Roberto Valandro IL MOVIMENTO FUTURISTA A MONSELICE Opuscolo distribuito in occasione della presentazione dell’opera Corrado Forlin e il gruppo futurista Savarè curato da Alberto Cibin Biblioteca di Monselice - 15 giugno 2013 Castello di Monselice Questo opuscolo e altre notizie in www.ossicella.it UN BREVE MEMORIALE Il Movimento Futurista ha vissuto qui a Monselice un’intensa e, alla fine, drammatica stagione a partire dai secondi anni trenta, quando ormai i primi grandi protagonisti (Balla, Boccioni, Severini, Soffici, Depero) erano o scomparsi o disimpegnati per l’intreccio politicoideologico apparentemente succube dell’imperante regime fascista. Il movimento è stato tuttavia rivalutato in pieno sul piano non solo artistico e anche i nostri due maggiori esponenti Corrado Forlin e Italo Fasolo, ‘Fasullo’ per il fondatore Filippo Tommaso Marinetti, meriterebbero di continuare a vivere con le loro opere nella memoria cittadina, magari offrendo agli eredi una collocazione di prestigio, pubblicamente fruibile. Il mio incontro con i Futuristi si è incrociato con episodi in apparenza marginali: una minuscola antologia di Fasullo e Forlin collocata nella navata minore del S. Paolo a cura di Guido Paglia; la firma autografa del Marinetti scoperta in un album fotografico ove era registrata la presenza delle autorità in visita al ‘Solarium’ voluto da Vittorio Cini alle falde meridiane del Monte Ricco; l’amicizia con Franco Scarso, pittore amatoriale ma dotato d’una tecnica sicura e redditizia sul piano paesaggistico, che mi raccontò come avesse partecipato, davvero imberbe, alla terza mostra futurista monselicense del 1938, conservando religiosamente l’opericciola esposta; i ricordi, infine, di Vittorio Rebeschini, legati soprattutto all’attività poetica di Riccardo Averini. Nel frattempo sono accaduti due eventi decisivi: la rassegna del Futurismo veneto ospitata in Padova presso il Palazzo del Monte (1990) e la mostra vicentina (1999) dedicata espressamente al gruppo futurista ‘Boccioni’ di Verona e al monselicano ‘Savarè’. Dai cataloghi editi per l’occasione ricavo notizie e appunti critici a sottolinearne il valore storico-culturale davvero eccezionale pel piccolo mondo nostrano. Se il Movimento Futurista ha scontato in ambito critico-storiografico il proclamato connubio col Fascismo, a distanza di quasi un secolo dal ‘Manifesto’ lanciato a Parigi nel 1909 da Marinetti la visione s’è fatta più chiara e meno condizionata dalla necessità di esecrare il ventennio dittatoriale e quanto in esso è accaduto o ha vissuto. Scrive A. Ortenzi: «Marinetti e Mussolini furono amici, ma Mussolini non favorì mai un’arte di stato, che non avrebbe comunque potuto essere il Futurismo». E se fino a ieri parlare male del Futurismo era obbligo ‘morale’ oltre che ideologico, oggi è possibile comprendere meglio pure la dimensione del ‘Futurismo di guerra’ cui si ispiravano i giovani del Savarè, «con slanci utopici che erano anche il frutto, da una parte, di una profonda e sincera vis poetica e, dall’altra, di una strutturale mancanza di strumenti critici per poter capire l’errore ‘storico’ della posizione italiana d’allora». Quando il gruppo Savarè venne fondato nel 1936, occorre rammentare che quello fu l’anno della proclamazione dell’Impero e delle sanzioni internazionali per cui l’isolamento, al quale venne costretta l’Italia da parte delle nazioni democratiche, si fece sentire in particolare a livello culturale. Nel novembre del ’36 la Società delle Nazioni aveva votato sanzioni economiche contro l’Italia, rivelatesi del tutto inefficaci, ma ciò permise a Mussolini di lanciare la politica dell’autarchia. L’annuncio della dichiarazione di guerra contro il negus Hãylã Sellãsë era stato dato ai primi d’ottobre e subito «…Monselice si riversa ai posti di concentramento, come se il fremito e palpito di vita nuova desse istantaneamente un impulso formidabile a tutti i cuori… tutti hanno cessato il lavoro, officine, stabilimenti, negozi… Gli operai dei campi di corsa hanno raggiunto i loro sindacati… Così la piazza Vittorio Emanuele… nereggiante di folla aspetta il discorso del Duce». Il frammento di cronaca giornalistica, non so quanto veritiero, esprimeva comunque il punto di vista di quanti credevano nella ‘eroica’ impresa e il fascio locale si mobilitò all’istante per sollecitare la partenza dei volontari, mossi in concreto più dalla miseria che da una convinta ‘fede’ fascista. 