INDICE
7 Presentazione (Lucio Guasti)
PRIMA PARTE: modelli teorici
19 CAPITOLO PRIMO
La produzione
•La produzione
•La teoria dell’apprendimento sociale della conoscenza
•Il primo elemento della teoria vygotskijana:
il clima positivo
•Il secondo elemento della teoria vygotskijana:
l’apprendimento socializzato nell’area di sviluppo prossimale
•Il terzo elemento della teoria vygotskijana: lo sviluppo
della metacognizione
•Il quarto elemento della teoria vygotskijana: lo sviluppo
delle competenze individuali
59 CAPITOLO SECONDO
La produzione competente
•La produzione competente
•Le unità di apprendimento
•La produzione di un’unità di apprendimento cooperativo
•Prima fase: il contratto formativo d’aula
•Seconda fase: la socializzazione della conoscenza
•Terza fase: la personalizzazione della produzione cooperativa
•Quarta fase: la revisione metacognitiva
•Quinta fase: il trasferimento delle conoscenze
SECONDA PARTE: modelli operativi
105 CAPITOLO TERZO
La produzione di un testo storico
•FASE 1: presentazione del contratto formativo, motivazione,
condivisione e coinvolgimento attivo dei ragazzi
•FASE 2: la socializzazione della conoscenza
•FASE 3: la personalizzazione della produzione cooperativa
•FASE 4: la revisione metacognitiva
•FASE 5: il trasferimento delle conoscenze
•Conclusioni
121 CAPITOLO QUARTO
La produzione di racconti fantastici
•FASE 1: presentazione del contratto formativo, motivazione,
condivisione e coinvolgimento attivo dei ragazzi
•FASE 2: la socializzazione della conoscenza
•FASE 3: la personalizzazione della produzione cooperativa
•FASE 4: la revisione metacognitiva
•FASE 5: l’interiorizzazione delle conoscenze
•Conclusioni
135 CAPITOLO QUINTO
La produzione delle soluzioni ai problemi matematici
•FASE 1: presentazione del contratto formativo, motivazione,
condivisione e coinvolgimento attivo dei ragazzi
•FASE 2: la socializzazione della conoscenza
•FASE 3: la produzione cooperativa
•FASE 4: la revisione metacognitiva
•FASE 5: il trasferimento delle conoscenze
•Conclusioni
149 BIBLIOGRAFIA
153 BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
Presentazione
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Presentazione
di Lucio Guasti
In uno dei testi di Alexander Koyré, Lezioni su Cartesio, si trova un’espressione molto interessante, che potrebbe essere quasi testimonial del pensiero di
Cartesio: «Gli stessi metodi: cioè gli stessi processi della mente». Il riferimento
è indirizzato, in particolare, alla matematica e alla ricerca della sua unità, ma
anche alle scienze e alla ricerca della loro unità. Tale affermazione si dimostra
interessante perché l’autore precisa subito dopo che:
[...] la cosa importante non sono gli oggetti — numeri o linee — ma i processi, le azioni, le operazioni della mente che collega fra di loro tali oggetti,
stabilisce — o trova — dei rapporti, li paragona l’uno all’altro, li misura uno
per mezzo dell’altro e in questo modo li ordina in serie.1
Non si può certo accusare Cartesio di non essere un appassionato di matematica
e della visione matematica del mondo — chi pensa oggi che con la postmodernità
sia stata abbandonata la visione del mondo sostenuta dal Seicento credo commetta
un grave errore — e, nello stesso tempo, di non essere un appassionato della mente
e delle sue operazioni. Il problema posto da Cartesio resta intatto ancora oggi,
soprattutto in vista del nostro problema, quello dell’apprendimento. Senza voler
entrare nell’adesione o meno alla filosofia cartesiana, resta il fatto che la connessione
tra forme operatorie della mente, metodo di apprendimento o di ricerca e contenuto
specifico — in questo caso la matematica — è ancora al centro dell’attenzione e,
in particolare, della nostra attenzione.
Il nostro interesse concerne soprattutto l’apprendimento e le sue modalità di
costruzione. È difficile oggi fare un elenco completo di tutte le opere che hanno
preso in considerazione la struttura e la dinamica dell’apprendimento con la speranza
di riuscire a impossessarsi della «pietra filosofale» della conoscenza e dello sviluppo.
Koiré A. (1990), Lezioni su Cartesio, Milano, Tranchida, p. 62; titolo originale: Entretiens sur
Descartes (1944), New York, Brentano’s.
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Produrre
L’apprendimento oggi non si rivolge soltanto, o non tenta di servire soltanto, la
teoria della conoscenza ma anche, e soprattutto, la teoria dello sviluppo. Passaggio,
questo, non insignificante e non privo di conseguenze.
La letteratura pedagogica, ma non solo quella, ha sempre sottolineato il
rapporto tra sviluppo della persona e teoria della conoscenza, ritenendo che la
dinamica del conoscere fosse alla base dello sviluppo. Vale a dire che ci si sviluppa
tanto o poco in relazione a quanto si riesce a conoscere. Nella storia è possibile
rintracciare innumerevoli esempi di queste linee di riflessione. In generale,
si sceglie o si sceglieva un pensatore — filosofo per lo più — che avesse una
certa teoria della conoscenza e sulla base di questa si impostava tutto l’assetto
dell’apprendimento o dell’educazione. Tutto dipendeva dalla conoscenza e dalla
sua teoria, nonché dalla sua potenzialità operativa. In particolare in Italia, la
differenza riguardava le grandi correnti di pensiero: positivismo e idealismo,
con qualche interferenza del realismo, anche se assai contenuta e comunque
patrimonio di alcuni esperti. Quando si è cominciato a capire che l’oggetto
«apprendimento» appariva più articolato e mobile di una data e formalizzata
teoria della conoscenza, si è anche cominciato a considerare l’apprendimento
un oggetto particolare di studio, certamente relativo al conoscere e con una sua
eventuale assunzione in una specifica teoria, ma correlato, più ampiamente, allo
sviluppo complessivo del soggetto. Come dire che l’apprendimento del soggetto
non coincide completamente con una specifica modalità di conoscere. L’uomo
ha un desiderio di conoscenza alla base del suo essere, ma tale desiderio non è
l’unico e non è l’unico motore dello sviluppo.
All’interno di questo disegno, che comunque vede la mente come protagonista
della nostra ipotesi, abbiamo cercato di concentrare l’attenzione sulle sue operazioni, almeno su quelle che le letterature psicologica e filosofica evidenziano oggi
come presenti e prioritarie. Ci sono alcune operazioni mentali che nelle strategie
formative ricorrono e vengono richiamate costantemente, lasciando evidentemente
intendere che, senza la presenza o la maturazione completa di queste, le fondamentali
questioni dello sviluppo non possono avvenire correttamente.
Tali operazioni sono anche dei metodi? Certamente è difficile pensare che il
metodo non sia caratterizzato da una serie di operazioni mentali, esse ne sono la
componente strutturale. Le operazioni mentali in quanto tali risultano essenziali
ma non costituiscono di per sé un metodo. Il metodo va considerato come una
costruzione intenzionale di un percorso teso a uno scopo che è implicito nella
sua stessa costruzione. Il dibattito sul metodo ha certamente tanta storia quanta
ne hanno la cultura e la filosofia. Ciò che in questo momento però ci interessa è
l’intreccio che si stabilisce tra la mente e le sue operazioni, nonché tra il metodo
e le sue connessioni e scelte.
Presentazione
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Le operazioni mentali e il metodo possono diventare due specifici oggetti
di studio. L’intersezione che si costituisce tra i due oggetti appare evidente ma va
sempre accompagnata da un terzo elemento che nell’apprendimento — e quindi
nello studio didattico — è essenziale: il contenuto. L’operazione mentale senza
contenuto non è riscontrabile, il metodo senza contenuto non è praticabile. Per
l’apprendimento pertanto si configura una struttura portante sempre caratterizzata
da tre elementi: operazione mentale, metodo, contenuto.
A questo punto può diventare utile una breve riflessione sul contesto che
caratterizza il lavoro che qui si propone e che alcune correnti di pensiero oggi sottolineano come ulteriore elemento strutturale per la comprensione dei processi e
per la loro positiva evoluzione. Può essere pertanto funzionale una considerazione
sull’ambiente culturale nel quale si colloca la prospettiva del nostro lavoro.
La situazione culturale
Tra scuola e società c’è stato, nel tempo, un certo dialogo ma non proprio
una vera e, soprattutto, convinta e intenzionale dialettica. La ricerca sociologica
ha constatato che la scuola si è sempre presentata, nell’ampio quadro sociale, come
un sistema dipendente. In sostanza, essa è sempre stata al rimorchio della dinamica
culturale della società; si potrebbe oggi aggiungere: soprattutto dipendente dalla
cultura e dalla produttività del sistema economico. Non è mai stato facile smentire
questa analisi, anche se la cultura scolastica ha cercato, in particolare nell’ultima
parte del secolo scorso, di trovare alcune strade che conducessero il sistema scuola
verso una maggiore autonomia e, quindi, verso una maggiore indipendenza.
Le considerazioni della sociologia si rivolgono naturalmente a tutto il sistema
internazionale anche se possono essere applicate, più in particolare, a quello italiano.
Il risveglio della scuola verso una sua forma di autonomia ha cominciato a essere
affrontato negli anni Sessanta e ha raggiunto la sua prima affermazione con i primi
anni Settanta (Legge n. 477, 30 luglio 1973), dopo un sofferto dibattito sociale sul
ruolo del sistema formativo in una società che si stava rapidamente aggiornando e
trasformando verso un sistema liberale più consono ai nuovi indirizzi democratici
espressi dalla carta costituzionale.
L’orientamento teso a valorizzare l’autonomia della scuola si concretizzò nella
direzione di affidare ai singoli istituti una più consistente capacità amministrativa e
di governo collegata a una parziale autonomia didattica. Dopo alcuni decenni si è
constatato che tale linea di tendenza presentava e presenta molti problemi, perché
la crescita di azioni amministrative non corrisponde alle reali attese di un’autentica
autonomia decisionale rispetto ai contenuti fondamentali del curricolo e della sua
organizzazione.
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Produrre
La via di uscita dalle restrizioni dell’autonomia apparente può essere trovata
guardando a una concezione sistemica della realtà sociale, capace di valorizzare la
totalità degli elementi prima della loro singolarità. Essa richiede che sia primariamente il sistema stesso ad avere una sua autonomia in grado poi di rapportarsi agli
altri grandi sistemi: economico, politico, informativo, per citare soltanto quelli
più forti e affermati in questo particolare momento storico. All’interno di questa
autonomia, aperta e interrelata, si collocano il valore e i limiti dell’autonomia dei
singoli istituti e delle regole di cui essi stessi si dotano.
Il primo orientamento, amministrativo-organizzativo, è quello in atto con il
tentativo, da parte dei gruppi di pressione interni o esterni al sistema, di renderlo
più efficiente ed efficace; il secondo orientamento, sistemico, si presenta con un
suo disegno teorico consolidato, ma deve essere studiato nella sua modellistica
operativa: esso rappresenta l’obiettivo del futuro.
La spinta verso il cambiamento nella direzione dell’autonomia è appena
iniziata anche se ha già attraversato quarant’anni di storia repubblicana. Gli anni
già trascorsi sembrano tanti, ma per modificare in modo consistente un sistema
istituzionale così ampio e complesso come la scuola occorrono senz’altro tempo e
un cambiamento di strategia.
Il primo atto di tale strategia si rivolge alla creazione di un forte sviluppo
delle energie che sono presenti nella scuola, cominciando là dove si deve realizzare
concretamente l’azione di apprendimento. Tale azione di apprendimento è visibile
nella didassi, cioè nel momento in cui l’apprensione del soggetto si esercita nel
concreto di un’azione.
Le strategie di cambiamento hanno sempre preso corpo dal livello politico
con l’obiettivo di modificare alcuni assetti istituzionali e organizzativi al fine
di migliorare le prestazioni finali dell’insegnamento e dell’apprendimento stesso. La linea che qui si ritiene utile proporre per i prossimi anni è esattamente
quella opposta, senza negare l’opportunità e la necessità di qualche intervento
organizzativo e anche istituzionale. Tali interventi, però, non rappresentano la
priorità e non garantiscono il risultato finale positivo del sistema. Il cambiamento di direzione diventa comunque essenziale e gli investimenti di idee e di
risorse devono essere calibrati verso la riqualificazione dell’apprendimento in
situazione. Il maggiore investimento strategico va quindi riversato sull’apprendimento in situazione.
