INDICE 7 Presentazione (Lucio Guasti) PRIMA PARTE: modelli teorici 19 CAPITOLO PRIMO La produzione •La produzione •La teoria dell’apprendimento sociale della conoscenza •Il primo elemento della teoria vygotskijana: il clima positivo •Il secondo elemento della teoria vygotskijana: l’apprendimento socializzato nell’area di sviluppo prossimale •Il terzo elemento della teoria vygotskijana: lo sviluppo della metacognizione •Il quarto elemento della teoria vygotskijana: lo sviluppo delle competenze individuali 59 CAPITOLO SECONDO La produzione competente •La produzione competente •Le unità di apprendimento •La produzione di un’unità di apprendimento cooperativo •Prima fase: il contratto formativo d’aula •Seconda fase: la socializzazione della conoscenza •Terza fase: la personalizzazione della produzione cooperativa •Quarta fase: la revisione metacognitiva •Quinta fase: il trasferimento delle conoscenze SECONDA PARTE: modelli operativi 105 CAPITOLO TERZO La produzione di un testo storico •FASE 1: presentazione del contratto formativo, motivazione, condivisione e coinvolgimento attivo dei ragazzi •FASE 2: la socializzazione della conoscenza •FASE 3: la personalizzazione della produzione cooperativa •FASE 4: la revisione metacognitiva •FASE 5: il trasferimento delle conoscenze •Conclusioni 121 CAPITOLO QUARTO La produzione di racconti fantastici •FASE 1: presentazione del contratto formativo, motivazione, condivisione e coinvolgimento attivo dei ragazzi •FASE 2: la socializzazione della conoscenza •FASE 3: la personalizzazione della produzione cooperativa •FASE 4: la revisione metacognitiva •FASE 5: l’interiorizzazione delle conoscenze •Conclusioni 135 CAPITOLO QUINTO La produzione delle soluzioni ai problemi matematici •FASE 1: presentazione del contratto formativo, motivazione, condivisione e coinvolgimento attivo dei ragazzi •FASE 2: la socializzazione della conoscenza •FASE 3: la produzione cooperativa •FASE 4: la revisione metacognitiva •FASE 5: il trasferimento delle conoscenze •Conclusioni 149 BIBLIOGRAFIA 153 BIBLIOGRAFIA RAGIONATA Presentazione 7 Presentazione di Lucio Guasti In uno dei testi di Alexander Koyré, Lezioni su Cartesio, si trova un’espressione molto interessante, che potrebbe essere quasi testimonial del pensiero di Cartesio: «Gli stessi metodi: cioè gli stessi processi della mente». Il riferimento è indirizzato, in particolare, alla matematica e alla ricerca della sua unità, ma anche alle scienze e alla ricerca della loro unità. Tale affermazione si dimostra interessante perché l’autore precisa subito dopo che: [...] la cosa importante non sono gli oggetti — numeri o linee — ma i processi, le azioni, le operazioni della mente che collega fra di loro tali oggetti, stabilisce — o trova — dei rapporti, li paragona l’uno all’altro, li misura uno per mezzo dell’altro e in questo modo li ordina in serie.1 Non si può certo accusare Cartesio di non essere un appassionato di matematica e della visione matematica del mondo — chi pensa oggi che con la postmodernità sia stata abbandonata la visione del mondo sostenuta dal Seicento credo commetta un grave errore — e, nello stesso tempo, di non essere un appassionato della mente e delle sue operazioni. Il problema posto da Cartesio resta intatto ancora oggi, soprattutto in vista del nostro problema, quello dell’apprendimento. Senza voler entrare nell’adesione o meno alla filosofia cartesiana, resta il fatto che la connessione tra forme operatorie della mente, metodo di apprendimento o di ricerca e contenuto specifico — in questo caso la matematica — è ancora al centro dell’attenzione e, in particolare, della nostra attenzione. Il nostro interesse concerne soprattutto l’apprendimento e le sue modalità di costruzione. È difficile oggi fare un elenco completo di tutte le opere che hanno preso in considerazione la struttura e la dinamica dell’apprendimento con la speranza di riuscire a impossessarsi della «pietra filosofale» della conoscenza e dello sviluppo. Koiré A. (1990), Lezioni su Cartesio, Milano, Tranchida, p. 62; titolo originale: Entretiens sur Descartes (1944), New York, Brentano’s. 1 8 Produrre L’apprendimento oggi non si rivolge soltanto, o non tenta di servire soltanto, la teoria della conoscenza ma anche, e soprattutto, la teoria dello sviluppo. Passaggio, questo, non insignificante e non privo di conseguenze. La letteratura pedagogica, ma non solo quella, ha sempre sottolineato il rapporto tra sviluppo della persona e teoria della conoscenza, ritenendo che la dinamica del conoscere fosse alla base dello sviluppo. Vale a dire che ci si sviluppa tanto o poco in relazione a quanto si riesce a conoscere. Nella storia è possibile rintracciare innumerevoli esempi di queste linee di riflessione. In generale, si sceglie o si sceglieva un pensatore — filosofo per lo più — che avesse una certa teoria della conoscenza e sulla base di questa si impostava tutto l’assetto dell’apprendimento o dell’educazione. Tutto dipendeva dalla conoscenza e dalla sua teoria, nonché dalla sua potenzialità operativa. In particolare in Italia, la differenza riguardava le grandi correnti di pensiero: positivismo e idealismo, con qualche interferenza del realismo, anche se assai contenuta e comunque patrimonio di alcuni esperti. Quando si è cominciato a capire che l’oggetto «apprendimento» appariva più articolato e mobile di una data e formalizzata teoria della conoscenza, si è anche cominciato a considerare l’apprendimento un oggetto particolare di studio, certamente relativo al conoscere e con una sua eventuale assunzione in una specifica teoria, ma correlato, più ampiamente, allo sviluppo complessivo del soggetto. Come dire che l’apprendimento del soggetto non coincide completamente con una specifica modalità di conoscere. L’uomo ha un desiderio di conoscenza alla base del suo essere, ma tale desiderio non è l’unico e non è l’unico motore dello sviluppo. All’interno di questo disegno, che comunque vede la mente come protagonista della nostra ipotesi, abbiamo cercato di concentrare l’attenzione sulle sue operazioni, almeno su quelle che le letterature psicologica e filosofica evidenziano oggi come presenti e prioritarie. Ci sono alcune operazioni mentali che nelle strategie formative ricorrono e vengono richiamate costantemente, lasciando evidentemente intendere che, senza la presenza o la maturazione completa di queste, le fondamentali questioni dello sviluppo non possono avvenire correttamente. Tali operazioni sono anche dei metodi? Certamente è difficile pensare che il metodo non sia caratterizzato da una serie di operazioni mentali, esse ne sono la componente strutturale. Le operazioni mentali in quanto tali risultano essenziali ma non costituiscono di per sé un metodo. Il metodo va considerato come una costruzione intenzionale di un percorso teso a uno scopo che è implicito nella sua stessa costruzione. Il dibattito sul metodo ha certamente tanta storia quanta ne hanno la cultura e la filosofia. Ciò che in questo momento però ci interessa è l’intreccio che si stabilisce tra la mente e le sue operazioni, nonché tra il metodo e le sue connessioni e scelte. Presentazione 9 Le operazioni mentali e il metodo possono diventare due specifici oggetti di studio. L’intersezione che si costituisce tra i due oggetti appare evidente ma va sempre accompagnata da un terzo elemento che nell’apprendimento — e quindi nello studio didattico — è essenziale: il contenuto. L’operazione mentale senza contenuto non è riscontrabile, il metodo senza contenuto non è praticabile. Per l’apprendimento pertanto si configura una struttura portante sempre caratterizzata da tre elementi: operazione mentale, metodo, contenuto. A questo punto può diventare utile una breve riflessione sul contesto che caratterizza il lavoro che qui si propone e che alcune correnti di pensiero oggi sottolineano come ulteriore elemento strutturale per la comprensione dei processi e per la loro positiva evoluzione. Può essere pertanto funzionale una considerazione sull’ambiente culturale nel quale si colloca la prospettiva del nostro lavoro. La situazione culturale Tra scuola e società c’è stato, nel tempo, un certo dialogo ma non proprio una vera e, soprattutto, convinta e intenzionale dialettica. La ricerca sociologica ha constatato che la scuola si è sempre presentata, nell’ampio quadro sociale, come un sistema dipendente. In sostanza, essa è sempre stata al rimorchio della dinamica culturale della società; si potrebbe oggi aggiungere: soprattutto dipendente dalla cultura e dalla produttività del sistema economico. Non è mai stato facile smentire questa analisi, anche se la cultura scolastica ha cercato, in particolare nell’ultima parte del secolo scorso, di trovare alcune strade che conducessero il sistema scuola verso una maggiore autonomia e, quindi, verso una maggiore indipendenza. Le considerazioni della sociologia si rivolgono naturalmente a tutto il sistema internazionale anche se possono essere applicate, più in particolare, a quello italiano. Il risveglio della scuola verso una sua forma di autonomia ha cominciato a essere affrontato negli anni Sessanta e ha raggiunto la sua prima affermazione con i primi anni Settanta (Legge n. 477, 30 luglio 1973), dopo un sofferto dibattito sociale sul ruolo del sistema formativo in una società che si stava rapidamente aggiornando e trasformando verso un sistema liberale più consono ai nuovi indirizzi democratici espressi dalla carta costituzionale. L’orientamento teso a valorizzare l’autonomia della scuola si concretizzò nella direzione di affidare ai singoli istituti una più consistente capacità amministrativa e di governo collegata a una parziale autonomia didattica. Dopo alcuni decenni si è constatato che tale linea di tendenza presentava e presenta molti problemi, perché la crescita di azioni amministrative non corrisponde alle reali attese di un’autentica autonomia decisionale rispetto ai contenuti fondamentali del curricolo e della sua organizzazione. 10 Produrre La via di uscita dalle restrizioni dell’autonomia apparente può essere trovata guardando a una concezione sistemica della realtà sociale, capace di valorizzare la totalità degli elementi prima della loro singolarità. Essa richiede che sia primariamente il sistema stesso ad avere una sua autonomia in grado poi di rapportarsi agli altri grandi sistemi: economico, politico, informativo, per citare soltanto quelli più forti e affermati in questo particolare momento storico. All’interno di questa autonomia, aperta e interrelata, si collocano il valore e i limiti dell’autonomia dei singoli istituti e delle regole di cui essi stessi si dotano. Il primo orientamento, amministrativo-organizzativo, è quello in atto con il tentativo, da parte dei gruppi di pressione interni o esterni al sistema, di renderlo più efficiente ed efficace; il secondo orientamento, sistemico, si presenta con un suo disegno teorico consolidato, ma deve essere studiato nella sua modellistica operativa: esso rappresenta l’obiettivo del futuro. La spinta verso il cambiamento nella direzione dell’autonomia è appena iniziata anche se ha già attraversato quarant’anni di storia repubblicana. Gli anni già trascorsi sembrano tanti, ma per modificare in modo consistente un sistema istituzionale così ampio e complesso come la scuola occorrono senz’altro tempo e un cambiamento di strategia. Il primo atto di tale strategia si rivolge alla creazione di un forte sviluppo delle energie che sono presenti nella scuola, cominciando là dove si deve realizzare concretamente l’azione di apprendimento. Tale azione di apprendimento è visibile nella didassi, cioè nel momento in cui l’apprensione del soggetto si esercita nel concreto di un’azione. Le strategie di cambiamento hanno sempre preso corpo dal livello politico con l’obiettivo di modificare alcuni assetti istituzionali e organizzativi al fine di migliorare le prestazioni finali dell’insegnamento e dell’apprendimento stesso. La linea che qui si ritiene utile proporre per i prossimi anni è esattamente quella opposta, senza negare l’opportunità e la necessità di qualche intervento organizzativo e anche istituzionale. Tali interventi, però, non rappresentano la priorità e non garantiscono il risultato finale positivo del sistema. Il cambiamento di direzione diventa comunque essenziale e gli investimenti di idee e di risorse devono essere calibrati verso la riqualificazione dell’apprendimento in situazione. Il maggiore investimento strategico va quindi riversato sull’apprendimento in situazione. Il secondo atto riguarda la didattica o più precisamente il concetto di permanenza all’interno della didattica. Anche in questo caso diventa necessario modificare l’ottica con cui si guarda alla didattica stessa. Normalmente un’innovazione porta con sé anche orientamenti e proposte più o meno vincolanti rispetto al disegno di organizzazione del curricolo, creando non pochi problemi