n. 51 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 21 FEBBRAIO 2016 Gli anni olandesi di Cartesio 29 Scienza e filosofia Nel 2014, il 16 marzo, Franco Giudice sbozzava un inedito ritratto di Cartesio «l’olandese»: gli anni più intensi e produttivi per il filosofo, infatti, furono quelli trascorsi nei Paesi Bassi, da Amsterdam a Leida dove s’impegnò a dimostrare le verità metafisiche con evidenza maggiore di quelle geometriche. www.archiviodomenica.ilsole24ore.com anniversari filosofia minima Galileo l’indisciplinato Galileothek@ lo spirito linceo in «open access» Il 5 marzo 1616 la Chiesa condannò la dottrina copernicana. Lo scienziato ne difese la verità e si trovò suo malgrado nel mezzo di un’aspra disputa religiosa di Armando Massarenti @Massarenti24 «O e quello di Calcedonia (451) deciseroa maggioranza che la credenza ortodossa fosse: «Gesù aveva due nature, una divina e una umana». In questa prospettiva anche le donazioni economiche a Scientology vanno viste come un appoggio a un culto, così come le tecniche persuasive di Ron Hubbard. Per la verità, Lawrence Wright, l’autore de La prigione della fede, presenta il fondatore di Scientology più come uno psicoterapeuta che come il fondatore di un credo religioso. Wright infatti racconta i contrasti con la psichiatria ufficiale statunitense e con le case produttrici di psicofarmaci. Questa interpretazione però non è coerente con la sentenza della Corte d’Appello di M ilano e di qui il mio fuorviante paragone con il “laico” Felix Krull. Nell’articolo trattavo il delicato problema del confine tra psicoterapie e religioni, superato dalla sentenza con validità legale per il nostro paese. Alle religioni sono concesse cose, oltre all’esenzione fiscale, che non sono concesse alle psicoterapie. – Paolo Legrenzi gni sera vediamo le cose nuove del cielo, officio dei Lincei: Giove co’ suoi quattro e loro periodi, la luna montuosa, cavernosa, sinuosa». Era il 30 aprile del 1611 quando il principe Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, scriveva al suo sodale Francesco Stelluti questa lettera nella quale esternava ammirazione per le scoperte di Galileo Galilei, che era appena diventato membro dell’Accademia, proprio il 25 aprile dello stesso anno. La storia dei Lincei va di pari passo con la controversa vicenda dello scienziato: non solo perché Cesi fu un suo aperto sostenitore, che usò la propria autorità a favore di Galilei negli autorevoli ambienti romani, soprattutto presso l’ordine dei Gesuiti; ma anche perché, prima ancora della condanna formale delle teorie copernicane da parte della Congregazione del Santo Uffizio (25 febbraio/5 marzo 1616), il 20 marzo 1615 l’Accademia veniva già segnalata dal domenicano Tommaso Caccini come una «setta» eterodossa, anche in virtù della menzione che ne faceva il teologo carmelitano Paolo Antonio Foscarini nel famigerato testo che sarebbe stato da lì a poco censurato dall’autorità ecclesiastica. Il principe Cesi cercò di difendersi affermando, in una lettera, che presso l’Accademia si professava «solo comunemente libertà di filosofare in naturalibus». Lo spirito dei Lincei era quello, modernissimo, di una condivisione enciclopedica del sapere, che mettesse tutti gli studiosi (allora detti “filosofi”) nelle condizioni di conoscere le nuove scoperte - del micro e del macro cosmo naturale – e di contribuire così all’avanzamento della conoscenza scientifica con un libero dibattito: queste le indicazioni dell’ambizioso progetto enciclopedico immaginato dal Cesi, il Theatrum totius Naturae. Il 25 febbraio del 2016, a 400 anni di distanza dalla sentenza di condanna del copernicanesimo emessa dal Santo Uffizio, il “Museo Galileo” di Firenze, grazie alla preziosa collaborazione di tecnici e studiosi, e nello spirito di condivisione del progetto Galileo’s World promosso dall’Università di Oklahoma, è orgogliosa di presentare la pubblicazione sul web di Galileothek@. Federico Cesi sarebbe fiero di questa operazione rivoluzionaria di consultazione, condivisione e interazione di informazioni e interventi dedicati tutti al suo caro amico scienziato