Il secondo atto riguarda la didattica o più precisamente il concetto di
permanenza all’interno della didattica. Anche in questo caso diventa necessario
modificare l’ottica con cui si guarda alla didattica stessa. Normalmente un’innovazione porta con sé anche orientamenti e proposte più o meno vincolanti
rispetto al disegno di organizzazione del curricolo, creando non pochi problemi
Presentazione
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sia di comprensione sia di conseguente azione agli operatori del cambiamento,
gli insegnanti. Di fronte a ogni innovazione che origini dal sistema politico e
richieda una modificazione dell’insegnamento e delle sue regole, il sistema didattico, retto dal rapporto insegnamento-apprendimento, entra in fibrillazione
e cerca, o più semplicemente aspetta, che qualcuno riesca a risolvere il problema
con chiarezza. Quello che è successo con l’ultima riforma (Legge n. 53, 28 marzo 2003) è l’esempio più evidente di questa tesi: l’impasse della scuola è stata
pressoché totale.
Per evitare questo effetto di implosione delle riforme, occorre capovolgere
la prospettiva e far sì che il sistema politico non entri nel merito della didattica.
La didattica deve essere completamente riservata allo stesso sistema della scuola
— oggi, meglio, «sistema formativo» — affidandogliene la responsabilità. Dato
lo sviluppo della cultura didattica di questi ultimi decenni, si deve ormai ritenere
che nessuna legge sia in grado di definire i confini dell’apprendimento mediante
una norma e che solo la didattica nella sua autonomia possa garantire la qualità
del processo e del risultato.
Responsabilizzare la didattica, liberalizzando il sistema e mettendolo nella
condizione di poter operare le scelte secondo regole che lo stesso sistema formativo
può darsi nella sua autonomia: questa potrebbe essere la nuova scelta. Tale linea
avrebbe tutte le caratteristiche per presentarsi come realmente innovativa e qualificante il sistema formativo stesso e la sua responsabilità verso la società e i suoi
diversi sistemi: politici, economici, culturali.
All’interno di questo disegno — o anche al di là di questo disegno, nel caso
non venga accettato — diventa comunque sempre più evidente che il rapporto
tra innovazione e didattica deve essere ripensato per assegnare all’apprendimento
un punto stabile e, nello stesso tempo, continuativo. Il sistema formativo non
può essere continuamente destrutturato da leggi che riportano indicazioni didattiche da interpretare sulla base di una dichiarata novità assoluta che dovrebbe
finalmente far trovare al sistema stesso la sua definitiva e risolutiva sistemazione.
Questo permanente idealismo del nostro sistema non è adeguato alla logica del
nuovo parametro che si intende assegnare al sistema formativo: l’apprendimento.
È da questo punto di vista che occorre ripartire per trovare una soluzione adeguata
al cambiamento della nostra società ma, soprattutto, alla realtà delle menti che
entrano in tale sistema e che sono, per definizione, sempre nuove. La realtà di
un sistema formativo la cui base è fondata sullo sviluppo dell’apprendimento è
diversa — anche se certamente non contrastiva — rispetto all’opzione curricolare
fondata strettamente sul contenuto. Queste sono convinzioni che da anni ormai
campeggiano in tutti i trattati di teoria e pratica della didattica, ma che non riescono ancora a tradursi in azioni adeguate.
12
Produrre
La permanenza alla quale oggi occorre riferirsi è appunto quella dell’apprendimento, che rimane centrale al di là delle norme legislative spesso transitorie e
legate alla suggestione culturale del momento. Il fissare un punto concettualmente
chiaro che sia al di là degli indirizzi psicologici del momento o, più ampiamente, delle filosofie del momento, diventa essenziale soprattutto per la stabilità e
la continuità del sistema formativo. La permanenza di un dato certo sul quale
poter costruire le didattiche adeguate alle diverse menti e alle diverse situazioni
è un punto di qualificazione del sistema, il quale diventa così capace di avere un
proprio know how in grado di costituire nel tempo un patrimonio a disposizione
delle competenze da acquisire e della cultura cumulativa della società sulla quale
operare una molteplicità di ricerche e di riflessioni.
Ciò che occorre da oggi evitare è il fatto che sia il sistema politico a determinare quale modello deve essere applicato all’apprendimento perché questo possa
verificarsi. La visione va appunto modificata e va consegnato al sistema formativo
il compito di individuare i modelli, o la pluralità dei modelli, che possono essere
adeguati alle situazioni e alla specificità storica dell’apprendimento.
La psicologia e la filosofia hanno aiutato l’affermarsi dell’idea della centralità
dell’apprendimento con la proposta di modelli spesso anche diversi come costruzione formale per rendere tale apprendimento effettivamente efficace. La didattica,
con tutta la sua storia, sembra essere rimasta fuori dal dibattito e dalla ricerca
culturale, ma non è così. Nonostante tutto, la riflessione propria della didattica a
partire dalla realtà della scuola è rimasta viva e ha aperto finalmente una profonda
riflessione sulle modalità attraverso le quali si deve procedere per migliorare le
attività di apprendimento. La letteratura internazionale è molto vasta in materia
e rappresenta uno sforzo collettivo molto più importante e più ampio di quello
relativo alla somma delle singole produzioni nazionali. In questo momento diventa necessario uno sforzo di comparazione e di integrazione capace di superare
i confini di una singola cultura per adire a una nuova visione del curricolo non
ristretto in ambiti troppo limitati, ma proiettato verso la centralità dell’uomo e
del suo apprendimento.
La riflessione su questo punto sta aumentando e intorno all’apprendimento
si stanno esercitando didattiche e scuole psicologiche e filosofiche dalle quali si
possono inferire indicazioni che potrebbero tradursi in un’intesa generale che traduca
l’idea di apprendimento in alcune azioni di pensiero essenziali per tutti.
Questo potrebbe essere il primo approdo intorno al quale costruire percorsi
di ricerca importanti finalizzati ad aumentare la capacità di comprensione dei
comportamenti umani e ad accrescere la produzione di metodiche adeguate a sviluppare le specifiche capacità di apprendimento. Non c’è evidentemente un solo
punto nel disegno della didattica per sviluppare la qualità degli apprendimenti,
Presentazione
13
ci sono però alcuni elementi di questo sviluppo sui quali tutti possono intanto
trovarsi d’accordo. Essi vanno al di là delle mode contingenti e sono in grado di
rappresentare un’invariante del sistema formativo. Si deve così poter affermare che
senza questi elementi nessun sistema formativo può dichiararsi tale.
Nella storia della nostra scuola un’espressione, in particolare, ha campeggiato
per molto tempo quale sintesi dell’intenzione del curricolo di raggiungere una finalità alta e adeguata alle nuove generazione: il «pensiero critico». Intorno a questa
espressione culturale, dagli anni Settanta ai nostri giorni, c’è stata una sostanziale
convergenza perché poteva tradurre bene ciò che oggi si vorrebbe raggiungere
attraverso lo sviluppo dell’apprendimento. Il pensiero critico è un’espressione sintetica che per essere adeguatamente svolta deve comprendere una serie essenziale di
operazioni intermedie e, quindi, di azioni finalizzate allo sviluppo di singoli aspetti
che infine conducono alla formazione del pensiero critico. Oggi si potrebbe anche
sostituire il concetto di pensiero critico con quello di «coscienza critica», che forse
si avvicina di più alla sensibilità dell’uomo contemporaneo e, soprattutto, alle esigenze dell’uomo di domani che deve accentuare la sua formazione sotto l’aspetto
della responsabilità personale e sociale. Su questo tema si può aprire una riflessione
che sembra poter avere come perno il riferimento a una visione sbilanciata sul
versante razionale e a una sbilanciata su quello etico; resta il fatto che questi due
orientamenti sono importanti e certamente non contraddittori.
La domanda della didattica è però più pregnante dell’affermazione finalistica
e si chiede come si forma il pensiero o la coscienza critica. A questa domanda si
risponde con un’articolata posizione che comprende diverse strategie di azione e
una complessa attivazione di operazioni mentali che devono essere sviluppate. Le
modalità del loro sviluppo dipende appunto dal tempo, dal contenuto, dalle azioni
che vengono intraprese. Anche l’individuazione delle operazioni mentali che devono
essere sviluppate dipende da un’attenta considerazione di tutto ciò che è necessario
per approdare alla coscienza critica. Si possono così formulare alcune ipotesi tratte
dalla letteratura che la scuola dovrà verificare, ma dalle quali sembra difficile che
un sistema formativo possa prescindere. Cerchiamo di identificare questo nucleo
centrale di operazioni: sperimentare, osservare, comprendere, ipotizzare, descrivere,
valutare, interpretare, comparare, riflettere, creare, produrre, giudicare.
Tale nucleo centrale di operazioni — non necessariamente completo, ma
questo è meno rilevante per la nostra proposta — sembra offrire un quadro sufficientemente ampio ed essenziale delle qualità che potrebbero costituire l’ossatura
principale della coscienza critica quale esito del progetto formativo. Ognuna di
queste operazioni dinamiche è certamente costituita da una serie di azioni intermedie che dipendono dal contenuto o dall’obiettivo che l’apprendimento intende
realizzare. Allo stesso modo esse si presentano interdipendenti e sono strutturate in
14
Produrre
modo tale da essere presenti in vari settori e vari campi del sapere e delle relative
azioni di apprendimento.
Naturalmente tali operazioni mentali dovranno incontrare i diversi contenuti
del sapere e questo apre un campo di riflessione molto importante sia sulla selezione
dei contenuti sia sulla loro importanza ai fini della qualità e dello sviluppo delle
singole operazioni mentali. Questo orientamento può anche essere visto come
un criterio per la riorganizzazione del curricolo. Il sistema formativo si può così
trovare di fronte a un campo di sperimentazione e di riflessione nuovo che richiede
il coinvolgimento di tutti gli attori dell’apprendimento, sia studenti sia docenti.
La struttura dei volumi
I volumi che trattano ciascun tema sono suddivisi in due parti, più una breve
bibliografia ragionata.
La prima parte è costituita da un riferimento teorico al termine e alla sua
collocazione nell’ambito della cultura contemporanea, non solo psicologica ma
anche filosofica e letteraria. Ogni operazione non va chiusa all’interno di un solo
linguaggio di riferimento.
La seconda è formata dalla collocazione didattica dell’operazione all’interno di
due livelli scolastici, il primario e il secondario, con almeno tre esempi in relazione
alla primarietà e alla secondarietà di primo e di secondo livello. Gli esempi possono
essere desunti dall’esperienza didattica dell’autore o costruiti in modo totalmente
nuovo rispetto alle discipline trattate; quelli qui riportati possono anche afferire a
due o a tre diverse materie di studio, così come oggi sono configurate dalla scuola,
o a tre diversi argomenti nell’ottica della connessione tra discipline. Tali esempi
sono pensati mettendosi dal punto di vista di chi deve apprendere, con la messa in
evidenza quindi di tutte le operazioni mentali necessarie in ogni passaggio.
Considerando la premessa culturale che ha giustificato la collana, occorre
evidenziare che si è scelto un punto di approccio al tema dell’apprendimento
muovendo dalle operazioni mentali. Con questa scelta non si vuole certamente
mettere in secondo piano il metodo, il contenuto e il contesto: semplicemente si
vuole sottolineare un solo aspetto rispetto agli altri per rimarcare il fatto che è bene
guardare l’apprendimento anche da un altro punto di vista.
Tradizionalmente la didattica ha impostato il suo percorso partendo dal contenuto. Oggi è ancora così e sarà difficile modificare sostanzialmente tale opzione
culturale, per una serie di considerazioni che non intendo trattare in questa sede.
Ritengo però indispensabile che si cerchi di vedere il problema dell’apprendimento
che si realizza nella mente del soggetto con l’ottica della mente stessa che deve mettere
Presentazione
15
in campo le operazioni fondamentali di cui dispone e che devono essere attuate,
potenziate e, infine, oggettivate. Guardare la realtà partendo da alcune operazioni
della mente per vedere come queste entrano nell’oggetto e come possano essere in
grado di manifestare una particolare connotazione di quell’oggetto.
Questa modalità è anche una forma di controllo e di valutazione dello sviluppo delle capacità del soggetto. Avere ben presenti tutte le operazioni mentali
che il soggetto deve compiere quando apprende al fine di sviluppare tutte le sue
dimensioni, vuol dire anche tenere davanti a sé il disegno complessivo al quale
occorre rispondere. Nella formazione ci sono senz’altro aspetti sfuggenti e non
completamente oggettivabili, questo però non significa che non si debba considerare tutto ciò che invece è conoscibile e oggettivabile.
L’approccio per contenuti consente di selezionarli e di distinguerli nettamente
l’uno dall’altro. Così la matematica è la matematica, la lingua è la lingua, ecc. Ogni
oggetto ha la propria specificità e la propria trattazione. L’esperienza — ma anche
l’analisi culturale — dice che questo è vero solo parzialmente. I contenuti hanno
un intreccio tra di loro meno evidente in alcuni settori, molto più evidente in
altri: non si comportano allo stesso modo. In ogni caso, la mente del soggetto ha
sempre bisogno di trovare connessioni e collegamenti tra parti per giungere, nella
misura del possibile, a ciò che definisce unità o sintesi. In caso inverso, la mente
sarebbe costantemente in presenza della frantumazione delle conoscenze e anche
della coabitazione di operazioni mentali che lavorano senza sapere consapevolmente
se riescono a realizzare una visione unificante per il soggetto.
