Dipartimento per la Ricerca, l’Innovazione e l’Organizzazione
Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione
Tecnologie avanzate
per la conservazione
del patrimonio
IX Salone dei Beni e delle Attività Culturali
Restaura - Venezia, 2-4 dicembre 2005
GANGEMI EDITORE
Dipartimento per la Ricerca, l’Innovazione e l’Organizzazione
Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione
Tecnologie avanzate
per la conservazione
del patrimonio
IX Salone dei Beni e delle Attività Culturali
Restaura - Venezia, 2-4 dicembre 2005
GANGEMI EDITORE
IX Salone dei B e
Capo Dipartimento GIUSEPPE PROIETTI
Segreteria Amministrativa
CRISTINA BRUGIOTTI, ANNA RITA DE GREGORIO, ROBERTA
PILOTTI, ROSARIA POLLINA, SILVIA SCHIFINI, SANDRA
TERRANOVA, FABIANA VINELLA
Il programma di partecipazione al IX Salone dei Beni e delle
Attività Culturali - Restaura 2005 è stato organizzato dalla:
DIREZIONE GENERALE PER L’INNOVAZIONE
TECNOLOGICA E LA PROMOZIONE
Direttore Generale ANTONIA PASQUA RECCHIA
Supporto operativo
DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E
PAESAGGISTICI DEL VENETO
Direttore Regionale PASQUALE MALARA
Coordinatori LUIGI MARANGON, VALTER ESPOSITO
DIPARTIMENTO
PER LA RICERCA, L’INNOVAZIONE
E L’ORGANIZZAZIONE
Servizio II - Comunicazione, Promozione e Marketing
Dirigente PAOLA FRANCESCA ZUFFO
Coordinamento generale, progettazione e realizzazione
opuscolo, materiali grafici e stand
ANTONELLA MOSCA
con FRANCESCO PAPAROZZI, MARIA SICILIANO,
NADIA TAMASI e con MONICA BARTOCCI, LIDIA LENTINI,
ALESSANDRA ROSA
Comunicazione multimediale
ALBERTO BRUNI
con RENZO DE SIMONE e FRANCESCA LO FORTE
Organizzazione incontri tecnici a cura dell’Ufficio di Direzione
Responsabile ROSANNA BINACCHI
con STEFANIA CELENTINO, MARIATERESA DI DEDDA,
VALENTINA DI LONARDO e FRANCESCA ROSSI
Ufficio per la Comunicazione
Responsabile ANNA CONTICELLO
con ALESSIA DE SIMONE
Supporto logistico
EDOARDO CICCIOTTO e MAURIZIO SCROCCA
con il contributo di:
Dipartimento per la Ricerca, l’Innovazione e l’Organizzazione
Capo Dipartimento GIUSEPPE PROIETTI
CFLR Centro di Fotoriproduzione Legatoria
e Restauro degli Archivi di Stato
Direttore GIGLIOLA FIORAVANTI
ICPL Istituto Centrale per la Patologia del Libro
Direttore ARMIDA BATORI
ICR Istituto Centrale per il Restauro
Direttore CATERINA BON VALSASSINA
OPD Opificio delle Pietre Dure
Direttore CRISTINA ACIDINI LUCHINAT
Dipartimento per i Beni Archivistici e Librari
Capo Dipartimento SALVATORE ITALIA
Archivio di Stato della Spezia
Direttore GRAZIANO TONELLI
Archivio di Stato di Torino
Direttore ISABELLA MASSABÒ RICCI
Archivio di Stato di Trento
Direttore GIOVANNI MARCADELLA
Archivio di Stato di Belluno
Comunicazione e rapporto con i media
FERNANDA BRUNO
Direttore EURIGIO TONETTI
©
Soprintendenza Archivistica per l’Umbria
Soprintendente MARIO SQUADRONI
Proprietà letteraria riservata
Gangemi Editore spa
Piazza San Pantaleo 4, Roma
w w w. g a n g e m i e d i t o r e . i t
Nessuna parte di questa
pubblicazione può essere
memorizzata, fotocopiata o
comunque riprodotta senza
le dovute autorizzazioni.
Finito di stampare nel mese di novembre 2005
GANGEMI EDITORE SPA – ROMA
ISBN 88-492-0916-9
Archivio di Stato di Venezia
Direttore RAFFAELE SANTORO
Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III
Direttore MAURO GIANCASPRO
Biblioteca Palatina di Parma
Direttore LEONARDO FARINELLI
Biblioteca Angelica
Direttore MARINA PANETTA
Biblioteca Universitaria Alessandrina
Direttore MARIA CONCETTA PETROLLO
Biblioteca Nazionale Universitaria
Direttore AURELIO AGHEMO
B eni e delle Attività Culturali
Restaura
Dipartimento Per i Beni Culturali e Paesaggistici
Capo Dipartimento FRANCESCO SICILIA
Soprintendenza per i beni archeologici della Basilicata
Soprintendente MARCELLO TAGLIENTE
Soprintendenza per i beni archeologici per le province
di Napoli e Caserta
Soprintendente MARIA LUISA NAVA
Soprintendenza per i beni archeologici di Roma
Soprintendente ANGELO BOTTINI
Soprintendenza per i beni archeologici della Liguria
Soprintendente GIUSEPPINA SPADEA (reggente)
V2 - e4 nd i cee zm bi rae
Soprintendenza per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico
per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
Soprintendente MAURO COVA (reggente)
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio e per il Patrimonio storico, artistico
ed etnoantropologico per Napoli e Provincia
Soprintendente ENRICO GUGLIELMO
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio e per il patrimonio storico artistico ed
etnoantropologico per le province di Cagliari e Oristano
Soprintendente GABRIELE TOLA
Soprintendenza per i beni archeologici per la Lombardia
Direttore ELISABETTA ROFFIA (reggente)
Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il
patrimonio storico artistico ed etnoantropologico dell’Umbria
Soprintendente VITTORIA GARIBALDI
Soprintendenza per i beni archeologici del Piemonte
e del Museo Antichità Egizie
Soprintendente MARINA SAPELLI RAGNI
Soprintendenza per i beni architettonici per il paesaggio e per il
patrimonio storico artistico ed etnoantropologico di Venezia e Laguna
Soprintendente RENATA CODELLO (reggente)
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio della Basilicata
Soprintendente ATTILIO MAURANO
Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”
Presidente CARLO CALLIERI
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio della Calabria
Soprintendente FRANCESCO PAOLO ADRIANO CECATI
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio per le province di Bologna,
Modena e Reggio Emilia
Soprintendente SABINA FERRARI
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio per le province di Milano, Bergamo, Como, Pavia,
Sondrio, Lecco, Lodi e Varese
Soprintendente ALBERTO ARTIOLI
Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per le province
di Venezia, Belluno, Padova e Treviso
Soprintendente GUGLIELMO MONTI
Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio per le province
di Verona, Rovigo e Vicenza
Soprintendente GIANNA GAUDINI (reggente)
Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico
ed etnoantropologico dell’Abruzzo
Soprintendente ANNA IMPONENTE
Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico
e etnoantropologico del Lazio
Soprintendente ROSSELLA VODRET (reggente)
Soprintendenza per il patrimonio storico artistico
ed etnoantropologico della Liguria
Soprintendente MARZIA CATALDI GALLO (reggente)
Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale
Comandante GEN. UGO ZOTTIN
Arcus S.p.A. - Arte, Cultura e Spettacolo
Direttore Generale ETTORE PIETRABISSA
Ales S.p.A. - Arte, Lavoro e Servizi
Amministratore Delegato BRUNO ESPOSITO
Presidente LUIGI COVATTA
Venezia
IX Salone dei Beni
2 0 0 5
e delle Attività
Culturali
2-4 dicembre
La salvaguardia dei beni culturali
attraverso le nuove tecnologie di restauro
Affrontare il tempo e i segni che questo lascia sulle opere d’arte e sconfiggerlo, restituendo in
tutto il suo splendore capolavori che altrimenti andrebbero dispersi. Questo il compito difficile
e strategico che i nostri restauratori affrontano quotidianamente con competenza e
professionalità ormai riconosciute universalmente.
La salvaguardia dei nostri beni culturali attraverso applicazioni di metodologie analitiche e di
intervento è un settore di vera eccellenza degli Istituti centrali, che sono preposti per legge
allo sviluppo delle nuove linee di ricerca, ma anche di istituzioni quali Cnr, Enea, Facoltà
universitarie.
I problemi collegati alla conservazione e al restauro sono oggi affrontati dai nostri tecnici
altamente specializzati con l’uso sempre più pervasivo delle nuove tecnologie, che consentono
la valutazione dei parametri climatici e microclimatici, il rilievo di superfici attraverso tecniche
di scansione laser, lo sviluppo di sistemi di supporto DSS (Decision support system) nel
campo della pianificazione territoriale e protezione dai disastri naturali (Risk preparness).
Non a caso questa grandissima capacità e di professionalità nell’intervento è ormai additata
ad esempio in tutto il mondo e le nostre linee di ricerca hanno incontrato il più vivo interesse
da parte delle più importanti istituzioni internazionali.
Il 22 ottobre 2004 è stata perfezionata a Parigi la convenzione tra Italia e UNESCO che affida
all’Italia il compito di coordinare gli interventi di prima necessità in caso di calamità naturali o
eventi bellici che arrechino gravi danni al patrimonio artistico mondiale. Ciò è indicativo del
valore dei nostri tecnici e restauratori ma anche delle tecniche d’avanguardia utilizzate nel
campo della conservazione.
La presenza di esperti italiani in siti internazionali quali la cittadella di Bam in Iran, la Città
Proibita e la Grande Muraglia in Cina, le grotte di Ajanta ed Ellora in India, il Museo Nazionale
di Baghdad, Leptis Magna e Sabratha in Libia e molti altri siti anche sul territorio nazionale
sono la concreta dimostrazione del livello di eccellenza raggiunto dal nostro Paese in un
settore cruciale per la conservazione ed il recupero delle vestigia dell’umanità..
Ma non solo del nostro intervento diretto possiamo essere fieri. Stiamo lavorando a tutte le
latitudini per la formazione permanente di restauratori – conservatori di altissimo livello,
4
esportando in tutto il mondo un vero e proprio made in Italy in materia di conservazione e
restauro dei beni culturali.
In questo modo l’Italia, che ha l’onore e l’onere della salvaguardia diretta della maggioranza
dei siti artistici del mondo, è oggi in prima linea nella difesa anche di gran parte del patrimonio
artistico che si trova al di fuori dei nostri confini. E’ questo un motivo di orgoglio e di
soddisfazione che vogliamo sottolineare, che va a merito di chi sta dedicando con passione
la sua vita a garantire all’umanità la conservazione dei suoi tesori.
On. Antonio Martusciello
Vice Ministro per i Beni e le Attività Culturali
5
DIREZIONE GENERALE PER PER L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA E LA PROMOZIONE
Dipartimento per la Ricerca, l’Innovazione e l’Organizzazione
“La materia dell’arte”: potrebbe
essere questo lo slogan che
“Restaura”: la
materia dell’arte
connota la partecipazione del
MiBAC al IX Salone dei Beni e
delle attività culturali di Venezia, da cui è derivata la prima
edizione di “Restaura”, incontro-evento con la collaborazione
tra il MiBAC e il Distretto Veneto dei Beni Culturali.
Lo slogan ben rappresenta la specificità del lavoro che,
quotidianamente, sul territorio e centralmente, viene svolto, in
condizioni non sempre ottimali, dalle centinaia di tecnici di cui
l’amministrazione dispone e che costituiscono un
impareggiabile patrimonio di sapere e saper fare, di conoscenze
e professionalità universalmente riconosciuto e apprezzato.
L’aderenza, formale e sostanziale, alla “materia” del
patrimonio, quindi alla sua stessa essenza costitutiva, rende
l’esperienza operativa degli Istituti del Ministero del tutto
originale. Solo attraverso l’intervento diretto sul patrimonio
si coglie veramente lo spirito e il valore della missione
istituzionale della conservazione.
“Restaura” nasce dunque dalla volontà di favorire l’incontro
e lo scambio culturale sui temi della conservazione e del
restauro tra i tecnici degli istituti del Ministero, centrali e
territoriali, i professionisti del settore e le imprese del
restauro dei beni culturali.
Il valore dello scambio è particolarmente elevato se si
considera che la prassi dell’agire quotidiano, caratterizzata
quasi sempre da ritmi incalzanti, impedisce un normale e
continuo scambio di esperienze e confronto interno
all’amministrazione, che invece rappresenta un
importantissimo fattore di crescita in ogni organizzazione. Il
rallentamento anche dei semplici flussi informativi sulle
buone pratiche impoverisce il potenziale innovativo delle
realizzazioni e si trasforma in un costo per l’amministrazione.
Certamente non mancano i convegni e i seminari in cui si
dibattono gli argomenti del restauro, quasi sempre di
altissimo livello, quasi sempre organizzati dalle Università e
dagli Enti di ricerca, a cui il MiBAC partecipa con
rappresentanze spesso folte di tecnici ed esperti.
Questa manifestazione ha un taglio diverso: sono le
“strutture” operative a presentare i risultati ritenuti più
interessanti e lo si fa in un contesto di confronto molto
operativo, con una presumibile ampia partecipazione di
giovani, con ampia possibilità di interazione diretta con un
pubblico vasto.
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Inoltre, come ormai d’abitudine per tutte le manifestazioni, il
Ministero partecipa a “Restaura” con una identità univoca e
riconoscibile, espressione eloquente dell’impegno assunto
nell’ambito della promozione dell’immagine istituzionale e
della organicità dei rapporti raggiunta con le realtà presenti
sull’intero territorio nazionale.
Il Dipartimento per la Ricerca, l’Innovazione e
l’Organizzazione, attraverso la Direzione Generale per
l’Innovazione Tecnologica, ha coordinato non solo la
partecipazione degli Istituti centrali ma anche la folta presenza
degli Istituti territoriali: Archivi, Biblioteche, Soprintendenze
archivistiche, Soprintendenze per i beni archeologici, per i beni
architettonici e il paesaggio, per il patrimonio storico, artistico
ed etnoantropologico; i trenta istituti che hanno aderito
presentano progetti innovativi (trentasei) legati al tema della
conservazione e del restauro.
I rapporti tra scienza e tecnologia, tra scienza e conservazione
e fra tecnologia e conservazione sono strettissimi, complessi,
da sempre indagati e sempre ancora tali da suscitare dibattiti.
Dalla gestione della conoscenza, alla diagnostica, al controllo
ambientale, all’impiantistica, alla ricerca sui materiali, alla
simulazione di stress e degrado, alla prevenzione e protezione
antisismica, sono numerosi gli ambiti in cui la ricerca
applicata, sviluppata per altri settori, quasi sempre a maggior
“peso specifico” di impatto economico, viene trasferita in
tecnologie sviluppate per la conservazione del patrimonio
culturale.
Tra le aree tematiche presenti a “Restaura” vi è quella dedicata
ai metodi diagnostici e alle procedure tecniche più avanzate per
il recupero del materiale archivistico e librario: sia l’Istituto per
la Patologia del Libro che il Centro di Fotoriproduzione,
Legatoria e Restauro presentano procedimenti innovativi che
utilizzano tecnologie di ultima generazione come la diagnosi
ottica tramite spettroscopia di immagini. L’Istituto Centrale per
il Restauro propone l’originale progetto sperimentale di
restauro di manufatti archeologici sommersi, tema di notevole
attualità, se si considera quanto si sia ampliata la conoscenza
del patrimonio sommerso a seguito delle ricerche in corso di
completamento (ci si riferisce in particolare al progetto
Archèomar). L’Opificio delle Pietre Dure presenta il restauro
della Porta del Paradiso del Ghiberti, realizzato con l’utilizzo del
laser per la pulitura dei metalli.
Di particolare interesse sono anche l’intervento di restauro
virtuale effettuato dall’Archivio della Spezia sul documento
7
DIREZIONE GENERALE PER PER L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA E LA PROMOZIONE
Dipartimento per la Ricerca, l’Innovazione e l’Organizzazione
“Pace di Calcandola” stipulato alla presenza di Dante Alighieri
e quello della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di
Napoli sull’innovativo sistema di monitoraggio ambientale via
onde radio.
Particolare è il progetto della Soprintendenza per i beni
archeologici del Piemonte, che applica la termografia
all’infrarosso per la conoscenza delle ceramiche antiche;
mentre la Soprintendenza per i beni architettonici e per il
paesaggio delle province di Verona, Rovigo e Vicenza, nel
restauro di Villa Caldogno, ha fatto uso di fibre di carbonio
per ricostruire la stratificazione funzionale alla ricostruzione
del livello originario della pavimentazione.
Infine, negli affreschi della cripta di San Zeno a Verona, la
Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico ed
etnoantropologico per le province di Verona, Rovigo e
Vicenza ha sperimentato un nuovo approccio sulle operazioni
di consolidamento utilizzando la nanocalce dispersa in alcol
iso-propilico. Non meno importanti e innovativi sono gli altri
esempi non citati. Nello stand del MiBAC tutti i progetti
vengono illustrati esaustivamente.
Un esempio di straordinario interesse, anche metodologico,
è rappresentato dal progetto di restauro della cattedrale di
Noto, di cui allo stand si può visionare la complessità
attraverso varie modalità di documentazione.
Il cortocircuito virtuoso tra scienza–tecnologia–
conservazione, di cui a “Restaura” viene presentato uno
spaccato significativo, si rafforza anche con la partecipazione
unitaria a manifestazioni come questa di Venezia.
Si
rafforza
anche
l’immagine
complessiva
di
un’amministrazione capace ed efficiente, punto di riferimento a
livello internazionale per tutto il mondo che ruota attorno alla
conoscenza e al restauro del patrimonio culturale.
Antonia Pasqua Recchia
Direttore Generale per l’Innovazione Tecnologica
e la Promozione
8
Direzione Regionale peri Beni e le Attività Culturali del Veneto
Il “Salone dei beni e delle attività
culturali”, felice intuizione,
Valter Esposito
portata avanti con “orgoglio” da
Luigi Marangon
Venezia Fiere con la stretta
Ufficio Stampa
collaborazione di Villaggio
Globale International e affiancata dal Distretto Veneto dei Beni
Culturali, giunta alla nona edizione, rappresenta sicuramente un
momento d’incontro e soprattutto di confronto per tutti gli
“operatori” del mondo della cultura, in particolare quelli del
Veneto. Un’occasione dove soprintendenze, musei, biblioteche,
archivi, ville, ma anche aziende private di qualsiasi
genere(turismo, editoria, commercio ecc. . ), avranno la
possibilità di “portare” la propria esperienza e le proprie idee in
queste tre giornate, dove nelle passate stagioni sono stati
registrate migliaia di visitatori. Il “valore aggiunto” a questa
manifestazione lo fornisce “Restaura”, una sorta di gigantesca
piazza aperta a tutte le aziende del restauro dei beni culturali.
L’occasione viene data qui a Venezia, città che per certi aspetti
rappresenta il vero e proprio simbolo del restauro. La nostra
Direzione Regionale per i Beni e le Attività Culturali del Veneto,
è ben presente a questo salone, dando respiro ad alcuni restauri
e progetti di assoluto valore, proposti dalle varie
Soprintendenze di settore. Auspicando in questo senso ad una
sempre maggiore offerta di servizi, possibile esclusivamente
con la collaborazione da parte di tutte le strutture operanti nel
mondo della cultura, diamo il “benvenuto” al Salone dei beni
culturali, il quale sicuramente ricopre un ruolo fondamentale
affinchè si continui a parlare di cultura ed a produrre cultura.
Fatti e non parole. . .
Fatti e non parole
9
DRIO
Dipartimento per l
CFLR - Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato
· Progetto di restauro: “Liber Sancti Vigilii” Codex Vangianus, 22 marzo 1185 – 19 aprile 1214
Istituto di conservazione: Archivio di Stato di Trento
· Progetto MI. SY. A. (parte I): azione delle microonde su insetti dannosi per i supporti di carta
p. 12
13
Laboratorio di Biologia – Laboratorio di Chimica e Tecnologia di Roma
ICPL - Istituto Centrale per la Patologia del Libro
· Recupero di un manoscritto di tipo archivistico del 1293-1294, scritto su carta di origine araba
· Tecniche di pulitura superficiale e lavaggio di supporti cartacei sottoposti a diagnosi ottica
tramite spettroscopia di immagini
16
21
ICR - Istituto Centrale per il Restauro
· Il Progetto sperimentale “Restaurare sott’acqua: materiali, metodologie e tecniche”:
le ultime esperienze condotte a Baia (Na)
· Teconologia GIS per la gestione di dati tecnici degli interventi di restauro: Il caso della Cripta di San Magno
nel Duomo di Anagni
24
29
Alessandro Bianchi, Carlo Cacace
OPD - Opificio delle Pietre Dure
· La Porta del Paradiso del Ghiberti: una metodologia d’avanguardia per la pulitura della doratura ad amalgama
31
Stefania Agnoletti, Annalena Brini, Ludovica Nicolai
· Tecniche innovative di indagine per il restauro della Croce di Bernardo Daddi del Museo Poldi Pezzoli
Marco Ciatti
33
r la Ricerca, l’Innovazione
e l’Organizzazione
CFLR - CENTRO DI FOTORIPRODUZIONE LEGATORIA E RESTAURO DEGLI ARCHIVI DI STATO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
CFLR Centro
di Fotoriproduzione Legatoria
e Restauro degli Archivi
di Stato
Direttore: Gigliola Fioravanti
Via Costanza Baudana
Vaccolini,14
00153 Roma
tel. 06.5800890
fax 06.5894502
Progetto di restauro:
“Liber Sancti Vigilii”
Codex Vangianus,
22 marzo 1185 – 19
aprile 1214- Istituto
di conservazione:
Archivio di Stato di
Trento
Su richiesta dell’Archivio di
conservazione, il laboratorio di
restauro del Centro ha
affrontato il recupero del Codice
Vanghiano allo scopo di
restituirlo alla fruizione e di
riportarlo, per quanto possibile,
alla sua forma originale dopo un
intervento di restauro operato
negli anni ’80.
Per il recupero del codice membranaceo, il laboratorio si è
valso delle più avanzate tecnologie di intervento che si
integrano con le tecniche tradizionali acquisite in anni di
esperienza e di sperimentazione nell’articolato e ampio settore
della conservazione e del restauro del patrimonio archivistico
nazionale.
Nel dettaglio il recupero conservativo del Codice Vanghiano ha
visto l’utilizzo di recenti attrezzature quali la cella di umidificazione
ad ultrasuoni per restituire ai fogli membranacei flessibilità e
idratazione.
L’operazione di tensionamento o distensione della
pergamena, operazione volta a fornire planarità al supporto
attraverso l’eliminazione o l’attenuazione di ondulazioni,
grinze e contrazioni, è stata eseguita mediante un telaio
metallico forato di recente realizzazione munito di calamite
protette da feltri.
Per la legatura il progetto ha previsto il recupero integrale di tutti
gli elementi originali presenti e per le parti disperse il rifacimento,
desumendole dalle tracce originali. Tutti gli elementi di finitura, di
protezione della coperta o di chiusura sono stati lavorati a mano.
Del progetto di recupero del Vanghiano, fa parte anche la ripresa
su supporto digitale di tutti i fogli membranacei prima del
rifacimento della legatura, ma anche dopo, al fine di una possibile
fruizione a distanza delle informazioni nel codice contenute.
Più in generale il recupero del Codice è il frutto dell’esperienza
della tradizione del restauro, arricchita dalla ricerca sperimentale
applicata.
Curatore del progetto: Cecilia
Prosperi
Responsabile del servizio per la
Conservazione e il Restauro
Realizzatori del progetto:
Anna Di Pietro, Lucilla Nuccetelli
Riprese in digitale: Daniele
Corciulo, Carlo Fiorentini
Realizzazione grafica-informatica:
Lara Pizzirani
12
CFLR - CENTRO DI FOTORIPRODUZIONE LEGATORIA E RESTAURO DEGLI ARCHIVI DI STATO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
I beni archivistici e librari,
conservati negli archivi e nelle
biblioteche,
nel
tempo
subiscono
un
processo
naturale di invecchiamento e
sono
soggetti,
inoltre,
Laboratorio di Biologia –
all’azione di fattori esterni di
Laboratorio di Chimica
e Tecnologia di Roma
origine biologica, chimica e
fisica. Gli insetti e i microrganismi sono i principali agenti di
bio-deterioramento che possono provocare danni importanti
e irreversibili quali macchie, lacune, gallerie e fori. Per
eliminare gli insetti pericolosi sono stati utilizzati fino ad oggi
sistemi che impiegano sostanze chimiche, tra cui bromuro di
metile e ossido di etilene, che nel prossimo futuro non
saranno però più impiegati a causa della loro pericolosità e
tossicità nei confronti del corpo umano e dell’ambiente. Negli
anni recenti sono state condotte ricerche sui metodi
alternativi di disinfestazione che potrebbero essere efficaci,
non dannosi per i supporti e meno pericolosi per gli operatori
e per l’ambiente. Il progetto Mi.Sy.A prevede di sperimentare
l’uso delle microonde per la disinfestazione della carta, la
disinfezione e l’asciugatura, usando un prototipo di camera
riverberante a microonde della società Emitech, installato nel
Centro di fotoriproduzione legatoria e restauro degli Archivi di
Stato (CFLR). Sono illustrati alcuni dei primi risultati ottenuti.
Progetto MI. SY. A.
(parte I): azione delle
microonde su insetti
dannosi per i
supporti di carta
Profili di temperatura
Uno stadio preliminare è stato quello di osservare i profili di
temperatura durante il trattamento con microonde in libri
simulati di spessori differenti preparati utilizzando carta
“Copy 2 Performance” prodotta dalle Cartiere Miliani
Fabriano. È stata rilevata in tempo reale la temperatura
usando un sistema di sonde a fibre ottiche. Si è notato che,
nella maggior parte dei casi, alla fine del trattamento la
temperatura è più alta nelle pagine centrali e più bassa nelle
pagine appena al di sotto della superficie superiore. Questo
comportamento irregolare è accettabile in quanto i profili di
temperatura dipendono dalle variabili del manufatto quali
massa, densità, forma, contenuto d’acqua e caratteristiche
termiche e dielettriche del materiale. I risultati provano la
difficoltà di poter stabilire una norma generale (relazione tra
tempo di esposizione-spessore-temperatura) nonostante che
il numero dei parametri che influenzano il riscaldamento
(contenuto d’acqua, temperatura di partenza, tipo di carta) sia
13
CFLR - CENTRO DI FOTORIPRODUZIONE LEGATORIA E RESTAURO DEGLI ARCHIVI DI STATO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
stato minimizzato (campioni mantenuti per almeno 48 ore in
una camera tenuta a 23°C, 50% U.R.) prima
dell’irraggiamento con microonde.
Saggi sulla mortalità degli insetti
I campioni entomologici impiegati nelle prove appartengono
alla specie Stegobium paniceum L., Coleoptera Anobiidae che
si trova di solito negli archivi dove produce danni irreversibili,
praticando fori e gallerie nei supporti infestati. Per verificare
l’efficacia di disinfestazione sono state condotte prove
preliminari per verificare la mortalità dello Stegobium
paniceum al di fuori della carta, irradiando microonde a 1 kW
e in periodi di 60, 120, 180 e 240 secondi. Sono state
irradiate alcune specie (1 adulto e 2 larve per saggio) inserite
in provette di vetro (7 cm di lunghezza e 1 cm di diametro)
chiuse da garza. Nelle prove successive, sono stati utilizzati
libri fatti con carta del tipo Copy. Questi libri, che hanno
dimensioni 15 x 21 cm e spessori variabili, sono stati
realizzati cucendo fogli di carta con fettucce di puro cotone.
Ogni campione entomologico è posto in un foro realizzato nel
libro collocando 3 larve e 3 adulti nella posizione mediana e
3 larve e 3 adulti nella posizione superficiale superiore.
Durante il trattamento è stata controllata la temperatura in
tempo reale da due sensori termici posti nei libri nelle pagine
interne e in quelle superiori.
Valutazione dell’effetto delle microonde sulla carta
Per valutare gli effetti delle microonde sulla carta due pile di
fogli di carta (23 x 14 cm, altezza 8 cm) sono stati irradiati ad
1 kW, fino a raggiungere i 55°C nell’area più fredda:
1) carta per cromatografia Whatman n. 1, per 164 s;
2) carta Fabria 100 delle Cartiere Miliani Fabriano, per 220 s.
Per lo studio degli effetti a lungo termine, alcuni fogli trattati
sono stati invecchiati artificialmente in una camera climatica
a 80°C, 65% U.R. (ISO 5630/3) per 24 giorni.
Risultati e conclusioni
Inizialmente sono stati trattati esemplari di Stegobium
paniceum in provette di vetro. Dopo irraggiamento un solo
esemplare dei 12 trattati è morto il giorno dopo il trattamento.
Quando la temperatura è superiore a 51°C tutti gli insetti
periscono. È interessante notare che in due prove le larve che
sembravano essere morte appena dopo il trattamento, dopo
24 ore si sono riprese completamente. La prova in bianco
14
non mostra mortalità dei campioni entomologici. Si è notato
che gli insetti al di fuori del supporto di carta non muoiono a
causa dell’irraggiamento con microonde, mentre ciò accade
all’interno dei libri irraggiati. Questo perché, nelle condizioni
sperimentali applicate, gli insetti possono raggiungere la
temperatura letale soltanto quando assorbono calore dalla
carta. Ciò si può attribuire alle piccole dimensioni dell’insetto
(2-3 mm e 0.8-1.3 mg). Il processo di disinfestazione ha
luogo in pochi minuti; è evidente il vantaggio dei tempi di
trattamento più rapidi rispetto ad altri metodi di
disinfestazione. Un altro vantaggio è che è possibile collocare
il sistema direttamente nell’edificio di conservazione dei libri
o dei documenti. Un riscaldamento disomogeneo dovuto alle
caratteristiche dei libri trattati può compromettere l’efficacia
della disinfestazione: perciò si deve controllare la temperatura
durante il trattamento con microonde per assicurare che la
temperatura letale sia raggiunta anche nelle aree più fredde,
senza raggiungere valori dannosi per la carta nelle zone più
calde. Saggi fisici e chimici sulla carta Whatman e sulla Fabria
mostrano che, nelle condizioni sperimentali, l’uso delle
microonde per la disinfestazione della carta non produce
evidenze di deterioramento sulla carta stessa, anche dopo
invecchiamento accelerato (Tabella I).
Pertanto, la disinfestazione della carta con sistemi a
microonde sembra potenzialmente essere un metodo efficace
contro insetti dannosi e un trattamento sicuro per le carte
utilizzate in questa sperimentazione.
Tabella I. Saggi fisici e chimici sulla carta (pagine centrali)
WHATMAN
Non trattata
Grado di bianco, IRB (%)
Doppie pieghe DM (n°)
pH
Grado di polimerizzazione
Riserva alcalina (%CaCO3)
Grado di bianco, IRB (%)
Doppie pieghe DM (n°)
pH
Grado di polimerizzazione
Riserva alcalina (%CaCO3)
Gruppo di lavoro:
G. Arruzzolo, G. Marinucci,
E. Ruschioni, E. Veca,
U. Cesareo,L. Botti,
G. Impagliazzo, O. Mantovani,
L. Residori,
D. Ruggiero, B. Orioni
Invecchiata
Irradiata
92.9
12
6.50
1400
FABRIA
Non trattata
89.9
11
6.67
1184
-
94.2
12
6.45
1379
-
Invecchiata
Irradiata
92.0
455±161
9.33
852
1.61
80.1
231±74
9.33
711
1.55
91.8
433 ± 142
9.39
841
1.73
15
Irradiata
e invecchiata
90.5
11
6.30
1287
Irradiata
e invecchiata
80.5
288 ± 62
9.33
724
1.54
ICPL - ISTITUTO CENTRALE PER LA PATOLOGIA DEL LIBRO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
ICPL Istituto Centrale per la
Patologia del Libro
Direttore: Armida Batori
Via Milano, 76
00186 Roma
tel. 06.482911
fax 06.4814968
Il volume di tipo archivistico,
appartenente
all’Archivio
notarile di La Spezia e redatto
dal notaio sarzanese Ser
Giovanni di Parente Stupio fra il
1293 e il 1294, è stato scritto su
carta araba, proveniente molto
probabilmente dalla Spagna. La presenza di un particolare
segno tracciato sulle carte 174 e 175, denominato zig zag, ha
permesso di attribuirne l’origine geografica, ulteriormente
comprovata dalle verifiche condotte dai Laboratori scientifici
dell’Istituto per identificare la materia prima di fabbricazione e
l’adesivo usato per la collatura della carta. Per avvalorare la
tesi dell’origine araba occidentale della carta sono state,
inoltre, eseguite le misure dei bifogli e delle distanze di filoni e
vergelle, confrontate con misure di esemplari similari.
Con il restauro del volume si sono volute coniugare due
differenti esigenze, spesso difficili da accordare e tuttavia
imprescindibili: da un lato, la possibilità di consultare il
manoscritto senza perderne ulteriori frammenti, recuperando
anche la lettura delle ultime righe piegate e arrotolate su se
stesse, dall’altro la conservazione delle caratteristiche
materiche e tecniche dell’oggetto e del suo suggestivo aspetto
assunto nel corso del tempo.
Il volume, infatti, aveva subìto una forte alterazione nella zona
inferiore delle carte che ne aveva causato un’evidente fragilità
e vulnerabilità. L’aspetto assunto dalla carta, trasformata dalla
degradazione, ricordava quello della materia prima nel
momento precedente alla raffinazione, quando le fibre hanno
l’apparenza di “fiocchi di cotone”.
Il consolidamento delle carte è iniziato con una delicata
spolveratura a pennello di tutte le pagine, quindi, per ridurre
l’acidità degli inchiostri e ottenere una protezione preventiva
contro gli eventuali sviluppi è stata effettuata la
deacidificazione del recto e del verso delle pagine con il
propionato di calcio, sciolto in alcool etilico. Si è poi
provveduto al consolidamento delle sole parti fragili delle
carte, spennellandole con Klucel G allo 0,5% in alcool etilico,
scelto dopo aver effettuato test di rinforzo con altri
consolidanti preparati a percentuali differenti e averne
saggiato gli effetti sulle carte di prova.
Il risarcimento delle lacune è avvenuto tramite l’unione di carte
giapponesi adeguate a quelle originali nel colore e nello
spessore, mediante adesivo Tylose MH 300 p al 4% in soluzione
Recupero di un
manoscritto di tipo
archivistico
del 1293-1294,
scritto su carta
di origine araba
16
acquosa. Tale intervento è stato condotto evitando volutamente
di ricostruire del tutto il rettangolo dei bifogli che, infatti, è stato
chiuso solo parzialmente, quel tanto che bastava a evitare la
perdita di frammenti e sciogliere il groviglio delle fibre.
D’altronde, la decisione di non ricomporre con precisione i
bifogli non avrebbe aggiunto nulla all’immagine e alla
comprensione generale del volume, ma viceversa avrebbe
eliminato molte informazioni sui suoi trascorsi, che, invece, sono
ancora rintracciabili anche dopo l’intervento di restauro.
Analisi di caratterizzazione del supporto scrittorio
Lucia Mita (Laboratorio di tecnologia ICPL)
Identificazione della composizione fibrosa
La caratterizzazione delle fibre vegetali è stata effettuata
mediante l’analisi microscopica.
Attraverso questa analisi si riconoscono le fibre vegetali che
presentano tra loro delle differenze morfologiche, che consentono
di individuare la provenienza delle specie vegetali di origine.
Tale analisi è “semidistruttiva”, perché per effettuarla
necessitano solo piccoli frammenti di materiale.
Nel caso in questione le analisi sono state eseguite su
frammenti forniti dal laboratorio di restauro. Dopo aver
separato le fibre le une dalle altre, tramite spappolamento
manuale, si è effettuata la loro colorazione con il reattivo di
Herzberg (iodio-ioduro di zinco), che permette di separare
nettamente fra loro la pasta meccanica o pasta legno (che si
colora in giallo), la pasta chimica (colorazione blu) e la pasta
straccio (colorazione rosa o rosso vinoso). Nel campione in
questione, coloratosi in rosso, è stata rilevata la presenza di
lino. Il lino ha la caratteristica morfologica di presentare
striature trasversali e nodosità pronunciate che ricordano
quelle delle canne di bambù.
Identificazione della collatura
La determinazione della sua presenza è avvenuta mettendo il
campione cartaceo a contatto con poche gocce di una
soluzione di iodio (0,01 N). In presenza di amido si ha la
comparsa di una colorazione azzurro-bluastra, tanto più
intensa quanto maggiore è la quantità di amido. Nel campione
si è evidenziata una colorazione bluastra, che denota la
presenza di colla d’amido.
Misurazione del pH
La misurazione è stata ottenuta dopo lo spappolamento di 2 gr
di carta in 100 cc di acqua distillata. In questo caso avendo a
17
sopra: Il volume prima del
restauro
sotto: I primi fascicoli dopo
il restauro
ICPL - ISTITUTO CENTRALE PER LA PATOLOGIA DEL LIBRO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
disposizione pochissimo materiale originale, la misurazione è
stata effettuata nella soluzione acquosa dove erano i
frammenti di carta, che sono serviti per la preparazione dei
vetrini per l’analisi microscopica delle fibre. Il valore di pH è
pari a 6.2.
Diagnostica innovativa del consolidamento tramite
microscopio e sistema di acquisizione di immagini
Multifocus
Mauro Missori (Laboratorio di biologia ICPL)
Allo scopo di verificare l’efficacia del processo di
consolidamento sono state acquisite immagini della stessa
zona del documento prima e dopo il trattamento con Klucel G
allo 0.5% in alcol etilico. A tale scopo è stato utilizzato un
microscopio stereoscopico Leica MZ16 accoppiato ad una
telecamera Leica DC 500 con una risoluzione di 13 Mpixel. La
difficoltà presente in questo tipo di diagnostica consiste nelle
elevate variazioni di livello del campione in studio che
rendono impossibile una corretta messa a fuoco
dell’immagine al microscopio su tutta la regione di interesse.
Tramite il sistema Multifocus della Leica è stato possibile
ottenere una immagine di ottima qualità su tutta la regione
del campione inquadrata.
A sinistra: Immagine dal campione prima del consolidamento. Si
notino le elevate variazioni di profondità e la perfetta messa a
fuoco delle stesse.
A destra: Il campione ripreso dopo del consolidamento.
Sviluppo di diagnostica non-distruttiva per la determinazione
della collatura della carta mediante spettroscopia ottica
Mauro Missori (Laboratorio di biologia ICPL) e Marcofabio
Righini (CNR)
La spettroscopia ottica è una tecnica diagnostica nondistruttiva già utilizzato per la caratterizzazione di altri tipi di
beni culturali, come ad esempio dipinti o affreschi. D’altra
parte il suo utilizzo nel settore dei supporti scrittori è poco
18
sviluppato e solo recentemente l’Istituto centrale per la
patologia del libro in collaborazione con l’Istituto dei Sistemi
Complessi del CNR hanno avviato un progetto di ricerca su
questo tema. Il motivo della mancanza di studi risiede
principalmente nel fatto che la risposta ottica di questa classe
di beni culturali è priva di caratteristiche ben definite e
facilmente interpretabili. L’approccio che è stato invece
applicato per la prima volta in questo settore è quello
statistico, in cui una grande quantità di campioni disponibili
vengono misurati e i dati sono analizzati allo scopo di estrarre
informazioni ad essi correlate, come la composizione della
carta e il suo stato di degradazione. Mediante questa
metodologia, uno studio pilota sulla carta del manoscritto
notarile di La Spezia ha permesso di evidenziare la presenza di
collatura a base di amido.
Con un opportuno sistema di
variabili statistiche è
possibile discriminare i
campioni con collatura di
amido da quelli con collatura
di gelatina.
Indagini microbiologiche
Mariasanta Montanari e Flavia Pinzari
(Laboratorio di biologia ICPL)
Il volume manoscritto proveniente da La Spezia è stato
esaminato dal Laboratorio di Biologia dell’Istituto Centrale per
la Patologia del Libro. L’esame è consistito nell’analisi della
presenza di microrganismi attivi e vitali in corrispondenza
delle zone alterate soprattutto in corrispondenza del taglio e
delle pagine iniziali e finali del volume.
Ad una prima valutazione la carta è apparsa fragile e di
consistenza feltrosa, suggerendo l’azione di organismi con
attività cellulosolitica. I prelievi di materiale effettuati (con ago
e con tampone) sono stati utilizzati parte per l’inoculo su
mezzi di coltura al fine di evidenziare la vitalità dei
biodeteriogeni responsabili delle alterazioni e parte sono stati
montati su vetrino per l’osservazione diretta al microscopio
ottico. Alcuni microframmenti sono stati osservati con un
Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) presso il
Dipartimento di Chimica dell’Università La Sapienza di Roma
e quindi inviati all’”Institute Für Mikrobiologie und Genetik”
19
ICPL - ISTITUTO CENTRALE PER LA PATOLOGIA DEL LIBRO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
dell’Università di Vienna con cui è in corso una collaborazione
per l’utilizzo di tecniche di biologia molecolare nello studio
delle alterazioni biologiche su materiali storici in carta e
pergamena.
Dai risultati dell’analisi le alterazioni ben visibili sul volume
non hanno evidenziato la presenza di materiale biologico vitale
ed attivo. La consistenza fortemente feltrosa della carta, sulla
base di quanto osservato al SEM, non è apparsa imputabile ad
un attacco di tipo biologico, sebbene sul manoscritto sia stato
rinvenuto materiale di origine fungina come confermato
dall’analisi molecolare dei frammenti, ascrivibile comunque a
contaminazioni pregresse.
Analisi chimiche
Marina Bicchieri (Laboratorio di chimica ICPL)
La carta e l’inchiostro sono stati analizzati tramite
spettroscopia Raman, con eccitazione laser nel vicino
infrarosso, l =785 nm e tramite fluorescenza di raggi X,
sorgente di eccitazione Mo.
Le fibre di carta non mostrano, in spettroscopia Raman, picchi
attribuibili a processi degradativi di tipo ossidativo. L’analisi
sull’inchiostro conferma quanto ricavato dai dati di
fluorescenza X e cioè la presenza di un composto ferro-gallo
tannico. Oltre al ferro è presente del rame, i cui composti
venivano addizionati al solfato ferroso per conferire
all’inchiostro un colore più piacevolmente tendente al blu. Gli
altri elementi trovati, presenti anche nelle misure effettuate su
carta non inchiostrata, sono attribuibili a impurezze
depositatesi durante la lavorazione e la collatura del foglio.
Osservazione al SEM di un
frammento di carta. Il
campione è stato
osservato in vivo, senza
preparazione per
metallizzazione. Sono ben
visibili le fibre lasse e
“strappate”.
Intervento di restauro: Maria
Luisa Riccardi, Paola Villani
e Sandra Zangari (Laboratorio
per la conservazione
e il restauro ICPL)
20
ICPL - ISTITUTO CENTRALE PER LA PATOLOGIA DEL LIBRO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
Durante l’intervento di
restauro eseguito sulla
Chinea di papa Clemente
VIII del 1598, opera
realizzata ad acquaforte da
Antonio Tempesta, sono
state applicate una tecnica
di pulitura superficiale e
una metodologia di lavaggio per capillarità dei supporti cartacei,
volte a limitare l’invasività dei trattamenti (cfr. Simonetta
Iannuccelli, Silvia Sotgiu, Mauro Missori, La Chinea di papa
Clemente VIII del 1598: pulitura del supporto cartaceo, tecniche di
lavaggio e diagnosi ottica dei risultati, in: Atti del II Congresso
Nazionale IGIIC Lo stato dell’Arte 2, Genova 27-29 settembre
2004, pp.124-135).
L’opera, conservata presso la Biblioteca Angelica di Roma, è
costituita da otto incisioni foderate su tela di lino (si ringraziano
Luciana Mita e Anna Di Maio del Laboratorio di Tecnologia
ICPL per l’identificazione della componente fibrosa relativa al
materiale cartaceo e alla tela di foderatura) e raccolte all’interno
di una legatura in pergamena floscia. L’operazione di pulitura,
pur essendo di cruciale importanza soprattutto nel caso di
opere d’arte su carta, è una delle fasi più critiche dell’intervento
conservativo per la sua sostanziale irreversibilità. Trattandosi di
sistemi a base acquosa, è stato indispensabile limitare il
contatto dei supporti con il solvente, per preservare il rilievo
dell’impressione calcografica e controllare le inevitabili
variazioni dimensionali indotte dall’isteresi igrometrica (cfr. J.
Bogaard – P. M. Whitmore, Explorations of the role of humidity
fluctuations in the deterioration of paper, in «Works of Art on
Paper, Books, Documents and Photographs, Techniques and
Conservation», Contributions to the Baltimore Congress, 2-6
sept. (2002); W. K. Wilson, Effect of relative humidity on
storage and use of record, «The Abbey Newsletter» 17 (1993).
L’efficacia dei trattamenti è stata testata mediante analisi della
riflettanza nel visibile per mezzo del sistema di spettroscopia
di immagini Spectral Scanner, eseguita sulle opere dopo ogni
fase di pulitura.
Tecniche di pulitura
superficiale e lavaggio
di supporti cartacei
sottoposti a diagnosi
ottica tramite
spettroscopia di
immagini
Pulitura superficiale con Phytagel
La pulitura superficiale viene generalmente eseguita tramite
spolveratura. Tuttavia, la rimozione dei particolati depositatisi più
a fondo nella fibre di carta si rende possibile solo ad umido, con
metilcellulosa e la concomitante azione meccanica esercitata con
21
ICPL - ISTITUTO CENTRALE PER LA PATOLOGIA DEL LIBRO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
un pennello. L’alternativa sperimentata in questa sede è costituita
da un gel (cfr. R.C. Wolbers, Recent Developments in the Use of
Gel Formulations for the Cleaning of Paintings, in «Preprints del
convegno Restoration 92» Amsterdam, 20-22 Ottobre 1992; T.
Tanaka, I gel, in «Le Scienze» del 1981): il PhytagelTM,
polisaccaride di sintesi costituito da acido glucuronico, glucosio
e ramnosio normalmente impiegato come terreno di coltura. Il
prodotto gelificante è caratterizzato da proprietà filmogene,
flessibilità, completa trasparenza, inerzia biologica e stabilità
chimica (pH 6,5-7 a 1,5- 2% in H2O). La preparazione del gel si
effettua riscaldando la soluzione acquosa sotto costante
agitazione ad una temperatura superiore a quella di gelazione del
Phytagel TM (27-31°C). Si lascia quindi raffreddare a T ambiente
ottenendo la formazione di una pellicola spessa circa 4-5 mm,
dalla superficie omogenea, manipolabile e totalmente
trasparente. Il film agisce per contatto diretto con il supporto e
presenta il vantaggio di una applicazione agevole e sicura poiché
l’azione meccanica esercitata sulla carta si limita
all’umidificazione e all’assorbimento del particolato più tenace.
La totale trasparenza del gel consente il continuo monitoraggio
della superficie di contatto e, dopo la sua rimozione, la presenza
di residui di prodotto sul supporto è assai limitata poiché il film
non è adesivo.
Lavaggio su piano inclinato con tessuto non tessuto Igortex
OL 60
La fase di pulitura successiva ha previsto il lavaggio con acqua
demineralizzata. A tale scopo è stata adottata una metodologia che
minimizza il contatto con il solvente acquoso (la tecnica di lavaggio
su piano inclinato è stata illustrata da G. Banik e I. Brückle in
occasione del Pilot Course ‘Paper and Water’ del programma
Leonardo da Vinci, svoltosi presso l’ICCROM dal 24 al 26 marzo
2004. Cfr. S. Kirchner, Kapillarreinigung, «Papier-Restaurierung» 2
del 2001). La tecnica prevede l’allestimento di un piano inclinato in
Plexiglas su cui si adagia un foglio di Igortex OL 60 costituito da
fibre di viscosa al 100% normalmente impiegato per il drenaggio di
liquidi. Dopo aver umidificato l’Igortex OL60, lo si adagia sul
Plexiglass in modo che un’estremità sia immersa nella vasca
superiore (serbatoio) e possa gradualmente e costantemente
raccogliere acqua di lavaggio sempre pulita. Quest’ultima arriva
fino alla vasca di raccolta scorrendo lungo le fibre del tessuto
orientate in senso longitudinale rispetto al piano inclinato. Prima di
posizionare le opere sullo scivolo è necessario umidificarle in cella
con vapore ad ultrasuoni (85% U.R. per 15 minuti ca.). Il
22
trattamento sfrutta il principio dell’imbibizione per capillarità e la
forza di gravità, determinata dall’inclinazione del piano su cui
poggia l’opera durante il lavaggio. L’efficacia è garantita dal
continuo passaggio di acqua sempre pulita, dal contenimento delle
sollecitazioni meccaniche del supporto, dalla possibilità di un
costante monitoraggio della superficie e dei media grafici, e dalla
scarsa invasività del solvente che scorre con un flusso
costantemente controllato grazie al supporto drenante.
Valutazione dei trattamenti mediante spettroscopia di
immagini
È stata effettuata una valutazione delle modifiche ottiche indotte
durante le fasi del procedimento di pulitura della Chinea, ottenuta
mediante un innovativo sistema di spettroscopia di immagini con
un sistema dispersivo continuo a prisma, in grado di fornire misure
del fattore di riflettanza nel visibile (da 400 a 700 nm). Il sistema è
uno spettrometro di immagini iperspettrale denominato Spectral
Scanner, in dotazione all’Istituto centrale per la patologia del libro,
in grado di analizzare contemporaneamente tutto il campione in
studio, senza dover ricorrere a misure a contatto, oppure a prelievi
o asportazioni per misure su strumenti di laboratorio (cfr. Missori,
M. Righini, S. Selci, Optical reflectance spectroscopy of ancient
papers with discoloration or foxing, Opt. Commun. 231, pp. 99-106
(2004); M. Missori, M. Righini, M.S. Storace, A. Congiu Castellano,
S. Selci, The effect of artificial aging and sizing on discoloration of
paper studied by UV.Vis-NIR spectroscopy in comparison to
ancient paper, in Proceedings of the International Conference
‘Durability of Paper and Writing’, Lubiana, November 16-19 (2004),
pp. 47-49). La possibilità di avere come risultato della misura
un’immagine (iperspettrale) ha facilitato il lavoro di diagnostica e ha
consentito di intervenire attivamente nell’interpretazione e nella
valutazione dei risultati. Le acquisizioni sono state calibrate
mediante standard di riflettanza ottenendo una precisione del 5%
ed un’area di misura minima di circa 0.1 mm.
L’analisi diagnostica del procedimento di pulizia ha evidenziato
che tutti i trattamenti effettuati hanno avuto un impatto positivo
sulle proprietà ottiche della Chinea. Si sono potute, inoltre,
riscontrare piccole differenze nell’intensità delle modifiche
ottiche osservate al variare della posizione sul manufatto che
hanno fornito preziose informazioni per l’ottimizzazione dei
trattamenti conservativi eseguiti sull’opera.
23
Sopra: applicazione del gel
di Phytagel
Sotto: lavaggio su piano
inclinato con Igortex OL 60
Simonetta Iannuccelli,
Silvia Sotgiu
(Laboratorio per la
conservazione e il restauro
ICPL)
Mauro Missori
(Laboratorio di biologia ICPL)
ICR - ISTITUTO CENTRALE PER IL RESTAURO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
ICR Istituto Centrale
per il Restauro
Direttore:
Caterina Bon Valsassina
Piazza S. Francesco di Paola, 9
00184 Roma
tel. 06.488961
fax 06.4815704
Il Nucleo per gli Interventi
di Archeologia Subacquea
dell’Istituto Centrale per il
Restauro,
diretto
da
Roberto
Petriaggi,
è
impegnato da alcuni anni
nella sperimentazione di
materiali,
strumenti,
metodologie e tecniche per la protezione, la conservazione ed
il restauro in situ dei manufatti archeologici sommersi. I primi
esperimenti effettuati dall’ICR risalgono al 2001, quando fu
intrapreso il restauro di tre vasche della peschiera della villa
romana di Torre Astura (Roma), grazie all’ospitalità e alla
collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici
per il Lazio e dell’Ufficio Tecnico Territoriale Armi e Missilistica
di Nettuno.
Il progetto si ispira ai principi ribaditi dall’UNESCO con la
Convention on the Protection of the Underwater Cultural Heritage
formulata a Parigi il 2-11-2001, dove è sottolineata la necessità di
valorizzare, proteggere e conservare in situ, il Patrimonio storicoarcheologico subacqueo, tutte le volte che ciò sia possibile.
Gli strumenti più efficaci per la protezione del patrimonio
archeologico sommerso sono, senza dubbio, i Parchi e le Riserve
Naturali Marine che comprendono anche aree di interesse
archeologico, e i Parchi archeologici sommersi. Il primo fra quelli
italiani è il Parco Sommerso di Baia, istituito con D.L. del 7 agosto
2002 (G.U. della Repubblica Italiana n. 288 del 9 dicembre 2002),
equiparato ad area marina protetta, che si estende da Bacoli a
Pozzuoli, su diversi ettari di fondale marino suddiviso in zona A,
riserva integrale, B, riserva generale, C, riserva parziale.
Dal settembre 2003, dunque, in accordo ed in collaborazione
con la Soprintendenza Archeologica per le province di Napoli e
Caserta, la sperimentazione dell’ICR si è spostata nel Parco
Archeologico Sommerso di Baia (http://www.baia
sommersa.it), dove gli interventi hanno interessato le strutture
di un ambiente con mosaico pavimentale facente parte
dell’edificio denominato “Domus con ingresso a Protiro”.
Il mosaico pavimentale, a tessere bianche, denotava gravi
lacune, lesioni estese ed era in procinto di collassare per la
presenza di una vasta cavità nel massetto di fondazione. Dopo
la pulitura, realizzata con l’impiego di scalpelli, bisturi,
spazzole, per la rimozione di organismi bentonici, e
l’integrazione delle lacune e il risarcimento delle lesioni, è
stato necessario restituire consistenza alla fondazione con
Il Progetto
sperimentale
“Restaurare sott’acqua:
materiali, metodologie
e tecniche”: le ultime
esperienze condotte
a Baia (Na)
24
l’impiego di mattoni e sacchi di sabbia costipati a costituire
uno strato di sostruzione, non potendo intervenire con opere
in malta cementizia per la mancanza di un sottofondo stabile.
