VIOLENZA UN PROBLEMA PER TANTI CHE RICHIEDE L’IMPEGNO DI TUTTI Guida facile al servizio della donna in difficoltà Progetto: settore grafico pubblicitario “A. De Pace” Lecce Coordinamento: Prof. Tiziana Muraglia Fotografia: Marco Maraca VAtp Grafica: Andrea Schiavone e Enrica Orlando VBtp 1 IL PRESENTE OPUSCOLO E’ STATO REALIZZATO CON LA COLLABORAZIONE DI: Commissione Pari Opportunità Provincia di Lecce Michela di Ciommo Presidente Ginetta Martino Vice Presidente Vilma D’Amato Componente Irene Lezzi Componente Anna Maria Longo Componente Antonietta Mangia Componente Alessandra Musardo Componente Francesca Martucci Componente Anna Luisa Rizzo Componente Ninetta Valentino Componente Maria Antonietta Zecca Componente M. Chiara Patera Segretaria FIDAPA Lecce Fiammetta Perrone Vice presidente Consigliera di Parità Provincia di Lecce Serenella Molendini Assessorato alle Pari Opportunità Provincia di Lecce Loredana Capone 2 PRESENTAZIONE Lo sviluppo economico e sociale di un territorio deve poter contare sulla capacità dei singoli cittadini di esprimere al meglio la propria creatività; quando questo non avviene, ci si trova di fronte ad una limitazione (più o meno consapevole) della stessa possibilità di sviluppo. La violenza, poi, sulle donne rappresenta un oltraggio alla dignità, un ostacolo al rafforzamento di relazioni interpersonali e sociali costruttive; insomma, “una forma subdola di relazione che nega alla donna la libertà di essere” (come si legge nella “Guida facile” curata dalla Commissione Provinciale Pari Opportunità). C’è da impegnarsi ancora tanto sull’argomento, anche perché i tempi moderni hanno creato nuove limitazioni allo sviluppo della personalità dei lavoratori e delle lavoratrici: sono state messe da parte vecchie pressioni psico-fisiche per favorire nuove limitazioni, più subdole, più nascoste, che spesso finiscono con l’essere sottovalutate, generando nuovi “mostri” e imprevedibili problemi familiari e sociali. Plàudo, dunque, all’iniziativa della Commissione Provinciale Pari Opportunità per la “Guida facile al servizio della donna”, sicura occasione di riflessione e nuova base di partenza per un rinnovato impegno in favore di una corretta e coerente relazione tra uomo e donna, in famiglia, nel mondo del lavoro, delle imprese, della professione, quindi nel progressivo evolversi della società che viviamo. Giovanni Pellegrino Presidente della Provincia di Lecce 3 La violenza è quella forma subdola di relazione che nega alla donna la libertà di “essere”. È un mostro dalle mille teste, il vaso di Pandora da cui vengono fuori molti dei crimini contro le donne, dalle forme più note e facilmente osservabili a quelle più insidiose, nascoste o edulcorate. Conoscere i volti della violenza è il primo passo per riconoscerla, denunciarla, combatterla, sconfiggerla. È importante l’impegno di tutti per modificare le culture che la tollerano e i rapporti di dominio che la generano. I VOLTI DELLAVIOLENZA - FISICA SESSUALE PSICOLOGICA/PERSECUTORIA ECONOMICA SUI LUOGHI DI LAVORO 4 VIOLENZA FISICA Rientrano in questa forma tutti i maltrattamenti fisici esercitati su un’altra persona, quali: • Spintonare • Sputare contro • Dare pizzicotti • Mordere • Picchiare • Prendere a calci • Schiaffeggiare • Percuotere • Bruciare (es. con le sigarette) • Privare di cure mediche • Privare del sonno • …………….. 