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Onasandro
Strategikos
manuale
per il comandante
dell’esercito
Introduzione
traduzione e note di
Antonio Sestili
Testo greco a fronte
A mio figlio Luca
Ufficiale di Cavalleria
Copyright © MMX
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
isbn 978–88–548–3680–8
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: dicembre 2010
Indice
9 Prefazione
11 Introduzione
19 Onasandro
Strategikos. Manuale per il comandante dell’esercito
Prologo – Capitoli 1–42 – Note
147 Appendice
149 Onasandro
Dell’arte della guerra
recato dal grco in italiano da Fabio Cotta
219 Onasandro
L’ottimo comandante
Antonio Angelini
301 Bibliografia
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Prefazione
Del Manuale (o Trattato) per il comandante dell’esercito scritto da
Onasandro, a parte la traduzione di Ludovico Carbone condotta
(fra il 1463 e il 1471) sulla versione latina manoscritta di Nicolaos
Sekoundinos (edita, poi, per la prima volta a Roma nel 1494), per
cui vedi Eramo 2006, 153–195, in part. 177–191, sono disponibili la
traduzione di Fabio Cotta (Venezia 1546 e, poi, 1548) ristampata da
Carlo Téoli (Milano 1863), quella di Antonio Angelini che afferma
essere “liberamente tratta” dall’edizione di Fabio Cotta“stampata a
Venezia... il 27 novembre 1545 [sic]” e quella di Corrado Petrocelli
(Bari 2008) con testo greco, introduzione, abbondanti note e ampia
bibliografia.
La traduzione qui proposta — nonostante il ritardo della
pubblicazione — è anteriore a quella di Corrado Petrocelli, che avrei
voluto riprodurre in appendice (se fosse stato concesso il permesso
dall’editore), insieme a quella di Cotta–Téoli e a quella di Angelini. In
questo modo il lettore avrebbe avuto la possibilità di confrontare la
mia traduzione con tutte le precedenti ma, soprattutto, con quella di
C. Petrocelli, e coglierne direttamente concordanze e discordanze.
Per quanto riguarda più precisamente il lavoro di Petrocelli, la sua
pubblicazione non mi ha dissuaso dal presentare ai (venticinque?)
lettori questa mia nuova traduzione, meno ambiziosa ma — credo
— formalmente più lineare e discorsiva e, dunque, di più immediata
fruizione anche da parte di un pubblico, almeno potenzialmente,
più ampio e culturalmente meno esigente e sofisticato.
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Antonio Sestili
Per l’Introduzione ho tenuto presente l’ottima sintesi proposta
da Oldfather 1923, 343–367, il saggio di Le Bohec 1998, 169–179 e,
ovviamente, Petrocelli 2008, 5–19.
Nelle note, infine, ho utilizzato ampiamente, e talvolta riprodotto
direttamente, il commento approntato dal Petrocelli al quale,
quindi, anche per questa parte, dichiaro qui molto volentieri il mio
debito, ma ho cercato di eliminarne il “troppo e il vano” (talvolta
anche qualche incongruenza) conservandone unicamente — in
linea con le esigenze più modeste e lo scopo più didascalico del mio
lavoro — quanto ho ritenuto indispensabile alla piena comprensione
del testo di Onasandro, evitandone le inutili (per quel pubblico,
naturalmente) divagazioni libresche e i sovrabbondanti riferimenti
eruditi meramente accademici e, temo, del tutto autoreferenziali.
Il testo del trattato di Onasandro qui riprodotto, salvo avviso
contrario, è quello pubblicato da Petrocelli 2008 che afferma di aver
assunto come base, anche per i sigla codicum, l’edizione approntata
da William Oldfather, in collaborazione con J.B. Titchener e A.S.
Pease, Cambridge (Mass.)–London 1923 (più volte ristampata: 1928,
1948, 1962, 1977, 1986) la quale, benchè fortemente tributaria della
edizione teubneriana di A. Köchly (Lipsia 1860), costituisce un
sensibile progresso e tuttora un valido punto di riferimento accanto
a quella di Korzensky–Vári 1935.