Nel mese di settembre 2004 si è svolto, poi, il terzo cantiere
sperimentale, nel corso del quale è stato compiuto il restauro
di un ambiente pavimentato a mosaico e di una porzione del
muro con semicolonne in laterizio che circonda il giardino
della villa dei Pisoni (http://www.baiasommersa.it/
villa_pisoni.htm).
Il mosaico pavimentale, anche in questo caso di tessere bianche,
era ormai ridotto ad una serie di lacerti di varie dimensioni, separati
da estese lacune, e fluttuanti sul fondo sabbioso per la
disintegrazione degli strati preparatori. In questa occasione,
insieme agli strumenti usuali impiegati per la pulitura è stato
sperimentato un trapano di acciaio inox del tipo usato per gli
interventi di chirurgia ortopedica, al quale sono stati applicati
diversi tipi di frese e di spazzole ruotanti, con lo scopo di rimuovere
con maggiore efficacia le incrostazioni calcaree dalle superfici.
Dopo la pulitura è stato ricostituito, tramite iniezioni di malta,
il massetto di fondazione e, con la colmatura delle lacune, è
stata restituita unità strutturale al manufatto. Il profilo esterno
25
Organismi rinvenuti sui
provini di travertino dopo
12 mesi di immersione:
impronte di Serpulidi
Semicolonna dopo il
restauro
ICR - ISTITUTO CENTRALE PER IL RESTAURO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
del pavimento è stato, quindi, consolidato con un cordolo di
malta contenuta, verso l’esterno, da un lamierino di alluminio
inserito nella sabbia per alcune decine di centimetri, per
limitare l’azione di scavo delle correnti marine lungo il
perimetro libero del manufatto.
Il muro in laterizio, invece, presentava una cortina lacunosa
che denunciava, oltre a cedimenti strutturali,
l’impoverimento delle malte e la caduta di materiali lapidei
(mattoni di laterizio, cubilia di tufo). Preoccupava,
soprattutto, nella porzione oggetto dell’intervento, il forte
fuori piombo della semicolonna, dovuto al quasi totale
degradamento della fondazione per l’azione combinata
dell’impoverimento delle malte, dell’azione degli organismi
marini e del moto ondoso, particolarmente sensibile a quella
profondità, –5 metri a livello di fondazione e circa –3 al
colmo della struttura conservata.
Anche qui, dopo la pulitura e l’individuazione puntuale dei
danni, si è proceduto ricostituendo il massetto di
fondazione e colmando le lacune e i giunti tra gli elementi
lapidei con nuova malta. Per il restauro ed il
consolidamento delle strutture antiche sono state utilizzate
malte appositamente formulate con la collaborazione dei
tecnici della MAC S.p.a. di Treviso e applicate mediante
l’uso di sacche troncoconiche di tela impermeabile, simili a
quelle usate in pasticceria, e con un prototipo di erogatore
subacqueo di malta a pressione.
Le malte utilizzate sono state le seguenti:
• Malta per iniezione Albaria®, costituita da un premiscelato in
polvere a base di calce, con cariche pozzolaniche fillerizzate e
carbonati micronizzati, additivato con superfluidificanti,
antidilavante, prodotto tixotropizzante.
• Malta per allettamento strutturale Albaria®, costituita da un
premiscelato in polvere a base di calce e metacaolino
pozzolanico, misto ad aggregati silicei di fiume di
granulometria selezionata, additivato con antidilavante.
In alcune zone sono state sperimentate malte realizzate con
l’impiego di pozzolana locale, per testare l’efficacia dei sistemi
antichi e confrontarne la resa e la lavorabilità rispetto ai
materiali disponibili oggi. Nel 2003 alla malta fu additivato, in via
sperimentale e sotto il controllo del laboratorio di biologia dell’ICR,
un blando biocida ad azione locale per limitare lo sviluppo algale.
Tuttavia, in considerazione della valenza naturalistica del parco e
della limitatezza dei possibili risultati rispetto al valore etico della
conservazione delle specie viventi, nel 2004 si è deciso di
26
interrompere la sperimentazione di qualsiasi prodotto di sintesi
chimica e si è affidato il contenimento della flora e della fauna
bentonica esclusivamente a sistemi di protezione attiva, quali le
coperture poste direttamente sopra le strutture archeologiche, in
attesa che lo studio dei cicli biologici di quel particolare ecosistema
suggerisca metodi naturali per il “controllo delle nascite”.
Nel frattempo, per le coperture, sono stati utilizzati i geotessuti
Terram® 2000 e Terram® 4000, offerti gratuitamente dalla
ditta Officine MaccaferriI S.p.A.. Nell’anno in corso, grazie al
nuovo finanziamento del progetto e alla disponibilità della
Soprintendenza, la sperimentazione, ormai ad un livello un po’
più avanzato, procederà sia nella zona A che nella zona B.
Indagini sulla dinamica della colonizzazione biologica dei
materiali lapidei sommersi in mare.
Nell’ambito di questo progetto sperimentale il Laboratorio di
Indagini biologiche dell’ICR ha iniziato uno studio per la
caratterizzazione delle tipologie di degrado biologico dei manufatti
sommersi e per definire la dinamica della colonizzazione dei
substrati da parte dei biodeteriogeni. Sono state previste indagini
diagnostiche per lo studio e la caratterizzazione dei popolamenti
biologici presenti sui reperti finalizzate a:
• definire lo stato di conservazione dei manufatti
• individuare i prodotti e le procedure di restauro
• individuare i metodi di prevenzione nei confronti della
colonizzazione biologica.
La ricerca ha previsto, inoltre, l’elaborazione di una scheda per
la raccolta delle informazioni di carattere biologico che
possono essere messe in evidenza nel corso dei rilevamenti
subacquei. Tale scheda prevede voci relative al tipo di
manufatto, alle sue condizioni di giacitura, al substrato
costitutivo e all’ambiente circostante, elementi che
possiedono un importante valore nel condizionare lo sviluppo
biologico. In essa sono riportate indicazioni relative ai diversi
gruppi sistematici, sia animali che vegetali, ed una immediata
valutazione della frequenza dei singoli organismi.
Per quanto riguarda lo studio della dinamica di colonizzazione
sono state condotte sperimentazioni sia su elementi
architettonici sommersi sia su provini di materiale lapideo
immersi nelle stesse condizioni di giacitura dei manufatti.
Su tali provini, realizzati con diversi litotipi, sono stati effettuati
controlli periodici per rilevare l’entità ed il tipo di
colonizzazione, valutando la qualità e la quantità degli
organismi colonizzatori.
27
Pitting su mosaico
Mosaico in situ con evidenti
colonizzazioni di spugne
perforanti
ICR - ISTITUTO CENTRALE PER IL RESTAURO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
Progettista: Roberto Petriaggi
Gruppo di lavoro: collaboratore
alla progettazione: Barbara
Davidde; operatore subacqueo,
documentazione video: Stefano
Lombardi.
Indagini Biologiche:
responsabile, Sandra Ricci;
collaboratore scientifico:
Gianfranco Priori
I risultati della ricerca sui provini hanno mostrato la presenza
di una colonizzazione biologica delle superfici lapidee operata
da forme sia animali che vegetali già dopo 2 mesi di
immersione in mare. È stata rilevata la formazione di un
biofilm, di aspetto gelatinoso e spessore variabile, nel quale
sono riconoscibili talli algali, incrostanti e non, e organismi
animali bentonici per lo più molluschi bivalvi, briozoi e
serpulidi. I controlli condotti dopo 12 mesi hanno evidenziato
una massiccia proliferazione di forme incrostanti che
ricoprono la quasi totalità delle superfici dei provini.
Le osservazioni effettuate sui materiali in opera hanno
previsto il controllo dell’efficacia dei sistemi sperimentali (teli
di tessuto- non tessuto), collocati a protezione di strutture
sommerse, i cui risultati sono stati posti a confronto con quelli
relativi ad altre zone non protette.
I dati ottenuti dalla lettura dei provini e dei sistemi di protezione
possono essere di ausilio nella definizione della programmazione
degli auspicabili interventi di manutenzione periodica.
L’esperienza maturata nell’ambito dei cantieri di restauro condotti
dall’ICR nel Parco Archeologico Sommerso di Baia (Napoli)
consente di rilevare la necessità di una attenta e sistematica
strategia di manutenzione delle superfici al fine di non vanificare
i risultati degli interventi di restauro e pulitura attuati.
Teli di protezione e sacchetti di sabbia collocati sul mosaico
della Villa con ingresso a Protiro
28
ICR - ISTITUTO CENTRALE PER IL RESTAURO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
Il restauro di una grande
opera d’arte comporta
sempre la creazione di
notevoli quantità di dati
tecnici e di immagini. Il
percorso dell’intervento e le
scelte tecniche che lo hanno
contraddistinto sono basate
Alessandro Bianchi,
Carlo Cacace
su dati. L’organizzazione e la
conservazione di questi dati
è un problema importante, visto che alla efficienza di questo
processo è legata, letteralmente, la salvaguardia della
memoria dell’intervento. Normalmente si procede attraverso
pubblicazioni tecniche, dove le singole operazioni vengono
esposte in sequenza e in modo distinto. Ma così riesce
difficile, per il lettore o l’utente, poter disporre in modo
organico di tutte le informazioni (quelle storiche, quelle
relative ai problemi di degrado, quelle riguardanti l’intervento
di restauro) sul singolo elemento dell’opera.
La possibilità di rappresentare in modo sintetico queste
informazioni di capitale importanza per la vita del patrimonio
culturale è un valido mezzo per pianificare le attività ad esso
connesse
La tecnologia dei Sistemi Informativi Geografici (GIS) sembra
oggi la più adatta a raggiungere tale scopo, proprio perché
rende possibile la visualizzazione e l’analisi dei fenomeni in
tematismi e, nello specifico, permette di produrre una mappa
sempre aggiornabile delle informazioni reperite nell’attività di
restauro. Attraverso l’uso dei GIS è possibile organizzare in
modo del tutto innovativo i dati relativi alle opere e agli
interventi, determinando nuovi modi di uso degli stessi dati.
Questa metodologia è stata concepita e realizzata a titolo
sperimentale per il ciclo di affreschi della Cripta di Anagni. Si
tratta di una vasta decorazione murale (circa 520 mq),
risalente al XII-XIII secolo, composta da un alto numero di
soggetti biblici e agiografici. L’Istituto Centrale per il Restauro
ne sta curando la conservazione sin dal 1987. A quella data
risale infatti l’installazione del primo sistema di controllo dei
fenomeni microclimatici, tuttora in corso. A conclusione di un
quinquennio di studi tecnici, venne realizzato l’intervento di
restauro nel biennio 1992-1994 e curata la manutenzione delle
superfici con interventi a cadenza biennale. Tutta questa
attività ha dato vita ovviamente a una massa enorme di dati
tecnici, la cui organizzazione costituisce ovviamente un
Tecnologia GIS per la
gestione di dati tecnici
degli interventi di
restauro:
Il caso della Cripta di
San Magno nel Duomo
di Anagni
29
ICR - ISTITUTO CENTRALE PER IL RESTAURO
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
problema di non facile soluzione. Accanto alle tradizionali
metodologie (archivio cartaceo, banche dati) la sezione
Controlli Ambientali del Laboratorio di Fisica ICR ha concepito
e realizzato un database su tecnologia ORACLE degli stessi
dati relazionandolo sulla base grafica del monumento e
attraverso l’uso di un GIS (Archinfo, Arcview) accedere a tutti
i dati relativi al singolo punto del monumento partendo
direttamente dalla planimetria, oppure interrogare la banca
dati per questioni particolari, attraverso queries.
Posizionamento dei sensori per il rilevamento della temperatura e
dell’umidità relativa nella cripta di San Magno – Anagni
Rappresentazione grafica prodotta dall’interpolazione selezionata per intervalli di tempo predefiniti - dei valori registrati
dai singoli sensori d’umidità relativa. Nell’esempio è riportata
l’estrazione delle medie mensili relative al marzo 1991 . Il diverso
cromatismo caratterizza le zone con umidità relativa differente,
con riferimento ad una legenda - rappresentata a sinistra
dell’immagine - che associa gli intervalli di valore con colori
specifici.
30
OPD - OPIFICIO DELLE PIETRE DURE
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
L’imponente Porta del
Paradiso, proveniente dal
Battistero di San Giovanni a
Firenze, venne eseguita da
Lorenzo Ghiberti fra il 1425 e
il 1452. L’opera è costituita
da due battenti in bronzo,
Stefania Agnoletti,
Annalena Brini, Ludovica Nicolai ognuno dei quali reca nella
parte centrale 5 formelle con storie del vecchio testamento e
nella fascia perimetrale 24 formelle con profeti e profetesse.
Le formelle sono interamente dorate ad amalgama di mercurio
e inserite negli alvei con ribattitura perimetrale.
Il primo pannello venne smontato nel 1979 (scelto tra quelli
caduti con l’alluvione del 1966 e rimontato con un sistema
meccanico) per iniziare gli studi che portarono alla messa a
punto di un procedimento chimico di pulitura che non
interagisse con gli ossidi di rame che garantiscono l’adesione
della doratura al bronzo sottostante.
In quella occasione venne studiato lo stato di conservazione,
la composizione dei composti chimici presenti nell’interfaccia
bronzo-oro e i prodotti di alterazione presenti sulla doratura
che risultarono soprattutto sali di rame (solfati, nitrati, cloruri)
oltre a depositi atmosferici e sostanze organiche derivate da
trattamenti precedenti.
I due battenti sono stati portati all’Opificio nel 1990 quando la
porta originale del Battistero è stata sostituita con una copia.
Negli anni seguenti si è concluso lo smontaggio delle 10
formelle grandi, la pulitura delle parti non dorate, ed è iniziato
lo smontaggio, molto complesso, delle formelle perimetrali.
Lo smontaggio prevede la pulitura, l’osservazione, lo studio e la
documentazione delle parti non a vista, ma risulta sicuramente
invasivo nei confronti della costruzione dell’opera.
La pulitura laser offre il grande vantaggio di essere effettuata in
loco e sembra garantire nel tempo maggiore stabilità rispetto a
quella chimica. Gli studi, le indagini preliminari e le prove laser,
effettuate sulla formella con le storie di Noè, sono iniziate nel
2000 seguite dalla campagna di analisi tesa a valutare a fondo
le due metodologie di pulitura (sali di Rochelle, ablazione laser).
Le conclusioni, espresse e presentate in lavori precedenti,
OPD Opificio delle Pietre Dure
Direttore:
hanno portato alla decisione di procedere con la pulitura
Cristina Acidini Luchinat
chimica per le formelle grandi e di quelle perimetrali già
smontate (4 lunghe e 4 tonde) e con l’ablazione laser per
Via degli Alfani,78
50121 Firenze
quelle ancora in opera. Il lavoro è stato possibile grazie alla
tel. 055.26511
collaborazione con l’IFAC del CNR di Firenze.
fax 055.287123
La porta del Paradiso
del Ghiberti: una
metodologia
d’avanguardia per la
pulitura della doratura
ad amalgama
31
OPD - OPIFICIO DELLE PIETRE DURE
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
Direzione del progetto:
Annamaria Giusti, direttrice del
settore “Bronzi e armi antiche”
Restauro: Stefania Agnoletti,
Annalena Brini e Ludovica
Nicolai conducono la pulitura di
ablazione col laser. Fabio Burrini
ha eseguito e coordinato le fasi
di smontaggio e le operazioni
riguardanti la pulitura chimica,
ancora in corso, delle formelle
smontate.
Con la fine del 2001 è iniziata la pulitura per ablazione laser
delle formelle della cornice perimetrale del battente sinistro.
La macchina in uso presenta caratteristiche mirate alla
pulitura dei metalli: è un laser QS Neodimio Yag con durata
d’impulso di 70 ns ottimizzata cercando il miglior
compromesso tra efficienza di rimozione e sollecitazione
termica del film. La fluenza generalmente impiegata è intorno
ai 500 mJ/cm2 può essere leggermente incrementata qualora
la durezza o la posizione dell’incrostazione lo richiedano. Per
la fase operativa della pulitura laser le cornici in bronzo non
dorato sono schermate con due strati successivi di nastro
adesivo di carta in modo che non vengano casualmente
colpite dall’ablazione laser e che la parte su cui si effettua la
pulitura risulti delimitata. È applicato anche un telo di nylon
per evitare che lo scorrimento dell’acqua deionizzata,
necessaria durante la pulitura, bagni la superficie sottostante.
L’acqua impiegata va opportunamente dosata: poiché in
quantità insufficiente non abbatterebbe il picco termico e
vaporizzerebbe troppo in fretta, in quantità eccessiva
renderebbe inefficace l’ablazione e potrebbe richiedere una
sua eccessiva ripetizione. La pulitura viene preferibilmente
effettuata in modo da “scansionare” la superficie in maniera
continua, ed è particolarmente efficace quando il fascio
colpisce la superficie in modo perpendicolare. Trattandosi in
questo caso di un modellato molto articolato quando il piano
di incidenza risulta obliquo è necessario variare i parametri
operativi. Nelle parti dove risulta necessario vengono effettuati
impacchi localizzati con i sali di Rochelle a cui seguono le fasi
di risciacquo e disidratazione.
Il protocollo d’intervento messo a punto per la conservazione
delle formelle non prevede l’applicazione di un protettivo
superficiale, visto il precario stato di conservazione della
doratura, ma l’esposizione in ambiente con microclima
controllato. Dopo il restauro, i pannelli vengono inseriti in teche
apposite al cui interno viene immesso azoto in sostituzione
dell’ossigeno e gel di Silice come deumidificatore.
Nel caso della pulitura in situ con ablazione laser, il controllo
climatico viene effettuato applicando direttamente sul
battente, nella cornice non dorata, una camera in materiale
trasparente anossico fatta aderire mediante un nastro adesivo
speciale, appositamente testato dal laboratorio chimico
dell’Opificio delle Pietre Dure. L’apporto del gas inerte è
garantito a flusso continuo da un produttore di azoto.
32
OPD - OPIFICIO DELLE PIETRE DURE
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
Direzione del progetto: Marco
Ciatti e Cecilia Frosinini, direttore
e vicedirettore del settore di
restauro “Dipinti su tela e tavola”
Restauro: Caterina Toso con la
collaborazione per il supporto
ligneo di Ciro Castelli
Indagini di tipo fisico
(coordinamento di Alfredo
Aldrovandi): Alfredo Aldrovandi e
Ottavio Ciappi per la Radiografia
Rx; Alfredo Aldrovandi e Natalia
Cavalca per le indagini
spettrofotometriche e
colorimetriche, con la
collaborazione di Marcello Picollo
(IFAC-CNR di Firenze); Pietro
Moioli e Claudio Seccaroni
dell’ENEA di Roma per la
Fluorescenza X; Roberto Bellucci
per la Riflettografia Digitale con
Scanner (in collaborazione con
l’INOA di Firenze); Fabrizio Cinotti
e Annette Keller per le riprese in
Fluorescenza UV, Infrarosso Falso
Colore e Infrarosso Bianco e Nero
Tomografia Assiale
Computerizzata: Fabrizio Seracini
della Siemens Medical Solution
Indagini chimiche
(coordinamento Daniela Pinna e
Giancarlo Lanterna): Maria Rizzi
per la Spettrofotometria in
infrarosso (FTIR)
Nel corso del 2005 l’Opificio
delle Pietre Dure ha
realizzato un intervento di
restauro sulla piccola, ma
affascinante Croce dipinta di
Bernardo Daddi, uno dei
Marco Ciatti
principali seguaci di Giotto,
appartenente al Museo Poldi Pezzoli di Milano.
L’operazione si inseriva nel solco di una collaborazione ormai
consolidata che ha visto, recentemente, un nuovo episodio
costituito dal restauro del Ritratto di cavaliere in nero di
Giovanni Battista Moroni, attualmente al centro di una
interessante esposizione.
La lettura e la valutazione della realtà materiale dell’opera e dei suoi
significati storico-artistici, ponevano in evidenza due elementi: la
natura preziosa, in rapporto con l’oreficeria coeva, del manufatto e
la sua particolare funzione di croce destinata all’assistenza
spirituale del condannati a morte nella Firenze medievale, che
giustifica sul verso la presenza di tre Santi che hanno patito il
martirio per mezzo della decapitazione: San Giovanni Battista, San
Paolo e San Giacomo Maggiore, e sul recto l’immagine della morte
abbigliata proprio come il reo nel giorno dell’esecuzione.
Il primo ordine di considerazioni ha dunque condotto ad un
intervento di restauro mirato a mantenere l’integrità estetica di
fruizione dell’opera, conservando alcuni limitati vecchi
rifacimenti, evitando dunque un approccio generale ed una
pulitura improntati ad una interpretazione strettamente filologica.
La seconda chiave di lettura ha inaspettatamente trovato una
ulteriore conferma grazie alle indagini diagnostiche preliminari
che hanno consentito di individuare una cavità segreta,
anticamente destinata ad ospitare una reliquia che doveva
servire ad aumentare il potere consolatorio dell’oggetto verso chi
ad essa si affidava per la salvezza, almeno, della sua anima.
L’intervento di restauro è divenuto, secondo la metodologia
ormai consolidata dell’Opificio, un momento di
approfondimento delle nostre conoscenza sull’opera, attraverso
tutti i possibili livelli di lettura che si riferiscono alla sua realtà
materica ed ai suoi valori immateriali. Una profonda frattura
nella parte inferiore del braccio verticale, alcune ridipinture e
varie alterazioni di materiali superficiali costituivano, in grande
sintesi, i principali problemi conservativi.
L’intervento di restauro è stato realizzato con grande accuratezza,
applicando in ogni momento tecniche innovative. Due sono i punti
che in questa sede desideriamo sottolineare: l’impiego di tecniche di
Tecniche innovative di
indagine per il restauro
della Croce di Bernardo
Daddi del Museo Poldi
Pezzoli
33
OPD - OPIFICIO DELLE PIETRE DURE
Dipartimento per la Ricerca,
l’Innovazione e l’Organizzazione
indagine sperimentali e tra queste la novità assoluta dell’applicazione
di una indagine in Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), grazie
alla collaborazione offertaci generosamente dalla ditta Siemens
s.p.a.; l’impiego di materiali solventi di recente messa a punto
impiegati per mezzo dell’Emulsione Grassa e dell’Emulsione
Stearica, nonché di un Chelante formulato appositamente per la
rimozione di alcune ridipinture.
In sintesi possiamo ricordare che l’impiego della TAC ha
consentito di localizzare nello spazio alcuni elementi metallici
inseriti in vari momenti a rinforzo della citata frattura,
consentendoci di decidere a favore di una loro differenziata
rimozione, e soprattutto ha individuato chiaramente la cavità
segreta della reliquia non immediatamente percepibile con la
normale Radiografia Rx. Questo restauro ha visto anche
l’applicazione dell’indagine spettrometrica, per una individuazione
dei pigmenti in maniera non invasiva (insieme al falso colore in IR
e alla Fluorescenza X applicata grazie alla disponibilità dei colleghi
dell’ENEA di Roma), e delle misure colorimetriche che cercano di
Il recto della Croce e, a destra, l’immagine ottenuta con
tomografia computerizzata che ha reso visibile il vano reliquiario
segreto
34
misurare in maniera oggettiva il cambiamento dei colori prima e
dopo la pulitura, metodica quest’ultima che auspichiamo possa
divenire sempre più diffusa nell’operatività quotidiana del restauro.
La pulitura poi, compiuta secondo i consueti principi della scuola
fiorentina che la intendono come un recupero di leggibilità
all’interno del ristabilimento di corretti rapporti fra i vari colori, ha
consentito di evidenziare la finissima qualità della tecnica di
esecuzione e di mantenere un valido equilibrio nella visione
dell’insieme al di là dei vari problemi conservativi localizzati. I
nuovi strumenti della pulitura, dai materiali acquosi (Resin Soaps)
ai vari tipi di Solvent Gels, fino ai Chelanti, possono oggi
consentire di operare in maniera molto più mirata in relazione ai
materiali che le indagini ci connotano quali quelli da rimuovere più
o meno parzialmente, evitando la generica aggressività dei
solventi tradizionali. Non si può non cogliere anche questa
occasione per auspicare che i problemi di maggiore complessità
nella formulazione, e quindi di maggior tempo e costo, non
continuino a costituire un ostacolo ad una loro maggiore
diffusione nel mondo italiano del restauro.
I risultati di questo progetto sono stati pubblicati nel volume
La Croce di Bernardo Daddi del Museo Poldi Pezzoli. Ricerche
e conservazione, a cura di Marco Ciatti, Edifir, Firenze 2005.
La croce dopo il restauro
35
DBAL Dipartimento per i b
Archivi
Liguria – Archivio di Stato della Spezia
· Il restauro virtuale della “Pace di Calcandola”: un documento stipulato in Lunigiana
alla presenza di Dante Alighieri
38
Graziano Tonelli
Piemonte – Archivio di Stato di Torino
· Progetto IDAP - Rilevazione di danni su pergamene dell’Archivio di Stato di Torinoi
41
Cecilia Laurora, Marzia Rizzo, Rosetta Granziero, Battista Pittari
Trentino Alto Adige – Archivio di Stato di Trento
· Valorizzazione di un Archivio di Famiglia
43
Soprintendenza Archivistica per l’Umbria
· Il Servizio di conservazione
46
Rosella Martinelli
Veneto – Archivio di Stato di Belluno
· Il restauro degli atti notarili dell’Archivio di Stato di Belluno
53
Veneto – Archivio di Stato di Venezia
· Il restauro degli atti notarili alluvionati dell’Archivio di Stato di Venezia
56
Biblioteche
Campania – Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III
· Conservazione e restauro virtuale nell’Officina dei Papiri Ercolanesi
58
Agnese Travaglione
· Onde radio alla Biblioteca Nazionale di Napoli: il monitoraggio ambientale
61
Angela Pinto
Emilia Romagna – Biblioteca Palatina di Parma
· Progetti di restauro in una Biblioteca. Un esempio: la Biblioteca Palatina di Parma
63
Silvana Gorreri
Lazio – Biblioteca Angelica
· Progetto SAL.VA.RE.
67
Lazio – Biblioteca Universitaria Alessandrina
· I Discorsi del Mattioli ed il sito del libro
71
Mirtella Taloni
Piemonte – Biblioteca Nazionale Universitaria
· Il restauro dei codici danneggiati della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino
Aurelio Aghemo
73
i beni archivistici e librari
Archivi e
biblioteche
LIGURIA – ARCHIVIO DI STATO DELLA SPEZIA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
Archivio di Stato di La Spezia
Direttore: Graziano Tonelli
Via Galvani, 21
19124 La Spezia
Tel. 0187.506360 –564730
fax 0187.563592
[email protected]
www.archiviostatospezia.org
Il progetto di restauro
virtuale è stato presentato
nel corso di due conferenze
tenutesi a:
· Ekaterinburg, Hotel Atrium,
6 ottobre 2005;
· Mosca, Palazzo Orlov, 12
Graziano Tonelli
ottobre 2005.
Le conferenze sono state inserite nell’ambito di due
manifestazioni promozionali del “Made in Italy” proposte dalla
Regione Liguria in collaborazione con la Provincia della Spezia
e la Camera di Commercio della Spezia.
Il contributo scientifico è stato presentato nelle due giornate
dedicate a rilevanti aspetti, tematiche e progetti culturali
proposti da Istituzioni attive sul territorio.
A Ekaterinburg, nel salone dell’Hotel Atrium, che ha visto la
presenza di circa duecento partecipanti, sono intervenuti
anche il Console Onorario italiano ed il Ministro della Cultura
russa per il territorio.
A Mosca l’evento culturale è stato organizzato in
collaborazione con l’Associazione Italia-Russia, che ha fornito
spazi attrezzati all’interno del prestigioso Palazzo Orlov. La
manifestazione ha visto la partecipazione, tra gli altri, di
numerosi iscritti alla sezione russa della “Dante Alighieri”, che
hanno proposto la pubblicazione dell’intervento sul loro
bollettino periodico.
Il restauro virtuale della
“Pace di Calcandola”:
un documento stipulato
in Lunigiana alla
presenza di Dante
Alighieri
Il documento
Nel 1302 Dante Alighieri, accusato in contumacia di baratteria,
concussione, estorsione ed opposizione sediziosa alla politica
papale è condannato ad una multa di 5000 fiorini ed all’esilio
dai domini fiorentini per la durata di due anni..
Alla scadenza del termine, visto che il “Sommo Poeta”
rifiutava di riconoscere l’autorità giudicante e non provvedeva
al pagamento della sanzione, gli verranno confiscati i beni e
sarà condannato al rogo.
Comincia, perciò, l’esilio del “Ghibellin Errante” che lo fa
diventare un uomo sopra le parti, spogliandolo del suo
municipalismo
per
renderlo
cittadino
d’Italia.
La necessità di sopravvivere trasforma Dante in uomo di
corte; lo troviamo come poeta, segretario, ambasciatore,
delegato dei maggiori signori dell’Italia settentrionale che gli
offrono ospitalità, accettata con buona grazia, ma vissuta
come una durissima umiliazione.
38
Sono anni molto tristi per il poeta che si sposta dalla corte dei
Signori di Treviso alla casa degli Scrovegni, ricchi mercanti
padovani, dove raggiunge prima Bologna poi la Lunigiana, alla
corte del Marchese Moroello Malaspina.
In quegli anni egli inizierà a scrivere la DIVINA COMMEDIA,
con uno stile umile, non aulico, che potesse essere apprezzato
da chiunque.
Sul finire del 1306, Dante Alighieri si trova ancora in
Lunigiana, ospite dei Malaspina.
È in viaggio per Sarzana e qui, in piazza Calcandola nell’area
dove adesso sorge il Palazzo municipale (il 6 ottobre 1306,
alle prime ore del mattino) riceverà da Franceschino
Malaspina, per atto del notaio sarzanese Ser Giovanni di
Parente di Stupio, una procura in bianco che lo autorizzava
formalmente a trattare in nome e per conto di tutto il casato
dello Spino Secco la cessazione delle ostilità con Antonio
Nuvolone da Camilla, il potente Vescovo-Conte di Luni.
Si trattava di una vera e propria procura generale nella quale il
Poeta aveva totale facoltà di decisione nella trattativa di pace.
Quella stessa mattina in compagnia dei testimoni, Dante salirà
al Palazzo dei Vescovi di Castelnuovo Magra dove verrà siglata
la storica intesa, che segnerà la fine di un lungo periodo di
guerre tra il potente casato malaspiano e l’altrettanto influente
Vescovo di Luni.
L’avvenuta stipulazione della cosiddetta “Pace di Calcandola”
è testimoniata dalle sette tavole a noi pervenute, contenenti la
procura data a Dante dai Malaspina, documento che è
conservato all’Archivio di Stato della Spezia.
Saranno infinite le vicissitudini che l’imbreviatura notarile dovrà
sopportare, nel corso dei secoli, rischi di dispersione, di
distruzione o di oblio, prima di raggiungere la sua naturale
collocazione nella sede dell’Istituto di conservazione che ha
predisposto l’intervento di restauro virtuale, a cui farà seguito
anche il successivo restauro tradizionale del supporto cartaceo.
Il restauro virtuale
Allo stato attuale il documento presenta, oltre a danni dovuti
ad umidità ed all’azione di agenti patogeni, una vasta macchia
bruna e coprente dovuta a versamento di olio di sego, che ne
impedisce, in parte, la lettura della grafia.
Inoltre, un vecchio restauro per consolidarne la struttura di
supporto avvenuto all’inizio del Novecento ha introdotto
ulteriori elementi di disturbo della leggibilità dello
straordinario documento.
39
Mulazzo (MS) Statua
dedicata al “Sommo Poeta”
LIGURIA – ARCHIVIO DI STATO DELLA SPEZIA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
L’intervento di restauro virtuale a cui è stato sottoposto,
condotto sull’immagine e non sull’originale, non ne ha
danneggiato la già fragile struttura, consentendo, attraverso
l’elaborazione dell’immagine, il recupero delle informazioni
non più leggibili a occhio nudo e la lettura di originali in
condizione di forte alterazione fisica.
Dal punto di vista tecnico l’applicazione, elaborata dalla Ditta
Fotoscientifica re.co.rd di Parma, utilizza la tecnologia digitale
applicata a tutte le frequenze della banda luminosa, sia nel
range del visibile (riprese RGB), sia dell’invisibile (riprese
ultravioletto e infrarosso).
I tre momenti distinti che hanno permesso il raggiungimento
dell’eclatante risultato sono state:
• Acquisizione dell’immagine;
• Collazione dei dati informativi registrati;
• Elaborazione per l’ottimizzazione del testo al fine di identificare
i segni non più visibili.
Notevoli risultati ottenuti dall’innovativo procedimento qui
utilizzato su altra documentazione di varia provenienza, con
problematiche differenti a seconda dei danni subiti dalla carta,
dallo sbiadimento dell’inchiostro o da altre patologie, sono
stati illustrati nell’ambito delle conferenze, utilizzando un
supporto digitale.
40
PIEMONTE - ARCHIVIO DI STATO DI TORINO
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
Archivio di Stato di Torino
Direttore:
Isabella Massabò Ricci
Piazza Castello, 209
10124 Torino
tel. 011.540382
Il progetto IDAP (Improved
damage
assessment
of
parchment), cui ha partecipato
l’Archivio di Stato di Torino, è un
progetto europeo che si
Cecilia Laurora, Marzia Rizzo, propone di censire i danni delle
pergamene conservate in vari
Rosetta Granziero,
Battista Pittari
istituti in Italia, Danimarca,
Grecia, Inghilterra, Scozia, Cechia e Svezia, per poterli
prevenire in futuro mediante una corretta conservazione o per
eliminarli nel modo più opportuno, attraverso la conoscenza
più approfondita delle struttura chimico-fisica dei materiali.
Il laboratorio dell’Archivio di Stato di Torino ha avviato nel
corso dell’anno 2004 una collaborazione con l’Università di
Torino, Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, con
l’Archivio storico del comune di Torino e con gli altri Istituti
europei nell’ambito del progetto, coordinato dalla School of
conservation in Denmark.
I risultati del lavoro di ricerca svolto presso il laboratorio sono
stati presentati per la prima volta a Torino nel meeting del 2526 marzo 2004 e in seguito nel meeting che si è svolto a
Copenhagen nell’agosto del 2005.
L’analisi effettuata presso il laboratorio consisteva
nell’individuare ed analizzare una serie di pergamene di
diversa provenienza, tipo ed età, rilevandone i danni e
nell’inserire i dati raccolti in schede progettate e fornite
dall’IDAP e in seguito riversate sul sito del progetto.
La ricerca, limitata per ragioni di tempo e mole di lavoro, è
stata svolta dai tecnici del laboratorio di restauro e seguita
dalla responsabile su un campione di 33 pergamene risalenti
a periodi diversi, le più antiche sono del XIII secolo e le più
recenti del XVIII, tutte comunque provenienti dai fondi
documentari conservati nelle due sedi dell’ente.
Al fine di ottenere un quadro il più possibile completo di tutti
gli eventuali usi della pergamena nei documenti d’archivio, pur
nella limitatezza del numero dei campioni, sono stati scelti:
fogli singoli, che contenevano però un documento completo,
rotoli e coperte di registri cartacei, provenienti per la maggior
parte dall’Archivio delle Camere dei conti di Savoia e di
Piemonte e dagli Uffici finanziari sabaudi.
E’ facile intuire che il lavoro si è svolto principalmente su fogli
singoli, o su legature già staccate dai registri, o su rotoli i cui
fogli erano stati scuciti in precedenza, per la loro maggiore
maneggevolezza, ma comunque è stato possibile osservare
Progetto IDAP
Rilevazione di danni
su pergamene
dell’Archivio di Stato
di Torino
41
PIEMONTE - ARCHIVIO DI STATO DI TORINO
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
due coperte ancora montate e due fogli singoli collegati da due
sigilli.
L’analisi è stata compiuta utilizzando le apparecchiature
presenti presso il laboratorio di restauro: microscopio,
micrometro, esposimetro, ed è stata costruita, insieme ai
colleghi dell’Archivio storico del comune, una piccola struttura
per misurare, in ambiente neutro, il colore delle pergamene, la
trasmissione della luce, la flessibilità, nonché la trasparenza e
l’aspetto della superficie.
Le condizioni di conservazione di tutti i documenti sono state
individuate ed indicate nelle schede IDAP e si è rilevato che
negli ultimi 10 anni, dopo il restauro delle due sedi
dell’Archivio di Stato di Torino, sono state ottimali.
Su alcuni degli esempi proposti si è riscontrata la presenza di
restauri pregressi, o si è intervenuti con una pulizia a umido.
Sono state indicate le pelli di quali animali erano state usate
per le pergamene, riscontrando la presenza preponderante di
pelli di vitello e di pecora ed è stato possibile prelevare alcuni
piccoli campioni per permettere ulteriori analisi chimiche e
fisiche da svolgere presso il laboratorio di Copenhagen.
Sono stati notati danni dovuti principalmente al
maneggiamento dei documenti o al loro contatto con liquidi,
inoltre sono stati notati anche danni biologici.
I tecnici del laboratorio:
Rosetta Granziero
Battista Pittari
Marzia Rizzo
Il responsabile del laboratorio:
Dott. Cecilia Laurora
42
TRENTINO ALTO ADIGE – ARCHIVIO DI STATO DI TRENTO
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
Archivio di Stato di Trento
Direttore:
Giovanni Marcadella
Ambito del progetto
Il Progetto “Il Trentino e
Valorizzazione di un
l’Europa.
Culture
allo
Archivio di Famiglia
specchio tra passato e
presente” promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di
Trento, ha inteso mettere in evidenza protagonisti, avvenimenti e
fenomeni culturali del Settecento trentino. Come base del progetto
è stata condotta un’indagine approfondita sulle fonti archivistiche
relative a quel periodo storico. Si è così “riscoperta” la schedatura
del fondo musicale dell’Archivio della famiglia Buffa di Telve
Valsugana conservato nell’Archivio di Stato di Trento. Negli anni
settanta se ne era occupato il noto musicologo Clemente Lunelli,
il cui lavoro è depositato presso l’Ufficio Ricerche Fonti Musicali di
Milano, a disposizione del mondo scientifico. La ricerca
documentaria ha avuto come fine la pubblicazione del catalogo
“SULLE RIVE DEL BRENTA, musica e cultura attorno alla famiglia
Buffa di Castellalto (sec. XVI-XVIII) ” a cura di Antonio Carlini e
Mirko Saltori, uscito nell’ambito della prestigiosa collana
Patrimonio storico artistico della Provincia Autonoma di Trento –
Soprintendenza per i beni librari e archivistici. Con la
collaborazione del Museo degli usi e costumi della gente trentina
di San Michele all’Adige e del Comune di Borgo Valsugana è stato
realizzato anche un CD con musiche per fortepiano su partiture
originali rintracciate nell’Archivio Buffa.
Infine in occasione della VII Settimana dei Beni Culturali del 2005 è
stata organizzata a cura del Sistema Culturale Valsugana Orientale
e dell’Archivio di Stato di Trento una mostra documentaria che è
stata ospitata presso lo spazio Klien di Borgo Valsugana.
Queste realizzazioni ed eventi sono stati il frutto una preziosa
collaborazione tra l’Archivio di Stato, possessore dei documenti,
Via Maccani, 161
38100 Trento
tel. 0461.829008-828683
fax 0461.828981
[email protected]
archivi.beniculturali.it/ASTN/in
dex.html
Coordinatore e responsabile del
progetto: Paola Panaccio Parisi,
Responsabile Servizio
Conservazione e Restauro
Progettazione e realizzazione
tecnica: Luciana Chini
Realizzazione grafica
multimediale: Crisitiana Pivari
Riprese fotografiche:
Michele Saracino
43
TRENTINO ALTO ADIGE – ARCHIVIO DI STATO DI TRENTO
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
l’Assessorato alla Cultura del Comune di Trento, la Fondazione
Tartarotti, la Famiglia Buffa, la Provincia Autonoma di Trento –
Soprintendenza per i beni librari e archivistici, il Museo degli usi
e costumi della gente trentina di San Michele all’Adige, il Comune
di Borgo Valsugana e il Sistema Culturale Valsugana Orientale.
Grazie a questa collaborazione si è giunti a vedere finalmente
valorizzato questo piccola ma inestimabile raccolta musicale,
frammento di Fondo archivistico che per anni era rimasto
pressochè silenzioso.
Il progetto di Restauro e Condizionamento
L’Archivio di Stato di Trento, con il suo Laboratorio interno di
Restauro, in previsione di un periodo di intensa consultazione
del fondo e in vista dell’esposizione dei documenti, ha elaborato
ed attuato un intervento di restauro e ricondizionamento degli
spartiti musicali dell’Archivio Buffa. Si è operata una scelta
conservativa che prevedesse il posizionamento dei documenti
in orizzontale e si è studiato un prototipo di scatola da
conservazione, senza parti incollate e quindi completamente
apribile, tale da permettere la consultazione dei documenti
senza doverli estrarre dalla scatola stessa.
La serie spartiti musicali dell’Archivio Buffa
Si tratta di una raccolta di 5 mazzi di 297 di spartiti musicali,
composti di 2823 carte, divisi in due sezioni: due buste di 814
carte a stampa e tre buste di 2009 carte manoscritte. Queste
cinque buste fanno parte dell’Archivio di Castellalto e dei
Baroni Buffa che “è stato recuperato dopo la prima guerra
mondiale (durante la quale Telve venne a trovarsi sulla linea di
fuoco) … il materiale cartaceo si trovava in condizioni pietose:
guasto dall’umidità e talmente coperto e impregnato di
sudiciume, che ci sono voluti molti mesi di paziente pulizia per
poterlo rendere almeno parzialmente consultabile”.
Stato di conservazione
Lo stato di conservazione risultava al momento dell’intervento
di restauro e condizionamento alquanto compromesso, i danni
principali erano dovuti a sudiciume, polvere e attacchi di muffe.
Operazioni di restauro
Si è provveduto alla cartulazione di tutte le carte e
contemporanea approfondita pulizia a secco. Durante queste
operazioni si è valutato che soprattutto le carte a stampa
hanno subito danni da infiltrazioni di umidità e sono per buona
44
parte danneggiate infragilite, e presentano lacune. Si è deciso
di procedere cominciando a intervenire con la busta n. 3, cioè
con gli spartiti manoscritti meno danneggiati, al fine di poter
togliere dalla consultazione i documenti per il minor tempo
possibile.
Si è provveduto quindi a condizionare spartito per spartito in
camicie piegate su misura in carta Ingres avorio, (carta non
acida con una riserva alcalina adatta alla conservazione, che
inoltre ha una composizione a fibra di cellulosa lunga e perciò
è resistente alle piegature) su cui si sono applicati la segnatura
e il titolo.Le singole camicie poi si sono collocate in scatole
appositamente preparate su misura in cartone Museum da
conservazione, nelle quali le camicie contenenti gli spartiti
saranno conservate in posizione orizzontale.
Per le carte danneggiate e bisognevoli di intervento di
restauro, si è proceduto al lavaggio, al ricollaggio, allo
spianamento e al risarcimento delle lacune con la carta
giapponese adatta, carta velina e metilcellulosa.
Si sono poste su tutte le camicie degli spartiti le etichette in
carta adesiva con le segnature e i titoli tratti dall’indice redatto
dal dott. Clemente Lunelli copiato al computer su file.
Risultati conseguiti
Tutte queste operazioni hanno permesso di conseguire diversi
risultati:
• Scoperta dell’importanza storica della Famiglia Buffa e della
sua influenza sulla cultura contemporanea
• Pubblicazione del catalogo analitico delle musiche con facile
reperibilità dei singoli spartiti
• Conservazione ottimale data sia dal sistema di posizionamento
in orizzontale dei documenti che dalla loro collocazione in
scatole su misura in cartone acid free studiate per evitare
anche il minimo danno nella consultazione.
• Creazione di un modello di scatola che per le sue
caratteristiche peculiari potrà essere utilizzata per tutti quei
fondi archivistici di carattere miscellaneo la cui
documentazione deve essere trattata, anche in fase di
consultazione con il massimo delle precauzioni onde evitarne
il deterioramento.
Note: A. Casetti, Guida storico –
archivistica del Trentino p. 763,
rilevazione a. 1955
45
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’UMBRIA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
Il Servizio di conservazione, che
nell’ambito delle Soprintendenze
archivistiche opera in questo
Rosella Martinelli
specifico settore, fu istituito per
l’affidamento di “tutte le mansioni inerenti la verifica dello stato
di conservazione del materiale archivistico, l’attivazione delle
necessarie misure di prevenzione, la predisposizione dei progetti
finalizzati al restauro del materiale deteriorato e la realizzazione
della fotoriproduzione relativa …”1. Il servizio cura, quindi, le
pratiche relative alla conservazione archivistica intesa come
recupero, restauro e custodia del bene dai deterioramenti
naturali e dai danneggiamenti straordinari, rapportandosi e
collaborando con gli altri servizi, in particolare con i settori del
Servizio di vigilanza archivistica, che controllano la
conservazione degli archivi sotto l’aspetto del riordinamento
delle carte, della dotazione dei mezzi di corredo e degli strumenti
per la ricerca, la gestione e la fruizione dei documenti.
La vigilanza sulla conservazione, per gli istituti periferici, non si
configura soltanto come un mero problema di pronto intervento,
ma più propriamente come salvaguardia del patrimonio vigilato
non solo nelle emergenze, ma anche in via ordinaria,
esplicandosi in un’adeguata gestione degli interventi di restauro,
sia di quelli finanziati dall’Amministrazione, sia degli altri, a
carico degli enti, a cui comunque va fornita la consulenza tecnica
di precisa competenza.
Da tempo il Ministero, non solo mediante stanziamenti sugli
ordinari capitoli di bilancio ma anche in attuazione di leggi
speciali, ha potenziato l’opera di salvaguardia del patrimonio
archivistico non di Stato, estendendola anche agli archivi degli
enti di culto. Si sono evidenziate, in una più ampia politica di
valorizzazione, le prioritarie istanze conservative e, grazie a
contributi statali, sono stati realizzati molti restauri di
documenti, programmi di restauro, singoli progetti, pareri a
carico degli organi di vigilanza, visti di congruità sui
preventivi, verifiche in corso d’opera e, per finire, collaudi;
questi sono stati e sono i vari aspetti di un’attività
propriamente volta alla conservazione, termine in questo caso
Soprintendenza Archivistica
per l’Umbria
utilizzato nell’accezione più completa, da parte delle
Soprintendente:
Soprintendenze, che si pongono quale polo di riferimento
Mario Squadroni
tecnico nei confronti degli enti pubblici e degli enti privati2.
Via Martiri dei Lager, 65
I tre progetti di restauro qui di seguito descritti sono una
06128 Perugia
piccola, non significativa, testimonianza dell’ampia attività
tel. 075.5052198 – 5055715
fax 075.5052198 – 5055715
conservativa realizzata dalla Soprintendenza archivistica per
[email protected]
l’Umbria a partire dal 1990.
www.archivi.beniculturali.it/SAPG
Il Servizio di
conservazione
46
Archivio dello Studio-laboratorio Moretti Caselli di Perugia.
Restauro dei disegni-progetto delle vetrate del cimitero di
Glendale (California), della Basilica di Loreto, del Duomo di
Perugia.
L’attività del laboratorio di vetrate dipinte a fuoco fu iniziata da
Francesco Moretti (1833-1917) artista e restauratore di vetrate,
docente presso l’Accademia di Belle Arti di Perugia e direttore
della Pinacoteca di Perugia. Presso lo studio è conservato un
patrimonio archivistico di notevole interesse costituito da
materiale documentario, da bozzetti, da disegni e cartoni anche
di grande formato. Tale documentazione si rivela preziosa per la
ricostruzione delle vicende storiche e conservative di manufatti
realizzati in tempi passati o di opere restaurate. I disegni,
realizzati da Francesco Moretti, Ludovico Caselli, Rosa e Cecilia
Moretti Caselli, su cartoncini di diverse dimensioni, tesi su telai
in legno, sono conservati in parte esposti nel salone principale
del laboratorio3; molti disegni-progetto su telaio insieme ad
un’infinità di rotoli lucidi e cartacei, di sezioni dei progetti, erano
purtroppo segnati da gravi lacerazioni che ne minacciavano una
probabile fine non troppo lontana.
Fu predisposto un progetto preliminare comprendente i cartoni
dell’ultima cena, di m. 8,84x4,59 e due grandi tondi, di diametro
di m. 3,75, delle vetrate realizzate per la Basilica di Loreto; i
disegni, di formati vari e comunque molto grandi, erano realizzati
su un supporto sicuramente di mediocre qualità; i cartoncini di
minimo spessore risultavano gorati dalla polvere, ingialliti, con
qualche attacco di foxing e molto fragili, con strappi e lacerazioni
di non facile sutura, soprattutto nelle tempere delle vetrate di
Loreto.
Si optò quindi nel richiedere a ditte altamente qualificate di
presentare un proprio progetto da sottoporre alla valutazione del
Centro di fotoriproduzione legatoria e restauro degli Archivi di
Stato per uno studio delle proposte, sulla base delle diverse
tecniche di intervento, dei prodotti e dei costi.
Furono restaurati n. 13 disegni, della vetrata realizzata al cimitero
di Glendale in California nel 1902 raffigurante l’Ultima cena 4,
eseguiti a matita e carboncino, 18 disegni riproducenti le vetrate
realizzate per la Basilica di Loreto, eseguiti a tempera con
fissativo con imprimitura a colla, il tondo del martirio di S.
Lorenzo, le vetrate del Duomo di Orvieto e l’incoronazione della
Vergine, tutti a grandezza naturale, realizzati a carboncino. Si
richiese alla ditta la disinfezione totale, la deacidificazione e il
restauro di tutti i pannelli, oltre ad una congrua documentazione
47
Progetto n. 5/2000
Responsabile del procedimento,
progetto preliminare: Rosella
Martinelli
Progetto esecutivo: ditta
Pandimiglio di Roma
1
Ministero per i beni culturali e
ambientali, Ufficio centrale per i
beni archivistici, Divisione
tecnologia archivistica, Circolare
n. 114/94 (12) del 13 luglio
1994.
2 Ministero per i beni culturali e
ambientali, Ufficio centrale per i
beni archivistici, Divisione
vigilanza, Proposta della div.
Vigilanza circa l’opportunità di
istituire presso le
Soprintendenze archivistiche
centri di pronto intervento e
servizi tecnici di conservazione,
1 aprile 1994.
3 Altri bozzetti di lavori relativi
alle vetrate del Duomo di
Orvieto, vetrate della chiesa di S.
Domenico, della Cattedrale di S.
Lorenzo, del palazzo Gallenga
Stuart, castello Telfener Oscano
di Perugia, Assisi: basilica di S.
Maria degli Angeli, Todi vetrata
circolare del Duomo, vetrate per
Glendale in California, Pieve di
Arezzo, Cortona, Cattedrale di
Capua, cimitero di Rieti, di
Napoli, Duomo di Arezzo ecc.
sono conservati presso il
laboratorio.
4 La vetrata dell’Ultima cena fu
commissionata da Hubert Eaton
per la Fondazione Forest Lawn
per il cimitero di Glendale a Los
Angeles. Eaton voleva che il
cimitero non inviasse solamente
un’ immagine del dolore, ma
esprimesse serenità e volendo
trasmettere tali sensazioni si
avvalse dell’aiuto della natura e
dell’arte. La vetrata è posta nel
mausoleo del grande parco
cimitero che si estende su più
colline e che la ospita,
incastonata nella cappella
realizzata ad imitazione della
basilica superiore di Assisi fra
numerose copie di grandi
capolavori del passato.
5 C. PROSPERI, L’attività di vigilanza
nelle varie fasi del restauro, in La
carta, il fuoco, il vetro, a cura di
G. Giubbini e R. Santolamazza,
catalogo della mostra, Perugia,
Centro Espositivo Rocca Paolina
19 maggio – 24 giugno 2001,
Città di Castello, Edimond, 2001,
pp. 39-44.
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’UMBRIA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
Progetto di restauro n. 7/2003
Progettista, direttore dei lavori:
Rosella Martinelli
fotografica. Le particolari difficoltà emergenti nel corso dei lavori
sono state tutte affrontate sotto la costante guida della dr.ssa
Cecilia Prosperi, direttore del servizio conservazione e restauro
del C.F.L.R. che così ha descritto l’opera:
“I disegni, vere e proprie opere d’arte su carta, presentavano
essenzialmente danni di origine meccanica oltre ad un comune
stato di degrado dovuto a sporco diffuso e talvolta da gore da
infiltrazione da umidità.
La carta, molto calandrata, anche se con varianti relative alla
grammatura, è di quella comunemente detta da spolvero e
presentava su tutti i disegni un progressivo ingiallimento sia per
i processi di acidificazione che per accentuata sensibilità alle
fonti luminose. Danni da foxing, macchie di colore bruno sono
presenti sia sul verso sia sul recto dei pannelli, come anche
quelle di ruggine. I pannelli, anche se forniti di opportuna
protezione, data la loro intrinseca fragilità, hanno subito
ugualmente alcune lacerazioni. Spesso i tagli che erano stati
imprudentemente fissati nel passato con strisce di carte di varia
natura, molto visibili anche sul recto, fatte aderire con colla di
origine animale, si sono rivelati, nel corso degli interventi di
restauro tra i danni più complessi da sanare perché non
combacianti, dilatati e spesso delaminati.
Altro problema di non facile soluzione è stato quello di evitare,
nella rimozione delle pregresse colle, la formazione di aloni e
sbavature; tutte le strisce poste sul verso, nel tentativo di
chiudere i tagli e risarcire le lacune, sono state rimosse a secco
o ricorrendo all’utilizzo del vapore o nei casi di maggiore
resistenza al distacco, al tamponamento con acqua tiepida.
