1 Indice Pag. 3 Prefazione di Arianna Censi pag. 5 Il circolo virtuoso tra il tema della conciliazione e il tema della rappresentanza, Marina Piazza pag. 30 Il progetto Equal “Agenda dei territori per la conciliazione”: la sperimentazione di iniziative a favore di un equo bilanciamento dei tempi di lavoro e famiglia, Marina Cavallini pag. 34 Figli Sì Grazie: un progetto innovativo per conciliare famiglia e lavoro, superando le rigidità organizzative e valorizzando le donne, Maria Cecilia Scaldalai pag. 38 Appendice: - Normativa di riferimento - Informazioni e osservazioni su nuove disposizioni normative che riguardano le politiche di conciliazione, Sisa Biadene - Allegato A: le nuove disposizioni normative introdotte dalla Legge Finanziaria 2007 - Road Map 2006-2010. Una tabella di marcia per la parità fra le donne e gli uomini (sintesi) - 2007. Anno Europeo delle Pari Opportunità per tutti - Riferimenti bibliografici sul tema della conciliazione 2 Prefazione Arianna Censi∗ Diritti, rappresentanza, riconoscimento e rispetto sono i temi chiave del 2007, Anno Europeo per le Pari Opportunità per tutti. Un anno intenso, improntato alla promozione dell’uguaglianza tra donne e uomini, contro ogni forma di discriminazione. Vorrei che il 2007 rappresentasse il punto di svolta per la vita delle donne, garantendo a tutte le cittadine condizioni più favorevoli nei diversi ambiti – nel mondo del lavoro, nella ricerca, nella cultura, nella politica e nella dimensione affettiva – per costruire una società più giusta e solidale, senza sbarramenti e disuguaglianze sociali. Vorrei che dal 2007 le donne fossero più consapevoli del loro diritto all’uguaglianza e si alleassero per contrastare quella cultura della discriminazione che ancora oggi ostacola la presenza femminile ai vertici della società. Vorrei che il 2007 servisse a stimolare il dibattito e a trovare strumenti legislativi più moderni per aumentare la rappresentanza femminile nella collettività, nelle istituzioni e nella politica. Vorrei che quest’anno venissero riconosciute e accettate le diversità, nel rispetto e nel riconoscimento dell’altro per promuovere una società più coesa. Una società capace di cogliere le opportunità offerte dagli innumerevoli talenti femminili è in grado di guardare avanti, raggiungendo livelli di sviluppo più alti e diffusi, senza escludere le donne dalla possibilità di accedere a risorse, servizi e diritti. A farci da guida in questo difficile e lungo cammino sarà la Road Map, il documento pubblicato dall’Unione Europea per combattere la disparità tra uomini e donne, sia a casa che sul lavoro. Il traguardo europeo per colmare il gap tra i generi è fissato al 2010 ed entro quella data ogni Stato membro dovrà avere raggiunto un livello retributivo più equo per gli uomini e per le donne, un tasso di occupazione femminile del 60% e la parità di accesso alle carriere politiche e professionali. In Italia scontiamo un ritardo molto forte: il mercato del lavoro è squilibrato (il tasso di occupazione femminile è fermo al 45%, ma è nelle regioni del Sud che assistiamo allo squilibrio più forte tra l’occupazione di uomini e donne) e solo l’0,8% delle dipendenti accede a posizioni manageriali. ∗ Consigliera delegata alle politiche di genere, Provincia di Milano. 3 Sono cinque le azioni prioritarie indicate nella Road Map per i prossimi anni. L’indipendenza economica delle donne e la conciliazione dei tempi nella vita professionale, familiare e privata; la rappresentanza nelle assemblee elettive e nei luoghi decisionali; lo sradicamento di ogni forma di violenza e tratta di esseri umani basata sul genere; l’eliminazione degli stereotipi uomo-donna nella società; la promozione dell'eguaglianza tra i sessi all'esterno dell'Unione Europea. Conciliazione e rappresentanza sono i due temi che la Provincia di Milano ha scelto per ricordare l’8 marzo di quest’anno e per promuovere una conoscenza più diffusa delle azioni positive in programma per l’Anno Europeo. L’8 marzo è anche la data di promulgazione della legge 53 sulla conciliazione dei tempi, promossa nel Duemila dall’allora ministra per la Solidarietà sociale Livia Turco. La legge fissa sulla carta una serie di disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città. La conciliazione e la condivisione permettono alle donne e agli uomini di realizzare un percorso di vita più vicino alle proprie aspirazioni, continuando a lavorare senza dover rinunciare alla nascita di un figlio, alla cura di un proprio familiare, alla formazione continua e alle necessità di coltivare le proprie passioni. La legge, però, traccia anche una linea importante, purtroppo ancora poco recepita dalle aziende e dai lavoratori uomini, che dà ai padri la possibilità di avere dei permessi parentali per conoscere il proprio figlio, compiere un’esperienza affettiva straordinaria e, soprattutto, di condividere il carico familiare che ancora troppo frequentemente grava sulle spalle delle donne. Occorre un lavoro culturale profondo per consolidare la condivisione dei ruoli all’interno della famiglia, uno dei numerosi spartiacque che consentono alle donne di avere più tempo da dedicare al lavoro, ai propri interessi e all’impegno politico. Esiste un legame forte tra la conciliazione dei tempi e la rappresentanza politica. Quando le donne verranno messe in condizione di non dover sacrificare una parte della propria vita potranno essere più presenti sulla scena politica, ma è solo con una rappresentanza delle donne più ampia e più forte all’interno delle istituzioni, ai vertici del mercato economico e in tutti i luoghi dove vengono assunte le decisioni che si potrà raggiungere quella massa critica che spingerà la politica a cambiare le regole del gioco. Perché i talenti e i saperi delle donne sono una grande opportunità di crescita e sviluppo per tutta la società. 4 Il circolo virtuoso tra il tema della conciliazione e il tema della rappresentanza Marina Piazza∗ Perché propongo queste due parole – conciliazione e rappresentanza – come le parole chiave attorno a cui ruota la mia relazione? Perché vengono messe insieme? Lo dirò così: perché credo che non ci possa essere valorizzazione delle competenze femminili – che considero la base portante di una rappresentanza reale, sostanziale, non puramente formale, di facciata, rispondente al “politically correct” – senza un sistema di conciliazione parallelo, ma credo anche che il sistema di conciliazione non proceda, non avanzi, non trovi nuove strade se non c’è una presenza femminile ai vertici che creda davvero in questo sistema, che lo consideri vitale per le donne, gli uomini e la stessa organizzazione del lavoro, che ne faccia l’asse del proprio operato, che non corra il rischio di trasformare la conciliazione in una deriva di risegregazione e di marginalizzazione del lavoro femminile. Farò un esempio: un’indagine del 2005 della Camera di commercio di Milano su 1536 imprese italiane sottolinea che da una parte le donne sono considerate una risorsa con grandi potenzialità (alla domanda affiderebbe un ruolo di responsabilità a una donna il 66% risponde di sì perché le donne sarebbero più affidabili e più determinate), ma il 77% risponde anche che la maternità interviene come fattore negativo per la minore disponibilità, la minore motivazione sul lavoro, le troppe assenze. Dunque le aziende riconoscono alle donne maggiori e più sottili competenze ma richiedono comportamenti sul lavoro “maschili”: più dilatabilità di orari, più mobilità, più “fedeltà”. Le aziende dunque non imputano alle donne la mancanza di competenze, fanno risalire le difficoltà alla mancanza di servizi, alla scarsa accoglienza sociale della maternità. E’ tutto vero naturalmente, ma è anche vero che le aziende stesse – che si chiamano fuori – contribuiscono non poco a irrigidire la domanda di lavoro perché la flessibilizzazione finora in atto si invera piuttosto nella flessibilizzazione delle modalità del rapporto di lavoro (lavoro a tempo determinato, interinale, intermittente, a progetto, a partita Iva) che nella flessibilizzazione favorevole degli orari (part time reversibili, ai livelli anche alti ecc.). ∗ Sociologa, Presidente di Gender. 5 Di questa presa di posizione delle aziende possiamo sottolineare l’elogio astratto delle competenze, elogio che si basa sulle capacità, sulla mente, non sui soggetti in carne ed ossa, sulla complessità e differenziazione delle loro vite e delle loro identità, che come risulta sempre più chiaramente, soprattutto nelle donne più giovani, sono basate su due pilastri inscindibili: la realizzazione di sé nella vita affettiva e la realizzazione di sé nella vita professionale. E non mi sembra un grande sforzo quello di riconoscere capacità e qualificazione alle donne da parte delle imprese visto che la realtà delle nuove generazioni (più scolarizzazione, più buone performances anche e soprattutto ai livelli alti) fa sì che si possa dire che quel capitale umano su cui si gioca la sfida della crescita e della competitività globale, è formato in maggioranza da donne. E ci si potrebbe porre la domanda: quanto capitale umano viene dissipato all’ombra di politiche istituzionali e di impresa che ancora non “vedono” la differenza femminile, non attivano misure di conciliazione, non approntano servizi? Allora la posta in gioco deve essere alta se, pur di riaffermare il peso aggiuntivo che le donne portano in azienda con la loro doppia presenza, le imprese corrono il rischio di perdere risorse preziose. Qui dunque si gioca la partita ed è una partita che non tocca solo la qualità e la quantità dell’occupazione femminile, che non tocca solo i livelli di natalità nel nostro paese, o le conformazioni familiari, ma riguarda l’intero sistema di produzione del paese, il suo livello di crescita e di competitività. Da un insieme di indicatori messi a punto dall’Unione Europea si può ricavare un quadro complessivo di fattori che incidono sullo scenario economico e sociale dei diversi Paesi membri. I Paesi che hanno una copertura di servizi più bassa, che presentano una minore disponibilità dei padri a prendere congedi parentali, dove le donne hanno un maggior carico di lavoro domestico, dove insomma appare più lontana la definizione di un nuovo patto sociale di genere, sono anche quelli con i tassi di occupazione femminile più bassi (ad eccezione del Portogallo) e con un tasso di natalità inferiore. E’ la fotografia dell’Italia. Come rispondere a questa sfida? L’Unione Europa ha cercato di rispondervi mettendo a punto una strategia che ha chiamato di conciliazione, intendendo per conciliazione la predisposizione di direttive, informative, raccomandazioni, suggerimenti ai Paesi membri perché adottino misure che sostengano la combinazione di lavoro pagato e responsabilità di cura e tutte le strategie tese a conciliare le domande oppositive di tempo, al fine di rendere meno drammatico il conflitto sul tempo nella vita quotidiana. 6 Si assume, come base teorica delle azioni politiche, che il piano di intervento a favore dell’occupazione non possa essere separato da dimensioni più larghe, quali il piano della famiglia, dei servizi sociali, dei tempi e degli orari. Deve essere quindi in grado di tenere insieme – a causa della presenza delle donne nel mercato del lavoro e per favorire la presenza delle donne nel mercato del lavoro – piani finora pervicacemente separati. L’obiettivo di rendere compatibili le due presenze – sulla scena del lavoro familiare e professionale – diventa dunque tema di una domanda sociale che ha necessità di una risposta sociale, che non sia dunque soltanto affidata alle virtù equilibristiche dei singoli soggetti, in particolare delle donne. Gli elementi che appaiono innovativi nella filosofia della Commissione europea sono, da un lato, il riconoscimento implicito che il tema della conciliazione deve essere trattato non soltanto attraverso la legislazione (raccomandazioni, direttive, ecc.), ma che va soprattutto monitorata e evidenziata la sperimentazione sul campo, affidata ai partners sociali e agli accordi contrattuali; dall’altro la sottolineatura insistita che non è questa una questione di donne, come è sempre stata, ma una questione di donne e uomini. Un patto sociale di conciliazione chiama dunque in causa attori diversi, piani diversi, istituzioni diverse proprio per la complessità e la trasversalità delle sue misure, che abbracciano tutte le politiche che riguardano la vita quotidiana, di donne e uomini. Potremmo dunque definire il sistema di conciliazione come un ecosistema che si basa su tre sistemi complessi che debbono trovare delle interazioni positive: - da una parte i singoli individui -donne e uomini- considerati nella pluralità delle loro scelte, relazioni e bisogni familiari. Quindi le politiche devono andare nella direzione di aumentare la condivisione del lavoro familiare tra uomini e donne; - dall'altra aziende e luoghi di lavoro con i loro sistemi di orari più o meno rigidi. Quindi le politiche aziendali devono andare nel senso di una maggiore flessibilità che risponda non solo alle esigenze delle aziende, ma anche a quelle degli uomini e delle donne che vi lavorano e con sistemi di supporto che liberino tempo (nidi, asili, mense, ecc.). Seguendo il principio-base che la soddisfazione del cliente esterno passa per il benessere dei clienti interni, cioè dei propri dipendenti; - dall'altra ancora la città e il territorio circostante con il complesso dei servizi erogati dal pubblico, dal privato e dal no profit, con i trasporti per la mobilità, ecc. Quindi le politiche devono andare nella maggiore concertazione possibile guidata dal soggetto pubblico. 7 Tre sistemi che debbono riconoscere la convenienza e la necessità di interagire perché il sistema di conciliazione è un ecosistema complesso, in cui proprio la necessità di interrelazione induce l’emergere di conflitti non solo all’interno dei singoli sistemi, ma anche tra i sistemi stessi. Perché se mettiamo al centro dell’intervento pubblico il tema della conciliazione, bisogna scrollarsi di dosso il malinteso che la conciliazione sia in funzione soltanto della maggiore occupazione o occupabilità delle donne, una sorta di ulteriore tutela al ribasso, come a volte è stata interpretata. E’ questa una visione ristretta e utilitaristica – nata da una lettura “ristretta” della strategia europea e soprattutto dalla spinta di base che l’ha animata e dalla “trasmissione” che ne ha fatto in Italia il Libro Bianco. Questa visione fa della conciliazione uno strumento “ a valle” per permettere alle donne di accedere e restare sul mercato del lavoro, consentendo loro di “tenere” i loro diversi compiti. Il problema sarebbe allora quello di far “quadrare” il tempo delle donne perché tutto – lavoro retribuito, lavoro gratuito familiare, assistenza a bambini e anziani, tempi di riproduzione ecc. – possa essere contenuto nelle ventiquattro ore di una giornata. In questo caso, il dilemma della conciliazione tra lavoro e famiglia è percepito soprattutto come “problema femminile” e si riflette in uno specifico pattern occupazionale, il part-time. Infatti, nella media europea, il 37% delle donne responsabili della cura dei figli lavorano a part-time a fronte del 17% delle donne che non hanno questa responsabilità. E’ questa una visione che presenta forti rischi di marginalizzazione e di risegregazione delle donne, senza intaccare la tradizionale divisione dei ruoli. In realtà questa concezione non è attribuibile all’Europa – o forse ne è stata la spinta iniziale, che poi si è evoluta - perché l’acquis comunitario sostiene che le politiche di conciliazione sono politiche per stabilire un nuovo patto sociale di genere, che riguardano dunque donne e uomini, che riguardano tutta la costruzione sociale, a partire dalle strategie individuali e familiari per arrivare alle misure all’interno delle aziende e delle organizzazioni, per approdare al territorio, con una politica di servizi mirata e una strategia per i tempi della città. Mi soffermerò in particolare sul secondo sottosistema, ma è necessario fare qualche breve accenno anche agli altri. Il primo sottosistema: le relazioni di scambio tra donne e uomini nel lavoro di cura. Non è un caso se tra le misure auspicate per favorire la conciliazione abbia un posto fondamentale nella strategia europea la promozione della condivisione del lavoro di cura tra uomini e donne. 