2 I nostri futuristi erano in gran parte poco più che ventenni e si gettarono con grande entusiasmo in un’attività creativa che sembrava in sintonia con la dinamicità di un ideale artistico trionfante, mentre l’Italia era proiettata tra le grandi potenze europee, capace di costruire città (Carbonia) e di imporre la propria aeronautica alla meravigliata attenzione internazionale. L’aereo, lo sappiamo, rappresenta uno dei soggetti preferiti della poetica futurista e gli artisti del Savarè amavano proclamarsi ‘aeropittori di guerra’ e l’aeropittura ne animava lo spirito e la vitalità «anche senza trattare in particolare i consueti temi aviatori, ma comunicando un senso ardente di slancio, la comunione tra cielo e terra, la ‘simultaneità di spazio e tempo’ ìnsita nell’idea di conquista, di futuro, di progresso». Ma osserviamo più da vicino la cronaca monseliciana di quegli anni fermentanti nonostante le secche di una dittatura che si andava sempre più imbarbarendo (basti pensare alle leggi razziali del 1938), sospingendo gli italiani verso la tragica catastrofe bellica. Il Savarè nasce dunque il 12 luglio del ’36 e lancia nel settembre la prima mostra ideata da Forlin e Fasolo, ribattezzato Fasullo da Marinetti quando, a dicembre, arriva a Monselice per l’ufficiale consacrazione del gruppo intitolato al tenente Gioacchino Savarè, oscuro poeta futurista monseliciano morto combattendo ‘eroicamente’ nel ’35 in Africa orientale. Il tono propagandistico e di regime delle prime manifestazioni si coglie anche nell’autoproclamazione di ‘aeropittori d’Africa e Spagna’ e, più oltre, di ‘aeropittori di guerra’. Nel maggio del ’37 ecco la seconda mostra esporre aeropitture, sculture, fotografie e filoplastiche, ma è la terza, inaugurata nel gennaio 1938, a segnare il vero decollo nazionale. Oltre una decina gli espositori, non solo conterranei, e la mostra si fa itinerante toccando Adria, Legnago, Cagliari, suscitando nel frattempo adesioni da Milano, Adria, Vicenza, Padova, oltre che radunare un manipolo di giovani monselicesi: Riccardo Averini, Rolando e Onofrio Dainese, Ferruccio Ganzarolli e Giuseppe Dall’Angelo. L’agosto dello stesso anno vede tutti gli adepti protagonisti di una ‘serata di poesia’ all’ombra della Rocca volendo celebrare il terzo anno di vita e il crescente successo del gruppo, sottolineato dalla presenza di Forlin e Fasullo in tutte le Biennali di Venezia e nelle Quadriennali romane dal ’36 al ’43, mentre s’accresce parallelamente l’impegno politico. Il 10 giugno 1940 «in una storica adunata,nella piazza di Monselice gremita di folla con canti patriottici e fascisti inneggianti alla guerra, il gruppo Savarè sollecita l’arruolamento volontario ottenendo moltissime adesioni». Uno striscione futurista accoglie il Duce 3 L’acme viene però raggiunto con la settima mostra, prevista per l’ottobre successivo e con l’attesa partecipazione di Marinetti e del Duce. «Per quell’occasione le 62 opere esposte (tutte di Forlin, Fasullo e Zen) vengono posizionate lungo le vie della città così, quando finalmente Mussolini giunge a visitare la mostra, tutta Monselice è tappezzata di opere futuriste. ‘Duce Sintetico’, ‘Duce a cavallo’, ‘Iconografia di Mussolini’, ‘Il creatore di Carbonia’, ed altri simili, sono i titoli ricorrenti, il che lascia ben intuire della china ormai intrapresa dal gruppo, china che lasciava sempre meno spazio alla creatività futurista, impegolandosi sempre più in operazioni di sola propaganda di regime e del culto della personalità». Annotava un cronista de ‘Il Resto del Carlino’: «Davanti a Mussolini in piedi nell’automobile appare il ‘Duce Sintetico’ sei metri per quattro che copriva la facciata di una casa…». Italo Fasullo, Duce sintetico, (cm 145x98) Il trasferimento della mostra alla fiera di Padova favorisce la pubblicazione di un catalogo con scritti e poesie, tra gli altri, di Riccardo Averini ed Elio Morato di Este. Seguono poi ulteriori mostre e convegni: in uno di questi il