In generale si può affermare che sono concorsi nel restauro dei
disegni dell’archivio Moretti Caselli diversi fattori di difficoltà:
grandi dimensioni, fragilità dei supporti, difficoltà di
conservazione, ma soprattutto materiali poveri come carta da
spolvero, cartoncino, graffite. L’intervento è stato improntato allo
scopo di bloccare il degrado in atto, di porre rimedio ai danni
presenti e di ricondurre i disegni alla loro integrità,
predisponendo inoltre idonee misure conservative”5.
Università degli Studi di Perugia – Recupero di importanti
documenti musicali del Trecento
Su invito dell’Università degli Studi di Perugia, la Soprintendenza
archivistica per l’Umbria (Perugia) compiva nell’estate del 2003
un sopralluogo presso la Biblioteca del Dottorato dell’Ateneo per
esaminare lo stato di conservazione dell’incunabolo Inv. 15755
48
N. F. e predisporre un intervento di restauro. Si trattava di un
volume cartaceo con coperta dal dorso in pelle e assi in legno, la
quale, da un esame visivo, era da ritenersi coeva al libro, anche
se alcune particolarità potevano far pensare ad un successivo
intervento di consolidamento delle legature6. L’incunabolo
risultava cucito su quattro nervi spaccati in pelle; i capitelli, in
testa e al piede, erano inseriti alle assi lignee; le chiusure sul
taglio anteriore avevano due bindelle e graffe metalliche. Le carte
di guardia si trovavano anteriormente e posteriormente. Nel caso
specifico presentavano una particolarità: la guardia e
controguardia anteriore erano in carta, mentre la guardia e
controguardia posteriore erano rispettivamente in carta e in
pergamena, quest’ultima tratta da un antico manoscritto italiano
del Trecento, di notevole pregio musicale. Altri frammenti in
pergamena risultavano presenti, adesi sulla piegatura dei bifogli
esterni o come vele all’interno di alcuni fascicoli.
Gli elementi evidenziati nell’analisi del volume riguardavano:
l’anomalia delle guardie e controguardie che, come sopra
descritto, risultavano difformi; le brachette in pergamena di
riutilizzo incollate sulla piegatura di alcuni fascicoli; le
annotazioni manoscritte sull’angolo superiore delle carte. I
frammenti in pergamena non erano stati inseriti a seguito di un
intervento di restauro, come spesso poteva accadere, in quanto
la piegatura del foglio dell’incunabolo, esaminata all’interno,
presentava una carta integra. La pergamena, quindi, aveva
l’esclusivo ruolo di rinforzo delle cuciture. Altro elemento che
poteva indurre a pensare ad un eventuale intervento di
ricomposizione della legatura, era dato dalle annotazioni
manoscritte presenti nell’angolo superiore destro di alcune
carte, talvolta tagliate per effetto di una rifilatura.
L’incunabolo si presentava in buono stato di conservazione, ma
risultavano danneggiati il dorso in pelle (consumato e lacerato),
i capitelli (spezzati), le chiusure sul taglio anteriore della coperta,
la cucitura (allentata nell’ultimo fascicolo) e i supporti cartacei (di
buona qualità, ma leggermente scuriti e gorati, con qualche
strappo).
Nel rispetto dei principi del restauro conservativo, era opportuno
intervenire bloccando i processi di degrado in atto, per restituire
le funzioni d’uso e garantire quanto più a lungo possibile la
trasmissibilità. Con l’occasione si doveva provvedere al recupero
della leggibilità dell’importante documento pergamenaceo posto
a controguardia. Si è così deciso di operare un attento restauro
evitando la scucitura del volume, in considerazione della buona
condizione in cui si trovava.
49
6A
seguito del terremoto la sala
del Dottorato sede del fondo
antico della biblioteca
universitaria, subì gravi danni.
Per provvedere al
consolidamento della struttura il
patrimonio librario fu tutto
trasferito. Terminati i lavori di
restauro prima di ricollocare il
materiale librario nella sua sede
naturale, è stata fatta una
accurata depolverizzazione e
ricognizione fotografica di tutti i
volumi. È nel corso di questo
lavoro che il dr. Gianfranco
Cialini, responsabile della
biblioteca, ha scoperto un
bifoglio in pergamena
proveniente da un manoscritto
italiano della fine del ‘300
utilizzato come carta di guardia
di un volume cartaceo: un
incunabolo del 1473. La
scoperta ha suscitato particolare
attenzione perché il foglio in
questione permette: “a) di
conoscere l’esistenza di un
nuovo codice arsnovistico, b)
fornisce il nome di un musicista
finora sconosciuto e due sue
composizioni; c) contiene un
Credo mensurale in lingua
volgare, la parte superiore di un
Sanctus polifonico e un Agnus
Dei a due voci completo. Altri
piccoli frammenti, provenienti
dallo stesso manoscritto, si
trovano al centro di vari
quinterni del volume. Essi sono
molto importanti per capire la
struttura del codice che
conteneva anche composizioni
profane dei più noti musicisti
dell’epoca, come il madrigale
Non al suo amante più Diana
piacque di Jacopo da Bologna su
testo di Francesco Petrarca”.
Considerata l’importanza del
frammento era assolutamente
necessario il distacco per lo
studio.
Cfr. Frammenti musicali del
Trecento nell’incunabolo Inv.
15755 N. F. della Biblioteca del
Dottorato dell’Università degli
Studi di Perugia, a cura di B.
Brumana e G. Ciliberti, Firenze,
Leo S. Olschki, 2004.
7Tra le altre serie è da segnalare
il ricco fondo (131 registri) di
opere manoscritte di storici ed
eruditi locali settecenteschi, che
raccoglie scritti del Certini, (gli
Annali istorici, le storie di quasi
cento famiglie di Città di
Castello, gli elenchi dei
governatori), del Pazzi,
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’UMBRIA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
Il progetto di restauro predisposto, volendo mantenere l’integrità
materiale ed assicurare la conservazione e la protezione dei
valori culturali del bene, come da disposizioni in materia, ha
previsto il recupero e la reintegrazione delle sole parti mancanti
o gravemente danneggiate (dorso, chiusure), escludendo
interventi invasivi che alterassero la struttura caratteristica del
volume. Il distacco e il restauro della pergamena di
controguardia, erano possibili sfilando l’ultimo fascicolo che già
aveva una cucitura allentata. Il progetto prevedeva quindi: la
pulizia a secco di tutte le carte con pennello morbido e ad umido,
per tamponamemto, nelle parti gorate; il distacco, la pulizia e il
restauro della coperta, con integrazione delle parti mancanti o
danneggiate (dorso, chiusure, capitelli); il distacco della
controguardia e la scucitura dell’ultimo fascicolo per permettere
il recupero della pergamena che era accavallata. Il bifoglio
membranaceo andava pulito, ammorbidito e restaurato. Per la
futura conservazione del documento, in considerazione della sua
particolare importanza, sono state esaminate diverse soluzioni: il
frammento poteva essere asportato dal volume per un futuro
condizionamento autonomo; poteva essere reinserito
nell’incunabolo nella stessa posizione in cui era stato adeso,
completandolo con una brachetta in carta; poteva essere fissato
alla cucitura attraverso gli antiche fori del bifoglio. Si è optato per
questa ultima soluzione. Il documento è stato reinserito alla fine
del volume, protetto tra due fogli di carta a ph neutro da
conservazione, nella posizione che permettesse una migliore
lettura, mantenendo la collocazione unitaria degli elementi
dell’incunabolo e rispettandone la sua storia. Il libro è stato
ricomposto realizzando nuove guardie in carta da conservazione
e reinserendo l’antica coperta restaurata.
Per lo studio dei frammenti di pergamena, presenti come rinforzo
o vele, è stato suggerito di avvalersi della elaborazione digitale per
il restauro virtuale, che, attraverso diverse tecniche fotografiche,
dagli infrarossi all’ultravioletto, alla fluorescenza, permettesse di
ricostruire le preziose annotazioni conservate, escludendo così la
completa scucitura delle carte e salvaguardando, per quanto
possibile il LIP dell’incunabolo, cioè il livello delle informazioni
potenzialmente deducibili dal documento. Si è ritenuto insomma
necessario effettuare un intervento che fosse rispettoso dei valori
originari dell’antico volume, ottenendo al tempo stesso il
massimo recupero del documento pergamenaceo presente nella
controguardia e nei frammenti.
Il controllo finale ha accertato che le carte sono state pulite, i
capitelli consolidati, le antiche carte di guardia reintegrate con
50
materiale di adeguato spessore e tono cromatico, la coperta
ripulita e reintegrata nelle parti danneggiate o mancanti, sia nella
chiusura che nel dorso in pelle. Il documento pergamenaceo è
stato distaccato, adeguatamente ammorbidito e reinserito
nell’incunabolo, ancorato al nervo, tra due fogli di carta neutra da
conservazione. Il lavoro è stato realizzato con perizia e precisione
dalla ditta Coo.Be.C. di Spoleto.
Archivio storico diocesano di Città di Castello – Archivio
vescovile, serie: Registri della Cancelleria vescovile, 10
registri, secc. XII-XIII
Progetto di restauro n. 4/2004
lotto 1/2
Responsabile del procedimento,
progettista: Rosella Martinelli
La diocesi di Città di Castello ha origini antiche, poiché il primo
vescovo testimoniato, Eubodio, è della seconda metà del V
secolo; alla fine del VI fu invece vescovo S. Florido, attuale
patrono della città e titolare della Cattedrale. I documenti originali
più antichi dell’archivio vescovile risalgono ai primi anni del XIII
secolo e provengono dalla Cancelleria: sono rintracciabili nel
primo dei 20 registri pergamenacei degli “Atti della Curia
vescovile” che testimoniano l’attività dei vescovi tifernati fino
all’inizio del XVIII secolo; nei codici più antichi sono inoltre
presenti copie autentiche di documenti dell’XI secolo. Questi
registri, già segnalati da Giuseppe Mazzatinti, hanno
rappresentato una preziosa miniera di notizie per storici locali
come il Muzi, il Magherini Graziani, l’Ascani. Oltre ai codici ora
detti sono presenti altri atti della Cancelleria vescovile e
dell’amministrazione della Curia, che giungono fino agli anni
Cinquanta di questo secolo7.
La Curia vescovile sta ponendo particolare attenzione ai propri
archivi e al fondo bibliografico garantendo una sede idonea per
una buona conservazione ed atta a rispondere alle numerose
richieste di consultazione presentate da studiosi locali e
internazionali, in particolare per la serie “Atti della Curia
Vescovile”, una serie particolarmente richiesta dagli studiosi, che
si compone di registri pergamenacei di grande formato. La
precarietà delle legature e dei supporti rendeva rischiosa la
consultazione. Per questo motivo la Soprintendenza archivistica,
nel rispetto delle norme, ha curato un intervento di restauro,
mentre i responsabili dell’archivio hanno provveduto ad una
fotoriproduzione di sicurezza di questo e di tutto il materiale
antico, di assoluto pregio, in loro possesso.
La serie Cancelleria vescovile si compone di nove registri, tutti
versavano in precarie condizioni conservative, le pergamene
erano scurite, indurite, ondulate e piene di strappi; le cuciture,
dell’Andreucci i manoscritti di
genealogia ed araldica, le
trascrizioni di bolle pontificie e
privilegi imperiali esistenti
nell’Archivio capitolare, le utili
copie di protocolli di vari notai
che rogarono nel territorio tra il
XIV e il XV sec. e tutta una serie
di miscellanee e di appunti di
storia locale.
8 Cfr. nota manoscritta di Don
Alberto Ferri, archivista
responsabile: Il sacerdote
Angelo Ascani nato a Città di
Castello nel 1909 e deceduto
sempre a Città di Castello nel
1981, oltrechè ottimo parroco, è
stato professore, musicista,
storico. Come storico dedicò
gran parte del suo tempo libero
alle ricerche di storia locale
visitando archivi e leggendo
pazientemente vecchie
pergamene. In particolar modo
ha consultato i registri in
pergamena dell’archivio
vescovile e dell’archivio
capitolare. Molti dei segni
indelebili a margine delle
suddette carte pergamenacee
purtroppo sono di sua mano.
Come frutto dei suoi studi ha
pubblicato una nutrita serie di
monografie sui paesi, le
parrocchie, le istituzioni più
importanti della diocesi di Città
di Castello.
51
SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’UMBRIA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
allentate e in parte spezzate, stavano rischiando la dispersione
dei documenti e le coperte, consumate e strappate sul dorso,
non potevano più garantirne la giusta protezione. Un particolare
studio è stato rivolto alle coperte che in alcuni pezzi erano in
cartone foderato con carta ornata e dorso in pelle, probabilmente
da non potersi ritenere di un’epoca antecedente il XVIII-XIX
secolo, cosa che con ogni probabilità è per le coperte dei registri
6 e 9, in pelle con assi in legno. Non era dato sapere che tipo di
coperta fosse quella coeva, non essendo stata individuata
documentazione al riguardo, ma la presenza delle coperte in
pelle con assi in legno nei due registri, di uguale fattura, ha
indotto ad orientarsi verso questo tipo di legatura per il restauro
dei restanti registri. Le coperte in cartone ornato, molto
danneggiate, che costituivano un elemento del percorso storico
dei documenti, sono state tutte raccolte, pulite e conservate in
un apposito contenitore, posto nello stesso armadio, affiancate
alla serie dei registri. Dall’esame effettuato a campione gli
inchiostri non sono risultati solubili, ma i registri erano ricchi di
annotazioni con inchiostro blu, rosso e matita, solubili, apposte
a margine da un importante storico locale, don Angelo Ascani 8.
Nella fase operativa si è potuto poi riscontrare che il test di
solubilità è risultato negativo senza alcun strofinamento, ma
positivo per il nero fumo se strofinato con insistenza, positivo
l’inchiostro moderno se trattato in acqua per immersione
(supporti cartacei), negativo se trattato in cella (supporti
pergamenacei). Le nuove guardie e controguardie sono state
realizzate con carta barriera a ph 9, controguardia incollata e la
cucitura a fascicolo per tutti i registri, ad eccezione del 9 che, nel
rispetto dell’originale, ha le carte accavallate al fascicolo. Le
antiche guardie con annotazioni e, dove possibile, gli antichi
nervi, sono stati recuperati e reinseriti, come pure sono state
reinserite le antiche coperte in pelle dei due registri citati. Di
questa esperienza lavorativa ne ha fatto tesoro, quale oggetto di
una interessante tesi di laurea, il responsabile della ditta
“Memorie di carta” di Città di Castello che ha curato il restauro.
52
VENETO – ARCHIVIO DI STATO DI BELLUNO
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
Archivio di Stato di Belluno
Direttore: Eurigio Tonetti
Via S. Maria dei Battuti, 3
32100 Belluno
tel. 0437.940061
fax 0437.942234
[email protected]
archivi.beniculturali.it/ASBL
La documentazione dei notai
bellunesi
L’archivio Notarile, serie Atti e
testamenti dei notai di
Belluno, Feltre e Cadore comprende gli atti prodotti dai
notai roganti nel territorio della antiche podesterie venete
di Belluno (con l’Agordino fino a Caprile e Rocca Pietore e
lo Zoldano) e di Feltre, nonché del Cadore. In serie a parte,
in quanto appartengono ad altra realtà istituzionale, sono
conservati gli atti rogati dai notai di Ampezzo e
Livinallongo.
I documenti più antichi risalgono ai primissimi anni del XV
secolo; i più recenti al 1859. Sono attesi ulteriori
incrementi. Il numero complessivo dei pezzi archivistici
sfiora le 8.000 unità.
La documentazione – fondamentale rispetto al patrimonio
dell’Archivio di Stato di Belluno – è di primaria importanza
per la ricostruzione delle vicende patrimoniali private nel
territorio bellunese, sia dei proprietari fondiari, che dei ceti
mercantili, ma anche per lo studio delle istituzioni
pubbliche, giacché frequentemente i notai rogavano anche
atti di comunità, confraternite, regole, ecc., quando tali
enti non fossero dotati di una propria struttura
burocratica.
Caratteristica più evidente del notariato bellunese nell’età
moderna è, a differenza di oggi, la polverizzazione delle
piazze notarili nel territorio, in conseguenza anche della
peculiarità dell’ambiente, prevalentemente montano, che
rendeva difficili le comunicazioni. Così fra gli oltre
cinquanta centri in cui risulta esercitare un notaio, ci
possiamo imbattere anche in località d’un pugno di case e
poche decine d’abitanti, com’erano, ad esempio,
Casamazzagno, Costalissoio, Dosoledo, o Puos d’Alpago.
Non poteva che trattarsi, allora, di un’attività notarile
quantitativamente circoscritta e povera di mezzi
economici: queste peculiarità si ripercuotono, in maniera
evidente, nei tratti esteriori della documentazione: estrema
varietà delle legature, del formato e della confezione dei
volumi, spesso con differenze rilevanti anche nell’ambito
degli atti e dei protocolli dello stesso notaio. Si tratta, in
genere, di legature in tono minore, tipiche d’un ambiente
rurale e alpino, quasi mai affidate ad artigiani specializzati,
ma realizzate invece – con tutta evidenza – all’interno del
cancello, forse personalmente dallo stesso notaio, anche
Il restauro degli atti
notarili dell’Archivio
di Stato di Belluno
53
VENETO – ARCHIVIO DI STATO DI BELLUNO
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
per ‘sedimentazione’, aggiungendo a compagini chiuse
nuovi documenti o ulteriori fascicoli. Per l’esecuzione
s’impiegavano materiali poveri e facilmente a portata di
mano: pergamene di riuso, cuoio e filo di mediocre qualità.
Si è addirittura rinvenuta un’anima di cucitura realizzata
con un rametto d’albero in luogo della consueta striscia di
pelle o dello spago.
Non manca, tuttavia, un certo numero di legature
‘professionali’, eseguite con l’impiego di tecniche evolute
e materiali di un certo pregio. Esse appartengono,
ovviamente, ai notai ‘cittadini’.
La progettazione del restauro
Tale ricchezza e varietà di legature è, dunque, uno degli
elementi caratterizzanti e qualificanti dell’intero fondo
archivistico, di cui ogni elemento costituisce un unicum
irripetibile. La progettazione degli interventi di restauro –
iniziati nel 1997 e che tuttora continuano – ne ha dovuto
perciò tener conto, affinché non andasse disperso, ma
venisse anzi riconosciuto e valorizzato, il notevole
patrimonio di cultura materiale sotteso a questi ‘prodotti’.
Ogni progetto ha voluto costituire, anzitutto, un momento
conoscitivo della materialità del bene oggetto di restauro,
ottenuto attraverso un esame e una descrizione scrupolosi
– anche supportati da rilievi grafici – di tutti gli elementi
esteriori: materiali impiegati, assemblamento delle carte e
struttura fascicolare, modalità della cucitura e
dell’ancoraggio alle coperte, danni riscontrati. Di ogni
protocollo, di ogni minutario, resta così una completa
descrizione circa lo stato precedente al restauro.
Il progetto d’intervento prevede, in aggiunta alle
tradizionali operazioni di restauro cartaceo o
membranaceo, il ripristino della materialità originaria del
volume mediante un rifacimento della legatura da
realizzarsi secondo una fedele e attenta ripetizione delle
caratteristiche originali, sia per quanto riguarda le
modalità esecutive, sia nei materiali impiegati. Tale
operazione, ovviamente, va relazionata al pieno riacquisto
di funzionalità del bene e alla durata del restauro nel
tempo. Queste esigenze richiedono, sia in sede di progetto
che di direzione lavori, lo studio di particolari accorgimenti
e la valutazione dei necessari scostamenti dalle
caratteristiche originarie, quando queste si rivelino
pregiudizievoli per la conservazione e per la fruizione.
54
Infine, nel solco della migliore tradizione artigianale
italiana, ogni intervento prevede il rispetto di alti canoni
estetici.
I disegni qui pubblicati si riferiscono a un intervento del
2004-2005 e sono stati eseguiti dal laboratorio “Biblion” di
Dino Franco Pantarotto di Tortona.
La progettazione, eseguita a più mani, dal 2001 è
coordinata dal dott. Eurigio Tonetti, direttore dell’Istituto.
Archivio di Stato di
Belluno, Notarile, rilievo
disegnato di beni da
restaurare. Eseguito nel
2004-2005 dal laboratorio
di restauro “Biblion” di
Dino Franco Pantarotto di
Tortona.
55
VENETO – ARCHIVIO DI STATO DI VENEZIA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Archivi
Archivio di Stato di Venezia
Direttore: Raffaele Santoro
Campo dei Frari, 3002
30125 Venezia
Tel. 041.5222281
fax: 041.5229220
[email protected]
archivi.beniculturali.it/ASVE/
Dal 1997 l’Archivio di Stato di
Venezia è impegnato nel
restauro conservativo del più
antico materiale archivistico
alluvionato nel 1966, quello
appartenente al fondo Notarile. L’intervento è potuto iniziare
grazie a un cospicuo finanziamento pubblico straordinario
(previsto dalla cosiddetta legge sui ‘giacimenti culturali’) e
continua a cadenze regolari, sostenuto adesso con fondi dell’8
per mille dell’IRPEF devoluta dai contribuenti allo Stato e con
le ordinarie dotazioni del Ministero per i Beni e le attività
culturali. Al momento circa il 60% dei documenti notarili
danneggiati in quell’evento sono restaurati. Il 4 novembre
1966 segna una data tragica per il patrimonio culturale
italiano, non solo per i danni provocati in Toscana e a Firenze
dalle acque dell’Arno, ma anche per quelli che si registrarono
in tutto il Veneto. Venezia venne colpita da una terribile
mareggiata, durante la quale il livello di ‘acqua alta’ raggiunse
metri 1.94 sul medio mare, mai prima d’allora e,
fortunatamente, mai più in seguito toccato. Conservatori di
opere d’arte, bibliotecari e archivisti si trovarono del tutto
impreparati di fronte a un evento di proporzioni eccezionali.
Tuttavia la sensibilità del mondo culturale e la passione degli
operatori di fronte alla devastazione fu tale che, si può dire, da
quell’episodio nacque in Italia la cultura del restauro cartaceo.
L’Archivio di Stato di Venezia fu quasi interamente allagato e
in due settori dell’edificio vennero raggiunti gli scaffali più
bassi, sopra i quali poggiavano i documenti. Risultarono così
compromessi oltre ottocento protocolli e minutari della serie
Notarile, Atti dei notai di Venezia e della provincia, alcuni del
sec. XVI, e alcune migliaia di registri e buste appartenenti ad
archivi ottocenteschi. Al lento ritirarsi delle acque fu
necessario prendere in poche ore decisioni per le quali
nessuno possedeva punti di riferimento utili. L’asciugatura
delle carte cominciò subito e fu condotta in maniera
impeccabile: alcuni corridoi dell’Archivio vennero isolati e vi
venne introdotta aria calda, con attenta gradualità, per evitare
bruschi sbalzi termici e conseguenti shock alle carte e alle
legature. Quotidianamente le pagine venivano mosse, per
favorire l’operazione. Nel volgere di quattro mesi tutto il
materiale risultò asciutto e non si svilupparono muffe, né si
verificarono casi di ‘compattamento’ delle carte, assai
frequenti in situazioni del genere. L’unica imperfezione, in un
intervento che poneva tanti dubbi e tanti interrogativi, fu
Il restauro degli atti
notarili alluvionati
dell’Archivio di Stato
di Venezia
56
l’impiego, seguendo un uso allora generalizzato, di una grande
quantità di talco, con il quale vennero cosparse le carte, nella
convinzione di ridurre il tasso di salinità presente. Il risultato
non si ottenne, e vi è ora anche la difficoltà di rimuovere quella
polvere finissima, che è penetrata nelle fibre della carta.
L’intervento di restauro in corso, articolato su più appalti e
affidato a Ditte esterne, prevede soprattutto un’accurata
pulizia delle carte, da ottenersi mediante pulizia a secco e
lavaggi in soluzioni idroalcoliche, oltre a una attenta
ricostruzione delle legature antiche, peculiari dell’ambiente
notarile della Serenissima, ottenuta mediante l’impiego di
tecniche e materiali simili a quelli originari.
La progettazione e la direzione dei lavori sono affidate al dott.
Eurigio Tonetti.
57
CAMPANIA – BIBLIOTECA NAZIONALE VITTORIO EMANUELE III
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
Biblioteca Nazionale
Vittorio Emanuele III
Direttore: Mauro Giancaspro
Piazza del Plebiscito
80132 Napoli
tel. 081.7819211
fax 081.403820
[email protected]
www.bnnonline.it
I papiri ercolanesi
La Biblioteca Nazionale di Napoli
custodisce tra i suoi fondi più
preziosi la raccolta dei papiri
rinvenuti ad Ercolano tra il 1752
Agnese Travaglione
e il 1754. Costituita da oltre
1800 papiri o pezzi di papiro, databili tra il III-II sec. a.C. e il I
d.C., la collezione ercolanese conserva testi greci e latini
sconosciuti alla tradizione medievale e trasmette un rilevante
patrimonio di informazioni sul mondo antico, in particolare di
epoca ellenistica.
A causa dello stato di carbonizzazione dei rotoli che rimasero,
nel 79 d.C., sepolti sotto una coltre di materiali lavici ad una
profondità di circa 25 m, la conservazione dei papiri ercolanesi
costituisce da sempre, nell’ambito della papirologia, un
settore specifico di applicazione e di indagine. I materiali
presentano una superficie non piana, bensì corrugata e
increspata, a causa delle pieghe dovute al peso dei depositi
piroclastici e spesso spezzatesi in lunghi solchi. I fogli dei
papiri svolti, rinforzati con una sottile pellicola di battiloro,
sono pertanto fissati su cartoncino e poi riposti su supporti
rigidi – in genere tavolette di legno – di modo che la loro
superficie resti libera da ogni contatto che possa determinare
danno e perdita di informazioni. Le operazioni di svolgimento
e gli interventi di conservazione di tipo passivo, così come le
riprese per la creazione di archivi digitali, sono fortemente
condizionati dallo stato del supporto carbonizzato.
Conservazione
e restauro virtuale
nell’Officina
dei Papiri Ercolanesi
Interventi di conservazione
Diversi sono stati gli interventi di conservazione eseguiti in
Officina negli anni recenti, al fine di migliorare le condizioni dei
supporti su cui sono riposti i papiri svolti. Segnaliamo tra i più
recenti la sistemazione delle scorze, ovvero delle porzioni
residue della parte più esterna del rotolo, e quella dei papiri
privi di supporto.
Le scorze, che si presentano generalmente come piccole
porzioni di papiro di misura variabile, nel secolo XIX erano
state incollate a gruppi di alcune decine su un unico
cartoncino, o riposte, con la sola protezione della pellicola di
battiloro utilizzata, durante le operazioni di apertura, a rinforzo
del foglio carbonizzato. Questa sistemazione si era rivelata nel
tempo molto problematica, per le sollecitazioni cui i pezzi
erano sottoposti al momento della consultazione. In
particolare nel primo caso la situazione era aggravata dal fatto
58
che molte scorze si erano scollate dal proprio supporto. Si è
provveduto pertanto a fissare le scorze su cartoncini di lunga
conservazione indipendenti l’uno dall’altro, di modo che
potessero essere collocate nelle cornici, cioè nei cassetti
metallici, ognuna nel proprio spazio delimitato da piccoli
listelli di cartone per annullare il rischio di dannosi
spostamenti.
Analogamente è stato utilizzato cartone di conservazione del
tipo Canson spessore 30/10 per il fissaggio di quei fogli di
papiro che erano fin dai secoli scorsi conservati ammassati
l’uno sull’altro e risultavano, pertanto, sforniti di un supporto
rigido che ne consentisse la movimentazione senza rischio di
perdite.
In entrambi i casi per il fissaggio è stata adoperata una
soluzione di acido acetico e gelatina secondo le proporzioni
utilizzate per lo svolgimento dei rotoli ercolanesi con il metodo
adottato nell’ultimo ventennio.
Restauro virtuale
La ricerca dei procedimenti di riproduzione più idonei ai
materiali ercolanesi muove dalla duplice esigenza di
assicurare la conservazione dei testi, sottoposti ad un lento
ma inevitabile processo di depauperamento, documentato fin
dai secoli scorsi, e di favorire la valorizzazione della raccolta
attraverso l’ottimizzazione qualitativa e quantitativa dei segni.
Con l’applicazione della tecnologia multispettrale,
59
Fotografia: Steven W. Booras. ©
Biblioteca Nazionale, Napoli –
Brigham Young University,
Provo (USA)
Demetrio Lacone, Opus
incertum, col. XIV, fine
sec. II a.C. (PHerc. 1055)
Immagine multispettrale
CAMPANIA – BIBLIOTECA NAZIONALE VITTORIO EMANUELE III
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
Multispectral Imaging (MSI), si sono ottenuti risultati
considerati dal mondo accademico oltremodo soddisfacenti e
integrativi di quelli che si conseguono con la lettura degli
originali. Un limite alla piena cattura delle informazioni è,
infatti, posto dalla grinzosità della superficie, nelle cui pieghe
si incuneano lettere o porzioni di lettere visibili solo con
l’indagine autoptica.
La digitalizzazione dei papiri svolti è stata eseguita, negli anni
2000-2004, dal team dell’Institute for the Study and
Preservation of Ancient Religious Texts (ISPART) della
Brigham Young University in Provo (Utah), sulla base della
convenzione stipulata con la Biblioteca Nazionale di Napoli,
alla quale dal 1910 è affidata la cura della raccolta. Il copyright
sulle immagini è comune ad entrambi gli istituti.
Oggi la Biblioteca dispone di un archivio digitale che consta di
344 CD, contenenti i file-immagini di 969 papiri svolti in
formato TIFF, per un ammontare stimato di oltre 30.000
acquisizioni. Per le riprese è stata utilizzata una camera
digitale Kodak 6.2e 2K x 3k modificata e corredata di otto filtri,
con sensibilità spettrale da 950-1000 nm. a 400 nm. Circa il
90% delle riprese è stato eseguito nella banda del vicino
infrarosso. L’adozione della tecnica a mosaico ha consentito di
ottenere immagini di alta risoluzione spaziale. Con la tecnica
dello stitching sono state realizzate dall’ISPART alcune
dimostrazioni, che propongono la ricostruzione virtuale del
foglio di papiro nella sua estensione.
60
CAMPANIA – BIBLIOTECA NAZIONALE VITTORIO EMANUELE III
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
Fin dallo scorso anno è in
funzione presso la Biblioteca
Nazionale di Napoli un
innovativo
sistema
di
monitoraggio ambientale via
onde radio.
Angela Pinto
Si tratta di un sistema di
rilevazione ed elaborazione dei valori di temperatura e umidità
relativa composto di sensori dotati di un trasmettitore radio.
Essi, in base alla rata di acquisizione programmata,
convertono i dati registrati in forma digitale e li trasmettono
via radio ad una unità remota di ricezione.
Tale sistema ha sostituito in biblioteca i tradizionali
termoigrografi a capello e rappresenta un’innovazione
tecnologicamente più avanzata rispetto al già collaudato
sistema computerizzato di registrazione dei valori
microambientali per mezzo di data loggers, ritenuto non
sufficientemente idoneo – numero elevato degli ambienti,
necessità dell’operatore di scaricare periodicamente i dati su
computer – per monitorare un edificio storico come quello che
ospita la Biblioteca Nazionale di Napoli.
La rete di monitoraggio via onde radio è stata progettata da
una ditta specializzata nel settore, previa un’indagine volta ad
individuare gli ambienti dove posizionare i sensori
termoigrometrici e verificare, mediante strumentazione
specifica sul campo, l’effettiva copertura radio.
Questo sistema di monitoraggio senza fili si avvale di un software
di gestione su PC. Il programma, grazie ad una interfaccia chiara
e semplice da utilizzare, permette di visualizzare la disposizione
dei sensori all’interno degli ambienti in fase di monitoraggio,
importando un’immagine della pianta dell’edificio. Con il semplice
utilizzo del mouse è possibile leggere i dati trasmessi dai sensori
che, in base al campo di misura ritenuto ottimale per l’ambiente
controllato, segnala sul monitor eventuali situazioni di allarme o
anche semplici anomalie, dando agli addetti al monitoraggio la
possibilità di intervenire.
Lo scarico dei dati su PC consente inoltre il definitivo
salvataggio degli stessi e la possibilità di archiviarli ed
elaborarli nei modi più appropriati. La leggibilità è assicurata
dalla possibilità di visualizzazione sul video e di stampa anche
di tabulati, grafici e istogrammi.
La tecnologia wireless applicata al controllo dei parametri
ambientali è stata adottata negli ultimi anni nei principali
musei e biblioteche internazionali, europei e statunitensi.
Onde radio alla
Biblioteca Nazionale
di Napoli:
il monitoraggio
ambientale
61
CAMPANIA – BIBLIOTECA NAZIONALE VITTORIO EMANUELE III
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
ll British Museum (Londra), il Museo Arqueológico Nacional
(Madrid), il Musée du Louvre (Parigi), in ambito museale, la
Biblioteca Nacional (Madrid), la Bibliothèque National de
France (Parigi), la British Library (Londra), per quel che
concerne il settore biblioteche, sono solo alcuni dei più
prestigiosi istituti europei in cui è in funzione il sistema di
monitoraggio ambientale via radio.
Oltre che nei Musei Vaticani nello Stato Vaticano, in Italia
questa rete è stata installata finora in alcuni musei, edifici
storici e nella Biblioteca Trivulziana di Milano.
La Biblioteca Nazionale di Napoli, quindi, si pone
all’avanguardia tra le biblioteche nazionali pubbliche statali
nell’aver adottato questo nuovo sistema di controllo
ambientale senza fili.
Sistema di monitoraggio via radio
Responsabile del Laboratorio di
Restauro “Alberto Guarino”
Esempio di disposizione dei sensori e visualizzazione dei valori
acquisiti
62
EMILIA ROMAGNA – BIBLIOTECA PALATINA DI PARMA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
Biblioteca Palatina
Direttore: Leonardo Farinelli
Strada della Pilotta 3
43100 Parma (PR)
tel. 0521.220411 - 282217
fax 0521.235662
[email protected]
www.palatina.librari.beniculturali.it
Se da qualche decennio
l’attenzione primaria nella
politica gestionale della
Biblioteca
Palatina,
relativamente
alla
conservazione del suo vasto
Silvana Gorreri
ed eterogeneo patrimonio
bibliografico e artistico, è rivolta soprattutto alla prevenzione,
l’Istituto ha comunque portato avanti importanti progetti di
restauro per quel materiale danneggiato dalle vicissitudini
storiche e dalle ingiurie del tempo, per il quale l’unico rimedio
per un ritorno alla sua piena fruizione appariva il restauro.
Progetti di restauro
in una Biblioteca.
Un esempio:
la Biblioteca Palatina
di Parma
Progetto PACIAUDI: restauro di libri antichi a stampa rari
“Due secoli di sapienza e di pazienza…alle 13 del 13 maggio
1944 divenivano polvere sotto il martellare del violentissimo
bombardamento a tappeto. Dell’ala sud della Pilotta non
rimaneva che un immane cumulo di macerie sotto le quali
decine di migliaia di volumi preziosi si erano sfasciati nel
crollo, precipitando insieme alle arcate, alle altissime e adorne
pareti, alle antiche scaffalature” (“Giornale dell’Emilia”,
22.11.1948). Così si esprimeva un’anonima voce della
stampa, che continuava elogiando i volontari che ancora a
quattro anni di distanza prestavano aiuto nell’opera di
recupero del materiale bibliografico travolto; qui citata per dar
conto dell’eziologia dei danni riscontrabili nei volumi presi in
considerazione dal presente progetto di restauro, la cui
denominazione si giustifica con il fatto che i volumi coinvolti
furono in buona parte raccolti dal bibliotecario Paolo Maria
Paciaudi nella seconda metà del Settecento e da lui collocati
nella Galleria Petitot, andata distrutta sotto le bombe nemiche
e oggi ricostruita.
Esposti per lungo tempo alle intemperie, sotto cumuli di pietre
e calcinacci, i volumi nella quasi totalità presentano danni
meccanici nelle strutture delle legature e nei corpi del libro,
schiacciamenti, lacerazioni, perforazioni, strappi, rotture di
capitelli, cuciture, nervi; ancora conservano tra le pagine le
polveri corrosive del cemento e i granelli abrasivi della sabbia;
spesso il materiale appare ridotto ad ammassi poltacei,
rappresi e macerati dall’umidità e dallo sviluppo di vegetazioni
microbiche.
Allo stesso modo le coperte in cuoio o pergamena si sono
gravemente deformate; quelle rimaste, perché molte, intrise
d’acqua, sporche e mal ridotte sono state letteralmente
63
EMILIA ROMAGNA – BIBLIOTECA PALATINA DI PARMA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
strappate durante le operazioni di recupero e mal sostituite
con carpettoni in cartone acido ad alto contenuto di lignina.
Con un finanziamento derivato dai proventi del gioco del Lotto
si è riusciti a dar avvio alla loro bonifica, progettandone
internamente il restauro. Oltre settecento volumi sono
attualmente in fase di esecuzione da parte delle ditte esterne
vincitrici delle due gare indette mediante pubblico incanto: per
il Gruppo A un’ATI (Restauro San Giorgio di Pandimiglio
Adriano, Restauro Angelo Pandimiglio, Il Laboratorio s.r.l. e
Studio P. Crisostomi); per il Gruppo B la ditta COO.BE.C. Soc.
Coop. Tali lavori costituiscono solo l’inizio degli interventi
programmati per gli anni a venire, con cui restituire al
pubblico degli studiosi la parte degli antichi e rari libri a
stampa che la Biblioteca Palatina ancora conserva.
Progetto RE.DI.GIO: restauro e digitalizzazzione giornali
Il fondo delle Miscellanee giornali, prescelto per questo
importante intervento di restauro, consiste in un insieme di
331 testate uscite con pochi numeri o delle quali si conservano
alcune testimonianze, quasi tutte risalenti ad un arco temporale
compreso tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del
secolo scorso, e contraddistinto da testate per lo più edite a
Parma. La raccolta, per un totale di n. 13.603 carte rilegate in
290 volumi, è a sua volta suddivisa per formato in due ordini:
uno per i giornali di dimensioni più ridotte ed uno per quelli, e
rappresentano il maggior numero, più grandi.
La loro importanza storica è indubbia per ricostruire gli
avvenimenti di oltre un centinaio d’anni, ancora a noi vicini,
ma teatro di movimenti ed eventi tuttora da indagare,
comprendendo il periodo postunitario e le due guerre
mondiali; in questi fogli, spesso clandestini e riferiti ad una
realtà locale, si raccoglie, oltre la cronaca, l’opinione pubblica,
la critica, la satira a loro correlata, facendone preziosi beni
culturali da salvaguardare. Si decise quindi la bonifica
dell’intera collezione per recuperare alla fruizione un così
importante patrimonio di informazioni.
Messa insieme precedentemente, ma organizzata nei primi
anni Sessanta del secolo scorso, la raccolta in quegli anni era
stata oggetto di una vasta e pressoché totale campagna di
rilegatura.
Ogni testata, per la maggioranza costituita da una cinquantina di
carte, era stata separata dalle altre; solo in alcuni casi, se
costituita da poche pagine, era stata unita ad altre testate; i vari
numeri erano stati cuciti insieme a macchina o a infilzetta; a volte
64
fissati con graffe metalliche e ogni assemblaggio venne dotato di
un rivestimento in cartone.
Una rilegatura siffatta, se tutelò i giornali dalla polvere e dalla
dispersione, fu tuttavia causa di una serie di danni, per cui solo
pochi elementi della raccolta si presentavano in buone condizioni.
Il cartone ad alto contenuto di lignina, fortemente acido, senza
neppure la barriera di carte di guardia, aveva trasmesso la sua
acidità alle carte viciniori dei giornali, che si erano imbrunite ed
anche frammentate, aggravando spesso il quadro generale di
acidità presentato dalle carte. La cucitura a infilzetta e ancor più
quella a macchina, eseguite sulla carta fragile e sottile tipica dei
giornali, sono state causa di indebolimento ulteriore nei punti di
foratura, portando in alcuni casi alla lacerazione lungo l’asse di
cucitura e al conseguente distacco della carta, danni sollecitati
anche dal movimento determinato dalla consultazione da parte
dell’utente e a causa della frequenza di lettura; inoltre, numerosi
margini si presentavano frastagliati; alcuni strappi o
frammentazioni risultavano rattoppati con velina o con scotch.
Sopra: libri recuperati e
accatastati in attesa di
restauro
Libri sospesi nelle
scaffalature e sepolti dalle
macerie per le bombe
cadute nel 1944 sulla
Biblioteca Palatina di
Parma
65
EMILIA ROMAGNA – BIBLIOTECA PALATINA DI PARMA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
I lavori di restauro, resisi necessari per le ragioni addotte e che
comportarono preliminarmente un’identificazione e rapida
schedatura delle varie testate della raccolta, furono progettati
dall’Ufficio tutela e conservazione della Palatina ed eseguiti con
collaudo positivo dalla ditta esterna Restauro San Giorgio di
Pandimiglio Adriano.
Poiché si intendeva conservare questo materiale storicamente così
importante e raro preservandolo dai danni meccanici che
solitamente derivano da una frequente consultazione, si ritenne
opportuno far procedere, parallelamente alle operazioni di restauro,
un intervento di digitalizzazione con l’elaborazione informatica dei
dati, per fornire un ancor più utile servizio agli utenti.
Progetto DI.SCA.RE: restauro disegni
Ritrovati in un dimenticato scantinato della Biblioteca, coperti
di polvere e ragnatele, con i margini lacerati da strappi, ma
solo in parte lacunosi, tornavano alla luce alcuni cartoni
preparatori per dipinti e affreschi del pittore parmense
Francesco Scaramuzza (1803-1886); tra questi due relativi alle
scene dipinte ad encausto (metodo a cera) che ornano due
pareti della Sala del bibliotecario, oggi Sala Dante della
Biblioteca Palatina: Dante e Virgilio al Limbo incontrano
Omero, Orazio, Ovidio e Lucano: l’incontro con i sommi poeti
(1842) e Aristotele seduto in mezzo agli antichi filosofi (1843);
e uno preparatorio dell’olio su tela della Collegiata di
Cortemaggiore (PC), Assunta, realizzato tra il 1846 e il 1850.
Le loro dimensioni erano notevoli: di oltre cinque metri per
circa tre i primi due e di misure di poco inferiori il terzo.
I disegni, tracciati a carboncino, sanguigna e tempera brunonerastra su carta giuntata, sul verso abbondavano in terra
d’ocra e mostravano ancora ben visibili a luce radente i segni
della punta utilizzata per il ricalco sul muro; il cartone veniva
infatti appeso alla parete mediante corde attaccate ad un
bastone cilindrico, a sua volta diviso in due sezioni emicicliche
a contenere il suo margine superiore, utile supporto intorno al
quale, come attorno ad un umbilicus, avvolgere, svolgere e
conservare il disegno.
I lavori di restauro progettati, la cui esecuzione è stata affidata
al laboratorio Sant’Agostino di Paolo e Marco Sassetti, esperti
nel restauro di materiale di grande formato, attualmente in
fase di ultimazione, saranno oggetto di una congiunta
prossima pubblicazione per l’originalità del caso trattato e per
le interessanti procedure adottate.
66
LAZIO – BIBLIOTECA ANGELICA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
A conclusione degli importanti
Progetto SAL.VA.RE. lavori di ampliamento e
ristrutturazione,
intrapresi
nell’anno 2000, grazie ai quali la
Biblioteca Angelica ha guadagnato nuovi spazi da dedicare a depositi,
uffici e servizi al pubblico, è emersa la necessità di una riqualificazione
della zona monumentale, mirata ad ottimizzare sia la conservazione
che la fruibilità restituendo, nei limiti del possibile, all’immagine del
Salone Vanvitelliano la patina originaria.
Nell’ambito di questo piano di riqualificazione si inserisce il progetto
SAL.VA.RE. (SALone, VAnvitelliano, REstauro): con l’inclusione della
Biblioteca Angelica fra gli istituti beneficiari dei finanziamenti dell’ 8 per
mille (ex lege nr. 222/85 art. 47 secondo la variazione di bilancio per
a.f. 2002) si sono infatti create le condizioni per promuovere uno
studio di fattibilità assolutamente nuovo che postula il contributo di
bibliotecari conservatori e di restauratori specializzati.
Alle diverse fasi di impostazione del progetto hanno partecipato le
bibliotecarie conservatrici, Daniela Scialanga e Mirella Fidomanzo.
Com’è noto, una delle peculiarità che rendono ammirevole il “vaso”
disegnato da Luigi Vanvitelli per accogliere il fondo antico a stampa
della Biblioteca è l’essersi conservato intatto dal 1746 a oggi: il valore
di ogni singolo libro è esaltato dal contesto che a sua volta trae valore
dalle legature che, affiancandosi l’una all’altra, vanno a conferire un
cromatismo del tutto peculiare al Salone: l’originario colore
crisoelefantino, attualmente inficiato dallo stato in cui versa parte dei
volumi. L’intento sotteso al progetto è quello di restituire l’effetto
d’insieme prodotto dall’armonioso accostamento dei dorsi ornati:
l’innovazione consiste nel trattare i volumi non singolarmente ma
inseriti nel contesto. A tal fine le sezioni della scaffalatura lignea
vengono fotografate in digitale per poi essere elaborate in schemi
grafici all’interno dei quali vengono completate da una serie di colori
rappresentanti le tipologie di danno riscontrate. Lo scopo è quello di
creare una mappatura cromatica che consente di visualizzare l’insieme
dei danni e poter così procedere ad un’organica programmazione
degli interventi da eseguire: il restauratore intervenendo sull’intera
sezione e non sul singolo pezzo sarà costantemente indotto a
ricondurre il particolare alla visione d’insieme.
Iter di lavoro
Le categorie
La prima fase esecutiva del progetto ha previsto l’elaborazione di una
serie di categorie (associate a un numero progressivo) relative allo
stato di conservazione dei volumi, operando una prima dicotomia tra
quelli interessati da interventi moderni di restauro (a partire dal XIX
67
LAZIO – BIBLIOTECA ANGELICA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
secolo) ed i restanti. In entrambi i casi si sono distinti tre stadi di
conservazione del volume (buone condizioni; danni lievi; danni gravi).
Schemi grafici
Sono poi stati realizzati degli schemi grafici, elaborati a partire dalle
fotografie digitali in cui ogni volume viene identificato con un colore
che corrisponde alla categoria alla quale il suo stato di conservazione
appartiene.
Il database
La fase successiva del lavoro è stata imperniata su un
approfondimento dell’analisi delle opere sottoposte a censimento
attraverso una scheda cartacea in base alla quale si è elaborato, in
collaborazione con Giancarlo Lucidi (GAP srl), un database articolato
in più livelli. La prima schermata rappresenta la scheda di rilevamento
dati: ha il fine di identificare l’opera attraverso descrizioni sintetiche
veicolate dall’architettura stessa del database che propone al
compilatore menù a tendina, integrabili con eventuali
approfondimenti. La scelta di descrizioni sintetiche è stata dettata
dall’esigenza di ricondurre ad omogeneità le variabili derivanti dalla
presenza di più operatori preposti alla compilazione delle schede. La
seconda schermata che il database propone è la scheda dello stato di
conservazione. È suddivisa in più campi, ognuno dei quali identifica
una parte del volume da descrivere. La modalità di descrizione risulta
meno sintetica rispetto alla prima schermata; per ovviare, tuttavia
anche in questo caso, al manifestarsi di margini di discrezionalità
troppo ampi è stato previsto un periodo di formazione per i
compilatori, durante il quale si è ottemperato alla necessità di
uniformazione del linguaggio tecnico. La schermata successiva è la
scheda delle operazioni di restauro. La novità introdotta da questa
scheda consiste nell’elaborazione automatica delle ore necessarie per
l’esecuzione dell’intervento: selezionando infatti la tipologia di restauro
e passando alla schermata successiva, incentrata sui tempi di
esecuzione degli interventi di restauro, è possibile, azionando il filtro
delle voci, ottenere una scheda in cui a tutti gli interventi (all’interno
della tipologia prescelta) è affiancato un range di tempi da selezionare.
Sarà il compilatore, in base allo stato di conservazione del libro, a
stabilire il tempo più opportuno tra quelli possibili contenuti nei menù
a tendina; per determinate tipologie di intervento, difficilmente
predeterminabili a priori in modo univoco, sarà il compilatore ad
inserire il tempo idoneo. Anche in questa fase, dunque, si è tentato di
arginare l’eccessiva discrezionalità. La scheda di formulazione dei
tempi è stata desunta da una tabella cartacea, elaborata in via
sperimentale, per ottemperare alle esigenze dettate dal progetto che
68
impone una visione del restauro fedele all’assunto di base secondo il
quale ogni libro deve essere rapportato alla sezione di appartenenza e
alla visione estetico-cromatica dell’intero salone. La scheda delle
variazioni in corso d’opera occupa l’ultima schermata del database.
Il restauro
Volendo individuare a grandi linee le diverse tipologie di danno
riscontrate durante il censimento, ci si può rifare alla dicotomia già
presentata nell’attribuzione dei colori: volumi restaurati / volumi non
restaurati. I volumi non restaurati presentano diverse tipologie di
danno causate dall’ambiente, da difetti endemici alle strutture dei
manufatti e dai materiali costituenti.
I volumi restaurati presentano in alcuni casi strutture non efficaci dal
punto di vista funzionale (problematica a volte aggravata da una
mancata considerazione dell’aspetto storico del manufatto da parte di
chi eseguì il restauro). Pur con le attenuanti derivanti dal tempo
trascorso dal momento in cui furono operati gli interventi (che ha
come ovvio portato il mutamento della teoria del restauro), è
inevitabile considerare determinati difetti estetico-strutturali a cui è
necessario porre rimedio. Il restauro di alcuni volumi delle due prime
sezioni (quelle che affiancano la porta d’ingresso) è stato affidato a
due laboratori di restauro di Roma: lo studio di Paolo Crisostomi e lo
studio di Leandro Gottscher. Le immagini illustrano un intervento di
restauro eseguito dallo studio Paolo Crisostomi in ottemperanza al
fine del progetto SAL.VA.RE: restituire ai volumi la valenza estetica
originaria.
Stato dei lavori
Allo stato attuale è stata realizzata la mappatura cromatica e le schede
relative allo stato di conservazione di alcune sezioni comprese ai lati
dell’ingresso del Salone Vanvitelliano. Si è proceduto
simmetricamente, operando a partire dall’ingresso e procedendo
verso i lati del Salone Monumentale. Non sono stati presi in
considerazione, coerentemente allo spirito del progetto, i volumi
disposti in seconda fila o trasferiti presso altri fondi. In contemporanea
al censimento conservativo, è stata realizzata la documentazione
fotografica delle sezioni, quindi dei singoli palchetti; da essa è stato
desunto, come già detto, un grafico computerizzato in bianco e nero
rappresentante il profilo individuale dei volumi. Sulla base del grafico
è stata redatta la mappatura colorimetrica, applicata direttamente allo
schema delle singole sezioni, di importante impatto visivo. Di due
sezioni si è provveduto a redigere i progetti di restauro, con l’intento,
a lungo termine, di proseguire l’opera di valorizzazione e recupero
conservativo del maggior numero possibile di volumi dell’intero
69
Percentuali
A seguito dei dati emersi dalla
questa prima fase di
censimento sono state
elaborate delle percentuali per
avere un primo spaccato dello
stato in cui versano i volumi.
· volumi censiti: 2235
· volumi restaurati: 14,09%
· volumi non restaurati: 85,91%
· non restaurato in buone
condizioni: 14,77%
· non restaurato con danni lievi:
59,33%
· non restaurato in cattive
condizioni: 11,81%
· restaurato correttamente:
1,30%
· restaurato con danni lievi:
2,33%
· restaurato con particolari non
intonati: 1,25%
· restaurato non correttamente:
5,14%
· nuova legatura intonata:
2,11%
· nuova legatura non intonata:
1,96%
LAZIO – BIBLIOTECA ANGELICA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
Dott.ssa Marina Panetta
(Direttore della Biblioteca
Angelica)
Dott.ssa Maria Grazia Ceccarelli,
Dott.ssa Micella Fidomanzo,
Dott.ssa Claudia Giobbio,
Dott.ssa Daniela Scialonga
(Biblioteca Angelica)
Paolo Piccolini
(Biblioteca Angelica)
Dott.ssa Maria Clara Lilli Di Franco
(Fondazione per la Conservazione
ed il Restauro dei beni librari,
Spoleto)
Dott.ssa Armida Batori
(Direttore dell’ Istituto Centrale per
la Patologia del Libro)
Dott.ssa Carla Casetti Brach
(Istituto Centrale per la Patologia
del Libro)
Giampiero Bozzacchi
(Responsabile del Laboratorio di
restauro del libro, Università di Tor
Vergata, Roma)
Humberto Nicoletti Serra
(Fotografie)
Studio Serra
(Elaborazione grafica e digitale)
Dott.ssa Rosalinda Barbato,
Davide Lipari,
Dott.ssa Silvia Mignatti, Dott.ssa
Marianna Montesano
(Collaboratori esterni)
fondo. Fino ad oggi sono stati consegnati al restauro alcuni volumi
appartenenti alle due sezioni adiacenti l’ingresso del Salone, ovvero
quelli maggiormente interessati, nell’ultimo secolo, da interventi
invasivi, talora non coerenti con l’estetica generale del fondo.
Conclusioni
Il progetto SAL.VA.RE. nato, come già più volte sottolineato, quale
progetto sperimentale volto alla realizzazione di una mappatura
colorimetrica relativa allo stato di conservazione dei volumi contenuti
nel Salone Vanvitelliano della Biblioteca Angelica, ha rivelato, fin dal
suo esordio, difficoltà intrinseche, derivanti dal suo essere innovativo
e allo stato attuale ancora in fieri.
Una prima difficoltà è stata il ricondurre ad unità differenti visioni di
problematiche ed aspetti relativi allo stato di conservazione. In
concomitanza con tale aspetto si è dovuto affrontare il problema di
categorizzare in maniera univoca i suddetti stati: per ogni volume lo
stato di conservazione deriva infatti da una vasta serie di elementi che,
intersecandosi, delineano il profilo dello stato in cui versano i libri; non
è stato agevole racchiudere tale serie di elementi in un simbolo
univoco, rappresentato, in ultima analisi, dal colore.