8 Nella relazione del febbraio 2005 della Commissione delle Comunità Europee sull’uguaglianza tra donne e uomini al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, un paragrafo (3.3) è esplicitamente dedicato a questo tema, con il titolo “Rivolgersi agli uomini per raggiungere l’uguaglianza dei sessi”. Vi si afferma che “la promozione dell’uguaglianza tra le donne e gli uomini implica cambiamenti sia per gli uomini che per le donne” e che per favorire tali cambiamenti “gli Stati membri e le parti sociali devono lanciare azioni di sensibilizzazione per incoraggiare gli uomini a condividere le responsabilità in materia di custodia dei figli e delle altre persone dipendenti”. E tra le cinque direttive stabiliti dal Gruppo tematico europeo per i progetti Equal sulle pari opportunità nel 2005, si può annoverare quella chiamata Farewell to the cave man (“Addio all’uomo delle caverne”). Temi recepiti nell’ultima direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio del 5 luglio 2006, che diventa un testo unico delle disposizioni esistenti. Dunque l’attenzione alla presenza maschile nel lavoro di cura e alla condivisione tra uomini e donne non è un tema “culturale” a latere, la ciliegina che si può mettere sopra la torta per abbellirla, ma che non tocca la sostanza delle altre disposizioni in materia di conciliazione nelle aziende e nel territorio. Vorrei sostenere che è la base fondante, in un certo senso contemporaneamente il fondamento delle politiche di conciliazione e l’obiettivo strategico perché rimanda a un diverso assetto sociale, perché mette in atto una partita che non riguarda solo le donne, ma la definizione di una nuova mappa del welfare, attenta ai bisogni e alle strategie individuali di uomini e donne, impegnati a vivere e muoversi nella società in una situazione di “stabile incertezza” dovuta alle trasformazioni delle identità individuali e alle trasformazioni epocali nell’organizzazione del lavoro. Incertezza e ambivalenza delle donne come impossibilità di “stare da una parte sola”, come riconoscimento del fatto che la propria identità è costruita su due pilastri: la realizzazione di sé nella vita affettiva/familiare e la realizzazione di sé nella vita professionale o comunque nel raggiungimento di un’autonomia economica. E come accettazione consapevole che non si può scegliere tra due parti fondamentali di sé. Ma ambivalenza – seppure in tono minore e meno drammatico – anche per gli uomini, che cominciano a svelare segni di stanchezza sull’imperativo di continuare a giocare la parte in commedia, nel ruolo di quelli che vivono da una parte sola, nell’ambito lavorativo, di quelli che per essere breadwinner si sono trasformati in rottweiler, senza anima e compassione. 9 Bisogna allora capire come queste identità e strategie individuali, questo mettere insieme i pezzi, anche questo lavoro dell’intelligenza possano situarsi all’interno di una cornice di senso collettivo, che li interpreta e li accompagna. Ma come si affronta questo tema? Come si può portare gli attori in campo a un maggiore livello di consapevolezza della complessità, ma anche della strategicità della partita, di cui è parte fondante la condivisione del lavoro di cura? Credo si possano individuare tre aree di intervento su questo tema: La prima è l’area dell’intervento legislativo. Vorrei solo accennare all’importanza dell’accompagnamento delle leggi in vigore. La legge 53/2000 interviene con disposizioni innovative sulla fruizione dei congedi parentali, in particolari favorevoli ai padri (congedo come diritto individuale, possibilità di diluire i congedi su i primi otto anni di vita del figlio/a, un mese in più dopo la fruizione di tre mesi di congedo, ecc.). Tuttavia in questi ultimi cinque anni, ben pochi sono stati i padri ad usufruirne, neppure nel pubblico impiego, dove pure c’è una clausola migliorativa (pagamento al 100% per il primo mese). A che cosa è dovuta questa latitanza? Certamente all’importo troppo basso dell’assegno di congedo, ma anche a stereotipi ancora molto forti sulla figura del “padre responsabile” e quindi stigmatizzato come inaffidabile, “traditore” del proprio genere, sottoposto a riprovazione aziendale e a lazzi e frizzi dei colleghi. Ma mancano anche campagne informative allargate e circostanziate sulle possibilità che offre la legge. Anche sulle possibilità che sono state inserite più tardi (con la finanziaria 2007) sull’estensione della fruizione dei congedi parentali (solo alle madri) ai contratti a tempo determinato e contratti a progetto (tre mesi al 30%). Oltre a sostenere la legge, forse in campo legislativo si potrebbe intervenire anche in altri modi: sia con una correzione della legge 53 (ad esempio sull’ammontare della retribuzione dei congedi parentali, o sull’articolo 9, che finanzia interventi di flessibilità temporale favorevole ai lavoratori padri e alle lavoratrici madri, ma sull’art.9 mi soffermerò più avanti), sia con una nuova legge sul congedo di paternità, su un congedo cioè riservato ai padri nel periodo attorno alla nascita del figlio/a. Questo istituto è in atto in quasi tutti i paesi europei. Per fare un esempio, dal 2002, quando in Francia il congedo di paternità è stato aumentato da 3 a 14 giorni a stipendio intero, è stato usufruito dal 73% dei padri sotto i 35 anni. La seconda area è l’area della sensibilizzazione, soprattutto tra i giovani, soprattutto nelle scuole, a cominciare dalle scuole dell’infanzia. 10 Vi sono state molte esperienze in diversi Paesi europei, basate su metodologie differenziate ma con obiettivi condivisi: dare visibilità al lavoro di cura e farne risaltare l’asimmetria. E’ un percorso lungo, ancora molto poco frequentato, ma è un investimento strategico. La terza area è l’area delle campagne mediatiche sul tema della condivisione. La promozione di questo tipo di campagne è chiaramente visibile anche nell’articolo 2 della Legge 53/2000 per l’importanza attribuita alla diffusione di una cultura di conciliazione. In questi ultimi dieci anni, molte campagne di questo tipo sono state promosse nei Paesi europei, attraverso la stampa, la televisione, la radio, l’affissione di manifesti nelle città, ecc, mentre in Italia questo tipo di comunicazione è stato singolarmente trascurato. Sono campagne che si rivolgono a target giovani, ancora “influenzabili” e meno sottoposti al peso della tradizionale divisione di genere. Rivolti quindi ai giovani uomini perché possano percepire non solo la fatica, ma anche la ricchezza e la nutritività del lavoro di cura. Il messaggio è di rendere “attractive” la cura e che condividere il lavoro di cura – in particolare per quanto riguarda la cura dei figli – non toglie, anzi aggiunge qualcosa alla qualità della propria vita. Ma rivolti anche alle giovani donne perché smascherino le implicazioni sottese all’autoattribuzione del lavoro di cura e per spingerle ad abbandonare un atteggiamento “possessivo”, da gate keeping. Quindi, obiettivo complessivo delle campagne è di promuovere, in primo luogo, una maggiore visibilità e condivisione del lavoro di cura da parte maschile, e in secondo luogo di attenuare le eventuali resistenze da parte femminile a rinunciare al controllo esclusivo sulle attività di cura. Il secondo sottosistema: la conciliazione nelle organizzazioni Il panorama delle diverse misure applicabili nella aziende, sulla base della legge 53/2000 può essere così sintetizzato: 1. innovazioni nel sistema dei congedi parentali; 2. forme di flessibilità conciliativa nelle aziende sostenute da finanziamenti legati all’art. 9 (compreso un sistema di part-time non segregante, reversibile, allargato ai livelli alti); 3. monitoraggio e suivi durante i congedi/formazione al rientro/mentoring al ritorno/ridefinizione partecipata dell’organizzazione del lavoro quando c’è un congedo, ma anche quando si immettono forme di parttime. Sempre sostenute da finanziamenti dell’art. 9; 11 4. costituzione di nidi e altre forme di supporto per “liberare tempo” (ludoteche, ecc.)/ convenzioni con nidi pubblici e privati vicini/ costituzione di nidi interaziendali; 5. ulteriori benefit per semplificare la complessità e migliorare la qualità della vita dei/delle dipendenti; 6. costituzione di figure di “facilitatori/trici” di conciliazione all’interno delle aziende e sul territorio. Mi soffermerò soprattutto sulle forme di flessibilità conciliativa. E’ questo il punto nevralgico (anche se non strategico) dell’intero sistema di conciliazione. La necessità di conciliazione da un punto di vista teorico è assolutamente correlata alla crescita stessa delle organizzazioni: la qualità del prodotto o del servizio offerto è in stretta relazione con il livello di benessere organizzativo e più estesamente di qualità della vita delle persone che lavorano all’interno delle organizzazioni stesse. Ma questa relazione è contemporaneamente un punto di partenza e un obiettivo da raggiungere perché il passaggio tra benessere dei singoli, benessere organizzativo e benessere aziendale comportano un lungo cammino per incontrarsi. E le resistenze degli attori in gioco sono molto forti, e forte è il conflitto tra opposte rigidità temporali, perché ciascun attore implicato cerca di imporre all’altro i suoi tempi ideali, determinando così sia la lentezza del cambiamento, sia forme di inerzia, perché ogni attore quando raggiunge un equilibrio soddisfacente non vuole più cambiarlo perché teme di perderlo, sia problemi creati dal fatto che ogni cambiamento in un punto si riflette in tutti gli altri punti e genera nuovi bisogni o nuovi conflitti. Benché la necessità del benessere organizzativo – e quindi il tema della conciliazione - venga astrattamente recepito dalle organizzazioni, non sempre il suo recepimento si traduce in azioni concrete. A contrastare questo “travaso”, si possono rilevare due punti critici riassumibili nella mancanza di comprensione culturale e nella resistenza organizzativa delle imprese. Le imprese si sono assestate finora su una flessibilità povera, più tradizionale e meno innovativa. Una flessibilità che ha cercato di esportare sui lavoratori le criticità che questa stessa flessibilità induce. Al contrario, la strada che potremmo intravedere è quella di una flessibilità “ricca”, di una flessibilità da costruire, basata su soluzioni innovative e strumentazioni adeguate. Qui il cammino della flessibilità si incontra con quello della conciliazione, ma per arrivarci è necessario “educare alla conciliazione”, cioè formare competenze sia delle aziende che dei sindacati. Competenze che vanno dalla comprensione dell'ambiente sociale e della 12 molteplicità dei soggetti oggi presenti nel mondo del lavoro, alla interpretazione delle aspettative, all’innovazione istituzionale. In tutto questo ha un ruolo importante la contrattazione collettiva, che si colloca tra le due polarizzazione di iniziative unilaterali dell'impresa da un lato e dell'individualizzazione del rapporto di lavoro dall'altro. Quindi un ruolo importantissimo deve essere attribuito al tipo di regolazione sociale. Ma qui va evidenziato un nodo critico che pesa sulle eventuali soluzioni conciliative nelle aziende: la diffidenza e spesso l’opposizione dei sindacati a modelli di orario o a soluzioni organizzative che appaiono sforare pericolosamente in zone di eccessiva personalizzazione e intaccare la cultura “universalistica” propria del sindacato, difensore dei diritti di tutti i lavoratori. Mi vorrei comunque soffermare brevemente su una delle competenze che ho nominato, la capacità di innovazione. L’innovazione deve forzatamente comportare una valorizzazione delle competenze e delle professionalità e non una possibile regressione a forme di isolamento o di segregazione dei/delle beneficiarie stesse della flessibilità: solo se il lavoro è riqualificato e non dequalificato si può procedere verso nuove regole. La conciliazione esige un gioco a somma positiva, altrimenti non esiste. Un esempio calzante proprio sul gioco a somma positiva tra azienda e dipendenti è quello della ZF di Padova, che si è avvalsa dell’art. 9 della legge 53 per un progetto di personalizzazione degli orari secondo i bisogni e le richieste dei dipendenti, ma anche sulla base delle esigenze dell’azienda stessa. La ZF è un’azienda metalmeccanica che produce sistemi di trasmissione per il sistema marino. Ha 320 addetti, in maggioranza operai, le donne sono 34, tutte impiegate. Sono tre gli elementi da valorizzare: - la collaborazione attiva della RSU e della direzione aziendale nella ristrutturazione degli orari, mettendo a punto una sorta di banca ore basata su orari personalizzati a menù in cui il lavoratore può scegliere tra “menù a scendere” (es. settimana corta-35 ore- o abolizione della notte o sabato o giorni di permesso), orario base (a giornata o 8x5x2 o 8x5x3 o 6x6) o menù a salire (ora in più a inizio/fine turno o turni aggiuntivi – notte, sabato o ferie a rotazione). Naturalmente i menu personalizzati sono discussi e definiti con otto settimane di anticipo rispettando sia le esigenze dell’azienda che quelle dei lavoratori e con sistemi di mediazione se non si raggiunge l’accordo; - la definizione delle nuove polivalenze professionali per poter passare su più postazioni di lavoro e di conseguenza la formazione dei lavoratori; 13 concessione di part-time quando richiesto, ampliato a 6% e preso dagli uomini. L’accordo è stato siglato nel 2001, da allora il fatturato dell’azienda è aumentato del 30% e la puntualità delle consegne è diventata un plus competitivo. Dunque il sistema di conciliazione adottato non solo non ha mortificato le competenze, ma le ha ampliate e valorizzate, anche attraverso nuovi sistemi premianti in relazione al passaggio da mono-competenze a pluri– competenze. Nello stesso senso può essere considerato un indicatore valido per misurare la validità delle misure di conciliazione la messa in moto del circolo virtuoso tra conciliazione e valorizzazione delle competenze femminili. Si possono citare alcune esperienze significative nelle aziende, anche se non numerose. Sono tutte aziende che, con decisione propria o con l’aiuto dell’art. 9 della legge 53 hanno messo in atto misure di conciliazione – flessibilità favorevole degli orari, formazione al rientro dalla maternità/paternità, nidi aziendali ecc.