5 VIOLENZA SESSUALE È l’imposizione di pratiche sessuali non desiderate. La rivelazione della violenza sessuale è un processo difficile per moltissime donne che, dopo aver vissuto e sofferto in silenzio per anni di conseguenti disturbi di vario genere (attacchi di panico, paure, cambiamenti caratteriali, turbe improvvise e violente, vomito, disturbi gastrointestinali e del sonno) a causa della violenza subita, decidono di parlare del problema. Il silenzio è sovente legato alla conoscenza e familiarità del “persecutore” spesso rappresentato dal marito, ex marito, fidanzato, ex fidanzato, amico, conoscente, genitore, collega o datore di lavoro. VIOLENZA PSICOLOGICA È quella forma che implica nella dinamica relazionale un atteggiamento di svalutazione progressiva che mina l’identità della donna, procurandole nel tempo una sofferenza indefinita. Nella donna molto spesso non vi è 6 immediata percezione e consapevolezza del maltrattamento subito. Solo un ascolto attivo ed empatico può indurre un riconoscimento delle varie tipologie di maltrattamento psicologico. Se ne possono individuare alcune: 1. svalutare l’altro; 2. manipolarlo; 3. sovraccaricarlo di responsabilità; 4. indurre senso di privazione e paura; 5. distorcere la realtà; 6. mettere in atto comportamenti persecutori; 7. ………………. 1. Svalutare l’altro: si realizza attraverso un processo di continua diminuzione di valore dell’altro mediante ripetute critiche, ingiurie, offese e ferite alla sua femminilità. L’uomo, indebolendo la donna, punta a farla sentire sempre e comunque inadeguata, incapace, folle, fredda sessualmente, eccessivamente sensibile. Questi atteggiamenti, reiterati, sono spesso causa di disistima, 7 sofferenza, vergogna, perdita di valori personali e assunzione di comportamenti e pensieri dell’altro. In definitiva, è una negazione di sè, del proprio esistere, del proprio mondo, delle proprie radici. 2. Manipolare l’altro: si mette in atto mediante continue richieste di cambiamenti sia dell’aspetto fisico che di comportamenti indesiderati. L’abusante induce la donna ad assumere tranquillanti in modo da esercitare un controllo maniacale su di lei, impedendole di avere una personale autonomia. 3. Sovraccaricare l’altro di responsabilità: la donna viene sovraccaricata di responsabilità educative e di organizzazione del menage familiare, a causa di un totale disimpegno del partner, velato da giustificazioni di comodo. 4. Indurre nell’altro senso di privazione e paura: la donna viene continuamente privata di relazioni sociali (comprese quelle con la famiglia di origine) e di sostentamento economico primario. Questo determina uno stato d’ansia, di insicurezza, di vergogna, di paura e di 8 panico, nonché di profonda solitudine ed isolamento. L’abusante per svalutare e manipolare la donna utilizza la strategia della paura indotta attraverso minacce di percosse, di sottrazione dei figli, di morte, accompagnate da rottura di oggetti. L’imprevedibilità del partner genera nella donna un continuo stato di timore portandola a compiacerlo per evitare la violenza. 5. Distorcere la realtà: l’uomo spinge la donna a perdere il contatto con la realtà e con sè stessa mediante continue distorsioni dei suoi pensieri, emozioni e sentimenti, provocandole continui sensi di colpa e la conseguente accettazione dei maltrattamenti. 6. Mettere in atto comportamenti persecutori: una forma di maltrattamento diffusa è quella persecutoria che il partner mette in atto di solito quando la donna cerca spazi di autonomia e di svincolo. Viene esercitata in vari modi: • seguendo la donna negli spostamenti; • aspettandola sotto casa o vicino ai luoghi in cui lavora; 9 • presentandosi in modo irruento sul posto di lavoro o nei luoghi da lei frequentati; • telefonando in maniera continua a casa, sul telefonino o al lavoro; • inviando continui messaggi, lettere o biglietti. VIOLENZA ECONOMICA Viene esercitata come forma di privazione e di controllo al fine di limitare l’indipendenza economica della donna quando il partner: • non dà informazioni sul c/c e sulla situazione patrimoniale; • non condivide la gestione del bilancio familiare; • la costringe a firmare contratti o garanzie senza avere alcuna informazione rispetto ai rischi e a fare dei debiti; • intesta tutti i beni a nome proprio o a nome dei propri familiari per impedire rivalse legali in caso di separazione; • rifiuta di pagare un congruo assegno di mantenimento; • si licenzia per non pagare gli alimenti. 