Per ovviare a semplicistiche conclusioni, si è proceduto a delineare
una scheda conservativa che andasse a enucleare tutti quegli aspetti
difficilmente racchiudibili e spiegabili con dei parametri così poco
espandibili quali le categorie. L’analisi è stata condotta su ogni singolo
volume, individualmente considerato, tenendo parallelamente in
considerazione il contesto generale di cui fa parte. Nell’affrontare le
problematiche relative al restauro sono state postulate tipologie di
intervento tese a valorizzare l’estetica del manufatto librario in virtù del
suo inserimento nel Salone Vanvitelliano e quindi della sua
appartenenza ad un fondo storico, ottemperando inoltre
costantemente alle esigenze di salvaguardia conservativa dei beni.
La tipologia di interventi prescritta è reversibile e conservativa dal
punto di vista dei materiali e delle tecniche di restauro. La particolare
attenzione alla reversibilità delle operazioni è stata motivata, oltre che
dall’etica del corretto restauro, dall’essere gli interventi di tipo estetico
pienamente sperimentali e passibili di modifiche in corso d’opera.
L’intersecarsi di tutte queste variabili ha reso il progetto complesso
ma nel contempo stimolante e foriero di possibili aperture a future
applicazioni.
70
LAZIO – BIBLIOTECA UNIVERSITARIA ALESSANDRINA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
Biblioteca Universitaria
Alessandrina
Direttore:
Maria Concetta Petrollo
Piazzale Aldo Moro, 5
00185 Roma (RM)
tel. 06.491209 - 4474021
fax 06.44740222
alessandrina@librari.
beniculturali.it
www.alessandrina.librari.
beniculturali.it
La Biblioteca Universitaria
Alessandrina conserva tra i
cimeli pervenuti dalla Biblioteca
dei duchi di Urbino lo splendido
Mirtella Taloni
volume dei Discorsi di Pietro
Andrea Mattioli, nell’edizione del 1568 per i tipi del veneziano
Vincenzo Valgrisi.
Tutte le incisioni di questo esemplare, donato al Duca Della
Rovere, furono dipinte dal pittore e botanico Gherardo Cibo,
con colori che ancora oggi conservano le loro tonalità
originali. La particolarità del volume è poi costituita dalle
splendide scenografie paesaggistiche che fanno da cornice
alle incisioni dedicate nel secondo libro dell’opera al mondo
animale. Le scenette, eseguite dal Cibo a penna e riempite di
colore, ritraggono splendide miniature, paesaggi marini per lo
più, ma anche idilliache vedute campestri, in alcune delle quali
i pochi elementi architettonici sembrano suggerire
l’identificazione topografica.
Il volume, conservato nella sezione Rari della biblioteca,
presentava già dal 1998 alcuni danni dovuti all’azione corrosiva
degli inchiostri che riquadravano le scenette. Il rischio di
perdere questi piccoli quadri era alto e la preziosità del volume
richiedeva l’intervento di esperti nel settore. Fu richiesta la
collaborazione dell’Istituto Centrale per la Patologia del Libro di
Roma, presso il quale il volume fu trasportato nel 1999.
Furono quindi stabilite le operazioni da effettuare: il volume fu
totalmente scucito e liberato da una cartella non originale,
probabilmente eseguita già nell’800, in seguito ad un restauro
che portò anche alla rubricazione del taglio. Venne rimosso lo
strato di colla che si trovava sul dorso, le carte furono
sottoposte ad una attenta spolveratura, alla deacidificazione
delle parti ossidate, al risarcimento degli strappi, i fascicoli
furono quindi ricomposti e furono eseguite una nuova
cucitura ed una coperta di piena pelle verde, con titolo e
collocazione incisi in oro. Il volume fu quindi posto in un
contenitore in tela verde, foderato con carta dipinta a mano.
Contemporaneamente nacque nella biblioteca la decisione di
garantirsi una copia fotografica di tutto il volume. Fu quindi
approntato un progetto per ottenerne la riproduzione
fotografica tradizionale, con l’acquisizione di diapositive a
colori, e la riproduzione digitale, attraverso l’acquisizione di
immagini tiff, riversate su CD.
L’attivazione del sito web della biblioteca ed il convegno
dedicato alla presentazione del primo catalogo delle edizioni
I Discorsi
del Mattioli ed il sito
del libro
71
del ‘500 della biblioteca, in occasione della Prima settimana
per la cultura, costituirono l’avvio di un’attenta riflessione che
la nascente redazione digitale dell’Alessandrina venne
sviluppando intorno all’enorme opportunità offerta dalla rete.
...non può, la semplice replica fotografica o digitale, sostituire
il fascino della consultazione manuale di un esemplare; né si
possono nascondere nei depositi tutti i nostri tesori, pena il
pericolo, davvero reale, di un oblio nella conoscenza. C’è
invece bisogno di creare attorno all’esemplare un movimento
di interesse, che consenta di mantenerne viva la materialità...
Queste furono le considerazioni che portarono alla nascita, nel
2001, del “sito del libro”, http://www.alessandrina.librari.
beniculturali.it/sdl/index.html, concepito come “luogo di
conoscenza” e “luogo di scambio”.
“Luogo di conoscenza” perché permette di sfogliare tutta
l’edizione conservata nell’Alessandrina, di assistere ai
convegni svolti intorno al libro, sia a Roma che a Siena, di
seguire le fasi del restauro, di confrontare il volume con altri
esemplari conservati in altre biblioteche.
“Luogo di scambio”, perché la sua struttura è basata su un
database che consente all’eventuale studioso, partner della
biblioteca, attraverso l’uso di una password e dalla sua
postazione remota, di completare le schede tecnico descrittive
relative alle piante, così come consente al web master di
riversare in tempo reale i contributi raccolti ed inviati alla
redazione digitale sul volume, sulla sua storia, sull’autore, sulla
biologia, sulla storia tipografica, sulla storia dell’arte, su tutto ciò
di cui l’esemplare conservato nella biblioteca è testimonianza.
72
PIEMONTE – BIBLIOTECA NAZIONALE UNIVERSITARIA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
Nella notte fra il 25 e il 26
gennaio 1904, un furioso
incendio devastò la Biblioteca
Nazionale Universitaria di Torino
che allora aveva sede nel palazzo
del Rettorato dell’Università di
Aurelio Aghemo
via Po. L’incendio arrecò danni
gravissimi ai fondi manoscritti. Il fuoco, sviluppatosi per cause
imprecisate nonostante le varie congetture, si estese con
rapidità grazie anche alle strutture lignee della Biblioteca. I
pompieri, accorsi su segnalazione di un passante, che aveva
notato il bagliore delle fiamme, trovarono l’unica porta
d’accesso già bloccata dal fuoco. Quando nelle prime ore del
mattino si raggiunse la Sala manoscritti, questa era stata ormai
invasa dal fuoco e sugli scaffali e sulle vetrine, dove erano
conservati i manoscritti in esposizione permanente, erano
precipitati il tetto e il pavimento delle soffitte in fiamme. Le
sezioni più danneggiate risultarono quelle dei codici orientali,
dei francesi e degli italiani, mentre i danni per i manoscritti
greci e latini furono in proporzione meno gravi. Alcuni dei
cimeli più preziosi, come i palinsesti di Cicerone e del Codice
Teodosiano o il Libro d’ore del Duca di Berry, andarono
completamente distrutti. Nei manoscritti cartacei l’azione
devastatrice del fuoco fu arrestata dall’acqua; in quelli che
rimasero a lungo bagnati, però, proliferarono le muffe, che
provocarono un ulteriore degrado del supporto cartaceo
stesso. Nei codici membranacei le modificazioni strutturali
delle pergamene, provocate dal calore, si aggravarono a causa
dei getti di acqua fredda; per drastiche riduzioni delle
dimensioni e agglutinamenti delle pergamene fra di loro alcuni
codici si trasformarono in blocchi compatti. Immediatamente
dopo l’evento iniziarono le operazioni di recupero dei
manoscritti, che vennero sistemati alla rinfusa nelle sale
superstiti della Biblioteca, in alcune aule dell’Università, nei
locali dell’ex fabbrica Tabacchi in Via Po e, successivamente, in
locali dell’Accademia Albertina. Il fatto suscitò enorme
emozione e da tutto il mondo giunsero attestazioni concrete di
Biblioteca Nazionale
Universitaria
solidarietà con l’invio di materiale bibliografico per rimpiazzare
Direttore: Aurelio Aghemo
almeno in parte quello distrutto o danneggiato. Le operazioni di
Piazza Carlo Alberto, 3
recupero iniziarono immediatamente grazie al lavoro di
10123 Torino
un’apposita commissione – composta dal rettore
tel. 011.8101111- 8101102 dell’Università, Giampietro Chironi, da Carlo Cipolla, Rodolfo
8178778
fax 011.812021
Renier, Ettore Stampini, Gaetano de Sanctis, Ermanno Ferrero,
[email protected]
Italo Pizzi, Icilio Guareschi, Michele Fileti, Piero Giacosa,
www.bnto.librari.beniculturali.it
Il restauro dei codici
danneggiati della
Biblioteca Nazionale
Universitaria
di Torino
73
PIEMONTE – BIBLIOTECA NAZIONALE UNIVERSITARIA
Dipartimento per i Beni Archivistici
e Librari- Biblioteche
Francesco Carta e Carlo Frati, affiancati da Alessandro Baudi di
Vesme e da Vincenzo Armando – incaricata dal Ministero della
Pubblica Istruzione di attivare misure per il restauro del
materiale danneggiato. In particolare al Guareschi venne
affidato l’incarico di studiare presso l’Istituto di chimica
farmaceutica il modo di distaccare e distendere le pergamene
che costituivano i blocchi compatti. Un secolo dopo, la
Biblioteca Nazionale Universitaria, ora appartenente al
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, situata nell’attuale
sede di piazza Carlo Alberto 3, ha condotto un complesso
progetto, finanziato dall’Amministrazione, di recupero
definitivo di tutto il materiale manoscritto danneggiato
nell’incendio. Nell’ambito del progetto la Biblioteca si è posta
come obiettivi sia il recupero e il restauro dei fogli sia cartacei
sia membranacei ancora non restaurati sia l’identificazione del
materiale in parte ancora non identificato, oltre alla
catalogazione dell’intero fondo. La progettazione è stata
eseguita dalla dott.ssa Maria Letizia Sebastiani, già
responsabile dell’Ufficio manoscritti e rari della Biblioteca e ora
direttrice della Biblioteca Universitaria di Pavia; il dott. Angelo
Giaccaria, responsabile dell’Ufficio tutela conservazione e
restauro, è stato il responsabilità del procedimento.Per
l’attuazione del progetto (che ha concluso le attività di ricerca
nel corso del 2004, centenario dell’incendio mentre sono in
parte conclusi e in parte in corso i restauri), il personale della
Biblioteca è stato coadiuvato, grazie a un’apposita
convenzione, da un’equipe dell’Università degli Studi di Torino
(coordinata da Bruno Chiesa per i manoscritti orientali e da
Alessandro Vitale Brovarone per i manoscritti in alfabeto latino)
e dell’Università degli Studi di Venezia (coordinata da Paolo
Eleuteri per i manoscritti in alfabeto greco) che si è occupata
dell’identificazione e della catalogazione del materiale
74
bibliografico. Un altro gruppo di studio e di ricerca del
Dipartimento di Ingegneria Nucleare del Politecnico di Milano,
con cui è stata stipulata un’altra convenzione, e dell’Istituto
centrale per la patologia del libro di Roma ha assistito la
Biblioteca nelle attività di analisi del materiale danneggiato e
nell’individuazione di tecniche di intervento per il restauro dei
supporti pergamenacei la cui struttura fisica è stata modificata
dai traumi subiti.Il gruppo di lavoro della Biblioteca, da una
parte, si è occupato della sperimentazione delle metodologie e
delle tecniche di restauro da applicare sia al materiale cartaceo
sia al materiale membranaceo e dei problemi legati alla
conservazione di tale materiale dopo gli interventi di restauro,
dall’altra, ha affiancato il lavoro di riordino, identificazione e
catalogazione dei manoscritti e ha promosso ricerche in merito
nell’ambito degli archivi e dei fondi bibliografici della Biblioteca
ed esterni. Le attività svolte hanno permesso di individuare
tecniche innovative di restauro per la carta e per la pergamena
e stanno riportando alla luce documenti che la comunità degli
studiosi riteneva perduti per sempre. In particolare, per la
pergamena, è stato individuato un protocollo di restauro con
l’utilizzazione di una speciale “camera a guanti” in cui è
utilizzata una particolare atmosfera in ambiente confinato (fase
vapore) che permette il recupero del materiale danneggiato. È
stata altresì individuata una procedura che consente di evitare
danni a inchiostri e colori durante il trattamento a umido.
Inoltre con avanzate tecniche di analisi multispettrale ritornano
anche alla luce testi manoscritti palinsesti finora indecifrabili.
particolari di manoscritti
prima e dopo le operazioni
di restauro
75
DBCP Dipartimento per i B
Soprintendenza per i beni archeologici della Basilicata
· Museo Archeologico Nazionale di Policoro
78
Salvatore Bianco
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio per le province di Venezia, Belluno,
Padova e Treviso
· Il progetto pilota del restauro della facciata affrescata
di San Floriano: principi e metodi operativi
Soprintendenza per i beni archeologici
per le province di Napoli e Caserta
· Completamento dell’esposizione della Collezione Egizia
82
del MANN e revisione critica dell’allestimento e dell’apparato
didascalico comunicativo
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio per le province di Verona,
Rovigo e Vicenza
Soprintendenza per i beni archeologici di Roma
· I Quaderni della Soprintendenza
per i Beni Architettonici
e per il Paesaggio di Verona, Vicenza e Rovigo
· Scheda tecnica per il piano dell’arena dell’anfiteatro Flavio 85
Piero Meogrossi
· Roma-Foro Romano: l’oratorio dei XL martiri
124
Gianna Gaudini
88
Claudio Del Monti
· Il Patrimonio della Prima Guerra Mondiale
126
Rosa Distefano
Soprintendenza per i beni archeologici della Liguria
· Studio preliminare al progetto di restauro e conservazione
92
delle strutture del laconicum del complesso termale
della villa romana di Albisola Superiore (Sv): ricostruzione
tridimensionale dell’edificio e dello schema di funzionamento
Francesca Bulgarelli, Danilo Abate
· Restauro e conservazione degli stucchi preromanici
da San Fruttuoso di Capodimonte (GE)
121
95
· Esempi di tutela dei luoghi della Grande Guerra:
Il restauro di Forte Interrotto e il vincolo paesaggistico
da Laghi a Posina
128
Felice G. Romano
· Il Restauro di Villa Caldogno
131
Rosa Distefano
· Villa Del Bene a Volargne (Dolcè –VR)
Il progetto di restauro degli affreschi
136
Maria Grazia Martelletto e Arturo Sandrini
Alessandra Frondoni
Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico
ed etnoantropologico dell’Abruzzo
Soprintendenza per i beni archeologici
della Lombardia
· Restauro di statua virile in nudo eroico da Cividate Camuno (BS)
98
Filli Rossi
· Dipinto su tavola raffigurante
La Madonna col Bambino – Moscufo (PE) –
Chiesa di S. Maria del Lago
139
Sergio Caranfa
Soprintendenza per i beni archeologici
del Piemonte e del Museo antichità egizie
· Un intervento di restauro nel Museo di Antichità di Torino
100
Applicazioni della termografia all’infrarosso per la conoscenza
delle ceramiche antiche
Luisa Brecciaroli Taborelli
· Scultura in terracotta raffigurante La Madonna
col Bambino – Citta’ S. Angelo (Pe) –
Collegiata di S. Michele Arcangelo
141
Sergio Caranfa
· Il restauro delle Selle dei Marchesi
D’Avalos del Vasto
143
Giovanna Di Matteo e Maria Giuseppa Di Persia
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio della Basilicata
· Matera: ex Ospedale di S. Rocco
102
· Palazzo di Montecitorio Il fregio
di Giulio Aristide Sartorio per l’Aula parlamentare
della Camera dei Deputati
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio della Calabria
· Cittadella vescovile – Gerace (RC)
107
Michele Lanzillotti e Adele Bonofiglio
· Il Castello Svevo-aragonese – Rocca Imperiale (CS)
109
Michele Lanzillotti e Adele Bonofiglio
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio per le provincie di Bologna,
Modena e Reggio Emilia
151
156
Gea Storace e Stefano Provinciali
Leonardo Marinelli e Elisabetta Pepe
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio per le province di Milano, Bergamo,
Como, Pavia, Sondrio, Lecco, Lodi e Varese
Marina Rosa e Bruno Lattuada
147
Claudia Tempesta
· Roma, chiesa di Santa Caterina dei Funari.
Restauro del Presbiterio o Cappella Cesi (secc. XVI – XVIII)
· Restauro conservativo degli affreschi
della Cappella dei SS. Cosma e Damiano - Chiesa
di S. Pietro, Anticoli Corrado (RM )
· Diagnostica applicata alla conservazione dell’opera d’arte
· Interventi di consolidamento e programmi
112
di valorizzazione del castello di Canossa.
Un esempio di fruttuosa collaborazione tra Stato ed Enti locali
· Il cantiere della Villa Reale di Monza Interventi
su strutture ed apparati decorativi lignei
Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico
ed etnoantropologico del Lazio
116
160
Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico
ed etnoantropologico della Liguria
· Il restauro dei beni storico artistici in Liguria
negli anni 2003 – 2005: una scelta degli
interventi più interessanti
161
i Beni Culturali e Paesaggistici
Soprintendenza per il patrimonio storico artistico
ed etnoantropologico per le province di Verona,
Rovigo e Vicenza
· Gli affreschi del XIII e XIV secolo nella cripta di San Zeno 166
a Verona: la sperimentazione della nanocalce dispersa
in alcol iso-propilico durante l’intervento conservativo
Fabrizio Pietropoli e Chiara Scardellato
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico
ed etnoantropologico per la provincia di Napoli
· Napoli, il Parco e il Colombario virgiliano
Architettura e restauro
· Napoli, il Complesso di San Gregorio Armeno. I restauri
168
169
Soprintendenza per i beni architettonici
e per il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico
ed etnoantropologico per le province di Cagliari
e Oristano
· Il restauro della Basilica Mauriziana di S.Croce a Cagliari
170
Gabriele Tola e Lucia Siddi
Soprintendenza per i beni ambientali architettonici,
per il paesaggio, per il patrimonio storico, artistico
ed etnoantropologico dell’Umbria
· Galleria Nazionale dell’Umbria - Palazzo dei Priori - Perugia
· Progetto di consolidamento e restauro della vetrata
monumentale di Bartolomeo di Pietro Graziani
e Mariotto di Nardo di Cione, Sec.XV, anno 1411,
nella Chiesa di San Domenico di Perugia
172
174
Francesca Abbozzo
Soprintendenza per i beni architettonici
per il paesaggio e per il patrimonio storico artistico
ed etnoantropologico di Venezia e Laguna
· I nuovi sistemi di riscaldamento ad irraggiamento
e il patrimonio storico artistico ed architettonico.
L’esperienza di Gambarare di Mira
· Il restauro del Palazzo Soranzo Cappello,
Venezia – S.Croce
Tiziana Foraro
177
181
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELLA BASILICATA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Nell’ambito
dei
progetti
realizzati dal MiBAC nel periodo
2001-2004 la Soprintendenza
Salvatore Bianco
per i Beni Archeologici della
Basilicata ha quasi ultimato un importante intervento di
restauro di beni mobili conservati presso il Museo Nazionale
della Siritide di Policoro.
L’intervento di restauro, realizzato con risorse finanziarie
rinvenienti dall’otto per mille dell’Irpef dell’a. f. 2003, per un
importo di E 258.228,45, è mirato al restauro conservativo di
una serie di ricchissimi corredi funerari italici del X-VI secolo
a. C. provenienti dalle grandi necropoli enotrie delle vallate
dell’Agri e del Sinni.
Le necropoli enotrie delle due vallate presentano il rituale
funerario dell’inumazione supina entro fosse semplici, talora
delimitate da ciottoli. Ad Alianello un settore monumentale
della necropoli presenta sepolture deposte all’interno di recinti
quadrangolari delimitati da lastre verticali infisse nel terreno.
Tra le diverse centinaia di sepolture recuperate da Chiaromonte,
Latronico, Alianello, Guardia Perticara ecc. sono delle sepolture
appartenenti a personaggi di altissimo livello sociale, in genere
femminili, il cui recupero è stato possibile solo grazie
all’elaborazione di appropriate modalità e tecniche di scavo.
Tali sepolture sono state recuperate con la tecnica
dell’asportazione del pane di terra inglobante tutta o parte
della deposizione funebre. La tecnica, definita “strappo” del
pane di terra, è stata messa a punto e perfezionata dal
Personale del Museo Nazionale della Siritide di Policoro a
partire dagli inizi degli anni ottanta, nel corso dell’intervento di
scavo sistematico effettuato all’indomani del sisma del 1980
nella necropoli enotria di Alianello nell’ambito delle operazioni
di installazione dei containers destinati ad ospitare i
senzatetto.
Con la tecnica dello “strappo” il piano di deposizione funebre,
comprensivo degli oggetti di accompagno, viene isolato con
un abbassamento della quota del terreno circostante di circa
15-20 cm. Il pane di terra così delineato viene svuotato lungo
il perimetro per una profondità di circa 10 cm. Un’armatura
Soprintendenza per i Beni
lignea perimetrale rinforzata all’interno da filo metallico
Archeologici della Basilicata
Soprintendente:
accoglie successivamente una colata di gesso a presa rapida,
Marcello Tagliente
che consente dopo l’indurimento della stessa di sollevare il
pane di terra come un unico blocco trasportabile.
Via San Remo, 152
85100 Potenza
L’elaborazione di tale tecnica si è resa indispensabile nel corso
tel. 0971.323111
dello scavo delle necropoli enotrie di fronte alla impossibilità
fax 0971.653282
Museo Archeologico
Nazionale di Policoro
78
di recuperare con le tecniche tradizionali di scavo le sepolture
femminili distinte da ricchissimi complessi di ornamenti
personali e da apparati decorativi dei vestiti cerimoniali
funebri, talora in ottimale stato di conservazione. Questi
possono essere costituiti da vasti insiemi di oggetti, a loro
volta realizzati con diverse centinaia di elementi in bronzo,
ambra, pasta vitrea, osso o avorio, talora con presenza di
oggetti preziosi di alto livello artistico di importazione in
ambra o argento.
La tecnica tradizionale di scavo non avrebbe potuto consentire
il recupero corretto e tantomeno la successiva lettura e
ricostruzione integrale degli apparati ornamentali formati da
tantissimi elementi e ormai privi dei supporti connettivi in
materiale organico.
La ricostruzione di tali apparati diviene invece possibile
attraverso operazioni di microscavo sui pani di terra in
laboratorio, precedute dalla realizzazione di appropriate
indagini diagnostiche e di lettura preliminari (fotografia e
rilievo in scala 1:1; eventuali radiografie, fotografie in
fluorescenza ultravioletta e in infrarosso, colore o in
bianco-nero ecc.), indispensabili per evidenziare
79
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELLA BASILICATA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
particolari classi di materiali come l’ambra inglobata negli
stessi pani.
Attraverso le operazioni di microscavo in laboratorio è
possibile individuare e ricostruire i singoli oggetti
d’ornamento personale o dei vestiti con una puntuale
ricostruzione degli elementi costitutivi fino alla ricostruzione
degli interi complessi.
Spiccano così le parures di ornamenti costituite dalle
acconciature in bronzo della testa (copricapo o diademi a
tubuli spiraliformi, cuffie formate da cuppelle bronzeee,
diademi in pasta vitrea), da orecchini in bronzo e ambra,
collane a più giri in ambra con vaghi di varia forma e
dimensioni, fibule di bronzo e ferro di vario tipo, armille o
cavigliere bronzee, pendenti in ambra o avorio di diversa
tipologia, stole e cinture costituite da elementi intessuti in
ambra, cinture in maglia di bronzo o realizzate con file di
cuppelle bronzee alternate a file di vaghi di ambra o pasta
vitrea. Di particolare rilievo sono le decorazioni in bronzo e
pasta vitrea applicate sui vestiti a formare quasi dei
“grembiuli” applicati sugli stessi. I complessi ornamentali così
recuperati costituiscono un unicum nel panorama
archeologico dell’Italia meridionale, come si evince dai
complessi esposti presso il Museo Nazionale di Policoro.
La vastità dei dati recuperati con la tecnica del microscavo ha
consentito di individuare precise forme, tipologie o funzioni
degli oggetti ornamentali, tanto da poter essere oggi in grado
di delineare il fasto e l’evoluzione dell’abbigliamento femminile
enotrio tra X e VI secolo a. C., nonché di poter individuare la
matrice tipologica di gran parte di tali oggetti di ornamento in
ambito balcanico, dalle regioni della Grecia settentrionale
all’area illirica, con possibilità di poter istituire numerosi
confronti con le culture coeve della fascia adriatica
peninsulare italiana, in particolare con l’area picena.
L’elevato numero di sepolture enotrie recuperate interamente
o in parte con la tecnica dello strappo ha determinato un
accumulo di numerosi pani di terra nei depositi del Museo
Nazionale di Policoro. Il lungo lasso di tempo intercorso tra lo
scavo e l’intervento di restauro come microscavo ha
determinato delle situazioni prossime ad un limite critico in
termini di conservazione per l’intrinseca fragilità strutturale
dei materiali (bronzo, ambra, pasta vitrea, avorio ecc.). Il
degrado degli oggetti, in particolare metallici, dopo lo scavo è
infatti piuttosto rapido e richiederebbe interventi conservativi
tempestivi.
80
Il restauro degli apparati ornamentali contenuti nei pani di
terra presenta un duplice ordine di problemi. Il primo è legato
alla tempestività dell’intervento e all’accuratezza del
microscavo e dello smontaggio degli elementi costitutivi, che
devono poi essere ricostruiti. In secondo ordine l’intervento
deve essere preceduto da indagini non distruttive (foto in
scala, foto all’infrarosso o in fluorescenza ultravioletta), che
consentono di evidenziare i materiali come l’ambra o l’osso
rispetto al terreno che li ingloba per le diverse tonalità che
assumono in falso colore. Il risultato così ottenuto consente
una lettura di alta precisione di tutti gli elementi,
indispensabile per la ricostruzione degli stessi apparati
ornamentali. I materiali recuperati dai pani di terra presentano
ovviamente stati di degrado differenti a seconda delle diverse
classi di materiali, che richiedono trattamenti diversi di pulizia,
di lavaggio o di tipo chimico funzionali al loro recupero.
L’intervento in corso di restauro conservativo consente altresì
di sperimentare nuove metodologie di microscavo e di
applicare nuove tecniche diagnostiche preliminari.
La ricostruzione integrale degli apparati ornamentali femminili
enotri consente altresì di esporre gli stessi con grandi risultati
museografici sul piano didattico e su quello della fruizione
pubblica, come dimostra l’interesse del pubblico in visita
presso il Museo Nazionale di Policoro.
81
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI PER LE PROVINCE DI NAPOLI E CASERTA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Soprintendenza per i Beni
Archeologici per le province
di Napoli e Caserta
Soprintendente:
Maria Luisa Nava
Piazza Museo, 19
80135 Napoli
tel. 081.440166
fax 081.44013
Ciro Piccioli, Maria Rosaria
Borriello, Carolina Scavon,
Amodio Marzocchella
Progetto “Prosieguo delle
ricerche scientifiche sulla
collezione egizia del
MANN, realizzazione di
vetrine sperimentali a
microclima controllato
per l’esposizione di un
sarcofago con mummia
egizia. Riallestimento della Collezione Egizia”.
Completamento
dell’esposizione della
Collezione Egizia del
MANN e revisione critica
dell’allestimento e
dell’apparato didascalico
comunicativo
Luogo dell’azione
Museo Archeologico Nazionale, Istituto di Genetica e
Biochimica dell’Università degli Studi di Napoli “Federico
II”, Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, Centro
Interdipartimentale di Conservazione per i Beni Culturali
dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Centro di
Metodologie Chimico-fisiche dell’Università degli Studi di
Napoli “Federico II”, Soc. A –Technology. Responsabile
tecnico scientifico: Ciro Piccioli
Programma tecnico-scientifico
Fase 1
Ampliamento del quadro delle conoscenze necessario alla
realizzazione di un contenitore idoneo alla conservazione ed
esposizione al pubblico di una mummia egiziana con
relativo sarcofago, ultima a non essere ancora esposta al
pubblico.
• Indagini chimico-fisiche e biologiche sul reperto oggetto
dell’intervento.
• Affinamento delle soluzioni atte ad implementare le
conoscenze del settore sulla base delle esperienze fin qui
acquisite ed ancora in corso.
• Sistema di monitoraggio ambientale, climatico e del flusso
di visitatori delle sale della Collezione Egizia al fine di
controllarlo e decidere, in futuro, se sia utile condizionare
gli ambienti di esposizione.
• Ulteriore verifica e ridefinizione atte al miglioramento degli
standard museotecnici degli apparati espositivi da
progettare.
Fase 2
• Progettazione esecutiva dell’apparato.
• Realizzazione tecnica dell’apparato per conservare la mummia.
82
Fase 3
• Restauro della mummia non ancora esposta con
un’indagine anatomo-patologica al fine di individuare il
numero originario delle mummie con le cui parti é stata
ricomposta la mummia in oggetto.
• Inserimento della mummia nella sala di esposizione al
pubblico e riallestimento della Collezione Egizia.
Fase 4
• Revisione delle vetrine attuali rendendole più resistenti alle
polveri e agli inquinanti atmosferici, consistenti per la
particolare collocazione topografica della collezione stessa
sostituendo i ripiani in materiali compositi con materiali
inerti sotto il profilo del rilascio delle sostanze volatili.
• Realizzazione di un apparato per i resti mummificati ed
organici di un coccodrillo.
• Realizzazione di piccole vetrine sigillate per i reperti
costituiti da parti di mummie.
• Collegamento in rete senza cavo dei sistemi di controllo e
misura microclimatici.
Fase 5
• Sistema multimediale di documentazione della collezione
con un riferimento culturale all’Egittologia ed al suo ruolo
nello sviluppo del pensiero scientifico moderno.
• Utilizzo degli attuali spazi di deposito per realizzare una
saletta multimediale ed un piccolo laboratorio per la
manutenzione continua della sale di allestimento e dei
reperti in essa conservati.
Obiettivi e risultati attesi
• Definizione di un articolato “Quadro delle conoscenze”
necessario alla progettazione ed alla realizzazione di due
contenitori idonei alla conservazione ed esposizione al
pubblico di due mummie egiziane con relativo sarcofago;
• Restauro di due sarcofagi con mummie.
• Avanzamento delle conoscenze nella conservazione ed
esposizione al pubblico dei reperti mummificati e
realizzazione di due prototipi di vetrina condizionabile e
monitorata, rispondenti a standard prestazionali derivanti
dall’attuazione dei punti procedenti, idonei ad assicurare la
conservazione di mummie con sarcofagi.
• Trasferimento di tecnologie aerospaziali mature alle
progettazioni di interesse.
83
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI PER LE PROVINCE DI NAPOLI E CASERTA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
• Miglioramento nella valorizzazione e fruizione della
Collezione Egizia, anche attraverso un sostanziale
riallestimento delle sale espositive del MANN.
Modalità e tempi di attuazione
Un anno solare dalla data del finanziamento.
Finanziamento ad avanzamento dei lavori in tre fasi:
Fase 1, Fase 2 e Fase 3: un anno di attività.
Numero e profilo delle professionalità impiegate
Esperto scientifico nella conservazione dei Beni Culturali.
Esperto conservatore dei Beni Culturali ed Ambientali.
Esperto anatomo- patologo nella mummificazione di resti
umani.
Progettista di strutture aerospaziali.
Architetto esperto in Museotecnica.
Esperto in lavorazione di lastre piane.
Esperto elettronico in assemblaggio di sistemi di controllo
ambientale.
Tecnologo esperto nell’assemblaggio di sistemi modulari
aerospaziali.
84
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DI ROMA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Soprintendenza per i beni
Archeologici di Roma
Soprintendente: Angelo Bottini
Piazza S. Maria Nova, 53
00186 Roma
Tel. 06.6990110
fax 06.6787689
[email protected]
www.archeorm.arti.beniculturali.it
Caratteri dell’intervento e
delle componenti per l’arena
L’intervento ha comportato la
realizzazione di un piano
Piero Meogrossi
montato su travi di legno
lamellare rinforzate da fibre di carbonio e aramidiche al fine di
poter ridurre le sezioni e garantire la copertura estesa di poco
più di un settimo dell’intero piano dell’arena.
Il solaio ligneo posto in continuità con quello del corridoio
centrale al di sopra della galleria verso il ludus magnus
rimarca sostanzialmente la quota di età flavia.
Per il corretto inserimento archeologico sono stati realizzati
sul piano dell’arena dieci blocchi in cemento granulare servite
come appoggio ai pilastri lignei mentre altri dieci appoggi, in
similitudine ai precedenti, sono stati semplicemente
“addossati” ai blocchi di travertino originali nel corridoio
dovendo necessariamente sostenere le travi di contenimento
lungo il nuovo impalcato.
Scheda tecnica
per il piano dell’arena
dell’anfiteatro Flavio
Costruzione del piano dell’Arena dell’Anfiteatro Flavio in
numeri
• mc. 145 di legno lamellare conifera europea
• mq. 150 di compensato marino di mogano da cm. 2 di spessore
• ml. 2.600 di piatto in fibra di carbonio da mm. 20 x mm. 3 di
spessore
• mq. 310 di tessuto multiassiale in fibra aramidica da 230 gr/mq.
• kg. 15.500 di piastrame in acciaio inox Aisi 304 sabbiato
spessore mm. 3, 6, 10
• 7.414 barre filettate in acciaio inox Aisi 304 diametri mm. 10, 14,
16, 20 con lunghezze comprese da cm. 25 a mt. 1
• 14.828 dadi e rondelle in acciaio inox Aisi 304
• 34.000 viti in acciaio inox Aisi 304 per fissaggio terzere
• 10.000 viti in acciaio inox Aisi 304 per fissaggio tavolato
Tre sono sostanzialmente le situazioni archeologiche
interessate dai lavori per la nuova copertura dell’arena che ha
visto così:
• sui blocchi di tufo parzialmente rovinati tra gli spazi di risulta
lungo gli ipogei un trattamento di pre-consolidamento effettuato
mediante perni in fibre aramidiche inseriti a rinforzo dei nuclei
degradati predisponendo una futuribile e potenziale azione di
mimetismo del materiale. Una volta verificata la bontà degli
appoggi e dunque delle fondazioni originarie, si è dato ruolo
strutturale alle dieci basi di sostegno su cui sono state modellate
85
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DI ROMA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Riferimenti bibliografici
•R. Migliari - Il rilievo
dell’Anfiteatro Flavio in rivista
Disegnare n. 18-19, Roma
2000;
•M. Crespi - A. D’Antonio, Il
rilievo GPS della nuova rete di
inquadramento S.A.R.
Laurea in Topografia della valle
del Colosseo, A.A. 2001- 2002;
•P. Meogrossi - Allineamenti
topografici tra Palatino e valle
del Colosseo, ragioni e regole in
Atti Convegno Internazionale
Archeologia Classica La ciudad
en el mundo romano vol.2,
Tarragona 1994, pagg.277-280;
•P. Meogrossi - Topografia antica
e restauro archeologico in Atti I
Convegno ARCo, Manutenzione
e recupero nella città storica,
Roma 1993, pagg. 81-89;
•M. Wilson Jones - La misura
degli anfiteatri, Boll. Ist.
Germanico, Roma 1993;
•G. Birardi - Progetto topografico
per il rilievo del Colosseo:
diagramma dell’insolazione alla
latitudine di Roma, Università
Ingegneria Roma 1989.
sagome in cemento granulare (tipo Mapei) rese compatibili con
le forme ruderali degli attuali estradossi dei muri antichi;
• dieci baggioli realizzati col medesimo cemento granulare,
dovendo dare sostegno alle travature del corridoio lungo, sono
stati in pratica accostati ai grandi blocchi squadrati di travertino
del restauro di età severiana seguito all’incendio del 217 d.C.
I nuovi blocchi sono stati distribuiti opportunamente ed in modi
alterni al piede del corridoio di accesso-arena operando il
semplice accostamento di materiale in completa reversibilità
(pellicola di sacrificio in carta giapponese trattata con resina);
• il cordolo d’appoggio, sempre in cemento granulare ed avente
funzione di futura canala per lo scolo delle acque meteoriche,
è stato realizzato in fianco alla trave curva realizzata fuori opera
e montata lungo il bordo perimetrale della curva dell’arena. La
parziale demolizione dei tratti moderni costruiti in curva, oltre
a liberare la superficie resistente e dare ospitalità ai nuovi
manufatti, ha permesso di denunciare gli evidenti errori
filologici compiuti durante i restauri degli anni ’20 eseguiti dal
Cozzo e quindi di individuare la corretta geometria del nuovo
piano ligneo riproponendo di fatto “in sottosquadro” il livello
archeologico del piano Flavio dell’arena.
Il legno lamellare trattato come composito con fibre
aramidiche al fine di aumentare i momenti di inerzia di alcune
travi costruite fuori opera dalla ditta esecutrice Sacen di Napoli
ha permesso di coprire le enormi luci dello spazio ipogeo
(oltre i 12 metri in alcuni punti) consentendo ovviamente di
articolare le varie campate mediante travi primarie,
secondarie, terzere ed impalcato finale.
L’articolato sistema strutturale di travi e pilastri è stato
eseguito in legno e connessioni di piastre e bulloni in acciaio,
derivando i sofisticati calcoli dal progetto dei tecnici
dell’Università La Sapienza guidati dal prof.ing. M. Cerone,
dovendo sfruttare meglio i dieci appoggi selezionati a terra
(solo in una parte è usata la muratura antica come appoggio).
Sui plinti in cemento granulare specificatamente individuati
sono state ancorate opportune piastre di acciaio che hanno
assicurato ed agevolato il rapido montaggio dei pilastri in legno
composti a gruppi di quattro elementi verticali collegati tra loro.
I rapporti di misura adottati nella cantieristica usata per la
realizzazione del suddetto piano ligneo hanno permesso di
confermare la bontà della regola, “a rombo” in base a cui è
strutturata la stessa forma ovale dell’anfiteatro Flavio.
La forma configurata del piano arena deriva dunque
direttamente da uno dei quattro fuochi della losanga servita di
86
riferimento per impostare l’opera provvisionale (torre-gru)
fatto questo che ha permesso alle maestranze di eseguire in
rapidità ed in sicurezza l’impalcato del nuovo piano ligneo.
Le principali attività di cantiere infine sono state derivate dal
particolare studio svolto dalla Direzione Lavori che ha posto
direttamente in cantiere, dopo averne verificato la praticità
esecutiva, il confronto con le misure ritrovate per un disegno
unitario che interessa l’antica topografia di Roma.
In altri termini una specifica direttrice urbana di misura primaria
assegna valori unitari alla valle circostante ed allo stesso
Colosseo (raccordabile perfettamente coi caposaldi
monumentali distribuiti fra Palatino, valle Colosseo e colle
Oppio) dando così ragione e supporto allo stesso cantiere del
nuovo piano ligneo dell’arena.
Importo realizzazione piano
Arena (comprensivo dei saggi
preventivi e le opere per i saggi
della fondazione antica):
lire 1 miliardo e 477 milioni lordi
periodo di svolgimento lavori:
marzo-giugno 2000
responsabile procedimento: G.
Martines (Soprintendenza
Archeologica)
direzione lavori: P. Meogrossi
(Soprintendenza Archeologica)
assistenza al cantiere: F. Alberi
(Soprintendenza Archeologica)
supervisione al progetto: P.
Meogrossi (Soprintendenza
Archeologica)
rilievo ipogei: H. Beste (Istituto
Germanico di Roma)
progetto strutturale: M. Cerone
(Università la Sapienza Roma)
responsabile della sicurezza: N.
Calistroni
collaboratori: A. Viskovic e F.
Fumagalli
impresa esecutrice: ditta SACEN
di Napoli
87
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DI ROMA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Storia di restauro che coniuga il
recupero di tecniche tradizionali
per la creazione di un
ecosistema conservativo e
l’impiego di nuove tecnologie
per ricostruire l’immagine
dell’architettura antica.
Progetto e Direzione dei lavori:
Claudia Del Monti
Realizzazione: Impresa E.A.L.
Edil Appalti Licordari
Restauro dei marmi: Carlo Usai
Restauro degli affreschi: Bruno
Marocchini
La
scoperta
dell’aula
dell’Oratorio risale all’epoca
degli scavi operati da Boni
nei primi anni del ‘900: fu
Claudia Del Monti
ritrovato un ambiente a
fianco della Basilica di S. Maria Antiqua, di cui non si aveva
notizia, che fu identificato come oratorio. Sebbene fosse parte
integrante del più grande impianto di epoca domizianea,
riutilizzato nella fase cristiana per le funzioni del nuovo culto,
tuttavia venne escluso dal restauro, che si incentrò quasi
esclusivamente sulla basilica, perché giudicato architettura
minore.
A distanza di circa un secolo, l’intervento di restauro moderno
ha ripristinato lo spazio originale dell’aula e restituito agli
affreschi, che decorano le pareti, visibilità e fruizione.
Per la conservazione degli affreschi restaurati si è reso
necessario il ripristino della copertura dell’aula, crollata in
tempi antichi, che è stata realizzata sulla base dell’architettura
originaria, rintracciata attraverso i dati emersi dagli scavi e
dagli studi recenti.
Nel restauro si è tenuto conto della necessità di creare
all’interno dell’aula il clima adatto alla conservazione dei
dipinti senza ricorrere a impianti di difficile manutenzione,
spesso invasivi, come deumidificatori o sistemi di aerazione
forzata e si è preferito utilizzare tecniche di aerazione naturale.
Sfruttando le correnti d’aria indotte da aperture, create nella
parte alta dell’aula nei lati nord e sud, è stato assicurato un
continuo ricambio dell’aria interna; sfruttando poi la parte
ricostruita delle murature, è stata creata al loro interno una
intercapedine in cui è convogliata l’aria proveniente dalle
aperture, che mantiene costante la temperatura delle pareti e
permette l’evaporazione dell’umidità.
L’impiego di questi accorgimenti costruttivi ha dato luogo ad
un microclima interno costante che garantisce la buona
conservazione degli affreschi.
Roma-Foro Romano:
l’oratorio
dei XL martiri
La copertura
Parallelamente al tema della conservazione il restauro ha
affrontato anche quello delicato della ricostruzione, anche se
parziale, di uno spazio antico e del suo inserimento nel
contesto; pertanto ci si è mossi seguendo un doppio binario:
all’esterno la ricomposizione di un’immagine dell’aula
adeguata nella forma e nei materiali alle antiche strutture di S.
Maria Antiqua (anch’essa in parte ricostruita da Boni per
88
analoghi problemi di conservazione dei preziosi affreschi);
all’interno l’impiego di tecnologie moderne, che hanno
permesso di ricostruire lo spazio originario attraverso le sue
linee essenziali. L’analogia con l’antico è affidata soprattutto ai
rapporti dimensionali, che sono fondamentali nell’architettura
per l’equilibrio e il controllo dello spazio.
Per suggerire l’originale volta a crociera, che concludeva il
volume interno dell’aula, e ‘comunicare’ l’immagine di questo
89
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DI ROMA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
spazio, non si è ritenuta necessaria la ricostruzione della volta
nella sua totalità, si è scelto piuttosto l’utilizzo del linguaggio
universale della geometria. Il progetto ricostruttivo si basa
essenzialmente sulla suggestione trasmessa dalla struttura
utilizzata, che richiama alla memoria l’immagine della volta a
crociera antica. È realizzata in legno lamellare, un materiale che
permette di coniugare tre requisiti fondamentali individuati dal
progetto: 1) la possibilità di ottenere una curvatura pronunciata
delle travature, 2) un rapporto equilibrato tra il peso della
struttura e le dimensioni della sezione delle travi, 3) l’impatto
visivo con l’ambiente, che si armonizza con l’immagine
tradizionale delle architetture antiche.
Il progetto si è avvalso delle tecniche della prefabbricazione,
vale a dire che tutti i pezzi sono stati realizzati in officina,
secondo modalità predefinite, ed in cantiere sono stati
semplicemente ‘accorpati’ gli uni agli altri. Si potrebbe dire
che il criterio con cui si è realizzata la volta e la copertura
dell’aula è in tutto simile a quello utilizzato per i kit di
montaggio in tanti altri settori delle costruzioni.
La struttura portante della copertura – delle travi curve della
crociera simulata e della travatura tutta del tetto – consiste in
quattro montanti in ferro, uno in ogni angolo dell’aula,
saldamente ancorati con robuste piastre in ferro al cordolo di
calcestruzzo armato inserito nella parte muraria ricostruita,
per assicurare la ripartizione dei carichi. Su ogni montante
sono predisposte mensole in cui si innestano le travi; la spinta
indotta dal carico è poi contenuta e bilanciata da quattro
catene, una per lato, ancorate ai montanti. Montanti e catene
rimangono nascosti nell’intercapedine della muratura
ricostruita, ad esclusione della parete dove la muratura
originaria si è conservata quasi per tutta l’altezza. Alla
sommità dei montanti si innestano le quattro capriate della
copertura vera e propria, collegate alla crociera sottostante
solo nel punto di colmo; la struttura della copertura si articola
in otto falde che seguono l’andamento degli archi della
crociera. La copertura è completata dal manto di tegole e
coppi, che si armonizza con il colore del laterizio dominante
nel Foro.
L’architrave
Nel corso dei lavori, un fortunato ritrovamento ha messo in
luce la grande architrave in marmo appartenente al portale
d’ingresso all’aula, che è stata restaurata e ricollocata nella
posizione originaria.
90
L’architrave era troppo frammentata per poterne ipotizzare la
ricomposizione e affidarle nuovamente una funzione portante,
neanche del solo peso proprio; inoltre ogni intervento atto a
restituirle solidità si presentava troppo invasivo. L’alternativa
scelta è stata una struttura portante di supporto su cui
poggiarla, svincolata dalle murature antiche, per impedire la
trasmissione di carichi o sollecitazioni, che ne avrebbero
potuto compromettere l’equilibrio. Questa struttura trilitica di
supporto è composta di una trave in ferro e due piedritti in c.a.
– sagomati secondo il disegno originale- realizzati in officina e
montati in cantiere. I pezzi dell’architrave sono stati
ricomposti con perni di acciaio e ‘poggiati’ sulla struttura.
Il portale
La chiusura del portale dell’aula ha comportato dei problemi a
causa delle dimensioni gigantesche del varco e delle difficoltà
di ancoraggio alla fragile soglia antica, che non poteva certo
sopportare il carico di ante commisurate al grande varco;
tuttavia non si è voluto rinunciare all’immagine grandiosa
suggerita dalle dimensioni imponenti e ridurre questo
ingresso ad un semplice passaggio, svilendo lo spirito
dell’antica architettura.
La soluzione adottata è consistita nell’arretrare le ante
all’interno, al limite della soglia, e creando un’apposita
struttura di sostegno, svincolata da quella del portale,
ancorata a terra con fondazioni realizzate all’uopo ed in alto al
cordolo armato che collega le murature. È una struttura in
ferro scatolare in cui sono inserite le enormi ante realizzate in
ferro e vetro e i marchingegni idraulici che ne regolano
l’apertura, facendole scorrere ai lati del portale e poi
ruotandole in sincronia di 90°. Terminata la manovra
dell’automatismo, le ante aperte risultano così esattamente
nella posizione in cui erano quelle antiche.
La struttura metallica all’interno dell’aula è completamente in
vista e la sagoma e l’altezza sono state studiate in modo che
non nasconda l’architrave.
91
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELLA LIGURIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Il complesso della cosiddetta
villa romana di Alba Docilia è
inserito entro l’area urbana
di Albisola Superiore, nella
centrale Piazza Giulio II.
Scavi e ricerche si sono
succeduti nel sito a partire
dalla seconda metà del XIX
secolo, quanto fu portato in
luce e parzialmente esplorato
il grande edificio a pianta
circolare (diam. m 9,50);
Francesca Bulgarelli
inizialmente ritenuto un
e Danilo Abate
castellum aquae o una
piscina, è stato recentemente identificato con un laconicum,
utilizzato in fasi successive come piscina calida, appartenente al
quartiere termale del vasto complesso insediativo, databile tra il
I e il V-VI sec.d.C., la cui estensione nota raggiunge i 9000 mq.
Mentre il settore relativo alla pars rustica, oggetto di indagini
preventive alla costruzione della nuova stazione ferroviaria
intorno alla metà del secolo scorso, è ormai occultato al di
sotto del piazzale e del rilevato della ferrovia, il settore
residenziale e quello termale costituiscono un’area
archeologica che, delimitata da recinzione ma lasciata senza
Studio preliminare al
progetto di restauro e
conservazione delle
strutture del laconicum
del complesso termale
della villa romana di
Albisola Superiore (Sv):
ricostruzione
tridimensionale
dell’edificio e dello
schema di
funzionamento
Soprintendenza per i beni
archeologici della Liguria
Soprintendente:
Giuseppina Spadea (reggente)
Via Balbi, 10
16126 Genova
Tel. 010.27181
fax: 010.2465925
[email protected]
www.archeoge.arti.beniculturali.it
92
copertura, è stata mantenuta entro uno spazio urbano aperto
che ospita edifici e servizi assai diversi, tra loro privi di
rapporti organici e storici: la chiesa romanica di San Pietro, la
stazione ferroviaria, un parcheggio, giardini, edifici risalenti
alla metà del XX secolo, una viabilità ad alto traffico di
collegamento autostradale.
La scelta, priva di un vero progetto di musealizzazione
all’aperto, di non realizzare sui resti archeologici coperture di
protezione, comporta oggi l’applicazione costante di una
manutenzione sistematica dei resti murari – oltre che dell’area
a verde nella quale le strutture sono state inserite, forse con
l’intento di restituire alla villa romana il rapporto originale con
l’intorno – con interventi conservativi minimamente invasivi e
al massimo reversibili, nel tentativo di rallentare quei processi
di degrado dei materiali e dissesto delle strutture derivanti
dalla prolungata esposizione agli agenti atmosferici, all’azione
degli inquinanti e dell’areosol marino, e all’attacco di tipo
organico, favorito dall’umidità di risalita e dal frequente
ristagno delle acque meteoriche. Particolarmente esposto
all’azione di degradazione dei fattori evidenziati è il manufatto
relativo al laconicum – oggetto in questi ultimi anni di uno
studio diagnostico e ricostruttivo che sta rivelando
interessanti elementi conoscitivi – anche a causa della
presenza di diversi componenti nell’esecuzione delle strutture
93
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELLA LIGURIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
e nell’ interazione tra le specifiche caratteristiche fisicochimiche: miscele plastiche con malta e caementa nelle
fondazioni e nelle murature perimetrali in elevato, laterizi nella
parte centrale, rivestimenti in malta idraulica (cocciopesto) di
varia granulometria e intonaco non idraulico nel canale
anulare interno.
Per una migliore comprensione dell’edificio e della sua
funzionalità, e al fine di ottenere uno strumento efficace e
innovativo nella progettazione degli interventi di manutenzione
e restauro del manufatto, oltre ad una ricostruzione
tridimensionale dell’ edificio nel suo insieme, con particolare
riferimento alla tecnica costruttiva e ai differenti materiali
riscontrabili nell’esistente, è stato creato un modello digitale
con tecnica CAD in cui vengono evidenziati le diverse
componenti con tecniche digitali di rendering.
L’applicazione di tecniche di rappresentazione di tipo digitale
ha consentito una lettura complessiva ottimale del manufatto
antico e delle diverse tecniche di costruzione, non attuabile in
maniera soddisfaciente con tecniche grafiche tradizionali,
preliminare allo studio del degrado della struttura e dei diversi
tipi di materiali presenti e quindi al programma di
manutenzione ordinaria e ai progetti di restauro e
manutenzione straordinaria in corso da parte della
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria.
94
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELLA LIGURIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Nell’abbazia di San Fruttuoso di
Capodimonte, donata al FAI
(Fondo per l’Ambiente Italiano)
nel 1983 dalla famiglia Doria
Pamphilj, sono stati condotti
negli ultimi quindici anni
Alessandra Frondoni
notevoli lavori di restauro e
indagini archeologiche, con il completo recupero dell’antico
complesso religioso, che comprende la chiesa originaria –
databile tra X e XI secolo – il piccolo chiostro sviluppato su
due ordini e il posteriore corpo abbaziale di età gotica,
connesso a vari ambienti monastici.
Gli scavi della chiesa, ancora in parte inediti, hanno accertato
che l’impianto primitivo risale a non oltre gli inizi del Mille,
quando sono documentate importanti donazioni al monastero
(citato a partire dal 984) da parte dell’imperatrice Adelaide di
Borgogna, moglie di Ottone I. Nel Cinquecento, con la
ristrutturazione del complesso ad opera dei Doria, la chiesa
antica venne interrata; in occasione dei recenti lavori di scavo,
sono stati recuperati, nel riempimento, numerosissimi
frammenti di rilievi in stucco (circa un centinaio), che
costituiscono una ricca e articolata decorazione, relativa ad
almeno due grandi lastre, probabilmente pertinenti a una
recinzione presbiteriale.
Restauro e
conservazione degli
stucchi preromanici
da San Fruttuoso di
Capodimonte (GE)
95
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELLA LIGURIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
La lastra A (cm. 201 x 88) presenta un complesso motivo ad
intreccio di nastri, a tre vimini, che racchiudono morbide
palmette, con grappoli d’uva. All’interno del fregio vegetale
sono campíti due leoni; quello di sinistra, meglio riconoscibile
dopo il restauro, è raffigurato in posizione accovacciata e ha il
corpo attraversato dalla coda che si biforca all’estremità,
ripartendosi in due ciuffi di tipo vegetale. La cornice superiore
della lastra reca tracce di una decorazione dipinta in ocra gialla
e rossa, ancora ben visibile sul retro a formare lo stesso
motivo di intreccio vegetale.
La lastra B (cm. 194x 105), molto frammentaria e di maggiori
dimensioni in altezza, presenta un riquadro centrale decorato
con lo stesso motivo ad intreccio racchiudente palmette e
grappoli d’uva, delimitato in alto e in basso da una fascia di
cerchi intrecciati e annodati.