- a cui ha corrisposto un aumento delle dirigenti donne. Ad es. alla Bracco (diritto al part-time al rientro dai congedi, flessibilità degli orari, informazione costante durante il periodo di maternità o di congedo parentale, servizio di assistenza domiciliare gratuito per due settimane per anziani non autosufficienti in situazioni di emergenza, ecc.) a fronte del 37% di dipendenti donne, si rileva il 31% di dirigenti donne. In un’azienda cooperativa, Formula Servizi, di Forlì, all’aumento di parttime, alla creazione di figure di coordinatrici di zona per intervenire più prontamente sulle esigenze temporali degli utenti e dei lavoratori/lavoratrici, a una sperimentazione di autogestione degli orari in job –sharing, ecc. ha corrisposto un cambiamento totale della composizione del C.d.A. (da otto uomini e una donna nel 1996 a cinque donne e quattro uomini nel 2001). All’Unicredit, tra le altre iniziative, su due borse di studio annuali per giovani che intendono specializzarsi all’estero almeno una è obbligatoriamente destinata a una donna. Non sono gli unici esempi, naturalmente, ma i casi non sono nemmeno molto numerosi: restano esperienze isolate, che non hanno creato una cultura condivisa della conciliazione. Parlare di politiche di conciliazione in un’impresa non è possibile se queste politiche non sono anche top-down, se non c’è convinzione imprenditoriale. Senza convinzione si possono realizzare progetti, ma non si crea un cultura della conciliazione, che permette la sostenibilità nel tempo. E che ha - 14 bisogno di continui investimenti e di vere interconnessioni con le politiche di gestione. E il fatto che ci sia un investimento reale della direzione aziendale nei progetti di conciliazione – che solo in questo modo diventano “politica” dell’azienda e non immagine – è un altro indicatore della validità di queste misure. Un ulteriore indicatore può essere indicato nella presenza o meno in azienda di buone relazioni tra le parti sociali, come si è visto nell’esempio citato della ZF di Padova. Ma come si può vedere anche nell’esempio del progetto Concita (sempre all’interno dell’art.9), messo a punto in Italiana Assicurazioni e condotto dalla Direzione del Personale in accordo con il sindacato e con il CPO aziendale. L’aspetto interessante del caso è che la chiave di volta della personalizzazione dell’orario è stata individuata in un “negoziato a due” tra capo e collaboratore, incaricati dagli altri attori (DRU. CPO e sindacati) di trovare la soluzione ad hoc di orario per l’ufficio e la persona, nella ricerca delle migliori convenienze e sinergie temporali per quel particolare ufficio e per quella persona in quel momento, con un approccio tipo problem solving. Un altro elemento che è necessario tener presente come indicatore valido è il grado di partecipazione che direzione aziendale e sindacato riescono a promuovere. Potremmo perfino arrivare a dire che non sono le singole misure importanti in sé, ma la loro funzione di veicolare una strategia e una complessiva cultura della conciliazione. Il principio che il ben-essere dei clienti interni veicola ed è tramite per il ben-essere dei clienti esterni è un principio che deve trovare concreta applicazione nella realtà operativa delle aziende. Attraverso una comunicazione e un coinvolgimento puntuali, sia all’interno che all’esterno dell’azienda. Potrebbero essere citati molti esempi: mi soffermo soltanto su uno, quello del gruppo Data Medica di Padova. Ad un anno dall’applicazione delle misure di conciliazione (12 orari concentrati e 11 part-time) è stato realizzato un sondaggio per verificarne l’efficacia sia ai partecipanti al progetto che ai parenti dei partecipanti al progetto che ai dipendenti non partecipanti al progetto. Sondaggio che ha dato esito positivo sulla sperimentazione, ma che ha valore anche in sé come strumento di comunicazione e di coinvolgimento. C’è ancora un elemento che vorrei gettare sul tavolo e che comincia ad essere preso in considerazione: la necessità di dare una risposta unitaria alla domanda di conciliazione con l’istituzione, all’interno dei luoghi di lavoro, di una figura formalizzata che potremmo chiamare tutor o facilitatore o animatore di conciliazione o help desk, come in alcune esperienze europee. 15 Già in qualche azienda funziona uno sportello ad hoc o comunque un team che segue i progetti. Infine, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che in questa fase in cui è all’ordine del giorno la discussione sulla responsabilità sociale dell’impresa, il termine conciliazione non ricorre mai come uno dei fattori in campo. Io credo al contrario che la responsabilità sociale dell’impresa sia strettamente legata all’attuazione o meno di strumenti di conciliazione perché le risorse umane sono il capitale più importante dell’impresa. E capitale umano non significa soltanto accumulazione di conoscenze, significa anche accumulazione di condizioni di vita decente tratte dalla concretezza della vita quotidiana. Per riassumere quali sono gli indicatori che attestano la validità di un’azione conciliativa? - L’innovazione deve forzatamente comportare una valorizzazione delle competenze e delle professionalità e non una possibile regressione a forme di isolamento o di segregazione dei/delle beneficiarie stesse della flessibilità. - L’importanza della collaborazione attiva della RSU e della direzione aziendale nella ristrutturazione degli orari e delle pratiche di conciliazione. E’ questo un punto particolarmente delicato perché implica l’adozione, da parte del sindacato, di una logica diversa dalla logica contrattuale. - Il grado di partecipazione che direzione aziendale e sindacato riescono a promuovere, attraverso una comunicazione e un coinvolgimento puntuali, sia all’interno dell’azienda (e non ai soli beneficiari, ma a tutti/e i/le dipendenti), sia all’esterno. La visibilità data alle pratiche innovative di conciliazione deve essere massima. - Il grado di adesione della direzione Risorse umane dell’azienda. Parlare di politiche di conciliazione in un’azienda non è possibile se queste politiche non sono anche top-down, se non c’è convinzione imprenditoriale. Senza convinzione si possono realizzare progetti-spot, ma non si crea una cultura della conciliazione che permette la sostenibilità nel tempo. Quali sono le resistenze? - Resistenze delle imprese a trasformare concessioni informali in interventi formali, resistenze a trasformare benefit in diritti. - Resistenze delle imprese di fronte ai possibili costi per la riorganizzazione del lavoro mentre gli incentivi della legge 53 appaiono insufficienti o non si conoscono o non si vogliono “interferenze” del Pubblico, di cui in fondo non ci si fida o anche perché la formulazione 16 dell’art. 9 e le indicazioni per il bando sono farraginose, complesse e respingenti. - Resistenze culturali ad uscire dal sistema degli stereotipi. Di fronte all’aumento della complessità, che è al contempo sfidante e spiazzante, la reazione delle persone è spesso quella di erigere barriere culturali al cambiamento: modelli di gestione del personale diversi e innovativi non sempre vengono accettati perché si utilizza ciò che ha sempre funzionato come se dovesse sempre funzionare. - Resistenze del sindacato (soprattutto nella sua componente maschile) a aderire a una forma diversa dalle forme ordinarie di contrattazione: timore di intaccare i modelli universalistici di difesa dei diritti e di approdare a derive personalistiche. - Resistenze degli stessi soggetti potenziali beneficiari delle misure di conciliazione a considerare obiettivo di contrattazione difficoltà considerate personali (e a volte non essenziali). Quali sono i punti critici non ancora sormontati? - Una concezione della flessibilità di breve respiro che scarica sui lavoratori/lavoratrici le proprie contraddizioni. - La percezione di eccessive difficoltà nella riorganizzazione del personale e il timore di creare conflitti interni. - La percezione di una perdita sul piano economico. E’ interessante riportare a questo proposito una “buona prassi” citata nel catalogo dei progetti Equal presentato a Varsavia nel febbraio 20051. Per conto del governo tedesco, un’importante azienda europea di consulenza ha condotto un’analisi costi-benefici dell’organizzazione flessibile del lavoro e di altre misure di sostegno per i genitori in un campione rappresentativo di imprese. I risultati dimostrano che, in media, un “package per le famiglie” di base (consulenza per i genitori, orario flessibile personalizzato, telelavoro e cura dei bambini) ha aiutato le singole aziende a risparmiare fino a centinaia di migliaia di euro. I calcoli dei modelli, basati sulle perdite subite a causa della rotazione del personale e dell’assenteismo e per il “package per le famiglie” dimostrano che, in media, il ricavo generato dagli investimenti è di almeno il 25%. In conclusione si può dire che, ad oggi anche sulla spinta dell'art. 9 della legge 53, si sono attuate diverse esperienze di conciliazione,i progetti approvati sono tuttavia al di sotto delle possibilità offerte dai finanziamenti 1 Gruppo tematico europeo Pari Opportunità, Un modello europeo di approccio integrato alle Pari Opportunità, Varsavia, febbraio 2005. 17 - ma sono rimaste carsiche, poco conosciute, non hanno creato sistema, non hanno dato origine a una vera cultura della conciliazione. Quindi se è vero che in qualche modo le aziende si “pongono il problema”, sé è vero che non va bene tralasciare i “piccoli movimenti”, mi sembra anche corretto non accentuarne troppo l’importanza per non correre il rischio che una pratica discorsiva della conciliazione possa paradossalmente portare a nascondere una prassi di disuguaglianza, vedi nuovi lavori, atipicità. E a partire dalla consapevolezza di questo rischio credo sia necessario monitorare attentamente gli esiti della legge 30, proprio sullo specifico impatto – anche negativo - che può avere sul sistema di conciliazione, e le modifiche all’art. 9 (vedi appendice), di cui vorrei solo richiamare il fatto che tra le aziende possibili beneficiarie entrano anche le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere e tra i possibili soggetti beneficiari entrano anche i/le lavoratrici con anziani non autosufficienti a carico e con figli minori o disabili. Inoltre (art. 1259 della Finanziaria) sarà varato un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi (asili nido territoriali, di azienda, di caseggiato, di famiglia) al fine di raggiungere la copertura del 33%. Il piano si avvarrà di un fondo di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007/8/9. Infine, il Ministero della Solidarietà sociale avrà un fondo per le non autosufficienze (100 milioni di euro per il 2007, 200 milioni per il 2008 e 200 milioni per il 2009). Il terzo sottosistema: le misure di conciliazione nel territorio Le misure di conciliazione in questo ambito riguardano essenzialmente: il sistema dei servizi pubblici e privati; gli incentivi ai piani territoriali sui tempi, la sensibilizzazione e la diffusione della legge 53, il sistema dei trasporti ecc. In questo ambito, la maggiore criticità sembra risiedere nel fatto che mentre la domanda di conciliazione, che viene dai soggetti responsabili della cura (quindi non solo le donne), si presenta come unitaria, unica (perché parte dall’esperienza complessiva di vita e di lavoro delle persone) le risposte sono diversificate, sparse, non coordinate, senza una linea unitaria che concretizzi la risposta a partire da un’azione comune dei diversi assessorati, dei diversi uffici. Ancora prima di una difficoltà a coordinare i vari attori nel territorio, esiste un problema interno: coordinamento di assessorati/uffici diversi/rivalità/silenzio/ competizione. E mettere in piedi protocolli d’intesa e tavoli di concertazione, con l'obiettivo di costruire una 18 coalizione territoriale, è un lavoro lungo e complesso, che deve vedere la presenza attiva di molti soggetti istituzionali, delle associazioni di categoria, dei sindacati, di aziende. Un esempio di coinvolgimento dei decisori politici e di trasversalità emerge da un progetto Equal (Comune di Prato). La PS (in stretta collaborazione con il Comune), per contrastare l’inquinamento provocato dalle auto private ha introdotto la pratica del car sharing e un sistema di trasporti di 15 vetture elettriche per i dipendenti del Consorzio di 300 microimprese (Consorzio Macrolotto). Contemporaneamente ha introdotto all’interno del Consorzio stesso l’ufficio postale, la lavanderia centralizzata, la possibilità di spesa centralizzata, l’asilo nido interaziendale a risparmio energetico, finanziato dalla Regione Toscana. Bisogna sottolineare che la PS si è inserita in un disegno più complesso, che ha visto il Comune di Prato all’avanguardia nella gestione innovativa dei Tempi e spazi della città, con un apposito ufficio, sito internet ecc. Una sorta di Agenzia del Tempo. E anche in questo campo si possono sottolineare incertezze e resistenze sia dei decisori istituzionali sia del sindacato. Infine, a conclusione, l’ultima domanda: Nonostante le difficoltà, le resistenze, le incertezze, ha senso continuare a procedere lungo la strada della conciliazione? Io credo che la risposta debba essere affermativa, per varie ragioni: - perché il lavoro di cura diventerà sempre più un tema sociale e non individuale, risolto finora con equilibrismi defatiganti delle donne e con un patto intergenerazione tra figlie e madri che non avrà più la centralità risolutiva che assume oggi; - per una ancora incerta - ma in aumento - tendenza degli uomini a non risolvere il loro problema di vita all’interno solo del lavoro professionale; - perché la crescita di un Paese è legata all’occupazione femminile e non ci può essere più occupazione femminile senza misure di conciliazione; - perché la stessa urgenza di crescita delle imprese e di una maggiore competitività obbliga ad utilizzare al meglio tutte le risorse; - e per molti altri motivi, legati al superamento di misure discriminatorie verso le donne e verso tutti i soggetti responsabili della cura. L’“operazione conciliazione” è un’operazione difficile, perché deve mettere insieme diversi attori sociali, con interessi spesso divergenti. Ma è anche un’operazione strategica perché solo affrontando il tema della conciliazione si può arrivare a ridisegnare una nuova “mappa del welfare” in grado di 19 rispondere ai nuovi bisogni indotti dalla trasformazione delle identità dei soggetti – uomini e donne – e dalla trasformazione del mercato del lavoro. Si configura quindi come una priorità sociale, la cui rilevanza va capita e fatta propria in modo serio da tutti gli attori sociali che vi sono coinvolti e soprattutto costruita con metodo e pazienza, ma anche con determinazione. Le politiche di conciliazione non sono politiche di parte o a parte, sono il pilastro fondante del nuovo welfare. Non possono essere interpretate come misure a valle, fatte per consentire a qualche donna in più di accedere o restare sul mercato del lavoro, ma come misure a monte che ridisegnano un nuovo patto sociale di genere. Quindi devono essere ridisegnate, devono diventare l’asse portante anche delle politiche sindacali, oltre che istituzionali. Ma per procedere su questa strada devono trovare gambe solide su cui camminare, teste che ragionano in questa direzione e cuori aperti: ed è questo il contributo che una maggiore presenza femminile ai livelli decisionali potrebbe apportare al quadro complessivo perché in fondo tutte le politiche trovano la loro base fondante nell’esperienza e nella riflessione sull’esperienza e in questo campo le donne hanno qualcosa da dire. Non per trasformare le politiche di conciliazione in politiche femminili, esattamente il contrario: per una gestione efficace delle diversità. Spesso ci si ferma ad assumere la superficialità del diverso, tenendo fermo il pensiero uguale. E’ il pensiero e quindi le politiche, le strategie che devono trasformarsi, assumendo una dimensione e uno sguardo di genere. Il