UNA VITA PER
LA POLITICA E
L'INFORMAZIONE
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Questo libro è stato pensato e scritto per un dovere di riconoscenza verso uno
dei figli migliori della sinistra gardonese e bresciana.
Nei contributi appassionati di compagni e amici e negli scritti di Carlo si compone la sua figura di uomo e di dirigente e si possono "vedere" in filigrana i tratti originali del Comunismo italiano.
Perché non rendergli omaggio, sapendo che lo avrebbe apprezzato, tentando di
delineare i caratteri di un partito e di una cultura politica "parte integrante e vitale" della storia di una nazione e in particolare "dell'eredità della Prima
Repubblica"'»?
Può sembrare un paradosso affermare la vitalità di una forza politica che si è
sciolta e trasformata, ma "ciò è potuto accadere perché e solo perché c'è un
riformismo implicito nella storia del PCI da liberare, c'è un rapporto con la
democrazia che ha garantito a questa sviluppo e mantenimento , e soprattutto
c'è una cultura, ampia, politica non corporativa che ha innervato la coscienza
nelle grandi tematiche della libertà... Un passaggio genetico non si può inventare, un salto oltre se stessi che non significhi portare lì tutto, compresa la propria ombra, è possibile se c'è una sorta di potenzialità inespressa e contraddizione, e se c'è uno spazio in cui far giocare questa tensione in un vero e proprio
processo di liberazione." (2>
A me sembra che questa potenzialità risieda nella capacità avuta dal PCI di elaborare una funzione nazionale autonoma e di essere stato conseguentemente un
partito necessario per l'Italia.
Già nel periodo 24-26, negli anni della costruzione di un nuovo grappo dirigente del P.C.d.I, Granisci avviò questo processo affermando che "se Amedeo
Bordiga si pone dal punto di vista di una minoranza internazionale, noi dobbiamo porci dal punto di vista di una maggioranza nazionale" e cimentandosi nel
dare vita ad un partito che non fosse " un organo della classe che si sviluppa in
sé e per sé, ma che sia parte della classe" e sapesse elaborare una proposta politica che puntasse a cambiare i caratteri dello sviluppo di una nazione, sulla base
di una analisi stringente della sua storia.
Erano i prodromi di una cultura politica che sfocerà nella nascita e nello sviluppo di un riformismo comunista.(3)
La costruzione di questa figura del riformismo è scandita dalla Svolta di
Salerno, dalla Resistenza e dalla Costituzione Repubblicana: passaggi^ che
hanno consentito al PCI di essere tra i partiti fondatori della Repubblica. È un
dato ormai assodato che Togliatti, per la costruzione di "una democrazia progressiva di tipo nuovo", considerasse indispensabile una partecipazione di tutti
i partiti antifascisti in un governo unitario per un lungo periodo di tempo.(4)
Questa prospettiva non potè realizzarsi per una evoluzione negativa del quadro
internazionale, con il precipitare della guerra fredda, ma il PCI non abbandonò
- mai l'elaborazione di una strategia di "via italiana al socialismo" i cui fondamenti erano scritti nella Costituzione Repubblicana per cui Togliatti poteva
affermare che era "evidente che nelF accettare questa prospettiva noi introduciamo il concetto di uno sviluppo graduale, nel quale è assai difficile dire quando, precisamente abbia luogo il mutamento di qualità"(5), cioè il passaggio alla
fase socialista.
L'altro cardine di questa strategia è stata la costruzione di un partito nuovo di
massa, un partito che doveva "fare politica" e che doveva aderire a tutte le pieghe della società. Anche questa scelta avrebbe contribuito a differenziare il PCI
dagli altri partiti comunisti e a radicarlo nella società. "Certamente - scrive A.
Agosti - quello del partito nuovo fu l'apporto più originale che venne dai comunisti italiani, e in primo luogo da Togliatti, al ripensamento della strategia comunista (6)
Espressione di questo partito comunista sui generis è stata anche la sua capacità di dotarsi di un giornale come L'Unità, che non si è mai configurata alla stregua di un mero bollettino di partito, ma si è inserita nel panorama editoriale italiano quale voce autorevole ed è stata uno strumento di formazione ed educazione di milioni di italiani.
E dalle sue colonne i bresciani hanno potuto apprezzare lo stile e l'acume di
Carlo Bianchi che, anche alla scuola de L'Unità, è entrato a pieno tìtolo nella
storia del giornalismo bresciano.
Carlo Bianchi è stato un autorevole interprete di questa cultura politica e anche
in queste pagine, nel suo testamento politico, nelle orazioni funebri e nel ricordo dei compagni, se ne possono rintracciare non equivoci riferimenti. Così
come si può individuare, nella ricorrente valorizzazione della capacità dei compagni di non essere settari e faziosi, un'altra caratteristica del patrimonio genetico dei comunisti italiani: la strategia delle alleanze politiche e sociali; " un'attitudine culturale, consapevole di dover affrontare il complesso rapporto tra
alleanze e riforme, assegnando la preminenza al problema delle alleanze."'"
È questa propensione che ha consentito al PCI da un lato di essere artefice della
costruzione di un blocco storico (classe operaia, contadini del sud, ceti medi)
che ha saputo essere forza di governo, anche dall'opposizione, e dall'altro di
impostare un dialogo fecondo con il mondo cattolico.
Mi riferisco alla posizione assunta in Assemblea Costituente sul artìcolo 7, al
famoso discorso di Togliatti a Bergamo nel 1963 sul "destino dell'uomo", alla
valorizzazione che Longo fece nel XII congresso di una "sofferta coscienza religiosa" quale presupposto di una comune battaglia di liberazione dell'uomo.
L'altra faccia di questa medaglia è stata la capacità del PCI di superare uno dei
caratteri originari del socialismo italiano: il massimalismo.
Tutta la storia del PCI, fin dalla battaglia di Granisci contro Bordiga, è percorsa dal filo rosso della critica ad una politica che esclude dal suo orizzonte il
tema del governo, che questa è l'essenza del massimalismo/7bis>
E se dal centro ritorniamo per un attimo alla periferia, credo di poter affermare
che nella storia dei comunisti gardonesi e di Carlo Bianchi si possono rintracciare gli elementi di questa politica.
Una capacità di raccogliere l'eredità del socialismo di inizio secolo che a
Gardone aveva costruito un originale insediamento C8); una presenza nelle
Istituzioni che si è caratterizzata negli anni per una propensione alla proposta
più che alla contrapposizione; una tensione , nelle fabbriche, a non scavare mai
un solco incolmabile con le altre organizzazioni sindacali che ha portato, poi,
anche ad anticipare vicende provinciali e nazionali(9); un costante impegno nel
mantenere aperto un dialogo e un rapporto con il partito socialista, almeno fino
all'avvento di Craxi. Sono i tratti di un partito che si è, e mi sia concesso di
affermarlo, distinto anche nel panorama del comunismo bresciano, grazie a
gruppi dirigenti autorevoli: da quello cresciuto nella Resistenza e nel primo
Dopoguerra: Lino Belleri, Emma e Giulia Bentivoglio, Carlo Buizza, Ippolito
Camplani, Aldo e Giuseppe Casari, Franco Cinelli, Libero Ferraglio, Pietro
Martinelli, Sergio e Bortolo Pedretti, Aldo Rizzinelli, Silvio Ruggeri, Popi
Sabatti, Pietro Sartori, Mario Zoli, con i quali Carlo Bianchi ha compiuto il
primo tratto della sua militanza; a quello degli anni 60 e 70: Aristide Beccagutti,
Giacomo Ghizzardi, Giuliano Ongaro, Umberto Pagani, Ildebrando Parodi,
Graziano Rizzini, Angelo Sabatti, Cisi Selogni, che ha avuto in Carlo Bianchi
una guida.<9bis)
È con questo gruppo dirigente che il PCI gardonese ha affrontato un altro dei
passaggi cruciali della sua storia: il compromesso storico.
Esso è stato un ulteriore testimonianza della funzione nazionale incorporata dal
PCI, una strategia politica che "affonda le radici nella togliattiana svolta di
Salerno, nel periodo costituente e, soprattutto, nella storia politica e sociale del
Paese" "0).
Si è trattato, come è stato giustamente scritto, dell'ultima grande strategia politica della Prima Repubblica, una risposta di grande respiro ai problemi
dell'Italia degli anni '70.(11)
Sono convinto che questa forza della proposta sia all'origine della grande
espansione del PCI negli anni settanta, della sua credibilità verso una nuova
generazione che ad esso ha poi aderito in forma copiosa, che lo ha innervato e
rinnovato.(12)
Anche a Gardone questo è avvenuto.
Il circolo della federazione giovanile in quegli anni raggiunse oltre i cento iscritti; in Consiglio Comunale, nel 1975, il PCI passò da 7 a 10 consiglieri, tre dei
quali appena ventenni. E, accanto ai giovani, nel gruppo consiliare, per la prima
volta, erano presenti alcuni "indipendenti".
Si inaugurò, così, una stagione feconda, anche a Gardone, di apertura del Partito
ai fermenti della società civile e di dialogo con un mondo portatore di una critica nuova "allo stato di cose esistente", ma anche allo stesso PCI: una stagione
che, credo, abbia agito in positivo su entrambi gli attori.02 bis)
A Gardone il partito comunciò ad uscire da un insediamento quasi esclusivamente operaio. Erano davvero formidabili quegli anni(13) se in più occasioni il
Sindaco Grazioli, con malcelata "invidia", ebbe a chiedere a Carlo Bianchi, che
me lo riferì con malcelato orgoglio, come erano stati capaci i comunisti di
aggregare un gruppo così consistente di giovani e giovanissimi.
"Il dato è che , in quegli anni, si stava formando un gruppo dirigente a cui sarebbe toccato, nel 1995, di riportare la sinistra al governo del Comune, dopo la
breve parentesi del 1946-1951, in alleanza con i cattolici democratici.
Con questa "nuova leva" Carlo, pur essendo impegnato prevalentemente a livello provinciale e a L'Unità, ha saputo mantenere un rapporto, ha saputo "dare",
ma ha, pure, saputo "ricevere". E anche in questo si delinea il profilo di un dirigente politico di razza.
Nel mezzo c'è un ventennio, che non è compito di questa introduzione analizzare, nel quale si è dissolto il sistema politico del dopoguerra e si è consumato
lo scioglimento del PCI che solo così ha risolto la contraddizione principale
della sua storia: essere impossibilitato a governare, non tanto per un'adesione al
modello del socialismo reale, quanto per la sua collocazione nella divisione del
mondo in blocchi contrapposti.
Ma su questo epilogo qualche riflessione è doverosa.
La trasformazione del PCI è stata definita tardiva e tempestiva al tempo stesso.<I4>
Tardiva perché, forse, anche in anni precedenti c'erano le condizioni per risolvere la contraddizione testé richiamata e per avviare un processo di costruzione
di un partito unico della sinistra (I5); perché dopo l'esaurimento della strategia
del Compromesso Storico c'è stata nel PCI un'incapacità, almeno fino al 198687, di leggere le trasformazioni della società e del sistema politico italiani, la
crisi del welfare e di elaborare una conseguente linea politica.<16)
Tempestiva perché sotto le macerie del muro di Berlino, senza l'accelerazione
di Occhetto, avrebbe potuto finire anche la originale parabola storica del comunismo italiano.
L'epilogo è stato doloroso, sia dal punto di vista politico che umano, con una
scissione di non piccole dimensioni. E anche in compagni come Carlo Bianchi,
convinti della svolta, la conclusione dell'itinerario del PCI ha lasciato qualche
punta di amarezza.
Credo che ciò sia in parte dovuto alle modalità con cui è stato gestito il passaggio dal PCI al PDS nel biennio 89-91, da parte del gruppo dirigente occhettiano.(17)
Mi riferisco, in particolare, all'abuso della categoria del consociativismo, per
interpretare tutta la storia politica del dopoguerra, che ha offuscato l'originalità
del ruolo del PCI, che ho cercato di delineare, e dato l'impressione che sotteso
alla svolta ci fosse un intento liquidatorio di una tradizione.(18)
E se mi soffermo sulla vicenda, dall'angolo visuale di quello spicchio d'Italia
che è Gardone, si rafforza la convinzione che molti dei compagni che non hanno
aderito alla svolta, non siano stati guidati dalle categorie dell'antagonismo e
della fuoriuscita del capitalismo, ma dalla sensazione di un approdo indefinito
e incerto, che avrebbe reciso le proprie radici.
Certo è che la nascita di due partiti dal tronco del PCI rende più complicata la
costruzione, necessaria, di una convergenza tra le due sinistre, come dimostrano le recenti vicende politiche.
Resta comunque il fatto che la nascita del PDS, anche in coincidenza con l'epilogo della vicenda del PSI<!9), ha aperto nuove prospettive alla sinistra italiana, influito sull'evoluzione del sistema politico,(19bsi) consentito finalmente l'incontro fecondo tra le culture politiche progressiste italiane: il riformismo della
sinistra e il riformismo cattolico democratico.
A proposito di questo incontro Trenti ha scritto: "Democrazia progressiva era il
programma di Togliatti e Dossetti. Storia cristiana, tradizione socialista e politica comunista, allora lì, era il luogo di un incontro strategico.
È uno dei tanti paradossi con cui l'impeto della storia si diverte a scompaginare le fila della politica; quelle componenti popolari hanno finito per incontrarsi
adesso, quando ormai sono senza più popolo." (20)
Se questa interpretazione può essere, forse, vera per la realtà nazionale, non lo
è per quella bresciana e gardonese in particolare.
A Gardone il riformismo della sinistra e il riformismo cattolico hanno avuto e
continuano ad avere un forte insediamento popolare e si sono incontrati ancora prima che questa prospettiva si dispiegasse compiutamente su tutto il territorio nazionale, conseguendo in due tornate amministrative (1995 e 1999) ottimi
risultati con percentuali di consenso decisamente superiori alla media provinciale e nazionale.
Mi piace pensare che ciò sia riconducibile anche all'impegno profuso da compagni come Carlo Bianchi lungo un cammino durato una vita. E che questo
sbocco Carlo Bianchi lo sentisse giustamente anche come opera sua è testimoniato da una orazione funebre nella quale egli ha voluto ricordare il ritorno
al governo del Comune della Sinistra.
In questa introduzione ho voluto soffermare la riflessione principalmente sulla
valorizzazione del polo positivo della storia del PCI, non perché mi sfuggano i
ritardi, i limiti, le aporie di una storia, comunque grande, ma perché credo vada
contrastata una tendenza, per lungo tempo rimasta sottotraccia e poi via via
affermatasi nel senso comune fino ad incarnarsi nel governo del Paese.