Presentazione 11 sia di comprensione sia di conseguente azione agli operatori del cambiamento, gli insegnanti. Di fronte a ogni innovazione che origini dal sistema politico e richieda una modificazione dell’insegnamento e delle sue regole, il sistema didattico, retto dal rapporto insegnamento-apprendimento, entra in fibrillazione e cerca, o più semplicemente aspetta, che qualcuno riesca a risolvere il problema con chiarezza. Quello che è successo con l’ultima riforma (Legge n. 53, 28 marzo 2003) è l’esempio più evidente di questa tesi: l’impasse della scuola è stata pressoché totale. Per evitare questo effetto di implosione delle riforme, occorre capovolgere la prospettiva e far sì che il sistema politico non entri nel merito della didattica. La didattica deve essere completamente riservata allo stesso sistema della scuola — oggi, meglio, «sistema formativo» — affidandogliene la responsabilità. Dato lo sviluppo della cultura didattica di questi ultimi decenni, si deve ormai ritenere che nessuna legge sia in grado di definire i confini dell’apprendimento mediante una norma e che solo la didattica nella sua autonomia possa garantire la qualità del processo e del risultato. Responsabilizzare la didattica, liberalizzando il sistema e mettendolo nella condizione di poter operare le scelte secondo regole che lo stesso sistema formativo può darsi nella sua autonomia: questa potrebbe essere la nuova scelta. Tale linea avrebbe tutte le caratteristiche per presentarsi come realmente innovativa e qualificante il sistema formativo stesso e la sua responsabilità verso la società e i suoi diversi sistemi: politici, economici, culturali. All’interno di questo disegno — o anche al di là di questo disegno, nel caso non venga accettato — diventa comunque sempre più evidente che il rapporto tra innovazione e didattica deve essere ripensato per assegnare all’apprendimento un punto stabile e, nello stesso tempo, continuativo. Il sistema formativo non può essere continuamente destrutturato da leggi che riportano indicazioni didattiche da interpretare sulla base di una dichiarata novità assoluta che dovrebbe finalmente far trovare al sistema stesso la sua definitiva e risolutiva sistemazione. Questo permanente idealismo del nostro sistema non è adeguato alla logica del nuovo parametro che si intende assegnare al sistema formativo: l’apprendimento. È da questo punto di vista che occorre ripartire per trovare una soluzione adeguata al cambiamento della nostra società ma, soprattutto, alla realtà delle menti che entrano in tale sistema e che sono, per definizione, sempre nuove. La realtà di un sistema formativo la cui base è fondata sullo sviluppo dell’apprendimento è diversa — anche se certamente non contrastiva — rispetto all’opzione curricolare fondata strettamente sul contenuto. Queste sono convinzioni che da anni ormai campeggiano in tutti i trattati di teoria e pratica della didattica, ma che non riescono ancora a tradursi in azioni adeguate. 12 Produrre La permanenza alla quale oggi occorre riferirsi è appunto quella dell’apprendimento, che rimane centrale al di là delle norme legislative spesso transitorie e legate alla suggestione culturale del momento. Il fissare un punto concettualmente chiaro che sia al di là degli indirizzi psicologici del momento o, più ampiamente, delle filosofie del momento, diventa essenziale soprattutto per la stabilità e la continuità del sistema formativo. La permanenza di un dato certo sul quale poter costruire le didattiche adeguate alle diverse menti e alle diverse situazioni è un punto di qualificazione del sistema, il quale diventa così capace di avere un proprio know how in grado di costituire nel tempo un patrimonio a disposizione delle competenze da acquisire e della cultura cumulativa della società sulla quale operare una molteplicità di ricerche e di riflessioni. Ciò che occorre da oggi evitare è il fatto che sia il sistema politico a determinare quale modello deve essere applicato all’apprendimento perché questo possa verificarsi. La visione va appunto modificata e va consegnato al sistema formativo il compito di individuare i modelli, o la pluralità dei modelli, che possono essere adeguati alle situazioni e alla specificità storica dell’apprendimento. La psicologia e la filosofia hanno aiutato l’affermarsi dell’idea della centralità dell’apprendimento con la proposta di modelli spesso anche diversi come costruzione formale per rendere tale apprendimento effettivamente efficace. La didattica, con tutta la sua storia, sembra essere rimasta fuori dal dibattito e dalla ricerca culturale, ma non è così. Nonostante tutto, la riflessione propria della didattica a partire dalla realtà della scuola è rimasta viva e ha aperto finalmente una profonda riflessione sulle modalità attraverso le quali si deve procedere per migliorare le attività di apprendimento. La letteratura internazionale è molto vasta in materia e rappresenta uno sforzo collettivo molto più importante e più ampio di quello relativo alla somma delle singole produzioni nazionali. In questo momento diventa necessario uno sforzo di comparazione e di integrazione capace di superare i confini di una singola cultura per adire a una nuova visione del curricolo non ristretto in ambiti troppo limitati, ma proiettato verso la centralità dell’uomo e del suo apprendimento. La riflessione su questo punto sta aumentando e intorno all’apprendimento si stanno esercitando didattiche e scuole psicologiche e filosofiche dalle quali si possono inferire indicazioni che potrebbero tradursi in un’intesa generale che traduca l’idea di apprendimento in alcune azioni di pensiero essenziali per tutti. Questo potrebbe essere il primo approdo intorno al quale costruire percorsi di ricerca importanti finalizzati ad aumentare la capacità di comprensione dei comportamenti umani e ad accrescere la produzione di metodiche adeguate a sviluppare le specifiche capacità di apprendimento. Non c’è evidentemente un solo punto nel disegno della didattica per sviluppare la qualità degli apprendimenti, Presentazione 13 ci sono però alcuni elementi di questo sviluppo sui quali tutti possono intanto trovarsi d’accordo. Essi vanno al di là delle mode contingenti e sono in grado di rappresentare un’invariante del sistema formativo. Si deve così poter affermare che senza questi elementi nessun sistema formativo può dichiararsi tale. Nella storia della nostra scuola un’espressione, in particolare, ha campeggiato per molto tempo quale sintesi dell’intenzione del curricolo di raggiungere una finalità alta e adeguata alle nuove generazione: il «pensiero critico». Intorno a questa espressione culturale, dagli anni Settanta ai nostri giorni, c’è stata una sostanziale convergenza perché poteva tradurre bene ciò che oggi si vorrebbe raggiungere attraverso lo sviluppo dell’apprendimento. Il pensiero critico è un’espressione sintetica che per essere adeguatamente svolta deve comprendere una serie essenziale di operazioni intermedie e, quindi, di azioni finalizzate allo sviluppo di singoli aspetti che infine conducono alla formazione del pensiero critico. Oggi si potrebbe anche sostituire il concetto di pensiero critico con quello di «coscienza critica», che forse si avvicina di più alla sensibilità dell’uomo contemporaneo e, soprattutto, alle esigenze dell’uomo di domani che deve accentuare la sua formazione sotto l’aspetto della responsabilità personale e sociale. Su questo tema si può aprire una riflessione che sembra poter avere come perno il riferimento a una visione sbilanciata sul versante razionale e a una sbilanciata su quello etico; resta il fatto che questi due orientamenti sono importanti e certamente non contraddittori. La domanda della didattica è però più pregnante dell’affermazione finalistica e si chiede come si forma il pensiero o la coscienza critica. A questa domanda si risponde con un’articolata posizione che comprende diverse strategie di azione e una complessa attivazione di operazioni mentali che devono essere sviluppate. Le modalità del loro sviluppo dipende appunto dal tempo, dal contenuto, dalle azioni che vengono intraprese. Anche l’individuazione delle operazioni mentali che devono essere sviluppate dipende da un’attenta considerazione di tutto ciò che è necessario per approdare alla coscienza critica. Si possono così formulare alcune ipotesi tratte dalla letteratura che la scuola dovrà verificare, ma dalle quali sembra difficile che un sistema formativo possa prescindere. Cerchiamo di identificare questo nucleo centrale di operazioni: sperimentare, osservare, comprendere, ipotizzare, descrivere, valutare, interpretare, comparare, riflettere, creare, produrre, giudicare. Tale nucleo centrale di operazioni — non necessariamente completo, ma questo è meno rilevante per la nostra proposta — sembra offrire un quadro sufficientemente ampio ed essenziale delle qualità che potrebbero costituire l’ossatura principale della coscienza critica quale esito del progetto formativo. Ognuna di queste operazioni dinamiche è certamente costituita da una serie di azioni intermedie che dipendono dal contenuto o dall’obiettivo che l’apprendimento intende realizzare. Allo stesso modo esse si presentano interdipendenti e sono strutturate in 14 Produrre modo tale da essere presenti in vari settori e vari campi del sapere e delle relative azioni di apprendimento. Naturalmente tali operazioni mentali dovranno incontrare i diversi contenuti del sapere e questo apre un campo di riflessione molto importante sia sulla selezione dei contenuti sia sulla loro importanza ai fini della qualità e dello sviluppo delle singole operazioni mentali. Questo orientamento può anche essere visto come un criterio per la riorganizzazione del curricolo. Il sistema formativo si può così trovare di fronte a un campo di sperimentazione e di riflessione nuovo che richiede il coinvolgimento di tutti gli attori dell’apprendimento, sia studenti sia docenti. La struttura dei volumi I volumi che trattano ciascun tema sono suddivisi in due parti, più una breve bibliografia ragionata. La prima parte è costituita da un riferimento teorico al termine e alla sua collocazione nell’ambito della cultura contemporanea, non solo psicologica ma anche filosofica e letteraria. Ogni operazione non va chiusa all’interno di un solo linguaggio di riferimento. La seconda è formata dalla collocazione didattica dell’operazione all’interno di due livelli scolastici, il primario e il secondario, con almeno tre esempi in relazione alla primarietà e alla secondarietà di primo e di secondo livello. Gli esempi possono essere desunti dall’esperienza didattica dell’autore o costruiti in modo totalmente nuovo rispetto alle discipline trattate; quelli qui riportati possono anche afferire a due o a tre diverse materie di studio, così come oggi sono configurate dalla scuola, o a tre diversi argomenti nell’ottica della connessione tra discipline. Tali esempi sono pensati mettendosi dal punto di vista di chi deve apprendere, con la messa in evidenza quindi di tutte le operazioni mentali necessarie in ogni passaggio. Considerando la premessa culturale che ha giustificato la collana, occorre evidenziare che si è scelto un punto di approccio al tema dell’apprendimento muovendo dalle operazioni mentali. Con questa scelta non si vuole certamente mettere in secondo piano il metodo, il contenuto e il contesto: semplicemente si vuole sottolineare un solo aspetto rispetto agli altri per rimarcare il fatto che è bene guardare l’apprendimento anche da un altro punto di vista. Tradizionalmente la didattica ha impostato il suo percorso partendo dal contenuto. Oggi è ancora così e sarà difficile modificare sostanzialmente tale opzione culturale, per una serie di considerazioni che non intendo trattare in questa sede. Ritengo però indispensabile che si cerchi di vedere il problema dell’apprendimento che si realizza nella mente del soggetto con l’ottica della mente stessa che deve mettere Presentazione 15 in campo le operazioni fondamentali di cui dispone e che devono essere attuate, potenziate e, infine, oggettivate. Guardare la realtà partendo da alcune operazioni della mente per vedere come queste entrano nell’oggetto e come possano essere in grado di manifestare una particolare connotazione di quell’oggetto. Questa modalità è anche una forma di controllo e di valutazione dello sviluppo delle capacità del soggetto. Avere ben presenti tutte le operazioni mentali che il soggetto deve compiere quando apprende al fine di sviluppare tutte le sue dimensioni, vuol dire anche tenere davanti a sé il disegno complessivo al quale occorre rispondere. Nella formazione ci sono senz’altro aspetti sfuggenti e non completamente oggettivabili, questo però non significa che non si debba considerare tutto ciò che invece è conoscibile e oggettivabile. L’approccio per contenuti consente di selezionarli e di distinguerli nettamente l’uno