglia;
era dunque di una collezione di scarso
pregio, composta da pochi dipinti commissionati dallo stesso Mirelli per celebrare il suo casato e i suoi trascorsi militari: nessun quadro antico (il principe
sosteneva che i ritratti degli avi erano andati persi nel crollo del castello durante
il terremoto del 1694), nessuna opera di
pittori importanti e nulla che avesse valore, se si eccettua il “Ritratto della fu
contessa di Conza Mariantonia Ceva
Grimaldi con cornice indorata”, al quale
il perito Michele Cerreta attribuì un
prezzo di sessanta ducati, metà di quello
dell’intera raccolta, valutata 137 ducati e
mezzo.Terminata la stima dei quadri, i
periti si trasferirono nella camera del
principe, arredata con pochi mobili che
comprendevano il letto, una scrivania,
qualche sedia, alcune scansie di libri e
due “comò di legno di pioppo impellicciati di noce”, nel primo dei quali furono
ritrovati diversi faldoni di “carte di famiglia ben custodite dal defunto”. Gli incartamenti erano raccolti ordinatamente
in cartelline, ma, a parte i “titoli attivi
della proprietà della laical badia” di
Santa Maria in Elce, il resto del materiale conservato era molto eterogeneo:
c’erano copie di diplomi e atti notarili
antichi, processi di nobiltà, perizie di
feudi, sentenze di tribunali e memorie
scritte dagli avvocati dei Mirelli per cercare di dimostrare i diritti della famiglia
su beni che ormai non possedevano più.
Insomma carte che forse avevano una
grande importanza agli occhi del principe, ma nessun valore come titoli patrimoniali.
Nello stesso comò fu ritrovato l’intero
vestiario di Francesco Mirelli, che con5
sisteva in “quattro gilè d’inverno, tra i
quali uno di velluto, e otto di està colorati di trapunto … camicie di mussolina
otto, e dieci di tela di lino … calzettini di
lana paia dodici, ed altrettanti di cottone
… fazzoletti di filo colorato numero sei,
e dodici di cottone, pure colorato …
scolle colorate numero dodici di cottone,
e sei di seta … una coppola di castoro
blu, e bordo verde … calzoni di està di
filo colorato paja sei, e quattro di castoro
per uso d’inverno … un abito di segovia
… un calzone nero di doppio princeps …
quattro soprabiti di filo, colorati, per està
… paja sei di guanti di pelle color paglina … un cappotto di castoro blu con
cappuccio, stimato ducati dodici perché
consumato … un soprabito di panno nero
per inverno e … un cappello di seta nera,
chiuso in una scatola di cartone”, più
“paja tre di scarpe, un0 di doga colorato,
e due neri di panno … più altre paja due
di vitellino di Francia”. Il valore complessivo dei capi di abbigliamento, secondo la stima che ne fece il sarto Raffaele Del Re, era di circa 165 ducati,
mentre il corredo del letto (materassi,
cuscini, lenzuola e coperte) fu valutato
poco meno di 100 ducati.
La biblioteca del principe era sistemata in
due “scanzie”, una vicino all’ingresso e
l’altra vicino alla finestra. L’opera di
maggior pregio erano i “quattro volumi
della Bibbia Sacra di Martino con quattro grandi rami” (cioè incisioni in rame)
custoditi in un astuccio di latta. Gli altri
libri comprendevano “un volume di Walter Scott … un volume titolato Notizie
delle famiglie nobili, ed illustri della città
e Regno di Napoli, di don Giuseppe
Recco … un vocabolario di sette lingue
… una Descrizione storica degli ordini
cavallereschi del cavalier Luigi Cibrario”, più qualche libro di storia, un paio
di testi sacri, alcune statistiche del regno
delle Due Sicilie, “ventiquattro fascicoli
di un’opera intitolata Scene della vita
militare in Crimea del cavaliere Aristide
Celani” e “un opuscolo ligato in pergamena contenente una collezione di poesie del principe di Teora don Francesco
Maria Mirelli”. Non potevano mancare i
“tre volumi di Pacichelli, intitolati Il Regno di Napoli in prospettiva”, l’opera
che conteneva la celebre veduta di Calitri disegnata alla fine del Seicento, con la
dedica a Francesco Mirelli, l’antenato
che aveva acquistato il feudo, e lo
stemma di famiglia.
IL CALITRANO
Gli unici oggetti di un certo pregio furono
ritrovati in uno scatolino di legno “nel fodero del secondo tiratojo del comò” e
consistevano in “mezza dozzina di forchette, e cucchiai d’argento, nonché sei
coltelli inglesi, senza punta, con manico di
osso nero. Due di dette posate hanno il
marchio al rovescio dell’estremo del manico con lettere iniziali P.T.” (principe di
Teora). Il peso di tutti gli oggetti, compresi i “due cucchiarini di argento da
caffè” presenti nello stesso contenitore,
superava le due libbre, per un valore complessivo di oltre trenta ducati, il che spiega
perché le chiavi del cassetto non si trovassero nella stanza come tutte le altre, ma
nelle mani della principessa. (1- continua).
N. 61 n.s. – Gennaio- Aprile 2016
Germania, Elsdorf (Colonia) 26.01.2016. I coniugi Zarrilli Canio (v’ton’) e Margherita Cefola festeggiano le Nozze d’Oro. Da sinistra: Roberta Pentrelli ( moglie di Paolo ), il figlio Paolo,i festeggiati,
e il figlio Vito (Onnipotent), le bimbe Valentina e Letizia ( figlie di Paolo e Roberta ).Auguri dalla redazione.
NOTE
1 Cfr. C. Zarrilli, Il palazzo Mirelli di Calitri e i suoi
abitanti nelle pagine di Alexandre Dumas, in “Il Calitrano” 55 (2014), 4-7; E. Ricciardi, Gli ultimi feudatari di Calitri, ivi, 59 (2015), 4-6.
2 Cfr. Bullettino delle sentenze emanate dalla Suprema commissione per le liti tra i già Baroni e i
Comuni, 1809/2, 36, Napoli 1809; ivi, 1809/5, 125,
Napoli 1809; ivi, 1810/1, 343, Napoli 1810; Napoli,
Archivio di Stato (ASNa), Carte Winspeare. Affari
demaniali e feudali, 70/2 [1810]. Intorno al 1770 il
vecchio principe Francesco Maria aveva acquistato
diversi beni nella capitale, tra cui il palazzo
Donn’Anna, appartenuto al viceré di Napoli, ma nel
1807, per pagare i creditori, era stato costretto a rivendere quasi tutte le proprietà (ASNa, Corte di Appello di Napoli. Perizie, 13/782 [1822]).
3 Cfr. V. Acocella, Storia di Calitri [1946], r.a. Calitri 1984, 126.
4 Nel 1850 il sacerdote don Vincenzo Cerreta depositò presso il notaio Arcangelo Berrilli un antico
manoscritto con notizie sulle famiglie nobili di Benevento e sulla famiglia Mirelli Scannasorice. Avellino, Archivio di Stato (ASAv), Notai II versamento, 341, 33 [1850].
5 Acocella, 138
6 ASNa, Mappe beneficiarie, 17 [1840].
7 L’atto di morte del principe è in Calitri, Archivio
parrocchiale (APC), Defunti 1849-1858, 148.
8 ASAv, Notai II versamento, 345, 171-198 [1857].
9 Su Michele Zampaglione (1802-1887), figlio di
Lorenzo e di Cecilia Pionati, cfr. Acocella, 260.
Montreal, Canada. 05.09.2015. Elisa Di Cairano con i nipoti Adriano e Marco.
28.12.2015 - 40° anniversario di matrimonio di Metallo Giovanni e Senerchia Maria Teresa. Da sinistra: Metallo Nilde (figlia) Gianfranco Di Milia (genero) Bruno Luca (genero) Metallo Gianna (figlia) con in braccio la figlia Roberta. I festeggiati. In braccio alla festeggiata Martina, figlia di Nilde e
Gianfranco. Di Milia Francesca (nuora), con in braccio Giovanni, Metallo Vito (figlio). Nel passeggino Marialaura, figlia di Vito e Francesca. Auguri dalla redazione.
Riccione, 03.02.2016. 60° compleanno di Rosa Toglia. Qui con i figli, da sinistra: Piero, Rossana,
La festeggiata, Martina e Angela Caputo. “Qualunque cosa tu abbia fatto finora non è niente se la paragoni a quello che potresti fare, e qualsiasi cosa farai non è niente se paragonata a ciò che sei, auguri
mamma.”
6
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Genaio-Aprile 2016
EMILIO RICCIARDI
L’IMMACOLATA
p. 125, 11. In vendita presso la Pro-Loco Calitri
di Pietro Cerreta
I no alla processione della Madonna, l’8
l fervore con cui i calitrani partecipa-
settembre, conserva una spontaneità antica che non è di casa nelle espressioni artificiali dei nostri tempi. Appena esce dalla sua chiesa, la statua della Vergine viene
circondata con amore da una massa di
popolo che l’attende e che poi l’accompagna lungo le strade del paese. Quell’immagine, scolpita da un artista napoletano del settecento, raccoglie intorno a
sé, teneramente e tenacemente, tanti calitrani, compresi coloro che sono sparsi
per il mondo, proprio come tanto tempo
fa. Si dirà che questa é solo una delle manifestazioni di pietà popolare che pur sopravvivono nel nostro mondo secolarizzato. Tuttavia, ciò non basta a spiegare la
vitalità di un legame che dura ormai da
tre secoli.
L’Immacolata, il recente libro di Emilio Ricciardi, analizza questo legame
dal punto di vista storico, dimostrando
tra l’altro che la vita del paese si è costantemente rispecchiata in quella della
Congregazione dell’Immacolata Concezione, fin dal 1710 che fu l’anno
della dalla sua nascita. Nascita in cui
l’autore vede una sorta di risposta «che
la parte più vitale della società calitrana diede al sisma dell’8 settembre
1694, avvenuto proprio nel giorno
della ricorrenza della Vergine».
La prima parte del libro illustra le ragioni
profonde per cui decine di giovani «colti
e intraprendenti» decisero di mettersi
sotto la protezione della Vergine negli
anni difficili che seguirono al sisma e avviarono la ricostruzione materiale del
paese completamente distrutto. Vi troviamo descritta l’ispirazione spirituale ricevuta dai calitrani da un gruppo di gesuiti venuti in missione, in quel periodo,
nel nostro paese, nonché la figura di padre Margotta, che si incaricò di comperare e far trasportare la statua della Ver-
gine da Napoli a Calitri, e quella di padre Gervasi, primo affiliato e primo padre spirituale. Ben spiegato appare poi il
ruolo di alcune importanti famiglie negli
anni iniziali della Confraternita: i Cioglia, i Rinaldi e i Berrilli. Apprendiamo,
altresì, che i padri Margotta e Gervasi
istituirono la processione al Calvario del
venerdì santo, un altro evento che coinvolge molto intimamente la sensibilità
dei calitrani e li lega tutt’ora a quel passato ormai lontano.
Acquasantiera del 1722, uno dei più antichi
reperti della chiesa dell’Immacolata Concezione presente tuttora nella sua navata sinistra.
Seguono, com’è naturale aspettarsi, gli
avvenimenti dell’ottocento e del novecento fino ad oggi. Il racconto è rapido,
ma denso di notizie ben documentate,
alcune del tutto nuove rispetto a quelle
contenute nelle precedenti pubblicazioni
sull’argomento.