Introduzione
Il nome dell’autore del Trattato per il comandante è ricordato nella forma Onesandros da Giovanni Lido (de magistratibus
I 47) del VI secolo d.C. e dai Tactica (XIV 112) attribuiti a Leone VI ma da assegnare, probabilmente, al periodo di Leone III
(711–741 d.C.), chiamato comunemente ma non correttamente
l’Isaurico (cfr. Oldfather 1923, 345 e n. 1). La forma Onosandros
è, invece, attestata dalla voce del lessico di Suida ed è quella che si
ritrova nella maggioranza dei manoscritti tranne F (Florentinus o
Laurentianus LV. 4 del secolo X, collazionato da Enrico Rostagno
per l’edizione di Oldfather) e D (un manoscritto di secondaria
importanza del XVI secolo). Su entrambe le forme gli studiosi si
sono sempre divisi: Schwebel, Fabricius, Korais, M. Haupt, Von
Rohden, Jähns, Bechtel, Dain (che porta a sostegno iscrizioni cipriote attestanti rapporti fra un Onesandro e un Veraniano), Le
Bohec (che considera la convenienza della forma della koiné al
mondo romano del I secolo d.C.) preferiscono la forma Onesandros; Haase, Köchly, K.K. Müller, Christ–Schmid usano Onosandros (cfr. Oldfather 1923, 346 e Petrocelli 2008, 5–6). La maggior
parte degli studiosi più recenti, invece, preferisce la forma Onasandros, variante dorica di Onesandros attestata nella subscriptio dell’ottimo Laurenziano LV. 4: così Vári, seguito da Oldfather,
Korzensky–Vári, Daly–Oldfather, Ercolani, Ambaglio, Campbell,
Galimberti, Eramo, Petrocelli, Peters, Smith (cfr. Oldfather 1923,
346–347 e Petrocelli 2008, 6).
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Antonio Sestili
Per quanto riguarda il periodo in cui visse Onasandro, il suo
trattato stesso fornisce l’unico indizio cronologico di cui disponiamo, con la menzione del dedicatario, Quinto Veranio. È quasi
certo che il Veranio di cui parla Onasandro sia il personaggio
che fu pro–pretore della provincia di Licia–Panfilia dal 43 al 47
d.C., console nel 49 d.C., legatus Augusti pro praetore (fra il 54 e
il 58 d.C.) della Britannia, dove morì nel 59 d.C. Si ritiene, generalmente, che l’anno 59 d.C. sia il terminus ante quem per la
composizione dell’opuscolo, scritto, secondo i più, fra il 49 e il 59
d.C. e, precisamente, intorno al 53 d.C. secondo Daly e Oldfather
che riprendono un’ipotesi avanzata già da Zur–Lauben sulla pax
augusta cui si allude in proemio 4 (cfr. Oldfather 1923, 347–348
e Petrocelli 2008, 6).
La notizia tramandata da Suida che classifica Onasandro come
filosofo platonico e gli attribuisce un commento alla Repubblica
di Platone non viene, generalmente, ritenuta attendibile: la qualifica di “filosofo” è comune anche ad altri autori di tattica come, ad
esempio, Asclepiodoto e Arriano che è noto, del resto, come filosofo e discepolo di Epitteto; né l’opuscolo di Onasandro presenta
reali e concrete allusioni alla dottrina platonica, nonostante tentativi — fatti da alcuni studiosi (Oldfather, Peters, Ercolani) — di
enfatizzare alcuni aspetti (cfr. Petrocelli 2008, 6–7).
Yann Le Bohec, dopo aver criticato l’interpretazione di Gugel,
secondo cui l’elenco delle qualità richieste allo strategos potrebbe evocare il Catilina di Sallustio, e quella di Ambaglio, che individuava la ripresa di testimoni greci precedenti (in particolare,
Senofonte, Enea Tattico e Polibio) e ne deduceva un intento di
natura «eminentemente culturale–politica», cioè mostrare ai Romani il debito accumulato per i loro successi verso i Greci, insiste sull’epoca di Claudio (54–68 d.C.) e la sua politica relativa alla
organizzazione dell’esercito e al ruolo dei liberti: greco di idioma
ma forse originario dell’area cipriota o licia (comunque, dell’oriente romano), individuato col solo cognomen, Onasandro, accanto a
tutta una serie di luoghi comuni propri dell’ambito militare, insiste
più volte sulla opportunità di evitare che la nobiltà di nascita e il
Introduzione
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patrimonio ragguardevole costituiscano di per sé un lasciapassare
per le alte cariche militari; la sua opera interesserebbe, così, per lo
studioso francese, più la storia sociale che quella militare, rappresentando una sorta di rivendicazione «per l’accesso ai gradi superiori dell’esercito di chi non apparteneva all’aristocrazia senatoriale» (Le Bohec 1998, 178). Al di là della ipotetica origine orientale
di Onasandro, dei temi connessi alla sua formazione umanistica
e filosofica (su cui si concentra soprattutto il lavoro di Smith) e
dei possibili destinatari, identificati (soprattutto da Galimberti)
nei rappresentanti dell’élite romana e negli esponenti dell’alta ufficialità militare, l’opuscolo mostra la conoscenza di fonti e modelli
significativi, non solo sul piano concettuale ma anche dal punto di
vista dello stile e della lingua (come dimostra l’articolato studio di
Peters), con una attenzione particolare ad alcuni temi di carattere
specificamente tattico e poliorcetico ma, soprattutto, agli aspetti
psicologici della guerra: si mescolano, allora, echi delle vicende e
della vita militare del I secolo d.C. a conoscenze e personalità del
passato filtrati dalla tradizione (cfr. Le Bohec 1998, 169–79, in part.