L’approccio per operazioni mentali si trova in una posizione analoga. Da una
parte si presenta in modo settoriale: ogni operazione mentale sembra avere una
propria connotazione che la distingue dalle altre, dall’altra ha la stessa esigenza di
unificazione. Il principio della separazione tra le parti non può essere applicato alla
mente come non può essere applicato al contenuto. La separazione è un criterio di
selezione in funzione di un obiettivo o di un fine da raggiungere.
Nella presentazione dei singoli volumi che coincidono con singole operazioni prevale pertanto il criterio dell’assunzione di un particolare punto di vista
ma non della separazione delle parti e, soprattutto, delle operazioni mentali.
Ci saranno compresenze nelle diverse pubblicazioni perché diversi elementi
richiedono la stessa operazione mentale anche se in contesti diversi. Il contesto
qualifica anche il contenuto. Si tratta pertanto di prestare particolare attenzione
al rapporto fra l’uso del termine riferito a quella particolare operazione mentale
e il contenuto con il quale e nel quale essa opera. La stessa operazione, inserita
in campi contenutistici differenti, produce effetti semantici diversi. Questa è
la sfida ed è anche il «gioco», esso stesso presente come operazione mentale in
diverse aree, compresa la matematica.
16
Produrre
Il progetto si basa sulla convinzione che per la didattica e per la professionalità
docente sia ormai indispensabile lavorare con maggiore attenzione sulle operazioni
mentali, ma è soprattutto indispensabile per la scuola cominciare ad avere un «sistema degli apprendimenti» come oggetto specifico di studio e di riflessione.
La produzione
19
Capitolo primo
La produzione
La produzione
Nel dibattito in corso sulle teorie del curricolo si distinguono due grandi
orientamenti. Il primo è quello tradizionale basato sul contenuto, il secondo è quello
prospettico basato sul prodotto. In mezzo, nella storia del secolo scorso in particolare,
si è inserito l’orientamento correlato all’idea di processo. Mentre il primo ha le sue
radici nella storia europea, il secondo e il terzo hanno le loro radici nella filosofia
anglosassone, con particolare riferimento al contesto americano. L’orientamento
legato al prodotto ha già assunto una dimensione internazionale o globale e, pertanto, lo si può considerare l’opzione di maggiore consistenza che la teoria curricolare abbia realizzato, in questo momento, come prospettiva per gli anni a venire.
Le ragioni di questa scelta sono diverse: se ne possono però indicare alcune tra le
principali.
La prima riguarda l’insoddisfazione per una cultura della tradizione impostata
su un concettualismo molto diffuso, sostenuto da un’organizzazione scolastica
basata essenzialmente sulla selezione sociale nel nome della sola comprensione
intellettuale degli oggetti formali.
La seconda riguarda lo sviluppo di una cultura generale sempre più concentrata sulle scienze sociali con una forte propensione, oggi, per quelle economiche,
le quali richiedono un orientamento formativo basato sullo sviluppo delle risorse
umane.
La terza ragione riguarda una teoria della formazione che considera la
centralità dell’uomo nella dimensione della sua concreta realizzazione, dove la
dimensione personalista e metafisica non va solo affermata ma va vissuta in azioni
operativamente e socialmente visibili.
La quarta riguarda probabilmente la svolta principale di questo orientamento che si potrebbe sintetizzare nell’espressione «primarietà dell’apprendimento».
Sembrerebbe la sottolineatura di un fatto assolutamente normale, ma non è
20
produrre
certamente così. L’apprendimento indica una svolta radicale a favore del soggetto
che diventa il protagonista principale del proprio sviluppo. Tutta l’attività che lo
coinvolge e che è finalizzata allo sviluppo della sua capacità di apprendimento e
di costruzione dei percorsi si giustifica soltanto se è strutturalmente calibrata sulle
sue potenzialità. La conseguenza di questa opzione è molto forte e incide sulla
filosofia del curricolo che viene assunta.
L’affermazione principale riguarda il fatto che l’apprendimento non è un
contenuto o un concetto da afferrare ma è sostanzialmente ed essenzialmente
un’azione. Se l’apprendimento non agisce non c’è. L’apprendimento deve dimostrare
a se stesso che è presente e lo fa con un apparato di azioni, con un movimento
costante verso qualcosa, con una serie di elementi che ne costituiscono le componenti dinamiche. L’apprendimento è pertanto la mente in azione. È un esercizio
continuo della mente che si rapporta a un oggetto e che dà per scontato che gli
oggetti siano il suo interlocutore. Non dà per scontato invece che le operazioni
che la mente compie per apprendere siano implicite e scontate.
La teoria dell’azione diventa così il riferimento epistemologico di una visione
dell’apprendimento che intende essere nuova rispetto al passato non perché la mente sia un elemento paradossalmente nuovo ma perché la mente si propone come
punto di partenza di ogni processo di costruzione del sapere, del proprio sapere. Si
potrebbe sintetizzate tale orientamento con due voci emblematiche: la definizione
e l’azione. Nel curricolo che si vorrebbe lasciare al suo passato, l’investimento delle
energie personali era prevalentemente centrato sulla definizione: il concetto è una
definizione. Nel curricolo che si vuole assumere, l’azione costruisce il concetto.
Ma quando si parla di azione non si intendono le attività che consentono di
concretizzare l’azione stessa e che hanno rappresentato il tentativo di mobilizzare
le energie nel periodo dell’attivismo; si tratta invece di impegnare tutte le energie
mentali mediante un’attività per raggiungere uno scopo conoscitivo o costruttivo
e, innanzitutto, per conseguire lo sviluppo continuo del potenziale del soggetto.
Se questa è la base psicologica e l’assunto antropologico che forma le radici
del nuovo orientamento, va anche rilevato che si definisce così un percorso alle
cui origini stanno i dinamismi di apprendimento e alla cui mediazione con la
realtà provvede l’idea di prodotto. Si vengono a costituire due polarità: apprendimento e prodotto, il cui rapporto rappresenta la struttura di ogni tipo di azione.
La conoscenza si colloca in un punto intermedio, funzionale alla costruzione
dell’oggetto finale. È interessante in questa prospettiva considerare il ruolo che
assume la conoscenza.
Nel curricolo tradizionale essa era considerata il punto di arrivo: si trattava
di imparare un certo numero di informazioni o di concettualizzazioni o di narrazioni ben costruite per raggiungere quel livello di conoscenze che era ritenuto
La produzione
21
indispensabile per avere il consenso positivo della società rappresentata dalla scuola.
La conoscenza è ancora un punto di arrivo ma funzionale a una serie di operazioni
successive. Anche nel curricolo della tradizione la conoscenza avrebbe dovuto essere
funzionale a operazioni successive che venivano comprese nel concetto di lavoro
professionale. Nel curricolo dell’apprendimento si vorrebbe mettere in circolazione
immediatamente il rapporto tra operazioni finali e operazioni generative. Problema
non semplice e con una serie rilevante di interrogativi che andranno verificati nel
tempo e nella prassi.
La strada indicata per questa mediazione si chiama competenza. Tra apprendimento e prodotto si inserisce la voce competenza come legame tra le parti, come
mediatore concreto ed efficace per ottenere il risultato finale. La competenza si pone
così come cultura specifica, come asse metodologico in grado di ispirare la tipologia
di azioni che devono essere messe in campo. La competenza diventa la condizione per
la realizzazione del prodotto.
Tutta la letteratura europea in questo momento, ma già dal cosiddetto
«processo di Bologna» del 1999,1 si è concentrata, per quanto riguarda il sistema
formativo, sull’idea di competenza. L’obiettivo finale delle azioni che sono state
messe in campo in questi ultimi anni mira alla ridefinizione dei programmi basandoli sulla competenza. La «competenza matematica», la «competenza scientifica», la
«competenza tecnologica», ecc. rappresentano il nuovo punto di riferimento per il
risultato finale. Non la «conoscenza matematica», non la «conoscenza scientifica»,
non la «conoscenza tecnologica», ecc. ma l’affermazione del primato del principio
di competenza rispetto a quello di conoscenza. Risulta evidente che la conoscenza
resta essenziale e importante ma non rappresenta più la finalità del sistema formativo
sia di base che superiore. La finalità è la competenza: tutti i nuovi documenti
dell’Unione Europea e, di conseguenza, anche quelli italiani, hanno come finalità
specifica la formazione di competenze in tutti campi. Perché?
La risposta va ricercata in due direzioni: quella dell’economia e quella del
lavoro. La nuova economia ha alla sua base una tale capacità di produzione materiale
che i secoli precedenti non hanno certamente conosciuto. La capacità di produrre
è diventata esponenziale ed è in grado di coprire tutte le esigenze. Non si tratta
più di rincorrere la domanda. Tuttavia, pur essendo quest’ultima ancora alta nelle
aree che presentano diffusa sofferenza, ciò che risulta è che la capacità produttiva
dell’economia contemporanea potrebbe facilmente coprire i bisogni fondamentali
Il «processo di Bologna» è un percorso di armonizzazione dei sistemi di istruzione superiore, nato
nel 1999, quando 29 ministri dell’Istruzione europei si incontrarono a Bologna per sottoscrivere
un accordo, noto come «Dichiarazione di Bologna», con l’obiettivo di armonizzare tra loro i sistemi
universitari europei.
1
22
produrre
di tutti gli individui su questa terra e con molta rapidità. Il problema è chiaramente
diverso e non dipende dalla capacità produttiva ma dalle logiche di mercato e dalle
politiche di sviluppo assunte dai diversi Paesi. Il mercato è diventato mondiale e,
all’interno di esso, si è scatenata una corsa al controllo di spazi che risultano vitali,
perciò chi resta indietro rischia di perdere i benefici che ha acquistato. L’esigenza
di competere sui mercati ha esaltato il bisogno di strutture formative che mettano
gli individui nella condizione di contribuire allo sviluppo complessivo del mercato
economico. In questo disegno, la competenza diventa l’elemento cardine. I nuovi
prodotti si possono ottenere solo se alla base esistono competenze in grado di
finalizzarne adeguatamente la produzione.
Di fatto per i diversi Paesi si tratta di imparare a produrre. Quindi di avere
a disposizione non solo la strumentazione meccanica o i mezzi finanziari per ottenere il risultato, ma anche, e soprattutto, le risorse umane adeguate e all’altezza
di questi nuovi obiettivi. Imparare a imparare per imparare a produrre. Una delle
competenze fondamentali richieste dai programmi formativi dell’Europa è proprio
quella dell’imparare a imparare e basandosi su di essa le scuole stanno iniziando a
cercare di risolvere l’enigma della sua costruzione in azioni favorevoli allo sviluppo
delle relative competenze.
La nostra società è ricca di potenzialità produttive in tutti i campi: nell’agricoltura come nell’industria, nell’informazione come nella comunicazione, nella
tecnologia come nella filosofia, nell’arte come nella tecnologia. Non ci sono campi
nei quali la potenzialità produttiva contemporanea non possa inserirsi e non ci
sono campi nei quali le diverse aree non manifestino l’intenzione di inserirsi. Tutti
i vari campi disciplinari oggi hanno una forte tensione verso l’operativo e l’utile,
nonostante tutto ciò che nella loro storia aurea era stato profetizzato. La filosofia
si occupa di counseling, l’arte si occupa di terapia, così la musica, altrettanto per
la religione e la psicologia. Tutto sta assumendo una dimensione operativa per la
quale si richiedono competenze specifiche e, in particolare, nuove competenze. La
trasformazione in atto, cioè il passaggio dalla visione contemplativa degli oggetti
alla vision produttiva, è talmente forte da non lasciare indifferente il campo della
formazione.
Tutte le aree culturali offrono oggi «prodotti«. La società dell’apprendimento
si trasforma in società della conoscenza, la quale si trasforma in società della produzione. Il prodotto però non è solo l’oggetto classico, ma anche l’oggetto spirituale.
Gli stessi corsi di formazione sono possibili su base economica, tutto può essere
formato, tutto può e viene pensato in termini di prodotto. Per fare degli esempi,
un libro frutto dell’esperienza personale è un prodotto, un progetto di lavoro è a
sua volta un prodotto che produce qualcosa, un quadro è un prodotto, anche da
un pellegrinaggio ci si aspetta un risultato.
La produzione
23
Tutto questo richiede capacità di innovazione, di cambiamento, di ricerca,
di creatività. Queste, infatti, sono le nuove voci collegate all’idea di competenza.