7
La seconda parte, staccata ad arte da
quella iniziale, ne è il giusto complemento. Disegnato infatti lo scenario generale, ora l’autore lo riempie di uomini: i priori, gli assistenti, i padri
spirituali e i procuratori che l’hanno
diretta durante i tre secoli di esistenza.
Nei lunghi elenchi storici che egli riporta, bastano pochi cenni biografici a
dar spessore ai personaggi, che entrano
ed escono di scena con periodicità diverse. Ciò dà al lettore una visione dinamica delle vicende umane della
“Congrega”, che dipendono ad ogni
modo anche dai terremoti, dalle epidemie, dalla bontà delle annate agricole,
come dalle ascese e discese sociali
delle famiglie locali.
Nei suoi elenchi Ricciardi non ha timore
di porre, gli uni accanto agli altri, colti e
analfabeti, perché molti non sanno neppure scrivere il loro nome, ricchi proprietari e modesti contadini, valenti artigiani e poveri individui. Né seleziona i
più autorevoli o i più famosi tra loro, ma
prende tutti quelli che trova nelle carte
d’archivio e li trascrive nelle pagine
stampate del suo libro. Mi piace dire che
li toglie dalla sottostoria e dà loro la dignità che è propria della storia. D’altra
parte questa dimensione egualitaria rappresenta correttamente lo spirito di fratellanza di tutti coloro che, nella loro
fragilità umana, chiedono uguale protezione alla Madonna. È come vedere un
popolo che avanza, il fluire di una continuità biologica: i figli che succedono ai
padri e che intanto non cessano di rimanere legati ai riti, alle tradizioni e alla statua della Vergine. Una continuità tuttavia
non passiva, ma creativa e vivace, arricchita da apporti genetici esterni, provenienti dai paesi vicini attraverso i numerosi e documentati matrimoni.
«Non esiste famiglia in paese che non
vanti tra i suoi componenti uno o più
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Gennaio- Aprile 2016
“fratelli della Madonna” e anche per
questo la confraternita dell’Immacolata
Concezione e la sua chiesa è uno dei
tratti più significativi dell’identità calitrana» sottolinea l’autore. Pertanto egli
non si ferma ai soli fatti di religiosità popolare di cui i documenti esplorati raccontano le vicende, ma va alla ricerca
delle loro relazioni con ciò che è tipicamente calitrano, cioè che segna lo stile
della vita civile e addirittura politica dell’intero paese. In questi trecento anni
infatti cade la feudalità, sorge la borghesia liberale e, dopo tanti altri eventi,
giunge infine la democrazia. In ognuno
dei suddetti passaggi epocali siamo invitati a cogliere il riflesso nel mondo
della “Congrega”, la quale non si sottrae
al compito di proporre a volte, tra i suoi
fratelli, le personalità adatte alla guida
del paese.
Nella terza parte del libro troviamo cinque brevi appendici, costituite da altrettanti brani di documenti esplorati
dal Ricciardi. Ciascuna di esse, benché in modo diverso, consente al lettore
di farsi un’idea diretta dei fatti accaduti,
della vita e della sensibilità umana dei
tempi andati. Per me, è stato sorprendente trovare, nella seconda appendice,
l’elenco completo dei 173 cittadini di
Calitri che nel 1710 fondarono il pio
sodalizio. In esso, ciascun lettore potrebbe individuarvi un proprio avo. Io,
per esempio, ho trovato il mio: Angiolo
Cerreta.
In conclusione, L’Immacolata è un libretto agile, scritto con chiarezza e alla
portata di tutti. Penso sia adatto anche ai
ragazzi, i quali comprenderebbero senza
fatica una lezione di storia che non trova
posto nei loro manuali.
LAUREA
LAUREA
Il 30 ottobre 2015
Il 13 giugno 2015
il 14 luglio 2015
presso l’Università “La Sapienza”
di Roma
ha conseguito la laurea triennale
in Scienze dell’Architettura
presso l’Università
“Alfonzo X el Sabio” di Madrid
si è laureata in Odontoiatria
presso l’Università Cattolica
del Sacro Cuore
di Roma
Marta
BOVIO
Michela
SORICE
Michele
FASTIGGI
Discutendo la tesi:
Riqualificazione del mercato rionale
Flaminio a Roma
con il prof. Fasolo Marco.
Auguri vivissimi dal nonno Cosimo e
dalla nonna Lucia, dai genitori, dalla
famiglia, dai parenti e amici e dalla
Redazione
Alla neo laureata gli auguri
più sinceri dai nonni
Sorice Bartolomeo,
Armiento Michelina (caramzett’),
gli zii, parenti e amici
e dalla Redazione.
8
Un pensiero, un saluto con l’augurio di ogni
bene ai nostri amici Vincenzo Armiento e Maria Acojocaritei
LAUREA
Laureato in Medicina
e Chirurgina generale
Qui con i nonni
Michele Fastiggi e Francesca Maffucci,
Auguri alla famiglia, dai parenti,
dagli amici e dalla Redazione
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Genaio-Aprile 2016
SAPORI DI PASQUA
di Concetta Zarrilli
P non a caso ricorre sempre in primaasqua è la festa della Resurrezione, e
vera, stagione della rinascita e del risveglio della natura. A Calitri, anche quando Pasqua viene presto, la primavera la
accoglie con i colori dei mandorli in fiore, cui seguono peschi e albicocchi che
con le loro splendide sfumature dal bianco al rosa intenso rallegrano gli animi solo a guardarli. Se ne possono vedere nelle campagne, ma anche negli spazi verdi
del paese, se ci si affaccia a qualche belvedere, o scendendo dalle ripide scalette del Calvario, magari al ritorno dalla
suggestiva processione del Venerdì Santo. Una volta riecheggiavano per i vicoli
sonnacchiosi del paese alle prime luci
dell’alba gli antichi canti di S. Alfonso
Maria De’ Liguori “O fieri flagelli che al
mio buon Signore le carni squarciate con
tanto dolor…..Gesù mio con dure funi…”
I canti e la devozione ci sono ancora, ma
tante cose intorno sono cambiate, nessuno più si affaccia sulle porte delle case
del centro storico, o a qualche finestrella, a salutare il Cristo Morto, l’Addolorata o l’Ecce Homo portati dai fratelli dell’Immacolata Concezione, non più
all’alba, ma nel pomeriggio; per le vie
non si sentono più i suoni e gli odori e i
rumori dei preparativi per la festa. Arrendersi a tutto questo? Ci si augura che
non accada mai! Sperare in un miracolo
(religioso? politico? economico? culturale?) che ci aiuti a ripopolare il paese e
il centro storico di Calitri è forse l’ultima cosa da fare, bisognerebbe adoperarsi affinchè il miracolo realmente accada,
affinchè in alto vengano prese delle sagge decisioni, come finora non è stato fatto, poiché anziché limitare lo spopolamento pare che lo si sia favorito,
chiudendo fabbriche, trasferendo uffici,
tribunali ed ospedali … tanti sono andati via, e chi resta di certo non si arrende,
e continua anche a coltivare tradizioni e
modus vivendi perché non si perdano, soprattutto come segno di identità collettiva, e non solo per semplice nostalgia.
Ritornando alla Pasqua, altro simbolo di
rinascita è l’uovo, dalla cosmogonia alla cucina, dall’ industria e commercio
delle uova di cioccolato sempre più gran-
di e accattivanti, fino alle ricette rustiche
e paesane. L’”acquasala”, tipico piatto
calitrano, ad esempio, lo vede protagonista cotto in camicia, adagiato sulle fette di pane raffermo bagnate con l’acqua
della sua cottura, con l’ olio fritto con
aglio e peperoncino piccante che vi sfrigola sopra, nei piatti fondi e capienti;
tempo fa, insieme ad un bicchiere di
buon vino, era la corroborante colazione prima di avviarsi al duro lavoro quotidiano nei campi. La ricetta caratteristica della Pasqua a Calitri è di un dolce, “
u p’cclatiegghj”, una ciambella che viene regalata soprattutto ai bambini, sin
dai tempi in cui l’uovo di cioccolato ancora non esisteva. Per realizzare questo
dolce occorre impastare 1 kg di farina,
400 gr di zucchero, 4 uova, 2 bustine di
lievito per dolci o di ammoniaca per dolci, vanillina, 100 gr di olio (una volta si
usava la sugna di maiale), aggiungendo
mano a mano un po’ di latte; con l’impasto bisogna poi realizzare delle grandi ciambelle del diametro di circa 20-25
cm, che verranno cotte in forno a 180°
gradi per poco più di mezz’ora, o fino a
che non saranno ben dorate e asciutte;
mentre cuociono le ciambelle si prepara la glassa o “naspro”, montando a neve albumi d’uovo e zucchero (per 1 albume vanno 100 gr di zucchero);
raffreddate le ciambelle le si ricoprono
con la glassa in cui verranno “intrappolati” dei gustosissimi confettini variopinti con l’anima in anice o cannella. Oltre alle pastiere, che però appartengono
alla tradizione napoletana, altro dolce tipico della Pasqua sono i quaresimali. A
Calitri si fanno così: bisogna prima mescolare fra loro gli ingredienti secchi,
cioè 1 kg di farina 00 con 1 kg di mandorle sgusciate e tostate, 1 kg di zucchero, 1 bustina di lievito per dolci; a
questi vanno aggiunti gli ingredienti liquidi: ben 10 uova, olio quanto basta, liquore dolce tipo Strega, aromi come cannella e buccia di arance grattugiata; con
l’impasto così ottenuto si devono formare dei rotoli che andranno appiattiti
nella parte superiore con le mani, e messi a cuocere in forno a 180° per 20 minuti; sformati i rotoli, si taglieranno in
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pezzi di circa 2 cm, che si rimetteranno
in forno ancora per qualche minuto. Nel
giorno di Pasqua, per il pranzo a Calitri
è tradizione mangiare per primo i “gravaiuol”, ravioli di pasta di semola ripieni con un impasto di ricotta, uova e prezzemolo, conditi con sugo al pomodoro,
oppure la “sagna”, pasta al forno condita a strati con ragù al pomodoro con polpettine di carne, mozzarella, formaggio
grattugiato e uova sbattute; come secondo è tipico l’ “ain e patan”, ossia l’agnello cotto al forno con le patate, condito con olio, pecorino grattugiato,
pomodoro maturo a pezzi, cipolle a fette, prezzemolo e sale.
La semplicità regnava sovrana anche nelle scampagnate della Pasquetta, con frittate di ogni genere, salumi, formaggi,
buon vino e l’immancabile “pizza chiena”, uno sformato rustico fatto con un
grande cerchio di pasta di pane stesa con
il mattarello, con cui si fodera un “ruoto” unto con olio, in cui si adagia il composto a base di ricotta, uova (1 uovo sbattuto ogni 100 gr di ricotta), salame e
formaggio a pezzi, formaggio grattugiato e abbondante prezzemolo; si ricopre il
tutto con un atro cerchio di pasta tirata
con il mattarello e si sigillano i bordi, bucherellando la superficie con i rebbi di
una forchetta; la pizza va cotta in forno a
180° per circa un’ora. Buon appetito e
Buona Pasqua!