Parlo della tendenza a demolire, utilizzando strumentalmente la crisi finale della
Prima Repubblica, le sue architravi e la Costituzione Repubblicana; a buttare,
mi si passi l'immagine, il bambino e a tenersi l'acqua sporca, utilizzando il grimaldello suadente dell'antipolitica.(21)
A favorire questo provvisorio epilogo della storia repubblicana <22) sono stati
anche errori della sinistra e del centro sinistra che mi sembrano tutti riconducibili ad una sottovalutazione della pregnanza storica, politica e sociale e del
carattere dirimente dell'alleanza tra il riformismo della sinistra e il riformismo
cattolico popolare .<23)
Spesso dalle sconfitte la sinistra ha saputo trarre preziosi insegnamenti per il
futuro e allora l'auspicio è quello, anche per onorare la memoria di uomini giusti, come Carlo Bianchi, che sono stati dalla parte giusta che presto si avveri l'esortazione di Petrarca, ripresa nel finale del Principe di Machiavelli: "Virtù contro a furore prenderà l'arme, e fia el combatter corto; che l'antico valore nell'italici cor non è ancor morto."(24)
NOTE:
" G. Vacca, Riformismo vecchio e nuovo, Einaudi, 2001, pag.74
^B. de Giovanni, Dopo il comunismo, Cronopio, 1990, pag. 109-110
" G. Vacca, Riformismo vecchio e nuovo, cit. pag. 77. Vacca ritiene che la straordinaria capacità del riformismo di incidere netta storia del Novecento stia nella conciliazione fra classe e nazione, socialismo e nazione, di cui l'evoluzione dei paniti socialdemocratici in partiti di governo è
stata la forma più compiuta e che nel comunismo italiano si sia verificato un processo analogo
che segnò la nascita del riformismo comunista.
J
> In questa analisi si può rintracciare una certa dose di irrealismo, alla luce della rapidità dello
sciogliersi dell'alleanza internazionale antifascista.
!>
P. Togliatti, Rapporto al X Congresso del PCI
"A. Agosti, storia del PCI, Laterza, 1999, pag.53.
Agosti così contìnua: "Serviva un partito capace di istituire un rapporto organico, non ideologico, con la realtà nazionale, e insieme di disciplinarla. Si introduceva una modificazione decisiva
nella tradizionale forma -partito comunista, che sarebbe stata ufficializzata dallo statuto approvato al V Congresso, del 1946: quella dell'adesione basata sono sull'accettazione del programma politico del partito, indipendentemente dalla fede religiosa professata e dalle convinzioni filosofiche ".
7>
C. Bragaglio, II PCI e il socialismo reale negli anni ottanta, Rinascita, 2001, pag. 11
7b
"' Questo aspetto della politica del PCI è evidenziato da uno storico, a volte anche impetuoso
verso i comunisti come L. Cafagna in C'era una volta..., Marsilio, 1995
* P.'Pagani - G. Bonetti, II Movimento Operaio in Valle Trompia, Squassino, 1983. Al PCI aderirono, infatti, esponenti autorevoli del socialismo gardonese tra i quali Giuseppe Masetti, Marco
Gommassi, Giuseppe Belleri, Pietro Timpini e il partito seppe rilanciare le "istituzioni socialiste" (Cooperativa di solidarietà, Casa del Popolo), cancellate dal fascismo. Più in generale il
PCI seppe sostituirsi al PSI nei suoi insediamenti storici (Emilia e Toscana) e incorporare la
migliore tradizione municipalista del socialismo italiano, superando un'impostazione centralista
nella concezione dello Stato, che si era espressa ancora in sede di Assemblea Costituente.
J" P. Galli, Da una parte sola, Manifestolibri, 1997,pag 112-119
""*' Giacomo Ghizzardi delinea un bel ritratto di Carlo, ricordandolo come "il dirìgente più preparato, il nostro punto di riferimento, colui che ci apriva ai temi politici più generali e ci sosteneva nella politica amministrativa.
E stato una guida, soprattutto nel farci superare il settarismo e la faziosità. Era anche libero nei
giudizi. Ricordo una sua critica all'Unione Sovietica, verso la metà degli anni '60, perché vendeva le armi al Brasile. E a quei tempi per noi la Russia era ancora un mito.
Nella gestione del partito e nel rapporto con i compagni non era accentratore, non voleva il controllo su tutto, cercava di far "crescere" i compagni.
Nelle discussioni era aperto, disponibile, non era nel suo modo di essere il voler imporre le sue
idee (Testimonianza orale rilasciata in data 10/09/2001).
101
C. Bragaglio, II PCI e il socialismo reale negli anni ottanta, cit., pag. 10
"> A. Asor Rosa, La sinistra alla prova, Einaudi, 1996, pag.36. Asor Rosa sostiene che il "compromesso storico è stato il massimo dell'ingegnosità politica che la Prima Repubblica abbia elaborato per riformare se stessa senza affatto modificare ipropri essenziali fondamenti costitutivi
. e costituzionali". Anche chi lo giudica una strategia sbagliata, lo considera "l'ultimo seno progetto di governo di una società. Il compromesso storico valeva la pena di farlo solo per fondare,
fin da allora, le condizioni polìtiche e istituzionali, di una democrazia dell'alternanza" (M.Trontì,
La politica al tramonto, Einaudi, 1998, pag.97).
Su questa stagione politica, le sue potenzialità, i suoi limiti cfr. anche G. Vacca, Vent'anni dopo,
Einaudi, 1997; L. Paggi e M. D'Angelillo, I comunisti italiani e il riformismo, Einaudi, 1986; G.
Vacca, Tra compromesso e solidarietà, Roma, 1987; G. Chiaramente, Le scelte della solidarietà
democratica, Roma, 1986.
"' A questo proposito ricordo il rapporto che il PCI, con Luigi Longo segretario, seppe instaurare, fin dall'inizio, con il movimento del '68, a cominciare dalla nota tavola rotonda su
Rinascita, la rivista del Partito.
uti.i A. Agosti, storia del PCI, cit, pag. 102.
Egli argomenta che il PCI "pur criticando e respingendo le posizioni antistituzionali prevalenti
nelle subculture dei movimenti sessantottini, ne introiettò in qualche misura alcune delle tematiche (la critica dell'organizzazione del lavoro, la messa in discussione dei ruoli di genere e delle
gerarchle generazionali) e gradualmente riattrasse nella sua orbita o addirittura nelle sue file
una pane significativa di quei movimenti... Cosi il PCI riuscì dapprima ad essere attivo interlocutore e poi beneficiario di un movimento che per ampiezza e intensità ebbe pochi riscontri nei
paesi capitalistici.
'" II riferimento è al libro di M. Capanna.
141
G. Vacca, Vent'anni dopo, cit., pag. 180
"' G. Vacca, ibidem, ritiene che "forse la debolezza principale del gruppo dirigente berlingueriano era stata quella di non impostare per tempo, sebbene ve ne fossero alcune condizioni, il
problema di dar vita ad un unico partito della sinistra.
'« G. Vacca, ibidem, pag. 181-191
'" Emblematico in questo senso mi pare un passaggio di un articolo su L'Unità, di Piero
Sansonetti in occasione della mone di Alessandro Natta, nel quale egli ricorda la propria inquietudine verso la svolta anche perché dirigenti come Natta, radicalmente contrari, "sbattevano la
porta".
'" G. Vacca, Vent'anni dopo, cit., pag. 190 e seguenti
'" Sulla parabola del PSI cfr. L. Cafagna, Una strana disfatta, Marsilio, 1996.
-'""' A questo proposito cfr. U. Curi, L'albero e la foresta, Angeli, 1991 e Lo Scudo di Achille,
Angeli, 1992.
™ M. Tronfi, La politica al tramonto, cit., pag.96
211
Per un'analisi della figura dell'antipolitica cfr. L. Cafagna, La grande slavina, Marsilio, 1993.
Sulla crisi della politica in questo passaggio d'epoca, cfr. M. Tronfi, La politica al tramonto, cit. ;
P. Barcellona, II racconto dell'occidente, Cuecm, 1999; U. Garìmberti, Psciche e Techne,
Feltrìnelli, 1999.
221
Nel libro già citato, M. Tronfi ha scritto, su questo epìlogo: " Abbiamo visto crollare intorno a
noi insieme ad un intero ceto politico, la democrazia senza capo, cioè il dominio dei politici di
professione senza vocazione. Vediamo emergere, netta figura di personalità prepolitiche, una
forma minore di democrazia del capo, non vocazione, ma ambizione, senza professione."
211
È sembrato al contrario che, per usare una metafora d'attualità, in tutte e due le gambe del
centro-sinistra, in determinati passaggi, prevalesse una tendenza a favorire uno sbocco bipartitico della transizione italiana. Tutta la vicenda delle legge elettorale può essere letta in questa
luce. E in tema di legge elettorale voglio ricordare i rilievi critici a questa linea che Carlo Bianchi
espresse nelle ultime riunioni del comitato direttivo della sezione di Cardane a cui partecipò.
'"' N. Macchiavelli, II Principe, Laterza, 1985.
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[dal Testamento di Carlo Bianchi]
-Ho tante cose da farmi perdonare ma, aldilà di ogni considerazione e valutazione, ritengo di non dover rimpiangere nulla di tutto ciò che ho fatto.
Assumendomi - anche da morto - tutte le responsabilità degli errori commessi sia verso la famiglia sia nella vita sociale, sia nelle mie scelte politiche.
Di una cosa mi posso vantare: di non avere mai odiato nessuno o nutrito rancore con persone per la loro diversità politica o per altre cause. Con tutti ho
sempre cercato il dialogo, il confronto - anche se a volte aspro e spigoloso mai la rissa.
Voglio ringraziare in modo particolare i compagni, il PCI per quanto ha saputo darmi ed il PDS a cui ho aderito, sin dal suo nascere, convinto della scelta
fatta.
Ai compagni che ho avuto vicino in questi oltre 40 anni di militanza politica
per gli insegnamenti datimi.
Al partito e all'Unità ho sempre cercato di dare il massimo nel limite delle
mie capacità e possibilità. Non dico il massimo ma sono sincero se scrivo che
non ho mai calcolato il profitto personale agri ideali di un comunismo democratico - parlo di quelli della mia età e più anziani - in cui abbiamo creduto e
che abbiamo cercato di attuare.
14
MortoilpmlMaeÉiientePri
Addio a Carlo Bianchi lapenna bresciana dell'"Unità" anni '70
Carlo Bianchi aveva 69 anni
Un grave lutto ha colpito nella mattinata di ieri la cittadinanza di Gardone
Valtrompia ed in particolare la locale sezione dei Democratici di Sinistra.
Dopo una breve malattia è morto Carlo Bianchi, 69 anni, per oltre 25 corrispondente de "L1 Unità" dalla provincia di Brescia e già dirigente provinciale
del Partito Comunista.
Nato nel 1930, Bianchi era un gardonese doc e prima di impegnarsi attivamente in politica aveva militato nelle fila dell'Azione Cattolica.
Dalla fine degli anni Cinquanta si era iscritto al Pci, per il quale aveva rivestito
anche il ruolo di responsabile provinciale per gli enti locali; per una legislatura,
nei primi anni Settanta, era stato anche consigliere provinciale.
Negli ultimi anni non aveva abbandonato del tutto l'impegno politico, rimanendo attivo nella sezione gardonese del suo partito, nel frattempo diventato
Democratici di Sinistra.
Nel giugno scorso era anche stato riconfermato vicepresidente dell'Associazione Volontariato Anziani del capoluogo triumplino, nella quale era pure
impegnato da diverso tempo. Bianchi non aveva figli e lascia la convivente
Fiorina Metelli.
Carlo Bianchi è arrivato all'Unità nel '67 come corrispondente.
Un'attività che alternava a quella di responsabile della stampa e propaganda
della federazione. Erano gli anni in cui il giornale del Pci aveva una particolare
diffusione militante, soprattutto la domenica, e Bianchi si occupava anche di
coordinare questa attività. I numeri erano significativi: 6 - 7 mila copie quotidiane che diventavano circa il doppio nei giorni festivi.
Bianchi scelse di seguire con puntualità la cronaca bresciana, giornalista senza
tesserino dell'ordine e senza patente automobilistica.
Non si è lasciato tentare dai richiami della redazione milanese: fece anche
arrabbiare Claudio Petruccioli, che lo voleva a Milano, con il suo gran rifiutò.
Si è pensionato nel '92, ma è ritornato in servizio per un breve periodo nel '94,
durante le elezioni amministrative: curava una pagina al giorno tenendo d'occhio la candidatura di Mino Martinazzoli. Poi l'addio definitivo alla professione. I funerali, in forma civile, si terranno nel pomeriggio di martedì 26 alle ore
15.30 con partenza dall'abitazione in via Diaz 19 a Gardone.
<f.L)
(Da Bresciaoggi 15 Settembre 2000)
17
Amarcord. I ricordi di Carlo Bianchi, corrispondente storico del giornale.
Quando l'Unità a Urea diffondeva limila copie.
Dagli Scoop sui balletti verdi alla lunghissima inchiesta-strage
L'Unità prende commiato dalle edicole, il quotidiano che fu fondato da Antonio
Gramsci si converte in versione online nel difficile tentativo di sopravvivere, e
l'amarcord attorno all'ex-organo ufficiale dell'ex Pci si scatena.
Anche a Brescia.
Non che la "Pravda italiana" abbia mai avuto vita facile, in una provincia bianca corii' era Brescia. Ma negli anni ruggenti a metà dei Settanta l'Unità arrivava
a diffondere in città e provincia 7-8.000 copie nei giorni feriali, per raddoppiarle la domenica con la distribuzione militante.
Una "dote" di copie che oggi farebbe invidia a tante testate, e che per lunghi
periodi ha fatto del quotidiano comunista la voce alternativa per antonomasia
nel panorama informativo bresciano.
Il ruolo di corrispondente locale dell'Unità s'è intrecciato poi alla storia del Pci
bresciano, perché nella federazione locale (che dai '60 a oggi è passata da via
Gramsci a vicolo Stazione, da via Dalmazia a via Metastasio) una scrivania per
il corrispondente dell' Unità non è mai mancata. Senza contare i dirigenti che,
con gli interventi sulle pagine del giornale, si sono fatti le ossa nelle analisi e
nei dibattiti.
