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CE.S.VO.P.
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QUADERNI
del CE.S.VO.P.
1^ Edizione 2007
1^ Ristampa 2008
Stampato in Italia
Copyright 2008
PittiGrafica s.a.s. Tecniche Editoriali
Il quaderno è stato realizzato con
il contributo del Comitato di Gestione per il Fondo Speciale
per il Volontariato della Regione Siciliana
finanziato dalle Fondazioni
- Compagnia di S. Paolo
- Monte dei Paschi di Siena
- Cariplo
- Banco di Sicilia
Quaderni monografici a cura di Vincenzo Borruso
In copertina: BEN SHAHN, Ritratto di Freud, 1969, Collezione Privata, New York.
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QUADERNI
ALZHEIMER
PALERMO
Associazione Italiana Lotta
alle Malattie dell’Età Geriatrica
ONLUS
CE.S.VO.P.
V. Picciolo, A. Di Prima, A. Ferlisi, T. Giambartino,
A. Lo Bue, L. Sutera, L. Vernuccio.
BIANCA
Cesvop
SOMMARIO
Pag. 107
Presentazione
del Prof. Mario Barbagallo
»
119
Premessa
»
111
1. L’esperienza del lavoro medico e psicologico con il
malato di Alzheimer
»
117
2. Le domande più comuni dei familiari
»
123
3. La famiglia del malato di Alzheimer
»
129
4. Alcuni piccoli suggerimenti ai familiari
»
131
5. I disturbi del comportamento
»
143
6. Come parlare al malato di Alzheimer
»
145
7. Consigli pratici per le più comuni difficoltà nella
vita quotidiana
»
153
8. La lettera di un familiare: E poi? Dalla nostra parte.
Dalla loro parte
»
155
Immagini del Giardino e dei padiglioni del Centro
Educativo Alzheimer (CEA) c/o l’ex Ospedale Psichiatrico - A.U.S.L. N. 6 di Palermo
(foto di D. Conigliaro)
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PRESENTAZIONE
Perché nasce questa guida pratica
per i familiari del malato di Alzheimer
La Malattia di Alzheimer è una patologia tra le più
devastanti che affliggono la nostra società. È una malattia che sconvolge la vita non solo del malato che viene
direttamente colpito, ma anche dei familiari ed in generale di coloro che gli sono vicini, alle prese con il quotidiano, doloroso disagio di vivere con qualcuno che, giorno dopo giorno, vede sfuggire non solo la propria memoria ma anche le proprie capacità ed abilità, e poi anche
l’autosufficienza.
Per venire incontro alle esigenze dei malati e delle
famiglie nasce l’associazione ALMA-Alzheimer UnitiONLUS, una associazione di volontariato che ha sede
presso il Centro U.V.A. (Unità Valutativa Alzheimer) n°6,
localizzata presso la Cattedra di Geriatria del Policlinico
di Palermo da me diretta. Un gruppo di entusiasti volontari che comprende familiari ed esperti del settore quali
medici, psicologi, farmacisti, assistenti sociali, ha scelto
di concentrare la propria attenzione sull’attuazione di
interventi concreti al fine di migliorare le condizioni del
malato ed alleviare i disagi della sua famiglia.
È in questa prospettiva che ha organizzato il proprio
lavoro sul territorio siciliano collaborando con istituzioni operanti già prima della nostra, quali l’Associazione
Alzheimer di Palermo, in modo che vecchie e nuove
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istanze potessero essere unificate, anche dal punto di
vista della ricerca scientifica, con il patrocinio della
facoltà medica dell’Università di Palermo.
È con soddisfazione, quindi, che presento questo
manuale informativo rivolto ai familiari dei pazienti
affetti da malattia di Alzheimer, nato dall’entusiasmo di
persone esperte, ma scritto in linguaggio semplice e che
vuole rispondere alle domande più frequenti che i familiari ci rivolgono.
Questa iniziativa potrà essere uno strumento utile a
molte famiglie, che nel manuale potranno trovare alcune risposte ai loro tanti “perché?” dell’esperienza quotidiana di una vita vissuta con il malato di Alzheimer. Questo è solo il primo di ulteriori nuovi interventi integrati
dei volontari della Associazione ALMA-Alzheimer Uniti-ONLUS finalizzati a fornire risposte “appropriate”
alla complessità dei bisogni socio-sanitari dei “soggetti
più fragili e più deboli”.
Prof. Mario Barbagallo
Direttore della Cattedra
della Scuola di Specializzazione in Geriatria
e della Unità Valutativa Alzheimer (UVA) n.6 di Palermo
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PREMESSA
Questo opuscolo nasce dalla nostra esperienza di lavoro iniziata nel 2000 all’interno del Progetto Cronos e
dell’Unità Valutativa Alzheimer (U.V.A.) n°6 presso la
Cattedra di Geriatria dell’ospedale Policlinico “P. Giaccone” di Palermo.
Tale attività ha riguardato gli aspetti valutativi diagnostici delle funzioni neuropsicologiche e affettive dei
pazienti anziani con sospetta demenza, nonché attività
di conduzione di gruppi di sostegno per familiari di
pazienti affetti da Alzheimer sia all’interno dell’Istituto
Universitario, sia presso il centro diurno dell’Associazione Alzheimer di Palermo. Dalla conoscenza diretta
dei pazienti e delle loro famiglie abbiamo avuto modo di
constatare il notevole bisogno di informazioni relativo a
questa realtà che ha assunto via via anche nella nostra
provincia, come in Italia e in tutti i paesi sviluppati, una
elevata incidenza sociale.
In primo luogo è decisivo, infatti, saper riconoscere i
primissimi segnali con cui “in tempi non sospetti” comincia a manifestarsi questa malattia, come pure individuare quali sono i possibili fattori di rischio in grado di
influenzare in modo silenzioso, ma poi irreparabile, il
funzionamento cognitivo, emotivo e comportamentale
della persona candidata alla demenza e ciò al fine di atti9
vare in tempo utile le possibili e più idonee contromisure.
Dal punto di vista, poi, della possibilità di intervento
con strumenti efficaci, oggi, nonostante gli enormi passi
avanti compiuti dalla ricerca scientifica in questi ultimi
anni, non sono per il momento in commercio farmaci
capaci di “guarire” la demenza. Ciò rende ancora più
importante la necessità di focalizzare l’attenzione sugli
aspetti funzionali e riabilitativi e sottolineare con forza,
quindi, il ruolo decisivo giocato dal contesto familiare
come insostituibile “attivatore” e “riabilitatore” della
personalità e delle competenze della persona malata.
Coloro che ormai da tempo sono “costretti” ad avere a
che fare con un proprio caro affetto da demenza si trovano in condizioni di solitudine, di affaticamento fisico ed
emotivo, di incertezza e confusione sul da farsi con una
attivazione impropria di moltissime risorse e di energie
non canalizzate. Tutto ciò non consente di agire dove e
come invece c’è bisogno e provoca un logoramento (stress
fisico ed emotivo) che in realtà non solo non consente di
aiutare e supportare il malato, ma produce ulteriori danni
(fisici e psicologici) e malattie in chi lo accudisce.
Alla luce di queste considerazioni si è ritenuto utile la
stesura di questo opuscolo, quale strumento di aiuto concreto per le famiglie e per tutti coloro che hanno quotidianamente a che fare con persone affette dalla malattia
di Alzheimer.
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1.
L’esperienza del lavoro medico e psicologico
con il malato di Alzheimer
Lavorando come geriatri e psicologi abbiamo avuto
l’opportunità di vedere centinaia di pazienti affetti da
declino cognitivo e da malattia di Alzheimer e ciò che ci
ha maggiormente colpito è l’enorme diversità e varietà
delle manifestazioni cliniche con cui questa malattia si
presenta, nonostante il fatto che tutti i pazienti abbiano
la medesima diagnosi e soffrano del medesimo processo
degenerativo.
Ci si trova di fronte ad una varietà caleidoscopica di
lesioni e disfunzioni, mai esattamente identiche, in pazienti diversi le cui disfunzioni neurologiche interagiscono con tutto ciò che vi è di specifico ed unico in ogni
individuo.