Phoenix,Arizona U.S.A., 20.11.2015. Calitrani
da e in America. Da sinistra: Jason Nicholas
Gervase (figlio di Barbara e nipote di Nicholas), Barbara-Jean Gervase Leary (figlia di Nicholas), Nicholas Gervase (figlio di Nicola Gervasi è nato nel 1895 a Calitri di Angelomaria
Gervasi e Maria Concetta Margotta), Valeria
Basile, Donato Zarrilli, e Barbara Gervase (moglie di Nicholas).
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Gennaio- Aprile 2016
A SCUOLA VINCE LA SINERGIA:
Genitori - Insegnanti - Bambini!!!
n occasione delle festività natalizie si soIStatale
no tenute presso l’Istituto Comprensivo
di Calitri con sezioni annesse di Cairano Conza della Campania e Sant’Andrea
di Conza “Alberto Manzi”, varie manifestazioni che hanno visto protagonisti i bambini della scuola coadiuvati dalla partecipazione dei genitori e degli insegnanti. Il
progetto ricade nella mission di quest’anno adottata dalla scuola che prende nome
di PROGETTO GENITORIALITÀ. In
questo obiettivo naturalmente siamo tutti
coinvolti perché i bambini hanno bisogno
degli adulti e gli adulti dei bambini. La collaborazione tra scuola e famiglia è un presupposto fondamentale per il successo educativo. È necessario organizzare momenti
di aggregazione all’interno e all’esterno del
tempo scuola che siano occasioni per vivere insieme esperienze di conoscenza e di
crescita.
Ecco perché l’obiettivo della scuola è
quello di creare un legame indissolubile tra famiglia, bambino e scuola che
possa agire nella condivisione delle responsabilità e nell’impegno che
ognuno dovrebbe esprimere in una fattiva collaborazione. Su questi presupposti sono stati sviluppati più progetti
che hanno visti coinvolti:
• La scuola dell’infanzia di Calitri in tre
momenti, il primo insieme al Comitato
Manifestazione “Befana sprint” - 08/01/2016 - Scuola d’Infanzia Calitri.
centro storico di Calitri con creazione e
allestimento di alberelli natalizi collocati
nel Centro Storico, perché anche la storia
del territorio fa il bambino. Il secondo
con la manifestazione in Chiesa di Canti
e Pensieri Natalizi. Il Terzo con la rappresentazione teatrale “Befane Sprint”
che si è tenuta presso l’ITC di Calitri.
• La scuola primaria di Calitri invece
ha dato il suo contributo con la rappresentazione Canto di Natale di Dickens
dove insieme alla collaborazione degli
insegnanti e dei genitori i bambini
hanno portato in scena una delle più famose e commoventi storie sul Natale
nel mondo.
• Non da meno è stata la partecipazione
delle sessioni staccate di Conza e
Sant’Andrea che hanno proposto vari
momenti di aggregazione sociale tra
scuola e famiglia, che hanno visto i genitori e i bambini quali protagonisti attivi.
Con la certezza che i progetti sopra citati
hanno lasciato in ognuno grandi riflessioni e grande entusiasmo per i prossimi
eventi che realizzerà la scuola, accogliamo l’occasione per salutarvi con il
messaggio che ha unito tutti noi in questa avventura:
Nessun bambino è triste
Nessun bambino piange
Nessun bambino ha fame
Nessun bambino è abbandonato
Nessun bambino è sfruttato
Nessun bambino è discriminato
Nessun bambino non è amato
È un sogno? No è una speranza
Calitri, 8 gennaio 2016
Manifestazione “Concerto di Natale” - 18/12/2015 - Scuola d’Infanzia Sant’Andrea.
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Comitato genitori
I.C. “A. Manzi” - Calitri
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Genaio-Aprile 2016
VINICIO CAPOSSELA
Canzoni della Cupa
anzoni della Cupa è un disco in due
C
parti, anzi, in due lati.
Il lato esposto al sole, il lato che dissecca, che asciuga al vento. Il lato della Polvere.
Il lato della ristoccia riarsa, su cui il grano è stato mietuto. Il lato del lavoro costato quel grano. Il lato del sudore e dello sfruttamento di quel lavoro.
E poi il lato in Ombra, il lato lunare, il
lato dello sterpo e dei fantasmi. Il lato
degli ululati e dei rovi, dei rami che
contro luna danno corpo alle creature
che si fanno vedere da uno solo alla
volta per sfuggire alla classificazione
zoologica. Il lato delle creature della
Cupa, del pumminale, del cane mannaro, della bestia nel grano. Il lato dei
mulattieri che rubano legna la notte, il
lato delle fughe d’amore. Il lato delle
apparizioni.
È un disco in due parti e si è sviluppato
in due stagioni di registrazione. Due annate distanti tra loro più di un decennio
perché i rovi s’ispessissero e mettessero più a fondo radici. Perché quella Polvere generasse l’Ombra.
La prima registrazione avvenne al secco della stagione, nell’estate 2003. Una
sessione scarna, disseccata, appunto.
Due violini, un cymabalon, un contrabbasso e la voce accompagnata dalla sua
chitarra…
E poi, undici anni dopo, la sessione nell’ombra dell’autunno 2014 dilatata fino al 2015. Quei brani avevano generato altri brani che si raccolsero in una
sessione ritirata, registrata tra i vicoli
del paese dell’Eco, al fuoco di fornacella, nel paese dell’origine.
Dalla frontiera maternale d’oriente,
quella del gallo turco nascosto già nel
bagagliaio di liveinvolvo, sono poi dilagate oltre oceano, fino a raggiungere
l’altra frontiera che le coste paternali
dell’Ofanto da sempre mi evocano…
Quel west che qui tutti si vogliono fottere, tanto hanno avuto esperienze di
selle, muli, ferrovie e paesaggi da resa
dei conti.
Dalla frontiera del lupo, le vallate irpino lucane, alla terra del coyote, l’opera
si è andata completando con la frontiera texano mexicana di Flaco Jimenez in
San Antonio, Texas, quella dei Calexico del deserto di Tucson, fino a quella
dei Los Lobos, i lupi che stracciano la
notte tra Messico e California.
Nei vicoli del paese dell’origine sono
venuti in diversi, voci e strumenti che
del canto della terra hanno esperienza,
Giovanna Marini, Enza Pagliara, Antonio Infantino, la Banda della Posta,
Francesco Loccisano, Giovannangelo
De Gennaro, e da più lontano Howe
Gelb, Victor Herrero, Los Mariachi
Mezcal, Labis Xilouris, Albert Mihai e
diversi altri sempre accolti dalla triade
produttiva della Cupa, Taketo Gohara,
Asso Stefana e l’autore medesimo.
Ogni paese dell’Italia interna - le terre
dell’osso non lambite da mare o città,
terre dove i paesi si arroccano su dirupi
quasi a difendersi dal mondo, circondati da mari di argille e di terre e di notte conosce questa geografia dell’anima.
Ognuno di questi paesi è diviso in due
lati, un lato in luce e uno in ombra, un
dualismo che compone un’unità immobile. Ferma in un tempo circolare,
che si ripete in eterno, come il tempo
della terra e delle stagioni.
Ognuno di questi paesi ha una contrada detta Cupa, un lato meno battuto dal
sole dove l’immaginario e l’inconscio
hanno ubicato le Leggende, e un lato
riarso sul dorso della terra, un lato chia-
11
rito dall’ordine del Lavoro. Un lato di
polvere e sudore.
Questi due lati compongono un cerchio,
un cerchio in cui il tempo si muove immobile.
A questo mondo attingono queste canzoni. Un mondo folclorico, rurale, mitico e mitologico, a cui ho cercato di
dare voce affidandomi all’opera preesistente di un cantore come Matteo Salvatore, e poi al patrimonio delle canzoni di paese, e soprattutto a quel
grande bacino che racchiude la saga
epica della comunità, quello dei sonetti, i versi in rima, mai scritti, che si cantano uniti, affastellando le voci. E altri
ancora ne ho trovati dentro di me, a lungo cercando tra i gradini, i vicoli, i rovi e le terre. Tutti insieme, affastellati
negli anni come fascine da fuoco, sono
diventate le Canzoni della Cupa. Canzoni che mi hanno dato calore e radice, paura e conforto.
Non c’è nulla di rassicurante nella musica folk, affermava Dylan. Ed è vero. Sono canzoni in cui l’uomo è esposto alle
forze della terra, alle sue radici che avviluppano e strangolano, ai suoi rovi che
infliggono ferite, alle forze della notte, ai
dirupi di una natura crudele e arcana, allo sfruttamento e alla sopraffazione dell’uomo sull’altro uomo. Che espongono
alle malizie umane, alla crudeltà delle
piccole comunità. Musiche che non lasciano fuori dalla porta il lutto, la separazione e il dolore. Che non pongono limiti alla Festa, all’abbondanza
dissipatoria che sconfina nella morte. Ma
sono anche canti che ricompongono un
rapporto tra cielo e terra, condizione in cui
spesso stiamo sospesi incoscienti, inconsapevoli, come sonnambuli. Che ci
fanno ancora sentire freddo, emozione,
desiderio, paura, senso dell’avventura,
euforia, lutto e morte. Che ci dicono di appartenere a un mondo più vecchio di noi,
a cui la Storia cambia volto e superficie,
ma che resiste, e ci ricorda di essere solo uomini sulla terra nuda.
Terra cupa sfuggita al cielo.
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Gennaio- Aprile 2016
Note sui testi dei brani del nuovo CD in uscita di Vinicio Capossela
Polvere
Polvere è la schiuma della terra, terra
seccata dal sole, dal vento, dal tempo.
Ma polvere è anche humus, umano, la
polvere che ci ha originato e a cui torneremo. Polvere sono le radici, effimere, che ci legano alla terra. Queste
canzoni sono esposte al secco, al lavorio della polvere, ma sono anche la
terra in cui affondano le radici di questi canti.
Femmine
Canto di lavoro di tabacchine raccolto
dalla voce della signora Addolorata
Lia in Patù. Ricordo dei tempi in cui
quel lavoro praticava, rimodulato sulla
scorta dei canti di lavoro e prigione
delle registrazioni di Alan Lomax. Il
mondo delle raccoglitrici di tabacco
che tanto ricorda il cotone della cultura
dei neri d’America per la fatica e l’abuso, ha di suo la licenziosa malizia.
Il lamento dei mendicanti
Blues arido, di siccità, di fame e sete. Il
primo pezzo ascoltato di Matteo Salvatore, il grande cantore dell’ingiustizia e
dello sfruttamento nel mondo del latifondo meridionale degli anni ‘50. Un
canto che si porta dietro le pezze, gli
stracci, i sonagli di quei mendicanti a
cui Camporesi ha dato solenne veste
nel suo libro dei vagabondi.
La padrona mia
La padrona del mio cuore, ma anche la
signora della massaria, figura con
molte variazioni in diverse ballate a
sonetto. Sempre troneggia nella sua
femminilità inaccessibile e dirompente.
Questa versione prende la prima strofa
dalla forma popolare e poi si avventura
tra l’elaborazione dell’autore e quella
di Canio Vallario, maestro B’llino.
Dagarola del Carpato
Storia cantata raccolta dalla memoria
della signora Di Guglielmo. Un’eroina,
una donna fedele questa Teodora che il
dialetto del paese rimodula in Dagarola. Commovente ritratto di donna innamorata che pazza di dolore si aggira
sola, in orari in cui nessuno può vederla. Come vacca scampanata, come
animale senza gregge, ha per unico
conforto la supplica alla Vergine Incoronata. Il suono sferragliante, il timbro
unico del western calitrano, è quello
della Banda della Posta in esecuzione
corale con voce tutelare di Giovanna
Marini.