• Alla fine dei '50 il corrispondente bresciano era Bruno Ugolini, poi passato alla
redazione centrale come responsabile della pagina sindacale con cui collabora
tuttora. Gli subentrò Guido Frassine cui seguì, nel '64-'65, un giovanissimo
Renato Rovetta (oggi convertitosi, da battitore libero, al giornalismo via Inter-net). Per dire il clima di quegli anni, basti ricordare che Rovetta subì un'epica
strigliata dal segretario provinciale Adelio Terraroli per essersi preso il lusso di
inviare alla redazione una corrispondenza senza concordarla con la federazione. Tempi di controllo ferreo sul giornale, insomma.
Da Brescia sono partiti anche Piero Borghini, che è arrivato a dirigere per una
breve stagione l'Unità, e Beppe Ceretti, che fra Milano e Roma ha sviluppato il
suo curriculum professionale fino ad assumere la responsabilità della redazione milanese, lasciata per approdare al Sole 24 Ore on-line.
Ma l'uomo per antonomasia dell'Unità a Brescia, dal '67 al '94, è stato Carlo
Bianchi, gardonese doc, giornalista senza tesserino (dell'Ordine), senza patente
(di guida), ma con uno scrupolo e uno zelo divenuti proverbiali nell'ambiente
giornalistico.
"Ero impiegato al Banco di prova ricorda Bianchi - quando il partito mi offrì un
posto da funzionario.
Accettai. Mi occupavo della Valtrompia, ma la corrispondenza dell'Unità mi
assorbì completamente.
Due o più articoli al giorno, dallo sport alla cronaca nera, dallo spettacolo alla
giudiziaria. Dissi di no quando mi chiesero di entrare in redazione a Milano. Per
18
questo litigai anche con Petruccioli".
Bianchi, che oggi ha 70 anni, si è sempre sentito "prima di tutto un funzionario
di partito, poi un giornalista. Anche se il giornalismo mi ha appassionato molto.
E poi anche quella era militanza, perché le istituzioni allora ci discrimina-vano".
Nel cesto dei ricordi di Bianchi ci sono gli scoop ("il primo fu sui balletti verdi che portarono all'arresto di due sacerdoti") & le inchieste di lungo respiro ("ho
seguito tutta la vicenda giudiziaria della strage, e poi gli anni del terrorismo e
delle grandi lotte sindacali").
Pensionato del '92, Bianchi tornò in servizio permanente effettivo nel '94: una
pagina al giorno sulla campagna elettorale che si concluse con l'elezione a sindaco di Martinazzoli. Poi è rimasto l'attaccamento da lettore: "L'Unità l'ho presa
anche ieri. Ti fa .piangere il cuore, con quelle prime pagine di tanti anni fa". Da
giornalista, il giudizio sulla crisi è severo: "Tutti hanno colpe, anche D'Alema e
il partito, che se n'è strafregato. Quando poi la redazione dedica sette pagine alla
sfilata omosessuale, beh, per me vuoi dire che non aiuti i tuoi lettori".
La ricetta? "I nostri non sono lettori da Internet. L' unica è tornare al vecchio
spirito della militanza". Come a dire tornare all'età dell'oro, agli anni ruggenti.
Massimo Tedeschi
(Da Bresciaoggi 29 Luglio 2000)
19
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BENVENUTA
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VALENTINA
Giancarlo Bianchi ha 37 anni ed è iscritto al Partito dal 1951. Ha diretto la
Sezione di Gardone V.T. dal 1960 al 1965 e ha fatto parte della Segreteria del
Comitato di Zona della Val Trompia sin dalla sua costituzione (1963). E' membro del Comitato Federale della nostra Federazione dal 1959. Occupato da
lungo tempo, con mansioni di impiegato tecnico e amministrativo in un'azienda di Gardone, lascia ora la produzione per assumere incarichi di direzione e di
lavoro nell'apparato politico della nostra Federazione. Al compagno Bianchi i
più cordiali e affettuosi auguri di buon lavoro da parte di tutti i comunisti bresciani!
Nella stessa occasione veniva annunciato che il compagno C. Bianchi era chiamato 'a far parte dell'apparato politico della Federazione, nominandolo viceresponsabile delle commissione per gli enti locali e per la stampa e propaganda
e corrispondente provinciale de 'L'Unità'.
IL SALUTO DEL C.F. AL COMP. FRASSINE
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IN MEMORIA DI CARLO BIANCHI
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E' difficile trovare parole che possano esprimere pienamente il nostro sentimento di dolore e di commossa partecipazione, mentre accompagniamo il nostro
compagno Carlo Bianchi, in questo suo ultimo viaggio, tra queste silenziose e
bianche mura del suo comune di Gardone Valtrompia.
Verrebbe quasi "spontaneo chiederle a Carlo stesso queste espressioni, al giornalista che con le parole ha lavorato per lunghi anni scrivendo di fatti ed avvenimenti, di cronaca e politica, sulle pagine dell'Unità.
Ma anche le pagine del suo giornale in questi giorni sono spente, e non hanno
potuto neppure ricordare degnamente la figura del giornalista che con tanto affetto, impegno e dedizione, per un così lungo periodo di tempo vi si era dedicato.
E' ancora viva tutta l'amarezza che Carlo faceva trasparire anche nella sua ultima intervista, concessa tempo fa ad un quotidiano bresciano, nel vedere sospesa la voce del giornale in cui si era identificato e per il quale aveva lavorato per
venticinque anni.
Con numerosi amici e compagni ci stringiamo attorno alla sua figura facendoci
coraggio e pensando ai mille ricordi che in queste ore si affollano nel descriverci la sua vita e ci fanno accostare commossi e solidali al dolore di Fiorina, di suo
fratello e di sua sorella, a Marzio e Mariarosa, ed in particolare alla carissima
nipote Francesca, che in modo così intenso e straordinario in questi ultimi tredici anni ha riempito la vita di Carlo.
Quante volte lo abbiamo sentito richiamare, con la misura e la sensibilità di un
grande affetto, i momenti della crescita della sua nipotina.
Abbiamo appena lasciato la sua casa con appese alle pareti le fotografie che lo
ritraggono mentre con lei gioca divertito, con la faccia sorridente e serena, da
cui traspare una felicità che, rievocata in queste ore, ci accompagna e ci sostiene, ed aiuta a rendere meno penoso il dolore dei suoi familiari e di tutti noi.
E' con questo sorriso aperto che lo voghamo ricordare, perché Carlo ha saputo
amare intensamente la vita, attraverso la sua famiglia, l'affetto e la stima di compagni ed amici, ed attraverso le ragioni del suo impegno giornalistico, politico,
amministrativo e civile. Sono molte le immagini della sua vita e del suo lavoro
che ci portiamo dentro.
Chi non lo ricorda mentre pigiava sui tasti della macchina da scrivere per stendere gli articoli per l'Unità, cronista interessato e partecipe, appassionato giornalista della cronaca politica.
O quando predisponeva il materiale per le elezioni, attento conoscitore dei meccanismi elettorali, o le sue famose tabelle di analisi del voto.
O quando arrivava in Federazione con quei suoi giornali, con quelle pagine tutte
piegate in quello strano modo, giornali aperti e letti facendo attenzione a non dis-
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turbare il vicino, in viaggio con la corriera, da Gardone a Brescia.
Ma, soprattutto, come dimenticare i lunghi e tormentati anni durante i quali
Carlo ha seguito con straordinario impegno inchieste ed udienze, nei vari processi per la strage di Piazza Loggia e di cui dava quotidiana informazione.
Alla politica ed al giornalismo a tempo pieno, Carlo ci è arrivato dopo aver fatto
vent'anni di lavoro presso il Banco di Prova di Gardone, come operaio specializzato. Nel 67, su sollecitazione del compagno Terraroli, egli era poi venuto a
lavorare in Federazione per la Verità, il giornale provinciale del partito, e per
l'Unità, sviluppando una collaborazione intensa con Guido Frassine, che nel frattempo era ritornato dalla Germania. Guido, anche lui straordinaria ed indimenticabile figura, ci ha lasciato ormai da alcuni anni, e desideriamo qui ricordarlo,
associato nel rimpianto alla figura di Carlo, per la comune attività, la loro amicizia e per il grande contributo che insieme hanno dato alla vita della nostra
Federazione.
Molti di noi hanno cara l'immagine che li vede, così affiatati e così diversi tra
loro, intenti ad organizzare pagine e pagine di giornali, alle prese con articoli
da scrivere o da sistemare, con la correzione di bozze in tipografia.
Tempi incerti e difficili per la politica gli anni sessanta e settanta, e non meno
per le condizioni economiche del partito e personali per i funzionar!
Spesso a fine mese, la certezza dello stipendio che era prima assicurata al Banco
di Prova, si dissolveva e costringeva Carlo, come tutti i funzionali, alla rincorsa
affannosa d'una qualche sottoscrizione di partito per far quadrare i conti, insieme al compagno Tonni Eazza, che allora seguiva l'organizzazione in Val
Trompia.
Ce lo ha ricordato in questi giorni la compagna Fiorina, a cui Carlo si era legato
con grande affetto e sensibilità dagli anni settanta, il significato rilevante che ha
"avuto per Carlo la scelta di lavoro al partito, una decisione fatta di sacrifici, di
esposizione al rischio, il prezzo consapevolmente pagato al valore di una scelta
di vita come funzionario di partito, spesso oggi del tutto fraintesa, ma di cui è
intessuta la crescita della nostra organizzazione pohtica e di partito.
E' stata questa, inoltre, una delle migliori stagioni di dirigenti politici e sindacali della Valtrompia, una generazione immediatamente successiva a quella della
Resistenza che è cresciuta in rapporto con l'attività politica e sindacale in fabbriche come Beretta, TLM, Glisenti, Berardelli.
Nella sua esperienza politica ed amministrativa Carlo ha poi saputo dare un contributo rilevante. Per vent'anni ha sviluppato un'intensa attività in Consiglio
Comunale di Gardone, come consigliere e poi capogruppo, ed in
Amministrazione provinciale a Brescia.
Un'esperienza che ha saputo mettere a frutto anche nella sua apprezzata attività nella Commissione Enti Locali della Federazione.
Ma per molti di noi la figura di Carlo rimane soprattutto legata alla vicenda processuale della strage del 28 maggio, ferita mai rimarginata.
Carlo è stato uno dei testimoni più attenti e documentati, conosciuto in tutta
Italia, come un sicuro punto di riferimento.
Quando gli abbiamo chiesto come segreteria di Federazione di riordinare il mate-
riale sugli attentati che avevano preceduto la strage di piazza Loggia e sul processo, ricordo la sua immediata disponibilità, tutto il meticoloso lavoro preparatorio, in una difficile fase di confronti, ed anche di polemiche sulla vicenda processuale, interne alla sinistra, bresciana e non solo.
Egli ha curato, insieme a Pippo lannacci, la pubblicazione di due fascicoli per
la Federazione, con la ricostruzione attenta dei vari fatti eversivi, degli attentati,
dell'istruttoria e delle varie sentenze sulla strage, un lavoro di documentazione
che si è avvalso anche dello straordinario impegno, politico e professionale,
profuso da Francesco Loda, a cui era profondamente legato per stima ed amicizia.
Brescia, non solo il nostro partito, rende omaggio a Carlo Bianchi, riconoscendo in lui il merito di essere stato uno dei testimoni più attenti, rigorosi e
documentati - vera e propria memoria politica e non solo giornalistica - della
complessa e tormentata vicenda processuale di Piazza Loggia.
Nella sua attività di giornalista e di dirigente politico egli ha riversato i suoi molteplici interessi: la lettura dei suoi libri ordinati e catalogati, l'interesse per una
documentazione di fatti ed avvenimenti, corretta e precisa nei dettagli, riportata su quaderni fittamente annotati.
Si ricordava in queste ore l'insistente ricerca di un vecchio libro del 1930 sulla
storia di Gardone, che Carlo non riusciva più a trovare.
E poi non solo la politica.
Si ricordi la passione per la montagna e l'impegno civile nella sua attività di
vicepresidente dell'associazione del volontariato per gli anziani.
Carlo ha vissuto la politica con realismo e con partecipe impegno, una passione politica che lo ha accompagnato anche nel non facile passaggio dal PCI al
PDS, fiducioso però in una storia che si apriva al necessario cambiamento e
che con un nuovo partito andava costruita.
Le ragioni di un affetto per il PCI non potevano certo cambiare, come dimostra
anche la medaglietta con falce e martello che portava al collo.
Ma la trasformazione della società ed i tempi nuovi imponevano scelte coraggiose e di cambiamento.
E queste nuove scelte hanno visto partecipe Carlo che ha portato nel nuovo partito il valore e gli ideali di persone che hanno reso grande il nostro partito ed
il movimento della sinistra italiana.
Ben riconoscibile il tratto inconfondibile della sua onestà politica, l'attitudine al
confronto con quel suo modo di misurarsi con intelligente equilibrio, con il sorriso e l'ironia, la sua tranquilla coerenza in una vita ricca di esperienze, mai esibite ed ostentate, ma vissute con intensità, circondato da una stima, non solo
degli amici, ma anche degli avversati politici.
Ricordo il commento che Carlo ha scritto sulla figura di Angelo Grazioli,
Sindaco di Gardone, le sue critiche, ma anche il riconoscimento dei suoi meriti, sulla costruzione non facile di un dialogo tra forze di ispirazione laica di
sinistra e cattolica, in una valle in cui, in particolare in tempi di contrapposizione, si viveva con l'orgoglio della propria appartenenza.
In questa testimonianza scritta su Grazioli, Carlo riprende le ragioni autobio-
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grafiche del suo progressivo allontanamento dalla giovanile esperienza
nell'Azione Cattolica e di frequentazione dell'oratorio, oltre che del rapporto
"personale con Grazioli, conosciuto al lavoro presso il Banco di Prova e poi nell'attività amministrativa.
Stagione di contrapposizioni tra democristiani e comunisti in Valtrompia, critiche spesso aspre sulle forme di governo locale, a volte ritenute anche spregiudicate.
Ma in Carlo emerge anche una valutazione equilibrata ed onesta sulle realizzazioni amministrative che gli fanno riconoscere che Grazioli era riuscito a fare
di Gardone V.T. il centro più vitale ed importante della nostra valle. Carlo ricorda il "settarismo" di Grazioli, "ostinato antagonista" della stagione della contrapposizione, ma anche il coraggio dimostrato nella fase successiva nel promuovere una apertura al dialogo con il PCI.
Anche le parole espresse dal Sindaco Giuseppe Salvinelli fanno emergere questi aspetti di una vita politica in Val Trompia vissuta con autenticità, sia nella
fase della contrapposizione che in quella del dialogo e della positiva collaborazione, come sta avvenendo anche nel comune di Gardone, che ha visto Carlo
consigliere e capogruppo per numerosi anni.