dall’altro. Così la matematica è la matematica, la lingua è la lingua, ecc. Ogni oggetto ha la propria specificità e la propria trattazione. L’esperienza — ma anche l’analisi culturale — dice che questo è vero solo parzialmente. I contenuti hanno un intreccio tra di loro meno evidente in alcuni settori, molto più evidente in altri: non si comportano allo stesso modo. In ogni caso, la mente del soggetto ha sempre bisogno di trovare connessioni e collegamenti tra parti per giungere, nella misura del possibile, a ciò che definisce unità o sintesi. In caso inverso, la mente sarebbe costantemente in presenza della frantumazione delle conoscenze e anche della coabitazione di operazioni mentali che lavorano senza sapere consapevolmente se riescono a realizzare una visione unificante per il soggetto. L’approccio per operazioni mentali si trova in una posizione analoga. Da una parte si presenta in modo settoriale: ogni operazione mentale sembra avere una propria connotazione che la distingue dalle altre, dall’altra ha la stessa esigenza di unificazione. Il principio della separazione tra le parti non può essere applicato alla mente come non può essere applicato al contenuto. La separazione è un criterio di selezione in funzione di un obiettivo o di un fine da raggiungere. Nella presentazione dei singoli volumi che coincidono con singole operazioni prevale pertanto il criterio dell’assunzione di un particolare punto di vista ma non della separazione delle parti e, soprattutto, delle operazioni mentali. Ci saranno compresenze nelle diverse pubblicazioni perché diversi elementi richiedono la stessa operazione mentale anche se in contesti diversi. Il contesto qualifica anche il contenuto. Si tratta pertanto di prestare particolare attenzione al rapporto fra l’uso del termine riferito a quella particolare operazione mentale e il contenuto con il quale e nel quale essa opera. La stessa operazione, inserita in campi contenutistici differenti, produce effetti semantici diversi. Questa è la sfida ed è anche il «gioco», esso stesso presente come operazione mentale in diverse aree, compresa la matematica. 16 Produrre Il progetto si basa sulla convinzione che per la didattica e per la professionalità docente sia ormai indispensabile lavorare con maggiore attenzione sulle operazioni mentali, ma è soprattutto indispensabile per la scuola cominciare ad avere un «sistema degli apprendimenti» come oggetto specifico di studio e di riflessione. La produzione 19 Capitolo primo La produzione La produzione Nel dibattito in corso sulle teorie del curricolo si distinguono due grandi orientamenti. Il primo è quello tradizionale basato sul contenuto, il secondo è quello prospettico basato sul prodotto. In mezzo, nella storia del secolo scorso in particolare, si è inserito l’orientamento correlato all’idea di processo. Mentre il primo ha le sue radici nella storia europea, il secondo e il terzo hanno le loro radici nella filosofia anglosassone, con particolare riferimento al contesto americano. L’orientamento legato al prodotto ha già assunto una dimensione internazionale o globale e, pertanto, lo si può considerare l’opzione di maggiore consistenza che la teoria curricolare abbia realizzato, in questo momento, come prospettiva per gli anni a venire. Le ragioni di questa scelta sono diverse: se ne possono però indicare alcune tra le principali. La prima riguarda l’insoddisfazione per una cultura della tradizione impostata su un concettualismo molto diffuso, sostenuto da un’organizzazione scolastica basata essenzialmente sulla selezione sociale nel nome della sola comprensione intellettuale degli oggetti formali. La seconda riguarda lo sviluppo di una cultura generale sempre più concentrata sulle scienze sociali con una forte propensione, oggi, per quelle economiche, le quali richiedono un orientamento formativo basato sullo sviluppo delle risorse umane. La terza ragione riguarda una teoria della formazione che considera la centralità dell’uomo nella dimensione della sua concreta realizzazione, dove la dimensione personalista e metafisica non va solo affermata ma va vissuta in azioni operativamente e socialmente visibili. La quarta riguarda probabilmente la svolta principale di questo orientamento che si potrebbe sintetizzare nell’espressione «primarietà dell’apprendimento». Sembrerebbe la sottolineatura di un fatto assolutamente normale, ma non è 20 produrre certamente così. L’apprendimento indica una svolta radicale a favore del soggetto che diventa il protagonista principale del proprio sviluppo. Tutta l’attività che lo coinvolge e che è finalizzata allo sviluppo della sua capacità di apprendimento e di costruzione dei percorsi si giustifica soltanto se è strutturalmente calibrata sulle sue potenzialità. La conseguenza di questa opzione è molto forte e incide sulla filosofia del curricolo che viene assunta. L’affermazione principale riguarda il fatto che l’apprendimento non è un contenuto o un concetto da afferrare ma è sostanzialmente ed essenzialmente un’azione. Se l’apprendimento non agisce non c’è. L’apprendimento deve dimostrare a se stesso che è presente e lo fa con un apparato di azioni, con un movimento costante verso qualcosa, con una serie di elementi che ne costituiscono le componenti dinamiche. L’apprendimento è pertanto la mente in azione. È un esercizio continuo della mente che si rapporta a un oggetto e che dà per scontato che gli oggetti siano il suo interlocutore. Non dà per scontato invece che le operazioni che la mente compie per apprendere siano implicite e scontate. La teoria dell’azione diventa così il riferimento epistemologico di una visione dell’apprendimento che intende essere nuova rispetto al passato non perché la mente sia un elemento paradossalmente nuovo ma perché la mente si propone come punto di partenza di ogni processo di costruzione del sapere, del proprio sapere. Si potrebbe sintetizzate tale orientamento con due voci emblematiche: la definizione e l’azione. Nel curricolo che si vorrebbe lasciare al suo passato, l’investimento delle energie personali era prevalentemente centrato sulla definizione: il concetto è una definizione. Nel curricolo che si vuole assumere, l’azione costruisce il concetto. Ma quando si parla di azione non si intendono le attività che consentono di concretizzare l’azione stessa e che hanno rappresentato il tentativo di mobilizzare le energie nel periodo dell’attivismo; si tratta invece di impegnare tutte le energie mentali mediante un’attività per raggiungere uno scopo conoscitivo o costruttivo e, innanzitutto, per conseguire lo sviluppo continuo del potenziale del soggetto. Se questa è la base psicologica e l’assunto antropologico che forma le radici del nuovo orientamento, va anche rilevato che si definisce così un percorso alle cui origini stanno i dinamismi di apprendimento e alla cui mediazione con la realtà provvede l’idea di prodotto. Si vengono a costituire due polarità: apprendimento e prodotto, il cui rapporto rappresenta la struttura di ogni tipo di azione. La conoscenza si colloca in un punto intermedio, funzionale alla costruzione dell’oggetto finale. È interessante in questa prospettiva considerare il ruolo che assume la conoscenza. Nel curricolo tradizionale essa era considerata il punto di arrivo: si trattava di imparare un certo numero di informazioni o di concettualizzazioni o di narrazioni ben costruite per raggiungere quel livello di conoscenze che era ritenuto La produzione 21 indispensabile per avere il consenso positivo della società rappresentata dalla scuola. La conoscenza è ancora un punto di arrivo ma funzionale a una serie di operazioni successive. Anche nel curricolo della tradizione la conoscenza avrebbe dovuto essere funzionale a operazioni successive che venivano comprese nel concetto di lavoro professionale. Nel curricolo dell’apprendimento si vorrebbe mettere in circolazione immediatamente il rapporto tra operazioni finali e operazioni generative. Problema non semplice e con una serie rilevante di interrogativi che andranno verificati nel tempo e nella prassi. La strada indicata per questa mediazione si chiama competenza. Tra apprendimento e prodotto si inserisce la voce competenza come legame tra le parti, come mediatore concreto ed efficace per ottenere il risultato finale. La competenza si pone così come cultura specifica, come asse metodologico in grado di ispirare la tipologia di azioni che devono essere messe in campo. La competenza diventa la condizione per la realizzazione del prodotto. Tutta la letteratura europea in questo momento, ma già dal cosiddetto «processo di Bologna» del 1999,1 si è concentrata, per quanto riguarda il sistema formativo, sull’idea di competenza. L’obiettivo finale delle azioni che sono state messe in campo in questi ultimi anni mira alla ridefinizione dei programmi basandoli sulla competenza. La «competenza matematica», la «competenza scientifica», la «competenza tecnologica», ecc. rappresentano il nuovo punto di riferimento per il risultato finale. Non la «conoscenza matematica», non la «conoscenza scientifica», non la «conoscenza tecnologica», ecc. ma l’affermazione del primato del principio di competenza rispetto a quello di conoscenza. Risulta evidente che la conoscenza resta essenziale e importante ma non rappresenta più la finalità del sistema formativo sia di base che superiore. La finalità è la competenza: tutti i nuovi documenti dell’Unione Europea e, di conseguenza, anche quelli italiani, hanno come finalità specifica la formazione di competenze in tutti campi. Perché? La risposta va ricercata in due direzioni: quella dell’economia e quella del lavoro. La nuova economia ha alla sua base una tale capacità di produzione materiale che i secoli precedenti non hanno certamente conosciuto. La capacità di produrre è diventata esponenziale ed è in grado di coprire tutte le esigenze. Non si tratta più di rincorrere la domanda. Tuttavia, pur essendo quest’ultima ancora alta nelle aree che presentano diffusa sofferenza, ciò che risulta è che la capacità produttiva dell’economia contemporanea potrebbe facilmente coprire i bisogni fondamentali Il «processo di Bologna» è un percorso di armonizzazione dei sistemi di istruzione superiore, nato nel 1999, quando 29 ministri dell’Istruzione europei si incontrarono a Bologna per sottoscrivere un accordo, noto come «Dichiarazione di Bologna», con l’obiettivo di armonizzare tra loro i sistemi universitari europei. 1 22 produrre di tutti gli individui su questa terra e con molta rapidità. Il problema è chiaramente diverso e non dipende dalla capacità produttiva ma dalle logiche di mercato e dalle politiche di sviluppo assunte dai diversi Paesi. Il mercato è diventato mondiale e, all’interno di esso, si è scatenata una corsa al controllo di spazi che risultano vitali, perciò chi resta indietro rischia di perdere i benefici che ha acquistato. L’esigenza di competere sui mercati ha esaltato il bisogno di strutture formative che mettano gli individui nella condizione di contribuire allo sviluppo complessivo del mercato economico. In questo disegno, la competenza diventa l’elemento cardine. I nuovi prodotti si possono ottenere solo se alla base esistono competenze in grado di finalizzarne adeguatamente la produzione. Di fatto per i diversi Paesi si tratta di imparare a produrre. Quindi di avere a disposizione non solo la strumentazione meccanica o i mezzi finanziari per ottenere il risultato, ma anche, e soprattutto, le risorse umane adeguate e all’altezza di questi nuovi obiettivi. Imparare a imparare per imparare a produrre. Una delle competenze fondamentali richieste dai programmi formativi dell’Europa è proprio quella dell’imparare a imparare e basandosi su di essa le scuole stanno iniziando a cercare di risolvere l’enigma della sua costruzione in azioni favorevoli allo sviluppo delle relative competenze. La nostra società è ricca di potenzialità produttive in tutti i campi: nell’agricoltura come nell’industria, nell’informazione come nella comunicazione, nella tecnologia come nella filosofia, nell’arte come nella tecnologia. Non ci sono campi nei quali la potenzialità produttiva contemporanea non possa inserirsi e non ci sono campi nei quali le diverse aree non manifestino l’intenzione di inserirsi. Tutti i vari campi disciplinari oggi hanno una forte tensione verso l’operativo e l’utile, nonostante tutto ciò che nella loro storia aurea era stato profetizzato. La filosofia si occupa di counseling, l’arte si occupa di terapia, così la musica, altrettanto per la religione e la psicologia. Tutto sta assumendo una dimensione operativa per la quale si richiedono competenze specifiche e, in particolare, nuove competenze. La trasformazione in atto, cioè il passaggio dalla visione contemplativa degli oggetti alla vision produttiva, è talmente forte da non lasciare indifferente il campo della formazione. Tutte le aree culturali offrono oggi «prodotti«. La