L’acqua chiara alla fontana
Ballata d’ispirazione semi trobadorica,
ispirata al sonetto in uso a Calitri “Il nobile cavaliere”. Una fonte, un’acqua
chiara, virginale, alla fontana. Un adescamento al suono dei marenghi d’oro,
monete di altro tempo. Una storia di
contrattazione d’amore che non manca
di grazia e di terragna, popolana, carnalità. I toni cavallereschi sono anche
nell’arrangiamento da ballata antica,
provenzale, dei due violinisti francesi
che l’hanno interpretata all’istante.
Zompa la rondinella
Ballata spontanea e viaggiante a cui in
“cumversazione” ognuno aggiunge
strofe diverse. Vi figura un certo Pescatamonte, prete senza vocazione, di carattere rissoso, che meritò lo stortonome
dai “peccata mundi” che recitava sull’altare, e da quelli per cui aveva inclinazione nella vita. C’è il suono di altre
fontane e piscioli, e soprattutto una certa
Filomena, che per sè combina i guai, e
a noi lascia la pena, ma ugualmente,
“stringiamoci un’altra volta e diamogli
fuoco al treno”.
Franceschina la calitrana
Le strofe riecheggiano dai tempi della
costruzione della ferrovia, impresa seguente all’Unità d’Italia. Ancora portano per aria la forza di seduzione di
questa popolana, “amica” d’ingegneri e
capocantieri. I manovali che intanto
“stanno sempre là”, esclusi tanto dal
profitto quanto dal piacere, danno un
tono epico–sindacale al brano.
Sonetti
Il sonetto è canto spontaneo a forma
fissa, in metrica e melodia. È patrimonio
vasto come un giacimento a cui ognuno
ha aggiunto una strofa. Qui si riprende
la forma melodica e una selezione di
strofe che insieme compongono una storia d’amore; un amore bramato a cui
per orgoglio, paura e avventura, non si
è più trovata la strada per tornare.
Faccia di corno
Due sono i modi della serenata portata
al balcone di notte: i rispetti e i dispetti.
Le strofe possono esaltare l’amata o denigrarla, ingiuriarla, quando il frutto
del sentimento si è marcito. Questa spe-
12
cie di canto a stornello riprende alcune
delle strofe dello straordinario patrimonio delle serenate a ingiuria, che per il
resto, parlano da sé.
Pettarossa
Lo stortonome della protagonista deve
più alla generosità del petto che al colore del pettirosso. La forsennata canzone riecheggia nel testo di frammenti di
figure tramandate nei sonetti e ha anch’esso il carattere dell’ingiuriata a dispetto.
Faccia di corno - L’aggiunta
Come uno che dopo essersi sfogato al
vento riprende la via di casa, ma ancora
sente di non averne dette abbastanza:
ecco l’aggiunta. Altre strofe sotto la finestra a dispetto, alcune di carattere
metafisico, come la pertica lunga, che a
piegarla ne viene un ponte, sotto il quale
può passare il vero amante. Diverse le
ingiurie, stesso, momentaneo, finale:
“Dal mio cuore ora, per sempre tu, te ne
sei uscita”.
Nachecici
Versione “ranchera” de “I Maccheroni
“, di Matteo Salvatore, capolavoro dinamitardo esistenzialista-paesano in cui
troneggia il verso definitivo: chi muore
muore, chi campa campa e un piatto di
maccheroni con la carne.
Lu furastiero
Il campo raso dalla mietitura, i covoni,
il vento. Il mietitore stagionale venuto da
fuori, forestiero, che tutto quello che
possiede si porta addosso. Il riposo di
questo forestiero abbandonato al sonno
sul cuscino della sua “sacchettola”, è un
capolavoro lirico di Matteo Salvatore,
qui transumato all’italiano.
Rapatatumpa
Versione de i “Proverbi paesani “di
Matteo Salvatore, vademecum di saggezza e cinismo popolare. Il trapatatumpa simula la rullata del tamburo del
banditore nell’accidia del pomeriggio.
La sequela di queste strofe, nere come
una pittura di Goya, fa da mantello alla
sfilata della Morte. Una morte dentro la
vita stessa, in cui anche il tempo ha bisogno di essere ammazzato. Il suono allucinato dei tamburi in questa versione
viene da Tricarico, dallo straordinario
plotone di ragazzi che seguono il maestro-profeta Antonio Infantino.
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Genaio-Aprile 2016
La lontananza
Quando si è lontani e soli, sperduti dietro alle greggi nella notte, quello che fa
più paura non è il vento, non è il tuono,
non è la tempesta o la penuria. È la lontananza. La lontananza il maggiore dei
mali, nel nostro vivere, filo teso tra chi
amiamo e chi ci ama.
trasforma in lupo e va sporcandosi nel
fango per trovare refrigerio. Questo
Pumminale è versopelo, ha i peli dentro, e al richiamo della luna si trasforma non in lupo, ma in porco maiale.
La storia di un meretricio notturno per
incontrare il proprio demone e mettercisi d’accordo.
La notte è bella da soli
Quando tutti se ne sono andati, o dormono per sempre, un solitario cantore
nel paese abbandonato. Lo scalpiccio
dei passi, il pisciolare delle fontane, un
combattimento di cani e gatti, l’eco del
verso del lupo mannaro che fa spaurare
il cuore. Un sentito lamento di Salvatore per tutti i paesi in abbandono.
Le creature della Cupa
Molte sono le creature della Cupa per
cui è meglio non affacciarsi ai pozzi,
non uscire la notte, non esporsi al pericolo. Come in una ninna nanna su
una culla fatta di rovi, ecco recitato
l’elenco: la masciara, il pumminale, il
maranchino e soprattutto la creatura
della Cupa, neonata che ispira tenerezza, ma a sollevarla piega le gambe
per il peso abbracciato, oro che il demone ha trasformato in piombo.
Ombra
Ombra è la fronda generata dalle radici, l’intreccio dei rami che quella polvere ha prodotto. Ed è anche l’ombra il
lato delle creature che non si chiariscono allo sguardo, il lato dei presagi,
degli uccelli che volano la notte, il lato
del racconto che desta meraviglia e inquietudine. E ombra è anche quella che
lasciamo sulla terra andandocene.
La bestia nel grano
L’urlo del mietitore è più forte a mezzogiorno, l’ora che non lascia ombra
sulla terra, l’ora in cui non c’è separazione fra vita e morte. L’ora del demone meridiano. A quell’ora bisogna
rincorrere le bestie immaginate che si
nascondono correndo e scuotendo il
grano, per offrirle in sacrificio al demone, a risarcimento del lutto del
campo falciato.
La notte di San Giovanni
È la notte dei presagi e delle comparanze. La notte in cui le ragazze cercano segni per capire chi accompagnerà la loro vita. E nell’acqua del
bacile vedono l’ombra di Salomè ed
Erodiade inseguirsi e accusarsi per l’eternità.
L’angelo della luce
Sempre Michele è venuto su una spada
di luce. Ha spinto i contadini a lasciare
le case, a mettersi in via, come pellegrini, per andare alla grotta nel giorno
dell’arcangelo. Strada affollata quella
dei pellegrini: ordini di mendicanti, simoniaci, guaritori, predicatori, accattoni, commercianti di fede. Anche l’angelo della luce per scendere in terra,
come Adamo, ha dovuto sporcarsi i
piedi.
Scorza di mulo
I mulattieri sono sotto la guida di Ermete. Sono le creature liminari tra il
mondo immobile degli stanziali e la mobilità sconfinata della notte. Non sono
cavalieri però, sono soltanto mulattieri,
hanno a che fare con bestie cocciute.
Viaggiano nel buio per rubare legna dal
bosco, per portare carichi, soggetti al
pericolo, alle piene dei fiumi, ai dirupi,
alle guardie, ai briganti. Quanti neri pensieri corrono nella muta testa di mulo di
un mulattiere nella notte, sotto il suono
ipnotico di zoccoli, che non galoppano
mai, soltanto trottano al passo di un carico da condurre come una pena?
Componidori
Dopo una divinità religiosa, una pagana. Come rendere divino l’uomo per
un giorno, come mondarsi dalle funzioni corporali, privarsi del volto ed
essere solo maschera luminosa che
guida una torma di magnifici cavalieri
che cacciano stelle per guadagnare la
fertilità della terra, è quanto accade
nella festa, nella giostra della Sartiglia. Ma è festa di carnevale, festa di
sovvertimento dell’ordine. Quello
stesso re si ubriacherà e verrà raccolto
all’alba, fra gli ultimi.
Il Pumminale
Il Pumminale è il mannaro nato nella
notte di Natale, che con la luna piena si
Il bene mio
All’unione di nozze si arriva col velo,
circondati, eletti e digeriti dalla comu-
13
nità. Oppure da soli, nella clandestinità
più buia, quella della fujuta. La fuga
d’amore. Non c’è banchetto allora, c’è
solo il ricovero dell’amore e il terrore
di essere abbandonati dopo. Questo il
soggetto di un’altra straordinaria canzone di Matteo Salvatore.
Maddalena la castellana
Storia terribile delle conseguenze di un
amore clandestino. Episodi non rari in
un mondo in cui gli uomini erano continuamente lontani per guerra, migrazione o lavoro. Con la ferocia di una
descrizione cruda come la realtà, il
poeta Canio Vallario ha composto questo sonetto sul tema di un aborto clandestino, sulla figura nera come la notte
di questa vammana che una volta chiamata “mai indietro fa ritornare”.
Lo sposalizio di Maloservizio.
La festa fonde la vita fino al punto in
cui tocca la morte. La festa sfrenata,
che dissipa ogni accumulo, la festa dei
santi martiri del Ricreo. Il ri-creo, che
rigenera l’uomo, lo crea nell’accoppiamento e allo stesso tempo lo consuma. Per questo in maniera fatale e
simbolica, a Maloservizio, fu fatto lo
scherzo di legare l’uscio della sua casa
al cancello del camposanto. Il filo, fattosi stella filante, avvolse tutti nella festa, e raccolse anche i paesi del contorno nominati per nome e blasone.
Rucche Rucche e Barbaje, è specie di
formula magica da incantesimo. Il resto
è tutto il folclore da sposalizio, cinque
minuti di corsa forsennata condotta da
una crepitante banda rumena unita alla
postale. Il brano deve molto ad Aniello
Russo per i blasoni e ad Armando Testadiuccello per la sostanza.
Il lutto della sposa
Ogni età dell’oro, l’infanzia del mondo,
finisce si sa nel giorno della sposa. È il
momento del trapasso a un’altra vita.
Abbracciarne una nuova significa abbandonare quella che si è vissuta fino
ad ora. Per il soggetto di questo brano
ringrazio Adrian Paci.
Il treno
Forse è venuto un treno come un uccello, un giorno, a portarsi via tutti. A
lasciare i balconi vuoti. Un treno viene,
nero. In guerra come in pace. Ci sono
saliti tutti sopra, anche un ragazzo che
tutto quello che aveva era una grande
scanata di pane. Se ne sono andati tutti
così, su quel treno. Anche mio padre.
