293-295_nucleare:Layout 2 31-05-2011 15:28 Pagina 293 Nucleare civile I TA L I A c on scienza e democrazia L’ I n t e r v i s t a a V. B a l z a n i s u l l e d e c i s i o n i del nostro futuro energetico 3 maggio 2011. appuntamento è fissato nel suo ufficio al Dipartimento di chimica «G. Ciamician» dell’Università di Bologna. Mi attende il professor Vincenzo Balzani, docente ordinario di Chimica generale dal 1972, ora emerito dopo una vita dedicata all’insegnamento e alla ricerca nei laboratori dello stesso dipartimento. Curriculum ricchissimo tra esperienze di studio, collaborazioni di ricerca, partecipazione ad associazioni scientifiche, riconoscimenti di vario genere (compresa una laurea honoris causa e la nomina a grand’ufficiale della Repubblica italiana per meriti scientifici). Tutto questo nascosto da una grande semplicità, un tratto schivo, quasi modesto come l’ufficio in cui mi riceve; occorre uno sforzo per ricordare che – con oltre 550 pubblicazioni scientifiche – è ancora oggi tra i 100 chimici più citati al mondo. Nel suo piccolo gruppo di lavoro – dedicato a fare ricerca negli ambiti della fotochimica, della chimica supramolecolare, delle macchine molecolari e delle nanotecnologie – si respira aria di famiglia. Balzani è da sempre interessato al tema dell’energia (nel 2008 ha pubblicato per Zanichelli, insieme a Nicola Armaroli, il libro Energia per l’astronave Terra); è coordinatore di un appello rivolto al governo su «Le scelte energetiche per il futuro dell’Italia» (www.energiaperilfuturo.it). Divulgatore infaticabile, sullo schermo del computer le slides di una conferenza tenuta la sera prima. Me le mostra e inizia la nostra intervista. A pochi giorni dal previsto referendum sul nucleare si parte dall’attualità. Dopo Fukushima non ci possiamo fidare – Prof. Balzani, che cosa ci insegna l’incidente nucleare giapponese a 25 anni da quello di Chernobyl? «Anzitutto, che la sicurezza assoluta non esiste mai; ma per il nucleare non si tratta di un tema da poco. Aumentare la sicurezza degli impianti nucleari significa moltiplicare i controlli, tutti molto costosi. Di solito i costi per la sicurezza di una tecnologia diminuiscono col tempo. Col nucleare no: i controlli rimangono costosi e nel tempo sono destinati ad aumentare di numero, sia per l’invecchiamento degli impianti sia per le crescenti richieste di sicurezza. Poi ci insegna che un incidente nucleare, se è un incidente grave, riguarda comunque tutto il mondo. L’aria, infatti, è globalizzata e se le sostanze radioattive vanno a finire nell’aria – come è successo a Chernobyl – qualcun altro ne farà le spese in modo imprevedibile (dipende dai venti, dalle piogge, ecc.). Una terza lezione, che già sapevamo, è che non c’è trasparenza nella gestione di tali emergenze. Non ci viene mai detta la verità, non sappiamo mai esattamente cosa succede. Le notizie filtrano solo se gli incidenti sono gravi, altrimenti non se ne sa nulla. La TEPCO – proprietaria della centrale di Fukushima – era già stata costretta a chiudere nel 2001 alcuni reattori risultati fuori norma. Insomma, non è mai possibile fidarsi fino in fondo». – La sicurezza non è il solo, e forse nemmeno il maggiore, dei problemi. Quali sono le altre questioni in gioco nello sviluppo del nucleare? «Iniziamo dal problema economico. Nei paesi a libero mercato, dove è la gente a investire e decidere, il nucleare non è competitivo. L’agenzia Moody’s abbassa di regola il rating di una compagnia elettrica che investe nel nucleare. La Citigroup ha recentemente dichiarato che partire oggi col nucleare non è economicamente sostenibile per uno stato. Gli Stati Uniti, che hanno 110 centrali attive, affermano di voler rilanciare il nucleare, almeno a parole. Le ultime due amministrazioni, Bush e Obama, hanno creato condizioni molto favorevoli alle società elettriche affinché investissero, ma nonostante questo il nucleare non è ancora ripartito. Che l’energia nucleare sia in forte sviluppo in tutto il mondo non è affatto vero. Il parco impianti è molto datato e nei prossimi dieci anni le centrali che entreranno in funzione saranno molte meno di quelle che dovranno essere spente per ragioni di età. La quota nucleare di potenza elettrica installata in Europa è scesa dal 24% nel 1995 al 16% nel 2008. Nel 2000, ben prima di Fukushima, la Germania aveva già deciso di chiudere progressivamente le sue centrali senza costruirne di nuove. Lo scorso 19 marzo