società dell’apprendimento si trasforma in società della conoscenza, la quale si trasforma in società della produzione. Il prodotto però non è solo l’oggetto classico, ma anche l’oggetto spirituale. Gli stessi corsi di formazione sono possibili su base economica, tutto può essere formato, tutto può e viene pensato in termini di prodotto. Per fare degli esempi, un libro frutto dell’esperienza personale è un prodotto, un progetto di lavoro è a sua volta un prodotto che produce qualcosa, un quadro è un prodotto, anche da un pellegrinaggio ci si aspetta un risultato. La produzione 23 Tutto questo richiede capacità di innovazione, di cambiamento, di ricerca, di creatività. Queste, infatti, sono le nuove voci collegate all’idea di competenza. La competenza è solo parzialmente funzionale alla professione; diventa invece essenziale per lo sviluppo delle condizioni di qualità della professione stessa, cioè la capacità di trasformazione e di generazione di nuove situazioni produttrici, sia di performatività individuale, sia di quella economica e sociale. Questo disegno complessivo che è in fase di costruzione ed è stato spinto in mare aperto, richiede però anche che la società economica e politica accetti un nuovo concetto di lavoro. La scelta della competenza come tipologia di sviluppo centrata sul soggetto porta inevitabilmente con sé una concezione del lavoro che dovrebbe prendere le distanze da quelle che fino ad ora — ma che permane nella quasi totalità dei diversi Paesi ancora oggi — sono state alla base delle attività produttive. Si può forse aprire la strada verso un lavoro inteso come processo di umanizzazione e di sviluppo continuo del soggetto, dove il vero prodotto finale è la qualità stessa dello sviluppo dell’uomo. Da queste considerazioni nasce il senso di progettare dei piani di studio personalizzati volti ad aiutare l’alunno a costruire da sé il proprio percorso formativo; una pianificazione che orienti il ragazzo a realizzare se stesso, attraverso un proprio realistico progetto di vita. Non abbiamo più bisogno di un sistema scolastico che si limiti a trasmettere ai ragazzi una cultura parcellizzata, fatta di «saperi» e di «saper fare» situazionati e relegati al solo contesto scolastico; abbiamo viceversa bisogno di giovani che credano in se stessi, nelle proprie capacità e sappiano trasformare questi saperi e queste abilità in competenze, da utilizzare adeguatamente nei vari contesti di vita. Inoltre, a tutti i livelli si avverte sempre più l’esigenza di un continuo aggiornamento delle conoscenze, abilità e competenze, in modo che l’apprendimento duri tutto l’arco della vita e non solamente da giovani; anzi, forse è ancor più da anziani che diventa indispensabile la formazione, per mantenere un buon tenore di vita attiva, partecipata e consapevole (e probabilmente prevenire le malattie degenerative connesse alla senescenza). In questo contesto la produzione scolastica degli alunni vuole essere vista, nel suo significato più autentico, come operazione mentale volta a dimostrare praticamente ciò che uno studente sa fare con ciò che ha imparato a scuola. A volte può capitare che gli studenti riescano bene a dichiarare ciò che sanno, ciò che hanno studiato o memorizzato dalla spiegazione dell’insegnante, ma quando viene chiesto loro di usare concretamente questi saperi, possono sembrare confusi e dimostrano una competenza da principianti (Comoglio, 2002). Anche le verifiche scolastiche spesso sono volte ad accertare più il grado di conoscenza, che la capacità di utilizzare queste conoscenze per risolvere problemi nei vari contesti della vita. La produzione competente 59 Capitolo secondo La produzione competente La produzione competente Nel nostro sistema formativo solamente il 75,5% degli studenti arriva al diploma con un percorso regolare (European Commission, 2007); il 24,5% dei ragazzi che manca all’appello sono figli di genitori a basso livello di istruzione. Se vogliamo superare questa ingiustizia sociale, occorre aiutare di più quelli che hanno maggiormente bisogno e non dare a tutti lo stesso percorso formativo. Le diverse intelligenze sono risorse preziose che il nostro Paese non può permettersi di perdere, di sprecare, o di lasciare inattive. Dunque non sono più tollerabili gli abbandoni scolastici (in Italia il drop out si è attestato nel 2006 attorno al 20,8%) o le risorse umane inespresse dovute a un mal funzionamento del sistema scolastico. La dispersione scolastica, che include il ritardo, la ripetenza e gli abbandoni del percorso formativo, costituisce una ferita e una sconfitta per la scuola, anche quando le cause sono prevalentemente esterne ad essa. Per combattere questa dispersione di risorse umane e valorizzare i talenti, la scuola dell’autonomia dovrebbe porre al centro una forte relazione educativa, che valorizzi la responsabilità personale e collegiale dei docenti, chiamandoli a rispondere nel miglior modo possibile alle sfide educative poste dalla moderna società civile. Bisogna cercare di cambiare il sistema formativo dal basso, trovando localmente soluzioni ai problemi complessi dei nostri giovani. Formare il «capitale umano» significa anche raccogliere localmente le sfide internazionali della competitività e dello sviluppo economico e sociale dell’intero sistema Paese. In questa sfida l’insegnante non può più concepirsi come esecutore passivo del dettato programmatico deciso da altri, ma deve sentirsi protagonista della rinascita culturale, attrezzando ancora meglio le nuove generazioni. In questo quadro, la produzione competente viene intesa come comportamento efficace ed efficiente orientato alla realizzazione di un obiettivo, che si differenzia da persona a persona. Queste differenze individuali possono essere spiegate in termini 60 produrre di abilità di apprendimento, nelle capacità di acquisire, ritenere e usare le informazioni e nel trasferire le conoscenze apprese a nuovi contesti. In una prospettiva costruttivista, se la conoscenza è inizialmente una costruzione situata socialmente e culturalmente (Tuffanelli, 2006) e se le competenze produttive organizzate in schemi prima sono socializzate, per poi diventare gradualmente patrimonio personale del singolo, allora sul versante didattico dovremmo puntare maggiormente sul lavoro di gruppo o di coppia. I soggetti che riescono a risolvere correttamente un problema sono quelli che meglio interconnettono la conoscenza procedurale di fatti e algoritmi con domande strategiche di controllo metacognitivo (Pressley, 1986). La consapevolezza, la stima, il controllo e la valutazione dei propri processi cognitivi sono elementi indispensabili per il raggiungimento di buone capacità produttive (Lucangeli e Passolunghi, 1995). L’apprendimento, come conoscenza e produzione (competenza), non è separabile dal contesto fisico e sociale, dove le persone pensano e agiscono con gli altri e attraverso gli altri giungono a risolvere i vari problemi della vita. L’utilizzo della modalità di confronto e lavoro cooperativo a coppie o piccoli gruppi permette di sviluppare meglio le conoscenze, la riflessione e le capacità di controllo strategico sulla produzione delle risposte risolutive a un problema, pur rispettando le differenze individuali all’interno della zona di sviluppo prossimale. Per quanto riguarda la produzione, partendo da questi studi (in particolare quelli della Brown, 1987) e coniugandoli con il costruttivismo vygotskijano e gli studi piagetiani sull’autoregolazione, è possibile ipotizzare una serie di macro abilità cognitivo-metacognitive che possono essere acquisite con la pratica, permettendo di produrre la risoluzione corretta di un problema. Queste macro abilità implicate nella produzione dovrebbero essere insegnate e sviluppate in una dimensione sociale dell’apprendimento, dove viene curata la formazione della classe come gruppo e dove vengono promossi i legami cooperativi tra gli studenti. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, la formazione di legami di gruppo è la condizione indispensabile per lo sviluppo dell’apprendimento, della produzione scolastica e della personalità positiva di ciascuno studente. Per diventare persone competenti ed esperte occorre attivare un processo di acquisizione delle conoscenze relative a regole, strategie e obiettivi necessari a una produzione efficiente. Ciò permette di adeguare i comportamenti alle richieste della situazione di apprendimento in modo efficace e flessibile. È questo il concetto, in estrema sintesi, della «produzione intelligente», che permette alla specie umana di adattarsi e di rispondere meglio alle varie problematiche che provengono dal contesto di vita (pensiamo, ad esempio, alle diverse risposte e stili di vita delle persone a seconda dell’ambiente fisico nel quale vivono, dal freddo glaciale dei poli, fino al caldo torrido dei deserti). La flessibilità produttiva è, dunque, una caratteristica fondamentale dell’intelligenza, che La produzione competente 61 raggiunge il suo apice nelle forme di controllo consapevole sulle attività cognitive, che si attivano nella soluzione dei problemi (Brown, 1987). Dalla letteratura esistente (Zimmerman e Cleary, 2007; Lucangeli, Tressoldi e Cendron, 1998; Greeno, 1978; Lucangeli e Passolunghi, 1995) abbiamo estrapolato cinque macro abilità implicate nella risoluzione dei problemi e nel raggiungimento di una produzione competente. Si tratta di macro abilità volte, quindi, a produrre risultati adeguati ai vari contesti di vita (identificazione; previsione; pianificazione; produzione; valutazione; si veda la figura 2.1), che possono formare un circolo virtuoso a spirale dal quale ripartire dopo ogni compito, con accresciuta competenza (Bruner, 1988). Identificazione/comprensione Previsione Pianificazione Produzione Valutazione Produzione competente Fig. 2.1 Modello delle cinque macro abilità che possono portare alla soluzione dei problemi legati al contesto di vita e a una produzione competente. 1. L’identificazione/comprensione Un momento delicato è quello iniziale, dove può accadere che l’alunno non veda il problema o cerchi di evitarlo per non esporsi a frustrazioni o a insuccessi. Viceversa, è necessario che gli studenti identifichino il problema, nel senso di riconoscere che esiste; quindi vedere in quale contesto si trova, cercando di visualizzarlo, rappresentandolo mentalmente (individuazione rappresentazione comprensione categorizzazione). La visualizzazione del problema è indubbiamente un passaggio critico nella fase di identificazione/comprensione: molti alunni hanno difficoltà in questa operazione mentale, cioè trasformare la situazione problematica in una rappresentazione, che può essere poi tradotta anche con un disegno o un diagramma. Dalla qualità della rappresentazione dipende la possibilità di individuare uno o più percorsi risolutori. Questa qualità dipende in modo diretto dalle conoscenze del solutore e dal modo nel quale queste sono organizzate. 62 produrre A volte può succedere che i cattivi solutori non possiedano schemi generali di categorizzazione e di procedure di azione; mentre dispongono di schemi più specifici e situazionati, ma non organizzati in macrosistemi. Ne consegue che gli studenti sono più attratti dagli aspetti specifici vistosi, piuttosto che individuare le relazioni e i princìpi risolutivi sottostanti. Quindi, mentre i solutori esperti possiedono schemi generali di conoscenze dichiarative e procedurali, sembra che i solutori meno esperti siano carenti nella seconda tipologia di schemi, riguardanti il fare e il produrre. Queste abilità di pensiero si sviluppano con l’esperienza e il confronto, meglio se a coppie di alunni o a piccoli gruppi. È utile ricordare che non tutti i problemi sono uguali: ci sono problemi ben definiti e altri invece mal definiti. Generalmente nei problemi del primo tipo (problemi chiusi) basta identificare la struttura nota e applicare le procedure conosciute (algoritmi) di risoluzione; ad esempio, trovare l’area di un triangolo o di un parallelepipedo, oppure descrivere una persona. Più difficile è invece trovare la soluzione di un problema non definito da un rigido modello (problema aperto), in cui si possono imboccare più strade e trovare più soluzioni: ad esempio, come costruire un parco giochi o come strutturare un racconto giallo. A volte, quando non si riesce a identificare una situazione problemica con chiarezza, può insorgere la percezione di difficoltà o di inadeguatezza, associata alla preoccupazione di non riuscire, di essere derisi, di sentirsi dei «falliti». Queste percezioni emotive possono avere il sopravvento rispetto agli aspetti cognitivi relativi alle proprie capacità di riuscita. Generalmente la sfida assegnata a una coppia di ragazzi permette di attivare un senso di forza maggiore (Empowerment) rispetto a quella assegnata al singolo e un’interazione costruttiva che permette di avere un approccio