175–179 e Petrocelli 2008, 7–8).
Giudicato negativamente da studiosi come Delbrück, Wilamowitz, Dain e, più recentemente, Ambaglio («il contenuto unisce alla sciatteria dell’impostazione precettistica un amore per i
luoghi comuni tale da scoraggiare il lettore»), Le Bohec («litanie de banalités»), Traina («autore pedante e “minore”»), per la
evidente superficialità e banalità di contenuti, Onasandro «ha
costruito un opuscolo che, appunto, nell’assenza di riferimenti troppo circostanziati, di dettagli tecnici, nel mancato legame
con una fase definita o una specifica dimensione ha mostrato gli
esiti di una scelta mirata e consapevole che ha, poi, determinato
il motivo della sua fortuna, a partire dall’età bizantina [...], rendendo lo scritto fruibile e adattabile in ogni tempo. Fortuna che
è da ascriversi tanto alla voluta atemporalità dell’opera quanto
alla suggestiva intenzionale sfuggevolezza del suo argomento»
(Petrocelli 2008, 8–9). Le qualità lessicali e stilistiche dell’opuscolo di Onasandro, analizzate da Von Rohden, Peters ed Ercola-
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Antonio Sestili
ni, rinviano ai modelli forniti dagli storici tra i quali, soprattutto,
Tucidide e Senofonte, ma evidenziano i caratteri peculiari della
grecità di età imperiale, e proprio sullo stile si sono concentrate
le maggiori lodi per il manuale di cui è stata sottolineata la «bellezza maestosa, l’eleganza nervosa, la chiarezza penetrante; e se
il testo greco non ha la forza e la piacevolezza di quello di Erodoto, di Tucidide o di Senofonte, sembra non di meno eguagliare
quello di Plutarco» (Zur–Lauben).
Nel periodo in cui Onasandro riflette sulle qualità del suo
strategos si è già consolidato il processo di professionalizzazione delle truppe, e lo strategos è un tecnico esperto di guerra che
deve misurarsi con le nuove esigenze di soldati professionisti e
volontari, legati ai propri comandanti spesso da interessi clientelari e spinti a combattere più per esigenze economiche che per
amore della patria o per il senso del dovere o della disciplina. Il
destinatario del trattato è, dunque, «un professionista del comando, un capo militare esperto e accorto, rispettoso delle usanze,
anche religiose, un leader carismatico, previdente e responsabile,
che con intelligenza instaura il giusto rapporto con le truppe, per
evitare che indulgano nel lassismo o, al contrario, siano paralizzate da un comportamento troppo severo e intransigente. Tale
impianto giustifica la mancanza di riferimenti circostanziati a
personaggi, eserciti o episodi specifici tanto che, se da una parte
sono rinvenibili accenni alla realtà militare romana, quali la tattica manipolare, l’agmen quadratum, il repentino passaggio dallo
schieramento di marcia a quello di battaglia, la composizione dei
contingenti, dall’altra evidente è la presenza di elementi tipici del
combattimento falangitico di età ellenistica così come tramandato dai manuali di tattica di Asclepiodoto, Eliano e Arriano»
(Petrocelli 2008, 11–12).