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Gennaio- Aprile 2016
IL PUMMINALE
un breve film con la regia di Lech Kowalski
basato su una canzone del nuovo album di Vinicio Capossela
“Canzoni della Cupa”
ella notte di luna, Mastro Giusep“N
pe è uscito di casa… la luna gli ha
mandato il richiamo del Pumminale..”
Inizia in questo modo l’avventura notturna di un uomo che lascia moglie, figlia e
ogni cosa che porta alla ragione per avventurarsi al richiamo delle “malestrade”.
Una storia di seduzione notturna che lo trasformerà, anziché in lupo, in porco maiale. Il corto, girato in Irpinia dal regista americano Lech Kowalski, figura di culto nella
scena cinematografica underground, è una
sorta di trittico, o di sonata in tre movimenti.
Il brano “Il Pumminale” è ispirato a una
delle doppie anime dell’uomo che la cultura popolare ci ha abituato a conoscere:
la donna capra, l’uomo lupo, il “Riavolo”
(Diavolo) che piscia, la Madonna che fa
le toppe, sono un modo di leggere il mondo nella sua doppiezza e nel suo politeismo. Un mondo in cui non c’è distinzione netta tra umano e animale, in cui tutta
la natura è espressione della divinità e per
questo inconoscibile, se non con l’esperienza diretta.
“Il Pumminale” è una delle creature che
affollano il lato in ombra del nuovo disco
di Capossela “Canzoni della Cupa”, in
uscita a marzo 2016. Il lato in ombra è il
lato scuro, liminare, dell’inconscio. L’ombra è lo spazio, allargato e ferino, nel momento in cui la propria natura è messa alla prova da paura, tentazione e desiderio.
In questo pantheon di doppiezza,
il Pumminale è il nome che la cultura popolare dava all’antico Licantropo, il cane
mannaro, che misura guardando alla luna
l’ampiezza della sua solitudine.
E poiché in ogni esperienza di sciamanesimo il primo viaggio è quello che ci conduce a trovare il nostro animale totemico,
quasi fosse il primo passo per conoscere
noi stessi, il Pumminale è meglio conoscerlo, battezzarlo, portarlo alla luce e “farcelo compare”, affinché non ci domini nell’oscurità.
“Disegni, costumi e scenografie scritti
dall’immaginazione del regista Lech
Kowalski in una stanza di New York, hanno trovato realizzazione in un angolo
sperduto di mondo, grazie alla straordinaria intraprendenza di una task force locale, abituata già dallo Sponz Fest, a rendere possibile l’impossibile – afferma
Capossela – E così si è trovata in un bo-
14
sco una pedana rotante, dalla quale fuoriuscivano rami, come remi, e un pianoforte nero decorato in oro che gli girava sopra. Fuochi accesi per tre notti e
uccelli notturni sulle spalle, addomesticati da capaci falconieri. Donne-lupo, un
ragazzo sulla soglia della conoscenza e
una donna in Salute che si sventagliava
con un piccolo, grazioso specchio, sul
quale era scritto a rossetto “la verità”…
Queste e altre cose si sono trovate in una
settimana miracolosa, durante la quale
le terre selvatiche della Cùpa hanno rinnovato la loro capacità di incutere terrore e meraviglia.”
Lech Kowalski è un regista americano di
origini polacche, rinomato per i suoi pluripremiati e controversi documentari sulla scena punk londinese; il più importante
di questi, “D.O.A. - A rite of passage” del
1981, documenta tra l’altro l’unico tour
dei Sex Pistols negli Usa. È autore del documentario “Hey! Is Dee Dee Home?” sulla storia del bassista e principale compositore dei Ramones, Dee Dee Ramone. Nel
2005 ha vinto il premio Orizzonti al Festival del Cinema di Venezia per il film “East of Paradise”
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Genaio-Aprile 2016
VINICIO NEL PAESE
DEI COPPOLONI
di Alfonso Nannariello
L contesti naturali e culturali di ele-
a frequente coincidenza in svariati
menti apparentemente non collegati tra
loro mi offre indicazioni, mi consente di
leggere didascalie.
È appena uscito il doppio album di Vinicio Capossela, Canzoni della Cupa
(prodotto da La Cùpa e distribuito da
Warner Music), un lavoro con due facce che ha avuto bisogno di due stagioni di registrazioni per venire alla luce
polveroso e ombroso. In tanta doppiezza per provare a comprenderlo mi occorre un doppio, una coincidenza. La
trovo in una regressione.
Il 19 gennaio di quest’anno il cinema
italiano era in lutto. Per Ettore Scola
morto a Roma dove la sua famiglia negli Anni Trenta del secolo scorso s’era
trasferita da Trevico. Quella stessa sera
in tutta Italia era in cartellone il docufilm Vinicio Capossela - Nel Paese di
Coppoloni, viaggio cinematografico di
uno che, nato in Germania durante la
peregrinatio dei genitori che, una trentina d’anni dopo quelli di Ettore Scola,
cercavano di sistemarsi anche loro la vita; viaggio di uno che, diventato grande in Emilia con il latte succhiato dal
seno del padre, dai racconti ininterrotti
che gli faceva delle cose di qui, sentito
quell’alimento diventato sua carne e suo
sangue, torna alle terrenotte più estreme,
agli ultimi spuntoni d’Irpinia fatti d’argilla non cotta sui quali i paesi, mai definitivi, franano. Torna al Paese dell’Eco, al paese che ha preso il nome della
ninfa rimasta senza corpo, rimasta solo
voce. Torna per cercare le voci, musiche
e musicanti. Torna con la voce ritrovata dopo un intervento alle corde vocali.
Del regista trevicano in questa circostanza potrei citare diversi lavori, soprattutto quelli che legano le storie all’emigrazione cui furono costretti i
genitori di Ettore e Vinicio: Trevico –
Torino – Viaggio nel Fiat-Nam, film-do-
cumento del 1973 sugli operai del Sud
andati, come si diceva qui da noi, a commattersi la vita in Fiat negli anni in cui
il miracolo della resurrezione dell’Italia avveniva altrove, e Brutti, sporchi e
cattivi, del 1976, che racconta di un clan
pugliese trasferitosi nella capitale e baraccato presso i cantieri di via Baldo degli Ubaldi e Boccea. Il film però che più
ritengo idoneo a celebrare le coincidenze è Maccheroni, del 1985. L’ho
scelto non perché Nachecici, una delle
Canzoni della Cupa, è una versione de
I Maccheroni di Matteo Salvatore, ma
per quell’immagine dei maccheroni fumanti sul tavolo della stanza accanto alla camera ardente di Antonio, il defunto. L’ho scelto per questo fortissimo
contrasto tra libido e morte. Per questo
confronto brutale, quasi rissoso, degli
opposti. Brutali, quasi rissose, sono le
immagini del film di Vinicio e di questo rifacimento di alcuni canti della tradizione, che all’osso nel piatto, al dialetto senza vocali, alla scarnificazione
del paesaggio del Paese dei coppoloni
restituisce, con la carne e il sangue di
feste, tradizioni e miti, il grasso delle
vocali intinte nei sughi densi della sua
musica e della sua poesia. Poiché, però,
il Paese dei coppoloni, il Paese dell’Eco è rimasto senza corpo ed è solo voce, Vinicio, pur dandoci il suo cuore, i
suoi ritmi e la sua poesia per sentire,
imitare, capire e guardare, non riesce a
darci l’attualità di quella visione. Non
può. Il passato è passato, ed ora tutto è
cambiato. Persino il pumminale che è in
noi. Il corto che abbiamo tutti visto di
seguito al viaggio di ritorno di Vinicio,
il video di Lech Kowalski che ha anticipato le Canzoni della Cupa, è denuncia. Il Pumminale è un atto d’accusa.
Forse inconsapevole. Ci accusa d’aver
ucciso la vita che chiede vita. D’aver
soffocato sul divano di casa, col cuscino delle convenzioni imbottite di soffi15
ci piume, la nostra faccia lunare. Quell’altra parte di noi, il nostro animale totemico.
Forse in queste due opere cinematografiche che lo raccontano, Vinicio ha
fatto emergere un suo disincanto, ha
fatto avvertire il non-senso che in sé
forse avverte. Sembra che, come i personaggi dei succitati film di Scola, senta di doversi adattare al nuovo corso
delle cose. A me pare che questa suggestione l’abbia narrata al suo modo solito, discreto e delicato. Vinicio nel Paese dei Coppoloni, sembra avere a che
fare con qualcosa dell’inconscio che gli
sta affiorando alla coscienza: basta col
passato! Ora ci vuole altro. Ci vogliono racconti più attuali! Sembra che la
modernità, che in questo Paese, in
“questo west che tutti si vogliono fottere”, prova ad arrivare, e arriva, con
trivelle, pale eoliche criminali, elettrodotti selvaggi, discariche clandestine,
gli chieda di essere cantata mischiata
alle tante arretratezze di qui e agli stessi miti del passato. Se è così, nel videoclip di Kowalski e nella omonima
canzone Il Pumminale, galleggia un
dato del preconscio di Vinicio. E il preconscio, anche quello di Vinicio, è quel
labile confine tra coscienza (che nel
suo, di Vinicio, disco è rappresentata
dalla cosiddetta Realtà) e inconscio
(che nel suo, di Vinicio, disco è fatto
corrispondere al mondo della Verità).
È questo l’animale, il preconscio, di
ogni canzone di questo suo nuovo cd.
È questa parte di sé la bestia che lo aggira sui confini. I versi che chiudono
video e canzone, quelli che dicono “se
me ne esco da queste botte/ non esco
più a vagare la notte”, esprimono una
suggestione ancora non tematizzata,
non ancora affiorata alla coscienza, ma
prossima a sconfinare nel diurno: uscirsene da “queste botte”, quelle de “la
notte” dei miti antichi, i miti del passato
IL CALITRANO
da cui Vinicio si sente forse imbrigliato. Forse è lui quel “ragazzo sulla soglia della conoscenza”. Forse proprio
perché avverte di dover chiudere con
quel tempo, in questa nuova raccolta,
prima di buttare il paranco alla porta,
mette insieme quanti più brani possibili. Forse realizza questo doppio album proprio perché avverte la necessità di liberare e lasciare aggirare
l’uomo/animale non più nell’inconscio
della notte, ma sull’incoscienza del
N. 61 n.s. – Gennaio- Aprile 2016
giorno. Vinicio sembra sentirsi pronto
a far vagare il suo spirito nel territorio
di nuovi miti, quelli sorti in questo Tartaro in cui si aggirano mostri che sfuggono alla classificazione zoologica e
che adocchiano questa terra remota e
oscura: i centimani della modernità distorta che, con le loro cinquanta bocche voraci e le loro cento mani fameliche, la devastano, la derubano e
aggrediscono. Credo che la sua, di Vinicio, incoscienza lo spinga a vederse-
la con loro, e a cantarli, come Esiodo e
Omero, magari con quella stessa musica folk che, secondo Dylan, non ha nulla di rassicurante. Così, per quanto il
pumminale possa essere “battezzato e
fatto compare”, non sarà mai portato
alla luce definitivamente. Si aggirerà
per sempre sui nostri bordi argillosi.
Del resto noi siamo stati battezzati non
con l’acqua chiara del fonte battesimale, ma con quella fangosa dei pantani
(Zompa la rondinella).
Carrara, 12.09.1965 e 12.09.2015.