Se a Gardone, come in diversi comuni della Val Trompia, si sta vivendo una
costruttiva esperienza di collaborazione amministrativa del Centro Sinistra, tra
le più importanti della nostra provincia, ciò è dovuto alla stagione di semina che
uomini come Carlo hanno saputo aprire e promuovere positivamente, anche in
stagioni difficili, perché dirigenti come lui non hanno mai smarrito le ragioni
della ricerca di una intesa e di un confronto non settario tra forze diverse, con
una moralità ed una coerenza personale, oltre che politica, che hanno accresciuto la stima e l'affidabilità della forza politica che rappresentavano.
-Nel rendere omaggio all'impegno politico e civile di Carlo Bianchi, il nostro
partito sa di non potere smarrire né disperdere nel vento la memoria di un
compagno che ha saputo meritarsi stima ed affetto.
Ci sentiamo debitori verso lui, la sua esperienza politica, di amministratore pubblico e di giornalista, riconoscenti verso un'intera generazione di dirigenti che
ci ha portato alla politica con una idea rigorosa di impegno politico, di giustizia
sociale, e che ha rappresentato, con la coerenza dei loro comportamenti e delle
loro idee, anche una scuola di intensa umanità.
Lieve sia la terra, per Carlo, all'ombra delle bandiere abbrunate del nostro partito, accompagnato nel dolore della sua scomparsa dall'affettuoso ricordo dei
familiari e dei compagni, che qui rendono un commosso omaggio alla sua
memoria.
Ritrascrizione dell'orazione funebre svolta da Claudio Bragaglio.
Sindaco di Gardone V.T.
a mia conoscenza di Carlo Bianchi è limitata al suo impegno politico e sociale, versante sul quale ho avuto l'opportunità di incontrarlo e di valutare la sua
attività.
Infatti gli anni settanta, con la comune presenza in Consiglio Comunale, mi consentirono di conoscerlo nel ruolo di punto di riferimento del gruppo consigliare
del PCI, colmando la distanza derivante dall'età e dai differenti orientamenti
politici.
Erano i primi anni della mia esperienza amministrativa, dedicati al doveroso
periodo di apprendimento delle regole, dei comportamenti, delle strategie e delle
tattiche che formano il bagaglio di un amministratore comunale.
Durante tale periodo di tirocinio, oggi purtroppo caduto in disuso, ebbi la possibilità di apprendere molto dal sindaco Grazioli e dal consigliere Bianchi che
dibattevano gli indirizzi e le realizzazioni dell'Amministrazione Comunale di
Gardone, dai fronti contrapposti di maggioranza e minoranza.
Parlo di fronti contrapposti perché forte era la ricaduta, anche sui temi amministrativi, della contrapposizione ideologica dell'epoca, e frequente era lo sconfinamento del dibattito verso temi di politica nazionale ed internazionale.
Fu in quella sede che vidi Bianchi guidare il proprio gruppo consigliare in un'opposizione forte ma propositiva, polemica ma aperta alla ricerca di sintesi fra le
tesi in discussione.
Fu in quegli anni che si consolidò, certo per merito preminente dei due protagonisti, uno stile di lavoro del Consiglio Comunale caratterizzato da rispetto reciproco, da un confronto vivace ma non pregiudiziale, sui problemi della comunità.
Attraverso quei dibattiti si definì per me la figura di Carlo Bianchi uomo schivo
e riservato, che incontravo per le vie di Gardone accompagnato dall'inseparabile pacco di giornali sotto il braccio, schietto nel parlare, senza mai cadere nell'offesa, stabile nelle sue convinzioni, ma fautore di confronto e dotato del senso
della misura che evita le rotture insanabili.
La figura di un uomo fedele ai propri ideali, attento ai problemi sociali ed umani,
disponibile a prestare la propria collaborazione con la sola ambizione di rendersi utile, come dimostra anche l'impegno profuso, negli ultimi anni, nell'associazione degli anziani della nostra comunità.
L
Ritrascrizione dell 'orazione funebre
svolta da Giuseppe Salvinelli
26
27
atti
H
o conosciuto Carlo Bianchi all'inizio degli anni '60 e da allora, per oltre
vent'anni, i nostri rispettivi impegni nella vita e nell'attività della federazione comunista di Brescia si sono strettamente intrecciati.
Nei decenni successivi, la diversa dislocazione dei nostri impegni - io a Milano
e Carlo a Brescia - ha di molto allentato i vincoli del lavoro in comune: mai quelli dell'amicizia. Scrivendo, oggi, quello che sento e quello che so di Carlo
Bianchi (giornalista, dirigente politico, amministratore pubblico, uomo integro e
appassionato della vita e del suo lavoro) descrivo da un punto di vista particolre (periferico e pur significativo, nelle sue delimitate dimensioni) il passaggio
d'epoca degli anni '60 e '70 che ha contrassegnato la vicenda umana e civile di
generazioni di italiani; e che ancora oggi ci incalza (tra grandi contraddizioni e
aspri conflitti) a cercare ancora quelle risposte che allora credevamo di avere a
portata di mano e che, invece, nei tornanti della storia di quei decenni (e di quelli successivi) non riuscimmo a trovare.
Carlo Bianchi apparteneva, anagraficamente, alla generazione immediatamente
successiva a quella che aveva fatto la Resistenza e che, in forza di quella vicinanza, ha interpretato l'antifascismo come "religione civile" e si è formata, politicamnte e culturalmente, nelle aspre e difficili prove che, nei vent'anni successivi alla Liberazione, hanno aperto la via alle conquiste sociali, civili, politiche
degli anni '70.
m questa vicenda, che appartiene a milioni di italiani, Carlo Bianchi ha svolto
compiutamente il suo ruolo come testimone del suo tempo e come compartecipe attivo di quella rete di quadri periferici che ha fatto la storia, la struttura, i successi del P.C.I.
La sua figura è legata al suo lavoro di giornalista sulla strage di Piazza della
Loggia e di cronista dei processi che ne sono seguiti. Se ne occuparono in molti,
anche a livello nazionale e internazionale, ma non c'era giornalista che. venendo da fuori, non si rivolgesse a lui per avere informazioni, dati, valutazioni.
Quanto scritto da Carlo Bianchi in quegli anni, per me, rimane una espressione
significativa della professionalità e dell'impegno politico e civile di tanta parte
del giornalismo italiano.
Ma Carlo Bianchi è stato molto più di questo: è stato un dirigente politico in
senso pieno, sia pure in un modo particolare, tutto suo. Per anni è stato (con altri)
un fattivo ideatore e un efficace organizzatore dell'attività di propaganda della
federazione: nella redazione del settimanale dei comunisti bresciani e, soprattutto, nella elaborazione e nel coordinamento del materiale di propaganda per le
grandi campagne elettorali (politiche, amministrative,...) degli anni '60-'70 e per
tutte le innumerevoli iniziative pubbliche (di informazione, di orientamento, di
28
mobilitazione) del partito in quegli anni. Di seguito l'impegno e il suo lavoro
furono diretti, in particolare, a sostenere e accompagnare l'attività dei gruppi
consiliari del P.C.I., nei comuni della nostra provincia. Forte della sua lunga
esperienza di consigliere comunale a Gardone V.T. si impegnò, con intelligenza
e dedizione, nello studio della legislazione che regolava la vita e l'attività degli
enti locali, diventando in breve tempo punto di riferimento, di orientamento, di
indirizzo della iniziativa e della qualificazione dei nostri gruppi consiliari.
Ho ricordato che svolse il suo ruolo, di dirigente politico in un modo particolare, tutto suo, perché Carlo Bianchi non fu mai uomo da tribuna o da arena politica, ma possedeva e padroneggiava la qualità fondamentale del dirigente politico comunista (di quel tempo): lavorava sulle cose, era un tessitore di fatti,
costruiva sotto traccia la forza o la presa di una azione politica diffusa e dispieita sul territorio,
quanto basta per fare di Carlo Bianchi un dirigente a pieno titolo di quella stagione difficile ed aspra, e pur positiva e fruttuosa, dell'impegno e dell'azione dei
comunisti bresciani.
Riassumo quanto avevo da dire su Carlo Bianchi in una considerazione personale sul carattere e sulla misura dell'uomo.
Per me, per gli effetti che hanno avuto su di me (sulla mia formazione, sulla mia
capacità di comprendere e di fare), la sua intelligenza delle cose e la sua saggezza nelle valutazioni e nei comportamenti - che si esprimevano al meglio nella
interazione diretta e nella consuetudine confidenzale - hanno rappresentato uno
stimolo, un richiamo, un pungolo che mi stringevano a riflessioni, a riconsiderazioni, a'revisioni di pensiero e di comportamento che mi hanno aiutato a correggere,^ raddrizzare, ad ampliare la mia visione deUa cose. Non c'è di meglio per
misurare e apprezzare il valore di un'amicizia.
f
Adelio Terroroli
29
II ricordo di Mo è legato strettamente al ricordo
della mia militanza politica nel MI.
Il pensiero della scomparsa del compagno mi rattrista profondamente, ma anche
il fatto di aver concluso con la fine del P.C.I. la mia militanza non è cosa lieve.
Forse sarebbe interessante indagare sulla rottura di relazioni umane, di amicizie
e di rapporti interpersonali diventati improvvisamente difficili che hanno seguito lo scioglimento del P.C.I.
Dico questo perché, per esempio, per riferirmi a Carlo devo situarmi nel tempo
a prima della fine degli anni '8O, dunque a parecchi anni fa. Certo ci si incontrava a volte in paese o in corriera (ambedue recidivi alla patente di guida....),
ma era solo ormai un saluto, anche se affettuoso.
Per me Carlo è stato un punto di riferimento indiscutìbile nell'attività politica a
Gardone. Forse anche perché ho cominciato molto presto (a 16 anni con la
F.G.C.I.) la mia battaglia politica, era ovvio che dovessi "affidarmi" per crescere politicamente a chi era già "formato". Carlo, insieme ad altri compagni, molti
dei quali purtroppo scomparsi, è stato certamente una guida. Abbiamo condiviso per tanti anni battaglie dure, ma anche entusiasmanti, momenti delicati e
momenti di esaltazione. Far politica di sinistra a Gardone (come in genere in
paese) non è sempre stato facile, soprattutto per quanto riguarda la politica
amministrativa, con una D.C. da sempre al governo del Comune, mai colpevole di grossi scandali e nello stesso tempo mai abbastanza coraggiosa per accogliere le nostre scelte. Ricordo tante defatiganti sedute del Consiglio Comunale
a proposito di asili-nido, verde pubblico, ecc.
Carlo sapeva sempre unire al rigore della denuncia la concretezza delle proposte, sempre attento al valore positivo ('per'... piuttosto che 'contro').
La sua presenza nei vari ambiti (riunioni di Partito, Consiglio Comunale, conferenze pubbliche) era sinonimo di autorevolezza. Ecco, è proprio così che mi
piace ricordarlo, autorevole ma mai autoritario, deciso, ma sempre rispettoso
delle posizioni altrui, sempre disponibile a capire il senso degli interventi di tutti
i compagni.
Uno stile, il suo, che rispecchiava davvero l'intellettuale collettivo nel quale noi
comunisti di allora credevamo.
Lo ricordo come un compagno lungimirante e acuto, ma anche pacato e aperto,
che mi ha davvero insegnato molto.
Cisi Selogni
31
Per Carlo Bianchi
Funerali di Piazza della Loggia 1974
Ero un ragazzo quando Carlo Bianchi seguiva per L 'Unità il primo processo
sulla strage di Piazza della Loggia; io accompagnavo mio padre in aula.
Mi stancavano a volte le deposizioni, i nomi, i commi.
Scoprivo la radice profana dell'attenzione alle fisionomie.
Capire quel che accadeva, quello che era accaduto in un'udienza era possibile,
per me, soltanto dopo, a udienza conclusa, quando mio padre e Carlo (e Pippo,
e Giulio, e Marcella) a tavola, ne discutevano.
E anche allora seguivo ma, alla lunga, stanco di nomi, di episodi, di analisi, più
ancora che durante i dibattimenti in aula mi davo alle fisionomie.
Era forse temperamento, una certa debolezza o mia pigrizia mentale a rendere
così congiunti e distanti l'espressione, il volto, l'aura di un porgere, la fusione
viva delle persone nel loro aspetto, e i loro discorsi, i contorni ragionativi, le
intelligenze; congiunti e distanti come due artisti gemelli ai trapezi.
Carlo aveva intùito. Ogni tanto si chinava verso di me e mi dava qualche informazione su questo o quello, su questa o quella cosa di cui venivano discùtendo:
mi soccorreva, affettuoso e discreto.
Fu uomo molto affettuoso e molto discreto. A me che non capivo quasi nulla,
ma che avevo il privilegio della familiarità con lui, quelle non parevano qualità
ma rarissime ovvietà, coincidenti con la persona che le possedeva, ovvie come
il fatto stesso che Carlo fosse Carlo, che fosse estate, che il vasto mare della giustizia e della politica toccasse anche quel nostro lido, che le cose e le fisionomie, nel loro congiungersi e distaccarsi, mi stupissero. Tutto ovvio.
Rarissima ovvietà anche la contemperanza di amicizie così diverse, quali io
immaginavo fossero l'amicizia tra lui e me, e quella tra me e lui. Avrei potuto,
dal mio punto di vista, dirmene orgoglioso; e molto ingenuamente, giacche' egli
mi faceva sentire adulto nella particolarità delle sue intuitive attenzioni per un
cucciolo, più di quanto una situazione come quella di trovarmi con adulti impegnati già non facesse.
E lui? Certo devo avere immaginato, e molto ingenuamente, anche un suo punto
di vista, ma vedevo tale rispetto in lui dell'amicizia da specchiarmi in esso, da
essergliene grato.
Che cos'è una persona quando ci manca nella vita, e più nulla ne appare? Se ha
vissuto degnamente, diviene una fisionomia ideale e questo, capite, ha per me
qualcosa di ironico. Carlo Bianchi si incide, come figura affettuosa e discreta,
contro uno sfondo di eventi, uno sfondo d'epoca.
Questo sfondo era la politica.
Egli ha offerto alla politica, nella gamma integrale dei significati che l'epoca le
conferiva, quanto l'intelligenza rendeva possibile, ne sono sicuro, umanamente
offrire; ha sofferto per umanità intellettuale tutto quello che la politica rendeva
possibile soffrire.
Dico offrire e, soprattutto, soffrire, ben lontano da ogni patetismo.
L'accezione del soffrire di Carlo e': "portare dentro", plasmare dentro di se' la
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passione (intellettuale, militante, professionale, morale) amorevolmente, non
ciecamente, così da rimanere egli il vasaio ed essa il vaso.