il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, concludendo un forum a Cernobbio, ha detto che il nucleare ha influssi benefici sul PIL soltanto se il calcolo – come di fatto accade – non tiene conto dei costi di decommissioning, ovvero di quanto costerà la gestione delle scorie, la sicurezza e lo smantellamento degli impianti a fine vita. Se si ricalcola il PIL dei paesi che hanno il nucleare considerando anche tali costi, ci si accorge che molti stati con un PIL supe- IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 293 293-295_nucleare:Layout 2 31-05-2011 15:28 Pagina 294 In alto: Chernobyl. In basso: Fukushima. riore all’Italia stanno in realtà peggio di noi. Infatti, il debito di uno stato è composto di tre parti: il debito pubblico, il debito privato e, per i paesi che utilizzano l’energia nucleare, anche il “debito atomico”. Tremonti stesso, dunque, conferma che partire oggi col nucleare non è sensato». – Diverso è il caso di chi il nucleare ce lo ha già. «Se una nazione ha già delle centrali che funzionano, come la Germania o gli Stati Uniti, allora il discorso è diverso, perché tanto i problemi ci sono già tutti: conviene quindi sfruttare al massimo la tecnologia. Ma questo non è il caso dell’Italia dove, peraltro, non siamo all’altezza di realizzare grandi opere in tempi brevi, e le centrali nucleari lo sono. Ci viene detto che saranno realizzate in 4-6 anni; ma in questi tempi noi facciamo fatica a costruire una scuola o un ospedale. Le faccio un esempio recente. La ditta francese Areva, la stessa che dovrebbe fornire all’ENEL i reattori per l’Italia, ha venduto nel 2005 un reattore in Finlandia. Il contratto prevedeva di realizzarlo in 4 anni per un costo totale di 3 miliardi di euro. Trascorsi 4 anni, si sono accorti di essere in ritardo di almeno tre anni e mezzo. I costi, intanto, erano aumentati da 3 a 5,3 miliardi. Un successivo controllo delle autorità di sicurezza ha imposto nuove modifiche che hanno ancora aggravato i costi e allungato i tempi. Oggi, 7 anni dopo l’inizio dei lavori, il reattore non è ancora terminato. Il nucleare è famoso per questo: nessun preventivo è mai reale; il costo e i tempi aumentano sempre e in maniera imprevedibile». – Ci dicono che il nucleare è necessario, perché in Italia non ci sarebbe abbastanza energia elettrica. «La verità è che attualmente, con le centrali già installate (a petrolio, a gas, idroelettriche ecc.), abbiamo a disposizione una potenza di circa 110 GW, quando al massimo ne utilizziamo – a luglio, con tutti i condizionatori accesi – soltanto la metà. Oggi molte di queste centrali sono spente, ma disponibili. Dunque, non è vero che rischiamo un black-out per deficit di potenza elettrica. Piuttosto, in un mercato in cui c’è un eccesso di potenza disponibile, se si aggiunge un’altra fonte energetica dev’essere competitiva. Ma come può esserlo il nucleare coi costi che abbiamo visto? Infatti, 294 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 l’ENEL procederà col nucleare solo ricevendo garanzie dal governo che tutta l’energia prodotta verrà utilizzata e pagata a prezzo remunerativo. Questa non è competizione, ma regime di privilegio; a queste condizioni il nucleare non entra affatto in un libero mercato. Che senso ha tutto questo economicamente?». Dall’uranio alle scorie: costi e pericoli – Veniamo a un’altra questione importante: il combustibile. «Fare le centrali non basta. Serve l’uranio per farle funzionare. Ma in Italia non ne abbiano nemmeno un grammo. Sul sito del ministero dello Sviluppo economico si legge che il nucleare garantirà “l’indipendenza energetica, mentre l’Italia ora importa l’83% dell’energia consumata, spesso da aree geopolitiche instabili ed esposte a rischi”. Si tratta di una solenne bugia. Saremo, infatti, costretti a importare l’uranio esattamente come oggi importiamo il petrolio. Quindi non sarebbe un passo verso l’indipendenza energetica; caso mai verso la diversificazione delle fonti di energia. Anziché comprare petrolio dalla Libia, compreremo uranio da chi ce lo vende e anche questo non è senza problemi. Chi ha l’uranio? Canada, Australia, Kazakistan, Niger… nessuno in Europa ce l’ha. Per averlo a condizioni favorevoli la Francia ha in pratica “ricolonizzato” il Niger. L’uranio non è più “innocente” del petrolio. Si dice che noi lo compreremo dal Canada, una nazione attendibile. Ma chi garantisce che le condizioni non cambieranno in futuro? Inoltre, non