tema della rappresentanza La questione della presenza delle donne nella politica attiva e ai livelli apicali di rappresentanza è solo uno dei tasselli che compongono la questione complessa della rilevanza della presenza delle donne nella società. E’ necessario dunque avere la consapevolezza che il tema va inserito in un contesto più vasto che tenga conto anche dei movimenti, dei gruppi di analisi sociale, delle innumerevoli presenze delle donne nella vita sociale (progetti europei, circoli di lettura, centri donna, centri antiviolenza, centri per il sostegno alla maternità, coordinamenti donne del sindacato). Ma io vorrei provare a scindere i termini della questione, quindi provare a capire a che punto siamo proprio sulla questione della rappresentanza. Tutte le battaglie che sono state condotte recentemente (a livello legislativo, a livello di opinione pubblica, a livello di manifestazioni), tutte le 20 dichiarazioni dei partiti e tutte le sensibilità che si sono manifestate (le donne sono più brave, più impegnate, più affidabili – questo non è sicuro, i partiti non si fidano delle donne) dove hanno portato? All’aumento di 5 punti percentuali nelle elezioni politiche, al raddoppio nelle elezioni Europee perché era in vigore la legge antidiscriminazione: risultati che non è bene trascurare, ma che non danno la percezione di un vero salto di qualità e che comunque ci pongono sempre comunque a un livello basso nella scala europea e internazionale. Oggi, dopo le elezioni politiche del 2006, le donne sono: - nel Parlamento il 15.9% - nei Consigli regionali l’11.9% - nei consigli Comunali il 15.9% - nel Governo il 21.5% - nelle giunte regionali il 17.2%. E allora che facciamo? continuiamo a denunciare la situazione, a inorridirci, a sperare che la prossima sia la volta buona (chi entra nella mischia pensa sempre che sarà la volta buona e poi è sempre quella cattiva..). Continuiamo dunque a vivere in una democrazia sequestrata, gli uomini stanno occupando gli spazi e i tempi della democrazia. Allora credo che bisogna riflettere di più sulle ragioni, sui fattori che influiscono. Una recente ricerca2 propone otto fattori di esclusione: vorrei sottolinearne alcuni che mi pare rivestano un’importanza particolare. L’irrilevanza della presenza delle donne. Non c’è un pensiero condiviso sull’importanza della presenza delle donne, è solo ritenuta tale dalle donne stesse, è un circuito autoreferenziale. Sul tema delle pari opportunità pesa una rappresentazione vecchia e svilente, il sospetto di una cultura di parte o a parte, di una cultura della rivendicazione senza merito, che cerca il vantaggio particolare senza avere contezza dello scenario generale. Tanto che io proporrei di lasciare questa dizione per passare a “politiche di genere” dove è chiaro che si parla di donne e uomini nelle loro relazioni individuali, e di potere. Le donne devono esserci, non venire sempre dopo. Perché la dizione “politiche di genere” coinvolge anche gli uomini, mette in rilievo il patto sociale di genere, mette in discussione soprattutto il neutro. Forse dobbiamo ripetere anche a noi stesse quanto sia un pilastro la neutralità, quanto sia più violento continuare a rappresentarci in modo neutro, più della violenza. 2 Donne e politica. Rapporto di ricerca, progetto Equal 2006. 21 La persistenza della segregazione verticale in tutti i campi. Non credo alla tesi secondo cui le donne crescono nella società mentre vengono respinte dalla politica, anzi si potrebbe dire che vi è un legame stretto tra politica e società che denuncia i limiti e la fragilità della cittadinanza femminile in Italia. Le donne, come sappiamo, sono “incluse”, nel mercato del lavoro, nel volontariato, in generale nella società, ma non al vertice, non nelle posizioni apicali. Alcuni esempi in settori diversi: Nella magistratura: oggi, a 24 anni dalla legge che apriva alle donne la possibilità di entrare in magistratura e a 22 anni dalla effettiva entrata delle prime otto donne magistrato, il 40.5% dei magistrati è costituito da donne (e le donne sono la maggioranza di coloro che vincono i concorsi), ma la loro presenza nelle posizioni di maggiore responsabilità è assolutamente minoritaria (es. nella Corte costituzionale 1 donna su 15; nel Consiglio superiore della magistratura 6 su 27 ecc.). Nella dirigenza della Pubblica Amministrazione: il 23% di donne dirigenti nella fascia inferiore; il 14.5% le donne che ricoprono cariche dirigenziali di primo livello nei ministeri; nessuna donna è presidente di una delle 10 authority indipendenti. Nelle banche e assicurazioni: dal Rapporto annuale ABI(2004) si rivela che a fronte del 38.6% di donne fra il personale, solo il 12.5% appartiene ai quadri direttivi superiori (7.4%: donne direttori di banca). Nelle assicurazioni, a fronte del 44% di donne sul totale degli addetti al settore, solo il 6% si trova al 7°livello, quello dei funzionari. E queste percentuali si ritrovano negli ordini professionali, nel giornalismo, nelle imprese. Per arrivare infine ai partiti e ai sindacati. Nei partiti: tra le massime cariche (presidente o segretario) dei 18 principali partiti nazionali, solo una donna (Luciana Sbarbati); negli organi collegiali di livello nazionale, il 19% di donne. Nei sindacati: a fronte al 50% di donne nella CGIL, al 45% nella CISL (al 18% nella UIL), solo una donna (dal 2006. Renata Polverini dell’UGL) ricopre la carica di segretario generale. Nelle segreterie generali nazionali solo la CGIL ha il 50% di donne(6 su 12), nella CISL 1 su 10, nella UIL i su 11, nell’UGL 2 su 13. Nelle segreterie regionali: CGIL: 2 su 20; CISL. 1 su 20; UIL: 2 su 20. L’intermittenza del consenso della pubblica opinione. In molte ricerche fin qui condotte, emerge chiaramente quella che potremmo chiamare la 22 caduta del pregiudizio negativo sulle capacità di governance delle donne da parte della pubblica opinione. E tuttavia questo cambiamento non porta alla messa in moto di un pregiudizio positivo (cioè a sostenere le candidature delle donne). A spiegazione parziale, si potrebbe affermare da un lato che nel nostro Paese la prospettiva di genere è stata vista prevalentemente come un elemento messo in campo per richiedere (posti, posizioni ecc.) e non per dare, per offrire una lettura di sé e del mondo meno viziata, unica e arrogante. E dall’altro che la caduta del pregiudizio negativo è pur sempre un dato rilevante, come lo è la sua possibile riconduzione ad una valutazione “importata” dall’esperienza professionale delle donne nel mondo del lavoro, perché ancor più confermerebbe la necessità di incrementare e favorire la presenza femminile nei luoghi della politica. Si riconferma dunque la caduta del pregiudizio negativo verso le competenze di governance delle donne e contemporaneamente la persistenza di un pregiudizio basato sull’irrilevanza del genere, per cui la presenza qualificata delle donne nelle liste dei candidati – in posizione dunque di eleggibilità – non viene attivamente sostenuta, e quindi viene depressa. E comunque non è un tema dibattuto, se non dalle donne. Oggi si sta discutendo di una possibile riforma elettorale, ma è solo la ministra Pollastrini, che in solitari “a parte” ricorda il tema delle quote o delle norme antidiscriminatorie. E’ un tema che compare e poi scompare. Non viene inserito nell’agenda attuale del processo di revisione o riforma normativa della politica, né nella riflessione di sostanza sui deficit di funzionamento della democrazia di questo paese. E’ come se il riequilibrio della presenza femminile a tutti i livelli fosse riconsegnata nelle mani e all’iniziativa delle sole donne. Il problema dell’interesse per la questione della rappresentanza e per la qualità della rappresentanza è un problema che ci portiamo dietro da molto tempo. Ci sono in particolare due momenti storici in cui le donne sono rimaste fuori: negli anni ‘70 per diffidenza delle donne stesse, soprattutto per la lontananza del movimento femminista dalle istituzioni e negli anni ’90 per deficit di offerta. E bisogna anche nominare il tipo di rapporto con le rappresentanti, la questione della delega, la difficoltà a dare deleghe e ad “affidarsi”, molto forte negli anni ’70, ma presente anche ora. Si può forse registrare un movimento di avvicinamento in questi ultimi tempi, ad es. con il movimento “Usciamo dal silenzio”, in cui c’è il riconoscimento che l’attività politica sia un’attività “lecita” (“noi eserciteremo nei vostri confronti una sorveglianza affettuosa”), quindi un orientamento del movimento al coinvolgimento nelle politiche pubbliche. 23 Però la relazione tra chi è dentro e chi è fuori è ancora tutta da costruire. Il tempo pubblico delle donne tende sempre più ad assomigliare al tempo pubblico degli uomini e sappiamo bene invece che la costruzione delle reti comporta tempo, dedizione, lavoro invisibile, sappiamo che significa condivisione, ma anche conflitto. La natura dei partiti. Non c’è ambiguità possibile: sono i partiti che selezionano sia le candidature che la posizione “eleggibile” nelle liste. Eppure moltissimo è cambiato negli ultimi vent’anni: il terremoto della fine della prima repubblica, lo sconquasso subìto dai partiti, l’entrata in scena di molti attori della “società civile” – strana espressione a pensarci bene, come se la vita all’interno dei partiti fosse di per se stessa incivile o comunque associata a una qualche consorteria separata, come la vita militare. La centralità dei partiti viene dunque riconosciuta da tutti: sono loro i “guardiani dei cancelli”, attraverso questa porta stretta bisogna passare. Ma se sono i partiti a decidere, quali sono i criteri di selezione che adottano al loro interno – o all’interno delle coalizioni -, soprattutto nei confronti delle candidature femminili? Che cosa pesa di più: la visibilità sociale e le reti di relazioni nella società civile, il livello di scambio interno, l’adesione e il “voto di obbedienza” al partito e alle sue logiche vincolanti anche per il futuro, il grado di autopromozione? Quali strategie devono mettere in atto le donne che vogliono essere “scelte” dai partiti ed essere elette (ma anche gli uomini)? Tutti questi sono realmente fattori ostacolanti. E altri ce ne sono e li elenco soltanto: - i vincoli materiali alla presenza delle donne in politica (la mancanza di risorse economiche per le campagne elettorali e i tempi vincolanti del lavoro di cura); - l’inerzia normativa (la pratica discorsiva dell’uguaglianza combinata con la furente ostilità alle norme antidiscriminatorie); - la diversità di socializzazione alla politica; la difficoltà di tenere insieme i pezzi della propria vita. Sono tutti fattori reali di difficoltà (anche se a volte appaiono più come alibi), ma mi sembra che resti ancora la domanda: perché? Certamente non per mancanza di competenze, nemmeno a mio parere per la ragione classica della impossibilità del triplo impegno per le donne (che casomai funziona come ragione valida ai livelli di iniziale partecipazione, di accesso). E le giovani donne, senza impegni familiari? 24 Io credo che la ragione principale sia l’incapacità, l’impossibilità di trasformare la forza delle donne, in modo che diventi politica, che non resti in uno spazio a sé. Come spesso afferma Hanna Arendt, la diversità è un dato di fatto che la tradizione ha sempre cercato di riportare all’uno, come fosse un elemento di disturbo. Quell’uno della politica, quella sorta di necessità di integrazione degli stili, in realtà è sempre stata – e in qualche modo, al di là delle dichiarazioni è ancora - un appello all’omologazione, alla cancellazione cioè della diversità e in questo senso è stata anche recepita (o non sufficientemente avversata) dalle donne che sono arrivate ai luoghi decisionali e proprio per questo combattuta con molta decisione dal femminismo, in nome proprio di una necessità di “impoliticità”, cioè in nome di una molteplicità irrappresentabile nel politico. Credo che non siamo ancora riuscite a simbolizzare che cos’è la polis per le donne, ma non in un “a parte”. A far sì che il pensiero delle donne entri nella polis, nella politica, non facendosi accettare dagli uomini, ma proponendo delle linee per la società e, prima ancora delle linee, delle relazioni vincenti. Mancano dei passaggi, mancano delle forme, c’è uno slegame tra la pratica politica delle donne e la politica corrente. E’ una questione di sedimentazioni istituzionali potentissime che dettano in qualche modo i comportamenti le parole, le relazioni, le logiche di potere interne. E non riguarda solo il mondo della politica, riguarda l’accademia, le organizzazioni del lavoro, le aziende, il sindacato. Come si fa, all’interno di determinate situazioni, a far vivere modi di relazionarsi e di parlare differenti da quelli propri di quel luogo. Allora, per non esserne capaci, ci tagliamo fuori, riteniamo che questo non sia il luogo della battaglia, che il luogo della politica sia un luogo non transitabile, un non luogo. Da un lato dunque una strategia dell’altrove (spazi autonomi, spazi paralleli che diventano spazi isolati); dall’altro una strategia centrista che non trova più il collegamento con il fuori, che per forza di cose, anche per la sua estrema debolezza, corre il rischio di omologarsi, di dare cioè alla politica tradizionale ancora tanto credito da non prendersi neppure quella libertà che sarebbe disponibile. Insomma, mi pare che il nodo centrale sia questo: come si creano i corridoi di passaggio tra democrazia praticata, tra politiche della prossimità e democrazia rappresentata. Come costruiamo un pensiero delle donne? Che cosa diciamo delle politiche familiari ancora basate sui voucher di cura e sul fatto che a riceverne 25 qualche vantaggio dalla redistribuzione fiscale sarà la famiglia con coniuge e due figli a carico? Ma dov’è questa famiglia? Che cosa diciamo delle politiche del lavoro? E delle misure per combattere il precariato? Che cosa diciamo delle scelte dei candidati/e, basate solo sull’appartenenza e fedeltà e non sulle competenze (e non è solo per le donne, anche per i giovani)? Come poniamo, con quale forza, il tema del welfare time, della conciliazione, della necessaria trasversalità delle politiche del lavoro, delle politiche sociali, delle politiche familiari, delle politiche della vita quotidiana? Un ulteriore elemento da sottolineare è l’enorme difficoltà per le donne a costruire network forti e a mantenerli. Non credo che questa debolezza sia dovuta solo al fatto di una mancanza simbolica di riconoscimento tra donne (sorelle solo nel privato e nemiche nel pubblico) e di una conseguente vischiosità e conflittualità nascoste, suscitate dall’invidia per un potere giudicato non meritato e quindi non riconosciuto dall’altra. Credo sia dovuta soprattutto al circolo vizioso della debolezza reciproca, alla caduta del senso di sacrificalità, al desiderio di partecipare se c’è un dare e un avere nel gioco di squadra, cosa che gli uomini nella definizione delle loro cordate sanno e attuano benissimo. Ritengo che questo sia un punto cruciale dell’agire politico delle donne: la costruzione di una forza interna in grado di contrattare e quindi anche di mediare. Ma la capacità di mediazione è strettamente legata al riconoscimento che l’altro ti dà, alla “delega”, cosicché le donne in posizioni decisionali, in mancanza di riconoscimento sia da parte degli uomini che da parte delle stesse donne, spesso falliscono proprio là dove teoricamente dovrebbero vincere, nelle competenze (che altrove sono riconosciute) di riannodare fili, di mediare i conflitti, di mettere a