toscano. Galileothek@ è molto più di una biblioteca digitale: si tratta, infatti, di una metabiblioteca, un meta-archivio, un metamuseo galileiano, strutturato in 9 diversi archivi/link secondo una logica di open access, grazie alla quale gli utenti – approcciando ogni archivio con modalità di ricerca le più diverse potranno consultare e apprezzare documenti e reperti di inestimabile valore, altrimenti non raggiungibili se non con enormi difficoltà: vi si trovano manoscritti antichi fotografati pagina per pagina, disegni, dipinti, e ovviamente tutta la saggistica scientifica esistente sull’argomento. «La GT@ afferma Paolo Galluzzi – è stata concepita come un innovativo ambiente di ricerca, un luogo virtuale di incontro e uno spazio di discussione e di collaborazione per la comunità degli studiosi interessati alle tematiche galileiane. Un modello che potrà essere utilizzato per costruire infrastrutture di ricerca analoghe in un numero a piacere di altri casi». La vera svolta è data dal fatto che l’userr potrà, quando adeguatamente competente, anche interagire coi materiali presenti nel sito divenendo così un content provider: potrà quindi apportare commenti ai testi, avanzare suggerimenti, pubblicare nuovi articoli contribuendo al dibattito internazionale sulla figura di Galilei e del suo tempo. GT@ è un never-ending projectt al cui fortunato concepimento è stato indispensabile quell’esempio virtuoso di democrazia del sapere che è Wikipedia, lo “strumento degli strumenti” di ricerca sul web, divenuto essenziale per ognuno di noi e che proprio in questi giorni celebra il suo quindicesimo anniversario. Buon compleanno Wikipedia! Con l’augurio di continuare a professare, con il contributo dei generosi content providers di tutto il mondo, quella «libertà di filosofare» di cui il Cesi sognava 400 anni fa. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA di Massimo Bucciantini A lla fine del Cinquecento si potevano contare sulle dita di una mano o poco più. In Germania, non facevano mistero della loro adesione all’eliocentrismo l’astronomo di corte a Kassel Christoph Rothmann, il matematico dell’Università di Tubinga Michael Maestlin e il suo allievo prediletto, il giovane Johannes Kepler. In Olanda, c’era Simon Stevin. In Inghilterra, Thomas Digges. In Italia, a dichiararsi per primi copernicani erano stati un filosofo, che avrebbe finito la sua sventurata vita in Campo dei Fiori, e un ancora sconosciuto professore di matematica dell’università di Padova. Mosche bianche. Merce rara rispetto alla stragrande maggioranza di coloro che allora lesse il De revolutionibus (1543) e preferì separare gli aspetti tecnici (a cominciare dall’abolizione del punto equante) da quelli più propriamente cosmologici. Ovvero astronomi che accettarono come ipotesi matematica l’eliocentrismo senza rinunciare all’immobilità fisica della Terra. Un’interpretazione che normalizzava la sfida lanciata da Copernico e rendeva la sua grande opera “politicamente corretta”, poiché evitava ogni commistione con la filosofia naturale e ogni conflitto con le verità della Scrittura. Va detto però che già negli anni immediatamente seguenti l’uscita del libro non mancarono prese di posizione fortemente critiche: e ciò accadde sia sul versante luterano e calvinista sia su quello cattolico. A Firenze, tra il 1546 e il ’47, un teologo domenicano del convento di San Marco, Giovanni Maria Tolosani, scrisse un opuscolo – rimasto manoscritto, ma che venne ampiamente utilizzato in pubbliche lezioni da uno dei principali avversari di Galileo, il frate Tommaso Caccini – in cui accusava Copernico di errori intollerabili contro i sacri testi. Anche a Roma, un altro domenicano e per di più teologo di Paolo III, Bartolomeo Spina, aveva manifestato l’intenzione di confutare Copernico. Ed è molto probabile che se la morte – avvenuta nel 1546 – non glielo avesse impedito, il De revolutionibus avrebbe contribuito ad allungare i già fitti elenchi predisposti dalla Congregazione cardinalizia dell’Indice dei Libri Proibiti. inquisito | Joseph Nicolas Robert Fleury, «Galileo di fronte al