I coniugi Cerreta Michele (R’zzond’) e Barbieri Fausta nel giorno del loro matrimonio, la celebrazione delle loro nozze d’oro e
con i figli Gianna, Elisa e Fabrizio
che augurano: “50 anni fa avete deciso di consacrare il vostro bellissimo
Amore con il Matrimonio
Sacrificio, Forza di volontà,Tolleranza, Pazienza, Rispetto reciproco,
Umiltà, Coraggio, Generosità
e tanto, tantissimo Amore! Con questi mattoncini, passo dopo passo avete superato tanti ostacoli e tante difficoltà e siete riusciti a creare la
nostra bellissima famiglia. Abbiamo
ricevuto molto da voi, ci avete trasmesso tutti quei valori fondamentali
che ci hanno permesso di crescere
nella semplicità e di apprezzare la
vita in ogni sua piccola cosa .... Siete
stati e siete tutt’ora un grande esempio diVita per noi. E per questo vi vogliamo gridare un immenso. GRAZIE. SIAMO MOLTO ORGOGLIOSI
DI VOI.VI VOGLIAMO UN MONDO
DI BENE!!!!”
Calitri, anni ’20. Maria Di Mila (22.01.1852
†16.09.1934 coniugata con Benedetto Cestone) con la nipotina Maria Rosa Cestone
(16.04.1922†23.07.2011 coniugata conVito Galgano).
Casa famiglia Calitri (presso suore di Gesù Redentore) 17.01.2016,Giornata in compagnia della fisarmonica tra canti e balli. Da sinistra in alto: Silvana Giammatteo, D’Alessandro Angela, suo Immacolata, Schettino Maria Luisa (mancin), Calabrese Gerardo, Zarrilli Concetta (scatozza), Di Cairano
Antonio( pind’), Di Cairano Lucia (pind’), Martiniello Antonio (lancier). A terra da sinistra: Macri Antonietta, Cestone Lucia (selvuaggia), Zarrilli Lucia (mammacenza), Bonzanini Daniele, Cubelli Giuseppe (cuviell), Metallo Michelina, Cestone Maria Teresa (mamma r i lancier), Conte Giuseppina, Cianci Francesca (lancera) e Iannuzzi Concetta.
16
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Genaio-Aprile 2016
I venti anni del Presepe Vivente
Il 26 dicembre 2015 si è svolta la 20a edizione del Presepe Vivente di Calitri, organizzato dal Circolo Aletrium.
Sin dalla prima edizione si è voluto ricordare il momento della nascita di Gesù Bambino, mentre sorprende tutti
noi nelle nostre vicende quotidiane, catapultati però nella Calitri dell’Ottocento, un po’ come figuratamente avveniva per i meravigliosi presepi napoletani del ‘700; e allora le figurine di legno e terracotta con i loro abiti e
strumenti si sono animati, sono divenuti persone in carne ed ossa, affaccendate nei loro mestieri nelle botteghe e
nelle case lungo le vie del centro storico di Calitri. Il falegname, il sarto barbiere, le ricamatrici, l’intagliatore, la
scuola, la “conversazione”, la serenata, il matrimonio, la “parlata”, e tanti altri ambienti sono stati ricostruiti con
estrema fedeltà, con costumi, mobili e oggetti d’epoca. Anche quest’anno sono giunti migliaia di visitatori, alla
riscoperta di angoli suggestivi e nascosti nel quartiere della Cascina, per la prima volta infatti ambienti e botteghe si susseguivano lungo via Fontana e nelle stradine adiacenti, con la grotta della Natività sotto l’ “Arco degli
zingari” in via Faenzari. Irrinunciabile infatti risulta sempre l’appuntamento con la riscoperta delle antiche tradizioni calitrane, messe in scena nella cornice natalizia, con la genuinità e la semplicità della vita quotidiana di
chi ci ha preceduto, lasciandoci una grande eredità di valori e saperi.
Germania, carnevale a Colonia, 06.02.2016. Da sinistra: Giuseppe Cianci (napulitan’), Eugenio Paolantonio, Maurizio Buldo (campanar’), Gioseph
Cialeo (nzacch’), Canio Galgano (bosck), Domenico Nappo (mimì r’ zi Paul’)
e Canio Cialeo (nzacca).
Montreal, Canada, 17.10.2015. I fratelli Di Cairano, Francesca, Elisa e Michele con la nipote Gina.
15.11.2015. Un folto gruppo di turisti calitrani in gita alla certosa di Padula.
Calitri 1975. Giovanni Gervasi (cap’zappa) partì in cerca di fortuna a Milano. Gli amici lo salutarono così! Da sinistra: Canio Fastiggi (ragazzino in primo piano), sul mulo Giovanni Gervasi (cap’zappa), dietro Vincenzo Quaranta (kembò, si vede appena), Mario Di Cairano (pind’), dietro
Vito Zabatta (mattaion’), con la chitarra Rodolfo Iannella (b’sciard’) e Vincenzo Galgano (brattiell’).
17
IL CALITRANO
Antonio Zazzarino
Antonio, Tonino
Allegro diminutivo in tono con la stazza
Piccola ma unta di ingegno
In cui l’affar nel mondo
Ha sempre tenuto piazza.
Scarpaio, attento alle mode
Produttore ed esportatore
Del velame ai piedi
Nella selva del calore tropicale
Lontano assai dalla tua terra natale.
Amante del valor dell’amicizia
Dell’attenzione e del frutto verde
Che nella Latina produttiva
Il kiwi come tuo principe imberbe.
E poi la lotta con te stesso
E il supporto nel donar di Maria
Ti ha concesso ancora una volta
Di far del mondo intero la tua via.
Alla fine però
Come i grandi fanno
Hai lasciato il segno
E da valoroso condottiero
Ti sei arenato nel silenzio
Lontano dal rumore
Nella grandezza del saper fare
Che nel tuo vivere
Ha raggiunto il mare.
Marco Bozza
2015
Calitri, 1969 circa, il complesso “I Muchachos” da sinistra:
Fatone Mario (24.09.1954 † dic. 1980), Di Milia Giovanni (paglier’) e Di Roma Giovanni (chiechieppa).
N. 61 n.s. – Gennaio- Aprile 2016
La parabola del niente
di Marco Bozza
a mitologia mediatica, la voglia di
Lca, evasione,
la narrazione fantastila baldoria collettiva sono le componenti di una visione effimera che
alimenta il sapore di un’Irpinia maestosa, tempio del vivere in pompa
magna, dove il tutto si concentra nel
sollazzamento imperiale. Il fulcro
della bellezza, il canto del silenzio
in cui immergersi per vivere magie
senza tempo.
Il cantore della fantasia, lo scultore
dell’astratto, il ferroviere nostalgico, l’artista meditabondo, il menestrello mistico possono anche vivere questo sogno quando la terra
intrappolata tra Puglia, Campania e
Basilicata la si solca per la prima volta con le proprie orme. Ma poi? Addentrandosi nei meandri per un tempo che vada oltre le poche ore, si
annebbia in un concetto assoluto: il
niente.
La parabola del niente è un fatterello che andrebbe raccontato in tv, al
cinema e anche alle creature sparse
su Marte, dove sembra ci sia il battito di vite diverse ma pur attente alla visione del circostante.
Questo fatterello lo posso raccontare io, lo puoi raccontare tu che leggi
se hai la bontà di guardarti intorno
senza coriandoli illusori, attenzionando la diretta corrispondenza tra
l’avanzare del tuo piede e l’assoluta
assenza di contrasto nell’incedere
dritto senza intoppi.
Il niente come magia dell’essere.
L’uomo e la donna irpini sono l’emblema di un sepolcro imbiancato in
balia del domani, che poi arriva e
continua in un altro domani senza
avere nulla a portata di mano che dia
al domani successivo nuova nota di
colore. Saltano i servizi, saltano gli
ospedali, aumentano le pale eoliche,
salta il muro di vitalità che connette
diritti-doveri-attenzioni-echi vitali
alla dignità umana.
Il niente nel muro dell’avere, come
qualità della vita che non spazia nella corsa al progresso, all’evoluzio18
ne, al surclassamento del muro tumefatto della perdizione, dell’ozio,
della passività e del passatempo luttuoso, o del gossip in cui la relazione diventa la fantasia più morbosa in
cui incasellare gli attimi di un tempo che non passa mai con le mani in
tasca.
Il niente come magia della cucitura
di un guanto culturale che afferra il
seme dello spazio nuovo e lo diffonde tra i solchi di un’area malata, contaminata, tra la scriminatura di molte teste che rifuggono dal pensiero e
si ammantano nell’acqua del placido canto dialettale, in cui la conformazione madrelingua sembra avere
il sapore dell’arabo.
La parabola del niente è fatta di mille aspetti, di assoluta tristezza nel
raccontare sempre aspetti nefasti, vite svitate, economie depotenziate,
infrastrutture assenti, esistenze mutate in sopravvivenze, civiltà arrancante.
Il mondo mediatico, a volte, ha il
potere di attrarre chi non nutre rispetto della propria autonomia di
pensiero, lasciandosi incantare dal
mito che non c’è, o dalla notorietà
di vivere in un secondo su una piattaforma paradisiaca che nel suo
moto ondoso ti butta giù al primo
colpo di vento.
La parabola, in gergo linguistico,
è un breve racconto che trascende
il suo significato letterale per esprimere un insegnamento morale o religioso. Ognuno di noi potrebbe
scriverlo un racconto, per poi confrontarlo con il racconto degli altri, e capire se l’orchestra può riprendere a ricompattarsi, o il
direttore può gettare, oltre il ponte della ferrovia, la bacchetta,
ascoltando almeno il tonfo dell’acqua, che nel suo inghiottimento tiene in piedi una piccolissima
forma di vita, insieme al ronzio di
enormi eliche che su altipiani fendono l’aria ondulante in confini di
assoluta libertà e senza sguardi.
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Genaio-Aprile 2016
D nuta la personale di Luigi Rainone, artista nostro concittadino. Dai numeal 23 dicembre al 03 gennaio, presso la Casa della Musica di Calitri, si è te-
rosi quadri si evince la caratteristica introspettiva del maestro, dove il colore fa
da protagonista. Non è certo la prima volta che le sue opere vengono esposte al
pubblico, ma questa ha suscitato grande interesse da parte del pubblico, tant’è che
l’evento si è protratto per alcuni altri giorni rispetto alla data di chiusura. Nelle
sue pitture, fatte di oggetti comuni, elementi architettonici classici, indumenti, pietre, poesie, legni bruciati, portali in pietra, ecc., forte è la vena metafisica, concettuale. Molto ha inciso, nel suo lungo e costruttivo percorso costellato di riconoscimenti nazionali, la ricerca dell’isolamento che si muta in protagonismo.
Scompone i suoi ricordi. Una banale camicia, ad esempio, non è un’opera d’arte, ma lo diventa nel momento in cui la si brucia, e le sfumature del tessuto arso
saranno uniche ed irripetibili. Estraniando l’oggetto dal normale contesto in cui
ogni giorno siamo abituati a (non) vedere, posto in primo piano e in tutt’altro ambiente attira la nostra attenzione, ci rapisce. È stato un momento di riflessione, di
raccoglimento, di ammirazione, per chi ha voluto omaggiare l’artista. Calitri ha
dato segno di saper apprezzare, di capire e (ri)scoprire che molto è anche in casa
nostra, non c’è sempre bisogno di cercare altrove un’ora di appagamento per lo
spirito, basta far due chiacchiere con le persone giuste.