alla sfida con una sensazione di maggior competenza e capacità di riuscire a raggiungere l’obiettivo. Accettare il problema e farsene carico non è né facile, né scontato, ma se i ragazzi lavorano insieme, si sentono più forti e sicuri nella ricerca della soluzione che porta al successo, o viceversa all’insuccesso (si può comprende meglio, così, l’utilità del detto «mal comune, mezzo gaudio»). Insieme i ragazzi percepiscono meglio il problema da affrontare, lo identificano più chiaramente e sono più propensi ad accettare la sfida e a produrre le conseguenti azioni risolutive (Bandura, 2007). La situazione di disagio iniziale non deve, però, diventare un cortocircuito a livello emotivo che blocca il pensiero; al contrario, la sfida dovrebbe essere percepita come problema risolvibile con l’aiuto e l’impegno di tutti. Un problema la cui struttura ci riporta ad altri simili, già risolti nel passato, innesca un pensiero che potremmo definire «riproduttivo». Viceversa, un problema aperto a più soluzioni, oppure a struttura non nota, innesca un pensiero che potremmo definire «produttivo». Anche il docente, però, dovrebbe spingere gli alunni a riconoscere, identificare e affrontare, senza timore alcuno, i problemi che man mano vengono La produzione competente 63 posti all’attenzione dei ragazzi, cercando di essere chiaro negli obiettivi da perseguire e nell’utilità del cimentarsi in queste sfide. Per aiutare ulteriormente i giovani a diventare solutori esperti, il docente può insegnare delle strategie metacognitive di automonitoraggio, autointerrogazione e autoistruzione, chiedendo agli alunni di rispondere a domande del tipo: «Siamo in grado di risolvere questo problema? Se falliamo, come ci vedranno i nostri compagni? E i nostri genitori? E i nostri insegnanti? E noi come ci sentiremo di fronte a un fallimento? È utile per noi accettare questa sfida? Sono più i vantaggi o gli svantaggi?». Una volta letto velocemente il testo del problema, bisogna che i ragazzi lo capiscano, si chiedano di quale problema si tratti, se ne hanno già incontrati di simili precedentemente e cosa sanno su come si possa risolverlo. La comprensione implica la capacità di rappresentarsi il problema e di trovare analogie con altri problemi già sperimentati e risolti (comprensione guidata dalle esperienze pregresse). Essa dipende anche dalla chiarezza della formulazione, dalla familiarità ad affrontare compiti del genere, dalla capacità di evidenziare correttamente i dati, mettendoli in relazione tra loro e con le conoscenze possedute nella memoria a lungo termine. Quindi, dopo aver accettato la sfida, i ragazzi possono monitorarsi e autointerrogarsi con domande del tipo: «Facciamo un disegno o un diagramma? Questa rappresentazione è conforme al problema? Ci sono tutte le informazioni o ne manca qualcuna? Se qualcosa manca, come possiamo procedere per trovarla?». In due o più si ragiona meglio e c’è una maggior percezione di competenza e gestione sia dei fattori di natura cognitiva, che di quelli di natura socio-emotiva. 2. La previsione La previsione implica la capacità di vedere prima il prodotto finale che si vuole raggiungere. Attendersi e immaginarsi un risultato finale alle nostre azioni è l’essenza stessa della previsione. L’attesa comporta l’accettazione della sfida scolastica e la tensione cognitivo-emotiva verso il risultato da conseguire (motivazione); l’immaginazione del risultato finale implica l’attivazione delle conoscenze pregresse e la loro messa in relazione con il prodotto finale, per trovare la strada migliore per giungere al risultato (pianificazione). Attraverso le conoscenze che gli studenti attivano e la discussione che ne consegue a livello di coppia o piccolo gruppo, essi possono prevedere se sono in grado di risolvere il problema e decidere insieme se accettare o meno la sfida. La stessa parola «problema» deriva dal verbo greco bállein che vuol dire «proporre, gettare», preceduto dal suffisso pró, che significa «davanti», quindi il significato etimologico è «gettare davanti», proiettarsi nel futuro per ipotizzare un’azione risolutiva che porti a un risultato. Per potersi «pro-gettare», cioè spingersi avanti immaginando i risultati delle proprie azioni, occorre riuscire 64 produrre a trasformare il disagio iniziale in volontà risolutiva per dimostrare a se stessi e agli altri il proprio valore. Questi comportamenti virtuosi avvengono meglio (come abbiamo visto anche nel capitolo precedente) in classi con un clima cooperativo, dove gli alunni non hanno paura di sbagliare, né di essere derisi, anzi si sentono incoraggiati dai compagni ad assumersi dei rischi. Viceversa, il comportamento rinunciatario dei ragazzi può essere una spia di un ambiente-classe o di un contesto di gruppo percepito come minaccioso, nel quale se uno sbaglia viene rimproverato o preso in giro e quindi la convinzione conseguente diventa quella che l’errore deve essere evitato ad ogni costo (Tuffanelli, 2006). Come sappiamo, in classe, come in famiglia, il ruolo dell’adulto educatore è decisivo nella costruzione di un clima di un tipo o di un altro. Oltre a creare un clima positivo, occorre che l’insegnante tari bene il compito (da collocare nell’area di sviluppo prossimale), sapendo che l’accettazione della sfida da parte dello studente comporta sempre un controllo emozionale e una percezione di rischio accettabile. I ragazzi, con questa operazione mentale, possono pensare alle conseguenze di possibili piani d’azione e ricevere una spinta a ricercarne altri, qualora le previsioni di questi piani d’azione risultassero negative. Possono anche pensare insieme a chi rivolgersi e quali aiuti chiedere, nel caso trovassero alcune difficoltà; infine possono ipotizzare un tempo necessario di cui hanno bisogno per portare a termine la sfida, individuando determinati strumenti che possono essere loro utili nel trovare la soluzione. In sintesi, la previsione può diventare una macro abilità importantissima (forse la più importante) per giungere a una produzione competente, che richieda la capacità di immaginare le proprie prestazioni conseguenti a un determinato piano d’azione, di stimare a quale livello si possono collocare, di pensare a quali difficoltà si potrebbero incontrare nell’esecuzione del compito e di stabilire se si è soddisfatti o meno dei risultati previsti. Per sviluppare le macro abilità utili in questa fase possono essere poste domande che attivino un confronto costruttivo tra gli alunni: «Pensiamo di essere in grado di farlo? Chi o che cosa ci può aiutare? Quanto tempo ci richiede? Di quali strumenti abbiamo bisogno? In quale ambiente pensiamo di svolgere il compito? Quale stimiamo possa essere il risultato finale di questo problema? A che livello di accuratezza? Ci sentiamo soddisfatti di questi risultati ipotizzati?». 3. La pianificazione Pianificare vuol dire immaginare un percorso da fare, un piano che individui le varie azioni da compiere per raggiungere un risultato, ordinandole sull’asse temporale in modo sequenziale, da quella che viene prima a quelle che vengono dopo. Quindi, dopo aver accettato la sfida ed essersi rappresentati il problema, La produzione competente 65 prevedendo un certo risultato finale, gli studenti possono individuare la sequenza di azioni da fare per raggiungere la mèta, chiedendosi come reperire i materiali e gli strumenti di lavoro necessari, come collegare i dati e trovare quelli mancanti e come scegliere i metodi di rappresentazione dei dati individuati. Sono gli elementi dell’ambiente del compito (i dati del problema) che suggeriscono al solutore il tipo di strategie da adottare per raggiungere la soluzione. Può pertanto succedere che certi oggetti suggeriscano determinate strategie e non altre e che questo precluda di vedere la soluzione del problema, dove, ad esempio, un elemento dovrebbe essere utilizzato in modo diverso da quello usuale (pensiamo a una rete di mele da un chilogrammo usata come peso per stabilire se altri oggetti pesano più o meno di un chilo). La rappresentazione complessa di un percorso di soluzione è costruita attraverso i processi di visualizzazione e comprensione del problema, cioè da ciò che il solutore (o i solutori) capiscono dei dati e dall’obiettivo da raggiungere, oltre che dalle strategie che hanno a disposizione. Comprensione e ricerca attiva di una soluzione sono le componenti per raggiungere l’obiettivo finale. Occorre, perciò, che il solutore attivi conoscenze ben integrate attinenti anche alle procedure di soluzione, per compiere inferenze a partire dai dati a disposizione, che gli permetteranno l’attivazione di schemi e strategie funzionali al raggiungimento degli obiettivi e sotto-obiettivi relativi alla soluzione del compito. La comprensione e la ricerca attiva di un percorso o schema d’azione implica un carattere costruttivo e ricostruttivo della conoscenza, dove le esperienze non vengono solamente registrate nella memoria a lungo termine, ma organizzate in schemi che vanno dal semplice al complesso e dal particolare al generale. Ricordiamo che per «schema» intendiamo un insieme di concetti e di associazioni tra concetti che definisce un elemento più complesso e astratto. Ad esempio, lo schema della faccia comprende i concetti di occhio, naso e bocca, cioè delle variabili che assumono diversi valori nelle diverse situazioni contingenti. Gli schemi relativamente semplici e specifici vengono chiamati anche strategie o script, mentre quelli più complessi frame o strutture. Gli schemi come organizzatori dei sistemi produttivi d’azione possono essere più o meno definiti e più o meno aperti: più gli schemi sono definiti e più sono rigidi e spingono a quella che i gestaltisti chiamano «fissità funzionale», cioè rigidità nell’applicazione dello schema solamente in determinati contesti, con determinate funzioni. Ad esempio, il piatto della bilancia viene visto come elemento per pesare e non come contenitore o copricapo, che può servire anche in altre occasioni. Viceversa, la costruzione di schemi aperti permette una maggior flessibilità cognitiva, utile a risolvere problemi poco usuali e a trovare percorsi anche originali, volti a raggiungere l’obiettivo prefissato. Più gli schemi sono rigidi e meno si è attrezzati per risolvere problemi complessi che fuoriescono dalle routine. 66 produrre Possiamo distinguere almeno tre strategie generali (o schemi generali di produzione) nel ricercare e pianificare le azioni risolutorie di un problema: a) la strategia dei piccoli passi (o dei sotto-obiettivi). Il solutore di un problema valuta la differenza tra la situazione attuale e l’obiettivo da raggiungere, quindi individua le operazioni che possono ridurre tale differenza, fino al raggiungimento della mèta. Questa riduzione progressiva della distanza avviene con il raggiungimento progressivo di sotto-obiettivi che si avvicinano progressivamente alla soluzione; b)la strategia (o euristica) di amplificare una pianificazione più semplice. Il solutore, di fronte a un problema complesso, cerca di semplificarlo riducendone le dimensioni per poterlo meglio dominare. Ad esempio, per organizzare un viaggio in Patagonia, pensa a cosa può servire se facesse un trekking nelle montagne vicino a casa, per poi potenziare tutta l’attrezzatura per l’uscita più impegnativa; c) la strategie dell’ipotesi-verifica. Il solutore ipotizza una possibile soluzione del problema e poi cerca di verificarne la fattibilità e la produttività rispetto all’obiettivo. È una procedura che viene generalmente usata nella ricerca scientifica, dove, ad esempio, degli esami di laboratorio possono confermare o smentire un’ipotesi di possibile malattia. La pianificazione delle azioni, che portano a conseguire un certo risultato, implica una certa capacità di applicare uno schema di azioni in sequenza di successione (temporale, causale, gerarchica) per raggiungere l’obiettivo. Utili, per riflettere su questa fase, possono essere quei processi metacognitivi di automonitoraggio che permettono l’autoregolazione delle azioni intraprese. Alcune domande che vanno in questa direzione possono essere: «Quali ci sembrano essere e come scegliamo le strategie più efficaci? Quali sono e come reperiamo i materiali e gli strumenti di lavoro? Come possiamo collegare i dati e come pensiamo di trovare quelli mancanti? Come scegliamo i metodi di rappresentazione dei dati? Ci sembra di aver impostato correttamente il piano d’azione e che sia efficace?». 