La competenza è solo parzialmente funzionale alla professione; diventa invece
essenziale per lo sviluppo delle condizioni di qualità della professione stessa, cioè
la capacità di trasformazione e di generazione di nuove situazioni produttrici, sia
di performatività individuale, sia di quella economica e sociale.
Questo disegno complessivo che è in fase di costruzione ed è stato spinto in
mare aperto, richiede però anche che la società economica e politica accetti un
nuovo concetto di lavoro. La scelta della competenza come tipologia di sviluppo
centrata sul soggetto porta inevitabilmente con sé una concezione del lavoro che
dovrebbe prendere le distanze da quelle che fino ad ora — ma che permane nella
quasi totalità dei diversi Paesi ancora oggi — sono state alla base delle attività
produttive. Si può forse aprire la strada verso un lavoro inteso come processo di
umanizzazione e di sviluppo continuo del soggetto, dove il vero prodotto finale è
la qualità stessa dello sviluppo dell’uomo.
Da queste considerazioni nasce il senso di progettare dei piani di studio
personalizzati volti ad aiutare l’alunno a costruire da sé il proprio percorso formativo;
una pianificazione che orienti il ragazzo a realizzare se stesso, attraverso un proprio
realistico progetto di vita. Non abbiamo più bisogno di un sistema scolastico che
si limiti a trasmettere ai ragazzi una cultura parcellizzata, fatta di «saperi» e di
«saper fare» situazionati e relegati al solo contesto scolastico; abbiamo viceversa
bisogno di giovani che credano in se stessi, nelle proprie capacità e sappiano trasformare questi saperi e queste abilità in competenze, da utilizzare adeguatamente
nei vari contesti di vita. Inoltre, a tutti i livelli si avverte sempre più l’esigenza di
un continuo aggiornamento delle conoscenze, abilità e competenze, in modo che
l’apprendimento duri tutto l’arco della vita e non solamente da giovani; anzi, forse
è ancor più da anziani che diventa indispensabile la formazione, per mantenere un
buon tenore di vita attiva, partecipata e consapevole (e probabilmente prevenire
le malattie degenerative connesse alla senescenza).
In questo contesto la produzione scolastica degli alunni vuole essere vista,
nel suo significato più autentico, come operazione mentale volta a dimostrare
praticamente ciò che uno studente sa fare con ciò che ha imparato a scuola.
A volte può capitare che gli studenti riescano bene a dichiarare ciò che sanno, ciò che hanno studiato o memorizzato dalla spiegazione dell’insegnante, ma
quando viene chiesto loro di usare concretamente questi saperi, possono sembrare
confusi e dimostrano una competenza da principianti (Comoglio, 2002). Anche le
verifiche scolastiche spesso sono volte ad accertare più il grado di conoscenza, che
la capacità di utilizzare queste conoscenze per risolvere problemi nei vari contesti
della vita.
La produzione competente
59
Capitolo secondo
La produzione competente
La produzione competente
Nel nostro sistema formativo solamente il 75,5% degli studenti arriva al
diploma con un percorso regolare (European Commission, 2007); il 24,5% dei
ragazzi che manca all’appello sono figli di genitori a basso livello di istruzione. Se
vogliamo superare questa ingiustizia sociale, occorre aiutare di più quelli che hanno
maggiormente bisogno e non dare a tutti lo stesso percorso formativo. Le diverse
intelligenze sono risorse preziose che il nostro Paese non può permettersi di perdere,
di sprecare, o di lasciare inattive. Dunque non sono più tollerabili gli abbandoni
scolastici (in Italia il drop out si è attestato nel 2006 attorno al 20,8%) o le risorse
umane inespresse dovute a un mal funzionamento del sistema scolastico.
La dispersione scolastica, che include il ritardo, la ripetenza e gli abbandoni
del percorso formativo, costituisce una ferita e una sconfitta per la scuola, anche
quando le cause sono prevalentemente esterne ad essa. Per combattere questa
dispersione di risorse umane e valorizzare i talenti, la scuola dell’autonomia dovrebbe porre al centro una forte relazione educativa, che valorizzi la responsabilità
personale e collegiale dei docenti, chiamandoli a rispondere nel miglior modo
possibile alle sfide educative poste dalla moderna società civile. Bisogna cercare
di cambiare il sistema formativo dal basso, trovando localmente soluzioni ai problemi complessi dei nostri giovani. Formare il «capitale umano» significa anche
raccogliere localmente le sfide internazionali della competitività e dello sviluppo
economico e sociale dell’intero sistema Paese. In questa sfida l’insegnante non
può più concepirsi come esecutore passivo del dettato programmatico deciso da
altri, ma deve sentirsi protagonista della rinascita culturale, attrezzando ancora
meglio le nuove generazioni.
In questo quadro, la produzione competente viene intesa come comportamento
efficace ed efficiente orientato alla realizzazione di un obiettivo, che si differenzia da
persona a persona. Queste differenze individuali possono essere spiegate in termini
60
produrre
di abilità di apprendimento, nelle capacità di acquisire, ritenere e usare le informazioni e nel trasferire le conoscenze apprese a nuovi contesti. In una prospettiva
costruttivista, se la conoscenza è inizialmente una costruzione situata socialmente
e culturalmente (Tuffanelli, 2006) e se le competenze produttive organizzate in
schemi prima sono socializzate, per poi diventare gradualmente patrimonio personale del singolo, allora sul versante didattico dovremmo puntare maggiormente
sul lavoro di gruppo o di coppia. I soggetti che riescono a risolvere correttamente
un problema sono quelli che meglio interconnettono la conoscenza procedurale
di fatti e algoritmi con domande strategiche di controllo metacognitivo (Pressley,
1986). La consapevolezza, la stima, il controllo e la valutazione dei propri processi
cognitivi sono elementi indispensabili per il raggiungimento di buone capacità
produttive (Lucangeli e Passolunghi, 1995). L’apprendimento, come conoscenza
e produzione (competenza), non è separabile dal contesto fisico e sociale, dove le
persone pensano e agiscono con gli altri e attraverso gli altri giungono a risolvere i
vari problemi della vita. L’utilizzo della modalità di confronto e lavoro cooperativo
a coppie o piccoli gruppi permette di sviluppare meglio le conoscenze, la riflessione e le capacità di controllo strategico sulla produzione delle risposte risolutive
a un problema, pur rispettando le differenze individuali all’interno della zona di
sviluppo prossimale.
Per quanto riguarda la produzione, partendo da questi studi (in particolare
quelli della Brown, 1987) e coniugandoli con il costruttivismo vygotskijano e gli
studi piagetiani sull’autoregolazione, è possibile ipotizzare una serie di macro abilità
cognitivo-metacognitive che possono essere acquisite con la pratica, permettendo
di produrre la risoluzione corretta di un problema. Queste macro abilità implicate
nella produzione dovrebbero essere insegnate e sviluppate in una dimensione sociale
dell’apprendimento, dove viene curata la formazione della classe come gruppo
e dove vengono promossi i legami cooperativi tra gli studenti. Come abbiamo
visto nel capitolo precedente, la formazione di legami di gruppo è la condizione
indispensabile per lo sviluppo dell’apprendimento, della produzione scolastica e
della personalità positiva di ciascuno studente. Per diventare persone competenti
ed esperte occorre attivare un processo di acquisizione delle conoscenze relative
a regole, strategie e obiettivi necessari a una produzione efficiente. Ciò permette
di adeguare i comportamenti alle richieste della situazione di apprendimento in
modo efficace e flessibile. È questo il concetto, in estrema sintesi, della «produzione
intelligente», che permette alla specie umana di adattarsi e di rispondere meglio alle
varie problematiche che provengono dal contesto di vita (pensiamo, ad esempio,
alle diverse risposte e stili di vita delle persone a seconda dell’ambiente fisico nel
quale vivono, dal freddo glaciale dei poli, fino al caldo torrido dei deserti). La flessibilità produttiva è, dunque, una caratteristica fondamentale dell’intelligenza, che
La produzione competente
61
raggiunge il suo apice nelle forme di controllo consapevole sulle attività cognitive,
che si attivano nella soluzione dei problemi (Brown, 1987).
Dalla letteratura esistente (Zimmerman e Cleary, 2007; Lucangeli, Tressoldi e
Cendron, 1998; Greeno, 1978; Lucangeli e Passolunghi, 1995) abbiamo estrapolato
cinque macro abilità implicate nella risoluzione dei problemi e nel raggiungimento
di una produzione competente. Si tratta di macro abilità volte, quindi, a produrre
risultati adeguati ai vari contesti di vita (identificazione; previsione; pianificazione;
produzione; valutazione; si veda la figura 2.1), che possono formare un circolo
virtuoso a spirale dal quale ripartire dopo ogni compito, con accresciuta competenza (Bruner, 1988).
Identificazione/comprensione
Previsione
Pianificazione
Produzione
Valutazione
Produzione competente
Fig. 2.1 Modello delle cinque macro abilità che possono portare alla soluzione dei problemi
legati al contesto di vita e a una produzione competente.
1. L’identificazione/comprensione
Un momento delicato è quello iniziale, dove può accadere che l’alunno non
veda il problema o cerchi di evitarlo per non esporsi a frustrazioni o a insuccessi.
Viceversa, è necessario che gli studenti identifichino il problema, nel senso di riconoscere che esiste; quindi vedere in quale contesto si trova, cercando di visualizzarlo,
rappresentandolo mentalmente (individuazione  rappresentazione  comprensione
 categorizzazione). La visualizzazione del problema è indubbiamente un passaggio
critico nella fase di identificazione/comprensione: molti alunni hanno difficoltà
in questa operazione mentale, cioè trasformare la situazione problematica in una
rappresentazione, che può essere poi tradotta anche con un disegno o un diagramma. Dalla qualità della rappresentazione dipende la possibilità di individuare uno
o più percorsi risolutori. Questa qualità dipende in modo diretto dalle conoscenze
del solutore e dal modo nel quale queste sono organizzate.
62
produrre
A volte può succedere che i cattivi solutori non possiedano schemi generali
di categorizzazione e di procedure di azione; mentre dispongono di schemi più
specifici e situazionati, ma non organizzati in macrosistemi. Ne consegue che gli
studenti sono più attratti dagli aspetti specifici vistosi, piuttosto che individuare
le relazioni e i princìpi risolutivi sottostanti. Quindi, mentre i solutori esperti
possiedono schemi generali di conoscenze dichiarative e procedurali, sembra che
i solutori meno esperti siano carenti nella seconda tipologia di schemi, riguardanti
il fare e il produrre. Queste abilità di pensiero si sviluppano con l’esperienza e il
confronto, meglio se a coppie di alunni o a piccoli gruppi.
È utile ricordare che non tutti i problemi sono uguali: ci sono problemi ben
definiti e altri invece mal definiti. Generalmente nei problemi del primo tipo
(problemi chiusi) basta identificare la struttura nota e applicare le procedure conosciute (algoritmi) di risoluzione; ad esempio, trovare l’area di un triangolo o di
un parallelepipedo, oppure descrivere una persona. Più difficile è invece trovare la
soluzione di un problema non definito da un rigido modello (problema aperto),
in cui si possono imboccare più strade e trovare più soluzioni: ad esempio, come
costruire un parco giochi o come strutturare un racconto giallo. A volte, quando
non si riesce a identificare una situazione problemica con chiarezza, può insorgere
la percezione di difficoltà o di inadeguatezza, associata alla preoccupazione di non
riuscire, di essere derisi, di sentirsi dei «falliti». Queste percezioni emotive possono
avere il sopravvento rispetto agli aspetti cognitivi relativi alle proprie capacità di
riuscita. Generalmente la sfida assegnata a una coppia di ragazzi permette di attivare
un senso di forza maggiore (Empowerment) rispetto a quella assegnata al singolo
e un’interazione costruttiva che permette di avere un approccio alla sfida con una
sensazione di maggior competenza e capacità di riuscire a raggiungere l’obiettivo.
Accettare il problema e farsene carico non è né facile, né scontato, ma se i ragazzi
lavorano insieme, si sentono più forti e sicuri nella ricerca della soluzione che porta
al successo, o viceversa all’insuccesso (si può comprende meglio, così, l’utilità del
detto «mal comune, mezzo gaudio»). Insieme i ragazzi percepiscono meglio il
problema da affrontare, lo identificano più chiaramente e sono più propensi ad
accettare la sfida e a produrre le conseguenti azioni risolutive (Bandura, 2007).