Forlin declama ‘Gavetta’, un poema dedicato ai fanti padovani, e nel ’42 il Savarè vive l’ultima grande fiammata con l’inaugurazione a Monselice della ‘Centrale Futurista’, l’estremo baluardo del Futurismo di guerra marinettiano, avente lo scopo di inviare sui vari fronti pubblicazioni e poesie futuriste. Siamo ormai all’epilogo. Marinetti in ‘Da Monselice’ si rivolge ai combattenti, li chiama eroi che l’Italia ammira e li incita a combattere; Forlin intanto è richiamato alle armi alla fine del ’42, parte per la Russia e da lì non tornerà più; Fasullo viene catturato in Istria nel ’43 dai tedeschi e forse muore durante un assalto di partigiani jugoslavi; Riccardo Averini, tornato dalla guerra, si dedicherà in Roma alla carriera diplomatica; Ferruccio Ganzarolli, in crisi col regime fascista, passa tra i partigiani garibaldini mentre di Giuseppe Dall’Angelo, il propagandista del gruppo, forse prigioniero degli inglesi, si perderanno le tracce. È «la fine di un gruppo di giovani 4 artisti abbagliati da parole come Arte, Eroismo, Italia e, tutto sommato, ingenuamente ammalati di fascismo». Così, chi ha definito il Savarè un gruppo che si muove a stretto contatto con i sindacati fascisti, facendone parte, un gruppo costellato dalle visite sporadiche di Marinetti e da piccole manifestazioni senza sussulti che non siano quelli dell’alzarsi delle braccia nel saluto romano, forse s’è lasciato catturare solo dagli aspetti esteriori e dai proclami contenuti nelle pagine scritte, senza cercare di penetrare più in profondità, al di là delle effimere coreografie di contorno, nell’anima artistica delle opere, il lascito vero e duraturo dei Futuristi nostrani. D’altra parte i fondatori erano morti in guerra, come Boccioni volontario nella prima guerra mondiale, e quando giunse la notizia della fine del tenente Savaré, il padre veterano del ’15-’18 ripartì per l’Africa deciso a ‘vendicare’ la morte del figlio, cadendo lui stesso in combattimento. L’ottocentesca idea decadente della vita che si fonde e si risolve nell’arte «aveva trovato in questi artisti combattenti un’ultima risposta, crudele, incomprensibile oggi, risibile, persino». Il motto del Forlin ‘Niente scissione tra arte e politica’, unito al desiderio di «accrescere con l’arte il fervore degli elementi», e di «lanciare l’Italia nel Mediterraneo come una corazzata», rappresenta molto bene il ‘futur-fascista’ autoproclamatosi pure ‘battaglista’, intendendo con ciò indicare l’artista capace di rendere simultaneamente il dinamismo e il fragore della battaglia, vale a dire la sua lirica trasfigurazione. Per ciò se il critico Carlo Bo nella monumentale ‘Storia della Letteratura italiana’ riedita da Garzanti (2001) parlava ancora, a proposito di Marinetti e dei suoi seguaci, di ‘bilancio fallimentare’, oggi un giudizio così tagliente e perentorio va decisamente ridimensionato, tanto più che sono state percorse proprio le vie tracciate da Filippo Tommaso: l’epopea della macchina, l’era dell’aviazione, l’immaginazione di un’arte ‘policentrica e polimerica’ caratterizzante le correnti contemporanee, mentre profetizzava ogni trasformazione dell’uomo moderno: «Dopo il regno animale ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l’amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono che conoscere le reazioni fisicochimiche, noi prepariamo la creazione dell’uomo meccanico dalle parti intercambiabili». Parole che non abbisognano davvero di ulteriori commenti, non senza aver prima espresso un rammarico: di tutta la vasta produzione letterario-propagandistica del gruppo Savarè non esiste traccia o quasi nella nostra Biblioteca comunale erede del defunto Gabinetto di Lettura, come del resto sono scomparse le pubblicazioni legate al ventennio fascista, in particolare all’attività trilustre del podestà Annibale Mazzarolli, una damnatio memoriae comprensibile all’indomani della Liberazione, non certo giustificabile agli occhi della storia. A sinistra: Franco Scarso, Nella soffitta 5 ITALO FASOLO/FASULLO (Monselice 1912 – Istria 1943) Figlio di un pasticciere (famosi i suoi biscotti), dopo aver frequentato la locale Scuola di avviamento commerciale, si iscrive all’Istituto artistico