10 VIOLENZA SUI LUOGHI DI LAVORO La violenza più diffusa nei luoghi di lavoro non è quella di tipo fisico, ma quella di tipo psicologico, fatta di intimidazioni, minacce, ostracismo, atteggiamenti ostili e derisioni in pubblico. Subdola, difficile da definire quanto da dimostrare, l'aggressione psicologica può assumere molte forme e provocare effetti deleteri sullo stato fisico e psichico di una lavoratrice. Generalmente, essa si manifesta sotto forma di molestia sessuale o mobbing. In particolare, costituisce molestia sessuale ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma verbale, non verbale o fisica, avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare attraverso la creazione di un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Si riportano di seguito i più diffusi tra i possibili comportamenti in cui possono concretizzarsi le molestie sessuali: 11 - gli apprezzamenti verbali offensivi sul corpo e sulla sessualità; - le richieste implicite o esplicite di rapporti sessuali non graditi; - gli sguardi insistenti; - gli ammiccamenti; - le foto pornografiche o altro materiale analogo esposto nei luoghi di lavoro; - i messaggi scritti o gli oggetti provocatori ed allusivi; - i contatti fisici intenzionali indesiderati; - le promesse esplicite o implicite di carriera o di agevolazioni e privilegi sul posto di lavoro in cambio di prestazioni sessuali; - le intimidazioni, minacce e ricatti subiti per aver respinto comportamenti finalizzati al rapporto sessuale. Come anticipato, l’altra forma che può assumere l’aggressione psicologica sui luoghi di lavoro è rappresentata dal mobbing. Più precisamente, per mobbing si intende ogni forma di violenza morale o psichica attuata – appunto – sul luogo di lavoro da parte del datore di lavoro o da altri 12 dipendenti sovraordinati o sottordinati nei confronti di una lavoratrice (o di un lavoratore). Esso è caratterizzato da una serie di atti, atteggiamenti o comportamenti diversi: - ripetuti nel tempo (almeno sei mesi); - in modo sistematico ed abituale (con almeno un episodio la settimana); - aventi connotazioni aggressive, denigratorie e vessatorie tali da comportare un degrado delle condizioni di lavoro ed idonei a compromettere la salute o la professionalità o la dignità della lavoratrice stessa nell’ambito dell’ufficio di appartenenza o, addirittura, tali da escluderlo/a dal contesto lavorativo di riferimento. Varie sono le forme di persecuzione psicologica che possono costituire indice di comportamento mobbizzante, quali ad esempio: - calunniare o diffamare una persona, oppure la sua famiglia o escluderlo sistematicamente dai discorsi comuni; 13 - negare deliberatamente informazioni relative al lavoro, oppure fornire informazioni non corrette, incomplete/o insufficienti; - sabotare o impedire deliberatamente l’esecuzione del lavoro; - isolare in modo esplicito il/la lavoratore/rice oppure boicottarlo/a; - esercitare minacce, intimorire o avvilire la persona; - controllare il/la lavoratore/rice senza che lo sappia e con l’intento di danneggiarlo o, al contrario, trattarlo con assoluta indifferenza; - sottrargli/le responsabilità o, viceversa, attribuirgli/le compiti che vanno al di là delle capacità personali. Le iniziative di aggressione psicologica comportano per le vittime del “mobbing” una serie di danni alla salute che consistono usualmente in: depressione, ansia, attacchi di panico, ipertensione arteriosa, difficoltà di concentrazione, dermatosi, tachicardia, tremori, oppressione immotivata, mal di schiena, mal di testa o sensazione di “testa compressa”, sensazioni di “nodo alla gola” e di “fame d’aria”, mani sudate, sensazioni di caldo e di freddo agli 14 arti, sensazioni deambulazione, di sbandamento debolezza, e disturbi di difficoltà di gastro-intestinali, abbassamento delle difese immunitarie. Le cause del fenomeno sono varie e diversificate. Spesso esso si verifica a