4. La produzione La macro abilità della produzione implica l’attuazione delle azioni programmate (pianificazione), come sequenza di azioni e di decisioni analoghe ai programmi di un computer (Boscolo, 1986) e il controllo delle stesse per valutare se vanno nella giusta direzione (monitoraggio). Questa produzione di azioni generalmente è riunita in schemi più o meno definiti. Gli schemi di azioni più definite si possono chiamare algoritmi o routine, che, a loro volta, possono articolarsi in sottoprogrammi e subroutine. Essi possono essere molto semplici e automatizzati (pensiamo alle sequenze di azioni che produciamo quando ci laviamo la faccia o ci allacciamo 80 produrre Nella socializzazione e personalizzazione dell’unità apprenditiva, la negoziazione del contratto formativo d’aula si configura come la progettazione comune di un percorso di co-costruzione della conoscenza, di autonomie d’azione e di produzione, di incontro, scambio e messa in comune di ipotesi, percorsi formativi e strumenti, tra persone con diverse capacità e personalità. Il contratto formativo d’aula tra insegnanti e studenti diventa uno dei momenti topici nella progettazione dell’unità di apprendimento, principalmente per almeno tre motivi: – perché sviluppa coinvolgimento e motivazione, in quanto, chiedendo ai ragazzi di suddividersi in coppie o in piccoli gruppi, presuppone l’accettazione della sfida e la loro convinta adesione alla proposta formativa, il loro coinvolgimento nella previsione dei possibili esiti delle loro azioni, nel concordare gli obiettivi, il percorso da fare e le modalità di valutazione. La chiarezza e la curiosità sono gli ingredienti principali di questo coinvolgimento attivo: gli studenti, insieme all’insegnante, chiariscono e concordano cosa dovranno impegnarsi a imparare e il senso di questo apprendimento. Successivamente, nella fase di valutazione, possono attivare la previsione e il collegamento delle conoscenze pregresse con quelle nuove (attivazione di organizzatori anticipati) e prepararsi delle domande a cui rispondere al termine dell’unità di apprendimento, per automonitorare il percorso e autovalutare il proprio prodotto (fase della revisione metacognitiva del processo e degli esiti conseguiti). Anticipare e chiarire ciò che i ragazzi studieranno può creare nella classe un senso di aspettativa e tensione positiva verso il risultato degli sforzi che si andranno a compiere; – perché sviluppa capacità cooperative, in quanto chiede ai ragazzi di discutere e condividere la proposta educativa, entrando nel merito delle scelte e di ciò che è utile per la loro formazione, del «perché», «come», «quando» e «per ottenere che cosa» si accettano queste sfide. I ragazzi possono capire che attraverso la produzione cooperativa si imparano cose nuove, utili per apprendere a lavorare insieme con i compagni, per concretizzare l’aiuto reciproco e diventare tutti più competenti, cittadini più attivi, consapevoli, solidali e cooperativi. Il punto di forza di questa pianificazione concordata sta nel coinvolgimento e nell’interazione sociale positiva tra tutti gli alunni. La costruzione del contratto formativo vuole essere anche un momento per favorire lo scambio, l’interazione verbale diretta, la chiarificazione, il convincimento e l’adesione agli obiettivi del gruppo, nonché per sviluppare l’interdipendenza positiva. Nel percorso verso una produzione competente degli alunni, gli insegnanti possono cominciare con gruppi poco strutturati e con compiti brevi e prodotti semplici, per poi aumentare le richieste agli studenti, la complessità del lavoro e la relativa organizzazione. In questo modo, gradualmente il gruppo classe può aumentare le proprie competenze sociali e cognitive nel costruire insieme La produzione competente 81 una comunità sempre più attiva, democratica e produttiva. In questo processo di sviluppo delle competenze, il docente gioca un ruolo fondamentale e delicato: da buon consulente e regista, dovrebbe rispettare le opinioni dei ragazzi e le loro proposte; contemporaneamente dovrebbe far presente anche le ragioni didatticoeducative che depongono a favore dell’una o dell’altra scelta, quindi orientare i ragazzi verso il lavoro autonomo, competente e responsabile; – perché sviluppa capacità metacognitive, in quanto chiede ai ragazzi, nell’accettare la sfida scolastica, di fare operazioni metacognitive quali una previsione, una pianificazione, un monitoraggio, una valutazione e una revisione del compito concordato. In questo modo essi possono aumentare il grado di consapevolezza su ciò che realizzano, chiarendosi gli obiettivi, i prodotti finali, i percorsi da compiere, i tempi da rispettare, le modalità di valutazione, ecc. Per esempio, la pianificazione prevista dal contratto permette agli alunni di assumere un ruolo attivo e operare scelte condivise nello scrivere un «copione», che sia di orientamento verso la loro produzione. Come vedremo, nel preliminare contratto formativo d’aula, gli studenti possono avere maggior consapevolezza e controllo sul proprio apprendimento ed esercitare meglio la propria responsabilità, sia nei confronti di se stessi, che del gruppo e dei risultati conseguiti. Scegliere insieme gli obiettivi di una produzione scolastica significa anche prendere coscienza dei risultati da conseguire, con il convincimento che più gli obiettivi sono specifici e più possono dare agli alunni e ai docenti la possibilità di valutare efficacemente il proprio lavoro. Nella produzione scolastica la scelta dell’obiettivo formativo da proporre agli studenti non può che essere relativa a un compito di apprendimento unitario (che riguardi cioè la vita e non un singolo aspetto di essa), articolato, organico, adatto a quei determinati alunni e significativo, perché dotato di senso per quel determinato ambiente di appartenenza. Pensiamo alla risoluzione di un problema esistenziale o alla conoscenza di un argomento che presenti un certo grado di complessità (con un respiro pluri-interdisciplinare o pre-disciplinare per le classi della scuola primaria, come può essere «la vita degli uomini primitivi»), che sia legittimato, quindi vicino alla sfera degli interessi («Riguarda come eravamo noi uomini migliaia di anni fa»), risponda ai bisogni formativi dei ragazzi («Capiamo quanta strada abbiamo fatto se sappiamo da dove siamo partiti») e coinvolga anche la loro esperienza personale («Proviamo a vivere come gli uomini primitivi, costruendoci le armi e risolvendo i problemi quotidiani senza ricorrere alle tecnologie moderne»). Gli obiettivi formativi dovrebbero, perciò, diventare una mediazione tra le discipline (obiettivi specifici di apprendimento) e le educazioni, cioè gli obiettivi educativi generali, che tengano conto sia del profilo educativo da acquisire in uscita, sia dell’esperienza dei ragazzi e delle loro caratteristiche personali. Individuato 82 produrre l’obiettivo formativo da proporre, l’insegnante dovrà pensare a come motivarlo alla classe, come chiarirne la sua importanza ai fini della formazione personale e come chiedere ai ragazzi di accettare la sfida di coppia o di piccolo gruppo, impegnandosi a vincerla. Dovrà pensare a come tradurre questo obiettivo formativo in obiettivi specifici sia cognitivi che sociali di apprendimento. Dovrà descrivere questi obiettivi in termini comportamentali in modo che gli studenti abbiano chiaro cosa ci si aspetta da loro. Gli alunni accettano le sfide se sono convinti di poterle vincere o di avere molte probabilità di potercela fare. Ma le accettano ancora più volentieri se sanno di non essere soli, che c’è qualcuno pronto ad aiutarli. Questa convinzione, oltre a creare un benessere psicologico generale, permette una miglior gestione dell’ansia da prestazione. Ad esempio nelle attività routinarie della classe, un conto è fare un tema, un riassunto, un racconto, una cronaca, un problema, … da soli; altro è poterlo fare assieme a uno o più compagni. Se gli insegnanti lanciassero più sfide formative mirate a coppie di ragazzi o a piccoli gruppi, si potrebbe concretizzare meglio quello che Vygotskij (1934) chiama l’apprendimento socializzato nella zona di sviluppo prossimale (si veda il capitolo primo). I ragazzi poi, riflettendo sulle difficoltà incontrate, su cosa hanno fatto per superarle, su quali aiuti sono stati decisivi e quali fuorvianti, svilupperebbero quella consapevolezza metacognitiva che può permettere loro di assimilare le nuove abilità e conoscenze, integrandole con quelle pregresse, già possedute in memoria a lungo termine. Partendo dall’esperienza degli alunni e dalle loro conoscenze, possiamo fare un esempio di contratto formativo in una classe prima della scuola secondaria di primo grado per capire «Perché i cervi delle Alpi stanno aumentando considerevolmente di numero?». Si tratta, una volta che gli alunni hanno accettato la sfida, di produrre un testo che risponda a questa domanda in modo completo e rigoroso da un punto di vista scientifico. In un compito del genere gli obiettivi cognitivi specifici di apprendimento, da concordare e chiarire insieme, possono riguardare: a) saper formulare delle ipotesi sulla base delle conoscenze possedute, per poi andarle a verificare nella letteratura scientifica; b)saper leggere, comprendere e sottolineare i concetti chiave dei testi scientifici forniti dal docente; c) saper scrivere una relazione scientifica in modo chiaro e completo; Oltre a questi obiettivi specifici cognitivi si possono concordare con gli alunni anche gli obiettivi specifici sociali, come ad esempio: a) saper parlare a voce bassa; b)saper rispettare i ruoli assegnati dall’insegnante; c) saper intervenire in modo congruente. La produzione competente 83 Anche la metodologia di lavoro cooperativo va concordata. Nel nostro esempio gli insegnanti possono proporre, dopo aver chiarito bene insieme a livello del gruppo classe cosa fare, i ruoli da interpretare e gli strumenti che si possono usare, di lavorare a piccoli gruppi di tre, condividendo con gli alunni i criteri di formazione delle terne, come ad esempio quello di mettere insieme ragazzi con competenze differenti (uno più competente in una disciplina con altri più competenti in altre). È importante concordare anche l’organizzazione della classe dal punto di vista logistico definendo gli spazi propri d’azione (una terna si mette in quel posto, un’altra in quest’altro, un’altra ancora…). La sintesi del contratto formativo può essere rappresentata su un cartellone da attaccare sulla parete della classe e servire come organizzatore cognitivo (si veda la figura 2.2). La produzione di una relazione scientifica Fase 1: costruzione del contratto formativo (identificazione del problema, motivazione e condivisione; tempo previsto: 20 minuti) Obiettivo formativo: – comprendere perché i cervi delle Alpi stanno aumentando considerevolmente di numero. Obiettivi specifici cognitivi: – saper formulare delle ipotesi sulla base delle conoscenze possedute, per poi andarle a verificare nella letteratura scientifica; – saper leggere, comprendere e sottolineare i concetti chiave dei tre testi scientifici forniti dal docente; – saper scrivere una relazione scientifica in modo chiaro e completo seguendo uno schema. Obiettivi specifici sociali: – saper parlare a voce bassa; – saper rispettare i ruoli assegnati dall’insegnante; – saper intervenire in modo congruente. Metodologia e organizzazione: Lavoro cooperativo a gruppi eterogenei di tre elementi attorno a un tavolo con tre sedie, un quadernone e tre testi scientifici sulla vita dei cervi delle Alpi. Fase 2: la socializzazione della conoscenza (tempo previsto: 60 minuti) Riflessione comune sulla vita dei cervi che vivono sulle Alpi (come e quanto vivono, quali pericoli e nemici incontrano, cosa mangiano, quanti figli fanno mediamente, ecc.); spiegazione su come si sottolineano le informazioni principali e come si costruisce una relazione scientifica con l’uso di uno schema; chiarificazione delle funzioni dei vari ruoli e preparazione degli strumenti di monitoraggio e valutazione (costruzione di tabelle a doppia entrata di monitoraggio e valutazione dei tre obiettivi cognitivi e dei tre obiettivi sociali). (continua) 84 produrre (continua) Fase 3: la produzione personalizzata del lavoro cooperativo «Perché i cervi delle Alpi stanno aumentando considerevolmente di numero?» (tempo complessivo previsto a scuola: 130 minuti) Fase 3.0: la previsione di gruppo sul livello dei risultati da conseguire (tempo previsto: 10 minuti) Fase 3.1: la discussione e la formulazione di ipotesi concordate (tempo previsto: 20 min.) Ideatore Ideatore Ideatore Control. voce Control. ruoli Control. congruità Fase 3.2: il confronto delle ipotesi con la letteratura scientifica tramite lettura e sottolineatura di 3 testi scientifici forniti dal docente (tempo previsto: 20 minuti per il primo testo) Lettore Sottolineatore Confermatore Control. voce Control. ruoli Control. congruità (Rotazione dei ruoli cognitivi nella lettura e sottolineatura di altri 2 testi scientifici forniti dal docente; tempo previsto: altri 40 minuti) Fase 3.3: la produzione di gruppo di una relazione scientifica seguendo uno schema sul «Perché i cervi delle Alpi stanno aumentando di numero?» (tempo previsto: 30 minuti) Dettatore Scrittore Confermatore Control. voce Control. ruoli Control. congruità Fase 3.4: l’autovalutazione