padovano ‘Pietro Selvatico’. Dipinge per passione, ma è attratto di più dalla macchina fotografica, dagli strumenti ottici e dalle scienze occulte. Fascista «idealista e romantico» (T. Merlin), in conflitto col padre socialista, nel ’35 parte volontario per l’Africa nel corpo dell’aeronautica. Nel ’36 torna a Monselice dove, il 12 luglio, fonda col Forlin il gruppo futurista ‘Savarè’. Partecipa a numerose mostre, ottiene critiche lusinghiere, ma il mestiere di pittore si rivela un totale fallimento dal punto di vista economico (‘rubava’ alla madre le lenzuola che trasformava in tele). Nel 1940 è richiamato alle armi, aggregato al XXXII battaglione territoriale di stanza in Friuli, trasferito poi a Pisino in Istria, ‘disperso’ dopo l’8 settembre 1943. Più distaccato dalla frenesia propagandistica del ‘Savarè’, Italo Fasullo, anche nelle opere superstiti, appare interessato alla scienza e all’osservazione al microscopio, prediligendo «vedute cariche di accento onirico che, con uno stile tutt’altro che ‘ardentista’ e invece minuzioso, lo avvicinano piuttosto a certa pittura surrealista», senza tuttavia trascurare, è ovvio, le suggestioni boccioniane in ‘Simultaneità cerebrale’ e ‘Mitragliamento aereo’, o l’aeropittura di guerra ne ‘La battaglia di Sassabenech’, dove la connotazione futurista si mostra, nel concreto, piuttosto labile. Le sue pitture meglio riuscite rientrano indubbiamente nella tematica più originale, quella ‘scientifica’, con tele come ‘L’eternità di Marconi’, ‘L’eternità di Galileo’ o il ritratto dell’astronomo Mattana, fluttuanti «in una dimensione onirica surreale, entro luminescenze notturne e misteriose». In alto: Fasullo all’opera A destra: Italo Fasullo, Guerra Batteriologica, 1938 6 CORRADO FORLIN (Monselice 1912 – Russia 1943) Scalpellino, autodidatta, debitore di una formazione eterogenea ma ricca di stimoli, s’innamora del Futurismo grazie al libro di Umberto Boccioni ‘Pittura, Scultura futurista’. Di carattere vivace e volitivo, instancabile organizzatore, trova in Padova stimoli concreti per il suo progetto fondativo. Qui il primo gruppo futurista era nato nel 1926 animato da Dino Vittor Tonini, rinnovatosi nel ’31 grazie all’azione di Carlo Maria Dormal e Quirino De Giorgio, presenti entrambi nel ’38 alla terza mostra monseliciana del gruppo futurista ‘Savarè’, trainato dalle personalità artistiche di Forlin e Italo Fasullo. Le opere di maggior impegno di Corrado risalgono infatti al biennio ’37-’38; fra le tele più significative vengono indicate ‘Simultaneità del Poema africano di Marinetti’, ‘Splendore simultaneo del Palio di Siena’ e la scultura ‘Dinamismo di una famiglia’; nel 1940 egli lancia un proprio manifesto sull’ardentismo in pittura, «una poetica in cui le macchie e le chiazze di colore che devono solidificare l’atmosfera prendono il posto delle campiture dinamizzate dalle tipiche scomposizioni futuriste delle opere precedenti». Al nuovo linguaggio s’ispirano lavori come ‘Ardentismo di aviatori’ e ‘Ardentismo di capo futurista a cavallo’, determinando nell’artista la costruzione di uno stile «personalissimo, via via sempre più apparentato con l’espressionismo astratto piuttosto che col Futurismo», una sorta di sintesi cromatica e spaziale che riportava la composizione futurista alle sue origini divisioniste. Scriveva lo stesso Forlin, offrendoci il suo contributo teorico più importante: «Tutto ciò che in pittura non brucia ha torto, agonizza, tende alla morte, alla noia… L’ardore acceso nella scelta dei colori nei loro toni inventati e nel modo di distribuirli sulla tela è la principale virtù di un’opera pittorica; creerò aeropitture in un certo modo paragonabili a ingranaggi di sfere e piastre di metallo infuocato che per virtù di calore si mettano in movimento e velocità…». Le tematiche forliniane, e lo si desume dai titoli delle sue opere, al di là del rinnovamento della poetica pittorica, continueranno ad essere ‘avvinte’ all’impegno politico-ideologico, fino a quando, richiamato alle armi verso la fine del ’42, partirà per la Russia senza più far ritorno nella piccola patria monselicense. In alto: Corrado Forlin A destra: Corrado Forlin, Splendore simultaneo del Palio di Siena, 1937 7