solo non abbiamo la materia prima, non abbiamo neppure la filiera per raffinarla: l’uranio, infatti, va lavorato, purificato, arricchito. Noi dovremo comprare il prodotto “finito”. L’uranio è una risorsa limitata e concentrata in pochissime zone, come il petrolio. In caso di forte sviluppo del nucleare, sarebbe disponibile per un periodo di tempo molto limitato, più breve della vita media di una centrale che entri in funzione fra 10 anni. Come oggi si fanno le guerre per il petrolio, domani non è difficile prevedere quelle per l’uranio». – Entrare nel nucleare ha costi elevati. Uscirne? «Se entrare è difficile, uscirne è praticamente impossibile. Facciamo due conti. Occorrono da 3 a 5 anni per individuare un sito. Una decina d’anni per fare la centrale (in un paese efficiente come Germania o Stati Uniti). La centrale deve funzionare 50-60 anni per essere remunerativa. A questo punto siamo già a 65-70 anni, che significa tramandare i problemi non più ai figli, ma ai nipoti. Ma non è finita. Dopo il periodo di servizio la centrale, che invecchia e si usura, va spenta e smantellata. Smantellare una centrale, lo capite bene, è un’impresa piuttosto difficile, perché tutto il materiale è radioattivo. Di solito si rimanda l’operazione. In Inghilterra, ad esempio, dopo aver spento una centrale si aspetta che siano trascorsi 100 anni, affinché la radioattività sia in parte decaduta. A quel punto il problema è di qualcun altro». – In un dépliant dell’ENEL che pubblicizza il nucleare è scritto che il sito di una centrale spenta può essere completamente ripristinato e trasformato in un giardino (green field). Si sostiene, inoltre, che i «rifiuti» (così definiti) verranno «inviati a depositi». Dove sono tali depositi per «rifiuti» nucleari? «A tale proposito è interessante il caso di una piccola centrale americana, quella di Yankee Rowe. È stata smantellata in dieci anni (nel 2000) e sul sito è stato ef- 293-295_nucleare:Layout 2 31-05-2011 15:28 fettivamente realizzato un giardino. Ma a quali costi? Impiantata per 39 milioni di dollari nel 1960, lo smantellamento è durato 10 anni ed è costato 508 milioni di dollari. Un giardino un po’ costoso, direi. Sono questi i costi, di cui parlava Tremonti, che non vengono mai presi in considerazione quando si parla del nucleare. Il problema è che non possiamo sapere esattamente prima quanto ci costerà… motivo per cui non ha senso fare paragoni oggi con il costo di altre forme di energia. A Yankee Rowe, inoltre, c’è una sorpresa. Basta spostarsi di 500 metri e, nascosti da un boschetto, si trovano 43 giganteschi contenitori in cemento contenenti il combustile “spento” e parti del reattore. Il problema è stato solo spostato di pochi metri. Si tratta di materiale radioattivo di cui deve occuparsi il governo (per una legge dell’amministrazione Bush) e che non si sa dove mettere». – Siamo così entrati nella terza grande questione dopo quelle dei costi e del combustibile: il problema delle scorie e dei depositi «permanenti». «Il problema dello stoccaggio e della messa in sicurezza delle scorie nucleari appare oggi tanto insormontabile quanto lontano da una possibile soluzione. Per gli Stati Uniti, che producono continuamente scorie, il problema è particolarmente urgente. Ma l’unico deposito permanente che era in costruzione, quello di Yucca Mountain nel Nevada, è stato abbandonato nel 2009 dopo aver speso invano circa 10 miliardi di dollari. Nessuno, infatti, è stato in grado di garantire che le scorie, una volta messe in questo deposito, sarebbero state al sicuro per tempi compresi tra i 10.000 e i 100.000 anni. Nel frattempo, le scorie si accumulano in siti superficiali vicino alle centrali, come a Yankee Rowe. I nuclearisti sostengono che le scorie si possono riciclare. In effetti, è una possibilità, ma è costosissima (in Francia lo fanno). Non solo. Il processo di riciclo aumenta la proliferazione di armi nucleari, perché produce altre sostanze radioattive – in particolare il plutonio-239 – che si utilizzano per fabbricare le armi. Non è un problema da poco, basti pensare alla vicenda iraniana: la stessa tecnologia permette di produrre l’elettricità e di fare le bombe. Se aumentano nel mondo i paesi che sviluppano il nucleare, il rischio che oggi corriamo con l’Iran non potrà che moltiplicarsi». Pagina 295 Efficienza energetica e fonti rinnovabili – Come si risolve allora il problema energetico? «Le alternative ai combustibili