-E l'accezione del suo offrire e': operare, non gustando ne' disgustandosi per se'
solo - da che vaso avrebbe bevuto, altrimenti? che comunista sarebbe stato?
A me che lo conobbi per puro privilegio, raccomandò una volta di non sminuire questa radice di persone il cui profilo si incide contro lo sfondo dell'epoca
finita, di non voler credere di salvare in loro nome il resto (e il tuo resto, Carlo,
sono la serietà, la finezza, la ricca cultura, la mitezza), di non illudersi, che' si
sarebbe fatto ad esse solo un grave torto "lasciando seppellita la radice": l'esser
comunista, come egli era.
Ed è bene aggiungerlo, un dirigente comunista.
Tutto quanto mi parve ovvio un tempo, attraverso gli anni ha trovato occasioni
sempre più rare per due amici adulti.
Forse un uomo come Carlo Bianchi non potrebbe che ridestare comunque questo rammarico, perfino in compagni più stretti, ma io voglio credere di avere
sprecato occasioni perché in fondo pensavo ancora a rarissime ovvietà.
Ecco: nella mancanza di Carlo sento anche, affettuosa e discreta, la sua dritta su
una mia mancanza.
Piero Loda
L'eredità di Carlo giornalista
(un contributo di Giulio Obici e Marcella Andreolì)
Ho visto Carlo per la prima volta quasi trent'anni, in una trattoria di Brescia, lui
a un tavolo e io a un altro: gli bastò un'occhiata per capire che facevamo lo stesso mestiere e che avremmo legato. Per me fu il segnale immediato che avevo
conosciuto un cronista di razza e un uomo di grandissima umanità, un amico.
Allora cominciavano a piovere su Brescia le prime bombe di una strategia del
terrore sfacciatamente fascista perché priva di false etichette e non assistita dall'opposto estremismo. Dunque una strategia a suo modo anomala, difficile da
decifrare nel profondo anche per un giornalista avveduto. Non avessimo avuto
Carlo al fianco, per tanti di noi il lavoro sarebbe stato molto duro: era un pozzo
di scienza e, soprattutto, apparteneva a quella razza di giornalisti, ormai al tramonto o defunta, che riteneva la "notizia" un patrimonio di tutti. Era dell'idea,
come lo ero io, che un'informazione inedita che servisse a completare il quadro
degli eventi, e a farlo capire meglio al lettore, non dovesse comparire su un solo
giornale, ma su quanti più giornali fosse stato possibile. Alla sua fonte si sono
abbeverati cronisti di ogni testata e di ogni tendenza.
La sera stessa che lo conobbi, Carlo mi condusse a casa sua, lassù, a Gardone
Valtrompia. Voleva che conoscessi sua moglie, la mitica Fiorina, il suo desco
allegro e prelibato, la sua splendida cantina. E il suo archivio. Ecco il grande cronista: l'archivio, ovvero la sapienza.
Non l'archivio on line oggi d'uso corrente, sempre asettico anche se nutritissimo
di dati; ma l'archivio fatto a mano, lettura dopo lettura, personale e ragionato,
cronologico e per temi, attento anche ai dettagli sulle prime di contorno.
Anch'io, a quei tempi, avevo l'archivio, anzi me lo portavo nel bagagliaio della
macchina, pronto all'uso. Corse subito, tra noi due, un fitto scambio d'informazioni, carte preziose, inediti, volantini. Una stretta di mano, alla fine della serata, suggellò un'intesa impastata di colleganza, affetto, stima. L'avrebbe poi
cementata l'indimenticabile Francesco Loda, il mentore inascoltato, il grande
avvocato delle grandi battaglie ingiustamente perse.
Anche noi due avremmo perso le nostre battaglie, politiche e professionali.
E Carlo ben più di me. Quando il giornalismo voltò pagina perche' si spogliò
della sapienza, della dedizione, della passione, Carlo venne messo da parte. Fu
come smarrire un patrimonio raro, inestimabile. Eppure lui, nella sua Gardone,
ha continuato a scrivere, a archiviare, a mettere in ordine le cronache, a raccogliere il loro attimo fuggente per incastonarlo in una storia duratura, a accumulare la sapienza sua e per gli altri. Ecco: se colta da improvviso rimorso, la collettività' (istituzioni, partiti, uomini) decidesse di far propria questa sua eredità,
non solo si onorerebbe di un atto riparatore, ma prorogherebbe la memoria di
Carlo e quella, che appartiene anche a chi non lo conobbe, di un'epoca che altrimenti potrebbe finire nella fossa comune già scavata dai revisionismi oggi in
voga.
Giulio Obici
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T 'ultima volta che ho visto Carlo era pochi giorni, soltanto quindici se ben
J—/ricordo, prima che morisse. Ero andata da lui con Giulio, mio marito, alla
. "Casina", la famosa casina in fondo alla valle di Gardone. Sulla soglia ci aveva
accolto, con le lacrime agli occhi, Fiorina. Carlo, invece, era rannicchiato sul
sofà. "Fiorina, prendi il salame. Lo sai che Marcella ama il salame" disse sconcertandoci.
Per rendere normale quell'incontro che lui e noi sapevamo essere il commiato
dalla vita, era ricorso a una frase semplicissima, quasi surreale.
Era come volesse dire: "Marcella, fai finta di niente, come faccio io. Non avere
paura". Ecco, in quella frase, pronunciata con voce sommessa, sta il nostro compagno Carlo. Anche nelle ultime ore della vita, pensava più agli altri che a se
stesso. Come aveva sempre fatto.
Carlo era un personaggio eccezionale: dietro la sua semplicità e bonomia si
nascondeva una tempra di lottatore straordinario. Mai in prima pagina, sempre
dietro le quinte, ma con una passione tenuta a freno, per discrezione, come
sanno essere discreti i bresciani.
Carlo non amava apparire, ma piuttosto esserci: con generosità e severità con
nservatezza e pacatezza. Qualità che possono sembrare antitetiche, ma che in
lui non lo erano. Bastava ascoltare Carlo: mai una valutazone su una persona o
un compagno, mai una critica verso qualcuno. Ma se parlava di politica, allora
si che i giudizi, le vantazioni, le critiche fioccavano. Senza tentennamento alcuno. Il fatto è che Carlo non aveva mai pensato a sé. Pensava agli altri. Per lui la
politica - non i suoi leader o leaderini - era un modo per attuare la sua vocazione alla solidarietà fra di noi.
Aveva lasciato un ottimo impiego per lavorare a tempo pieno nel partito e
nell'Unità. Io, che come lui sono giornalista, ero rimasta affascinata dal suo
modo di scrivere, snello e veloce. Scriveva a mano, là dove capitava, fosse un
bar o un tribunale o una redazione. Colpiva il fatto che la sua serenità non venisse scalfita da alcunché: nemmeno dall'ora tarda per dettare l'articolo agli stenografi. Ripensandoci, credo che ciò derivasse dal suo modo di vedere le cose: con
lucidità e rabbia ma insieme con serenità, anche quando si trattava di analizzare la tragica storia di questo nostro Paese, comprese le bombe di Piazza della
Loggia.
n lato straordinario di quest'uomo era che, assieme alle qualità che a buon titolo ne hanno fatto un vero leader politico, sapeva essere pieno di gioia. Si trovasse sul lavoro, a tavola o nei suoi amati boschi. C'è una foto che lo ritrae mentre tiene in mano un fungo appena colto sui prati della Val di Zoldo: lui, nonostante la buona mole, sembra un fuscello che si alza, leggero, felice di aver trovato uno splendido porcino.
Marcella Andreoli
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ica della nipote CLAUDI!
Un ricordo
A Carlo
Oltre ali' impegno sociale,
ci accomunava la passione per la montagna.
Carlo mi faceva scoprire i suoi monti della Valtrompia che conosceva bene, da
valligiano e montanaro autentico, io quelli acquisiti della Valsabbia.
Di una settimana trascorsa a Bagolino con i nostri consorti, Fiorina e Roberto,
Carlo aveva persine scritto una cronistoria, un documento simpatico, abbondantemente illustrato da fotografie, in cui aveva preso di mira con sottile ironia
le caratteristiche dei personaggi che in quel periodo avevamo ospitato o incontrato (compresi noi!)
Anche a questo teneva Carlo: a lasciare di sé e del suo passaggio una traccia di
simpatia e di umanità. Uno dei primi ricordi che ho di lui in montagna è legato allo stupore che aveva destato in me il suo impeccabile abbigliamento: camicia "Mauri", pantaloni da roccia, contapassi, altimetro, binocolo e macchina
fotografica. E lui, così robusto, saliva senza sosta, con il suo passo cadenzato e
ci 'dava filo da torcere.
Nell'ultima passeggiata ero sola con lui.Siamo partiti dalla "sua" casa in fondo
alla Valle, lascito della famiglia Bianchi.
Siamo arrivati alla croce di Almana e poi siamo scesi ad un "licinsì" da cui usciva un profumo di spiedo stupendo:sullo sfondo il lago d'Iseo.
La tentazione di fermarci era forte, ma poi al pensiero che Fiorina stava preparando il pranzo per noi abbiamo fatto dietrofront.Durante la passeggiata Carlo
era fermato da innumerevoli persone che lo salutavano con calore: lui aveva
sempre una parola per tutti, in quel valtrumplino stretto che mi piaceva tanto
ascoltare.
La cosa più divertente era sentire Carlo e Fiorina bisticciare in dialetto quando
giocavano a carte: Carlo non sbottava subito quando Fiorina lo stuzzicava, ma
alla fine... doveva ed era uno spasso!
In Tonolo, sulle montagne che fanno da confine tra Lombardia e Trentino, al
ritorno dal passo delle Cornelle, abbiamo cercato i funghi. Carlo aveva spesse
lenti ed era tornato dal boschetto a mani vuote. Io fui più fortunata e riapparvi
con le mani piene di porcini. Mi prendeva poi in giro per la mia fortuna sfacciata, con quel suo sorriso buono da papa.
Spero che a Fiorina non dispiaccia se per chiudere faccio riferimento al testamento spirituale che Carlo le ha lasciato: una profonda testimonianza di amore
per lei e per i suoi familiari, in particolare per la nipotina Francesca, che Carlo
ha adorato!
Roé Volciano
delia Muscoli
Quando mi hanno chiesto di scrivere qualche riga per ricordare lo zio Carlo ho
cercato a lungo le parole giuste per rendere comprensibile l'affetto e la stima
che mi legano a lui, ma tutto mi sembra banale, forse anche un po' retorico.
Avrei potuto ricordare il suo impegno politico, il suo essere testimone attento
degli eventi del suo tempo, la sua passione per i libri, i giornali e tutto ciò che
fosse comunicazione e informazione. Credo però che altri, più competenti di
me, in quanto "addetti ai lavori", penseranno a questo aspetto.
In fondo le persone continuano a vivere attraverso i ricordi di chi è rimasto,
ricordi che dipendono dalle esperienze vissute insieme. La mia esperienza è
stata quella di bambina vivace che costringeva "lo zio", alunno dei miei pomeriggi di giochi, a fare il tema, che poi non esitavo a correggere e a valutare severamente come qualunque insegnante che si rispetti, o che di tanto in tanto, dopo
lunghe insistenze riusciva a farsi portare con lui in Federazione. Adoravo quel
posto perché voleva dire prendere l'autobus per arrivare in città e soprattutto
sapevo che avrei potuto utilizzare la macchina da scrivere, oggetto che esercitava su di me un fascino incredibile.
Con il passare degli anni le "gite" e i giochi si sono diradati anche perché sostituiti dagli impegni scolastici, ma ciò mi ha permesso di scoprire una cosa preziosa dello zio Carlo, ovvero che era una fonte inesauribile di testi e materiale
per compiti, tesine, ricerche.
Non avevo problemi, anche quando le ricerche nella Biblioteca Comunale non
avevano dato gli esiti sperati, io gli portavo l'elenco dei titoli e tempo un paio
di giorni, quel che bastava per cercare tra gli scaffali, recuperavo tutto ciò di cui
avevo bisogno, dai classici come Boccaccio, Dante o Petrarca ai romanzi di
Pirandello Svevo, Calvino, ai testi sul Fascismo e la Resistenza.
Una volta mi ricordo che gli chiesi perché continuasse ad acquistare libri visto
che ne aveva già cosi tanti, o perché comprasse tanti quotidiani lo stesso giorno, ma lui mi rispose che ognuno era diverso e perciò con qualcosa di nuovo.
Probabilmente ci credeva davvero nell'utilità di questo genere di investimento
perché mi ha regalato il mio primo libro quando ancora non sapevo leggere. Se
non ricordo male si intitolava: "II primo dizionario illustrato" o qualcosa del
genere. In realtà non mostravo molta soddisfazione quando realizzavo che il
regalo era un libro, mi sembrava" una cosa per la scuola", non un regalo!!!!
Penso sapesse che non apprezzavo, ma lo faceva lo stesso, forse perché sapeva
che più avanti avrei capito che mi stava regalando anche un po' della sua curiosità per "i pensieri della gente" e lo avrei ringraziato.
Probabilmente quel momento è arrivato.
Claudìa
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È difficile scrivere "una paginetta" su mio nonno perché i veri ricordi sono
come album di fotografie, li guardi quando hai voglia, non per forza.
Provocherebbe dolore fare una cosa contro la volontà!
Comunque cercherò di soddisfare le richieste che, giustamente, vogliono ricordare mio nonno, anche se ultimamente era leggermente cambiato (non vedeva
più con un occhio, si arrabbiava più facilmente...) per me restava sempre il mio
nonno!
Lo scopo principale per cui andavo dai miei nonni era lui, giocavamo senza
limiti e lui mai che si sia "ribellato", anzi tutte le mie richieste erano esaudite.
I miei giochi preferiti con lui erano per lo più "Guardie e ladri", "I fruttivendoli", "II bibliotecario", "II ristorante", "Venditore ambulante" e tanti altri. Ogni
volta che giocavamo io ero sempre il ladro che riusciva a scappare, la bibliotecaria efficiente, la cameriera disponibile e lui pazientemente mi accontentava!
Spesso dalle sue doti, come la cultura, nascevano dei giochi, esempio "La
biblioteca".
C'èrano talmente tanti libri in quella stanza che sembrava proprio una sala di
lettura. Quando andavo a scuola e avevo i compiti, tipo i temi, lui mi dava un
piccolo aiuto. Tutti i temi in cui mi aveva aiutato erano pienamente riusciti,
visto che lui era un giornalista.
E aveva delle ottime qualità anche nel disegno artistico, quando si giocava a
"Guardie e ladri" servivano dei manifesti per i ricercati e lui li disegnava completi di ritratti dei malfattori, erano spassosissimi.