fuoco una posizione comune, al di là delle opinioni anche parzialmente divergenti. Poiché tradizionalmente le donne sono sempre state nella posizione di chi dà riconoscimento senza riceverlo in quanto soggetti, per contrasto la loro strategia è stata in questi anni anche basata sull’autoassertività, sull’autopromozionalità, cioè sulla attribuzione di riconoscimento di sé a sé. Autoassertività spesso invocata astrattamente dagli uomini come necessità per le donne, salvo poi bollarla come arroganza, come stigma di omologazione a modelli maschili nel concreto della lotta politica. Tuttavia, sembra ormai diventato chiaro che “il piacere nell’affermazione di sé necessita ed è collegato a un contesto sociale di sostegno favorevole. Il 26 riconoscimento può essere paragonato a quel fattore indispensabile per la fotosintesi, la luce del sole, che fornisce alla pianta l’energia necessaria per la continua trasformazione di sostanza”3. Insomma per concludere, mi sembra che ancora non sia chiaro che cosa può voler dire per le donne “entrare nella politica” Entrare nella “politica” – intendendola per il momento come insieme delle istituzioni della rappresentanza - può essere inteso come “femminilizzazione delle élites”, come volontà delle donne di far parte dell’agire politico a pieno titolo, condividendone il piacere del potere e anche le regole del gioco. Ma può anche essere interpretato come “agire per l’altro”, per il suo bene, per l’interesse della collettività. Può dunque essere letto come una forma di oblatività suprema, di assunzione di responsabilità fino al sacrificio di sé. E molte figure “politiche“ femminili interpretano fino in fondo questa figura. Vi è come una sorta di radicalità che la politica ha finora posto alle donne: o assumere il gioco del potere fine a se stesso (diventando veri uomini) o la sacrificalità (restando vere donne). Ma si potrebbe cercare di intravedere una terza via, più laica, più molteplice, che forse è presente in nuce nelle donne più giovani che si avvicinano alla politica e che si invera nella pluralità delle motivazioni a “fare politica”, intendendola anche come una possibile carriera sociale, al pari di altre, che ha bisogno di studio, di preparazione, di lungimiranza, di accorte strategie di mediazione tra donne e con gli uomini. E di creatività, immaginazione e intelligenza: con l’obiettivo di impossessarsi delle mappe di lettura dei meccanismi formali e soprattutto informali che regolano la cittadella politica e nello stesso tempo di sovvertire quelle stesse mappe per apportare un vero cambiamento al modo di fare politica. E di passione, passione del voler cambiare le cose, passione anche del potere. Fare insomma lavoro di intelligenza e di intelligence, ovvero spionaggio e decifrazione dei segreti e procedimenti nemici. Con qualche rischio per la propria incolumità psichica, ma anche con qualche chance di farcela, soprattutto se insieme. Ma anche, e soprattutto, bisogna cominciare ad uscire dai circuiti autoreferenziali, cominciare a guardare la realtà con uno sguardo che va oltre l’ovvio, ricostruire i pensieri, porsi all’ascolto delle nuove soggettività femminili, facendo di questa attenzione all’ascolto non solo un percorso metodologico, ma il centro dell’agire politico. Ma se non mi è ancora chiaro che cosa significa per le donne entrare nelle stanze del potere (che siano le stanze della politica, delle professioni, del 3 Jessica Benjamin, Legami d’amore, Rosemberg & Sellier, Torino, 1991. 27 sindacato), mi sembra abbastanza chiaro perché dovrebbero entrarci. E fondamentalmente per quattro tipi di argomentazioni: - L’argomento della proporzionalità: alla base di questo argomento c’è l’idea che il rappresentante debba riflettere il rappresentato. - L’argomento dell’utilità che sottolinea la mancanza di efficacia di una politica (anche sindacale) che si priva delle competenze di una metà della società. - L’argomento della differenza: le donne porterebbero un valore aggiunto necessario alla governance e basato su esperienze diverse. - L’argomento della realizzazione del diritto di parità come diritto umano, fondato sul riconoscimento della dualità del genere umano e sul diritto all’uguaglianza. E’ una questione di democrazia sostanziale. Questi argomenti mi sembrano – insieme – sufficientemente validi per appoggiare il principio del diritto ad esserci delle donne, l’impossibilità di scindere la qualità della partecipazione delle donne nella società, delle competenze maturate nella concretezza del vivere quotidiano dalla quantità delle loro rappresentanti nelle istituzioni della rappresentanza politica. Un maggior numero di donne in politica, nel sindacato, nelle imprese può trasformare gli obiettivi e contenuti della politica stessa, del sindacato, delle imprese. E’ il principio della “massa critica” sostenuto per prima da Drude Dalherup nel 1988 in un saggio significativamente titolato “Da una piccola a una grande minoranza”. Il concetto di “massa critica” (che l’autrice indica attorno al 40%) è desunto dalla fisica nucleare, dove si riferisce alla quantità di uranio necessaria a iniziare una reazione a catena, un irreversibile passaggio verso una situazione e un processo nuovo. Dunque una maggiore quantità per porre le condizioni che permettano alle donne di esercitare fondamentali diritti senza rinunciare alla libertà di esprimere modi alternativi di intervento politico e misurare il mondo anche con i propri occhi. E' attraverso la rappresentazione sociale del proprio valore che un soggetto diventa un soggetto civile e politico. In questo senso il concetto di rappresentanza è legato al concetto di rappresentazione. Rappresentazione di sé e del proprio valore, superando quei nodi di disagio, di percezione di inadeguatezza, di insicurezza, di estraneità molto comuni tra le donne, che non sanno che le competenze richieste sono competenze in progress, l’insieme di abilità che l’esercitare questo tipo di ruolo richiede e che si vanno costruendo nel tempo, accumulando anche errori e momenti di fragilità, ma anche acquisendo sicurezza attraverso l’esperienza, modificando il proprio sé e la propria immagine. Sinteticamente potrei dire che le competenze politiche si imparano. I fattori di disagio sono comuni a 28 donne e uomini, è importante sottolinearlo perché viene svuotato una sorta di luogo comune per cui le donne che arrivano a governare sarebbero insicure e maldestre perché troppo grande il divario tra l’esperienza precedente (di gestione domestica, ma anche di lavoro professionale) e la gestione della res publica. La speranza risiede nel fatto che la presenza di qualche donna in più ai livelli di rappresentanza generi aperture maggiori, inneschi meccanismi virtuosi in base appunto al riconoscimento di una buona qualità di governance delle donne e non paura – che come sempre provoca chiusura e blocchi – affinché non succeda quello che Rossella Palomba denuncia nelle azioni e strategie del CNR per le cariche dirigenziali: “Si sono accorti della presenza delle donne e hanno provveduto a garantire la loro scomparsa”. 29 Il progetto Equal “Agenda dei territori per la conciliazione”: la sperimentazione di iniziative a favore di un equo bilanciamento dei tempi di lavoro e famiglia Marina Cavallini∗ Il progetto “Agenda dei Territori per la Conciliazione” è finanziato con fondi europei dal Programma di Iniziativa Comunitaria EQUAL, strumento della strategia europea di lotta a tutte le forme di discriminazione all’interno del mercato del lavoro. Il progetto si inserisce in tale programma, sviluppando il tema delle pari opportunità fra uomini e donne nel mondo del lavoro e, in particolare, il problema della difficoltà di conciliazione dei tempi lavorativi e famigliari. Il progetto Agenda, che conta un vasto parternariato4 ed è ancora in fase di realizzazione, si propone di sperimentare una serie di iniziative volte a favorire un equo bilanciamento tra vita familiare e professionale, coinvolgendo istituzioni, parti sociali, aziende pubbliche e private, ma anche lavoratrici e lavoratori che si trovano ad affrontare problemi connessi al rientro da periodi di congedo. Il Servizio Politiche di genere della Provincia di Milano partecipa, in particolare, allo sviluppo di due delle macrofasi in cui si articola il progetto: - la creazione di un Forum territoriale per la conciliazione, individuato come iniziale esperienza di governance di sistema sulla conciliazione a livello locale, partendo dal presupposto che solo con il coinvolgimento dei portatori di interesse dei diversi sottosistemi è possibile arrivare alla composizione di esigenze che si presentano spesso contrapposte e alla definizione di strategie e di politiche concordate; - la realizzazione di attività di accompagnamento al rientro dalla maternità/paternità e di divulgazione di una cultura della conciliazione in azienda. ∗ Presidente di Orientamento Lavoro, consulente della Provincia di Milano per il progetto “Agenda dei territori per la conciliazione”. 4 Il partenariato del progetto è costituito da: Polo Scientifico Tecnologico Lombardo S.p.A: (capofila), Provincia di Varese, Provincia di Milano, Provincia di Como, Provincia di Lecco, Provincia di Brescia, Comune di Legnano, Fondazione Regionale Pietro Seveso, Gender Consulenza Formazione e Ricerca S.c.r.l., Euroimpresa Legnano S.c.r.l., Centro di Iniziativa Europea Soc. Coop., Università Carlo Cattaneo di Castellanza (Liuc), Istituto Studi Direzionali (Istud), Consorzio CO.SVIM. 30 L’idea del Forum, nata dall’esigenza di superare la separazione esistente tra politiche di conciliazione attivate da settori diversi di una stessa Amministrazione locale (lavoro e formazione, politiche sociali, pari opportunità ecc.) e dai decisori dei diversi sistemi (mercato del lavoro, imprese, servizi alla persona, trasporti, tempi della città), si è materializzata nella costituzione di un tavolo di lavoro al quale partecipano rappresentanti della Direzione Sviluppo economico, formazione e lavoro e della Direzione Politiche sociali della Provincia di Milano, di associazioni datoriali, di sindacati, della Rete delle Elette e la Consigliera provinciale di Parità. Le prime riunioni del Forum hanno favorito la creazione di relazioni tra le/i partecipanti, la raccolta di informazioni sulle varie attività che si stanno già svolgendo sul territorio e l’individuazione delle problematiche più rilevanti da affrontare sinergicamente e di possibili piste di lavoro prioritarie condivise. L’obiettivo è quello di riuscire, attraverso ulteriori incontri, a creare le condizioni perché il Forum possa consolidarsi come Osservatorio permanente a livello provinciale sul tema della conciliazione, finalizzato a: promuovere a livello locale una cultura più favorevole alla conciliazione; fornire informazioni sulle opportunità offerte dalla Legge 53/2000 alle aziende e ai/alle lavoratori/lavoratrici; approfondire proposte operative innovative ed efficaci; sviluppare politiche e interventi per la conciliazione lavoro-famiglia; monitorare il livello di utilizzo degli strumenti di conciliazione e valutarne periodicamente lo stato di attuazione e gli esiti. Contemporaneamente alla creazione del Forum, il Servizio Politiche di Genere della Provincia di Milano ha iniziato la sperimentazione del cosiddetto “Pacchetto Rientro”, un insieme di attività rivolte a aziende/enti locali: - il seminario di sensibilizzazione sugli strumenti di conciliazione in azienda; - il workshop Strumenti di conciliazione lavoro-famiglia: il tutor di accompagnamento in azienda e di attività rivolte a lavoratrici/lavoratori al rientro da congedi di maternità/paternità o di cura: - il bilancio di competenze; - il workshop C’è tempo per tutto. Per avviare la sperimentazione sono state contattate diverse aziende del territorio di dimensioni medio-grandi e alcuni Comuni e sono stati organizzati degli incontri con le/i responsabili delle risorse umane e con i Comitati Pari Opportunità per presentare le opportunità offerte dal progetto. 31 In alcuni casi la proposta non ha suscitato interesse, in altri erano già state adottate misure di conciliazione o non c’erano dipendenti che erano da poco rientrate/i o che sarebbero rientrate/i da congedi nell’arco di tempo in cui il progetto doveva essere realizzato. Un’azienda ha ritenuto opportuno inserire la figura della tutor per la conciliazione, individuando due dipendenti che avrebbero potuto ricoprire il ruolo: con loro sono stati effettuati degli incontri per definire il profilo di competenze della tutor, il suo ruolo in azienda e le condizioni di agibilità del ruolo e per valutare le principali novità introdotte dalla legge 53/2000. Hanno sinora partecipato alla sperimentazione del “pacchetto rientro” 2 aziende e 1 comune della provincia di Milano, che, in orario di lavoro, hanno offerto alle dipendenti che lo desideravano la possibilità di concedersi un tempo e uno spazio per riflettere sulla loro attuale situazione, sia lavorativa che familiare e personale, prendere maggiore consapevolezza dei cambiamenti intervenuti in seguito all’evento maternità, misurare le proprie competenze professionali e personali, individuare eventuali bisogni di aggiornamento/formazione o di adeguamento a cambiamenti aziendali avvenuti nel periodo di assenza, dare valore a quello che fanno sia nella sfera lavorativa che in quella familiare e, infine, ipotizzare un progetto di sviluppo professionale che possa armonizzarsi con loro strategia di conciliazione fra lavoro e famiglia. Sono stati erogati Bilanci di Competenze sia di piccolo gruppo che individuali. Un gruppo di neo-mamme ha partecipato al Workshop “C’è tempo per tutto”, che ha l’obiettivo di aiutare le lavoratrici a definire o ridefinire un progetto di conciliazione che valorizzi le reti personali di sostegno e i servizi presenti nel contesto sociale. Entrambe le proposte sono state seguite con grande interesse dalle partecipanti (tutte donne in quanto, come prevedibile, non si sono presentati casi di congedi di paternità). Riportiamo alcune osservazioni espresse alla fine degli incontri durante la valutazione dell’esperienza effettuata: “Ho acquisito capacità nell’affrontare con maggior sicurezza problematiche personali/familiari, una maggiore consapevolezza delle mie capacità e obiettività nel riconoscere i miei limiti, nel mettere a fuoco le mie aspettative, nel focalizzare i miei valori”. “Sono ora in grado di accettare serenamente i miei limiti”. “Sono capace di focalizzare meglio priorità e obiettivi”. 