fossili che stanno finendo sono due: il nucleare, da un lato; l’energia solare e le fonti rinnovabili (geotermica, eolica, idroelettrica), dall’altro. Il nucleare è un’energia che richiede conoscenze e tecnologia non banali, dunque rimarrà una risorsa nelle mani di pochi paesi ricchi a cui gli altri, meno sviluppati, dovranno affidarsi. Ma questo significa che, in un mondo già attraversato da fortissime disuguaglianze, si andrà verso nuove forme di colonizzazione e dipendenza dei paesi meno sviluppati. Il problema energetico va risolto, perché è urgente. Ma va risolto in modo democratico, quindi non col nucleare. Anzitutto col risparmio e l’efficienza. Le risorse del pianeta sono limitate, vanno utilizzate meglio e si deve risparmiare energia. Le quattro centrali previste nel piano del governo produrranno appena il 14% del fabbisogno di energia elettrica, pari a un modesto 3,2% del fabbisogno energetico del paese. Ridurre il consumo di elettricità del 14% è alla portata di qualsiasi piano di risparmio ed efficienza energetica, a costi infinitamente inferiori e senza i danni che porterà l’energia nucleare. La crisi energetica si può realmente risolvere, tenendo conto che sull’“astronave Terra” dobbiamo starci tutti e possibilmente dobbiamo starci in pace, solo individuando e sviluppando una fonte di energia che sia abbondante, inesauribile, ben distribuita, non pericolosa per l’uomo e per il pianeta (né oggi, né in futuro), capace di favorire lo sviluppo economico, di colmare le disuguaglianze e favorire la pace. Sembrerebbe un sogno, ma basta dare un’occhiata all’energia solare per accorgersi che ha tutte queste caratteristiche. L’Italia non ha petrolio, non ha carbone, non ha uranio, ma ha un sacco di sole: usiamolo e usiamolo bene. Possibile che oggi sia utilizzato di più e meglio in Alto Adige che in Sicilia?». La Chiesa dovrebbe esprimersi – Due questioni per concludere. Anzitutto, l’opuscolo Energia per il futuro allegato a diversi settimanali diocesani nel quale si voleva far credere, in modo ingannevole, che la Chiesa cattolica avesse preso ufficialmente posizione a favore dell’uso civile dell’energia nucleare. La seconda, il tentativo del governo di sospendere il referendum sul nucleare per evitare una possibile, clamorosa bocciatura. In entrambi i casi viene sottratta, alla comunità ecclesiale e ai cittadini, la possibilità di un serio dibattito sul tema dell’energia per poter esprimere un consenso informato e responsabile. «Sulla prima questione, insieme a un gruppo di professori universitari e scienziati cattolici, abbiamo scritto una lettera aperta denunciando il fatto, lettera che la vostra rivista ha pubblicato (cf. Regno-att. 12,2010,429). In essa chiedevamo che l’istituzione ecclesiastica facesse chiarezza sull’episodio e auspicavamo che su un tema così delicato venisse data ai fedeli la possibilità di un’informazione “competente e non viziata da slogan pubblicitari”. Purtroppo, alla nostra iniziativa non è seguita alcuna risposta, né alcuna presa di distanza ufficiale. Come cattolico sono convinto che la Chiesa dovrebbe prendere posizione su un tema così importante. Dovrebbe farlo se non altro perché le scelte sul futuro sviluppo energetico coinvolgono questioni delicate come la democrazia, l’ingiustizia sociale, gli armamenti e la pace. Nel caso del referendum si tratta invece di una mossa politica che ha di mira l’astensione, così da far fallire anche gli altri referendum. Inoltre, dopo l’incidente di Fukushima, sono molto aumentate le possibilità di una bocciatura del programma di sviluppo energetico, che il governo vuole evitare. Il presidente del Consiglio ha dichiarato apertamente che l’annullamento del referendum non corrisponderebbe a una rinuncia al nucleare, ma a una semplice moratoria. Come scienziati chiediamo da tempo al governo che, prima di prendere decisioni sulla questione energetica, venga aperto un tavolo di lavoro per sentire anche il nostro parere. Per ora non siamo stati ascoltati. Sentiamo l’urgenza di dire alla gente che la crisi energetica c’è ed è una cosa seria; di dire che bisogna cambiare le abitudini, risparmiare e non sprecare energia. Infine, di dire a tutti che il problema energetico non si risolverà col nucleare, ma investendo le nostre risorse economiche e intellettuali nello sviluppo dell’energia solare e rinnovabile». a cura di Marco Bernardoni IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 295