Era comunque una persona semplice, intelligente e molto disponibile con tutti.
Aveva molta pazienza, ed era molto onesto.
Ci sarebbe ancora tanto da dire ma preferisco fermare i miei pensieri qui.
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scrive del sindaco CRAZIOL1
Tratto da: ANGELO GRAZIOLI IL SINDACO - COME LO RICORDANO IGARDONESI
"Devo confessare di aver accettato l'invito a stendere una nota su Angelo Grazioli con
qualche riserva e di essermi trovato poi in difficoltà perché mi era abbastanza ostico
scindere il personaggio: l'Angelo Grazioli politico ed amministratore dall 'uomo con cui
per anni avevo avuto contatti di lavoro presso il Banco di Prova. Anche per la paura di
lasciarmi prendere la mano dai ricordi e di indulgere alla retorica. Angelo Grazioli fu
un personaggio politico, introverso a prima vista, ma di grande statura. Bastava conoscerlo meno superficialmente per modificare il giudizio su di lui. Per anni infatti anch'io
l'avevo ritenuto un personaggio settario alla luce del nostro primo impatto. Era la mattina del 16 luglio del 1948 (un episodio che ho ancora ben presente nella memoria); da
un paio di giorni era in corso uno sciopero generale dopo l'attentato a Palmiro Togliatti.
E clima era ancora teso: nelle fabbriche non si entrava ed io quel giorno, come era mia
abitudine, trascorrevo il tempo libero all'oratorio. Non mi interessavo minimamente di
politica, ero iscritto ali 'Azione Cattolica e frequentavo assiduamente l'oratorio. Quella
mattina la DC aveva convocato una assemblea propria in via Don Zanetti alla quale, per
le insistenze dei miei abituali amici dell 'epoca, i fratelli Cominassi, Rino e Marco, mi
ero trovato presente. Angelo Grazioli lo conoscevo solo di nome - sindacalista prima e
segretario della sezione della DC - ma quella mattina non ci fu assemblea: fu rinviata
al pomeriggio con la motivazione, così si espresse Grazioli, che "era presente uno che
poteva riferire su quanto stavamo per decidere". L'accusa era rivolta a me; mi sentii
"addosso gli occhi di tutti i presenti tranne i due Cominassi più rossi ed imbarazzati del
sottoscritto. Fu una tremenda sferzata al mio orgoglio e per anni nutrii un forte risentimento personale nei confronti di Grazioli: uno settario, oltre che un maleducato, perché
esistevano tanti altri modi, se la mia presenza era sospetta, per farmi allontanare dalla
sala catechistica senza umiliarmi. Cambiai giudizio dopo alcuni anni quando riuscii a
comprendere che quell'atto, quella sua esternazione di un sentimento, era solo dovuta
alla sua franchezza e, anche, alla mancanza assoluta, da parte sua, di "diplomazia". Non
aveva come non ha mai avuto patteggiamenti: quello che voleva dire lo ha sempre detto
senza mezzi termini, senza indorare alcuna pillola. Una schiettezza che lo porterà a patire amarezze negli anni a venire più all'interno del suo partito (a Brescia ma anche a
Gardone) che fuori. Non tocca a me certo ripercorrere i suoi anni di intenso impegno
politico nello scudocrociato: mi basta soltanto rilevare che, conoscendolo meglio, ho
finito sempre per apprezzare questa sua dote e la sua disponibilità, negli anni del
Consiglio Comunale, ad un dialogo. Difficile ma sempre costruttivo; perché se si riusciva ad ottenere qualcosa, come minoranza, eravamo sicuri, dal canto nostro, che ciò si
traduceva in impegno concreto di attuazione.
Non una accondiscendenza ad una nostra battaglia ma il riconoscimento di una giusta
impostazione, nelle nostre richieste, da accettare. Non si prestava infatti a mediazioni,
pronto a buttare, quando le discussioni in Consiglio si protraevano a lungo, il peso,
determinante, della sua maggioranza consiliare. Per cui era difficile, se non impossibi-
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le, allungare le sedute con spesso oziose discussioni senza provocare un suo intervento
ed una messa ai voti. Erano altri tempi quelli degli anni 60 e 70 con una autonomia
finanziaria che allora era anche imposìtiva (tassa di famiglia ecc.), più larga nei concetti ma con meno disponibilità.
Questo costituiva un aspetto negativo della sua politica amministrativa ed alle nostre critiche era solito rispondere che le imposte andavano applicate secondo i bisogni del paese
(e per noi erano tanti anche allora). E per le spese impreviste esisteva allora, una eredità anche di una nostra amministrazione, la voce del "conguaglio bilancio" che non sbilanciava i grossi contribuenti con una forte imposizione di tassa, quella familiare, soggetti com'erano ad una sorta di offerta certamente non volontaria. Serviva al Comune ma
faceva più comodo in fondo ai contribuenti di fronte al fisco nazionale.
Ho sempre considerato Grazioli come uno "sceriffo di frontiera" più che un Sindaco, e
non in senso dispregiativo, ma per la sua "spregiudicatezza", in senso buono anche questa, su come applicava le legge con elasticità di interpretazione unita ad una grossa fantasia politica. Senza queste sue intuizioni difficilmente oggi Gardone potrebbe contare
su un Ospedale di Valle o, nel campo scolastico, sul liceo ed altre scuole professionali.
Anche se sulle realizzazioni, ma non solo su quelle, manteniamo le nostre critiche.
Paradossalmente per anni i più rispettosi della legalità (sempre fra virgolette) eravamo
noi come minoranza. Era infatti un "decisionista" (quando non era ancora stato inventato questo termine politico in vigore sino a pochi mesi fa) ma è innegabile che era riuscito a fare di Gardone V.Ti il centro più vitale ed importante della nostra Valle.
Oggi anche a Grazioli sarebbe molto più difficile muoversi con la libertà di allora: il
campanilismo è nettamente tramontato ed i Comuni, anche se forse più "ricchi", hanno
meno poteri decisionali. Non si può, d'altro canto, sottacere, la sua versatilità, le sue
innate doti di amministratore e, quel che più conta, la sua più ampia disponibilità di servizio per il suo partito. Una prerogativa che sta, purtroppo, venendo meno anche nel mio
partito. Grazioli un uomo politico adatto ai suoi tempi che seppe, però intelligentemente, maturare ed evolversi secondo la metamorfosi della situazione politica. "Settario"
quando non esisteva la pur minima possibilità di dialogo con la sinistra, intesa come
comunisti; uomo disponibile al dialogo negli anni successivi. La sua speranza, mi sottolineava in uno dei pochi incontri casuali poco prima del suo ricovero in ospedale, era
di poter assistere ad una apertura nei confronti del PCI una discriminazione assurda,
ripeteva, che penalizza tutto il Paese. E mi raccontava episodi abbastanza inediti di un
tentativo di accordo, ai tempi della sua segreteria provinciale, con il PSI.
Penso che su Angelo Grazioli si possa dire, oggi, tutto H bene possibile ma anche il suo
opposto e non soltanto per un 'ottica diversa di lettura delle varie fasi politiche - amministrative, ma alla fine ritengo che nessuno anche il più ostinato antagonista possa negare sia il suo impegno politico e di amministratore sia quanto ha rappresentato, di positivo, per l'intera comunità di Gardone VT. Fu uno "sceriffo di frontiera" fra i protagonisti
della ripresa amministrativa e politica di un centro che nella nostra Valle era, anche allora, non al primo posto per importanza commerciale e per numero di abitanti. Una esperienza da "pioniere" la sua, indimenticabile, ma penso irripetibile ora".
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CARLO BIANCHI e PIPPO JANNACCI
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GIULIETTA BANZIfiAZOLI
LIVIA BOTTARDI MILANI
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BARTOLOMEO TALÈNTI
CLEMENTINA CALZARI TREBESCHI
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ALBERTO TREBESCHI
VITTORIO ZAMBARDA
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PIETRO numi
Vogliamo prima di tutto rinnovare a nome dei compagni gardonesi le più sentite condoglianze ai figli Giulio, Salvatore, nuore e familiari tutti. Ma non
siamo qui solo per esprimere una nostra sincera solidarietà', ma anche per rendere un doveroso omaggio al compagno PIETRO maestro di vita e d'arte per
tanti, come me, di un'altra generazione.
Un omaggio alla sua coerenza politica ed umana, alla sua lunga militanza
comunista, ad un uomo umile e schivo per scelta di vita e non per mancanza di
doti o di meriti. Un uomo, per tanti aspetti, superiore a tanti di noi e - non è
retorica - che ha vissuto in pace con tutti.
Chi non lo ha conosciuto nel profondo del suo animo può trarre della sua vita
il consuntivo di un episodio umano di ordinaria amministrazione lavoro, matrimonio, figli ed una militanza politica si cosciente ma all'apparenza non molto
impegnata. PIETRO TIMPINI non rientra in questo stereotipo di vita. Nella
vita politica si era impegnato ancora giovane, prima dell'avvento del fascismo
subì angherie, percosse e la cura, di mussoliniana memoria, dell'olio di ricino.
E' sempre stato considerato per oltre un ventennio come un sovversivo tanto
che nell'ottobre del 1943 - dopo il colpo alla Beretta da parte dei partigiani - finì
in carcere.
L'unico dipendente della fabbrica di armi a non essere membro della
Commissione Interna ma incluso nello elenco degli arrestati solo per i suoi precedenti politici come avvenne per il dr. AIMONE, per il BOLOGNESI ed
altri. E fu uno degli ultimi ad ottenere la libertà dopo 66 giorni di duro carcere
e di umiliazioni.
Duri sacrifici per la libertà sui quali è scivolato un oblio anche per il suo carattere, schivo a volerne parlare, non ha mai infatti chiesto, né ottenuto, diplomi o
benemerenze. Ed anche con i figli si era limitato - su quel periodo - solo a qualche accenno insegnando loro, invece, come nella tolleranza verso gli altri e nel
rispetto delle idee altrui stiano i cardini essenziali sui quali deve poggiare una
vera democrazia.
Perché nessun uomo, anche il più perfetto, può e deve ritenersi un'isola perfetta completa, ma ognuno non può che rappresentare un piccolo atomo di quel
vasto continente, che è il mondo, per cui tutti siamo strettamente legati perché
parte essenziale del mondo in cui viviamo.
Ma senza mai rinunciare alle sue convinzioni politiche, specialmente a quelle
maturate in gioventù alle quali fu sempre coerente fino a questo suo ultimo atto
terreno. PIETRO TIMPINI fu però anche un maestro d'arte ; un operaio di
alta professionalità e parecchi, fra coloro che oggi sono presenti, possono testimoniare e ringraziarlo per avere imparato sotto di lui,e bene, un mestiere. E fu
un ottimo padre di famiglia, anche se la vita non fu per lui felice.
Alla morte della moglie si era aggiunta poi, improvvisamente, quella del primogenito FRANCO. Vicende dolorose che avevano segnato più rughe nel suo
spirito che sul suo viso.
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Con PIETRO TIMPINI se ne va un altro personaggio della vecchia guardia
socialista e comunista che negli anni bui del fascismo aveva tenuta accesa la
speranza della libertà nei giovani, aperto in loro varchi, dubbi ed interrogativi in
gente che aveva conosciuto solo il fascismo e la sua mistica.
Addio compagno PIETRO; vogliamo ringraziarti per quello che sei stato e per
quello che hai fatto.
Gli uomini modesti - scriveva LEOPARDI - sono degli uomini grandi; perché
si paragonano continuamente non cogli altri ma con quella idea del perfetto che
hanno dianzi alle loro coscienze.
Una massima che si addice alla tua persona, alla tua modestia che era anche
sinonimo di onestà. Addio compagno PIETRO su di te è calato ora il silenzio
ma vivrai ancora nel ricordo non solo dei tuoi cari ma anche dei compagni e
della gente, in coloro che ti hanno conosciuto e per questo stimato.
[Ringraziamenti dei familiari a Carlo Bianchi - Cardane V.T.
Carissimo Bianchi,
insieme ai nostri ringraziamenti ti porgiamo la nostra infinita gratitudine per il tuo preciso e
accorato intervento al funerale di nostro padre.
Le tue parole ci hanno toccato il cuore anche per come le hai dette e per la sincerità che ne
traspariva. Io e mio fratello saremmo onorati se tu ci potessi dare copia di ciò che hai detto di
nostro padre, la terremo conservata con gli altri cari ricordi.
Unitamente ai nostri ringraziamenti ti giunga anche la stima più profonda che da parte nostra
sarà indimenticata poiché abbiamo saputo che nonostante fossi ammalato, lo stesso hai voluto intervenire ed anche per questo la nostra più cara riconoscenza.
Giulio Timpini]
Gardone V.T. funerali civili del 08.05.196O
T E S T A M É N T O
"Alla mia morte dispongo che i funerali siano informa civile. Composto in una
cassa di minima costo , coperta da un drappo rosso, senza fiori. Sepolto sotto
terra, pura terra. Desidero i funerali civili non per avversione alla religione,
che non ho mai creduto, ma per avversione a quegli uomini che la religione
adoperano per favorire i grandi signori a tutto danno del proletariato e che non
hanno niente né di umano né di cristiano.
Mi spiacerà di morire senza vedere in Italia la fine dei nemici del proletariato.
Potrebbe darsi che logorato dal male -fisicamente e mentalmente - mi si strappasse in extremis il consenso a funerali informa religiosa; questo consenso non
avrà nessun valore e si dovrà fare fede alla mia volontà assoluta che dianzi ho
esposto assolutamente "funerali civili".
Siamo qui per un ultimo saluto al compagno PINO un personaggio storico
nella vita politica del nostro Comune. E per rispettare le sue ultime volontà che
testimoniano la sua lunga e costante coerenza politica. Sono passati quasi trent'anni dal tuo testamento politico e l'Italia che tu auspicavi, nel 1960 non si è
ancora del tutto realizzata. Ma grazie anche al tuo costante impegno qualcosa
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per il proletariato è stato realizzato.
Conquiste rese possibili dall'impegno e dalle lotte di migliaia e migliaia di
uomini che, come te, non hanno accettato compromessi - pagando di persona rinunciando a stipendi e posti sicuri pur di non venire meno a quel credo politico che ha uniformato la tua vita caro PINO.
Certo qualcuno dopo la lettura del tuo testamento politico potrà pensare che i
tuoi aspri giudizi sul clero non siano altro che il frutto di un anticlericalismo di
vecchio stampo.