L’Alzheimer può presentarsi sotto forma di sindrome, ma può altresì manifestarsi come una serie di sintomi isolati, solitamente quasi impercettibili, tanto da rendere difficile l’inquadramento e ritardando l’identificazione della malattia. Possono verificarsi disturbi irrilevanti del linguaggio e della memoria, deficit indefinibili
della sfera percettiva come illusioni momentanee o percezioni erronee, sfumati disturbi del pensiero come la
difficoltà a capire una battuta spiritosa o a seguire un
ragionamento. In generale le prime ad essere colpite
sono le funzioni cerebrali associative complesse ed in
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queste prime fasi della malattia le disfunzioni tendono
ad essere effimere e momentanee. Ben presto, tuttavia,
seguono l’incapacità ad eseguire movimenti preordinati, a riconoscere oggetti di uso comune, e più accentuati
disturbi cognitivi, della memoria, del comportamento,
del pensiero e dell’orientamento spazio-temporale, che
alla fine convergono in un unico quadro di demenza.
Con il progredire della malattia tendono ad apparire
imponenti i disturbi sensoriali e motori, accompagnati
da spasticità, rigidità, contrazioni muscolari involontarie, spesso turbe dell’equilibrio e parkinsonismo. Alla
fine, nell’ultima fase di questa devastante malattia si
possono osservare i più svariati sintomi neurologici, sebbene la malattia sia progredita in modi diversi nei vari
pazienti. Considerata, dunque, la varietà delle forme
con cui la malattia si presenta, nonché il carattere di
mosaico ad essa impartito dal particolare sistema neuronale coinvolto, è possibile capire come l’Alzheimer sia
una malattia polimorfa sia per la vasta gamma di modi
con i quali essa può influenzare l’esperienza e il processo cognitivo, sia per i modi con i quali l’organismo colpito reagisce e vi si può adattare. Particolare attenzione si
dovrà riservare a come simili pazienti possano essere
aiutati.
Si afferma talora che i pazienti affetti da Alzheimer
non si rendano conto di avere dei problemi e che perdano sin dall’inizio il senso di introspezione e di analisi.
Sebbene ciò possa essere vero, l’esperienza ci ha insegnato che è molto più frequente il contrario: i pazienti
comprendono la propria situazione sin dall’inizio e spesso sono atterriti o sgomenti. Ci sono pazienti che restano
in uno stato di profonda paura mano a mano che perdono le loro capacità intellettuali e si trovano a vivere in un
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mondo frammentario e caotico. Riteniamo che la maggioranza dei nostri pazienti diventi progressivamente
più tranquilla via via che smarrisce il senso di ciò che ha
perduto e si trova a vivere in un mondo più elementare,
irriflessivo che non obbedisce alle leggi della ragione e
che segue il codice del non senso.
Le performance di questi pazienti possono risultare
molto scadenti nei test di valutazione delle funzioni
cognitive nonostante siano in grado di descrivere perfettamente, con chiarezza, vivacità d’espressione, correttezza e senso dell’umorismo, alcune situazioni contingenti, o siano capaci di cantare una canzone, raccontare
una storia, recitare una parte, coltivare un orto, suonare
uno strumento o dipingere un quadro senza incontrare
difficoltà di rilievo. In un certo senso si osserva una storia di caos organizzato dalle modalità con cui il cervello
viene a patti con se stesso, tanto che sembra di occuparsi
di un organismo che lotta per preservare la propria identità anche nelle circostanze avverse. Ciò significa che il
paziente affetto da Alzheimer, in fondo, può rimanere sé
stesso, in grado di provare emozioni e relazioni normali
fino a fasi avanzate della malattia.
La relativa conservazione dell’identità personale consente una vasta gamma di attività terapeutiche e di sviluppo che hanno in comune il fatto di sfruttare proprio le
capacità dell’identità personale residua. Lezioni di musica, frequentazione di funzioni religiose, giochi, gruppi
artistici e recitativi, giardinaggio terapeutico e cucina
possono, per esempio, ancorare il paziente, trattenerlo
nel suo processo degenerativo e ripristinare, anche solo
per una volta o per poco, un centro di attrazione, un interesse, un’isola di identità personale. Melodie familiari,
poesie, storie possono essere ancora riconosciute e rice13
vere adeguata risposta nonostante la malattia sia in uno
stadio avanzato. Si tratta di una risposta associativa, in
grado di riportare indietro per un po’ molti dei ricordi
del paziente; i suoi sentimenti, le competenze possedute
e i suoi mondi, servono a un risveglio quanto meno temporaneo e utile a restituire la pienezza della propria vita
a pazienti che altrimenti sarebbero lasciati soli, ignorati,
abbandonati in uno stato di assenza dal mondo reale, disorientati e confusi in una realtà che non riconoscono e
che li impaurisce.
L’invecchiamento di per sè non comporta necessariamente un declino cognitivo: moltissimi anziani sono intellettualmente e neurologicamente integri, tanto che
molti dei pazienti che pervengono a visita sono ottuagenari, intellettualmente attivi che hanno mantenuto il
gusto per la vita, i loro interessi e le loro facoltà; nel cervello, nella mente, non vi è nulla di automatico in quanto
questo organo cerca costantemente a ogni possibile livello, dalla semplice percezione all’elaborazione di un
pensiero, di categorizzare il mondo, di comprendere e
dare significato alla propria esperienza. Si tratta in definitiva di poter permettere di vivere una vera vita, nella
quale l’esperienza non è mai uniforme, ma cambia in
continuazione, ponendo sempre nuove sfide, richiedendo costantemente e sempre più un’integrazione complessiva. Non è sufficiente che il cervello si limiti a funzionare mantenendo uniforme la propria funzione come
fa il cuore, esso deve avventurarsi e progredire per tutta
la vita.
Il concetto stesso di salute o di benessere esige una
definizione particolare per ciò che concerne il cervello
tanto che nel paziente che invecchia occorre saper
distinguere tra longevità e validità: robustezza costitu14
zionale e fortuna possono contribuire ad una vita lunga
e sana.
Se il cervello vuole rimanere sano deve rimanere attivo fino all’ultimo, chiedendo, indagando, giocando,
esplorando e sperimentando fino alla fine. Queste attività o stati d’animo possono non essere rilevati dagli esami
radiografici che si eseguono e che riprendono il nostro
cervello nelle sue diverse funzioni e neppure, peraltro,
dai test neuropsicologici, ma sono proprio loro, tuttavia,
che determinano lo stato di salute del cervello e ne consentono lo sviluppo per tutta la vita.
15
2.
genetica, infiammatoria, virale, ambientale.
È probabile che tutti questi fattori concorrano a determinare la malattia, che consiste in una degenerazione e malfunzionamento delle cellule che costituiscono il
cervello (neuroni).
Le domande più comuni dei familiari
Cos’è la malattia di Alzheimer?
II morbo di Alzheimer è la forma più comune di
demenza, rappresenta infatti il 60% di tutti i tipi di deterioramento delle funzioni cognitive dell’età avanzata.
Cos’è la demenza?
La demenza è una malattia cronica progressiva caratterizzata da un insieme di sintomi che consistono nel peggioramento di alcune funzioni cognitive quali memoria,
capacità di risolvere i problemi quotidiani, linguaggio,
capacità di orientarsi nello spazio, ecc., e che progredisce
con il trascorrere del tempo, fino a provocare l’abbandono
delle attività sociali e lavorative della persona.
A che età si manifesta?
II morbo d’Alzheimer è un disturbo dell’età avanzata:
raramente colpisce le persone prima dei 60 anni di età e
la probabilità che si manifesti cresce con l’avanzare dell’età. Infatti è affetto da morbo di Alzheimer circa il 5%
della popolazione al di sopra dei 65 anni; la percentuale
raggiunge l’11% in persone tra gli 80 e gli 85 anni e il 30%
negli anziani che hanno più di 85 anni.
Qual’è la causa della malattia di Alzheimer?