seguito di una fusione o una ristrutturazione della società che determina o esuberi di personale o convenienza ad assumere personale giovane (che costa meno ed è più aggiornato) piuttosto che riqualificare le dipendenti presenti (che vengono convinte o costrette ad andarsene). Spesso la vittima è soltanto l'ultima arrivata, colpevole di aver rotto una precedente dinamica di “clan”; talvolta, è una persona originale con convinzioni politiche o religiose particolari. Altre volte è la lavoratrice onesta, che non accetta regole clientelari; in alcune occasioni è quella con inclinazioni sessuali diverse, in altre ancora è un disabile. Purtroppo in molti casi il mobbing di genere si evidenzia con l’annuncio della maternità in azienda. Il datore di lavoro si sente “tradito” dalla mancanza di dedizione assoluta da parte della dipendente e inizia a “demansionarla” e a crearle intorno un clima poco 15 favorevole tanto da indurla ad abbandonare il lavoro. Le dimissioni dal lavoro, infatti, in seguito a maternità sono in costante aumento in Italia. Ciò che emerge è che nei luoghi di lavoro nessuno è al sicuro (o lo è per sempre) da questo genere di sopraffazioni. Non è vero, infatti, che le vittime sono persone particolarmente deboli. Al contrario, sono spesso lavoratori con notevoli capacità, che investono molto nel lavoro, e che proprio per questo soffrono se messi nella condizione di non poter mettere a frutto le proprie competenze. 16 STEREOTIPI DIFFUSI In genere si pensa… Ma… E’ un fenomeno poco diffuso E’ solo sommerso e sottovalutato Interessa solo fasce sociali deboli, svantaggiate, emarginate Può riguardare chiunque di ogni età e classe sociale E’ conseguenza della naturale aggressività maschile e, pertanto, a volte giustificabile. Non si possono legittimare si legittimano gli uomini ad avere il pieno controllo della relazione e della partner E’ collegabile all’abitudine ad assumere alcool/droghe, o alla presenza di disturbi della personalità Alcool, droghe e disturbi psichici possono solo amplificare il problema E’ un problema di chi è stato vittima e/o testimone di violenza Fortunatamente non sempre le vittime o i testimoni della violenza diventano uomini violenti 17 La subiscono donne “fragili“, “vittime passive“, cresciute in un clima familiare violento Riguarda, spesso, donne che mancano di autostima E’ determinata dalle donne Nessun comportamento può giustificare l'uso della violenza Va risolta tra le pareti domestiche La violenza va svelata e fronteggiata con aiuti esterni La violenza sessuale è, nella maggioranza dei casi, agita da estranei Si sa che, spesso, è praticata da persone conosciute o di famiglia 18 CIASCUNO PUÒ FARE QUALCOSA… L’INDIFFERENZA PUÒ ANCHE UCCIDERE Il desiderio di aiutare la donna che ha subito violenza può essere importante, ma non sono solo sufficienti volontà e buone intenzioni. Occorre invece offrire sempre un aiuto adeguato per affrontare qualsivoglia situazione di maltrattamento. La rivelazione di una violenza o di un maltrattamento è un atto di coraggio per sé e per gli altri generato dalla reale presa di contatto con la propria esperienza traumatica. Si tratta pertanto di un passaggio positivo e delicato che comporta però il rischio di una ritrattazione. Tale rischio può dipendere: - dal grado di riconoscimento da parte del soggetto che presta aiuto ai bisogni psicologici della donna; - dalla relazione che si instaura con la donna violentata. La rivelazione, pertanto: - va sempre raccolta e approfondita anche se si presenta frammentata e confusa; 19 - va accompagnata mettendo in atto idonei interventi di sostegno e di protezione. Per instaurare una buona relazione d’aiuto non sono sufficienti solo sensibilità e altruismo. È altresì necessario: - aver acquisito competenze culturali e tecniche specifiche sull’argomento; - tener conto del frequente incrocio tra esigenze cliniche ed esigenze giudiziarie; - riconoscere gli indicatori di violenza. 