32 “Ho maggiore consapevolezza del mio ruolo, delle mie abilità e degli aspetti che potrebbero essere migliorati, della possibilità di sperimentare nuovamente le mie competenze e migliorarle nella quotidianità”. “Mi sono resa conto di aver voglia di investire nel lavoro e di migliorare”. “Ho potuto mettere a confronto la percezione che io ho del modo in cui svolgo il mio lavoro con quello che ne pensano le colleghe e i colleghi”. “Sono più consapevole delle abilità maturate in tutti gli anni di lavoro”. “Sono riuscita a focalizzare quelle che sono le mie peculiarità per poterle utilizzare al meglio”. “Ho potuto riflettere sulle competenze richieste dal ruolo al fine di agirle nel modo più corretto possibile”. “Il percorso mi ha aiutato a capire meglio le esigenze lavorative e a organizzare meglio il mio lavoro, a non agitarmi in modo particolare se si presenta qualche problematica mai affrontata prima, a migliorare i miei rapporti con gli altri, a essere più aperta all’ascolto, a non porre sempre il mio punto di vista come unico, a riflettere in che modo voglio ancora svolgere questo lavoro, se le mie aspirazioni lavorative finiscono qui o potrebbero avere altri orizzonti”. “Ho capito di stare svolgendo il lavoro che volevo nel posto che volevo”: “Ho capito di avere maggiori difficoltà di quanto pensassi, di aver bisogno di acquisire maggiore fiducia in me stessa”. “Mi sono resa conto che è possibile trovare un equilibrio stabile tra vita professionale e vita familiare che mi dia comunque la possibilità di progredire a livello professionale e contemporaneamente vivere la famiglia con le sue gioie e le sue difficoltà senza sensi di colpa, arrivare a fare tutto e bene se si impara a organizzarsi e a non farsi prendere dal panico, se si affrontano le situazioni in modo sereno e con un pizzico di buon umore”. “Il percorso mi ha aiutata a riconoscere la necessità di contenere la flessibilità oraria sul piano professionale e conciliare lavoro e gestione della famiglia, a confermare l’importanza di avere vari supporti esterni, a capire che entrambe le vite possono arricchirsi parallelamente intersecandosi, a convincermi ulteriormente che se fosse possibile e potessi permettermelo l’ideale per me e per la mia famiglia sarebbe un impiego part-time, a capire che grazie a questo lavoro riesco a essere molto presente nella mia famiglia, a capire di essere riuscita abbastanza a delegare parte del lavoro di cura, a delegare maggiormente sia a casa che sul lavoro, a fare meno cose, ma meglio”. 33 Figli Sì Grazie: un progetto innovativo per conciliare famiglia e lavoro, superando le rigidità organizzative e valorizzando le donne Maria Cecilia Scaldalai∗ Il tema della conciliazione tra famiglia e lavoro è complesso. Per le donne, la maternità resta un handicap, una sorta di corto circuito nella carriera e nella qualità della vita. Perché è difficile mettere insieme i pezzi di un’esistenza che si frammenta in più ruoli: donna, madre, lavoratrice, tutti impegnativi, tutti vitali e sacrosanti. Perché lo sviluppo della carriera è fortemente legato a una cultura organizzativa miope, ancorata a regole rigide, che non lascia spazio ad altri valori, a nuove aree di competenza, e quindi non vede le persone nella loro interezza, complessità e ricchezza, ma solamente in una dimensione organizzativa stereotipata. Affrontare il problema della conciliazione richiede diverse strategie, in grado di incidere contemporaneamente su più fronti. Dalla distribuzione delle responsabilità in ambito privato, un fatto non solo culturale, ai servizi per le famiglie, per i figli, alla gestione dei tempi e degli spazi nelle città, alla cultura delle imprese. L’organizzazione del lavoro è uno degli ambiti principali, determinante nel penalizzare, o al contrario, favorire un equilibrio fra vita lavorativa e vita privata. E’ questo un impegno che la Provincia di Milano, 2.500 dipendenti circa, per il 60% donne, di cui il 67 % in età feconda, persegue da diversi anni con politiche di conciliazione concrete. Da dieci anni, infatti, opera nell’Ente l’Ufficio conciliazione, che sostiene le donne proponendo loro soluzioni quali il part-time, l’orario di lavoro flessibile o personalizzato, il trasferimento agevolato in sedi più vicine a casa. In particolare, la deroga all’orario di lavoro, anche per periodi prolungati, è un’opportunità su cui molte donne fanno affidamento per affrontare il pesante problema della gestione dei tempi della famiglia. Tutti interventi importanti e utili, che però creano una stretta correlazione fra conciliazione e sostegno, e che se da un lato sicuramente aiutano le ∗ Responsabile del Servizio formazione della Provincia di Milano e capo progetto di Figli sì grazie. 34 donne, poco possono sotto il profilo della valorizzazione dei “talenti femminili”, delle capacità professionali. Perché un nuovo progetto? Con “figli sì grazie”, che costituisce una delle misure previste dal Piano triennale di azioni positive, adottato dall’Ente ai sensi delle leggi 125/92 e 196/2000, la Provincia di Milano ha cercato di andare oltre le misure di conciliazione famiglia-lavoro che già adotta e si è impegnata a ricercare soluzioni più idonee a superare le rigidità organizzative, per sperimentare modalità di lavoro davvero capaci di consentire alle giovani madri di vivere la maternità con meno ansie, e soprattutto senza penalizzazioni professionali. Quindi, con un obiettivo in più, molto ambizioso, quello di valorizzare le competenze di cui le donne sono portatrici, in quanto risorse fondamentali per l’ente. Potremmo dire, “non più solo conciliare uguale sostenere, ma anche conciliare uguale valorizzare”. Su chi agisce Figli sì grazie? L’assunto fondamentale da cui è partito il progetto è che “non vi può essere cambiamento né miglioramento senza sinergia fra organizzazione e individui”, ossia senza sforzo ed impegno reciproco. Da qui, il valore forte e peculiare del progetto, consistente nel fatto che persone e organizzazione si impegnano in uno sforzo comune, con pari responsabilità, in un patto di reciproca collaborazione, nell’attuare misure di conciliazione concordate, quindi oltre e al di là di una visione assistenziale. “Figli sì grazie”, agisce così su due fronti: quello personale e quello dell’organizzazione del lavoro. Sul piano personale, richiedendo alle donne, ma anche ai papà, di investire su se stessi, impegnandosi a sperimentare nuove regole e nuovi comportamenti; sul piano della struttura, sperimentando nuovi modelli di organizzazione del lavoro e diversi strumenti operativi. Con quali opportunità? In concreto, da marzo dell’anno scorso, le dipendenti in attesa di un bambino, e le neo mamme, ed anche i futuri o neo padri che intendono usufruire del congedo parentale, possono rivolgersi ad un servizio interno di “counseling organizzativo”, consulenza personalizzata, per essere aiutati a esplorare la propria dimensione lavorativa in rapporto ai cambiamenti dovuti alla maternità/paternità, e mettere quindi a punto un progetto individuale di conciliazione. Non una soluzione uguale per tutti, ma tante soluzioni personali. Per esempio, formazione anche durante il congedo parentale, per non perdere il contatto col lavoro e coi colleghi. Bilancio di competenze al rientro, per risintonizzarsi col lavoro, ritrovare motivazione e stimolo, o per 35 intraprendere un nuovo itinerario professionale. Per chi, al termine del congedo, rientra con orario a tempo pieno, e non opta quindi per il part-time perché penalizzante dal punto di vista sia professionale che economico, due opportunità. La prima, nuova e dal forte impatto organizzativo, consiste nella possibilità di sperimentare per un anno l’e-work, cioè il lavoro a casa, con l’obbligo di una sola presenza settimanale in ufficio. La seconda, importante per sostenere le donne che desiderano riprendere il lavoro, ma anche i padri al termine di un periodo minimo di congedo parentale di due mesi, consiste nell’usufruire di un contributo economico per le spese sostenute per servizi all’infanzia (asilo nido, baby sitter). Dall’esperienza vissuta, l’e-work rappresenta una soluzione nuova, particolarmente interessante sul piano della conciliazione abbinata alla valorizzazione del lavoro delle donne. A differenza del telelavoro, che ha avuto poco successo in ambito pubblico per le sue rigidità attuative, l’ework, consistente nel lavoro domiciliare, svolto attraverso l’utilizzo della tecnologia (computer portatile, Internet, posta elettronica), offre maggiore flessibilità e soprattutto opportunità di valorizzazione professionale. Infatti, ogni progetto è personale, realizzato e condiviso con l’unità operativa di appartenenza dell’e-worker, e strutturato secondo logiche di risultato. Valorizzazione professionale e autonomia organizzativa per le donne, garanzia della prestazione e mantenimento delle competenze per l’ente, sono in sintesi i risultati che scaturiscono da due interessi che si incontrano in un vantaggio comune. Ulteriore fattore positivo dell’e-work rispetto al telelavoro è rappresentato dal superamento dello “straniamento” del lavoratore/lavoratrice che spesso si verifica appunto col telelavoro, concepito di fatto come lavoro esternalizzato, gestito sì in autonomia, ma anche in solitudine, al di fuori dal contesto aziendale. Con l’e-work la persona lavora a casa, senza però ritrovarsi in una condizione di estromissione dalla realtà lavorativa dell’ente, perché l’attività affidata è integrata nel processo di lavoro dell’unità di appartenenza, i rapporti con le colleghe ed i colleghi, che svolgono funzioni complementari e correlate, sono ricostruiti e ridisegnati nel progetto che coinvolge tutti. Quanti hanno aderito al progetto? In questa fase sperimentale del progetto si è scelta l’adesione spontanea, per sottolineare l’importanza della motivazione, della partecipazione attiva e della corresponsabilità. La riposta è stata largamente positiva, come evidenziato dalla tabella che riporta i dati della partecipazione. In sostanza, la gran parte delle donne in maternità, o in fase di rientro dal congedo parentale, o addirittura già rientrate da oltre un anno, hanno aderito, scegliendo fra le opportunità 36 offerte, ma anche suggerendo altre possibili azioni, contribuendo a valutare le misure proposte, a mettere a punto nuovi modelli organizzativi, da consolidare in futuro. Anche gli uomini, futuri o neo padri, hanno portato il loro contributo, soprattutto sul piano della riflessione, nei focus groups e nei colloqui individuali. Di questi, tre hanno sperimentato il congedo parentale, misurandosi così a loro volta sia sul piano personale, nel senso di un ruolo paterno più attivo e coinvolgente, sia sul piano organizzativo, ossia delle difficoltà che intervengono al lavoro in relazione all’assenza per maternità/paternità, realtà molto nota alle donne! Hanno aderito al progetto Mamme Papà totale Tra cui Mamme rientrate nel 2006 Mamme in congedo Future mamme Mamme rientrate anni precedenti Papà totale 99 17 116 Le scelte 16 24 colloqui di counseling 5 e-work 54 bonus asilo erogati nel 2006 17 116 41 4 72 Da chi è stato realizzato il progetto? “Figli sì grazie”, promosso dall’Assessora al personale Daniela Gasparini e sostenuto dal Comitato pari opportunità dell’Ente, è stato realizzato da un gruppo di donne - con me, Ariella Donnini, Maria La Salandra e Donatella Mostacchi – che hanno messo in campo, oltre alla professionalità, cultura e sensibilità femminili, dimostrando così che sostenere politiche di conciliazione, serie, incisive e nuove, è possibile ad alcune condizioni. E cioè, a condizione che fra persone e organizzazione si stipuli un patto di impegno e responsabilità, di reciproco vantaggio, in grado di salvaguardare gli interessi di entrambi . E a condizione che si cambi cultura gestionale e stile direzionale, che si provi ad affrontare i problemi e le difficoltà con un approccio di inclusione, condivisione, con uno stile in cui mediazione e partecipazione si sostituiscono a imposizione, tecnicismi gestionali, autoritarismi. 37 Appendice Normativa di riferimento Legge 10 aprile 1991, n. 125 Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro. Legge 8 marzo 2000, n. 53 Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città. D. lgs 26 marzo 2001, n. 151 Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53. Legge Regionale 28 ottobre 2004, n 28 Politiche regionali per il coordinamento e l'amministrazione dei tempi delle città. Legge 27 dicembre 2006, n. 296 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 2007). 38 Informazioni e osservazioni su nuove disposizioni normative che riguardano le politiche di conciliazione Sisa Biadene∗ Segnaliamo alcune nuove disposizioni normative – in particolare quelle contenute nella legge finanziaria 2007 (Legge 27 dicembre 2006, n. 296 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato") - che riguardano le politiche di conciliazione in diversi ambiti, con anche alcune note sugli effetti dei provvedimenti e su alcune questioni aperte5. Interventi a sostegno della conciliazione nelle imprese 1. Viene modificato l’art. 9 della L. 53/2000, “Misure a sostegno della flessibilità di orario”, volto a incentivare azioni positive di flessibilità per la conciliazione lavoro-famiglia nelle imprese, con l’art. 1 comma 1254 della Legge finanziaria 2007, che mantiene lo stesso titolo (v. all. A). Le innovazioni riguardano: - l’attribuzione al Ministro delle politiche per la famiglia6 della competenza di definire la quota del Fondo delle politiche per la famiglia da destinare alla promozione ed incentivazione delle misure di conciliazione nelle imprese, senza indicazioni di limiti all’ammontare. In precedenza l’art. 9 della L. 53/2000 assegnava tale competenza al Ministro del lavoro e della previdenza sociale, prevedendo l’utilizzo di una quota massima di 40 miliardi di lire del Fondo per l’occupazione e la definizione, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e per le pari opportunità, dei criteri e delle modalità per la concessione dei contributi. Attualmente viene stabilito dall’art 1 comma 1256 della stessa Legge finanziaria che i criteri per la concessione dei contributi siano definiti con decreto del Ministro delle politiche per la famiglia, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e per i diritti e le pari opportunità; ∗ Vicepresidente di Gender. Materiale prodotto nell’ambito del progetto Equal “Agenda dei territori per la conciliazione” a supporto dei Forum territoriali. 6 In altri documenti ufficiali come la circolare interministeriale N. 1/07 del 26 gennaio 2007 viene usata la dicitura “Ministero della famiglia” o “Dipartimento per le politiche della famiglia”. 5 39 - 2. 3. 