Le cause del morbo di Alzheimer non sono ancora
conosciute. Attualmente sono state fatte alcune ipotesi:
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La malattia d’Alzheimer è contagiosa?
No, essa non è causata da un agente infettivo trasmissibile e per questo non si trasmette con il contatto tra
una persona e l’altra.
La malattia d’Alzheimer è ereditaria?
No. Come in molte altre malattie si eredita una maggiore predisposizione a svilupparla, ma perché la malattia si manifesti sono necessari altri fattori che ancora
non conosciamo.
Esiste una cura?
Pur non esistendo, attualmente, un trattamento in
grado di guarire, la malattia può e deve essere curata.
Infatti un’associazione combinata di terapie farmacologiche e non-farmacologiche (riabilitazione, sostegno
psicologico ai familiari, ecc.) può rallentare il declino
mentale della persona, mantenere attive le funzioni ancora presenti più a lungo nel tempo e migliorare così la
qualità di vita del malato e dei suoi familiari.
Come viene fatta la diagnosi?
Per giungere ad una diagnosi gli specialisti fanno
un’accurata valutazione neuropsicologica, con diversi
strumenti diagnostici (il colloquio clinico, una batteria
di test e alcuni esami di laboratorio, ad es. TAC, RM,
ECG, etc.)
Qual’è l’aspettativa di vita?
Dopo l’esordio della malattia, l’aspettativa di vita
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varia dai 7 ai 10 anni; seppure alcuni pazienti raggiungano i 12-15 anni di sopravvivenza. È stato osservato, inoltre, che i pazienti con una più accurata assistenza e una
migliore qualità di vita hanno maggiori probabilità di
vivere più a lungo.
Come si manifesta la malattia?
La malattia di Alzheimer colpisce ciascuna persona
in modo differente e il suo impatto dipende, in larga
misura, dalle caratteristiche individuali del paziente e
cioè:
1) dalla sua personalità;
2) dalle sue condizioni fisiche;
3) dal suo stile di vita.
I sintomi possono essere meglio compresi se rapportati alle tre fasi del suo decorso: la fase iniziale, intermedia e terminale.
Malattia di Alzheimer in fase iniziale
In questa fase, che può durare alcuni anni, la persona
è ancora autosufficiente, ma presenta una serie di disturbi di tipo neuro-psicologico, come:
• perdita di memoria per eventi recenti (es. il paziente
non si ricorda dove ha riposto oggetti di uso comune,
cosa ha mangiato a pranzo, ecc.);
• lievi deficit del linguaggio (difficoltà ad evocare
nomi di tipo comune o anomia);
• disorientamento temporale (es. a volte il paziente
può non ricordare che giorno è, il mese ecc.);
• modificazioni del carattere;
• impoverimento del pensiero astratto e dalla capacità di giudizio;
• difficoltà a ricordare la strada di casa;
• difficoltà a prendere decisioni;
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• perdita d’iniziativa e motivazione;
• segni e sintomi di depressione o nervosismo;
• perdita di interesse verso la propria attività lavorativa e i propri hobby.
Malattia di Alzheimer in fase intermedia
Con il progredire della malattia, i problemi diventano
più evidenti. Il malato presenta difficoltà nella vita quotidiana, si aggravano i deficit neuropsicologici e si evidenziano disturbi del comportamento:
• incapacità di apprendere nuove informazioni, peggioramento dei disturbi della memoria;
• difficoltà a riconoscere ed a orientarsi, anche in
ambiente familiari;
• peggioramento del disorientamento temporale (il
paziente non ricorda che giorno è, il mese, ecc.);
• difficoltà a riconoscere gli oggetti, i volti delle persone, i luoghi, ecc. (agnosia);
• perdita della capacità di eseguire movimenti volontari (aprassia); es. non riesce ad allacciarsi le scarpe;
• comportamenti inappropriati in pubblico;
• riduzione del linguaggio spontaneo (frequenti anomie e uso di frasi fatte);
• comportamento aggressivo; deliri e allucinazioni,
ecc.
Malattia di Alzheimer in fase avanzata
Questa fase è caratterizzata da una totale dipendenza
del malato dai propri familiari; egli deve essere assistito
e controllato in ogni momento della giornata. Il disturbo
della memoria è molto grave e le componenti fisiche
della malattia divengono più evidenti. La persona può
sviluppare:
• incapacità a riconoscere familiari, amici e oggetti
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noti;
• difficoltà a capire o interpretare gli eventi; incapacità ad esprimersi;
• incapacità a camminare (il paziente dovrà utilizzare
una sedia a rotelle);
• incapacità a orientarsi dentro la propria abitazione;
• incontinenza per urine e feci;
• difficoltà nella deglutizione (il paziente viene alimentato artificialmente);
• rischio di complicanze: malnutrizione, disidratazione, piaghe, malattie infettive (soprattutto polmonite),
patologie cardiovascolari, ecc.
21
3.
La famiglia del malato di Alzheimer
La famiglia è il più importante sostegno per la persona affetta da morbo di Alzheimer ed è, spesso, costretta a
sopportare da sola il peso della malattia.
Assistere la persona malata di Alzheimer
La malattia di Alzheimer modifica radicalmente la
vita del malato e di chi se ne prende cura. Chi assiste il
malato racconta, spesso, di trovarsi di fronte ad una persona completamente diversa rispetto a com’era prima
della malattia; questa patologia, infatti, causa alcuni
cambiamenti nel suo comportamento e, negli stadi avanzati, determina un impoverimento della sua personalità… La malattia ruba la persona a se stessa (N. Feil)…
Le modificazioni del comportamento osservabili nei
pazienti sono, per questo, la principale causa di stress e
di difficoltà per i familiari, rendono difficile la gestione
della vita quotidiana e creano momenti di tensione tra il
paziente e i suoi familiari.
Come normalmente reagisce il familiare alla diagnosi
di Alzheimer?
Si distinguono tre momenti temporalmente distinti:
Shock: il familiare si domanda: “come mai proprio a
me?”;
Negazione: il familiare nega la possibilità che la
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malattia possa condizionare in modo così radicale lo svolgimento delle attività quotidiane;
Accettazione: il familiare diventa consapevole dei
cambiamenti dovuti alla malattia e della necessità di
dover riadattare continuamente l’organizzazione della
propria vita quotidiana.
Alcune volte, la vergogna o la difficoltà di far sapere
“agli altri” della malattia può far assumere atteggiamenti d’isolamento e di ritiro che non aiutano nella gestione
complessiva del problema.
Cosa comporta, per il familiare l’accudimento della
persona malata?
L’assistenza ad un paziente affetto da morbo di
Alzheimer impegna il familiare sia sul piano praticoorganizzativo che su quello emozionale.
In questa difficile situazione è naturale che il familiare provi spesso un serie di emozioni a volte contrastanti
È importante che egli impari a riconoscere e accettare questi sentimenti; solo in questo modo potrà convivere con serenità e, in alcuni casi, superarli.
Questi sentimenti sono:
• Senso di colpa
È probabile che chi assiste la persona malata nutra
sentimenti di colpa. Il familiare potrebbe sentirsi in
colpa per i litigi che ha avuto in passato con il proprio
caro, o perché sente di non avere la pazienza necessaria
per sostenere la situazione, oppure per aver provato rabbia quando il paziente ha avuto scatti di aggressività nei
suoi confronti, ecc.
• Rabbia e frustrazione
È probabile che, in alcuni momenti, il familiare si
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senta frustrato e arrabbiato. Diversi possono essere i
motivi di tale rabbia: i cambiamenti che si sono verificati
nella propria vita, il sentirsi solo nell’affrontare questa
difficile situazione, ecc.
• Imbarazzo
Si prova imbarazzo a causa dei comportamenti inadeguati che può assumere il proprio caro in pubblico (es.
nel caso in cui offenda una persona che è venuta a fargli
visita, ecc.).
La reazione a questo sentimento è, in genere, quella
di ridurre la vita sociale, ad es. evitando di invitare gli
amici a casa. È importante che chi si prende cura dell’ammalato non ceda a questa tentazione.