20 ATTEGGIAMENTO DA ASSUMERE IN UNA RELAZIONE D’AIUTO In una relazione d’aiuto efficace occorre: • ascoltare attivamente, facendo domande chiare, senza dare giudizi di valore e consigli; • riconoscere i punti di forza della personalità della richiedente aiuto su cui far leva per gestire le difficoltà e i problemi; • evitare di colpevolizzare la vittima, rinforzando l’idea che il maltrattante è il vero responsabile del maltrattamento; • sentire empaticamente i sentimenti, quali paura, colpa, rabbia, speranza, tristezza; • offrire l’aiuto appropriato e le informazioni utili per mettersi in contatto con chi può effettivamente aiutarla; • sostenere le sue decisioni, ricordando che esistono rischi legati ad ogni decisione presa da una donna maltrattata. 21 Inoltre, ogni donna può ... - Denunciare l’accaduto o querelare (entro sei mesi) il responsabile del reato; la denuncia può essere presentata presso qualsiasi Commissario di Pubblica Sicurezza o Stazione dei Carabinieri o Procura della Repubblica, preferibilmente insieme alla fotocopia del certificato medico; - Proporre personalmente istanza al Tribunale del luogo di residenza o domicilio per ottenere ordini di protezione contro gli abusi familiari; - Recarsi in un Pronto Soccorso Ospedaliero o a qualsiasi medico per una visita nel caso in cui il marito o il convivente avesse percosso o/e causato lesioni e chiedere un referto medico che attesti le condizioni riscontrate; - Chiedere l’allontanamento dalla casa familiare del partner violento o che abbia assunto una condotta pregiudizievole rispetto l’integrità psico-fisica dell’altro coniuge o convivente e chiedere il pagamento periodico di un assegno di mantenimento per se e i figli. Il giudice 22 determina la somma da corrispondere e le modalità di pagamento; - Chiedere l’allontanamento di un componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente (padre, fratello…) che si sia reso colpevole di comportamenti violenti e lesivi; - Rivolgersi ad un centro anti-violenza, ai servizi sociali o presso un Consultorio Familiare per ricevere assistenza legale e psico-socio-educativa; - Chiedere il gratuito patrocinio, ossia l’assistenza gratuita di un avvocato/a se le condizioni economiche sono disagiate, ovvero con un reddito personale annuo non superiore a 9.296,22 Euro (£ 18.000.000); - Rivolgersi, per le violenze che si consumano nei luoghi di lavoro, alla Consigliera di parità (figura istituzionale nominata con decreto del Ministero del Lavoro) con sede presso la Provincia d’appartenenza che potrà attivare gratuitamente procedure ed azioni in giudizio, per sostenere le donne vittime di discriminazioni e mobbing di genere. 23 molestie sessuali, STRUTTURE E CENTRI ANTIVIOLENZA DELLA REGIONE PUGLIA PER DONNE IN DIFFICOLTA’ Elenco alfabetico di associazioni e strutture presenti sul territorio pugliese che forniscono vari tipi di servizi a donne che si trovano in condizioni di disagio: Centro Antiviolenza DESIREE Bari tel.080/5559566 – www.desireecav.it/home.htm Centro Antiviolenza c/o ASSOCIAZIONE ARACNE via Lombardi 12 – 70100 Bari tel.080/5218389 – servizio di ascolto e consulenza di natura giuridica, medica, psicologica e socio-assistenziale Centro Antiviolenza Comunale, p.zza A. Moro .16 BARLETTA Tel 0883310293, fax 0883313554 Centro Antiviolenza IO DONNA PER NON SUBIRE VIOLENZA – via Cappuccini, 8 Brindisi tel./fax 0831/522034 e-mail:[email protected] sito internet: http://freeweb.supereva Centro Antiviolenza per Donne Migranti – PROGETTO LIBERA - PROVINCIA DI LECCE Tel. 0832/683429/683430 Fax 0832/240692 E-mail : [email protected] 24 ALTRI NUMERI UTILI DIPARTIMENTO PARI OPPORTUNITA’: www.pariopportunità.gov.it Numero Verde gratuito 1522 per raccogliere denunce, richieste di assistenza e di collegamento con le strutture di assistenza. MINISTERO DEL LAVORO SOCIALI: numero verde 800196196 25 e DELLE POLITICHE