4. l’inclusione tra i soggetti che possono richiedere un finanziamento anche di ASL e Aziende ospedaliere; - l’ampliamento della fascia dei possibili destinatari delle misure di conciliazione indicate alla lettera a), che consistono in particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro: viene indicata la priorità per madri e padri di bambini fino a 12 anni (prima il limite era di 8 anni) o 15 anni in caso di affidamento od adozione o di disabilità del minore (prima il limite era di 12 anni). Inoltre, viene indicata l’estensione anche a lavoratori con anziani non autosufficienti a carico, per quanto riguarda una nuova tipologia di interventi finanziabili, indicati alla lettera d) (v. paragrafo seguente); - l’estensione del campo di interventi ammessi al finanziamento, con l’aggiunta di “interventi ed azioni comunque volti a favorire la sostituzione, il reinserimento, l’articolazione della prestazione lavorativa e la formazione dei lavoratori con figli minori o disabili a carico ovvero con anziani non autosufficienti a carico” (v. nuovo punto d) del comma citato). Va notato che al punto a) del comma citato, è stata introdotta una variazione, il cui senso non è immediatamente decifrabile: tra le misure che possono essere adottate, viene indicato il “part time”, invece del “part time reversibile”. Questo può significare che si ampli la possibilità di ottenere l’introduzione di rapporti part time da parte di lavoratrici madri o lavoratori padri, ma anche che diventi più difficile far accettare alle aziende il ritorno ad un rapporto full time, con evidenti effetti negativi sullo sviluppo professionale e sulla retribuzione. L’art. 1 comma 1256 (già citato a proposito dell’attribuzione di competenza nella definizione dei criteri per la concessione dei contributi), precisa che “in ogni caso, le richieste dei contributi provenienti dai soggetti pubblici saranno soddisfatte a concorrenza della somma che residua una volta esaurite le richieste di contributi delle imprese private” (v. all. A). Con l’art. 1 comma 1255 si prevede la possibilità di destinare parte delle risorse indicate nel comma 1254 ad “attività di promozione delle misure in favore della conciliazione, di consulenza alla progettazione, di monitoraggio delle azioni, nonché all’attività della Commissione tecnica con compiti di selezione e valutazione dei progetti” (v. all. A). Il finanziamento e la promozione di iniziative di conciliazione, disposte dai commi citati, sono previsti anche dallo stesso comma (1250), che 40 stabilisce un incremento del Fondo per le politiche della famiglia e ne prevede l’utilizzo da parte del Ministro delle politiche per la famiglia per varie finalità, tra cui “… per finanziare le iniziative di conciliazione del tempo di vita e di lavoro di cui all'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53; … per sviluppare iniziative che diffondano e valorizzino le migliori iniziative in materia di politiche familiari adottate da enti locali e imprese” (v. all. A). Alcune osservazioni 1. Il passaggio della gestione operativa dei contributi per progetti di conciliazione dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale a quello delle politiche per la famiglia non è ancora avvenuto. Una circolare emessa dai due Ministeri N. 1/07 del 26 gennaio 2007 che ha come oggetto “chiarimenti sull’applicazione dall’art 9 della L. 53/2000 così come modificato dall’art. 1 comma 1254, Legge 27 dicembre 2007 n. 296 – presentazione progetti entro il 12 febbraio 2007”, fornisce alcune indicazioni in merito ai progetti finanziabili, segnalando i siti in cui sono reperibili i documenti cui è necessario attenersi per la presentazione delle richieste di finanziamento, da inoltrarsi, per la scadenza del 12/02/07, ancora al Ministero del lavoro. La circolare precisa inoltre che un recente decreto interministeriale in corso di registrazione dispone la destinazione della somma di E 5.300.000 per l’erogazione dei contributi ex art. 9. In particolare viene indicato che: - per le “azioni previste alle lettere a), b) e d) possono essere ammesse le imprese di diritto privato, individuali o collettive, a partecipazione pubblica totale o parziale, poiché detta partecipazione non intacca il regime privatistico nel quale esse operano ed agiscono” mentre “rientrano tra i soggetti non ammissibili anche gli enti pubblici e le pubbliche amministrazioni … ad esclusione delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere”; - la tipologia di interventi introdotta con la nuova lettera d) viene estesa anche “ad esempio alla realizzazione di azioni sperimentali anche volte a favorire l’accesso ad asili nido aziendali e a quelle misure dirette a qualificare l’azienda in funzione di un miglioramento delle azioni positive per la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura della famiglia”; - sono finanziabili anche le azioni di sostituzione previste alla lettera c) che riguardano lavoratori/trici a progetto, a condizione che vi 41 2. sia l’assenso esplicito del committente sulla sostituzione e sul sostituto. Ulteriori indicazioni sulle attività finanziabili sono contenute nell’Elenco dei costi ammissibili relativi ai progetti di azioni positive per la flessibilità art. 9 legge 8 marzo 2000 e successive modificazioni, reperibile nei siti dei due Ministeri autori della circolare. Rimane dunque aperto il problema del passaggio della gestione da un Ministero all’altro, con prevedibili difficoltà in ordine al trasferimento del personale del Ministero del lavoro che aveva acquisito nel tempo competenze e instaurato relazioni con i diversi attori significativi a livello locale o in ordine all’eventuale necessità di incaricare nuove risorse del Ministero della famiglia, con evidente rischio di perdita di know how. Ma si può rilevare un ulteriore aspetto di criticità non congiunturale, legato all’affidamento della promozione di politiche di conciliazione nelle imprese al Ministero delle politiche per la famiglia, separandole quindi dall’ambito dell’occupazione e riportandole nell’ambito privato. Una criticità che è sottolineata anche in una nota della UIL (v. www.uil.it, sezione Politiche delle pari opportunità) che, accanto a giudizi positivi su altri provvedimenti della legge finanziaria, sul passaggio dei contributi dell’art. 9 della L. 53/2000 al Fondo per la Famiglia afferma: “Questo cambia radicalmente l’ottica della condivisione degli equilibri tra vita e lavoro riportando, ancora una volta, la conciliazione e la flessibilità dei tempi ad una mera questione familiare che ne riduce la funzione sociale espressamente suggerita dallo spirito della L. 53”. Se, da un lato, le modifiche apportate all’art. 9 della L. 53/2000, come si è visto, estendono positivamente le opportunità di richiedere finanziamenti a nuovi soggetti, per una fascia più ampia di destinatari e per una nuova tipologia di azioni, dall’altro lo stanziamento, previsto dal decreto interministeriale citato, è così ridotto da far ritenere che gli interventi non potranno che costituire una nicchia scarsamente significativa sul territorio nazionale. Si può obiettare che finora i progetti presentati non sono numerosi, ma le ragioni che hanno disincentivato le imprese sono state molte, tra cui i tempi di approvazione e di erogazione dei contributi, l’onerosità di arrivare ad accordi sindacali senza avere la certezza di poter ottenere un sostegno alla realizzazione delle azioni previste, la mancanza di chiarezza su vari aspetti della normativa, come nei casi di imprese a titolarità mista pubblica e privata o di incertezza sull’ammissibilità delle azioni 42 3. previste o di destinatari/e potenziali. Molti punti sono stati chiariti dalla recente circolare interministeriale, ma alcuni restano aperti e alcuni dubbi, in particolare, sono stati introdotti dalla nuova formulazione dell’art. 9, ad esempio rispetto al part time, come si è visto, o al fatto che soltanto per la nuova tipologia di azioni previste vengano compresi tra i destinatari i lavoratori e le lavoratrici con anziani non autosufficienti a carico e non venga indicato un limite di età dei figli a carico. Non è chiaro inoltre se la quota di risorse che l’art. 1 comma 1255 della legge finanziaria 2007 prevede sia destinata ad attività di promozione delle misure in favore della conciliazione, di consulenza alla progettazione, di monitoraggio delle azioni, sia utilizzabile anche da parte di enti locali o soltanto dal Ministero delle politiche per la famiglia. Permessi e congedi parentali Il comma 1266 della legge finanziaria 2007 stabilisce che i genitori che ”fruiscono dei permessi di congedo per un periodo continuativo non superiore ai sei mesi, hanno diritto ad usufruire di permessi non retribuiti in misura pari al numero dei giorni di congedo ordinario che avrebbero maturato nello stesso arco di tempo lavorativo, senza riconoscimento del diritto a contribuzione figurativa”. La Legge finanziaria 2007 (art. 1, c. 788) riconosce a decorrere dal 1° gennaio 2007, anche alle lavoratrici a progetto e categorie assimilate iscritte alla gestione separata INPS per le nascite o per gli ingressi in famiglia nei casi di adozione o affidamento avvenuti a partire dal 1° gennaio 2007 un trattamento economico per congedo parentale della durata di 3 mesi di cui è possibile beneficiare entro il primo anno di vita del bambino, pari al 30% del reddito preso a riferimento per l'erogazione dell'indennità di maternità. Il testo del comma non parla esplicitamente di lavoratrici, ma di “lavoratori che abbiano titolo all’indennità di maternità” e nel documento della Presidenza del Consiglio “La finanziaria per la famiglia”, alla pagina “Diritti per le lavoratrici e i lavori precari 1/3” risulta la stessa ambiguità: “Misure a tutela della maternità. Ai lavoratori a progetto, o comunque precari, e iscritti alla gestione separata dell’Inps (quasi 3 milioni di cittadini), la Finanziaria 2007 riconosce per la prima volta l’indennità di malattia e i congedi parentali. Anche per le mamme che hanno un contratto di lavoro a tempo determinato è riconosciuto, entro il primo anno di vita dei figli, un congedo di tre mesi con retribuzione pari al 30% del reddito di riferimento”. Non avendo trovato 43 delle precisazioni in merito, attraverso una ricerca in internet su documenti prodotti da varie fonti sulla Finanziaria, attraverso una consulente esperta su queste tematiche abbiamo avuto conferma – da lei ottenuta dall’INPS - che i congedi, nei termini di quanto disposto dal comma 788, sono previsti soltanto per le lavoratrici e per i lavoratori esclusivamente nei casi in cui per morte, grave infermità, abbandono della madre il figlio sia affidato unicamente a loro. Servizi a sostegno del lavoro di cura - Piano straordinario di intervento per lo sviluppo di una rete di servizi socio-educativi per la prima infanzia (art. 1, c. 1259). E’ previsto che il Ministro delle politiche per la famiglia, di concerto con i Ministri della pubblica istruzione, della solidarietà sociale e per i diritti e le pari opportunità, promuova una intesa in sede di Conferenza unificata per definire il riparto di una somma di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 e “i livelli essenziali delle prestazioni e i criteri e le modalità sulla cui base le Regioni attuano un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socioeducativi, al quale concorrono gli asili nido, i servizi integrativi, diversificati per modalità strutturali, di accesso, di frequenza e di funzionamento, e i servizi innovativi nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e presso i caseggiati, al fine di favorire il conseguimento entro il 2010, dell'obiettivo comune della copertura territoriale del 33% fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000 e di attenuare gli squilibri esistenti tra le aree del Paese”. - Assistenza alle persone non autosufficienti: viene istituito presso il Ministero della solidarietà sociale un "Fondo per le non autosufficienze", al quale è assegnata la somma di 100 milioni di euro per l'anno 2007 e di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 per fornire le prestazioni essenziali (art. 1, c. 1264) e che verrà utilizzato secondo atti adottati dal Ministro della solidarietà sociale, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro delle politiche per la famiglia e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata (art. 1, c. 1265). - Riorganizzazione dei consultori familiari, finalizzata a potenziarne gli interventi sociali in favore delle famiglie: è previsto che ne vengano definiti criteri e modalità di realizzazione insieme al Ministro della salute, con una intesa in sede di Conferenza unificata, avvalendosi di risorse del Fondo per la famiglia (art. 1, c. 1251). 44 Allegato A: le disposizioni normative introdotte dalla Legge Finanziaria 2007 Legge 27 novembre, n. 296, art. 1 comma 1250 Il Fondo per le politiche della famiglia di cui all'articolo 19, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e' incrementato di 210 milioni di euro per l'anno 2007 e di 180 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Il Ministro delle politiche per la famiglia utilizza il Fondo: per istituire e finanziare l'Osservatorio nazionale sulla famiglia prevedendo la rappresentanza paritetica delle amministrazioni statali da un lato e delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali dall'altro, nonchè la partecipazione dell'associazionismo e del terzo settore; per finanziare le iniziative di conciliazione del tempo di vita e di lavoro di cui all'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53; per sperimentare iniziative di abbattimento dei costi dei servizi per le famiglie con numero di figli pari o superiore a quattro; per sostenere l'attività dell'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile di cui all'articolo 17 della legge 3 agosto 1998, n. 269, e successive modificazioni, dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia di cui alla legge 23 dicembre 1997, n. 451; per sviluppare iniziative che diffondano e valorizzino le migliori iniziative in materia di politiche familiari adottate da enti locali e imprese; per sostenere le adozioni internazionali e garantire il pieno funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali. Comma 1254 L'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, è sostituito dal seguente: "Art. 9. - (Misure a sostegno della flessibilità di orario) - 1. Al fine di promuovere e incentivare azioni volte a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro, nell'ambito del Fondo delle politiche per la famiglia di cui all'articolo 19 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, è destinata annualmente una quota individuata con decreto del Ministro delle politiche per la famiglia, al fine di erogare contributi, di cui almeno il 50 per cento destinati ad imprese fino a cinquanta dipendenti, in favore di aziende, aziende sanitarie locali e aziende ospedaliere che applichino accordi contrattuali che 45 prevedano azioni positive per le finalità di cui al presente comma, ed in particolare: a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, tra cui part time, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità per i genitori che abbiano bambini fino a dodici anni di età o fino a quindici anni, in caso di affidamento o di adozione, ovvero figli disabili a carico; b) programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo; c) progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo; d) interventi ed azioni comunque volti a favorire la sostituzione, il reinserimento, l'articolazione della prestazione lavorativa e la formazione dei lavoratori con figli minori o disabili a carico ovvero con anziani non autosufficienti a carico". Comma 1255 Le risorse di cui al comma 1254 possono essere in parte destinate alle attività di promozione delle misure in favore della conciliazione, di consulenza alla progettazione, di monitoraggio delle azioni nonchè all'attività della Commissione tecnica con compiti di selezione e valutazione dei progetti. Comma 1256 Con decreto del Ministro delle politiche per la famiglia, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e per i diritti e le pari opportunità, sono definiti i criteri per la concessione dei contributi di cui al comma 1254. In ogni caso, le richieste dei contributi provenienti dai soggetti pubblici saranno soddisfatte a concorrenza della somma che residua una volta esaurite le richieste di contributi delle imprese private. 