La situazione di disagio iniziale non deve, però, diventare un cortocircuito
a livello emotivo che blocca il pensiero; al contrario, la sfida dovrebbe essere percepita come problema risolvibile con l’aiuto e l’impegno di tutti. Un problema la
cui struttura ci riporta ad altri simili, già risolti nel passato, innesca un pensiero
che potremmo definire «riproduttivo». Viceversa, un problema aperto a più soluzioni, oppure a struttura non nota, innesca un pensiero che potremmo definire
«produttivo». Anche il docente, però, dovrebbe spingere gli alunni a riconoscere,
identificare e affrontare, senza timore alcuno, i problemi che man mano vengono
La produzione competente
63
posti all’attenzione dei ragazzi, cercando di essere chiaro negli obiettivi da perseguire
e nell’utilità del cimentarsi in queste sfide.
Per aiutare ulteriormente i giovani a diventare solutori esperti, il docente può
insegnare delle strategie metacognitive di automonitoraggio, autointerrogazione e
autoistruzione, chiedendo agli alunni di rispondere a domande del tipo: «Siamo
in grado di risolvere questo problema? Se falliamo, come ci vedranno i nostri
compagni? E i nostri genitori? E i nostri insegnanti? E noi come ci sentiremo di
fronte a un fallimento? È utile per noi accettare questa sfida? Sono più i vantaggi
o gli svantaggi?». Una volta letto velocemente il testo del problema, bisogna che
i ragazzi lo capiscano, si chiedano di quale problema si tratti, se ne hanno già
incontrati di simili precedentemente e cosa sanno su come si possa risolverlo. La
comprensione implica la capacità di rappresentarsi il problema e di trovare analogie
con altri problemi già sperimentati e risolti (comprensione guidata dalle esperienze
pregresse). Essa dipende anche dalla chiarezza della formulazione, dalla familiarità
ad affrontare compiti del genere, dalla capacità di evidenziare correttamente i dati,
mettendoli in relazione tra loro e con le conoscenze possedute nella memoria a
lungo termine. Quindi, dopo aver accettato la sfida, i ragazzi possono monitorarsi
e autointerrogarsi con domande del tipo: «Facciamo un disegno o un diagramma?
Questa rappresentazione è conforme al problema? Ci sono tutte le informazioni o
ne manca qualcuna? Se qualcosa manca, come possiamo procedere per trovarla?». In
due o più si ragiona meglio e c’è una maggior percezione di competenza e gestione
sia dei fattori di natura cognitiva, che di quelli di natura socio-emotiva.
2. La previsione
La previsione implica la capacità di vedere prima il prodotto finale che si
vuole raggiungere. Attendersi e immaginarsi un risultato finale alle nostre azioni
è l’essenza stessa della previsione. L’attesa comporta l’accettazione della sfida scolastica e la tensione cognitivo-emotiva verso il risultato da conseguire (motivazione);
l’immaginazione del risultato finale implica l’attivazione delle conoscenze pregresse
e la loro messa in relazione con il prodotto finale, per trovare la strada migliore
per giungere al risultato (pianificazione). Attraverso le conoscenze che gli studenti
attivano e la discussione che ne consegue a livello di coppia o piccolo gruppo, essi
possono prevedere se sono in grado di risolvere il problema e decidere insieme se
accettare o meno la sfida. La stessa parola «problema» deriva dal verbo greco bállein
che vuol dire «proporre, gettare», preceduto dal suffisso pró, che significa «davanti», quindi il significato etimologico è «gettare davanti», proiettarsi nel futuro per
ipotizzare un’azione risolutiva che porti a un risultato. Per potersi «pro-gettare»,
cioè spingersi avanti immaginando i risultati delle proprie azioni, occorre riuscire
64
produrre
a trasformare il disagio iniziale in volontà risolutiva per dimostrare a se stessi e agli
altri il proprio valore. Questi comportamenti virtuosi avvengono meglio (come
abbiamo visto anche nel capitolo precedente) in classi con un clima cooperativo,
dove gli alunni non hanno paura di sbagliare, né di essere derisi, anzi si sentono
incoraggiati dai compagni ad assumersi dei rischi. Viceversa, il comportamento
rinunciatario dei ragazzi può essere una spia di un ambiente-classe o di un contesto
di gruppo percepito come minaccioso, nel quale se uno sbaglia viene rimproverato
o preso in giro e quindi la convinzione conseguente diventa quella che l’errore
deve essere evitato ad ogni costo (Tuffanelli, 2006). Come sappiamo, in classe,
come in famiglia, il ruolo dell’adulto educatore è decisivo nella costruzione di un
clima di un tipo o di un altro.
Oltre a creare un clima positivo, occorre che l’insegnante tari bene il compito
(da collocare nell’area di sviluppo prossimale), sapendo che l’accettazione della sfida
da parte dello studente comporta sempre un controllo emozionale e una percezione
di rischio accettabile. I ragazzi, con questa operazione mentale, possono pensare
alle conseguenze di possibili piani d’azione e ricevere una spinta a ricercarne altri,
qualora le previsioni di questi piani d’azione risultassero negative. Possono anche
pensare insieme a chi rivolgersi e quali aiuti chiedere, nel caso trovassero alcune
difficoltà; infine possono ipotizzare un tempo necessario di cui hanno bisogno
per portare a termine la sfida, individuando determinati strumenti che possono
essere loro utili nel trovare la soluzione. In sintesi, la previsione può diventare una
macro abilità importantissima (forse la più importante) per giungere a una produzione competente, che richieda la capacità di immaginare le proprie prestazioni
conseguenti a un determinato piano d’azione, di stimare a quale livello si possono
collocare, di pensare a quali difficoltà si potrebbero incontrare nell’esecuzione del
compito e di stabilire se si è soddisfatti o meno dei risultati previsti. Per sviluppare
le macro abilità utili in questa fase possono essere poste domande che attivino un
confronto costruttivo tra gli alunni: «Pensiamo di essere in grado di farlo? Chi o
che cosa ci può aiutare? Quanto tempo ci richiede? Di quali strumenti abbiamo
bisogno? In quale ambiente pensiamo di svolgere il compito? Quale stimiamo
possa essere il risultato finale di questo problema? A che livello di accuratezza? Ci
sentiamo soddisfatti di questi risultati ipotizzati?».
3. La pianificazione
Pianificare vuol dire immaginare un percorso da fare, un piano che individui le varie azioni da compiere per raggiungere un risultato, ordinandole sull’asse
temporale in modo sequenziale, da quella che viene prima a quelle che vengono
dopo. Quindi, dopo aver accettato la sfida ed essersi rappresentati il problema,
La produzione competente
65
prevedendo un certo risultato finale, gli studenti possono individuare la sequenza
di azioni da fare per raggiungere la mèta, chiedendosi come reperire i materiali e
gli strumenti di lavoro necessari, come collegare i dati e trovare quelli mancanti e
come scegliere i metodi di rappresentazione dei dati individuati. Sono gli elementi
dell’ambiente del compito (i dati del problema) che suggeriscono al solutore il tipo
di strategie da adottare per raggiungere la soluzione. Può pertanto succedere che
certi oggetti suggeriscano determinate strategie e non altre e che questo precluda
di vedere la soluzione del problema, dove, ad esempio, un elemento dovrebbe
essere utilizzato in modo diverso da quello usuale (pensiamo a una rete di mele da
un chilogrammo usata come peso per stabilire se altri oggetti pesano più o meno
di un chilo).
La rappresentazione complessa di un percorso di soluzione è costruita attraverso i processi di visualizzazione e comprensione del problema, cioè da ciò che
il solutore (o i solutori) capiscono dei dati e dall’obiettivo da raggiungere, oltre
che dalle strategie che hanno a disposizione. Comprensione e ricerca attiva di una
soluzione sono le componenti per raggiungere l’obiettivo finale. Occorre, perciò,
che il solutore attivi conoscenze ben integrate attinenti anche alle procedure di
soluzione, per compiere inferenze a partire dai dati a disposizione, che gli permetteranno l’attivazione di schemi e strategie funzionali al raggiungimento degli
obiettivi e sotto-obiettivi relativi alla soluzione del compito. La comprensione e la
ricerca attiva di un percorso o schema d’azione implica un carattere costruttivo e
ricostruttivo della conoscenza, dove le esperienze non vengono solamente registrate
nella memoria a lungo termine, ma organizzate in schemi che vanno dal semplice al
complesso e dal particolare al generale. Ricordiamo che per «schema» intendiamo
un insieme di concetti e di associazioni tra concetti che definisce un elemento più
complesso e astratto. Ad esempio, lo schema della faccia comprende i concetti di
occhio, naso e bocca, cioè delle variabili che assumono diversi valori nelle diverse
situazioni contingenti. Gli schemi relativamente semplici e specifici vengono
chiamati anche strategie o script, mentre quelli più complessi frame o strutture. Gli
schemi come organizzatori dei sistemi produttivi d’azione possono essere più o
meno definiti e più o meno aperti: più gli schemi sono definiti e più sono rigidi
e spingono a quella che i gestaltisti chiamano «fissità funzionale», cioè rigidità
nell’applicazione dello schema solamente in determinati contesti, con determinate
funzioni. Ad esempio, il piatto della bilancia viene visto come elemento per pesare
e non come contenitore o copricapo, che può servire anche in altre occasioni. Viceversa, la costruzione di schemi aperti permette una maggior flessibilità cognitiva,
utile a risolvere problemi poco usuali e a trovare percorsi anche originali, volti a
raggiungere l’obiettivo prefissato. Più gli schemi sono rigidi e meno si è attrezzati
per risolvere problemi complessi che fuoriescono dalle routine.
66
produrre
Possiamo distinguere almeno tre strategie generali (o schemi generali di produzione) nel ricercare e pianificare le azioni risolutorie di un problema:
a) la strategia dei piccoli passi (o dei sotto-obiettivi). Il solutore di un problema valuta
la differenza tra la situazione attuale e l’obiettivo da raggiungere, quindi individua
le operazioni che possono ridurre tale differenza, fino al raggiungimento della
mèta. Questa riduzione progressiva della distanza avviene con il raggiungimento
progressivo di sotto-obiettivi che si avvicinano progressivamente alla soluzione;
b)la strategia (o euristica) di amplificare una pianificazione più semplice. Il solutore,
di fronte a un problema complesso, cerca di semplificarlo riducendone le dimensioni per poterlo meglio dominare. Ad esempio, per organizzare un viaggio in
Patagonia, pensa a cosa può servire se facesse un trekking nelle montagne vicino
a casa, per poi potenziare tutta l’attrezzatura per l’uscita più impegnativa;
c) la strategie dell’ipotesi-verifica. Il solutore ipotizza una possibile soluzione del problema e poi cerca di verificarne la fattibilità e la produttività rispetto all’obiettivo.
È una procedura che viene generalmente usata nella ricerca scientifica, dove, ad
esempio, degli esami di laboratorio possono confermare o smentire un’ipotesi
di possibile malattia.
La pianificazione delle azioni, che portano a conseguire un certo risultato,
implica una certa capacità di applicare uno schema di azioni in sequenza di successione (temporale, causale, gerarchica) per raggiungere l’obiettivo. Utili, per riflettere
su questa fase, possono essere quei processi metacognitivi di automonitoraggio che
permettono l’autoregolazione delle azioni intraprese. Alcune domande che vanno
in questa direzione possono essere: «Quali ci sembrano essere e come scegliamo le
strategie più efficaci? Quali sono e come reperiamo i materiali e gli strumenti di
lavoro? Come possiamo collegare i dati e come pensiamo di trovare quelli mancanti? Come scegliamo i metodi di rappresentazione dei dati? Ci sembra di aver
impostato correttamente il piano d’azione e che sia efficace?».
4. La produzione
La macro abilità della produzione implica l’attuazione delle azioni programmate (pianificazione), come sequenza di azioni e di decisioni analoghe ai programmi
di un computer (Boscolo, 1986) e il controllo delle stesse per valutare se vanno
nella giusta direzione (monitoraggio). Questa produzione di azioni generalmente è
riunita in schemi più o meno definiti. Gli schemi di azioni più definite si possono
chiamare algoritmi o routine, che, a loro volta, possono articolarsi in sottoprogrammi
e subroutine. Essi possono essere molto semplici e automatizzati (pensiamo alle
sequenze di azioni che produciamo quando ci laviamo la faccia o ci allacciamo
80
produrre
Nella socializzazione e personalizzazione dell’unità apprenditiva, la
negoziazione del contratto formativo d’aula si configura come la progettazione
comune di un percorso di co-costruzione della conoscenza, di autonomie d’azione e di produzione, di incontro, scambio e messa in comune di ipotesi, percorsi
formativi e strumenti, tra persone con diverse capacità e personalità.