Ma non è così: la realtà odierna, d'altro canto, lo sta a dimostrare quando sentiamo che lo stesso Pontefice nella sua ultima enciclica è costretto a precisare
che la Chiesa - non la religione - deve svestirsi di ori, deve diventare più povera e più vicina ai bisogni della stragrande maggioranza dei popoli.
Gardone V.T. funerali civili del 12.07.1990
Siamo venuti in tanti per porgere l'ultimo saluto alla cara compagna AMALIA.
Credo di poter interpretare i sentimenti dei compagni e di tutti i cittadini presenti nel rinnovare innanzitutto al figlio ANGIOLINO, alla nuora LIBERA, ai
nipoti, ai fratelli, al cognato ed ai familiari tutti, le più sentite condoglianze per
il grave lutto che li ha colpiti.
Penso non servano molte parole per ricordare la cara AMALIA perché la presenza di tanta gente al suo funerale e le numerose persone che hanno reso visita, ed omaggio, alla sua salma testimonino la stima e l'affetto che ha saputo sempre riscuotere fra tutti coloro che l'hanno frequentata e conosciuta; per le sue
doti, per la serenità con cui ha sempre affrontato le avversità della vita, per il
suo lavoro costante.
E negli ultimi anni - pur dolorosamente colpita nei più cari affetti familiari - per
come ha saputo reagire, lottare con volontà di vivere contro un male che non
concede scampo. Senza mai lamentarsi, ringraziando - quasi a scusarsi del disturbo - per le cure, sempre assidue ed affettuose dei familiari nei suoi confronti. Come era del resto nel suo costume. AMALIA PEDRETTI me la ricordo
così, ancora 40 anni fa, commessa alla Cooperativa, con il suo sorriso, il suo
grazie come se quello che le davano fosse un omaggio e non, invece, quanto le
era dovuto (e spesso in misura inferiore a quanto le spettasse) per il suo prezioso e costante lavoro. Sempre senza una lamentela, senza una assenza nonostante i gravosi impegni familiari.
Una famiglia che aveva subito accettata composta, per lei, non solo dal marito
e dal figlio, giunto dopo alcuni anni di attesa, ma anche dai suoceri e dal cognato. Una famiglia alla quale aveva riservato non solo assidue cure ma anche un
profondo affetto. Come, del resto, aveva sempre mantenuto con quelle dei fratelli ; nella visione e nella concezione della famiglia come il valore più alto della
società umana, ed era stato così anche per il partito al quale aveva aderito nel
lontano 1945. Una scelta ideale maturata ancora prima negli anni bui del fasci-
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smo e nella Resistenza quando casa PEDRETTI era diventata la sede di riunioni clandestine, una base per le armi ed i viveri per le formazioni partigiane. Una
casa soggetta a perquisizioni, con i fratelli costretti a fuggire e lei e la madre ad
essere degli ostaggi.
Certo poi il suo impegno nel partito ha dovuto lasciare il posto ad altre esigenze ma fu comunista sul lavoro ma, principalmente, nelle sue scelte di vita, come
ha voluto coerentemente sottolineare anche con la sua ultima decisione volontaria.
Forse a parecchi potrà apparire come una scelta anacronistica di fronte alle crisi
ideologiche di questi ultimi tempi ma, sono convinto, che la sua decisione è
maturata nella consapevolezza di avere, sempre, agito con coscienza e colla certezza e speranza - certo oggi riservata agli altri - che l'avvenire non può che
essere nelle mani di coloro che perseguono un mondo migliore, profondamente più umano di quelle attuale.
Ed è per questo che il nostro saluto non può che essere un ringraziamento per
quello che sei stata come compagna, sposa, madre e cittadina e per l'esempio di
coerenza che ci hai lasciato.
Addio compagna AMALIA.
CERflLiMOlDPflU
posto. La tua. scomparsa peserà principalmente su tua moglie Teresa, sui tuoi ~
figli ma anche noi sentiremo il vuoto della tua assenza come compagni ed
amici. Sei stato un pungolo critico costante ed oggi ci lasci come esempio da
seguire il tuo impegno, il tuo lavoro concreto che hai portato avanti per tanti
anni. Come d'esempio è stata la tua vita, semplice, lineare di lavoratore, di padre
di famiglia e di integerrimo cittadino, una eredità morale di cui tutti dobbiamo
essere fieri. E' venuto ora il momento difficile ma definitivo dell'addio di fronte alla soglia invalicabile della morte e le parole lasciano spazio solo ai ricordi
ai rimpianti ed a una grande tristezza.
Nel rinnovare ai tuoi cari le condoglianze, assicurandoti che saremo vicini a
loro come tu avresti voluto, non ci resta che salutarci da compagni e lo farò
prendendo a prestito i versi di un poeta americano.
"Adesso anch'io, sepolto nella terra,vedo chiaro che i rami di un albero non sono
più ampi delle radici.
E come potrà l'anima di un uomo essere più ampia della sua vita?"
E la tua anima, caro Nino, qualunque sia il destino d'oltre tomba, sarà sempre
quella ampia di un uomo che nella vita ha dato senza nulla chiedere, ha lavorato, ha sofferto in silenzio ed espresso concretamente solidarietà agli altri. E che
perciò non ha mai avuto - né ieri né domani - nulla da temere.
Addio compagno Nino!
Funerali religiosi del 06.05.1991
Caro compagno NINO la tua non è stata certamente, nonostante le tue vicissitudini fisiche, una morte annunciata.
Ci ha colpito, come i tuoi familiari, proprio quando la speranza ci aveva in parte
illusi che, la tua forte fibra, poteva avere di nuovo sopravvento sul male.
Invece te ne sei andato al termine di una giornata trascorsa tranquilla fra i tuoi
familiari, gli amici e con le tue ultime incombenze ed i piccoli lavori.
Ed oggi siamo qui davanti alla tua bara, sbigottiti, quasi increduli, a rinnovare a
tua moglie, ai tuoi due figli, al nipotino che amavi tanto, le nostre condoglianze come amici e compagni e per esprimerti, i nostri ringraziamenti.
Un grazie sincero ad un compagno che per 45 anni ha concretamente lavorato
per il partito anche se, come era nel tuo costume, non ci hai lesinato critiche.
Sei stato il nostro rappresentante ufficiale, il nostro degno alfiere, nelle tante
manifestazioni - tristi o liete - che hanno segnato, dalla Liberazione, lo scorrere del tempo nella nostra cittadina.
Col tuo tempo sempre disponibile, anteponendolo, spesso, alle necessità o
impegni familiari (e tu sei sempre stato profondamente legato alla tua famiglia)
per la Sezione, le feste, il tesseramento, il Sindacato, l'Anpi.
Avevi seguito con preoccupazione il travaglio del nostro partito ed alla fine
manifestato un attimo di indecisione e, per farti capire meglio, ci avevi mandato due righe "sono con voi ma per il momento ho bisogno di una pausa di riflessione". Una pausa che il destino non ti ha concesso stroncandoti proprio quando avevamo capito che, migliorato nel fisico, eri disposto a riprendere il tuo
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Funerali civili del 08.01.1996
Caro GINIO permetti di rivolgermi a te con il nomignolo col quale ti chiamavano; Zaccaria è troppo ufficiale, inusuale, buono solo per le scartoffie e l'anagrafe. Siamo in tanti qui attorno alle tue spoglie per portarti l'ultimo saluto; per
un estremo addio e per rinnovare a tutti i tuoi familiari, specialmente a tua
moglie e figli, le più sentite condoglianze e stringerci attorno a loro per dividere con loro il profondo dolore che la tua scomparsa ha provocato.
E' difficile prendere la parola in un momento come questo, quando la commozione ed il dolore stringono la gola e non si può non provare assai forte l'impressione che le parole di commiato rappresentino inevitabilmente un ricordo
di te solo approssimativo e certamente inadeguato. La tua è stata una morte
quasi annunciata, ma fino ali' ultimo, abbiamo sperato - vedendoti ancora così
attivo, e con tanto spirito di partecipazione - che la fine era ancora lontana nel
tempo.
Mancherai tanto ai tuoi cari ; ma anche noi sentiremo il vuoto della tua assenza , il non averti a fianco negli incontri quasi quotidiani. Solo la morte - dopo
una malattia che hai combattuto sino all'ultimo istante - ti ha costretto ad un forzato e definitivo riposo.
Sei sempre stato un grande lavoratore ; i miei primi ricordi, come quelli di tanti
presenti in questo cimitero, sono legati a 50 anni fa allo scantinato, sotto la sede
della ex casa del fascio, intento a tirare di lima dopo la lunga giornata lavorati-
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va che ti aveva impegnato alla Bernardelli.E quando hai avuto più tempo libero
l'hai messo a disposizione del partito prima, poi della Cooperativa Solidarietà di cui per tanti anni fosti uno degli amministratori - ed infine dell'associazione
anziani. Sino a pochi giorni fa ti si poteva trovare presso la sede - stringendo
spesso i denti quando i dolori ti assalivano e non ti davano tregua - ma sempre
presente ad aiutare a svolgere quei compiti che il consiglio - tu d'accordo - ti
aveva assegnato. Una disponibilità di servizio sempre pronta , senza mai un
rifiuto, scegliendo o i lavori più pesanti o quelli in cui la presenza era quasi
obbligatoria. Mi ricordo nell'ottobre del 1994 dopo la elezione dell'attuale consiglio mi dimostravi la tua soddisfazione perché gli anziani avevano votato
bene: erano state scelte delle persone che pur non essendo ancora consiglieri vi
avevano dato sempre una mano. Un grazie - dunque - per quanto sei stato: un
compagno impegnato sul quale la fiducia del partito fu sempre ben riposta .
Un grazie per quanto ci hai insegnato con la linearità della tua vita di lavoratore, di padre di famiglia e di cittadino. E così, giorno dopo giorno hai costruito
le tue giornate sino alla fine; con dentro ancora una grande voglia di vivere, per
i tuoi, per gli altri, una volontà che nulla ha potuto contro il tenibile male, quello che ti ha obbligato ad abbassare la guardia ed a passare oltre. Ginio la tua
vita è stata una grande bellissima giornata sempre protesa a dare solidarietà agli
altri. .
Ci separano pochissimi anni d'età: siamo le generazioni che furono educate
negli anni bui del nostro paese ma che hanno saputo non solo dissociarsi e combatterlo, ma, quel che più conta, rompere quel bagaglio di odio e di guerra che
per anni ci avevano inculcato nelle scuole. Ed è per questo che parole come
egoismo e razzismo non hanno mai fatto parte, dopo la Liberazione, della nostra
cultura, aperta invece alla solidarietà nella società e di classe nelle fabbriche. La
tua-non è stata una vita fuori dal comune ma l'hai saputa costruire su autentici
valori come la famiglia e come le scelte di vita che hai fatto contro l'ingiustizia
sociale.
Il tuo percorso è sempre stato aperto agli impulsi più forti e schietti sul problema umano. Scelte alle quali sempre sei stato coerente sino alla fine senza intolleranze, nel pieno rispetto delle libertà altrui ma con il sottolineare la validità
delle tue. Sii tranquillo, puoi riposare in pace con la consapevolezza di avere
sempre agito con coscienza, come dimostra anche la partecipazione della gente
ai tuoi funerali. Una strada, un'eredità che - tutti - non dovremmo mai cercare
di dimenticare.
Caro Ginio
ora le parole si fanno più deboli, si sente il bisogno, per evitare dì essere retorici come tu non
avresti voluto che questo addio diventasse, il bisogno di un pudore ancora più grande e con
esso che cali il sipario muto, invincibile del silenzio.
Addio Ginio non ti dimenticheremo tanto in fretta.Se può alleviare il vuoto detta tua mancanza e suonare di conforto per i tuoi cari la moglie Rachele, i tuoi figli Leone, Libera e Clivia
diciamo loro che sempre ed a ragione dovranno essere orgogliosi di aver avuto un marito ed
un padre di così eccezionale umana ricchezza.
Ed è anche per loro che ti ripetiamo di nuovo grazie ed un addio per sempre caro Ginio.
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M
Funerali civili del 25 Aprile 1997
Caro ALDO nessuno fra noi poteva lontanamente immaginare di dovere ricordare oggi, sia l'anniversario del 25 Aprile sia di dover partecipare al tuo funerale, di trovarci qui con i fazzoletti, le bandiere rosse - in questa giornata di festa
tanto cara a tutti i partigiani combattenti -stretti attorno ai tuoi familiari in lutto
- a tua moglie Bruna, a tua sorella Giuseppina - ai tuoi parenti - per un ultimo
saluto alla tua salma.
Certamente non hai mai pensato che i tuoi funerali coincidessero con il 25
Aprile. Certo come partigiano combattente ti saresti sentito orgoglioso di lasciare questo mondo in un giorno tanto vivo e caro nei tuoi ricordi come la festa
della Liberazione. Era ed è il suggello storico di mesi di lotta e di sacrifici quel
giorno di 42 anni fa.
Eri stato ancora una volta uno dei protagonisti; voglio ricordare solo un episodio tratto da una testimonianza di uno studente di una scuola gardonese, la
Andersen, 'un partigiano vedendo arrivare un camion carico di soldati che
avrebbero potuto sorprendere alle spalle i compagni, con sprezzo del pericolo
, si butta per terra sulla strada e, con una raffica del suo mitra, colpisce l'autista
provocando lo sbandamento del camion, il suo blocco, con la conseguente resa
dei tedeschi'.
Quel partigiano eri tu, Aldo 'un gesto temerario', ma conoscendoti bene , l'atto
cosciente di un giovane che, nella lotta partigiana, aveva raggiunto la maturità.
Eri di poche parole, a tratti forse un po' brontolone, ma sempre disponibile ad
assumere gli incarichi più rischiosi; non ti sei mai tirato indietro , allora come
dopo negli anni di militanza comunista, quando il tuo impegno di resistente ti
faceva correre pericoli e rischi superiori, rispetto ai tuoi compagni che operavano sui monti, sempre disponibile per qualsiasi incarico; sul tuo impegno abbiamo sempre potuto contare.
Sei sempre stato, sino a pochi giorni fa,' un compagno sul quale fare completo
affidamento, una garanzia e lo dico, come vecchio segretario della sezione
comunista di Gardone V.T, per lunghi anni, a cavallo degli anni 60 e 70; potevamo essere pienamente sicuri del tuo impegno per la soluzione di ogni problema o dei problemi che ti erano stati affidati.
Sei sempre stato un dirigente attivo della nostra sezione, riconfermato nel direttivo anche dall'ultimo congresso. Voglio ringraziarti pubblicamente, a nome di
tutti i compagni, compresi quelli più giovani di noi, per i tuoi insegnamenti, per
la tua totale e partecipata adesione alla vita della nostra sezione; anche dopo l'ultima e dolorosa scissione.