46 La Road Map 2006-2010 Una tabella di marcia per la parità fra le donne e gli uomini (sintesi)∗ La tabella di marcia definisce alcuni settori esistenti e propone settori di intervento interamente nuovi. Complessivamente vengono considerati sei settori prioritari: indipendenza economica uguale per le donne e gli uomini, conciliazione della vita privata e professionale, rappresentanza uguale nell'assunzione di decisioni, eliminazione di ogni forma di violenza basata sul genere, eliminazione degli stereotipi legati al genere e promozione della parità fra le donne e gli uomini nelle politiche esterne e di sviluppo. Infine, un'indipendenza economica uguale per le donne e gli uomini. Un'indipendenza economica uguale per le donne e gli uomini Nonostante i progressi significativi compiuti tramite la normativa sulla parità di trattamento e grazie al dialogo sociale, l'Europa si trova tuttora a far fronte ad alcune sfide considerevoli. La Commissione, a tale proposito, stabilisce alcuni obiettivi in relazione a sei punti chiave. - Alcuni obiettivi di Lisbona riguardano bensì l'aspetto legato al genere, tuttavia gli sforzi per realizzarli devono aumentare, in particolare per quanto riguarda il tasso di occupazione e di disoccupazione delle donne. - Nonostante la normativa comunitaria esistente, si rileva tuttora uno scarto di retribuzione del 15% fra le donne e gli uomini, risultante da ineguaglianze strutturali come, ad esempio, la segregazione in settori di lavoro. - Le donne costituiscono in media il 30% degli imprenditori nell'Unione europea (UE). Esse si trovano spesso a far fronte a maggiori difficoltà nell'accesso ai finanziamenti e alla formazione. - Il rischio di povertà è maggiore per le donne rispetto agli uomini in quanto esse rischiano interruzioni di carriera con la conseguenza di accumulare meno diritti. I sistemi di protezione sociale dovrebbero consentire alle donne di accumulare adeguati diritti individuali pensionistici. - Le donne e gli uomini sono esposti in maniera diversa ai rischi di natura sanitaria. La ricerca medica e molte norme in materia di ∗ Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni (Sintesi). 47 - sicurezza e sanità fanno infatti riferimento agli uomini, ovvero riguardano settori professionali a prevalenza maschile. Combattere la discriminazione multipla nei confronti delle donne immigrate e delle minoranze etniche. La conciliazione della vita privata e professionale - Le condizioni di lavoro elastiche presentano molti vantaggi. Peraltro, il fatto che per lo più siano le donne a utilizzare tali disposizioni determina un impatto negativo sulla loro posizione sul luogo di lavoro e sulla loro indipendenza economica. - Il declino demografico in corso non consente all'UE alcuno spreco di capitale umano. Così, migliori strutture per la sorveglianza dei bambini possono consentire di realizzare un nuovo equilibrio fra il lavoro e la vita privata. - Pochi uomini prendono un congedo parentale o lavorano a tempo parziale. Dovrebbero pertanto essere adottate misure volte ad esortarli ad assumere maggiori responsabilità familiari. Una rappresentanza uguale nell'assunzione delle decisioni - La minore rappresentanza persistente delle donne nella società civile, nella vita politica e nell'alta amministrazione pubblica, rappresenta un "deficit" democratico. - Una partecipazione equilibrata può contribuire ad una cultura del lavoro più produttiva ed innovatrice. È essenziale a tal fine la trasparenza nei processi di promozione. - Raggiungere l'obiettivo stabilito dagli Stati membri, 25 % di donne nei posti di responsabilità nella ricerca pubblica, può migliorare l'innovazione, la qualità e la competitività della ricerca. L'eliminazione di ogni forma di violenza basata sul genere - Pratiche quali la mutilazione genitale femminile o i matrimoni precoci e forzati costituiscono violazioni del diritto fondamentale alla vita, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità e all'integrità fisica ed emotiva. - Per combattere la "tratta" delle donne, la Commissione suggerisce di criminalizzare tale traffico tramite una normativa adeguata, scoraggiando nel contempo la domanda di esseri umani per sfruttamento sessuale. La nuova direttiva sui permessi di soggiorno per le vittime della "tratta" rappresenterà uno strumento utile per il loro reinserimento nel mercato del lavoro. 48 L'eliminazione degli stereotipi legati al genere - Nell'insegnamento e nella cultura i giovani dovrebbero essere incoraggiati ad orientarsi verso studi non tradizionali, anche per evitare che le donne finiscano nelle professioni meno valorizzate e meno retribuite. - Sul mercato del lavoro le donne continuano a dover far fronte ad una segregazione al tempo stesso orizzontale e verticale. Esse restano impiegate in settori meno valorizzati e occupano generalmente livelli inferiori nella gerarchia. La promozione della parità nelle politiche esterne e di sviluppo Per la promozione della parità nelle politiche esterne e di sviluppo, è necessario distinguere i paesi aderenti, candidati e candidati potenziali, dagli altri paesi partecipanti eventualmente alla politica europea di buon vicinato. I primi sono tenuti a trasporre nel loro diritto interno l'acquis comunitario. Per quanto riguarda i secondi, invece, l'UE promuove principi internazionalmente riconosciuti, come la dichiarazione del millennio per lo sviluppo e la piattaforma di azione di Pechino (BPfA) ( DE ), ( EN ), ( FR ). Inoltre, essa ha ribadito nel « Consenso europeo sullo sviluppo » che la parità fra donne e uomini è uno dei cinque principi chiave della politica di sviluppo. La nuova strategia dell'UE per l'Africa comprende parimenti tale aspetto. Azioni chiave Rivedere la normativa La Commissione esaminerà la normativa comunitaria esistente sulla parità fra i sessi, non oggetto dell'azione di rifondazione legislativa del 2005 , al fine di modernizzarla. La Commissione si adopererà, giovandosi del sostegno del gruppo interservizi della Commissione sull'integrazione dell'aspetto riguardante il genere, al fine di integrare per quanto possibile l'aspetto della parità dei sessi in tutte le politiche, ad esempio nelle linee di orientamento integrate per la crescita e l'occupazione , e nel nuovo metodo aperto di ) riguardante le pensioni, coordinamento razionalizzato ( l'inserimento sociale, la salute e le cure di lunga durata. Sensibilizzazione L'eliminazione degli stereotipi legati al genere passa essenzialmente attraverso la sensibilizzazione. La Commissione prevede, fra l'altro, di 49 potenziare il dialogo con i cittadini dell'UE attraverso il piano D come Democrazia, Dialogo e Dibattito ( EN ), ( FR ) nonché attraverso il portale " L'Europa è vostra ". Migliori statistiche e più ricerca La necessità di migliori statistiche si è manifestata nella maggior parte dei settori. Nuovi indicatori e un nuovo indice composito riguardante la parità fra i sessi dovrebbero consentire di comparare più agevolmente i dati a livello dell'UE. La suddivisione delle statistiche in base al sesso è del pari importante. Più ricerca viene richiesta per quanto riguarda l'aspetto legato al genere nel settore della salute e per le professioni del settore sociale e sanitario. Verrà inoltre sviluppata la base di dati europei sulle donne e sugli uomini nell'assunzione delle decisioni. Il 7° programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico può servire come strumento per il finanziamento di ricerche ad hoc. A livello internazionale, la piattaforma di Pechino, appoggiata dalla Commissione, prevede migliori strutture per la raccolta dei dati riguardanti gli aspetti legati al genere nei paesi in via di sviluppo. Altre misure La Commissione terrà conto dell'aspetto legato al genere in varie comunicazioni future, in particolare sulla demografia, sull'attuazione di un sistema di statistiche comparabili sulla criminalità, sulle vittime e sulla giustizia sociale, nonché su "Una visione europea nella parità fra le donne e gli uomini nella cooperazione allo sviluppo". Essa elaborerà una guida europea delle migliori prassi seguite, con riferimento alle differenze numeriche fra i sessi e, nel 2006, alcune linee di orientamento sull'integrazione degli aspetti legati al genere nelle attività di formazione per la gestione delle crisi internazionali, nonché manuali che prevedano l'integrazione del "genere" da parte degli operatori che intervengono nelle linee di orientamento integrate per la crescita e l'occupazione e nel nuovo metodo aperto di coordinamento razionalizzato riguardante le pensioni, l'inserimento sociale, la salute e le cure di lunga durata. La Commissione presenterà nel 2007 una comunicazione sulla differenza di retribuzioni fra gli uomini e le donne. Diversi avvenimenti costituiranno l'occasione per far progredire la causa della parità fra i sessi: l'Anno europeo per le pari opportunità per tutti nel 2007, l'Anno europeo della lotta contro l'emarginazione e la povertà nel 2010 e una conferenza ministeriale Euromed sulla parità fra le donne e gli uomini nel 2006. 50 La Commissione creerà una rete comunitaria di donne occupanti posti di responsabilità nell'economia e nella politica, nonché una rete di organismi che si interessano della parità fra le donne e gli uomini. Essa opererà in stretto contatto con le ONG e con le parti sociali. Il finanziamento Un nuovo Istituto europeo per la parità fra le donne e gli uomini, dotato di fondi pari a 50 milioni di euro, svolgerà un ruolo fondamentale nello sviluppo della maggior parte delle azioni suindicate. Il finanziamento delle azioni chiave verrà da una moltitudine di fonti, ivi compreso il futuro programma PROGRESS, dato che l'aspetto della parità fra donne e uomini è comune a varie politiche. Per tale motivo, la Commissione esaminerà le possibilità di sviluppare la presa in considerazione e la valutazione dell'impatto dell'aspetto relativo al "genere", nel processo di definizione del bilancio a livello dell'UE. I Fondi strutturali, quali il FEP e il FEADER (2007-2013), costituiscono una fonte importante di finanziamento. I Fondi strutturali consentiranno del pari di perseguire gli obiettivi di Barcellona riguardanti le strutture di sorveglianza dei bambini e lo sviluppo di altre strutture sanitarie. Infine, il FSE svolge un ruolo importante per l'inserimento delle donne nel mercato del lavoro, nonché per quanto riguarda l'integrazione delle donne dei paesi terzi nell'Unione europea e l'eliminazione degli stereotipi. 51 2007. Anno Europeo delle Pari Opportunità per tutti∗ La proclamazione del 2007 quale Anno Europeo delle Pari Opportunità per tutti costituisce un’ulteriore occasione per rinnovare l’impegno per la piena affermazione di una cultura della parità effettiva, coerente e condivisa. (Giorgio Napoletano, Presidente della Repubblica) Diritti: parità di trattamento senza discriminazioni Una società democratica è una società dove i diritti non dipendono dal luogo dove si nasce, dall’età, dal colore della pelle, dal sesso o dalla religione. Questo è l’obiettivo dell’Anno Europeo: ricordare a tutti le regole della democrazia, con i suoi diritti e i suoi doveri. Ma non solo. Democrazia vuol dire anche essere al passo con i tempi, con la società che cambia e si trasforma in una società multiculturale e multietnica, dove è fondamentale aprirsi agli altri e accogliere le diversità, in uno scambio di culture e valori in cui tutti possono riconoscersi, ma senza rinunciare alla propria identità e alle proprie regole. Un cammino condiviso verso la reciproca conoscenza, valorizzando ogni forma di diversità. Il 2007 sarà, dunque, l’anno dei diritti umani, sociali e di cittadinanza. Un anno di dialoghi e di contaminazioni di idee, generi, culture. Un anno dove “dare”, ma allo stesso tempo “prendere”, senza mai perdere e dimenticare le proprie radici e la propria identità. Rappresentanza: più partecipazione per tutte e per tutti È giunto il momento di incrementare la partecipazione alla vita sociale di chi è vittima di discriminazioni, e promuovere atti, leggi e politiche che promuovano una partecipazione equilibrata alla vita sociale di uomini e donne. I mondi del lavoro, della politica, delle istituzioni devono aprirsi e garantire una effettiva partecipazione delle donne per un riequilibrio della rappresentanza. Capacità, qualità, merito: questi i valori su cui puntare per eliminare ogni forma di discriminazione e per affermare con forza la parità tra i sessi che stenta a decollare. Il potere è ancora saldamente nelle mani degli uomini e le poche donne che riescono a raggiungerlo rappresentano una felice eccezione alla regola. Ma le capacità, le competenze, i saperi, non hanno sesso. Per questo bisogna riflettere su una nuova gerarchia dei diritti, a partire dal riconoscimento del merito e del talento individuali. Solo così si potrà abbattere il tetto di cristallo che relega ancora le donne in ruoli ∗ Volantino del Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità. 52 marginali. L’obiettivo, dunque, è più donne nel mondo del lavoro e coinvolte nella vita sociale e politica per incidere sul processo di selezione delle classi dirigenti. Perché una società che non garantisce la rappresentanza a entrambi i sessi è sintomo di un deficit di democrazia, di uguaglianza e di libertà. Riconoscimento: le diversità, una ricchezza in più Uguaglianza dei diritti, nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze. Dunque, aprirsi alle diversità, favorire il dialogo e stimolare il confronto tra i popoli e le culture diverse con l’obiettivo di rimuovere le discriminazioni, dirette o indirette, fondate sull’etnia, la religione, gli handicap e gli orientamenti sessuali. Perché è fondamentale comprendere che le differenze e le contaminazioni di culture sono una ricchezza da cui attingere per migliorare la convivenza tra i popoli e per crescere e migliorarsi come singoli. Riflettere, promuovere e riconoscere, dunque, la diversità come una risorsa perché tutti possono dare con capacità e saperi differenti un apporto positivo. Ma non solo. I diritti umani, sociali e di cittadinanza non sono slogan ma si nutrono di comportamenti concreti e quotidiani. Accogliere, collaborare, cooperare per non escludere. Una convivenza pacifica, che vada oltre le singole individualità richiede nuove politiche di integrazione. Costruire una società migliore e più vivibile è possibile se si attua una politica incentrata sulle differenze e sul rispetto. Rispetto: no alla violenza e agli stereotipi Un obiettivo ambizioso ma alla nostra portata: promuovere una società più aperta e solidale, diffondendo valori per la lotta contro le discriminazioni. Per far questo occorre sensibilizzare i cittadini sull’importanza di eliminare gli stereotipi, i pregiudizi e la violenza. Con l’anno europeo si vuole favorire il rispetto e le buone relazioni tra tutti, in particolare tra le nuove generazioni, sostenendo e incrementando la cultura del rispetto per l’altro e per il diverso. Diffondere la solidarietà e l’uguaglianza, nella piena consapevolezza delle diversità tra i singoli e tra i popoli. Fare del rispetto e della sensibilità un messaggio di pace e di speranza per il futuro. Perché la dignità è un diritto di tutti: uomini, donne, bambini, giovani, anziani. Questo vuol dire non abbassare mai i livelli di guardia. Nei riguardi delle donne ancora oggi oggetto di violenze e di abusi sessuali, con i quali si vuole negare la loro dignità, libertà e integrità. Nei riguardi dei diversi orientamenti sessuali e delle coppie di fatto, perché vivere liberamente e apertamente la propria vita sessuale e affettiva è un diritto fondamentale, inviolabile che impone il rispetto di tutti. 53 Riferimenti bibliografici Benvenuti M., Il lavoro atipico in Lombardia, in Gender (a cura di ), Il mercato del lavoro lombardo, una lettura di genere dei dati statistici, Comedit, Milano, 2004. Bianchi M., Conciliabilità tra famiglia, lavoro di cura e lavoro retribuito, in particolare per le donne, in base a dati e documentazioni a livello europeo, Bolzano, 2000. Bombelli Maria Cristina, Cuomo S., Il tempo al femminile. L'organizzazione temporale tra esigenze produttive e bisogni personali, Etas, Milano, 2003. Bruni A., Ghepardi S., Poggio B., All’ombra della maschilità. Storie di genere e di imprese, Guerini, Milano. Calafà L., La conciliazione tra incentivi e azioni positive, in Del Punta, Gottardi (a cura di), “I nuovi congedi”, Il Sole 24 Ore, Milano, 2001. 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