È naturale che alcuni comportamenti possano imbarazzarlo, ma l’isolamento renderebbe ancor più difficile
affrontare lo stress dovuto all’accudimento.
Avere una vita sociale gratificante è per lui, oggi più
che mai, una reale necessità.
• Paura
In alcuni momenti si prova paura, ad esempio pensando a quello che potrebbe succedere con l’avanzare
della malattia; nel caso di pazienti molto agitati, si può
temere che si facciano male, ecc.
• Sconforto
Si può provare sconforto, ad esempio di fronte a situazioni difficili da gestire e trovarsi a pensare di non essere
più in grado, con le proprie forze, di assistere il proprio
congiunto ammalato.
• Tristezza e angoscia
Questi sentimenti rappresentano una risposta emotiva normale ad una “esperienza di perdita”. È naturale
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che il familiare viva questo tipo di sensazioni, ad esempio, rifugiandosi nel passato e pensando a come era il
proprio caro prima di ammalarsi. Queste emozioni (senso di colpa, rabbia, frustrazione, imbarazzo, ecc.) possono, però, attenuarsi parlando con persone che stanno
vivendo la loro stessa esperienza. Sono molti, infatti, a
raccontare di essere riusciti a superare questi momenti
difficili grazie al supporto offerto da un gruppo di sostegno per familiari.
Che cos’è un gruppo di sostegno per familiari?
È un gruppo formato da parenti di persone con Alzheimer e uno, o più, conduttori (psicologi), con cui il familiare può parlare delle sue condizioni emotive e condividere problemi e soluzioni. Anche se frequentare un gruppo di sostegno non può risolvere tutti i problemi che comporta l’accudimento della persona malata, è comunque,
utile per ritrovare un equilibrio personale e, di conseguenza, migliorare la relazione con il congiunto malato.
Presso l’Associazione ALMA-Alzheimer Uniti-onlus
al Policlinico di Palermo esistono gruppi di sostegno in
cui i familiari possono trovare aiuto e supporto ed avere
consigli utili da personale esperto e confrontare le loro
esperienze con quelle degli altri familiari.
Quali sono i rischi per il familiare?
Le emozioni negative, l’ansia, il nervosismo ecc., se
non sufficientemente supportate, possono condurre il
familiare verso una condizione di disadattamento e di
solitudine che, in alcuni casi, può portare ad una vera e
propria depressione. Non è raro che chi assiste il malato,
se non supportato, possa con il passare del tempo perdere la capacità di prendersi cura della persona cara. Questo non solo a causa della difficoltà pratiche legate all’ac26
cudimento, ma soprattutto in seguito ad un esaurimento
psico-fisico.
È per questo importante imparare ad affrontare nel
modo migliore le varie situazioni che si possono presentare. Infatti, agendo in modo efficace sui disturbi del
comportamento o dell’umore, si riuscirà a ridurre il sentimento di impotenza e di sconforto causato da una
gestione della malattia poco adatta alle esigenze del
paziente.
piaccia e rilassi: per esempio, incontrare amici, andare
al bar, guardare le vetrine, ascoltare della musica, leggere qualche pagina ecc.
È importante non sentirsi in colpa per questo! Ritrovando un po’ di serenità e allentando la tensione
dovuta all’assistenza, si riesce, infatti, ad essere più
pazienti e attenti ai bisogni del proprio caro.
Cosa può fare il familiare per restare in forma?
• Riconoscere e accettare i propri limiti!
È necessario non pretendere troppo da se stessi. Se il
carico assistenziale è troppo pesante, è opportuno chiedere aiuto, in modo da evitare una possibile situazione
di crisi.
• Mangiare in modo equilibrato!
Se una persona è stanca e sotto stress, tende a non
cucinare e a fare degli spuntini. È invece opportuno alimentarsi in modo corretto per restare in forma!
• Riposare a sufficienza!
Nel caso che il paziente, nonostante le cure, soffra ancora di insonnia, il familiare che lo assiste deve individuare alcune possibili strategie: farsi aiutare da un altro
parente o accettare di chiamare un collaboratore esterno, oppure modificare le proprie abitudini e dormire
durante il giorno quando anche lui riposa. Infatti se chi
assiste il malato non dorme, non riuscirà poi a continuare ad aiutare il proprio caro.
• Dedicare ogni giorno un po’ di tempo a se stessi!
Non si può stabilire una regola che vada bene per tutti, ma quello che è importante è fare qualcosa per sé che
27
28
4.
vita. È importante, però, che il familiare proponga dei
compiti semplici, che il malato possa portare avanti con
successo.
Alcuni piccoli suggerimenti ai familiari
Vi sono diversi accorgimenti che il familiare può osservare per garantire una migliore assistenza alla persona malata; ne elenchiamo alcuni, che potrebbero rivelarsi utili in molte situazioni:
• Aiutare il paziente a diventare consapevole del
proprio funzionamento
Nella prima fase è probabile che la persona malata
neghi a se stesso e agli altri la sua malattia. È importante
che il familiare cerchi di aiutarlo ad accettare le difficoltà e i cambiamenti cui va incontro.
• Sostenere l’autonomia del paziente
È necessario che la persona rimanga indipendente
per il maggior tempo possibile; in questo modo diminuisce il carico della persona che lo assiste, ma soprattutto
si preserva nel malato la stima e fiducia nelle proprie
capacità e la sua motivazione a “produrre”.
• Stabilire abitudini di vita consolidate e mantenere uno standard di normalità
Stabilire delle abitudini di vita consolidate ha un
duplice vantaggio: diminuisce il numero di decisioni da
prendere per il familiare e crea nel paziente dei punti di
riferimento sicuri, grazie ai quali riesce a mettere ordine
alla sua quotidianità e ad attenuare il suo stato di confusione.
• Mantenere il senso dell’umorismo
L’umorismo può essere un ottimo modo per trarre sollievo da una situazione di stress. È importante, dunque,
ridere insieme al malato, facendo attenzione a non fargli
pensare che lo si sta deridendo.
• Conservare una buona comunicazione
Man mano che la malattia avanza, la comunicazione
con l’ammalato può diventare difficile.
La capacità di farsi capire è una delle condizioni indispensabili per conservare una buona qualità di vita. Le
parole, però, non sono l’unico mezzo per comunicare.
L’espressione del volto, il contatto fisico, la mimica e il
tono della voce, sono modalità di comunicazione ancora
più importanti delle parole.
• Aiutare il paziente a fare un buon uso delle abilità che ancora possiede
Favorire nel paziente lo svolgimento di alcune attività
può rafforzare e promuovere la sua dignità e la sua autostima, oltre a dare uno scopo e un significato alla sua
29
30
5.
Capire le caratteristiche ed il significato di ciascuno
di questi disturbi, permette al familiare di affrontarli in
modo corretto.
I disturbi del comportamento
Le alterazioni del comportamento del malato d’Alzheimer e i suoi cambiamenti d’umore sono tra i disturbi
più stressanti per la famiglia. Sono molteplici. Durante
la prima fase della malattia, un comportamento “inadeguato” o diverso dal solito deve essere, per il familiare,
uno dei primi campanelli d’allarme. Successivamente,
però, i disturbi del comportamento diventano spesso
così difficili da gestire, da essere considerati la maggiore
fonte di stress per chi si prende cura di una persona con
demenza.
I disturbi del comportamento più frequenti sono:
• comportamento aggressivo
• vagabondaggio
• comportamenti strani e imbarazzanti
Il comportamento aggressivo
Uno dei disturbi del comportamento più frequenti,
nel paziente affetto da Alzheimer è l’aggressività. Può
agire in questo modo anche chi prima della malattia
mostrava un carattere dolce e tranquillo.
Si tratta di un comportamento che, in genere, spaventa molto i familiari, poiché non sempre è possibile individuare la causa che lo ha generato.