La decorazione, è conclusa superiormente da una bordura con
motivo a greca, analoga a quella del fregio in stucco ancora
conservato sulla testata del muro divisorio tra la navata
centrale e la navata meridionale della chiesa.
La presenza di altri frammenti, anche cospicui, di cui non è
stato possibile trovare un attacco, tra i quali i resti di almeno
tre colonnine a torciglione decorate con intrecci geometrici,
lascia aperto il problema dell’esistenza di ulteriori manufatti e
probabilmente di una terza lastra.
Il ritrovamento degli stucchi di San Fruttuoso ha sollevato
problematiche di notevolissima rilevanza che qui si possono
solo accennare e che, in considerazione del recente
completamento dei restauri, sono ancora in corso di studio.
L’esame dei motivi iconografici, unito ai dati storici e
documentari in nostro possesso, conferma per i materiali una
matrice di ambito bizantino con interessanti confronti con i
capitelli a stampella del monastero di San Tommaso di
Genova.
Gli stucchi erano in parte coperti da scialbature eseguite
all’epoca della demolizione dei Doria; nella lastra B la
decorazione è inoltre assai consunta per le infiltrazioni d’acqua
subite già a partire dall’età antica. L’intervento di restauro ha
seguito le tradizionali metodologie di pulitura, assemblaggio,
consolidamento e integrazione delle principali lacune, queste
ultime riempite con uno stucco (polifylla interior) colorato con
terre naturali, di buona reversibilità. Tuttavia la fase di
assemblaggio dei reperti è stata particolarmente delicata e ha
richiesto lungo tempo per la complessità del riconoscimento
e della ricomposizione dei motivi decorativi del rilievo. Va
96
inoltre rilevata la rarità del ritrovamento, che si inserisce tra gli
scarsi esemplari noti in Italia settentrionale, con specifico
riguardo all’età preromanica e al periodo ottoniano.
Si è infatti confermata per i nostri reperti una cronologia
attorno agli inizi dell’XI secolo per i modi della plastica
morbida e arrotondata evidente nella decorazione fitomorfa,
che – specie nelle palmette – rimanda ad analoghi motivi
presenti nei codici miniati e nelle stoffe, attraverso una
circolazione di modelli che confluiscono in un linguaggio
comune all’area del Mediterraneo orientale e occidentale.
Una conferma dell’importante valenza culturale che rivestono
i nostri stucchi è venuta dai primi risultati delle analisi
mineralogiche-petrografiche condotte dal Laboratorio di
Mineralogia applicata all’Archeologia dell’Università di
Genova. Sono state eseguite analisi su sezione sottile al
microscopio ottico in luce polarizzata e analisi
diffrattometriche ai raggi X che hanno dimostrato che il
legante fine, a base di calce aerea e gesso, degli stucchi di San
Fruttuoso, è assente dalla Liguria e sembra riferibile a una
provenienza dall’area greco-orientale. Essendo la stessa
associazione mineralogica presente nei rilievi in stucco ancora
in situ, si è proposto che i manufatti siano stati prodotti da
maestranze specializzate che hanno portato, da fuori della
Liguria, gli stessi materiali impiegati.
Sono inoltre in corso le analisi dei pigmenti della decorazione
dipinta della lastra A, mediante spettrometria RAMAN, in
collaborazione con ricercatori chimici del Louvre di Parigi, che
hanno eseguito analoghi interventi sugli stucchi francesi in
occasione della mostra “Le stuc. Visage oublié de la sculpture
médiévale”, tenutasi al Museo Sainte Croix di Poitiers dal
settembre 2004 al gennaio 2005, mostra alla quale è stata
esposta anche la lastra di San Fruttuoso.
Particolari problemi presenta infine la conservazione dei
reperti, in rapporto alle condizioni termo-igrometriche dei
locali più antichi dell’abbazia di San Fruttuoso. A tale riguardo,
in accordo e collaborazione con il FAI e con l’Istituto Centrale
del Restauro, è stato avviato un monitoraggio nella navata
centrale della chiesa primitiva (luogo di rinvenimento degli
stucchi), per rilevare temperatura e umidità dell’ambiente
lungo il corso di un anno – ad intervalli di trenta minuti –
mediante una sonda del tipo HOBO H/3. Tale monitoraggio è
finalizzato a meglio indirizzare le procedure conservative,
preventive al progetto definitivo dell’allestimento museale
degli stucchi.
97
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DELLA LOMBARDIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Ritrovata casualmente nel
2004, nel corso di lavori
per la realizzazione di un
parcheggio, la statua era
Filli Rossi
inglobata nello spesso
strato di macerie che sigillava i ruderi di un edificio monumentale
relativo all’area forense dell’antico centro di Civitas
Camunnorum, l’attuale Cividate Camuno, in Valle Camonica
(Brescia)
Alta in totale 215 cm, è lavorata in un unico grande blocco di
marmo bianco con venature grigiastre, proveniente dalle cave di
Vezza d’Oglio, nell’alta Valle Camonica. Frammentata in tre parti,
manca del braccio e della gamba destra, della mano sinistra,
della parte anteriore della testa.
Rappresenta un personaggio virile stante, di grandezza superiore
al naturale; la gamba sinistra è portante, la destra leggermente
flessa e scartata indietro. La figura è nuda, tranne che per un
mantello che avvolge i fianchi (Huftmäntel-typus), lasciando
scoperti i solchi inguinali, coprendo le gambe fino alle ginocchia,
e ricade sul braccio sinistro, piegato e leggermente discosto dal
corpo. Il braccio destro doveva essere leggermente discosto dal
fianco e proteso in avanti, come dimostra un puntello all’altezza
del torace, forse a reggere un’asta. Il mantello gira intorno ai
fianchi formando un voluminoso rotolo e scende
dall’avambraccio con un lungo gruppo di pieghe profonde, che
arriva fino al ginocchio. Un elemento a forma di tronco nodoso
sostiene la figura sulla sinistra.
Il modellato è assai curato, con una resa attenta delle masse
muscolari, il panneggio plastico e mosso, con forti contrasti di
chiaroscuro sulle lisce superfici del nudo.
La statua di Cividate, importante nuovo esempio di arte colta
nell’Italia settentrionale, si inserisce in una serie di sculture analoghe
caratterizzate dalla posa “eroica” del personaggio. Le forme
idealizzanti richiamano le proporzioni e la maniera di Policleto,
filtrate attraverso il classicismo eclettico del mondo romano.
Databile tra l’età tiberiana e la prima età claudia, la statua è il
prodotto di un atélier di elevata cultura artistica e rappresenta
Soprintendenza per i beni
una nuova testimonianza delle scelte di qualità attraverso le quali
Archeologici della Lombardia
le committenze locali “colte” manifestavano la loro adesione al
Direttore:
Elisabetta Roffia (reggente)
programma celebrativo augusteo oltre che della grande
attenzione che la corte imperiale rivolse a questa città al confine
Via E. De Amicis, 11
con i valichi alpini.
20123 Milano
tel. 02.89400555
Il restauro, eseguito nel 2005 con fondi ministeriali, in collaborazione
fax 02.89404430
con il Comune di Cividate Camuno che ha messo a disposizione per
[email protected]
Restauro di statua virile
in nudo eroico da Cividate
Camuno (BS)
98
l’intervento un ampio locale nel centro storico, ha consentito di
effettuare puntuali osservazioni sulla tecnica di lavorazione del
manufatto e sulla sua storia. Le varie fasi di esecuzione sono state
seguite “in diretta” nel periodo tra agosto e ottobre 2005 da circa
2000 persone, attraverso visite guidate da archeologi e dagli stessi
restauratori. Il laboratorio è stato fornito di attrezzatura informatica
che ha permesso di registrare rapidamente i vari momenti del lavoro;
è stato predisposto inoltre un sito web che ha fornito a scuole e
studiosi l’opportunità di seguire costantemente l’intervento.
Dopo la prima rimozione di terriccio e incrostazioni dalla superficie
della statua, eseguito attraverso un microscavo, si è passati alla
pulitura vera e propria, meccanica e chimica. Questa operazione
ha consentito di individuare tracce di colore, i segni di usura
motivati dal tipo particolare di collocazione, gli strumenti utilizzati
per la lavorazione delle diverse parti, i restauri effettuati in antico,
le tracce del modello e perfino i ripensamenti dello scultore.
L’esame del tipo di marmo, con le sue caratteristiche, e dello stato
di conservazione della statua, la verifica della sua assialità hanno
permesso di procedere alle ipotesi di rimontaggio in verticale del
pezzo. L’operazione, conclusa nel novembre 2005, sarà
presentata nella mostra Principe ed eroe. L’immagine ideale del
potere (catalogo edizioni Et) che si terrà a Brescia, in Palazzo
Martinengo Cesaresco dal 4 dicembre 2005 al 29 gennaio 2006,
promossa dalla Provincia di Brescia in collaborazione con la
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della
Lombardia e con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della
Lombardia.
La statua di Cividate Camuno (BS) al momento del ritrovamento
e dopo il restauro
99
Progetto a cura di: Filli Rossi.
Il restauro e le indagini connesse
sono stati eseguiti dalla: Società
DART, di Alessandro Danesi e
Silvia Gambardella, Roma
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DEL PIEMONTE E DEL MUSEO ANTICHITÀ EGIZIE
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Soprintendenza per i beni
archeologici del Piemonte e
del Museo antichità egizie
Soprintendente:
Marina Sapelli Ragni
Piazza San Giovanni, 2
10122 Torino
tel. 011.5213323
fax 011.5213145
[email protected]
Nel 2000 è stato avviato
dalla Soprintendenza per i
Beni Archeologici del
Piemonte un Progetto di
analisi e revisione di
ceramiche dipinte figurate
appartenenti alle Collezioni
del Museo di Antichità di
Torino. Sin dall’inizio tale
Luisa Brecciaroli Taborelli
Progetto ha comportato il
coinvolgimento di diverse competenze tecnico-scientifiche e
si è sviluppato sino a questo momento in due Fasi.
I Fase (febbraio – aprile 2000).
Il Progetto ha preso spunto dall’iniziativa di sottoporre a
restauro, in vista dell’esposizione nel Museo, tre pregevoli vasi
a figure rosse con sopradipinture, conservati nei Depositi
museali e appartenenti alla Collezione Moschini, un’importante
raccolta di ceramiche della Magna Grecia formata a Napoli tra
il 1802 e il 1824, acquistata per il Museo di Antichità nel 1828.
I tre vasi oggetto d’intervento, databili tra il 330 e il 300 a.C.
circa, sono tra i più rappresentativi della Collezione: un cratere
di fabbrica lucana attribuito al Pittore del Primato; due pelikai
di fabbrica apula attribuite rispettivamente al Pittore di Dario e
al Pittore del Copenhagen Dancer.
Al solo esame visivo si potevano osservare pesanti
manomissioni operate nell’Ottocento sulla superficie dei tre
vasi, con l’intento di restituire una continuità omogenea tanto
alla rappresentazione figurata quanto alle decorazioni
accessorie, secondo criteri di ripristino completo delle
superfici e della pellicola pittorica propri dei restauri
dell’epoca. A un intervento più recente e meno accurato si
potevano, inoltre, far risalire numerose integrazioni di stucco
ridipinto (usate per colmare le linee di frattura) e, soprattutto,
l’inserimento di materiali estranei miranti a rinforzare la
stabilità dei vasi.
La progettazione e la realizzazione dell’intervento di restauro
sono state precedute da una serie di indagini conoscitive non
distruttive, che hanno consentito di verificare nel dettaglio la
consistenza del materiale sui tre oggetti e che sono consistite in:
• Osservazione dell’oggetto con luce radente, documentata
fotograficamente
• Osservazione dell’oggetto mediante esposizione della
superficie a luce ultravioletta per fluorescenza (lampada di
Wood), documentata fotograficamente
Un intervento di
restauro nel Museo
di Antichità di Torino
Applicazioni della
termografia
all’infrarosso
per la conoscenza
delle ceramiche antiche
100
• Indagine radiografica
• Esame della superficie interna con sonda endoscopica
• Termografia all’infrarosso
• Rilievo grafico in scala 1: 1 della decorazione, con mappatura
dello stato di conservazione.
Questa I Fase si è conclusa con la realizzazione del restauro
dei tre vasi e l’allestimento della Mostra “Il carro di Afrodite”
(Museo di Antichità di Torino, aprile – giugno 2000),
accompagnata da un filmato appositamente realizzato per
documentare e illustrare le fasi di studio e di restauro.
II Fase (2001-2005)
La tecnica di indagine più avanzata e più promettente si è
dimostrata la Termografia all’infrarosso, applicata alle
ceramiche antiche per la conoscenza, la valutazione e la
conservazione delle stesse. Tale tecnica innovativa, che trova
applicazione in genere nel settore dei beni culturali in ambito
storico-monumentale, ha avuto in questo intervento
un’occasione di sperimentazione, per l’assoluta novità che
rivestiva nel campo del restauro di ceramiche antiche.
La nuova fase della ricerca si è sviluppata sul medio periodo
con l’applicazione della Termografia all’infrarosso su campioni
di varie epoche e stili, autentici e non, con il supporto di
indagini fisiche, con l’obiettivo di perfezionare una tecnica non
distruttiva, relativamente rapida, per discriminare tra vasi
autentici, vasi che nel tempo hanno subito alterazioni del
materiale e “falsi d’autore”.
Questa ricerca ha consentito di raggiungere notevoli risultati,
che sono stati anticipati in diverse sedi con il progredire degli
studi e delle sperimentazioni, che vengono documentati sino
allo stato attuale nel Cdrom preparato in questa occasione.
Al Progetto di Ricerca hanno
partecipato:
I Fase: Soprintendenza per i beni
Archeologici del Piemonte –
Museo di Antichità di Torino
(L. Brecciaroli, L. La Rocca,
L. Tomay, A. Carlone); DICAS –
Politecnico di Torino (M.
Volinia); Docilia s.n.c.
(G. Bertolotto, G. Elegir).
II Fase: DICAS – Politecnico
di Torino (M. Volinia, M.
Girotto); CNR, Istituto per le
Tecnologie della Costruzione –
Padova (E. Grinzato, S.
Marinetti, P.G. Bison, C.
Bressan); Soprintendenza per i
Beni Archeologici del Piemonte e
del Museo Antichità Egizie –
Museo di Antichità di Torino
(M. C. Preacco, E. Bertazzoli);
Soprintendenza per i Beni
Archeologici del Veneto – Museo
Archeologico Nazionale di Adria
(S. Bonomi).
Si ringraziano: Fondazione CRT,
Compagnia di San Paolo,
Associazione “Amici del Museo
di Antichità di Torino” ONLUS
Bibliografia: AA.VV. in Quaderni
della Soprintendenza
Archeologica del Piemonte, 17,
2000, pp. 11-44;
M.Volinia – M.Girotto, in
Conferenza Nazionale sulle prove
non distruttive, monitoraggio,
diagnostica, 11° Congresso
Nazionale dell’AIPnD,
Milano 13-15 ottobre 2005
101
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO DELLA BASILICATA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Il complesso monumentale
dell’ex Ospedale di S. Rocco,
Matera: ex Ospedale
è in uso governativo alla
di S. Rocco
Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il Paesaggio della Basilicata per essere
destinato a sede di attività culturali degli Uffici Periferici di
Matera del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Esso
costituirà un ulteriore polo culturale del centro storico della città
di Matera, insieme all’ex complesso conventuale di S. Rocco,
sede della Università degli Studi di Basilicata, al Palazzo
dell’Annunziata, sede della Biblioteca Provinciale, al Museo
Nazionale Archeologico D. Ridola, al Palazzo Lanfranchi, sede del
Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna.
Premessa
Ricontestualizzare un bene architettonico significa individuare
l’ambito culturale in cui l’edificio è sorto, rapportarlo a quello in
cui è vissuto, ma soprattutto definire e creare un nuovo rapporto
con i futuri fruitori e con il contesto sociale in cui dovrà tornare
o continuare ad espletare un proprio ruolo finalizzato a produrre
cultura.
La Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio
della Basilicata ha in corso i lavori dì restauro del complesso
dell’ex Ospedale di S. Rocco di Matera. I processi di
trasformazione cui il monumento è stato sottoposto nel tempo
Soprintendenza per i beni
architettonici e per il
paesaggio della Basilicata
Soprintendente:
Attilio Maurano
Via dell’elettronica, 7
85100 Potenza
tel. 0971.489411
fax 0971.489418
[email protected]
102
pongono tematiche progettuali particolari in considerazione della
stretta interrelazione con l’adiacente chiesa di S. Giovanni
Battista. Attraverso lo studio dell’evoluzione storica dei due
edifici si sono individuate due proposte progettuali: una tesa a
rispettare la stratificazione storica dell’ex Ospedale, l’altra volta a
valorizzare uno dei monumenti più significativi e originali della
città quale è la duecentesca chiesa di S. Giovanni Battista.
Cenni Storici
Le vicende storiche dell’ex Ospedale di S. Rocco sono
strettamente connesse con quelle della chiesa di S. Giovanni
Battista.
Nel 1348, a seguito di una pestilenza che affligge la città, di
fronte alla chiesa di S. Giovanni Battista, che trae origine da una
cappella intitolata a S. Maria le Nova, esistente nel 1204,
appartenuta ai Benedettini sino al 1212 e riedificata dalle
monache di Accon nel 1233, l’Universitas di Matera erige
l’Ospedale di S. Rocco, per accogliere i pellegrini e gli infermi
indigenti. La struttura alla fine del XVI secolo versa in cattive
condizioni e nel 1604 è ceduto alla comunità francescana dei
Riformati i quali provvedono a costruire un nuovo convento. La
pagina a fianco:
Matera, ex Ospedale di S.
Rocco, chiesa di Cristo
Flagellato, pitture murali,
1708-1710
Matera, ex Ospedale di
S. Rocco, chiesa di Cristo
Flagellato,
pitture murali, particolare,
prima metà XVIII secolo
103
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO DELLA BASILICATA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
cittadinanza, privata della struttura assistenziale, decide, nel
1610, di erigere un nuovo edificio scegliendo come sito l’area
antistante la facciata principale della chiesa di S. Giovanni
Battista, abbandonata dalle monache nel 1480.
Nel 1615, all’interno della struttura ospedaliera, si edifica la
chiesa di Cristo Flagellato, affidata alle cure della Congregazione
degli Artisti, riedificata nel 1708 e affrescata, nel 1710, a spese
di vari committenti. Successivamente l’edificio religioso è
ampliato verso l’esterno del cortile con l’apertura di un nuovo
ingresso, a cura dei Padri Ospedalieri di S. Giovanni di Dio a cui,
nel 1726, la struttura sanitaria è affidata. Tale ampliamento
rientra in un programma di ristrutturazione dell’intero complesso
che vede anche la ridefinizione dell’ingresso con un portale più
decoroso sul quale si appone lo stemma dell’Ordine religioso
raffigurante un melograno sormontato da una croce. La
presenza dei padri Ospedalieri è di breve durata: nel 1749
abbandonano improvvisamente la città non potendo accettare
che la Regia Udienza trasferisca nell’Ospedale un gran numero di
detenuti.
Da questo momento l’edificio subirà grosse trasformazioni. Nel
1825 avviene il trasferimento ufficiale dei detenuti e negli ultimi
decenni del secolo l’ex struttura ospedaliera è completamente
manomessa con la costruzione di una nuova ala a ridosso della
facciata della chiesa di S. Giovanni, e la ridefinizione degli spazi
originari in singole celle. Nel cortile è costruita una cappella
semicircolare e si conclude volumetricamente il primo piano le
cui stanze sono disimpegnate da una balconata.
L’epilogo delle trasformazioni avviene nella prima metà del XX
secolo con la edificazione, nel 1937, della attuale facciata che
comporta la definitiva chiusura dell’accesso esterno della chiesa
di Cristo Flagellato, la trasformazione, nel 1942, della stessa
chiesa in rifugio antiaereo e, qualche anno dopo, la realizzazione
nel cortile di un nuovo volume a ridosso dell’ingresso.
Stato dei luoghi
L’ex complesso ospedaliero sviluppa gli ambienti, disposti su
due livelli, attorno ad un ampio cortile quadrangolare. Gli
interventi costruttivi sette-ottocenteschi hanno provocato
pesanti alterazioni all’apparato decorativo della facciata della
chiesa di S. Giovanni Battista: mentre sono state
sapientemente conservate le ghiere decorate con motivo a
canestro e intrecci floreali del portale, sono state
completamente tagliati gli elementi architettonici aggettanti,
dagli archetti pensili che movimentavano i salienti, alle
104
colonnine che delimitavano le monofore delle navate laterali e
che fiancheggiavano il portale, e, infine, alla cornice cuspidata
che definiva questo in altezza; di tutti questi elementi rimane
ancora unicamente la traccia sulla muratura. L’utilizzazione a
carcere mandamentale del complesso ospedaliero, poi, ha
prodotto notevoli trasformazioni che ne hanno alterato
l’articolazione planimetrica e distributiva celando
completamente i volumi e le spazialità interne. Anche lo skyline del prospetto ha subito modifiche: ad una facciata con
terminazione non regolare, in cui si aprivano gli originari
accessi all’Ospedale e alla Chiesa di Cristo Flagellato, si è
sostituita una superficie lineare delimitata in altezza da un
ampio cornicione, e scandita da finestre disposte
simmetricamente rispetto al nuovo portone del carcere,
occultando, all’esterno, in modo irreversibile il portale della
Chiesa. Le murature delle celle inserite all’interno hanno
danneggiato, nel presbiterio in maniera irreversibile, nell’aula
in modo meno pregiudizievole, le pitture murali e distrutto
quasi completamente i peducci delle unghie della volta
dell’aula, dell’arco trionfale e degli arconi del presbiterio; di tutti
questi elementi risultavano leggibili le tracce sulla muratura.
Il progetto
II progetto originario prevedeva la riqualificazione dell’impianto
dell’ex Ospedale e la ridefìnizione della spazialità della Chiesa
degli Artisti, con la demolizione di tutte le sovrastrutture presenti
all’interno. La presenza di tracce e di frammenti degli elementi
decorativi che arricchivano le pareti della stessa hanno
permesso la loro ricostruzione nell’ottica di una completa
ricostituzione della facies architettonica del tempio. La
descialbatura delle pareti ha messo in luce gran parte delle
pitture murali settecentesche dell’aula che si presentano nella
loro integrità anche se con qualche lacuna.
La scoperta della facciata della chiesa duecentesca ha indotto,
successivamente, alla revisione del progetto iniziale. Partendo
dalla demolizione degli ambienti e della copertura del vano scala
costruiti a ridosso della facciata che ha permesso la lettura
integrale della stessa, anche se in uno spazio ristretto, si sono
avanzate due ipotesi progettuali, di differente incidenza rispetto
alla conservazione dell’impianto planimetrico del cortile dell’ex
Ospedale: la prima che, mantenendo inalterata la quinta muraria
di questa ala del cortile, facesse leggere la facciata attraverso la
realizzazione di una ampia breccia ricavata nella muratura della
cappella semicircolare; la seconda che prevedesse la
105
Matera: ex ospedale
di S. Rocco, simulazione
virtuale prima ipotesi
Matera: ex ospedale
di S. Rocco, simulazione
virtuale seconda ipotesi
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO DELLA BASILICATA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
demolizione completa della quinta muraria. Quest’ultima ipotesi,
certamente più suggestiva e qualificante per la facciata, in
quanto avrebbe permesso una visione globale della stessa e
quindi la percezione dell’architettura della facciata della chiesa in
tutta la sua espressione artistica riproponendo la fase costruttiva
originaria del Seicento del complesso ospedaliero che aveva
rispettato la struttura duecentesca, avrebbe compromesso
inevitabilmente la lettura dell’articolazione del cortile, così come
è stata definita nel XVIII secolo.
Per una valutazione scientifica delle due ipotesi si è proceduto a
realizzare una simulazione virtuale delle due soluzioni in grado di
consentire una analisi oggettiva di queste e giungere alla scelta
di quella più idonea e corretta, anche con l’apporto degli addetti
ai lavori e della collettività, che sarà poi il principale fruitore del
complesso.
La soluzione attuata è stata la prima, quella cioè che salvaguarda
la stratificazione storica del cortile dell’ex Ospedale e permette la
lettura della facciata della chiesa di S. Giovanni Battista
attraverso un ampio arco aperto nella muratura di fondo della
cappella semicircolare.
Progettista e Direttore dei
Lavori: Biagio Lafratta
Realizzazione video: ideazione,
testi e ricerche Biagio Lafratta
coordinatore scientifico ing.
Attilio Maurano
106
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO DELLA CALABRIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Soprintendenza per i beni
architettonici e per il
paesaggio della Calabria
Soprintendente: Francesco
Paolo Adriano Cecati
P.zza Valdesi, 13
87100 Cosenza
tel. 0984.75905
fax 0984.74987
[email protected]
Con il trasferimento dei centri
abitati dalle fasce costiere verso
l’interno, si scelgono, nell’alto
Michele Lanzillotti
medioevo, luoghi già frequentati
e Adele Bonofiglio
per il loro isolamento e la loro
sicurezza da insediamenti monastici.
Dell’organizzazione militare per castra, nella prima età
bizantina si sa ben poco, ma certamente dovevano essere
luoghi fortificati con la chiesa.
L’arrivo dei Normanni trova nella regione una organizzazione
del territorio ben radicata ed una cultura religiosa restìa al
processo di latinizzazione da loro avviato e perseguito dalle
dominazioni successive.
Cittadella vescovile
– Gerace (RC)
Formazione cronologica del complesso monumentale della
Cattedrale di Gerace
• Fra il IX-XI secolo i Normanni danno inizio ai lavori di
costruzione della cattedrale scegliendo l’area centrale della
rocca dove già esistevano laure bizantine.
• Fine XI sec. costruzione della cripta.
• XII sec. viene definito il corpo superiore della basilica collegato
alla cripta mediante due scale laterali.
• 1219/1291 dopo i danni del terremoto il santuario viene
riedificato da Federico II.
• XIII-XV sec. trasformazione del vano centrale delle grotte
lauritiche in sacello dedicato alla Vergine Deitria.
• 1431 sfondamento abside sud e costruzione ad opera dei
Caracciolo.
• XVI sec. abbattimento della scala nord e trasformazione dei
due vani collaterali in cappelle.
• 1509-1517 viene completata la copertura delle navate laterali
ad opera del Vescovo Bendinello de Saulis, poi restaurata dal
Vescovo Mattei.
• 1538 la cappella superiore viene assegnata alla confraternita
del Sacramento.
• XVII-XVIII sec. la cattedrale subisce una serie di terremoti
disastrosi.
L’episcopio, già esistente nel 1478, fu più volte rimaneggiato
e infine usato come carcere minorile.
Situazione attuale
Il complesso edilizio ha struttura portante in muratura, posata
probabilmente sulla roccia, alle varie quote che il pendio
naturale ha offerto all’impostazione delle fabbriche. La
107
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO DELLA CALABRIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
muratura è costituita da pietrame in elementi di forma e
dimensioni irregolari con legante in malta di calce.
Le strutture orizzontali sono realizzate, ai piani inferiori, ove
verosimilmente sono più antiche, con archi e volte in muratura
di pietrame. Ai piani superiori ricorrono solai in legno
generalmente crollati o in avanzato stato di degrado.
Le coperture sono solo in parte conservate.
Sono evidenti diversi interventi di ristrutturazione, riparazione,
aggiunte, sostituzioni che hanno trasformato, in alcuni casi
profondamente, la struttura.
Descrizione dell’intervento
La Cattedrale, oggetto anche di ricerca archeologica
costituisce uno degli interventi di restauro, insieme a tutta la
cittadella, di questa Soprintendenza.
Le zone interessate dal restauro sono il Seminario e
l’Episcopio in cui si pensa di collocare funzioni atte ad
accogliere un maggiore flusso di pubblico, quali centri di
accoglienza, museo, pinacoteca, sala convegni, biblioteca,
uffici direzionali e amministrativi, documentazione
informativa, auditorium all’aperto, sale espositive, abitazione
del custode.
Il collegamento ai vari livelli avviene attraverso scale originarie
e una di progetto con l’inserimento di ascensori e pedane
mobili per i disabili.
Nell’Episcopio viene allocata la Scuola di restauro permanente
mentre il piano superiore viene restituito per metà alla
destinazione originaria di Episcopio con stanze destinate al
Seminario.
Per gli esterni sono previste sistemazioni a giardino.
Progettista e Direttore dei
Lavori:
Ing. Francesco Paolo Cecati
Arch. Sergio De Paola
108
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO DELLA CALABRIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
La fortezza inserita nell’area
tematica prioritaria degli “Itinerari
dei Castelli e delle Fortezze”, cui
l’Ente Regione ha dato priorità nel
Michele Lanzillotti
triennio 2002/2004, in attuazione
e Adele Bonofiglio
al POR Calabria 2000-2006, Asse
II – Risorse Culturali, si presenta come intervento di indiscutibile
valore in riferimento alla valenza storico-artistica del manufatto ed
in riferimento al suo avanzato stato di degrado che richiede
interventi di somma urgenza per la tutela del monumento stesso
e per la salvaguardia del centro storico e degli abitanti.
Nel progetto si precisa l’intento di effettuare una ricostruzione
ideale del manufatto solo come strumento di studio, di
conoscenza, senza alterare la lettura del palinsesto monumentale.
La costruzione del castello, che rientra nel programma delle
fortificazioni militari predisposto da Federico II di Svevia ed
esposto nelle Diete dei Principi a Capua nel 1220 e a Messina nel
1221, ebbe inizio tra il 1220 e il 1225.
La scelta del sito e la necessità di fortificare la rocca rispondono a
ragioni di controllo delle percorrenze viarie tra la Puglia e la Calabria.
La fortezza sveva riproduceva e conteneva gli elementi
caratterizzanti le opere fortificate cosiddette a “difesa piombante”.
Un primo ampliamento è da attribuire alla famiglia Sanseverino,
che ricevuto da Carlo d’Angiò sul finire del sec.XIII, il feudo di
Rocca lo mantenne per circa due secoli.
A Carlo d’Angiò si deve l’innalzamento delle torri, ma i lavori più
significativi, destinati a trasformare il castello in un presidio
inespugnabile di straordinaria importanza strategica, sono
ascrivibili al periodo aragonese.
La trasformazione del castello proseguì nei secoli successivi fino
a cambiare, nel sec.XVIII l’aspetto originario in una residenza
fortificata.
Dopo una lunga serie di passaggi feudali (XV-XVIII) nel 1717 il
castello è acquistato dall’importante famiglia milanese dei Crivelli,
ultimi feudatari di Rocca. Ad essi si deve la realizzazione degli
alloggi e delle sale di rappresentanza dei piani più alti, la creazione
della loggia scoperta sovrastante la piazza d’armi e la mirabile
soluzione di chiusura della scala a ventaglio che conduce,
dall’androne d’ingresso ai livelli in cui si articola la fortezza.
Dai Duchi Crivelli l’immobile passò ai de Pirro di Nocara quindi al
vescovo di Tursi e nel 1913 alla famiglia Cappa che lo abitò fino
al 1953.
Agli inizi del XX sec. risale il ponte di accesso al castello, costituito
da due arcate, ad opera di maestri tarantini.
Il Castello Svevoaragonese – Rocca
Imperiale (CS)
109
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
DELLA CALABRIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Nel corso degli anni ’60 l’Amministrazione comunale collocava
nella piazza d’armi il serbatoio di approvvigionamento idrico, con
conseguente sopraelevazione del livello d’imposta delle zone
contigue e l’alterazione dei locali e delle murature interessati dal
passaggio delle condotte. Di più recente realizzazione sono invece
alcuni corpi edilizi ubicati ai fianchi del terrapieno di collegamento
al ponte fisso. Queste diverse utilizzazioni e conseguenti
adeguamenti, hanno accelerato il degrado della fortezza in
condizioni di precarietà soprattutto nelle strutture murarie
settecentesche interessate da gravi Problemi di stabilità dovuti a
crolli, cedimenti e lesioni in più punti.
Finalità progettuali
I lavori hanno i seguenti scopi:
• eliminare le superfetazioni, gli interventi e i materiali in contrasto
con l’emergenza architettonica
• consolidare le quinte murarie che si presentano spesso
disarticolate
• ricreare, per quanto possibile, le condizioni di fruizione originarie
del castello, il ripristino delle antiche quote e degli orizzontamenti
nonché delle soluzioni tipologiche dei tetti.
• proteggere dagli agenti atmosferici la fortezza realizzando nuove
coperture.
• ripristinare le antiche aperture (porte, balconi, finestre)
110
• realizzare il sistema di raccolta delle acque meteoriche atto a
convogliare l’acqua piovana dal tetto nell’antica cisterna.
• ripristinare le antiche pavimentazioni in acciottolato e laterizio.
• ripristinare la scala di collegamento.
• ripristinare l’aspetto materico ed estetico delle antiche finiture
murarie attraverso l’analisi, la progettazione, la pulizia, il restauro
di intonaci e pitture parietali.
Indagini preliminari agli interventi di restauro
Le indagini preliminari riguardano le murature verticali e
dovranno essere effettuate sui materiali lapidei, intonaci, malte,
dipinti murali ed affreschi. Tali indagini consistono nella: analisi
mineralogico-petrografica, analisi delle caratteristiche chimicofisiche-mineralogiche, analisi biologiche, prospezioni
elettromagnetiche da eseguire con georadar.
Raccolta documentale
L’intervento costituisce una nuova fase documentale del Sistema
Informatizzato Interattivo (SII)
predisposto nel precedente intervento e finalizzato a trasformare
l’attività di restauro del castello in
un’ esperienza didattica e divulgativa. L’attività documentale
(grafica e fotografica) riguarda tutte le indagini e le principali fasi
delle lavorazioni predisposte in progetto.
111
Responsabile del progetto di
restauro: Francesco Paolo Cecati
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCIE DI BOLOGNA, MODENA E REGGIO EMILIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Il Castello di Canossa, i cui
ruderi con l’attiguo museo
“Naborre
Campanini”
sorgono sulla cima di una
possente
formazione
rocciosa nota come Rupe
di Canossa, deve la sua
grande notorietà allo
storico incontro tra
Leonardo Marinelli
e Elisabetta Pepe
l’Imperatore Enrico IV ed il
Papa Gregorio VII avvenuto nel gennaio dell’anno 1077, auspice
la Contessa Matilde di Canossa, signora di quelle terre. Oggi
Castello e Rupe sono di proprietà del Demanio dello Stato in
consegna alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e il
Paesaggio per le provincie di Bologna, Modena e Reggio Emilia.
È dagli anni Settanta che il Ministero, tramite la Soprintendenza
di Bologna impegna ingenti energie con lavori di restauro sui
resti del Castello, nonché di consolidamento delle rocce per
arginare i fenomeni disgregativi della rupe che tuttavia, a causa
della sua particolare conformazione geologica, non si è mai stati
in grado di bloccare in via definitiva, ma unicamente di
mantenere entro limiti accettabili per la sicurezza delle persone e
per garantire la conservazione del monumento.
Dal punto di vista geo-litologico, la rupe del castello è costituita
da banconi calcarenitici compatti con rare intercalazioni di livelli
a più elevato contenuto marnoso, mentre le rocce che
costituiscono il rilievo collinare sottostante sono costituite da
argilliti marnose grigie, molto degradabili.
La morfologia e le differenti proprietà esistenti tra l’arenaria e le
sottostanti argilliti favoriscono inoltre l’insorgere di fenomeni di
frana a sviluppo molto lento, che determinano la formazione di
fratture anche in profondità nell’ammasso roccioso. La parte
corticale di detto ammasso roccioso risulta essere particolarmente
lesionata, con frequenti fratture aventi apertura anche decimetrica,
prive di riempimento. Vi sono quindi diffuse situazioni d’instabilità
Soprintendenza per i beni
con pericolo di crollo di volumi rocciosi aventi dimensioni a volte
architettonici e per il
assai considerevoli, fenomeni ai quali non è estranea l’azione
paesaggio per le provincie di
Bologna, Modena, e Reggio
disgregatrice delle radici degli alberi. L’instabilità che caratterizza la
Emilia
rupe con ogni probabilità è anche una delle concause dei diffusi
Soprintendente:
Sabina Ferrari
fenomeni fessurativi che interessano i ruderi del castello
soprastante. Nel corso dell’ultimo quinquennio gli interventi al
Via IV Novembre, 5
complesso monumentale, ad oggi conclusi, hanno interessato il
40123 Bologna
tel. 051.6451311
restauro dei ruderi, l’adeguamento del museo, il consolidamento
fax 051.264248
delle rocce, per un importo di circa € 750.000,00.
[email protected]
Interventi di
consolidamento e
programmi di
valorizzazione del
castello di Canossa. Un
esempio di fruttuosa
collaborazione tra Stato
ed Enti locali
112
I lavori di consolidamento della rupe sono stati eseguiti, prima,
su parte del versante nord-est e più recentemente su una
porzione del fronte sud. A seguito del verificarsi di numerosi
crolli, in particolare in prossimità dell’abitato sottostante, è stato
avviato,nel corso del 2002, un primo, limitato intervento di
consolidamento sul fronte meridionale.
Nel corso di questa primo lotto di lavori si è constata tuttavia una
situazione di maggior pericolo e gravità rispetto a quanto
preventivato. Ciò ha imposto la necessità di elaborare un progetto
complessivo di consolidamento dell’intero versante meridionale:
tale progetto, elaborato a cura della Soprintendenza, è stato
sottoposto e condiviso dagli Enti istituzionalmente coinvolti
(Provincia, Comune e Servizi Regionali competenti) ed è stato
concretamente eseguito sia con finanziamento ed esecuzione
diretta da parte della Soprintendenza, che con stanziamenti della
Protezione Civile della Regione assegnati al Comune di Canossa
che ha appaltato e condotto i relativi interventi, che, infine, con
ulteriori somme messe a disposizione dalla Provincia di Reggio
Emilia, destinate alla realizzazione di opere di protezione della
Strada Provinciale che in quel tratto corre in fregio alla rupe, opere
quest’ultime di prossima esecuzione. Il progetto è stato preceduto
da una accurata rilevazione geo-strutturale del fronte roccioso,
curata dal Servizio Tecnico Regionale, con l’individuazione e la
caratterizzazione di ogni singolo prisma lapideo instabile.
113
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCIE DI BOLOGNA, MODENA E REGGIO EMILIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Preso atto comunque dell’aggravarsi e del progredire dei
fenomeni di dissesto si è ritenuto opportuno approntare un
sistema di controllo e monitoraggio complessivo della rupe volto
alla prevenzione di possibili future situazioni di emergenza in
riferimento al pericolo di crolli: tale programma sarà oggetto di
apposita Convenzione da sottoscrivere tra Soprintendenza,
Servizio Tecnico di Bacino e Club Alpino Italiano.
Per l’approntamento di tale sistema di monitoraggio la
Soprintendenza ha accantonato, nell’ambito di una propria
perizia di spesa, la somma necessaria per l’acquisto e
l’installazione delle apparecchiature di monitoraggio della rupe
che, ad oggi già installate con l’ausilio del C.A.I. regionale, ha
visto la 1° lettura (lettura zero) in tempi recenti.
Come semplice curiosità si informa che nelle prime
perlustrazioni compiute dal CAI nell’ambito dello svolgimento di
questo programma, è stata rintracciata una specie botanica che
si credeva scomparsa nella zona, e che invece è ancora presente
solo nelle pendici della rupe di Canossa.
Nel corso del 2003 si sono verificati inoltre una serie di
smottamenti sul fianco ovest della rupe che hanno comportato
la chiusura parziale del percorso pedonale e della strada vicinale
posta alla base della rupe: con le somme già stanziate
nell’esercizio finanziario 2004 è stato possibile programmare un
intervento, pur limitato, anche su tale fronte, da realizzare con le
metodologie già sperimentate per gli analoghi lavori di
consolidamento compiuti sugli altri versanti. L’ultimo e più grave
evento di crollo è avvenuto il 28 gennaio 2004 quando un
macigno di circa 50 mc si è staccato dalla parte sommitale del
fronte est precipitando al piede della rupe sul sentiero pedonale
a pochi metri dalla strada provinciale. In coordinamento con il
Comune di Canossa, la Provincia di Reggio Emilia, il Servizio
Tecnico di Bacino di Reggio Emilia e la Protezione Civile della
Regione sono state immediatamente attivati i necessari
interventi di messa in sicurezza dei luoghi (chiusura al traffico
della strada, interdizione all’accesso delle persone dalle aree
poste al piede della rupe, intervento di somma urgenza per il
disgaggio del materiale pericolante ancora presente in parete).
Contemporaneamente, per la concomitanza di un fenomeno
franoso (non correlabile a quello del Castello di Canossa)
avvenuto alla fine di febbraio dello stesso anno alle pendici del
Castello di Rossena (nello stesso Comune di Canossa e
nell’ambito del medesimo contesto storico ambientale) si sono
attivati gli Organi regionali ed in particolare la Commissione
Grandi Rischi della Regione.
114
Constata la gravità degli eventi calamitosi in atto a quel periodo
la Commissione Grandi Rischi ha interessato del caso il
Dipartimento della Protezione Civile che, nella persona del Capo
Dipartimento Dott. Guido Bertolaso, ha effettuato un sopralluogo
prendendo visione di entrambi gli eventi.
Gli impegni tecnico e finanziari assunti in quella data trovano
oggi concreta attuazione da parte di tutti i Soggetti
istituzionalmente coinvolti: i finanziamenti della Protezione Civile
già assegnati a Comune e Provincia consentiranno alla Provincia
di Reggio Emilia la conclusione dei lavori di messa in sicurezza
della Strada e di consolidamento del versante est, al Comune di
Canossa di proseguire, sul versante ovest, l’opera di protezione
della stradello pedonale, mentre la Soprintendenza opererà,
nell’ambito delle somme già accantonate per l’esercizio
finanziario 2004, sempre sul lato occidentale, in prossimità
dell’ingresso al Castello.
Contestualmente alle problematiche connesse alla instabilità dei
fronti rocciosi della rupe di Canossa si è andato aggravando con
una notevole evidenza il degrado delle murature dei ruderi del
castello; per questo motivo è stato predisposto dall’Ufficio un
progetto di consolidamento di dette murature oltre che della
massa rocciosa sottostante e di completamento di tutte le
necessarie misure di sicurezza per i visitatori: i lavori sono ad
oggi in fase di esecuzione.
115
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCE DI MILANO, BERGAMO, COMO, PAVIA, SONDRIO, LECCO, LODI E VARESE
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Nel corso dei lavori di
restauro ed adeguamento
museale dell’ala sud della
Villa Reale di Monza1 sono
stati affrontati una serie di
Marina Rosa, Bruno Lattuada
interventi
riguardanti
strutture ed apparati decorativi lignei. Mentre le prime hanno
presentato problematiche di una certa difficoltà, risolte ed
affrontate unitamente ai tecnici del Comune di Monza1 con
l’ausilio di innovativi sistemi di monitoraggio, i secondi, di
estremo interesse storico-artistico, sono stati oggetto di studi ed
indagini particolari, nonché occasione di interessanti esperienze
didattiche.
Nel caso delle strutture si è verificata la necessità di affrontare,
in fase di risanamento delle coperture, il consolidamento statico
di una delle travi di grande luce (m 17,80 cadauna) costituenti le
due capriate del cosiddetto Belvedere; la trave, che mostrava
evidenti dissesti in corrispondenza degli appoggi, era affiancata
da quasi un trentennio da una coppia di strutture reticolari in
acciaio, per la realizzazione delle quali erano stati smantellati tutti
gli ambienti del corpo centrale rialzato. Gli interventi di
consolidamento della capriata sono stati preceduti da opportuni
rilievi ed indagini conoscitive finalizzate a definirne geometria e
stato di conservazione. Considerata la necessità di eseguire tali
accertamenti direttamente in sito e tenuto conto
dell’orientamento progettuale di conservare ove possibile la
struttura originale, sono state utilizzate tecniche di indagine non
distruttive, in grado di evitare alterazioni del materiale originario.
Peraltro, l’incertezza dei risultati di tali indagini, legata anche alla
mancanza di una ben precisa codificazione a livello normativo,
ha fatto ritenere necessaria l’esecuzione di prove di differente
tipologia sugli stessi elementi, in modo da poter procedere ad un
confronto incrociato sui dati ottenuti con le diverse tecniche. In
particolare sono state effettuale indagini visive, endoscopiche,
misure di umidità, prove ultrasoniche e prove penetrometriche
Soprintendenza per i Beni
con apparecchio Resistograf.
Architettonici e per il
La campagna diagnostica eseguita ha permesso di comporre un
Paesaggio per le province di
Milano, Bergamo, Como,
quadro sufficientemente completo dello stato di conservazione
Pavia, Sondrio, Lecco, Lodi e
della capriata in generale e della trave in particolare: le principali
Varese
Soprintendente: Alberto Artioli
patologie di degrado riscontrate erano dovute alla perdita di
consistenza del tessuto legnoso in prossimità delle testate degli
Piazza Duomo, 14
elementi, causata da attacchi di funghi e muffe, ragionevolmente
20122 Milano
tel. 02.86313211
favoriti dalla notevole umidità rilevata all’interno della massa
fax 02.72023269
legnosa, con valori prossimi ai livelli limite di accettazione per il
[email protected]
Il cantiere della Villa
Reale di Monza
Interventi su strutture ed
apparati decorativi lignei
116
legname strutturale in esercizio. Il tenore igroscopico rilevato era
da attribuire principalmente ai dissesti nel manto di copertura,
soprattutto nelle zone di compluvio, che hanno favorito negli
anni la percolazione dell’acqua piovana.
Considerato che l’obiettivo principale dell’intervento era di
restituire alla struttura in legno la funzione statica originaria e di
eliminare la capriata in ferro, consentendo l’eventuale ripristino
degli ambienti smantellati negli anni Settanta, il recupero è stato
realizzato con protesi lignee a sostituzione delle parti terminali
sopra: la capriata del Belvedere con la trave reticolare in ferro
posizionata nel corso degli interventi di consolidamento degli anni
settanta (disegno Adami)
Sotto: la capriata del Belvedere dopo l’intervento di restauro(Foto
Pozzi)
117
1
La Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il Paesaggio
di Milano ha avviato, sin dal
1998, il progetto di
adeguamento dell’ala sud delle
Villa Reale a” Museo della Villa”.
Il progetto si deve, per l’aspetto
architettonico a Marina Rosa in
collaborazione con Sandro
Rossi, Bruna Vielmi, Studio
Associato Sacchi & Chiodini, per
l’aspetto strutturale ad Andrea
Del Grosso della D’Apollonia
S.p.A., e per l’aspetto
impiantistico alla Manens
Intertecnica S.r.l.. Il
finanziamento di € 7.746.000 è
stato stanziato dal Ministero per
i Beni Culturali sui Fondi Lotto.
Attualmente è in fase di
esecuzione un primo lotto
funzionale per un importo pari
ad € 4.420.000 circa.
2 Il progetto di restauro delle
coperture della Villa Reale a cura
del Comune di Monza è stato
redatto da Bruno Giordano
Lattuada Coordinatore ai Lavori
pubblici e Dirigente del Settore
Progettazioni del Comune di
Monza, con la collaborazione
dell’ufficio progetti Speciali, da
Simone Di Trapani, funzionario
Tecnico del Comune di Milano e
da Marina Rosa Ispettore della
Soprintendenza ai Beni
Ambientali ed Architettonici di
Milano. La progettazione statica
è stata a cura di Andrea Del
Grosso della Società D’Apollonia
di Genova.
3 Il sistema è stato fornito e
messo in opera dalla Ditta
Tecniter S.r.l. di Cassina de’
Pecchi
4 I pavimenti lignei del Primo
Piano Nobile della Villa Reale di
Monza sono stati restaurati nel
corso di un decennio da Antonio
Asnaghi di Meda e dal
Laboratorio di Renato Girardi.
Progetto e direzione lavori:
Marina Rosa
5 Per lo studio sull’evoluzione delle
pavimentazioni in Villa Reale vedi
l’articolo della scrivente, “Alcune
considerazioni sui pavimenti della
Villa Reale di Monza”, in fase di
pubblicazione su “ I Quaderni di
Villa Reale di Monza”, N° 2,
Betagamma Editore.
6 Lo studio sulla tavola intarsiata
con testa di Medusa e sul
disegno preparatorio del
Traballesi è stato condotto da
Giulia Fusconi del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali,
Dipartimento per la Grafica.
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCE DI MILANO, BERGAMO, COMO, PAVIA, SONDRIO, LECCO, LODI E VARESE
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
7
Il restauro della tavola
intarsiata con testa di Medusa è
stato condotto da Luca Quartana
sotto la direzione della scrivente.
Il testo completo dell’intervento
sarà pubblicato su “ I Quaderni
di Villa Reale di Monza”, N° 2,
Betagamma Editore
8 I Rilievi, le indagini e
l’intervento di messa in
sicurezza dei pavimenti lignei
degli Appartamenti Imperiali è
stato condotto da Luca Quartana
su incarico del Comune di
Monza. Progettazione e
Direzione lavori: Bruno Lattuada,
Direzione Artistica. Marina Rosa
inferiori dei puntoni e delle teste della catena. L’esecuzione delle
protesi ha comportato l’asportazione della parte ammalorata con
realizzazione di un intaglio su cui unire la protesi, realizzate con
legname di essenza eguale o compatibile. La protesi e l’elemento
originario sono poi stati solidarizzati mediante l’inserzione di barre
di acciaio in fori successivamente iniettati con resina epossidica.
Nella fase di taglio delle estremità della catena per la realizzazione
delle protesi lignee, si è constatata una vistosa deformazione
torsionale della catena stessa, la cui osservazione,
precedentemente agli interventi di recupero, era impedita dalla
struttura metallica ad essa affiancata. Dato che lo stato
deformativo riscontrato lasciava qualche perplessità sull’effettivo
comportamento della capriata restituita alla sua funzione statica,
si è ritenuto indispensabile installare un sistema di monitoraggio
della capriata, in grado di seguire l’evoluzione dei suoi stati
deformativi durante la fase di messa in carico e nella fase di
esercizio. Il sistema è formato essenzialmente da inclinometri
monoassiali e biassiali fissati agli elementi principali della
capriata3. L’esito del monitoraggio ha portato a valutare
necessario l’inserimento di un presidio all’assorbimento della
spinta orizzontale dei puntoni.
Durante le fasi di messa in forza della struttura in legno, la
strumentazione è stata integrata con due trasduttori lineari di
spostamento in corrispondenza degli appoggi, successivamente
rimossi. Una volta completati i lavori di rimozione della struttura
provvisionale del tetto, il sistema è stato integrato con un
sensore di umidità e un sensore di temperatura, aventi lo scopo
di verificare che nell’ambiente del Belvedere non si ricreino
condizioni sfavorevoli alla conservazione delle strutture lignee.
Considerato il carattere non comune degli interventi eseguiti ed
essendo presente nell’edificio principale una rete permanente di
sensori di deformazione a fibra ottica per il monitoraggio
strutturale delle parti più significative della Villa, si è giudicato
opportuno integrare il sistema studiato per la capriata nella rete
generale. È stata pertanto predisposta una centralina di
acquisizione compatibile con il sistema di monitoraggio a fibre
ottiche già presente.
Questo intervento squisitamente tecnico effettuato nel corso dei
lavori di rifacimento delle coperture, condotti a cura del Comune
di Monza, è stato affiancato da tutta una serie di studi, rilievi,
operazioni di messa in sicurezza e restauro di alcuni dei preziosi
impalcati lignei che caratterizzano gli ambienti nobili della Villa,
tra cui quelli degli Appartamenti Privati della Sovrana e degli
Appartamenti Imperiali.
118
La campagna di ripristino dei pavimenti intarsiati della reggia
monzese, iniziata da alcuni anni ed interessante gran parte delle
stanze del primo piano nobile, ha portato ad affrontare anche il
restauro degli impalcati più antichi del complesso4: assiti in
tavole di noce, posati direttamente sui travetti del solaio ed
intarsiati, risultati quantomeno di bottega maggioliniana, come
risultato dello studio scaturito dalla necessità di capire se e quali
”parquetè” tra quelli attualmente esistenti in Villa Reale fossero
da annoverare tra la ricca ed importantissima produzione
dell’intarsiatore di Parabiago e della sua bottega per le
committenze reali d’Austria e di Francia.5
Nel corso delle ricerche, grazie al ritrovamento del disegno
preparatorio, è stato anche possibile datare con esattezza una
tavola con testa di Medusa intarsiata da Giuseppe Maggiolini6, il
cui restauro ha comportato una serie di indagini, verifiche ed
approfondimenti tesi a definirne la natura di elemento
pavimentale.7
Di particolare interesse è stata anche l’indagine preparatoria al
restauro e la conseguente messa in sicurezza dei pavimenti di tre
delle più rappresentative stanze degli Appartamenti Imperiali, che
avevano risentito sia dell’utilizzo improprio del complesso sia,
successivamente, dello stato di abbandono che ha interessato
l’edificio nel corso di tutto il Novecento. I fenomeni alterativi
conseguenti a tali condizioni ambientali, perdurate per diversi
decenni, avevano poi subito ulteriori peggioramenti a causa delle
infiltrazioni d’acqua dalla copertura, anch’essa degradata.
119
9La
serie dei tavolini da gioco
intarsiati dalla bottega del
Maggiolini è stata restaurata
parte da Luca Quartana e parte
dal Laboratorio di Renato Girardi
con fondi del Ministero per i
Beni Culturali e condotto dalla
Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il Paesaggio
di Milano. Progetto e Direzione
lavori: Marina Rosa.
Collaborazione: Lorenza
Dall’Aglio. Supervisione storicoartistica: Sandrina Bandiera,
Soprintendenza per i Beni
Artistici della Lombardia.
10I primi e fondamentali studi
sulle segnature inventariali si
devono ad Ivana Novani, che ha
curato anche il riordino
dell’Archivio Storico delle
Residenze Reali.