di gruppo sul prodotto svolto e sui risultati conseguiti (tempo previsto: 10 min.) Fase 3.5: la valutazione dell’insegnante su quanto prodotto dal gruppo (tempo previsto: variabile) Fase 4: la revisione metacognitiva (tempo previsto: 20 min.) Fase 5: il trasferimento delle conoscenze (tempo previsto: 120 min. a casa, + 120 minuti a scuola per la prova di verifica delle conoscenze raggiunte) Firme degli alunni: Firme degli insegnanti: __________________ _______________________ __________________ _______________________ Fig. 2.2 Schema del contratto formativo d’aula con le fasi concordate da implementare. La produzione competente 85 Per coinvolgere gli alunni e concordare con loro il contratto formativo d’aula, il docente deve spiegare alla classe perché è importante fare questa esperienza, quali sono gli obiettivi formativi da raggiungere, quali gli obiettivi cognitivi e sociali specifici, la metodologia e l’organizzazione del lavoro di gruppo, le varie fasi del lavoro cooperativo, gli strumenti e i criteri di valutazione da utilizzare nelle fasi di previsione, autovalutazione e valutazione, i ruoli da interpretare e le modalità della revisione metacognitiva al termine del lavoro di gruppo. Il docente, dopo aver chiesto l’adesione convinta degli alunni e costruito insieme il contratto formativo, attacca lo schema alla parete (copia dello schema viene anche consegnata ad ogni gruppo), in modo che ciascun alunno visualizzi il percorso da fare e i tempi previsti per ogni fase. Il contratto diventa un organizzatore cognitivo. Seconda fase: la socializzazione della conoscenza Vygotskij (1934) quando sostiene che «ciò che i bambini sanno fare insieme oggi, domani sapranno farlo da soli», intende dire che i giovani imparano tra loro confrontandosi su saperi che si trovano nell’area di sviluppo prossimale, interiorizzando funzioni cognitive complesse che gradualmente cercano di far proprie, arrivando poi a dei prodotti comuni, con l’aiuto reciproco e con la spiegazione vicendevole delle strategie, con un linguaggio tra pari più efficace e comunque diverso qualitativamente da quello usato dall’insegnante o da qualsiasi altro adulto. Per favorire un tale contesto apprenditivo risulta necessaria una professionalità docente centrata sulla mediazione dei contenuti di apprendimento, sul come si apprende piuttosto che solamente sul cosa si apprende. Una professionalità centrata inoltre sulle modalità di relazione tra gli studenti, considerati come soggetti attivi del proprio apprendimento e della capacità di attivare costruttivi rapporti sociali all’interno di un gruppo, che costruisce insieme la conoscenza e realizza dei prodotti comuni. A livello dell’intera classe, attraverso la discussione e la riflessione comune, gli alunni sviluppano delle abilità metacognitive, come il confronto, la valutazione e la revisione metacognitiva. Gli allievi possono chiarirsi e scegliere insieme, con l’aiuto dell’insegnante, di accettare la sfida scolastica e raggiungere gli obiettivi previsti, concordando le strategie e decidendo come procedere nel lavoro comune (pianificazione). Nel far questo imparano a fermarsi, a prevedere, a confrontarsi, a valutare le conoscenze, discutendo su come si è arrivati a un dato risultato, attraverso quali processi, considerando i propri punti di forza e di debolezza, per capire cosa ha funzionato bene e cosa meno. Questo confronto tra docente e alunni, che mira a creare le condizioni per poi lavorare da soli in autonomia, viene chiamato «socializzazione della conoscenza». In questa fase il docente spiega in 86 produrre cosa consiste il lavoro da svolgere, definisce bene i ruoli da assegnare e interpretare, prepara con i ragazzi gli strumenti di monitoraggio e valutazione e definisce insieme a loro i tempi delle varie fasi del compito. L’insegnante attrezza gli alunni aiutandoli a costruirsi strategie, schemi, procedure e tabelle di monitoraggio e di valutazione degli obiettivi da raggiungere e domande per riflettere sul percorso fatto e sui risultati conseguiti. Nel far questo il docente dovrebbe possedere una buona competenza sui processi di apprendimento e funzionamento cognitivo e metacognitivo (pensiamo, ad esempio, alle modalità di gestione dell’errore, che permettono all’insegnante di cogliere degli aspetti significativi sul funzionamento mentale e sui processi di autocontrollo dei ragazzi). Egli inoltre dovrebbe avere competenze sulle dinamiche di gruppo, per analizzare le interazioni che avvengono in classe e sapere come e dove intervenire. Nel valutare le relazioni tra alunni, diventa oltremodo necessario da parte del docente anche un lavoro introspettivo di analisi sul funzionamento cognitivo proprio e generale, se vuole diventare a sua volta abile nello stimolare processi analoghi nei suoi studenti, sviluppando le abilità metacognitive di problematizzazione, previsione, pianificazione, monitoraggio dei propri comportamenti, autovalutazione, revisione, astrazione e trasferimento delle abilità e dei saperi costruiti socialmente. Se la direzione apprenditiva del comportamento come trasformazione delle forme naturali in forme culturali superiori, va dall’esterno all’interno (Vygotskij, 1981), allora l’interiorizzazione della conoscenza avviene prima attraverso la «co-costruzione» sociale (apprendimento socializzato) e poi con un progressivo trasferimento dell’attività sociale esterna, mediata da segni, al controllo interno: «Nello sviluppo culturale del bambino ogni funzione compare due volte, su due piani: dapprima compare sul piano sociale, poi sul piano psicologico. Prima compare tra due persone, sotto forma di categoria interpsicologica, poi all’interno del bambino, come categoria intrapsicologica» (Vygotskij, 1981, p. 163). In questa seconda fase della produzione competente il docente può pensare a individuare i livelli di partenza dei suoi studenti, per tarare gli aiuti di cui i ragazzi necessitano per poter lavorare insieme autonomamente e in modo interattivo, efficiente ed efficace rispetto agli obiettivi che devono raggiungere. L’insegnamento socializzato a livello di gruppo classe di strategie cognitive e sociali da esercitare in seguito autonomamente in gruppo, può risultare una valida modalità di aiuto al lavoro anche individuale degli studenti. Questo momento comune di insegnamento strategico può essere suddiviso in quattro ulteriori momenti o fasi: l’attivazione delle competenze pregresse, l’insegnamento delle strategie cognitive, l’insegnamento delle abilità sociali e la costruzione degli strumenti cognitivi, di monitoraggio e di valutazione. La produzione competente 87 a) L’attivazione delle conoscenze pregresse In questa fase preliminare occorre pensare a come identificare e spiegare le ragioni dell’apprendimento della nuova conoscenza, abilità o strategia, discutendo su quanto già si conosce su quella tematica o su quello strumento, per cogliere l’importanza di acquisire quella determinata conoscenza («Cosa conosciamo già su come si costruisce una relazione scientifica?»; «Perché può essere utile imparare a servirci di questo strumento?»; «Come possiamo scegliere e organizzare le varie conoscenze?»: «Come possiamo produrre delle prove a favore della nostra tesi e come possiamo cercare di confermarla?»). b) L’insegnamento delle strategie cognitive Si tratta di fornire agli studenti domande, schemi, mappe, tabelle o figure, in modo da collegare le nuove conoscenze a quelle già da loro possedute. Ad esempio, se la progettazione dell’unità apprenditiva prevede anche la costruzione di uno schema di relazione scientifica, l’attivazione delle conoscenze pregresse potrebbe essere favorita da domande del tipo: «A cosa può servire una relazione scientifica?»; «Avete mai visto come è fatta?»; «Quali possono essere le parti fondamentali?» (ad esempio, nella tabella 2.2 si può vedere un semplice modello di riferimento costituito da 6 parti: problema, tesi, conoscenze a favore, conoscenze contrarie, discussione e conclusioni). Tabella 2.2 Modello di come costruire una relazione scientifica Problema: Perché i cervi delle Alpi stanno aumentando considerevolmente di numero? Tesi: Conoscenze a favore: Discussione: Conclusioni: Conoscenze contrarie: 88 produrre L’insegnamento strategico può essere svolto attraverso almeno due modalità principali: – la prima vede l’insegnante porsi come modello di comportamento metacognitivo, ponendosi domande e fornendo risposte a voce alta («Vi mostro come io costruisco un’ipotesi e come cerco di giustificarla e di confermarla. Ma cerco anche altri saperi che possono sconfermarla, rendendola poco credibile»). Gli studenti possono così ascoltare e osservare il docente che pensa ad alta voce, mentre fa vedere loro come svolge un determinato compito (modeling): «Sto facendo progressi ragionevoli? È questa la cosa giusta da fare? Mi sto avvicinando alla soluzione finale del problema?». Questo approccio, anche se artificiale, funge da guida alla riflessione, permettendo agli studenti di costruirsi un modello che può essere utile in situazioni analoghe. In questo modo arrivano più preparati e producono azioni più mirate verso il raggiungimento dell’obiettivo, monitorando e autoregolando le azioni stesse; – la seconda vede gli studenti, con la supervisione dell’insegnante, applicare insieme la strategia: «Per spiegare una determinata situazione, Marco e Monica formuleranno una tesi, che sottoporranno alla nostra attenzione per convincerci che è l’ipotesi migliore. Quindi risponderanno a tutte le obiezioni e alle domande che via via presenteremo loro». I due alunni possono scrivere alla lavagna la loro tesi e cercare di sostenerle alla luce delle informazioni a favore o contro presentate dai compagni. Dopo aver sostenuto questo esame valutativo, i due alunni passano prima a discutere a voce alta le informazioni trovate e poi alla conclusione, con la decisione finale di confermare la loro tesi, abbandonarla o modificarla accogliendo determinate obiezioni dei compagni. Tutti i ragionamenti dei due compagni, esplicitati a voce alta, vengono seguiti dagli altri compagni che possono intervenire con domande, obiezioni e richieste di chiarimento. In questo modo, i due ragazzi che eseguono il compito fungono da modello di comportamento metacognitivo per gli altri compagni, esplicitando verbalmente quei pensieri che li portano a prendere le decisioni e arrivare a quelle determinate conclusioni. c) L’insegnamento delle abilità sociali Assieme all’apprendimento e alla produzione cognitiva, una parte dell’attenzione viene riservata anche all’apprendimento e alla produzione di nuovi comportamenti sociali o al rafforzamento di quelli in parte già appresi. Nel far questo occorre prestare attenzione ad almeno cinque semplici princìpi (Bandura, 2000): – la discussione: i comportamenti nuovi da apprendere e produrre o quelli da rinforzare vanno definiti e discussi con tutta la classe, cercando di individuare La produzione competente 89 quelli che si vedono e quelli che si sentono. Utile a tale scopo può diventare la costruzione di una tabella di comportamenti bersaglio su due colonne con scritti sulla prima «quelli che sentiamo» e sulla seconda «quelli che vediamo» (Andrich Miato e Miato, 2003); – il riconoscimento: gli studenti imparano a riconoscere i comportamenti sociali oggetto di apprendimento, sia su se stessi sia sui compagni. Utile a tal fine può essere prevedere dei ruoli di osservatore, che possono essere interpretati da alunni che non partecipano direttamente al lavoro di gruppo e annotano su apposite griglie i comportamenti sociali prodotti dai compagni e oggetto dell’unità di apprendimento; – l’intersoggettività: l’insegnante e gli studenti, insieme, possono definire e discutere le abilità sociali da produrre, individuando i comportamenti caratterizzanti in modo intersoggettivo e concordando di produrre quei comportamenti che sono indicatori dell’abilità sociale da apprendere (ad esempio, il comportamento gentile si evidenzia con il sorriso, con cenni di assenso con il capo, con la postura protesa verso l’interlocutore, con parole di incoraggiamento, di disponibilità e di sostegno); – la pratica e il rinforzo: il docente può aiutare i ragazzi a individuare quei comportamenti che caratterizzano l’abilità sociale da apprendere, evidenziandoli nel corso della giornata scolastica su se stessi e sugli altri. L’insegnante può enfatizzarli e rinforzarli con sottolineature del tipo: «Brava Gaia, ho visto il tuo comportamento gentile quando hai sorriso a Silvia»; «Antonio, sei stato gentile ad aiutare Cristian nei compiti rileggendoli e trovando delle inesattezze». d) L’assegnazione di ruoli e la costruzione degli strumenti di monitoraggio e di valutazione Per permettere un efficace lavoro di gruppo, occorre attrezzare gli studenti con strumenti cognitivi e sociali di monitoraggio e di valutazione dei risultati e dei processi attuati. Nell’esempio della produzione di una relazione scientifica che spieghi il perché i cervi delle Alpi stiano aumentando considerevolmente di numero, l’insegnante può attribuire a ciascun membro del gruppo dei ruoli cognitivi e sociali e attrezzare ciascun ragazzo con degli strumenti di monitoraggio dell’obiettivo da perseguire (nel nostro caso, come monitorare la congruenza degli interventi da parte dei membri del gruppo, il rispetto dei ruoli assegnati dal docente e il volume della voce quando si interagisce con i compagni). Un esempio di strumento di monitoraggio degli obiettivi sociali da raggiungere lo possiamo osservare nella tabella 2.3. 