Il comportamento aggressivo è particolarmente pesante da accettare poiché l’ostilità sembra rivolta proprio verso chi assiste il malato. Questo accade perché si è
soliti interpretare l’aggressività come se provenisse da
una persona non malata. È importante che il familiare
sia consapevole che il comportamento aggressivo è dovuto alla malattia.
Qual è la causa di questa aggressività?
Sono molti i motivi che possono portare il malato di
Alzheimer ad agire con aggressività (es. frustrazione,
ansia, ecc.) ma molto spesso questo tipo di reazione è
dovuta alla paura.
I malati d’Alzheimer, infatti, reagiscono spesso con
aggressività per difendersi contro una falsa percezione
del pericolo e di minaccia.
Sono frequenti reazioni di questo tipo, ad esempio,
quando qualcuno si avvicina al paziente troppo velocemente. Può accadere, infatti, che non comprendendo le
sue richieste, si possa spaventare e reagire in modo violento.
I disturbi legati all’umore sono:
• ansia e paura
• agitazione e nervosismo
• collera
• depressione
• apatia
I disturbi del pensiero sono:
• deliri e allucinazioni
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Che cosa fare?
• Evitare di reagire con arroganza, in quanto aumenterebbe il suo stato di agitazione perché il malato non ha
coscienza dell’esagerazione delle sue reazioni.
• Non rimproverarlo o punirlo, sarebbe una cosa inutile. Anche se il paziente, a volte, agisce come un bambino,
non è opportuno trattarlo come tale; infatti egli non impara dagli insegnamenti dei propri familiari, ma perde
sempre più le sue capacità di apprendimento e le informazioni acquisite, senza poterle recuperare.
• Reagire con calma in modo da mantenere il controllo
della situazione; in questi momenti può essere utile che
il familiare si ripeta che ciò che il paziente fa o dice non è
dovuto a lui, ma è causato dalla malattia.
• Individuare la causa della sua reazione; a volte un
semplice mal di testa può renderlo irritabile o aggressivo.
• Rassicurare e confortare il paziente (es. avvicinandosi a lui con dolcezza, accarezzarlo e spiegandogli cosa
sta succedendo).
• Attirare la sua attenzione, distraendolo; può essere
utile, ad es. che il familiare accenda la televisione o gli
proponga di fare qualche cosa insieme a lui.
Ci sono però delle situazioni in cui il paziente non riesce a calmarsi. In questi momenti diventa indispensabile, per chi presta assistenza:
• Tutelare la propria integrità; es: uscendo dalla stanza (ovviamente dopo essersi assicurato che non vi sono
pericoli per il malato) gli si offre il tempo e lo spazio per
calmarsi e tranquillizzarsi, oltre a garantire che il familiare si conservi in buona salute per continuare ad assisterlo.
Il paziente, per i suoi problemi di memoria, scorderà
l’accaduto in tempo molto breve.
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• prevenire il comportamento aggressivo favorendo
in famiglia un ambiente calmo e sereno; mantenendo abitudini di vita consolidate.
Agitazione e nervosismo
Ci sono dei casi in cui il paziente si può sentire agitato e
nervoso: cammina avanti e indietro per la stanza percorrendo sempre lo stesso tratto, tocca e sposta tutti gli oggetti, apre i cassetti, le ante e i rubinetti della casa. Si tratta di un comportamento che indispone fortemente chi si
prende cura dell’ammalato e lo rende teso e irritabile.
Qual è la causa?
Queste manifestazioni sono nella maggioranza dei
casi dovuti alla malattia, tuttavia possono essere amplificati dalla situazione in cui il paziente viene a trovarsi. È
opportuno per questo sapere cosa fare.
Che cosa fare?
• Evitare di inviargli dei messaggi contraddittori: se
qualcuno gli parla dolcemente con l’intento di calmarlo
e poi lo afferra con un gesto veloce, sicuramente egli
avrà difficoltà a capire le sue intenzioni, aumentando il
suo nervosismo.
• Restare calmo.
• Lasciargli lo spazio necessario per muoversi (dopo
essersi assicurato che non c’è nella stanza qualcosa con
cui si potrebbe fare male); ognuno di noi ha questa
necessità quando è nervoso, camminare e muoversi è un
mezzo con cui scaricare la tensione.
• Distrarlo, proponendogli di fare qualcosa che lo possa
interessare: ad es. chiedendogli di svolgere qualche mansione domestica che richieda movimento (anche se un
eccessivo carico di attività potrebbe portare ad un effet34
to contrario).
• Introdurre alcune modifiche nella dieta del paziente,
eliminando le sostanze che aumentano l’agitazione (thè,
caffè, cioccolata, ecc.).
• Introdurre dei piccoli cambiamenti nell’ambiente;
ad es. evitare il rumore oppure la presenza di troppe persone nella stanza.
La collera
A volte potrai assistere ad esplosioni di collera incontenibili.
Come si manifesta?
Si tratta di attacchi di rabbia esagerati e mal diretti
(urla, lanci di oggetti, ecc.), che possono provocare, nel
familiare, un profondo stato di tristezza e sconforto, in
quanto costituiscono un segno evidente di cambiamento nella personalità della persona cara. Anche se la causa di tale comportamento non è facile da individuare (es.
a volte potrebbe essere solo un brusco cambiamento
d’umore) è possibile agire sullo stato di collera del
paziente; in questo modo anche il familiare potrà sentirsi, in queste situazioni, meno impaurito ed impotente.
Che cosa fare?
• Allontanarsi per qualche secondo. Questo permetterà al familiare di restare calmo e di non perdere il controllo della situazione. Inoltre accade spesso che, dopo
pochi minuti dallo scoppio della collera, il malato si
calmi e diventi cordiale ed affettuoso.
• Ripensare ai fatti accaduti prima dell’incidente:
capire, infatti, ciò che ha portato allo scoppio della collera può servire ad evitare che accada di nuovo; la malattia
predispone a facili esplosioni di rabbia, ma sono gli even35
ti specifici, in genere, a provocare simili reazioni. Per
esempio alcuni pazienti hanno questo tipo di reazioni
quando non riescono più a fare ciò che prima facevano
con disinvoltura; in questi casi è opportuno aiutare il
malato nello svolgimento del compito, senza sostituirsi a
lui, oppure evitare che si trovi nuovamente in situazioni
che non riesce a gestire.
Altri pazienti, invece, s’infuriano quando si sentono
trattati come dei bambini. In questi casi è opportuno
controllare il tono della voce ed evitare di assumere
atteggiamenti o troppo protettivi o prepotenti; per esempio, al posto di “Togliti il maglione!” è più appropriato
dire “È caldo, non credi? Lascia che ti aiuti a togliere il
maglione”.
Paura e ansia
La paura e l’ansia sono tra i disturbi più frequenti.
Qual è la causa?
Paura o ansia possono essere causate da:
• deliri e allucinazioni, che possono far perdere al
paziente il contatto con la realtà;
• disturbi di memoria, che portano il paziente a
mescolare presente passato (es. può essere ansioso perché non sono rientrati i bambini da scuola oppure perché è preoccupato per i problemi che ci sono in ufficio,
pur essendo in pensione da anni e i suoi figli ormai degli
adulti);
• clima teso presente in famiglia, ecc.
Che cosa fare?
• Dimostrare comprensione per il suo stato d’animo.
• Rimuovere la causa (es. togliendo un soprammobile, uno specchio, un quadro, ecc.) oppure allontanare il
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malato dall’oggetto ansiogeno, nel caso in cui questo sia
noto.
• Ridurre al minimo le possibili fonti d’ansia, es. mantenendo inalterato l’ambiente e le abitudini del paziente
(nel caso in cui non sia stato possibile capire cosa causi
questo tipo di reazione).
• Dare conforto e rassicurazioni (es. prendendogli le
mani con dolcezza o abbracciandolo).
• Creare in famiglia un clima sereno, poiché un
ambiente in cui vi è tensione e nervosismo favorisce
l’insicurezza e lo stato di confusione della persona malata.