Miseria e Nobiltà
Il 27 e 29 dicembre e il 02 e 04 gennaio, nel salone della
Comunità di Calitri, ha avuto moltissimo successo l’opera
teatrale “Miseria e nobiltà”.
Regia: Maria Di Milia. Produttrice: Maria Antonietta Pasqualicchio. Scenografia di Alba Cianci
Attori: Gaetano Guardione, Canio Zarrilli, Marina Mosca,
Maria Teresa Toglia, Maria Briuolo, Andrea Galgano, Carlo
Creddo, Antonio Fonso, Vito Cestone, Teresa Di Cecca, Salvatore Cestone, Vito Tateo, Maretta Capossela, Lucia Cestone, Vito Galgano, Giuseppe Cerreta, Antonio Rubino e
Gaetano Codella.
Il lavoro del gruppo teatrale è
lungo ed ammirevole. Tutti
sono stati all’altezza della
fama che tale commedia suscita ogni qualvolta si tenti di
metterla in scena. Semplice
non è confrontarsi con un’opera di tale portata. La preparazione costante e tenace degli
attori (supportati dalla regista
e dalla produttrice), ha saputo
ricompensare con lunghi e calorosi applausi del pubblico.
Questo pubblico, numerosissimo nelle tre serate (più di
mille presenze in totale) è
di E. Scarpetta
Commedia in tre atti
I teatranti del sipario
stato attento, complice e partecipe. La magnifica interpretazione dei personaggi ha saputo divertire, intrattenere, deliziare la platea per l’intera durata della rappresentazione scenica, tanto da richiedere una serata in più rispetto al previsto.
Drammatizzazione, presenza scenica, gestualità hanno concorso nella riuscita dell’evento.
Per quest’anno e per molti altri anni ci auguriamo che questa compagnia teatrale possa proseguire su questa scia e che
presto ci possa regalare altri eventi scenici, contribuendo
così alla rinascita della cultura del nostro paese. Ad maiora!
19
IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Gennaio- Aprile 2016
DIALETTO E CULTURA POPOLARE
A cura di Giovanni Sicuranza
Chi n’ staj a send’ a la mamma e a l’attan’
vaj spiert’ ra p’cc’l’tà
Chi non ascolta i consigli della madre e del padre va in rovina.
S’eia frasciata, oppure eia lanara
Ha abortito, oppure è una pecora che produce soltanto lana.
Detto anche di una persona sterile
Pot’ sc’ttà r’ lard’ a li can’
Può buttare il lardo ai cani, talmente è magro.
È un vero e proprio controsenso.
Lu ciucc’ r’ ciend’ patrun’ vaj carenn’
L’asino di cento padroni non si regge in piedi,
per malnutrizione.
Tutti fanno a scaricabarile per il sostentamento dell’asino.
Vacca chi pasc’ e cambana chi sona
Vacca pascola e campana suona
Detto di uno che fa orecchie da mercante
Na mamma raj a mangià a 10 figl’, ma riec’ figl’ n’
dann’ a mangià a na mamma
Una madre da da mangiare a 10 figli, ma 10 figli non danno
dà mangiare ad una madre.
L’hav’ fatt’ mett’ quatt’ pier’ ndo na scarpa
L’ha costretto a mettere quattro piedi in una scarpa
Gli ha dato filo da torcere.
Ropp’ ars’ Morra, venn’ a chiov’
Dopo che Morra è bruciata, è arrivata la pioggia
Dopo che un tale ha risolti i suoi gravi problemi,
tutti lo vogliono aiutare.
A casa r’ p’zziend’ n’ mancan’ tozz’
In casa di poveri non manca pane indurito.
Nonostante la miseria, c’è sempre qualcosa per i più poveri.
Un angelo di nome Sonia
Tutto è cominciato il 13 dicembre 1977. Lei è arrivata come un raggio di sole, un bocciolo che per 38 anni ha emanato la sua dolce fragranza nelle nostre
vite. La sua luce ha continuato a splendere sino a quel mattino del 28 gennaio,
quando la sua morte è stata annunciata da un'alba calda e splendida. Ha condotto una vita intensa e ricca, dedita al suo amato lavoro e alla sua famiglia,
ha dato tanto a tutti quelli che l'hanno conosciuta. Quello che ha fatto negli ultimi mesi, consapevole del suo tragico destino, non è stato preparare se stessa, ma regalare a chi le era accanto, forza e coraggio per andare avanti. Continuità: questo avrebbe voluto Sonia ed è quello che ci sarà. Il miracolo di Dio
per lei non è stato la guarigione, ma tanta fede per farle sopportare il dolore
atroce della sua inesorabile malattia, senza mai rifiutare i premurosi sguardi
di suo marito, la dolcezza dei suoi figli e la mano amorevole dei suoi genitori. Non neghiamo che ci mancano la sua voce e i suoi sorrisi, le sue raccomandazioni e le sue virtù, ma siamo tutti certi che d'ora in avanti si mostrerà
a noi con piccole, ma grandi cose. Un fiore è sbocciato ed è appassito troppo presto, lasciando in noi un ricordo indelebile e
un forte insegnamento: vivere appieno la propria vita, trasformando il dolore per la perdita in coraggio, saggezza e altruismo.
Arrivederci, AMORE.
tuo marito, Paola, i tuoi figli e la tua famiglia tutta
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IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Genaio-Aprile 2016
S O L I D A R I E TÀ C O L G I O R N A L E
Euro 15.90: Piccirillo Angelo (Serre).
Euro 20: Metallo Rosetta (Atripalda), Gallucci Cubelli Maria (Portici), De Nora Antonio (Verbania), Maffucci Maria Giovanna (Settimo M.se), Ciccone Gaetano (Caronno), Russo Luca (Milano),
Cubelli Vito (Foggia), Di Maio Lucia (Roma), Buonasorte Vittorio
e Simone M.Antonia (Castelfranco Emilia), Di Giuseppe Egidio
(Foggia), Codella Canio (Lavena Ponte Tresa), Zarrilli Vito (Roma),Vallario Lorenzo (Milano), Zabatta Vito (Capergnanica), Galgano Annina (Milano), Di Napoli Mario (Bollate),Di Napoli Fortunato (Garbagnate),Fastiggi Michele (Salerno), Cestone Vito e
Claudia (Buttapietra), Maffucci Donato patr’nett (Mariano C.se),
Maffucci Antonio patr’nett e Cristina (Novedrate), De Nicola Antonio (Grugliasco), Bozza Gaetano (Novedrate), Buldo Antonia
(Varallo Pombia), Galgano Antonio (Mariano Comense), Galgano
Franco (Oleggio), Cubelli Lucia Zaffagnini (Bologna),Zabatta Salvatore (Milano), Cestone Giovanni (Pinerolo), Senerchia Vincenzo (Casalgrande), Germano Pasquale (Casargo), Gautieri Vito
(Viano ), Cestone-Metallo (Bergamo).
Euro 25: Buldo Cesare Giovanni (Varese), Fastiggi Michele (Salerno),Tornillo Lucia (Salerno), Galgano Antonio (Novara), Zabatta Vito (Milano), De Nora Bartolomeo (Verbania), Leone Michele (Sologno), Milano Vincenza (Cascina), Restaino Giovanni
(Poggiotorriana), Di Carlo Alfredo (Avellino).
Euro 30: Lo Buono Maria Rosaria (Rimini), Maffucci Enza Savino (Roma), Panelli Mario (Pistoia), Cioni Giorgio (Pieve A Nievole), Bruniello Canio (Fiumicino), Cuppone Fernando (San Nicola), Cubelli Lorenzo (Bergamo), Russo Eleonora (Ventimiglia),
De Vito Antonietta (Roma), Ruggiero Canio e Antonia (Carugo), Di Napoli Maria Rosaria (Oppido Lucano).
Euro 35: Ricciardi Mario (Grottaferrata).
Euro 40: Caputo Canio (Carosino), Di Maio Vito Gaetano
(Trento), Maffucci Donato (Mariano C.se), De Rosa Carlo (Belluno).
Euro 50: Montagnani Roberto (FiglineVal D’Arno), Zabatta Michele (S. Giorgio a Cremano), Zabatta Antonio (?), Di Cairano
Vincenzo Codella Angela (Francavilla al Mare), Acocella Salvatore (Lancusi), Maffucci Antonio (Poggio a Caiano), Di Maio
Agnese Buono (Avellino), Cerreta Donato (Teramo), Acocella
Nicola (Roma),Tuozzolo Giovannino (Roma), De Maio Luigi
(Roma), Polestra Vincenzo e Holzbauer Friederike (Bolzano).
Euro 100: Scoca Maretta (Roma), Famiglia Fastiggi (Avellino).
DA CALITRI
Euro 10: Gervasi Giovanna, Maffucci Vincenza Rosaria, Zabatta Vincenzo e Scoca Maria, Di Muro Claudio, Margotta Angela,
Stingone Antonio, Maffucci Canio Luciano, Bavosa Antonio, Stia
Vincenzo, Lucrezia Angelomaria e Buldo Vittoria, Carameli Maria Catena, Giuseppe Di Roma, Euro 15: Rubino Maria Celeste, Cestone Michele, Armiento Matilde, Maffucci Emilio Antonio, Galgano Rosetta e Lucrezia Gabriele, Del Moro Pasquale,
Schettino Lucia, Melaccio Rosa.
Euro 20:Vallario Lorenzo, Cubelli Giuseppe,Armiento Michelangelo, Acocella Attilio, Simone Pasquale, Zabatta Rocco, Di
Cecca Angelomaria, Di Maio Maria Vincenza, Errico Vito, Cialeo
Vincenzo, Di Milia Pietro, Rubino Antonietta, Lampariello Serafina, Gallucci Vincenza, Lampariello Titti, Tornillo Berardino Valle Ofanto, Cerreta Vincenzo e Scoca Teresa, Iannella Rodolfo,
D’Ascoli Valente, Strollo Salvatore e Luongo Sandra,Russo Angelo, Di Milia Giovanni via Dante, Bavosa Antonio, Bovio Cosimo e Lucia, Codella Francesco, Codella Teresa.
Euro 25 : Arciconfraternita Immacolata Concezione.
Euro 30: Polestra Fortunato,Abate RicciardiVincenza, Margotta
Canio, Di Maio Canio e Savanella Anna Maria, Caterina Miele,
Di Napoli-Di Carlo Antonia, Nannariello Antonietta, Tuozzolo
Vito Nicola.
Euro 50: Zampaglione Vincenzo, Luongo Antonio, De Nicola
Vito e Filomena.
Euro 150 : Di Cecca Giuseppe e Gallo Gaetana.
Euro 495 : Comune di Calitri.
DA VARIE LOCALITÀ ITALIANE
Euro 5: Pignata Rosa (Contursi Terme), Sepulcri Loretta (Roma), Scilimpaglia gaetanina (Roma), Scoca Canio e Gervasi Benedetta (Sasso).
Euro 9: Anonimo (Arese).