90 produrre Tabella 2.3 Griglia di monitoraggio e di valutazione dei comportamenti non funzionali agli obiettivi sociali concordati a livello di coppia Comportamenti scorretti da segnare con una X 1° studente 2° studente 3° studente _______________ _______________ _______________ Totale Saper parlare a voce bassa Saper rispettare i ruoli assegnati dal docente Saper intervenire in modo congruente Numero totale di errori del gruppo Come si può vedere nella tabella 2.3, in ordinata abbiamo gli obiettivi sociali da perseguire, mentre in ascissa il nome dei 3 studenti del gruppo da monitorare: uno dei tre ragazzi osserverà e segnerà i comportamenti scorretti relativi anche al primo obiettivo, mentre il secondo farà la stessa cosa per il secondo obiettivo da raggiungere e così via il terzo. La valutazione di questo monitoraggio viene poi riportata nella terza colonna della griglia di autovalutazione relativa alla produzione di gruppo (tabella 2.4). Tabella 2.4 Griglia per la previsione, l’autovalutazione e la valutazione finale del docente Obiettivi cognitivi Previsione Autovalutazione (ottimo, buono, sufficiente, insufficiente) (ottimo, buono, sufficiente, insufficiente) Valutazione del docente (ottimo, buono, sufficiente, insufficiente) Saper formulare delle ipotesi sulla base delle conoscenze possedute, per poi andarle a verificare nella letteratura scientifica (continua) La produzione competente 91 (continua) Saper leggere, comprendere e sottolineare i concetti chiave dei tre testi scientifici forniti dal docente Saper scrivere una relazione scientifica in modo chiaro e completo seguendo uno schema Obiettivi sociali Previsione di coppia degli esiti (ottimo, buono, sufficiente, insufficiente) Autovalutazione di coppia degli esiti (ottimo, Valutazione del docente degli esiti (ottimo, buono, sufficiente, insufficiente) buono, sufficiente, insufficiente) Saper parlare a voce bassa Saper rispettare i ruoli assegnati dal docente Saper intervenire in modo congruente Criteri valutativi cognitivi: Ottimo = completo: individuate tutte le informazioni più importanti (il 100%). Distinto = quasi completo; individuate quasi tutte le informazioni più importanti (dal 90% al 99%). Buono = abbastanza completo; individuate la maggioranza delle informazioni più importanti (dal 60 all’89%). Sufficiente = sufficientemente completo; individuata un numero sufficiente di informazioni più importanti (dal 50 all’59%). Insufficiente = insufficientemente completo; individuata solo una minoranza di informazioni più importanti (meno del 50%). Criteri valutativi sociali: Ottimo = totale rispetto delle regole concordate (nessuna infrazione). Distinto = quasi completo rispetto delle regole concordate (da 1 a 2 infrazioni). Buono = regole concordate rispettate la maggioranza del tempo (da 3 a 5 infrazioni). Sufficiente = regole concordate rispettate un tempo sufficiente (da 6 a 8 infrazioni). Insufficiente = regole concordate rispettate solo per breve tempo (più di 8 infrazioni). La produzione di un testo storico 107 Le insegnanti hanno anche programmato una «merenda preistorica» in occasione del viaggio d’istruzione dell’intera classe alla località di Molina di Ledro, famosa per i suoi ritrovamenti preistorici e per la ricostruzione a scopo didattico di un villaggio di palafitte, che serve a capire meglio come vivevano gli uomini primitivi, come e cosa mangiavano (per questo motivo sono previsti l’accensione del fuoco con dei materiali rudimentali, la macina del grano, l’impasto e la cottura del pane con il quale fare una merenda preistorica). La produzione cooperativa dei bambini da svolgere insieme (si parla di produzione cooperativa quando ciascun ragazzo ha una parte attiva nel lavoro, con precisi compiti e ruoli) riguarda la realizzazione di un opuscolo illustrativo che servirà a capire meglio sia l’uscita didattica, sia come vivevano gli uomini primitivi. FASE 1: presentazione del contratto formativo, motivazione, condivisione e coinvolgimento attivo dei ragazzi Le insegnanti hanno prospettato alla classe questo lavoro di produzione cooperativa da fare prima dell’uscita didattica a Molina di Ledro (TN), per far capire meglio come vivevano gli uomini primitivi, dove dormivano, come erano organizzati, quali erano i loro strumenti quotidiani, cosa e come mangiavano. Per alimentare la motivazione hanno presentato la sfida cognitiva e sociale ponendo l’interrogativo al gruppo classe su come preparare i genitori e i bambini stessi a capire l’importanza dell’uscita didattica a Molina di Ledro. Ne è nata un’entusiastica discussione che ha portato all’idea risolutiva: «Produciamo un libretto con tutte le informazioni». Insieme si è così iniziato a concordare il contratto formativo, inteso come accordo del percorso da fare per dar vita all’opuscolo informativo sulla vita degli uomini primitivi (chi erano, dove abitavano, come si organizzavano, come si vestivano, cosa mangiavano e come si procuravano il cibo). Le insegnanti, considerando il livello raggiunto dagli alunni nelle varie discipline, hanno suddiviso la classe in sei gruppi eterogenei, composti da tre alunni ciascuno: uno più competente (che assume il ruolo di Storico), uno di medie capacità (che assume il ruolo di Geografo) e uno con maggiori difficoltà apprenditive (che assume il ruolo di Nutrizionista). Le ulteriori variabili che si sono prese in considerazione, oltre alle competenze, sono state quelle di non mettere insieme bambini tra loro imparentati, di dividere le amicizie strette e di fare gruppi misti per quanto riguarda il genere. Ogni gruppo doveva scegliersi un nome e, se voleva, anche un motto identificativo. L’attività cooperativa è durata complessivamente 415 minuti in classe nell’arco di tre settimane, più il tempo dedicato all’insegnamento strategico socializzato, 108 produrre quello della valutazione dell’insegnante, della revisione metacognitiva con il gruppo classe e quello dell’accertamento delle competenze individuali acquisite. Le insegnanti hanno spiegato con parole semplici e chiare gli obiettivi formativi cognitivi, Operazioni metodologiche Chiarire bene perché si propone cioè cosa significa: questa attività e quali obiettivi si a) saper costruire un opuscolo informativo com- vogliono raggiungere. pleto al computer; Chiedere se preferiscono lavorare b)saper costruire un opuscolo informativo corretto da soli o in gruppo. al computer. Chiedere cos’è un «testo storico» Inoltre hanno spiegato anche gli obiettivi formativi sociali, cioè cosa significa: a) incoraggiare la partecipazione dei compagni; b)rispettare il proprio turno di parola; c) controllare il proprio volume della voce. facendo emergere le convinzioni ingenue degli alunni. Chiedere quali sono gli «ingredienti» per far funzionare bene un gruppo. Sottolineare che la composizione dei gruppi viene fatta dal docente a rotazione con l’obiettivo che ciascuno impari a lavorare con tutti. Anche i ruoli vengono assegnati dal docente a rotazione, affinché ciascuno impari a svolgerli tutti. Le docenti hanno enfatizzato i ruoli che ognuno deve interpretare nei gruppi cooperativi per raggiungere gli obiettivi sociali stabiliti (l’Incoraggiatore, il Controllore dei turni di parola, il Controllore del volume della voce) e posto l’accento sull’aiuto reciproco e sull’impegno personale ai quali devono ricorrere per raggiungere positivamente tutti gli obiettivi concordati. Successivamente è stata illustrata la metodologia e l’organizzazione del lavoro di gruppo, comprensiva degli spazi fisici da occupare nella classe («Questo terzetto si dispone in questo punto della classe; quest’altro…»). Lo schema del contratto formativo concordato e adottato dalla classe per l’attività di lavoro cooperativo «Produciamo un opuscolo informativo sulla vita degli uomini primitivi con una merenda preistorica», è stato poi attaccato alla parete della classe (figura 3.1). Produciamo un opuscolo informativo sulla vita degli uomini primitivi FASE 1: Costruzione del contratto formativo (identificazione del problema, motivazione e condivisione; tempo previsto: 30 minuti). Obiettivi formativi cognitivi: – saper costruire un opuscolo informativo completo al computer; – saper costruire un opuscolo informativo corretto al computer. (continua) La produzione di un testo storico 109 (continua) Obiettivi formativi sociali: – incoraggiare la partecipazione dei compagni; – rispettare il proprio turno di parola; – controllare il proprio volume della voce. Metodologia e organizzazione: Lavoro cooperativo metacognitivo con sei gruppi eterogenei di tre alunni. FASE 2: la socializzazione della conoscenza (tempo previsto: 120 minuti) Come scegliere il tipo di opuscolo da realizzare, come trovare le informazioni in gruppo, come stendere la prima bozza al computer e quella definitiva, come monitorare e valutare la completezza e la correttezza dell’opuscolo informativo da scrivere al computer e come monitorare e valutare l’incoraggiamento alla partecipazione, il rispetto del volume della voce e dei turni di parola. FASE 3: la produzione personalizzata del lavoro cooperativo «Produciamo un opuscolo informativo sulla vita degli uomini primitivi con una merenda preistorica» (tempo complessivo a scuola: 365 minuti) FASE 3.0: La previsione degli esiti finali (tempo previsto: 5 minuti) FASE 3.1: «Scelta del tipo di opuscolo da realizzare» (tempo previsto: 30 minuti) 1° alunno: Storico 2° alunno: Geografo 3° alunno: Nutrizionista Incoraggiatore Controllore dei turni di parola Controllore del volume della voce FASE 3.2: «Ricerca delle informazioni e delle immagini» (lavoro auto-organizzato per casa) FASE 3.3: «Scelta, organizzazione e stesura al computer della prima bozza del depliant informativo» (tempo previsto: 120 minuti) FASE 3.4: «Valutazione e correzione della bozza e stesura definitiva completa delle informazioni, della cartina e delle figure» (tempo previsto: 120 minuti) FASE 3.5: «Controllo finale della completezza e della correttezza dell’elaborato e stampa dello stesso» (tempo previsto: 60 minuti) FASE 3.6: L’autovalutazione del gruppo (tempo previsto: 10 minuti) FASE 3.7: La valutazione dell’insegnante (continua) 110 produrre (continua) FASE 4: La revisione metacognitiva (tempo previsto: 30 minuti) FASE 5: Il trasferimento delle conoscenze (tempo previsto: 120 minuti a casa + 30 minuti a scuola per la prova di accertamento individuale delle conoscenze acquisite) Firme degli alunni: Firme degli insegnanti: __________________ _______________________ __________________ _______________________ Fig. 3.1 Schema del contratto formativo d’aula. FASE 2: la socializzazione della conoscenza È la fase che precede il lavoro di gruppo e che serve ad attrezzare gli alunni a interpretare ruoli precisi all’interno del lavoro cooperativo. L’insegnante inizia distribuendo i cartellini di identificazione con i nomi e i ruoli assegnati (sia cognitivi, sia sociali) da appendersi al petto con un ago di sicurezza (figura 3.2): un alunno svolge il doppio ruolo di Incoraggiatore (colui che stimola i compagni alla discussione e valorizza i loro contributi) e di Storico (colui che ricerca le notizie storiche che servono alla realizzazione dell’opuscolo informativo); un secondo alunno del gruppo assume il doppio ruolo di Controllore dei turni di parola (colui che controlla il rispetto dei turni di parola, per evitare che si interrompano i compagni parlando sopra la loro voce) e di Geografo (colui che ricerca le informazioni geografiche utili al lavoro di gruppo, per realizzare una cartina del viaggio da compiere fino a Molina di Ledro e per disegnare la pianta del villaggio palafitticolo); un terzo alunno del gruppo assume il doppio ruolo di Controllore del volume della voce (colui che monitora il volume di voce utilizzata da tutti e tre i componenti del gruppo per parlare) e di Nutrizionista (colui che ricerca le informazioni sul corretto modo di mangiare degli uomini primitivi). ABINASH FRANCA paolo STORICO Incoraggiatore geografo Controllore turni nutrizionista Controllore voce Fig. 3.2 Cartellini di identificazione con i nomi e i ruoli assegnati. Per capire e attrezzare meglio il ruolo di Incoraggiatore degli alunni con questo ruolo, viene costruita dall’insegnante insieme a tutta la classe una carta a «T» per