• Fare una “telecronaca” di quello che sta accadendo
intorno a lui; il familiare dovrebbe descrivere cosa sta
facendo in quel momento e chi sono le persone presenti
nella stanza; anche nel caso in cui non riuscisse a comprendere le sue parole, sicuramente si sentirà rassicurato dalla sua presenza e dal tono della sua voce.
L’apatia
Tra i vari cambiamenti che si possono verificare a
causa della malattia, l’apatia è il più semplice da gestire;
nonostante ciò, determina, in chi assiste il malato, un
forte disagio e preoccupazione per il benessere del proprio caro.
Come si manifesta?
Il paziente apatico rimane seduto per ore senza fare
nulla, evita di parlare con la gente, è sempre triste e chiuso in se stesso.
Che cosa fare?
• Creare stimoli nuovi con cui svolgere delle attività
che potrebbero interessargli; questo non è semplice poiché il più delle volte vi troverete a persuadere il paziente
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a fare qualcosa contro la sua volontà. In questa situazione è preferibile non insistere per evitare reazioni aggressive.
• Nel caso in cui trovaste difficoltà a catturare l’attenzione del malato, è importante che v’impegniate a
cercare delle attività piacevoli da proporgli, che lui è in
grado di fare.
• Porre l’accento, sempre, sui risultati raggiunti,
senza mai soffermarsi sugli insuccessi, poiché egli si
potrebbe demotivare.
• Rispettare i suoi ritmi (es. permettendogli di fermarsi quando è stanco).
Vagabondaggio
Ad un certo stadio della malattia i pazienti perdono il
senso dell’orientamento e, se non adeguatamente accuditi, possono incominciare a vagabondare.
Come si manifesta il vagabondaggio?
Molti malati vagano all’interno della propria casa,
durante il giorno e anche di notte mentre le persone dormono; altri tentano di uscire dalle loro abitazioni ed in
alcuni casi ci riescono (difficilmente queste persone riescono a trovare la strada del ritorno).
Qual’è la causa?
Tale comportamento è raramente privo di scopo, ma
il paziente, nella maggioranza dei casi, si dimentica dove
stava andando, cosa doveva fare o non è capace di spiegarlo.
Possono essere molte le cause che motivano tale comportamento:
• la noia;
• il cambiamento d’ambiente;
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• il desiderio di fuga da una situazione di disagio e di
sofferenza;
• la ricerca di qualcosa che crede di aver perso;
• l’errata convinzione di dover andare da qualche
parte;
• l’esigenza di fare esercizio fisico, ecc.
Che cosa esprime?
Indipendentemente dalla causa, il vagabondare è
espressione dello stato di confusione e di smarrimento
che il malato vive dentro di sé. Alcuni pazienti raccontano di vivere come se fossero avvolti dalla nebbia, dove le
persone, gli oggetti e gli ambienti sono senza contorni e
quindi difficili da riconoscere.
Che cosa fare?
1) È importante capire la vera causa del vagabondaggio e rimuoverla:
• se la causa è la noia, basterà incrementare le attività
ricreative che attirano l’attenzione del paziente;
• se la causa è la mancanza d’esercizio fisico si potrà
accompagnare il malato a fare una passeggiata ogni giorno con regolarità;
• se è la reazione al trasferimento in un ambiente
nuovo è importante sia portare al paziente i propri oggetti personali in modo da riorganizzargli la vita in un
ambiente in parte conosciuto, che lo rassicuri facendogli
capire che la sua famiglia sa dove lui si trova;
• se è alla ricerca di qualcosa o di qualche persona del
passato (es. il coniuge deceduto, gli oggetti della casa in
cui viveva quando era piccolo, ecc.) bisogna rassicurarlo
e circondarlo d’oggetti familiari e di foto della sua famiglia.
2) Applicare alla porta una serratura difficile da apri39
re per scoraggiare la fuga.
3) Far indossare una catenina o un braccialetto con
scritto il proprio nome e l’indirizzo.
Deliri e allucinazioni
Non è raro che nei pazienti affetti da Alzheimer si possano presentare deliri e allucinazioni.
Come si manifestano?
Il paziente può accusare i familiari di avergli rubato
delle cose, di volerlo avvelenare, di avergli nascosto
degli oggetti, etc. (deliri), oppure vede e sente cose o persone che non ci sono (allucinazioni).
L’incapacità di riconoscere la propria immagine nello
specchio e i volti delle persone conosciute (prosopagnosia) alimenta, inoltre, simili convinzioni.
Cose da evitare:
• Non entrare mai nel comportamento allucinante
fingendo di vedere o sentire ciò che il paziente riferisce.
• Evitare di convincere il paziente che quello che ha
visto e udito non esiste, si rischia altrimenti di aumentare la sua frustrazione.
Che cosa fare?
• Distrarlo, proponendogli di fare qualcosa insieme
a te.
• Eliminare dall’ambiente gli oggetti che possono
favorire lo sviluppo d’allucinazioni (es. quadri, specchi,
statue ecc.).
• Cercare di rassicurarlo, dicendogli, per esempio,
che pur non vedendo ciò che lui in quel momento vede, si
capisce quello che è il suo stato d’animo e quello che prova.
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• Rispondere alle accuse con gentilezza. Ad esempio, chi è accusato di avergli portato via un oggetto,
dovrà aiutare il paziente a ritrovarlo per rassicurarlo.
Depressione
Molto spesso i pazienti con Alzheimer soffrono di
depressione.
Come si manifesta?
Il paziente depresso è triste, piange spesso, si isola di
frequente; parla, pensa e agisce con particolare lentezza; non dorme, ecc.
La depressione può inoltre nascondersi dietro una
ulteriore alterazione del funzionamento e delle abitudini quotidiane.
opportuno:
• Cercare di distrarlo coinvolgendolo in un’altra possibile attività.
• Allontanarlo dalla situazione imbarazzante, con
modi gentili e rassicuranti.
• Cercare anche di individuare un eventuale possibile motivo che possa aver scatenato il comportamento
inadeguato: per esempio, se ogni volta che un conoscente viene a trovarlo il paziente stringe a sé un oggetto particolare, può voler dire che teme che gli sia rubato; nel
caso in cui, invece, si allontanasse da questa persona,
potrebbe voler dire che ha paura di lui, ecc.
Che cosa fare?
• Esprimergli comprensione e amore (es. con una
carezza, un abbraccio).
• Impegnarlo in attività gradevoli; è necessario, però, accertarsi che egli riesca a svolgere con successo tali
compiti, perché è importante che sia soddisfatto di quello che fa; anche dei piccoli fallimenti, infatti, potrebbero
incrementare la sua angoscia.
• Fare in modo che parli spesso con i suoi amici (nel
caso in cui non voglia parlare, chiedere ad uno dei suoi
amici di stargli comunque vicino anche se in silenzio).
Comportamenti strani e imbarazzanti
Come si manifestano?
Il comportamento del paziente a volte può essere particolarmente inappropriato e incongruo (ad es. offendere gli altri, spogliarsi in pubblico, ecc.). In questi casi è
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42
6.
Come parlare al malato di Alzheimer
Consigli utili
II linguaggio verbale e non verbale assume per il malato di Alzheimer molta importanza perché produce le sue
sensazioni positive o negative ed influenza le sue reazioni alle richieste.
• II linguaggio non verbale, prodotto attraverso i
nostri occhi, bocca, testa, spalle, braccia e gambe deve
corrispondere al nostro linguaggio verbale, in modo da
non creare confusione nel paziente.
• II linguaggio non verbale influenza ed è compreso
dal malato anche quando questi non comprende più il
linguaggio verbale.
• Parlare al paziente lentamente, con frasi brevi, parole semplici, tono chiaro pacato e dolce.
• Essere sempre sicuri che il malato abbia capito ciò
che gli chiediamo.
• Spiegare sempre ed eseguire un’azione per volta.
• Non sottolineare gli errori.
• Toccare il paziente lievemente senza metterlo in
una situazione che gli dia una sensazione di “schiacciamento”.
• Non stare troppo vicino al paziente.
• Mimare l’attività che si deve compiere.
• Sottolineare con un “bene” l’azione che il paziente
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sta facendo.