Particolari del tavolino da
gioco con cammei
realizzato da Giuseppe
Maggiolini su committenza
napoleonica(Foto Ranzani)
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCE DI MILANO, BERGAMO, COMO, PAVIA, SONDRIO, LECCO, LODI E VARESE
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Si è reso pertanto necessario affrontare interventi mirati a
fermare i sollevamenti, evitando così la perdita di importanti
porzioni pavimentali. A tale scopo sono stati predisposti
accurati rilievi e indagini conoscitive finalizzati ad
approfondire le conoscenze sullo stato conservativo; questa
prima campagna è stata poi affiancata da una serie di
campionature finalizzate alla messa a punto delle metodologie
d’intervento.8
Questa serie di interventi e di indagini si è anche tradotta in
un’interessante esperienza didattica che ha visto coinvolti
alcuni studenti del primo corso di studi dell’Istituto Terragni di
Meda. Gli studenti, guidati dai professori in stretta
collaborazione con la Soprintendenza, hanno eseguito una
campagna di rilevo dei pavimenti della Villa Reale
finalizzandola all’acquisizione di tutte quelle informazioni utili
alla caratterizzazione dei manufatti, quali ad esempio
infestazioni, fessure, fratture, essenze utilizzate, il tutto
secondo la tecnica del “rilevamento in sito”; tecnica rigorosa
che consente di ottenere dei rilievi estremamente precisi e
affidabili poiché rilevamento e restituzione grafica sono
garantiti da un continuo e costante confronto con il manufatto.
Ha caratterizzato anche i lavori in corso la campagna di
restauro della preziosissima serie di tavolini da gioco
intarsiati dalla bottega del Maggiolini, che arredavano gli
ambienti di rappresentanza delle regge milanesi durante il
periodo napoleonico 9. I delicati interventi, che si sono resi
necessari per ovviare allo stato di estremo degrado in cui
versavano questi preziosi arredi, sono stati accompagnati da
una campagna di indagini archivistiche e documentali che
hanno consentito, attraverso l’analisi delle sigle inventariali,
una lettura abbastanza precisa della storia di ogni singolo
pezzo nell’inscindibile suo rapporto con le sedi di
appartenenza.10
Un insieme di interventi quelli affrontati dalla Soprintendenza per
i Beni Architettonici di Milano nel complesso cantiere della Villa
Reale e mostrati in questa sede che, oltre ad avere come
denominatore comune il legno in alcune delle sue varie
declinazioni, sono accomunati dall’aver scaturito indagini, studi
e ricerche di notevole interesse. Un’ennesima dimostrazione di
come il restauro sia sempre e comunque occasione unica di
conoscenza di un oggetto in tutti i suoi molteplici aspetti.
120
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCE DI VENEZIA, BELLUNO, PADOVA E TREVISO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Soprintendenza per i beni
architettonici e per il
paesaggio per le province di
Venezia, Belluno, Padova e
Treviso
Soprintendente:
Guglielmo Monti
Santa Croce, 770
(Palazzo Soranzo Cappello)
30135 Venezia
tel. 041.2574011
fax 041.2750288
La Chiesa Arcipretale di San
Floriano in Pieve di Zoldo (BL),
edificata attorno al X secolo sulla
sommità di una collina e
caratterizzata da una facciata
dipinta, costituisce un episodio
unico nel territorio bellunese. Lo stretto percorso che conduce
alla piazza della chiesa si dilata improvvisamente nel sagrato sul
quale la superficie dipinta costituisce una quinta di fondo. La
tipologia è fortemente condizionata dalla tradizione locale e dalla
persistenza di elementi da questa derivanti, come l’impianto “a
sala” e la “copertura a capanna” i cui ripidi spioventi incorniciano
l’innovativa facciata di inequivocabile gusto rinascimentale.
La superficie del fronte principale, presenta una sapiente
ripartizione dello spazio attraverso finte architetture che
fungono al tempo stesso da trama e ordito al tessuto
decorativo. In una triplice partitura architettonica di colonne e
paraste, sviluppate su tre ordini sovrapposti, sono racchiusi
episodi figurativi di cui oggi, per il precario stato di
conservazione della superficie, rimangono solo fievoli tracce.
In asse con il l’apertura d’ingresso è rappresentata La Vergine
col Bambino e, ai lati, sullo stesso ordine, l’Arcangelo Gabriele
e l’Annunciata. Sulla parte intermedia, ai lati del rosone, da un
lato è il riquadro di Sant’Antonio Abate e San Floriano,
dall’altro la rappresentazione di San Martino di Tours.
Nella fascia sottostante sulla sinistra della facciata, al lato del
portale d’ingresso incorniciato a sua volta da una finta
trabeazione, è raffigurata la monumentale immagine di San
Cristoforo patrono dei viandanti, e sopra il portale il Leone di
San Marco.
Il progetto di restauro della facciata affrescata di San Floriano in
Pieve di Zoldo (BL), redatto e diretto dalla Soprintendenza per i
Beni Architettonici e del Paesaggio delle province di Venezia –
Belluno – Padova e Treviso, si configura come un intervento
pilota circoscritto ad una campitura, in quanto mira da un lato
ad analizzare, i fenomeni di alterazione e di comprendere le
cause generali del degrado, oltre che la compatibilità fisica dei
materiali di precedenti restauri, e dall’altro lato di preventivare e
testare una serie di operazioni, al fine di verificare e valutare
correttamente prodotti e metodi applicativi, per poter estenderle
successivamente a tutta la superficie.
Lo stato di conservazione della facciata è inficiato da due
importanti fenomeni strettamente connessi e consequenziali:
il dilavamento meteorico, che ha causato la perdita dello strato
Il progetto pilota del
restauro della
facciata affrescata di
San Floriano: principi
e metodi operativi
121
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCE DI VENEZIA, BELLUNO, PADOVA E TREVISO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
di intonaco, elemento di supporto della superficie pittorica;
l’attacco di natura biologica che trova condizioni ottimali nella
porosità della materia di un intonaco fortemente eroso. A
questa situazione si aggiungono circoscritti fenomeni di tipo
fisico-meccanico, quali il distacco del supporto pittorico dalla
struttura muraria e danni riconducibili a interventi precedenti,
quali stuccature con intonaco cementizio, iniezioni a base di
riempitivi incongrui, incompatibili con l’originale per elasticità,
capacità di assorbimento, traspirabilità e coesione.
L’intervento attuale è di carattere essenzialmente
conservativo. L’obiettivo principale che il progetto si prefigge
è il recupero e la conservazione delle frammentarie tracce di
decorazione originarie, mediante operazioni volte al controllo
e alla stabilizzazione dei fenomeni di degrado.
Nei precedenti interventi di restauro la superficie è stata
oggetto di un’esteso intervento secondo l’istanza estetica con
una ridefinizione degli elementi decorativi e architettonici
direttamente sull’intonaco impoverito. Dopo gli studi
preliminari e la fase del pre-consolidamento, si è cercato di
recuperare le parti superstiti dell’affresco originario tramite la
pulitura e il trattamento biocida che, se da un lato hanno
comportato la inevitabile perdita dei ritocchi pittorici degli anni
Settanta a base acquosa, dall’altro hanno riportato in luce
alcuni frammenti di decorazione originale, precedentemente
occultati.
Si è proceduto alla riadesione delle parti di intonaco staccate
dal substrato murario, al consolidamento e alla ricostruzione
parziale della struttura superficiale fortemente impoverita,
conferendo finitura e/o continuità materica al supporto, in
vista di un’eventuale integrazione dell’immagine.
Successivamente, ha avuto luogo la rimozione delle
stuccature e delle integrazioni riconducibili agli interventi
precedenti, incompatibili per composizione chimica e
caratteristiche fisiche con gli strati originari.
La metodologia d’intervento, complessa ed articolata, estesa
a tutta la superficie muraria, è stata tarata sui risultati di una
prima fase diagnostica mediante:
• l’analisi del rilievo, riguardante lo scostamento della verticalità
di facciata;
• la restituzione ortofotografica della struttura;
• la mappatura del degrado;
• il rilievo “in situ” su scala reale della campitura oggetto
dell’intervento, finalizzato ad una restituzione grafica
dell’estensione dello stato conservativo della policromia
122
originale e degli interventi di restauro;
• a differenziate analisi di laboratorio sui prelievi, finalizzate alla
definizione della natura dei materiali costitutivi (strati
preparatori e pellicola pittorica; alla composizione
mineralogico-petrografica degli intonaci (originali e di
rifacimento); verifica dello stato di conservazione mediante
l’identificazione dei prodotti di degrado chimico-fisico
(efflorerscenze saline, croste nere, patine ecc.) e degli agenti
biologici (alghe, licheni, ecc..).
Alla fase diagnostica, indispensabile per la definizione
metodologica e per l’identificazione dei prodotti da utilizzare,
fa seguito la fase strettamente operativa.
Da una lettura ravvicinata del manufatto si è potuto notare che
inizialmente la superficie ad intonaco era stata trattata con
un’incisione a finto bugnato. Soluzione ancor oggi leggibile
sulle superfici verticali laterali e in modo più chiaro nei punti
più protetti dal dilavamento meteorico, sotto gli sporti del
tetto, mentre sul fronte principale è stata sovrapposta una
rappresentazione grafica e pittorica di maggior pregio e
complessità.
Il progetto di restauro degli intonaci dipinti ha interessato una
porzione della facciata, a sinistra in basso, comprendente la
figura di San Cristoforo ed il contrafforte con la raffigurazione
della Croce.
Tecnicamente la facciata si presenta dipinta con colori in
polvere emulsionati ad un legante inorganico (la calce) su uno
strato di intonaco ancora fresco in grado di carbonatare il
pigmento una volta asciutto. Questa tecnica doveva
necessariamente essere eseguita a giornate e/o pontate (aree
circoscritte di lavoro), per tale ragione oggi possiamo
osservare a luce radente un numero importante di riquadri
dipinti su tutta l’estensione della parete. Per quanto concerne
l’esecuzione di San Cristoforo, invece, il riquadro pittorico è
doppio, questo significa che è stato eseguito in due giornate.
I dipinti e le quadrature architettoniche sono state trasferite
sull’intonaco attraverso l’incisione diretta eseguita con un
punteruolo in grado di incidere la superficie lasciando una
traccia grafica per la successiva stesura del colore.
Il progetto pilota di restauro di un settore degli intonaci dipinti
della facciata della Chiesa di San Floriano in Pieve di Zoldo
(BL), avviato con una disponibilità economica esigua, si riterrà
concluso solo quando, verrà completata anche la restante parte
della facciata, con posssilbilità di “ricalibrare” quanto già
realizzato secondo l’unitarietà e la coerenza dell’insieme.
123
Responsabile del Procedimento:
Gugliemo Monti
Progettista e Direttore Lavori:
Silvana Rotondo
Assistente al Progetto e D.L.:
Restauratrice Maria Grazia
Martin
Restauratori Natascia Girardi
e Francesco Basso
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCE DI VERONA, ROVIGO E VICENZA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Soprintendenza per i beni
architettonici e per il
paesaggio per le province di
Verona, Rovigo e Vicenza
Soprintendente:
Gianna Gaudini (reggente)
Piazza S. Fermo, 3/a
37100 Verona
tel. 045.8050111
fax 045.597504
I
Quaderni
della
Soprintendenza per i beni
architettonici e per il
paesaggio di Verona,
Vicenza
e
Rovigo
costituiscono il bollettino
Gianna Gaudini
delle attività che l’Istituto
conduce nello svolgimento dei propri compiti istituzionali. Essi
rappresentano l’occasione per rendere note agli utenti, agli
specialisti ed anche al più vasto pubblico, le iniziative e gli
interventi più significativi che la Soprintendenza mette in atto,
anche in collaborazione con altri Enti pubblici o privati, nel campo
della conservazione e della valorizzazione dei Beni Culturali.
È il caso di ricordare, al riguardo, come le più aggiornate norme
per la conduzione degli Istituti del Ministero prevedano
l’essenziale rapporto di fattiva e proficua collaborazione con gli
Enti locali pubblici, ecclesiastici, ed anche privati, presenti
nell’ambito geografico di pertinenza e concorrenti nella comune
politica di tutela e di diffusione della cultura della conservazione,
affinché la reciproca collaborazione ed il costante confronto
possano giovare all’operatività, all’affinamento della coscienza
critica per una corretta gestione dei Beni Culturali ed alla sua più
efficace diffusione.
I Quaderni intendono anche costituire, pertanto, il mezzo per
fornire le informazioni su alcuni aspetti particolari del complesso
lavoro di tutela e di salvaguardia dei monumenti e del paesaggio
che l’Istituto stesso conduce nel proprio territorio di competenza,
nell’ambito delle vigenti leggi che regolano l’esercizio di tale
materia ed in conformità con lo spirito e con il dettato del Codice
dei Beni Culturali e del Paesaggio emanato dal Ministero
medesimo nell’anno 2004.
In questo primo numero, edito nel marzo 2005, è descritto il
complesso dell’ex convento di San Fermo in cui hanno sede gli
Uffici della Soprintendenza, sono sinteticamente esposte le
funzioni che l’Istituto stesso ricopre nel territorio ed è presentato
il personale in servizio presso la Soprintendenza.
Una parte cospicua del Quaderno n. 1 è riservata al catalogo della
mostra Il futuro delle ville venete. La restituzione del patrimonio
delle ville nell’ambito della tutela dei monumenti e del paesaggio
che, presentando una documentazione di prevalente consistenza
grafico-fotografica, intende raccontare e riassumere la
puntiforme ed estesa azione di restituzione del patrimonio delle
Ville venete condotta a partire dal secondo dopoguerra fino ai
nostri giorni, nell’ambito del quadro generale della vigente
I Quaderni
della Soprintendenza
per i Beni Architettonici
e per il Paesaggio di
Verona, Vicenza e Rovigo
124
normativa di tutela e degli accordi che gli organismi statali,
regionali e locali hanno stabilito riguardo a queste insigni
testimonianze. Un argomento la cui scelta è oltremodo
significativa, dato che il patrimonio delle ville costituisce un
aspetto specifico e qualificante del territorio veneto e un
riferimento spaziale e visivo ben caratterizzato in cui ritrovare le
ragioni della bellezza e del prestigio di questo nostro paesaggio.
La mostra, facente parte delle iniziative di Vicenza Serenissima
promosse dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è stata
organizzata e allestita – dal 5 marzo al 3 luglio scorsi – nella
barchessa della villa Caldogno a Caldogno (VI) ad opera di questa
Soprintendenza, dell’Istituto Regionale per le Ville Venete, del
Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di
Vicenza e dell’Amministrazione Comunale di Caldogno, che ha tra
l’altro gentilmente messo a disposizione la villa di cui è
proprietaria.
La manifestazione si è svolta in accordo con la Direzione
Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto, con la
partecipazione delle altre Soprintendenze per i Beni Architettonici
e per il Paesaggio del Veneto.
Il primo numero dei Quaderni della Soprintendenza per i BAP
comprende, dunque, in questa sua parte dedicata alle Ville venete,
a cura di Maurizio Gasparin e Gianna Gaudini, un intervento
dell’arch. Gianna Gaudini di introduzione al “fenomeno villa” e al
percorso della mostra; le schede sull’azione vincolistica, la tutela
ambientale e gli interventi di restauro riguardanti le ville, curate da
Rosa Distefano, Sergio Pratali Maffei, Giuseppe Rallo, Marco
Pretelli, Francesco Doglioni, Giovanna Osti, Guglielmo Monti,
Emanuela Zucchetta; i contributi sulla tutela delle ville venete
rispettivamente nel territorio di Venezia e Laguna (autrice Renata
Codello), nel territorio del Veneto Orientale (autore Guglielmo
Monti), nelle province di Verona, Vicenza e Rovigo (autrice
Gianna Gaudini), insieme con i saggi “Dall’Ente all’Istituto
Regionale per le Ville Venete (1958-2004)” di Luciano Zerbinati e
Maurizio Gasparin, e “Conoscere per conservare: l’attività di
catalogazione dell’Istituto Regionale per le Ville Venete” di Sergio
Pratali Maffei. E si conclude con le Interviste a cura di Antonio
Franzina all’arch. Ruggero Boschi (già Soprintendente ai BAP di
Vr, Vi e Ro), arch. Gianna Gaudini (Soprintendente reggente per i
BAP di Vr, Vi e Ro) e prof. Renato Cevese (Università di Padova)
e prof. Lionello Puppi (Università di Venezia) sui temi del restauro
e della salvaguardia delle ville e sul problema del loro riuso.
125
Copertina del primo
numero dei Quaderni della
Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il
Paesaggio di Verona,
Rovigo e Vicenza
Copertina del catalogo
della mostra “Il futuro delle
Ville Venete”: particolare
del portico della Barchessa
di Villa Caldogno
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCE DI VERONA, ROVIGO E VICENZA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Gli eventi della Prima
Guerra Mondiale, conflitto
lungo e particolare per la
Rosa Distefano
specificità di una lunga
serie di combattimenti e azioni difensive svoltesi in territori
montani, hanno determinato modifiche indelebili sul paesaggio e
nel cuore fisico di ogni singolo rilievo montuoso per gli effetti delle
nuove tecniche militari di difesa e di attacco uniti a quelli legati alla
lunga permanenza degli uomini di entrambi gli schieramenti. Gli
ambiti territoriali della Provincia di Vicenza che sono stati interessati
dagli eventi della Prima Guerra Mondiale vanno considerati con
particolare attenzione per la conservazione delle vestigia
recentemente tutelati con la Legge n. 78/2001, appositamente
emanata per l’intero territorio nazionale, anche se inizialmente
dedicata agli altipiani vicentini attraverso la prima stesura del
progetto di conservazione e valorizzazione del sito di Monte
Ortigara. Il lungo iter della legge ha consentito la partecipazione più
ampia, attraverso il coinvolgimento degli Uffici del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali e la Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il Paesaggio di Verona, Vicenza e Rovigo, i
sopralluoghi sul teatro degli eventi bellici effettuati dalla delegazione
della Commissione Cultura del Parlamento, le audizioni necessarie
per la definizione delle tipologie delle vestigia, delle modalità di
catalogazione e l’erogazione delle risorse economiche per la
realizzazione dei progetti di valorizzazione. Va evidenziato in ogni
Il Patrimonio della Prima
Guerra Mondiale
126
caso in ogni caso che la catologazione preliminare di tale repertorio
di beni, prevista e finanziata dalla legge della Regione Veneto n.
43/97 e curata dalle Comunità Montane, ha consentito la redazione
di una cartografia tematica che a tutt’oggi deve avere giusta
evidenza nella revisione paesaggistica. È prossimo l’aggiornamento
del P.T.R.C. in vigore dal 1992 e le norme generali di riferimento,
che con diverse eccezioni sono state approfondite nella redazione
dei due piani di Area dedicati all’Altopiano di Tonezza Fiorentini e
all’Altipiano di Asiago e in parte a quello del Monte Grappa, mentre
valgono solo le norme di salvaguardia dell’ambito delle Piccole
Dolomiti e del Pasubio e solo norme generali per il Monte Novegno.
Alla luce della nuova normativa introdotta dal Codice per la
revisione della pianificazione paesaggistica, occorre proseguire
nella operazione di inserimento delle aree e degli ambiti sensibili nel
quadro generale della pianificazione. Saranno di utile supporto in
tale operazione anche i criteri di attuazione della legge emessi dal
Comitato Tecnico Scientifico costituito presso il Ministero per i Beni
e le Attività Culturali con le linee guida di conservazione e gestione
di primaria valenza territoriale su cui devono confrontarsi le altre
attività antropiche. L’accordo di programma viene supportato
anche dall’attività di revisione delle azioni di tutela monumentale e
paesaggistica attualmente in corso che potranno consentire
l’acquisizione di ulteriori tematiche per la sua estensione sul
territorio e l’inserimento di altre Amministrazioni.
127
Pagina a fianco:
Monte Cengio, ingresso
alle gallerie
Forte Campolongo
(Fotografie: Paolo Emilio
Pizzul)
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCE DI VERONA, ROVIGO E VICENZA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
La legge n. 78/2001
fornisce un ulteriore
spunto per la tutela
monumentale
e
paesaggistica dei luoghi
interessati dagli eventi
bellici della prima guerra
Felice G. Romano
mondiale. Nel nuovo
codice dei beni culturali infatti è fatto reciproco riferimento alla
tipologia dei beni culturali individuati dalla legge 78/2001.
In quest’ottica il progetto generale di valorizzazione del
patrimonio storico della prima guerra mondiale prevede
interventi di conservazione, recupero e restauro, finalizzati a
rendere leggibili i connotati riconoscibili della vicenda storica del
territorio durante la Grande Guerra, assicurandone la sua
salvaguardia e portando a compimento, in tal modo, la tutela
paesaggistica e monumentale di tale patrimonio.
Il restauro del Forte Interrotto, rappresenta un esempio di tutela
monumentale di tale patrimonio nonché un momento di verifica
importante per la realizzazione dell’intero progetto territoriale.
La struttura, costituisce uno degli ultimi esempi di architettura
militare tipica delle prime fortificazioni di fine 800 e insieme ai
forti Campolongo, Verena, Lisser, e Corbin, sviluppatosi sino ai
primi del 900, divenne parte integrante della linea difensiva
Esempi di tutela dei
luoghi della Grande
Guerra: Il restauro di
Forte Interrotto e il
vincolo paesaggistico da
Laghi a Posina
128
fortificata che si sarebbe dovuta contrapporre a quella che
andavano realizzando gli Imperi centrali oltre confine.
Il progetto di restauro del complesso fortificato, è stato promosso
dal comune di Asiago per insediarvi il Centro di Documentazione
della Grande Guerra e per le più articolate attività culturali di
supporto alla visita del territorio e a spettacoli a tema storico
come quelli già organizzati a cantiere aperto a partire dal 2003. I
primi interventi urgenti di consolidamento e restauro per il
restauro dell’intero forte hanno dato priorità alla torre circolare
sud-est per le particolari condizioni di precarietà delle murature.
Gli stralci successivi per il completamento dei lavori, saranno
finanziati dalla Comunità Montana di Asiago, nell’ambito del
progetto generale finanziato con i fondi speciali previsti dalla legge
n. 78 del 2001. La sperimentazione e l’esperienza acquisita dagli
interventi di consolidamento e restauro durante i lavori del primo
stralcio, infatti, sta fornendo un valido apporto non solo per il
completamento degli stessi, ma anche per i nuovi interventi
programmati sugli altri siti interessati dal progetto generale per la
tutela del patrimonio storico della prima guerra mondiale sugli
Altipiani Vicentini.
Un esempio di tutela paesaggistica del territorio vicentino, conforme
ai dettami del nuovo Codice per i Beni Culturali e del Paesaggio,
invece, si è recentemente concretizzato con la dichiarazione di
notevole interesse pubblico dell’ambito paesaggistico dei Comuni di
Pagina a fianco: la corte
interna del forte durante i
lavori
Le opere provvisionali di
sicurezza alla torre
circolare di nord/est
propedeutiche agli
interventi di
consolidamento e restauro
(Fotografie: Felice
G. Romano)
129
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCE DI VERONA, ROVIGO E VICENZA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Laghi e Posina comprendente il Cimone dei Laghi, Monte Gusella,
Monte Maggio, Coston dei Laghi, Monte Maio e Monte Gamonda. A
tale ambito, è stato infatti riconosciuto un interesse paesaggistico che
concorre alla formazione del particolare aspetto di quest’area,
soprattutto in considerazione della valenza che la zona riveste, sia in
ordine alla identità ambientale, che al rapporto con il contesto
territoriale in cui si colloca. Al grande valore paesaggistico-ambientale,
inoltre, si aggiunge anche l’interesse storico riferito in modo
particolare al primo anno della Grande Guerra fino alla Strafexpedition
che iniziò proprio in questi luoghi. I segni delle trincee scavate in
roccia, dei ricoveri in caverna, degli osservatori, ancora oggi visibili
che costituiscono le tipologie di beni tutelati dalla specifica legge n.
78/2001, sono stati inseriti nelle NTA del nuovo vincolo, al fine di
conservare e rendere leggibili i connotati riconoscibili della vicenda
storica del territorio durante la Grande Guerra nonchè assicurare la
salvaguardia del territorio oggetto dell’intervento.
All’interno dell’ambito vincolato, inoltre, sono previste azioni tese
all’individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione
delle contrade, testimonianza di una cultura contadina-montana
ormai quasi scomparsa, e le misure necessarie al corretto
inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel
contesto paesaggistico.
Monte Majo – quota neutra (Fotografia: Paolo Emilio Pizzul)
130
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PER LE PROVINCE DI VERONA, ROVIGO E VICENZA
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e Paesaggistici
L’accordo di programma siglato
dalla Soprintendenza con il
Comune di Caldogno e la
Rosa Distefano
Regione Veneto nel 1994 ha
consentito l’inizio di una fase importante e decisiva per il
restauro del complesso palladiano, dopo decenni di lento
declino.
La storia della villa, a partire dalla prima guerra mondiale, è
segnata da episodi che hanno contribuito alla scomparsa
progressiva del legame con sito e che hanno oltretutto causato
il lento, ma sistematico impoverimento delle strutture e il
deperimento degli apparati decorativi.
Nella documentazione d’archivio sin dagli anni 30’ si trovano le
ragioni di tale decadimento, difficile da risolvere per le priorità
che la proprietà Nordera diede alle funzioni di Istituto per
accoglienza, prevalenti sulla conservazione del complesso.
Gli anni 60’ vedono il primo restauro dell’importante ciclo di
affreschi, auspicato dalle note della Soprintendenza ai
Monumenti e rinviato o contrastato dalla proprietà. Con la
fondazione dell’Ente Regionale per le Ville Venete, grazie alle
possibilità di gestione congiunta dei fondi introdotta dalla sua
legge istitutiva, fu avviato l’intervento, difficile per delicatezza dei
lavori e per la criticità delle condizioni di degrado affrontate dal
restauratore Cagliari.
La documentazione fotografica dei lavori degli anni 60’ ha fornito
riscontri utili per l’approfondimento del progetto di restauro delle
facciate e della terrazza nord, per l’individuazione delle
operazioni
di
restauro
del
progetto
elaborato
dall’Amministrazione Comunale in sede di redazione
dell’accordo di programma ad integrazione del rilievo, dando le
conferme delle alterazioni strutturali e delle modifiche realizzate
negli anni del dopoguerra.
Il Restauro di Villa
Caldogno
Il Cantiere della villa
Il precario stato delle coperture ed il rischio di danneggiamenti
dell’importante ciclo di affreschi presenti nella villa ha indotto
una necessaria accelerazione dei tempi per l’inizio del cantiere
nel 1994.
Le operazioni di risanamento delle strutture lignee sono state
avviate per settori omogenei nelle quattro falde principali e nei
due timpani, dopo le ispezioni sugli appoggi, nei nodi strutturali
per le verifiche statiche sulla capacità portante ed estese
contemporaneamente sulle murature di coronamento.
Le modanature della cornice di gronda sono state oggetto di un
131
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e Paesaggistici
accurato lavoro di pulitura e di consolidamento per tutti gli
elementi lapidei, completato dal restauro delle parti sagomate con
la particolare lavorazione dell’intonaco, che nel timpano sud
simulava una lavorazione a finti ovoli ed è stata completata dal
consolidamento delle zone di muratura disgregata. Il ripristino
della funzione della cornice di gronda per lo smaltimento delle
acque piovane con il canale interno in lamiera di rame, con i
relativi doccioni di scarico ha liberato l’intero sporto della cornice.
Lo stato della muratura del timpano era preoccupante per la
presenza di lesioni passanti, derivanti da un’anomala
distribuzione dei carichi della copertura. I risanamenti delle
strutture sono stati studiati per evitare interferenze con gli
affreschi sottostanti, per non attivare danni delle superfici
pittoriche, escludendo metodiche che avrebbero compromesso
gli intonaci di supporto degli affreschi.
Il degrado che interessava le facciate della villa era
diversamente manifestato dalle superfici degli intonaci e dagli
elementi architettonici che le contraddistinguono, per il
prevalere di alcuni fattori di alterazione rispetto ad altri, poiché
venivano a sommarsi gli effetti del tipo di interventi attuati nel
tempo con i danni del dilavamento e dell’erosione derivanti
dalla diversa esposizione naturale e, in ultimo, per l’influenza
132
dell’inquinamento atmosferico e le conferme sono emerse
dopo le analisi chimiche sui campioni d’intonaco prelevati
dalle varie zone.
Nella facciata nord era prevalente l’alterazione delle superfici di
finitura causata dalla proliferazione di muschi e licheni e la lettura
dell’insieme delle superfici si presentava disturbata anche per la
prevalenza del reticolo delle stuccature eseguite negli anni
sessanta, impiegando malte improprie a base cementizia, estese
al settore centrale e allo stemma.
Pur seguendo criteri generali d’intervento omogenei, per il
restauro degli intonaci sono stati differenziati i procedimenti per
l’asportazione delle parti improprie, per il consolidamento delle
superfici distaccate, per le integrazioni delle lacune, curando la
composizione dell’impasto per le malte, sia nel il tipo di calce sia
nella selezione degli inerti, in funzione del colore e della
granulometria più compatibile con la composizione dell’intonaco
originale.
Tutti gli interventi nel piano seminterrato sono stati predisposti e
attuati per consentire contestualmente la stesura e la successiva
esecuzione del progetto di adeguamento funzionale di tutti gli
impianti curato dall’Amministrazione Comunale per
l’allestimento della sede della biblioteca.
133
Pagina precedente: La Villa
Caldogno prima degli
interventi di restauro
Veduta della villa dal
colonnato della Barchessa
(Fotografie: Paolo Emilio
Pizzul)
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La terrazza nord era stata modificata e la sua attuale
connotazione, frutto delle opere di modifica settecentesche
era stata peggiorata da demolizioni di tratti della volta e dalla
pavimentazione di cemento; i lavori hanno evidenziato la
precarietà statica della struttura, causata dall’incauta
riduzione dello spessore della muratura nella chiave di volta.
Per il consolidamento, oltre al rifacimento della porzione di
volta mancante, si è dovuto scegliere un rinforzo della
struttura che consentisse di non compromettere la
ricostituzione delle pendenze del piano di posa del
pavimento.
La scalinata sud, per l’originalità della composizione e per le
proporzioni con cui si integra al centro della facciata sud,
connota l’immagine dell’intera villa, per gli elementi che la
caratterizzano; il degrado degli stessi, per fortuna localizzato
ad alcuni punti facilmente risanabili, che aveva alterato la
lettura dell’unità dell’insieme, era limitato alla rottura delle
griglie di pietra per l’aerazione delle voltine, alla sostituzione
dei tre gradini della rampa centrale con lucernari in
vetrocemento, alla rottura dei vertici dei triangoli delle rampe
laterali e al degrado delle superfici in mattoni per alterazione
delle malte e degli elementi lapidei.
Il disegno del profilo esterno è stato ricucito nelle parti
danneggiate delle gradinate laterali, mentre nella gradinata
centrale è stato eliminato il lucernario in vetrocemento per
ricollocare i due gradini in pietra con la fessura per l’aerazione
del sottoscala.
La struttura portante delle due scale settecentesche, con i gradini
in pietra assemblati attorno al perno centrale della chiocciola, è
stata controllata e risanata ed il restauro delle pareti interne ha
messo il luce alcuni apparati decorativi, celati dall’intonaco,
come una finta finestra con vetrate a rullo e delle riquadrature
sotto le finestra a livello dei due pianerottoli di arrivo, oltre che le
due nicchie affrescate sulle pareti rivolte a nord. Il tratto di
cornice di gronda della costruzione cinquecentesca, integra per
le finiture degli intonaci e delle scialbature delle parti in pietra, è
stata pulita dai depositi di polvere.
Lo stato delle murature delle volte delle tre sale sul lato est ha
richiesto verifiche strutturali approfondite per controllare lo stato
di conservazione e lo spessore delle murature delle tre strutture
in relazione con la forma geometrica che le contraddistingue,
considerando sia la natura dei materiali presenti per i rinfianchi
sia lo spessore variabile delle pavimentazioni in battuto alla
veneziana. Sono state scelte tecniche tradizionali nelle due sale
134
che hanno consentito, dopo le verifiche dell’estradosso, di
intervenire inserendo una solettina armata e ancorata alle
murature perimetrali che sono state rinforzate con la posa di un
piccolo cordolo armato.
Nella sala sud-est, per l’esiguità dello spazio disponibile per
ricostituire il livello originario della pavimentazione, è stata
sperimentata una nuova tecnologia che, grazie all’impiego delle
fibre di carbonio, ha consentito di raggiungere l’obiettivo iniziale.
I restauri dell’apparato pittorico
I lavori eseguiti sono stati importanti per la restituzione delle sale
del piano nobile e della loggia per il valore complessivo degli
affreschi nella storia del complesso monumentale, anche se
condizionati dalle operazioni di restauro degli anni ’60 per le
difficoltà tecniche e scelte operative1.
Le restituzioni della Barchessa e della colombara
Il progetto di ripristino degli annessi della villa ha avuto il suo
punto più importante nella operazione di rimozione delle
sopraelevazioni del colonnato e nella ricostituzione delle forme
dell’architettura seicentesca della barchessa. Le scelte
progettuali operate hanno trovato giusto equilibrio con
l’opportunità derivante dal vuoto lasciato dai crolli interni di
riqualificare gli ambienti inserendo con discrezione soluzioni di
dettaglio attuali nelle forme e nei materiali.
Gli spazi esterni
Senza il riassetto generale degli spazi esterni delimitati con
gerarchie ben definite dai muri di cinta i lavori di restauro degli
edifici non potevano essere fruiti nelle dovute sequenze di
percorsi e di punti di sosta.Il restauro dei giardini ha avuto inizio
sulla base del progetto elaborato grazie anche alle letture delle
ricerche archivistiche e un arricchimento inaspettato grazie alla
campagna di scavi del 2003; Il ritrovamento della peschiera
interrata, del ponticello e dei resti d’altre due arcate stanno
consentendo la restituzione dell’immagine dell’assetto originario
con il solo restauro degli elementi originali di straordinario valore
per la sintesi che si potrà cogliere fra la storia dell’architettura e
la tecnica dell’ingegneria idraulica cinquecentesca, rappresentata
dal sistema delle rogge, dalla peschiera e dalle canalizzazioni di
drenaggio all’interno della villa.
135
Note:
1 Per la descrizione
dell’argomento si richiama il
capitolo “Gli affreschi:: le
vicende del restauro attraverso i
documenti d’archivio” di Chiara
Rigoni nella monografia su
VILLA CALDOGNO,curata dal
Comune di Caldogno,La
Serenissima Editrice, Vicenza
2002.
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e Paesaggistici
Collocata
sulle
rive
dell’Adige lungo l’antica via
che collegava Verona a
Trento,sorta
su
preesistenze medioevali e
Maria Grazia Martelletto
aggiornata intorno alla metà
e Arturo Sandrini
del Cinquecento,villa Del
Bene fu acquisita al patrimonio dello Stato in seguito a un
evento traumatico che ha fortemente inciso sull’assetto
edilizio del complesso e condizionato le ricerche fin qui
condotte sulle origini e l’evoluzione di questa notevole
testimonianza dell’architettura veronese.
Nel novembre del ’44 l’esplosione di un convoglio
ferroviario carico di tritolo causò il crollo della
copertura,della muratura perimetrale nord nonché dissesti
al sistema portico-loggia e agli affreschi parietali.
L’azione tempestiva della Soprintendenza, che avviò già nel
1946 i primi interventi di restauro,garantì la salvaguardia
dell’edificio,seppur con i limiti dovuti alle particolari
condizioni operative che caratterizzarono il periodo
postbellico.
La villa è nota perchè conserva un interessante ciclo
pittorico,singolarmente imperniato su temi religiosi in
chiave antiluterana (va detto che la villa ebbe anche
funzione di foresteria per gli alti prelati che si recavano al
Concilio di Trento e che il ciclo risale, per l’appunto, agli
anni Quaranta del Cinquecento), attribuito al Brusasorci e al
Caroto, oltre che al Crollalanza, l’unico peraltro
documentato.
Descritti in pessimo stato di conservazione già nel XVIII
secolo, gli affreschi di villa Del Bene ebbero a subire
gravissimi danni nel 1944 e furono oggetto di due diverse
campagne di restauro: nel 1970-71 e nel 1977-78,
quest’ultima affidata a Pinin Brambilla.
Il riaprirsi di lesioni già accuratamente stuccate, i
consistenti distacchi dell’intonaco dal supporto, i numerosi
sollevamenti e le conseguenti cadute della pellicola
pittorica, hanno indotto la Soprintendenza per i Beni
Architettonici di Verona a predisporre un nuovo intervento,
per il cui progetto è stato costituito un’apposito staff con
professionalità e specializzazioni diverse, che ha dato avvio
ad un insieme organico di studi e alla successiva messa a
punto delle procedure di intervento.
L’accurata ricognizione storica sulle fonti documentarie
Villa Del Bene a
Volargne (Dolcè –VR)
Il progetto di restauro
degli affreschi
136
(estesa naturalmente anche alle metodologie degli interventi
pregressi) e la campagna di indagini strumentali e chimicofisiche hanno consentito di far luce su vari aspetti
precedentemente trascurati. A cominciare dall’analisi delle
tecniche pittoriche impiegate (per lo più a fresco per il
disegno preparatorio, a secco con legante a calce per lo
strato pittorico), per passare poi all’analisi mineralogicopetrografica dei vari strati di intonaco e al tipo di pigmenti
utilizzati. Particolare attenzione è stata dedicata
all’individuazione delle pratiche manutentive antiche
(denunciate dalla presenza di ossalati compenetrati negli
strati pittorici, derivata dall’alterazione di oli e di colle usati
nei secoli passati per consolidare e ridare intensità alle
stesure pittoriche), nonché agli effetti indotti dalle resine
viniliche e acriliche impiegate nei restauri più recenti. Anche
gli interventi degli anni Settanta e Ottanta (diretti da Gazzola
e Cuppini) sono un episodio che va a comporre il quadro
della storia del restauro, e più in generale della cultura del
tempo, di cui non è il caso di nascondere i limiti o di
dimenticare il contesto storico, e che non può nemmeno
Sopra: Sala
dell’Apocalisse. Particolare
del viso di un angelo con
evidenti cadute della
pellicola pittorica.
In alto una ripresa a neutro
eseguita nel corso dei
restauri precedenti.
Altro particolare a luce
radente della sala
dell’Apocalisse con evidenti
lesioni in fase di riapertura.
Gruppo di studio e progettazione
Mauro Cova (Soprintendente
Regg. P.S.A.E. di Verona Vicenza
e Rovigo)
Maria Grazia Martelletto (R.d.P.
Soprintendenza B.A.P. di
Verona,Vicenza e Rovigo)
C.T.Giorgio Camuffo (S.B.A.P.
di Verona,Vicenza e Rovigo)
r.t.costituito da Arturo Sandrini
(capogruppo,Politecnico di
Milano), Giovanni Castiglioni,
Filippo Legnaghi, Luciano
Formica
(Restauratore,Accademia di
Brera), Mirella Baldan (R&C.
Scientifica, Altavilla Vicentina)
137
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO
PER LE PROVINCE DI VERONA, ROVIGO E VICENZA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
essere rimossa senza individuarne gli esiti e l’estensione.
Il complesso quadro di informazioni ricavatone – cioè la
storia del manufatto, dello stratificarsi di interventi e dello
stesso degrado, la conoscenza della durata e del
comportamento delle operazioni pregresse e dei materiali
impiegati – sono stati la chiave essenziale dell’anamnesi,
nonché il parametro rispetto al quale disporre e indirizzare
le prove per definire gli interventi da attuare.
Ma la fase progettuale è stata anche occasione per
sperimentare nuovi metodi e modi di mappatura del
degrado, per approfondire alcune metodiche in campo
diagnostico, per valutare gli aspetti relativi all’interazione tra
supporto-decorazione-ambiente, e, non da ultimo, per
verificare quanto le indicazioni progettuali riescano
effettivamente a incidere sulla qualità operativa di
restauratori non scelti ad hoc, ma imposti dalla logica del
maggior ribasso d’una gara d’appalto, condizione, questa,
che richiede la stesura di rigorosi capitolati e dettagliate
analisi delle operazioni da eseguire.
Sala dell’Apocalisse.
Particolare con lesione già
ripresa nel corso dei
restauri eseguiti negli anni
’70 del Novecento
138
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ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELL’ABRUZZO
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Soprintendenza per il
patrimonio storico, artistico
ed etnoantropologico
dell’Abruzzo
Soprintendente:
Anna Imponente
Via O. Colecchi (Castello
Cinquecentesco)
67100 – L’Aquila
tel. 0862.6331
fax 0862.413096
[email protected]
www.psaelaquila.it
Il dipinto a tempera su tavola
raffigurante La Madonna col
Bambino proviene dalla Chiesa
di S. Maria del Lago di Moscufo,
piccolo centro dell’entroterra
pescarese la cui storia
millenaria affonda le radici
Sergio Caranfa
nell’alto Medioevo. Una curtis
de moscufo è infatti già menzionata nel cosiddetto
Memoratorium dell’Abate Bertario, un documento cassinese
della seconda metà del IX secolo che registra i possedimenti
abruzzesi dell’abbazia di S. Liberatore a Maiella, a sua volta
soggetta a Montecassino. La curtis, cioè l’insediamento
agricolo, di Moscufo aveva come centro di culto una ecclesia
S. Mariae sicuramente da identificare con l’attuale Chiesa
romanica di S. Maria del Lago, edificio di grande interesse non
solo per gli intrinseci valori architettonici, ma anche per le
pregevoli opere d’arte che si conservano all’interno, tra cui lo
splendido ambone in stucco eseguito nel 1159 da quel
maestro Nicodemo che due anni prima aveva scolpito, in
collaborazione con Roberto, l’ambone gemello della Chiesa di
S. Maria in Valle Porclaneta presso Rosciolo, nella Marsica.
La grande tavola cuspidata, alta cm. 200 e larga cm. 80, è
costituita da due assi di legno di pioppo collegate ad incastro
“a mezzo battente” e tenute insieme sul retro da tre traverse
orizzontali fissate con chiodi battuti dal davanti e ribattuti sul
retro. Anteriormente, su quasi tutto il perimetro ad eccezione
della parte inferiore, corre una sponda che conserva tracce di
colore originario e su cui sono presenti chiodi antichi e buchi
di chiodi, di cui rimane difficile indovinare la funzione. Nel
recto, sopra il consueto strato di preparazione a gesso e colla,
è dipinta a tempera l’immagine della Madonna col Bambino.
Sull’aureola della Vergine è applicata una piccola corona
metallica che reca incisa su un nastro d’argento la seguente
iscrizione: O ALMA MATER ONNIUM ORA PRO NOBIS DEUM
1490. Questa data costituisce un prezioso terminus ante quem
per la cronologia dell’opera.
Prima dell’intervento di restauro, promosso dal parroco di
Moscufo Don Fulvio Di Fulvio col contributo della Fondazione
della Cassa di Risparmio di Pescara e Loreto Aprutino ed
eseguito dalla restauratrice Cornelia Dittmar di Chieti sotto
l’alta sorveglianza della Soprintendenza PSAE dell’Abruzzo, il
dipinto si trovava nelle condizioni illustrate dalla figura. Già ad
un primo esame risultava evidente come l’aspetto attuale
Dipinto su tavola
raffigurante La
Madonna col
Bambino – Moscufo
(PE) – Chiesa di S.
Maria del Lago
139
fosse frutto di una grossolana ridipintura, probabilmente
ottocentesca, al di sotto della quale poteva celarsi, seppur
lacunosa, la pittura originaria. Con l’ausilio di sofisticate
tecniche diagnostiche (radiografia, esame a raggi infrarossi) e
operando una serie di saggi di pulitura si è cercato di
esplorare l’estensione e lo stato di conservazione degli strati
pittorici sottostanti alla ridipintura. È stato così possibile
accertare che la pittura originaria era in larga parte conservata,
ad eccezione del manto della Vergine, che presentava i segni
di un’incisione netta lungo i bordi, come se il colore fosse
stato volutamente asportato. Ciò ha fatto supporre che il
manto fosse costituito di lapislazzuli, il prezioso pigmento blu
di cui nei contratti stipulati tra committenti e pittori veniva
esattamente fissata la quantità da utilizzare, al pari dell’oro.
L’estensione e l’elevata qualità degli strati sottostanti, che
s’intuiva dai particolari emergenti al di sotto del rifacimento
ottocentesco, hanno orientato decisamente il restauro in
direzione del recupero dell’originaria stesura attraverso la
rimozione delle sovrammissioni, che si è rivelata
particolarmente impegnativa ed è stata condotta
meccanicamente a bisturi, con risultati che hanno dissipato
tutti i dubbi e le incertezze degli operatori in sede di
impostazione metodologica dell’intervento. È infatti emersa in
tutto il suo splendore l’originaria pittura quattrocentesca, con
connotati stilistici che hanno indotto a riferirla al grande
pittore abruzzese Andrea Delitio. L’attribuzione al Delitio, e ‘al
Delitio migliore’, è stata poi decisamente ed autorevolmente
sostenuta da Ferdinando Bologna, con una proposta di
datazione al 1465 o agli anni immediatamente posteriori, in
stretta contiguità con le pitture della volta del Duomo di Atri
(Te) e con il recuperato affresco della chiesa di S. Agostino,
sempre ad Atri (cfr. F. Bologna, Madonna con il Bambino di
Andrea Delitio – Chiesa di Santa Maria del Lago – Moscufo, in
AA.VV., Documenti dell’Abruzzo Teramano, VI, 1-2: Dalla valle
del Fino alla valle del medio e alto Pescara, 1, pp. 346-47).
Sopra: Moscufo (PE),
Chiesa di S.Maria del Lago,
dipinto a tempera su tavola
raffigurante La Madonna
con il Bambino, seconda
metà del sec. XV (ante
1490) dopo il restauro
Sotto: la tavola prima del
restauro
140
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELL’ABRUZZO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
La statua in terracotta
raffigurante La Madonna col
Bambino è conservata nella
Collegiata di S. Michele, la
più antica ed importante
chiesa di Città S. Angelo,
interessante cittadina di
Sergio Caranfa
aspetto medievale adagiata
su una collina a breve distanza dal mare, al confine tra le
province di Teramo e Pescara. La Vergine, seduta a mani
giunte su un trono di fattura assai semplice e avvolta da un
manto che le ricade con ampie pieghe sulle gambe, volge
amorevolmente lo sguardo al Bambino che, disteso sulle sue
ginocchia, ha il gomito appoggiato su un cuscino e stringe
nella mano sinistra un uccellino.
Come è noto, la terracotta è un impasto d’argilla modellato a
freddo e cotto al forno a temperature piuttosto basse,
generalmente al di sotto dei 1000°C. La tipica colorazione
rossastra che il materiale assume dopo la cottura è dovuta alla
presenza di minerali ferrosi nell’impasto. La terracotta è stata
utilizzata fin dall’età neolitica per la produzione di vasellame e
le sue fortune nell’antichità sono ampiamente documentate e
descritte da Plinio, che passa in rassegna tutte le applicazioni
dell’arte di modellare l’argilla, un’arte, egli dice, giunta a
perfezione proprio in Italia, prima in Etruria e poi a Roma. La
terracotta era impiegata per le decorazioni di templi ed edifici,
per la statuaria, per ritratti ricavati da calchi in gesso, per
modelli di sculture e ceselli da tradurre in bronzo o altro
materiale ed infine per il vasellame. Nell’alto Medioevo, in un
quadro generale di crisi, soprattutto artistica, la scultura in
terracotta praticamente scompare e bisognerà attendere il
primo Quattrocento fiorentino per assistere alla sua rinascita,
collegata alla riscoperta di Plinio. Vi si dedicarono, tra gli altri,
Donatello, il Verrocchio, il Pollaiolo, Nanni di Bartolo,
Benedetto da Maiano, tanto per limitarsi ai nomi più
importanti, mentre Luca della Robbia perfezionò la tecnica
della terracotta invetriata, destinata ad avere uno straordinario
successo. In Abruzzo la scultura in terracotta fiorì nella
seconda metà del Quattrocento e nella prima metà del
Cinquecento. Quasi tutti gli scultori di questo periodo a noi
noti si cimentarono con quest’arte, a cominciare dal più
grande, Silvestro dell’Aquila, e poi Saturnino Gatti, Giovan
Francesco Gagliardelli, nativo proprio di Città S. Angelo, Paolo
Aquilano, Berardino di Penne, Giovanni Antonio da Lucoli e
Scultura in terracotta
raffigurante La
Madonna col Bambino
– Citta’ S. Angelo (Pe) –
Collegiata di S. Michele
Arcangelo
141
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELL’ABRUZZO
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e Paesaggistici
altri di cui non sopravvivono le opere, ma la cui attività ci è
nota attraverso i documenti.
Prima dell’intervento di restauro, promosso dal parroco della
Collegiata di S. Michele Don Paolo Curioni ed eseguito dalla
restauratrice Cornelia Dittmar di Chieti sotto l’alta sorveglianza
della Soprintendenza P.S.A.E. dell’Abruzzo, la Madonna in
terracotta di Città S. Angelo si presentava coperta da una
vistosa ridipintura con squillanti colori a smalto, di epoca
piuttosto recente, che ne aveva sfigurato i lineamenti ed
appesantito la purezza del modellato. Il restauro effettuato ha
permesso il recupero di un pregevole esemplare di scultura
abruzzese databile tra la fine del sec. XV e gli inizi del
successivo, che attende ancora un preciso inquadramento
storico-critico. Nonostante che gli studi in proposito non
abbiano ancora raggiunto risultati definitivi, è tuttavia possibile
già allo stato attuale stabilire alcuni punti fermi. Innanzitutto,
l’ipotesi un po’ ingenua e campanilistica che possa essere di
mano dello scultore Giovan Francesco Gagliardelli, in quanto
nativo proprio di Città S. Angelo, va decisamente accantonata
sulla base del raffronto con l’unica opera documentata del
Gagliardelli, la Madonna in terracotta di Ripatransone (Ap),
commissionata nel 1524: troppe le differenze, non solo
stilistiche ma anche qualitative, fra le due opere, a tutto
vantaggio della scultura di Città S. Angelo. Altro punto fermo è
che l’elevata qualità formale di quest’ultima la impone come
opera fondamentale per lo studio della scultura abruzzese fra
Quattro e Cinquecento. E sebbene rientri in pieno nella
tipologia tipicamente abruzzese delle Madonne in adorazione,
essa presenta, più di altre, evidenti influssi della scultura
fiorentina tardo-quattrocentesca, specie verrocchiesca, tanto
da farla ritenere di primo acchito un prodotto d’importazione.
Se però si riflette sulla circostanza che influssi toscani sono
ampiamente riscontrabili nella scultura aquilana del periodo,
segnatamente in Silvestro dell’Aquila e Saturnino Gatti, ci si
accorge che è proprio in questa direzione che bisogna
guardare per un’eventuale ipotesi attributiva. La scultura di
Città S. Angelo può essere, infatti, accostata ad una Madonna
in terracotta attualmente conservata nel Museo Nazionale
d’Abruzzo all’Aquila, ma proveniente da Spoltore (Pe), in cui è
stata riconosciuta l’impronta dell’arte di Saturnino Gatti.
Sopra: Città S. Angelo (PE), Collegiata di S. Michele Arcangelo,
scultura in terracotta raffigurante La Madonna col Bambino, fine
sec. XV - inizi sec. XVI, prima del restauro
Sotto: la scultura dopo il restauro
142
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELL’ABRUZZO
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La presenza dei d’Avalos in
Abruzzo rappresenta un brano di
storia che lega saldamente la
regione alle vicende del Regno
Giovanna Di Matteo
Napoletano ed alle grandi lotte
Maria Giuseppa Di Persia
sostenute
dalla
dinastia
imperiale spagnola per la supremazia in Europa. Ci riferiamo al
primo periodo di guerra, che vede protagonisti il re francese
Luigi XII di Valois–Orleans e, in campo avverso, il re di Spagna
Ferdinando il Cattolico d’Aragona (prima metà del sec. XVI).
Il restauro delle Selle
dei Marchesi
D’Avalos del Vasto
I territori contesi sono il Ducato di Milano e il Regno di Napoli,
il quale in un primo accordo di spartizione (trattato di Granada
del 1499) veniva diviso tra Spagna (Puglia e Calabria) e
Francia (Campania e Abruzzo).
La famiglia d’Avalos, giunta in Italia alla fine del sec. XV al
seguito di Alfonso I d’Aragona, ottenne per la fedeltà
dimostrata i feudi di Pescara e del Vasto.
Ad una oculata politica di matrimoni importanti essi affidarono
la funzione di rafforzamento dei possedimenti e del ruolo
politico della famiglia: tra le casate illustri con le quali strinsero
legami di parentela vanno ricordate la famiglia reale d’Aragona,
i d’Aquino, i Cardona, i Sanseverino, i Colonna, i Gonzaga ecc.
La fedeltà alla corona di Spagna li condusse, agli inizi del
Cinquecento, a capo degli eserciti imperiali nelle grandi
battaglie contro i Francesi: Mirabello, Pavia, Marignano ed
altre.
Il loro successo militare aveva meritato il governatorato di
Milano prima ad Alfonso II (1538–1546) e successivamente a
suo figlio Ferrante Francesco (1559–1563).Dopo l’azione
contro i Turchi (1532) l’imperatore aveva insignito i del Vasto
del Toson d’oro, emblema della casa di Spagna.
Attraverso pochi oggetti legati alla loro immagine pubblica e
militare illustriamo uno degli aspetti della famiglia, ricca di
letterati (Vittoria Colonna) e amanti della letteratura; si rammenti
che sotto la loro ala si erano espressi Pietro l’Aretino e Ludovico
Ariosto. Grande amore ebbero anche per l’arte, infatti al loro
seguito furono anche il fiammingo Paulus Brill e Tiziano.
Le selle d’Avalos
Le selle sono state scoperte nelle cantine di Palazzo d’Avalos a
Vasto, ove erano state adagiate in preda alla polvere ed
all’umidità da tempo immemorabile.
Sono state affidate al laboratorio di restauro Bartoli di Roma,
143
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELL’ABRUZZO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
che ha eseguito un intervento conservativo ben riuscito,
soddisfacendo in pieno le esigenze previste dalle norme di
restauro codificate dalla Carta del 1972 e valide anche per i
tessuti.