Il contratto formativo d’aula tra insegnanti e studenti diventa uno dei momenti topici nella progettazione dell’unità di apprendimento, principalmente per
almeno tre motivi:
– perché sviluppa coinvolgimento e motivazione, in quanto, chiedendo ai ragazzi
di suddividersi in coppie o in piccoli gruppi, presuppone l’accettazione della
sfida e la loro convinta adesione alla proposta formativa, il loro coinvolgimento
nella previsione dei possibili esiti delle loro azioni, nel concordare gli obiettivi,
il percorso da fare e le modalità di valutazione. La chiarezza e la curiosità sono
gli ingredienti principali di questo coinvolgimento attivo: gli studenti, insieme
all’insegnante, chiariscono e concordano cosa dovranno impegnarsi a imparare
e il senso di questo apprendimento. Successivamente, nella fase di valutazione,
possono attivare la previsione e il collegamento delle conoscenze pregresse con
quelle nuove (attivazione di organizzatori anticipati) e prepararsi delle domande
a cui rispondere al termine dell’unità di apprendimento, per automonitorare il
percorso e autovalutare il proprio prodotto (fase della revisione metacognitiva
del processo e degli esiti conseguiti). Anticipare e chiarire ciò che i ragazzi studieranno può creare nella classe un senso di aspettativa e tensione positiva verso
il risultato degli sforzi che si andranno a compiere;
– perché sviluppa capacità cooperative, in quanto chiede ai ragazzi di discutere e condividere la proposta educativa, entrando nel merito delle scelte e di ciò che è utile
per la loro formazione, del «perché», «come», «quando» e «per ottenere che cosa»
si accettano queste sfide. I ragazzi possono capire che attraverso la produzione
cooperativa si imparano cose nuove, utili per apprendere a lavorare insieme con
i compagni, per concretizzare l’aiuto reciproco e diventare tutti più competenti,
cittadini più attivi, consapevoli, solidali e cooperativi. Il punto di forza di questa
pianificazione concordata sta nel coinvolgimento e nell’interazione sociale positiva
tra tutti gli alunni. La costruzione del contratto formativo vuole essere anche un
momento per favorire lo scambio, l’interazione verbale diretta, la chiarificazione, il
convincimento e l’adesione agli obiettivi del gruppo, nonché per sviluppare l’interdipendenza positiva. Nel percorso verso una produzione competente degli alunni,
gli insegnanti possono cominciare con gruppi poco strutturati e con compiti brevi
e prodotti semplici, per poi aumentare le richieste agli studenti, la complessità del
lavoro e la relativa organizzazione. In questo modo, gradualmente il gruppo classe
può aumentare le proprie competenze sociali e cognitive nel costruire insieme
La produzione competente
81
una comunità sempre più attiva, democratica e produttiva. In questo processo
di sviluppo delle competenze, il docente gioca un ruolo fondamentale e delicato:
da buon consulente e regista, dovrebbe rispettare le opinioni dei ragazzi e le loro
proposte; contemporaneamente dovrebbe far presente anche le ragioni didatticoeducative che depongono a favore dell’una o dell’altra scelta, quindi orientare i
ragazzi verso il lavoro autonomo, competente e responsabile;
– perché sviluppa capacità metacognitive, in quanto chiede ai ragazzi, nell’accettare
la sfida scolastica, di fare operazioni metacognitive quali una previsione, una
pianificazione, un monitoraggio, una valutazione e una revisione del compito
concordato. In questo modo essi possono aumentare il grado di consapevolezza
su ciò che realizzano, chiarendosi gli obiettivi, i prodotti finali, i percorsi da
compiere, i tempi da rispettare, le modalità di valutazione, ecc. Per esempio, la
pianificazione prevista dal contratto permette agli alunni di assumere un ruolo
attivo e operare scelte condivise nello scrivere un «copione», che sia di orientamento verso la loro produzione. Come vedremo, nel preliminare contratto
formativo d’aula, gli studenti possono avere maggior consapevolezza e controllo
sul proprio apprendimento ed esercitare meglio la propria responsabilità, sia nei
confronti di se stessi, che del gruppo e dei risultati conseguiti. Scegliere insieme
gli obiettivi di una produzione scolastica significa anche prendere coscienza dei
risultati da conseguire, con il convincimento che più gli obiettivi sono specifici
e più possono dare agli alunni e ai docenti la possibilità di valutare efficacemente
il proprio lavoro.
Nella produzione scolastica la scelta dell’obiettivo formativo da proporre agli
studenti non può che essere relativa a un compito di apprendimento unitario (che
riguardi cioè la vita e non un singolo aspetto di essa), articolato, organico, adatto a
quei determinati alunni e significativo, perché dotato di senso per quel determinato
ambiente di appartenenza. Pensiamo alla risoluzione di un problema esistenziale o
alla conoscenza di un argomento che presenti un certo grado di complessità (con un
respiro pluri-interdisciplinare o pre-disciplinare per le classi della scuola primaria,
come può essere «la vita degli uomini primitivi»), che sia legittimato, quindi vicino
alla sfera degli interessi («Riguarda come eravamo noi uomini migliaia di anni fa»),
risponda ai bisogni formativi dei ragazzi («Capiamo quanta strada abbiamo fatto
se sappiamo da dove siamo partiti») e coinvolga anche la loro esperienza personale
(«Proviamo a vivere come gli uomini primitivi, costruendoci le armi e risolvendo
i problemi quotidiani senza ricorrere alle tecnologie moderne»).
Gli obiettivi formativi dovrebbero, perciò, diventare una mediazione tra le
discipline (obiettivi specifici di apprendimento) e le educazioni, cioè gli obiettivi
educativi generali, che tengano conto sia del profilo educativo da acquisire in uscita, sia dell’esperienza dei ragazzi e delle loro caratteristiche personali. Individuato
82
produrre
l’obiettivo formativo da proporre, l’insegnante dovrà pensare a come motivarlo alla
classe, come chiarirne la sua importanza ai fini della formazione personale e come
chiedere ai ragazzi di accettare la sfida di coppia o di piccolo gruppo, impegnandosi
a vincerla. Dovrà pensare a come tradurre questo obiettivo formativo in obiettivi
specifici sia cognitivi che sociali di apprendimento. Dovrà descrivere questi obiettivi
in termini comportamentali in modo che gli studenti abbiano chiaro cosa ci si aspetta
da loro. Gli alunni accettano le sfide se sono convinti di poterle vincere o di avere
molte probabilità di potercela fare. Ma le accettano ancora più volentieri se sanno
di non essere soli, che c’è qualcuno pronto ad aiutarli. Questa convinzione, oltre a
creare un benessere psicologico generale, permette una miglior gestione dell’ansia
da prestazione. Ad esempio nelle attività routinarie della classe, un conto è fare
un tema, un riassunto, un racconto, una cronaca, un problema, … da soli; altro è
poterlo fare assieme a uno o più compagni. Se gli insegnanti lanciassero più sfide
formative mirate a coppie di ragazzi o a piccoli gruppi, si potrebbe concretizzare
meglio quello che Vygotskij (1934) chiama l’apprendimento socializzato nella zona
di sviluppo prossimale (si veda il capitolo primo). I ragazzi poi, riflettendo sulle
difficoltà incontrate, su cosa hanno fatto per superarle, su quali aiuti sono stati
decisivi e quali fuorvianti, svilupperebbero quella consapevolezza metacognitiva
che può permettere loro di assimilare le nuove abilità e conoscenze, integrandole
con quelle pregresse, già possedute in memoria a lungo termine.
Partendo dall’esperienza degli alunni e dalle loro conoscenze, possiamo fare
un esempio di contratto formativo in una classe prima della scuola secondaria di
primo grado per capire «Perché i cervi delle Alpi stanno aumentando considerevolmente di numero?». Si tratta, una volta che gli alunni hanno accettato la sfida,
di produrre un testo che risponda a questa domanda in modo completo e rigoroso
da un punto di vista scientifico.
In un compito del genere gli obiettivi cognitivi specifici di apprendimento,
da concordare e chiarire insieme, possono riguardare:
a) saper formulare delle ipotesi sulla base delle conoscenze possedute, per poi
andarle a verificare nella letteratura scientifica;
b)saper leggere, comprendere e sottolineare i concetti chiave dei testi scientifici
forniti dal docente;
c) saper scrivere una relazione scientifica in modo chiaro e completo;
Oltre a questi obiettivi specifici cognitivi si possono concordare con gli alunni
anche gli obiettivi specifici sociali, come ad esempio:
a) saper parlare a voce bassa;
b)saper rispettare i ruoli assegnati dall’insegnante;
c) saper intervenire in modo congruente.
La produzione competente
83
Anche la metodologia di lavoro cooperativo va concordata. Nel nostro esempio
gli insegnanti possono proporre, dopo aver chiarito bene insieme a livello del gruppo
classe cosa fare, i ruoli da interpretare e gli strumenti che si possono usare, di lavorare
a piccoli gruppi di tre, condividendo con gli alunni i criteri di formazione delle terne,
come ad esempio quello di mettere insieme ragazzi con competenze differenti (uno
più competente in una disciplina con altri più competenti in altre).
È importante concordare anche l’organizzazione della classe dal punto di
vista logistico definendo gli spazi propri d’azione (una terna si mette in quel posto,
un’altra in quest’altro, un’altra ancora…). La sintesi del contratto formativo può
essere rappresentata su un cartellone da attaccare sulla parete della classe e servire
come organizzatore cognitivo (si veda la figura 2.2).
La produzione di una relazione scientifica
Fase 1: costruzione del contratto formativo (identificazione del problema, motivazione e
condivisione; tempo previsto: 20 minuti)
Obiettivo formativo:
– comprendere perché i cervi delle Alpi stanno aumentando considerevolmente di numero.
Obiettivi specifici cognitivi:
– saper formulare delle ipotesi sulla base delle conoscenze possedute, per poi andarle a
verificare nella letteratura scientifica;
– saper leggere, comprendere e sottolineare i concetti chiave dei tre testi scientifici forniti
dal docente;
– saper scrivere una relazione scientifica in modo chiaro e completo seguendo uno schema.
Obiettivi specifici sociali:
– saper parlare a voce bassa;
– saper rispettare i ruoli assegnati dall’insegnante;
– saper intervenire in modo congruente.
Metodologia e organizzazione:
Lavoro cooperativo a gruppi eterogenei di tre elementi attorno a un tavolo con tre sedie,
un quadernone e tre testi scientifici sulla vita dei cervi delle Alpi.
Fase 2: la socializzazione della conoscenza (tempo previsto: 60 minuti)
Riflessione comune sulla vita dei cervi che vivono sulle Alpi (come e quanto vivono, quali
pericoli e nemici incontrano, cosa mangiano, quanti figli fanno mediamente, ecc.); spiegazione su come si sottolineano le informazioni principali e come si costruisce una relazione
scientifica con l’uso di uno schema; chiarificazione delle funzioni dei vari ruoli e preparazione
degli strumenti di monitoraggio e valutazione (costruzione di tabelle a doppia entrata di
monitoraggio e valutazione dei tre obiettivi cognitivi e dei tre obiettivi sociali).
(continua)
84
produrre
(continua)
Fase 3: la produzione personalizzata del lavoro cooperativo «Perché i cervi delle Alpi stanno
aumentando considerevolmente di numero?» (tempo complessivo previsto a scuola: 130
minuti)
Fase 3.0: la previsione di gruppo sul livello dei risultati da conseguire (tempo previsto: 10
minuti)
Fase 3.1: la discussione e la formulazione di ipotesi concordate (tempo previsto: 20 min.)
Ideatore
Ideatore
Ideatore
Control. voce
Control. ruoli
Control. congruità
Fase 3.2: il confronto delle ipotesi con la letteratura scientifica tramite lettura e sottolineatura
di 3 testi scientifici forniti dal docente (tempo previsto: 20 minuti per il primo testo)
Lettore
Sottolineatore
Confermatore
Control. voce
Control. ruoli
Control. congruità
(Rotazione dei ruoli cognitivi nella lettura e sottolineatura di altri 2 testi scientifici forniti
dal docente; tempo previsto: altri 40 minuti)
Fase 3.3: la produzione di gruppo di una relazione scientifica seguendo uno schema sul
«Perché i cervi delle Alpi stanno aumentando di numero?» (tempo previsto: 30 minuti)
Dettatore
Scrittore
Confermatore
Control. voce
Control. ruoli
Control. congruità
Fase 3.4: l’autovalutazione di gruppo sul prodotto svolto e sui risultati conseguiti (tempo
previsto: 10 min.)
Fase 3.5: la valutazione dell’insegnante su quanto prodotto dal gruppo (tempo previsto:
variabile)
Fase 4: la revisione metacognitiva (tempo previsto: 20 min.)
Fase 5: il trasferimento delle conoscenze (tempo previsto: 120 min. a casa, + 120 minuti
a scuola per la prova di verifica delle conoscenze raggiunte)
Firme degli alunni:
Firme degli insegnanti:
__________________
_______________________
__________________
_______________________
Fig. 2.2 Schema del contratto formativo d’aula con le fasi concordate da implementare.