• Avere con il paziente un “aggancio” visivo.
• Chiedere al paziente di fare attività in cui riesce,
perché il fallimento di una attività può provocare aggressività, opposizione, negatività, in poche parole determina difficoltà di interazione con il malato.
• II paziente va sostenuto con pazienza, è necessario
comprenderne gli umori e i comportamenti perché ciò ci
può servire per prevenire anche eventuali situazioni di
pericolo in cui può incorrere il malato.
• È importante e necessario per entrare in contatto
con il paziente anche rispettarne i rifiuti e i tempi.
• Evitare situazioni che possano determinare ansia,
rifiuto, stress e quando questo accade è bene interrompere.
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7.
Consigli pratici per le più comuni difficoltà
nella vita quotidiana
È importante ricordare che ogni malato è diverso
dall’altro ed i sintomi possono verificarsi in ordine e frequenza differente in ogni paziente. II paziente con malattia di Alzheimer ha comunque spesso problemi di
comunicazione. Egli presenta difficoltà di comprensione e di espressione del linguaggio, che diventa povero
per cui non riesce a trovare le parole “giuste” per esprimere i propri bisogni ed identificarli: avverte soltanto
una generica sensazione che c’è qualcosa che vorrebbe
dire o fare ma non sa né cosa né come. Vi possono essere
difficoltà di lettura e di scrittura.
Il malato comincia ad avere difficoltà a compiere attività complesse come alcune attività domestiche o di igiene
personale in quanto perde la capacità di eseguire attività
con una sequenza logica, e la capacità di ragionamento,
per cui non riesce a prendere decisioni anche semplici.
Il malato può cominciare a non riconoscere più l’uso
degli oggetti: gli oggetti che generalmente utilizziamo
per lui (la forchetta, il pettine, il sapone ecc.) ad un certo
punto possono cominciare a non avere più senso ed il
malato non sa farne il corretto uso.
Può presentare confusione, instabilità e girovagare:
“è come alla ricerca di qualcosa che non trova”.
Si può avere una perdita dell’orientamento e dello
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spazio, ed una alterata percezione a livello sensoriale di
ciò che vede per cui interpreta erroneamente gli stimoli
sensoriali che riceve.
La consapevolezza degli errori e delle proprie incapacità può portare il paziente ad essere aggressivo da un
lato e dall’altro ad isolarsi e a ridurre gradualmente le
attività e i rapporti sociali.
Per aiutare una persona che soffre di decadimento
cognitivo cerchiamo di fornirgli fonti di informazioni e
piccoli ausili che possono compensare questo disagio.
Ad esempio:
• Un calendario per ricordare il giorno, il mese,
l’anno (orientamento temporale).Teniamo bene in vista
orologi per aiutare il paziente a ricordare l’ora, accertandosi che calendario e orologio, siano sempre aggiornati.
• Fotografie della famiglia attuale e di quella di provenienza, etichettate con chiarezza, possono aiutare il
paziente a ricordare chi sono quelle persone e chi è lui.
Gli album fotografici familiari sono grande fonte diffusa
di stimolo e conversazione.
• Illustrazioni raffiguranti spazi domestici, arredi,
utensili da cucina, capi di abbigliamento, ecc. possono
aiutare il paziente ad orientarsi nel proprio ambiente
domestico.
• Cartoline di attori, cantanti, animali, fiori, città, ecc.
possono evocare ricordi e quindi instaurare un dialogo.
• Musiche e canzoni degli anni della giovinezza. La
musica ha un valore inestimabile: alcuni pazienti riescono a cantare meglio di quanto non riescano a parlare.
• Lettura. Bisogna cercare di mantenerla costante
anche quando la capacità di elaborazione del contenuto
si va attenuando. Non ostinarsi a verificare l’apprendi46
mento di ciò che si è letto.
• Scrittura. Se non ci sono grossi problemi di attenzione, concentrazione o alterazioni della grafia, privilegiare la forma scritta rispetto a quella verbale nell’esecuzione degli esercizi.
Può essere utile suggerire alla persona con disturbi
cognitivi di compilare giornalmente un diario. Le annotazioni quotidiane potranno comprendere l’ora del risveglio, le condizioni metereologiche, l’abbigliamento scelto, le attività domestiche, la descrizione del cibo assunto
al momento del pranzo e della cena, le varie ricette, i contatti sociali, lo stato d’animo.
In forma più generalizzata potranno essere inoltre
rievocati alle corrispondenti date compleanni, anniversari, ricorrenze, celebrazioni, eventi autobiografici significativi della propria vita.
È utile identificare nella raccolta degli esercizi quelli
che possono essere eseguiti con maggiore gradimento,
tenendo ovviamente conto degli interessi, delle attitudini e della predisposizioni della persona prima del manifestarsi della malattia.
È utile ricordare che le proposte troppo complesse
vanno evitate, poiché il malato potrebbe trasformare la
frustrazione derivante da un insuccesso in una diminuzione della propria motivazione ad impegnarsi nell’attività di stimolazione.
L’autonomia
La persona presenta delle difficoltà cognitive e motorie con conseguente perdita dell’autonomia.
Il malato può presentare il wandering (girovagare) e
mentre alcuni passeggiano continuamente, quasi incapaci di stare fermi, altri al contrario, restano seduti,
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come “impigriti”, scarsamente propositivi nei riguardi
di tutto ciò che li circonda.
La perdita dell’orientamento e del controllo spaziale
può accentuare nel malato atteggiamenti di tipo catastrofico quando gli vengono richiesti movimenti di coordinazione come ad esempio entrare in una vasca, sedersi, alzarsi in piedi, scendere e salire scale ecc.
Per cui è necessario sorvegliarlo ed aiutarlo in tali attività. È tuttavia necessario cercare di mantenere l’autonomia di movimento il più a lungo possibile e per tale
motivo cercare di ridurre al minimo la permanenza a
letto e la sedazione.
Controllo dell’ambiente
Se la persona inizia ad avere difficoltà nell’alzarsi dal
letto:
• Valutare l’altezza del letto, che deve essere né troppo alto, né troppo basso.
• Procurare una poltrona comoda che faciliti i trasferimenti autonomi.
• Accertarsi che in casa possa trovare appoggi sicuri
per gli spostamenti (corrimano, maniglioni, appoggi e
rialza wc), mobili senza spigoli.
• Incoraggiarlo a deambulare sfruttando gli ausili più
adatti.
• Avere pazienza quando si cammina assieme: camminare lentamente in modo che possa seguirci con facilità.
Prevenire le cadute
Nel facilitare gli spostamenti si deve avere l’accortezza di non mettere la persona a rischio di cadute che
potrebbero causare la totale perdita di autosufficienza.
• Eliminare i tappeti ai bordi del letto o nella camera.
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• Adottare una illuminazione adeguata che non formi
ombre e che si accenda automaticamente quando il
malato entra in una stanza .
• Illuminare adeguatamente eventuali gradini.
• Coprire o eliminare superfici lucide e riflettenti.
• Sostituire i mobili bassi e con spigoli acuti.
• Eliminare le “ciabatte” e far indossare pantofole
chiuse e con suola di gomma e non di cuoio, far indossare
scarpe comode e con allacciature senza lacci.
È consigliabile, là dove è possibile, una attività fisica
moderata nelle persone che fanno troppa vita sedentaria perché:
• scarica la tensione e facilita il riposo notturno;
• migliora l’attività respiratoria e circolatoria;
• migliora la mobilità articolare e muscolare;
• può aiutare a comunicare con gli altri.
Per questi motivi si consiglia di fare una passeggiata
di circa 20 minuti e, se possibile, sempre alla stessa ora e
per lo stesso percorso.
Alimentazione
La deglutizione e la masticazione viene in genere
mantenuta fino ad una fase avanzata della malattia.