La restauratrice, che si è trovata di fronte a tutte le difficoltà
tipiche dei tessili derivanti dallo stato di degrado dei manufatti
e dalle caratteristiche fisico-chimiche delle fibre di diversa
provenienza (mondo vegetale, animale e minerale), ha eseguito
blande puliture con prodotti diversificati secondo la struttura
appunto dei filati di lino, di seta, d’argento, di rame e d’oro. Le
parti della seduta, più deteriorate, sono state protette da
crepeline, ossia da tulle opportunamente tinteggiato nella
stessa tonalità della stoffa originale, così da non interferire con
la visione d’insieme.
La struttura interna delle selle è in legno rinforzata da lamine di
ferro come era in uso tra la fine del Cinquecento e la metà del
Vasto (CH) Musei Civici:
Collezioni d’Avalos, sella in
velluto cremisi e cuoio
ricamati (generale e
particolare)
144
Seicento, periodo di fabbricazione delle stesse. La foggia
presenta una tipologia orientale in memoria della sua antica
origine.
I materiali impiegati, in parte preziosi come la seta, l’oro,
l’argento, in parte meno costosi come il rame e il lino, erano
ampiamente utilizzati nel periodo considerato poiché i
proprietari, divenuti meno esigenti sia per le continue guerre da
sostenere che per rispondere all’austerità dei costumi imposti
dagli Spagnoli e dalla Chiesa, non richiedevano più agli oggetti
esclusivamente il valore di status simbol, ma soprattutto la loro
funzionalità. Le selle sono rivestite da tessuto di seta e cuoio
ricamati; i ricami, realizzati con la tecnica ad applicazione a
motivi fitomorfi, di facile esecuzione ma di grande effetto,
erano prodotti in tutta Europa e pertanto risulta difficile
stabilirne la provenienza, ma l’eleganza e l’espressività dei
motivi decorativi fanno propendere per una fattura italiana,
Vasto (CH) Musei Civici:
Collezioni d’Avalos, sella in
seta ricamata con fiori
accartocciati (generale e
particolare)
145
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELL’ABRUZZO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
mentre l’appartenenza alla famiglia d’Avalos ne circoscrive un
ambito milanese. Infatti è documentata ampiamente
l’importanza della famiglia in tutta Italia e soprattutto a Milano
dove è comunque testimoniata la presenza di numerosi
laboratori di ricami, di tessuti, di filati metallici, di armi, di
armature e di selle. La colorazione così varia è determinata
dalla diversa percentuale d’oro, d’argento o di rame in lega:
rossiccia se prevale il rame, verdognola se invece prevale
l’argento. L’oro e l’argento nella tessitura hanno trovato
impiego nell’Estremo Oriente sin dal IV sec. a.C., come
testimoniano i reperti sopraggiunti dall’Egitto e dalla Crimea. In
Italia nel sec. XI i filati d’oro vengono sostituiti da quelli d’oro
membranaceo, mentre nel sec. XV si ritorna all’oro puro; nei
secoli successivi predominano invece i filati derivati da leghe
meno preziose, il cui uso fu vietato da un bando del 1597.
Vasto (CH) Musei Civici:
Collezioni d’Avalos, sella in
seta avorio ricamata
(generale e particolare)
146
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO E ETNOANTROPOLOGICO DEL LAZIO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Restauro del fregio di Giulio
Aristide Sartorio
Un nastro lungo 105 metri, alto
poco meno di 4, composto da
50 pannelli costituisce il fregio
dipinto da Giulio Aristide
Sartorio (1860 – 1932) per
l’aula del Parlamento del
Claudia Tempesta
neonato Stato italiano.
L’artista fu chiamato a comporre questa opera mirabile e
ciclopica su indicazione dell’architetto Ernesto Basile, di
Camillo Boito, che aveva ammirato l’opera di sartorio nel
Fregio del Lazio per l’Esposizione di Milano del 1906, e
Vincenzo Fradeletto, che aveva visto l’artista all’opera sul tema
La luce, le tenebre,
l’amore, la Morte nei pannelli per la sala centrale
dell’Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia del
1903.
Sartorio entra con il grande dipinto per il Parlamento nel
dibattito contemporaneo sull’arte decorativa, che impegnava il
fronte artistico a livello europeo, con una proposta che
rivendica la tradizione classica dell’arte italiana, riconoscendo
i valori intrinseci all’architettura, che la decorazione ha il
compito di sottolineare. Secondo le intenzioni dell’artista il
fregio doveva comunicare per immagini “l’energia dell’Italia
tramite dell’Idea classica al mondo moderno”.
Sartorio si preparò puntigliosamente alla realizzazione
dell’opera: studiò a Londra i marmi del Partenone al British
Museum e i Trionfi di Andrea Mantenga a Hampton Court.
Sperimentò soluzioni nuove sia nella tecnica pittorica, sia nella
composizione: allo studio sui modelli dal vero era solito
alternare l’uso pionieristico della fotografia. Per l’abbozzo
dell’opera sulle grandi tele proiettava diapositive dei bozzetti e
disegni già elaborati, arrivando a comporre una coreografia
complessa di 200 figure. La preparazione e l’esecuzione
dellp’opera impegnarono l’artista dal 1908 al 1912.
Lo stesso sartorio spiegò ne “La Tribuna” del 23 settembre del
1913 il complesso significato simbolico del fregio. Nel lato
rettilineo dell’aula sono illustrate le vicende epiche del popolo
Soprintendenza per il
patrimonio storico, artistico e
italiano e il risorgimento. Sartorio elude, infatti, la pittura di
etnoantropologico del Lazio
storia e “rappresenta non l’avvenimento, ma il momento
Soprintendente:
psicologico che lo produsse e le forze ideali che lo
Rossella Vodret (reggente)
alimentarono”. Il sole della libertà occupa il centro della
Piazza San Marco, 49
figurazione, ai suoi lati immagini forti, scorci arditi e
00186 ROMA
Palazzo di
Montecitorio
Il fregio di Giulio
Aristide Sartorio per
l’Aula parlamentare
della Camera
dei Deputati
147
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO E ETNOANTROPOLOGICO DEL LAZIO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
complicati nodi plastici delle figure danno forma alle lotte
contro i barbari, alle Furie che li ispirano, alle quali si
contrappone il giovane popolo italiano con i suoi valori
positivi.
Nell’emiciclo dell’aula la complessa iconografia del fregio
celebra i valori costitutivi della tradizione del popolo italiano.
L’Italia, giovane donna “dall’espressione serena” su una
quadriga retta dai Dioscuri, è al centro, alle sue spalle un disco
di luce simboleggia il futuro luminoso. La superficie di fondo
della figurazione finge un’alta zoccolatura marmorea e
contiene, in uno spazio ristretto in profondità, le immagini che
si animano e si staccano dal fondo assumendo i volumi della
figura a tutto tondo. Il colore, tenuto nei toni bassi delle terre,
dà il senso della vita che si anima: la civiltà del popolo italiano
dopo l’unità del paese risorge e vive, celebrando i suoi valori.
Il fregio pittorico costituisce per la totale corrispondenza dei
ritmi delle figurazioni alla complessa e originale simbologia
una realizzazione esemplare, capace di comunicare attraverso
l’energia del fare pittorico la storia di un popolo in una
intonazione epica di grande potenza e per mezzo di una cultura
ricercata che ricorre al mito antico attualizzato nella proposta
positiva e vitale per la giovane nazione italiana.
Il restauro
Il fregio corre lungo la sommità delle pareti dell’aula
parlamentare ed è incorniciato da una boiserie disegnata da
Ernesto Basile. Un bassorilievo ligneo a motivi vegetali
accompagna il bordo inferiore del fregio.
Tra la fine del 2003 e i primi mesi del 2004 la Soprintendenza
Beni Architettonici e Paesaggio e Patrimonio Storico Artistico
e Demoetnoantropologico di Roma (dal gennaio 2005 divisa
per differenti competenze nella Soprintendenza Beni
Architettonici e Paesaggio del Comune di Roma e nella
Soprintendenza
Patrimonio
Storico
Artistico
ed
Etnoantropologico del Lazio) ha realizzato il restauro di uno
dei pannelli del fregio per acquisire da vicino e operativamente
le conoscenze tecniche sul manufatto e sperimentare le
metodologie più idonee per il restauro dell’intero fregio,
composto da 50 pannelli ed esteso su un a superficie di più di
400 mq. Il restauro “campione” è stato condotto con il
supporto di indagini scientifiche, quali sezioni stratigrafiche,
analisi del medium, analisi dei pigmenti, analisi delle sostanze
estranee, analisi della preparazione, analisi delle fibre della
tela, analisi del legno dei telai. Nel progetto generale si ritiene
148
opportuno incrementare con ulteriori esami il bagaglio già
acquisito di nozioni sui materiali costitutivi dell’opera.
Particolare attenzione è stata posta nello spostamento del
pannello“campione”, considerate le precarie condizioni di
adesione della pellicola pittorica alla tela. Su tutta la superficie
sono stati applicati, con plexisol in soluzione, fogli di carta
giapponese per fermare la pellicola pittorica. La
configurazione architettonica dell’Aula parlamentare ha reso
necessario installare un ponteggio a sbalzo per abbassare la
tela fino a terra. Per questa operazione la tela è stata chiusa in
una cassa di legno con struttura di rinforzo in metallo, in
modo da escludere oscillazioni per la tela e tensioni improprie
per il telaio. Il pannello campione è stato restaurato in un
Laboratorio appositamente allestito in un ambiente della
Camera dei Deputati.
Stato di conservazione: pellicola pittorica
Lo stato di conservazione che si è osservato sul pannello
campione e, con qualche variante, estendibile a tutti i pannelli
– come illustrano anche le numerose foto scattate sfruttando
il ponteggio innalzato per prelevare il pannello campione – è
particolarmente preoccupante per quel che riguarda la
mancanza di adesione della pellicola pittorica alla tela. Il
fenomeno ha un carattere di particolare gravità per la
diffusione vastissima su una grande parte della superficie
dipinta. Una delle cause può essere attribuita all’uso da parte
dell’artista di una tela industriale, priva, quindi dell’opportuna
preparazione per rendere tale supporto più elastico. La
materia pittorica, inoltre, consistente in una miscela di colori
ad olio con aggiunta di cera ed altre sostanze, secondo una
formula originale messa a punto dall’artista, nel tempo ha
assunto una consistenza vetrosa ed una estrema fragilità,
come si riscontra nelle frequenti cadute del colore o nelle
screpolature delle pennellate dense di materia pittorica. La
forte irregolarità dello spessore delle pennellate, caratteristica
peculiare dell’artista in questa opera, favorisce, inoltre, il
fissaggio di particolato incoerente che ottunde il valore
cromatico dei dipinti.
Supporto: tela industriale
La tela è fissata sui bordi esterni dei telai del tipo non
estensibile con chiodi a spillo ripiegati, con viti e puntini da
disegno sulle assi della crociera, al fine di evitare le vibrazioni
della tela e garantire l’adesione al telaio anche in presenza di
149
Restauro di un pannello
campione (2003-2004)
Responsabile unico del
procedimento: Roberto Di Paola,
Soprintendente
Progetto e direzione lavori:
Claudia Tempesta, Direttore
storico dell’arte
Direttore: Paola Santilli
Collaboratore tecnico: Massimo
Pluchino
Restauratori: Gianluigi Colalucci
e Daniela Bartoletti s.n.c.
Con la collaborazione di:
Rossano Pizzinelli
Collaboratore tecnico: Massimo
Plachino
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO E ETNOANTROPOLOGICO DEL LAZIO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
una leggera concavità. L’esame delle fibre ha segnalato la
secchezza e la scarsa elasticità della tela, così da provocare
incompatibilità con la pellicola pittorica. La tela, sensibile alle
variazione termoigrometriche e alle deformazioni per forza di
gravità, nonché alle correnti d’aria forzata che si generano
nell’aula, non presenta segni di cedimento allarmanti. Tali
fattori di stress, tuttavia, costituiscono un reale pericolo per lo
stato di fragilità della pittorica.
Telai
I telai non estensibili hanno una crociera interna con asse
verticale e più assi orizzontali. Sono in legno verniciato e si
presentano in buone condizioni.
Intervento
Le operazioni di restauro dell’intero fregio saranno precedute
dal rilievo fotografico con programma di restituzione, che sarà
utilizzato sia per le basi grafiche sullo stato di conservazione
che per la registrazione del tipo di intervento.
I dipinti, all’atto dello smontaggio, dopo la rimozione del
listello ligneo che blocca in basso i pannelli, saranno numerati.
Per il trasferimento nel Laboratorio di restauro è prevista la
chiusura dei dipinti in casse di legno costruite appositamente.
Il restauro del pannello campione
Dopo la rimozione della carta giapponese, si è proceduto al
fissaggio locale della pellicola pittorica mediante
termocauterio, quindi si è proceduto al fissaggio totale della
pellicola pittorica sotto vuoto mediante resina termoplastica
(bewa) con tavola calda a bassa pressione – con tale
operazione si è ottenuto anche un buon recupero della
elasticità della tela –, sono state applicate fasce di tela di
rinforzo sul bordo del dipinto (strip lining). Per la pulitura della
superficie pittorica sono stati asportati i residui di collante e le
polveri utilizzando solventi selettivi. Sono state effettuate
piccole stuccature delle lacune. Il buono stato di
conservazione della pellicola pittorica ha portato a limitare ad
alcune piccole zone circoscritte l’integrazione pittorica, nella
ricerca di una buona equilibratura della superficie dipinta. Per
preservare la delicata materia pittorica è stato steso un
leggero strato di protettivo.
150
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO E ETNOANTROPOLOGICO DEL LAZIO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Il
restauro,
che
ha
interessato gli affreschi sulle
pareti laterali che raffigurano
quattro Santi ed angioletti e
le decorazioni marmoree del
sec. XVI, i tre dipinti su tela
sulla
parete
dell’altar
maggiore e gli affreschi a monocromo con angioletti del sec.
XVIII, è stato realizzato su progetto della Dott.ssa Isabella Del
Frate funzionario della Soprintendenza per il Patrimonio Storico
Artistico ed Etnoantropologico del Lazio, nell’anno 2005 ed
eseguito dalla Ditta Cecilia Bernardini
La chiesa di Santa Caterina dei Funari riveste un particolare
interesse nella storia dell’architettura e della pittura romana della
seconda metà del 1500.
Essa venne edificata tra il 1559 ed il 1664, al posto di una chiesa
preesistente, per iniziativa del Cardinal Federico Cesi, che affidò
l’incarico all’architetto Giudetto Guidetti, attivo in molte
importanti fabbriche romane ed aiuto di Michelangelo.
La decorazione interna della chiesa costituisce un raro esempio di
pittura tardo manierista romana: tutte le cappelle, di proprietà di
nobili famiglie, furono infatti decorate nell’arco di pochi anni dai
più illustri artisti operanti a Roma nella seconda metà del ‘500.
E probabile che lo stesso Cardinal Cesi abbia commissionato la
decorazione del presbiterio (Cappella Cesi), anche se questa fu
iniziata dopo la sua morte, avvenuta nel 1565.
Livio Agresti realizzò la pala dell’altare maggiore con il Martirio
di Santa Caterina, i due dipinti laterali raffiguranti i SS.Pietro e
Paolo, e l’Annunciazione nella parte superiore.
A Federico Zuccari invece fu affidato l’incarico di realizzare i due
grandi affreschi sulle pareti laterali con Storie della Santa, mentre
il suo giovane allievo Raffaellino da Reggio, dipinse al di sotto i
Santi Romano, Agostino, Saturnino e Sisinnio affiancati da
angioletti che portano i loro simboli (1572).
Nella seconda metà del ‘700 furono apportate notevoli modifiche
all’apparato decorativo della zona presbiteriale: i dipinti di Livio
Agresti, in pessime condizioni, giudicati irrecuperabili, vennero
sostituiti con nuove tele: il Martirio di Santa Caterina di Giovanni
Sorbi (1760), i Santi Monica e Agostino di Alessio d’Elia (1771),
che realizzò anche i due affreschi a monocromo sull’altar maggiore
ed il soprastante lunettone raffigurante il Trasporto sul monte Sinai
di S.Caterina. Furono inoltre inseriti finti elementi architettonici e
floreali alla base delle finestre che si aprono al centro delle pareti
laterali, che vennero a sovrapporsi all’affresco di Raffaellino.
Roma, chiesa di Santa
Caterina dei Funari.
Restauro del Presbiterio
o Cappella Cesi
(secc. XVI – XVIII)
151
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO E ETNOANTROPOLOGICO DEL LAZIO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
L’intervento di restauro su questi affreschi si è presentato
particolarmente delicato e problematico per le pessime
condizioni di conservazione: i dipinti presentavano infatti estesi
distacchi degli strati preparatori ed un pesante sbiancamento da
deposito di sali che, unitamente allo strato di polvere
accumulatasi, copriva quasi completamente la pellicola pittorica
tanto da rendere totalmente illeggibili notevoli porzioni
dell’affresco.
Inoltre la presenza delle sovrapposizioni delle ridipinture
settecentesche poneva un problema di scelta conservativa: la
decorazione floreale del sec. XVIII, identica su entrambi i lati, si
presentava frammentaria ed irrecuperabile sulla parete sinistra,
lasciando intuire al di sotto le tracce della originaria decorazione
cinquecentesca.
Si è quindi scelto di asportare i frammenti rimasti in situ, facendo
così riemergere la fascia originaria con l’iscrizione che riporta in
numeri romani la data del 1572, anno di esecuzione degli
affreschi, che costituisce una importante conferma alle ipotesi
degli studiosi
152
L’accurata pulitura e l’estrazione dei sali ha inoltre riportato alla
luce la presenza integrale degli angioletti nella loro vivacità
cromatica Sulla parete destra, dopo la pulitura della pellicola
pittorica, sono emersi con evidenza gli interventi di ripristino
settecenteschi,molto più estesi che sull’affresco di fronte.
Tutta la fascia inferiore del dipinto è risultata ridipinta a tempera:
l’intervento probabilmente è stato eseguito in due diverse fasi, in
quanto sulla parte destra (i due angioletti e la metà inferiore di
San Saturnino) si nota la parziale distruzione dell’intonaco
originario e la sua sostituzione con un sottile strato di
preparazione su cui poi si è dipinto a tempera.
La decorazione floreale, i due angioletti e la metà inferiore di
San Sisinnio, sono invece stati eseguiti su uno strato di
intonaco steso sopra l’originale. Data la vastità dell’intervento
settecentesco che interessa tutta la parte inferiore della fascia
dipinta da Raffaellino sulla parete destra, lasciando quindi
supporre una perdita quasi completa del dipinto
cinquecentesco, e verificato il buono stato di adesione della
pellicola pittorica all’intonaco, si è deciso di mantenere le
153
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO E ETNOANTROPOLOGICO DEL LAZIO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
ridipinture quali testimonianza di questo antico intervento di
“restauro”.
È probabile che alla stessa epoca sia da riferire la ridipintura a finto
marmo verde che rivestiva la cinquecentesca cornice della finestra
che si apre al centro dell’affresco: l’intervento di rimozione ha
messo in luce la presenza di due strati sovrapposti di colore, il
primo rosso, comperto successivamente da un finto marmo
verde, tolti i quali è riemerso l’originaria cornice in travertino e
marmo trattato a marmorino che si intona perfettamente con la
decorazione architettonica cinquecentesca del presbiterio.
L’intervento di restauro sugli affreschi è stato eseguito con le
seguenti modalità: Gli strati preparatori sono stati riconsolidati alla
muratura mediante infiltrazioni con malta idraulica a basso
contenuto di sali, mentre l’intonachino distaccato è stato trattato
con infiltrazioni di resina acrilica in emulsione al 10% di acqua e
gli intonaci con resina acrilica in emulsione al 5% di acqua.
Dopo aver fatto riaderire la pellicola pittorica all’intonachino
mediante infiltrazioni con resina acrilica in emulsione al 3% in
acqua, sono stati rimossi gli strati di sporco e le tracce di
precedenti interventi con impacchi di solvente a pH leggermente
basico in polpa di cellulosa.
Le vecchie stuccature sono state rimosse meccanicamente e le
lacune stuccate con malta di grassello di calce e polvere di
154
marmo, infine reintegrate a tono a velatura con colori ad
acquerello. La grande tela sull’altar maggiore il Martirio di Santa
Caterina del Sorbi, si trovava in mediocre stato di conservazione,
mentre in cattive condizioni si trovavano i due dipinti ai lati,del
pittore napoletano Alessio D’Elia, che hanno sofferto di una
continuata esposizione a fonti di calore: in particolare il
Sant’Agostino presenta una grande lacuna sul lato destro dovuta
all’attacco del fuoco, probabilmente di candela.
Rimosse le vernici ossidate e gli strati di sporcizia che
opacizzavano la pellicola pittorica, il restauro ha restituito
leggibilità ai dipinti evidenziando tracce di un ripensamento
dell’artista nella posizione della mano di Sant’Agostino, che
regge secondo una diversa inclinazione il libro sacro, creando un
involontario effetto di svolazzamento delle pagine. L’intervento di
restauro ha comportato la doppia foderatura con tela canapa
patta, la sostituzione dei vecchi telai con telai lignei estensibili, la
rimozione degli strati di sporco e dei precedenti interventi con
solventi e la rimozione meccanica delle vecchie stuccature.
Le lacune sono state stuccate con gesso di Bologna e colla di
coniglio e la reintegrazione è stata eseguita a tono a velatura con
colori ad acqurello ed a vernice.
La vernicitura finale è stata data a spruzzo con vernice à
rètoucher.
Progettista e Direttore di Lavori:
Isabella Del Frate
155
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO E ETNOANTROPOLOGICO DEL LAZIO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Tecnica di esecuzione:
materiali costitutivi
La Cappella è decorata con
affreschi situati nella volta a
crociera suddivisa in quattro
vele,
nell’intradosso
dell’arcone e sulle pareti
sottostanti la volta. Costoloni
Gea Storace e Stefano Provinciali
in mattoni suddividono le
vele. La volta è costituita da una struttura in muratura sulla quale
sono stati applicati due strati di intonaco ed uno strato di
intonachino Dalle lacune dell’intonaco è stato possibile rilevare la
successione degli strati di malta che può essere così
schematizzata: un primo strato di malta di calce a diretto
contatto con la muratura, con cariche pozzolaniche di grossa
granulometria, serviva a livellare la superficie;
un secondo strato che costituisce l’arriccio, sempre eseguito
con malta pozzolanica;
un terzo strato “l’intonachino” eseguito con malta di colore
grigio a granulometria sottile; su questo strato molto levigato
sono stati eseguiti i dipinti.
Lo strato di malta su cui sono state eseguite le decorazioni dei
costoloni è di colore bianco, si tratta infatti di un sottile strato di
calce applicato sull’intonaco.
Disegno preparatorio
Delle decorazioni dei costoloni dipinti con motivi fitomorfi
appare ormai solamente il disegno preparatorio eseguito con
terra rossa.
Incisioni
Sono visibili incisioni dirette eseguite con compasso sulle
aureole;
Sono visibili inoltre sugli affreschi delle pareti e sono stati
utilizzati per definire la composizione architettonica.
Battute di fili
Sono visibili a luce radente negli affreschi della parete dell’altare
e sono stati eseguiti sull’intonaco fresco.
Giornate
L’osservazione a luce radente ha evidenziato un procedimento
nell’esecuzione della stesura degli intonaci “a pontata”, in alcuni
casi (parete di destra) sono state rilevate giornate con finiture “a
secco”.
Tecnica Pittorica
La stesura dei colori è stata effettuata con tecnica “a fresco”.
Zone dipinte a tempera
Restauro conservativo
degli affreschi
della Cappella
dei SS. Cosma
e Damiano
Chiesa di S. Pietro,
Anticoli Corrado (RM)
156
I cieli sono stati dipinti a tempera su una base grigia costituita da
nero carbone, il pigmento utilizzato è azzurrite.
Dorature
Non sono stati riscontrate tracce di doratura.
Stato di conservazione:
dipinti murali
Lo stato di conservazione degli affreschi che decorano la
Cappella era piuttosto precario.
Le infiltrazioni di acqua piovana avvenute in passato e l’umidità
di risalita hanno determinato la quasi totale perdita dei dipinti
nella zona bassa delle pareti e una presenza massiccia di
efflorescenze saline sulle superfici dipinte.
Sui dipinti infatti era visibile un diffuso sbiancamento, dovuto alla
presenza di sali solubili, che attenuava le tonalità dei colori. La
presenza di depositi superficiali, costituiti principalmente da
polveri grasse, scurivano le superfici dipinte.
Diffuse le lesioni degli strati di intonaco che presentavano gravi
difetti di adesione al supporto localizzati principalmente sulle
vele e sulla parete destra.
I diffusi difetti di coesione ed adesione delle malte di
preparazione degli affreschi hanno determinato cadute di
intonaco e di intonachino.
Localmente la pellicola pittorica appariva in cattivo stato di
conservazione poichè erano presenti difetti di adesione
localizzati principalmente sugli azzurri, dipinti a tempera.
157
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO E ETNOANTROPOLOGICO DEL LAZIO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
È stata riscontrata in alcune zone l’alterazione dell’azzurrite in
malachite.
Interventi precedenti
Un intervento di restauro non documentato, comunque databile
intorno agli anni settanta, è stato purtroppo una delle cause
determinanti del cattivo stato di conservazione dei dipinti. Infatti
l’uso di abbondanti quantitativi di gesso, utilizzato sia per il
consolidamento degli intonaci in profondità che per la stuccatura
delle lacune, ha creato le condizioni ottimali per la formazione nel
tempo di sbiancamenti nonché perdita di parti della pellicola
pittorica per cristallizzazione di sali. La reintegrazione pittorica
era stata eseguita con colori a tempera con modalità differenti a
secondo del tipo di lacuna:
lacune di vasta estensione integrate con malta di colore neutro
contornate da un bordino di colore nero eseguito a tempera
posto tra il dipinto originale e la reintegrazione; lacune di media
estensioni (parete destra) integrate con colori a tempera con
tratteggio di fattura grossolana; lacune di piccole dimensioni
integrate a tono.
È stata riscontrata inoltre sulla pellicola pittorica la presenza di
un fissativo che ingloba depositi superficiali.
Intervento di restauro:
pulitura
Sono stati effettuati saggi volti all’individuazione del mezzo
solvente più idoneo alla rimozione degli strati sovrammessi.
Le operazioni di pulitura, volte al recupero delle superfici
originali, sono state eseguite utilizzando gomme Wishab e
solvente MEC;
La rimozione delle efflorescenze saline consistenti è stata
eseguita localmente ad impacco utilizzando acqua deionizzata,
contestualmente al consolidamento della pellicola pittorica, ove
presente, e degli strati preparatori; la pulitura dei dipinti delle
pareti ha consentito di recuperare il testo pittorico, seppur
degradato
Rimozione delle stuccature inidonee
Utilizzando bisturi e piccoli scalpelli è stata eseguita la rimozione
di stuccature inidonee in gesso.
Consolidamento dei difetti di adesione tra intonachino e
arriccio
È stato eseguito localmente mediante infiltrazioni di resina
acrilica PHASE WS 24 in soluzione acquosa e malta idraulica
Mapei Antique. In alcune zone della volta si è resa necessaria la
velinatura di parti di intonaco, gravemente distaccate.
158
Consolidamento dei difetti di decoesione
Le zone di intonaco che presentavano fenomeni di decoesione
consolidate con resina acrilica.
Stuccatura
Le stuccature delle lacune di intonaco sono state eseguite con
malta di calce utilizzando come carica inerte sabbia..
Documentazione:
Documentazione fotografica
Sono state eseguite riprese fotografiche a colori ed in diapositiva
al fine di documentare lo stato di conservazione e l’intervento di
restauro durante le sue fasi.
Documentazione grafica
Sono stati riportati su base grafica i dati relativi allo stato di
conservazione ed all’intervento di restauro effettuato.
Operazioni da effettuare:
Reintegrazione pittorica
Al fine di eliminare o attenuare le discontinuità cromatiche
verranno eseguite velature ad acquarello restituendo equilibrio
tonale alle superfici delle decorazioni pittoriche e delle superfici
in cotto. Questa operazione sarà eseguita utilizzando colori ad
acquerello Windsor & Newton.
Verrà eseguita la reintegrazione pittorica delle lacune in
corrispondenza delle nuove stuccature.
Protezione superficiale
Questa operazione sarà eseguita nebulizzando sulle superfici
resina acrilica Paraloid B 72 al 3% in soluzione.
159
Direzione dei lavori: Benvenuto
Pietrucci – Direzione Regionale
per i Beni Culturali e
Paesaggistici del Lazio
Collaboratori alla DD. LL.:
Alessandra Montedoro
Relazione tecnica,
documentazione fotografica: Gea
Storace e Stefano Provinciali.
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO E ETNOANTROPOLOGICO DEL LAZIO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Nell’ambito delle attività della
Soprintendenza da diversi
anni viene riservatauna
particolare attenzione alla
ricerca e alla documentazione delle problematiche relative agli
aspetti materiali degli oggetti artistici, indagati attraverso le
moderne metodiche della diagnostica.
In particolare, in occasione di importanti cantieri di restauro e di
progetti internazionali, il contributo delle indagini si è dimostrato
essenziale sia in merito alla programmazione ed alle scelte
operative degli interventi di restauro, sia alla conoscenza dei
materiali e delle tecniche di esecuzione delle opere.
Fondamentale è stato il contributo scaturito dallo scambio
dialettico tra le diverse professionalità coinvolte in queste
ricerche, storici dell’arte, restauratori, scienziati.
Le tecniche di indagine diagnostica utilizzate hanno privilegiato
le metodiche non distruttive quali la riflettografia infrarossa, la
radiografia, l’analisi della fluorescenza dei raggi X (XRF), cui è
stata affiancata l’indispensabile documentazione più tradizionale
– fotografia della fluorescenza indotta da radiazioni ultraviolette,
fotografia in luce radente, macrofotografia e microfotografia. Ciò
ha significato mettere l’accento sull’imprescindibilità
dell’osservazione visiva, primo vero momento di conoscenza
dell’opera, necessario anche per indirizzare le successive
ricerche.
A questo genere di metodiche si affiancano naturalmente le
indagini microdistruttive, che vengono effettuate su minimi
prelievi di materia e da cui è possibile ricavare informazioni circa
la successione stratigrafica del dipinto, i pigmenti e i leganti
utilizzati, ad esempio attraverso le stratigrafie su sezione lucida,
la microanalisi al microscopio elettronico a scansione (SEMEDS) o l’analisi in spettrometria infrarossa (FT-IR).
Entrando nel merito delle ricerche più significative promosse
dalla Soprintendenza, vanno certamente segnalate alcune
campagne diagnostiche effettuate in occasione di cantieri di
restauro all’interno delle chiese romane, quali quelle sulle
sculture di Gian Lorenzo Bernini nella Cappella Fonseca in San
Lorenzo in Lucina, sulle grandi pale di Rubens nella chiesa della
Vallicella, sui dipinti murali di Pinturicchio nell’abside di Santa
Maria del Popolo e su quelli di Niccolò Circignani alla Chiesa del
Gesù.
Diagnostica applicata
alla conservazione
dell’opera d’arte
160
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELLA LIGURIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Arca delle Ceneri del
Battista – Museo del Tesoro
di San Lorenzo, Genova
Argentieri liguri, lombardi e
borgognoni (secolo XV)
(argento, rame dorato,
smalti, tessuto, legno)
L’arca processionale delle ceneri di san Giovanni Battista
costituisce uno dei massimi elementi di richiamo della
Cattedrale, e della stessa città di Genova.
Una straordinaria opera d’oreficeria quattrocentesca, la cui
esecuzione si deve a una serie di artisti di altissimo livello,
diversi per formazione ed esperienze e attivi a partire dal
quarto decennio del secolo XV.
Teramo Danieli, nativo di Porto Maurizio ma a lungo documentato
a Genova, il quale nel 1438 apponeva sull’arca la propria firma, si
occupò forse prevalentemente dell’ “architettura” del manufatto,
concepito come un edificio gotico sollevato da quattro leoni in
rame dorato e animato da guglie, pinnacoli e contrafforti. Simone
Caldera, ligure a sua volta, che a Teramo subentrò in un secondo
momento, dovette invece realizzare numerose parti “di figura”,
nelle scene che scandiscono i due fianchi e i due fronti minori. Un
attento esame stilistico, ancora, lascia cogliere il coinvolgimento
nell’impresa di altri artefici, ambientabili a loro volta in area
lombarda e borgognona.
Oltre alle statuine a tutto tondo di formato maggiore dei santi
protettori della città Giorgio e Lorenzo, e degli evangelisti
Giovanni e Matteo, la narrazione degli episodi salienti della vita
del Battista si svolge nei dieci scomparti principali, scandita dalla
presenza di angeli musicanti, santi vescovi e profeti e arricchita
da straordinari dettagli naturalistici e da micro-elementi d’arredo,
con tracce degli originari decori a smalti policromi.
Il restauro dei beni
storico artistici in
Liguria negli anni 2003
– 2005: una scelta
degli interventi più
interessanti
Soprintendenza per il
patrimonio storico artistico ed
etnoantropologico della
Liguria
Soprintendente:
Marzia Cataldi Gallo
(reggente)
Via Balbi, 10 – 16126 – Genova
tel. 010.27051
fax 010.2465388
[email protected]
Restauro realizzato da:
Tiziana Igliozzi, Arezzo,
Finanziamento statale
161
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELLA LIGURIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Il Presepe del Santuario della Madonnetta – Santuario della
Madonnetta, Genova
Manifattura genovese (seconda metà del secolo XVIII – prima
metà del secolo XIX)
(sculture-manichino in legno scolpito, intagliato e dipinto,
vestite degli abiti originali)
Circa un centinaio di statuine in legno policromo, alcune
delle quali vestite degli abiti originali e di alto livello
qualitativo, compongono l’ammirabile Presepe del
sontuoso Santuario della Madonnetta a Genova,
organizzate in una grande grotta in funzione di proscenio,
dove le statuine, benché distribuite tra altri elementi
scenografici, vivono di vita propria, per l’eccellenza o la
particolarità della fattura.
A partire dal XVII secolo ma, più diffusamente, dal XVIII
secolo, Genova diventa, in Italia, uno dei centri più attivi nella
realizzazione di figurine da presepe, raggiungendo esiti di
particolare pregio, anche, ma non solo, grazie alla spinta della
fiorentissima bottega di Anton Maria Maragliano, il più noto
scultore genovese di legno.
Il restauro di tale complesso figurativo, finanziato dalla
Fondazione Carige, ha comportato il recupero tanto delle
sculture a tutto tondo e delle statue-manichino quanto delle
vesti originali, oltre che una revisione dell’allestimento
complessivo, soprattutto in rapporto agli impianti e
all’illuminazione.
Madonna col Bambino; Madonna (Le Madonne vestite) –
Albergo dei Poveri, ora Azienda pubblica di Servizi alla
Persona “Emanuele Brignole”, Genova
Manifattura genovese (metà del secolo XVIII)
(sculture in legno scolpito, intagliato e dipinto, in cartapesta
policroma, vestite degli abiti originali)
Espressione del più genuino linguaggio popolaresco, le
Madonne vestite s’inseriscono nell’ambito ricco e variegato
delle sacre rappresentazioni e delle macchine processionali. Al
fine di ridurre il peso di tali simulacri, era frequente il ricorso
a manufatti lignei leggeri, statue-manichino vestite oppure
sculture in cartapesta dipinta.
Il restauro delle Madonne vestite dell’Albergo dei Poveri,
entrambe destinate alla devozione privata, si è rivelato
occasione particolarmente interessante per il fatto di
prevedere e comprendere interventi differenziati e
specialistici, condotti sui diversi supporti.
162
Corredo della tomba di Giuseppe Mazzini (bandiere,
stendardo, cravatte, coccarde, aste) – Cimitero di Staglieno,
Genova
Manifattura della fine del secolo XIX – prima metà del secolo XX
(Tela di lana e tela di cotone stampate, raso, velluto di seta,
gros di seta, ricami, frange in metallo dorato, borchie)
Il restauro del corredo tessile della Tomba di Giuseppe Mazzini
al Cimitero di Staglieno, promosso dalla Soprintendenza per il
Patrimonio Storico Artistico della Liguria e dal Comune di
Genova, è stato in parte sponsorizzato dalla Camera di
Commercio di Genova che, in occasione delle Celebrazioni del
Bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini, ha realizzato
una mostra a lui dedicata.L’intervento di restauro delle
bandiere, in particolare, ha rappresentato, oltre che
un’iniziativa culturale importante e significativa per la città, un
momento di grande attenzione per manufatti che, nonostante
il pregnante valore storico e commemorativo, sono sottoposti
ad alto rischio di perdita, in quanto facilmente deperibili sia
per la natura stessa dei materiali sia per la lunga esposizione
alla luce, alle intemperie, agli agenti inquinanti e alle
sollecitazioni meccaniche dell’appensione.
Polittico “della Rovere” – Oratorio di Nostra Signora del
Castello, Savona
Ludovico Brea, Vincenzo Foppa (1490)
(tecnica mista su tavola, sculture in legno policromo, cornici
in legno intagliato, dorature e argento meccato)
Il grande dipinto si trova dal 1570 circa nell’oratorio di Nostra
Signora del Castello, dove pervenne dal vecchio duomo di
Santa Maria sul Priamàr, chiuso al culto nel 1543 e demolito
per ordine della Repubblica di Genova che ne comprese l’area
entro una grande fortezza.
L’opera, compiuta nel 1490, figurava sull’altar maggiore
dell’edificio; commissionò il cardinale Giuliano Della Rovere
(futuro Giulio II) che è ritratto ai pieride trono su cio siede la
Vergine, nello scomparto centrale. L’esecuzione fu affidata al
pittore bresciano Vincenzo Foppa che si avvalse della
collaborazione del nizzardo Ludovico Brea, autore dell’intero
settore destro dell’ancona. Con loro agirono alcuni intagliatori,
ai quali si deve la cornice, ricca di elementi figurativi,
modificata da un restauro nel 1755.
La struttura, nel complesso e nel dettaglio, non presentava
segni di particolare dissesto: occorreva però disinfestare i
singoli elementi. Si doveva affrontare un complesso lavoro di
163
Il Presepe del Santuario della
Madonnetta – Santuario della
Madonnetta, Genova
Restauro realizzato da:
Laboratorio Nino Silvestri,
Genova (sculture) e dal
Laboratorio Stella Arnulfo,
Genova (abiti)
Impiantistica a cura della ditta
Sirio s.a.s
Finanziamento Fondazione
CARIGE
Madonna col Bambino;
Madonna (Le Madonne vestite)
– Albergo dei Poveri, ora
Azienda pubblica di Servizi alla
Persona “Emanuele Brignole”,
Genova
Restauro realizzato da:
Antonello Pandolfo (sculture)
e da Mariolina Rella (abiti)
del Laboratorio S.P.S.A.E. della
Liguria
Contributo finanziario del Rotary,
Genova
Corredo della tomba
di Giuseppe Mazzini - Cimitero
di Staglieno, Genova
Restauro realizzato da: Mariolina
Rella del Laboratorio S.P.S.A.E.
della Liguria e dal Laboratorio
Cinzia Oliva, Torino
Contributo finanziario della
Camera di Commercio di Genova
Polittico “della Rovere” –
Oratorio di Nostra Signora del
Castello, Savona
Restauro realizzato da:
Gianfranca Carboni, Genova
Finanziamento statale
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,
ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELLA LIGURIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
pulitura: sotto le integrazioni dell’ultimo restauro (1946-1953)
si trovavano ancora sensibili tracce di vernici alterate con
relativo particella sovrapposto. Le statue lignee mantenevano
ridipinture. Si è proceduto alla rimozione recuperando una
superficie in alcuni brani pressoché integra (Come nel San
Giovanni evangelista di Ludovico Brea), in altre, quelle di
Foppa, dipinte a velature, sonori emersi i danni della pulitura
settecentesca.
In fase di ritocco, in corso di completamento, si sono
compensati questi danni (aggravati da un incendio occorso
nel 1909). L’opera verrà ricollocata su di un traliccio,
appositamente realizzato, che consentirà a ciascun pannello di
essere autoportante.
Polittico di San Michele e Santi – Chiesa parrocchiale di San
Michele arcangelo di Celle Ligure (Savona)
Pietro Buonaccorsi detto “Perin del Vaga” (1535)
(olio su tavola, sculture in legno policromo, cornici in legno
intagliato, dorature e argento meccato)
Il polittico data al 1535 e si tratta di una commissione da parte
dei marinai e dei pescatori di Celle Ligure. La tavola, che si
trova tuttora nell’abside maggiore della parrocchiale, perdette
l’originaria cornice allorché venne riambientata entro un
nuovo contesto decorativo neoclassico.
Presente a Genova per due volte, dal 1528 al 1533 e di nuovo
dal 1534 al 1537, Perino lavorò prevalentemente per conto
dell’ammiraglio Andrea Doria nella sua fastosa dimora di
Fassolo, trovando comunque il tempo per dedicarsi,
soprattutto durante il secondo soggiorno, alla realizzazione di
dipinti su tavola, per conto sia di cittadini facoltosi genovesi,
sia di confraternite e di compagnie di mestiere anche nelle
Riviere, come nel caso di Celle. Nonostante i danni subiti il
passato, il polittico risulta di notevole qualità, tutto sommato
non meno elegante e inventivo dei cicli ad affresco realizzati da
Perino contemporaneamente e tutto sommato poco incline a
cedere agli arcaismi che la committenza poteva esigere da lui,
vista la modernità del suo linguaggio che si esprime nella
elaborazione di idee del maestro, Raffaello, nel disegno
vibrante e flessuoso (rivelato dalle riflettografie), nei
cangiantismi con cui è modulata la tavolozza cromatica.
L’intervento di restauro ha dovuto ovviare alla precaria
stabilità del supporto, sul retro del quale agiva una
parchettatura che non secondava adeguatamente i movimenti
del legno. Per ciò che riguarda la pellicola pittorica, oltre agli
164
indispensabili interventi di fissaggio, si è proceduto a una
pulitura graduale ed equilibrata finalizzata a rimuovere residui
piuttosto consistenti di sporco e di vernici, presenti
soprattutto nelle parti in ombra, mantenuti da precedenti
interventi conservativi. Il ritocco ha mirato a compensare, con
molta discrezione, le zone abrase in rapporto alle parti
originale recuperate e rese meglio leggibili.
Restauro realizzato da:
Laboratorio Nino Silvestri,
Genova
Finanziamento statale
165
SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO
ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO PER LE PROVINCE DI VERONA, ROVIGO E VICENZA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Soprintendenza per il
patrimonio storico artistico ed
etnoantropologico per le
province di Verona, Rovigo e
Vicenza
Soprintendente:
Mauro Cova (Reggente)
Corte Dogana 2/4
37121 Verona
tel. 045.8678311
fax 045.8678333
verona@soprintendenzapsadve
neto.it
soprintendenzapsadveneto.it
Gli affreschi del XIII
e XIV secolo nella
cripta di San Zeno
a Verona:
la sperimentazione
della nanocalce
dispersa in alcol
iso–propilico durante
l’intervento
conservativo
Fabrizio Pietropoli
e Chiara Scardellato
La progettazione di restauro di
alcune delle più incisive e
determinanti testimonianze della
pittura e della plastica veronesi
del primo Trecento attuata negli
anni
2002-2003,
con
finanziamento ministeriale, ha
interessato nel 2004 anche il
problematico intervento conservativo delle pitture murali
medievali eseguite a fresco, a
calce e a secco nella cripta della
basilica di San Zeno.
Un’appendice figurativa certamente non sottovalutabile
consistente in vari riquadri votivi dei secoli XIII e XIV ubicati
sulle pareti e sui pilastri, che esige una corretta lettura critica,
purtroppo drasticamente ridimensionata negli esigui brani
superstiti di quella copiosa decorazione, largamente
scomparsa da tempo.
I dipinti murali compromessi da uno stato di degrado
storicamente imputabile a problemi connessi a presenza di
umidità e condensa, mostravano innanzitutto una cospicua
perdita di coesione degli strati pittorici, caratterizzati da
pigmenti variamente incoerenti.
La primaria necessità, affrontata e discussa in sede
progettuale, di utilizzare metodi e materiali consolidanti
conformi alla natura chimico-fisica dei manufatti, compatibili
rispetto alle severe condizioni ambientali e idonei a garantire
la necessaria stabilizzazione del colore, ha perciò
contraddistinto l’intervento.
La collaborazione con il Dipartimento di chimica
dell’Università di Firenze ha indirizzato ad un innovativo
approccio sperimentale sulle operazioni di consolidamento
che, a seguito di prime prove in sito, ha subito escluso
l’impiego di materiali organici, silicatici e resine di sintesi.
I test con dispersioni di idrossido di calcio si sono
significativamente differenziati per la positiva risposta ai
ripetuti impacchi della pellicola pittorica sensibile all’acqua e
per l’efficacia dell’azione consolidante rilevata sulle aree
campione, pur nella diversità degli esiti rispetto ai vari
pigmenti.
Tali risultati hanno implicato un’approfondimento della fase
sperimentale per la scelta delle concentrazioni, la messa a
punto dei sistemi di applicazione e di controllo del raggiunto
166
grado di coesione del colore e la successiva estensione del
preconsolidamento alle superfici degradate per procedere poi
in sicurezza alle operazioni di pulitura.
Un ultimo trattamento a base di idrossido di calcio, disposto a
seguito dell’integrazione pittorica, ha sostituito la prassi
applicativa del “fissativo finale” a garanzia del consolidamento
conseguito e per la stabilizzazione dei nuovi abbassamenti di
tono operati su intonaci e lacune con sistemi reversibili.
È opportuno sottolineare come la metodologia definita nel
corso del cantiere non abbia trascurato di programmare la
periodica verifica e l’eventuale manutenzione delle superfici
consolidate, prevedendone il monitoraggio protratto nel
tempo, essenziale in un contesto le cui complesse
problematiche ambientali sono tuttora irrisolte.
L’intervento di restauro è stato
condotto con fondi ministeriali
della ex Soprintendenza per il
Patrimonio Storico, Artistico ed
Etnoantropologico del Veneto.
Durata cantiere: marzo-ottobre
2004
Soprintendente: Anna Maria
Spiazzi
Direzione lavori: Fabrizio Pietropoli
Direzione Operativa: Chiara
Scardellato
Intervento di Restauro: AR&C di
Egidio Arlango
Sperimentazione nano e micro
dispersioni: Università degliStudi
di Firenze, Dipartimento di
Chimica, CSGI, Luigi Dei, Barbara
Salvatori
Documentazione fotografica:
Egidio Arlango, Giorgio Bianconi
167
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO E PER IL PATRIMONIO
STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO PER LA PROVINCIA DI NAPOLI
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Soprintendenza per i beni
architettonici e per il
paesaggio e per il patrimonio
storico, artistico ed
etnoantropologico per la
provincia di Napoli
Soprintendente:
Enrico Guglielmo
Questa
Soprintendenza
diretta dall’Arch. Enrico
Guglielmo fornisce il progetto
di restauro del Colombario
virgiliano a Piedigrotta e il
progetto del Parco di Virgilio “per la letteratura e la poesia”. Il
lavoro, coordinato dall’Arch. Tommaso Russo con la
collaborazione tecnico e amministrativa della Dott.ssa Carmen
Ambrosino e p.t.i. Pietro Raffone e la cooperazione storicoarchitettonica della dott.ssa Annamaria Porro e l’arch.
Almerinda Padricelli, sottolinea il restauro, la conservazione e
la valorizzazione di un sito antichissimo storico-letterarioarchitettonico legato al territorio partenopeo fin dal I sec. a.C. Il
progetto mira allo sviluppo e alla ricognizione del luogo,
collocato all’ estremità della collina di Posillipo, che nella
tradizione storico-letteraria, è identificata come luogo mitico e
di indiscussa bellezza paesaggistica.
Il lavoro approfondisce principalmente la magnificenza del
contenuto del Parco, che conserva, in pochi metri quadrati, i
mausolei di due scrittori, Virgilio e Leopardi, riconosciuti da
intellettuali di tutti i tempi; e inoltre approfondisce il restauro
filologico del Colombario virgiliano realizzato nel I secolo d. C.,
che la tradizione riconosce come sepoltura del poeta Virgilio.
Al momento del restauro, il colombario si presentava con una
serie di problematiche strutturali e di notevole preoccupazione,
per cui si è intervenuti con tecniche conoscitive e non
distruttive, senza mai eliminare gli strati più antichi, rispettando
i materiali e le tecniche costruttive “tradizionali”.
Un altro progetto in corso interessa la valorizzazione del Parco
di Virgilio “per la letteratura e la poesia” dedicato a Virgilio e
Leopardi. Il lavoro si concentra sulla tipologia dell’essenze
vegetali tratte dallo studio delle testimonianze letterarie dei due
poeti e sulla collocazione all’interno del Parco. Un intervento
finalizzato a trasformare il problema del restauro ad un
esperienza didattico – informativa.
Questa manifestazione da la possibilità di far conoscere i criteri
metodologici degli interventi di restauro e le fasi che un
monumento attraversa per essere conservato e letto dalle
generazioni future.
Napoli, il Parco e il
Colombario virgiliano
Architettura
e restauro
Palazzo Reale
Piazza del Plebiscito,1
80132 Napoli
tel. 081.5808334
fax 081.403561
168
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO E PER IL PATRIMONIO
STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO PER LA PROVINCIA DI NAPOLI
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
In occasione di “Restaura” si
presentano gli interventi sul
Complesso di San Gregorio
Armeno. L’attenzione è rivolta
in particolare ai restauri della
Chiesa e del Chiostro. Il Monastero di S. Gregorio Armeno,
situato nella parte più antica e nobile di Napoli, sorge nell'antico
foro della città greco-romana, fondato intorno al ‘726 da un
gruppo di suore dell'ordine di San Basilio.
La chiesa ad unica navata preceduta da un atrio coperto,
presenta un ricchissimo soffitto ligneo. Le pareti della navata,
la cupola e la controfacciata,sono interamente decorate da Luca
Giordano, opere eseguite tra il 1678 ed il 1679,e descrivono
l'arrivo delle monache armene nella città e la vita di San
Gregorio.
Il monastero inoltre conserva una reliquia straordinaria, il
sangue di Santa Patrizia, custodita in un ampolla che
periodicamente si liquefa,da qui il nome di Chiesa di Santa
Patrizia. La chiesa fu ricostruita tra il 1574 e il 1580 ad opera
dell’architetto Giovan Battista Cavagna, rispettando in pieno i
dettami della controriforma, ed è oggi una testimonianza
straordinaria di architettura Barocca Napoletana. La chiesa è
oggetto di un notevole restauro che mira alla valorizzazione e
alla conservazione nel rispetto dei materiali e delle tecniche
costruttive. Il complesso mantiene tuttora con le sue altissime
mura le inferriate che chiudono ogni apertura il carattere antico
di strettissima clausura.
Al monastero si accede per mezzo di una bassa rampa di scala
interamente affrescata da Giacomo del Po nel 1704 e si svolge
attraverso due simmetrici finti colonnati con vetrate
illusionistiche e prospettive di volte.
Da diversi anni questa Soprintendenza diretta dall'arch. Enrico
Guglielmo, ed in particolare il direttore coordinatore dei lavori
di restauro l’arch. Tommaso Russo e del suo gruppo di
collaboratori il Prof. Candela, la Dott. Annamaria Porro e l’arch.
Almerinda Padricelli si sono occupati principalmente di
interventi statici nel Chiostro con l’inserimento di catene in
acciaio inox complete di filettature e bulloni alle estremità
attraverso un’ intervento di consolidamento e conservazione nel
rispetto delle tecniche costruttive a carattere reversibile.
Attualmente l'impegno di questa Soprintendenza è nel ricercare
nuovi finanziamenti che permettano di continuare e concludere
il lavoro iniziato nella volontà di leggere e rispettare le antiche
testimonianze.
Napoli, il Complesso di
San Gregorio Armeno
I restauri
169
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO E PER IL PATRIMONIO
STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO PER LE PROVINCE DI CAGLIARI E ORISTANO
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
La
chiesa,
insieme
all’annesso convento oggi in
parte sede dell’Università,
sorge nell’antico quartiere di
Gabriele Tola e Lucia Siddi
Castello e costituiva il
Collegio gesuitico di S.Croce, fondato nella metà del XVI secolo
sui resti dell’antica sinagoga. Nel 1809 Vittorio Emanuele I di
Savoia concesse la chiesa all’Ordine Mauriziano, attuale
proprietario, dichiarandola Basilica Magistrale. Una iscrizione
del 1661, posta sul portone della facciata, ricorda la
benefattrice donna Anna Brondo e la fine dei lavori di
ricostruzione.
L’edificio ha un’ unica navata con cappelle laterali, tre per parte,
e presbiterio originariamente rettangolare, oggi semicircolare
in seguito alle trasformazioni ottocentesche. Le coperture a
botte sono decorate con finti cassettoni poligonali eseguiti nel
1850 da Ludovico Crespi, mentre nell’abside troviamo le figure
dei due patroni, i Santi Maurizio e Lazzaro, dipinte in
monocromo nel 1824 da Antonio Caboni. Le sei cappelle sono
ornate da grandi altari realizzati da marmorari lombardo-liguri
con pregiati marmi policromi tra la prima metà del Settecento
e la seconda metà del secolo successivo; in particolare si
segnalano l’altare di S.Ignazio di Loyola, opera del genovese
Pietro Pozzo e datato 1745, e quello dedicato a S.Francesco
Borgia del lombardo Michele Spazzi che lo eseguì nel 1763.
All’interno della Basilica si conservano altri numerosi arredi di
grande pregio: tra i più significativi il possente Crocifisso
ligneo posto sull’altar maggiore, opera secentesca di
importazione iberica, il pregevole dipinto dedicato alla
Madonna e ai Santi martiri Turritani, anch’esso risalente alla
prima metà del XVII secolo, e la grande bussola lignea del
primo Ottocento.