Modelli di riferimento per la rappresentazione onasandrea
della figura dello strategos ideale, oltre all’Ipparchico di Senofonte, dedicato a illustrare le qualità del comandante di cavalleria e a
fornire suggerimenti utili alla sua carica, possono essere rintracciati, più che in scritti specifici, in opere al cui interno si riserva
Introduzione
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uno spazio definito e, in certo qual modo, autonomo alle riflessioni sulle doti richieste per l’esercizio del comando; per esempio,
il ritratto di Timoteo delineato da Isocrate (Antidosis 101–139, in
part. 115–128) o la figura di Pompeo descritta da Cicerone (pro
lege Manilia X 28–XVI 49) o quella di Amilcare Barca e di Annibale proposta da Polibio (I 57, 5; 62, 5; 64, 6; III 33, 8; X 13, 1–2;
33, 3–5); ma già in Omero e, fra gli storici, in Tucidide, si trovano
riscontri relativi alle doti e al carattere del comandante di eserciti.
Tuttavia, l’opera di Senofonte, in particolare, avrà costituito un
punto di riferimento privilegiato, non solo con l’Ipparchico ma
anche con le osservazioni reteiratamente formulate in merito dal
Socrate dei Memorabili, con il valore paradigmatico dell’Agesilao, con tutto il bagaglio di esperienze vissute in prima persona e
registrate nell’Anabasi e nelle Elleniche e, infine, con la figura di
Ciro, paradigma del generale illuminato, tracciata nella Ciropedia
(cfr. Petrocelli 2008, 12–15). «Il generale che emerge dalle indicazioni di Onasandro — scrive Petrocelli — è decisamente figlio
delle esperienze passate e dei ritratti delle più importanti figure
di condottieri esaltati dalla tradizione. Il materiale disponibile al
riguardo è, ovviamente, assai vasto e di non immediata connessione con lo strategikos, tanto più che Onasandro non opera mai
rinvii espliciti ad alcun predecessore (l’unico autore che goda di
citazione, in quanto “autorità riconosciuta”, è Omero [...]) ma, soprattutto, [...] non fornisce riferimenti manifesti né a determinati
accadimenti né a specifiche individualità. Non è difficile, tuttavia,
individuare, di volta in volta, i punti di riferimento, almeno i più
noti, fra il materiale tràdito [...]. È, però, altrettanto vero che lo
stesso ritratto di ottimo comandante ben si attaglia all’età in cui
Onasandro visse» (Petrocelli 2008, 15–16).
Il generale di Onasandro deve possedere una summa di virtù
e abilità: dovrà conoscere l’astronomia, saper interpretare personalmente gli auspici, scegliere uomini valenti, guidare con prudenza l’esercito in marcia, curare l’addestramento e il benessere
fisico e psicologico delle truppe, condurre con successo un assedio, assumere informazioni utili per la battaglia tramite spie e
16
Antonio Sestili
disertori, prevenire le mosse dell’avversario, utilizzare i diversi
contingenti dell’esercito, come la cavalleria e la fanteria leggera,
proporsi come punto di riferimento senza, però, rischiare la vita,
ispirare la propria condotta ai principi di moderazione e pietà
per i vinti; e sarà un ottimo generale soltanto chi è scelto per le
proprie qualità: un uomo saggio, moderato ed equilibrato, non
avido né avaro, abile oratore, padre di figli, di età tale da contemperare la baldanza della giovinezza con la debolezza della tarda
età, un uomo degno della massima stima perché, come Onasandro afferma alla fine del trattato, «un uomo valente non è solo la
migliore guida della patria e delle truppe ma è anche un accorto
strategos della stima inattaccabile che sempre lo accompagna»
(XLII 26).
La discussione sulla tradizione degli scrittori di argomenti militari, dopo i contributi di Haase, Köchly, Müller, Vári e Oldfather,
ha il punto di riferimento fondamentale negli studi di Alphonse
Dain, soprattutto in Les Manuscrits d’Onésandros (Paris 1930), nonostante alcune sviste messe in evidenza da Eleonore Korzensky
(nella recensione al libro di A. Dain, pubblicata in «Philologische
Wochenschrift» 52.1, 1932, coll. 1–8).