Sant’Uffizio, nel 1632» (1847) Poi non se ne seppe più niente. Intanto nel 1566, a Basilea, venne stampata una seconda edizione. L’opera ottenne così un supplemento di diffusione in tutta Europa, circolando ancora più largamente nel sud della Francia e in Italia (Galileo possedeva l’edizione di Basilea), ma senza creare scandalo. L’offensiva sul terreno teologico riprese, e questa volta in modo vigoroso, solo dopo il 1610, all’indomani della stampa del Sidereus Nuncius. Uno dei primi a scagliarsi contro Copernico, e contro Galileo, fu un fiorentino, l’aristotelico Ludovico Delle Colombe, autore di uno scritto rimasto inedito e composto tra la fine del 1610 e i primi mesi del 1611. Il titolo è inequivocabile: Contro il moto della Terra. Proprio nella sua Firenze, Galileo si trovò così di fronte a un vero e proprio partito, capeggiato dall’arcivescovo Alessandro Marzimedici e da Don Giovanni de’ Medici, figura di primo piano all’interno della casa regnante. Vi facevano parte teologi e predicatori come Niccolò Lorini e Tommaso Caccini, filosofi scolastici come Francesco Sizzi e Giulio Libri, cultori di arti magiche e astrologiche come Orazio Morandi. E personaggi oggi poco noti, come il pistoiese Bonifacio Vannozzi, protonotario apostolico e segretario di Paolo V, il quale tra l’agosto e il settembre 1610 scriveva al magistrato e suo concittadino Gerolamo Baldinotti: «Io son con V. Sig. nel fatto del Galileo, e ogni buon teologo si riderà di chi dica da vero che la Terra si muove. Son cose dette altre volte per via di supposizione, non di verità. Che la Luna sia terrea, con valli e colline, è tanto dire che vi son degli armenti che vi pascono e de’ bifolchi che la coltivano. Stiancene con la Chiesa, nemica delle novità da sfuggirsi, secondo l’ammaestramento di S. Paolo. Son pensieri da belli ingegni, ma pericolosi». Non ci vuole molto a capire che in questa lettera c’è già il conflitto scienza/fede che opporrà Galileo a Bellarmino e alla Chiesa di Roma. E siamo a pochi mesi dall’uscita del Sidereus, molto tempo prima della celebre lettera da cui di solito si fa iniziare il caso Galileo, e cioè la celebre Lettera a Benedetto Castellii del 21 dicembre 1613. Senza l’osservazione di un nuovo cielo non ci sarebbe stata, il 5 marzo 1616, nessuna condanna del De revolutionibus. Erano trascorsi ben settant’anni dalla sua pubblicazione ma soltanto una manciata di anni dall’osservazione delle montuosità lunari e delle fasi di Venere, come dalla scoperta dei satelliti di Giove e delle macchie solari. Fu l’astronomia telescopica a sconvolgere il mondo fino ad allora creduto vero e a porre problemi cosmologici e teologici rilevantissimi. Se la Terra è simile alla Luna per le sue montagne, e se è simile a Giove perché ambedue hanno dei satelliti, non è forse allora possibile che la Terra sia un pianeta come gli altri? E se così fosse, come può l’inferno essere al centro della Terra, se non è più la regione più distante dal cielo ma è essa stessa nel cielo? Non fu Galileo, peccando di orgoglio, a lanciare la sfida ai teologi. Se non fosse stato costretto a difendersi, non avrebbe mai di sua iniziativa scelto di confrontarsi su un terreno così scivoloso. Che non era il suo, non essendo, né allora né poi, un teologo. Ed è in questo scenario che proporrà con forza, e per la prima volta, l’esigenza di una fondazione autonoma della ricerca scientifica. Che per lui aveva un unico significato: porre i fenomeni della natura sotto l’esclusivo potere conoscitivodeimatematici,lasciandoall’autorità dei teologi le sole questioni di fede e di morale. Il decreto inquisitoriale dichiarò la dottrina della mobilità della Terra e immobilità del Sole, «insegnata» da Niccolò Copernico nel De revolutionibus e dal teologo spagnolo Diego de Zuñiga nel suo Commento a Giobbe, «in tutto contraria alla divina Scrittura». Una dottrina considerata sempre più pericolosa perché «si va diffonden- do e viene accettata da molti». Come appunto stava a dimostrare un opuscolo scritto in volgare e stampato nel gennaio del 1615 da un teologo copernicano, il padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini. Com’è