Prima di iniziare qualsiasi intervento di restauro si è ritenuto
necessario far eseguire da una ditta specializzata nel settore un
Soprintendenza per i beni
rilievo con laser scanner che ha consentito la definizione dei
architettonici e per il
paesaggio e per il patrimonio
caratteri superficiali degli oggetti tramite un numero di punti
storico artistico ed
pari all’accuratezza richiesta dallo stesso rilievo. La costruzione
etnoantropologico per le
province di Cagliari e Oristano
di modelli digitali 3D in forma semantica, costituisce uno
Soprintendente:
strumento indispensabile per la conoscenza e corretta
Gabriele Tola
conservazione dei beni storico-artistici e architettonici.
Via Cesare Battisti, 2
I rilievi e l’intervento di restauro della Basilica, chiusa al
09123 Cagliari
pubblico da oltre dieci anni a causa dello stato di estremo
tel. 070.20101
fax 070.252277
degrado nel quale si trovava, si sono potuti in parte realizzare
appsadcagliari.sopr@arti.
grazie ai finanziamenti dell’utilizzo della quota dell’otto per mille
beniculturali.it
Il restauro della
Basilica Mauriziana
di S.Croce a Cagliari
170
dell’IRPEF a diretta gestione statale e ai proventi del gioco del
Lotto. L’intervento, la cui conclusione è prevista per la fine del
2006, ha visto coinvolta anche la competente Soprintendenza
Archeologica in quanto, durante i lavori di rifacimento della
pavimentazione, sono emerse alcune strutture murarie più
antiche e numerosissimi scheletri umani di epoca storica che
hanno portato ad un ritardo di alcuni mesi sul
cronoprogramma iniziale. Conclusi i rilevamenti e gli scavi
archeologici, si è proceduto con il rifacimento del vespaio e del
massetto, allo smontaggio della bussola lignea, degli altari
marmorei e al montaggio di un adeguato ponteggio per
provvedere al restauro delle tempere della copertura della
navata centrale, quest’ultimo intervento attualmente giunto alla
fase conclusiva. Contemporaneamente si è proceduto alla
demolizione degli intonaci esterni dell’edificio, alla pulitura del
paramento murario, al rifacimento degli intonaci e alla loro
tinteggiatura.
Attualmente sono in corso i lavori di riposizionamento di due
altari marmorei restaurati e stanno per iniziare gli interventi sui
dipinti ad olio su tela e sui numerosi arredi lignei presenti nella
Basilica e nelle annesse sacrestie.
Per riuscire a completare il recupero dell’intero complesso
(casa rettorale, chiostro e sacrestie), di grande interesse
storico per la città di Cagliari, questa Soprintendenza sta
predisponendo il relativo progetto necessario alla richiesta di
un ulteriore finanziamento.
171
SOPRINTENDENZA PER I BENI AMBIENTALI ARCHITETTONICI, PER IL PAESAGGIO,
PER IL PATRIMONIO STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELL’UMBRIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
La
Galleria
Nazionale
dell’Umbria, la più completa
ed organica collezione delle
attività artistiche della
Vittoria Garibaldi
regione, documentata da
opere dal XIII al XIX secolo, trova la sua origine nelle
demaniazioni, effettuate durante il periodo di occupazione
francese (1797-1810), del patrimonio di chiese e corporazioni
cittadine; la raccolta trovò prima sede nel convento degli
Olivetani di Monte Morcino Nuovo. Ulteriore incremento alla
collezione fu apportato dalla demaniazione disposta dal
governo postunitario (Decreto Pepoli 11 dicembre 1860) ed
effettuata dalla Commissione artistica per la Provincia
dell’Umbria. Il materiale proveniente dalle soppresse
Corporazioni religiose fu riunito alla precedente collezione,
permettendo la costituzione della Pinacoteca Comunale, la
quale, intitolata a Pietro Vannucci, fu aperta al pubblico nel
Galleria Nazionale
dell’Umbria - Palazzo
dei Priori - Perugia
Soprintendenza per i beni
architettonici e per il
paesaggio e per il patrimonio
storico artistico ed
etnoantropologico
dell’Umbria
Soprintendente:
Vittoria Garibaldi
Via Ulisse Rocchi, 71
06100 Perugia
tel. 075.574111
fax 075.5728221
[email protected]
172
1863. Nel 1879 la raccolta fu trasferita e sistemata al piano
superiore del palazzo dei Priori. Nel 1918, dopo i nuovi
incrementi dovuti ad acquisti e donazioni, ma soprattutto
all’unione della sezione Medievale dei Musei Civici, la
collezione venne riconosciuta di ampio interesse storico
artistico e, mediante una convenzione fra lo Stato e il Comune
di Perugia, venne dichiarata Galleria Nazionale. Di
conseguenza negli anni 1921-22 venne rinnovata la
disposizione delle opere e adeguata alle più rigorose esigenze
storico artistiche.
La Galleria riflette ancora oggi le pluralità culturali del territorio
umbro, accogliendone testimonianze artistiche rimarchevoli,
particolari, parcellizzate, prodotte da una regione
tradizionalmente policentrica.
A partire dall’anno 1987 la Galleria è stata oggetto di interventi
radicali sia a livello architettonico che di adeguamento
funzionale; la stessa, costituita da una superficie di circa 2000
mq., è stata dotata di impianto di climatizzazione con il
controllo del microclima a gestione computerizzata e adeguata
alle vigenti norme di sicurezza.
Attualmente la Galleria Nazionale dell’Umbria è oggetto di
ampliamento, per l’acquisizione di ulteriori 1500 mq di spazio
espositivo al terzo livello, messi a disposizione dal Comune di
Perugia.
A conclusione dei lavori la Galleria diventerà, pertanto, uno dei
poli museali di maggiore attrazione del centro Italia, con la
possibilità di incrementare l’attività di valorizzazione del
proprio patrimonio utilizzando ampi spazi per esposizioni
temporanee, le quali, come avvenuto in occasioni delle recenti
esperienze dedicate al Perugino e ad Arnolfo Di Cambio
largamente apprezzate dal pubblico e dalla critica,
consentiranno al museo di raggiungere una visibilità e
un’affermazione a livello internazionale.
173
SOPRINTENDENZA PER I BENI AMBIENTALI ARCHITETTONICI, PER IL PAESAGGIO,
PER IL PATRIMONIO STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELL’UMBRIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
La grande vetrata absidale
con la struttura lapidea di
sostegno copre una superficie
di
duecentotrentacinque metri quadri
e riassume un particolare
ciclo
decorativo
di
concezione tomistica a
glorificazione dell’ordine
Domenicano. La modulazione gerarchica, asFrancesca Abbozzo
sieme agli stemmi della
nobile famiglia Graziani perugina, si diparte in basso dalle
‘Storiette’ o Quattro Storie di San Jacopo da Compostela:
Martirio; Miracolo del Santo che conduce a Compostella il
pellegrino morto e il compagno; San Jacopo nutre il pellegrino
impiccato; Il Santo salva il giovane trascinato a cavallo ed arso a
furor di popolo. Nei quattro registri superiori pannelli rettangolari
cuspidati e trilobati, racchiudono le figure delle Sante Vergini e
Martiri, dei Dottori della Chiesa, dei Beati e Teologi dell’Ordine
Domenicano, di Martiri e Santi come Santo Stefano, San Pietro e
San Domenico. Fra loro sono inseriti i Santi Costanzo, Ercolano e
Lorenzo, Patroni della Città di Perugia. Ancora salendo sono posti
in progressione gli Apostoli, i Profeti, i quattro Evangelisti con al
centro l’Annunciazione, fino ai minuti pannelli trilobati della
cuspide che, in un crescendo di angeli musicanti, accentra il
Redentore Benedicente tra i serafini. Tutte le figure campiscono
su fondo azzurro, eccettuati gli stemmi in campo rosso. Un bordo
fitiforme stilizzato corre lungo il perimetro di ciascun pannello.
Sull’orlo della veste di Santa Caterina si legge: “hoc opus
mariottus nardius de florentia christi spe fidens pinsit deo
gratia,amen, “. segue poi una lunga iscrizione per il Graziani:
“frater bartolomeus petri de perusia almi ordinis praedicatorum,
minimus frater ad sui perpetuam memoriam fecit hanc vitream
finestram 1411”.
Mariotto di Nardo, importante esponente della cultura gotica
fiorentina, operante tra il 1394 e il 1424, concepì infatti il diisegno
compositivo e la realizzazione pittorica della “finestram vitream”,
secondo le volontà di Frà Bartolomeo di Pietro Graziani,
committente con la sua potente famiglia per il gran cantiere di
San Domenico Nuovo.
Studiata e pubblicata da G. Marchini nel 1955, la magnifica opera
era già stata oggetto attributivo di Mario Salmi che vi individuava
soltanto la mano di Mariotto di Nardo e di Pietro Toesca che la
Progetto
di consolidamento
e restauro della vetrata
monumentale
di Bartolomeo di Pietro
Graziani e Mariotto
di Nardo di Cione, Sec.XV,
anno 1411, nella Chiesa
di San Domenico
di Perugia
174
ritenne originale soltanto nelle “Storiette. La cronologia
conservativa narra di primi interventi risalenti già al 1459, data
della consacrazione della chiesa ad opera di Papa Pio II e,
successivamente al Sec.XVIII e al Sec.XIX; rimane quasi una
fantasia, velata di forte anticlericalismo, la tesi del Gigliarelli,
1908, secondo cui Papa Pio IX avrebbe trasferito a Roma tutta la
vetrata, poi tornata in cattivo stato conservativo, dopo un
ipotetico restauro. In realtà con l’Unità d’Italia, il 14 marzo 1862
tramite il Municipio Perugino, la commissione di controllo
dell’arte cittadina incaricò Francesco Moretti di redarre un
inventario dello stato conservativo del “Finestrone di San
Domenico”. Il restauro iniziò nel 1867 per concludersi nel 1879.
Il Moretti, studioso perugino, creatore e restauratore di vetri
artistici, dopo un attenta mappatura ed analisi dello stato
conservativo, attese allo smontaggio e a tutto il lungo iter di
restauro del manufatto, sostituendo le parti danneggiate o
mancanti, operando la ricottura di quelle reintegrate, secondo le
metodologie dell’epoca. Durante l’ultimo conflitto mondiale la
vetrata fu sottoposta ad un sistema ‘protettivo’, tramite
applicazione di fasce e tele imbevute di colla che poi al momento
della rimozione procurò traumi irreversibili a gran parte delle
velature originali e del modellato. Nel XX secolo la
documentazione dell’Archivio Storico della Soprintendenza cita di
175
SOPRINTENDENZA PER I BENI AMBIENTALI ARCHITETTONICI, PER IL PAESAGGIO,
PER IL PATRIMONIO STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELL’UMBRIA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
frequente il non buono stato conservativo del manufatto e la
necessità di manutenzione. Tra il 1950 e il 1956 l’Ingegner Sisto
Mastrodicasa progetta ed esegue i lavori di intervento statico di
“rafforzamento a catenaria del finestrone del tempio…”,
riuscendo a tutelare il gravissimo degrado della struttura lapidea
contenente la vetrata.
Tra il 1994 e il 1995 si era notato un nuovo preoccupante
aggavio, accentuatosi con il sisma del 1997, sia nella
decoesione lapidea interna ed sterna, sia nella forte evidente
flessione del pilastro centrale, le cui sollecitazioni negative si
ripercuotevano in modo diretto sulla superfice vetrosa con
distorsioni, sollevamenti, fratture e microfratture, nonchè sulle
barre in ferro dei singoli pannelli. Pertanto il progetto di restauro
della vetrata o ‘finestrone’ si compie secondo una metodologia
applicata a momenti tecnici distinti per componenti, ma
necessariamente intersecantesi: quello puramente statico
strutturale, quello del materiale lapideo, quello del materiale
vitreo. Nelle cinque fasi di restauro antecedenti, iniziate nel 1998
e proseguite sino al 2004, il supporto scientifico di risultanza
delle riprese fotogrammetriche, delle indagini preliminari
preventive non distruttive mediante Fluorescenza a Raggi X
(XRF) e della ricerca archivistico documentaria, sono state la
base dello studio progettuale. Nella fase operativa la struttura è
stata alleggerita della sua funzione di sostegno con inserimento
di un sistema portante in acciaio a tirantatura calibrata; il
degrado del materiale lapideo è stato tutelato con operazioni
chimico – meccaniche ed integrative della stessa, nell’equilibrio
della sua funzionalità statica e di contenimento dei pannelli
vitrei. Per questi ultimi si è operato il completo smontaggio ed
il restauro di ciascun pannello con metodologie innovative tra
cui ad esempio, circa le tipologie dei telai di contenimento e
delle guarnizioni nel sistema di ricollocamento in situ ancora da
eseguire, con una finalità di autoportanza. Con simile
concezione si è operato pur ai fini della conservazione climatica
dell’opera, con studi specifici per la progettazione e la
realizzazione di una controvetrata atta a tutelare la vetrata
storica dai danni naturali, da quelli volontari o accidentali.
Il ciclo di restauro fino qui atteso e che necessita solo dell’ultimo
lotto conclusivo ha permesso una evoluzione conoscitiva dello
splendido manufatto vitreo e lapideo, attraverso la lettura della
sua concezione realizzativa originale, del sovrapporsi di momenti
conservativi ignoti, del la cui cognizione sarebbe rimasta
altrimenti non riscontrabile, dell’effettiva risultanza di parti
autografe di notevolissima qualità pittorica ed esecutiva.
176
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI PER IL PAESAGGIO E PER IL PATRIMONIO
STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DI VENEZIA E LAGUNA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Premessa: impiantistica e
patrimonio
architettonico
storico.
Un
confronto
inevitabile
La Sovrintendenza B.A.P.P
.S.A.E. di Venezia e Laguna ha
sempre
mostrato
una
particolare
attenzione
ai
problemi dell’inserimento della
nuova impiantistica nell’architettura storica. Cosciente che
l’unica via per assicurarne una efficace conservazione è
garantirne l’uso, sia secondo la destinazione originaria sia
secondo le nuove esigenze sviluppatesi nella società
contemporanea; e del fatto che proprio la dotazione di nuovi
impianti è l’aspetto che più si è evoluto negli ultimi due secoli
(e che più fortemente ha afflitto la materialità degli antichi
edifici: forature, demolizioni parziali, scassi… che si ripetono
a distanza temporale sempre più ridotta a causa
dell’evoluzione tecnologica e normativa che contraddistingue
il settore), ha costantemente e con interesse seguito
l’evoluzione sempre più rapida verificatasi nello specifico
settore.
I nuovi sistemi di
riscaldamento ad
irraggiamento e il
patrimonio storico
artistico ed
architettonico.
L’esperienza di
Gambarare di Mira
Soprintendenza per i beni
architettonici per il paesaggio
e per il patrimonio storico
artistico ed etnoantropologico
di Venezia e Laguna
Soprintendente:
Renata Codello (reggente)
L’esperienza di Gambarare di Mira
In tale filone si inserisce la promozione della sperimentazione
ed il monitoraggio degli effetti di sistemi di riscaldamento a IR
in immobili spesso delicati e di complicata (e costosa)
gestione quali gli edifici ecclesiastici che ha avuto luogo nello
scorso biennio nella chiesa Cattedrale di Gambarare, in
Comune di Mira. Protagonisti di tale esperienza sono stati,
oltre alla Soprintendenza, la Fraccaro Officine Termotecniche
S.R.L. di Castelfranco, Società produttrice degli elementi
radianti che ha parzialmente finanziato la sperimentazione;
l’Istituto di Chimica Inorganica e delle Superfici del C.N.R.di
Padova, a cui sono state affidate le indagini chimico-fisiche ed
il Dipartimento di Costruzioni dell’Università IUAV, a cui è stato
affidato il monitoraggio dei parametri ambientali.
Piazza San Marco, 1 (Palazzo
Ducale)
30124 Venezia
tel. 041.2710111
fax: 041.5204526
ambiartive.segret@arti.
beniculturali.it
www.soprintendenzave.
beniculturali.it
Il problema
Il riscaldamento di volumi di notevoli dimensioni, con altezze
interne medie superiori ai 10 m, quali quelli che solitamente
contraddistinguono le chiese ha rappresentato, dal momento
in cui vi sono stati introdotti sistemi di riscaldamento, un
significativo problema sotto un duplice aspetto: il quantitativo
177
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI PER IL PAESAGGIO E PER IL PATRIMONIO
STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DI VENEZIA E LAGUNA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
di energia richiesto dai tradizionali sistemi di riscaldamento “a
fluido”, in cui il calore è trasmesso appunto dal generatore al
punto di erogazione da liquidi o da masse di aria calda con
l’obiettivo di vincere l’inerzia termica dell’edificio; gli esiti per
le spesso fragili decorazioni lì presenti derivanti dalla
concentrazione nei punti “sbagliati” di quei quantitativi di
energia, con l’effetto di indurre notevoli stress termici e
igrometrici ai materiali e alle strutture (soffittature decorate;
travature di copertura, etc.).
La difficoltà di controllare la distribuzione delle masse d’aria
calda all’interno dei volumi, la loro naturale tendenza a
concentrarsi là dove meno servono (cioè nella parte più alta
del vano) e la lunga durata rispetto alle effettive necessità del
riscaldamento (l’impianto funziona per un periodo molto
superiore a quello di effettivo uso, richiedendo un periodo
lungo di “avviamento”, precedente lo svolgimento della
funzione, ed uno altrettanto lungo di raffreddamento) paiono
essere problematiche difficilmente risolvibili se si rimane
all’interno delle logiche di funzionamento proprie dei sistemi
tradizionali di distribuzione del calore.
Una possibile soluzione: i sistemi ad irraggiamento IR
Una soluzione a tali problematiche pare essere rappresentata
dai sistemi cosiddetti ad irradiamento IR, tra i quali un posto
significativo è occupato dai sistemi a generatori IR elettrici o
a gas quali quelli prodotti appunto dalla società di
Castelfranco.
La sperimentazione
Mancavano però sperimentazioni sugli effetti che
l’irraggiamento a infrarossi può provocare sui delicatissimi
tesori contenuti all’interno degli edifici chiesastici. Non vi
erano dati, infatti, sugli effetti di tale irraggiamento su
superfici decorate, sulle tele, sugli arredi e su tutti gli oggetti
che in genere caratterizzano l’interno di una chiesa. La
sperimentazione condotta è servita proprio a verificare gli
effetti che possono derivare dall’irraggiamento a tali oggetti.
Qualsiasi esperimento si basa sull’imposizione di condizioni
costanti e di altre variabili e sull’osservazione dell’interazione
tra le prime e le seconde e gli effetti indotti. In questo caso gli
effetti per così dire fissi erano rappresentati dai periodi di
accensione dell’impianto, periodi decisi sulla base delle
esigenze del culto (frequenza e durata delle funzioni) e sulle
necessità proprie dell’edificio. I fattori oggetto di indagine
178
erano raggruppabili in due insiemi: effetti microclimatici
interni al vano della chiesa; effetti di degrado sui materiali
costitutivi l’oggettistica presenti.
Parallelamente al monitoraggio delle condizioni
microclimatiche interne in corrispondenza dei riscaldatori e in
prossimità di oggetti di pregio, le indagini chimico-fisiche
hanno permesso di valutare gli eventuali effetti del sistema di
riscaldamento su due manufatti, che pur non essendo
direttamente sottoposti al cono d’azione dei riscaldatori, ne
subiscono indirettamente l’effetto.
Gli effetti di tali variazioni sono stati studiati su due tipologie
di materiali diversi: il substrato lapideo dell’altare di San
Giuseppe, già fortemente deteriorato a causa della formazione
di efflorescenze e subefflorescenze saline, e la superficie
pittorica del dipinto soprastante l’altare della Madonna della
Salute. L’indagine ha previsto una campagna di prelievi e
misure in situ in corrispondenza del periodo di accensione dei
riscaldatori, ovvero da novembre 2002 a aprile 2003, che si è
poi prolungato fino a giugno 2003 per confrontare i risultati
ottenuti durante il periodo in cui il riscaldamento era in
funzione con quelli ottenuti in un periodo in cui era spento.
Per quanto riguarda il materiale lapideo degradato, si
evidenzia che le variazioni di umidità e temperatura non
influenzano la cristallizzazione di sali solubili estremamente
deleteri, quali l’epsomite e il gesso, che rimangono stabili
durante tutto il periodo indagato, inoltre si osserva che la
cristallizzazione periodica dei nitrati e dei cloruri, è
indipendente dal riscaldamento e avviene generalmente
quando l’umidità relativa scende sotto il 60% ovvero nei
periodi meno umidi dovuti all’ambiente esterno.
I risultati ottenuti risultano congruenti con studi simili
effettuati in ambienti sottoposti a riscaldamento intermittente
(acceso poche ore nei fine settimana). In questi ambienti
cristallizzano sali solubili relativamente poco igroscopici, la
cui cristallizzazione è controllata dalla diminuzione di
temperatura che ne riduce la solubilità in funzione delle
variazioni di temperatura, mentre sali maggiormente
igroscopici risentono maggiormente delle variazioni di umidità
relativa indotte dall’ambiente esterno.
Relativamente all’influenza delle variazioni microclimatiche
sulla superficie del dipinto, i risultati ottenuti indicano che nel
periodo del monitoraggio non ci sono variazioni cromatiche
significative, infatti il grado di uniformità del colore varia da
elevatissimo a buono, con poche eccezioni, molto
179
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI PER IL PAESAGGIO E PER IL PATRIMONIO
STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DI VENEZIA E LAGUNA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
probabilmente legate all’imprecisione nel posizionamento del
colorimetro.
Va sottolineato che i risultati ottenuti sono relativi a manufatti
non direttamente sottoposti al cono d’azione dei riscaldatori e
non possono venire estesi a manufatti che risentano
direttamente delle emissioni del sistema riscaldante.
Gli esiti della sperimentazione svolta nella Chiesa di
Gambarare sono stati assolutamente incoraggianti: allo stato,
non sono stati rilevati fenomeni degenerativi di alcun genere
sui materiali sottoposti ad esame mentre il controllo degli
effetti sul microclima interno del funzionamento dell’impianto
ha fornito dati positivi, mostrando come lo stress termico ed
igrometrico risulti molto ridotto rispetto a quello tipico dei
riscaldamenti tradizionali.
Un appunto deve essere fatto invece dal lato dell’estetica: i
dispositivi per l’irraggiamento IR, di chiara derivazione
industriale, denunciano ancora una scarsissima attenzione a
questo aspetto che merita un deciso e significativo
investimento in termini sia di ricerca “scientifica”
–miniaturizzazione delle superfici radianti, incremento della
loro efficienza – sia di ricerca formale; chi scrive ha la
convinzione che tali oggetti possano essere migliorati sotto
questo punto di vista fino a farli divenire “belli”.
Marco Pretelli – Soprintendenza
BAPPSAE di Venezia e Laguna
Monica Favaro – Istituto di
Chimica Inorganica e delle
Superfici, CNR di Padova
180
SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI PER IL PAESAGGIO
E PER IL PATRIMONIO STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DI VENEZIA E LAGUNA
Dipartimento per i Beni Culturali
e Paesaggistici
Con Decreto Ministeriale in data
17.3.1989 veniva acquisito al
Demanio dello Stato, mediante
esercizio del diritto di prelazione, il
complesso monumentale denoTiziana Foraro
minato palazzo Soranzo-Cappello,
costituito dal palazzo vero e proprio, importante architettura tardocinquecentesca, dall’attiguo palazzetto, sorto in parte come
residenza di servizio, e dal vasto giardino di pertinenza che si
sviluppa sull’area retrostante, perfettamente in asse con l’impianto
planimetrico principale. È stata in seguito perfezionata
l’acquisizione a titolo oneroso dello scoperto a fianco del palazzo,
in parte destinato in origine a brolo e frutteto, comunque
storicamente parte integrante del complesso.Il complesso non
presenta un apparato decorativo eclatante, ma si impone
suggestivamente per le proporzioni e per il raffinato disegno degli
elementi architettonici in corrispondenza degli spazi e delle
superfici più rappresentative: prospetti principali, androne al piano
terra, salone passante al primo piano nobile. Non mancano tuttavia
decorazioni di pregio artistico come gli intonaci decorati a tempera
del salone del primo piano nobile, un piccolo soffitto dipinto a
tempera su foglia d’oro e le travature lignee decorate presenti in
alcune stanze del secondo piano nobile.
A causa del decennale abbandono, dell’assenza di opere di
manutenzione e di impropri interventi legati a precedenti
destinazioni d’uso, il complesso si trovava, all’atto di prelazione,
in una condizione di generale degrado con alcuni dissesti statici
in corrispondenza di zone soggette al crollo di porzioni del tetto.
Il recupero, finalizzato al restauro e adeguamento funzionale a sede
di istituti periferici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (le
Soprintendenze per i Beni Architettonici e il Paesaggio e per i Beni
Artistici e Storici del Veneto), è stato finanziato dal Ministero e in
parte dal Comune di Venezia con fondi Legge Speciale.
In seguito al ricorso al Tar della Società acquirente contro la
prelazione ministeriale, il Ministero Beni Culturali finanziava un
primo lotto di interventi urgenti al tetto, per fermare la prima e più
importante causa di degrado, e quindi sospendeva in pratica i
finanziamenti in attesa della sentenza definitiva. I lavori
riprendevano quindi intorno al 1996, dopo la sentenza del Tar a
favore dell’operato del Ministero, e ricevevano una accelerazione
importante con l’ Accordo di Programma Comune di Venezia –
Ministero Beni Culturali, siglato nel 1998, in base al quale, a fronte
di un cospicuo finanziamento di fondi comunali della Legge
Speciale per i restauri del complesso, gli spazi lasciati liberi dalle
Il restauro
del Palazzo Soranzo
Cappello, Venezia –
S.Croce
181
Il complesso di Palazzo Soranzo
Cappello è stato acquisito al
Demanio dello Stato mediante
esercizio del diritto di prelazione
nel 1989 con la proposta di
destinazione d’uso a sedi di uffici
periferici del Ministero per i Beni e
le Attività Culturali.
Il restauro è stato curato dalla
Soprintendenza per i Beni
Architettonici e il Paesaggio di
Venezia con fondi del Ministero
per i Beni e le Attività Culturali e
del Comune di Venezia (Legge
Speciale) sulla base di un Accordo
di Programma Ministero-Comune.
Soprintendenti: Margherita Asso,
Mario Piana (reggente), Livio
Ricciardi, Roberto Cecchi, Stefano
Filippi (reggente), Giorgio Rossini.
Progetto e Direzione Lavori:
Tiziana Favaro con la
collaborazione di: Edoardo
Radolovich; Silvia Magnani
(A.T.R.) ha seguito il progetto e il
restauro degli apparati decorativi
Luigi Marangon ha predisposto
schede informatiche in fase di
progetto esecutivo. Hanno inoltre
collaborato: Dino Chinellato
(elaborazioni grafiche e video),
Severino Rugger (riprese video),
Meri Gallo (foto), Antonio
Amoroso, Margherita Rossi.
I rilievi e gli elaborati grafici sono
stati eseguiti da Roberto Pessato,
cui si deve anche la creazione
dell’archivio informatico del
materiale grafico e documentale
relativo al progetto e al restauro.
Anna Toniolo ha svolto la ricerca
documentaria d’archivio
nell’ambito della redazione della
scheda PG di catalogo per il
giardino e gli scoperti di
pertinenza. Il progetto di
sistemazione delle aree verdi è
stato redatto in collaborazione con
Giuseppe Rallo della
Soprintendenza per i Beni
Architettonici e il Paesaggio del
Veneto Orientale. Elaborati grafici
di Costanza Zocchi.
Il progetto impiantistico è dello
Studio Tecnico Dal Prà con la
collaborazione del perito
Cenedese. Le indagini preliminari
sono state eseguite da: Arcadia
Ricerche, R & S Tecnologie,
Geotecnica Veneta S..r.l., C.S.G.
Palladio. Giulio Testori ha
schedato gli elementi scultorei e
architettonici di corte e giardino
nell’ambito di uno stage per il
corso di laurea in Architettura
Soprintendenze a palazzo Reale saranno dati in concessione al
Comune per un ampliamento del Museo Correr. Se con
finanziamenti ministeriali erano già stati sistemati i tetti, i prospetti
ed era stato avviato il risanamento delle murature del piano
terreno, con i 6 miliardi della Legge Speciale vennero affrontati la
maggior parte degli interventi alle parti sovrastrutturali (intonaci,
pavimenti, infissi ecc.) e realizzato il complesso adeguamento
impiantistico, che comprende gli impianti di climatizzazione,
elettrico, idrico, antintrusione, antincendio, di supervisione con TV
a circuito chiuso. Un successivo lotto di lavori, finanziato dal
Ministero, ha permesso di completare il restauro degli elementi
decorativi (travature, decorazioni a tempera del salone al primo
piano nobile, stucchi ecc.), ed è stato di recente ultimato il restauro
delle aree verdi di pertinenza: la corte monumentale, il vasto
giardino retrostante e lo scoperto a nord.
Ha trovato così compimento il recupero di un affascinante
complesso di architetture monumentali ed aree verdi, sfondo e
ambientazione di una Venezia “appartata e decrepita” nel
Carteggio Aspern di Henry James (1888) o di passionali incontri
amorosi tra Stelio e Foscarina nel Fuoco di D’Annunzio (1927):
“..scintillavano gli astri, ondeggiavano gli alberi dietro il capo di
Perdita, si profondava un giardino. Dai balconi aperti entravano
nel cenacolo i soffi del cielo, agitavano le fiammelle dei
candelabri e i calici dei fiori, passavano per le porte, facevano
palpitare le tende, animavano tutta la vecchia casa dei Capello..”.
182
Centro Conservazione e Restauro
“La Venaria Reale”
Situato nel grandioso complesso della Reggia di Venaria Reale,
nell’immediata periferia nord di Torino, il Centro Conservazione
e Restauro “La Venaria Reale” è stato istituito come fondazione
nel marzo 2005, per iniziativa congiunta di Ministero per i Beni
e le Attività Culturali, Regione Piemonte, Università di Torino,
Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo e
Fondazione Cassa di Risparmio di Torino. A questi cinque
fondatori si è aggiunto recentemente il Politecnico di Torino,
apportando così un ulteriore e prestigioso contributo di capacità
e di esperienze.
Il Centro occupa oltre 8.000 mq delle strutture settecentesche
originali, restaurate e allestite con l’inserimento di elementi di
architettura contemporanea. Si avvale di 15 aule per la didattica,
7 per lo studio, 8 per i laboratori di restauro, 5 per i laboratori
scientifici, oltre all’aula magna con circa 200 posti, la biblioteca,
gli uffici, archivi e strutture di servizio, ricerca e diagnostica
sulla conservazione dei beni culturali.
È stata attivata anche la Scuola di Alta formazione, i cui corsi si
terranno a partire dall’anno accademico 2006/2007. La Scuola
permetterà agli studenti – prima nel nostro Paese – di
conseguire direttamente un diploma di laurea nelle materie della
conservazione e del restauro dei beni culturali.
Il Centro ha lo scopo di realizzare restauri complessi,
formazione dei restauratori e promozione di imprese del
rastauro. Inoltre realizza e promuove sudi e ricerche e partecipa
a programmi internazionali di ricerca e conservazione. Con la
realizzazione del convegno internazionale “L’alta formazione dei
conservatori – restauratori. Istituzioni pubbliche e private in
Europa”, tenutosi mercoledì 23 e giovedì 24 novembre 2005, il
Centro si è presentato sulla scena europea con un’iniziativa
destinata a segnare un solido punto di riferimento per la
definizione della figura professionale del restauratore.
La forma giuridica di fondazione garantisce al Centro una
gestione privatistica e manageriale, elastica e dinamica, atta a
proporsi quale moderno riferimento di primaria importanza nel
campo del restauro a livello nazionale e internazionale.
Centro Conservazione
e Restauro “La Venaria
Reale”
Presidente: Carlo Callieri
Il Centro intende rappresentare non solo un punto di riferimento
significativo per la conservazione e il restauro, ma anche
un’occasione per produrre occupazione a livelli di eccellenza nel
settore dei beni culturali.
Piazza della Repubblica, 4
10078
Venaria Reale, Torino
tel. +39 011.4993011 www.centrorestaurovenaria.it
183
CCTPC - Comando Carabinieri
Comando Carabinieri Tutela
Patrimonio Culturale
Comandante:
Gen. Ugo Zottin
Piazza Sant’Ignazio, 152
00186 Roma
tel. 06.6920301
fax 06.69203069
www.carabinieri.it
[email protected]
Tutela
Patrimonio Culturale
Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale opera dal
1969, da quando fu istituito come Nucleo dipendente dal
Ministero della Pubblica Istruzione. La sua costituzione anticipò
così di un anno la raccomandazione espressa della Conferenza
Generale UNESCO, riunitasi a Parigi dal 12 ottobre al 14
novembre 1970, con la quale si invitavano gli Stati membri ad
adottare le opportune misure per impedire l'acquisizione di beni
illecitamente esportati e favorire il recupero di quelli trafugati,
nonché di predisporre uno specifico servizio a ciò finalizzato.
Oggi il Comando vanta ormai un elevato grado di
specializzazione ed opera alle dipendenze funzionali del Ministro
per i Beni e le Attività Culturali; agisce d'intesa con i reparti
dell'organizzazione territoriale e speciale dell'Arma sull'intero
territorio nazionale ed in ambito internazionale attraverso la
collaborazione dell'Interpol.
Esso è articolato su un Ufficio Comando che ha alle dipendenze
la Sezione Operazioni e la Sezione Elaborazione Dati (S.E.D.)
anche per l'analisi del fenomeno criminale e la pianificazione
delle strategie di contrasto, oltre che per un migliore
coordinamento dell'attività operativa dei reparti dipendenti. Per
le indagini di polizia giudiziaria nello specifico settore si avvale
del Reparto Operativo articolato in tre sezioni (Antiquariato,
Archeologia, Falsi e Arte Contemporanea) nonché di 11 nuclei
coordinati dal Vice comandante, distribuiti sull'intero territorio
nazionale (Torino, Monza, Venezia, Genova, Bologna, Firenze,
Sassari, Napoli, Cosenza, Bari e Palermo). È imminente la
costituzione di un nuovo Nucleo a Ancona e di un Sottonucleo
a Siracusa.
In particolare il Comando promuove l'attività informativa e di
intelligence nella specifica materia e pone in essere tutte quelle
azioni di polizia giudiziaria ed extra-giudiziale per favorire il
recupero delle opere d'arte illecitamente sottratte. Esercita
controlli e verifiche sugli esercizi antiquariali, sulle aste, fiere e
mercati specializzati, nonché il monitoraggio sui siti
archeologici terrestri e marini avvalendosi dei mezzi aerei e
navali dell'Arma.
I militari del Comando T.P.C. sono stati inoltre impegnati
nell'ambito delle missioni internazionali a sostegno della pace
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sia in Kosovo che in Iraq, durante le quali, spesso in difficili
contesti ambientali, hanno collaborato con le Autorità di quelle
Nazioni per il censimento e la tutela del patrimonio culturale
minacciato dagli eventi bellici.
Dal 1970 al 2003 sono stati recuperati oltre 251 mila opere
d'arte e 527 mila reperti archeologici nonché sono state
sequestrate circa 226 mila opere falsificate. Nello stesso
periodo inoltre quest'attività ha permesso di deferire alla
Magistratura circa 16mila persone indagate in stato di libertà o
d'arresto per reati attinenti alla materia. Per sottolineare
l'importanza e la necessità di una stretta collaborazione tra le
forze di Polizia a livello internazionale, basti pensare che oltre
7.700 opere trafugate in Italia sono state recuperate all'estero e
circa 1300 opere sottratte in territorio straniero sono state
rinvenute nella nostra Nazione.
Uno dei punti di forza per il successo delle attività di indagine e di
recupero compiute dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio
Culturale è la "Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti":
il più grande archivio informatico di beni da ricercare esistente al
mondo. Aggiornata quotidianamente dal personale della Sezione
Elaborazione Dati, contiene oltre 2milioni e 400mila schede con
le informazioni relative alle opere sottratte sia in Italia che in altri
Paesi; di queste opere, circa 263mila sono corredate di immagini
che forniscono informazioni più dettagliate e un immediato
riscontro visivo dell'oggetto da ricercare. È in sostanza un
archivio di informazioni testuali di eventi delittuosi e immagini
digitalizzate relative ai beni d'arte oggetto d'indagine. Alimentata
dalle informazioni che pervengono sia dall'Arma, che dalle altre
Forze di Polizia e dall'Interpol o dalle Soprintendenze del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, può essere
vantaggiosamente consultata nell'ambito delle indagini condotte
nello specifico settore da parte di ogni Forza di Polizia. Una sua
consistente porzione è peraltro a disposizione degli stessi
cittadini che possono consultarla on line attraverso un versatile
motore di ricerca nelle pagine web del Comando all'interno del
sito dell'Arma www.carabinieri.it.
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CCTPC - Comando Carabinieri
I militari della Sezione possono peraltro consultare con un
accesso privilegiato la Banca Dati BEWEB dei beni culturali
censiti delle Diocesi e presenti nel sito internet della Conferenza
Episcopale Italiana.
La completa descrizione di un'opera d'arte da ricercare è
fondamentale per un suo successivo riconoscimento
nell'ambito delle indagini di polizia giudiziaria, ma purtroppo
spesso manca un'idonea documentazione fotografica o
descrittiva per la maggior parte dei furti di beni d'arte di
proprietà privata. Una simile carenza può spesso pregiudicare
il buon esito investigativo.
Il Comando ha pertanto approntato sin dal 1994, in
collaborazione con l'Istituto Centrale per il Catalogo e la
Documentazione (I.C.C.D.), il "Documento dell'opera d'arte Object ID" anche in adesione agli standard internazionali
stabiliti dall'UNESCO. Tale modulo può essere richiesto presso
qualsiasi comando dell'Arma o "scaricato" dalle pagine internet
del sito istituzionale summenzionato. Compilando questa
scheda preventiva, ciascuno può costituirsi un archivio
fotografico e descrittivo dei propri beni d'arte, molto utile e
determinante in caso di furto, allorquando la catalogazione dei
singoli proprietari o non esista o non sia stata ancora
predisposta dagli Enti incaricati a realizzarla.
186
ALES S.p.A. - Arte Lavoro e Servizi
Presidente: Luigi Covatta
Amministratore delegato:
Bruno Esposito
Via dei Valeri, 1
00184 Roma
tel.06.70450922
fax. 06.77591514
Via S. Brigida, 51
80133 Napoli
tel.081.7810701
fax.081.5511518
www.ales-spa.it
ALES – Arte Lavoro e Servizi S.p.A, nata nel 1998, è una
società a capitale pubblico partecipata dal Ministero per i Beni
e le Attività Culturali e da Italia Lavoro.
Svolge, con un team composto da varie competenze settoriali,
servizi qualificati per la conservazione, valorizzazione e
fruizione dei beni culturali, per Soprintendenze e Istituti del
MiBAC nel Lazio e in Campania.
Svolge, inoltre, attività di progettazione e di monitoraggio.
Ha collaborato con università ed enti di formazione per la
realizzazione di percorsi formativi in materia di conservazione,
promozione e gestione del patrimonio culturale.
Ha realizzato una ricerca finalizzata alla pubblicazione di un
Repertorio delle Professioni e dei Mestieri nel settore dei Beni
Culturali.
Ha attualmente 426 dipendenti di cui 158 nel Lazio e 268 in
Campania.
Nel dicembre 2003 ha ottenuto l’attestazione SOA per le
categorie di lavorazioni OG1, OG2, OS24, ed ha ottenuto e
recentemente confermato la certificazione di qualità VISION
2000.
Le esperienze significative:
• Servizi di manutenzione ordinaria e movimentazione degli
arredi in siti di interesse culturale, storico ed architettonico
quali Palazzo Reale, Castel Sant’Elmo, Villa Floridiana, Villa
Pignatelli, Certosa di San Martino, Reggia di Capodimonte e
Archivio di Stato a Napoli;
• Servizi di manutenzione ordinaria di strutture archeologiche e
di manutenzione del verde in molte aree archeologiche in
Campania e nel Lazio (Ostia Antica, Tempio di Ercole Vincitore
a Tivoli, Cuma, Avella, Atripalda, Mirabella Eclano, Paestum ed
altre ancora) dove ha realizzato la bonifica e diserbo della
vegetazione infestante, la manutenzione ordinaria delle
strutture murarie e delle pavimentazioni, la pulizia dei percorsi
di visita dei comprensori archeologici;
• Servizi di ripristino del verde, con messa a dimora di specie
vegetali analoghe a quelle antiche, manutenzione dei giardini
realizzati e cura dei pergolati nelle aree archeologiche di
Pompei ed Ercolano;
• Movimentazione dei beni mobili, del materiale cartaceo, dei
volumi della biblioteca e lo sportello informativo alla Reggia di
Caserta;
• Sportello Informa di Palazzo Reale a Napoli;
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ALES S.p.A. - Arte Lavoro e Servizi
• Servizi di supporto alla Biblioteca di archeologia e storia
dell’arte di Palazzo Venezia a Roma, alla Biblioteca Nazionale
di Napoli, all’Archivio di Stato di Napoli e a quello di Caserta;
• Servizi di sorveglianza ed accoglienza del Museo didattico del
Sele, delle aree archeologiche di Cuma e di Villa dei Quintili,
della Villa Rustica di S. Antonio Abate e del Museo Ardersen
• Servizi di accoglienza e biglietteria della Galleria Nazionale di
Arte Moderna a Roma;
Attività di monitoraggio relative a:
• Accordo di programma Quadro tra MiBAC e Regione Lazio
• Il Call center per il MiBAC
• La Sicurezza e tutela del patrimonio artistico
• Il Supporto alla comunicazione del patrimonio nazionale
• L’Informatizzazione degli archivi degli istituti periferici del
MiBAC
• La Manutenzione delle aree archeologiche dei comuni del Nord
ovest della Sardegna
Tra i clienti Ales segnaliamo anche l’Istituto Centrale per il
Restauro e il MAXXI.
188
ARCUS S.p.A. - Arte, Cultura e Spettacolo
Direttore generale:
Ettore Pietrabissa
Via Agostino De Pretis, 86
00184 Roma
Tel. 06.4740372
06.47882423
06.47823919 fax
[email protected]
www.arcusonline.org
ARCUS e gli interventi
in materia di restauro
Maurizio Pizzuto
La notevole competenza acquisita dagli italiani nel settore della
ricerca archeologica e del recupero è stata riconosciuta a livello
internazionale ed ha permesso di ampliare nel tempo gli interventi
di restauro all'estero.
Un riconoscimento importante che vede assegnare ai restauratori
italiani un ruolo di primo piano. È proprio in Italia che il settore del
restauro vede affondare le proprie radici culturali fin dal
Rinascimento per poi giungere, dopo secoli di “querelle”, all’acuta
azione chiarificatrice della ricerca di unità metodologica
nell’intervento di restauro con Cesare Brandi e la sua Teoria del
Restauro. Teoria quella del Brandi che permise la redazione della
“carta del restauro” del 1931 e la nascita dell’Istituto Centrale per il
Restauro nel 1939. L’importanza dell’apporto italiano è inoltre
riconosciuta nel panorama internazionale anche dall'Unesco per i
principi applicativi seguiti nei restauri realizzati, spesso, anche grazie
al contributo e ai finanziamenti della Cooperazione Italiana del
Ministero degli Affari Esteri.
L'arte del restauro, parte integrante della ricchezza culturale italiana,
ha saputo sviluppare tecniche d'avanguardia, diventando oggi la
migliore ambasciatrice dell'Italia. Un ruolo fondamentale
riconosciuto ai nostri restauratori dall'Unesco attraverso un
protocollo che assegna all'Italia la responsabilita' di coordinare gli
interventi di protezione del patrimonio culturale mondiale in seguito
ad eventi bellici o calamita', un ruolo per il quale gli italiani sono stati
definiti i ''caschi blu della cultura''
Dal 2004, anno di costituzione di Arcus SpA, la “Società per lo
Sviluppo dell’arte, della cultura e dello Spettacolo, in attuazione
dell’Art. 2 della Legge 16 ottobre 2003, n. 291, che ha sostituito
l’Art.10 della Legge 8 ottobre 1997, n. 352, tra le attività aziendali
troviamo la promozione e il sostegno finanziario, tecnico-economico
e organizzativo di progetti e di altre iniziative di investimento per la
realizzazione di interventi di restauro.
Tra i restauri attivati da ARCUS:
Progetto “Teatro Donizetti di Bergamo”
Il progetto prevede il restauro delle facciate monumentali
dell’edificio settecentesco.
Il Teatro Donizetti, primo teatro in muratura della città di Bergamo,
189
ARCUS S.p.A. - Arte, Cultura e Spettacolo
è stato edificato nella seconda metà del 1700.
L’intervento consiste nel recupero e ricostruzione delle sagome
originali dei cornicioni, delle balaustra, delle colonne, e dei modellati
esistenti ivi compresa la ricostruzione delle parti mancanti dei gruppi
scultorei.
Arcus si propone di cogliere l’occasione del restauro delle facciate
del Teatro, che riqualificherà il pregevole edificio e di conseguenza
lo spazio urbano in cui ha sede, per rinnovare l’interesse di tutti gli
enti territoriali e di tutte le entità pubbliche e private che abbiano una
qualche attinenza col mondo della musica lirico-sinfonica e con
l’indotto che essa può procurare.
Progetto Cattedrale di Terni
L’obiettivo del progetto è quello di valorizzare l’antica Cattedrale di
Terni, bombardata nell’ultima guerra, sia dal punto di vista pastorale
e liturgico, sia dal punto di vista storico-artistico, costituendo un
Museo Diocesano ove poter esporre opere importanti attualmente
non visibili al pubblico.
Il progetto generale prevede interventi, da ripartirsi in due fasi di
lavoro, volti al restauro ed alla rifunzionalizzazione della Cattedrale
di Santa Maria Assunta in Terni ed alla ristrutturazione dell’immobile
ad essa adiacente da destinare a Museo Diocesano.
ARCUS, realizzando quanto sopra descritto, concluderà una parte
importante, e in sé definita, del progetto e potrebbe favorire la
coalizione di altre forze, istituzionali e non, affinché attorno alle
nuove realizzazioni si risvegli un insieme di progettualità positive non
solo in campo culturale e religioso, ma anche turistico ed
economico.
Progetto “Siracusa arena del sud”
Il Progetto riguarda la ristrutturazione del locale Teatro Greco, in
vista del suo utilizzo quale contenitore per la produzione lirico sinfonica, e costituisce la prima operazione necessaria ai fini della
realizzazione di una progettualità più ampia prevista nel “Progetto
Speciale Siracusa Arena del Sud”, che riguarda la realizzazione del
primo festival “Siracusa Arena del Sud” e la realizzazione delle
produzioni “Edipo” e Medea” nei siti archeologici del Mediterraneo.
Progetto “Villa romana del Tellaro”- recupero villa, lavori
archeologici e studio percorsi Noto-Pachino”
Il Progetto presentato, nella sua interezza, mira a realizzare il “Parco
archeologico e ambientale dell’area relativa al complesso della Villa
romana del Tellaro”, nei pressi della città di Noto, in provincia di
Siracusa, attraverso il completo recupero di un’opera di grande
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importanza nel quadro delle antichità romane.
Gli interventi previsti da Arcus sono relativi al completamento degli
scavi archeologici e al restauro dei reperti e riguarderanno anche
la sistemazione complessiva del parco.
Progetto Area Archeologica di Sibari (CS)
Il progetto proposto si inserisce nel quadro programmatico di
studio della città antica di Sybaris, nel suo rapporto con il territorio
circostante, ed è finalizzato alla valorizzazione di un’area di
straordinaria importanza, con un parco archeologico di circa 10
ettari ed un grande Museo, situata a circa 20 km dall’autostrada
Salerno-Reggio Calabria, in particolare nel punto di maggiore
avvicinamento di tale autostrada alla costa jonica della Calabria, in
una zona nodale di collegamento tra la Salerno -Reggio Calabria e
la S.S.106 (da Taranto a Reggio Calabria).
Il progetto nella sua globalità mira all’ esplorazione completa
dell’area monumentale (circa 6000 mq) attraverso lo scavo
archeologico realizzato scientificamente con lo studio e la
sistemazione dei dati emersi nel corso delle indagini, e successivo
restauro dei materiali archeologici e al restauro conservativo delle
strutture murarie più prossime, sia delle superfici orizzontali che di
quelle verticali.
Progetto scavi di Colombarone (Pesaro)
Il progetto generale prevede:
• Musealizzazione - Completamento degli scavi, restauro delle
strutture messe in luce, restauro dei materiali rinvenuti,
documentazione grafica e fotografica, studio ed edizione dello
scavo
• Copertura scavi - Copertura e protezione degli scavi con una
tettoia, realizzazione di passerelle e percorsi di visita attrezzati
• Antiquarium – Sistemazione dei locali dell’ex chiesa parrocchiale
e della canonica per l’allestimento dell’Antiquarium e strutture di
servizio a supporto dell’area archeologica
Progetto “area archeologica di Luni – La Spezia”
Il progetto in esame prevede l’ultimazione del recupero funzionale
di tutti i casali rustici di proprietà demaniale situati all’interno del
perimetro della città romana. Ciò consentirà alla Soprintendenza di
diversificare le destinazioni d’uso del sistema museale. In
particolare, il casale Benedettini-Gropallo sarà destinato ad
esposizione, uffici, laboratori e sale per conferenze, riunioni e
proiezioni; il Casale Menchelli sarà destinato alla conservazione e
studio dei reperti di scavo.
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IX Salone dei Beni e delle Attività Culturali
Restaura
V2 - e4 nd i cee zm bi rae
Tecnologie Avanzate per la Conservazione del Patrimonio
Apertura del convegno
Antonia P. Recchia
Direttore Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione – MiBAC
Le professioni per la comunicazione del Patrimonio
Luigi Covatta
Ales - Arte Lavoro e Servizi S.p.A.
Restaurare sott’acqua - Strumenti e tecniche
Roberto Petriaggi e Barbara Davidde
Istituto Centrale per il Restauro - Nucleo per gli Interventi di Archeologia Subacquea
Teconologia GIS per la gestione di dati tecnici degli interventi di restauro:
Il caso della Cripta di San Magno nel Duomo di Anagni
Carlo Cacace
Istituto Centrale per il Restauro
La Porta del Paradiso del Ghiberti: una metodologia d’avanguardia per la pulitura
della doratura ad amalgama
Stefania Agnoletti e Annalena Brini
Opificio delle Pietre Dure di Firenze
Recupero di un manoscritto di tipo archivistico del 1293-1294, scritto su carta di origine araba
Maria Luisa Riccardi e Marina Bicchieri
Istituto Centrale per la Patologia del Libro
Tecniche di pulitura superficiale e lavaggio di supporti cartacei sottoposti
a diagnosi ottica tramite spettroscopia di immagini
Silvia Sotgiu e Mauro Missori
Istituto Centrale per la Patologia del Libro
Il restauro presso il Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro:
innovazioni, metodi e ricerca. Il progetto di restauro “Liber Sancti Vigilii” Codex vangianus
Cecilia Prosperi
Centro di Fotoriproduzione, Legatoria e Restauro
L’azione delle microonde sugli insetti nocivi per i supporti cartacei
Luciano Residori
Centro di Fotoriproduzione, Legatoria e Restauro
Via del Collegio Romano, 27
00186 ROMA
Tel. +39 06 67232441-2927
Fax +39 06 67232917
[email protected]
www.beniculturali.it
ISBN 884920916-9
9
788849
numero verde 800 99 11 99
Dipartimento per la Ricerca, l’Innovazione e l’Organizzazione
Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e Promozione
209167
t 18,00
Al MiBAC è affidato il compito di amministrare un patrimonio unico al mondo, costituito da beni
storico – artistici, architettonici, archeologici e paesaggistici, archivistici, librari, frutto
di una millenaria interazione tra civiltà e natura nonché di promuovere le nuove attività culturali nel
campo dello spettacolo, del cinema e dello sport.
Con la riforma organizzativa attuata, il MiBAC, attraverso la costituzione del Dipartimento per la
Ricerca, l’Innovazione e l’Organizzazione e della Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e
la Promozione, vuole dare un forte impulso alla modernizzazione e all’innovazione della sua
struttura operativa, rendendo più funzionali le competenze e le risorse professionali.
Al Dipartimento afferiscono anche gli Istituti di ricerca: ICR Istituto Centrale per il Restauro, ICCD
Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, ICPL Istituto Centrale per la Patologia del
Libro, OPD Opificio delle Pietre Dure e il CFLR Centro di Fotoriproduzione, Legatoria e Restauro
degli Archivi di Stato.
DIPARTIMENTO PER LA RICERCA, L’INNOVAZIONE E L’ORGANIZZAZIONE
Capo Dipartimento: Giuseppe Proietti
Dirigenti Generali: Anna Maria Buzzi, Elio Garzillo
Servizio I
Servizio II
Servizio III
Servizio IV
•
Affari generali, tematiche trasversali, coordinamento, gestione delle risorse umane
Dirigente: Raffaele Sassaro
Intese istituzionali e rapporti con il Comitato Interministeriale per la programmazione economica
Dirigente: Maria Grazia Bellisario
Ufficio Studi
Dirigente: Velia Rizza
Ispettorato
Dirigente: Rosa Aronica
Direzione generale per gli affari generali, il Bilancio, le Risorse Umane e la Formazione
Direttore generale: Alfredo Giacomazzi
Servizio I
Servizio II
Servizio III
Servizio IV
•
Affari Generali, bilancio e programmazione
Dirigente: Maria Assunta Lorrai
Risorse umane: concorsi, assunzioni, movimenti, mobilità, formazione e aggiornamento professionale del
personale; relazioni sindacali e contrattazione collettiva
Dirigente: Mauro Cotone
Stato giuridico ed economico del personale, cessazioni e trattamento pensionistico
Dirigente: Carlo Luzzi
Ufficio del contenzioso e dei procedimenti disciplinari
Dirigente: Maria Roberti
Direzione generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione
Direttore generale: Antonia Pasqua Recchia
Servizio I
Affari generali - Qualità dei servizi e statistica
Servizio II
Comunicazione, promozione e marketing
Dirigente: Paola Francesca Zuffo
Servizio III
Gestione e sviluppo del Sistema Informativo Automatizzato, Tecnologie e Infrastrutture
Dirigente: Annarita Orsini
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