Non ci sono parole per lenire il dolore e confortare i tuoi cari.
Mancherai in modo particolare a tua moglie Bruna, a tua sorella Giuseppina, ma
sentiremo anche noi la tua lontananza fisica.
Ci aveva abituato, in tanti anni, il conforto non solo della tua presenza ma anche
dei tuoi insegnamenti e dei tuoi benevoli rimbrotti.
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La tua morte ci ha colto di sorpresa, ci eravamo illusi che la tua forte libra potesse, ancora una volta, avere il sopravvento, come era accaduto, anche in un
recente passato, sul male che ti aveva colpito, ma purtroppo non è stato così.
Oggi siamo qui con le nostre bandiere abbrunate a salutarti; a stringerci attorno
ai tuoi cari, a renderti l'ultimo saluto, ed a portare a tutti i tuoi familiari non solo
le nostre più sentite condoglianze, ma per dividere con loro il profondo dolore
per la tua scomparsa.
A salutarci ed a dirci addio.
Sei sempre stato un compagno discreto, l'importante per te era essere utile agli
altri ed in modo particolare al partito.
Non hai mai richiesto o preteso incarichi particolari, ti bastava soltanto essere
disponibile a lavorare, era una tua scelta coerente, dopo la moglie, i tuoi familiari, veniva il partito ancor prima del lavoro, che avevi voluto indipendente e
della caccia, uno sport che ti è sempre piaciuto praticare.
Non mi è stato facile accettare di prendere la parola in questo frangente quando temi che la commozione ti prenda la gola e provi, assai forte, l'impressione
che le parole di commiato siano sempre inadeguate e finiscano di dare di te, per
forza di cose, un ricordo solo approssimativo.
Caro Beniamino
avrei preferito oggi seguire in silenzio, come tanti compagni e cittadini qui presenti al tuo funerale.
Non dover prendere la parola, ma riandare solo mentalmente ai tanti ricordi
comuni, le giornate, gli impegni che per quasi treni'anni ci hanno legato.
Ma non mi è stato possibile sottrarmi alle pressioni di compagni, che dopo le
legittime e condivisibili riserve di altri, giustamente motivate dal loro stato d'animo, di profondo dolore per la tua dipartita, hanno voluto seguirti, ma in silen-
zio, di doverti portare l'estremo saluto.
Non quello ufficiale ma solo di uno che ti ha conosciuto, diviso con te momenti tristi e lieti in tanti anni di impegno. Tu nel sindacato ed io nel partito ma accumunati da un'unica militanza nel P.C.I. prima e poi nel P.D.S., di essere come
te uno della Valle Trompia.
Ho sempre tratto insegnamento dai tuoi suggerimenti, dalla tua vita, dal tuo
amore per la montagna, per i suoi fiori che conoscevi perfettamente indicandoli, non solo con i loro nomi volgari correnti ma nella loro esatta classificazione
latina.
Al tuo amore per la lettura, alla tua voglia di conoscere ed imparare sempre più.
La nostra amicizia risale ai primi anni '50 quando dopo una breve permanenza in fabbrica alla BPD, sfollata a Villa, negli ultimi mesi di guerra, ove avevi
preso contatti con la Resistenza, eri andato in federazione al P.C.I., redattore
della "Verità". Ti avevo poi rivisto a Gardone V.T., responsabile di zona della
Camera del Lavoro ed io segretario della locale sezione comunista. Tu consigliere comunale, poi ti eri dimesso per incompatibilità fra la carica sindacale e
quella pubblica, ti avevo ritrovato a Brescia alla Camera del Lavoro.
La carica di direttore dell'INCA, in questo nuovo incarico avevi profuso la tua
intelligenza ed il tuo impegno. Promuovendo convegni, facendo di quel settore
del sindacato una branca vitale, che non si occupava solamente di burocratici
ricorsi assistendo lavoratori, ma promuovendo convegni di studi sulla salute in
fabbrica, sulle malattie professionali e qui in alta valle sulla silicosi che colpiva
i minatori.
Vorrei ricordare l'entusiasmo che avevi messo nelle ricerche per una storia sugli
80 anni della Camera del Lavoro di Brescia, avevi riletto nelle bibliotèche cittadine giornali, spulciato centinaia di documenti, intervistato i vecchi protagonisti di quegli anni prima dell'avvento del Fascismo e dopo la Liberazione. Eri
entusiasta del tuo lavoro, felice di essere riuscito a finirlo per la data fissata:
Novembre '94. Superando molte difficoltà e per Brescia e la Camera del
Lavoro, per tutti era stato un anno difficile: quello della strage di Piazza Loggia.
Il libro venne edito dalla dalla "Camera del Lavoro" provinciale con una prefazione quasi anonima fumata genericamente dalla segreteria della CGIL e con
una chiosa finale ove, ringraziandoti per il lavoro svolto, veniva precisato che
"il compagno Galesi assume la piena responsabilità delle considerazioni e valutazioni svolte".
In quell'opuscolo avevi speso parole di apprezzamnto per i cattolici organizzati specialmente fra i contadini prima dell'avvento del Fascismo.
Eri del resto sempre stato alieno da posizione settarie ed i tuoi rilievi non facevano altro che mettere nella giusta luce un impegno, quello cattolico, che non si
poteva ignorare.
Ho voluto citare questi aspetti perché il giudizio ti aveva colpito profondamente tanto che anni dopo, più volte sollecitato, ti eri sempre rifiutato di ampliare
con nuovi documenti questo tuo lavoro.
Ed al pensionamento ti eri messo un po' in disparte, in montagna, con i tuoi
fiori. Non vuole essere da parte mia una critica contro nessuno, ma vuole solo
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Caro Aldo
oggi si sente il bisogno, per non cadere in una bolsa retorica, che tu non avresti voluto sentire, il bisogno ripeto, di un pudore grande e che con esso cada il sipario muto ed inviolabile del
silenzio. Ti ricorderemo a lungo, ci saranno di aiuto i tuoi suggerimenti, cercheremo di fare
tesoro dei tuoi principi.
E' venuto ora il momento più difficile, ma definitivo, dell'addio e le parole devono lasciare spazio ai ricordi - ai rimpianti - al dolore.
Per noi, ma specialmente per i tuoi cari, rimane solo un grande vuoto, una grande tristezza.
Addio ALDO oggi a portarti l'estremo saluto ci sono in molti amici ma sopratutto compagni.
Ti voglio salutare con i versi di un altro compagno tuo coetaneo, "quando noi scendiamo nella
fossa, non siamo mai soli, ci sono i compagni che quando muori, senza false lagne, sono al tuo
fianco, e' un fatto buono, che per i sentimenti, i comunisti sono tutti parenti".
Addio ALDO riposa in pace tu, che dopo la guerra civile che ci ha diviso, hai cercato di essere in armonia con tutti.
Addio con grande rimpianto.
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Funerali civili del 26.02.1998
sottolineare come nella tua lunga ed impegnata militanza politica o sindacale
non sei mai stato un settario, un fazioso , ma eri sempre aperto al dialogo ed al
confronto, e questo insegnamento io, come molti altri, l'abbiamo ereditato da
te Beniamino e del quale abbiamo cercato quasi sempre di fare tesoro.
È l'ora di salutarti e di lasciare la parola a chi ti ricorderà meglio di me.
A nome di tutti i comunisti della Valle non mi resta che porgere le più sentite condoglianze a
tua moglie Bruna, alle tue adorate figlie Marina e fioretta, ai generi, ai nipoti che amavi
molto. In modo particolare adAdriano che ricordo ti seguiva sempre nelle tue ultime sgambate in montagna.
Addio Beniamino, la vita specialmente in questi ultimi tempi ti è stata matrigna, hai dovuto soffrire a lungo: ora i tuoi dolori sono cessati ed è tornata per te la calma ed il silenzio.
Non puoi vederci ma siamo qui in tanti a ricordati, a strìngerti in questo momento di dolore,
attorno ai tuoi cari.
A porgerti l'estremo saluto con le bandiere che hai sempre onorato.
Un addio purtroppo definitivo ad un uomo che ha rappresentato degnamente il partito, il sindacato e la nostra Valle, che ha amato la sua famiglia.
Addio Beniamino e che la terra ti sia lieve
HIT
Funerali civili del 17.07.1999
Caro Gianni
avrei preferito, oggi seguire in silenzio il tuo funerale, come tanti compagni ed
amici qui presenti.
Non dovere prendere la parola per ricordarti perché temo anche che il tuo ricordo finisca per commuovermi, ma ritornare solo con la memoria ai tanti momenti comuni, alle giornate ed agli impegni che ci hanno legato per un lungo periodo (Iella nostra vita, ma non mi è stato possibile sottraimi, anzi non ho voluto,
all'invito dei tuoi familiari di prendere la parola, anche brevemente e ricordarti
prima della tua sepoltura. Tornare perciò innanzi tutto ai tempi della gioventù
anche se mi sei più anziano ma per pochi anni, dei primi impegni nel partito,
allora P.C.I..
Dovevo ricordarti per la fiducia che mi hai sempre dimostrato sino a volere che
fossi io a fare da padrino al battesimo di tuo figlio Cesare.
Ma non posso dimenticare le lunghe discussioni in sezione durante le attese di
prendere colla, pendii e manifesti per svolgere il nostro lavoro politico.
Eri, come ricordo e come altri compagni qui presenti, molto attivo e preparato.
Era un piacere discutere con te.
Era, del resto, anche una sicurezza uscire con te per la tua prestanza fisica.
Poi le nostre strade si sono divise e non per una tua scelta ma solo perché ero
andato via da Gardone V.T. e, più tardi, tu ad Inzino.
Ma sia pure sempre saltuariamente era un piacere rivederti, parlare degli amici
comuni, del partito, delle tue scelte, ignorando, per una volontà precisa, della
tua e anche della mia vita privata. La vita non è stata facile per te, hai perduto
la moglie sei rimasto solo a far crescere i figli e più tardi hai cercato di rifarti
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una vita, hai cambiato anche casa ed i nostri incontri furono sempre meno frequenti, senza per questo intaccare quella amicizia che ci aveva legato sin dalla
gioventù.
Il tuo duro lavoro alla Redaelli, nel sindacato e nel partito, poi più tardi la tua
meritata pensione. Una vita in larga parte normale come tanti di noi, non priva
di ostacoli da superare. Te ne sei andato in questi giorni in fretta, il giorno dopo,
senza sapere di questa nostra vittoria a quasi 40 anni del 1951 che ci aveva scalzato dal Comune.
E giunto, almeno ufficialmente, l'ora di dirti addio.
Ti porgo i ringraziamenti per il tuo impegno negli anni più duri della nostra vita politica a
nome di tutti i compagni gardonesi e porgo le più sentite condoglianze ai tuoi figli, Mariangela
e Cesare, a tuo fratello Guido ed a tutti i tuoi famigliari ed in modo particolare ai nipoti
La vita caro Gianni specialmente in questi ultimi anni ti è stata matrigna.
In questi ultimi tempi hai dovuto soffrire parecchio, ora le tue ambascie, le tue giuste preoccupazioni e i tuoi dolori sono purtroppo finiti e per te è tornata la calma e il silenzio.
Tu non puoi vederci ma siamo qui in tanti a ricordati, a stringerti in questo momento di dolore, accanto ai tuoi cari.
Un addio definitivo ad un uomo che per tanti anni ha degnamente onorato il partito e il sindacato, che ha amato la sua famiglia e da questa sinceramente ricambiato.
Voglio concludere con le parole di un poeta romano.
I comunisti quando scendono nella fossa non sono mai soli, in teorìa dicono che siamo contro la famiglia, ma invece in questo doloroso momento del distacco i comunisti non sono mai
soli, trovano tanti come se tutti fossero parenti.
Addio Gianni, non ci rivedremo più, ma che il sacello della tomba o la terra ti siano lievi.
Addio per sempre
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jfrancegca
Comunione
J|ai confessato a Bio i tuoi piccoli peccati, <§esù te U ba tutti
perdonati, bai promesso b'eSSere ubbidiente, bi non fare
capricci e ìli Studiare tanto.
0ggi è per te un giorno bi incensa gioia, perché, per la prima
botta, ti Sei sebuta, come tanti altri, alla grànbe mensa bel
Signore.
r
C' un nnobo passo, compiuto con pieno assenso nella Chiesa
Apostolica bi ®io.
:
Ci sono tanti inbitati, tariti regali, ma non è questo il motibo
centrale bi questa granbiSSima giornata; perché ba sola, con la
tua boce, bai Scelto bi essere, ba oggi, una bebota e febele
cristiana.
Hai anclje assunto un grabe obbligo: bi rispettare, e fino in
fonbo, questa tua promessa.
€ conte pabrini bel tuo battesimo posiamo, ora, felici passare
la mano con un grosso e simpatic'ó augurio; cresci felice nel
rispetto bi tutti e belle norme.
letamo presenti a questo tuo passo e ti riimobiamo le nostre
feKcttajioni sii sempre te stessa eb in regola con ?Bto.
L ^>ot ti saremo, però, Senir|re bicini ton granbe affetto e tanta
coràprensiohe.
tp bogliamo tanto bene e ... perbonaci il peccato, pronti a
portarti
nel ^arabiso o agli inferi bella tua amica "PBirbettà"
j@onno Carlo
• • e
• Introduzione - a cura di PAOLO PAGANI
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• Testamento
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• Cenni biografici
- Gardone V.T. - Morto il giornalista e dirigente PCI
- Quando l'Unità a Brescia diffondeva Minila copie
- Dalla Verità del Settembre 1967
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• Orazione funebre di CLAUDIO BRAGAGLIO
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• Orazione funebre di GIUSEPPE SALVINELLI
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• CARLO BIANCHI: tessitore di fatti di ADELIO TERRAROLI . .28
• D ricordo di CARLO è legato strettamente al ricordo
della mia militanza politica nel P.C.I. di CISISELOGNI
• Per CARLO BIANCHI di PIERO LODA
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• L'eredità di CARLO giornalista
di GIULIO OBICI e MARCELLA ANDREOLI
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• Un ricordo della CLELIA
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• Dedica della nipote CLAUDIA
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• La nipotina FRANCESCA
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• CARLO BIANCHI scrive del sindaco GRAZIOLI
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• Orazioni funebri di CARLO BIANCHI
- Pietro Timpini
- Giuseppe Ardesi (Pino)
- Amalia Pedretti
- Gerolamo (Nino)Poli
- Ginio Orizio
- Aldo Casari
- Beniamino Galesi
- Gianni Franzini
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• Francesca Prima Comunione
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