I testimoni di Onasandro, molto più numerosi rispetto a quelli
degli altri polemografi, si possono dividere in tre gruppi: il primo
gruppo fa capo al Laurentianus (o Florentinus) LV. 4 (F: secolo X;
ha conservato la tradizione migliore e costituito la base dell’edizione di Oldfather) e ai suoi apografi (Parisinus gr. 2522 del XV
secolo: A; Bernensis 97 del XVI secolo: B; Parisinus gr. 2446: copia del XVII secolo del Bernensis); il secondo gruppo fa capo al
Parisinus gr. 2442 (P: XI secolo), al Vaticanus gr. 1164 (E: XI secolo), al Neapolitanus III–C–26 (H: X–XI secolo): questa seconda
famiglia rappresenta un testo forse più diffuso ma, spesso, decisamente inferiore; il terzo gruppo è rappresentato dall’Ambrosianus gr. 139 (B–119– sup., del X secolo): il testo di Onasandro di
quest’ultimo testimone consta, in realtà, di una Parafrasi anonima
dello strategikos (mutila fino al cap. X 26), ascritta alla prima età
bizantina (V–VI secolo). Di grande interesse perché si diversifica
Introduzione
17
dagli altri due gruppi, la Parafrasi (di cui Oldfather all’epoca non
poté disporre) è stata studiata e edita da C.G. Lowe, A Byzantine
Paraphrase of Onasander, St. Louis 1927. Completano il panorama della tradizione onasandrea la anonima Sylloge Tacticorum
e i Tactica di Leone VI. Riferimenti ai precetti onasandrei sono
rinvenibili nello Strategikon attribuito all’imperatore Maurizio e
nell’anonimo de re strategica.
La fortuna di Onasandro è attestata, a partire dal Rinascimento, da un buon numero di edizioni e traduzioni: la Editio Princeps, con traduzione latina e note, si deve a Nicolas Rigault (Parigi
1598), ristampata, poi, nel 1600 (Heidelberg), nel 1604 e nel 1619;
l’edizione di Jean Chokier de Surlet (con la traduzione latina e le
note di Rigault) vide la luce a Roma nel 1610 (più volte ristampata: 1613, 1615, 1619, 1625, 1643, 1649, 1653 1687: prive del testo
greco); del 1762 è l’edizione di Nicolas Schwebel, con la traduzione francese del barone Zur–Lauben; al 1822 risale l’edizione
didotiana di Adamantios Korais con la traduzione di Zur–Lauben
e al 1860 la teubneriana di Hermann Köchly; non vide mai la luce
l’edizione dei Tattici di Friedrich Haase, di cui rimane la sezione
introduttiva sulla struttura della raccolta (1847).
La prima traduzione latina del trattato si deve a Nicolaos
Sekoundinos (1494; ristampata a Parigi nel 1504, a Lione nel 1523,
a Basilea nel 1541 e 1558), seguita da quella di Joachin Camerarius del 1595. In francese Onasandro è stato tradotto da Jean Charrier nel 1546, da Blaise de Vigenère nel 1605, da Zur–Lauben nel
1757 (riedita nel 1760), da Karl Guischardt nel 1758 (ristampata
a Lione nel 1760 e nel 1840). La traduzione più recente di Pascal
Charvet e Anne–Marie Ozanam per i Trois Tacticiens Grecs di
Olivier Battistini (Paris 1994) comprende solo alcuni capitoli del
manuale. La prima traduzione tedesca di Onasandro, del 1532,
risulta anonima; al 1779 risale la traduzione di Albrecht Heinrich
Baumgärtner, con note e tavole (ristampata nel 1786).
Per la lingua spagnola disponiamo delle traduzioni in castigliano di Diego Gracian de Aldarete (Barcellona 1566) e Tomas
de Rebolledo (Napoli 1635). In greco moderno sono la traduzio-
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Antonio Sestili
ne di Apostolos Skalisteras (Bucarest 1832) e di Michael Konstantiniades (Atene 1897). Diffusione limitata ha avuto la traduzione in lingua ceca a cura di Václav Marek e Jan Kalivoda (Praga
1977).
Sigle dei codici più importanti
A: Parisinus 2522 (XV secolo)
B: Bernensis 97 (XV–XVI secolo)
F: Florentinus (o Laurentianus) LV. 4 (X secolo: collazionato da
E. Rostagno per l’edizione di Oldfather)
G: Vaticanus Graecus 1164 (XI secolo)
H: Neapolitanus III C 26 (XI secolo)
P: Parisinus 2442 (XI secolo: collazionato da Jakob Huntziker
per Köchly)
V: Vulgata: i codici usati da Köchly e dai suoi predecessori
Ω: tutti i manoscritti o tutti gli altri manoscritti (inclusi F G H).
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