La produzione competente
85
Per coinvolgere gli alunni e concordare con loro il contratto formativo d’aula,
il docente deve spiegare alla classe perché è importante fare questa esperienza, quali
sono gli obiettivi formativi da raggiungere, quali gli obiettivi cognitivi e sociali
specifici, la metodologia e l’organizzazione del lavoro di gruppo, le varie fasi del
lavoro cooperativo, gli strumenti e i criteri di valutazione da utilizzare nelle fasi
di previsione, autovalutazione e valutazione, i ruoli da interpretare e le modalità
della revisione metacognitiva al termine del lavoro di gruppo. Il docente, dopo aver
chiesto l’adesione convinta degli alunni e costruito insieme il contratto formativo,
attacca lo schema alla parete (copia dello schema viene anche consegnata ad ogni
gruppo), in modo che ciascun alunno visualizzi il percorso da fare e i tempi previsti
per ogni fase. Il contratto diventa un organizzatore cognitivo.
Seconda fase: la socializzazione della conoscenza
Vygotskij (1934) quando sostiene che «ciò che i bambini sanno fare insieme
oggi, domani sapranno farlo da soli», intende dire che i giovani imparano tra loro
confrontandosi su saperi che si trovano nell’area di sviluppo prossimale, interiorizzando funzioni cognitive complesse che gradualmente cercano di far proprie,
arrivando poi a dei prodotti comuni, con l’aiuto reciproco e con la spiegazione
vicendevole delle strategie, con un linguaggio tra pari più efficace e comunque diverso
qualitativamente da quello usato dall’insegnante o da qualsiasi altro adulto.
Per favorire un tale contesto apprenditivo risulta necessaria una professionalità
docente centrata sulla mediazione dei contenuti di apprendimento, sul come si
apprende piuttosto che solamente sul cosa si apprende. Una professionalità centrata inoltre sulle modalità di relazione tra gli studenti, considerati come soggetti
attivi del proprio apprendimento e della capacità di attivare costruttivi rapporti
sociali all’interno di un gruppo, che costruisce insieme la conoscenza e realizza
dei prodotti comuni.
A livello dell’intera classe, attraverso la discussione e la riflessione comune,
gli alunni sviluppano delle abilità metacognitive, come il confronto, la valutazione
e la revisione metacognitiva. Gli allievi possono chiarirsi e scegliere insieme, con
l’aiuto dell’insegnante, di accettare la sfida scolastica e raggiungere gli obiettivi
previsti, concordando le strategie e decidendo come procedere nel lavoro comune
(pianificazione). Nel far questo imparano a fermarsi, a prevedere, a confrontarsi,
a valutare le conoscenze, discutendo su come si è arrivati a un dato risultato,
attraverso quali processi, considerando i propri punti di forza e di debolezza,
per capire cosa ha funzionato bene e cosa meno. Questo confronto tra docente e
alunni, che mira a creare le condizioni per poi lavorare da soli in autonomia, viene
chiamato «socializzazione della conoscenza». In questa fase il docente spiega in
86
produrre
cosa consiste il lavoro da svolgere, definisce bene i ruoli da assegnare e interpretare, prepara con i ragazzi gli strumenti di monitoraggio e valutazione e definisce
insieme a loro i tempi delle varie fasi del compito. L’insegnante attrezza gli alunni
aiutandoli a costruirsi strategie, schemi, procedure e tabelle di monitoraggio e di
valutazione degli obiettivi da raggiungere e domande per riflettere sul percorso
fatto e sui risultati conseguiti. Nel far questo il docente dovrebbe possedere una
buona competenza sui processi di apprendimento e funzionamento cognitivo e
metacognitivo (pensiamo, ad esempio, alle modalità di gestione dell’errore, che
permettono all’insegnante di cogliere degli aspetti significativi sul funzionamento
mentale e sui processi di autocontrollo dei ragazzi). Egli inoltre dovrebbe avere
competenze sulle dinamiche di gruppo, per analizzare le interazioni che avvengono
in classe e sapere come e dove intervenire.
Nel valutare le relazioni tra alunni, diventa oltremodo necessario da parte
del docente anche un lavoro introspettivo di analisi sul funzionamento cognitivo
proprio e generale, se vuole diventare a sua volta abile nello stimolare processi
analoghi nei suoi studenti, sviluppando le abilità metacognitive di problematizzazione, previsione, pianificazione, monitoraggio dei propri comportamenti,
autovalutazione, revisione, astrazione e trasferimento delle abilità e dei saperi
costruiti socialmente. Se la direzione apprenditiva del comportamento come
trasformazione delle forme naturali in forme culturali superiori, va dall’esterno
all’interno (Vygotskij, 1981), allora l’interiorizzazione della conoscenza avviene
prima attraverso la «co-costruzione» sociale (apprendimento socializzato) e poi
con un progressivo trasferimento dell’attività sociale esterna, mediata da segni,
al controllo interno: «Nello sviluppo culturale del bambino ogni funzione
compare due volte, su due piani: dapprima compare sul piano sociale, poi sul
piano psicologico. Prima compare tra due persone, sotto forma di categoria
interpsicologica, poi all’interno del bambino, come categoria intrapsicologica»
(Vygotskij, 1981, p. 163).
In questa seconda fase della produzione competente il docente può pensare a
individuare i livelli di partenza dei suoi studenti, per tarare gli aiuti di cui i ragazzi
necessitano per poter lavorare insieme autonomamente e in modo interattivo, efficiente ed efficace rispetto agli obiettivi che devono raggiungere. L’insegnamento
socializzato a livello di gruppo classe di strategie cognitive e sociali da esercitare in
seguito autonomamente in gruppo, può risultare una valida modalità di aiuto al
lavoro anche individuale degli studenti. Questo momento comune di insegnamento
strategico può essere suddiviso in quattro ulteriori momenti o fasi: l’attivazione
delle competenze pregresse, l’insegnamento delle strategie cognitive, l’insegnamento
delle abilità sociali e la costruzione degli strumenti cognitivi, di monitoraggio e
di valutazione.
La produzione competente
87
a) L’attivazione delle conoscenze pregresse
In questa fase preliminare occorre pensare a come identificare e spiegare le
ragioni dell’apprendimento della nuova conoscenza, abilità o strategia, discutendo
su quanto già si conosce su quella tematica o su quello strumento, per cogliere
l’importanza di acquisire quella determinata conoscenza («Cosa conosciamo già
su come si costruisce una relazione scientifica?»; «Perché può essere utile imparare
a servirci di questo strumento?»; «Come possiamo scegliere e organizzare le varie
conoscenze?»: «Come possiamo produrre delle prove a favore della nostra tesi e
come possiamo cercare di confermarla?»).
b) L’insegnamento delle strategie cognitive
Si tratta di fornire agli studenti domande, schemi, mappe, tabelle o figure, in
modo da collegare le nuove conoscenze a quelle già da loro possedute. Ad esempio,
se la progettazione dell’unità apprenditiva prevede anche la costruzione di uno
schema di relazione scientifica, l’attivazione delle conoscenze pregresse potrebbe
essere favorita da domande del tipo: «A cosa può servire una relazione scientifica?»;
«Avete mai visto come è fatta?»; «Quali possono essere le parti fondamentali?»
(ad esempio, nella tabella 2.2 si può vedere un semplice modello di riferimento
costituito da 6 parti: problema, tesi, conoscenze a favore, conoscenze contrarie,
discussione e conclusioni).
Tabella 2.2
Modello di come costruire una relazione scientifica
Problema: Perché i cervi delle Alpi stanno aumentando considerevolmente di numero?
Tesi:
Conoscenze a favore:
Discussione:
Conclusioni:
Conoscenze contrarie:
88
produrre
L’insegnamento strategico può essere svolto attraverso almeno due modalità
principali:
– la prima vede l’insegnante porsi come modello di comportamento metacognitivo,
ponendosi domande e fornendo risposte a voce alta («Vi mostro come io costruisco un’ipotesi e come cerco di giustificarla e di confermarla. Ma cerco anche
altri saperi che possono sconfermarla, rendendola poco credibile»). Gli studenti
possono così ascoltare e osservare il docente che pensa ad alta voce, mentre fa
vedere loro come svolge un determinato compito (modeling): «Sto facendo
progressi ragionevoli? È questa la cosa giusta da fare? Mi sto avvicinando alla
soluzione finale del problema?». Questo approccio, anche se artificiale, funge
da guida alla riflessione, permettendo agli studenti di costruirsi un modello che
può essere utile in situazioni analoghe. In questo modo arrivano più preparati e
producono azioni più mirate verso il raggiungimento dell’obiettivo, monitorando
e autoregolando le azioni stesse;
– la seconda vede gli studenti, con la supervisione dell’insegnante, applicare
insieme la strategia: «Per spiegare una determinata situazione, Marco e Monica formuleranno una tesi, che sottoporranno alla nostra attenzione per
convincerci che è l’ipotesi migliore. Quindi risponderanno a tutte le obiezioni
e alle domande che via via presenteremo loro». I due alunni possono scrivere
alla lavagna la loro tesi e cercare di sostenerle alla luce delle informazioni a
favore o contro presentate dai compagni. Dopo aver sostenuto questo esame
valutativo, i due alunni passano prima a discutere a voce alta le informazioni
trovate e poi alla conclusione, con la decisione finale di confermare la loro tesi,
abbandonarla o modificarla accogliendo determinate obiezioni dei compagni.
Tutti i ragionamenti dei due compagni, esplicitati a voce alta, vengono seguiti
dagli altri compagni che possono intervenire con domande, obiezioni e richieste di chiarimento. In questo modo, i due ragazzi che eseguono il compito
fungono da modello di comportamento metacognitivo per gli altri compagni,
esplicitando verbalmente quei pensieri che li portano a prendere le decisioni
e arrivare a quelle determinate conclusioni.
c) L’insegnamento delle abilità sociali
Assieme all’apprendimento e alla produzione cognitiva, una parte dell’attenzione viene riservata anche all’apprendimento e alla produzione di nuovi comportamenti sociali o al rafforzamento di quelli in parte già appresi. Nel far questo occorre
prestare attenzione ad almeno cinque semplici princìpi (Bandura, 2000):
– la discussione: i comportamenti nuovi da apprendere e produrre o quelli da
rinforzare vanno definiti e discussi con tutta la classe, cercando di individuare
La produzione competente
89
quelli che si vedono e quelli che si sentono. Utile a tale scopo può diventare la
costruzione di una tabella di comportamenti bersaglio su due colonne con scritti
sulla prima «quelli che sentiamo» e sulla seconda «quelli che vediamo» (Andrich
Miato e Miato, 2003);
– il riconoscimento: gli studenti imparano a riconoscere i comportamenti sociali
oggetto di apprendimento, sia su se stessi sia sui compagni. Utile a tal fine può
essere prevedere dei ruoli di osservatore, che possono essere interpretati da alunni
che non partecipano direttamente al lavoro di gruppo e annotano su apposite
griglie i comportamenti sociali prodotti dai compagni e oggetto dell’unità di
apprendimento;
– l’intersoggettività: l’insegnante e gli studenti, insieme, possono definire e discutere
le abilità sociali da produrre, individuando i comportamenti caratterizzanti in
modo intersoggettivo e concordando di produrre quei comportamenti che sono
indicatori dell’abilità sociale da apprendere (ad esempio, il comportamento gentile si evidenzia con il sorriso, con cenni di assenso con il capo, con la postura
protesa verso l’interlocutore, con parole di incoraggiamento, di disponibilità e
di sostegno);
– la pratica e il rinforzo: il docente può aiutare i ragazzi a individuare quei comportamenti che caratterizzano l’abilità sociale da apprendere, evidenziandoli
nel corso della giornata scolastica su se stessi e sugli altri. L’insegnante può
enfatizzarli e rinforzarli con sottolineature del tipo: «Brava Gaia, ho visto il tuo
comportamento gentile quando hai sorriso a Silvia»; «Antonio, sei stato gentile
ad aiutare Cristian nei compiti rileggendoli e trovando delle inesattezze».
d) L’assegnazione di ruoli e la costruzione degli strumenti di monitoraggio e di
valutazione
Per permettere un efficace lavoro di gruppo, occorre attrezzare gli studenti
con strumenti cognitivi e sociali di monitoraggio e di valutazione dei risultati e
dei processi attuati.
Nell’esempio della produzione di una relazione scientifica che spieghi il
perché i cervi delle Alpi stiano aumentando considerevolmente di numero, l’insegnante può attribuire a ciascun membro del gruppo dei ruoli cognitivi e sociali
e attrezzare ciascun ragazzo con degli strumenti di monitoraggio dell’obiettivo
da perseguire (nel nostro caso, come monitorare la congruenza degli interventi
da parte dei membri del gruppo, il rispetto dei ruoli assegnati dal docente e
il volume della voce quando si interagisce con i compagni). Un esempio di
strumento di monitoraggio degli obiettivi sociali da raggiungere lo possiamo
osservare nella tabella 2.3.