Il paziente può però avere difficoltà nel provvedere a
sé stesso per esempio: si prepara il cibo perché l’abitudine e la routine può aiutarlo, ma dimentica di mangiare; può non riconoscere i cibi: può mangiare cibi avariati
così come può mangiare foglie di piante velenose o bere
sostanze tossiche; oppure può manifestare un appetito
eccessivo: in questo caso è bene ridurre l’apporto di cibi
eccessivamente calorici (biscotti, dolci) per evitare problemi digestivi o di soprappeso.
A malattia avanzata invece, la persona , può avere
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bisogno di essere imboccata poiché ha difficoltà a ricordare le sequenze corrette dei movimenti necessari a
nutrirsi. In questo caso:
• gli oggetti per apparecchiare (tovaglia, piatti, posate, bicchiere) devono essere percepibili e distinguibili
gli uni dagli altri);
• utilizzare per posata un cucchiaio forchetta eliminando le forchette o i coltelli se vengono utilizzati in
modo improprio;
• utilizzare per tutto il pasto un unico piatto (a bordo
alto), il malato può non percepire la temperatura caldo o
freddo degli alimenti e scottarsi;
• a tavola mettersi di fronte in modo che possa imitare
i nostri gesti;
• tagliare il cibo in piccoli pezzi e nelle fasi avanzate
della malattia tritarlo o utilizzare cibi liquidi;
• consentirgli di usare la mani per mangiare;
• se vi è difficoltà nella deglutizione e nella masticazione, è bene consultare il medico, per rivalutare lo stato
della malattia ed adottare i provvedimenti più adeguati;
• se la persona vuole mangiare spesso, sminuzzare il
cibo ed offrigli ogni volta delle piccole porzioni, preferibilmente di verdura, si eviterà di fargli acquisire un
eccesso di peso;
• incoraggiare la persona ad avere autonomia in tutte
le varie attività dandogli tutto il tempo che gli è necessario per compiere un’azione;
• eliminare i fili elettrici volanti;
• inserire un controllo automatico prefissato per la
temperatura dell’acqua;
• predisporre lo scarico automatico per il WC;
• inserire la carta igienica a foglietti separati;
• inserire una doccetta nel WC per l’igiene intima.
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Farmaci
Quando il paziente non è più in grado di assumere
medicinali nelle giuste dosi e al giusto orario diviene
necessaria un’attenta supervisione.
È dunque utile:
• scrivere chiaramente, o anche disegnare, su un
foglio orario, dosi e nome del farmaco da assumere
durante il giorno; essere però certi che il paziente è in
grado di leggere e comprendere ciò che abbiamo scritto;
• suddividere i medicinali in scatole differenziate da
un colore, da un disegno di riferimento tipo: ad esempio
contrassegnare i farmaci per il mattino con una tazza per
la colazione oppure con la scritta colazione , pranzo, cena.
• facilitare i percorsi più utilizzati in casa, ad esempio
verso il bagno o la cucina, eliminando i possibili ostacoli;
• dargli dei punti di riferimento per ritrovare il percorso intorno casa, (chiese, giornalaio, negozi, banche ecc.);
• è bene fargli tenere un braccialetto o in tasca un
foglio con nome cognome, indirizzo ecc.
Orientamento ed adattamenti
Il paziente può manifestare confusione ad orientarsi
nella sua casa e fuori di essa poiché può dimenticare la
disposizione e l’uso appropriato delle varie stanze. Le
finestre e i terrazzi possono costituire un pericolo perché il malato nel suo girovagare può scavalcarli.
Inoltre può non riconoscere o dimenticare la via dove
abita e la strada per ritornarvi. In questo caso è bene:
• eliminare le chiavi dalle porte interne, il malato può
chiudersi dentro, ma non riesce più ad aprire dall’interno;
• mettere alle finestre delle zanzariere o delle maniglie estraibili che non gli consentano di scavalcare;
• rendere riconoscibili le stanze, compreso il bagno,
lasciandole aperte o ponendo dei disegni sulle porte;
• inserire l’illuminazione con rilevatori infrarossi per
far sì che la luce si accenda o si spenga quando si entra o
si esce da un ambiente;
• mettere sulla porta un disegno che ricordi la funzione della stanza;
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52
8.
La lettera di un familiare:
E poi? Dalla nostra parte. Dalla loro parte.
Inizia così: strisciante, quasi invisibile. E non ve ne
accorgete quasi: piccole distrazioni, dimenticanze, disagio. All’improvviso appare e scompare: episodi senza nesso, occasionali, sporadici... è normale, è l’età, è lo stress.
Alibi, alibi, alibi da entrambe le parti e poi…e poi…
BANG!!! Colpisce, colpisce duro l’una e l’altra parte. E
non si può più mascherare.
Come, perché, quando, dove, chissà…? Domande
senza risposte e, per l’inaccettabile mutamento, subentrano rabbia, rifiuto, sconforto, insofferenza ed imbarazzo; disorientamento e sofferenza e l’inadeguatezza ad
affrontarlo ed a trovare soluzioni. Entrambe le parti soggetto ed oggetto del medesimo male, dello stesso inevitabile vissuto quotidiano. E poi... la strada si sdoppia. Un
percorso senza spazio né tempo perdendo se stessi
nell’ombra e nel buio senza ritorno dalla oscurità della
mente. Voci senza parole, silenzio che rimbomba forte.
Tuttavia reali emozioni, forti esigenze, bisogni vitali.
Non capisce? No, non sa! ed è diverso! E la vita quotidiana diviene sempre più gravosa, annichilisce e mortifica, cancella entrambe le parti, nel fisico e nello spirito.
Chi è vicino non può e non sa cosa fare, deve solo riuscire
a capire e convivere con tutto questo. Ma a che prezzo!!!
Chiede, s’informa, cerca soluzioni e risposte. “Dove53
te…potete…forse…sì, ma … poi…” In realtà deve sbrigarsela da solo con le proprie forze e con i propri mezzi.
Occorre, allora, che il vissuto quotidiano non si trasformi in un calvario per entrambe le parti. Occorre risolvere
il problema alla base, capillarmente. Mah! Qualche aiuto
economico, parole, promesse e poi? E poi non basta. I
tempi ed i modi sono imprevedibili. Occorre provvedere,
provvedere, provvedere! Non si può e non si deve liquidare un così grave problema, ormai sociale e che colpisce
tutte le fasce, con un semplice assegno di accompagnamento (quando c’è e dopo molto tempo e, comunque, inadeguato alle esigenze), puntando principalmente sull’opera continuativa di familiari e sul volontariato. Soli in
percorso uguale ed opposto che distrugge entrambi i soggetti. Si diventa l’unica certezza, l’unica ancora, l’unica
identità cui l’altro si aggrappa e fa riferimento. Si viene
isolati con diffidenza e la vita familiare privata di relazione è stravolta e cancellata.
Sa bene chi lo vive senza appoggio e conforto, tutti i
giorni e tutte le notti e non solo “una tantum”.
Il volontariato, che tragedia se non ci fosse! E poi? Non
basta. Al di là dei problemi di cassa e burocratici si possono trovare ed adottare soluzioni alternative da parte delle
“Istituzioni” preposte che vadano ben oltre ad una più o
meno vera o simbolica pacca di solidarietà sulla spalla,
nell’attesa che tutto finisca. Occorre solo sviluppare progetti (anche piccoli) all’interno di una visione globale, locale e nazionale, stabilendo delle priorità, cordialmente,
perché sono tante e mettendole in campo ora, SUBITO!
L’importante cominciare guardando oltre e facendo
ciò che conta realmente con tempi precisi e con obiettivi
ben mirati ed attuabili IMMEDIATAMENTE!
Flora Cusmano Patti
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Immagini del Giardino e dei padiglioni
del Centro Educativo Alzheimer (CEA)
c/o l’ex Ospedale Psichiatrico
A.U.S.L. N. 6 di Palermo
(foto di D. Conigliaro)
Finito di stampare
nel mese di dicembre 2008
coi tipi della Pitti Grafica s.a.s. Tecniche Editoriali
Via S. Pelligra, 6 - 90128 Palermo
Tel./Fax 091.481521 - Tel. 091.6614212
E-mail: [email protected]
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Consigli pratici alla famiglia del malato di Alzheimer