Euro 10: Balleri Paola (Livorno), Rabasca Canio (Nova M.se),
Cianci Francesca in Margotta (Roma), Maffucci Canio (Napoli),
Cerreta Michele (Carrara), Zamperlin Giuseppe (Aprilia), Di
Cairano Antonio (Guidonia), Araneo Vincenza (Mariano C.se),
Ricciardo Giacinta (Torino), Zabatta Claudio (Fontenuova),Vallario Francesca (Salerno), Di Cosmo Concetta (Poggibonsi), Lamanna Pasquale (S.Andrea di Conza), Giuliano Angela (Casalgrande), Malanca Canio (Lentate sul Seveso).
Euro 15: Zabatta Salvatore (Supersano), Di Napoli Giuseppe
(Brescia), Cafazzo Filomena (Bisaccia),Armiento Angelina (Scandicci), Grippo Francesco (Morra de Sanctis), Libreria Già Nardecchia (Roma), Margotta Teresa (Cesano Maderno), Cianci Mariantonia (Bollate), Lantella Salvatore (Torino), Cicoira Teobaldo
(Nova Milanese), Donatiello Giovanni (Usmate Velate).
DALL’ESTERO
BELGIO: Euro 50 Gautieri Dario, euro 20 Di Carlo Raffaela,
CANADA: Euro 50 Di Cairano Elisa
SVIZZERA: Euro 30 Galgano Antonio e Di Cosmo Giuseppina, Galgano Camillo, Euro 15 Di Milia Giuseppe,
URUGUAY: Euro 20 Lampariello Margherita Di Maio,
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IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Gennaio- Aprile 2016
MOVIMENTO DEMOGRAFICO
Rubrica a cura di Anna Rosania
I dati relativi al periodo dal 01 novembre 2015 al 31 gennaio 2016
sono stati rilevati presso l’Ufficio Anagrafe del Comune di Calitri
DECESSI
NATI
Di Mattia Giulia di Giuseppe e di Fatone Francesca
Lettieri Futura di Angelo e di Altieri Giovanna
Borea Vincenzo di Canio Iseo e di Russo Marirosa
Tornillo Sara di Giuseppe e di Bilotta Annamaria
Pepe Mia di Mario e di Di Cecca Maria Antonietta
Carbonara Alessia di Piero e di Scilimpaglia Laura
Cappiello Chiara di Giuseppe Michele
e di Paolercio Marisa
Jaiteh Jamal Kawsu di Lamin e di Fierravanti Katia
Di Napoli Vincenzo di Marco e di Cianciulli Monica
14.10.2015
19.10.2015
05.11.2015
07.11.2015
17.11.2015
18.11.2015
Galamaga Oleg
Cestone Canio
Metallo Giovanni Battista
Cialeo Antonia
Sicuranza Vincenzo
Maffucci Maria
Donatiello Luigi
Marrese Lidia
Codella Vincenzo
Maffucci Rosa
Codella Mariantonia
Nicolais Angelomaria
Cestone Maria
Di Salvo Michele
Cestone Pasquale
Margotta Rosetta
Bozza Canio
Pennella Felicetta
Cesta Alessandro
Giarla Sonia
25.11.2015
09.01.2016
24.01.2016
MATRIMONI
Palma Filippo e Nikolova Liliya Petrova
Granata Sebastiano e Shkurta Fatmira
Margotta Antonio e Di Luzio Tania
07.11.2015
23.12.2015
23.12.2015
18.02.1966 - † 24.02.2015
30.01.1931 - † 30.10.2015
29.05.1931 - † 03.11.2015
04.01.1921 - † 11.11.2015
13.01.1927 - † 12.11.2015
26.10.1924 - † 20.11.2015
25.04.1926 - † 22.11.2015
22.04.1928 - † 24.11.2015
16.01.1934 - † 09.12.2015
08.02.1927 - † 10.12.2015
14.06.1927 - † 11.12.2015
28.06.1932 - † 12.12.2015
05.11.1940 - † 12.12.2015
20.10.1940 - † 16.12.2015
04.08.1943 - † 23.12.2015
07.02.1937 - † 25.12.2015
29.11.1923 - † 01.01.2016
22.09.1924 - † 11.01.2016
19.02.1925 - † 21.01.2016
13.12.1977 - † 28.01.2016
Ci scusiamo per qualsiasi eventuale errore.
Pennella Felicetta
Russo Maria Michela
22.09.1924†11.01.2016
21.05.1924†01.03.2006
A mia madre: maestra di vita.
Mamma, la tua dipartita ha rafforzato in me l’idea che, durante la
nostra esistenza, alcuni dolori non si possono nascondere né sotterrare. Non ti nascondo che ci sono anche dolori tipici di una donna che non possono essere capiti da nessun uomo, comunque e qualunque siano con lui i rapporti. Sono sicura che nel cuore di una
madre c’è un grande equilibrio: minimizzare sempre e comunque
le colpe dei figli perché essi sono frutto di un immenso amore e di
tanta misericordia, sentimenti, questi, che scaturiscono da quel Divino ed Eterno Essere figli dell’Altissimo. In un attimo tremendo,
quando la vita tendeva alla fine, ho capito che quel nido d’amore,
dove ci hai messo al mondo, è diventato per tutti noi, a causa del
normale scorrere della vita, troppo fragile, stretto e poi portato via dal vento impetuoso perché su questa terra nulla
è per sempre. Sebbene in un attimo tutto finisce, io sono
convinta che, alla luce dei tuoi tanti insegnamenti, tutto
continuerà e si ripeterà proprio come il giorno si alterna
alla notte. Mi resta indelebile la certezza e la consolazione di un pensiero di P.(San) Pio: “nella vita due sono le cose che non ti abbandonano mai: il cuore di una madre e l’occhio di Dio”. Oggi per me è doveroso renderti grazie per
il dono della vita perché è proprio la vita vera unica opportunità per conoscere ed amare Dio con i fatti (con le opere di bene). Sì! Questa è la fede che mi lasci e che mi riconduce al Fine ultimo in virtù del quale vivo.. è
meraviglioso quando il m io pensiero vola a te, perché ti
ritrovo sempre al tuo posto, nel mio cuore, dove, gioiosamente, ti vengo a cercare al riparo delle Ali del Signore Dio
nostro, Padre dei vivi e dei morti.
Ciao mamma,
Caterina
A mia Madre
Nel silenzio della mia anima,
un urlo trattenuto:
“Mamma dove sei?
Ho bisogno di te”.
Alzo il telefono e non sento più la tua voce
che mi risponde “pronto” pacatamente
Il dolore è un grande macigno che mi opprime.
La nostalgia spinge le lacrime
che vogliono dire
ciò che quando eri in vita,
per educazione o per pudore,
non ti ho mai detto
“Mamma come sei bella!”
“Mamma ti voglio bene!”
“Mamma abbracciami!”
“Mamma accarezzami!”
“Mamma dammi un bacio!”
“Mamma consolami!”
“Mamma stringimi a te!”
“Mamma scusami!”
Come vorrei rivederti
solo per un attimo
per potertele urlare!
Se però sei nell’universo
ti arriveranno sulle ali
di un vento impetuoso che spira
dal mio cuore.
Accoglile, mamma, e perdonami per il ritardo.
Enza Milano
Cascina, 3 febbraio 2016
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IL CALITRANO
N. 61 n.s. – Gennaio-Aprile 2016
R E Q U I E S C A N T
I N
P A C E
Sonia Giarla
13.12.1977†28.01.2016
Canio Cestone
30.01.1931 † 30.10.2015
Guardare oltre il vedere.
Preludio di gioia infinita.
Tuo marito, i tuoi figli, i
tuoi genitori e i parenti
tutti.
I retti possederanno la
felicità
(Proverbi 28/10)
Gerardo Ruggiero
03.02.1965 † Carugo
04.01.2016
Lorenzo Vallario
10.07.1926†05.10.2015
Michele Cesta
22.11.1923†26.01.2015
“Padre, se anche tu non
fossi il mio
padre, se anche fossi a me
un estraneo,
per te stesso egualmente
t’amerei.”
La famiglia lo ricorda
con immenso affetto.
La tua fiamma si è spenta
ma rimarrà sempre accesa
nei nostri cuori.
Canio Fierravanti
11.11.1893†31.12.1954
Luigi Caruso
12.05.1923†22.07.2015
Concetta Russo
07.04.1897†11.09.1978
Mia eredità sono i tuoi
voleri per sempre
(Salmi 119-111)
A tutti coloro che lo
conobbero e l’amarono,
perché rimanga vivo il suo
ricordo.
I suoi cari
Lei è passata, ma nella
memoria di tutti
ha lasciato la forma
del suo volto sorridente,
quale messaggio di speranza
e di fede nell’amore
a Dio Padre a cui Cristo
riconduce tutti, rinnovando.
Donato Scoca
02.04.1953 †22.12.2015
Giuseppe Scoca
28.08.1927 † 03.05.2015
Lucietta Nannariello
20.03.1937†Caracas
29.01.2015
Inaspettatamente la
malattia ti ha rapito al
nostro affetto
dopo una vita di lavoro e
sacrifici
per la famiglia che hai
sempre amato.
Nel conforto della fede,
dell’amore e della
speranza in Cristo,
con immenso amore tua
sorella Maria ti porta
sempre nel cuore.
In ricordo del tuo profondo
amore per la vita e per la
famiglia che è sempre stata
al primo posto nel tuo
cuore insieme ai più cari
parenti e amici a cui non
facevi mancare mai il tuo
pensiero e il tuo affetto.
Con tutto l’amore del
mondo, tua figlia Maria.
Giuseppe Fierravanti
10.01.1929†Australia
21.04.2015
Vincenzo Codella
16.01.1934†09.12.2015
Un pensiero per il nostro
caro Gerardo che ogni
giorno ci guarda da lassù.
I genitori Canio e Antonia
e il fratello Donato.
Lampada per i miei passi è
la tua parola,
(Salmi 119-105)
L’onestà è stato il suo
ideale,
il lavoro la sua vita,
la famiglia il suo affetto.
A tutti coloro che lo
conobbero e l’amarono
Perché rimanga vivo il suo
ricordo.
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Angela Maria Giuseppa
Fierravanti
09.08.1927†02.10.2008
Grazie Padre mio,
mi hai dato la tua Croce e
mi hai spalancato le porte
del tuo Regno.
Nel ricordarmi di te, a un
anno dalla tua scomparsa,
torna forte anche il ricordo
di papà che ci lasciò
esattamente lo stesso giorno
di quaranta anni prima,
come se il volgere del
tempo vi avesse nello stesso
punto. Adesso siete insieme
nell’abbraccio di Dio.
La sorella
In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio Postale di Firenze CMP
per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Calitri, 20.08.2015 festa dei nati nel 1945. Compiono 70 anni, da sinistra in fondo: Canio Zabatta, Canio Di Carlo, Agostino Caracciolo di Torchiarolo e Vincenzo Russo. Penultima fila da sinistra: Giuseppe Di Cairano, Mario Maffucci, dietro Antonio Cesta, Francesco Vincenzo Basile, Canio Cerreta. Dietro: Gerardo
Codella, Luigi Zabatta, Angelo Cetta e Pasqualina Di Maio. Ultima fila da sinistra: Lucia Pasqualicchio, Luigi Salvante, Antonia Galgano, dietro Gabriele Lucrezia,
Michelina Inverso, Antonietta Coppola, Maria Di Milia e Francesca Cestone. Davanti: Luigi Nicolais, Mario Petito, Marisa Zabatta, Vincenzo Nannariello, Vincenza Di Maio e Giuseppina Caputo.
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Numero 61 - Il Calitrano