noto solo la sua Lettera sopra l’opinione de’ Pittagorici e del Copernico fu proibita, mentre le altre due opere furono sospese fino a quando non fossero state corrette. Nel decreto, non una parola su Galileo. Eppure aveva da poco pubblicato un libro apertamente copernicano come le Lettere sulle macchie solari ((1613). Si sa che se la caverà, per così dire, con un ammonimento ingiuntogli personalmente dal cardinale Bellarmino. Ma l’invito alla prudenza non venne ascoltato: l’assoluta autonomia della scienza e l’adesione a una nuova costituzione dell’universo non erano per lui valori negoziabili. E anche per questo non fu un concordista, uno cioè che pensava di conciliare le verità scientifiche con quelle di fede. Fu, semmai, un concordista alla rovescia: perché se è vero che Natura e Scrittura non possono per principio contrariarsi – in quanto prodotti del medesimo Autore – è altrettanto vero che spetta agli interpreti dei testi sacri adattarsi ai risultati della scienza, e mai viceversa. nute pagine, richiede un impegno non da poco, poiché ci impone di immetterci in un’ottica di una storia da cui emerge una conoscenza pluralistica, o se preferite al plurale, distaccandoci al contempo da ciò cui invece rimaniamo avvezzi, ovvero dalla storia della scienza, dalla storia intellettuale, dalla sociologia della conoscenza, il che non costituisce impresa facile, dal momento che siamo impregnati di tali discipline. Peter Burke prende in considerazione, sottolineandone l’importanza, diversi periodi storici, che, oltre Europa e Americhe, riguardano Asia orientale, India e il variegato (o complicato) universo islamico, utilizzando basilarmente tre categorie ben note: l’ordine conoscitivo, la conoscenza situata, la conoscenza societaria o la società della conoscenza. Categorie sì note e presenti in altri settori della filosofia, ma che qui si applicano con costanza alla comparazione, alla classificazione e alla verifica delle diverse conoscenze, al fine di comprendere non solo la loro possibile varietà e molteplicità, ma pure la misura e gli scopi del loro impiego che ne hanno fatto, nel corso della storia, governi, società (industriali e non), soggetti cognitivi singoli. Nasce immediato l’interrogativo: si tratta di una storia di progressi strabilianti della nostra intera umanità, oppure di una storia che ci conduce inevitabilmente a scivolare in un pericoloso relativismo epistemico? © RIPRODUZIONE RISERVATA storia della conoscenza Innovazione a rischio? di Nicla Vassallo C entosessanta pagine compatte per affrontare un nuovo campo di ricerca filosofico, quello della storia della conoscenza, opera unica e innovativa di Peter Burke, professore emerito di Storia Culturale all’Università di Cambridge, storia della conoscenza che non coincide però affatto con la storia culturale – altrimenti dove giacerebbe l’originalità dell’impresa? Confesso che, prediligendo la fi- losofia, ogni filosofia, che si sviluppa per concetti e problemi, nonché ritenendo che alla storia della filosofia occorra ricorrere solo nel caso in cui serva a risolvere qualche “buco” nelle argomentazioni, ho sfogliato da subito What is the History of Knowledge? non senza sospetti. Il fatto è che il concetto di conoscenza, in quanto credenza vera e giustificata, così come lo abbiamo vissuto in Occidente, nasce con Platone e giunge intatto fino a pochi decenni orsono, quando ci si accorge, grazie a Edmund Gettier, di un suo eccessivo legame con la casualità, ovvero ci può essere attribuita conoscenza, non in quanto la possediamo effettivamente, bensì in quanto si verifica un’imprevista e fortunata congiuntura di fatti. Dopodiché si sono moltiplicati i tentativi di sviluppare il concetto di conoscenza, in modo da renderlo esente dalla componente del caso, ma si è trattato e si tratta appunto di sviluppi, e non di una storia della conoscenza, anche, ma non solo perché, tali tentativi non sempre si collegano storicamente tra loro. I miei iniziali sospetti, nel prendere in mano What is the History of Knowledge?, si sono allentati, se non dissolti, con la lettura