90
produrre
Tabella 2.3
Griglia di monitoraggio e di valutazione dei comportamenti non
funzionali agli obiettivi sociali concordati a livello di coppia
Comportamenti scorretti da segnare con una X
1° studente
2° studente
3° studente
_______________ _______________ _______________
Totale
Saper parlare
a voce bassa
Saper rispettare
i ruoli assegnati
dal docente
Saper intervenire
in modo congruente
Numero totale di errori del gruppo
Come si può vedere nella tabella 2.3, in ordinata abbiamo gli obiettivi sociali
da perseguire, mentre in ascissa il nome dei 3 studenti del gruppo da monitorare:
uno dei tre ragazzi osserverà e segnerà i comportamenti scorretti relativi anche al
primo obiettivo, mentre il secondo farà la stessa cosa per il secondo obiettivo da
raggiungere e così via il terzo. La valutazione di questo monitoraggio viene poi
riportata nella terza colonna della griglia di autovalutazione relativa alla produzione
di gruppo (tabella 2.4).
Tabella 2.4
Griglia per la previsione, l’autovalutazione e la valutazione finale del docente
Obiettivi cognitivi
Previsione
Autovalutazione
(ottimo, buono,
sufficiente,
insufficiente)
(ottimo, buono,
sufficiente,
insufficiente)
Valutazione del
docente (ottimo,
buono, sufficiente,
insufficiente)
Saper formulare
delle ipotesi sulla base
delle conoscenze
possedute, per poi
andarle a verificare nella
letteratura scientifica
(continua)
La produzione competente
91
(continua)
Saper leggere,
comprendere e
sottolineare i concetti
chiave dei tre testi
scientifici forniti
dal docente
Saper scrivere
una relazione scientifica
in modo chiaro e
completo seguendo
uno schema
Obiettivi sociali
Previsione di
coppia degli esiti
(ottimo, buono,
sufficiente,
insufficiente)
Autovalutazione di coppia
degli esiti (ottimo,
Valutazione del
docente degli
esiti (ottimo,
buono, sufficiente,
insufficiente)
buono, sufficiente,
insufficiente)
Saper parlare
a voce bassa
Saper rispettare
i ruoli assegnati
dal docente
Saper intervenire
in modo congruente
Criteri valutativi cognitivi:
Ottimo = completo: individuate tutte le informazioni più importanti (il 100%).
Distinto = quasi completo; individuate quasi tutte le informazioni più importanti (dal 90%
al 99%).
Buono = abbastanza completo; individuate la maggioranza delle informazioni più importanti
(dal 60 all’89%).
Sufficiente = sufficientemente completo; individuata un numero sufficiente di informazioni
più importanti (dal 50 all’59%).
Insufficiente = insufficientemente completo; individuata solo una minoranza di informazioni
più importanti (meno del 50%).
Criteri valutativi sociali:
Ottimo = totale rispetto delle regole concordate (nessuna infrazione).
Distinto = quasi completo rispetto delle regole concordate (da 1 a 2 infrazioni).
Buono = regole concordate rispettate la maggioranza del tempo (da 3 a 5 infrazioni).
Sufficiente = regole concordate rispettate un tempo sufficiente (da 6 a 8 infrazioni).
Insufficiente = regole concordate rispettate solo per breve tempo (più di 8 infrazioni).
La produzione di un testo storico
107
Le insegnanti hanno anche programmato una «merenda preistorica» in occasione del viaggio d’istruzione dell’intera classe alla località di Molina di Ledro,
famosa per i suoi ritrovamenti preistorici e per la ricostruzione a scopo didattico
di un villaggio di palafitte, che serve a capire meglio come vivevano gli uomini
primitivi, come e cosa mangiavano (per questo motivo sono previsti l’accensione
del fuoco con dei materiali rudimentali, la macina del grano, l’impasto e la cottura
del pane con il quale fare una merenda preistorica).
La produzione cooperativa dei bambini da svolgere insieme (si parla di produzione cooperativa quando ciascun ragazzo ha una parte attiva nel lavoro, con precisi
compiti e ruoli) riguarda la realizzazione di un opuscolo illustrativo che servirà a
capire meglio sia l’uscita didattica, sia come vivevano gli uomini primitivi.
FASE 1: presentazione del contratto formativo, motivazione, condivisione
e coinvolgimento attivo dei ragazzi
Le insegnanti hanno prospettato alla classe questo lavoro di produzione
cooperativa da fare prima dell’uscita didattica a Molina di Ledro (TN), per far
capire meglio come vivevano gli uomini primitivi, dove dormivano, come erano
organizzati, quali erano i loro strumenti quotidiani, cosa e come mangiavano. Per
alimentare la motivazione hanno presentato la sfida cognitiva e sociale ponendo
l’interrogativo al gruppo classe su come preparare i genitori e i bambini stessi a
capire l’importanza dell’uscita didattica a Molina di Ledro. Ne è nata un’entusiastica
discussione che ha portato all’idea risolutiva: «Produciamo un libretto con tutte le
informazioni». Insieme si è così iniziato a concordare il contratto formativo, inteso
come accordo del percorso da fare per dar vita all’opuscolo informativo sulla vita
degli uomini primitivi (chi erano, dove abitavano, come si organizzavano, come
si vestivano, cosa mangiavano e come si procuravano il cibo).
Le insegnanti, considerando il livello raggiunto dagli alunni nelle varie discipline, hanno suddiviso la classe in sei gruppi eterogenei, composti da tre alunni
ciascuno: uno più competente (che assume il ruolo di Storico), uno di medie capacità
(che assume il ruolo di Geografo) e uno con maggiori difficoltà apprenditive (che
assume il ruolo di Nutrizionista).
Le ulteriori variabili che si sono prese in considerazione, oltre alle competenze,
sono state quelle di non mettere insieme bambini tra loro imparentati, di dividere
le amicizie strette e di fare gruppi misti per quanto riguarda il genere. Ogni gruppo
doveva scegliersi un nome e, se voleva, anche un motto identificativo.
L’attività cooperativa è durata complessivamente 415 minuti in classe nell’arco
di tre settimane, più il tempo dedicato all’insegnamento strategico socializzato,
108
produrre
quello della valutazione dell’insegnante, della revisione metacognitiva con il gruppo
classe e quello dell’accertamento delle competenze individuali acquisite.
Le insegnanti hanno spiegato con parole
semplici e chiare gli obiettivi formativi cognitivi, Operazioni metodologiche
Chiarire bene perché si propone
cioè cosa significa:
questa attività e quali obiettivi si
a) saper costruire un opuscolo informativo com- vogliono raggiungere.
pleto al computer;
Chiedere se preferiscono lavorare
b)saper costruire un opuscolo informativo corretto da soli o in gruppo.
al computer.
Chiedere cos’è un «testo storico»
Inoltre hanno spiegato anche gli obiettivi
formativi sociali, cioè cosa significa:
a) incoraggiare la partecipazione dei compagni;
b)rispettare il proprio turno di parola;
c) controllare il proprio volume della voce.
facendo emergere le convinzioni
ingenue degli alunni.
Chiedere quali sono gli «ingredienti» per far funzionare bene
un gruppo.
Sottolineare che la composizione
dei gruppi viene fatta dal docente a
rotazione con l’obiettivo che ciascuno impari a lavorare con tutti.
Anche i ruoli vengono assegnati
dal docente a rotazione, affinché
ciascuno impari a svolgerli tutti.
Le docenti hanno enfatizzato i ruoli che ognuno deve interpretare nei gruppi cooperativi per raggiungere gli obiettivi sociali stabiliti (l’Incoraggiatore, il Controllore dei turni di parola, il Controllore
del volume della voce) e posto l’accento sull’aiuto
reciproco e sull’impegno personale ai quali devono
ricorrere per raggiungere positivamente tutti gli obiettivi concordati.
Successivamente è stata illustrata la metodologia e l’organizzazione del lavoro
di gruppo, comprensiva degli spazi fisici da occupare nella classe («Questo terzetto
si dispone in questo punto della classe; quest’altro…»).
Lo schema del contratto formativo concordato e adottato dalla classe per
l’attività di lavoro cooperativo «Produciamo un opuscolo informativo sulla vita
degli uomini primitivi con una merenda preistorica», è stato poi attaccato alla
parete della classe (figura 3.1).
Produciamo un opuscolo informativo sulla vita degli
uomini primitivi
FASE 1: Costruzione del contratto formativo (identificazione del problema, motivazione
e condivisione; tempo previsto: 30 minuti).
Obiettivi formativi cognitivi:
– saper costruire un opuscolo informativo completo al computer;
– saper costruire un opuscolo informativo corretto al computer.
(continua)
La produzione di un testo storico
109
(continua)
Obiettivi formativi sociali:
– incoraggiare la partecipazione dei compagni;
– rispettare il proprio turno di parola;
– controllare il proprio volume della voce.
Metodologia e organizzazione:
Lavoro cooperativo metacognitivo con sei gruppi eterogenei di tre alunni.
FASE 2: la socializzazione della conoscenza (tempo previsto: 120 minuti)
Come scegliere il tipo di opuscolo da realizzare, come trovare le informazioni in gruppo, come stendere la prima bozza al computer e quella definitiva, come monitorare e
valutare la completezza e la correttezza dell’opuscolo informativo da scrivere al computer e come monitorare e valutare l’incoraggiamento alla partecipazione, il rispetto
del volume della voce e dei turni di parola.
FASE 3: la produzione personalizzata del lavoro cooperativo «Produciamo un opuscolo informativo sulla vita degli uomini primitivi con una merenda preistorica» (tempo
complessivo a scuola: 365 minuti)
FASE 3.0: La previsione degli esiti finali (tempo previsto: 5 minuti)
FASE 3.1: «Scelta del tipo di opuscolo da realizzare» (tempo previsto: 30 minuti)
1° alunno:
Storico
2° alunno:
Geografo
3° alunno:
Nutrizionista
Incoraggiatore
Controllore dei
turni di parola
Controllore del
volume della voce
FASE 3.2: «Ricerca delle informazioni e delle immagini» (lavoro auto-organizzato
per casa)
FASE 3.3: «Scelta, organizzazione e stesura al computer della prima bozza del depliant
informativo» (tempo previsto: 120 minuti)
FASE 3.4: «Valutazione e correzione della bozza e stesura definitiva completa delle
informazioni, della cartina e delle figure» (tempo previsto: 120 minuti)
FASE 3.5: «Controllo finale della completezza e della correttezza dell’elaborato e
stampa dello stesso» (tempo previsto: 60 minuti)
FASE 3.6: L’autovalutazione del gruppo (tempo previsto: 10 minuti)
FASE 3.7: La valutazione dell’insegnante
(continua)
110
produrre
(continua)
FASE 4: La revisione metacognitiva (tempo previsto: 30 minuti)
FASE 5: Il trasferimento delle conoscenze (tempo previsto: 120 minuti a casa + 30
minuti a scuola per la prova di accertamento individuale delle conoscenze acquisite)
Firme degli alunni:
Firme degli insegnanti:
__________________
_______________________
__________________
_______________________
Fig. 3.1 Schema del contratto formativo d’aula.
FASE 2: la socializzazione della conoscenza
È la fase che precede il lavoro di gruppo e che serve ad attrezzare gli alunni
a interpretare ruoli precisi all’interno del lavoro cooperativo. L’insegnante inizia
distribuendo i cartellini di identificazione con i nomi e i ruoli assegnati (sia cognitivi,
sia sociali) da appendersi al petto con un ago di sicurezza (figura 3.2): un alunno
svolge il doppio ruolo di Incoraggiatore (colui che stimola i compagni alla discussione e valorizza i loro contributi) e di Storico (colui che ricerca le notizie storiche
che servono alla realizzazione dell’opuscolo informativo); un secondo alunno del
gruppo assume il doppio ruolo di Controllore dei turni di parola (colui che controlla
il rispetto dei turni di parola, per evitare che si interrompano i compagni parlando
sopra la loro voce) e di Geografo (colui che ricerca le informazioni geografiche utili
al lavoro di gruppo, per realizzare una cartina del viaggio da compiere fino a Molina di Ledro e per disegnare la pianta del villaggio palafitticolo); un terzo alunno
del gruppo assume il doppio ruolo di Controllore del volume della voce (colui che
monitora il volume di voce utilizzata da tutti e tre i componenti del gruppo per
parlare) e di Nutrizionista (colui che ricerca le informazioni sul corretto modo di
mangiare degli uomini primitivi).
ABINASH
FRANCA
paolo
STORICO
Incoraggiatore
geografo
Controllore turni
nutrizionista
Controllore voce
Fig. 3.2 Cartellini di identificazione con i nomi e i ruoli assegnati.
Per capire e attrezzare meglio il ruolo di Incoraggiatore degli alunni con questo
ruolo, viene costruita dall’insegnante insieme a tutta la classe una carta a «T» per
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