del volume, che, nonostante le sue conte- botta e risposta L’assoluzione di Scientology V i scrivo in nome e per conto della Chiesa Scientology, la quale mi ha conferito formale mandato ad assisterla a seguito della avvenuta pubblicazione sul Vostro quotidiano in data 20 dicembre 2015 di un articolo a firma del giornalista Paolo Legrenzi dal titolo «La trappola di Scientology». In tale articolo sono state riportate notizie false e tendenziose, gravemente lesive dell’immagine e della reputazione della mia cliente. In primo luogo infatti non risponde al vero che Ron Hubbard, fondatore di Scientology, sia «un avventuriero che si industria per ingannare chi desidera essere ingannato. Si tratta di scoprire una debolezza, un’ossessione, o un desiderio inconfessabile di un malcapitato, per poi sfruttarlo». Egli infatti è morto nel lontano 1986 e pertanto non può definirsi «un avventuriero»; nè tanto meno «un mitomane statunitense che fonda un’organizzazione con i soliti scontati obiet- tivi: sesso, soldi e successo». Il citato passaggio dell’articolo ha dunque attribuito a Ron Hubbard e per lui alla mia cliente, condotte del tutto avulse dai principi ai quali Scientology si ispira ed alle reali finalità sottese all’attività che essa svolge. È altresì destituito di ogni veritiero che «nella resistibile ascesa di Scientology c’è di tutto: il tradizionale schema Ponzi, collaudato meccanismo consistente nell’allargare via via la base di una piramide di ingenui, restituendo i soldi prestati dai nuovi adepti». Ma, affermazione ancor più grave riferita dal giornalista è la seguente: «E poi le promesse fasulle di benessere mentale e di felicità, seguite da ritorsioni contro chi vuole uscire dalla setta». Ed ancora è totalmente falso l’asserito «ricorso a strumenti paratecnologici come la fasulla invenzione di una macchina per misurare l’energia psichica». Infine gravemente lesivo della reputazione della mia cliente è il seguente passaggio narrativo: «Le uniche condanne, come nel caso di Al Capone, sono quelle inferte dalle autorità fiscali, per bilanci fasulli e imbrogli volti ad occultare il cospicuo bottino. Eppure Scientology sopravvive agli scandali ed alle denunce...Quel che ci vuole è la duttilità nel combinare, ogni volta in modi diversi, tutte le tecniche per ingannare i creduloni». In realtà le vicende giudiziarie nelle quali è stata, suo malgrado, coinvolta la mia assistita si sono definite con sentenze di assoluzione in favore della stessa in quanto sono stati ritenuti del tutto insussistenti i fatti alla medesima contestati. Precisamente, la Corte d’Appello di Milano con sentenza del 5 ottobre 2000 n. 4780, a seguito della pronuncia di rinvio della Corte di Cassazione, ha definitivamente preso atto della natura confessionale della Chiesa di Scientology, non tenuta ad obblighi di natura fiscale. – Avv. Daria Pesce D evo chiedere scusa a Scientology. Non sapevo che la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 5 ottobre 2000, ha preso atto «con la Suprema Corte che le prove acquisite non consentono di escludere la natura confessionale di Scientology». Se Scientology è da considerarsi in Italia legalmente una organizzazione confessionale, non tenuta da obblighi di natura fiscale, allora il mio articolo del 20-12-2015 è inesatto e, per la verità, in contrasto con quanto avevo scritto nel mio saggio Credere pubblicato dal Mulino nel 2008. In tale saggio avevo cercato di mostrare che i miracoli e altri eventi sovrannaturali permettono di rinforzare le credenze “confessionali” proprio perché, violando le leggi della scienza, richiamano la nostra attenzione, sono ricordati meglio, e puntellano così la fede “per contrasto”. Consideriamo, per esempio, la natura di Gesù (pp. 34-35). Sembra più intuitivo credere che: «Gesù aveva solo una natura ed era un agente umano di Dio» in quanto il Verbo è unico (eresia monofisita). Ma il Consiglio di Nicea (325) © RIPRODUZIONE RISERVATA Peter Burke, What is the History of Knowlegde?, Polity, Cambridge and Oxford, pagg. 160, £ 14.99 http://www.niclavassallo.net http://unigeit.academia.edu/NiclaVassallo